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Sul fondo della città, di Yokomitsu Riichi

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CHI SIAMO

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di Dafne Borracci

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Yokomitsu Riichi (横光利一, 1898~1947) fu romanziere, poeta e critico letterario, oltre che fondatore della Scuola delle Nuove Percezioni ( 新感覚派, Shinkankakuha) insieme a Kawabata Yasunari. Sebbene sia stato definito una “divinità del romanzo” dallo scrittore Shiga Naoya, impressionato dal suo celebre racconto modernista La macchina (『機械』, 1930), dal Secondo Dopoguerra è stato collocato ai margini del canone letterario. Il dibattito relativo ai meriti della sua produzione è, ancora oggi, molto acceso.

Sin dall’epoca degli studi all’Università di Waseda, Yokomitsu Riichi cominciò a pubblicare riviste amatoriali con gli amici, finché non esordì con due racconti sperimentali sulla rivista Bungei Shunjū (「 文芸春秋」), diretta da Kikuchi Kan. Nel 1924 fondò la rivista Bungei Jidai (「文芸時代) con Kawabata Yasunari. I suoi esperimenti d’esordio, dallo stile violento e aggressivo, immediatamente attirarono l’attenzione della critica: era l’inizio di una nuova estetica, che esprimeva l’urgenza di trasmettere la dimensione dei sensi in modo crudo e diretto.

Sebbene la Scuola delle Nuove Percezioni si estinse dopo pochi anni, ebbe un’enorme risonanza sia in patria che all’estero. Yokomitsu Riichi e Kawabata Yasunari continuarono a sviluppare insieme la loro idea di letteratura, interrogandosi su cosa rimanesse del Giappone classico, al di là dell’influenza esercitata dell’occidente, del colonialismo e della modernizzazione sfrenata degli ultimi decenni.

Il romanzo più celebre di Yokomitsu Riichi è Shanghai (『上海』, 1932). L’opera descrive una realtà vitale e delirante, resa ancora più caotica dalla difficile situazione politica e coloniale della metropoli. Per alcuni versi, può essere considerata un’opera speculare a La Banda di Asakusa (『浅草紅団』), che Kawabata Yasunari pubblicò tra il 1929 e il 1930.

Scritto nel 1925, a soli due anni dal terribile terremoto del Kanto, Sul fondo della città è un racconto breve, ma che già fa intravedere la scintilla d’ispirazione che porterà Yokumitsu Riichi alla stesura di Shanghai. Nel corso della narrazione, l’autore dipinge i bassifondi cittadini in tutta la loro più torbida miseria. Il protagonista, nei momenti in cui la tristezza esistenziale sembra sopraffarlo, si aggrappa alle “illusioni frammentate della città” e inizia a passare la realtà sotto la lente deformante della fantasia, grazie alla quale persino un logoro negozio di kimono si trasforma in un iridescente fondale marino. Lasciatosi alle spalle forme mostruose e magiche per salire su una “verde collina”, il protagonista può riprendere fiato e osservare con distacco il luogo disperato da cui proviene. La collina è il luogo sia fisico che metaforico dell’elevazione: qui per qualche ora l’uomo può dimenticarsi della propria miseria, persino del bisogno di guadagnarsi da vivere. Da qui riesce a vedere anche i quartieri ricchi della città, senza, tuttavia, sentirsi attratto da essi. I bassifondi, invece, lo richiamano con la loro palpitante vitalità. Anche i ricchi abitanti delle strade in cima alla collina, che di sera si riversano tra i banchi di paccottiglia del mercato notturno, ne subiscono l’inevitabile fascinazione.

Il mondo misterioso e sovrannaturale dei bassifondi, dominato dal fango e dal degrado, diventa una dimensione quasi spirituale dove il male funge da fertilizzante per la fantasia e la bellezza. Così, l’assenza di pensieri ancorati alla realtà si trasforma nell’unica cura possibile. Il protagonista finisce con il rinunciare al poco che ha per aiutare una vecchia cieca ancor più disperata di lui e, al tempo stesso, fuggire ancora una volta – per necessità più che per volontà – dalla “tristezza della vita”. Solo dopo aver smesso di pensare alla propria disastrosa situazione arriva a vedere, nella strada più fatiscente, un campo di fiori che ondeggiano al vento.

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