DESIGN+ RIVISTA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI BOLOGNA
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L’Admirant Entrance Building dello studio Fuksas Lo Studio SAA&A progetta San Pio da Pietrelcina
ISSN 2038 5609 - "Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) art.1 comma.1 - CN/BO”
Il Nanjing Museum Of Art & Architecture Il Museum of Fine Arts di Foster and Partners
DESIGN + Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 7947 del 17 aprile 2009
STUDIO - PRODUZIONE DIVANI E POLTRONE Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro Redazione Alessio Aymone, Emiliano Barbieri, Nullo Bellodi, Federica Benatti, Mercedes Caleffi, Giuliano Cirillo, Edmea Collina, Biagio Costanzo, Mattia Curcio, Silvia Di Persio, Antonio Gentili, Piergiorgio Giannelli, Andrea Giuliani, Giulia Manfredini, Stefano Pantaleoni, Luca Parmeggiani, Alberto Piancastelli, Duccio Pierazzi, Nilde Pratello, Claudia Rossi, Clorinda Tafuri, Luciano Tellarini, Carlo Vinciguerra, Gianfranco Virardi, Gabriele Zanarini Hanno collaborato Manuela Garbarino, Emilia Milazzo, Marco Zappia Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) www.cantelli.net
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CONTENUTI
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80 Architettura del Novecento Il nuovo museo progettato da Italo Rota e Fabio Fornasari a Milano
90 Cini Boeri Intervista a una storica protagonista dell’architettura e del design italiani
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Rosalia Vittorini
L’arte creativa del metallo
Dal 2007 è Presidente di Docomomo Italia onlus, Associazione per la Conservazione degli edifici
Dal 1998 Leonardo Dingi è subentrato al padre nella gestione della bottega artigiana
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Luisa Bocchietto
Architetture spirituali
Architetto e designer, è Presidente nazionale dell’Associazione per il Disegno Industriale
Nel New Jersey è stato progettato il Salameno Spiritual Center, un centro interreligioso
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Recupero di San Giovanni
Postazioni per dormire
È stata restaurata la pala raffigurante “La nascita di San Giovanni Battista”
In 100 giorni lo Studio Up ha trasformato un centro commerciale di Spalato in ostello
CONTENUTI
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Il cinema in mostra
Paradigma del sacro
L’architetto Thomas Leeser ha progettato a New York il Museum of Moving Image
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Nella periferia di Roma è stata consacrata la nuova chiesa di San Pio da Pietrelcina
43 Nuovo parco a Valencia Nella città spagnola verrà realizzato il parco più importante sviluppato in Europa
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Creatività, avanti tutta
Il Salone del Restauro
Anteprima
A Milano una mostra fa il punto sulla nuova e creativa disciplina del graphic design
Sarà ospitato anche quest’anno presso il quartiere fieristico di Ferrara dal 30 marzo al 2 aprile
50 Boston celebra l’arte americana L’ampliamento del Museum of Fine Arts è stato progettato dallo Studio Foster
58 Dinamicità e morbidezza Lo Studio Fuksas ha realizzato in Olanda l’Admirant Entrance Building
66 Sospeso nell’aria Steven Holl ha creato a Nanjing una struttura dalla vocazione contemplativa
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106 Suggestioni da mille e una notte Sono le creazioni del marchio Bokja fondato da due designer libanesi
Appuntamenti di arte, design e architettura in Italia e nel mondo
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EDITORIALE
QUALITÀ DI VITA E DESIGN FOR ALL
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empre più spesso si sente parlare di qualità della vita. L'argomento però non è di recente creazione se è vero che sia Aristotele, con la sua etica eudaimonica, che Platone, con il suo governo della città perfetta, avevano già teorizzato molto e bene. Due tra gli indicatori di qualità più importanti, al proposito, sono sicuramente la libertà di movimento nell'ambiente in cui viviamo e di azione nei confronti delle cose che ci circondano. Molti indicatori sociali, al contrario di quelli economici, sono abbastanza difficili da misurare; la disuguaglianza sociale, la sicurezza, la libertà di pensiero sono valori non univoci e dipendono dal grado di istruzione e da situazioni contingenti. Anche per quanto riguarda il concetto di barriera architettonica l'unità di misura non è universale, ma viene pensata e realizzata con modalità molto differenti. L'architetto spesso progetta pensando solamente all'utente standard, il cosiddetto normodotato. Questo tipo di utente, tra l'altro, nell'articolato e complesso mondo globale, è un modello astratto e virtuale. Il progettista più attento si impegna, invece, a realizzare spazi adatti alle persone diversamente abili. Il suo prodotto divide quindi il mondo in due: uomo adulto sano o disabile. Molto spesso questo può rappresentare un approccio negativo poichè contrappone le soluzioni per la disabilità con quelle per la normalità. La strada giusta da seguire è il cosiddetto progetto per l'utenza ampliata che, superando il barrier free design, tende ad evitare dannose schematizzazioni e mette invece in giusto rilievo la complessità dell'essere umano, in una dimensione aperta e in costante evoluzione nella ricerca e nell'interazione della persona con lo spazio circostante. La normativa italiana definisce tre livelli di qualità dello spazio in relazione a persone con ridotta capacità motoria: accessibilità, visitabilità e adattabilità. Per accessibilità si intende la possibilità di entrare e fruire delle unità immobiliari, di qualsiasi destinazione d'uso. Per visitabilità si intende la possibilità di accedere a spazi di relazione e ad un servizio igienico. Per adattabilità si intende la possibilità di poter modificare lo spazio per renderlo completamente fruibile. Un grande aiuto alla realizzazione di spazi per l'utenza ampliata deriva dall'applicazione delle tecnologie domotiche, che tendono a migliorare la qualità della vita e la sicurezza negli spazi architettonici. Il termine deriva dai termini greci domos e ticos, che insieme vogliono significare ciò che serve ad organizzare la casa, con l’apporto, nell’era dell’homo tecnologicus, di sistemi integrati gestionali ed informatici. Queste tecnologie, in pratica, servono per ottimizzare i consumi energetici, semplificare la gestione e creare un maggior livello di comfort. Un efficace sistema domotico deve essere semplice, poiché è diretto ad un utente non professionale, e deve anche dimostrarsi affidabile e di costo limitato; è mirato ad automa-
tizzare una serie di azioni quotidiane, semplificandone l'uso, e si configura come una specie di organismo intelligente. Con il termine casa intelligente si intende, infatti, il controllo globale di sistemi tecnologici per mezzo di unità computerizzate domestiche attraverso interfacce quali pulsanti, telecomandi, tastiere, touch screen, riconoscimenti vocali, retiniche e di impronte digitali. Questo sistema di controllo centralizzato può servire ad aprire una tapparella, rilevare una fuga di gas, modulare la luce e la musica, gestire la temperatura e la climatizzazione, creare effetti ambientali, controllare i rilevatori anti-intrusione e antincendio. In generale permette di interagire in tempo reale con impianti telefonici, televisivi, climatizzanti, visivi, sonori e di monitoraggio. Questa semplice, o complessa, interfaccia uomo-macchina,attraverso messaggi visivi, sonori e azioni di controllo consente all’utente di interagire, tramite hardware e software, con le apparecchiature per migliorare la propria qualità di vita. Il livello di questo miglioramento non è univocamente riconosciuto, poiché non sempre il progresso tecnologico è percepito in modo positivo in tutte le sue manifestazioni. È assodato che una corretta condotta professionale non può prescindere da comportamenti etici che tengano conto dell'importanza sociale del progettista, che con le sue azioni è in grado di fare stare bene o, al contrario, male l'utente che fruisce degli spazi architettonici. Sviluppo sostenibile significa quindi qualità della vita, efficienza energetica, eliminazione delle barriere architettoniche, perseguimento del comfort psicologico e fisiologico, contenimento dell'inquinamento, attenzione al ciclo di vita e alla riciclabilità dei materiali, utilizzo di risorse energetiche rinnovabili, risparmio della risorsa acqua, corretto sfruttamento dell'innovazione tecnologica e tante altre cose. Tutto questo con l'obiettivo di mettere l'uomo al centro della progettazione: non solo l'uomo che vive in questi anni, ma anche le generazioni future. A questo proposito un concetto illuminante è rappresentato dal Seventh Generation Standard, che richiede che gli effetti delle decisioni non debbano avere ricadute negative per almeno cento anni. Attenzione a non equivocare: non è che dopo cento anni potranno legittimamente avere effetti negativi. Si può invece ottimisticamente supporre che se una azione non ha effetti negativi nei primi cento anni, non ne avrà neanche dopo. In sintesi, progettare per tutti, design for all, è ormai un dovere ineludibile per l'architettura, che è diventata, da un lato, una disciplina principe per gli operatori della conoscenza del terzo millennio e, dall'altro, una professione di grande responsabilità sociale. Per tutti noi, attuali utilizzatori del pianeta. E per le generazioni future. Alessandro Marata
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PENSIERI.GLOBALI
Rosalia Vittorini
«Bisogna tutelare le architetture del XX secolo. Creare programmi complessi che comprendano e investano non solo gli edifici ma anche gli spazi pubblici» L
Secondo lei i giovani architetti italiani sono preparati ad affrontare la conservazione e la salvaguardia degli edifici del movimento moderno?
Da qualche decennio il tema della conservazione e tutela dell’architettura del XX secolo è entrato nei corsi universitari occupando uno spazio che va dalla storia dell’architettura al restauro, alla storia delle tecniche costruttive, all’urbanistica. I giovani progettisti sono sensibili alla questione anche se il dibattito ha avuto scarse ricadute operative sugli interventi.
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Le cosiddette “aree dismesse” presenti nelle città italiane e in gran parte risalenti al periodo dell’architettura moderna sono di interesse per il Docomomo?
Certamente, le aree dismesse, sempre più “numerose” anche in zone centrali della città, si pongono anche per noi come una sfida importante. Sono aree che richiedono strategie e programmi di trasformazione complessi che però dovrebbero risultare dalla composizione delle diverse esigenze, da quelle funzionali a quelle della valorizzazione. Questo termine troppo spesso, a nostro avviso, nasconde operazioni molto distanti da quel riconoscimento di valore che passa attraverso la conoscenza e, quindi, l’individuazione dei caratteri identitari degli edifici come dei complessi urbani.
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L’opera del Docomomo consiste solo nella sensibilizzazione delle autorità di competenza o altro?
Gli obiettivi statutari dell’associazione sono la documentazione e la conservazione dell’architettura del Novecento. L’associazione (e il suo strumento principale, il Giornale) rappresenta un luogo di scambio dove studiosi, progettisti, funzionari pubblici, imprese, possono condividere studi e ricerche, confrontarsi su procedure di indagine e metodologie progettuali che sono necessariamente sperimentali e diverse da quelle utilizzate per l’intervento sull’antico.
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Il Docomomo cosa si aspetta dalla campagna di sensibilizzazione sugli edifici e i complessi urbani e sportivi della XVII Olimpiade a Roma che ha da poco cominciato?
Cogliendo l’occasione del cinquantenario della XVII Olimpiade romana abbiamo pubblicato una guida alle strutture sportive realizzate in quella circostanza con l’obiettivo di far conoscere opere rilevanti e promuoverne la salvaguardia.
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Il Docomomo e L’Aquila. Che prospettive ha questa città mancante di un piano strategico condiviso?
Dopo il terremoto Docomomo ha ritenuto utile dedicare un numero del giornale a L’Aquila ponendo l’attenzione sulla città del XX secolo e sostenendo le “ragioni” delle architetture più recenti che rischiano la totale indifferenza. Ci siamo impegnati in una serie di iniziative condivise anche con altre associazioni, ma l’assenza di referenti certi in una situazione che appare ancora molto confusa, ha reso, speriamo per ora, inascoltate le nostre proposte.
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Che rapporto c’è tra l’Associazione nazionale Archivi Architettura, il Docomomo e il Maxxi?
Con l’associazione Nazionale Archivi di Architettura condividiamo naturalmente l’attenzione per le fonti. Il loro lavoro sugli archivi è base insostituibile non solo per gli studi e gli approfondimenti sulle opere, ma soprattutto per il progetto di intervento. Con il settore architettura del MAXXI, guidato da Margherita Guccione, abbiamo stabilito un rapporto costante che deriva dalle precedenti collaborazioni istituite, fin dalla fondazione di Docomomo, con il Ministero dei Beni e Attività Culturali, prima con la DARC e attualmente con la PABAAC.
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Non crede che oltre a sensibilizzare chi sta nel campo, oggi sia necessario creare una maggiore coscienza nei cittadini del rispetto degli edifici e della città?
Senza dubbio. Prendiamo per esempio i quartieri di edilizia pubblica: spesso privi di tutela istituzionale, appaiono troppo ordinari e quotidiani per meritare di essere salvaguardati. È possibile attuare programmi che coniughino la conservazione dei caratteri originari con il governo realistico delle trasformazioni, programmi complessi che comprendano diverse opzioni e che investano non solo gli edifici ma anche gli spazi pubblici.
Architetto e professore associato di Architettura tecnica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma Tor Vergata. La sua attività di ricerca è incentrata sull'evoluzione delle tecniche edilizie moderne e contemporanee in rapporto al linguaggio architettonico con particolare riferimento a opere e progettisti del Novecento italiano. È membro di Ar.Tec., Associazione Scientifica per la Promozione dei Rapporti tra Architettura e Tecniche dell’Edilizia, di DO.CO.MO.MO. International e di DO.CO.MO.MO. Italia onlus di cui è presidente dal 2007 (www.docomomoitalia.it).
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PENSIERI.GLOBALI
Luisa Bocchietto
«L’associazione ADI, oggi, accoglie i giovani designer, promuove concorsi e intrattiene rapporti con le 100 scuole d'Italia che insegnano design industriale» L
In qualità di Presidente Nazionale, ci spiega coma è nata l’ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale?
L'ADI è nata nel 1956 a seguito della realizzazione del Premio Compasso d'Oro a cura della Rinascente avvenuto nel 1954. Dopo due anni il successo del premio fu tale che la Rinascente decise di affidare proprio a quegli architetti e imprenditori raccoltisi intorno al premio la gestione dello stesso. Da quell'incontro è nata l'Associazione ADI, per promuovere il design italiano. ADI è un’ associazione anomala; non si tratta di una associazione di categoria (di progettisti o di imprese) ma di una associazione che riunisce tutti gli attori del processo per promuovere una nascente (allora) disciplina: il design industriale. In quegli stessi anni, a Milano, all'interno dell'ADI si ipotizzò la nascita di una associazione mondiale. Da quell’idea nacque l'Icsid oggi associazione che riunisce i paesi di tutto il mondo.
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Parliamo del Compasso d’Oro, il più autorevole premio mondiale di design, e di come vengono scelte le opere.
Il Compasso d'Oro è un premio triennale che viene assegnato a cura di una giuria internazionale appositamente incaricata da ADI e Fondazione ADI. La giuria lavora su una pre-selezione realizzata ogni anno dall'Osservatorio permanente del design ADI: 200 critici diffusi su tutto il territorio nazionale, suddivisi in Commissioni territoriali, tematiche e di selezione finale che analizzano circa 2000 prodotti e ne scelgono circa 150 per la pubblicazione annuale ADI DESIGN INDEX. Il Compasso si assegna all'interno degli ultimi tre index pubblicati.
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Quali rapporti intercorrono tra ADI e la Triennale di Milano?
ADI detiene il Premio e la Collezione storica del Compasso d'Oro e che quindi riunisce i pezzi premiati e segnalati in 50 a più anni; uno spaccato di storia del costume, dell'economia e del Made in Italy legato al design. ADI è una libera associazione volontaria finanziata dai suoi soci e non riceve contributi pubblici. È diffusa su tutto il territorio e si relaziona con le istituzioni, con enti e privati per la promozione di attività.
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Parliamo della figura del Giurì, istituita nel 1992 su iniziativa di ADI e di Confindustria, per tutelare l’originalità delle creazioni di disegno industriale.
Il Giurì del design è un organo interno all'ADI, composto da giuristi, designer e imprenditori, che ha il compito di dirimere questioni inerenti la tutela della proprietà intellettuale. Sempre più spesso viene interpellato per esprimere pareri che servono di base nella giurisprudenza. Il Giurì colma una lacuna ove non vi sia una competenza diffusa in merito alle questioni di rispetto della originalità dei prodotti, anche da parte di chi si occupa di questioni legali ed offre supporto al confronto per la definizione di pareri. Ricorrono al Giurì soci e non soci ogni qualvolta vi siano dubbi e contrasti sul tema.
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L’ADI nel resto d’Europa: l’ICSID International Council of Societies of Industrial Design, il BEDA The Bureau of European Design Associations e l’ICOGRADA International Council of Graphic Design Associations.
ADI è socio fondatore di ICSID e di BEDA e socio di ICOGRADA e collabora con loro a livello internazionale sui temi del design, partecipando alle discussioni, alle assemblee e al confronto sulle politiche attuate attraverso propri delegati.
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Come si rapporta ADI con i giovani designer?
Accoglie i giovani designer, promuove concorsi ed intrattiene rapporti con le 100 scuole d'Italia che insegnano design. Accanto al Compasso d'Oro promuove la Targa Giovani, che è un premio al progetto e non al prodotto, per appoggiare la qualità dei giovani che si affacciano al mondo della progettazione. Offre condizioni di favore per l'iscrizione all'ADI, gratuita per coloro che, segnalati dalla scuole, hanno prodotto le più meritevoli tesi. Diffonde concorsi promossi da altri, offre la possibilità di "registrare" progetti per tutelarne la difesa, fornisce supporto per intraprendere la professione. Promuove Impresa Docet, programma di incontri con gli imprenditori.
Architetto e designer, si è laureata nel 1985 a Milano con Marco Zanuso in Disegno Industriale,e diplomata contemporaneamente presso IED in architettura di interni. Da allora lavora con studio in proprio situato a Biella e Milano nel campo dell’architettura e del design. Collabora come tutor e come visiting professor con università e scuole di design. Ha scritto testi di architettura e design, realizzato conferenze in Italia e all'estero. Dal 2008 è Presidente Nazionale dell' ADI Associazione per il Disegno Industriale. È componente del Consiglio Italiano del Design.
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Anche quest’anno il quartiere fieristico di Ferrara ospiterà, dal 30 marzo al 2 aprile, l’unica rassegna in Italia dedicata al restauro, alla conservazione e alla tutela del patrimonio storico - artistico, architettonico e paesaggistico
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al 30 marzo al 2 aprile 2011 Ferrara Fiere ospita la XVIII edizione del Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali, il primo e più importante evento nazionale dedicato all’arte del restauro e della conservazione del patrimonio artistico italiano. Anche per l’edizione 2011 il Salone - con la sua ricchissima programmazione di incontri, workshop,
seminari e tavole rotonde che si susseguono nell’arco dei quattro giorni di manifestazioni si conferma nel panorama italiano come l’appuntamento di riferimento per gli operatori del settore, occasione unica di confronto, approfondimento e aggiornamento sulle problematiche legate al mondo del restauro e alle diverse professionalità che in esso operano. Il MIBAC - Ministero per i Beni e le Attività Culturali - presente come
ogni anno con i suoi differenti Istituti, ha scelto da tempo il Salone del Restauro di Ferrara per esporre al pubblico le proprie attività legate al mondo del restauro e della conservazione, presentando, all’interno del proprio ampio stand nel Padiglione 3 della Fiera, i progetti di restauro più innovativi e rappresentativi delle tecniche e teorie sperimentate negli ultimi anni e realizzate dagli Istituti centrali e territoriali. La consueta
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giornata di studi organizzata dal Ministero, in programma mercoledì 30 marzo 2011, sarà quest’anno dedicata al tema “Gestione integrata dei Beni Culturali la politica del restauro”. Come sempre numerose sono le novità ospitate in fiera. Per la prima volta a livello internazionale verrà presentato al Salone l’innovativo Alberti’s box, un progetto coordinato dal Centro DIAPREM dell’Università di Ferrara e la Fondazione Centro Studi Leon Battista Alberti di Mantova in collaborazione con il Comune di Mantova e il Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, un nuovo modo per fare conoscere in Italia e all’estero gli edifici progettati da un grande intellettuale del Rinascimento, Leon Battista Alberti. Si tratta di un format di mostra digitale e multimediale che ha l’obiettivo di mettere a disposizione di tutti la ricerca e la 26 DESIGN +
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documentazione sulle architetture albertiane attraverso la ricostruzione di un flusso di immagini e riflessioni nel tentativo di mostrare come “progettava” l’Alberti e quali sono ancora i problemi che le sue architetture pongono. Il “cubo albertiano” sarà visitabile nei giorni della fiera all’interno di uno dei padiglioni dedicati alle Mostre Tematiche (il Pad. 2). Al progetto sarà dedicato anche un convegno nella giornata di giovedì 31 marzo 2011. Per la prima volta presente al Salone del Restauro anche CONFCULTURA che nella giornata di venerdì 1 aprile terrà un convegno dal titolo “Pubblico e privato nella gestione dei Beni Culturali: un confronto internazionale”, una riflessione sui modelli di gestione del patrimonio culturale di vari paesi a confronto e sulle più opportune interazioni tra soggetti pubblici e soggetti privati, organizzato e promosso
Sopra: Tempio malatestiano di Rimini. Il rendering fa parte del progetto culturale maturato per mettere a disposizione di tutti la documentazione sulle architetture albertiane. Padiglione 2, Salone del Restauro 2011
1. Riproduzione pitture murali Tomba del Barone Tarquinia, Centro di Archeologia Sperimentale Antiquitates (Padiglione 1).
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2. Riproduzione frammento frontone I Cavalli Alati di Tarquinia, Centro di Archeologia Sperimentale Antiquitates (Padiglione 1).
3. La Madonna in trono di Pietranico, danneggiata dal sisma del 2009 in Abruzzo, al termine dell’intervento strutturale realizzato da Tryeco 2.0 (foto di Elisabetta Sonnino).
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4. Il monastero di Studenica, Serbia. A 39 chilometri a sudovest di Kraljevo, è uno dei più grandi e ricchi monasteri della Chiesa Ortodossa Serba. Venne fondato nel 1190 da Stefano Nemanja, che, dopo aver abdicato in favore del figlio, vi dedicò gli ultimi anni di vita.
in collaborazione con TekneHub Tecnopolo dell’Università di Ferrara Rete Alta Tecnologia della Regione Emilia-Romagna, McM Università di Ferrara, Encatc e Icom Italia. La vocazione internazionale, che ha caratterizzato fin dal suo nascere la manifestazione ferrarese, è confermata in questa edizione dalla partecipazione di alcune prestigiose realtà estere, tra le quali l’Università di Malta e il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo. L’International Institute for Baroque Studies dell’università maltese, attraverso un convegno in programma nella giornata di giovedì 31 marzo, illustrerà la storia e il restauro della città-fortezza di Valletta, costruita dai cavalieri ospitalieri di San Giovanni Battista dopo il grande assedio dei turchi del 1565. Il museo russo presenterà, invece, i suoi 13 laboratori di restauro e un ciclo di incontri. Da ricordare vener-
dì 1 aprile 2011 l’incontro con Irina Artemieva (curatrice della collezione della pittura veneziana dell’Ermitage e direttrice del Comitato scientifico della Fondazione “Ermitage Italia”) e Kamilla Kalinina che presenteranno il recente restauro della famosa tavola di Lorenzo Lotto, la Madonna delle Grazie, introdotto nell’ambito degli incontri organizzati dal Museo russo lungo tutto l’arco della giornata di venerdì 1 aprile 2011, a cui seguiranno un incontro tecnico dedicato all’applicazione della tecnologia laser nel restauro dell’oreficeria e un laboratorio di restauro della pittura monumentale. Numerosi gli incontri dedicati alle diverse problematiche del settore e all’illustrazione di importanti esperienze nell’ambito del restauro e della conservazione dei beni culturali all’estero. Da ricordare l’appuntamento di mercoledì 30 marzo 2011 “Mutual heritage, città
5. La Madonna delle Grazie di Lorenzo Lotto dopo il restauro, Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo (Padiglione 3). 6. Palazzo d'Inverno, facciata, Museo Statale Ermitage di S. Pietroburgo, (Padiglione 3). Dal 1732 al 1917 fu la residenza ufficiale degli Zar di Russia. Il palazzo divenne durante la rivoluzione russa del 1917, uno dei simboli più importanti che ricordava l'oppressione del regime assolutista zarista. 7. Facciata dell'Obradoiro della Cattedrale di Santiago de Compostela Associazione ASSIRCO.
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In alto: particolare Croce di Giotto Chiesa Ognissanti, Opificio delle Pietre Dure, (Stand MIBAC, Padiglione 3). Sopra: Nano Morgante, Bronzino, Galleria degli Uffizi, Firenze. Sotto: render mostra, Alberti's box.
e paesaggi della modernità nel Mediterraneo” – inserito nel programma EUROMED HERITAGE IV, finanziato dall’Unione Europea, e organizzato dal Consorzio Mutual Heritage – con due momenti di riflessione sul riconoscimento e conservazione del patrimonio condiviso recente e sulle azioni ed esperienze di valorizzazione e recupero nei paesi del Mediterraneo. Tra i convegni, sabato 2 aprile 2011 l’architetto Andrea Bruno illustrerà “La pratica perversa delle distruzioni di monumenti. Afghanistan: rinascimento prossimo della Valle dei Buddha di Bamiyan”, mentre promosso da BolognaFiere, organizzato da Acropoli, “Dove va la scienza nel restauro? Nuovi indirizzi e linee di ricerca” - curato e coordinato dal professore Giorgio Bonsanti, al quale parteciperà, tra gli altri, David Saunders, Capo del Laboratorio di Restauro del British Museum di Londra – e, infine, la tavola rotonda dedicata alla conservazione del contemporaneo, organizzata da Associazione Amici di Cesare Brandi e curata da Giuseppe Basile. Ritorna anche il Premio Internazionale di Restauro Architettonico “Domus restauro e conservazione” ideato e promosso nel 2010 dalla Facoltà di Architettura dell'Università di Ferrara in collaborazione con Fassa Bortolo SpA: una mostra e un convegno saranno dedicati alla presentazione dei progetti vincitori della prima edizione del Premio Internazionale di Restauro Architettonico “Domus restauro e conservazione”, la prima iniziativa del settore tesa a far conoscere ad un ampio pubblico restauri architettonici che abbiano saputo interpretare in modo consapevole i princìpi conservativi nei quali la comunità scientifica si riconosce, anche ricorrendo a forme espressive contemporanee. La mostra, allestita al Padiglione 3, ospita tutti i progetti partecipanti suddivisi in quasi 200 tavole: i pannelli cercano di rappresentare al meglio la forza delle idee dei diversi approcci al restauro e alla conservazione alcuni dei quali di professionisti di chiara fama internazionale. I vincitori e i menzionati del Premio intervengono, inoltre, in occasione del
convegno “Il Progetto del Restauro Consapevole” di giovedì 31 marzo 2011 - il cui coordinamento scientifico è affidato a LaboRA Laboratorio di Restauro Architettonico, Centro DIAPReM, Laboratorio ArcDes, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Ferrara, afferenti al TekneHub, laboratorio in rete del Tecnopolo di Ferrara - Rete Alta Tecnologia della Regione EmiliaRomagna. Di forte attualità al Salone la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna d’intesa con il Comune di Ferrara e con la Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo e della Shoah di Ferrara presenterà e illustrerà l’importante progetto di recupero delle ex Carceri di Ferrara destinate a diventare Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah. Da ricordare, infine, le consolidate e significative presenze al Salone di IBC, Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna, da sempre partner e sostenitore della manifestazione; Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio UNESCO, che dedicherà un focus alle iniziative didattiche promosse dai Soci sui temi della Lista del Patrimonio dell’Umanità UNESCO; ICE – Istituto Nazionale per il Commercio Estero, in fiera con una delegazione di architetti, ingegneri, restauratori, dirigenti, amministratori locali, organizzati dalla sede romana dell’Istituto e provenienti da Algeria, Arabia Saudita, Egitto, Israele, Marocco, Croazia, Turchia e Russia; Fondazioni Bancarie – tra cui la Cassa di Risparmio in Bologna, la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, la Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì - con le loro esperienze di sostegno ai progetti culturali e recupero di importantissimi patrimoni artistici; torna, infine, Artelibro - il cui tema guida per l’edizione 2011, in programma a Bologna dal 22 al 25 settembre 2011, sarà l’archeologia - presente con uno stand insieme al Museo Civico Archeologico di Bologna, che il 25 settembre celebrerà i 2.200 anni dalla fondazione della colonia romana di Bononia e i 130 anni dalla propria istituzione.
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RECUPERO DI SAN GIOVANNI
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Ritorna al suo antico spendore, grazie all’intervento di restauro condotto da Francesca Girotti, la Pala raffigurante La nascita di San Giovanni Battista
ecentemente restaurata sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Bologna, la Pala raffigurante La nascita di San Giovanni Battista, riconducibile all’ambito del pittore bolognese Marcantonio Franceschini (1648-1729), è ritornata al sua antico splendore: San Giovanni bambino fra le braccia dell’anziana madre Sant’Elisabetta, al fianco di Maria, mentre San Zaccaria fra le levatrici tiene in mano la tavoletta su cui scrivere il nome del figlio, così come annunciato dall’angelo. Il dipinto di 220cm x 348cm, olio su tela, esposto nella Chiesa di San Giovanni Battista di Calamosco a Bologna è stato restaurato all’interno del laboratorio di Francesca Girotti in via Saragozza. Avvalendosi della sua specializzazione nella conservazione di opere mobili e dipinti su tela e tavola, la giovane restauratrice ha condotto accurate analisi e indagini per accertarsi, prima d’intervenire, delle reali condizioni dell’opera. «Lo stato di conservazione del dipinto presentava inizialmente alcune problematiche di rilievo: la pellicola pittorica
era visibilmente alterata da uno spesso strato di vernice sovrammessa e fortemente ossidata. La veste della Sant’Elisabetta e le figure in secondo piano erano praticamente illeggibili, offuscate nei colori e nei particolari da una patina verdastra», spiega Francesca Girotti. «Il supporto originale, costituito da una tela di lino in pezzatura unica a trama fitta e con filato irregolare e nodoso presentava un generale ma uniforme allentamento della tensione che ha causato, anche se lieve, l’impronta del telaio sul davanti ma senza deformazioni di rilievo. L’adesione degli strati preparatori, una sottile imprimitura rossoarancio, e della pellicola pittorica è risultata buona, con piccole cadute di colore e sollevamenti localizzati alla sola parte bassa e in prossimità dei fori passanti per le viti di ancoraggio a muro. Erano visibili, inoltre, alcune toppe di sutura applicate sul retro in maniera grossolana che hanno inevitabilmente marcato sul davanti. Il telaio ligneo in abete con doppia traversa orizzontale e incastri fissi è risultato essere quello originale; risultato idoneo alla sua funzione di supporto è stato deciso di non sostituirlo». Trasportato il dipinto nel laboratorio di via Saragozza, Girotti ha proceduto subito alla rimozione della polvere e delle ragnatele depositate in abbondanza sul retro della tela. Viste le notevoli dimensioni e per evitare il più possibile movimenti che potessero creare eccessive sollecitazioni, si è collocato il dipinto in appoggio verticale. La buona stabilità del film pittorico ha consentito di intraprendere subito la fase di pulitura per poi prendere in considerazione la parte di risanamento e consolidamento strutturale. A sinistra: il dipinto raffigurante “La nascita di San Giovanni” prima del restauro: A destra: il dipinto dopo l’intervento di Francesca Girotti. Sopra: particolare con tassello di pulitura. In alto a destra: particolare del dipinto
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«Dall’analisi agli ultravioletti - continua la restauratrice - si è riscontrata una fluorescenza estremamente discontinua, con zone senza la presenza di vernice sovrammessa a fluorescenza quasi nulla e zone con vere e proprie colature non visibili a occhio nudo. La fine stesura pittorica di olio magro, come poteva essere in origine il dipinto, è stata saturata in maniera disomogenea e irreversibile dall’applicazione di una spessa stesura di vernice riconducibile a un precedente intervento di restauro». L’operazione di pulitura è quindi consistita nel parziale alleggerimento dello strato di vernice ossidata e ingiallita. Sugli incarnati e sulle campiture chiare (zone con minima fluorescenza) è stata utilizzata una soluzione di tensioattivo debole per la sola pulitura di superficie, mentre in generale si è utilizzata una miscela di solventi organici in percentuale differenziate per la rimozione dell’ossidazione. Terminata questa prima fase, si è proseguito con l’intervento conservativo. «Dopo aver schiodato la tela dal telaio - conclude Francesca Girotti - si è proceduto al risanamento dei bordi e al rinforzo dei fori per le viti di montaggio mediante l’applicazione di fasce perimetrali per ridare tensione al dipinto. Si sono rimosse le vecchie toppe, pulite le fibre da residui di colla e stucco ed eseguite le suture delle lacerazioni. Infine il consolidamento della tela e degli strati pittorici mediante la stesura dal retro di fissativo termoplastico poi riattivato con sottovuoto e apporto di calore». Rimontato il dipinto, infine, si è proceduto alla stuccatura delle lacune con gesso di Bologna e colla Lapin leggermente pigmentato, per avvicinarsi al tono della preparazione. Per concludere l’operazione si è seguita l’integrazione pittorica a velatura e tratteggio delle poche stuccature con colori a vernice, ed è stato applicato mediante nebulizzazione a spruzzo un sottile strato protettivo di vernice finale semilucida.
Francesca Girotti Restauro Opere d’Arte Via Saragozza 217/3a - 40135 Bologna - tel. 051 6144176, 348-7407119 - girottif@tin.it - www.francescagirottirestauro.it
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L’ARTE CREATIVA DEL METALLO Riproduzione di antiche maniglie, serrature, chiavi, bocchette, cerniere e fregi per mobili e porte del '600, '700 e '800. La Bottega artigiana Dingi compie quest’anno 50 anni. E conserva ancora la sua alta vocazione artigianale grazie a Leonardo Dingi Foto di Francesca Cesari
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metalli sono fra i primi materiali che l’uomo ha imparato a lavorare, e hanno segnato la nostra civiltà come pochissimi altri. L’arte di lavorare i metalli e in particolare il bronzo alla “vecchia maniera” è oggi appannaggio di pochi artigiani che riescono a mantenere decisamente alto lo standard degli oggetti di loro produzione. In particolare la creazione di accessori metallici per mobili di antiquariato richiede capacità e abilità particolari nella maggior parte dei casi tramandate da padre in figlio. Si parla di maniglie, serrature, chiavi, tutto ciò che un mobile ha di accessorio. «Il prestigio di un oggetto an-
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tico - spiega Leonardo Dingi che dal padre ha ereditato una bottega dove riproduce bronzi e ferri per mobili d’antiquariato e restaura metalli - è determinato dalla coerenza tecnica ed estetica di ogni dettaglio che lo compone. La qualità degli accessori metallici contribuisce a garantire ai mobili d’antiquariato il valore che meritano». Il suo è un lavoro in equilibrio tra l’arte e l’artigianato, il talento e l’ingegno. La Bottega artigiana Dingi venne fondata a Bologna nel 1961 da Silverio Dingi che da modellista dedicò la propria attenzione a creazioni artistiche in bronzo. In breve tempo la bottega di via
Nosadella si aprì alla frequentazione di antiquari attirati dall’eccellente perizia tecnica. Fu attraverso questi incontri che l'attività si rivolse presto alla riproduzione di antiche maniglie, serrature, chiavi, bocchette, cerniere e fregi per mobili del '600, '700 e '800. La storia della Bottega Dingi è la storia di una ricerca: la ricerca della perfezione tecnica e formale per la creazione di accessori in metallo che dovevano in tutto e per tutto essere come gli originali. Leonardo ha ereditato dal padre questa sfida, proseguendo il certosino lavoro di valorizzazione della bellezza originale di ogni oggetto, e oggi il catalogo della bottega
ARTIGIANATO Dingi comprende circa 1500 modelli di maniglie per mobili e porte antichi provenienti da originali di tutta Italia. A questo tipo di lavoro si affianca l’attività di restauro che si concentra su sculture, candelieri, lampadari e oggettistica di bronzo, ottone e ferro dei secoli XVI – XX operando sia per il ripristino estetico
A destra: Leonardo Dingi. Nel 1998 subentra al padre nella gestione della Bottega artigiana Dingi, continuando il lavoro di ricerca tecnica, perfezionamento delle patine e ampliamento del catalogo
che per la conservazione del manufatto. Domanda. Leonardo Dingi, lei ha sempre pensato che avrebbe seguito le orme di suo padre? Risposta. No. Fino a 18 anni quasi non sapevo che lavoro facesse mio padre, ma per mantenermi all'università cominciai a dargli una mano. Con il passar del tempo ho capito il piacere che mi dava il lavoro manuale: essere a contatto con tutto un mondo di emozioni e soddisfazioni. Non ho più smesso. D. Cosa le ha fatto amare questo lavoro tanto da sceglierlo per la vita? R. Ogni giorno mi capitano cose diverse e inaspettate, differenti problemi da risolvere. I miei clienti si fidano, chiedono consigli su come ottenere un determinato risultato. La soddisfazione per me è grande e ogni mattina vado in bottega ansioso di scoprire cosa mi riserverà la giornata. Mi piace inoltre la meravigliosa dimensione lavorativa della bottega, che mi dà molta libertà e soprattutto mi porta a collaborare con artigiani innamorati del proprio mestiere come lo sono io. D. Quando è subentrato a sua padre nella gestione della bottega Dingi?
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ARTIGIANATO A sinistra: maniglia da porta in ottone stile Decò. A destra: esempi della produzione della Bottega, maniglie fisse e pendenti in ottone e chiavi e serratura in ferro, tutto del XVIII sec. Sotto: lampadari in restauro all’interno del laboratorio
R. Lavoro nella bottega che è stata di mio padre dal 1998. Ho cominciato dopo aver svolto un periodo di apprendistato che mi ha consentito di acquisire e affinare i metodi di lavorazione tipici di questo mestiere. Fin da allora ho continuato il lavoro di mio padre: ricerca tecnica, perfezionamento delle patine, ampliamento del catalogo. E ho cercato di prestare sempre maggiore attenzione al recupero di elementi antichi nella riproduzione dei nuovi. D. Cosa caratterizza la produzione del laboratorio Dingi? R. Scelta dei materiali, procedimenti esecutivi e patina dei pezzi rappresentano gli elementi distintivi di un oggetto autentico,
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quindi è a questo che faccio riferimento. Per ottenere risultati di alto livello e riproduzioni minuziose, studio con attenzione le modalità esecutive del passato e seguo gli stessi percorsi produttivi per ottenere chiavi, serrature e maniglie originali in ogni dettaglio, dalla patina alla più piccola finitura. Bisogna sempre tenere presente che la mia è un’arte antica quanto quella dei mobili su cui i vari elementi in metallo vanno montati. D. Su quale epoca si concentra in particolare? R. Il restauro e la riproduzione di ferramenta interessano mobilia dal Rinascimento al Neoclassico. D. La lavorazione, quindi, non è sempre la stessa. R. Viene sempre differenziata a seconda della destinazione dei pezzi, in modo da accordare patina e finitura alle specifiche esigenze di ciascun mobile. Serrature, cerniere e cardini sono sempre riprodotti partendo dall’impronta lasciata su cassetti e sportelli. D. Esegue lavori su misura? R. Il laboratorio dispone di un catalogo che comprende 1500 modelli tra maniglie, bocchette, fregi e chiavi ottenuti da campioni autentici. A quest’ampia varietà di modelli, non dimentichiamo che va aggiunta la possibilità di crearne di unici per soddisfare particolari esigenze dei clienti. D. Tra la ferramenta per i mobili d’antiquariato, quale oggetto è il più richiesto?
R. Senza dubbio le maniglie d’antiquariato, sia per porte antiche sia per mobili risalenti, in prevalenza, al Seicento e al Settecento. Anche in questo caso vale il discorso fatto in precedenza: tutte le maniglie vengono costruite seguendo le stesse tecniche dell’epoca del mobile. D. Oltre che di maniglie, chiavi e serrature antiche, di cosa si occupa? R. Restauro anche oggettistica di metallo, ricreando parti mancanti e patina in bronzi, candelieri e lampade. D. Riesce ad eseguire tutte le fasi del lavoro nel suo laboratorio? R. Tutti i processi di lavorazione vengono eseguiti nel laboratorio di via Nosadella, delegando a fonderie specializzate solo l'esecuzione dei pezzi grezzi realizzati a modello secondo le tecniche di fusione in terra e a cera persa. D. Quanto conta l’esperienza? R. Tantissimo, e forse anche di più. Grazie all’esperienza, acquisita negli anni prima da mio padre e poi da me, abbiamo avuto la possibilità di lavorare su oggettistica di grande pregio e a stretto contatto con artigiani e antiquari di altissimo livello in tutta Italia, per soddisfare committenze private, pubbliche ed ecclesiastiche. (di Cristiana Zappoli) Bottega artigiana Dingi via Nosadella, 37/b, - 40123 Bologna tel.051 330605 - fax 051 330605 www.dingi.it - email: info@dingi.it
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S Foto di Tom Kessler, courtesy Holzman Moss Bottino Architecture
PRE.VISIONI
ARCHITETTURE SPIRITUALI
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Nel New Jersey è stata progettata una struttura per meditare, aperta a tutte le culture religiose. Il progetto di Holzman Moss Bottino interpreta i nuovi cambiamenti sociali
l Salameno Spiritual Center è un centro interreligioso, altrimenti detto aconfessionale o non confessionale. Non è un centro destinato ad una confessione. È un luogo aperto al dibattito tra religioni. È un luogo per i credenti, i fedeli, gli atei e per chi necessita di affrontare problemi etici. Salameno Spiritual Center è un luogo di quiete, di contemplazione e serenità. Si trova nel New Jersey presso il Ramapo College ed è stato progettato dallo studio di Holzman Moss Bottino. È difficile trovare la giusta definizione per un centro di questo tipo. È una tipologia, ammesso che il termine tipologia in questo caso abbia un suo senso, ancora poco in uso e quindi fino ad oggi è una struttura completamente sganciata da qualsiasi canone estetico. Il centro interreligioso è un edificio dei nostri tempi. È una struttura intrinsecamente legata ai nuovi cambiamenti sociali, all’attuale esigenza di confrontare tra loro credi diversi. Si compone di quattro strutture indipendenti, in totale 1.525 mq, corredate di spazi di ritrovo all'aperto e sei giardini selvatici. La zona è composta di terrazze a più livelli e offre anche un’ampia vista sul Kameron Pond, il lago che si trova al centro del campus. È sulla sua sponda meridionale che è stato costruito il Center e occupa quasi mezzo acro di una zona panoramica comunque posta a riparo da una ricca e lussureggiante vegetazione. Il terreno scelto è sacro, e precedentemente è stato usato come spazio di raccoglimento
dai nativi americani. Il padiglione più grande, il Padovan Pace Pavilion, 800 mq di spazio all’interno, ospita una grande panca continua, realizzata in quercia locale, e accostata alle pareti dell’edificio, ha la capacità di 50 posti, mentre, il McBride e il Marino Meditation Spaces, centri dalle dimensioni ridotte molto simili a quelle dei confessionali, offrono singole sedute e banchi dalla capienza non superiore alle tre persone. Queste ultime strutture sono state pensate per un rapporto interreligioso di dimensione ridotta e per un uso quasi personale dello spazio. Il Padovan Pace Pavilion ha una struttura di tamponamento esterno costruita con singole superfici triangolari e trapezoidali inclinate. Tavole di pino accoppiate con pannelli acustici e sezionate da due fasce di finestre dal taglio inclinato che permettono la vista sul paesaggio circostante. Ma l’architettura può essere pedagogica? Può un edificio costruito modificare la percezione delle cose? Che il Salameno Spiritual Center sia pedagogico o meno è difficile saperlo ma di sicuro è un luogo, una struttura, approvata dal Consiglio del Ramapo College nel 2005 e proposta nel 2001 dal dottor Anthony T. Padovano, uno dei fondatori del collegio e professore di letteratura e filosofia che: «Abbiamo modellato e progettato come Sala di Meditazione aperta a tutte le culture - spiega Padovano - con la speranza che gli studenti ricorrano al centro per incontrarsi e per capire e apprezzare meglio una società multiculturale». DESIGN + 37
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PRE.VISIONI
POSTAZIONI PER DORMIRE
Da un vecchio centro commerciale è stato ricavato un ostello. 20 stanze e 138 letti. Separazioni verticali interne dalle forme sinuose e futuristiche
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l Golly ± Bossy è un modernissimo ostello con sistemazioni caratterizzate da un design di tendenza nel cuore di Spalato, a 200 metri dalla baia di Bacvice e a 5 minuti a piedi dal Palazzo di Diocleziano. Si trova in un complesso che era diventato un centro commerciale all’inizio del secolo e che è stato trasformato in un ostello nel 2010 e in soli 100 giorni. L’aspetto attuale è stato studiato e realizzato dallo Studio Up, uno studio di architettura, con sede a Zagabria, fondato da Lea Pelivan e Toma Plejic. Dopo essersi laureate in Architettura a Zagabria nel 2001 e dopo un periodo da free lance, alla fine del 2003 hanno aperto Studio Up, che si occupa di architettura contemporanea e spazi urbani. E, proprio per il Golly ± Bossy, ha ricevuto una speciale menzione del Premio Piranesi 2010. L’intervento dello Studio Up è stato decisamente efficace in una struttura esistente che è stata globalmente ridisegnata, con un piccolo budget a disposizione e un enorme programma da affrontare, anche perché la superficie totale dell'edificio raggiunge i 1000 mq. La soluzione sviluppata è di grande impatto e perfetta per attirare clientela giovane di ogni nazionalità, sempre più attenta al mondo del design e dell'arte. Sono state create 29 camere, per un totale di 138 letti, e un ristorante. Nell’ostello sono stati mantenuti i collegamenti pubblici già presenti nel centro commerciale: la scala principale, le scale mobili e l’ascensore panoramico. Gli spazi prima dedicati alle gallerie commerciali sono stati divisi da un sistema di pareti che contengono tutto il necessario per gli ospiti: letti, lavandini, guardaroba, docce, servizi igenici. Ogni posto letto è effettivamente una piccola postazione da poter fare propria, dove un corridoio comune unisce e separa i flussi all'interno dell'ostello. Sul pavimento, infatti, sono incise le indicazioni che suggeriscono la collocazione dei diversi spazi: le sale comuni, il bar, i servizi, la lavanderia. Ci sono poi anche piccole stanze singole, attrezzate con lo stesso concetto della giustapposizione degli spazi. Appare evidente come sia stato volutamente mantenuto il carattere urbano - metropolitano già presente. Netta la predominanza dei colori primari e resi fluorescenti dal tipo di finiture scelte: illuminazione a neon degli spazi privati; pavimenti trattati a lucido mediante resine in grado di creare superfici omogenee e di grande impatto; partizioni verticali interne dalle forme sinuose e futuristiche in netto contrasto con l'involucro edilizio in cui l'ostello si colloca; spazi comuni ampi caratterizzati da doppie altezze e volumi compenetranti. (di Cristiana Zappoli) 38 DESIGN +
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IL CINEMA IN MOSTRA
A New York, in un ex studio Paramount, l’architetto Thomas Leeser progetta il Museum of Moving Image. Un’istituzione che esplora ogni forma di screen culturale, sia in versione artistica, sia commerciale. Il bianco, rosa e blu i tre colori dominanti
Foto di Peter Aaron / Esto.Courtesy of Museum of the Moving Image
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opo tre anni di lavori di ristrutturazione e ampliamento, ha riaperto al pubblico, a gennaio, il Museum of Moving Image (letteralmente, Museo dell’Immagine in Movimento) di New York, che dal 1988 diffonde la conoscenza su cinema, televisione e mezzi di comunicazione digitali, attraverso mostre e altre iniziative culturali dedicate ad arte, storia, tecnica e tecnologia. I lavori sono stati realizzati dallo Studio Leeser, specializzato in progetti di architettura "contaminati" dai nuovi media. L’architetto tedesco Thomas Leeser è conosciuto in tutto il mondo per il suo design innovativo con cui rivoluziona il tradizionale concetto di spazio. È sta-
to associato dal 1980 al 1989 allo studio di Peter Eisenman e dall’89 ha aperto un proprio studio a Brooklyn: gran parte del lavoro dello studio interessa l’integrazione delle tecnologie emergenti e dei nuovi media con architettura e design. La struttura originaria del museo, risalente agli anni Venti, basata su una struttura di laterizio a tre piani, era stata costruita come studio di produzione della Paramount. Un’atmosfera adatta ad una collezione museale riguardante quello che sta dietro lo schermo e niente di più. Il progetto di Leeser, un progetto da 67 milioni di dollari, completato grazie a finanziamenti pubblici, lo ha trasformato in un edificio moderno e versatile, aggiun-
gendo nuove gallerie, sale di proiezione e spazi per la didattica. La nuova ala (comprendente un atrio di ingresso a piano terra e due livelli superiori) aggiunge 3.500 metri quadrati di spazi interni, che comprendono tre differenti ambienti destinati alla visione e attraenti spazi comuni, più mille metri quadrati di cortile esterno aperto al pubblico (la cui apertura è prevista per la primavera), portando la superficie complessiva del museo a circa 9mila metri quadrati. L’involucro esterno dell'ampliamento corrisponde alla facciata posteriore, composta da una trama superficiale di 1067 pannelli di alluminio triangolari, di colore blu chiaro, montati su una struttura a giunti aperti in modo che in
ognuno si possa raccogliere acqua piovana, e che richiamano le linee dei disegni digitali wireframe. Il nuovo ingresso, trasferito e riprogettato sulla 35a Avenue, si presenta ai visitatori con un portale di vetro a specchio con le parole “Museum of the Moving Image” in lettere alte più di un metro color rosa shocking. L’ingresso può essere a tutti gli effetti considerato il primo schermo in cui il visitatore si imbatte, considerando i giochi di luce dati dalla fusione di visione diretta e riflessi in un unico piano. La hall al piano terreno è un ininterrotto spazio bianco-azzurro e una proiezione continua di opere si muove su una parete lunga quindici metri e inclinata di 83° per conferire un senso di dinamismo all’avanzare del visitatore. Dentro l'auditorium da 264 posti pareti e soffitto sono di feltro azzurro: uno spazio concepito come una capsula per un viaggio immaginario. Questa avvolgente superficie blu è costituita da 1.136 pannelli triangolari, montati a giunto aperto, con l'illuminazione integrata all'interno. La sala è dotata di un ampio schermo, di proporzioni classiche, e di attrezzature per la proiezione di formati da 16 a 70mm e ad alta definizione digitale 3D. Un palcoscenico ospita eventi dal vivo e un piccolo golfo mistico costituisce lo
spazio per le orchestre di accompagnamento musicale dei film muti. Uno spazio ibrido tra galleria e sala di proiezione, chiamato "anfiteatro", si trova a livello del primo pianerottolo della scala principale. I sedili sono un astratto paesaggio di panche integrate nel pavimento, mentre la parete al di sopra della scala serve come schermo per mostre temporanee di opere digitali. Al terzo piano un nuovo spazio di 400 metri quadrati, libero da pilastri, è disponibile per mostre a rotazione. Con 380 metri quadrati di spazio sgombro, la galleria è stata progettata per permettere al Museo di presentare materiali espositivi di ogni ti-
po, dalle opere classiche alle installazioni multimediali. Del nucleo centrale della collezione di oggetti storici, che occupa ancora la maggior parte dello spazio espositivo, fanno parte il modello originale della sede direzionale della Tyrell Corp. di Blade Runner e numerosi cinetoscopi, visori tascabili, cineografi d'epoca e altre apparecchiature di proiezione. Il nuovo spazio per l’archiviazione che si trova al terzo piano è di supporto ad una comunità internazionale di ricercatori e studiosi, offrendo l’accesso all’ineguagliabile collezione del museo, comprendente più di 130mila oggetti. (di Cristiana Zappoli)
Sopra: l’entrata del Museo, caratterizzata da lettere di colore rosa alte più di un metro. A destra: l’auditorium, ricoperto da 1.136 pannelli triangolari DESIGN + 41
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CONTESTI.VERDI
NUOVO PARCO A VALENCIA
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Nella città spagnola verrà realizzato il parco più importante e significativo mai sviluppato in Europa. Progettato dallo studio d’architettura Gustafson Porter
o studio londinese Gustafson Porter, lo stesso studio che qui in Italia sta progettando il parco milanese Citylife, ha da qualche giorno vinto il concorso per la realizzazione del Parque Central della città di Valencia. L’intervento è alquanto complesso. Prevede infatti l’interramento dei binari della linea ferroviaria ad alta velocità che attualmente penetra nella zona centrale di Valencia attraversandola completamente. La città con questo intervento recupererà 23 ettari di terreno, che saranno nuovamente piantumati, e daranno l’avvio al più importante progetto di riqualificazione mai realizzato prima nella città spagnola. Il progetto, che comprende anche un nuovo quar-
tiere residenziale con parchi e giardini (altri 43 ettari), celebra il paesaggio e la cultura tipica della regione di Valencia e si rapporta con i diversi habitat ecologici già presenti nella città: la riserva del fiume Turia, la pianura agricola (La Huerta), il parco naturale di Albufera e il Mediterraneo. Il Parco Centrale di Valencia sarà il polmone verde della città: 250mila metri quadrati divisi in Nella foto, sotto, una delle sezioni in cui è diviso il Parque Central di Valencia. Un’asola di prato prospiciente uno degli specchi d’acqua progettati dalla Gustafson. Aldilà del laghetto vi è la “Piazza centrale”, il nodo di connessione di tutti gli itinerari principali
zone o forse sarebbe meglio definirli biomi che verranno proposti con una forma concava che evoca la cuenco, la tipica ciotola della di ceramica valenciana. Il nome del progetto è "Aigua plena de seny" e difatti l’elemento principale di tutto il progetto sarà l'acqua che fluirà tra i diversi dislivelli, ciotole, che determinano i giardini tematici fino a raggiungere i due grandi laghi, pensati nella parte centrale del parco, che in parte copriranno il canale ferroviario. In una città completamente piana, tra pendenze e diversi morbidi movimenti tettonici, sarà realizzata, simulando delle colline, una topografia movimentata. Le diverse “ciotole” o zone in cui è divisa la vasta area del parco sono state pensate per
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CONTESTI.VERDI
Qui a fianco schizzo preparatorio del progetto. Sotto e nell’altra pagina alcuni rendering del parco. Verranno recuperati 23 ettari di terreno, che saranno nuovamente piantumati
ospitare: la“Piazza delle Arti”, con una serie di edifici esistenti ristrutturati, un Centro d'Arte, Biblioteca, Centro visitatori, Caffetteria e un Anfiteatro naturale; il “Giardino della Huerta”, caratterizzato da una serie di terrazze coltivate, a ricordare la tradizione agricola della regione di Valencia ; il “Giardino floreale”, attorno allo storico edificio “Alquería”; il “Giardino dei ragazzi”: aree gioco adatte a diverse fasce d’età; la “Piazza Nord”, la cui peculiarità sarà una grande fontana; la “Piazza centrale”, connessione tra tutti i percorsi principali del Parco; la “Passeggiata Nord-Sud”, con le palme e la jacaranda, una pianta dai fiori cremisi di origine subtropicale; la“Piazza Sud”, che avrà un gioco di luci e proiezioni per evidenziare la storia del sito legata a quella
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IL PARCO CENTRALE DI VALENCIA SARÀ IL POLMONE VERDE DELLA CITTÀ: 250 MILA METRI QUADRATI. L’ELEMENTO PRINCIPALE DI TUTTO IL PROGETTO SARÀ L'ACQUA CHE FLUIRÀ TRA DIVERSI DISLIVELLI
ferroviaria; la “Mostra dei Giardini Mediterranei”, ovvero un edificio in vetro affiancato da terrazzamenti piantumati con essenze mediterranee e il “Giardino dei profumi”, dedicato alle essenze tipiche del Mediterraneo. Habitat diversi tra loro, ognuno dall’identità chiara e definita ovviamente realizzati secondo gli attuali e imprescindibili canoni di ecosostenibilità. È lo stesso Kant nella Critica del Giudizio che definisce l’arte del paesaggio e dei giardini: “l’abbellimento del suolo, per mezzo della stessa varietà offerta all’intuizione dalla natura (prati, fiori, cespugli e alberi e anche le
acque, colline e valli), ma combinata in modo diverso e conforme a certe idee”. E lo studio Gustafson Porter è rinomato proprio per la logica scultorea adottata nel modellare i paesaggi e per l’armonia che con le morbide volumetrie, l’acqua, la luce e le atmosfere evocative riesce ad ottenere. È uno studio di paesaggisti che usa le diverse discipline del paesaggio, dell’architettura, del design e anche dell’ingegneria per esprimere interventi di grande scala con un disegno delicato e contemporaneo che tenga conto del contesto, della storia e dell’impostazione urbana, del genius loci. E per fare questo si
avvale di ottimi partner: la famosa società internazionale Arup. Oggi che le città evidenziano diverse carenze nella composizione, nella gestione stessa e a volte anche nella funzionalità, così da sembrarne completamente prive, sembra alquanto importante che in questo caso un piano paesaggistico sia anche traino per la progettazione di un vero settore urbano. La realizzazione completa di tutto il progetto sarà ad opera della UTE Grupotec Servizi di ingegneria e la prima tranche, circa 100.000 mq di estensione, sarà portata a compimento nei prossimi tre anni. (di Gianfranco Virardi) DESIGN + 45
S
GRAPHIC.DESIGN
CREATIVITÀ, AVANTI TUTTA
I
Il graphic design è una disciplina che sta vivendo un periodo di cambiamento e fervore. A Milano una mostra per fare il punto sulla nuova e giovane creatività italiana
l graphic design è una disciplina che si occupa della progettazione graficovisuale della comunicazione. In questo caso, dunque, la creatività del designer viene espressa attraverso il segno. Questa disciplina sta vivendo un momento di particolare fervore e cambiamento, testimoniato anche dal maturare, negli ultimi decenni, di uno specifico discorso critico. Il lavoro del graphic designer nasce da una cultura specifica del progetto basata su di un bagaglio culturale che gli consente di attingere costantemente stimoli da discipline e fonti diverse: arti visive, psicologia della percezione, antropologia e scienze sociali in genere. Ma non solo. Deve necessariamente avere competenze approfondite riguardanti l’innovazione tecnologica. In costante dialogo
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con tutti questi settori e queste discipline, il graphic design esprime sempre più posizioni critiche, rispetto al mondo e rispetto ai propri obiettivi. Triennale Design Museum presenta, fino al 27 marzo, una mostra dedicata proprio al graphic design internazionale: “Graphic Design Worlds”, curata da Giorgio Camuffo, graphic designer, art director, organizzatore culturale e docente di comunicazioni visive presso varie istituzioni e atenei. Triennale Design Museum porta avanti, così, un percorso di ricerca, analisi e valorizzazione del design contemporaneo iniziato nel 2007 con “The New Italian Design. «Il graphic design – spiega Camuffo - è un paesaggio in continuo cambiamento: la sua storia ci consegna un’identità molteplice; il suo presente è animato da una pluralità di per-
corsi che richiedono punti di osservazione e vocabolari aggiornati. Sorretti da un’ accresciuta consapevolezza dei loro strumenti, educati a muoversi fra i linguaggi e i media che pervadono la nostra esistenza, negli ultimi decenni i graphic designer hanno esplorato motivazioni e modalità diverse per comunicare, per intervenire nel mondo». La nozione di mondi inserita nel nome della mostra è stata scelta come chiave di indagine per mettere in luce proprio la pluralità e la diversità di approcci e punti di vista che animano il graphic design contemporaneo. Questa mostra ha l’ambizione di fare il punto sullo stato dell’arte a livello internazionale, andando a scoprire e a valorizzare le esperienze di punta della scena comunicativa contemporanea. (di Gianfranco Virardi)
PROGETTO / 1
Foto di Nigel Young
BOSTON CELEBRA L’ARTE AMERICANA
SCHEDA
Progetto Foster and Partners Luogo Boston, USA Cliente Museum of Fine Arts Progetto paesaggistico Studio Gustafson Guthrie Nichol di Seattle Inizio progetto 1999 Fine lavori 2010
Essenziale e regolare. Semplice e assoluto nella struttura. L’ampliamento del Museum of Fine Arts, progettato dallo studio Foster and Partners, è una teca che si collega alla spina centrale del vecchio edificio. E crea con esso un rapporto simbiotico fatto di luce, trasparenza e natura di Iole Costanzo
Foto di Nigel Young
PROGETTO / 1
PIANTA COPERTURE
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PIANTA PRIMO LIVELLO
Foto di Nigel Young
N
ello Stato del Massachusetts, lì dove una ricca rete di musei conserva inestimabili collezioni d’arte acquistate dalla nuova borghesia americana di fine Ottocento, a novembre è stato inaugurato, su progetto dello studio Foster and Partners, l’ampliamento dello storico Museum of Fine Arts di Boston (MFA). Il museo, si sa, è una realtà diversa, parallela, virtuale e affascinante che proprio per la sua stessa natura di spazio della memoria rischia da sempre di rimanere avulso dalla realtà. Realtà che è legata al concetto stesso di identità. Antonio Piva in Musei 2000. Alla ricerca di una identità scrive: «La ricerca dell’identità ha sempre un futuro, poiché è un processo per gradi di coscienza e di conoscenza. I musei non sono entità statiche, che vivono perennemente nel culto della memoria e della tradizione, non può essere riservato loro solo il ruolo di archivi del pensiero e della memoria, ma essi stessi vivono le condizioni di testimoni partecipi della storia, attraverso i loro principi e la loro azione. Partecipi e leve delle nostra cultura. E per cultura … s’intende scelta, qualità, progetto …». Il progetto per il Museum of Fine Arts di Boston si inserisce nel vecchio impianto museale riprendendone la linearità e ribadendone l’assialità dominante. La struttura, in vetro, acciaio e granito, fuoriesce dal perimetro della preesistenza e con la testata, corredata a sua volta di due ali, si apre sia verso Back Bay Fens, il parco progettato nel 1877 da Frederick Law Olmsted, l’architetto del New York's Central Park, sia verso la Huntington Avenue, uno dei più importanti
assi viari e commerciali della città. Il Museum of Fine Arts è tra i musei d'arte uno dei più prestigiosi del Paese, tanto da essere considerato il secondo museo del Nord-America dopo il Metropolitan Museum of Art di New York. Le sue gallerie sono particolarmente ricche di pittura americana e di altri oggetti d’arte che vanno dall'antichità all'arte contemporanea, tra cui una ricca collezione di opere dell'Impressionismo francese. Il nuovo padiglione ha aggiunto a tutta la preesistenza un auditorium, un ristorante, un ampio e luminoso cortile vetrato e ben 53 gallerie che ospitano le maggiori collezioni d’Arte Americana. Il progetto che lo studio Foster + Partners ha redatto in collaborazione con CBT/Childs Bertman Tseckares di Boston, ha previsto anche il restauro di tutto l’intero complesso fatta eccezione per l’ala ovest, già modificata nel 1981 con l’inse-
Foto Museum of Fine Arts, Boston
Sopra: prospetto principale del nuovo padiglione del Museum of Fine Arts di Boston. In alto, a destra: particolare dell’attacco dei vetri della facciata principale. A fianco: la facciata principale dell’edificio storico costruito nel 1870 su progetto dell'architetto Guy Lowell
DESIGN + 53
Foto di Nigel Young
Hall centrale della nuova struttura. Un ampio spazio vetrato attorniato da vegetazione. Ăˆ luogo di sosta e di avvio ai tour di tutto il museo. Vi si affacciano i collegamenti verticali che conducono alle nuove gallerie. Il rivestimento del pavimento è di granito grigio scuro, cromaticamente in antitesi con i pannelli di vetro bianco latte posti in copertura
PROGETTO / 1 PROSPETTO PRINCIPALE LATO SUD
SEZIONE LONGITUDINALE
gettuale ha riabilitato sia l'asse centrale dell'edificio, lungo il quale un nuovo centro di informazioni accoglie i visitatori e li indirizza verso il loro tour, sia i due ingressi principali, quello a sud, sulla Huntington Avenue, e quello a nord che si affaccia sulla State Street Corporation Fenway Entrance. Il corpo si inserisce all’interno del cortile dell’ala est, con una struttura vetrata freestanding, autoportante. È stato appositamente progettato per ospitare l’ala dell’Arte Americana: 5mila opere distribuite sui nuovi quattro piani. L’ edificio si innesta alla spina centrale e diventa una hall-cortile destinata all’accoglienza dei visitatori: vetrata a tutt’altezza, luminosa, ampia, con
Foto di Chuck Choi
rimento di un nuovo blocco compatto e granitico, progettato da Ieoh Ming Pei. Ma il progetto di Foster non è un semplice restauro. È stata completamente ridiscussa l’intera esposizione interna e una delle ragioni è quella di dover inserire le recenti acquisizioni, tra cui destano particolare interesse il ritratto di Don Manuel José Rubio y Salinas di Miguel Cabrera e la tela Watson e lo squalo di John Singleton Copley. Senza snaturare il progetto di Beaux-Arts, ideato nel 1870 dall'architetto Guy Lowell, la nuova struttura ripristina, in tutte le sue logiche distributive, lo schema originario che negli anni era stato più volte rimaneggiato. La nuova scelta pro-
56 DESIGN +
un pavimento di granito grigio scuro che dona risalto a tutto l’intorno. È il nodo centrale, il legame tra il vecchio e il nuovo. E tra il vecchio e il nuovo a fare da cuscinetto laterale vi è il verde. Il progetto paesaggistico, curato dallo studio Gustafson Guthrie Nichol di Seattle, che si ispira alle direttive già date più di un secolo fa da Frederick Law Olmsted, è divenuto, con la sua studiata disposizione informale, uno degli elementi caratterizzanti tutto il complesso. La piantumazione di 50 alberi e di mille piante di agrifoglio ridisegna la Huntington Avenue, gli ingressi, i giardini, le strade di accesso e i cortili. Gli stessi spazi interni della galleria sono stati configurati così da consentire una fruizione delle opere d'arte secondo una nuova lettura fatta di luce, di verde e di suggestioni pensate e rielaborate per esaltare la delicata sensazione di chiarezza naturale. Progettato per essere energeticamente efficiente, gran parte dell’ampliamento e in particolar modo il cortile sono illuminati naturalmente, mentre per quanto riguarda la climatizzazione, le gallerie sono state corredate di un eccellente sistema di controllo all’avanguardia. Anche in questo edificio la logica dello studio Foster, basata su una interconnessione tra ciò che qualche anno fa era definito high tech e gli aspetti urbanistici di una costruzione, ha portato nuovamente alla ribalta il Museum of Fine Arts di Boston. Un edificio in cui i limiti sono stati sapientemente trasformati in potenzialità.
Foto di Nigel Young
Nella pagina a fianco: hall centrale vista da una diversa angolazione. In questa pagina: scorcio del prospetto principale composto da due volumi parallelepipedi rivestiti di materiale opaco e da uno centrale completamente in vetro
PROGETTO / 2
DINAMICITÀ E MORBIDEZZA 58 DESIGN +
SCHEDA
Foto di Moreno Maggi
Gruppo di progetto Studio Massimiliano e Doriana Fuksas Luogo Eindhoven, Olanda Cliente Rond de Admirant CV Inizio progetto masterplan 1998 Fine lavori Admirant 2010 Area di progetto 3000 mq
Con la realizzazione dell’Admirant Entrance Building, lo studio di Massimiliano e Doriana Fuksas completa il masterplan della nuova area commerciale di Eindhoven:18 Septemberplein di Iole Costanzo DESIGN + 59
PROGETTO / 2
Foto di Rob H’art
A sinistra: l’involucro di vetro e acciaio visto dall’interno, nel punto in cui morbidamente la superficie convessa diventa concava. Sotto: il sistema a maglia triangolare che caratterizza tutto l’involucro esterno e vi dona quella totale adattabilità alla deformazione. I triangoli di vetri usati sono sia trasparenti che opacizzati. A destra: l’intero volume in rapporto al contesto urbano circostante
A
Eindhoven, la città che ha per anni ospitato la Philips, la famosa casa produttrice della lampadina elettrica, dell’audiocassetta, del cd-rom e anche del primo walkman, da poco è stato completato e inaugurato l’Admirant Entrance Building, l’edificio-icona dell’ampia area commerciale ridisegnata dallo studio di Massimiliano e Doriana Fuksas. Eindhoven è stato un centro industriale molto importante per l’Olanda e purtroppo questa sua peculiarità le valse, durante la seconda guerra mondiale, ripetuti bombardamenti, difatti il carattere moderno della città è dovuto proprio al programma di ricostruzione intrapreso nel dopoguerra. La parte di città coinvolta dal masterplan, che lo studio Fuksas ha redatto già nel 1998, è proprio quella costruita secondo le logiche postbelliche. La piazza principale del quartiere, dedicata alla giornata del 18 settembre del 1944, giorno in cui Eindhoven fu direttamente coinvolta dagli inglesi nell’opposizione nazista, oggi rappresenta un grande nodo commerciale, ed è anche un punto di riferimento per tutta la città. È questa, infatti, la ragione che ha spinto l’amministrazione a dare a tutto il quartiere una struttura urbana migliore in grado di garantire più servizi e rispondere adeguatamente alle nuove esigenze e ai nuovi costumi dei cittadini. Complessivamente i progetti sviluppati dallo studio Fuksas per la nuova area commerciale di Eindhoven sono quattro: 18 Septemberplein, una piazza di 7mila metri quadrati corredata di un parcheggio interrato di 2300 mq progettato appositamente per ospitare ben 1700 biciclette. È uno spazio protetto da un’ampia copertura vetrata sorretta da un ordine gigante di 10 pilastri in corten, realizzati in collaborazione con lo scultore Massimo Mazzone, che ospita diversi piani destinati sempre allo shopping. Dal punto di vista urbanistico, 18 Septemberplein è stata anche pensata non solo come piazza ma anche come elemento
ADMIRANT ENTRANCE BUILDING È RIVESTITO DA UN RETICOLO D’ACCIAIO A MAGLIA TRIANGOLARE REGOLARE DI VETRO TRASPARENTE E OPACO di collegamento tra la stazione centrale e il principale polo commerciale: i grandi magazzini ‘de Bijenkorf ’. Ed è proprio a questi Grandi Magazzini, realizzati nel 1967 su progetto di Gio Ponti, che si lega lo Shopping Mall Piazza, altro intervento dello studio Fuksas. Come ovviamente dichiara lo stesso nome è un centro commerciale di 20mila metri quadrati avente un'area direzionale di 6mila mq, un edificio completamente trasparente in cui a dominare è la luce. Per il terzo intervento, il Media Market, lo studio romano ha proprosto un rivestimento ceramico formato da piccoli elementi regolari, mattonelle blu cobalto, che poste alternativamente in direzione verticale e in posizione orizzontale creano delle zone irregolari discontinue che, generando particolari effetti di luminosità, annullano la gravità della materia e rendono vibrante tutto l’edificio. Con la realizzazione dell’Admirant Entrance Building si conclude anche l’ultima fase del masterplan. Un piano che ha tenuto conto di diversi approcci e linguaggi progettuali. A tal proposito non si può non ricordare il movimento architettonico designato con più termini, ma aventi la stessa radice: blobbismo, blob architettura, blobitettura. Sono
Foto di Moreno Maggi
PROGETTO / 2 PIANTA PIANO TERRA
PIANTA PRIMO PIANO
PIANTA SECONDO PIANO
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PIANTA TERZO PIANO
PIANTA QUARTO PIANO
PIANTA PIANO TECNICO
DESIGN + 63
Foto di Rob H’art
PROGETTO / 2
Foto di Rob H’art
tutti etimologicamente legati all’acronimo B.L.O.B. (acronimo di Bynary Large OBject, Oggetti Binari di grandi dimensioni) che a ben vedere è concettualmente molto vicino al film Blob degli anni ’60 in cui la fa da padrone un fluido viscoso e maleficamente mortale. Il termine blobbismo è comunque giornalisticamente usato per descrivere costruzioni curve e dai lineamenti flessuosi, un’architettura fluida, quasi suadente e morbida dalle linee organiche e avvolgenti. E così è l’Admirant Entrance Building, ingresso alla nuova area commerciale progettata dallo studio Fuksas, che ha una struttura dalla geometria alquanto fluida e dinamica. È completamente rivestita da un reticolo d’acciaio a maglia triangolare regolare di vetro sia trasparente che opaco. È un edificio sinuoso principalmen-
A sinistra: i solai interni degradano di dimensione adattandosi o determinando la sinuosità amebiforme di tutto il volume. Sotto: visione frontale dell’Admirant, elemento di conclusione dell’intero masterplan, e punto di raccordo tra il quartiere e la piazza stessa
te composto di due elementi: una struttura di 5 piani realizzata in cemento e un involucro-rivestimento di vetro e acciaio. È un oggetto prezioso che si trova proprio al confine tra la nuova area commerciale e la piazza 18 Settembre. Funge da elemento di inizio, da porta principale per il nuovo asse, e attira a sé l'attenzione pubblica dei pedoni. La sua immagine di modernità ridona alla città di Eindhoven il vessillo di centro tecnologico, di design e di cultura. Un’immagine che l’amministrazione ci tiene molto a curare. Dal punto di vista funzionale l’edificio è diviso in due zone principali, quella commerciale che coinvolge sia il piano terra sia il primo e il secondo, mentre ai livelli superiori sono stati organizzati gli spazi dirigenziali. La geometria delle facciate di forma amorfa crea un’emozionante e dinamica configurazione spaziale che corrisponde alla versatilità spaziale che si trova all'interno dell'edificio. Se è vero che il piacere percepibile nell’attraversare uno spazio è legato alla possibilità di movimento e fruizione dello spazio stesso allora ci chiediamo che tipo di sensazioni può dare aggirarsi all’interno dell’Admirant Entrance Building.
SEZIONE LONGITUDINALE
SPACCATO ASSONOMETRICO LONGITUDINALE
SEZIONE TRASVERSALE
SPACCATO ASSONOMETRICO TRASVERSALE
PROGETTO / 3
SOSPESO NELL’ARIA Una struttura dalla vocazione contemplativa. Ideale per osservare le luci e i colori dello spazio circostante. È il Nanjing Museum Of Art & Architecture che Steven Holl ha progettato ai margini della storica città cinese Nanjing di Mercedes Caleffi
S
i alza, si piega e si rigira. Esile e apparentemente fragile, tale da sembrare una creatura di carta pesta, offrirà un eccellente punto di vista sul paesaggio circostante. È Nanjing Museum Of Art & Architecture, progettato da Steven Holl a Nanjing in Cina. La costruzione è stata completata e tra qualche mese, dopo gli adeguati ritocchi di rifinitura, sarà inaugurata. Steven Holl in quest’opera ha creato le condizioni affinché il fruitore del Nanjing Museum attraversandolo possa esperire il paesaggio. E così come l’artista Richard Serra fa con le sue opere, l’architetto americano guida l’attenzione dell’osservatore verso la topografia di quel paesaggio intriso di storia che gravita intorno al museo e che accompagna lo sguardo verso la città stessa di Nanjing, la grande capitale della dinastia Ming. Nanjing, letteralmente capitale del sud, è una delle città più importanti nella zona orientale della Repubblica Popolare Cinese. Capitale per molti secoli dell’impero cinese, sotto la storica dinastia Ming, è rimasto centro nevralgico per l’economia del Paese, per l’industria tessile che poi negli anni si è convertita in industria pesante. Una città storica, economicamente importante, che nel 1937 è stata teatro del famoso massacro di Nanchino, l’eccidio perpetrato dall’esercito imperiale nipponico accusato di aver invaso, occupato e barbaramente massacrato i cittadini di Nanjing con la giustificazione di eliminare i soldati cinesi travestiti da civili. In tutto questo contesto di storia e paesaggio Steven Holl ha scelto di progettare una struttura delicata che si libra nello spazio, pronta a tenere la giusta distanza dalle cose. Una struttura dalla vocazione contemplativa pensata appositamente per rievocare i paesaggi, le luci e i colori della pittura cinese. Steven Holl gioca ancora una volta con il concetto di parallasse - ossia con quella condizione spaziale che apporta allo spazio stesso un cambiamento della disposizione di su-
L’edificio ad un piano, che sembra essere appoggiato direttamente sul terreno, gravita sul paesaggio circostante. La struttura leggera è stata pensata infatti per poter offrire un punto di vista diverso sulla natura che si trova intorno a Nanjing. La natura che con i suoi colori, le sue luci e le sue nebbie ha ispirato molti pittori cinesi 66 DESIGN +
SCHEDA
Progettazione Steven Holl Architects Luogo Nanjing, Cina Inizio progettazione 2003 Architetti associati Architectural Design Institute, Nanjing University Strutturista Guy Nordenson and Associates Lighting design L’Observatoire International, New York
PROGETTO / 3
In alto: planimetria del piano terra e plastico di studio della volumetria del Nanjing Museum Of Art & Architecture. A destra in alto: una fotografia della scala di metallo posta a collegamento diretto tra il giardino esterno e la galleria superiore. A destra in basso: il volume inserito nella vegetazione spontanea che vi sta intorno. L’ampio specchio di vetro posto alla fine del percorso è stato appositamente progettato per mettere in contatto visivo il visitatore con l’esterno
perfici che lo definiscono. Sfrutta gli spostamenti verticali e obliqui per creare nuove percezioni spaziali, utilizzando il concetto, molto in uso anche nella scultura e nell’arte in genere, della motilità del corpo quale strumento per misurare lo spazio architettonico. Pur restando sempre vigile sul suo principio di distanza da una pura ricerca di tipo scultoreo-oggettuale. La poetica di Holl, infatti, si fonda soprattutto su spazi appositamente creati per incentivare una percezione complessa dello spazio. Quello stesso spa68 DESIGN +
zio che poi risulta essere curato e raffinato per l’uso di materiali, di luce e textures che lo rendono quasi multisensoriale. Il Nanjing Museum Of Art & Architecture situato in Pear Spring Tourism Area, a nord della città di Nanjing, fa parte del progetto internazionale China International Practical Exhibition of Architecture (CIPEA), un’esposizione che sarebbe dovuta essere completata già nel 2008. Il masterplan prevedeva il coordinamento da parte di Paul Rosenau di 24 architetti prove-
nienti da vari paesi tra cui Steven Holl, Sanaa, Mathias Koltz e altri. L’entourage era formato da 13 architetti internazionali scelti nel 2004 da Arata Isozaki e 11 nazionali scelti invece da Liu Jiakun.Ognuno di loro si è cimentato con strutture di alta qualità a supporto dell’evento, che sarebbero diventate alla fine dell’esposizione abitazioni private. Il progetto è stato bloccato per motivi giudiziari per molto tempo. Ora sembra ci siano nuovamente le condizioni per una ripresa dei lavori.
DESIGN + 69
PROGETTO / 3
In alto: plastico di tutto il Nanjing Museum Of Art & Architecture. In basso: planimetria generale. Il giardino interno è completamente rivestito di un prato all’inglese che giunge all’estremo del lotto, lì dove è stato progettato un ampio specchio d’acqua
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In basso e in alto: lo scheletro strutturale del museo, prima del tamponamento. Una struttura di metallo modulare controventata. I singoli elementi sono stati saldati tra loro secondo i principi statici della trave reticolare. Tutte le opere di Holl sfruttano gli spostamenti verticali e obliqui per creare nuove percezioni spaziali
DESIGN + 71
PROGETTO / 4
A Malafede, quartiere periferico della città di Roma, è stata consacrata la nuova chiesa di San Pio da Pietrelcina. Nuovo segno identitario progettato dallo studio romano SAA&A per creare: «un’architettura di pura luce dove la meditazione e soprattutto la preghiera possano trovare con naturalezza il proprio luogo» di Iole Costanzo 72 DESIGN +
PARADIGMA DEL SACRO
SCHEDA
Gruppo di progetto Studio di Architettura Anselmi e Associati, progettisti Arch. Alessandro Anselmi, Arch. Valentino Anselmi, Arch. Valerio Palmieri Luogo Malafede-Giardino, Roma Cliente Diocesi di Roma Progetto arredi liturgici Giovanna De Sanctis Ricciardone Progetto vetrate artistiche Giorgio Funaro Lavori 2005 - 2010 Superficie complessiva 2995 mq
DESIGN + 73
H
PROGETTO / 4
a un'aula liturgica a sviluppo trasversale e una copertura tripartita la chiesa di San Pio da Pietrelcina, progettata dallo studio SAA&A di Alessandro Anselmi e Associati. È un rettangolo di proporzioni 2x1. Al centro del lato maggiore del regolare impianto planimetrico è posto l’altare, e sulla parete di fronte, spostato ad est, vi è l’ingresso. L’altare, proprio per questa scelta, si trova in una posizione inusuale ma sembra risponda pienamente ai canoni liturgici emersi dal Concilio Vaticano Secondo che stabiliscono come la comunità debba essere accolta in una forma spaziale tale da non favorire posizioni gerarchiche. Tutto l’impianto ha una planimetria semplice e completa e gli edifici circostanti, appartenenti alla canonica sono corredati di diversi spazi di varie dimensioni adatti alle relazioni. Ma quali elementi creano realmente una chiesa? Ovviamente non è una questione di singole unità da mettere in relazione tra loro. È piuttosto un rapporto tra Corpo edilizio, Tempio e Città. È l’insieme di singole parti quali: forma, funzione, luogo e significato simbolico, che in relazione l'una con l'altra, creano un «metalinguaggio» e quindi una riconoscibilità. In Alessandro Anselmi Architetto di Claudia Conforti e Jacques Lucan, edito nel 1997da Electa, lo stesso Alessandro Anselmi ha dichiarato: «il mio obiettivo è dunque la costruzione di "armonie locali", capaci di riunire e connettere tra loro i frammenti, i pezzi antichi e i pezzi moderni delle "macchine" architettoniche. […] In ultima istanza voglio dire che l'architettura deve riunire, ancora e sempre, in un processo senza fine, elementi frammentari per ricavarne nuovi orizzonti e nuovi significati». A distanza di 13 anni non si può che costatare che anche in questo caso il modus operandi dello studio Anselmi, pur in una situazione avulsa dal tessuto urbanistico storicizzato, ha raggiunto lo scopo di un nuovo significato. Certo si potrebbe dire che il gioco era alquanto facile visto il contesto ordinario,
A sinistra: sculture di travertino opere di Giovanna De Sanctis Ricciardone presenti nel presbiterio. In alto a destra: i 18 pannelli di vetro serigrafato che impreziosiscono l’ingresso cerimoniale. A destra: ceppi di travertino che simboleggiano la Via Crucis posti nei pressi dell’ingresso feriale DESIGN + 75
PROGETTO / 4 PIANTA QUOTA -0.30
PIANTA QUOTA +3.10
PIANTA QUOTA COPERTURE
Sopra: planimetrie a varie quote. L’intero complesso è inserito in un lotto irregolare che ne ha condizionato la disposizione. A destra: il lineare cementizio campanile 76 DESIGN +
SEZIONE A - A’
PIANTA PRIMO PIANO
La plastica copertura della chiesa, superficie rigata formalmente e definita dalla congiunzione di due sezioni verticali l’una caratterizzata da una linea variamente trilobata e l’altra da un’unica arcata, è completamente rivestita di tessere frammentate e irregolari di ceramica lucida e monocolore
mancante di alcuna qualità o identità architettonica, ma la difficoltà sta proprio in questo. È in uso, infatti, per identificare velocemente il tipo edilizio presente in questa zona, il quartiere Malafede della città di Roma, usare l’espressione “modello Caltagirone”, proprio perché non vi è un tessuto strutturato e neanche una diversa varietà estetica del tipo edilizio presente. L’impatto estetico dell’impianto della chiesa di
San Pio da Pietrelcina è sicuramente nuovo per questo quartiere anche se ricorda tanto, proprio nella logica ritmica della copertura, la chiesa di Niemeyer a Pampulha. L’impostazione planimetrica di tutto il complesso, che potrebbe sembrare forse eccessivamente condizionata dalla forma del lotto, legge e interpreta le preesistenze e vi si rapporta. Riesce in ciò che può essere considerato il fallimento dell’amministrazio-
DESIGN + 77
PROGETTO / 4 Gli edifici parrocchiali, che non superano i tre piani d’altezza, si pongono ortogonalmente rispetto alla chiesa e fanno da quintadiaframma tra la chiesa e parte del quartiere circostante. Il sagrato della chiesa acquisisce pertanto anche funzione di piazza, spazio che funge anche da elemento di raccordo tra il regolare giardino degli ulivi e la chiesa stessa
ne: essere un segno, un landmark, un possibile elemento di riqualificazione del quartiere. In un certo senso tutto l’insieme diventa “un’armonia locale” e tenta di dare, legandosi alla maglia rigorosamente regolare del tessuto urbano preesistente, una nuova identità urbanistica ad una zona che fino ad oggi ne ha manifestato la totale mancanza. È un progetto che si lega al contesto mantenendo comunque un certo distacco. Per ciò che concerne l’impianto della sola chiesa un’analisi planimetrica rivela che il tripartito ritmo presente nella facciata principale, e che scema in un unicum nella facciata opposta, è completamente assente invece nella pianta stessa. Alla semplice rigidità planimetrica si contrappone dunque una sezione-prospetto sinuosamente rigida. Sul fronte sud si leggono nettamente tre curve, dagli intervalli diversi, poste tra loro in continuità da due cuspidi. Tre curve tutt’altro che morbide risultano essere ben diverse da quelle progettate negli schizzi iniziali presentati per il concorso bandito dal Vicariato di Roma e vinto dallo studio SAA&A nel 2005. Il passaggio dalle tre curve a quella unica è controllato da una così detta superficie rigata sostenuta da potenti travi d'acciaio “modellato in opera”, che costituisce la copertura dell’intera Aula. Sempre nella fase concorsuale questo passaggio generante la superficie ricurva del tetto era stato spiegato come il rapporto esistente nella simbologia liturgica tra il“molteplice” e “l’uno”, tra l’”Uno” e il “Trino”. Meditazioni teologiche ribadite unicamente sul piano verticale, sulla sezione longitudinale, che da strumento di unificazione e sintesi compositiva tra i diversi elementi che concorrono a generare una struttura, diventa fattore a se stante, di studio, controllo e approfondimento. Il piano verticale diventa dunque l’unico fattore di interpretazione contemporanea della tripartizione spaziale. DESIGN + 79
Foto di Gianni Congiu
PROGETTO / 5
SCHEDA
Gruppo di progetto Italo Rota e Fabio Fornasari Luogo Arengario, Piazza del Duomo, Milano Cliente Comune di Milano Lavori 2002 - 2010 Superficie complessiva 8000 mq Superficie espositiva 6000 mq su quattro piani Consulente Interior Design Alessandro Pedretti Costo dell’opera 25.000.000
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ARCHITETTURA DEL NOVECENTO
Nello storico Palazzo dell’Arengario, a Milano, il nuovo Museo del Novecento, progettato dal gruppo Italo Rota e Fabio Fornasari, darà l’opportunità di ammirare dal vivo le 400 opere del XX secolo appartenenti alle Civiche Raccolte Artistiche del Comune di Milano di Mercedes Caleffi DESIGN + 81
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rogettato già nel 1936 dal gruppo di architetti Portaluppi-Griffini-Magistretti-Muzio, il Palazzo dell'Arengario, realizzato sul lato destro di piazza del Duomo a Milano, lì dove si trovava la cosiddetta "manica lunga", l’appendice del Palazzo Reale demolita nel 1936, è divenuto oggi il Museo delle Arti del Novecento. Progettato da Italo Rota e Fabio Fornasari, il nuovo museo è stato inaugurato nel dicembre 2010. L’edificio dell’Arengario, due corpi di fabbrica che si affacciano sulla piazza del Duomo, interrotto dalle bombe del 1942 e usato impropriamente negli anni come sede amministrativa pubblica, era da 68 anni in cerca di una sua reale e concreta funzione. Oggi il nuovo intervento museale lo riconnette alla vita cittadina. 140 metri lineari di rampa che collega la linea Metropolitana con l'interno della torre monumentale. Un percorso spiraliforme apposi-
Foto di Gianni Congiu
PROGETTO / 5
tamente studiato per raggiungere la quota della terrazza monumentale che si affaccia su Piazza del Duomo e sulla Piazzetta Reale. La spirale è vetrata ed è il fulcro del percorso espositivo dell’arte del ‘900 e proprio per questo comincia con il famoso quadro di Pellizza da Volpedo "Quarto Stato". Sono tre gli ingressi che danno accesso al museo: lo storico scalone monumentale che dall’esterno, attraverso la terrazza loggiata, conduce alla caffetteria, racchiusa in un volume acustico concluso; il mezzanino della metropolitana, simbolo del nuovo intervento, hall del Museo delle Arti del Novecento e il passaggio coperto che funge da collegamento con Piazzetta Reale. Il nuovo museo colma una vecchia lacuna milanese. E recuperare l’Arengario e connetterlo con il Palazzo Reale, così da formare con esso un sistema museale integrato è stata una mossa strategica sia per il recupero dell’incompiuto edificio, sia per le inusua-
Foto di Paolo Rosselli
li e dettagliate viste che l’Arengario offre sulla piazza del Duomo e sugli edifici circostanti sia perché tutto il complesso messo a regime forse potrebbe risolvere o comunque sbloccare quel lato della piazza che la città ha sempre sentito come irrisolto. Il 21 novembre 2010 Italo Rota, prima dell’inaugurazione, scrive: «L’arte contemporanea da trent’anni lavora sull’idea di installazione, insegnandoci le procedure e i metodi per attivare gli oggetti e raccontare le storie; le installazioni esistono solo quando il nostro corpo è parte integrante dell’installazione stessa, esiste solo in relazione con il nostro corpo e questo è il caso del Museo del Novecento. Non una architettura ma una installazione. Un percorso, forse una lunga camminata. Camminare è pensare, osservare, fermarsi, vol-
UN SISTEMA MUSEALE CHE PERMETTE DI OTTIMIZZARE L'UTILIZZO DEGLI SPAZI E RESTITUIRE UN'IMMAGINE ATTRAENTE DELL’ARENGARIO 82 DESIGN +
SEZIONE TRASVERSALE
Foto di Gianni Congiu
A fianco: il "Soffitto", opera dell’artista Lucio Fontana. I venticinque pannelli, realizzati con graffi impressi sull’intonaco a canne, sono stati trasportati dalla sala da pranzo dell'Hotel del Golfo a Procchio, nell’isola d'Elba, e successivamente montati all’interno dell’Arengario. Sopra: il sistema reticolare di metallo e vetro che avvolge la rampa elicoidale di collegamento tra i piani espositivi e la stazione metropolitana. Sotto: la nuova sistemazione del piano loggia
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Foto di Paolo Rosselli
PROGETTO / 5 SEZIONE LONGITUDINALE
Foto di Paolo Rosselli
A sinistra: dall’interno della loggia, una vista inusuale sul Duomo e sulla piazza. Sotto: sempre dall’interno del piano loggia è possibile godere della vista sul Palazzo Reale, a cui è collegato attraverso un percorso aereo
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Foto di Paolo Rosselli
PROGETTO / 5 PIANTA PIANO TERRA 16 10
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1. Ingresso; 9. Bookshop; 10. Guardaroba; 11. Biglietteria; 12. Rampa; 13. Scale di sicurezza; 14. Scala mobile - Ascensore panoramico; 15. Ascensore; 16. Montacarichi; 19. Sala espositiva; 19A. Sala espositiva - Mostre temporanee
PIANTA PIANO LOGGIA 16 6 14 22 23 21
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6. Spazi di servizio al museo; 12. Rampa; 13. Scala di sicurezza; 14. Scala mobile - Ascensore panoramico; 16. Montacarichi; 19D. Sala De Chirico; 21. Ristorante Caffetteria; 22. Ingresso alla caffetteria; 23. Terrazza loggiata;
PIANTA PIANO SECONDO 6. Spazi di servizio 13. Scala di sicurezza 14. Scala mobile 16. Montacarichi 19. Sala espositiva 24. Galleria espositiva 25. Sale didattiche 26. Salette informatiche 27. Sala Archivi 28. Salita ultimo livello
19 e 19 e
19E. Sala Martini 19F. Sala Novecento 19G. Sala Paesaggi 19H. Sala Monumentale 19I. Sala Antinovecento 19L. Sala Melotti 19M. Sala Astrattisti
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19a. 19b. 19c. 19d. 19e. 19f.
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Gruppo T - Arte cinetica Pop Art Pittura analitica Lucio Fabro Arte Povera Marino Marini
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tarsi indietro, inventarsi pause, una attenzione fluttuante che ci lascia la libertà intima, quasi voyeuristica di incontrare le opere e farsi “incantare”. Incantare significa farsi affascinare, farsi sedurre, farsi ammaliare. Perché cercare di incantare? Semplicemente, per cercare fans, collezionisti di opere, per iniziare a studiare». È un percorso che farà studiare ma che è anche da studiare. È nella torre monumentale che si trovano la maggior parte delle funzioni pubbliche: accessi, ingressi e collegamenti che conducono sotto il sagrato di Piazza Duomo, alla linea 3 della metropolitana e ai diversi spazi introduttivi al museo. All'ultimo livello della torre una sala espositiva, la più grande, ospita la collezione permanente Fontana (circa 450 mq), mentre al livello del loggiato su Piazza Duomo si trova uno spazio ristorante che è collegato alla caffetteria posta all'interno della torre. La manica lunga su via Marconi accoglie invece le principali gallerie espositive che, distribuite su quattro livelli fuori terra, ospitano la collezione permanente. Tutti questi spazi sono verticalmente collegati da un blocco di scale mobili e ascensori panoramici che sono stati posizionati nel corpo che affaccia sul cortile interstiziale. Al primo piano interrato sono state pensate le sale didattiche, una sala conferenze e in posizione più isolata, il blocco dei servizi igienici, mentre con accesso indipendente dal cortile interno, vi si trova uno spazio destinato al servizio catering per il caffè ristorante del piano loggiato. Un collegamento aereo permette che da questo piano si passi al secondo piano di Palazzo Reale ospitante le sale di Arte cinetica e programmata, Pittura analitica, Arte Povera e le salette interamente dedicate a Marino Marini e a Luciano Fabro. Il corpo affacciato sul cortile interstiziale e sulla facciata quattrocentesca di Palazzo Reale ospita, come già accennato, il principale sistema di risalite automatizzate per il pubblico e per le opere (ascensori panoramici, scale mobili, montacarichi), e una serie di nuove salette espositive che godono, attraverso una grande facciata di vetro strutturale, della visione privilegiata sul fronte storico quattrocentesco. Sempre in questo corpo, al secondo livello, parte una passerella sospesa che conduce agli spazi destinati agli uffici del museo e ai particolari nuclei collezionistici organizzati nel Palazzo Reale. Un progetto, dunque, fatto di percorsi. Una trasformazione del Palazzo dell'Arengario in Museo del Novecento che si è posta come obiettivo di organizzare un sistema museale che permetta di ottimizzare l'utilizzo degli spazi a disposizione e di restituire un'immagine forte e al tempo stesso attraente dell'edificio dell’Arengario, così da trasformarlo in uno dei luoghi privilegiati della cultura milanese. DESIGN + 87
ing. federico pasquali
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Architetto e designer, dopo le prime esperienze lavorative con Gio Ponti e dopo una lunga collaborazione con Marco Zanuso, Cini Boeri apre il proprio studio nel 1963, occupandosi di architettura civile e disegno industriale. Lavora in Italia e all'estero, progettando show-room tra cui Knoll International in America e in Europa, spazi commerciali e abitazioni private
DIETRO AL PROGETTO
Cubotto, 1967. Disegnato da Cini Boeri per Arflex, azienda con cui ha avuto un intenso rapporto lavorativo. Un mobile bar compatto, attrezzato per il contenimento di bottiglie e bicchieri e dotato di un cassettino. Posto su rotelle, si sposta con facilità e, chiuso, può essere usato come un semplice tavolino. In MDF laminato laccato nei colori bianco e nero
CINI BOERI
Allieva di Gio Ponti e braccio destro di Marco Zanuso, Cini Boeri, storica protagonista dell’architettura italiana, ritiene che alcune sue opere siano dei cult del design grazie al loro facile utilizzo e alla cultura che le ha generate di Mercedes Caleffi DESIGN + 91
DIETRO AL PROGETTO
I
n un periodo storico molto importante per l’Italia, un periodo carico di innovazioni e stimoli, di cambiamenti e di esperimenti che coinvolgono la ricerca sia nel campo tecnologico sia sul piano formale, l’architetto Cini Boeri ha creato oggetti che sono diventati pietre miliari del design italiano. Come non ricordare Bobo, del 1967, la prima seduta monoblocco, completamente mancante di struttura portante, realizzata in schiuma poliuretanica, o il mitico Serpentone del 1971, il rivoluzionario divano, anch’esso in poliuretano, dalla forma serpeggiante e dalla lunghezza infinita. Un archetipo di semplicità che ha segnato l’immaginario di molti e che ha contribuito ad aprire i confini del vivere comune. Cini Boeri, infatti, è spesso ricordata per l’animoso sostegno che ha sempre apportato al concetto di libertà di comportamento sia per l’utente che per il committente. Ha sempre cercato di concretizzare nelle sue opere i concetti di espandibilità e flessibilità, ed è riuscita nell’impresa sicuramente perché aiutata dalla nuova ricerca tecnologica che in quel periodo ha portato alla nascita di materiali quali la gomma e la plastica. Strips, premiato con il Compasso 92 DESIGN +
d’Oro nel 1979, è invece l’idea che rivoluziona l’immagine e la forma stessa del letto avvicinandolo funzionalmente a quello di sacco a pelo. È l’antesignano di ciò che attualmente è in uso in quasi tutte le case italiane: la parure di trapunta e lenzuolo. La vita lavorativa di Cini Boeri parallelamente a quella di architetti e artisti del calibro di Ernesto Rogers, Lucio Fontana, Giorgio Strehler, Giangiacomo Feltrinelli e altri, cresce contemporaneamente alla rinascita della città di Milano. Nel 1987 Boeri per Fiam progetta Ghost, la nuova poltrona in vetro che ha sovvertito l’archetipo stesso di poltrona. Nel libro curato da Cecilia Avogadro “Cini Boeri, architetto e designer” pubblicato da Silvana Editoriale, è la stessa Cini Boeri che dichiara: “Volevo proporre una poltrona, ma non volevo vederla, volevo cioè che fosse trasparente. Da un solo foglio di vetro, piegato e tagliato secondo un nostro disegno, nei forni della Fiam, nacque la prima Ghost, che non poteva non avere questo nome”. Boeri lavora per case produttrici quali Arflex, Arteluce, Rosenthal e Knoll International, tutte case che hanno segnato la storia del prodotto industriale. Case che hanno saputo le-
Sopra:il vetro fa da padrone per Ghost, una poltrona che al di là delle comuni caratteristiche intrinseche del vetro, è riuscita ad offrire calore, affidabilità, relax, confort e sicurezza. L’unione del genio creativo dei designer Cini Boeri con l’aiuto di Tomu Katayanagi e la sapienza degli studi e la professionalità di un’azienda come Fiam Italia hanno dato il la per la produzione di una poltrona mai realizzata prima d’ora da nessuno
Sotto: Boborelax, 1967. Poltrona disegnata da Cini Boeri per Arflex ed esposta alla Triennale di Milano, dallo stile pop senza struttura, il suo profilo interno permette la comodità del corpo. Il basamento è in legno multistrato appoggiato a terra su tappi in nylon. Boborelax è totalmente sfoderabile ed è disponibile in differenti varianti di tessuto e colore In basso: Strips, design che appartiene alla storia di Arflex, sicuramente uno dei prodotti più famosi, disegnato dall’architetto Boeri nel 1972, ha guadagnato il riconoscimento del premio Compasso d’Oro ed è esposto in vari musei nel mondo, come alla Triennale di Milano, a Tokyo, al Moma di New York
gare l’estetica e la produzione industriale e che hanno generato, con le loro scelte, l’idustrial design. All’architetto, che ha tenuto conferenze nelle più importanti istituzioni accademiche italiane, come la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, e mondiali del taglio dell'Università di Berkeley, del Nucleo del Deseño Industrial di San Paolo o il Pacific Design Center di Los Angeles e che ha molte delle sue realizzazioni esposte nei musei e nelle esposizioni internazionali, chiediamo un momento di riflessione sulla sua lunga carriera. Domanda. Quanto sono stati importanti Gio Ponti e Marco Zanuso per la sua formazione giovanile? Risposta. Con Gio Ponti sono stata pochi mesi, subito dopo la laurea. Il suo insegnamento mi ha reso più sensibile al fascino dei colori e della luce. Mi ha trasmesso curiosità e attenzione per l’arte. Ponti era un artista poeta, e con lui si iniziava la professione sognando il meglio e dimenticando il banale. Zanuso mi ha insegnato a lavorare. Era un serio professionista e lavorare con lui per dodici anni fu per me molto importante. D. Lei ha dichiarato qualche tempo fa: «Sul laDESIGN + 93
DIETRO AL PROGETTO
voro non mi sono mai sentita una donna». Oggi l’Italia è ancora un paese per donne? R. È vero, non occorreva presentare differenti caratteristiche tra uomo e donna. Il lavoro iniziava sempre con gioia ed entusiasmo, e ciò non era né femminile né maschile. Il mondo attorno a noi giovani era abbastanza maschilista, come sempre poi, anche ora. Ragione di più per aver voglia di non sacrificare la propria femminilità, di tenerla viva. Non è male ricordare che la femminilità corrisponde anche ad una differente sensibilità, differente intuito, talvolta superiori alle caratteristiche maschili. D. Cosa ha provato quando si è resa conto che sue opere hanno ricevuto il consenso della critica, del mondo del design ma soprattutto dell’immaginario collettivo? R. Non è così facile rispondere: desideravo comunicare al cliente modi di vivere più facili, meno tradizionali. Il concetto informatore del design negli anni ’50 era quello di produrre a costi medio bassi gli elementi utili alla vita e ciò si otteneva con la produzione seriale, con materiali adatti al prodotto e anche con un’economia del metodo produttivo. L’arrivo delle materie plastiche aveva permesso la produzione in
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stampo, il cui costo poteva essere alto, ma compensato poi dal grande numero dei prodotti, con sicuro profitto per il produttore. Divano da vendere a metri, letti da usare come sacchi a pelo, componibilità di facili moduli abitativi, furono i miei primi lavori di design. Fui ascoltata da ditte produttrici progressiste, che decisero di produrre le mie proposte anche se un po’ dissacranti, un po’ utopiche, ma forse educative. Ebbero il loro successo. D. Lei ha introdotto le ruote nel mondo dell’arredo, e ha anche pensato un divano vendibile a metro. Oggi affronta i temi di piccole abitazioni modulari e di arredi mobili. Mette ancora in discussione la staticità domestica? R. Ho sempre amato le ruote, e la mobilità da esse concessa anche agli elementi più pesanti, con flessibilità degli spazi e degli arredi nei diversi spazi. Anche oggi sono sempre attratta dalle ruote. I miei ultimi mobili per abitazioni sono “mobili”, cioè non stanno obbligatoriamente attaccati al muro, ma possono muoversi secondo le necessità nei vari locali. La staticità non mi piace e non la cerco, sia culturale che morale. D. Professione, cultura, storia e politica a volte
Sopra: divano Serpentone, realizzato per Arflex nel 1971, allungabile a piacere. Uno dei pezzi cult creati da Cini Boeri. Sotto: valigia Partner, disegnata per Franzi nel 1967
si fondono. Quanto le sue opere giovanili hanno risentito dell’atmosfera del ’68? R. Il ’68 corrispondeva all’adolescenza dei miei figli. Da loro ricevetti gioia ed entusiasmo nella vita, e nel mio lavoro. Fui loro vicina in quel periodo un po’ difficile, e loro mi insegnarono a rimanere giovane. D. Molte sue opere sono oramai dei cult del design e sono ancora prodotti. Cosa li ha resi tali? R. Forse, e lo spero, l’utilizzo facile e un po’ di cultura. D. La riproducibilità seriale oggi nel design vale sempre meno. Perché il mondo del design è sempre più legato a quello dell’arte? R. Naturalmente l’immagine del prodotto, è un elemento vincente, ma dimenticati tutti i concetti e l’impostazione economico-sociale del progetto-design, i nuovi progettisti, un po’ confusi e col desiderio di essere “artisti”, si muovono in questo senso. Pazienza, speriamo almeno di avere prodotti belli, anche se non utili. D. “L’identificazione di ciò che è utile e ciò che è superfluo nello spazio abitato mi suggerisce la progettazione di elementi nuovi …”, sono sue parole. Secondo lei è cambiato negli anni il concetto di utile e superfluo? R. Confermo quanto ho detto. È inutile produrre ciò che già c’è e funziona bene.
D. Eleganza e lusso. Oggi purtroppo sembrano confondersi. Secondo lei in cosa consiste la differenza? R. Non possono confondersi, così in ogni settore: l’eleganza è rara e quando c’è ha un valore positivo. Il lusso non sempre è bello, spesso brutto, anche se molto diffuso e amato. D. Nel mondo del design che valenza hanno risparmio energetico e sostenibilità? R. Importantissimo, entrambi sono molto necessari alla nostra vita, alla vita del nostro pianeta. D. In un periodo di crisi economica e sociale come quello attuale come crede debba rispondere il design? R. Aiutando le fasce meno abbienti a poter vivere meglio. D. Che rapporto ha con la grafica computerizzata, il rendering e il mondo del web? R. Scarso, mi sento tecnologicamente un po’ handicappata, però apprezzo ed utilizzo volentieri i loro risultati. D. Lei lavora sia da architetto che da designer. Le soddisfazioni sono diverse? R. Architettura, design, sono la stessa disciplina. Se il progetto raggiunge uno scopo chiaro e utile anche socialmente, questo è il premio che si riceve. Per me è così.
Sotto: divano della linea Pecorelle di Arflex: struttura in legno rivestita in poliuretano espanso indeformabile a densità differenziate con fodera in fibra. Struttura schienale in legno con cinghie elastiche rinforzate. Gambe in metallo verniciate nero opaco. Rivestimento trapuntato completamente sfoderabile
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AN
T E P R I M A
TRASFORMAZIONI A TORINO
U
na mostra-evento per raccontare le contaminazioni tra arti visive, architettura, cinema, letteratura e non solo, avvenute a Torino dal 1995 a oggi. KM011 si snoda in quattro filoni tematici, arti visive, architettura, cinema, letteratura, con l’aggiunta di due eventi speciali dedicati alla musica e alla moda. Un progetto ideato da Luca Beatrice, prodotto dalla Regione Piemonte, con la collaborazione del Teatro Stabile di Torino e l’Istituto Europeo di Design di Torino, con il patrocinio dell’O.A.T. - l’Ordine degli Architetti della Provincia di Torino - e il sostegno della FIP - Film Investimenti Piemonte - che intende raccontare al pubblico tutte quelle straordinarie contaminazioni che hanno accompagnato la trasformazione di Torino dal 1995 a oggi, da città della grande industria a capitale della cultura contemporanea. “KM011 vuole essere una mostra “a chilometro zero” dichiara Luca Beatrice - dopo anni di prestigiose vetrine internazionali che non hanno lasciato molto sul territorio. Negli ultimi anni Torino si è data un limite: creare una fitta rete sistemica e museale senza investire né valorizzare a sufficienza le ricchezze della produzione locale. Questa mostra intende fare proprio l’opposto, dando spazio agli artisti locali e allo
stesso tempo creando un humus favorevole per i numerosi operatori che costituiscono oggi la spina dorsale del sistema artistico torinese e regionale”. La sezione della mostra dedicata all'architettura, curata da Barbara Brondi e Marco Rainò, presenta una rassegna di professionisti torinesi attivi dagli anni '90 all’interno dei confini dell’area metropolitana, capaci di sviluppare progetti in altre città d’Italia e all’estero. Partendo dai progetti realizzati, è messo in mostra quel processo creativo che porta alla costruzione di uno spazio abitabile, in un inventario compreso tra la scala domestica e quella urbana. Sono presentati lavori di: Archicura, Bottega Studio, Camerana & Partners, carlorattiassociati - Walter Nicolino & Carlo Ratti, Cliostraat, Elastico SPA, Frlan+Jansen Architetti, Raimondo Guidacci, maat architettura, MARC, Negozio Blu, Luciano Pia, Picco Architetti, Studioata, Studio Granma, UdA, ventidieci architetti associati.
Torino
KM011. Arti a Torino. 1995 – 2011 Museo di Scienze Naturali (fino al 3 aprile 2011)
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MOSTRE
La mostra comprende arredi realizzati dalle botteghe artigiane canturine a partire dagli anni ’30 del secolo scorso su progetto di alcuni fra i maggiori architetti e designer, tra i quali spiccano i nomi di Giuseppe Terragni, Franco Albini, Carlo Enrico Rava, Gio Ponti, Ico Parisi, Paolo Buffa, Guglielmo Ulrich, Aldo Rossi, Ettore Sottsass, Afra e Tobia Scarpa, Bruno Munari, Pininfarina, Franco Purini. Ognuno dei mobili presentati meriterebbe una considerazione a sé. Come ad esempio il tavolo progettato da Albini nei primi anni Trenta per la casa milanese di Arturo Ferrarin, celebre aviatore italiano, artefice delle più audaci traversate con annessi record intercontinentali che l’Italia abbia conosciuto. Il tavolo di forma rettangolare, realizzato in ebano Macassar e avoriolina, con profili in alpacca sui bordi, reca intarsiate le sagome di “apparecchi” (così allora venivano chiamati gli aerei) e le relative sigle, oltre ad un apparato 98 DESIGN +
iconografico legato al volo, quali paracaduti, linee, traiettorie che resero celebre nel mondo le imprese dell’aviatore Ferrarin. “Questo tavolo - ci dice Michele Marelli, curatore della mostra con Alfio Terraneo - oltre che essere un pezzo unico, quindi ambito dal mercato del collezionismo al pari di un’opera d’arte, racchiude in sé un concetto, a distanza di anni, tanto attuale quanto inseguito e ricercato: il “custom made”, ovvero l’oggetto realizzato a misura, appositamente per un committente ed eseguito dalle abili mani di capaci artigiani.” Nell’insieme, la mostra documenta il maturare della modernità nel campo del design con il variare delle forme che seguono ora il valore della razionalità ora il gusto dell’eccentrico, ma in un ambito che comunque garantisce la qualità del prodotto la cui esecuzione era affidata agli artigiani canturini, professionisti in grado di risolvere qualunque problema, da
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I grandi del design a Cantù
quelli strutturali a quelli funzionali ed estetici. In questi mobili – attualissimi tutti ancora adesso – genio e maestria si incontrano e segnano senza dubbio la strada da percorrere per rimanere ancora oggi sul mercato in modo competitivo. La mostra, che si avvale del patrocinio del MIBAC - Ministero per i beni e le attività culturali, dell’Assessorato all’Industria Artigianato Edilizia e Cooperazione della Regione Lombardia, oltre che dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Como, è aperta al pubblico nei pomeriggi da giovedì a domenica, ore 15-19, e al mattino e negli altri giorni è accessibile per visite dedicate alle scuole e ai gruppi previa prenotazione (tel. 031316352, Stefania Novati). CANTÙ
Eccellenze di design - Ex Chiesa di Sant’Ambrogio (fino al 17 aprile 2011)
Cassius Clay appena diciottenne sul podio, nella gloria delle onde della cupola del Palazzo dello Sport; un ginnasta che nell'esercizio agli anelli sembra incarnare la tensione delle nervature del Palazzetto; una deliziosa Grace Kelly accompagnata personalmente all’EUR da Nervi, rapita dalla bellezza della costruzione. Sono le immagini che aprono al MAXXI la mostra “Pier Luigi Nervi. Architettura come sfida. Roma: ingegno e costruzione”. La mostra è organizzata dal MAXXI Architettura, in coproduzione con CIVA di Bruxelles (Centre International pour la Ville, L’Architecture et le Paysage) e PLN Project (Pier Luigi Nervi Research and Knowledge Management Project), con la collaborazione dello CSAC di Parma (Centro Studi e Archivio della Comunicazione), nell’ambito del programma internazionale di esposizioni dedicate al grande talento italiano (Sondrio 1891 – Roma, 1979). La mostra, curata da Carlo Olmo e, per la sezione romana, da
Sergio Poretti e Tullia Iori, offre un ritratto a 360 gradi del grande ingegnere, architetto, costruttore ma anche scrittore, docente universitario, inventore. Un esclusivo focus è dedicato alle opere realizzate per le Olimpiadi di Roma del 1960, di cui si celebra quest’anno il Cinquantenario: il Palazzetto dello Sport al Flaminio, lo Stadio Flaminio, il Palazzo dello Sport all’EUR e il viadotto di corso Francia. Protagonista indiscusso della cultura e dell’architettura internazionale, definito dallo storico dell’architettura Nikolaus Pevsner “il più geniale modellatore di cemento armato della nostra epoca”, Nervi ha realizzato tra l’altro la sede Unesco di Parigi, il grattacielo di Victoria Square a Montreal, la sede dell’Ambasciata d’Italia a Brasilia, la Cattedrale St. Mary a San Francisco e, a Roma, la notissima Aula Nervi in Vaticano. Queste ed altre opere-icona di Nervi (15 tra i suoi principali progetti) sono protagoniste della mostra insieme a disegni
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Il genio architettonico di Nervi
originali e foto d’epoca dell’Archivio Nervi (nella collezione MAXXI Architettura) e dello CSAC, una campagna fotografica realizzata appositamente da Mario Carrieri, videointerviste (come quella alla BBC del 1965 Pier Luigi Nervi. Master builder) e filmati d’epoca sui cantieri e sulle Olimpiadi (dalle Teche Rai). Ad accogliere il visitatore nella piazza del MAXXI sarà La Giuseppa, la motobarca di famiglia in ferrocemento con lo scafo spesso appena un centimetro e mezzo, di oltre 8 metri, accuratamente restaurata con il contributo di Italcementi, unica sopravvissuta tra le tante imbarcazioni progettate e costruite da Nervi. In mostra anche i documenti originali di alcuni degli oltre 40 brevetti depositati dall'ingegnere italiano. ROMA - Pierluigi Nervi. Architettura come sfida. Roma: ingegno e costruzione MAXXI (fino al 20 marzo 2011)
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MOSTRE
Ritratti d’autore
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Con il patrocinio della Provincia di Milano, la Galleria Bottegantica apre la nuova stagione espositiva con una mostra dedicata a Boldini. Sono esposti alcuni fra i più importanti capolavori dell’indiscusso maestro del ritratto nonché opere totalmente inedite provenienti dall’Atélier dell’artista, autenticate e catalogate dalla moglie Emilia Cardona. Nel catalogo della mostra saranno inoltre pubblicate alcune fotografie inedite che documentano l’allestimento della storica retrospettiva su Boldini tenutasi nel 1963 presso il Musée Jacquemart-Andrè di Parigi. Sono una sessantina le opere esposte, fra le quali gli incantevoli ritratti di Irene Catlin, della marchesa Franzoni, della Principessa C. d’Isemburg-Birstein, dell’attrice Jane Renouardt, della moglie e di Mrs. Lydig.
Onore al guerriero
Il nuovo Guerriero realizzato da Paladino è il nucleo centrale della mostra di sculture che inaugura le sale espositive di Palazzo De Mayo della Fondazione Carichieti, nel contesto di due eventi culturali di respiro internazionale, fortemente radicati nel tessuto culturale e storico del territorio, l’Abruzzo. L’opera inedita, appositamente MILANO - Giovanni Boldini. Capolavori creata dall’artista per la mostra “Mimmo e opere inedite dall’Atélier dell’artista Paladino e il nuovo Guerriero. La scultura come cosmogonia”, è il Guerriero, scultura Galleria Bottegantica (fino al 30 aprile 2011) in terracotta di 2,56 metri, omaggio visionario al Guerriero di Capestrano. E così, nota Gabriele Simongini nel suo saggio in catalogo, “orizzontali, verticali Attraverso 180 opere che coprono l’intera e diagonali segnano quindi una presenza vicenda artistica di Matisse, viene analizzata scultorea ed architettonica dal forte impatto l'opera del grande artista francese da un visivo: un nuovo Guerriero severo, punto di vista mai tentato finora in ascetico, totemico, chiuso nel suo riserbo un'esposizione: la relazione con l'opera di geometrico ed enigmatico”. Mentre Enzo Michelangelo. Infatti, benché Matisse abbia Di Martino, che dedica un coinvolgente sempre affermato con forza la natura saggio al nuovo Guerriero, parlando di moderna della sua arte, come tutti i grandi Aninis (il presunto autore del Guerriero di geni, studiò e analizzò a lungo l'arte antica, in Capestrano) e di Paladino, scrive: “appare particolare l'opera di Michelangelo, traendone evidente anche a prima vista che tra i due forza e suggestione nella sua ricerca di artisti, pur separati da oltre duemila anni di giungere a un'essenza assoluta della pittura. storia, viene messa in atto una operazione di vero e proprio rispecchiamento, e non solo perché i due Re Guerrieri formalmente risultano somiglianti. Un’occhiata più attenta ed insistita rivela tuttavia che la figura di Paladino è in realtà molto diversa, è più alta e più semplificata, perfino più spigolosa, le decorazioni sono infatti quasi del tutto scomparse, la struttura della forma plastica è divenuta più segnata ed essenziale”.
L’Inferno di Dalì
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Matisse e l’antico
La serie di 34 xilografie a 35 colori di Salvador Dalì è una selezione delle 100 tavole concepite dall’artista in cinque anni di lavoro entro il 1960. Il linguaggio surrealista trasforma perfettamente l’Inferno in immagini: panorami desolati e allucinanti fanno da sfondo a figurazioni dissacranti e grottesche, a mostruose apparizioni improvvise, a rappresentazioni cruente del peccato e dell’eterna legge del contrappasso. L’inconscio delirante del pittore catalano trasfigura le descrizioni dantesche in tavole fortemente simboliche, di difficile riconoscimento iconografico, che popolano un mondo sotterraneo farsesco e inquietante.
BRESCIA
Matisse. La seduzione di Michelangelo
CHIETI - Mimmo Paladino e il nuovo
Guerriero. La scultura come cosmogonia
MILANO - L’Inferno di Dante Alighieri nelle
Museo di Santa Giulia (fino al 12 giugno 2011)
Palazzo De Mayo (fino al 30 aprile 2011)
Fondazione A. Pomodoro (dal 6/04 al 17/07/‘11)
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opere di Salvador Dalì e Robert Rauschenberg
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AGENDA
SONDRIO / TIRANO In viaggio. Strade ferrate, itinerari, persone per unire le Alpi Galleria Credito Valtellinese/Casa Quadrio Curzio (fino al 30/4/2011)
Cogliendo l’occasione dei festeggiamenti per il centenario della ferrovia del Bernina e il suo inserimento nella lista World Heritage dell’UNESCO, la Fondazione Gruppo Credito Valtellinese ha deciso di dedicare ai percorsi ferroviari transalpini un’ampia mostra. Il tema del paesaggio dei collegamenti ferroviari fra il sud e il nord delle Alpi centrali verrà raccontato, sotto l’attenta regia di Roberto Mutti, attraverso l’obiettivo di tre fotografi: l’austriaca Margherita Spiluttini, la svizzera Stefania Beretta e l’italiano Francesco Cito.
RAVENNA L’Italia s’è desta: 1945-1953. Arte italiana del secondo dopoguerra MAR (fino al 26 giugno 2011)
Silvia Stanzani Mosaico moderno e tradizionale Complementi d’arredo Riproduzioni di mosaici antichi Dal 1983 lo Studio propone decorazioni su disegno proprio, sviluppa idee del cliente, realizza progetti di architetti e designers S. Lazzaro di Savena (Bo) Via Pedagna, 10 051.6255253 339.7129368 www.silviastanzani.it info@silviastanzani.it
Arte italiana tra il ’45 e il ’53, ovvero gli otto anni in cui davvero l’Italia s’è desta, il tempo più vivace, magmatico, contrastato di tutto il nostro Novecento. Il progetto di mostra ha l'ambizione di ricostruire tutte le diverse fasi delle vicende artistiche dalla fine del secondo conflitto mondiale alla grande mostra di Picasso in Italia del 1953, a Roma e poi a Milano, che, per molti aspetti, segna uno spartiacque fra il dopoguerra del rinnovamento, dei dibattiti culturali, della costituzione di gruppi e movimenti, e la seconda parte degli anni Cinquanta. Da Morandi a De Pisis, da Balla a Carrà, da Casorati a De Chirico, da Martini a Marini e Manzù. Maestri, non ancora scomparsi, dei quali viene documentato il lavoro di quegli anni, fra storia e attualità. MILANO Impressionisti. Capolavori della collezione Clark. Palazzo Reale (dal 2 marzo al 19 giugno 2011)
Sarà Palazzo Reale di Milano la prima tappa dell’eccezionale e inedito tour mondiale dei capolavori della famosa collezione americana del Sterling and Francine Clark Art Institute, di Williamstown, Stati Uniti che comprende grandi opere francesi del XIX secolo, con stupendi dipinti di Pierre-Auguste Renoir, Claude Monet, Edgar Degas, Édouard Manet, Berthe Morisot e Camille Pissarro. La mostra conterà 73 opere dei maestri francesi dell’Ottocento e, dopo Milano, si sposterà nei maggiori musei di tutto il mondo. Il percorso espositivo, organizzato con la consulenza scientifica di Stefano Zuffi, è articolato in dieci sezioni che evidenziano i temi fondamentali che testimoniano tutte le innovazioni stilistiche e tecniche della seconda metà dell’800.
AGENDA
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ROVIGO L’Ottocento elegante. Arte in Italia nel segno di Fortuny, 1860 – 1890 - Palazzo Roverella (fino al 12 giugno 2011)
Quello proposto dalla mostra è l’Ottocento vitale ed elegante dei grandi salotti à la page, delle corse, dei balli e dei ricevimenti. E, al medesimo tempo, delle feste popolari, dei carnevali, dei balli mascherati e degli incontri tra le fronde, dei travestimenti e degli idilli. Poi l’Ottocento dei sogni popolato da carnose odalische e ammaliato dai conturbanti profumi d’Oriente. L’attenzione di Dario Matteoni e Francesca Cagianelli, che della mostra sono i curatori, si è appuntata sul trentennio 1860 – 1890. Tre decenni di grandi speranze, di euforia, di fiducia, avviato, e per certi versi attivato, dall’unificazione del Regno d’Italia. Certo fu un periodo di luci e ombre e questa mostra sceglie, non per intento celebrativo e tanto meno per scelta di occultare altre realtà, di mettere in evidenza le prime più che le seconde. PADOVA Guariento e la Padova Carrarese Palazzo del Monte e altre sedi (da 16 aprile al 31 luglio 2011)
Di lui si conoscono soprattutto gli Angeli, anzi le Gerarchie Angeliche composte da Angeli, Arcangeli, Podestà, Serafini, Cherubini, Troni e Dominazioni, che riprodotti ovunque, sono diventati parte della iconografia universale, tanto diffusi da far dimenticare chi li dipinse e cosa effettivamente quelle meravigliose figure rappresentino. Questa grande mostra riunisce per la prima volta la quasi totalità della produzione di Guariento, il “Maestro degli Angeli”. Fu il primo artista di corte a Padova e la sua attività è documentata tra il 1338 e il 1367. Per i Carraresi, Signori di Padova, creò il suo capolavoro: la decorazione della Cappella della loro Reggia. CATANIA Carla Accardi. Segno e trasparenza Fondazione Puglisi Casentino (fino al 12 giugno 2011)
La Fondazione che Alfio Puglisi Cosentino propone una grande mostra di Carla Accardi curata da Luca Massimo Barbero. È una mostra assolutamente irrepetibile. L’artista, infatti, ne è doppiamente protagonista: con le sue opere ma anche con una sua personale interpretazione delle architetture e degli spazi dello storico Palazzo, capolavoro del Vaccarini, per i quali ha appositamente realizzato un lavoro che sarà esposto nell’ultima sala e Vie alternative, grande opera permanente in ceramica per il cortile. Una grande mostra-installazione, quindi. Lungo questo percorso attraverso il Palazzo, si intrecceranno e susseguiranno in un ordine ideale i suoi primi lavori sul dialogo tra spazio, segno e colore, sino alle sperimentali superfici trasparenti di sicofoil, su cui dipinge, e alle articolate installazioni di grande dimensione.
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VENEZIA Lino Tagliapietra - Palazzo Franchetti, Ist. Veneto di Scienze, Lettere ed Arti (fino al 22 maggio 2011)
Lino Tagliapietra è una delle massime personalità del vetro d’arte internazionale e oggi può essere senza dubbio considerato il vetraio veneziano più noto ed apprezzato nel mondo. Si distingue per una eccezionale creatività, affiancata ad una abilità nelle lavorazioni a caldo del vetro senza pari in Italia ed all’estero. Venezia rende omaggio a questo suo artista del vetro (Tagliapietra è nato a Murano) con l’apertura di una grande mostra monografica nelle sale di Palazzo Franchetti. La mostra comprende una sezione storica, che presenta opere di Lino Tagliapietra fin dai suoi esordi, e una vasta selezione dei suoi pezzi unici dell’ultimo decennio, tra cui alcune grandiose installazioni di stupefacente impatto formale e cromatico.
NUORO DREAMTIME. Lo spirito dell’arte aborigena
Museo d’Arte della Provincia di Nuoro (fino al 28 agosto 2011)
Per quantità (oltre 290 lavori) e soprattutto per la qualità delle opere proposte, si offre come la più completa esposizione mai presentata in Italia sull’arte aborigena australiana contemporanea. La mostra include artisti di riconosciuta fama come Clifford Possum, John e Luke Cummins, Trevor Turbo Brown, Craig Charles e artisti emergenti, che si stanno affermando nel panorama internazionale. Questa selezione presenta autenticamente l’arte aborigena contemporanea nel suo attuale stato d’evoluzione e non restituisce una visione statica degli stereotipi che spesso vengono attribuiti a queste culture. ROMA Trieste Biedermeier. L’800 nelle collezioni nei Civici Musei di Storia ed Arte - Museo Mario Praz (fino al 2 maggio 2011)
Dipinti, arredi, porcellane e miniature databili tra il 1820 e il 1860, provenienti in gran parte dal Civico Museo Sartorio di Trieste vengono riuniti presso il Museo Mario Praz per ricomporre il lungo arco temporale del gusto Biedermeier triestino. Numerosi ritratti, tra cui quello delle sorelle Elena e Calliope Czorzy di August Anton Tischbein e quello della famiglia Hortis di Eduard de Heinrich, ben si affiancano ai molti ritratti ed alle scene di conversazione prediletti dal celebre anglista e presenti nella sua collezione. Viene presentata al pubblico anche la ristampa anastatica delle “Memorie biografiche” di Giovanni Guglielmo Sartorio. Il percorso biografico del Sartorio integra ed illustra con particolare vivezza la vita della Trieste mercantile e alto borghese di metà 800.
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BORGO VALSUGANA (TN) Spaventapasseri – Scarecrow Spazi LivioRossi (fino al 27 marzo 2011)
Foto Giacomo Bianchi
Sei artisti e designer, personalità nel campo della moda e dell'architettura invitati dal curatore Enrico Leonardo Fagone hanno abbandonato il proprio abituale terreno di lavoro e accolto la sfida di reinterpretare uno dei più semplici artefatti della tradizione contadina. Lo spaventapasseri, un oggetto povero e costruito con le tecniche e i materiali più diversi resta infatti uno dei pochi simboli del lavoro contadino e nello stesso tempo testimonianza del modificarsi di abitudini e rituali. Dalle matite di Enrico Baleri, Chris Bangle, Valerio Cometti, Elio Fiorucci, Ruggero Giuliani e Tobia Scarpa sono nati così esemplari unici di spaventapasseri, capaci di aprire considerazioni più ampie sulla montagna e sui segni lasciati dall’uomo sull’ambiente, sul rapporto tra progettualità, creatività artistica e produzione in serie. TRIESTE Trieste Liberty. Costruire e abitare l’alba del ‘900 Ex Pescheria (dal 12 marzo al 19 giugno 2011)
In una città che all’alba del ’900 è al crocevia culturale, artistico ed economico tra l’Impero asburgico, a cui era soggetta, e l’Italia, da cui si sente fortemente attratta, la forte crescita demografica ha come conseguenza la costruzione di nuovi edifici abitativi, commerciali e di rappresentanza, in parte connotati dal tradizionale stile storico, di sapore classicista, ancora imperante, in parte aggiornati sulle novità di uno stile nuovo e moderno: il Liberty. Di qui una mostra frutto di un’ampia ricognizione, dove sono stati censiti quasi 250 edifici, che intende fare il punto sul Liberty a Trieste, come paradigma, punto di riferimento e confronto con ciò che negli stessi anni accade in altre città italiane e europee.
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ROMA Caravaggio a Roma. Una vita dal vero Archivio di Stato, Sant’Ivo alla Sapienza (fino al 15 maggio 2011)
Una mostra unica, di taglio assolutamente nuovo costruita su documenti originali, restaurati e conservati presso lo stesso Archivio, che svelano fatti salienti della vicenda umana e artistica del grande pittore e aspetti finora sconosciuti legati all’ambiente intellettuale, culturale e artistico frequentato dal maestro lombardo nel periodo vissuto a Roma. La rassegna è costruita come una detective story, un’indagine sul campo dove quello che emerge è la vita vissuta dall’artista attraverso le sue parole, i suoi incontri, in un incredibile caleidoscopio di relazioni e una polifonia di voci che conducono il grande pubblico a conoscere da vicino gli episodi e le vicende della “vita dal vero” di Michelangelo Merisi durante il suo soggiorno romano (1595/96•1606).
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NUOVO DESIGN
SUGGESTIONI
DA MILLE E UNA NOTTE Mobili e oggetti. Acquistati per lo più nei mercatini dell’usato. Ricoperti di colorati e preziosi tessuti orientali. Sono le creazioni del marchio Bokja: fondato da due designer libanesi, Hoda Baroundi e Maria Hibri di Cristiana Zappoli
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omestead feeling”. Così Chris Sanderson, co-fondatore del Future Laboratory di Londra, struttura che si occupa di scoprire le nuove tendenze anticipando le esigenze del mercato, ha definito i lavori del brand Bokja, come ha riportato il Financial Times in un articolo del 2009. Intendendo con questa espressione, il desiderio di portare al più presto nella propria casa uno di questi mobili. Quasi fossero in grado, pur all’apparenza inanimati, di toccare alcune delle corde più profonde di ognuno. Parola di Sanderson. Bokja è il nome che due designer libanesi, Hoda Baroundi e Maria Hibri, hanno scelto per le loro creazioni: mobili e oggetti di arredamento. Le loro vite si sono incrociate casualmente e altrettanto casualmente è cominciato il loro cammino nel mondo del design. «Nessuna di noi due nasce designer», racconta Hoda. «Maria ha studiato per diventare giornalista e io sono un’economista. Non abbiamo cercato il design, lo abbiamo trovato per caso». Maria Hibri ha sempre amato la mobilia antica, che sceglieva e comprava per poi rivenderla nel negozio di fiori secchi dei suoi genitori, creando bellissime mise - en -scene grazie alle quali si era fatta conoscere in Libano. «Per quanto riguarda me, - prosegue Hoda - nel 1990 ho fatto un viaggio in Uzbekistan che mi ha cambiato la vita. Sono sta-
ta letteralmente folgorata dalla passione per le stoffe tradizionali dell’Asia centrale». Le due designer si sono incontrate 9 anni dopo quel viaggio e hanno deciso di unire le loro due passioni e le loro forze. «Bokja è nato così, per caso - prosegue Maria - appoggiando un mio pezzo di stoffa sopra un divano di Hoda. In un primo momento abbiamo creato solo alcuni pezzi per i nostri amici. Ma, in qualche modo, le nostre creazioni stavano ottenendo una risposta incredibilmente positiva, e quello che è nato come un piccolissimo esercizio, è diventato una società e, dopo dieci anni, ci sentiamo addosso una grande voglia di progettare e realizzare cose nuove guardando in tutte le direzioni, senza porci limiti». Quello che fanno le due designer è scovare nei mercatini e nei negozi di antiquariato di Beirut e del resto del mondo mobili anni Cinquanta, Sessanta e Settanta e ricoprirli con coloratissimi tessuti che vengono dall’Oriente e dai leggendari paesi della Via della Seta. Il cuore degli oggetti sta nei tessuti: stampe floreali, ricami dorati, colori brillanti, uno stile che racchiude i segreti di luoghi lontani, esotici, esuberanti. Ogni oggetto è un mix di stoffe mediorientali e preziosità che richiamano suggestioni dense di colori, profumi, allusioni. Accomunate dalla passione per l’antico e per le tradizioni e dall’amore per i tessuti orientali, l’idea delle due designer è stata
In apertura: un esercito di Astronavi invade lo spazio bianco del Beirut Art Center. A sinistra: divano Double Cou2r, della linea Bokja Classic, è creato sulla base della poltrona Bokja Couture. Sopra: artigiani al lavoro sui mobili Bokja DESIGN + 107
NUOVO DESIGN quella di utilizzare le conoscenze e il talento degli anziani artigiani del Levante e della Via della Seta, quegli stessi artigiani che tramandano da generazioni l’arte della creazione del Bokja. «Bokja è una parola turca - racconta Maria - e indica un tipo di tessuto usato tradizionalmente per avvolgere gli oggetti preziosi delle donne. Ma è di più: custodisce i loro sogni, le loro storie e le loro speranze. A volte è ricamato con fili d’oro, ma spesso è solo una coperta di semplice cotone. Il Bokja celebra la vita e le sue infinite possibilità, accompagnando la donna dalla nascita, al matrimonio, fino alla procreazione e infine alla morte. Abbiamo scelto questo nome per varie ragioni: Bokja è una storia che racconta di tessuti e ricami fatti a mano in cui ci siamo imbattute nei diversi Paesi lungo la Via della Seta, in particolare in Turchia. Ma Bokja è anche, in gran parte, la storia di due donne, del loro viaggio e delle infinite possibilità che la vita ha offerto loro». Ogni pezzo del duo Bokja è un pezzo unico e sono diversi gli artigiani che lavorano fianco a fianco per ottenere questo risultato: pittori, falegnami, tappezzieri, ricamatori. Proprio perché ogni pezzo ha una propria storia particolare da raccontare, ognuno ha un nome che lo contraddistingue: può essere il nome di uno dei figli delle due designer, o di un loro amico, oppure qualcosa che trova ispirazione in un libro o in un luoA destra: sedia della serie Farfalle, piccola e affascinante, spesso vestita con fiocchi di tulle, paillettes, ricami fatti a mano. Sopra: un artigiano al lavoro su un particolare di un mobile
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go. Non solo. Ognuno ha una sorta di “passaporto” che ne descrive la storia, il paese da cui proviene la stoffa e le tradizioni che stanno alla base della tessitura, dell’arazzo o del ricamo. Quello che fanno Maria e Hoda, con il loro mix di antiche culture con le quali realizzano un design moderno, è di confondere la linea di confine che separa arte, artigianato e design. E il risultato indubbiamente piace, lo dimostra il successo che il brand Bokja sta ottenendo in giro
per il mondo. Si può trovare a New York come in Europa: Parigi, Londra, Milano. Ma anche in Giappone e in Cina. E la rete commerciale è in continua espansione. «Recentemente – racconta infatti Hoda - abbiamo avuto importanti riscontri in Germania, Svizzera, Australia e Giappone. Ogni giorno riceviamo richieste da un Paese nuovo, la più recente è arrivata da Sarajevo». Julia Roberts, Sandra Bullock, Kate Hudson e Nora Jones sono solo alcune
delle celebrità che amano e acquistano le creazioni delle designer libanesi, e Christian Louboutin seleziona regolarmente alcuni pezzi per i suoi showroom in giro per mondo. Nel 2009 le creazioni Bokja sono state scelte da Li Edelkoort, una tra i più importanti trend forecaster al mondo, fondatrice e per 10 anni direttrice dell’Eindhoven School of Design, per essere presenti nella sua retrospettiva, in occasione della quale ha messo in luce tutto ciò che ritieSopra: Maria Hibri e Hoda Baroundi, le designer fondatrici di Bokja. A sinistra: Two are better than one, divano lanciato nel 2011 e ispirato a un vecchio classico, la sedia Antilope
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NUOVO DESIGN A fianco: alcuni sgargianti tessuti caratteristici delle creazioni del marchio libanese. Sotto: due sedie a dondolo della nuovissima linea Lumbago Rocking
ne abbia maggiormente influenzato le tendenze mondiali nel campo della moda, della fotografia e del design. Un importante riconoscimento, quindi, arrivato alla vigilia dei festeggiamenti per i 10 anni di Bokja, nel 2010. Per celebrare l’importante anniversario, le designer libanesi hanno presentato allo Spazio Rossana Orlandi di Milano, in occasione del Salone del Mobile dell’anno scorso, Conversation Sofas, due divani posizionati a formare una “S” ricoperti di bellissimi tessuti provenienti da tutto il mondo. Un progetto che vuole esaltare la cultura e la storia di chi ha contribuito a realizzarlo, proprio a rappresenta-
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re la summa di tutta la filosofia che sta dietro il lavoro del duo libanese. «Noi - raccontano le designer - troviamo l’ispirazione nell’intraprendenza delle persone. Nella voglia di trovare e portare con noi oggetti antichi per donargli nuova linfa vitale. La troviamo nella forza di carattere di donne e uomini che lavorano duramente, ogni giorno, contro le disuguaglianze per sostenere la propria famiglia. Prendiamo l’ispirazione dalle persone e da quello che la natura ci comunica. Troviamo l’ispirazione nell’impegno, nella passione, nella semplicità e nella perfezione del lavoro artigiano».
Mentre all’interno dello Spazio Rossana Orlandi veniva presentato il Conversation, all’esterno, nel cortile, era parcheggiato il Bokja Bug: un modello storico di Maggiolone della Wolkswagen interamente ricoperto con un patchwork di tessuti provenienti dal Medio Oriente. Il progetto ha riscosso un enorme successo da parte dei visitatori ma anche degli addetti ai lavori, ottenendo una notevole risonanza mediatica. Alla fine dell’evento il Maggiolone è stato donato alla Fondazione Francesco Rava: il ricavato della vendita è andato quindi a favore dell’attività che la Fondazione sta portando avanti per aiutare bambini di Haiti. Dopo il Bokja Bug l’impressione è che la creatività di Hoda Baroundi e Maria Hibri non abbia proprio più limiti. Come conferma Hoda: «Essere creativi vuol dire attingere da quello che siamo veramente. Vuol dire avere fiducia nelle proprie capacità per esprimere noi stessi come riteniamo più opportuno, a prescindere da come gli altri ci possono giudicare. Vuol dire avere il coraggio di esplorare cose nuove e nuove tecniche e avere il coraggio anche di sbagliare». Il design è quasi sempre in bilico tra diverse culture, ma raramente lo è così tanto come nel caso del duo Bokja. Le loro creazioni si fanno rappresentanti di un simbolico dialogo interculturale, essendo loro stesse formate da stoffe che “dialogano”, espressione di una cultura popolare che non deve andare persa. Sono oggetti in bilico tra tradizione e innovazione, vita e fantasia. Talmente sfarzosi e accattivanti da sembrare appena usciti da un racconto di Mille e una notte. «In dieci anni di attività spiegano - abbiamo ricevuto diversi attestati di stima. Conferme che il nostro lavoro piace. È difficile dire qual è il complimento più bello che abbiamo ricevuto, perché ogni singolo complimento è importante e ci dà la forza di andare ancora avanti con entusiasmo. Uno dei nostri favoriti è che Bokja è come un sorriso in mezzo ad una casa». Difficile non sorridere seduti su un divano da Mille e una notte.
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