Redifining Landscapes

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redefining landscapes nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

Stefano Galasso


REDEFINING LANDSCAPES nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

Tesi di laurea Magistrale in Architettura Stefano Galasso matr. 755794 Relatore Gennaro Postiglione Correlatore Laura Pogliani

Politecnico di Milano Facoltà di Architettura e Società Anno Accademico 2012-2013


Il lavoro di ricerca e il conseguente progetto deriva da uno studio sviluppato all’interno del Corso Integrato di Adaptive Re-Use del prof Gennaro Postiglione le cui ricerche si focalizzano prevalentemente su riuso e recupero di patrimoni minori e sul rapporto tra memoria collettiva e identità culturale intese come azioni diffuse di museografia e allestimento del territorio. L’obiettivo è mettere le risorse dell’architettura al servizio dell’interesse pubblico attraverso un processo di progettazione che interpreta la disciplina degli Interni come un sistema in grado di sviluppare strategie di riattivazioni sostenibili facendo cooperare tra loro persone, ambienti e oggetti. Metodologicamente, ogni lavoro di tesi prende dunque le mosse dalla identificazione di un questione emergente o latente della nostra quotidianità, indagandone il valore strategico e le motivazioni che la rendono un tema meritorio di attenzione progettuale. Si prosegue con l’individuazione degli obiettivi prioritari da perseguire e la stesura di un metaprogetto e un programma funzionale da soddisfare. Da questo background nascono le risposte progettuali che si riferiscono a specifici contesti di lavoro. I lavori sono raccolti nel data base della Ricerca Azione sviluppata con le tesi: http://www.lablog. org.uk/category/diploma-works/ L’attività di Ricerca Azione connessa alla didattica trova riscontro anche nelle ricerche in corso: REcall-European Conflict Archaeological Landscape Reappropriation - possibili museografie per le eredità dei conflitti del Novecento in Europa (www.recall-project.polimi.it); MeLaEuropean Museums in an Age of Migrations – “l’europeizzazione” dell’Europa e l’ibridazione delle culture come agenda necessaria nella ridefinizione del Museum complex ([http://]www.melaproject.eu); Re-Cycling Italy (sul recupero il riuso e riciclo del patrimonio inutilizzato italiano).


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Indice

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Abstract

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Capitolo I Tutela del paesaggio: la questione dell’abuso edilizio

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Storia

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Forme

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Numeri

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Strumenti e metodi vigenti

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Capitolo 2 La Costiera Amalfitana: paesaggio culturale in pericolo

29

Paesaggio

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Insediamenti

123

Quadro normativo

147

Le cifre dell’abuso edilizio


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Capitolo 3 Obbiettivi

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Nuove forme di compensazione

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Capitolo 4 Verifica Progettuale

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Caso_1

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Caso_2

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Caso_3

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Caso_4

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Caso_5

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Conclusioni

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Fonti e riferimenti bibliografici


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Abstract Questo è il risultato di un lavoro di ricerca e studio nato e proseguito grazie alla volontà di confrontarsi con un territorio ed un paesaggio tra i più belli al mondo, riconosciuto e protetto dall’Unesco, ma che dietro cotanta naturalità e fascino nasconde diversi problemi e criticità che la maggior parte delle volte vengono trascurate o evitate quasi per non intaccare l’immagine che si ha di questo frammento di nostro territorio. Il testo affronta il problema dell’abusivismo edilizio all’interno della Costiera Amalfitana, definito dall’Unesco patrimonio dell’umanità, ma purtroppo in molti casi non rispettato dalla popolazione, dalle istituzioni e dal paese stesso a cui appartiene. Questa indagine quindi vuole dare la visione di un problema grave che affligge diverse regioni italiane fare poi un salto di scala e focalizzarsi soprattutto su un territorio fragile come quello della costa d’Amalfi, per successivamente giungere alla definizioni degli obbiettivi di questa ricerca e la successiva stesura della metodologia che porti alla progettazione di nuove forme di compensazione dell’abuso edilizio in un territorio così delicato. Nella prima parte viene affrontato il problema della tutela del territorio italiano nel quale possiamo introdurre quello più specifico delle costruzioni illegali, quindi segue, per avere un quadro completo e reale della situazione, la descrizione della storia dell’abuso, le sue forme,i suoi numeri e gli strumenti vigenti per contrastarlo. A questo punto è logico pensare ad un focus su un’area specifica del territorio italiano, questo deriva dal bisogno di concentrarsi su un ambito più ristretto per definire un quadro conoscitivo più approfondito di uno specifico paesaggio culturale e quindi successivamente permettere la costituzione di un sistema progettuale valido e consapevole, immerso il più possibile nella reale situazione. Quindi viene descritto il territorio della Costiera Amalfitana, tanto bello e affascinante quanto delicato, ricco di grandi potenzialità, ma che è molto spesso deturpato dalla mano incurante dell’uomo, che rischia di compromettere per sempre un paesaggio culturale di inestimabile valore.


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Nella terza parte è descritta e presentata invece una possibile nuova procedura atta ad esprimere un giudizio su di un edificio o una nuova costruzione, che si pone come strumento per la valutazione del grado di abuso dell’edificio e del suo impatto sull’ambiente circostante. Nella quarta e ultima parte sono illustrate le modalità d’intervento su 6 casi, localizzati in vari comuni della fascia costiera presa in considerazione, nei quali dopo aver applicato la procedura di valutazione, vengono descritte le possibili azioni atte a ridefinire positivamente l’edificio abusivo ed il contesto in cui è inserito. Obbiettivo principale della ricerca è quello di offrire una strada alternativa alle soluzioni attuali nei confronti dell’abusivismo edilizio, nella quale si possa alleggerire il peso delle procedure che gravano sui comuni interessati che non riescono a sopperire e risolvere questo fenomeno e contemporaneamente illustrare delle forme di compensazione dell’abuso che possano trasformare una piaga reale del territorio, in una potenzialità per lo stesso.


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Mappa Mundi


CAPITOLO I Tutela del paesaggio la questione dell’abuso edilizio


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L’articolo n.9 della Costituzione Italiana sancisce come la repubblica “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Già molto tempo prima dell’unificazione del nostro paese, gli stati che componevano l’Italia si erano date delle regole ben precise per proteggere il patrimonio culturale sia artistico che paesaggistico del nostro territorio ed è stata sempre l’Italia la prima nazione ad introdurre la tutela del paesaggio all’interno dei principi fondamentali della sua costituzione. Nel corso del tempo poi diversi stati europei hanno preso esempio dal nostro paese, innovando le loro normative ed introducendo con forme e tempi diversi principi per la tutela del patrimonio culturale, così come poi fecero anche altre nazioni in Asia e Sud America. L’origine di questo atto di tutela può essere fatto risalire alla prima metà del settecento dove nelle principali città italiane si iniziò un processo di protezione attiva delle innumerevoli opere d’arte che vi erano conservate, successivamente con le leggi papali a Roma il principio si diffuse con ordinanze simili in tutti gli altri stati; Questo lo si deve anche alla costituzione e al radicamento all’interno delle diverse città dell’idea per la quale i monumenti e le opere d’arti costituivano elementi fondamentali dell’identità civica ed emotiva dei cittadini. La prima legge ebbe luce nel 1909 ed il testo originale contemplava anche elementi di tutela del paesaggio, che però non vennero mantenuti, ma il dibattito sulla protezione anche del patrimonio naturalistico ormai si era aperta, sotto la spinta anche delle esperienze europee ed americane; certo in Italia la questione era più profonda perché il paesaggio non è considerato elemento naturale, ma è intriso di cultura, arte e storia e si è modellato nel corso della storia attraverso la forte presenza umana. Per vedere quindi la prima legge sulla tutela del paesaggio bisogna aspettare il 1920 con Benedetto Croce che sottolineava nel testo come fondamentali per una reale conservazione le relazioni tra natura e cultura e tra interesse privato ed interesse pubblico. Successivamente nel 1939 con il ministro Bottai vennero emanate due nuove leggi che erano la conseguente evoluzione di quella del 1909 e del 1920, e che confermavano con decisione che la tutela del paesaggio e la tutela del patrimonio artistico, storico e archeologico sono elementi fondamentali di un’unico insieme. L’atto finale di questo processo iniziato molto lontano è rappresentato da quelle poche ma significative parole con cui ho iniziato il mio discorso: l’articolo 9 della Costituzione Italiana che sancisce lo strettissimo legame tra la tutela del patrimonio culturale e quello paesaggistico e la priorità dell’interesse pubblico rispetto a quello privato. Nel corso degli anni questa consapevolezza e questo principio di tutela sono stati sempre più disattesi ed ignorati, ed un processo durato secoli è stato sopraffatto dall’interesse economico e dalla speculazione, dall’irrilevanza di leggi e norme che vengono approvate, ma difficilmente applicate o più semplicemente aggirate, trasformandosi in principi negativi che distruggono e non tutelano il territorio. Devastante è stato per il nostro paese il mutamento normativo rispetto agli oneri di urbanizzazione contenuto nel testo unico per l’edilizia del 2001 e ancora più importante il susseguirsi di tre condoni edilizi, che hanno permesso legalmente di distruggere e compromettere il paesaggio; una totale inversione d’interessi e pensiero guidata da interessi politici ed economici.


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Gli stati preunitari con grande convinzione proteggevano già allora il patrimonio delle città e del territorio italiano dall’esportazione verso gli altri paesi, mentre ora siamo noi stessi che deturpiamo e modifichiamo irrimediabilmente il paesaggio culturale che ci circonda, ormai quasi inconsapevoli del suo inestimabile valore. E’ in questa ottica ed in questo contesto che voglio presentare la mia personale riflessione su uno dei processi più gravi e devastanti che stanno intaccando il paesaggio italiano: l’abuso edilizio. Nato e giustificato come una necessità nel primo dopoguerra si è poi evoluto e trasformato sotto la spinta della speculazione, aiutato e addirittura legalizzato dallo stesso stato e dai suoi politici, per interessi ben lontani da quelli del nostro paese e solo in alcuni casi realmente affrontato e contrastato, visto i rallentamenti burocratici ed i metodi risolutivi utilizzati, affrettati e non pensati per adattarsi al contesto culturale e sociale in cui vengono attuati e senza essere occasione di un possibile progresso del territorio e sviluppo della società. Da queste considerazioni nasce poi l’idea di trovare una possibile nuova forma di compensazione all’abuso edilizio che tuteli il paesaggio ed il patrimonio culturale, ma che allo stesso tempo possa essere processo evolutivo e positivo per il territorio in cui viene applicata ed occasione per ricostituire la consapevolezza riguardo al valore di questo patrimonio nelle persone, per una tutela che diventi attiva e non solo nominata nelle norme e nelle leggi. Nelle pagine successive descriverò la storia, le forme ed i numeri dell’abuso edilizio per tracciarne un quadro il più completo possibile e poi proseguire nell’evoluzione del lavoro di ricerca.


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Storia La data di nascita dell’abuso edilizio si può far coincidere con il ventennio fascista a Roma, città nella quale il potere ed il volere dei proprietari terrieri prevalse in maniera sistematica sulle disposizioni contenute nel Piano Regolatore del 1931; oltretutto il processo di speculazione edilizia venne già accentuato dal piano stesso che risultava essere sovradimensionato rispetto alle esigenze della capitale senza alcune gerarchia urbana. La situazione determinata dalla complicità del mondo politico dell’epoca e le proprietà fondiarie produsse ben 44 comprensori urbani che, per vari elementi, risulteranno difformi rispetto al Piano Regolatore. All'indomani della guerra, la situazione riguardante l'abusivismo conobbe un nuovo importante impulso a causa della imponente ondata di immigrazione e la contemporanea carenza di soluzioni pubbliche relative agli alloggi; tanto che a Roma, in risposta all'emergenza abitativa, il numero dei nuclei insediativi abusivi salì a 84. Esaurita la spinta del primo abusivismo di “necessità” dell'immediato dopoguerra, si è continuato purtroppo, nel tempo, a tollerare questo fenomeno, come dimostra il fatto che dieci anni dopo il primo condono del 1985 a Roma furono costruite diversi quartieri completamente abusivi. L'esempio di Roma evidenzia come in Italia sono state perse troppe occasioni di porre rimedio all’abusivismo attraverso l'intervento pubblico e lasciando, soprattutto al Sud, che la forza della rendita speculativa avesse la meglio sull'interesse pubblico. La presa di coscienza sul malcostume dell'abusivismo, venne indotto anche da tragedie come quella della frana di Agrigento del 1966: La frana iniziò nelle prime ore del mattino del 19 luglio all’estremità occidentale di Agrigento, avvertiti i primi smottamenti, la popolazione della zona fuggì e nel giro di un’ora dalla rocca del centro antico dove si era sviluppata la moderna città scivolarono verso valle migliaia di metri cubi di terra. Il bilancio fu di un centinaio i feriti e di 1.200 famiglie senza casa. Questo tragico evento confermò come negli anni precedenti vi fosse stata una espansione incontrollata del cemento, con la costruzione di palazzi di dimensioni inadatte sulla rocca della città antica. Il ministro dei Lavori Pubblici di allora, Giacomo Mancini, affidò al direttore generale dell´Urbanistica, Michele Martuscelli,


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il compito di condurre una inchiesta sulle cause della frana, conclusa in appena due mesi. Gli accadimenti sopra descritti portarono negli anni Sessanta a formulare alcuni tentativi di riforma urbanistica; quella più importante venne redatta da Fiorentino Sullo ministro democristiano dei lavori pubblici nel 1962: La sua proposta era innovativa per la realtà italiana. Sviluppava gli elementi positivi già introdotti nella legislazione italiana dalla legge urbanistica del 1942, adeguandola alla nuova realtà del paese: l'accresciuta dinamica insediativa, le consistenti differenze nell'organizzazione del territorio, la dimensione di massa della riconquistata democrazia. L'adeguamento alla nuova realtà imponeva di fare i conti con quello che era stato il dominus dell'espansione urbana e la matrice della forma sciagurata che le sterminate periferie avevano assunto nei primi tre lustri del dopoguerra: la rendita fondiaria. Le ragioni per cui Sullo voleva riformare la rendita fondiaria erano: l'enorme incremento del prezzo dei terreni, che si manifestava quando questi da agricoli divenivano idonei all'edificazione, incideva in modo insopportabile sul prezzo delle abitazioni, delle quali c'era un grande bisogno a causa sia dell'entità delle migrazioni interne sia dall'esigenza di migliorare le condizioni di abitabilità; inoltre l'entità della rendita urbana e la sua appropriazione da parte dei proprietari facevano sì che forma e struttura della città fossero determinati dall'unica regola del massimo sfruttamento economico d'ogni porzione di suolo, realizzando periferie invivibili. Purtroppo il naufragio della proposta di Sullo e l'assoluzione degli imputati della frana della città siciliana lanciarono un chiaro segnale di “via libera” all'abusivismo; di fatto, in Italia, si poteva trasgredire le regole senza essere puniti. Per di più, come già accennato, l'abusivismo venne legalmente disciplinato nel 1985 con la legge n. 47, provvedimento che permetteva di condonare gli edifici abusivi, questo avvenne pochi mesi prima dell’approvazione della cosiddetta legge Galasso che rappresentava la prima in materia di tutela del paesaggio italiano. A fronte di un avanzamento culturale in materia di pianificazione che avrebbe potuto risolvere in favore delle regole la piaga dell'abusivismo, si continuò invece nella pratica, quasi sistematica, della sanatoria. È infatti del 1994 il secondo provvedimento in materia di condono edilizio, inserito in un articolo di una legge che aveva per oggetto la razionalizzazione delle finanze pubbliche. L'abusivismo assume quindi una prevalente valenza economica, come testimoniato dalla matrice finanziaria che giustifica il nuovo condono; questa prassi è confermata anche nel terzo provvedimento di sanatoria del 2003, rintracciabile anch'esso in una misura relativa allo sviluppo e alla correzione dei conti pubblici. E’ notizia più recente, risalente a due mesi fa invece che è stato nuovamente proposto per la diciannovesima volta dal gennaio di ripristinare il condono edilizio e più nello specifico riporto le parole del Senatore Vincenzo Cuomo, oltretutto componente della commissione ambiente del Senato, che chiederebbe “la sospensione delle demolizioni, la riapertura dei termini del condono per i fabbricati realizzati fino al 31 marzo del 2003 e al massimo due anni di tempo ai comuni per decidere, pena lo scioglimento dell’amministrazione, se accogliere o respingere le istanze di sanatoria non ancora esaminate che giacciono nei cassetti del municipio”. La convinzione che la regolarizzazione degli abusi rappresenti un recupero di denaro per la collettività è però illusoria; è infatti dimostrato che i costi per una città nata senza pianificazione sono ben maggiori di quanto potrà mai essere recuperato con i proventi della sanatoria.


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Tale conclusione dovrebbe far riflettere sul sostanziale fallimento della pratica del condono, provvedimento che non solo danneggia l’economia e la cultura della legalità, ma legittima la presenza di intere aree urbane su suoli non idonei alla fabbricazione, deturpando, molto spesso, il paesaggio e ignorando, nella quasi totalità delle volte, le più elementari norme sulla sicurezza. In relazione a quest’ultimo aspetto, è opportuno rammentare che in Italia il 20% del territorio è interessato da movimenti franosi; soltanto questo dato dovrebbe far aumentare le cautele nel costruire e attribuire alla pianificazione territoriale un importante ruolo per la prevenzione e programmazione. Purtroppo, il mancato rispetto delle normative urbanistiche è la causa principale di tragici fatti di cronaca, anche recenti, riconducibili a frane, smottamenti e inondazioni. Per meglio esemplificare il rapporto tra abusivismo ed emergenza, è opportuno riportare due tragici eventi che hanno colpito la cittadina siciliana di Giampilieri e l’isola d’Ischia. A Giampilieri, il 1° ottobre 2009 una frana causò 36 vittime. Nella fase iniziale, le indagini non imputarono la disgrazia all’abusivismo edilizio; solo successivamente si giunse all'inquietante verità che nel 2007 ben 200 abitazioni avevano subito un'ordinanza di demolizione. Il territorio di Giampalieri, tra le altre cose, rientra come parte integrante del progetto del ponte sullo stretto di Messina. L'abusivismo è per sua stessa definizione l'esercizio di un'attività senza averne licenza, in urbanistica ciò si concretizza nel costruire non rispettando i vincoli. Perché allora non risolvere la questione abusivismo abolendo i vincoli, così come richiesto da abusivi e amministrazioni comunali di Ischia che, da tempo, esercitano forti pressioni per l'eliminazione di vincoli su terreni dichiarati inedificabili, ma anche questa come potete ben capire non è sicuramente ottimale per arrivare ad una soluzione. Nonostante il mancato accoglimento di tali richieste, la febbre del cemento ha indotto a costruire anche in zone ad alta rischiosità. E’ così che il 10 novembre 2009 una frana si stacca proprio dai suoli occupati da edifici abusivi, provocando una vittima e decine di senzatetto. Le varie situazioni di emergenza rappresentano, mediamente per lo Stato una spesa che oscilla dai 2,5 ai 3 miliardi di euro all'anno. Alcuni studi hanno constatato che, su base decennale, gli investimenti per mettere in sicurezza il territorio italiano ammonterebbero a circa 44 miliardi di euro, quindi è facile arrivare alla conclusione che visti anche gli investimenti fatti in questi anni dal governo Italiano, si potrebbe sicuramente effettuare una distribuzione più congrua e utile dei fondi a disposizione.


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Forme “abusivo: fatto senza averne diritto contro il disposto della legge”; questa è la definizione alla quale la legislatura del nostro paese sembra essersi ispirata, non facendo alcun riferimento alla tutela del territorio, che invece risulta essere l’elemento che subisce le conseguenze più gravi e meno considerate da parte di questa particolare forma di “anarchia”. in linea teorica solo a partire dal 1985, con la cosiddetta legge Galasso, si passa da una concezione di urbanistica intesa come sistema di norme tese allo sviluppo e sfruttamento del territorio ad una finalizzata alla conservazione del territorio (Centofanti, 2006, p. XXII). Si tratta di una considerazione che la dice lunga su come l’abusivismo edilizio sia stato percepito a livello istituzionale. Anche per quanto riguarda la tipologia dell’abuso esiste una grande varietà di casi e forme di classificazione; la suddivisione che più comunemente viene adottata nella distinzione dei vari abusi edilizi è quella che tiene conto dell’uso che si vuole fare dell’immobile stesso: è un’analisi rivolta a individuare lo scopo intimo del costruire che non dipende assolutamente dalla scelta di procedervi attraverso una modalità legittima o meno. Attraverso il concetto di destinazione finale, cui è votata l’ipotetica abitazione, l’edilizia “alternativa” si distingue così nelle forme “dell’abusivismo di necessità” e “dell’abusivismo di speculazione”: due esempi che rappresentano rispettivamente il passato e il presente dell’edilizia fuori legge in Italia. L’abusivismo cosiddetto “di necessità” è riferibile al bisogno di provvedere ad un’abitazione come luogo indispensabile in cui poter trascorrere la propria vita domestica. Rimanda il concetto a una situazione d’indigenza, di grave difficoltà economica, oltre che di un’inefficiente politica residenziale da parte dello Stato. La variante, generalmente designata come abusivismo “di speculazione”, costituisce una visione differente del diritto casa. Se le istituzioni hanno recepito con ritardo il principio secondo cui l’abitazione costituisce un bene primario e irrinunciabile, diverso è stato l’atteggiamento degli imprenditori più attenti. Ben presto la loro attività si è rivolta a colmare questo vuoto, aprendo la strada a nuovi e grandi guadagni. A questi si possono aggiungere altre tipologie altrettanto semplice, ma comunque interessante di classificazione dell’abuso edilizio: parliamo “dell’abusivismo reale”,


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trattasi essenzialmente di edifici realizzati in totale assenza di concessione edilizia, in genere su aree dove gli strumenti urbanistici non ne consentirebbero comunque il rilascio. E' un fenomeno esploso nelle periferie cittadine nel dopoguerra, ed è innegabile che, in buona misura, abbia costituito una risposta alla necessità di abitazioni degli strati più poveri della popolazione. Indagare sulle cause dell'inefficienza pubblica di fronte all'espansione demografica porterebbe assai lontano. Qui basti dire che in molti casi l'abusivismo è stato un "sottoprodotto" della grande speculazione edilizia e fondiaria, in certo modo ad essa funzionale, e che tutti i tentativi di dare in tempo utile al Paese una normativa urbanistica capace di porre un freno all'abuso sono falliti di fronte alla coalizione di forze politiche ed economiche. Ma era nella logica stessa del fenomeno che - sistemate in qualche modo le folle di senza tetto - esso si volgesse verso obiettivi più remunerativi. In epoca più recente è quindi iniziato il fenomeno dell'assalto alle coste, alle spiagge, ai boschi delle località turistiche, sovente con la copertura "morale" di presunte necessità abitative, di fatto inconsistenti. Resta tuttavia innegabile che l'abusivismo, concentrato soprattutto in alcune zone di ogni Regione, ha avuto effetti devastanti: le campagne intorno alle grandi città, la via Prenestina a Roma, l' area Vesuviana, Ischia e Capri, i Campi Flegrei, l'agro nocerino-sarnese e mille altri luoghi, a volte carichi di bellezza e di storia, sono stati massacrati, insieme a centinaia di Km. di coste, da questo fenomeno incivile. Caso paradigmatico quello del Monte Argentario - luogo mitico e supervincolato della "civile Toscana"- laddove nel '74 le denunce del WWF portarono alla scoperta di centinaia di edifici abusivi (o falsamente legali, ad esesmpio per essere stato autorizzato il "restauro" di manufatti inesistenti!), che nell'insieme stavano trasformando il Promontorio in una sola lottizzazione abusiva. Con “abusivismo legalizzato” ci si riferisce, ovviamente, al frutto dei vari condoni, sempre più simili nei loro effetti a un'incivile "sanatoria permanente". Per come è stata gestita tutta l'operazione condono non ha fatto che rafforzare la diffusa convinzione che, prima o poi, tutto sarebbe stato sanato, anche gli abusi a venire. Oltre a ciò, il gravissimo problema dei controlli, affidato in toto a amministrazioni locali sovente corresponsabili e a Soprintendenze dai mezzi irrisori, aveva fatto temere il peggio, che puntualmente si è verificato. Leggiamo oggi (stime del CRESME) che dal 31/12/1993 (ultima data utile per l'ammissione di immobili al condono) sono state realizzate oltre 200.000 nuove abitazioni abusive. Ed altre 230.000 case erano sorte nel giro di appena due anni (1983/4) come conseguenza del primo condono. E' dunque chiarissimo che gli abusivi non hanno mai creduto nel "giro di vite" annunciato al termine della sanatoria, ma che al contrario hanno approfittato dei condoni per realizzare sempre nuove costruzioni, anche a termini di condonabilità scaduti, contando di riuscire in qualche modo a sanarle (per successiva riapertura dei termini, ovvero truccando le denunce per quanto concerne le date di costruzione). Per ultima invece trattiamo qull’edilizia, perchè non possiamo più tecnicamente parlare di abuso, “semilegale” o “formalmente legale”.Qui il discorso si fa più complesso, infatti se per edifici "semilegali" si possono intendere quelli realizzati in grave difformità dai progetti approvati, ovvero sulla base di progetti che non avrebbero potuto essere approvati (esempio classico: abitazioni munite di "regolare" concessione edilizia, ma che nell'insieme formano una lottizzazione), per edifici


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"formalmente legali" si debbono intendere invece quelli muniti di tutti i "pezzi di carta" necessari, ma che ugualmente hanno sul territorio un impatto devastante. Oggi il quadro generale è indubbiamente mutato: costruita gran parte del costruibile l'attenzione va fatalmente spostandosi verso la salvaguardia di ciò che è rimasto, e verso un parziale recupero dell'ambiente,dove possibile, che passa per la demolizione degli abusi peggiori e la "decostruzione" di manufatti anche legali ma ambientalmente insostenibili (riconversione di aree industriali obsolete, difesa dei terreni agricoli, ecc.), oppure verso una strada alternativa di conversione e compensazione dell’abuso che oltre alle azioni appena citate abbraccia e considera anche altri e diversi aspetti, secondo me determinanti per un’ effettiva e reale azione contro questo fenomeno e contro le forme fino ad ora utilizzate e che non hanno portato ad alcun risultato tangibile; questo nuova possibile strategia è il frutto di questo lavoro di ricerca è sarà illustrata nella terza parte dello scritto. Altra distinzione che è possibile fare nel tentativo di gerarchizzare l’abuso edilizio è quella che si basa sulla grandezza e l’estensione dell’elemento non autorizzato; nello specifico si intende distinguere il “microabusivismo” ed il “macroabusivismo” in modo da differenziare gli edifici che sono totalmente o per la maggior parte della loro dimensione abusivi (dal 30% al 100% delle dimensioni) da quelli che hanno delle piccole parti o ridotte estensioni del loro corpo di fabbrica senza autorizzazione (dal 1% al 30% delle dimensioni). Questa distinzione è dettata dal fatto che in diversi casi la costruzione o l’aggiunta al corpo di fabbrica originario di uno o più elementi di dimensioni ridotte non ha un impatto sul territorio così elevato come nel caso di un edificio totalmente o anche solo per metà abusivo, ma può essere un elemento, rimanendo comunque illegale, che viene riassorbito dal contesto urbano in cui si trova e quindi risolto con piccole direttive o linee guida che il comune indica. Comunque questo tipo di distinzione deve essere accompagnata da un’attenta valutazione specifica caso per caso, ma risulta molto importante ed utile quando viene fatta all’interno di un sistema che valuta l’abuso con l’intento poi di definire una possibile compensazione del reato.


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Numeri Dai rapporti di varie associazioni e la raccolta di numerosi articoli reperiti sia sui giornali che online emerge un quadro davvero inquietante riguardo all’abusivismo in Italia e più in generale all’ecomafia nel nostro paese. Dal più recente rapporto di Legambiente emergono numeri spaventosi: 16,7 miliardi di euro di fatturato, 34.120 reati accertati, 28.132 persone denunciate, 8.286 sequestri effettuati. Aumentano i clan coinvolti (da 296 a 302), quadruplicano i comuni sciolti per infiltrazioni mafiose (da 6 a 25), salgono gli incendi boschivi, cresce l’incidenza dell’abusivismo edilizio e soprattutto la piaga della corruzione con il raddoppio delle denunce e degli arresti.“Il business della criminalità organizzata non conosce recessione e, anzi, amplia i suoi traffici con nuove rotte e nuove frontiere” “Con una lungimiranza e una profondità che politici, imprenditori, istituzioni e cittadini spesso non hanno o fanno finta di non avere, (le mafie) sono riuscite a fare sistema penetrando in tutti i settori della nostra esistenza in maniera globale e totalitaria”.Carlo Lucarelli, Prefazione rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente 34.120 reati, 28.132 persone denunciate, 161 ordinanze di custodia cautelare, 8.286 sequestri, per un giro di affari di 16,7 miliardi di euro gestito da 302 clan, 6 in più rispetto a quelli censiti lo scorso anno. I numeri degli illeciti ambientali accertati lo scorso anno delineano una situazione di particolare gravità. Il 45,7% dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) seguite dal Lazio, con un numero di reati in crescita rispetto al 2011 (+13,2%) e dalla Toscana, che sale al sesto posto, con 2.524 illeciti (+15,4%). Prima regione del Nord Italia, la Liguria (1.597 reati, +9,1% sul 2011). Da segnalare per l’incremento degli illeciti accertati anche il Veneto, con un +18,9%, e l’Umbria, passata dal sedicesimo posto del 2011 all’undicesimo del 2012. Crescono nel 2012 anche gli illeciti contro gli animali e la fauna selvatica (+6,4% rispetto al 2011), sfiorando quota 8.000, a una media di quasi 22 reati al giorno e ha il segno più anche il numero di incendi boschivi che hanno colpito il nostro paese: esattamente +4,6% rispetto al 2011, un anno orribile per il nostro patrimonio boschivo dato che aveva fatto registrare un picco del 62,5% rispetto al 2010. È la Campania a guidare anche quest’anno la classifica dell’illegalità ambientale nel nostro paese, con 4.777 infrazioni accertate (nonostante la riduzione rispetto al 2011


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del 10,3%), 3.394 persone denunciate e 34 arresti. E il discorso vale sia per il ciclo illegale del cemento sia per quello dei rifiuti. E’ un’economia che non conosce la parola recessione quella fotografata da Ecomafia 2013, il rapporto annuale di Legambiente realizzato grazie al contributo delle Forze dell’ordine, con prefazione di Carlo Lucarelli ed edito da Edizioni Ambiente, sulle storie e i numeri dell’illegalità ambientale in Italia, presentato oggi a Roma nel corso di una conferenza stampa che ha visto la partecipazione, tra gli altri, del Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, del Presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, del responsabile dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente Enrico Fontana, del procuratore nazionale antimafia Giusto Sciacchitano, del Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati Ermete Realacci e del Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati Donatella Ferranti. Nel ciclo del cemento bisogna segnalare il secondo posto della Puglia, che per numero di persone denunciate risulta essere la prima regione d’Italia; la leadership tra le regioni del Nord della Lombardia; la crescita esponenziale degli illeciti accertati in Trentino Alto Adige, quasi triplicati in un anno; il balzo in avanti della Basilicata, che con 227 illeciti arriva al decimo posto (nel 2011 era quindicesima). Nel ciclo dei rifiuti spiccano l’incremento dei reati registrato in Puglia (+24%), al terzo posto dopo Campania e Calabria, e il quinto posto raggiunto dalla Sardegna. Anche in questa filiera illegale la provincia di Napoli è al primo posto in Italia, seguita da Vibo Valentia, dove si registra un + 120% di reati accertati rispetto al 2011. L’incidenza dell’edilizia illegale nel mercato delle costruzioni è passata dal 9% del 2006 al 16,9% stimato per il 2013. Mentre le nuove costruzioni legali sono crollate da 305.000 a 122.000, quelle abusive hanno subito una leggerissima flessione: dalle 30.000 del 2006 alle 26.000 nel 2013. A fare la differenza sono ovviamente i costi di mercato: a fronte di un valore medio del costo di costruzione di un alloggio con le carte in regola pari a 155.000 euro, quello illegale si realizza con un terzo dell’investimento, esattamente 66.000 euro. Non sarebbe comunque un buon affare se si corresse davvero il rischio della demolizione, ma si tratta di un’eventualità purtroppo remota: tra il 2000 e il 2011 è stato eseguito appena il 10,6% delle 46.760 ordinanze di demolizione emesse dai tribunali. Una goccia nella vera e propria ondata di cemento abusivo che si è abbattuta sul nostro paese: dal 2003 al 2012 sono state 283.000 le nuove case illegali, con un fatturato complessivo di circa 19,4 miliardi di euro. Altro dossier di Legambiente fornisce nuovi dati riguardo i reati sulle coste italiane e l’abusivismo sulle aree demaniali ed anche questi non sono assolutamente promettenti; E’ di nuovo la Sicilia a guidare la classifica dell’abusivismo edilizio nelle aree demaniali, con 476 illeciti, 725 persone denunciate e 286 sequestri. Al secondo posto si colloca, come lo scorso anno, la Campania, dove si riscontra, però, il maggior numero di sequestri, mentre sale sul “podio” la Sardegna, che scala due posizioni rispetto al 2011 e si segnala anche per essere la regione con il maggior numero di persone denunciate, ben 988. Le altre due regioni a tradizionale presenza mafiosa (Puglia e Calabria) occupano rispettivamente la quarta e la quinta posizione.


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strumenti e metodi vigenti Definizione di abuso edilizio Per «abuso edilizio» si intende, in generale, l'intervento edilizio eseguito in assenza del titolo edilizio richiesto, in totale difformità dallo stesso o con variazioni essenziali. Si tratta dunque di figura eterogenea, che comprende tipologie di abuso edilizio assai diverse tra loro. La repressione dell'abuso edilizio: inquadramento sistematico E' noto che l'ordinamento ha interesse alla repressione degli abusi edilizi, anche minimi che spesso impediscono , prima della loro demolizione, l'applicazione dei benefici ordinariamente concessi dalla legge. La repressione può però avvenire con differenti modalità, a seconda delle concrete caratteristiche che contraddistinguono il singolo abuso edilizio. Le differenti modalità di repressione dipendono in larga parte dalla disomogeneità delle fonti che si sono succedute in passato in tema di abusi edilizi. Di tale disomogeneità rimane traccia anche nel testo unico sull'edilizia (DPR 380/01), il cui titolo IV, dedicato a «vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, responsabilità e sanzioni», affronta il tema dell'abuso edilizio in modo non sempre coerente. In diversi casi è il medesimo Testo unico che ricorda la necessità di acquisire le prescritte autorizzazioni in materia ambientale: _Ai fini del rilascio del permesso di costruire lo Sportello unico dell’edilizia deve acquisire direttamente, se non allegati alla relativa istanza, l’autorizzazione dell’autorità competente per costruzioni contigue al demanio marittimo (art. 54 cod. nav.), i nullaosta paesaggistici e storico-culturali (artt. 21 e ss. e 146 e ss, 159 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed autorizzazioni), il parere in materia di rispetto del vincolo idrogeologico (regio decreto n. 3267/1923 e successive modifiche ed integrazioni), il nullaosta dell’Ente di gestione dell’area naturale protetta ai sensi dell’art. 13 della legge n. 394/1991 e successive modifiche ed integrazioni (artt. 5 R e 20 R del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni)[1];


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_Deve essere verificata preventivamente l’eventuale sussistenza di disposizioni ostative da parte del decreto legislativo n. 490/1999 per la realizzazione di interventi (es. opere temporanee di ricerca nel sottosuolo, ecc.) e di opere in assenza di pianificazione urbanistica (artt. 6 L e 9 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Non può essere rilasciato il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici (e per sole strutture pubbliche o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale) senza il rispetto della normativa di tutela paesaggisticoambientale (decreto legislativo n. 490/1999) ed “altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”, in primo luogo le altre normative in materia ambientale (art. 14 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni). Viene reso più chiaro e rapido il complesso delle competenze e degli interventi in sede di vigilanza edilizia (titolo IV, capo I del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni): _La vigilanza in materia urbanistico-edilizia è esercitata dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale: quando accerta l’inizio di opere senza titolo su aree tutelate da leggi statali, regionali, da altre norme urbanistiche (es. strumenti urbanistici comunali) vigenti o adottate con vincolo di inedificabilità o destinate a spazi pubblici o a interventi di edilizia residenziale pubblica (legge n. 167/1962 e successive modifiche ed integrazioni), provvede direttamente alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi. In caso di persistenza anche di altri vincoli di natura ambientale (vincolo paesaggistico, usi civici, vincolo idrogeologico) il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi previa informazione alle amministrazioni pubbliche competenti, le quali possono intervenire anche di propria iniziativa (art. 27 L, commi 1° e 2°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _In caso di accertamento di altre violazioni della normativa urbanistico-edilizia il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale ordina l’immediata sospensione dei lavori fino a provvedimenti definitivi da emanarsi e notificarsi entro i successivi 45 giorni (art. 27 L, comma 3°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che riscontrino la mancata esibizione del permesso di costruire nel luogo interessato o la mancanza del cartello “inizio lavori” ovvero in tutti i casi di presunta violazione delle normative in materia ne danno immediata comunicazione all’Autorità giudiziaria, al competente Organo regionale ed al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, che provvede, entro i successivi 30 giorni, ad effettuare i necessari accertamenti ed a emanare gli eventuali necessari provvedimenti (art. 27 L, comma 4°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Nel caso in cui si verifichino le precedenti ipotesi in relazione ad opere statali, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale ne informa immediatamente la Regione ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a cui compete l’emanazione – d’intesa con il Presidente della Giunta regionale – dei provvedimenti in merito (art. 28 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);


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_Il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore ed il direttore dei lavori sono responsabili, a vario titolo, delle violazioni di legge, regolamentari e del titolo autorizzativo eventualmente riscontrate (art. 29 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni). Particolare attenzione è stata riservata alle sanzioni di tipo amministrativo (titolo IV, capo II del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni): _Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengano iniziate opere (anche di minima entità) che comportano trasformazione urbanistica o edilizia in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati o di leggi statali o regionali ovvero in assenza delle prescritte autorizzazioni, nonché quando tale trasformazione venga predisposta con atti di frazionamento, vendita o equivalenti in lotti che, per ampiezza, numero, ecc., facciano ritenere in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio (art. 30 L, comma 1°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni, vds. per tutti Cons. Stato, sez. V, 3 luglio 2003, n. 3973). I relativi atti tra vivi sono nulli e, se non si tratti di aree censite dal nuovo catasto edilizio urbano di superficie inferiore a metri quadrati 5.000, qualsiasi atto in materia deve essere corredato dal certificato di destinazione urbanistica (validità un anno se non sono intervenute varianti urbanistiche) rilasciato entro 30 giorni dalla richiesta dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale (art. 30 L, commi 2° e 3°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni)[2]; _Nel caso in cui il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio non autorizzata, ne dispone con ordinanza la sospensione, che comporta l’immediata interruzione dei lavori e il divieto di disporre dei terreni (anche da trascrivere nei registri immobiliari): trascorsi 90 giorni senza revoca del provvedimento, le aree sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del Comune ed il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale provvede direttamente alla demolizione delle opere, mentre in caso di inerzia devono intervenire i poteri sostitutivi regionali (artt. 30 L, commi 7° ed 8°, e 31, comma 8°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Nel caso in cui il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di interventi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali (quest’ultima ipotesi è regolata dall’art. 32 L D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni e dalle leggi regionali: in caso di interventi in aree tutelate con vincoli ambientali, storico-culturali, artistici tali interventi sono considerati sempre in totale difformità dal permesso), ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi con l'avvertenza che, nell’ipotesi dell’inottemperanza, l’area sarà acquisita di diritto e gratuitamente in favore del patrimonio comunale[3]. Trascorsi inutilmente i 90 giorni assegnati, l’accertamento dell’inottemperanza, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari (art. 31 L, commi 1° - 4°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni). L’opera così acquisita è demolita su ordinanza del dirigente o responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso edilizio, salvo che con deliberazione del Consiglio comunale non venga dichiarata l’esistenza di prevalenti interessi pubblici in assenza, però, di rilevanti interessi urbanistici o ambientali, rilevati – secondo giurisprudenza costante – dalle rispettive


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amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei vincoli medesimi (art. 31 L, comma 5°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Qualora gli interventi abusivi siano stati realizzati su aree tutelate da leggi statali e regionali con vincolo di inedificabilità l’acquisizione gratuita, in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione e riduzione in pristino, si verifica in favore delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei medesimi vincoli, che provvedono alla demolizione degli abusi ed al ripristino ambientale; tuttavia in caso di concorso di vincoli l’acquisizione opera in favore del Comune (art. 31 L, comma 6°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _In caso di inerzia dei competenti organi comunali protrattasi per 15 giorni dall’accertamento dell’abuso o per 45 giorni dalla sospensione dei lavori, deve intervenire il competente Assessorato regionale in via sostitutiva, adottando i provvedimenti eventualmente necessari ed informandone l’Autorità giudiziaria ai fini dell’esercizio dell’azione penale (art. 31 L, comma 8°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni). Per tali opere abusive la sentenza penale di condanna deve ordinarne la demolizione, se non altrimenti eseguita (art. 31 L, comma 9°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni)[4]; _Analoghi procedimenti devono essere posti in essere dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale anche in caso di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità (art. 33 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni): quando siano interessati immobili tutelati ai sensi del decreto legislativo n. 490/1999 sarà l’amministrazione pubblica preposta alla tutela dello specifico vincolo ad ordinare la rimessione in pristino a cura e spese del responsabile dell’abuso, indicandone criteri e modalità ed irrogando la prevista sanzione pecuniaria (art. 33 L, comma 3°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Quando l’intervento abusivo sia realizzato da soggetto privato in assenza o in parziale o totale difformità dal permesso di costruire su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, previa diffida non rinnovabile, ordina la demolizione e la riduzione in pristino a cura del Comune ed a spese del responsabile dell’abuso, dandone comunicazione all’ente proprietario dell’area: naturalmente gli Enti titolari possono provvedere direttamente, restando fermi i poteri di autotutela dello Stato, degli altri enti pubblici territoriali e degli altri enti pubblici previsti dalla normativa vigente (art. 35 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Comunque fino all’irrogazione delle prescritte sanzioni amministrative il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile possono, in caso di interventi realizzati in assenza del permesso di costruire o in difformità, conseguire il permesso in sanatoria (c.d. accertamento di conformità) qualora l’intervento abusivo risulti conforme alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente al momento di realizzazione del medesimo ed al momento di presentazione della relativa istanza (c.d. principio della doppia conformità): dopo il pagamento della prevista oblazione si pronuncia entro 60 giorni il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale; se il termine trascorre inutilmente, la richiesta s’intende respinta (art. 36 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni). Analoghe procedure si applicano in caso di interventi abusivi eseguiti in assenza o in difformità della d. i. a. e dell’accertamento di conformità (art. 37 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);


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_In caso di annullamento del permesso di costruire e non sia possibile la rimozione dei relativi vizi del procedimento o la riduzione in pristino, il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale provvede ad irrogare una sanzione pecuniaria pari al valore venale dell’intervento abusivo indicato dall’Agenzia del territorio (anche in base ad accordi con il Comune): il pagamento integrale della sanzione pecuniaria produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria (art. 38 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Entro 10 anni dall’emanazione dell’atto ed entro 18 mesi dall’accertamento, previa contestazione delle violazioni finalizzata ad eventuali controdeduzioni, la Regione può annullare provvedimenti comunali (deliberazioni Consiglio comunale, permessi di costruire, ecc.) che autorizzano interventi non conformi a strumenti di pianificazione o regolamenti edilizi o a disposizioni normative: nelle more del procedimento di annullamento può essere ordinata la sospensione dei lavori, mentre – entro 6 mesi dal provvedimento di annullamento – deve essere ordinata la demolizione delle opere eseguite in base al titolo annullato (art. 39 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _La Regione – in caso di inerzia comunale – può disporre la sospensione (per la durata massima di 3 mesi) o la demolizione degli interventi eseguiti in assenza/ contrasto con il permesso di costruire o in violazione di norme o di strumenti di pianificazione. La demolizione può essere ordinata entro il termine di 5 anni decorrente dalla dichiarazione di agibilità. Il provvedimento regionale che dispone la modifica dell’intervento, la rimessa in pristino o la demolizione dell’intervento abusivo prevede un termine entro il quale deve provvedere il responsabile dell’abuso: scaduto inutilmente, procede direttamente il competente Organo regionale in danno dei responsabili (art. 40 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _In tutti i casi in cui la demolizione degli abusi edilizi e la riduzione in pristino devono avvenire a cura del Comune, sono disposte dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, previa valutazione tecnico-economica approvata dalla Giunta municipale e su esecuzione di imprese economicamente e tecnicamente idonee mediante affidamento dei lavori – se ne ricorrono i presupposti di legge – anche a trattativa privata. Quando sia impossibile l’affidamento dei lavori, deve esserne informato l’Ufficio territoriale del Governo, il quale provvede alle necessarie operazioni mediante i mezzi a disposizione della pubblica amministrazione (es. mezzi militari, previa convenzione fra i Ministeri interessati) ovvero, se i lavori non sono eseguibili direttamente, mediante idonea impresa privata individuata anche con procedure negoziali aperte per l’aggiudicazione di contratti d’appalto per demolizioni da eseguirsi all’occorrenza (art. 41 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni). Abusivismo edilizio – sanzioni penali. Anche relativamente alle sanzioni penali nei casi di abusivismo edilizio le disposizioni principali sono quelle del Testo unico sull’edilizia (titolo IV, capo II del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni): _Le sanzioni penali, salvo che il fatto costituisca più grave reato, sono previste per le seguenti fattispecie: inosservanza di norme, prescrizioni, modalità esecutive disposte nel Testo unico dell’edilizia, negli strumenti di pianificazione, nei regolamenti edilizi o nel permesso di costruire (ammenda fino a 10.329,14 euro); esecuzione di lavori in


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assenza o totale difformità dal permesso di costruire o prosecuzione in presenza di ordine di sospensione (arresto fino a due anni e ammenda da 5.164,57 a 51.645,69 euro); lottizzazione abusiva o interventi in assenza, variazione essenziale o totale difformità dal permesso di costruire in aree tutelate con vincoli ambientali, paesistici, storici, artistici, archeologici (arresto fino a due anni e ammenda da 15.493,71 a 51.645,69 euro). La sentenza definitiva del giudice penale che accerta la lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni interessati e delle opere abusive realizzate: per effetto delle confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio comunale, mentre la sentenza costituisce titolo per l’immediata trascrizione nei registri immobiliari (art. 44 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _L’azione penale, tuttavia, deve essere sospesa fino alla conclusione degli eventuali procedimenti di sanatoria (vds. art. 36 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni) o degli eventuali procedimenti giurisdizionali avverso il diniego di permesso in sanatoria: in quest’ultimo caso il Presidente del T.A.R. adito fissa d’ufficio l’udienza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso. L’eventuale rilascio del permesso in sanatoria estingue i reati contravvenzionali previsti dalla vigente normativa urbanistica (art. 45 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Tutti gli atti fra vivi, in qualsiasi forma, aventi ad oggetto la costituzione o il trasferimento di diritti reali su edifici o parti di essi la cui costruzione sia iniziata dopo il 17 marzo 1985 (data di entrata in vigore della legge n. 47/1985) sono nulli se non risultino per dichiarazione dell’alienante gli estremi del permesso di costruire o in sanatoria (sono validi solo gli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti di garanzia o servitù). L’omissione di dichiarazione può essere successivamente sanata mediante atto di analoga forma, mentre in caso di acquisizione dietro procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali l’aggiudicatario può presentare istanza di permesso in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del provvedimento dell’Autorità giudiziaria (art. 46 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni). Il ricevimento e l’autenticazione di atti nulli (vds. artt. 30 L e 46 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni) da parte di notai costituisce l’ipotesi di reato di cui all’art. 28 della legge notarile n. 89/1913 e successive modifiche ed integrazioni, mentre i pubblici ufficiali devono osservare le disposizioni di cui all’art. 30 L del Testo unico sull’edilizia in caso a trasferimenti o divisioni di terreni (art. 47 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni); _Qualora la demolizione delle opere abusive non sia avvenuta in via amministrativa, la sentenza penale di condanna deve ordinarne la demolizione (art. 31 L, comma 9°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni)[5].


CAPITOLO 2 La Costiera Amalfitana paesaggio culturale in pericolo


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Dopo aver affrontato la questione dell’abuso edilizio ad una scala nazionale visualizzandone anche le evoluzioni storiche e le diverse forme in cui può essere classificato, la mia ricerca scende di scala, per concentrarsi su una parte di territorio specifica. Questo focus deriva dalla necessità di concentrarsi su un ambito più ristretto per comporre un quadro conoscitivo più approfondito di uno specifico paesaggio culturale e quindi successivamente rendere possibile la costruzione di un sistema progettuale valido e consapevole, calato quanto più possibile nella reale situazione. La scelta è ricaduta su di un ambito molto particolare dove confluiscono vari elementi e vari processi economici e territoriali: la Costiera Amalfitana. Questo tratto di costa che va da Vietri sul Mare a Positano, comprende tredici comuni distribuiti sulla costa e nell’entroterra che affacciano sul golfo di Salerno, fa parte della penisola Sorrentino-Amalfitana ed è caratterizzato da alte scogliere e rilievi aspri, da piccoli centri abitati che si sono sviluppati sulle colline e allo sbocco delle vallate, da un paesaggio caratterizzato da vegetazione spontanea della fascia mediterranea che convive con quello agrario dove si susseguono ampi terrazzamenti dove vengono coltivati limoni, viti e ulivi. Dal 1997 inserita nella World Heritage List dell’UNESCO per il suo enorme valore paesaggistico e culturale. soggetta a distacchi di massi dalla roccia affiorante, a frane, smottamenti e colate rapide di fango in occasione di precipitazioni particolarmente intense, la Costa d'Amalfi è un territorio fragile, continuamente esposto ad un forte rischio idrogeologico. Questo splendido territorio però è ormai da diverso tempo sfondo di enormi abusi edilizi e di speculazioni gravissime che insieme ad altre concause ne stanno devastando il paesaggio e stanno provocando una perdita d’identità da parte dei suoi abitanti. La scelta dell’ambito territoriale quindi è stata fatta anche per la grande volontà di affrontare una tematica difficile come quella dell’abuso edilizio in un territorio delicato, fragile con un’inestimabile patrimonio culturale, per poi trovare delle soluzioni concrete che potessero essere occasione di tutela del paesaggio e di sviluppo per la società e per gli abitanti e poi successivamente esportabili in altri ambiti territoriali.


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Paesaggio La complessa distribuzione orografica definita dalla presenza di profonde incisioni prodotte da remote erosioni, con la ricercata e diffusa antropizzazione storica del paesaggio, che si contrappone alla grandiosità del contesto geologico-vegetazionale, fanno di questa parte di territorio una delle zone turistiche più belle e suggestive d’Italia. La Costa d’Amalfi, che è parte della penisola Sorrentino-Amalfitana ha una morfologia prevalentemente costituita da rilievi con pendici mediamente ripidi, interrotti da stretti valloni fluviali e da limitate aree pianeggianti. Tutta l’area impegna gran parte del versante meridionale dei Monti Lattari il cui versante principale si estende da punta della Campanella al Monte S.Michele (1.444 m. s.l.m.), al Monte Candelitto (1.201 m.) e al Monte Cerreto (1.316 m.), oltre a quest’ultimo il costone principale descrive un’arco che delimitando la conca di Tramonti, tocca il Monte di Chiunzi (855 m.), il Monte S.Angelo (1130 m.) e il Monte Telefono (1138 m.). Queste formazioni montuose presentano un’intensa attività di fratturazione da cui un’ elevata permeabilità e quindi la costituzione di un unico complesso idrogeologico e un buon serbatoio idrico, infatti l’idrografia superficiale risulta caratterizzata da numerosi incavi che occupano soprattutto il displuviale meridionale dove si trovano tra i principali quelli dei torrenti Reginna Major, Sambuco e Dragone. Questi torrenti caratterizzano alcune delle valli presenti sul territorio che vanno dalla costa all’entroterra, la valle del Canneto che va da Amalfi a Scala, la valle del Dragone con Atrani e Ravello, la valle del Reginna Minor che va da Minori a Ravello e la valle del Reginna Maior da Maiori a Tramonti. La grande variabilità oro-idrografica della Costa d’Amalfi e l’insita diversificazione morfologica tra le diverse zone che la compongono, determinano al suo interno la presenza di delimitati microclimi per nulla omogenei; La natura spesso molto accidentata dei luoghi determina fattori di soleggiamento molto diversificati anche in aree contigue, che insieme alla grande variabile altimetrica ed al mitigante influsso del mare, portano una notevole variazione delle caratteristiche vegetazionali presenti nell’area. La presenza del mare e di un entroterra montuoso costituisce una delle cause per cui


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gli inverni si presentano miti e piovosi e le estati secche, ma non eccessivamente calde, ponendo l’area presa in considerazione in una situazione privilegiata anche dal punto di vista climatico; Le temperature medie annue restano infatti comprese tra i 16 e i 20° C lungo costa e tra i 12 ed i 16° C nel versante settentrionale, con minime nelle zone dei versanti più elevati. I mesi invernali sono i più freddi con una temperatura media di 8,5 °C; in primavera si attesta vicino ai 14 °C per poi salire a 16,5 °C in autunno ed arrivare fino a 22°C in estate, l’escursione termica media comunque è compresa tra i 16 ed i 18°C. Visto la variegata conformazione geo-morfologica e pedologica della Costa d’Amalfi il quadro vegetazionale della stessa risulta relativamente complesso e presenta una grande varietà di manifestazioni naturali. Lungo il versante montuoso, la vegetazione spontanea risulta divisa in tre fasce: la prima, quella marittima, dove prevale la presenza del carrubo e l’olivastro, quella collinare con la massiccia presenza del leccio e l’ultima fascia quella delle zone più elevate caratterizzata dall’ontano napoletano e il castagno. L’insieme delle manifestazioni naturalistiche a antropiche ha contribuito alla creazione di un luogo ricco di elementi eccezionalmente singolari. Caratteristico infatti della fascia collinare e costiera è la presenza di un paesaggio agrario basato sulla creazione di muri a secco di pietra calcarea che adempiono alla funzione di contenimento della terra stessa e che si sviluppano sulle pendici delle colline fino ad arrivare al mare, definendo una successione di terrazze aventi pochi metri di larghezza. Il terreno non viene mai lavorato tramite aratura o fresatura, per evitare un eccessivo movimento dello stesso, ma si procede solamente al taglio delle erbe infestanti e si destinano i terrazzamenti nella più alta percentuale a colture fisse quali: Limoni, viti e olivi (sopratutto nella zona precollinare di Ravello). La difficoltà nel meccanizzare le pratiche agricole, insieme alla poca praticità nelle coltivazioni e l’ elevata parcellizzazione dei terreni concorrono al sempre più evidente abbandono dei terrazzamenti che successivamente permette la crescita di vegetazione spontanea che impedisce ogni tipo di visibilità. Nei tessuti dei centri urbani, distribuiti sia sulla costa che nell’entroterra di questo territorio, si possono poi trovare terreni dedicati all’orticoltura ed ai seminativi, questi ultimi in particolare sono molto diffusi nella valle di Tramonti dove i pendii risultano meno acclivi e quindi si manifesta una maggiore presenza di terreni endogeni. Nelle zone montane invece dove non affiora la roccia si coltiva il castagno, da cui si ricavano sia i frutti sia i pali poi da utilizzare nei vigneti e questo porta al continuo bisogno di pulizia del sottobosco e taglio del ceduo. Davvero interessante poi risulta essere la valle delle Ferriere a nord di Amalfi, dove è stata istituita anche una riserva naturale per il suo valore naturalistico, vista la presenza oltre di un fittissimo sottobosco anche di alcune specie vegetali particolari: la Pteris Cretica e la Woodardia Radicans; specie tropicali presenti nella valle grazie ad un particolare microclima e ad un alto tasso di Umidità.


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Patrimonio Ambientale e Naturalistico della Costiera Amalfitana 10 Parchi Nazionali

Parchi Regionali

9

Aree Marine protette

Benevento 8 Caserta

1. Parco Nazionale Cilento e Vallo di Diano 2. Parco Nazionale del Vesuvio 3. Parco Monti Picentini 4. Parco del Fiume Sarno 5. Parco Campi Flegrei 6. Parco Monti Lattari 7. Parco Partenio 8. Parco Taburno Camposauro 9. Parco Roccamonfina Foce Garigliano 10. Parco Matese 11. Area Marina Protetta Regno di Nettuno 12. Parco Sommerso Baia 13. Parco Sommerso Gaiola 14. Area Marina Protetta Punta Campanella

Avellino

7

Napoli 2

5

4

11 12

13

3 Salerno

6 14

1

Sito di importanza Comunitaria (SIC)

Zone di Protezione Speciale (ZPS)

Parco Regionale dei Monti Lattari

Riserva Naturale statale valle delle ferriere

Tramonti Salerno

Mare

Scala

Ravello

Cetara Minori Maiori

Atrani Positano

Amalfi

Praiano Furore


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Tramonti Salerno

Mare

Minori

Scala

Amal

Ravello

Maiori

Cetara

Atrani

Positano

Furore

Conca

Praiano

L'Ente Parco Regionale dei Monti Lattari è l’organismo di gestione del Parco, istituito il 13 novembre del 2003, con Decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania n. 781, per tutelare il patrimonio dei Monti Lattari, cerniera tra i due versanti della Penisola sorrentino-amalfitana. I monti Lattari sono il prolungamento occidentale dei Monti Picentini dell'Appennino Campano, costeggiando l'Agro nocerino sarnese, si protendono nel mar Tirreno formando la penisola sorrentina. Devono il loro nome alle capre che vi pascolavano, fornitrici di ottimo latte da cui il nome latino lactariiis. La catena montuosa è delimitata a nord-ovest dal golfo di Napoli, a nord dalla pianura del fiume Sarno, ad est dalla vallata metelliana ed a sud dal golfo di Salerno. I monti sono di formazione calcarea e raggiungono la massima elevazione nei 1444 metri del Monte San Michele, seguito dal Monte Cerreto (1316 m) a ovest, e a nord dal Monte Faito (1131 m). Proseguendo verso est i monti raggiungono i 1130 m del Monte Sant'Angelo di Cava che insieme al Monte Finestra (1138 metri) ed al Monte dell'Avvocata (1014 metri), costituisce il margine orientale della catena montuosa prima che questa digradi nella valle di Cava dei Tirreni e in quella del torrente Bonea che sfocia nel golfo di Salerno a Vietri sul Mare. Nel territorio ricadono quattro siti naturalistici di interesse comunitario: la Dorsale dei Monti Lattari, la Costiera amalfitana, la Penisola Sorrentina, i fondali marini tra Punta Campanella e Capri, il suggestivo Scoglio del Vervéce. Il territorio del parco è infatti a cavallo tra le province di Napoli e Salerno. Gli abitanti dei comuni interessati sono circa 241mila, mentre i residenti sono 25.643. L’economia del posto si basa sull’agricoltura, che è molto sviluppata con colture a oliveti a sud e agrumeti a nord: presenti anche molti vigneti. Viene praticata la silvicoltura con conservazione di castagni a ceduo. Limitata ma presente la pastorizia. Buona parte dell'economia di alcune zone è basata sul turismo, specialmente straniero. L'Ente Parco ha realizzato un Osservatorio della Biodiversità nell’ambito del servizio “Monitoraggio del patrimonio di biodiversità. Analisi per la gestione delle risorse ambientali per la conservazione della biodiversità” affidato ad Agriconsulting S.p.A dall’Ente Parco Regionale dei Monti Lattari. Obiettivi dell'Osservatorio della Biodiversità - conoscere le diverse componenti della biodiversità del Parco; - attivare un sistema di monitoraggio delle diverse componenti della biodiversità; - supportare le decisioni nella pianificazione, programmazione e gestione territoriale e ambientale del Parco; - divulgare per contribuire all’informazione, alla sensibilizzazione e all’educazione delle collettività locali sui temi della biodiversità.


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FLORA del PARCO REGIONALE dei MONTI LATTARI

Acero di Lobel

Albero di Giuda

Asfodelo

Betula Verrucosa

E' una specie di flora endemica e rara tutelata dalla Legge Regionale 25/11/94. L'acero di Lobel è diffuso dall’Abruzzo meridionale (Maiella) sino alla Calabria centrale (Sila), e in Campania, provincia di Salerno, in boschi montani, soprattutto faggeti, rappresentando un endemismo dell’Italia meridionale nonché l’unico albero veramente esclusivo della penisola, se si esclude l’Ontano napoletano, che però ha un areale più esteso. L’Acero di Lobel è stato classificato come specie dal botanico napoletano Michele Tenore durante le sue esplorazioni nel regno delle Due Sicilie. L’habitat prediletto da questo acero è sia quello delle cerrete più fresche sia delle faggete, in particolare quelle di forra o di versante, con suoli profondi e freschi, pur riuscendo a vegetare anche su rupi e pareti rocciose, denotando così il suo carattere pioniero, in luoghi dove gli altri aceri non riescono a crescere. Facilmente distinguibile per le magnifiche foglie lucide e di un verde intenso, con i caratteristici lobi appuntiti e con i margini lisci, la corteccia da giovane è verde e percorsa da sottili striature, mentre da adulta tende a fessurarsi ed a scurirsi, diventando quasi nerastra.

L'albero di Giuda o di Giudea, noto anche con la terminologia francese “arbre de Judée” oppure noto anche come siliquastro (Cercis siliquastrum, L.1758) è originario dell'area mediterranea. E' un albero appartenente alla famiglia delle leguminose, le Fabaceae. Molto ornamentale, ultimamente viene utilizzato come arredo urbano, grazie alla sua resistenza all'inquinamento da piombo (smog). Ma cresce anche spontaneo lungo i pendii del tratto della Statale Amalfitana 163, così come lungo tutta la costa salernitana, e in primavera dona un mosaico di colore. Il nome deriva dal termine greco kerkís “navicella” o “spola” e dal latino siliqua “baccello”, in riferimento alla forma dei frutti. L'albero di Giuda si presenta come un piccolo albero alto fino a 10 metri e più spesso come arbusto. Cresce molto lentamente, predilige posizioni in pieno sole e non ha bisogno di particolari potature. Preferisce i terreni calcarei, ma anche sassosi, tollera anche quelli moderatamente acidi ed è abbastanza resistente al freddo. I fiori sono ermafroditi con corolla papilionacea e di colore rosa-violacei, lilla o bianchi e Il tronco è spesso tortuoso e di colore scuro, con screpolature brune, i rami presentano una la corteccia rossastra.

Asphodelus L. 1753 è un genere di piante della famiglia Liliaceae che comprende diverse specie erbacee, note genericamente con il nome volgare di asfodelo. Il nome deriva dal greco σφόδελος (asphódelos). Per Omero (Odissea XI, 487-491; 539; 573) l'asfodelo è la pianta degli Inferi. Gli asfodeli amano i prati soleggiati e sono invadenti nei terreni soggetti a pascolo eccessivo, perché le loro foglie appuntite vengono risparmiate dal bestiame. In primavera i suoi fiori bianchi tinteggiano alcune aree costiere ma anche di montagna. Il fogliame dell'asfodelo si presenta sotto forma di una rosetta di grosse foglie radicali, strette e lineari, con l'estremità appuntita. Il fogliame dell'asfodelo si presenta sotto forma di una rosetta di grosse foglie radicali, strette e lineari, con l'estremità appuntita. Dal centro della rosetta emerge uno stelo nudo che porta una spiga di fiori più o meno ramificata secondo le specie. La spiga è generalmente alta un metro o più. I fiori iniziano a sbocciare dal basso. Hanno sei tepali (cioè non esiste distinzione visibile tra petali e sepali, che hanno la stessa forma e lo stesso colore). Nella maggior parte delle specie, i tepali sono bianchi con una striscia scura al centro. I frutti sono capsule tondeggianti. La radice è commestibile.

La Betula verrucosa è una specie di flora endemica e rara tutelata dalla Legge Regionale della Campania 25/11/94 . E' presente sui Monti Lattari, Monti del Partenio, Cilento e Vesuvio. Il nome del genere è stato usato per la prima volta da Plinio e deriva dal gallico "betw" o "bettiu" ricostruito dal cimrico ( lingua celtica del Galles), "bedw-en" = betulla, il cui significato non risulta conosciuto; l'epiteto specifico allude al caratteristico portamento pendulo dei rami secondari della pianta. Ha un fusto eretto, con corteccia bianca, liscia che si desquama in liste orizzontali, rami giovani esili. Le sue foglie sono semplici e triangolari, acute e doppiamente dentate. L'infiorescenza è composta da amenti maschili sessili e pendenti, quelli femminili peduncolati e penduli. E' una specie eliofila, presente nei boschi umidi di latifoglia, abetaie e cespuglieti subalpini. La betulla è usata come pianta ornamentale per la sua eleganza. In selvicoltura è impiegata come specie consolidatrice di pendici mobili e denudate. Si distingue da Betula pubescens per i giovani rami glabri e la foglia rombica.


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Questo fungo noto con il nome di Boleto profumato (nome scientifico Boletus fragrans) fa parte della sezione Fragrantes. E' un fungo dal portamento tozzo, con cuticola spesso vellutata, gambo ingrossato nella parte centrale. Carne e pori di colore giallo con viraggio spiccato al verde azzurro al tocco e al taglio. Habitat: boschi caldi di castagno e querce cresce prevalentemente sul finire dell’estate fino all’autunno. E' un fungo commestibile.

Boleto Profumato Il Boletus Luridus è il capostipite della sezione Luridi, una serie di specie caratterizzati dal viraggio rapido, al tocco e al taglio, della carne, dei pori e tubuli e del gambo. La cuticola è leggermente vellutata, asciutta, di colore molto variabile, dal verde oliva al bruno al giallo ocra chiaro. I tubuli i pori sono di colore che varia dal giallo intenso al giallo-verdastro. Pori piccoli, stretti, inizialmente di colore giallo, poi giallo arancio fino a rosso mattone a piena maturazione. Gambo ornato da un reticolo di colore rosso arancio ( uno dei caratteri distintivi della specie). E' una specie commestibile dopo cottura. Adatto alla conservazione sott’olio. Purtroppo è uno dei funghi più calpestati dai vandali del bosco, per la credenza popolare di indicare come “molto pericolosi” tutti i boleti che hanno il viraggio della carne.

Boletus Luridus E’ un boleto alquanto raro da rinvenire, infatti è presente solo in pochissimi luoghi; è una variante del Boletus edulis, specie molto poco rappresentata in Costiera amalfitana, area Parco regionale dei Monti Lattari. Presenta cuticola color nocciola chiaro, più umida e attaccaticcia del Boletus aestivalis anche con tempo asciutto.

Boleto Venturi Lo Staphylea pinnata L., notoriamente anche Borsolo o Lacrime di Giobbe o Pistacchio falso, è un arbusto appartenente alla famiglia delle Staphyleaceae. Cresce in luoghi soleggiati ed in terreni umidi. E' una pianta rara che in provincia di Salerno si trova in Cilento e sui Monti Lattari. L'aspetto è eretto, vigoroso. I fiori sono piccoli, di colore bianco tendente al rosa, riuniti in infiorescenze. Fioriscono in primavera. I frutti sono di consistenza membranacea e verdi. Le foglie sono caduche, composte da 3-7 foglioline di forma ovale-oblunga, di colore verde brillante. L'altezza che può raggiungere è di 5 m come anche il diametro. Questa pianta è completamente rustica resistendo ad una temperatura di -15 °C.

Borsolo E' una specie di flora endemica e rara tutelata dalla Legge Regionale della Campania 25/11/94, individuata sui Monti Lattari, area del Parco regionale. Il suo ecosistema migliore sono i boschi umidi di forra. Vive anche nel bosco di Macchia Soprana (comune di Serre), pregiato e raro esempio di macchia mediterranea sottoposto a numerosi vincoli (vincolo paesaggistico Decreto Ronchey del 29-11-2003, Riserva naturale foce Sele-Tanagro D.G.R.n.64 del 12-02-1999, Oasi regionale ex D.P.G.R.C. n.4060 del 10-11-1976, etc.). E' una pianta molto rara che sopravvive solo in habitat salubri, come si evince dal Decreto del Ministero dell' Ambiente del 7 giugno 2007.

Carice di Griolet

Carice Maggiore

E’ una pianta che forma cespi alti fino ad un metro e mezzo, densi, avvolti alla base da guaine bruno-rossastre, reticolate. I boschi igrofili, le ontanete, le rive dei fiumi sono l’habitat ideale di questa pianta bella e caratteristica, un tempo diffusa e comune in tutta l’Italia, ora più rara a causa della progressiva riduzione del suo ambiente naturale. In Provincia di Salerno è presente in zone protette come il Vallone Porto di Positano, area Parco regionale dei Monti Lattari. La sua presenza in genere indica ecosistemi tendenzialmente maturi e ambienti delicati. Forma dei cespugli densi, con fusti eretti, triangolari, avvolti dalle foglie lineari allungate. All’apice dei fusti pendono (come indica il nome specifico) le infiorescenze allungate unilaterali. Le sue foglie basali, elegantemente ricurve al termine dello sviluppo, sono larghe quasi due centimetri. I boschi igrofili, le ontanete, le rive dei rii sono l’habitat ideale di questa pianta bella e caratteristica, un tempo diffusa e comune in tutta l’Italia, ora più rara a causa della progressiva riduzione del suo ambiente naturale. Al pari di molte altre Cyperaceae anche le foglie della carice maggiore sono state a lungo utilizzate nel passato per impagliare.


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Carrubo

Il Carrubo (Ceratonia siliqua L. 1753) è un albero sempreverde, prevalentemente dioico. Esistono cioè piante con soli fiori maschili ed alberi con fiori solo femminili, raramente presentano fiori di ambedue i sessi sulla stessa pianta. Appartiene alla famiglia delle Fabaceae. Il nome della specie deriva per metà dal greco keràtion (=piccolo corno) e per metà dal latino siliqua (=baccello). È un albero poco contorto, a chioma espansa, ramificato in alto. Può raggiungere una altezza di 10 m. Il fusto è vigoroso, con corteccia grigiastra-marrone, poco fessurata. Ha foglie composte, con 2-3 paia di foglioline robuste, coriacee, di colore verde scuro lucente superiormente, più chiare inferiormente, con margini interi e più o poco dentellati. La crescita del carrubo è lenta, la sua longevità molto alta, fino a 500 anni. Caratterizza l'aspetto più caldo della macchia mediterranea, dove si accompagna a olivastro, palma nana, filirea maggiore, lentisco, mirto e altre specie arbustive ed erbacee. Gli arabi chiamavano i semi del carrubo ‘carati’ (‘khirat’), essi ne avevano individuato la particolare caratteristica di avere sempre un peso costante (1/5 di grammo), per questo li utilizzavano come unità di misura delle pietre preziose.

La Santolina neapolitana, nota come crespolina napoletana, è una specie di flora endemica e rara tutelata dalla Legge Regionale della Campania 25/11/94 . In Provincia di Salerno si può trovare sui Monti Lattari e i Monti Picentini. Cresce lungo versanti aridi e assolati. Appartiene alla famiglie delle Asteracee note anche come Compositae, che sono una vasta famiglia di piante dicotiledoni dell'ordine Asterale. Le Asteraceae sono per la grande maggioranza piante erbacee, con forma biologica prevalente terofita. La caratteristica fiorale che contraddistingue la famiglia è la presenza di infiorescenze a capolino. In alcuni casi i capolini sono a loro volta riuniti in ulteriori infiorescenze.

Crespolina Napoletana

Finocchiella di Lucania

La finocchiella di Lucania è una pianta rara appartenente alla famiglia delle Apiaceae, ed è una specie endemica. In Campania è nota solo nel salernitano. Cresce lungo rupi calcaree di quota e quant'è fiorita si espande in tutta la sua bellezza. Si trova sui Monti Lattari e nel Cilento (gole del Sammaro e del Calore). Appartenente alle Apiaceae è caratterizzata da una infiorescenza tipica, l'ombrella e sono delle piante erbacee generalmente annuali, talvolta biennali o perenni. Le foglie sono alterne, senza stipole, e spesso composte da foglioline finemente traforate, ma alcune specie hanno, come eccezione, foglie intere. Spesso i piccioli sono allargati alla loro base, inguainando il gambo. L'infiorescenza tipica delle Apiaceae, giustamente chiamate ombrellifere, è l'ombrella che può essere semplice o composta di ombrelluli. Le ombrelle sono spesso munite alla base di un involucro formato di brattee. I fiori, piccoli, pentameri, a simmetria raggiata, sono spesso bianchi o giallastri.

Il giglio tigrato (nome scientifico Lilium tigrinum o Lilium lancifolium) è un fiore appartenente alla famiglia delle Liliaceae, originaria dell'Asia. Lo si può trovare con i suoi vistosi fiori di colore arancione, in aree come il Vallone Porto di Positano nel Parco regionale dei Monti Lattari, lungo il Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Il suo apparire annuncia l'arrivo dell'estate. Come tutti i gigli è un fiore che cresce bene ovunque e su qualsiasi terreno purché sia profondo e fertile. Questo giglio è inconfondibie per i suoi fiori arancioni con punteggiature nere e riuniti all’apice di steli eretti, robusti e alti anche più di un metro. La moltiplicazione del fiore è molto facile sia per seme che per divisione dei bulbetti o scaglie di bulbo.

Giglio Tigrato Il nome scientifico è Holoschoenus australis. Questa pianta erbacea perenne è conosciuta oltre che con il nome di Giunchetto meridionale anche come Scirpo romano. Appartiene alla famiglia delle Cyperaceae. E' una emicriptofita cespitosa – cioè una pianta perenne che supera la stagione sfavorevole con gemme poste alla superficie del suolo, spesso protette da guaine fogliari, come varie graminacee - una specie calcifila (che tende a vegetare solo su suoli calcarei), comune nei fossi, stagni, paludi e sponde, anche di acque salmastre. Presente anche nei prati umidi. Cresce in aree come il Vallone Porto di Positano, Parco Regionale dei Monti Lattari. Presenta un capolino sferico di spighe pluriflore, a volte presenti 1-2 capolini miori peduncolati; colore nero, poi bruno-rossiccio con il passare dei mesi. Può raggiungere le dimensioni di 150 centimetri. I fiori sono poco appariscenti ed ermafroditi. La fioritura è da giugno ad agosto.

Giunchetto Meridionale


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Issopo

L'issopo officinale , nome scientifico Hyssopus officinalis L. è una pianta aromatica della famiglia delle Labiatae da sempre citata nei testi sacri e classici per le sue caratteristiche terapeutiche ed anche oggi è coltivata a livello industriale sia come pianta aromatica che per le sue proprietà medicinali. È una pianta erbacea molto antica coltivata per le sue proprietà terapeutiche (espettoranti, digestive) e per gli usi in cucina. Cresce spontaneamente in prevalenza nelle zone montane fino ai 1200 metri sul livello del mare. In Provincia di Salerno si trova lungo le pendici dei Monti Lattari. La parola issopo si può far risalire sia alla lingua greca hyssopos, che significa aspetto a freccia, sia alla lingua israelita esob, che significa origano, anche se vi è il dubbio che l'issopo officinalis sia lo stesso dell'issopo descritto nell'Antico Testamento. L'Issopo è una pianta erbacea perenne, a portamento cespuglioso formata da dei fusti eretti, esili, alti fino a 60 cm. Le foglie sono piccole, di un bel colore verde intenso, con nervature in rilievo. I fiori sono piccoli, bluastri, riuniti in spighe unilaterali. Il frutto è un tetrachenio che contiene un solo seme nero e rugoso.

Sono funghi facilmente riconoscibili sia per i luoghi di crescita, che per il portamento dei carpofori. La cuticola è spesso umidiccia anche a tempo asciutto, gambo fibroso ornato da fini squamette di colore grigiastro. Carne solitamente bianco giallastra tendente ad ingrigirsi o ad arrossarsi in alcune specie, immutabile in altre. Tutte le specie appartenenti a questo sottogenere sono considerate commestibili. Al consumo occorre scartare il gambo perché fibroso ed indigesto, la carne alla cottura tende a scurirsi. Cresce nei boschi di leccio, sotto pioppi o carpini dall’autunno fino all’inverno inoltrato. Esemplari di Leccinum lepidum sono stati ritrovati anche in febbraio, con condizioni climatiche favorevoli

Leccinum Lepidum

Limodoro

Nido d’Ucello

Il limodoro o fior di legna com'è detto volgarmente (Limodorum abortivum (L.) Sw. 1799) è una pianta appartenente alla famiglia delle Orchidaceae diffusa in Italia su tutto il territorio. Il nome di questa elegante orchidea deriva dal latino abortus = aborto, in riferimento alle foglie squamiformi, come abortite. È la più grande ed appariscente tra le orchidee saprofite italiane, cioè una pianta che vive su materiale organico in decomposizione presente nel suolo, con un caratteristico fusto squamoso, alto e robusto, con grandi fiori difficili da vedere completamente aperti. E' una pianta alta da 20 a 80 cm.L'apparato radicale è costituito da un breve rizoma e numerose corte radici. Il fusto è robusto, di colore violaceo o bruno-violaceo. Le foglie sono ridotte a squame guainanti il fusto e sono povere di clorofilla. L'infiorescenza è lunga e lassa, a racemo con un numero di fiori variabile da 8 a 20, grandi e di colore bianco-violaceo. Il labello è arcuato e più corto dei sepali, con ipochilo ristretto alla base ed epichilo allargato all'estremità, percorso da venature violacee più intense, con bordi laterali ondulati e rialzati. Lo sperone è più o meno lungo come l'ovario, il nettarifero. Il ginostemio è allungato, di colore giallo arancio. Fiorisce da metà aprile a fine giugno. Raramente impollinata dagli insetti, la pianta, pur producendo nettare che viene depositato nel lungo sperone ricorre per la produzione dei semi maggiormente all'autoimpollinazione che può avvenire anche senza l'apertura dei fiori. Questa orchidea può essere considerata parassita poiché, non avendo foglie, è impossibilitata a svolgere la fotosintesi, fatto che la obbliga a stare in simbiosi con un fungo. Studi approfonditi hanno rivelato però che il fungo non ricava alcun vantaggio da questa unione.

Nido d'Uccello (nome scientifico Neottia nidus-avis (L.) Rich 1817) è una pianta erbacea perenne dai fiori poco appariscenti, appartenente alla famiglia delle Orchidaceae. L'habitat tipico di questa pianta sono tra i muschi o le foglie morte nei boschi di faggio e di latifoglie in ambienti freschi e ombrosi; ma anche nelle pinete, gineprai, carpineti e querceti. In genere si trova nella macchia mediterranea. Il nome fa riferimento alla particolare forma delle radici “a nido”. In greco “neottia” significa “nido”. Il termine specifico conferma ulteriormente questo concetto: nidus avis è un termine latino e significa nido d'uccello. Il binomio scientifico di questa pianta inizialmente era Ophrys nidus-avis, proposta dal botanico e naturalista svedese Carl von Linné (1707 - 1778) in una pubblicazione del 1753, modificato successivamente in quello attualmente accettato (Neottia nidus-avis), proposto dal botanico francese Rich. (1754 – 1821) nella pubblicazione dal titolo ”De Orchideis Europaeis Annotationes” del 1817. Questa orchidea ha i colori tipici dell'autunno: infatti è di colore giallo-bruno in tutte le sue parti. È una pianta alta 15-50 cm. E non è epifita (cioè non vive a spese di altri vegetali di maggiori proporzioni ) a differenza di altre orchidee, quindi viene raggruppate tra quelle terrestri. In realtà questa è una pianta saprofita che vive in simbiosi mutualistica con un fungo fissato alle sue radici. Sono piante perenni erbacee che portano le gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presentano organi aerei e le gemme si trovano in organi sotterranei chiamati rizomi; dei fusti sotterranei dai quali, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei. L'intera famiglia delle Orchidaceae è considerata a protezione assoluta su tutto il territorio nazionale.


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Orchidea Italica

Pomodorino Corbarino

L'orchidea italica (Orchis italica Poiret, 1798 ) è una pianta della famiglia delle orchidacee. E' una delle più diffuse orchidee selvatiche in Italia. Nel Vallone Porto di Positano, area inserita nel Parco regionale dei Monti Lattari, in primavera fa bella mostra con il suo bianco e roseo-frangiata, così come nella Valle delle Ferriere. In generale preferisce i prati aridi, le garighe, la macchia mediterranea o i boschi luminosi con predilezione per i suoli calcarei da 0 a 1300 metri sul livello del mare. Il fiore imita la fisionomia del corpo umano, infatti le è stato dato il nome volgare di “uomo nudo” proprio perché gambe, braccia e organo sessuale maschile sono distinguibili al nastriforme labello. Fiorisce dalla fine di marzo all'inizio di giugno. La pianta è alta da 20 a 50 cm, ma può eccezionalmente arrivare anche ad 80 cm. L' apparato radicale è costituito da due rizotuberi di forma ovoidale, che possono talvolta essere suddivisi in due lobi secondari. Le foglie basali, disposte a rosetta, lunghe circa 10 cm, hanno forma ovata, margini fortemente ondulati e sono talvolta maculate. L' infiorescenza è densa con fiori color rosa chiaro. I sepali sono rosei con evidenti striature purpuree, i petali leggermente più scuri. Il labello è trilobato, bianco-rosaceo, punteggiato di porpora, con lobi laterali sottili e appuntiti e lobo mediano, lungo circa il doppio dei laterali, diviso in due lacinie lineari-acute tra le quali vi è un'appendice sottile: nell'insieme la forma ricorda la sagoma di un uomo. Lo sperone è sottile e discendente. La Denominazione di Origine Protetta "Pomodorino Corbarino" è riservato ai frutti dell'ecotipo "Corbarino". A questa tipologia sono assimilati diversi biotipi, la cui selezione è stata curata nel corso degli anni dagli stessi agricoltori. La pianta ha un ciclo biennale e presenta le seguenti caratteristiche: accrescimento indeterminato fino a raggiungere un’altezza di oltre 2 m., odore caratteristico, fusto eretto nella fase giovanile e poi decombente, infiorescenze inserite a grappolo sull'internodo. La parte edule, di interesse mercantile, è costituita da una piccola bacca (10-25 grammi) avente epicarpo liscio e sottile, forma prevalentemente “allungata a pera”, colore della polpa rosso intenso e spiccato sapore agro dolce. Con molta probabilità questo tipo di pomodori derivano da vecchie varietà da conserva coltivate in zona. L’area d’origine è quella delle pendici dei monti Lattari, dove si trova il comune di Corbara e sulle cui colline sono stati da sempre tradizionalmente coltivati. Il Pomodorino Corbarino è in fase d’istruttoria Ministeriale per il Dop. E' nell'elenco nazionale dei presidi Slow Food.

Il Boletus aestivalis o porcino estivo è il primo a comparire nei castagneti del Parco regionale dei Monti Lattari. Si distingue per un reticolo che avvolge l’intero gambo, da cui è conosciuto anche con il sinonimo di Boletus reticulatus. Presenta, spesso, la cuticola screpolata o fessurata; è il più profumato tra i boleti, ma è anche quello che si trova maggiormente infestato da larve. Cresce dalla tarda primavera fino all’autunno; predilige terreni acidi e freschi come quelli dei castagneti sia da frutto, sia quelli cedui, nei quali è presente dall’estate sino all’inizio dell’autunno.

Porcino Estivo Il Boletus aereus, detto anche porcino nero o più dialettalmente, munitolo capanera, inizia a crescere nei castagneti del Parco regionale dei Monti Lattari (area Costiera amalfitana) dalla tarda primavera fino all’autunno, mentre nelle leccete e nei boschi misti dalla fine dell’estate fino ad autunno inoltrato. Presenta la cuticola con aspetto vellutato,asciutta spesso anche con tempo umido; è il più ricercato tra i boleti. Cresce dalla tarda primavera fino all’autunno; predilige terreni acidi come quelli dei castagneti, sia da frutto, sia quelli cedui, nei quali è presente dall’estate sino all’inizio dell’inverno, mentre nelle leccete e nei boschi misti lo si può ritrovare anche all’inizio dell’inverno, quando le condizioni meteo favoriscono lo sviluppo dei carpofori

Porcino Nero

Rovere

Il rovere (Quercus petraea ) è una quercia caducifoglie di prima grandezza, appartenente alla famiglia delle Fagacee. In provincia di Salerno è facile trovare questi alberi in zone montagnose. Nel Parco dei Monti Lattari sono frequenti sul Monte Cerreto. L'antropizzazione subita dal bosco negli ultimi secoli ha in molte aree introdotto il castagno al suo posto. Vive fino a 1500-1800 m di altitudine. Si differenzia dalla roverella per le dimensioni del fusto e per il lato inferiore delle foglie (glabro) che sono semplici, decidue, di forma ellittica, con margine lobato e 5-8 paia di lobi arrotondati, senza peli. L'apice è ottuso e arrotondato. La pagina superiore è verde lucido, quella inferiore più pallida. Il tronco è eretto, robusto e slanciato, ramificato solo nella parte superiore. I rami sono molto nodosi e formano una corona densa, globosa e regolare. I rami giovani non sono pelosi. La sua chioma si espande verso l'alto raggiungendo un'altezza di 30-40 metri in bosco. È una quercia dalla discreta longevità, raggiunge infatti i 500-800 anni d'età e le dimensioni massime definitive vengono raggiunte a 120-200 anni. Il suo frutto è la classica ghianda, con pericarpo oblungo, giallo bruno e lucente. Il rovere è tollerante alla siccità grazie al suo apparato radicale profondo.


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Roverella

Serapida Lingua

La Roverella (Quercus pubescens, Willd, 1805) è la specie di quercia più diffusa in Italia, tanto che in molte località è chiamata semplicemente quercia. Appartenente alla famiglia delle Fagaceae, questa pianta si trova principalmente nelle località più assolate, nei versanti esposti a Sud ad un'altitudine compresa tra il livello del mare e i 1000 m s.l.m. E' distribuita nel bacino mediterraneo, con esclusione delle zone più interne e più elevate. In Provincia di Salerno si trova lungo la fascia costiera. Presenta un fusto contorto, corto, con branche sinuose e rami sottili. Ha una corteccia grigio-brunastra, molto rugosa e fessurata. Può raggiungere l'altezza di 20 m. Ha una chioma globosa, emisferica in esemplari adulti. Il nome indica la minor taglia della pianta rispetto alla Rovere, con la quale a volte viene confusa. La roverella è un albero di terza grandezza (20 m) che può anche superare i 2 m di diametro. E' anche abbastanza longevo, ma in genere meno della Farnia e della Rovere.

La Serapide lingua (Serapias lingua L. 1753) è una pianta appartenente alla famiglia delle Orchidacee, autoctona italiana, molto comune nelle regioni meridionali. In provincia di Salerno si trova in aree come il Vallone Porto, Parco regionale dei Monti Lattari, raggiunge quote assai modeste fino a 1500 m di altitudine. Predilige un terreno argilloso-marnoso o tufaceo ricco di humus. Il periodo di fioritura è a maggio. È una pianta erbacea con fusto alto da 10 a 40 cm, di colore verde chiaro che sfuma verso il rosso all'apice.Le foglie sono lanceolate e di color verde glauco. Presenta una infiorescenza costituita da pochi fiori (pauciflora). La Serapide lingua, un'orchidea terricola, sviluppa bulbi carnosi, da cui si dipartono fusti eretti, abbastanza spessi, di colore verde chiaro, spesso nella parte apicale assumono colorazione rosata; le foglie sono nastriformi, con la base avvolta attorno al fusto, di colore verde chiaro, rugose. In primavera all'apice dei fusti sbocciano alcuni fiori di colore rosato, che presentano un lungo labello rosso o porpora, bilobato, pubescente, sovrastato da un elmetto striato, costituito da due sepali ed un tepalo riuniti a costituire una piccola cavità, che talvolta serve da riparo per gli insetti impollinatori.

Specie di flora endemica e rara tutelata dalla Legge Regionale della Campania 25/11/94 . In Provincia di Salerno è possibile trovarla lungo i Monti Lattari. Cresce lungo rocce calcaree. Appartiene alla famiglia delle Apiaceae, caratterizzata da una infiorescenza tipica, l'ombrella. Talvolta, i fiori periferici dell'ombrella sono irregolari, coi petali esterni nettamente più grandi, e contribuiscono a fare dell'ombrella un "simil-fiore".

Seseli Amalfitana Lo storace (Styrax officinalis L.) è una pianta angiosperma dicotiledone. È chiamato anche mella bianca. È l'unica specie ad areale europeo del genere che comprende oltre un centinaio di specie a distribuzione tropicale. In Italia colonizza macchie e leccete tra 0 e 600 m s.l.m. E' una specie rara e in Provincia di Salerno si può trovare in Costiera amalfitana, area Parco regionale dei Monti Lattari. È una pianta caducifoglia a portamento arbustivo ma arriva anche all'aspetto di alberello; fiorisce in aprile-maggio. I fiori sono bianchi, profumati e dolci portati in infiorescenze a racemo. Porta foglie intere ovate, pelose per peli stellati nella pagina inferiore.

Storace

Stramonio

Lo stramonio comune (Datura stramonium L.) è una pianta a fiore appartenente alla famiglia delle Solonacee (Angiosperme Dicotiledoni). In Italia questa specie si trova naturalizzata in tutte le regioni, dalle pianure alle zone sub-montane, dove cresce sporadica negli incolti, vicino ai ruderi e nei margini delle strade. E' conosciuta anche come erba del diavolo ed erba delle streghe, questi nomi si riferiscono alle sue proprietà narcotiche, sedative ed allucinogene. Contiene infatti, gli alcaloidi allucinogeni scopolamina e atropina. L'uso della Datura stramonium per questo tipo di finalità è estremamente pericoloso in quanto la dose attiva di alcaloidi allucinogeni è molto vicina alla dose tossica. Della pianta vengono mangiati i semi o i fiori, talvolta utilizzati assieme alle foglie in forma di tisana.Come altre specie del genere Datura è una pianta altamente velenosa proprio a causa dell'elevata concentrazione di potenti alcaloidi, presenti in tutti i distretti della pianta e principalmente nei semi. La pianta è alta fino ad un metro e mezzo, ha fiori bianchi o gialli che assomigliano a campanule e frutti a capsula coperti di aculei, che contengono semi neri, simili a piccoli fagioli. Le sue foglie, maleodoranti e di forma ovale, con lobi dentati, contengono due alcaloidi ben noti, la iosciamina e la scopolamina (quest'ultimo in forti concentrazioni è il più pericoloso) che hanno proprietà rilassanti e antiasmatiche. La datura possiede quattro "teste", cioè la radice (attraverso cui si conquista il potere della pianta), lo stelo e le foglie (utili per far guarire le malattie) e i fiori (che vengono utilizzati per uccidere, far impazzire o render schiavi i nemici); i semi sono la testa più potente. La fioritura avviene tra luglio ed ottobre; i fiori rimangono chiusi durante il giorno per poi aprirsi completamente la notte, emanando un intenso e penetrante odore che attira le farfalle notturne.


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Sono funghi caratterizzati da una cuticola in genere viscida e umida anche a tempo secco, facilmente separabile; carne gialla, poco consistente. Gambo cilindrico spesso ornato da granulazioni scure. Pori e tubuli gialli, che da giovani secernano goccioline lattiginose. Tutti i Suillus sono simbionti delle conifere, alcuni solo di particolari specie (es. Suillus grevillei simbionte del larice). Crescono nelle pinete dalla tarda primavera ad autunno inoltrato. Sono tutti commestibili, occorre privarli della cuticola per evitare l’insorgere di fenomeni lassativi.

Suillus Collinitus

Zafferano d’Imperato

Crocus, dal nome greco Kròkos, che significa “filo di tessuto”, è noto anche come Zafferano d' Imperato dal nome di un botanico napoletano. I fiori violacei sono inodori e sono più brevi delle foglie, con la presenza di due spate. Sono piante erbacee perenni dalla tipica infiorescenza a forma di coppa. Il crocus imperati è endemico campano e della provincia di Salerno, raggiunge fino ai 1400 metri sul livello del mare. Il suo habitat ideale sono le boscaglie e le macchie mediterranee. E' un genere di piante spermatofite monocotiledoni appartenenti alla famiglia delle Iridaceae. La famiglia delle Iridaceae comprende un gruppo abbastanza omogeneo di piante con un'ottantina di generi e circa 1000-1500 specie (il numero dipende dalle varie classificazioni) mentre il genere Crocus comprende circa 80 specie di cui una trentina sono coltivate e 15 sono presenti nella flora spontanea italiana. Il Crocus imperati è una pianta perenne alta 8-15 m. Ha un bulbo piriforme scuro, 2-3 guaine inferiori e 3-5 foglie sottili, con linea chiara. Tipica è la striatura bruno-viola su bianco crema dei petali esterni. Il centro del fiore è di un magnifico giallo, che sorpende per la sua bellezza.


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FAUNA del PARCO REGIONALE dei MONTI LATTARI

Arge

Assiolo

Averla Piccola

E' una delle farfalle più interessanti ed eleganti, endemica dell'Italia centro-meridionale, vive solo in praterie aride e calde su suoli calcarei, e vola negli ultimi dieci giorni di maggio, fino ai primi di giugno. Si trova in ampie aree del salernitano e della Regione Campania. E' una specie legata a formazioni steppiche aride con rocce affioranti, cespugli sparsi e alberi radi. Si vede sfarfallare prevalentemente nei fondovalle riparati da vento o in aree collinari interne. Il range altitudinale è ampio, può infatti trovarsi dal livello del mare fino a circa 1500 metri di quota. Le larve si sviluppano a spese di varie specie di graminacee. Gli adulti sono attivi tra maggio e giugno. La colorazione bianca costituiscono un elemento che ne permette il riconoscimento. Sulle ali anteriori è presente un ocello (disegni circolari presenti sulle ali) di colore azzurro cerchiato di nero. La specie è protetta dalla Direttiva europea Habitat ed è minacciata dalle modificazioni degli ambienti naturali come gli incendi ed il pascolo eccessivo. Per poter conservare le farfalle in tutta la loro molteplicità è necessaria la conservazione degli elementi paesaggistici incontaminati e ancora esistenti come pendii aridi, brughiere, cespugli.

L'assiolo o assiuolo (Otus scops, Linnaeus 1758) è il più piccolo gufo europeo migratore. E' una specie termofila che predilige ambienti aperti, talvolta anche aridi. Uliveti, foreste di pini, piccole radure di frassini, boschi, campagne alberate, parchi e giardini, in pianura ed in montagna sino al limite del castagno, anche presso le abitazioni umane, ma anche cimiteri e in parte parcheggi sono habitat adatti. Si può trovare soprattutto nei declivi meridionali esposti al caldo o in climi di coltivazione vinicola. Non occupa, al contrario, foreste chiuse. Nei sei mesi dell'inverno europeo si trattiene nelle savane africane. Di giorno si rifugia su grandi alberi. L’assiolo è un piccolo gufo che ha orecchie pelose non sempre evidenti, un piumaggio macchiettato (di colore dal grigio al marrone sotto le ali con chiazze bianche sul dorso) e gli occhi con iride di colore giallo-arancio e due ciuffi di penne sulla fronte, noti come cornetti. Questo rapace vive di norma solitario, talora in piccoli gruppi. L'assiolo è un uccello attivo soprattutto di notte con un profilo di attività di due fasi. L'assiolo è soprattutto un cacciatore di insetti. Le cicale, le cavallette e i maggiolini sono fra le sue prede prevalenti. Inoltre si nutre anche di lombrichi. Tra le prede vi sono solo in misura minore uccelli e rospi e solo raramente caccia i topi ed altri piccoli mammiferi. La preda viene adocchiata da una posizione bassa e sbattuta a terra. Solo raramente caccia durante il volo o da terra. Non è ancora noto con quale tecnica di caccia attacchi gli uccelli.

L'averla piccola (Lanius collurio, Linnaeus, 1758) è un comune passeraceo detto anche falconcello. È lungo circa 17,5-18,5 cm, e pesa 25-35 grammi in media; ala 8,8-9,8 cm; apertura alare 28-29 cm; coda 7,5-8 cm; tarso 23-25 mm; becco 14-17 mm. Ha il corpo rosso-bruno nella parte superiore e bianco-rosato sul ventre ed in tutte le parti inferiori. Il vertice ed il groppone sono color grigio-ardesia (blu pallido). La coda è nera con i lati bianchi. La testa di colore chiaro è contraddistinta da una mascherina (fascia) nera sulla faccia, più evidente nel maschio, che attraversa l'occhio e arriva sino alle copritrici auricolari. Il maschio di questa Averla si distingue dalle altre consimili per il dorso castano. Nidificante e migratrice in tutto il territorio nazionale. Popolazione stimata 30.000-60.000 coppie. Diffusa come nidificante in varie aree della Provincia di Salerno. Nidificante nel Parco regionale dei Monti Lattari e nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. In diminuzione: come tutte le Averle, è specie non cacciabile ai sensi della legge 157/92 . È ingiustamente perseguitata come piccolo nocivo. Risente anche del continuo allargamento dei centri urbani. Non inserita nelle categorie IUCN, ma inclusa da BirdLife International (2004) nella categoria ‘Depleted’ ossia tra le specie le cui popolazioni sono attualmente stabili o in leggero decremento, ma hanno subito una diminuzione significativa nel periodo 1970-1990 e non sono ancora tornate ai precedenti livelli demografici. Predilige ambienti aperti con alberi e arbusti sparsi utilizzati come posatoi e come siti per collocare il nido. La diminuzione della pastorizia estensiva e la ricrescita spontanea del bosco sono fattori che riducono l’habitat adatto alla specie. Nelle zone a pascoli e nelle praterie dovrebbe essere limitata la ricrescita spontanea del bosco che porta alla chiusura di questi ambienti e quindi a una perdita delle condizioni favorevoli alla specie. Ciò potrà essere perseguito mediante il mantenimento e l’incremento di un pascolo estensivo o eventualmente attraverso il decespugliamento.


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Balestruccio

Biancone

Il Balestruccio (Delichon urbicum) è una specie di uccelli della famiglia delle rondini (Hirundinidae). La specie frequenta ambienti molto vari, vive generalmente nei territori coltivati (campagne), in pratica non si allontana mai dalle abitazioni umane. Il balestruccio è lungo fino a 14 cm, comunemente definito rondine, se ne differenzia per l'ampia fascia bianca sul groppone, altrimenti blu metallico nella rondine, la gola bianca invece che è scura e la coda corta è meno forcuta. Il suo nutrimento consiste di piccoli insetti volanti, che vengono catturati negli spazi aperti specialmente con grandiose virate in volo. In questo gli animali si orientano verso l'offerta di prede locali e condizionate dal tempo atmosferico. Se si caccia insieme alle rondini allora saranno nello spazio aereo al di sopra. Più gregario della rondine ed essendo abituato a vivere ed a migrare in branco, nidifica in colonie molto numerose. Gli uccelli costruiscono il loro nido sotto grondaie, sotto i cornicioni delle case, tettoie, entrate delle porte, raramente anche sotto rupi od anfratti rocciosi, ponti in cemento armato o affini nell'ambito degli insediamenti umani. Consiste di palline di materiale colloso che vengono incollati con la saliva, ovattati all'interno con fieno e piume ed ha una forma di mezza sfera chiusa con un buco di accesso superiore o laterale per l'accesso. Ha volo più alto e volteggiante, meno impetuoso di quello della Rondine. Il Balestruccio non si posa mai sui rami, ma solo su cornicioni, fili e rupi. Scende anche a terra per beccare insetti, che insegue con tenacia a volo anche sopra l'acqua. Spesso i nidi del balestruccio vengono distrutti perché la specie viene ritenuta di cattivo augurio o semplicemente perché disturba con i suoi cinguettii in particolare quando i genitori alimentano i piccoli. I nidi sono protetti per legge come anche ne è vietata la cattura e l'abbattimento. Il Biancone (Circaetus gallicus, Gmelin 1788) appartiene alla sottofamiglia dei bianconi all'interno della famiglia degli accipitridi. Con circa 5.900 - 14.000 coppie in Europa i bianconi sono tra le specie più rare. Si nutre principalmente di rettili come serpenti e lucertole e perciò dipende anche dalla loro presenza. Gli uccelli circondano sbattendo le ali la loro vittima, così da non lasciare al serpente alcuna possibilità di mordere. Migratrice regolare attraverso tutto il territorio regionale. Nel Cilento ci sono state segnalazioni di nidificazione. La conservazione del biancone, che appare sostanzialmente stabile, dipende dal mantenimento di vasti sistemi boschivi ed erbacei alternati: suscettibile al disturbo nella zona di nidificazione, il biancone è messo in pericolo dalla prolungata stagione di taglio dei boschi, così come denunciato dall'associazione ambientalista Wwf. Il biancone (Circaetus gallicus), nonostante sia una specie di aquila e raggiunga due chili di peso e un metro e ottanta centimetri di apertura alare, è un uccello rapace poco conosciuto perché ha la capacità di passare inosservato e di condurre un’esistenza discreta nelle zone boscose meno frequentate dall’uomo. Il biancone ha abitudini migratrici e trascorre l’inverno nell’Africa subtropicale. In Italia il biancone arriva in marzo e nidifica con tre popolazioni principali: Maremma tosco-laziale, Appennino ligure e Alpi occidentali, regioni collinari della costa adriatica e ionica dall’Abruzzo, Campania, fino alla Calabria. La specie è inserita dall'IUCN nella categoria di minaccia LC-Least Concern (a rischio minimo). Osservabile in periodo migratorio. La nidificazione della specie è possibile in virtù della disponibilità di habitat adatto. Il SIC ‘Dorsale dei Monti Lattari’ sembra essere l'area più adatta alla nidificazione della specie. E' una specie migratrice, la nidificazione nell'area del salernitano, come il Parco dei Monti Lattari, è possibile per la disponibilità di habitat adatto. Il calandro (Anthus campestris, Linnaeus, 1758) è un uccello della famiglia dei motacillidi e del genere degli Anthus. Il calandro può essere trovato in zone sabbiose, cespugliose ed incolte. È diffuso per quasi tutto il territorio italiano ed in modo particolare può essere trovato in Campania nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e nel Parco regionale dei Monti Lattari.

Calandro

Capra Napoletana

La "Capra Napoletana" è una razza autoctona, la cui popolazione - classificata dalla FAO nella categoria delle razze "in pericolo" - ha subito nel corso degli anni una forte erosione genetica in seguito all'introduzione negli allevamenti di becchi e capre di razze selezionate (Saanen, Maltese, Camosciata, etc.). Gli allevamenti che contano capi di razza Napoletana non sono molti, ma sono anche quelli nei quali la presenza della razza in questione assume maggior consistenza e nei quali si riscontra il più elevato grado di purezza. Attualmente è inserita nell’elenco delle razze minacciate in pericolo di estinzione (MiPAF ottobre 2007). Importanti iniziative di tutela, salvaguardia, recupero e valorizzazione della razza "Capra Napoletana" sono sostenute dall'associazione R.A.R.E. (Razze Autoctone a Rischio Estinzione) con l'obiettivo di realizzare una sinergia "razza-prodotto tipico di nicchia-qualità-ambiente-territorio" e altre attività capaci di sviluppare forme di economia eco-compatibile nell’ambito di sistemi locali di produzione. Di taglia media, la testa è piccola, con corna di tipo alpino e tettole. Le orecchie sono pendenti, prive di barbetta; per quello che riguarda il tronco il torace e l’addome sono ben sviluppati. Il vello è nero, con limitate zone rosso-chiaro, oppure rosso scuro con zone più chiare; il pelo è corto. Altezza media al garrese: maschi adulti cm.80, femmine adulte cm.72. Peso medio: maschi ad. Kg 60-65, femmine ad. Kg.50-55. Caratteri produttivi: la produzioni medie di latte nelle primipare è di 350 lt., nelle pluripare è di 450 lt. Caratteri riproduttivi: la fertilità media è del 90%, mentre la prolificità è pari circa a 130%, valore relativamente basso (considerando come media un valore superiore al 180%).


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Civetta

Falco Pecchiaiolo

Gheppio

Libellula

La Civetta (Athene noctua, Scopoli, 1769), è un uccello rapace notturno della famiglia degli Strigidae. Uccello notturno per antonomasia, la civetta in realtà può essere attiva anche nel tardo pomeriggio e di prima mattina, ma è molto vigile anche nel resto della giornata. In Italia è un uccello molto comune ed è diffuso in quasi tutta la penisola tranne che sulle Alpi. I suoi habitat preferiti sono nelle vicinanze degli abitati civili, dove c'è presenza umana, in zona collinare. Evita le zone oltre i 1000 m di altitudine poiché la neve limita fortemente le sue fonti alimentari. La civetta è lunga circa 21-23 cm, ha un'apertura alare di 53-59 cm e un peso che varia da 100 a poco più di 200 grammi. La parte superiore è grigio-bruno macchiata di bianco mentre in quella inferiore è prevalente il bianco, macchiato di bruno. La civetta presenta un corpo massiccio, ricoperto di piume di colore bruno-grigiastro-castano. In genere il petto ed in ventre sono chiari con striature brunastre. Il sottocoda è biancastro. Nidifica tra marzo e giugno. La femmina depone 2-5 uova bianche in piccole cavità tra le rocce, negli alberi, nei muri di vecchi edifici, in tane abbandonate di mammiferi di media taglia e poi le cova per circa 4 settimane. In quel periodo è aiutata dal maschio nella caccia. Dopo un mese o poco più i piccoli lasciano il nido ma sono completamente indipendenti solo a 2-3 mesi di vita.

Il Falco Pecchiaiolo occidentale (Pernis apivorus), detto dialettalmente anche adorno, è un uccello rapace appartenente alla famiglia degli Accipitridi. Si nutre soprattutto di insetti, anche se in inverno (ma non solo) non disdegna piccoli rettili e anfibi, uova, piccoli uccelli e piccoli mammiferi. È goloso anche di miele. È grande all'incirca quanto una poiana e il suo piumaggio è assai variabile con tre caratteristiche bande scure sulla coda. Migratore e nidificante, il Falco pecchiaiolo è più comune e diffuso in settori alpini e prealpini. La specie è ben rappresentata sull’Appennino settentrionale, più scarsa e localizzata in quello centromeridionale e in altri rilievi minori. Popolazione italiana: 600-1000 coppie. In tutti i SIC e ZPS la specie è osservabile durante le migrazioni. Eventuali siti riproduttivi dovrebbero essere cercati nel SIC ‘Dorsale dei Monti Lattari’. Nidifica in zone boscate diversificate, anche di scarsa estensione, preferibilmente d’alto fusto, su versanti esposti tra sud e ovest, radurati o confinanti con aree erbose aperte ricche di imenotteri. In migrazione frequenta anche campagne alberate e zone suburbane. Costruisce il nido su grandi alberi. Probabilmente la specie ha risentito molto negativamente della distruzione e frammentazione dei boschi, delle trasformazioni dell’agricoltura e del bracconaggio. Il taglio di piante mature e il disturbo ai nidi sono ulteriori fattori negativi. Alcuni problemi ambientali potrebbero sussistere anche nelle aree di svernamento africane. Per la conservazione della specie è opportuno il controllo del bracconaggio e la protezione dei siti che ospitano i tentativi riproduttivi.

Il Gheppio comune (Falco tinnunculus, Linnaeus 1758) è uno dei rapaci più diffusi nell' Europa centrale e in Italia. In Provincia di Salerno è avvistabile lungo aree costiere. Il gheppio si caratterizza ed è riconosciuto per il suo originale volo oscillante. Infatti a differenza di altri rapaci sbatte le ali frequentemente, ma la caratteristica più evidente è il cosiddetto volo a "Spirito Santo", durante il quale si mantiene totalmente fermo in aria, con piccoli battiti delle ali e tenendo la coda aperta a ventaglio, sfruttando il vento per mantenersi stabile e osservare il suolo in cerca di prede. I gheppi mostrano più che altre specie un acceso dimorfismo sessuale. La caratteristica più notevole è che i maschi hanno la testa di colore grigio chiaro, le femmine invece sono uniformemente di colore rosso mattone. I maschi hanno le ali di colore rossastro e sono caratterizzati da alcune macchie scure a volte dalla forma di asterisco. Si nutre di piccoli roditori, insetti vari, lucertole, piccoli serpenti ed uccelli, quali storni, passeri ed allodole. E' facile avvistarlo posato sui fili metallici al ciglio delle strade. Durante la riproduzione è il maschio a provvedere il procacciamento del cibo, mentre la compagna si prende cura di uova e piccoli. La preda viene lanciata vicino al nido e raccolta al volo dal partner. Il gheppio nidifica in vecchi nidi di corvi o gazze, su edifici o falesie. Depone in maggio 4-6 uova che si schiudono dopo circa un mese.

La Trinacriae di Cordulegaster è una specie di libellula della famiglia Cordulegastridae. E' endemica in Italia. E' di interesse comunitario ed è inserita nell'elenco delle specie minacciate. E' stata avvistata nel Parco regionale dei Monti Lattari. Gli stadi preimaginali vivono in corsi d'acqua puliti a fondo sabbioso con corrente rapida, ombreggiati da vegetazione arborea. Gli adulti frequentano gli stessi ambienti tra la fine di giugno e la metà di agosto. Il maschio, durante il periodo riproduttivo, pattuglia continuamente un tratto del corso d'acqua, da cui scaccia attivamente gli altri maschi e in cui attende il transito di una femmina. Dopo l'accoppiamento, la femmina depone inserendo l'estremità dell'addome nel limo delle sponde. Le larve si seppelliscono sul fondo, preferibilmente sabbioso e ricoperto da un sottile strato di detrito, in anse dove la corrente rallenta, emergendo solo con la parte anteriore del corpo. Lo sviluppo larvale richiede 3 o 4 anni. La maturazione degli adulti dura una decina di giorni e avviene a breve distanza dai siti riproduttivi. La specie appare minacciata a causa delle precise necessità ecologiche e della ristrettezza dell'areale ed è sensibile all'inquinamento dei corsi d'acqua, alle captazioni idriche e all'eliminazione della vegetazione rivierasca d'alto fusto. Oltre a scongiurarne l’inquinamento organico e inorganico è essenziale mantenere inalterata la struttura e la diversità della vegetazione arborea ripariale.


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Molosso di Cestoni

Picchio Rosso Maggiore

Pipistrello di Savi

Il Molosso di Cestoni (Tadarida teniotis Rafinesque, 1814 ) è un mammifero chirottero della famiglia dei Molossidi. E' presente su buona parte del territorio italiano. Sono note alcune colonie molto numerose, anche in area urbana. In Campania discretamente frequente in tutta la regione, sebbene con densità basse. Nel Parco dei Monti Lattari sono stati segnalati nel territorio di Ravello, Sorrento e Piano di Sorrento. La distribuzione osservata con ogni probabilità sottostima l' effettiva presenza della specie nel Parco, ove particolarmente favorita nelle aree costiere a falesia. Predilige le pareti rocciose a picco, come dirupi: si adatta bene anche alle aree urbanizzate, fino a quote superiori ai 2500 m. La specie ha abitudini notturne: durante il giorno cerca riparo in crepe delle pareti o fra le rocce, sia d'estate che d'inverno: pur appartenendo a una famiglia di pipistrelli quasi esclusivamente tropicali, la specie non assai termofila e la si può vedere volare anche a temperature prossime allo zero. Durante l'inverno tuttavia, la specie non termicamente in grado di sostenere un periodo di letargo completo, ma cade semplicemente in uno stato di profondo torpore, dal quale si risveglia non appena disturbato o quando le temperature si fanno più miti. Esce dai rifugi sono a notte fatta, raramente anche al tramonto: non si lascia scoraggiare dalle basse temperature, né dalla pioggia od il vento. Il volo veloce e rettilineo, paragonabile a quello dei grandi volatori, come rondini e rondoni, con planate intervallate da frullii di ali: si mantiene in genere ad altezze superiori ai 10 m, e non esita ad allontanarsi dal proprio rifugio anche di centinaia di chilometri, pur essendo una specie stanziale.

Il Picchio Rosso Maggiore (Dendrocopos major) è un uccello appartenente alla famiglia dei picchi. In Italia è una specie protetta, è stazionario e nidificante, migratore parziale e svernante. È molto adattabile, ed è presente nei boschi sia di conifere sia di latifoglie, nelle campagne alberate e perfino nei parchi cittadini; può nidificare dal fondovalle sino al limite superiore delle foreste e scava i nidi su un'ampia gamma di essenze: particolarmente frequente è l'utilizzazione di grandi castagni da frutto, larici ai margini dei pascoli, pioppi e ciliegi. Le forme sono relativamente tozze, con grande testa arrotondata e forte becco a pugnale. Si presenta nero sul dorso, sulle ali e la coda con delle striature biancastre alle estremità. Il petto e il collare sono beige, mentre l’addome è rosso accesso. Il capo è nero con gola e guance bianche, separate da una sottile linea nera che parte dal becco. Il becco è nero, appuntito e ben robusto e le zampe sono conformate alla progressione su tronchi verticali che vengono risaliti a saltelli, aggrappandosi con i forti artigli e aiutandosi con la coda. Il Picchio rosso maggiore è un insettivoro, ma nella stagione invernale integra la dieta con pinoli e frutta. Individua gli insetti e le larve che vivono sotto la corteccia dell’albero dal rumore che emettono mentre rodono il legno. A quel punto il Picchio perfora il legno con il suo becco robusto e con la sua lingua retrattile cattura l’insetto.

Il Pipistrello di Savi (Hypsugo savii Bonaparte, 1837) è un mammifero chirottero della famiglia dei Vespertilionidi. Con tre sottospecie (H. savii austenianus, H. savii caucasicus e H. savii savii) la specie è presente in Europa centro-meridionale, Nordafrica, Medio Oriente, India settentrionale, Sud-est Asiatico e Cina centro-occidentale. Predilige le aree rocciose e boschive, ma lo si trova facilmente anche in ambienti antropizzati. E' presente e frequente in tutta la regione della Campania, nelle aree del Parco regionale dei Monti Lattari e del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Si tratta di animali dalle abitudini crepuscolari e notturne: alcuni esemplari, tuttavia, sono stati osservati muoversi in pieno giorno nelle zone che si affacciano sull'Adriatico. Il volo lento e rettilineo, caratterizzato da tratti piuttosto brevi durante i quali l'animale plana. Durante l'inverno la specie solita andare in ibernazione, infilandosi in qualche crepa ed azzerando quasi le funzioni vitali fino all'arrivo della primavera: anche se questo rimedio serve a sfuggire al freddo ed alla conseguente mancanza di cibo che caratterizza il periodo invernale, l'animale pare seguire un preciso schema temporale e non si sveglia prima di aver passato un determinato periodo in ibernazione, con conseguenti episodi come esemplari ibernati con una temperatura esterna superiore ai 10 gradi. Nonostante si tratti di animali sedentari, in alcuni casi, e per motivi ancora non del tutto chiariti, questi animali sono in grado di intraprendere delle migrazioni di oltre 200 km. E' una specie altamente versatile sotto il profilo ecologico, fortemente sinantropica e generalista, foraggia praticamente in tutti gli habitat regionali, incluso nelle aree a maggiore urbanizzazione. Si tratta di animali insettivori, che si nutrono di falene ed altri piccoli insetti volanti:generalmente cercano il cibo appena al di sopra del pelo dell'acqua o della volta arborea, ma possono spingersi alla ricerca di cibo fino ad oltre 100 m d'altezza. Spesso, nelle aree antropizzate, solito volare nei pressi di fonti di luce artificiale (come i lampioni), dove può facilmente trovare un gran numero di prede.


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Pipistrello Nano

Rinofolo Maggiore

Il Pipistrello Nano è tra i chirotteri più frequenti in Italia. In Campania discretamente frequente in tutta la regione. Secondo i dati del Parco Regionale dei Monti Lattari, tre sono le segnalazioni avvenute nel comune di Cava dei Tirreni e Maiori. E' una specie altamente versatile sotto il profilo ecologico, foraggia praticamente in tutti gli habitat regionali, incluso nelle aree a maggiore urbanizzazione. Il suo habitat costituito dalle aree boschive, tuttavia quando sono presenti centri abitati la specie vi si trasferisce volentieri: preferisce le aree di pianura e collina, ma lo si può trovare fino a 2000 m d'altezza. il più piccolo chirottero italiano: raggiunge la lunghezza di 4 cm, un'apertura alare di 20 cm e il peso di 5 g. Si tratta di una specie crepuscolare e notturna: durante il giorno si rifugia nelle crepe e negli interstizi dei muri dei fabbricati (ma può anche restare semplicemente appeso al soffitto), oppure in cavità degli alberi, dai quali esce al crepuscolo (ma in primavera ed autunno può uscire anche in pieno giorno). Il volo, rapido e piuttosto irregolare come traiettoria, si svolge fra i due ed i dieci metri di altezza, in aree aperte. Durante l'inverno va in letargo in gruppetti di una decina d'individui o anche singolarmente.

Il Rinolofo Maggiore o Ferro di cavallo (Rhinolophus ferrumequinum Schreber, 1774 ) è un mammifero chirottero della famiglia dei Rinolofidi. Il suo habitat è costituito dalle aree aperte e pianeggianti, in prossimità di formazioni calcaree e con presenza di cespugli e fonti d'acqua permanenti: tende a restare sotto i 1000 m d'altezza, ma occasionalmente sono stati rinvenuti esemplari appartenenti a questa specie anche al di sopra dei 2000 m. E' presente in tutta Italia, con popolazioni in declino. Nel Parco regionale dei Monti Lattari è stata osservata nei territori di Maiori e Amalfi, in pochi siti e con segnalazione di individui isolati o piccoli nuclei. Misura circa 6 cm di lunghezza, per un peso di 26 g: l'apertura alare media di circa 36 cm. Si tratta di animali dalle abitudini crepuscolari e notturne: passano il giorno a dormire in fessure dei muri o in cavità dei tronchi d'albero. Fra settembre ed aprile la specie va in letargo, anche se questo stato può essere interrotto più volte nel corso dell'inverno: per ibernare, l'animale sceglie cavità sotterranee di varia natura (grotte, cantine), purché al loro interno la temperatura si mantenga sempre attorno a 10 gradi e questi rifugi non siano assai distanti dai quartieri estivi in cui la specie vive (generalmente entro un raggio di 30 km, anche se individui isolati hanno percorso fino a 350 km). L'animale prevalentemente solitario e tende a riposare appeso per le zampe posteriori al soffitto od alle pareti del luogo in cui si trova.

Durante la migrazione primaverile il Succiacapre è rilevabile in tutti i siti di interesse comunitario (Sic) dei Monti Lattari. Nidifica in ambienti con copertura arborea e arbustiva molto discontinua, sia in piano che su versante, ai margini di zone aperte, preferibilmente incolte e pascolate. Caccia in ambienti aperti. Il succiacapre o caprimulgo europeo (Caprimulgus europaeus, Linnaeus 1758 ) è insieme al Caprimulgus ruficollis l'unico rappresentante europeo della famiglia ornitologica dei Caprimulgidi. La specie è suddivisa in 6 sottospecie tra le quali si trovano in Europa la forma denominata C. e. europaeus e la sottospecie originaria dell'Europa meridionale C. e. meridionalis. Le strutture dell'habitat del succiacapre sono molto varie, tuttavia sono sempre ambienti aperti, asciutti e dal clima temperato con un'offerta sufficiente di insetti volanti notturni.

Succiacapre

Tasso

Il Tasso (Meles meles Linnaeus, 1758 ) è un manmifero della famiglia dei Mustelidi. In Italia è presente nell’intera penisola. In provincia di Salerno è stato rinvenuto nel Parco regionale dei Monti Lattari, l'Oasi naturale del Monte Polveracchio, l'Oasi di Persano, l'Oasi WWF Monte Accellica. Questo mammifero vive nelle aree boscate, può anche frequentare le zone aperte purché dotate di un minimo di vegetazione che gli consenta di trovare ripari adeguati. L'animale usa, come riparo, grotte naturali, anfratti nelle rocce o tane che esso stesso scava nel terreno. Scava profonde e intricate tane nel sottosuolo del bosco, lungo argini naturali ed artificiali. Le tane, dotate generalmente di due o tre aperture, hanno al loro interno numerose gallerie, che vengono ingrandite via via dalle generazioni successive di tassi che vi abitano. Dalla tana si dipartono in varie direzioni numerosi sentieri molto ben battuti dal frequente passaggio dell'animale, che tende ad usare percorsi fissi nei suoi spostamenti. In un'unica tana possono vivere contemporaneamente più esemplari di tasso; è interessante notare che, a volte, una parte della tana occupata dal tasso viene utilizzata anche dalla volpe. Si nutre durante la notte ed è un animale onnivoro: in particolare mangia morbide radici che scalza con le sue poderose zampe ungulate. Non esita a introdursi in pollai e conigliere. E' tutelato dalla Convenzione di Berna.


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La Tottavilla (Lullula arborea, Linnaeus, 1758) è un uccello della famiglia degli Alaudidae. Raggiunge la lunghezza di 15 cm. L'apertura alare è di 27-30 cm. Si presenta con il becco sottile, le guance di colore bruno tendente al rossiccio, i segni sopracigliari che si congiungono alla nuca. La marca sopra-alare è bianca. La coda è corta. Specie politipica a distribuzione europea. Popolazione stimata di 1,3-3,3 milioni di coppie. Nidificante e migratrice in tutto il territorio nazionale. Popolazione stimata 20.000-40.000 coppie. Mentre canta in volo, la Tottavilla vola a spirale verso il cielo spesso partendo dalla cima di un albero. E' soprattutto un uccello terrestre che si nutre di insetti catturati nel terreno arido. Allo stesso modo costruisce il nido sul suolo. Il nido è ben mimetizzato fra i ciuffi d'erba. I pulcini lo lasciano prima di saper volare. Nidifica sul terreno. Ha un periodo di nidificazione molto lungo, da marzo fino ad agosto. La covata è composta da 3 a 6 uova biancastre picchiettate di marrone. Fa da 1 a 2 covate all'anno.

Tottavilla

Tritone Italiano

Triturus (Lissotriton italicus) è un genere di anfibi caudati della famiglia della Salamandridae, comunemente noti come tritoni. Specie endemica dell'Italia centro meridionale. Si incontra dal livello del mare fino a 1.530 metri di quota, le popolazioni più numerose si concentrano a bassa altitudine. Non è presente sulle isole. Diffusa dalle Marche alla Calabria , la specie è relativamente diffusa in Campania, ove si rinviene in tutti i settori della regione, dal livello del mare a circa 1400 m s.l.m. La specie sembra essere molto rara e localizzata. In Provincia di Salerno è stata segnalata in quattro località dei Monti Lattari: Torrente Caprile, Schito, Novella , Sala. Sembra avere una distribuzione puntiforme all’interno di alcune aree del Parco regionale dei Monti Lattari. E’ stata segnalata in quattro stazioni ricadenti nei territori dei comuni di Tramonti, di Gragnano, di Castellammare di Stabia e di Corbara. In tutte e quattro le stazioni le condizioni ambientali possono essere considerate sub-ottimali per la specie, a causa della precarietà strutturale dei piccoli corpi idrici occupati, non alimentati da sorgenti perenni e potenzialmente soggetti a vari tipi di interventi umani per fini agro-pastorali. La specie si rinviene in corpi d'acqua di varia natura (stagni, laghetti, cisterne, abbeveratoi, fontanili), nonché in piccoli ruscelli, torrenti e canali privi di fauna ittica. La migrazione in acqua e lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari inizia in autunno. Il periodo riproduttivo inizia in inverno e può protrarsi per gran parte della primavera. Il ritorno alla terraferma avviene nella tarda primavera o all'inizio dell'estate. Sui Monti Lattari la specie frequenta prevalentemente cisterne per la raccolta di acqua piovana, piccoli pozzi e ruscelli a corso lento. Le principali minacce per la sopravvivenza della specie sono rappresentate dalla distruzione dei piccoli corpi idrici in cui vive e si riproduce, dall’inquinamento delle acque dei ruscelli, delle pozze e delle cisterne, e dall’introduzione di pesci carnivori (ad esempio trote, pesci gatto, carassi) nelle acque dei vari corpi idrici utilizzati per la riproduzione.

L'usignolo (Luscinia megarhynchos, Brehm 1831) è un uccello dell'ordine dei passeriformi, sottordine dei passeri. Gli usignoli sono uccelli migratori e generalmente svernano in Africa. Si possono trovare in foreste decidue fitte o in boscaglie. Prediligono in particolare terreni umidi ma anche boscaglie non troppo umide. Nidificano vicino al terreno. Un usignolo adulto misura dal becco fino alla punta della coda circa 16,5 cm ed è quindi grande quanto un passero domestico (Passer domesticus) (che ha una bella voce). L'usignolo può essere confuso con l'usignolo maggiore (Luscinia luscinia), poiché entrambi hanno il ventre tra il marrone chiaro e il grigio scuro, la schiena marrone e la coda rosso marroncino. Diversamente dall'usignolo l'usignolo maggiore è più o meno a tinte scure. Gli usignoli si nutrono esclusivamente di insetti, vermi o larve e di tanti altri invertebrati Ma in autunno il loro nutrimento principale sono le bacche.

Usignolo

Zerinzia

La Zerynthia polyxena è una farfalla della famiglia dei Papilionidae, con apertura alare di 50-60 mm. I bruchi compiono 5 mute nell'arco di 4/5 settimane, dopo di che le crisalidi, legate ad un sostegno, svernano per sfarfallare nella primavera successiva. Gli adulti sono attivi per non più di 3 settimane. Sono viste sfarfallare in ampie aree della Provincia di Salerno, come il Parco regionale dei Monti Lattari. La particolare alimentazione delle larve fornisce alle stesse sostanze tossiche, che passano poi anche alle farfalle adulte, rendendole incommestibili. La colorazione della livrea dell'adulto, gialla, con caratteristici disegni neri, rossi e blu, è detta aposematica, ammonitrice, in quanto serve proprio a scoraggiare i potenziali predatori. E' una specie frequente, e localmente abbondante, dalle zone umide di pianura alle aree xeriche, collinari e montane fino a circa 900-1000 metri di quota. Predilige formazioni aperte. Le femmine depongono le uova, isolate od in piccoli gruppi, sulla pagina inferiore delle foglie delle piante nutrici (Aristolochia clematilis, A. pallida). La crisalide sverna e l’adulto sfarfalla in primavera. L'adulto vola per un periodo di non più di 3 settimane tra aprile e maggio. Essendo una specie legata a formazioni aperte è prevalentemente minacciata dalla riforestazione.


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Tramonti

Minori Maiori Scala

Amalfi

Ravello

Atrani

Positano

Praiano

Furore

Ambiente molto interessante non solo per il quadro vegetazionale ma anche per la presenza di reperti di archeologia di ogni epoca, è dato dalla Valle delle Ferriere. Questa valle si estende tra i comuni di Scala e Amalfi: percorrendo la valle del Chiarito, il torrente che sfocia ad Amalfi, partendo dal sentiero che ha inizio nella piazzetta di Pontone si possono attraversare epoche diverse ed ambienti incontaminati. Il sentiero scende giù nella valle lasciando alle quote superiori i boschi di castagno fino a giungere alla riserva naturale protetta, dove un microclima caldo umido permette la crescita di due tipi di felci pantropicali: la Pteris Cretica e la Woodwardia Radicans (qui occorre essere accompagnati da personale del Corpo Forestale, perché è una riserva naturalistica protetta). La discesa continua costeggiando boschi e laghetti fino a quando uno spettacolo di natura diversa si apre agli occhi del visitatore: costruzioni protoindustriali che sfruttavano la forza motrice dell'acqua del torrente per le proprie produzioni. Questi edifici, soprattutto cartiere, sono sostanzialmente identici ed assumono una particolare forma architettonica, finalizzata ad uno sfruttamento della forza motrice dell'acqua. Sono di forma allungata a più piani, longitudinali al corso del torrente o a ponte su di esso: anche in questo caso lo spessore delle strutture murarie (costituite da pietre di calcare e malta, coperte da intonaco) è molto contenuto. L'acqua del torrente veniva condotta attraverso un canale posteriore all'edificio fino alle macchine e alle vasche, controllata sempre da chiuse che permettevano di limitarne la quantità e la forza. In alcuni casi delle torri coniche permettevano la raccolta dell'acqua per determinare una quantità costante. Gli ambienti interni erano caratterizzati da volte che si dispongono cronologicamente secondo diverse tipologie: a crociera per il XIII secolo (le cartiere di questo periodo sono scomparse sotto gli edifici moderni perché erano più vicine all'abitato), a vela per gli edifici rinascimentali, a botte per quelli del Settecento e dell'Ottocento. Solitamente edifici adibiti a spanditoi erano costruiti vicino alle cartiere. Gli edifici che è possibile vedere non sono sempre visitabili perché, benché in attività fino al primo cinquantennio del Novecento, versano in condizione statiche non sempre buone. La prima cartiera che si incontra è quella di proprietà Milano, a tre piani, con all'interno ancora le macchine per la produzione; seguono più in basso i ruderi di due cartiere, quella Nolli e quella Treglia, in pessimo stato; la più imponente è quella Lucibelli, a sei paini, dove il proprietario abitava, ed essendo a ponte presentava una capriata lignea ormai distrutta. Altre cartiere che si incontrano scendendo sempre più verso il centro di Amalfi sono: quella Marino, a ponte, con quatto piani fuori terra; quella Amatruda (siamo già sulla rotabile del centro storico di Amalfi), ancora in funzione e che è possibile visitare; quella Gonfalone, in buono stato di conservazione; all'altezza dell'Arco della Faenza quella Dipino con annesso spanditoio, in discreto stato di conservazione; quella Milano, sede del Museo della Carta, originariamente tutta fuori terra, ora sottoposta per un piano alla strada, con vasche, canali e spanditoio che è possibile visitare per capire come gli amalfitani riuscivano a sfruttare la forza dell'acqua per creare un prodotto di eccellenza. Nella valle erano presenti anche una saponiera (abbattuta nel 1980, in seguito ai danni derivati da un sisma), una ferriera (iniziata al tempo dei Borbone ed interrotta nel 1800), un confettificio, una calcara, una polveriera e una centrale idroelettrica (tutte strutture allo stato di ruderi). È possibile effettuare il percorso autonomamente o accompagnati da una guida, ma per accedere alla riserva naturalistica è necessario essere accompagnati dal personale del Corpo Forestale. Non tutto il tragitto è facilmente percorribile: alcuni tratti richiedono interventi di ripristino. Le strutture delle cartiere, della ferriera e degli altri edifici versano per lo più in pessimo stato di conservazione: vi si può accedere con fatica, ma non sono sicure. Sebbene allo stato di ruderi, la visita potrebbe risultare di grande interesse storico e culturale, purchè vi sia un'adeguata presentazione. Lungo l'intero percorso si avverte la mancanza di segnaletica e cartellonistica e, in ogni caso, delle informazioni basilari di carattere sia storico e architettonico che naturalistico. In realtà, la valle potrebbe rappresentare il contesto e l'ideale integrazione della valorizzazione non solo della produzione artigianale della carta di Amalfi, ma dell'impianto urbanistico del centro così come si è storicamente formato.


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FLORA della RISERVA NATURALE VALLE delle FERRIERE

Erba-unta Amalfitana

Orchidea Italica

Pteride a foglie lunghe

La Pinguicula hirtiflora che risale al periodo delle due felci, cioè all'era terziaria, questa piantina carnivora, ormai estremamente rara, cresce in colonie tra anfratti muschiosi e su pareti calcaree a perpendicolo, ove ha luogo un lento e costante stillicidio. Le foglie, dal colore giallo-verde pallido, sono a forma ovale con margine ricurvo verso l'alto. Minuscoli insetti rimangono incollati sulla superficie delle foglie e lentamente digeriti da esse, poiché la loro secrezione collosa contiene enzimi in grado di assimilare proteine. Evidente solo nel tempo di fioritura tra primavera e inizio estate. Il fiore, su di un lungo stelo, da cui il nome di hirtiflora, ha i petali bianchi frangiati d'un violetto rosato assai delicato. La Pinguicula hirtiflora è stata una delle primissime piante del genere Pinguicula ad essere coltivata per motivi di studio e ornamentali. E' presente in alcune stazioni del Sud Italia - dal livello del mare fino a 600m - la troviamo infatti nel Vallone Porto di Positano. Cresce prevalentemente su pareti calcaree stillicidiose e su terreni serpentinosi. La Pinguicula hirtiflora è una piccola erbacea perenne a rosetta basale. Le foglie sono ricoperte da numerose ghiandole appiccicose aventi la funzione di catturare e digerire piccoli insetti. I fiori, solitari e provvisti di sperone, sono di colore rosato ai margini, con fauce giallo-aranciata sfumante nel bianco dei lobi inferiori. La Pinguicula crystallina subsp. hirtiflora è l’unica specie italiana che non va in riposo, vegetando continuamente per tutto l'anno.

L'orchidea italica (Orchis italica Poiret, 1798 ) è una pianta della famiglia delle orchidacee. E' una delle più diffuse orchidee selvatiche in Italia. Nel Vallone Porto di Positano, area inserita nel Parco regionale dei Monti Lattari, in primavera fa bella mostra con il suo bianco e roseo-frangiata, così come nella Valle delle Ferriere. In generale preferisce i prati aridi, le garighe, la macchia mediterranea o i boschi luminosi con predilezione per i suoli calcarei da 0 a 1300 metri sul livello del mare. Il fiore imita la fisionomia del corpo umano, infatti le è stato dato il nome volgare di “uomo nudo” proprio perché gambe, braccia e organo sessuale maschile sono distinguibili al nastriforme labello. Fiorisce dalla fine di marzo all'inizio di giugno. La pianta è alta da 20 a 50 cm, ma può eccezionalmente arrivare anche ad 80 cm. L' apparato radicale è costituito da due rizotuberi di forma ovoidale, che possono talvolta essere suddivisi in due lobi secondari. Le foglie basali, disposte a rosetta, lunghe circa 10 cm, hanno forma ovata, margini fortemente ondulati e sono talvolta maculate. L' infiorescenza è densa con fiori color rosa chiaro. I sepali sono rosei con evidenti striature purpuree, i petali leggermente più scuri. Il labello è trilobato, bianco-rosaceo, punteggiato di porpora, con lobi laterali sottili e appuntiti e lobo mediano, lungo circa il doppio dei laterali, diviso in due lacinie lineari-acute tra le quali vi è un'appendice sottile: nell'insieme la forma ricorda la sagoma di un uomo. Lo sperone è sottile e discendente.

La pteride a foglie lunghe (Pteris vittata L.) è una felce della famiglia Pteridaceae, a distribuzione tropicale e sub tropicale. È una felce alta fino a 50 cm, con foglie a pinne alternate (da 19 a 23), con margine finemente seghettato, di colore verde scuro superiormente, più chiare e con nervature evidenti sulla pagina inferiore. Ha una distribuzione pantropicale. In Italia è segnalata, con popolazioni relitte, in Sicilia, Calabria e Campania, in aree come il Vallone Porto di Positano e la Valle delle Ferriere. Cresce su rupi e muri umidi da 0 a 300 m di altitudine. Il nome del genere deriva dal gr. 'pteris', felce, e questa per la somiglianza delle fronde con penne o piume (gr. 'ptéron'). L'epiteto specifico dal latino 'vittatus, -a, -um' (<'vitta', benda, striscia, fascia), probabilmente in riferimento ai cenosori che formano delle lunghe strisce ai margini delle pinne. La Pteris vittata è una felce iperaccumulatrice di arsenico. Per questo motivo è stata scelta come pianta modello nello studio di nuove strategie per il fitorisanamento di aree contaminate da arsenico. E' una specie protetta e a rischio estinzione.

La Pteris cretica, la Pteride di Creta, è una felce proveniente dalla Persia, dall'India e dal Giappone ed anche dal bacino del Mediterraneo. Le stazioni campane dei Monti Lattari rappresentano il limite meridionale oltre il quale la specie diviene estremamente rara. Le stazioni del Cilento non sono state recentemente confermate. Le pinnule fertili sono più strette di quelle sterili e quelle terminali sono più lunghe delle altre. Talvolta possono presentare una striscia longitudinale più chiara nel centro della lamina. Presenta delle bellissime foglie verdi pennate con una striatura giallina-bianca lunghe. Cresce fino a 45-75 cm. di altezza. La Pteris è elegante, lanceolata, ha un colore verde brillante e nelle sue pur minori dimensioni, è assai singolare.

Pteride di Creta


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Woodwardia radicans

La felce bulbifera (Woodwardia radicans) è una rara felce gigante, la cui origine risale al periodo Terziario, appartenente alla famiglia delle Blechnaceae, con la sua presenza indica un buon grado di conservazione di ambienti umidi particolari. E' tipica rappresentante di una flora tropical-montana che 70 milioni di anni fa caratterizzava le aree montuose di alcune regioni del Mediterraneo. Poiché è una delle poche testimonianze di quella antica flora, è oggi da considerarsi un vero e proprio “fossile vivente”. Con l’affermarsi del clima mediterraneo, questa felce ha notevolmente ridotto il suo areale, trovando rifugio nelle forre umide e ombrose, dove l’acqua è disponibile per l’intero arco dell’anno. In Italia i popolamenti di Woodwardia radicans si sono conservati soltanto in circoscritte aree dell’Italia meridionale e precisamente in Campania è presente in provincia di Salerno presso la Riserva della Valle delle Ferriere, habitat ideale per la sua conservazione. Infatti predilige valloni umidi ed ombrosi a temperature invernali più elevate rispetto alle zone aperte limitrofe e con escursioni termiche, giornalieri ed annuali, sensibilmente contenute. Si insedia, di preferenza, su pendii interessati da ruscellamento superficiale, ma sporadicamente occupa anche pareti verticali. Le sue fronde possono raggiungere la lunghezza di 3 metri. Gli esemplari portano 2 o 3 fronde munite spesso all'apice della rachide di un bulbillo, capace di emettere radici e produrre una nuova pianta; sono formate da segmenti lanceolato-acuminati, con lobi triangolari falcati, minutamente seghettati e muniti, al di sotto, di due file parallele di sori infossati e con indusio coriaceo, che si aprono a guisa di coperchio di tabacchiera. Data la sua rarità e la sua natura di specie relitta, questa felce è tutelata da Convenzioni internazionali (Convenzione di Berna; Direttiva Habitat 43/92 CE).


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FAUNA della RISERVA NATURALE VALLE delle FERRIERE

Cervone

Saettoni Occhirossi

Il cervone (Elaphe quatuorlineata Lacépède, 1789) è un serpente della famiglia dei colubridi. È il più lungo serpente italiano ed uno tra i più lunghi d'Europa. La sua lunghezza può variare dagli 80 ai 240 cm, anche se raramente supera i 160. È di colore bruno-giallastro con le caratteristiche quattro scure barre longitudinali (da cui il nome scientifico). E’ presente nell’Italia peninsulare, dalla Toscana alla Calabria. Manca completamente in Sicilia, in Sardegna e nelle piccole isole (Marconi, 2006). E’ presente nei settori centrali e meridionali della Campania. La specie sembra essere molto rara e localizzata. E’ stata segnalata in due località dei Monti Lattari: nei dintorni di Agerola e nella Riserva Naturale della Valle delle Ferriere. Secondo alcuni il nome cervone deriva dal fatto che i pastori che lo vedevano durante la muta scambiavano la pelle secca della testa per delle corna. Per altri il nome è dovuto alle piccole escrescenze presenti sul capo. Per altri ancora le corna sono virtuali ed indicano la nobiltà di questo serpente, tra i più grandi d'Europa. È anche chiamato Pasturavacche, in quanto la credenza popolare voleva che fosse attirato dal latte delle vacche e delle capre al pascolo, e che per procurarselo si attaccasse alle mammelle degli animali, o addirittura lo leccasse dalle labbra sporche dei lattanti. Sulla base delle osservazioni svolte (Capula, 2008, dati non pubblicati) e dei dati bibliografici esistenti (Caputo et al., 1986) la specie sembra essere relativamente rara e localizzata nelle Sorgenti del Vallone delle Ferriere d’Amalfi . ove si rinviene nelle aree a macchia mediterranea in declivio prossime al Torrente Ceraso. Grazie alle peculiari caratteristiche vegetazionali, idrografiche e termiche ed al buono stato di conservazione generale, l’area può essere definita ottimale per la conservazione della specie e per la sua sopravvivenza a medio-lungo termine. La specie abita la macchia mediterranea e i boschi, sia sempreverdi sia caducifogli e misti, in cui ricerca le radure e le zone marginali, in quanto più soleggiate. Il cervone frequenta anche ambienti ripariali presso aree boscose e arbustive. Si nutre prevalentemente di uccelli e roditori. La specie è attiva da aprile a settembre, ma raggiunge l'acme fenologico da metà giugno a metà luglio, momento in cui si conclude la principale fase annuale di accrescimento. Sui Monti Lattari è stata osservata ai margini dei boschi, in pascoli cespugliati, presso corsi d’acqua. I principali fattori di minaccia per la sopravvivenza di questo serpente sono rappresentati: dalla distruzione (tagli, incendi) e dal degrado delle aree a macchia mediterranea e dei boschi termofili; dal prelievo incontrollato effettuato per motivi commerciali e amatoriali; dalla crescita eccessiva delle popolazioni di cinghiali, che si nutrono delle uova e dei giovani della specie; dal disturbo umano nell’ambiente naturale e dalle uccisioni per paura o confusione con altre specie di ofidi (vipere). È una specie in progressivo declino per la scomparsa degli habitat in cui vive. È protetto dalla Convenzione di Berna e il libro rosso del Wwf lo considera a basso rischio. È citato nella Direttiva Habitat (Direttiva n. 92/43/CEE) nell'appendice 2 (specie animali e vegetali d'interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione) e nell'appendice 4 (Specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa).

Il Saettone occhirossi (Zamenis lineatus) è un serpente della famiglia dei colubridi endemico dell'Italia meridionale e della Sicilia. E’ presente nei settori centrali e meridionali della Campania. E' stato avvistato presso le sorgenti della Valle delle Ferriere. Grazie alle peculiari caratteristiche vegetazionali, idrografiche e termiche e al buono stato di conservazione generale, l’area può essere definita ottimale per la conservazione della specie e per la sua sopravvivenza a medio-lungo termine. La specie abita le zone a macchia mediterranea e i boschi, sia sempreverdi sia caducifogli e misti. Frequenta anche ambienti ripariali all’interno di aree boscose e arbustive. Si nutre prevalentemente di uccelli e roditori. La specie è diurna e conduce vita attiva da aprile a settembre. Sui Monti Lattari è stata osservata ai margini dei boschi, presso corsi d’acqua. I principali fattori di minaccia per la sopravvivenza di questo serpente sono rappresentati: dalla distruzione (tagli, incendi) e dal degrado delle aree a macchia mediterranea e dei boschi; dal prelievo incontrollato effettuato per motivi commerciali e amatoriali; dalla crescita eccessiva delle popolazioni di cinghiali, che si nutrono delle uova e dei giovani della specie; dal disturbo umano nell’ambiente naturale e dalle uccisioni per paura o confusione con altre specie di ofidi (vipere). Il Saettone occhirossi raggiunge la lunghezza massima circa 2 metri. Il colore di fondo è nocciola-giallastro brillante. Le squame sono lisce e lucenti con piccole macchie bianche ai margini, il ventre è grigio-giallastro, le piastre ventrali e caudali hanno una carenatura laterale. Se presenti le strie longitudinali bruno scure sono molto sottili equidistanti tra loro e tutte della stessa larghezza. Il colore dell'iride è spesso rosso, ha una stria sotto oculare e bande marroni postoculari molto evidenti ed arcuate verso il basso che raggiungono la commessura labiale.


redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia-50

Salamdra Pezzata

La Salamandra pezzata (Salamandra salamandra, Linnaeus 1758) è un urodelo appartenente alla famiglia Salamandridae. La salamandra pezzata è una specie presente nell’Italia continentale e peninsulare. Manca del tutto nelle isole. In Campania la specie è presente esclusivamente in alcune aree montuose caratterizzate da una ricca rete idrografica superficiale come i Monti Picentini, Monti del Partenio, Monti Lattari, Monti Alburni . La specie sembra essere estremamente rara e localizzata. E’ stata osservata quasi esclusivamente all’interno della Riserva Naturale Valle delle Ferriere, e recentemente anche in una località del settore orientale dei Monti Lattari (territorio di Tramonti), ove peraltro le condizioni ambientali possono essere considerate sub-ottimali a causa del degrado del manto boscoso e della captazione delle sorgenti. Altre aree potenzialmente idonee alla presenza della specie si trovano nel territorio di Gragnano e di Corbara (valloni con torrenti, ricoperti di fitta vegetazione boschiva). La salamandra pezzata è facilmente riconoscibile per la sua colorazione nera con vistose macchie gialle. Raggiunge i 15-20 cm di lunghezza totale (coda compresa), e le femmine sono in generale più lunghe e grosse dei maschi. La pelle, liscia e lucente, è cosparsa di piccole ghiandole secernenti il muco che ricopre l'animale; il muco ha una funzione battericida (protegge la pelle dalle infezioni), riduce la disidratazione e ha un gusto repellente per gli eventuali predatori. Le tinte vivaci della pelle segnalano appunto che la salamandra non è commestibile: queste colorazioni appariscenti sono dette "colorazioni di avvertimento". Le femmine depongono larve in ruscelli, torrenti o altri corsi d'acqua ben ossigenati. Le larve possiedono branchie e quattro arti ben sviluppati. Le larve si differenziano da altre larve di urodeli per la presenza di macchie chiare alla base degli arti. In alcune popolazioni montane di salamandra pezzata, le femmine sono vivipare e danno alla luce piccoli completamente sviluppati e pronti per la vita terrestre. La specie vive in boschi di latifoglie e nei boschi mediterranei sempreverdi caratterizzati da fitto sottobosco, quasi sempre in prossimità di piccoli ruscelli caratterizzati da acque limpide e ben ossigenate. Si riproduce in piccoli corsi d’acqua e nelle pozze di acqua sorgiva ove non sono presenti pesci. In questi ambienti le femmine partoriscono le larve (da 5 a 10) nel corso della primavera. La vita larvale dura circa due mesi, e la metamorfosi ha luogo nel corso dell’estate. Gli adulti sono attivi prevalentemente nei mesi autunnali e primaverili, mentre in estate di norma non conducono vita attiva in superficie. Sui Monti Lattari le femmine partoriscono le larve prevalentemente in pozze di acqua sorgiva e in piccoli ruscelli privi di pesci. I principali fattori di minaccia per la sopravvivenza di questo anfibio sono rappresentati: dalle modificazioni strutturali dei siti ove avviene lo sviluppo delle larve (captazioni, bonifiche, cementificazione del letto dei corsi d’acqua); dall’inquinamento delle acque di ruscelli, torrenti e sorgenti; dal disboscamento e dagli incendi; dall’introduzione di pesci carnivori (ad esempio trote, pesci gatto, carassi) nelle acque dei ruscelli e delle pozze ove avviene lo sviluppo delle larve.


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VALLONE PORTO, POSITANO (SIC IT8050051)

Tramonti

Minori Scala

Amalfi

Ravello

Maiori

Atrani

Positano

Furore Praiano Conca dei Marini

Costiera Amalfitana

Vallone Porto

Il Vallone Porto di Positano rappresenta nel suo insieme un geosito di grande valore paesaggistico ed ambientale nel contesto geografico della Costiera amalfitana e di tutta la Campania. L'area è inserita in un sito di interesse comunitario (SIC IT8050051). Sono molti gli studi che dimostrano la particolarità botanica e zoologica di questa singolare forra e sono attualmente in corso ulteriori ricerche sulla flora vascolare e lichenica da parte di ricercatori presso la Facoltà di Agraria dell'Università di Portici. Nel canyon selvaggio, così definito dall'artista Gianni Menichetti, che da quasi 40 anni è il guardiano morale e “fisico” dell'area, è caratterizzata dalla presenza di importanti specie rare e in via d'estinzione come la rarissima Salamandrina terdigitata o perspicillata, cioè dagli occhiali, è un urodelo, anfibio con la coda. Due sono anche le specie di anuri, cioè anfibi senza coda che qui vivono: il rospo (Bufo bufo) e la Rana italica , che prima era classificata come Rana dalmatina. La popolazione del Bufo è elevatissima, in particolare nel cuore dell'Oasi: basta muovere una pietra o un po' di terra o un ciuffo d'erba per trovarvi una di queste belle creature, quasi sempre femmine. (…). Sono qui presenti anche due tipi delle felci Pteris, relitto dell'era terziaria, tipico di una vegetazione con elementi subtropicali, sopravvissute all'era glaciale in questi particolari microclimi della Costa d'Amalfi: la Pteris vittata e la Pteris cretica sono ambedue felci termofile. La prima cresce in grandi cespi palmati e le sue fronde quasi paiono penne di struzzo; la cretica, elegante, lanceolata, da un colore verde brillante, nelle sue pur minori dimensioni, è assai singolare. Vi è poi una minuscola piantina carnivora, la Pinguicula hirtiflora che risale al periodo delle due felci, cioè all'era terziaria, che qui sopravvive. La varietà della vegetazione è qui sorprendente. Gli alberi predominanti nel folto bosco sono l'orniello, il leccio, il carpino nero e l'ontano napoletano, il castagno, che qui cresce ad un livello assai basso, già sotto i cento metri sul livello del mare, il sambuco che lussureggia nelle parti più umide, e il fico selvatico un po' ovunque; minore è la presenza del nocciolo e del lauro, modesta quella della roverella e anche delle conifere. Gli arbusti della macchia mediterranea qui più diffusi, sono il mirto e il lentisco, l'alaterno, la ginestra, l'oleandro e l'erica arborea, da alcune pareti calcaree pende la bellissima Erica terminalis. Abbonda l'Euphorbia characias nelle parti interne più umide e ombrese e la dendroides in quelle più aride che vicino ai confini guardano verso il mare, dove crescono pure gigantesche agavi. Diffusissimo nel sottobosco è il pungitopo. Pure il corbezzolo merita un posto d'onore. Tra le piante medicinali cospicua è la presenza della Digitalis micrantha, della datura (stramonio), dell'Helleborus foetidus, di malva, melissa, ruta e dulcamara, minima quella del giusquiamo. Bella ed elegante è la slanciata angelica che cresce vicino all'acqua, l'Arum italicum nella sua fase primaverile pare un'affusolata cuffia di fata. La vitalba riesce a formare delle vere e proprie lignee gomene che pendono tra gli alti alberi come liane, e ciò al bosco conferisce l'aspetto di esotica giungla. Il rovo, la smilax e l'edera sono onnipresenti, il muschio e il capelvenere pure lo sono in ogni anfratto umido e ombroso. Tra lo sparto e altri svariati ciuffi d'erba e tra la rubbia cresce l'asplenium e la ceterach, le Filix mas e altre felci più o meno comuni. Le Pteris favoriscono i punti più umidi, persino pareti calcaree con stillicidio. Assai rara è la lingua cervina. Amano l'acqua l'equiseto, o coda cavallina, la carice maggiore e la canna palustre. In primavera e in autunno due diversi tipi di ciclamino a vicenda coprono di un fitto e leggiadro manto il sottobosco. L'umile arisaro, vera trappola per insetti come del resto l'Arum alla cui famiglia (aracee) appartiene, spunta sia in primavera che in autunno. La violetta è la prima a fiorire, poi il croco, l'anemone, segue un tripudio di fiori: gigli, iris e orchidee, che culmina nel mese di aprile. Come non ricordare la stupenda Orchis italica, bianco e roseo-frangiata, il Limodoro ( Limodorum abortivum) dai fiori violacei, orchidea saprofita (cioè parassita di radici e materia in decomposizione), come pure è la Neottia nidus-avis (nido d'uccello) che riesce a vivere in luoghi dove penetra pochissima luce. Un'altra orchidea è la Serapide lingua (Serapias lingua) dal fiore purpureo. Più tardi il Giglio tigrato (Lilium tigrinum) annuncia l'arrivo dell'estate. Sul sentiero detto “Cavalcata di Murat” vicino a selve di mirto e rosmarino crescono l'Asfodelo e il Garofanino di montagna, e la Rosa selvatica sulle pareti rocciose grandi cespugli di cappero. La menta selvatica è diffusissima, ci sono piccole macchie d'origano e un tempo anche di timo serpillo. L'orchidea Ophrys fuciflora presenta un lungo stelo dove spuntano durante la fioritura dei labelli che imitano in ogni particolare il corpo di una certa specie di ape femmina, con striature violette e gialle su sfondo fulvo-ruggine. Il maschio di quella stessa specie viene ingannato da tale splendida apparizione, atterra sul labello e tenta di accoppiarvisi, coprendosi di polline il capo. Fino a non molto tempo fa era gestito dal WWF.


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FLORA del VALLONE PORTO

Agave

Calpavenere

Carice Maggiore

Erba-unta Amalfitana

L' Agave è un genere di piante che appartiene alla famiglia delle Agavaceae. Le Agavi sono originarie delle zone tropicali e subtropicali, del continente americano, ma grazie alle loro caratteristiche – viene apprezzata molto come pianta ornamentale - ne hanno permesso l'ampia diffusione nel Mediterraneo ed è facile trovarle lungo la costa. Le Agavi sono state importate da molte parti del mondo e buona parte delle specie non sono riconducibili a quelle originali, perché hanno cambiato assetto in base al territorio in cui si trovano. Non è quindi facile stabilire precisamente le origini di un’Agave. Quando si parla di Agave in linea di massima ci si riferisce alla specie americana. L’Agave ha un fusto quasi inesistente ed è caratterizzata dalle foglie con forma allungata e carnose, disposte a rosetta, che arrivano anche a 2 metri di lunghezza per una larghezza pari a 30 centimetri. Le foglie lanceolate sono contornate da spine. La durata di questa pianta è al massimo di 30 anni e muore dopo aver generato un unico fiore dalla tonalità giallastra. Ha radici lunghe e numerose, fusto breve, con rosetta di foglie carnose dotate di molte fibre. Nelle foglie è quasi sempre presente la spina apicale, a volte le spine compaiono anche lungo i margini. La fibra (detta sisal) estratta dalle foglie dell' agave sisalana è utilizzata per la costruzione di corde, cesti, cappelli, tappeti e altri manufatti artigianali.

Il capelvenere (Adiantum capillus-veneris L. 1753 ) è una felce della famiglia delle Adiantaceae. Il suo habitat naturale è rappresentato dai luoghi ombrosi e umidi. Cresce in zone come il Vallone Porto di Positano. Il capelvenere come pianta officinale e medicinale è contemplato in diverse farmacopee mondiali ma non dalla Farmacopea Ufficiale Italiana (F.U.I.). Predilige i terreni calcarei vicino alle cascate, all'imboccatura delle grotte, nei pozzi. Vegeta a quote comprese tra 0 e 1.500 metri. E' una pianta alta 10-40 centimetri, geofita rizomatosa, strisciante e di colore bruno-nero. Le fronde sono leggere e delicate e, a questa caratteristica si deve il riferimento alla chioma di Venere, dea della bellezza. Le foglie sono cuneiformi, lunghe 5-10 millimetri, di colore verde tenue, e si inseriscono su un sottile rachide nero e lucente. È detta anche barba di giove (ed in greco aizoon: semprevivo).

E’ una pianta che forma cespi alti fino ad un metro e mezzo, densi, avvolti alla base da guaine bruno-rossastre, reticolate. I boschi igrofili, le ontanete, le rive dei fiumi sono l’habitat ideale di questa pianta bella e caratteristica, un tempo diffusa e comune in tutta l’Italia, ora più rara a causa della progressiva riduzione del suo ambiente naturale. In Provincia di Salerno è presente in zone protette come il Vallone Porto di Positano, area Parco regionale dei Monti Lattari. La sua presenza in genere indica ecosistemi tendenzialmente maturi e ambienti delicati. Forma dei cespugli densi, con fusti eretti, triangolari, avvolti dalle foglie lineari allungate. All’apice dei fusti pendono (come indica il nome specifico) le infiorescenze allungate unilaterali. Le sue foglie basali, elegantemente ricurve al termine dello sviluppo, sono larghe quasi due centimetri. I boschi igrofili, le ontanete, le rive dei rii sono l’habitat ideale di questa pianta bella e caratteristica, un tempo diffusa e comune in tutta l’Italia, ora più rara a causa della progressiva riduzione del suo ambiente naturale. Al pari di molte altre Cyperaceae anche le foglie della carice maggiore sono state a lungo utilizzate nel passato per impagliare.

La Pinguicula hirtiflora che risale al periodo delle due felci, cioè all'era terziaria, questa piantina carnivora, ormai estremamente rara, cresce in colonie tra anfratti muschiosi e su pareti calcaree a perpendicolo, ove ha luogo un lento e costante stillicidio. Le foglie, dal colore giallo-verde pallido, sono a forma ovale con margine ricurvo verso l'alto. Minuscoli insetti rimangono incollati sulla superficie delle foglie e lentamente digeriti da esse, poiché la loro secrezione collosa contiene enzimi in grado di assimilare proteine. Evidente solo nel tempo di fioritura tra primavera e inizio estate. Il fiore, su di un lungo stelo, da cui il nome di hirtiflora, ha i petali bianchi frangiati d'un violetto rosato assai delicato. La Pinguicula hirtiflora è stata una delle primissime piante del genere Pinguicula ad essere coltivata per motivi di studio e ornamentali. E' presente in alcune stazioni del Sud Italia - dal livello del mare fino a 600m - la troviamo infatti nel Vallone Porto di Positano. Cresce prevalentemente su pareti calcaree stillicidiose e su terreni serpentinosi. La Pinguicula hirtiflora è una piccola erbacea perenne a rosetta basale. Le foglie sono ricoperte da numerose ghiandole appiccicose aventi la funzione di catturare e digerire piccoli insetti. I fiori, solitari e provvisti di sperone, sono di colore rosato ai margini, con fauce giallo-aranciata sfumante nel bianco dei lobi inferiori. La Pinguicula crystallina subsp. hirtiflora è l’unica specie italiana che non va in riposo, vegetando continuamente per tutto l'anno.


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Erica Terminalis

Fico Selvatico

E' una specie indigena tipica della macchia mediterranea della famiglia delle Ericaceae. In Provincia di Salerno si può trovare lungo le coste. E' conosciuta anche come Erica tirrenica o Scopa a fiori rosa. Arbusto sempreverde e legnoso diffuso nelle zone montuose, ombrose, fresche, umide e nei corsi d’acqua. Riuniti in ombrelli terminali, ha una corolla rosa intenso, a forma di campanella come tutte le ericaceae. Ha una fioritura tra maggio-giugno. Le foglie sono aghiformi, verticillate solitamente a 4, di colore verde-scuro, glabre, lineate di bianco nella parte inferiore, hanno margini revoluti che quasi nascondono la pagina inferiore I piccoli fiori, sono penduli, profumati e campanulati, sono riuniti in racemi nella parte apicale di rami, sormontati da rametti con sole foglie; peduncoli fiorali di 3 mm con bratteole verso la metà, 4 piccoli sepali glabri e la corolla urceolata bianco-rosea, dalla quale sporge soltanto lo stilodi colore rosso. Antere bruno-rossastre incluse, provviste di appendici basali. I frutti sono capsule ovoidali contenenti numerosi piccoli semi. La distribuzione intorno al Mediterraneo del genere Erica, è da ritenersi un relitto della vegetazione montana subtropicale del Terziario medio. La diffusione si differenzia per le specie più xerofile nella regione mediterranea e, per le specie più mesofile nella regione atlantica. l Fico (Ficus carica L.) è un albero frutto originario dell'Asia occidentale, introdotto da tempo immemorabile nell'area mediterranea. In Italia è presente soprattutto in Puglia e Calabria. In Campania in molte aree delle cinque province. Appartiene alla famiglia delle Moraceae, genere Ficus, specie: Ficus carica L., di cui esistono due subspecie: Ficus carica sativa (fico domestico) e Ficus carica caprificus (caprifico o selvatico). E' una pianta molto resistente alla siccità e vegeta nelle regioni della vite, dell'olivo e degli agrumi. Non resiste a -10°C; teme i ristagni idrici e ama i terreni freschi, profondi e ben dotati di sostanza organica. Infatti il fico risente molto delle avversità climatiche, in particolare delle basse temperature e della grandine che possono distruggere completamente la produzione. Danni possono essere provocati da una virosi (mosaico) e dai marciumi radicali; tra gli insetti risultano dannose alcune cocciniglie, la mosca della frutta (Ceratitis capitata) e la psilla del fico (Homotoma ficus). Anticamente l'albero del fico in italiano era detto figo e deriva dal latino ficus. Fico è il nome italiano del genere Ficus e in particolare del fico comune o domestico ( nome scientifico : Ficus carica L.), del fico selvatico (Ficus caprificus), nonché del falso frutto che produce, il siconio (dal greco skon = fico ). Siconio è infatti l'infiorescenza del fico e l'infruttescenza che ne deriva. Il giglio tigrato (nome scientifico Lilium tigrinum o Lilium lancifolium) è un fiore appartenente alla famiglia delle Liliaceae, originaria dell'Asia. Lo si può trovare con i suoi vistosi fiori di colore arancione, in aree come il Vallone Porto di Positano nel Parco regionale dei Monti Lattari, lungo il Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Il suo apparire annuncia l'arrivo dell'estate. Come tutti i gigli è un fiore che cresce bene ovunque e su qualsiasi terreno purché sia profondo e fertile. Questo giglio è inconfondibie per i suoi fiori arancioni con punteggiature nere e riuniti all’apice di steli eretti, robusti e alti anche più di un metro. La moltiplicazione del fiore è molto facile sia per seme che per divisione dei bulbetti o scaglie di bulbo.

Giglio Tigrato Il nome scientifico è Holoschoenus australis. Questa pianta erbacea perenne è conosciuta oltre che con il nome di Giunchetto meridionale anche come Scirpo romano. Appartiene alla famiglia delle Cyperaceae. E' una emicriptofita cespitosa – cioè una pianta perenne che supera la stagione sfavorevole con gemme poste alla superficie del suolo, spesso protette da guaine fogliari, come varie graminacee - una specie calcifila (che tende a vegetare solo su suoli calcarei), comune nei fossi, stagni, paludi e sponde, anche di acque salmastre. Presente anche nei prati umidi. Cresce in aree come il Vallone Porto di Positano, Parco Regionale dei Monti Lattari. Presenta un capolino sferico di spighe pluriflore, a volte presenti 1-2 capolini miori peduncolati; colore nero, poi bruno-rossiccio con il passare dei mesi. Può raggiungere le dimensioni di 150 centimetri. I fiori sono poco appariscenti ed ermafroditi. La fioritura è da giugno ad agosto.

Giunchetto Meridionale

Leccio

Il leccio detto anche elce, è una pianta appartenente alla famiglia delle Fagaceae, diffusa nei paesi del bacino del Mediterraneo. Specie termofila caratteristica della macchia mediterranea, si trova dal livello del mare fino a 600 m, anche più in alto nel Sud Italia. E' una delle querce sempreverdi. Molto longevo, può raggiungere i mille anni. Ricco di tannino, il legno di leccio è molto duro e di difficile lavorazione. Usato specialmente come pianta forestale e per alberare strade e parchi. Il leccio è generalmente un albero sempreverde con fusto raramente dritto, singolo o diviso alla base, di altezza fino a 20-25 metri. Può assumere aspetto cespuglioso qualora cresca in ambienti rupestri. La corteccia è liscia e grigia da giovane, col tempo diventa dura e scura quasi nerastra, finemente screpolata in piccole placche persistenti di forma quasi quadrata. Il legno è a porosità diffusa, il duramen (legno di colore scuro posto nella parte centrale del tronco), è di colore rossiccio e l'alburno è di colore chiaro. Si tratta di un legno duro, compatto e pesante, soggetto ad imbarcarsi, difficile da lavorare e da stagionare.


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Limodoro

Mirto

Nido d’Ucello

Il limodoro o fior di legna com'è detto volgarmente (Limodorum abortivum (L.) Sw. 1799) è una pianta appartenente alla famiglia delle Orchidaceae diffusa in Italia su tutto il territorio. Il nome di questa elegante orchidea deriva dal latino abortus = aborto, in riferimento alle foglie squamiformi, come abortite. È la più grande ed appariscente tra le orchidee saprofite italiane, cioè una pianta che vive su materiale organico in decomposizione presente nel suolo, con un caratteristico fusto squamoso, alto e robusto, con grandi fiori difficili da vedere completamente aperti. E' una pianta alta da 20 a 80 cm.L'apparato radicale è costituito da un breve rizoma e numerose corte radici. Il fusto è robusto, di colore violaceo o bruno-violaceo. Le foglie sono ridotte a squame guainanti il fusto e sono povere di clorofilla. L'infiorescenza è lunga e lassa, a racemo con un numero di fiori variabile da 8 a 20, grandi e di colore bianco-violaceo. Il labello è arcuato e più corto dei sepali, con ipochilo ristretto alla base ed epichilo allargato all'estremità, percorso da venature violacee più intense, con bordi laterali ondulati e rialzati. Lo sperone è più o meno lungo come l'ovario, il nettarifero. Il ginostemio è allungato, di colore giallo arancio. Fiorisce da metà aprile a fine giugno. Raramente impollinata dagli insetti, la pianta, pur producendo nettare che viene depositato nel lungo sperone ricorre per la produzione dei semi maggiormente all'autoimpollinazione che può avvenire anche senza l'apertura dei fiori. Questa orchidea può essere considerata parassita poiché, non avendo foglie, è impossibilitata a svolgere la fotosintesi, fatto che la obbliga a stare in simbiosi con un fungo. Studi approfonditi hanno rivelato però che il fungo non ricava alcun vantaggio da questa unione.

Il mirto (Myrtus communis L. 1753) è una pianta arbustiva della famiglia delle Myrtaceae tipica della macchia mediterranea. È una specie spontanea delle regioni mediterranee, comune dell'area mediterranea, si trova in ampie zone della Provincia di Salerno. Il mirto è una pianta rustica, si adatta abbastanza ai terreni poveri e siccitosi ma trae vantaggio sia dagli apporti idrici estivi sia dalla disponibilità d'azoto manifestando in condizioni favorevoli uno spiccato rigoglio vegetativo e un'abbondante produzione di fiori e frutti. Vegeta preferibilmente nei suoli a reazione acida o neutra, in particolare quelli a matrice granitica, mentre soffre i terreni a matrice calcarea. Per il suo contenuto in olio essenziale (mirtolo contenente mirtenolo e geraniolo e altri principi attivi minori), tannini e resine, è un'interessante pianta dalle proprietà aromatiche e officiali. Al mirto sono attribuite proprietà balsamiche, antinfiammatorie, astringenti, leggermente antisettiche, pertanto trova impiego in campo erboristico e farmaceutico per la cura di affezioni a carico dell'apparato digerente e del sistema respiratorio. Dalla distillazione delle foglie e dei fiori si ottiene una lozione tonica per uso eudermico. La resa in olio essenziale della distillazione del mirto è alquanto bassa. Il prodotto più importante, dal punto di vista quantitativo, è rappresentato dalle bacche, utilizzate per la preparazione del liquore di mirto, propriamente detto, ottenuto per infusione alcolica delle bacche attraverso macerazione o corrente di vapore. Un liquore di minore diffusione è il Mirto Bianco, ottenuto per infusione idroalcolica dei giovani germogli, erroneamente confuso con una variante del liquore di mirto propriamente detto ottenuto per infusione delle bacche di varietà a frutto non pigmentato. L'impiego fitocosmetico del mirto risale al medioevo: con la locuzione di Acqua degli angeli, s'indicava l'acqua distillata di fiori di mirto.

Nido d'Uccello (nome scientifico Neottia nidus-avis (L.) Rich 1817) è una pianta erbacea perenne dai fiori poco appariscenti, appartenente alla famiglia delle Orchidaceae. L'habitat tipico di questa pianta sono tra i muschi o le foglie morte nei boschi di faggio e di latifoglie in ambienti freschi e ombrosi; ma anche nelle pinete, gineprai, carpineti e querceti. In genere si trova nella macchia mediterranea. Il nome fa riferimento alla particolare forma delle radici “a nido”. In greco “neottia” significa “nido”. Il termine specifico conferma ulteriormente questo concetto: nidus avis è un termine latino e significa nido d'uccello. Il binomio scientifico di questa pianta inizialmente era Ophrys nidus-avis, proposta dal botanico e naturalista svedese Carl von Linné (1707 - 1778) in una pubblicazione del 1753, modificato successivamente in quello attualmente accettato (Neottia nidus-avis), proposto dal botanico francese Rich. (1754 – 1821) nella pubblicazione dal titolo ”De Orchideis Europaeis Annotationes” del 1817. Questa orchidea ha i colori tipici dell'autunno: infatti è di colore giallo-bruno in tutte le sue parti. È una pianta alta 15-50 cm. E non è epifita (cioè non vive a spese di altri vegetali di maggiori proporzioni ) a differenza di altre orchidee, quindi viene raggruppate tra quelle terrestri. In realtà questa è una pianta saprofita che vive in simbiosi mutualistica con un fungo fissato alle sue radici. Sono piante perenni erbacee che portano le gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presentano organi aerei e le gemme si trovano in organi sotterranei chiamati rizomi; dei fusti sotterranei dai quali, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei. L'intera famiglia delle Orchidaceae è considerata a protezione assoluta su tutto il territorio nazionale.


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Ophrys

Orchidea Italica

Pteride a foglie lunghe

Si tratta di un’orchidea selvatica che appartiene alla famiglia delle Orchidaceae, cresce spontanea nelle aree mediterranee e predilige i terreni calcarei. In provincia di Salerno si può trovare nell'area del Vallone Porto Positano. E' conosciuta come Ophrys holosericea ma anche come Ophrys fuciflora. Il nome generico (Ophrys), secondo quanto scriveva lo scrittore Plinio il Vecchio deriva da un'antica parola greca “οφρύς” e significa “sopracciglio”. Gli antichi (scrive sempre il naturalista latino) usavano appunto questa pianta per produrre una tintura per colorare le sopracciglia. È una pianta erbacea alta 10 -15 cm e presenta una notevole variabilità di forme e colori. Rappresenta un esempio di mimetismo poiché imita le sembianze di un bombo (insetto impollinatore) femmina, e a questo pare aggiunga l'emissione di feromoni con lo scopo di attrarre i bombi maschi ai fini dell'impollinazione. L'orchidea Ophrys presenta un lungo stelo dove spuntano durante la fioritura dei labelli che imitano in ogni particolare il corpo di una certa specie di ape femmina, con striature violette e gialle su sfondo fulvo-ruggine. Il maschio di quella stessa specie viene ingannato da tale splendida apparizione, atterra sul labello e tenta di accoppiarvisi, coprendosi di polline il capo. Accortosi che l'oggetto della sua passione era solo illusorio vola altrove, ma di nuovo allettato e ingannato da un'altra simile orchidea, ripete il suo non corrisposto amplesso, così impollinandola.

L'orchidea italica (Orchis italica Poiret, 1798 ) è una pianta della famiglia delle orchidacee. E' una delle più diffuse orchidee selvatiche in Italia. Nel Vallone Porto di Positano, area inserita nel Parco regionale dei Monti Lattari, in primavera fa bella mostra con il suo bianco e roseo-frangiata, così come nella Valle delle Ferriere. In generale preferisce i prati aridi, le garighe, la macchia mediterranea o i boschi luminosi con predilezione per i suoli calcarei da 0 a 1300 metri sul livello del mare. Il fiore imita la fisionomia del corpo umano, infatti le è stato dato il nome volgare di “uomo nudo” proprio perché gambe, braccia e organo sessuale maschile sono distinguibili al nastriforme labello. Fiorisce dalla fine di marzo all'inizio di giugno. La pianta è alta da 20 a 50 cm, ma può eccezionalmente arrivare anche ad 80 cm. L' apparato radicale è costituito da due rizotuberi di forma ovoidale, che possono talvolta essere suddivisi in due lobi secondari. Le foglie basali, disposte a rosetta, lunghe circa 10 cm, hanno forma ovata, margini fortemente ondulati e sono talvolta maculate. L' infiorescenza è densa con fiori color rosa chiaro. I sepali sono rosei con evidenti striature purpuree, i petali leggermente più scuri. Il labello è trilobato, bianco-rosaceo, punteggiato di porpora, con lobi laterali sottili e appuntiti e lobo mediano, lungo circa il doppio dei laterali, diviso in due lacinie lineari-acute tra le quali vi è un'appendice sottile: nell'insieme la forma ricorda la sagoma di un uomo. Lo sperone è sottile e discendente.

La pteride a foglie lunghe (Pteris vittata L.) è una felce della famiglia Pteridaceae, a distribuzione tropicale e sub tropicale. È una felce alta fino a 50 cm, con foglie a pinne alternate (da 19 a 23), con margine finemente seghettato, di colore verde scuro superiormente, più chiare e con nervature evidenti sulla pagina inferiore. Ha una distribuzione pantropicale. In Italia è segnalata, con popolazioni relitte, in Sicilia, Calabria e Campania, in aree come il Vallone Porto di Positano e la Valle delle Ferriere. Cresce su rupi e muri umidi da 0 a 300 m di altitudine. Il nome del genere deriva dal gr. 'pteris', felce, e questa per la somiglianza delle fronde con penne o piume (gr. 'ptéron'). L'epiteto specifico dal latino 'vittatus, -a, -um' (<'vitta', benda, striscia, fascia), probabilmente in riferimento ai cenosori che formano delle lunghe strisce ai margini delle pinne. La Pteris vittata è una felce iperaccumulatrice di arsenico. Per questo motivo è stata scelta come pianta modello nello studio di nuove strategie per il fitorisanamento di aree contaminate da arsenico. E' una specie protetta e a rischio estinzione.

La Pteris cretica, la Pteride di Creta, è una felce proveniente dalla Persia, dall'India e dal Giappone ed anche dal bacino del Mediterraneo. Le stazioni campane dei Monti Lattari rappresentano il limite meridionale oltre il quale la specie diviene estremamente rara. Le stazioni del Cilento non sono state recentemente confermate. Le pinnule fertili sono più strette di quelle sterili e quelle terminali sono più lunghe delle altre. Talvolta possono presentare una striscia longitudinale più chiara nel centro della lamina. Presenta delle bellissime foglie verdi pennate con una striatura giallina-bianca lunghe. Cresce fino a 45-75 cm. di altezza. La Pteris è elegante, lanceolata, ha un colore verde brillante e nelle sue pur minori dimensioni, è assai singolare.

Pteride di Creta


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Sambuco

Serapida Lingua

Stramonio

Sambucus nigra è una pianta molto diffusa in Italia e in provincia di Salerno soprattutto negli ambienti montani, boschi umidi e rive di corsi d'acqua. Il Sambuco si presenta come una pianta alta 3- 4 metri. I rami giovani sono verdi mentre quelli degli anni precedenti hanno la corteccia bruno cenere in cui spiccano le lenticelle prominenti. I rami hanno foglie opposte a due a due con il picciolo dilatato alla base e, quando cadono, lasciano sul ramo una cicatrice a forma di semiluna; sono ellittiche con la base cuneata, il margine è dentellato e l’apice termina con un dente acuto più grande di tutti gli altri. Il fiore è una infiorescenza a corimbo ombrelliforme di colore bianco- giallastro. I frutti del Sambuco sono delle drupe nere lucenti con il succo di color violaceo contenente due o tre semi. Il sambuco presenta proprietà medicinali-erboristiche riscontrabili nei frutti e nei fiori. Tutto il resto della pianta (semi compresi) è velenoso poiché contiene il glicoside sambunigrina. Estratti da corteccia, foglie, fiori, frutti e radici erano usati nel trattamento di bronchiti, tosse, infezioni del sistema respiratorio superiore e febbre. Secondo la moderna omeopatia la pianta di sambucus nigra ha diverse proprietà diuretiche, sudorifere, lassative, antireumatiche, antinevralgiche, emollienti, con i fiori del sambuco, usati anche per i liquori, si fa una tisana che serve come rimedio popolare per raffreddore, influenza, tosse, asma, reumatismi. L'arbusto del sambuco può venire moltiplicato per semina o per talea. Per la semina si procede interrando alcune bacche mature a circa 2,5 centimetri di profondità; le talee di una trentina di centimetri vanno staccate in autunno.

La Serapide lingua (Serapias lingua L. 1753) è una pianta appartenente alla famiglia delle Orchidacee, autoctona italiana, molto comune nelle regioni meridionali. In provincia di Salerno si trova in aree come il Vallone Porto, Parco regionale dei Monti Lattari, raggiunge quote assai modeste fino a 1500 m di altitudine. Predilige un terreno argilloso-marnoso o tufaceo ricco di humus. Il periodo di fioritura è a maggio. È una pianta erbacea con fusto alto da 10 a 40 cm, di colore verde chiaro che sfuma verso il rosso all'apice.Le foglie sono lanceolate e di color verde glauco. Presenta una infiorescenza costituita da pochi fiori (pauciflora). La Serapide lingua, un'orchidea terricola, sviluppa bulbi carnosi, da cui si dipartono fusti eretti, abbastanza spessi, di colore verde chiaro, spesso nella parte apicale assumono colorazione rosata; le foglie sono nastriformi, con la base avvolta attorno al fusto, di colore verde chiaro, rugose. In primavera all'apice dei fusti sbocciano alcuni fiori di colore rosato, che presentano un lungo labello rosso o porpora, bilobato, pubescente, sovrastato da un elmetto striato, costituito da due sepali ed un tepalo riuniti a costituire una piccola cavità, che talvolta serve da riparo per gli insetti impollinatori.

Lo stramonio comune (Datura stramonium L.) è una pianta a fiore appartenente alla famiglia delle Solonacee (Angiosperme Dicotiledoni). In Italia questa specie si trova naturalizzata in tutte le regioni, dalle pianure alle zone sub-montane, dove cresce sporadica negli incolti, vicino ai ruderi e nei margini delle strade. E' conosciuta anche come erba del diavolo ed erba delle streghe, questi nomi si riferiscono alle sue proprietà narcotiche, sedative ed allucinogene. Contiene infatti, gli alcaloidi allucinogeni scopolamina e atropina. L'uso della Datura stramonium per questo tipo di finalità è estremamente pericoloso in quanto la dose attiva di alcaloidi allucinogeni è molto vicina alla dose tossica. Della pianta vengono mangiati i semi o i fiori, talvolta utilizzati assieme alle foglie in forma di tisana.Come altre specie del genere Datura è una pianta altamente velenosa proprio a causa dell'elevata concentrazione di potenti alcaloidi, presenti in tutti i distretti della pianta e principalmente nei semi. La pianta è alta fino ad un metro e mezzo, ha fiori bianchi o gialli che assomigliano a campanule e frutti a capsula coperti di aculei, che contengono semi neri, simili a piccoli fagioli. Le sue foglie, maleodoranti e di forma ovale, con lobi dentati, contengono due alcaloidi ben noti, la iosciamina e la scopolamina (quest'ultimo in forti concentrazioni è il più pericoloso) che hanno proprietà rilassanti e antiasmatiche. La datura possiede quattro "teste", cioè la radice (attraverso cui si conquista il potere della pianta), lo stelo e le foglie (utili per far guarire le malattie) e i fiori (che vengono utilizzati per uccidere, far impazzire o render schiavi i nemici); i semi sono la testa più potente. La fioritura avviene tra luglio ed ottobre; i fiori rimangono chiusi durante il giorno per poi aprirsi completamente la notte, emanando un intenso e penetrante odore che attira le farfalle notturne.


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FAUNA del VALLONE PORTO

Falco Pellegrino

Rana Italica

Rospo Comune

Il Falco Pellegrino (Falco peregrinus, Tunstall, 1771) è una specie di falconide diffuso quasi in tutto il mondo. Sedentario e nidificante, in inverno la regione è interessata dall'arrivo di individui svernanti. Popolazione campana stimata in circa 100 coppie. Il Falco Pellegrino è presente nell'area del Vallone Porto di Positano (area Sic, interesse comunitario), sul Monte Liberatore a Vietri sul Mare, nel Cilento e in altre aree della Provincia di Salerno. Nidificante con una decina di coppie che occupano sia falesie costiere sia pareti rocciose nell'interno, da pochi metri fino a 1.400 metri s.l.m.. Si nutre quasi esclusivamente di uccelli. Il falco pellegrino è facilmente distinguibile per il suo corpo compatto e la sua silhouette più agile, le ali sono strette e a punta. Notevoli sono anche i suoi colpi d'ala veloci e vigorosi. Tra le cause che hanno concorso in passato alla riduzione numerica delle popolazioni di Pellegrino rivestono un ruolo preminente: la depredazione dei nidi da parte dei collezionisti di uova e per falconeria, l'inquinamento da insetticidi cloroderivati che danneggia le uova, il disturbo degli individui in cova e l'uccisione dei giovani durante la dispersione post-natale e nelle zone di svernamento. La collisione con cavi aerei potrebbe essere un altro importante fattore di impatto poiché la specie è considerata tra quelle “estremamente sensibili al rischio elettrico, con mortalità molto elevata” (Penteriani, 1998). Il bracconaggio è attualmente il fattore più importante di impatto nei Monti Lattari (Mancuso e Maglio, 1999). Varie forme di disturbo indiretto (escursionismo, caccia, addestramento cani, raccolta di asparagi) interessano i siti della specie posti alle quote più basse (Mancuso e Maglio, 1999). La protezione dei siti riproduttivi consentirebbe di mantenere in salute la popolazione presente sui Monti Lattari. In pratica è sufficiente il rispetto delle normative vigenti, il controllo del bracconaggio e la riduzione del disturbo ai nidi attraverso una gestione razionale della fruizione turistica. Infatti una presenza umana frequente in vicinanza dei siti riproduttivi comporta in genere il fallimento delle nidiate o anche l’abbandono dei nidi stessi. Poiché il Falco Pellegrino può andare incontro a fenomeni di bioaccumulo e biomagnificazione, un utilizzo controllato e ridotto di erbicidi e pesticidi ed un incremento dell'agricoltura biologica in particolare in zone a minor quota potrebbero avere dei chiari benefici per la specie.

La rana appenninica (Rana italica Dubois, 1987) è una rana della famiglia Ranidae, endemica dell'Italia. Vive in aree Sic, tra cui il Vallone Porto di Positano ed è stata osservata all’interno della Riserva Valle delle Ferriere ma anche nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Questo anfibio anuro, prima classificato come Rana graeca, e negli anni '90 riconosciuto come specie a sé, è un'entità monotipica, cioè non esistono sottospecie, ed è un endemismo del nostro appennino, infatti non è possibile rinvenirlo in nessun'altra parte del mondo. Appartiene al cosiddetto gruppo delle "rane rosse”. Con questo termine si indica una serie di specie appartenenti al genere Rana con alcune caratteristiche particolari in comune come la colorazione dimessa, le abitudini terricole e soprattutto la "macchia temporale" che le distingue dalle "normali" rane verdi. La Rana italica si trova per lo più presso ruscelli freddi in collina o in montagna e in zone boscose ma anche in grotte umide, lavatoi, abbeveratoi o lungo i corsi dei fiumi resta sempre nei pressi dell'acqua e se allarmata si tuffa subito. Come tutte le altre rane si nutre per lo più di insetti e in generale di tutto quello che riesce a catturare. Ha dimensioni fino a 7-7,5 cm, colorazione in genere rossastra, può variare da beige chiaro, marrone giallastro o verdastro. Gola di colore scuro con al centro una linea irregolare chiara, ai lati del muso dietro gli occhi ci sono due striature scure. Sul dorso possono esserci piccoli punti neri o a volte un disegno scuro come una V capovolta. Zampe lunghe ma che non superano il muso se distese in avanti, pliche dorsali ben distanziate, sulle zampe posteriori ventralmente sono presenti dei granuli perlacei.

Il rospo comune (Bufo bufo, Linnaeus, 1758) è un anfibio anuro della famiglia Bufonidae, diffuso in Eurasia e nel nord-ovest dell'Africa. E' protetto dalla Convenzione di Berna per la salvaguardia della fauna minore. È l'anfibio più grande d'Europa, vive in aree Sic come il Vallone Porto di Positano e nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Può raggiungere anche i 20 cm. La sua colorazione è marrone, che può tendere al rossiccio, il ventre tende ad essere biancastro. La pelle presenta numerose verruche, che secernono sostanze allucinogene, tra cui la 5-metossi-N, N, dimetiltriptamina, la bufotenina e la bufalina che possono comportare continue allucinazioni e stato di trance. Le pupille del rospo comune sono orizzontali di colore arancione. L'occhio è di color oro scuro o rame. Il Bufo bufo è insettivoro e predilige habitat forestali. Prevalentemente notturno, di giorno tende a nascondersi in buche o anfratti, sotto le pietre o comunque in luoghi riparati dalla luce, se minacciato assume una caratteristica posa intimidatoria con la testa abbassata e le parti posteriori sollevate. Per riprodursi tende a tornare sempre nella stessa pozza d'acqua, a volte percorrendo anche diversi km. Questo animale tende a scomparire dalle zone più antropizzate.


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Salamandra Terdigitata

Upupa

La Salamandrina terdigitata o perspicillata, cioè dagli occhiali, è un urodelo, anfibio con la coda. Il primo nome che le è rimasto seppure erroneo, poiché essa ha quattro dita nelle mani e quattro nei piedi, le fu dato dal conte de Lacépède, naturalista francese del '700. Questa creatura che ama i luoghi umidi e ombrosi e passa gran parte della sua esistenza nascosta sotto terra, fu per la prima volta descritta dopo essere stata rinvenuta sul cratere del Vesuvio e classificata nell'opera di storia naturale ch'egli pubblicò nel 1788. Il secondo nome, perspicillata, le fu dato dal Savi nel 1821: così egli la ribattezzò per il disegno a forma di V, color oro sbiadito, che ha sul capo al disopra degli occhi e fa pensare a un pince-nez. La sua lunghezza non supera gli undici (nel maschio, in questo caso leggermente più grande) di cui più della metà spetta alla sottile coda. La cute è granulosa. Le parti superiore sono di colore che varia dal grigio scuro al bruno o quasi nero. Le dita e parte degli arti sono di un rosso vivo, e così la parte inferiore della coda, e talvolta persino il ventre che è quasi sempre biancastro con macchie grigio scuro, marmoreggiato. La Salamandrina si ciba di prede varie: antropodi, molluschi, vermi, insetti e larve varie. Essa è specie esclusiva dell'area del Vallone Porto Positano, e in alcune aree del Cilento. La sua presenza è limitata alla catena appenninica e quasi solo al versante tirrenico, dalla Liguria alla Campania. La Salamandrina è inserita nella lista rossa tra gli anfibi in via d'estinzione. La direttiva Habitat dell'Unione Europea (n.43 del 1992), la include tra le specie animali di interesse comunitario, la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di protezione e ne raccomanda la tutela come specie.

L' upupa (Upupa epops Linnaeus, 1758) è un uccello della famiglia degli Upupidi, riconoscibile dal suo ciuffo erettile di penne, e dal suo becco sottile e ricurvo. E' un uccello migratore, in inverno va verso i tropici, in primavera viene avvistato in provincia di Salerno presso l'area del Vallone Porto e il Parco naturale Diecimare. Il nome upupa deriva dal richiamo “upup” emesso dal maschio in primavera quale invito alla nidificazione. E' proprio “grazie” al suo canto monotono che le ha fatto attribuire erroneamente abitudini notturne che non possiede. È amante dei luoghi secchi, semi-alberati e assolati: la si può incontrare presso boschetti o frutteti o lungo strade sterrate dove spesso si concede bagni di polvere. Nidifica nelle cavità degli alberi, negli anfratti di rocce o di manufatti quali muri a secco o edifici rurali. E' lunga 25–29 cm, con apertura alare di 44– 48 cm. Il piumaggio è inconfondibile, marrone molto chiaro nella parte superiore e a strisce orizzontali bianco-nere nella parte inferiore. In volo la silhouette è caratterizzata da ampie ali arrotondate e dal lungo e sottile becco; posata appare snella, con corti piedi e testa ornata da un vistoso ciuffo erettile di penne ad apice nero. Le upupe si nutrono di una grande varietà di insetti e assai caratteristica è la tecnica con cui preparano e ingeriscono il cibo. Infatti questi uccelli possiedono una lingua troppo corta per poter ingurgitare direttamente il cibo. Allora gettano in aria l'insetto e lo ingoiano a becco spalancato; prima però lo liberano della testa, delle ali e delle zampe sbattendolo ripetutamente a terra.


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COSTIERA AMALFITANA

Tramonti Salerno

Mare

Minori

Scala

Amal

Ravello

Maiori

Cetara

Atrani

Positano

Furore Praiano

Costiera Amalfitana

Conca dei Marini

Ambito marino della Costiera Amalfitana

La Costiera amalfitana è celebre per le sue bellezze paesaggistiche e per i suoi panorami incastonati fra mare e roccia. Diversi sono gli angoli di natura che appaiono quasi incontaminati: il Fiordo di Furore, Capodorso, il Vallone Porto, il Sentiero degli Dei e la Valle delle Ferriere. Il Fiordo di Furore è da molti definito un angolo di Norvegia tagliato nella roccia del Mediterraneo: esso costituisce una profonda insenatura, una ferita nella terra della Costiera lungo la quale scorre il torrente che scende dal monte Agerola. L'insenatura è circondata da case e dai tipici terrazzamenti, che rendono questo angolo ancora più pittoresco. Nella parte inferiore, la congiunzione con il mare è separata da una spiaggetta sabbiosa, incorniciata dalle scoscese pareti del vallone e sormontata dal ponte della strada statale che scavalca la stretta gola. Dal centro di Furore è possibile giungere in questo angolo incontaminato attraverso una scalinatella, che diviene un tutt'uno con le rocce e i terrazzamenti. Negli scenografici terrazzamenti delle vigne e degli alberi di limone, ma anche nel fitto del bosco di castagni che segna il confine tra la collina e la montagna: è qui che si ritrova, trasformato sì, ma ancora ben vivo, il mondo agricolo della Costa d'Amalfi. È un mondo discreto, poco noto e poco appariscente. È un patrimonio di saperi, pratiche e consuetudini che silenziosamente, giorno dopo giorno, plasmano il paesaggio garantendo la sopravvivenza di prodotti e sapori straordinari, inconfondibili. I vini Doc, i limoni Igp, gli squisiti formaggi e le castagne non si spiegherebbero senza i vitigni autoctoni impiantati dai Romani, senza i sapienti pergolati che splendidi a vedersi proteggono le piante di uva e di limone, senza i tempi e i modi e le assidue attenzioni di pratiche colturali secolari o millenarie, senza le tecniche e i procedimenti forti dell'esperienza e della pratica dei luoghi. In mare, ai piedi delle colline, le lampare dei pescatori aspettano come sempre le alici, mentre il bosco continua (ormai a fatica) a fornire i pali per i terrazzamenti della collina.


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FLORA della COSTIERA AMALFITANA

Agave

Alisso Profumato

Caccialepre

Carpino Nero

L' Agave è un genere di piante che appartiene alla famiglia delle Agavaceae. Le Agavi sono originarie delle zone tropicali e subtropicali, del continente americano, ma grazie alle loro caratteristiche – viene apprezzata molto come pianta ornamentale - ne hanno permesso l'ampia diffusione nel Mediterraneo ed è facile trovarle lungo la costa. Le Agavi sono state importate da molte parti del mondo e buona parte delle specie non sono riconducibili a quelle originali, perché hanno cambiato assetto in base al territorio in cui si trovano. Non è quindi facile stabilire precisamente le origini di un’Agave. Quando si parla di Agave in linea di massima ci si riferisce alla specie americana. L’Agave ha un fusto quasi inesistente ed è caratterizzata dalle foglie con forma allungata e carnose, disposte a rosetta, che arrivano anche a 2 metri di lunghezza per una larghezza pari a 30 centimetri. Le foglie lanceolate sono contornate da spine. La durata di questa pianta è al massimo di 30 anni e muore dopo aver generato un unico fiore dalla tonalità giallastra. Ha radici lunghe e numerose, fusto breve, con rosetta di foglie carnose dotate di molte fibre. Nelle foglie è quasi sempre presente la spina apicale, a volte le spine compaiono anche lungo i margini. La fibra (detta sisal) estratta dalle foglie dell' agave sisalana è utilizzata per la costruzione di corde, cesti, cappelli, tappeti e altri manufatti artigianali.

E' una specie spontanea del bacino del Mediterraneo, molto apprezzata a scopi ornamentali. E' stata introdotta, naturalizzandosi, anche in altri Paesi; in Italia è presente allo stato spontaneo in quasi tutte le Regioni. In Provincia di Salerno si trova lungo dune e terreni rocciosi e sabbiosi. E' una pianta erbacea perenne che vegeta in campi coltivati, muri e macereti,e fiorisce tutto l’anno. Ha radice fittonante lignificata, cespitosa, alta da 15-20 a 30-40 cm, con villosità biancastro-cinerea; fusticini legnosetti e afilli (con cicatrici fogliari) alla base, ramificati; foglie alterne. Generalmente fiorisce da marzo a settembre-ottobre, ma in ambienti particolarmente favorevoli la si ritrova fiorita tutto l'anno. Predilige ambienti sabbiosi non molto distanti dal mare, quindi è molto frequente in zone retrodunali o in prossimità di stagni costieri; il suo habitat si allarga, comunque a rupi costiere e in località anche distanti dal mare, preferibilmente su depositi alluvionali o su suoli da neutri ad alcalini. Vegeta da 0 a 1200 m s. l. m.

Il caccialepre o latticrepolo è una pianta di piccole dimensioni composta da foglie basali pennate. Il Caccialepre è diffuso in quasi tutta Italia, dove è comune sui terreni sassosi, incolti aridi, muri. In Provincia di Salerno è facile trovarlo lungo rupi marittime. Il primo termine del suo nome scientifico (Rheicardia picroides) è dedicato al medico e naturalista tedesco J. J. Reichard, mentre il secondo deriva dal greco picros = giallo, con riferimento al colore dei fiori. Altri nomi volgari: Caccialebbra, Grattalingua, Latticina, Latticino, Lattughino, Paparrastello, Terracrepolo. La fioritura avviene tutto l'anno, così come le foglie persistono in ogni stagione assumendo, però, un colore più scuro al sopraggiungere dell'estate. E' una pianta di piccole dimensioni composta da foglie basali pennate. Solo il cespo basale è considerato commestibile. In primavera la pianta produce un gambo fiorifero alto circa 40 cm che porta le infiorescenze a capolino. I frutti sono acheni di due tipi: gli esterni scuri, solcato-bernoccoluti, gli interni chiari e quasi lisci. Non si rinviene oltre i 1000 m di altitudine. Si raccoglie la rosetta basale quando è giovane e verde, prima che la pianta emetta lo scapo fiorale. La rosetta va troncata a livello del terreno con un coltello in modo da non ledere la radice. Il taglio provoca la fuoriuscita di una modesta quantità di latice bianco e dolciastro; questo per contatto annerisce la pelle, ma è innocuo e può essere facilmente rimosso con olio.

Il Carpino nero o Carpinella, è una pianta originaria dell'Europa sud-orientale che troviamo in Italia, e in aree come la Costiera amalfitana, il Cilento. Presenta elevata adattabilità ecologica. E' un albero caducifoglie di terza grandezza, alto fino a 15-20 m. Il carpino nero appartiene al genere Ostrya, formato da sole sette specie a foglia decidue di dimensioni medie e piccole. Pianta pioniera, capace di crescere anche su terreni poco profondi e sassosi, è indicata per un primo rimboschimento di aree brulle. La buona velocità di crescita, l’ottima capacità di disseminazione, la tendenza a formare ceppaie ne fanno una pianta preziosa nei terreni declivi e da rinsaldare. In passato, il suo legno veniva impiegato nella produzione della carbonella e di legna da ardere. Di difficile lavorazione per la presenza di molte fibre irregolari. Negli ultimi anni, rivalutato anche come essenza di interesse paesaggistico, anche per le sue limitate esigenze di substrato; viene usato per formare siepi e alberature stradali (sfruttando la sua capacità pollonifera).


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Castagno

Corbezzolo

Dendroides

Digitalis Micrantha

Erica Arborea

Il castagno europeo (Castanea sativa, Miller), in Italia più comunemente chiamato castagno, è un albero a foglie caduce appartenente alla famiglia delle Fagaceae. Il Castagno è originario dell'Europa meridionale, Nord Africa e Asia occidentale. I castagneti da frutto sono ormai molto ridotti (in seguito al mal dell'inchiostro e al cancro) in Italia, anche se in questi ultimi anni si sta assistendo ad un tentativo di recupero non solo ai fini produttivi. Le regioni in Italia in cui la coltura del castagno da frutto assume maggior importanza sono la Campania, la Sicilia, il Lazio, il Piemonte e la Toscana. In Italia è presente in molte aree montane. In provincia di Salerno sono tante le zone adibite a castagneto, dall'aria montana della Costiera amalfitana (Scala, Ravello, Tramonti) a quella del Cilento. Il castagno è un albero che può raggiungere anche l'altezza di 25 metri, ha chioma espansa, rotondeggiante o globosa. Il tronco nei vecchi esemplari diventa possente raggiungendo 10 e più metri di circonferenza. Le castagne sono ricche di amido e in molte zone montane d'Italia hanno rappresentato, fino agli anni '50, la principale fonte alimentare. Nel Medioevo hanno costituito la principale base alimentare di molte popolazioni. Il Corbezzolo (Arbutus unedo L. 1753 ) è un cespuglio o un piccolo albero appartenente alla famiglia delle Ericaceae, diffuso nei paesi del Mediterrano occidentale. È una tipica essenza della macchia mediterranea. Predilige terreni silicei e vegeta ad altitudini comprese tra 0 e 800 metri. L'origine del nome generico, dovuto probabilmente al sapore aspro del frutto e delle foglie, ha radici antiche da ricercarsi nel celtico 'ar' = aspro e 'butus' = cespuglio. Dal nome greco del corbezzolo (κόµαρος - pron. kòmaros) derivano molti nomi dialettali della pianta. I frutti maturano nell'anno successivo rispetto alla fioritura che dà loro origine, in autunno. La pianta si trova quindi a ospitare contemporaneamente fiori, frutti immaturi e frutti maturi, il che la rende particolarmente ornamentale. I frutti sono delle bacche globose, di colore rosso vivo a maturità e commestibile che contengono al loro interno dai 4 ai 6 semi ovali lanceolati di colore scuro. Nel periodo risorgimentale, a causa dei tre colori bianco (fiori), rosso (frutti) e verde (foglie) presenti sulla pianta in autunno, ovvero gli stessi della bandiera italiana, era considerata pianta che inneggiava all'unità nazionale. Il poeta Giovanni Pascoli dedicò al corbezzolo una poesia, per cantarne le caratteristiche che lo rendono speciale. L'Euforbia arborea (Euphorbia dendroides L. 1753) è una pianta della famiglia delle Euphorbiaceae molto diffusa nella macchia mediterranea. Prospera in ambienti litoranei aridi e soprattutto calcarei, su scogliere e rupi presso il mare, da 0 a 700 m. Lungo la Statale 163 Amalfitana in primavera abbellisce con i suoi fiori gialli il tratto di costa. E' facile trovarla anche nella fascia più interna e distante dall’aerosol marino e in ambienti litorali rupestri, ma anche in zone distanti dalla costa con clima caldo-secco, si insedia una vegetazione arbustiva termofila a tratti piuttosto densa. Si presenta in forma di cespugli, con fusto e rami dicotomi, alti sino a 2 m. Nel periodo invernale e primaverile forma dei veri e propri cuscini sferici di colore verde. Nel periodo estivo si presenta sotto forma di arbusti privi di foglie e dall'aspetto scheletrico. I rami, se strappati, secernono un lattice bianco irritante al contatto con la pelle. La disseminazione è garantita da un meccanismo di apertura a scatto del frutto che proietta i semi ad una certa distanza dalla pianta madre. Oltre che per seme si propaga anche per radicazione di talea apicale. La Digitale (Digitalis L.) è un genere erbaceo della famiglia delle Scrophulariaceae (la stessa della bocca di leone), con fiori che hanno una caratteristica forma simile a un ditale - da cui il nome. I fiori sono riuniti in racemi terminali unilaterali all'apice del fusto. E' una pianta erbacea perenne, eretta, alta 50-90 cm. Cresce in boschi, soprattutto in faggete, lungo la fascia submontana o montana inferiore (da 600-700 a 1400-1500 mt). Endemica della penisola Italiana, si trova in ampie zone della provincia di Salerno, lungo la Costiera amalfitana, nell'area del Vallone Porto, nel Cilento. Ha foglie acute, lanceolate, cuneate alla base, debolmente dentate, progressivamente ridotte verso l'alto, glabre o ciliate solo al margine. Ha magnifici fiori riuniti in un denso racemo allungato unilaterale, con una corolla tubulosa giallo biancastra, calice gamosepalo con lobi ovali - lanceolati che in parte si ricoprono tra di loro; frutto a capsula globosa, acuminata all'apice. Fiorisce a maggio-luglio. L'Erica arborea è un arbusto sempreverde, dalla corteccia rossastra, a portamento eretto, appartenente alla famiglia delle Ericaceae. Tipico elemento di macchia mediterranea in Italia ha distribuzione peninsulare, anche oltre lo spartiacque appenninico è presente anche nelle isole. In provincia di Salerno si trova in ampie aree, in boschi sempreverdi, macchie, garighe su terreni acidi, vive in aree con clima caldo-arido, ma si adatta anche ai climi più freddi ed umidi delle zone montane dove vegeta fino a 1200 m di altitudine, al Nord solo fino a 600 m. L'etimologia del nome del genere Erica deriva dal greco Eréiko = frangere, perché era ritenuta valida per spezzare i sassi e i calcoli della vescica, o secondo altre interpretazioni per la fragilità delle sue foglie. Il nome specifico fa riferimento al suo portamento. E' un arbusto o alberello sempreverde, con chioma densa, che può raggiungere i 5 metri di altezza, con apparato radicale costituito da poche diramazioni piuttosto grosse e disposte a raggiera e con il fusto che ha la corteccia grigio-brunastra con screpolature, mentre quella dei rami giovani è ricoperta di una fitta lanugine bianca che la rendono ruvida al tatto. Le foglie sono aghiformi lunghe appena 5 mm e larghe O,5 mm con una riga bianca al di sotto e i margini revoluti, riunite in verticilli normalmente di quattro elementi, glabre, di color verde scuro. I piccoli fiori profumati, penduli, formano infiorescenze all’apice dei rami. I frutti sono piccole capsule ovoidi che si apre in 4 valve per far uscire i minutissimi semi. Fruttifica in estate.


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Il genere Euphorbia comprende un vasto numero di piante dicotiledoni (con foglie carnose) della famiglia delle Euphorbiaceae, erbacee o legnose a seconda della specie. Abbonda nel Mediterraneo e nell 'area della provincia salernitana l'Euphorbia characias nelle parti interne più umide e ombrose Il termine Euphorbia deriverebbe dal nome del medico greco Euphorbus (1°secolo a.c.) che utilizzava il succo lattiginoso prodotto da queste piante nelle sue pozioni. Era il medico personale di Giuba II e fu questo dotto sovrano a denominare così in suo onore la pianta, all'interno di un trattato che scrisse per illustrarne le virtù terapeutiche. Il suo nome volgare è Euforbia cespugliosa, Euforbia a cespi.

Euphorbia Characias

Fillirea

Fiordaliso di Tenore

Ginestra

Lauro

Il genere Phillyrea (in italiano Fillirea) comprende arbusti e piccoli alberi sempreverdi della famiglia delle Oleacee, è una specie spontanea della regione mediterranea, dove è elemento caratteristico della macchia sempreverde. In Italia è presente lungo le coste occidentali e nelle isole. La Phillyrea è una pianta legnosa che può raggiungere in alcune specie l'altezza di 6-7 m (piccolo albero). Le foglie sono semplici, opposte, sempreverdi. I fiori sono piccoli, bianchi con 4 sepali e 4 petali riuniti parzialmente in un breve tubo. I fiori sono raccolti in brevi grappoli ascellari. I frutti sono drupe carnose, nere a maturazione, vagamente simili alle olive, ma più piccoli, più rotondi e riuniti in grappoli. Secondo i Greci, gli dei crearono quest'albero da una ninfa di nome Filira: la sua bellezza era tale che Cronos, padre di Zeus, si innamorò di lei. Per sfuggire all'occhio di sua moglie, Cronos trasformo Filira e se stesso in una coppia di cavalli. Dal loro amore nacque il centauro Chirone, metà uomo e metà cavallo. Filira si spaventò talmente per l'aspetto mostruoso di suo figlio, che implorò gli dei di trasformarla in albero, e le sue preghiere furono accolte. E' una specie di flora endemica e rara tutelata dalla Legge Regionale della Campania 25/11/94. E' stata individuata in aree come i Monti Lattari, e in alcune zone del Cilento. Fiorisce tra giugno e luglio e cresce prevalentemente lungo rupi calcaree. Secondo i botanici, la Centaurea tenorei Guss. ex Lacaita, conosciuta come Fiordaliso di Tenore, si presenta con quattro differenti morfologie: le piante con involucro dal diametro di 9-11 mm, pappo più breve dell'achenio si trovano sui Monti Lattari dalla vetta di Monte S. Angelo a Monte Cerreto; corrisponde al typus; le piante con involucro dal diametro di 12 mm, pappo lungo quanto l'achenio si trovano nella stessa area delle precedenti sui monti sopra Scala in Costiera amalfitana; le piante con involucro dal diametro di 10 mm, pappo lungo quanto l'achenio sostituiscono le precedenti sulle dolomie del Montalto, M. Finestra ed Avvocata di Maiori; le piante con involucro di diametro di 12-15 mm e pappo lungo quanto l'achenio sostituiscono le precedenti nella fascia costiera Amalfitana lungo tutta la costa meridionale da Vietri sul Mare fin quasi a Punta Campanella e sulla costa settentrionale tra Vico Equense e Meta di Sorrento (= var. maritima Lacaita). Col nome di Ginestre vengono comunemente indicate quelle piante cespugliose che nei periodi primaverili colorano di giallo il paesaggio mediterraneo con i loro fiori spesso intensamente profumati. Sono tutte esponenti della Famiglia delle Leguminose nella quale rientrano anche quelle piante che producono legumi commestibili, come i Fagioli (nelle loro tantissime varietà), i Ceci, i Piselli e le Fave, dalle quali deriva l'altro nome di questa Famiglia, Faboideae. Queste piante vengono anche comunemente indicate come Papilionacee (dal latino papilio,onis = farfalla) in quanto il loro fiore presenta una struttura molto particolare che ricorda in qualche modo una farfalla ad ali spiegate. Le Ginestre però, pur appartenendo ad una stessa Famiglia, sono diverse tra loro, ed ognuna di esse rappresenta una specie ben distinguibile dalle altre. Si trova nelle aree costiere della Provincia di Salerno, raggiunge i 2-3 metri di altezza ed ha portamento eretto, tondeggiante, con chioma molto ramificata; i fusti sono sottili, legnosi, molto flessibili, di colore verde scuro o marrone; le foglie sono piccole di colore verde scuro, molto distanziate le une dalle altre, cadono all'inizio della fioritura. Produce numerosissimi fiori di colore giallo oro, delicatamente profumati, sui fusti spogli; ai fiori fanno seguito i frutti: lunghi baccelli pubescenti, che contengono 10-15 semi appiattiti. Predilige l' esposizione ai diretti raggi del sole, ma si adatta bene a qualsiasi condizione: infatti si può sviluppare in zone parzialmente ombreggiate. La ginestra viene utilizzata nei rimboschimenti di zone degradate o nude per le sue caratteristiche di portamento ed ecologiche. Dato l'apparato radicale molto sviluppato trova impiego nel consolidare dune, pendii e scarpate. Il lauro, conosciuto come alloro (Laurus nobilis L. 1753) è una pianta aromatica appartenente alla famiglia delle Lauraceae, abbastanza diffusa nelle zone di clima temperato. Si presenta, poiché sottoposto a potatura, in forma arbustiva di varie dimensioni ma è un vero e proprio albero alto fino a 10 m. È una pianta perenne. L'alloro è una pianta dioica che porta cioè fiori maschili e fiori femminili su piante separate. L'unisessualità è dovuta a fenomeni evolutivi di aborto a partire da fiori inizialmente completi. Diffuso lungo le zone costiere settentrionali del Mar Mediterraneo, si trova in ampie aree della provincia di Salerno. L'ampia diffusione spontanea in condizioni naturali ha fatto individuare uno specifico tipo di macchia: la macchia ad alloro o Lauretum. Si tratta della forma spontanea di associazione vegetale che si stabilisce nelle zone meno aride e più fresche dell'area occupata in generale dalla macchia. L'alloro è una pianta rustica, cresce bene in tutti i terreni e può essere coltivato in qualsiasi tipo di orto. La moltiplicazione della pianta può avvenire per seme, per moltiplicazione dei polloni oppure per talea. E' una pianta ricca di oli essenziali sia nelle foglie (dall'1 al 3%) che nelle bacche (dall'1 al 10%) quali: geraniolo, cineolo, eugenolo, terpineolo, fellandrene, eucaliptolo, pinene, ecc.


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Lentisco

Limonio Salernitano

Olivo Cultivar Rotondella

Il Lentisco (Pistacia lentiscus, L. 1753) è un arbusto sempreverde della famiglia delle Anacardiaceae. Il lentisco è una specie diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo prevalentemente nelle regioni costiere, in pianura e in bassa collina, dal caratteristico odore resinoso. Si trova lungo la fascia costiera della provincia di Salerno. In genere non si spinge oltre i 400-600 metri. La pianta ha un portamento cespuglioso, raramente arboreo, in genere fino a 3-4 metri d'altezza. La chioma è generalmente densa per la fitta ramificazione, glauchescente, di forma globosa. L'intera pianta emana un forte odore resinoso. La corteccia è grigio cinerina, il legno di colore roseo. Le foglie sono alterne, paripennate, composte da 6-10 foglioline ovato-ellittiche a margine intero e apice ottuso. Il picciolo è appiattito e alato. L'intera foglia è glabra. Il lentisco è una specie dioica, con fiori femminili e maschili separati su piante differenti. In entrambi i sessi i fiori sono piccoli, rossastri, raccolti in infiorescenze a pannocchia di forma cilindrica, portati all'ascella delle foglie dei rametti dell'anno precedente. Il frutto è una piccola drupa sferica o ovoidale, di 4-5 mm di diametro, di colore rosso, tendente al nero nel corso della maturazione. La fioritura ha luogo in primavera, da aprile a maggio. I frutti rossi sono ben visibili in piena estate e in autunno e maturano in inverno. Limonium Mill. 1754 è un genere di piante della famiglia delle Plumbaginaceae, volgarmente chiamate statice o limonio. Tra le specie di Limonium, si annoverano moltissimi endemismi di aree ristrette, come ad esempio in Provincia di Salerno dove il Limonio salernitano è presente nei tratti di costa alta da Positano al Golfo di Policastro lungo rupi marittime in condizioni di elevata salinità. La maggior parte delle specie attribuite a questo genere sono piante erbacee perenni, dotate di rizoma, alte da 10 a 70 cm. Poche specie sono erbe annuali o, all'opposto, veri e propri arbusti fino a 2 m d'altezza. Le foglie sono semplici, intere o lobate; la loro grandezza varia fortemente a seconda della specie. I fiori sono riuniti in infiorescenze vistose, di colore rosa, purpureo o violetto, più raramente bianco, giallo o azzurro. I singoli fiori sono piccoli (max 1 cm), regolari, dotati di 5 petali, 5 sepali e 5 stami. Il frutto è una piccola capsula contenente un solo seme. Molte specie di Limonium sopportano o prediligono suoli ricchi di sale e quindi crescono in prossimità delle coste del mare - addirittura in qualche caso (p.es. Limonium bellidifolium) sulle spiagge inondate periodicamente dalla marea - o in paludi salmastre, in terreni salini dell'interno, su suoli ricchi di gesso o fortemente alcalini.

E’ una varietà di olivo molto diffusa nel salernitano. Il nome deriva dalla forma sferica del iconografica e storica: frutto ed è conosciuta con i sinonimi di: Rutunnella, Tonnella, Tunnella, Olivella, Minutella, Mannella, Romanella, Nostrale ecc. Pianta di media vigoria, con portamento assurgente, chioma folta e raccolta, rami fruttiferi molto fragili, che facilmente si rompono durante la raccolta, foglie di forma ellittico-lanceolata. Giudicando la mole, l’età di alcuni esemplari di Rotondella può essere fatta risalire anche a diversi secoli prima di Cristo, epoca nella quale la varietà potrebbe essere stata introdotta ad opera dei Focesi, coloni greci provenienti dell'Asia Minore. Probabilmente nei Monti Picentini è stata introdotta dopo il 202 A.C. a seguito alla sconfitta di Annibale ad opera dei Romani, quando Picenzia, alleata di Annibale, venne rasa al suolo ed i superstiti furono dispersi nelle colline della zona più interna, ove si formarono numerose borgate, che per Roma divennero l'Ager Picentinus. Tra le caratteristiche vanno ricordate: l’autoincompatibilità, l’alternanza di produzione e la resistenza alle basse temperature ed alla siccità. E' inoltre sensibile agli attacchi di mosca, alla rogna (solo se in vicinanza di altre piante infette), mentre presenta buona resistenza all’occhio di pavone. Il suo habitat è nelle zone collinari ad una altezza di 400-500 metri s.l.m., in terreni rocciosi prevalentemente esposti a sud. In queste condizioni ottimali la pianta non ha bisogno di particolari trattamenti ad eccezione della potatura e la concimazione. La cultivar, allevata principalmente a vaso libero, è molto apprezzata per la produttività (resa intorno al 23%) e qualità dell’olio. In fase di raccolta, che dovrebbe essere eseguita secondo il metodo tradizionale della brucatura a mano, le olive sono selezionate sul campo in funzione del grado di maturazione. Successivamente, le drupe sono poste in cassette forate e trasportate al frantoio, dove sono molite tramite macchinari a ciclo continuo e a bassa temperatura. L’olio così prodotto, dopo un periodo di decantazione naturale e la certificazione DOP è pronto per essere imbottigliato. La cultivar rientra nei disciplinari di produzione degli oli DOP “Colline Salernitane” e “Penisola Sorrentina”.

L'ontano napoletano è una pianta originaria italiana, si trova soprattutto in aree come l'appennino campano e calabro-lucano. Forma boscaglie ripariali. Alnus è un genere di pianta della famiglia delle Betulaceae che comprende alcune specie comunemente note come ontani. Gli ontani sono alberi generalmente di piccola taglia, o cespugli. Si sviluppano sino a 8-10 metri, eccezionalmente raggiungono i 25-30 metri. Le foglie sono semplici, caduche, alterne, a margine dentato. La rapidità di crescita degli ontani e la loro resistenza a condizioni sfavorevoli ne hanno fatto apprezzare l'uso come essenze nella bioremediation (come il recupero di cave, siti minerari, aree incendiate). Il genere Alnus comprende una trentina di specie, tra cui l'ontano napoletano che costituisce un endemismo che cresce in natura solo nell'Italia meridionale e in Corsica, formando estesi boschi.

Ontano Napoletano


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Orniello

Palma Nana

Rosmarino

Tarassaco

Originario dell'Europa meridionale e orientale, l'Orniello in Italia è diffuso ovunque fino a 1.000 metri al Nord e 1.500 al sud. E' presente in tutta la Provincia di Salerno, nell'area del Vallone Porto di Positano. In passato veniva coltivato in passato per la manna, secrezione zuccherina che si ricava incidendo il tronco, che veniva utilizzata come blando lassativo per il suo elevato contenuto in mannite. Oggi viene molto usato come pianta ornamentale. Il Fraxinus ornus è una pianta della famiglia delle Oleaceae, conosciuto come Orniello o Orno e chiamato volgarmente anche frassino da manna o albero della manna nelle zone di produzione della manna, è un albero o arbusto di 4-8 metri di altezza, spesso ridotto a cespuglio. Specie piuttosto termofila e xerofila preferisce le zone di pendio alle vallette ombrose e fresche. L'orniello è una specie interessante per la silvicoltura, in quanto può essere considerata una specie pioniera, resistendo a condizioni climatiche difficili, adatta quindi al rimboschimento di terreni aridi e siccitosi.

La Chamaerops humilis, comunemente nota come palma nana, è l'unica specie del genere Chamaerops, famiglia delle Arecaceae. È un tipico elemento della fascia più termofila della macchia mediterranea. È diffusa soprattutto in zone calde, vicino alle coste; predilige esposizioni soleggiate e teme il freddo intenso. In ambiente naturale cresce principalmente su terreni rocciosi o sabbiosi. E' una specie di flora endemica e rara tutelata dalla Legge Regionale della Campania 25/11/94 . E' una pianta rara in Campania e nell’area salernitana è presente solo a Capo d’Orso, comune di Maiori, e in alcune aree della costa cilentana. Il nome del genere fa riferimento alla morfologia della pianta (dal greco chamai=basso e rhaps=cespuglio). I greci la chiamavano Phoenix chamaeriphes, che significa letteralmente "palma gettata per terra". Si presenta come un cespuglio sempreverde che raggiunge normalmente altezze sino a 2 metri, ma può raggiungere l'altezza di alcuni metri. È di diametro variabile (10-15 cm), ricoperto da un tessuto fibroso di colore bruno. Generalmente è corto, visibile solo negli esemplari vetusti. È ricoperto in basso dai residui squamosi delle foglie morte (con un diametro complessivo fino a 25-30 cm). La corteccia è di colore marrone scuro o rossastra. Le foglie sono larghe, robuste, a ventaglio, rigide ed erette, sostenute da lunghi piccoli spinosi riuniti a ciuffi sulla sommità del fusto; di colore verde sulla pagina superiore e quasi bianco sulla pagina inferiore. I fiori sono portati da infiorescenze a pannocchia, corte e ramificate, di colore giallo, con peduncoli brevi. È usualmente una pianta dioica con fiori maschili e femminili su piante separate. I fiori maschili hanno 6-9 stami che sovrastano un calice carnoso, i fiori femminili racchiudono tre carpelli apocarpici carnosi. Il rosmarino (Rosmarinus officinalis, L.1753) è un arbusto appartenente alla famiglia delle Lamiaceae. Cresce spontaneo nell'area mediterranea nelle zone litoranee, lungo garighe e macchia mediterranea, dirupi sassosi e assolati dell'entroterra, dal livello del mare fino alla zona collinare. È noto in Italia anche col nome volgare di ramerino o ramerrino; il nome del genere deriva dalle parole latine ros (rugiada) e maris (del mare). E' una pianta arbustiva che raggiunge altezze di 50-300 cm, con radici profonde, fibrose e resistenti, ancorante; ha fusti legnosi di colore marrone chiaro, prostrati ascendenti o eretti, molto ramificati, i giovani rami pelosi di colore grigio-verde sono a sezione quadrangolare. La pianta richiede una posizione soleggiata al riparo di muri dai venti gelidi; un terreno leggero sabbiosotorboso ben drenato; poco resistente ai climi rigidi e prolungati. Per effetto dei meccanismi di difesa dal caldo e dall'arido, tipici della macchia mediterranea, la pianta presenta, se il clima è sufficientemente caldo ed arido in estate e tiepido in inverno, il fenomeno della estivazione cioè la pianta arresta quasi completamente la vegetazione in estate, mentre ha il rigoglio di vegetazione e le fasi vitali (fioritura e fruttificazione) rispettivamente in tardo autunno o in inverno, ed in primavera. In climi più freschi ed umidi le fasi di vegetazione possono essere spostate verso l'estate. Comunque in estate, specie se calda, la pianta tende sempre ad essere in una fase di riposo, in inverno l'ovulo diventa marrone. Il tarassaco comune (Taraxacum officinale) è una pianta a fiore appartenente alla famiglia delle Asteraceae. Cesce spontaneamente nel mediterraneo e nei luoghi con clima temperati. In Provincia di Salerno è una pianta abbastanza diffusa, facile da trovare nei prati incolti e lungo i bordi delle strade. Il nome specifico ne indica le virtù medicamentose, note fin dall'antichità e sfruttate con l'utilizzo delle sue radici e foglie. È comunemente conosciuto anche come dente di leone e soffione. Infatti il tarassaco è il notissimo fiore giallo dei prati, i cui frutti formano il soffione con cui si divertono i bambini. Viene detto anche piscialetto poiché ai bambini viene di solito raccontato “fantasiosamente” che chi lo coglie la notte bagnerà il letto. I frutti sono dotati di una corona di peli (pappo), inserita su un lungo peduncolo, che poi diffonde i frutti con il vento come un paracadute. Le foglie di tarassaco costituiscono una popolare insalata primaverile. Hanno un gradevolissimo sapore amaro aromatico e si mangiano sia da sole che insieme con crescione e altre erbe primaverili da tempi immemorabili. La sua efficacia sulla stimolazione dell'apparato digestivo umano è noto da secoli. Le proprietà drenanti, detossicanti e diuretiche del tarassaco lo indicano nel trattamento dell' obersità, dei disturbi della cistifellea e delle patologie reumatiche nonchè come ipocolesterolemizzante. Il tarassaco viene usato sia dalla cucina sia dalla farmacia popolare e la terapia a base di tarassaco viene chiamata "tarassacoterapia".


65-redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

E' coltivata in limitatissime aree della Costiera amalfitana. Probabilmente il nome deriva dalla presenza nel grappolo, accanto a quelli normali, di acini di piccolissima dimensione. Indagini effettuate con metodiche molecolari evidenziano che la varietà non è assimilabile ad altre varietà coltivate in ambito regionale. Pur essendo un elemento importante della tradizione dell’area, non si ritiene che sia una delle varietà più antiche; del resto non si rinvengono significativi riferimenti nella letteratura storica ed ampelografica. Questa varietà è diffusa nelle aree comprese nella zona di produzione del vino DOC "Costa d'Amalfi" (sottozone Tramonti e Ravello), al quale concorre. Studi recenti hanno accertato l’ottimo livello qualitativo delle produzioni enologiche da essa ottenibili e pertanto a breve ne verrà richiesta l'iscrizione al "Registro Nazionale delle varietà di viti" e l'inclusione tra quelle "Raccomandate" per la provincia di Salerno.

Uva Pepella E' una varietà ormai molto rara, tipica dell'area della Costiera amalfitana. Diffusa sporadicamente nei comuni di Furore, Positano ed Amalfi. Il nome della cultivar deriva dal colore biondo-dorato dell’uva matura, che ricorda il colore del fieno. In provincia di Salerno è attualmente oggetto di un programma regionale di recupero e valorizzazione dei vitigni autoctoni campani e di caratterizzazione molecolare delle varietà campane, che ne ha evidenziato le buone potenzialità enologiche (Regione Campania – Se.S.I.R.C.A.). Questa varietà e' presente nell’area da tempi molto remoti, come testimoniano le grandi dimensioni dei ceppi rilevati nell’ambito delle indagini effettuate a livello regionale. E’ presente sporadicamente nei vigneti; è tradizionalmente allevata (su piede franco) a pergola, realizzata con viti disposte a quadro, a gruppi di due, tre ceppi per posta. Concorre come vitigno complementare alla produzione del DOC "Costa d’Amalfi bianco" sottozona Furore.

Vite Cultivar Fenile

Vite Cultivar Ripolo

E' una varietà conosciuta anche come “Uva Ripola”, attualmente coltivata in prevalenza sul versante amalfitano, in particolare nei comuni di Furore, Amalfi e Positano. Scarsi i cenni alla varietà prima della seconda metà dell’800, quando viene descritta da Arcuri e Casoria (1883). Diffusa un tempo alle pendici dei Monti Lattari nei territori dei comuni di Gragnano e Castellammare, si è poi diffusa anche sul versante amalfitano. Varietà a bacca bianca, caratterizzata da grappoli spargoli e acinellati. Secondo alcune indagini di caratterizzazione molecolare, il vitigno sembrerebbe avere caratteri morfologici originali rispetto alle altre varietà campane. E’ tradizionalmente allevata a pergola, in genere in vigneti comprendenti altre varietà; vegeta bene nelle aree comprese nella zona di produzione del vino DOC "Costa di Amalfi" (sottozona Furore) al quale concorre. Il vitigno ha buona attitudine alla realizzazione di prodotti enologici di pregio. Studi condotti da Moio (2002) hanno evidenziato nei vini ottenuti da Ripolo un'interessante nota odorosa di diesel dopo dodici mesi di invecchiamento in bottiglia. Sarà avanzata la richiesta d'iscrizione al “Registro Nazionale delle varietà di viti” nonché quella di inserimento tra quelle "Raccomandate" per la provincia di Salerno.


redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia-66

Fauna della COSTIERA AMALFITANA

Allocco

Picchio Muratore

Pipistrello Albolimbato

Rinofolo Minore

L'Allocco (Strix aluco, Linnaeus 1758 ) è un uccello rapace della famiglia della famiglia degli Strigidi. È una specie particolarmente protetta ai sensi della legge 157/92. In Italia l'Allocco è stazionario, ma inegualmente diffuso e scarso; compare di passo in particolare in ottobre. È specie colpita dalla lotta ai nocivi e in diminuzione, specialmente per il fenomeno del disboscamento, dell'allargamento delle città e per la scarsità di alberi ad alto fusto nei parchi e nei giardini. Può essere allevato dall'uomo anche a scopo di ripopolamento. Non ha un habitat preferenziale, però sotto i 1000 metri s.l.m., al di fuori dei boschi non si fa vedere quasi mai. Frequenta boschi, parchi e giardini, nonché i pressi delle case di campagna. Ha costumi prettamente notturni e si riposa appressato a un tronco d'albero. Nidifica tra febbraio e giugno, in cavità naturali (principalmente alberi o nidi abbandonati) o artificiali. Depone mediamente 2-4 uova, ad intervalli non regolari (fa solo una covata). L'incubazione dura un mese, l'involo dei pulli avviene dopo 5 settimane dalla schiusa. Per l'autosufficienza occorrono 4 mesi. Ha capo grosso e tondeggiante, dischi facciali bruno-grigiastri. Ha occhi neri, non possiede ciuffi auricolari (cornetti), piumaggio bruno fulvo, macchiettato e striato. Si mimetizza alla perfezione nel bosco che frequenta, il suo colore può sembrare la corteccia di un albero. I rigetti sono grigiastri, simili a quelli del gufo comune. Il picchio muratore (Sitta europaea, Linnaeus 1758) è un uccello passeriforme, di circa 14 cm di lunghezza per 22-25 g di peso. Al contrario di quello che può suggerire il suo nome, non appartiene alla famiglia dei picchi. In Italia è diffuso quasi ovunque. In Provincia di Salerno lo si può avvistare nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano e nelle aree dove sono presenti parchi di latifoglie (più difficilmente nei boschi di conifere), ma è possibile incontrarlo anche nei giardini e frutteti in prossimità dei centri abitati. Il suo volo non è rapido ma piuttosto leggero. La particolarità del Picchio muratore consiste nell'arrampicarsi (anche a testa ingiù) sui tronchi degli alberi con rapide corse a spirale, aiutandosi con la coda. Infatti è l'unico uccello italiano in grado di scendere lungo gli alberi a testa in giù senza problemi. È una specie sedentaria. Il suo canto è molto frequente e vivace simile a un tui-tui-tui. La riproduzione inizia ad Aprile ed il nido viene costruito nelle cavità resistenti di alberi o muri. Se il foro d'ingresso risulta essere troppo grande, il Picchio muratore lo riduce di dimensioni, applicando un impasto di fango e saliva che una volta secco risulta essere molto resistente (da cui deriva la seconda parte del suo nome). Il Pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii, Kuhl, 1817) è un pipistrello appartenente alla famiglia dei Verspertilionidi. E' il chirottero più frequente e abbondante in Italia, particolarmente alle basse e medie quote. E' presente e frequente in tutta la Campania. E' una specie altamente versatile sotto il profilo ecologico, fortemente sinantropica e generalista, foraggia praticamente in tutti gli habitat regionali, incluso nelle aree a maggiore urbanizzazione. L'areale della specie è molto variegato. Nei luoghi urbani, sfrutta gli interstizi e i buchi delle costruzioni umane. In campagna utilizza, in alcuni casi, i buchi negli alberi e fessure nelle rocce. Si tratta di una specie spiccatamente antropofila, una delle poche considerate in espansione in Europa. E' una delle poche specie di chirotteri attualmente in espansione. Pur non essendo minacciata, in Italia questa specie è protetta, come tutte le specie di chirotteri.

Il Rinolofo minore è presente in tutta Italia, con popolazioni in forte declino. In Campania si trova in tutta la regione, sebbene a densità molto basse e probabilmente in netto declino. Nel Parco regionale dei Monti Lattari è stato segnalato a Ravello, Scala, Piano di Sorrento, Vico Equense, Maiori e Amalfi. La densità della popolazione appare molto bassa, con una sola nursery di dimensioni significative osservata in tempi recenti. Il più piccolo dei rinolofi europei può essere distinto dagli altri piccoli rinolofi - Rinolofo euriale e Rinolofo di Blasius - per il suo colore leggermente più scuro sul dorso, e per il profilo della foglia nasale che manca di una prominente proiezione superiore nella parte centrale della sella. Il Rinolofo minore forma delle grosse colonie in estate, in inverno più disperso. Ha un volo irregolare e ondeggiante. Esce all'aria aperta circa mezz'ora dopo il tramonto. Sono segnalati spostamenti di oltre 150 km. Vive principalmente in zone boscose, in inverno si appende in grotte, gallerie e cantine; in estate le colonie riproduttive si trovano anche in solai e vecchie fattorie. La Tottavilla (Lullula arborea, Linnaeus, 1758) è un uccello della famiglia degli Alaudidae. Raggiunge la lunghezza di 15 cm. L'apertura alare è di 27-30 cm. Si presenta con il becco sottile, le guance di colore bruno tendente al rossiccio, i segni sopracigliari che si congiungono alla nuca. La marca sopra-alare è bianca. La coda è corta. Specie politipica a distribuzione europea. Popolazione stimata di 1,3-3,3 milioni di coppie. Nidificante e migratrice in tutto il territorio nazionale. Popolazione stimata 20.000-40.000 coppie. Mentre canta in volo, la Tottavilla vola a spirale verso il cielo spesso partendo dalla cima di un albero. E' soprattutto un uccello terrestre che si nutre di insetti catturati nel terreno arido. Allo stesso modo costruisce il nido sul suolo. Il nido è ben mimetizzato fra i ciuffi d'erba. I pulcini lo lasciano prima di saper volare. Nidifica sul terreno. Ha un periodo di nidificazione molto lungo, da marzo fino ad agosto. La covata è composta da 3 a 6 uova biancastre picchiettate di marrone. Fa da 1 a 2 covate all'anno.

Tottavilla


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Fauna Marina della COSTIERA AMALFITANA Corpo lungo e assottigliato. La testa è piccola e le mascelle sono estremamente lunghe, sottili e dotate di numerosi piccoli dentelli; la mascella superiore è più corta. La pinna dorsale e quella anale sono poste in prossimità della coda. Il dorso è di colore verdastro con una linea bruna mediana mentre il resto del corpo è argenteo. Presenta ossa di colorazione verde. Specie di acque superficiali dove vive in branchi nei pressi della costa. Viene pescata con reti da posta, lampare e spesso con lenze alla traina. Taglia media: 35 cm Taglia massima: 70 cm

Aguglia

Aragosta

Appartiene al gruppo dei Crostacei decapodi (filum Artropodi). L'esoscheletro è costituito da un carapace ricoperto da numerose spine e di forma cilindrica. Gli occhi di color nero cupo sono protetti da due processi frontali e da due laterali. L'addome porta processi spinosi su tutti i segmenti nella parte ventrale. L'aragosta ha due paia di antenne, le antenne prime lunghe e le antenne seconde più corte dette antennule, e cinque paia di zampe (pereiopodi) sprovviste di pinze. In realtà, per essere precisi, il quinto paio di zampe nella femmina è provvisto di piccole chele necessarie all'animale nella cura delle uova presenti in grappoli al di sotto dell'addome. Nella parte ventrale dell'addome sono presenti delle appendici dette pleopodi. Il colore varia dal bruno-rossastro al bruno-violetto.Si tratta di una specie essenzialmente bentonica e per lo più solitaria che vive su fondali rocciosi, coralligeni o detritici da qualche metro a oltre 150 m di profondità. Si nutre soprattutto di molluschi, pesci morti e anelli di. Viene pescata con tramagli, reti di profondità o con nasse. La pesca, inclusa quella subacquea in apnea, è permessa solo se gli individui raggiungono i 24 cm (lunghezza totale). Taglia media: 35 cm Taglia massima: 55 cm Appartiene allo stesso gruppo sistematico dell'aragosta (Crostacei decapodi). Carapace abbastanza liscio e armato di un rostro appuntito e di spine protettive intorno agli occhi. La caratteristica più evidente dell' astice è rappresentata dal primo paio di zampe trasformate in due grosse chele. Possiede due lunghe antenne prime e due antenne seconde, corte e bifide. La superficie dorsale è blu-nerastra con disegni marmorati e il ventre è blu-giallastro.L'astice è un crostaceo bentonico, solitario, che vive tra i 10 e gli 80 m di profondità su fondali rocciosi e coralligeni. Si nutre di molluschi, crostacei e pesci morti. La pesca artigianale si svolge con nasse, ma le catture più frequenti avvengono con reti di profondità (tramagli). È preda occasionale di buoni apneisti. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 24 cm (lunghezza totale). Taglia media: 35 cm Taglia massima: 60 cm

Astice La boga ha corpo allungato e fusiforme. Il muso è corto, la bocca piccola con piccoli dentelli. L'occhio è molto grande. Il colore è argentato uniforme con linee orizzontali giallo-verdi dalla testa al peduncolo caudale. È specie tipicamente semi-pelagica sebbene contragga rapporti alimentari con il fondo. Vive in grossi branchi tra la superficie ed i 150 metri di profondità; si nutre di fito e zooplancton. Si pesca con reti fisse, con tramagli e, durante la notte, con la lampara. Taglia media: 18 cm Taglia massima: 30 cm

Boga

Calamaro

Mollusco cefalopode con corpo fusi forme, allungato e bordato sulla parte posteriore da un paio di pinne triangolari. Come il totano possiede otto braccia corte ventose e due lunghi tentacoli nudi retrattili con le estremità a forma di palette dotate di ventose. La conchiglia è interna, membranosa e molto sottile (gladio), e la colorazione del dorso è variabile, ma in genere rossastra scura con punti orlati di chiaro. Specie pelagica e gregaria, il calamaro vive in branchi numerosi dai primi metri fino alla profondità di 100 m. Durante il giorno si mantiene a qualche decina di centimetri dal fondo, mentre nelle ore notturne compie delle vere e proprie migrazioni verticali verso la superficie a scopo alimentare. È un vorace predatore di piccoli pesci e crostacei. Si riproduce nei mesi primaverili ed estivi ed emette dei cordoni di uova (ovature) biancastre che fissa alla volta di piccole grotte.Viene pescato con il tramaglio oppure alla traina lenta impiegando di solito un'esca artificiale soprattutto nei mesi freddi. Taglia media: 25 cm Taglia massima: 50 cm


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Cavvalluccio Marino

Cefalo

Cernia

Corallo Rosso

Il cavalluccio di mare (Hippocampus guttulatus Cuvier, 1829) è un pesce d'acqua salata appartenente alla famiglia Syngnathidae, diffuso nel Mar Mediterraneo. In provincia di Salerno si trova lungo le coste. E' una creatura marina rara ed affascinante. E' spesso reperibile in prossimità di alghe, Posidonia oceanica e Zostera a cui si appiglia con la coda. Di conformazione fisica tipica del cavalluccio marino ha la particolarità di presentare sul corpo e sulla testa numerose escrescenze appuntite formate dall'esoscheletro. La livrea è uniforme, di colore giallo, talvolta marrone o rossastro, con fasce irregolari bianche. Raggiunge una lunghezza massima di 15 cm. È una specie ovovipera. La femmina, dopo la fecondazione, depone le uova nella tasca posta sul ventre del maschio. Egli coverà le uova per 2-5 settimane fino alla loro schiusa, quando piccoli già formati usciranno dal ventre paterno. Hippocampus guttulatus ha dieta onnivora: si nutre di piccoli pesci ed alghe. Il minuscolo scheletro, formato da piastre ossee, sostiene gli organi vitali dell'esile animale che si sposta in acqua utilizzando delle minuscole pinne. La pinna dorsale è la più importante, permette al cavalluccio di spostarsi in maniera alquanto rapida e precisa. Le pinne laterali, posizionate appena dietro alla testa che ricorda quella di un piccolo cavallo, sono utilizzate per gli spostamenti e le manovre più complesse. Il muso allungato e la piccola bocca lo costringono ad una dieta alimentare assai limitata e specifica. Una bocca priva di denti che risucchia le piccole prede. Il corpo è solitamente formato da una cinquantina di anelli ossei mentre sulla testa e su quasi tutto il dorso sono presenti evidenti ramificazioni. La coda, organo fondamentale per il cavalluccio marino, è prensile. Questa permette all'animale un facile ancoraggio al fondale. Un habitat particolare quello frequentato da questo simpatico e fragile animale: acque basse e costiere, fondali detritici con presenza di alghe oppure le classiche praterie di poseidonia oceanica, tipiche di molte zone del Mediterraneo. Negli ultimi anni la presenza di questi splendidi animali si è fatta sempre più rara fino al punto di considerarli in moltissime zone scomparsi o almeno a rischio di estinzione. Il corpo ha aspetto robusto, affusolato e di sezione cilindrica, ed è ricoperto di grosse scaglie. La testa e la bocca sono di piccole dimensioni e l'occhio è ricoperto da una membrana adiposa e trasparente. Il dorso è di color grigio-blu, i fianchi sono argentati e il ventre bianco. Il cefalo è una specie gregaria, necto-bentonica, che vive presso la superficie in prossimità della costa. Entra spesso negli estuari o lagune salmastre dove è attratto dall'abbondanza di nutrimento: alghe, piccoli invertebrati, sostanza organica in decomposizione. Le nostre acque sono frequentate da 6 specie di cefalo molto simili tra di loro sia morfologicamente che per le caratteristiche biologiche. Le catture più frequenti si attuano con reti di sbarramento o con tramagli di superficie, tuttavia i cefali rappresentano una preda abituale anche per pescatori con canna e subacquei. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 16 cm. Taglia media: 45 cm Taglia massima: 120 cm Corpo ovoidale ricoperto da scaglie di media dimensione. Possiede una testa molto grande ed una bocca enorme con la mandibola leggermente prominente. La pinna caudale è arrotondata e gli archi branchiali sono dotati di spine appuntite e forti. Ha fianchi e dorso di color marrone scuro ed il ventre di color gialloarancione. Il corpo è chiazzato di macchie giallastre. Una volta morto, il pesce assume un colore marrone scuro uniforme. Si tratta di una specie bentonica che vive in genere solitaria, a profondità comprese tra pochi metri e 150, metri trovando rifugio in caverne più o meno ampie e fra gettate di massi. Raggiunge dimensioni ragguardevoli (fino a 1,50 m) e può superare i 100 kg di peso. È anche abbastanza longevo potendo vivere fino a 40-50 anni d'età. La cernia è un voracissimo predatore di crostacei tra cui certamente predilige l'aragosta, pesci e soprattutto cefalopodi con il polpo in cima alla lista.Viene talvolta catturata in tramagli e palamiti. È una specie che viene purtroppo sovrapescata da pescatori professionisti e dilettanti che troppo spesso ne catturano individui giovani che non hanno ancora raggiunto la maturità sessuale arrecando quindi gravi danni alla diffusione della specie. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 45 cm. Taglia media: 60 cm Taglia massima: oltre 150 cm Il corallo (Cnidari, Antozoi, Gorgonacei) è costituito da una colonia di polipi che si sviluppano lungo un asse centrale formato da spicole calcaree concrezionate con sali di calcio e ossido di ferro. Ed è proprio da tale composizione che risulta la sua particolare compattezza, apprezzata dagli artigiani gioiellieri di Torre del Greco e di Alghero. Il colore è rosso di varia intensità, tuttavia il rosso sangue è il più apprezzato dagli artigiani per fabbricare gioielli e monili ornamentali di valore pregiato. Il corallo rosso si sviluppa essenzialmente su fondali coralligeni, in grotte, avangrotte e crepacci rocciosi. La profondità di distribuzione del corallo è variabile ma, dalle nostre parti, è presente a partire dai 45 metri in giù. Negli anni '60-'80 si è assistito alla maggiore pressione di pesca su questa importante risorsa, sia con attrezzi massicci operati da imbarcazioni, quali ad esempio la cosiddetta croce di Sant 'Andrea, sia tramite immersioni con autorespiratore con l'aiuto della "sciamarrella", una sorta di piccozza. La croce di Sant' Andrea è costituita da una lunga e robusta trave cui sono attaccati diversi frammenti di rete (retazze) che viene strascicata sul fondo rimuovendo (e quindi distruggendo) tutto quanto è emergente dal substrato e arrecando, quindi, danni notevoli a tutte le comunità. Taglia media: l0 cm Taglia massima: 25 cm


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Corifena

La testa della corifena ha profilo molto ripido e presenta grandi mascelle e occhi piccoli. Il corpo è robusto e allungato e si assottiglia leggermente verso la coda. La pinna dorsale è molto lunga, nastriforme e si estende da sopra la testa fino al peduncolo caudale. La coda è grande e forcuta. Il colore del dorso è azzurro-verde smeraldo con riflessi gialli, i lati sono giallo-verdi sfumati ed il ventre è giallino chiaro. Il corpo è ricoperto più o meno diffusamente di macchioline azzurre. La corifena è un veloce nuotatore pelagico che vive in acque aperte, generalmente in individui solitari, ed è un vorace predatore di piccoli pesci pelagici. Sovente la si può incontrare all'ombra di relitti galleggianti quali tronchi d'albero, cassette di legno, etc .Non esiste una pesca selettiva per questa specie che, tuttavia, viene catturata saltuariamente con lenze alla traina o con palamiti di superficie. Taglia media: 40 cm Taglia massima: oltre 100 cm

Ha corpo ovale e assai compresso lateralmente. Il muso è corto e arrotondato, gli occhi sono grossi. Il secondo raggio delle pinne ventrali e di quella anale è molto robusto, appuntito e bianco. Il corpo è di colore bruno, con riflessi argentei e dorati. Le pinne sono di colore giallo vivo. La corvina è una specie ben tonica che preferisce zone poco illuminate e quindi trova rifugio in grotte e crepe di fondali rocciosi e all'ombra nelle praterie di posidonia. Vive spesso in gruppi di 10-15 individui da pochi metri a 50-60 metri di profondità. Si nutre di molluschi e crostacei del benthos.Non esiste un metodo di pesca specifico, e le catture più frequenti avvengono impiegando tramagli e palamiti. Taglia media: 32 cm Taglia massima: 74 cm

Corvina

Dattero di Mare

Mollusco bivalve dotato di conchiglia allungata subcilindrica con margini lisci e cerniera priva di denti. Colore bruno-marroncino con interno biancastro e riflessi azzurri. Corrode le rocce calcaree con l'aiuto del movimento delle valve e di una sostanza acida secreta dall' animale, scavando dei canali lisci in cui si insedia (il nome latino viene dal greco "lithos" = pietra e "phago" = mangiare). Abbastanza diffusa e comune, nel recente passato questa specie ha subito - e purtroppo ancora subisce - una notevole pressione di pesca che ne ha ridotto notevolmente l'abbondanza, in particolar modo nella Costiera Amalfitana e Sorrentina.Attualmente la pesca del dattero è assolutamente proibita soprattutto a causa del metodo impiegato che prevede la distruzione totale del substrato, incluso ovviamente tutti gli organismi vegetali e animali che lo utilizzano. Taglia media: 5 cm Taglia massima: 12 cm Presenta corpo ovale, compresso lateralmente e ricoperto di grosse scaglie. La testa è grande e la bocca, caratterizzata da robusti denti conici, termina al di sotto dell'occhio. Sono proprio i quattro canini di ciascuna mascella a dare a questa specie il nome di dentice. La pinna caudale è ben sviluppata. Il colore del corpo è un blu-rosa argenteo ed è chiazzato di piccole macchie nere. Le pinne sono rosa. Il dentice è un pesce necto-bentonico che vive in piccoli branchi ma anche solitario, soprattutto quando è di grandi dimensioni. Vive in acque libere presso la costa, di preferenza in prossimità di capi. È un vorace predatore notturno di molluschi e pescipelagici come latterini, alici e sardine. Viene catturato con reti fisse (tramagli), palamiti e con lenze alla traina o al bolentino di profondità. Taglia media: 50 cm Taglia massima: 100 cm

Dentice

Donzella

La donzella ha corpo molto affusolato e ricoperto di piccole scaglie. La testa è conica, la bocca è piccolissima e presenta due file di denti. La donzella, come del resto i labridi in genere, è un pesce ermafrodita proterogino: in parole povere, significa che alla nascita è femmina e man mano che cresce, dopo aver attraversato una fase di transizione, la cosiddetta fase dell'inversione sessuale, diventa maschio. Tale evoluzione del sesso può essere facilmente apprezzata visivamente in quanto i pesci a seconda della fase di maturazione sessuale presentano livree diverse: le femmine, di minori dimensioni, hanno il dorso di colore marroncino scuro ed il ventre bianco; i maschi sono invece più grossi ed hanno una livrea dorsale blu-verde, i lati di color rossastro e arancione, ed il ventre bianco. La donzella è una specie bentonica che vive su fondali rocciosi e praterie di fanerogame, da pochi metri di profondità fino a 150 metri. Si alimenta principalmente di giorno di piccoli molluschi, crostacei, anellidi ed echinodermi; di notte, preferisce insabbiarsi. È preda frequente di tramagli, reti di fondo, nasse e lenze al bolentino. Taglia media: 11 cm Taglia massima: 23 cm


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Gattuccio

Corpo slanciato con testa appiattita e muso corto e arrotondato. La bocca è grande e munita di piccoli denti. Le narici presentano due pliche cutanee che si spingono fino alla bocca.Il colore del dorso va dal grigio al giallastro, il ventre è bianco e i fianchi portano numerose macchie marroni, nere e bianche su uno sfondo simile a quello del dorso. La pelle è zigrinata. Si tratta di una specie bentonica che vive preferibilmente su fondi sabbiosi e misti tra i 30 e i 400 metri di profondità. Lo si trova abbastanza frequentemente intanato in anfratti rocciosi. Durante la stagione riproduttiva le femmine emettono le uova il cui guscio è costituito da un astuccio corneo da cui partono alcuni filamenti tramite i quali vengono fissate sui rami delle gorgonie fino allo sviluppo completo. Il piccolo gattuccio appena nato è ancora dotato di sacco vitellino il cui contenuto sarà utilizzato per alcuni giorni, passati i quali lo squaletto sarà in grado di nutrirsi autonomamente. Si nutre di pesci e molluschi che preda soprattutto di notte, mentre di giorno ha attività piuttosto ridotta. Una specie simile, il gattopardo (Scyliorhinus stellaris), si differenzia dal gattuccio per la taglia maggiore e per le pliche nasali che non raggiungono la mascella superiore. I metodi di pesca tradizionali comprendono il tramaglio, reti da fondo e palamiti. Taglia media: 50 cm Taglia massima: 80 cm Crostaceo brachiuro (granchi) che presenta cefalotorace bombato con aculei sul margine laterale e al di sotto (aculei secondari). Il rostro si prolunga in due robusti denti divergenti. Presenta due grosse che le ed ha una colorazione sul bruno. chiaro. Si riproduce tra marzo e aprile e tra luglio e agosto. Le uova sono di colore rosso intenso.È il più grande granchio vivente in Mediterraneo, dove predilige fondali sabbiosi tra i 15 e i 50 m di profondità in inverno, mentre in primavera si sposta in gruppi verso fondali più superficiali prevalentemente rocciosi caratterizzati dalla presenza di vegetazione. Sono in gran parte fitofagi e utilizzano le alghe anche per mimetizzarsi. Vengono solitamente catturati con reti a strascico o reti da posta. Gli individui più giovani possono incappare in nasse per aragoste. Taglia media: 13 cm (lunghezza carapace) Taglia massima: 25 cm (lunghezza carapace)

Graceola

Gronco

Presenta corpo serpentiforme e cilindrico; la pelle è nuda e ricoperta di muco. La bocca è molto grande e dotata di piccoli denti appuntiti. La mascella è leggermente più lunga della mandibola. Le pinne dorsale ed anale si continuano nella caudale mentre le ventrali sono assenti.Il colore del dorso e dei fianchi è grigio-nero e il ventre è biancastro. Alcuni individui possono raggiungere persino i 50 kg di peso. Come la murena, il gronco è un pesce bentonico che vive solitario intanato fra le rocce o in grotte, da pochi metri di profondità fino a qualche centinaio di metri. Caccia durante la notte principalmente pesci e molluschi. Viene catturato spesso con i tramagli, le nasse ed i palamiti. In Costiera viene comunemente pescato con le nasse e, occasionalmente, utilizzando i cosiddetti "filaccioli" che consistono in lunghe lenze fissate alla roccia con un grosso amo, all'altra estremità innescato di solito con sarde, alose o pezzi di cefalopodi. Rappresenta anche una comune cattura da parte di subacquei e pescatori con canna. Taglia media: l m Taglia massima: oltre 2 m Corpo affusolato ricoperto da piccole scaglie. Occhi e bocca grandi, fianchi e dorso grigio-verdastri e ventre bianco. Si tratta di una specie pelagica e gregaria che vive in prossimità della superficie lungo le coste nutrendosi di crostacei del plancton e larve di pesci.Si pesca con la "lampara" o con reti del tipo sciabica. Taglia media: 8 cm Taglia massima: 14 cm

Latterino

Magnosa

Crostaceo decapode munito di carapace robusto e di forma rettangolare. Le antenne prime sono trasformate in appendici foliari (palette), mentre le piccole sono allungate e sottili. Ha cinque paia di appendici toraciche e cinque segmenti addominali armati di spine laterali. Gli occhi sono piccoli e molto distanziati tra loro. La colorazione è bruna rossastra e i margini delle antenne sono blu violetto.Si tratta di un animale tipicamente bentonico e solitario con abitudini di vita abbastanza simili a quelle dell'aragosta e dell'astice. È più frequente sui fondi rocciosi compresi tra i 2-3 m ed i 70 m di profondità, dove si nutre di anellidi, molluschi e altri organismi morti.Anche per la magnosa il tramaglio è il metodo di pesca più comune anche se spesso viene catturata con nasse. Non disponendo di chele o di carapace spinoso, può essere facilmente catturata dal subacqueo a mani nude, anche se non è molto comune e le sue grandi capacità mimetiche non ne permettono la facile individuazione. In Mediterraneo è presente una specie simile, detta magnosella (Scyllarus arctus), ma molto più piccola (non supera i 15 cm di lunghezza) e di inferiore valore gastronomico. Taglia media: 35 cm Taglia massima: 45 cm


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Testa grande con una concavità più o meno pronunciata al di sopra della regione frontale. Il corpo è allungato, compresso lateralmente e presenta scaglie piccole. Il muso è lungo e prominente, con la bocca ampia e protratti le che porta una serie di dentelli conici e una serie di robusti molari. Dorso e fianchi argentei con delle caratteristiche bande verticali di colore nero che vanno dalla testa alla coda. L'ambiente tipico della marmora sono i fondali sabbiosi e fangosi, dove tale specie si ritrova in branchi tra la linea di battigia, gli esemplari più piccoli, alla profondità di 25-35 metri. Si nutre in prevalenza, di piccoli organismi fossori (vermi, crostacei, molluschi). Si pesca con il tramaglio, a volte con la sciabica e, raramente, con palamiti innescati con vermi o cannolicchi. Taglia media: 15cm Taglia massima: 45 cm

Marmora Testa non molto grande, muso appuntito. La bocca è piuttosto piccola, protratti le e presenta dentelli sul palato. Il corpo è ovale ed ha colore plumbeo, bluastro con una macchia nera rettangolare con margine bianco sui fianchi sotto la linea laterale. La colorazione varia in funzione del sesso e del grado di maturità sessuale; i maschi maturi presentano strisce e macchie blu molto evidenti. La pinna dorsale è uniforme in altezza. Gli individui giovani possono essere confusi con altre due specie congeneri (M smaris e M chryselis). La menola è una specie costiera che vive in prossimità di fondi sabbiosi e di praterie di fanerogame, spingendosi fino ai 150 metri di profondità. Si nutre di crostacei, anellidi ed anche di copepodi planctonici. Si cattura prevalentemente con reti a strascico, sciabiche, tramagli e con lenze. Taglia media: 10 cm Taglia massima: 22 cm

Menola

La murena ha corpo serpentiforrne, piccola testa dotata di potenti mascelle con denti appuntiti; l'apertura branchiale è circondata da un anello nero. Non presenta pinne pettora1i o pe1viche e la pinna dorsale percorre tutto il corpo dall'altezza delle aperture branchiali ma all'estremità caudale. Il colore è marrone o bruno chiazzato di macchie gialle.Si tratta di un pesce bentonico costiero che vive fra le anfrattuosità delle rocce, di solito entro i 50-60 metri di profondità. È un predatore notturno di pesci, crostacei e molluschi. Si pesca spesso con reti e palamiti, ma rappresenta la cattura più tipica delle nasse. È preda comune di pescatori subacquei. Taglia media: 70 cm Taglia massima: oltre 150 cm

Murena

Corpo grosso e allungato, assai ristretto posteriormente e ricoperto da piccole scaglie. Occhio grande. All'estremità inferiore della grande bocca si trova un piccolo barbiglio. La pinna caudale è piccola e le ventrali sono trasformate in due lunghi e sottili filamenti bifidi. La colorazione è sul marrone-beige, mentre la parte ventrale è più chiara. Specie bentonica, la pastenula bruna vive solitaria o in compagnia di pochi altri individui su fondali di sabbia, fangosi e rocciosi fino ad oltre i 100 metri. Si nutre durante la notte di invertebrati e pesci vari, si riproduce in primavera e presenta larve e avannotti pelagici. Viene pescata con il tramaglio oppure con lenze o palamiti di fondo. Taglia media: 36 cm Taglia massima: oltre i 50 cm

Musdea

Nasello

Corpo ricoperto di piccole scaglie, allungato e poco compresso. Bocca grande e munita di due o tre serie di numerosi denti alti e sottili. Dorso grigio-bruno, fianchi argentei e ventre bianco. Si tratta di un pesce necto-bentonico che vive su fondali sabbiosi e fangosi tra i 50 ed i 700 metri di profondità.Caccia principalmente di notte avvicinandosi alla superficie dove cattura sardine, acciughe, sgombri e crostacei. Si riproduce in febbraio- marzo e le femmine emettono da 2 a 7 milioni di uova. I giovani conducono un'esistenza pelagica ed alla lunghezza di circa 3 cm raggiungono il fondo. La maturità sessuale sopravviene a 20-25 cm di lunghezza. In Costiera, ma spesso anche nel resto d'Italia, viene erroneamente chiamato "merluzzo", forse a causa del suo nome scientifico. In realtà il vero merluzzo (Gadus morhua) appartiene alla stessa famiglia (Gadidi) ma è un pesce atlantico e dei mari freddi (Mare del Nord). Il nasello viene catturato soprattutto con palamiti ("coffe a merluzzi") e talvolta con reti di profondità. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 20 cm. Taglia media: 40 cm Taglia massima: oltre i 100 cm


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Corpo allungato ed ovale, occhi molto grandi, da cui il nome; la bocca è piccola e la mandibola è leggermente più prominente della mascella. Il corpo è di color grigio-argenteo con riflessi blu sul dorso. L'occhiata presenta una caratteristica banda nera sul peduncolo caudale delimitata anteriormente e posteriormente da una banda bianca. È una specie costiera e pelagica di superficie, che forma branchi di media grandezza su fondi sabbiosi, rocciosi e su praterie di fanerogame, e si spinge fino ai 30-40 metri di profondità. Si nutre preferenzialmente di molluschi, crostacei e vegetali marini ed anche di anellidi planctonici e di eufausiacei (i gamberetti che costituiscono il "krill" di cui si nutrono le balene).Si pesca con tramagli, reti da circuizione, sciabiche, con la lampara di notte, alla traina con piuma o cucchiaino, con canne con galleggiante. Taglia media: 14 cm Taglia massima: 30 cm

Occhiata

Orata

Ha forma molto simile a quella del dentice: corpo ovale, testa grande con profilo arcuato e bocca ampia. Presenta denti robusti, appuntiti e ricurvi verso l'interno nella parte anteriore delle mascelle, seguiti da denti di forma simile ma più piccoli e da molari arrotondati nella parte più interna (eterodontìa). Ha una macchia nera ed una dorata nei pressi del margine superiore dell'opercolo, ed una macchia dorata nella regione frontale tra gli occhi. Il colore del dorso è grigio scuro mentre i fianchi sono argentei. Lungo il margine superiore dell'opercolo è ben evidente una striscia rossa. L' orata, specie bento-pelagica, vive in prossimità della costa, spesso in contatto con le praterie di posidonie. È ghiotta di crostacei e molluschi bivalvi, il cui guscio viene facilmente frantumato grazie ai suoi potenti molari.In primavera si spinge in estuari e lagune salmastre per nutrirsi, ed in autunno torna al mare per la riproduzione. Si pesca con reti fisse e con palamiti, ma si tratta, di solito, di catture abbastanza rare sia a causa della sua proverbiale scaltrezza ad aggirare le reti, sia a causa della sensibile rarefazione della specie, almeno nelle nostre acque. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 20 cm. Taglia media: 40 cm Taglia massima:70 cm

La testa è relativamente piccola, la bocca grande e gli occhi di medie dimensioni. Corpo allungato di colore rosa-argenteo e con una macchia nera in prossimità della base delle pinne pettorali. Vive, di solito, in branchi nei pressi di fondali sabbiosi o fangosi tra i 20 ed i 150 metri. Si nutre di piccoli crostacei e di vermi che cattura tra i granelli di sedimento. La pesca si attua tradizionalmente con palamiti, reti di profondità, lenze da fondo ed anche nasse. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 12 cm. Taglia media: 20 cm Taglia massima: 35 cm

Pagello Bastardo Corpo ovale, compresso lateralmente e di color rosa più o meno scuro. Testa media, occhio medio e muso prominente. Le pinne pettorali sono molto lunghe e di colore giallino. È una specie necto-bentonica che vive in piccoli branchi su fondi sabbiosi o detritici dai 20 ai 150 metri di profondità. Si nutre preferenzialmente di vermi e di crostacei bentonici. Si cattura con il tramaglio, i palamiti e le lenze di profondità. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 12 cm. Taglia media: 20 cm Taglia massima: 60 cm

Pagello Fragolino

Corpo ovale, compresso lateralmente e coperto di grosse scaglie. Occhi grandi, bocca piuttosto piccola con incisivi appuntiti e molari robusti. Il dorso ed i fianchi sono di color rosa con riflessi blu, mentre il ventre va sull'argenteo. Le punte della pinna caudale sono bianche. Specie demersale, vive, di preferenza, in piccoli branchi su fondali di coralligeno fra i 35 ed i 200 metri di profondità, nutrendosi, in preferenza, di molluschi e crostacei. Si pesca con tramagli, palamiti e, spesso, con lenze di profondità. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 18 cm. Taglia media: 45 cm Taglia massima: 80 cm

Pagro


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Il corpo della palamita è fusi forme, leggermente compresso e con minuscole scaglie. L'occhio è piccolo, il muso appuntito e la bocca molto grande e munita di denti acuminati. La linea laterale è ondulata e termina con una carena nei pressi della pinna caudale. Posteriormente alla seconda pinna dorsale ed all'anale è presente una fila di pinnule. Il dorso è di color blu, i fianchi sono blu-verdi ed il ventre argenteo. La palamita è un pesce pelagico, ottimo e potente nuotatore, gregario che vive in piccoli branchi di 20-50 individui. Si nutre principalmente di alici e sardine. Viene pescato con tramagli, reti da posta e da circuizione. Gli esemplari più grandi possono incappare in palamiti di superficie. È una preda ambita degli sportivi che praticano la pesca alla traina. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 25 cm. Taglia media: 40 cm Taglia massima: 80 cm

Palamita La patella è un mollusco gasteropode abbastanza primitivo, dotato di conchiglia più o meno liscia e non avvolta a spirale, a forma di cono appiattito. L'animale si trova sulla faccia ventrale della conchiglia e presenta un disco adesivo estremamente forte. Il colore della conchiglia è variabile dal bruno-verdastro al bruno-rossastro.La patella è un tipico abitante della zona intertidale (mesolitorale) delle coste rocciose, vale a dire di quel tratto compreso tra i livelli di bassa e di alta marea, anche se si può spingere fino ad alcuni metri di profondità ed a fare qualche escursione nella zona sopralitorale. Il potente sistema di ancoraggio, rappresentato dal disco adesivo, le consente una forte resistenza al moto ondoso anche nei casi di violente mareggiate. Si tratta di una specie erbivora che si nutre per la gran parte di alghe incrostanti. Taglia media: 4 cm Taglia massima: 7 cm

Patella

Pesce Bove

Pesce Cappone Imperiale

Il pesce bove è un grosso squalo che presenta il capo più largo del tronco e sei ampie fessure branchiali (da cui il nome Hexanchus), al contrario della gran parte degli squali che ne ha invece cinque. Il muso è corto e la bocca porta denti diversi sulle due mascelle. Ha una sola pinna dorsale quadrangolare e abbastanza ridotta, situata nella parte posteriore del dorso all'altezza della sotto stante pinna anale di simile morfologia. La colorazione del dorso varia dal grigio pallido al marrone scuro tendente al nerastro; il ventre è più chiaro, talvolta sul rosa pallido. È uno squalo di profondità (da 80 a 1000 m) che durante la notte migra in strati più superficiali dove caccia attivamente (squali, piccoli pesci ossei e crostacei). Nei mesi più caldi si avvicina alla costa per scopi alimentari e riproduttivi. È viviparo* e può partorire oltre 100 piccoli ciascuno di circa 65 cm. Nonostante il suo aspetto decisamente minaccioso e la mole spesso considerevole, non è considerato pericoloso per l'uomo. Viene catturato con reti a strascico e accidentalmente con reti fisse di fondo (estate). In Costiera amalfitana ci sono alcuni pescatori che di tanto in tanto armano un palamito a pesce bove innescando gli ami con grossi tranci di pesce salato, con risultati spesso discreti. Taglia media: 2-3 m Taglia massima: fino a 6 m Il pesce bove è un grosso squalo che presenta il capo più largo del tronco e sei ampie fessure branchiali (da cui il nome Hexanchus), al contrario della gran parte degli squali che ne ha invece cinque. Il muso è corto e la bocca porta denti diversi sulle due mascelle. Ha una sola pinna dorsale quadrangolare e abbastanza ridotta, situata nella parte posteriore del dorso all'altezza della sotto stante pinna anale di simile morfologia. La colorazione del dorso varia dal grigio pallido al marrone scuro tendente al nerastro; il ventre è più chiaro, talvolta sul rosa pallido. È uno squalo di profondità (da 80 a 1000 m) che durante la notte migra in strati più superficiali dove caccia attivamente (squali, piccoli pesci ossei e crostacei). Nei mesi più caldi si avvicina alla costa per scopi alimentari e riproduttivi. È viviparo* e può partorire oltre 100 piccoli ciascuno di circa 65 cm. Nonostante il suo aspetto decisamente minaccioso e la mole spesso considerevole, non è considerato pericoloso per l'uomo. Viene catturato con reti a strascico e accidentalmente con reti fisse di fondo (estate). In Costiera amalfitana ci sono alcuni pescatori che di tanto in tanto armano un palamito a pesce bove innescando gli ami con grossi tranci di pesce salato, con risultati spesso discreti. Taglia media: 2-3 m Taglia massima: fino a 6 m

Ha profilo arrotondato con bocca grande e mandibole che si estendono posteriormente fino all'altezza dell'occhio. La bocca è armata di denti conici, lunghi e appunti ti. Il corpo è appiattito ed ovoidale. La pinna dorsale e quella anale sono lunghe. Il colore del corpo è marrone scuro. È un pesce che vive in mare aperto, di solito in individui solitari, fino ai 150 metri di profondità. Si nutre di piccoli pesci pelagici. Taglia media: 40 cm Taglia massima: 70 cm

Pesce Castagna


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Pesce Prete

La testa è grande con bocca protrattile, ampia e diretta verso l'alto. Sulla parte centrale della mandibola è presente una piccola appendice che il pesce muove per attirare le prede. Gli occhi sono grandi e posti in cima alla testa. Sugli opercoli branchiali sono presenti due evidenti spine collegate a ghiandole velenifere; il corpo è allungato e di sezione circolare. La prima pinna dorsale è corta e porta 4 raggi spinosi, la seconda è più lunga e con 13-14 raggi molli. Le pinne pettorali sono grandi. Il colore del dorso è marrone scuro, i fianchi sono più chiari ed il ventre biancastro.Specie tipicamente bentonica, il pesce prete vive su fondali sabbiosi e fangosi dove s'infossa totalmente lasciando uscire solo gli occhi e la bocca ed agitando l'appendice della mandibola per attirare piccoli pesci e crostacei di cui si nutre. Resta spesso preda di tramagli, reti di profondità, reti a strascico e palamiti. Taglia media: 20 cm Taglia massima: 32 cm Pesce dalla morfologia inconfondibile. Corpo ovale estremamente compresso lateralmente e ricoperto di scaglie non visibili. La testa, munita di placche ossee, rappresenta un terzo del corpo. Bocca grande e protrattile. I raggi della pinna dorsale sono molto lunghi e proseguono in filamenti sottili. Il corpo è di colore giallo-bruno o verdastro e presenta, al di sotto della linea laterale in posizione centrale, una macchia nera circolare. Secondo la leggenda questa macchia presente sui due lati sarebbe l'impronta delle dita di San Pietro che dopo aver trovato una moneta d'oro nella sua bocca lo rigettò in acqua. Il pesce San Pietro è necto-bentonico e vive di solito da solo in acque che vanno dai 50 ai 250 metri. Si nutre di piccoli pesci, molluschi e crostacei. Viene spesso catturato con tramagli e palamiti di fondo. Taglia media: 35 cm Taglia massima: 65 cm

Pesce San Pietro

Pesce Sciabola

Pesce Spada

Polmone di Mare

Corpo molto allungato e compresso. La testa è grande con occhi grandi e la bocca è ampia e presenta la mascella inferiore più lunga della superiore. All'estremità della mascella inferiore vi è un processo carnoso appuntito. Denti appuntiti e cospicui. La pinna dorsale è bassa e si allunga senza interruzioni fino al peduncolo caudale. Le pinne pelvi che sono ridotte a due minuscoli peduncoli, e la pinna caudale è piccola e a forca. Il corpo è liscio e presenta scarse scaglie; il colore è caratteristicamente argentato, e gli individui più grandi presentano toni scuri sulla nuca e sulla parte anteriore della pinna dorsale. Si tratta di una specie bentopelagica e gregaria, generalmente presente tra i 100 e i 300 m di profondità, sebbene la si possa riscontrare a profondità maggiori (600 m). È un pesce molto aggressivo e si nutre di pesci, crostacei e cefalopodi (totani e calamari) di cui è particolarmente ghiotto. Tale specie era un tempo considerata di scarsa importanza economica ma oggigiorno la pesca del pesce sciabola sta diventando abbastanza importante soprattutto con attrezzi artigianali quali piccole coffe (palamito) o lenze di profondità a più ami (camaci). L'aggressività del pesce sciabola lo induce spesso ad attaccare i totani durante le ore notturne e occasionalmente è stato allamato con la totanara nell'atto di divorare un totano appena catturato. Taglia media: 80-120 cm Taglia massima: 210 cm Deve il nome al suo tipico rostro dato dall'allungamento della mascella superiore in una struttura simile ad una lama di spada. L'occhio è grande e la pinna dorsale è breve con 3 o 4 raggi spinosi. Non ha pinne pelviche e presenta due pinnule, una dorsale ed una ventrale, sul peduncolo caudale; sullo stesso sono anche presenti, lateralmente, due carene. La pinna caudale è molto grande e falciforme. È un tipico pesce pelagico, grande nuotatore di acque aperte e superficiali. Si può spingere anche oltre i 500 metri di profondità. Gli individui giovani vivono spesso in branchi, mentre i grossi adulti sono solitari. Si nutrono, in prevalenza, di pesce azzurro quali alici, sardine, sgombri, ma anche di cefalopodi pelagici (totani e calamari). I metodi di pesca più comunemente applicati per la cattura di tale specie variano dalle "spadare", reti derivanti di superficie calate di notte e lunghe oltre 10-15 Km, ai palamiti di superficie che vengono calati durante la notte innescati con sarde fresche. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 120 cm, misurata dall'estremità della mascella inferiore alla furca caudale. Taglia media: 160 cm Taglia massima: oltre i 400 cm Appartiene al gruppo degli Cnidari, classe Scifozoi. Questa medusa presenta ombrella a campana e braccia orali prolungate a formare 8 grossi peduncoli. Colore biancastro trasparente con margine dell'ombrella di color blu-violetto. Il polmone di mare è la più grande medusa del Mediterraneo.Le meduse appartengono al plancton e pertanto, pur disponendo di movimenti autonomi, vengono trasportate dalle correnti marine. In Costiera il polmone di mare è più comune tra giugno e settembre e forma spesso grossi sciami sparsi. Come avviene per un'altra medusa, Pelagia noctiluca, in tale periodo può capitare di osservare diversi individui "assembrati" in una caletta trasportati quasi passivamente dalle correnti. Viene spesso accompagnata da forme giovanili di pesci (suri, ricciole, salpe) che all'ombra della sua ombrella e dei suoi tentacoli urticanti trovano un validissimo rifugio.Non viene, ovviamente, pescata poiché di nessun valore economico dalle nostre parti. A tale proposito occorre ricordare che in Giappone le meduse essiccate sono considerate una prelibatezza ... anche se, considerando che oltre il 95% del loro peso corporeo è costituito da acqua, bisogna raccoglierne un bel po' per poterne assaporare il gusto. Taglia media: 30 cm (diametro ombrella) Taglia massima: 80-90 cm (diametro ombrella)


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Polpo

Il polpo comune (mollusco cefalopode) presenta un capo ovoidale e otto tentacoli dotati di due file di ventose disposte a zig-zag. Il colore è sul marrone variante da chiaro a scuro con macchie marmorizzate.Il polpo, oltre ad essere probabilmente l'invertebrato marino più intelligente, ha incredibili capacità mimetiche essendo in grado in pochi istanti di cambiare il proprio colore e il proprio aspetto a seconda dell'ambiente in cui si trova. È molto diffuso nei mesi caldi tra i 2 e i 25 m di profondità, mentre d'inverno si trasferisce a maggiori profondità (200 m) su fondali sabbiosi. È specie bentonica e solitaria che vive di giorno in fessure e cavità rocciose e di notte è vorace predatore di vari invertebrati (molluschi e crostacei) e pesci che cattura afferrandoli con i tentacoli e trattenendo li grazie alle ventose e al morso, attraverso cui inietta una secrezione velenosa delle ghiandole salivari. Viene comunemente pescato con tramagli e nasse, ma un attrezzo di pesca tipico di queste zone è rappresentato da una lenza armata con la polpara, un ancorotto di ami montati su un piombo di solito verniciato di bianco. Tale pesca viene di solito praticata dai pescatori più anziani in quanto richiede molta pazienza e altrettanta capacità. Si effettua da una barca a remi (lanza) e consiste nel trascinare sul fondo una lenza priva di ami con attaccato all' estremità un pesce morto fresco o sotto sale (strascìno). Appena il pesce viene afferrato dal polpo, il pescatore cala la cosiddetta polpara e con movimento secco strappa lo strascìno dai tentacoli del polpo, agitando ad arte immediatamente dopo la polpara; a questo punto il polpo infuriato viene attratto dal movimento e dal colore bianco della polpara e la aggredisce con decisione. Il pescatore dà un altro strappo, questa volta alla polpara, per allamare il polpo che viene quindi issato a bordo con rapidità. Taglia media: 60 cm Taglia massima: 120 cm

Corpo molto largo, appiattito nella sua parte anteriore e allungato e conico verso la coda. La testa è molto grande e porta un'enorme bocca semicircolare con grossi denti appuntiti ed inclinati all'indietro. Gli occhi sono piccoli e sono situati sulla sommità della testa, protetti da un'orbita spinosa. La testa porta anche un'appendice cutanea sopra la bocca, che viene agitata dal pesce per attrarre prede potenziali. Il colore del corpo è marrone scuro con macchie più chiare, la parte ventrale è bianca. La rana pescatrice è una specie di fondo, sedentaria, e vive su fondali fangosi a profondità variabili tra i 50 ed i 500 metri. Si nutre di pesci, crostacei e molluschi attratti dal movimento della sua appendice cutanea. Sicattura con tramagli, reti da fondo e, talvolta, con palangresi da fondo. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 30 cm. Taglia media: 50 cm Taglia massima: 220 cm

Rana Pescatrice

Il corpo ha forma appiattita, a losanga, più larga che lunga, che si prosegue in una coda più o meno della stessa lunghezza. Sono presenti sul dorso due piccole pinne e una fila di spine che arriva fino alla zona posteriore degli occhi. Tutto il corpo compresa la coda è disseminato da 20 a 25 grosse spine con una grossa placca alla base. La colorazione di fondo è bruna con macchie leggermente più chiare. Sono presenti due macchie simmetriche ben evidenti bianco-violette in prossimità del muso, corto e con un piccolo rostro appuntito. La razza chiodata è una specie tipicamente bentonica che predilige fondali sabbiosi e fangosi compresi tra i 10 e i 500 metri di profondità, dove si nutre di crostacei e pesci. Si pesca col tramaglio e con palangresi da fondo. Taglia media: 50 cm Taglia massima: 85 cm

Razza Chiodata

Riccio Comune

Il "riccio femmina", come viene comunemente definito in Costiera, è un Echinoderma con corpo globoso costituito da un dermascheletro calcareo appiattito ventralmente e ricoperto di aculei di solito di lunghezza pari al diametro del dermascheletro. Su tutto il corpo sono presenti dei pedicelli ambulacrali muniti di ventose alla sommità che servono al riccio per la locomozione. Tali strutture sono ben visibili quando l'animale è in acqua, poiché vengono retratte al momento dell'esposizione dello stesso all'aria. Il colore degli aculei e del guscio varia dal violetto al verde scuro, dal giallastro al bruno-rossastro. Sulla faccia ventrale al centro è presente la bocca costituita da 5 denti (lanterna di Aristotele). L'ano è posto alla sommità della faccia dorsale. Una specie simile e anche più comune è il "riccio maschio" (Arbacia lixula) che però è di colore nero e privo di interesse commerciale. È una specie bentonica, costiera, abbondante su fondi rocciosi e praterie di posidonia fino a 10-15 m di profondità, ma può raggiungere persino gli 80 m. Si nutre principalmente di frammenti di foglie di posidonia, di alghe e di piccoli organismi incrostanti sulle rocce. La pesca del riccio comune viene effettuata essenzialmente da subacquei che li raccolgono con le mani o aiutandosi con un coltello per distaccarli dal substrato. Conviene forse puntualizzare che i nomi volgari di riccio maschio (Arbacia lixula) e riccio femmina (Paracentrus lividus) si riferiscono, ovviamente, a due specie distinte e a sessi separati, ciascuna delle quali, cioè, presenta sia individui maschi che individui femmine. Taglia media: 5 cm (diametro) Taglia massima: 8 cm (diametro)


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Ricciola

Il corpo della ricciola è fusiforme, allungato e compresso lateralmente. La testa ha un profilo arrotondato, la bocca è grande e presenta piccoli denti disposti in diverse bande. Nei pressi della pinna caudale, lateralmente, si trova una carena formata da scaglie ingrossate della linea laterale. La coda è fa1ciforme e robusta. Il dorso è di colore blu-grigio, i fianchi sono più chiari e presentano spesso toni di color giallo, soprattutto negli individui più giovani, tanto che taluni chiamano "pesce limone" i piccoli di questa specie; il ventre è bianco argenteo.La ricciola è un pesce pelagico, abile e vorace predatore e veloce nuotatore, che frequentemente, soprattutto nei mesi più caldi, si avvicina alla costa per motivi di alimentazione. Si nutre di varie specie di pesci come alici, latterini, sauri, cefali, aguglie. Nei mesi invernali si mantiene a maggiori profondità (oltre i 50 m).Viene pescata spesso con reti da posta e occasionalmente con tramagli. La pesca sportiva con lenze da traina è particolarmente praticata e può dare discreti risultati. Taglia media:75 cm Taglia massima: 220 cm

Corpo ovale ma allungato con piccole scaglie. Gli occhi sono grandi, la testa relativamente piccola ed il muso corto con la bocca di media grandezza. Al di sopra della pinna pettorale, dietro all' opercolo, si trova una evidente macchia nera che spicca sul colore rosato del corpo. Il rovello, che viene confuso frequentemente con il pagello bastardo ed il pagello fragolino, è una specie necto-bentonica che vive in branchi a profondità variabili tra i 20 ed i 400 metri, su fondi sabbiosi, fangosi o detritici. La pesca viene attuata soprattutto con tramagli e palamiti, ma si possono avere discreti successi anche con lenze di profondità e, talvolta, persino con le nasse. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 12 cm. Taglia media:15 cm Taglia massima: 30 cm

Rovello Il corpo della salpa è ovale con scaglie medie; gli occhi sono relativamente piccoli come pure la bocca che ha labbra spesse. Il colore del corpo è blu-verdastro ed è attraversato da undici o dodici linee orizzontali di colar oro che vanno dalla testa alla coda. La salpa è un pesce gregario necto-bentonico, molto comune su fondali poco profondi in vicinanza di alghe o praterie di fanerogame. Si nutre esclusivamente di alghe e piante marine. Spesso, infatti, si notano piantine di posidonia le cui foglie presentano margini tagliuzzati a causa proprio delle "beccate" delle salpe. Si pesca col tramaglio e, talvolta, di notte con la lampara. I pescatori dilettanti hanno discreti risultati con la canna con galleggiante. Taglia media: 25 cm Taglia massima: 45 cm

Salpa

Anche il sarago fasciato presenta caratteristiche morfologiche simili alle altre due specie descritte; tuttavia, si differenzia per la presenza di due bande nere verticali, una immediatamente dietro la testa, che si spinge inferiormente fino alla metà dell'opercolo, ed un'altra sul peduncolo caudale. Vive prevalentemente su fondi rocciosi e su praterie, ma non disdegna i fondali sabbiosi. Le abitudini alimentari e la pesca sono essenzialmente simili a quelle descritte per gli altri saraghi. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 15 cm. Taglia media:15 cm Taglia massima:30 cm

Sarago Fasciato

Sarago Maggiore

Il sarago maggiore presenta corpo compresso, ovale e ricoperto di grosse scaglie. La bocca è grande con incisivi ben sviluppati e 3 o 4 serie di denti molariformi molto robusti. Ha colore grigio argenteo e presenta una macchia nera sul peduncolo caudale. Gli adulti hanno da 6 a 8 bande nere verticali sui due lati. I saraghi sono necto-bentonici e vivono in piccoli branchi sui fondali rocciosi costieri, spesso su praterie di posi doni e, fino a 50 metri di profondità. Si nutrono di crostacei, molluschi e sono ghiotti, in particolare, di ricci di mare. Le catture sono, per lo più, occasionali ed i metodi di pesca comprendono il tramaglio, i palamiti (spesso appositamente allestiti), canne con lenze da fondo o con galleggiante. Le esche vanno dalla comune sarda alle sofisticate "pasture" a base di formaggio secco, pane, cetrioli di mare, ricci di mare, spirografi, a seconda della fantasia del pescatore.La lunghezza minima consentita per la pesca è di 15 cm. Taglia media: 25 cm Taglia massima: 45 cm


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Corpo ovale e compresso lateralmente. Le caratteristiche del sarago pizzuto sono abbastanza simili a quelle del sarago maggiore, ad eccezione del muso, che è molto prominente, e della bocca che è alquanto piccola, con incisivi davanti ed una sola serie di denti molariformi di piccole dimensioni.Il colore del corpo è grigio, più o meno uniforme, con delle bande verticali grigiastre che vanno dalla testa alla coda. Il sarago pizzuto vive spesso solitario o, talvolta, in piccoli branchi, in prossimità di fondali rocciosi e su praterie di posidonie fino ai 45-50 metri di profondità. I crostacei ed i molluschi bentonici sono le sue prede preferite. La pesca si effettua con tramagli e palamiti, ma si può avere successo anche con canne da lancio o a lenza fissa. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 15 cm. Taglia media: 25 cm Taglia massima: 50 cm

Sarago Pizzuto

Sardina

Pesce dal corpo slanciato e fusiforme ricoperto di grosse scaglie che si staccano facilmente. Possiede una sola pinna dorsale. Il dorso è di colore verde-blu, i fianchi ed il ventre sono argentati. Presenta bocca grande e obliqua. Si tratta di una specie pelagica e gregaria che vive in acque di media profondità nutrendosi di piccoli crostacei e di uova planctoniche. I branchi di sardine si ritrovano presso le nostre coste tutto l'anno, ma d'inverno tendono a spostarsi più a largo e a maggiore profondità. Si riproduce durante tutto l'anno, soprattutto d'inverno. Le femmine emettono fino a 80.000 uova che, dopo 2-4 giorni, schiudono liberando le piccole larve che cominciano subito a nutrirsi di fitoplancton. Le piccole sardine, dette bianchetti, si pescano con reti a strascico o con la lampara. La durata della vita è di 5 anni (in Atlantico, 14 anni) e la maturità sessuale si raggiunge dopo il primo anno di vita. Ha come predatori tonni, delfini, naselli e come competitori alici, sgombri, suri. Taglia media: 14 cm Taglia massima: 24 cm

La testa è grande ed il muso affusolato con la mandibola leggermente più lunga della mascella e i denti sono sottili e appuntiti. L'occhio è grande. Il corpo è di color marroncino con 7-9 strie verticali più scure. Dalla parte ventrale della testa partono alcune strie azzurrine più o meno discontinue che si allungano fino alla coda. L'unica pinna dorsale parte all'altezza dell'opercolo ed arriva fino al peduncolo caudale. Specie bentonica, solitaria, con forti tendenze territoriali,lo sciarrano vive su fondali rocciosi da pochi metri a 400-500 metri di profondità. Si nutre di piccoli pesci, crostacei e molluschi. Viene spesso catturato con tramaglio, nasse, talvolta con palamiti "a saraghi" o con lenze da profondità. Taglia media:15 cm Taglia massima:25 cm

Sciarrano È abbastanza simile allo sciarrano. Il corpo, ricoperto di scaglie di medie dimensioni, è leggermente più appiattito lateralmente, il muso più appuntito e la bocca meno grande. L'occhio è grande.Il corpo ha vari colori con bande blu, rosse, rosa, nere e giallastre. La testa e la coda sono rosse e rosa. Specie bentonica, solitaria, che vive su fondali rocciosi e praterie di posidonia da pochi metri a 30 metri di profondità.Presenta uno spiccatissimo senso di territorialità, come è ben noto ai sub, è molto vorace e si nutre di piccoli pesci, crostacei e molluschi. Viene spesso catturato con tramaglio, nasse, talvolta con palamiti "a saraghi" o con lenze da profondità. Taglia media:15 cm Taglia massima:20 cm

Sciarrano Scritto

Testa grande con occhi altrettanto grandi (dai quali deriva il nome dialettale "uocchiebelle"). Sono presenti spine cefaliche ma meno sviluppate rispetto agli altri scorfani. Anche la bocca e le pinne pettorali sono molto grandi in proporzione al corpo. Il colore è sul rosso giallastro con macchie chiare; presenta 5-6 bande trasversali più scure e una macchia nerastra sulla pinna dorsale. La cavità boccale è scura. Lo scorfano bastardo è una specie demersale presente dai 20 m fino ai 1000 m di profondità, ma più comune tra i 100 e i 300 m. La sua dieta comprende piccoli crostacei e molluschi in particolare cefalopodi.Viene pescato con tramagli di fondo, nasse, e occasionalmente con palamiti di fondo. Taglia media: 15-20 cm Taglia massima: 35 cm

Scorfano Bastardo


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Ha corpo leggermente compresso, con profilo dorsale convesso e ricoperto di piccole scaglie. La testa è grossa ed armata di spine. La bocca è molto grande e possiede piccoli dentelli. La colorazione è generalmente bruna e nera con macchie più chiare sui fianchi e rossastre sul ventre e sulle pinne. Non ha vescica natatoria e presenta ghiandole velenifere collegate ai raggi spinosi della pinna dorsale e ventrali. È una specie tipicamente bentonica, costiera e sedentaria che vive su fondali ciottolosi e rocciosi e in praterie di fanerogame entro i 35 metri di profondità. Lo scorfano nero si nutre principalmente di pesci, molluschi e piccoli crostacei sfruttando le sue notevoli capacità mimetiche.Si pesca soprattutto con tramagli e nasse. Taglia media: 15 cm Taglia massima: 25 cm

Scorfano Nero

Scorfano Rosso

Seppia

Ha testa priva di scaglie, con molte spine e piuttosto grossa in rapporto alle dimensioni del corpo. La bocca è grande, l'occhio è di medie dimensioni. La pinna dorsale presenta la parte anteriore con 12 grandi raggi spinosi collegati a ghiandole velenifere, la cui puntura può provocare forti dolori e serie irritazioni, a seconda della taglia del pesce e del livello di sensibilità individuale. Le pinne pettorali sono particolarmente vistose. Anche le spine opercolari sono collegate a ghiandole velenifere. Il dorso e i fianchi sono rossastri, la parte ventrale bianco-rosata. Si tratta di una specie tipicamente bentonica che vive su fondali rocciosi tra i l0 ed i 100 metri di profondità. Lo scorfano ha una dieta a base di pesci, molluschi e crostacei che caccia grazie soprattutto alle sue abilità mimetiche. Si pesca con tramagli, nasse e talvolta rimane vittima dei palangresi di fondo. Taglia media: 25 cm Taglia massima: 55 cm

La seppia è un mollusco cefalopode che presenta corpo ovale, abbastanza corto e compresso sul dorso e ventre. La testa porta gli occhi lateralmente e otto braccia corte e munite di ventose per tutta la lunghezza e due tentacoli più lunghi e nudi ma con le estremità a forma di paletta e armate di ventose. Il tronco è provvisto lateralmente di pinne (velo) non unite nella parte posteriore, ed è sostenuto da una potente conchiglia interna di natura calcarea (osso di seppia). La seppia è dotata di considerevoli capacità mimetiche e può cambiare colore in pochi istanti. Il colore del dorso è grigiastro marmorizzato con raggi neri trasversali. È una specie definita bento-nectonica poiché, pur vivendo in prossimità del fondo, è un nuotatore particolarmente attivo.Vive di solito isolata su vari tipi di fondai i costieri (praterie di fanerogame, sabbia, fango, roccia) e si riproduce nei mesi primaverili emettendo delle caratteristiche uova nere disposte in grappoli che vengono chiamate "uva di mare". Nei mesi freddi si trasferisce a maggiori profondità. Viene pescata con reti (tramagli) e può incappare occasionalmente in nasse. Anche la seppia come il polpo è facile preda di pescatori subacquei. Taglia media: 20-25 cm Taglia massima: 40-45 cm

Ha corpo fusiforme, ricoperto da scaglie piccole. La testa è piccola e presenta un muso conico con bocca grande munita di numerosi piccoli dentelli. L'occhio di dimensioni medie presenta due pliche adipose. La seconda pinna dorsale e quella anale sono simmetriche e tra queste e la coda si trova una serie di pinnule. Ha colore blu-verde con riflessi metallici e presenta sulla testa, sul dorso e sui fianchi delle striature sinuose trasversali di colore blu scuro; il ventre è argenteo. Lo sgombro è un pesce pelagico, ottimo nuotatore, che vive in branchi di numerosi individui. Si nutre di piccoli pesci, di crostacei pelagici e persino di meduse. Viene spesso catturato con reti da circuizione, reti da posta, tramagli e con lenze alla traina. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 18 cm. Taglia media: 25 cm Taglia massima: 50 cm

Sgombro

Spigola

Corpo affusolato e robusto, ricoperto di scaglie di media grandezza. Fianchi leggermente compressi, testa grande e opercolo con due spine. La bocca è grande e la mandibola è piuttosto prominente. Due pinne dorsali. Il dorso ed i fianchi sono grigi mentre il ventre è bianco. La spigola è una specie costiera, di solito gregaria, che si mantiene in profondità non superiori ai 30 metri. Spesso penetra in acque salmastre o addirittura dolci. È un voracissimo predatore di varie specie di pesci (latterini, cefali, anguille) nonché di cefalopodi (polpi e calamari) e crostacei. Gli individui più grossi conducono un'esistenza solitaria. Viene catturato con tramagli e palamiti ed anche da subacquei e pescatori con canna oppure con lenza alla traina. In ogni caso si tratta di catture occasionali data la notevole furbizia tipica di tale specie. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 23 cm. Taglia media: 40 cm Taglia massima: oltre l m


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Appartiene al vasto gruppo dei Poriferi. Questa spugna ha forma variabile ed è di solito massiccia, globosa e può presentare lobi conici recanti l'osculo (apertura per l'eliminazione dell'acqua filtrata attraverso i pori) all' estremità. Immerse nel tessuto vi sono numerose fibre che si intrecciano fra loro, di varia grandezza (da 20 a 100 mm di diametro). La colorazione può variare da bianco al giallastro, al nero. L'interno è solitamente rossiccio. È relativamente comune in tutto il Mediterraneo dalla superficie fino ai 40 metri di profondità, ma può spingersi fino agli 80 m. È di discreto valore economico e viene impiegata quale spugna da bagno. La pesca commerciale, una volta risorsa fiorente anche dalle nostre parti, è rimasta ormai una prerogativa delle isole greche. Taglia media: 15-20 cm (diametro) Taglia massima: 35-40 cm (diametro)

Spugna da Bagno

Corpo compresso lateralmente, fusiforme; il muso è leggermente prominente, l'occhio è grosso e presenta due membrane laterali. La linea laterale incurvata nel mezzo e ricoperta di grosse scaglie è la principale caratteristica di questa specie. Il dorso è di color grigio-verdastro, i fianchi sono argentei e la parte ventrale bianca. Si tratta di una specie pelagica che vive in branchi ma che mantiene spesso contatti con il fondale marino. Si nutre principalmente di zooplancton, soprattutto di uova e forme larvali di pesci.Si pesca spesso di notte con la lampara utilizzando una rete da circuizione (cianciolo), oppure con tramagli. Gli individui di maggiori dimensioni possono capitare allamati in palamiti di profondità. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 12 cm. Taglia media: 25 cm Taglia massima: 50 cm

Suro La tartaruga caretta (Caretta caretta) è la specie di rettile marino (cheloni) più rappresentata nelle nostre acque. Altre quattro specie, tra cui la testuggine franca (Chelonia mydas) è la più comune, sono state segnalate in Mediterraneo ma risultano rarissime in Costiera. Sono tutte minacciate dal pericolo di estinzione a causa soprattutto della loro vulnerabilità nel periodo della riproduzione, quando le femmine sono costrette a deporre le numerose uova sotto la sabbia di spiagge deserte sempre più rare sulle coste mediterranee. Sono voraci predatori di piante e animali marini tra cui sembra prediligano le meduse.

Tartaruga Caretta

Tonno

Il tonno ha testa grande e muso appuntito; le mandibole sono relativamente piccole e terminano posteriormente all'altezza dell'occhio. I denti sono piccoli, appuntiti e conici. Da ambo i lati del peduncolo caudale è presente una carena ben sviluppata. Posteriormente alla seconda pinna dorsale è presente una fila di 8-10 pinnule, mentre, ventralmente, un' altra fila di 8-9 pinnule si trova tra la pinna anale e quella caudale. Le pinne pettorali sono molto piccole ed il corpo al di sotto di esse presenta delle incavature che servono ad accoglierle durante il nuoto veloce, diminuendo quindi l'attrito con l'acqua.Il tonno è il pesce pelagico più rappresentativo dei nostri mari, famosissimo anche per le sue lunghe migrazioni a scopo riproduttivo.È un forte ed abile nuotatore, voracissimo e' sempre in movimento. La sua dieta si basa principalmente su altri pesci pelagici (sgombri, alici, sarde) e su cefalopodi (totani, calamari). Vive solitamente in branchi di numerosi individui in acque aperte e superficiali, e solo raramente raggiunge profondità maggiori dei 100 metri. Il tradizionale metodo di pesca al tonno era rappresentato dalle "tonnare", impianti di reti fisse ormai in disuso anche in Costiera Amalfitana (famosa è quella di Favignana, nelle isole Egadi, ancora relativamente attiva). Fino al primo dopoguerra ne esistevano ancora almeno due, una nei pressi di Capo Conca (Conca dei Marini) e l'altra nei pressi di Nerano. Tuttavia, in Costiera la tradizione della pesca al tonno è mantenuta viva dalle cosiddette "tonnare volanti" di Cetara, imbarcazioni armate di vaste reti da circuizione che vengono calate intorno al branco di tonni, dopo l'avvistamento. Negli ultimi anni tale specie è stata sottoposta ad una elevata pressione di pesca, che ha avuto inevitabili effetti negativi per il mantenimento degli stock mediterranei. Altri metodi di pesca includono i palamiti galleggianti, le famigerate "spadare" (reti superfici,ali lunghe decine di chilometri, impiegate principalmente per la pesca del pesce spada) e lenze da traina, soprattutto per gli individui piccoli. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 70 cm. Taglia media: 100 cm Taglia massima: 340 cm o più


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Tordo

Totano

Triglia di Scoglio

Il tordo ha corpo assai compresso lateralmente, ricoperto di scaglie medie. La testa è allungata così come il muso le cui labbra sono particolarmente grosse. Il corpo è particolarmente viscido a causa dell'abbondante muco che lo ricopre. Il colore della livrea è molto vario e dipende dalla taglia: gli individui più grandi presentano spesso un colore dominante rosso, mentre in quelli di piccola taglia predomina il verde. Negli individui di tutte le taglie sono comunque presenti toni e striature gialli, verdi, marroni, rossi. È una specie tipicamente bentonica, costiera, come del resto tante altre specie consimili di labridi, che predilige i fondali rocciosi e le praterie di Posidonia oceanica fino a circa 30-35 metri di profondità. Si nutre, in prevalenza, di pesci, molluschi e crostacei e, spesso, anche di vari organismi incrostanti. Si cattura con tramagli, nasse, reti da fondo mentre i pescatori sportivi impiegano lenze al bolentino. Tagliamedia: 20 cm Taglia massima: 45 cm

Il totano è un mollusco cefalopode semidemersale molto noto in Costiera amalfitana. È molto simile al più famoso calamaro dal quale differisce principalmente per la forma delle pinne (a freccia, da cui il nome specifico sagittatus) che nel calamaro sono maggiormente aperte a forma romboidale. Presenta dieci tentacoli di cui due più lunghi e una conchiglia interna di natura cornea ridotta ad uno stiletto trasparente e delicato (gladio). Il colore del dorso varia tra il violetto e il marrone chiaro con macchie rotonde rosse scure e orlate di chiaro. Si tratta di una specie principalmente d'alto mare ma che non disdegna capatine notturne in acque costiere e più superficiali dove si riproduce e preda (pesce azzurro, cefalopodi e crostacei). La pesca si effettua principalmente su fondali sabbiosi con reti a strascico e a circuizione, ma in Costiera esiste una sviluppata piccola pesca che viene effettuata di notte con l'uso di fonti luminose (lampade ad acetilene) e di lenze particolari armate con totanare ("spogne"), formate da un ancorotto di ami fitti e privi di ardiglioni montato su un lungo stelo di piombo. Lo stelo di piombo viene "innescato" con pesci sotto sale (acciughe, sarde) che servono ad attrarre i totani. La pesca dei totani, pur se artigianale, ha subito nel corso degli ultimi anni continue innovazioni tecnologiche che prevedono ora l'impiego di totanare dotate di lampade a luce intermittente alimentate da batterie, per stimolare maggiormente la curiosità di questi cefalopodi. Taglia media: 20 cm (lunghezza mantello) Taglia massima: 60 cm (lunghezza mantello) = oltre 100 cm (lunghezza totale)

La testa è piuttosto grande con profilo convesso ed occhio ben evidente. Sulla mascella inferiore sono presenti due caratteristici barbigli. Il corpo è allungato ed è ricoperto di scaglie grosse che si staccano facilmente. La colorazione tende solitamente al rosa, con tratti longitudinali giallastri. La prima pinna dorsale presenta due fasce orizzontali di colore rosso più o meno scuro. La triglia di scoglio è una specie nectobentonica che vive in piccoli branchi che si spingono fino a 100 metri di profondità. L'habitat tipico è costituito da fondi costieri, sabbiosi, in prossimità di praterie di fanerogame, dove trova nutrimento frugando nei sedimenti. Il cibo è rappresentato da crostacei, molluschi, vermi ed echinodermi. La pesca più efficace è rappresentata dal tramaglio e dalla rete a strascico. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 11 cm. Taglia media:18 cm Taglia massima: 40 cm


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ECCELLENZE della COSTIERA AMALFITANA

Vite Cultivar Tintore di Tramonti

Limone Costa d’Amalfi IGP

La cultivar, il cui nome trae origine dalla caratteristica di conferire colore al vino in relazione alla presenza di elevate quantità di antociani negli acini, è diffusa prevalentemente nel comune di Tramonti; è inoltre diffusa nella Valle dell'lrno e, sporadicamente, in altri comuni della Costiera amalfitana. Vitigno vigoroso, non presenta elevata fertilità delle gemme. Grappolo spargolo, anche per difetti di morfologia fiorale, che ne abbassa notevolmente la produzione, sebbene ne consenta una raccolta molto tardiva anche per la notevole resistenza ai più frequenti parassiti fungini. La caratterizzazione molecolare (DNA) del germoplasma viticolo Campano ha permesso di evidenziare una relativa parentela del Tintore di Tramonti con altre varietà d’uva ricca di colore. Secondo le descrizioni redatte via via dai diversi ampelografi, mostrerebbe una qualche somiglianza con la "Tintora di Lanzara" (Salerno), a sua volta identica all’“olivella Tingitora”. La sistemazione dei terreni è quella tipica a terrazze dette "muracine", costruite con pietre sovrapposte "a secco" (cioè senza materiale legante) e provviste di conche per l'irrigazione formate da canali e condotti idrici in muratura. La forma di allevamento tradizionale è la pergola, che prevede la sistemazione del vigneto a pergole di viti sostenute da una struttura formata da pali di castagno, chiamati "spalatroni", in alto ed in lungo. I filari sono indirizzati parallelamente al terreno, in modo da consentire l'utilizzazione ad orto del terreno sottostante, sfruttando cosi lo stesso appezzamento per una duplice coltura. Allevata in vecchi vigneti, dà origine a vini molto apprezzati localmente, come "a scippata", vino prodotto a Tramonti, composto (per l’80%) da Tintore e da Piedirosso; si tratta di vini idonei all'invecchiamento, dal gusto secco, ricchi di estratti, con tannini non eccessivamente astringenti e sentori di fruttato. Il vitigno in esame concorre inoltre alla produzione del vino DOC Costa di Amalfi rosso, sottozona Tramonti, ed in misura minore alle sottozone Ravello e Furore. Il tintore è un vitigno centenario della Costiera amalfitana. Nasce da uve cosiddette minori e, seppur produttivo, risulta non essere ancora iscritto nel registro nazionale delle varietà di viti. E per far sì che si proceda in tempi brevi al riconoscimento del secolare vitigno, ancora coltivato a piede franco tra i terrazzamenti di Tramonti, l’a ssociazione Gete – nata da coltivatori e appassionati – ha avviato l'iter di riconoscimento e un'iniziativa chiamata “Il Mosto che diventa vino” per valorizzare questo antico vitigno che caratterizza il paesaggio. La coltivazione dei suoi vitigni ultracentenari si dipanano con fitte trame su pergolati retti da impalcature fatte con pali di castagno. Un’autentica rarità nel panorama viticolo internazionale, ma anche l’eredità della metodologia di allevamento che si utilizzava migliaia di anni fa con gli etruschi che popolavano questa zona. Il Tintore è una straordinaria varietà di uva, si presenta con grappoli conici e pochi acini. Molto lunghi e assai spargoli, i grappoli godono di un’ottima maturazione e di un ottimo microclima al proprio interno, capace di farli resistere per lungo tempo sulla pianta. Ma anche di difendersi autonomamente dall’attecchimento di malattie come la botrite e il marciume. La foglia è invece la carta di identità di una varietà d’uva, e quella che caratterizza il tintore a differenza delle altre, un profilo increspato con una pelosità della pagina inferiore che al tatto si manifesta quasi vellutata. A questo si aggiunge un altro particolare: il cuneo pronunciato verso il basso che rende ben identificabile questa varietà. Uva tardiva, il tintore viene raccolto nel periodo vegetativo compreso tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. E sono proprio i suoi grappoli ad indicarne il momento attraverso l’appassimento degli acini che rappresenta una sorta di richiamo quando si è prossimi alla vendemmia. Lo Sfusato Amalfitano o Femminiello Sfusato, che dà luogo all’IGP “Limone Costa iconografica e storica: d’Amalfi”, presenta due caratteristiche importanti: la forma a fuso del frutto, da cui il termine “sfusato”, e la zona in cui si è venuto, col tempo, a differenziare, e cioè la Costiera amalfitana. Il limone di dimensioni medio-grosse; di forma ellittico-allungata, con umbone grande e appuntito. La buccia è di medio spessore, di colore giallo chiaro, caratterizzata da aroma e profumo intensi, grazie alla ricchezza di oli essenziali e terpeni. La polpa è succosa e non molto acida, con presenza minima di semi. E' la varietà di limone più ricca in assoluto di vitamina C. Il suo utilizzo, che risale sino agli inizi dell'XI secolo, era dovuto alla sua efficacia nel combattere lo scorbuto, malattia causata dalla carenza di vitamina C; per tale motivo, la “Repubblica di Amalfi” dispose che a bordo delle navi vi fossero sempre provviste di limoni.Ferrari nel 1646 descrive per la prima volta il “limon amalphitanus”, che corrisponde all'odierno Sfusato. “Il limone Amalfitano comune prende il nome della Costa, esattamente della regione marittima di Amalfi: E' di diverse grandezze una maggiore l'altra minore: la forma di entrambi è oblunga. La punta è tutta sporgente, la buccia ruvida, nondimeno verrucosa, moderatamente spessa, di un giallo chiaro, languidamente odorosa, e di gusto tenera. Piacevole al tatto e abbastanza consistente, delicato da gustare. Il centro è di otto o nove spicchi separati ed i semi quasi completamente mancanti, il gusto e piacevolmente aspro. La foglia oblunga e moderatamente larga” ( G.B. Ferrrari in “Hesperides, sive de malorum aureorum cultura et usu Sumptibus Hermanni Scheus”, Roma 1646 ). I sistemi di coltivazione tradizionalmente utilizzati caratterizzano fortemente il paesaggio di tutta l'area costiera e costituiscono gli universalmente noti terrazzamenti «giardini di limoni della costiera amalfitana» citati da vari autori del passato. Curiosità dalla storia: La Cronica Monasterii Cassinensis docuementa che, nel 1002, il principe di Salerno inviò doni preziosi, tra cui i limoni, al Duca di Normandia, per ottenere protezione contro le incursioni saracene. Un notaio di Maiori nel 1194, nella redazione dell'atto di cessione di un cetrarium (terreno coltivato ad agrumi) descrisse gli elementi architettonici e strutturali del terreno, testimoniando che, in quell'epoca, già esisteva specializzazione nella coltura del limone. La rinomanza dei limoni della Costa d'Amalfi nei secoli XVI e XVII è rilevabile oltre che da numerosi documenti ed opere d'arte, anche dagli studi dei botanici Della Porta e Ferrari. Nel 1908, dai dati del catasto di Maiori, si rileva che la superficie dei limoneti era di 134 ettari, pari al 64% della superficie agraria totale.


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I primi documenti di esportazione in Inghilterra risalgono al 1860, successivamente intorno al 1875 iniziò l'esportazione verso New York. Un bando di vendita dei primi del '900 dimostra che il limone Costa d'Amalfi era quotato alla Borsa Merci di New York. Gli Usa assorbivano all'epoca il 50% della produzione. Caratteristiche Forma del frutto ellittico-allungata con umbone (punta) grande e appuntito e buccia di medio spessore dal colore giallo citrino a maturazione. Peso dei frutti non inferiore a 100 gr. Flavedo ricco di olio essenziale. Aroma a profumo forte. Succo abbondante (con resa superiore al 25%) e con elevata acidità (superiore a 3,5 g/100 ml) di colore giallo paglierino. Basso numero di semi. Disciplinare di Produzione IGP Il sistema di coltivazione dei limoni Costa d'Amalfi deve essere quello tradizionalmente adottato nella zona, fortemente legato ai peculiari caratteri orografici (montani) e pedologici (del terreno). Le unità colturali tipiche prevalenti sono costituite da terrazzamenti inglobati in muretti di contenimento (macere). La tecnica di produzione consiste nel coltivare le piante sotto impalcature di pali di castagno (di altezza non inferiore a cm 180) rispettando le tradizionali distanze tra una pianta e l'altra (massimo 800 piante con una produzione massima di 25 tonnellate per ettaro). La raccolta dei limoni si svolge da febbraio ad ottobre. Il 3 ottobre 2002 si è costituito il Consorzio di Tutela Limone Costa d'Amalfi I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta), per assicurare l'origine e la qualità dello "sfusato amalfitano".

Alice di Cetara

Il corpo dell'alice è estremamente slanciato, poco compresso ed il ventre è arrotondato. Il capo è allungato, il muso prominente e gli occhi grandi, costituisce il massimo rappresentante del pesce azzurro. La bocca è allungata e le scaglie piccole. La colorazione del dorso è verde-azzurra, i fianchi ed il ventre sono argentati. Le alici sono pesci gregari pelagici che formano densi branchi in prossimità delle coste in primavera ed estate. Si nutrono prevalentemente di zooplancton e si riproducono da aprile a settembre. Le femmine emettono fino a 40.000 uova pelagiche che dopo 2 o 3 giorni liberano le larve. Come per le sardine, anche i piccoli di alice sono detti bianchetti e raggiungono la maturità sessuale a circa un anno di vita. La durata massima della vita è di quattro anni sebbene non siano rari i casi di esemplari più longevi. La lunghezza minima consentita per la pesca è di 9 cm. L'alice è molto comune nei nostri mari: per buona parte dell'anno vive vicino alla costa, soprattutto durante il periodo riproduttivo (Aprile-Settembre), mentre nelle stagioni fredde si sposta a profondità maggiori. A Cetara, piccolo comune di pescatori della Costiera amalfitana, è un elemento tipico. Taglia media: 10 cm Taglia massima: 18 cm La pesca delle alici a Cetara A Cetara, fin dai tempi antichi, si è praticata la pesca delle alici che rappresentavano un alimento di largo consumo e il nutrimento principale delle popolazioni costiere. Questa pesca veniva praticata con un tipo di rete chiamata menaide. Era una rete disposta a corrente lunga dai 300 ai 400 metri, alta dai 12 ai 15 metri, formata da un solo telo a maglie tutte uguali. Queste maglie permettevano alle alici piccole di passare, mentre quelle grosse rimanevano impigliate. Le alici rimaste impigliate nelle maglie venivano recuperate a mano una per una. La campagna di pesca si effettuava da maggio a settembre; il pescato veniva interamente salato e conservato in barili. La rete del tipo della menaide a partire dagli anni ’20 viene sostituita dalla lampara. La lampara è una rete ad imbuto del tipo a circuizione. Distesa verticalmente e tenuta in superficie da sugheri raggiunge quasi il fondo. Questa rete viene calata dall’imbarcazione principale, mentre un altro battello con una sorgente luminosa attira il branco di pesci che viene circuito. Al momento opportuno la sorgente luminosa viene spenta e la rete salpata. Questo tipo di rete, impegnativo e complesso nell’allestimento, richiedeva cospicui impegni finanziari e disponibilità di personale più numeroso ed esperto. Rappresentò un notevole progresso tecnologico per la pesca delle alici. Il termine lampara col tempo si estese anche alla barca. All’inizio la fonte luminosa della lampara veniva alimentata dal carburo, successivamente col petrolio, poi con accumulatori elettrici ed infine gruppi elettrogeni. Nel 1946 viene introdotto un nuovo sistema di pesca con reti detta a cianciolo. E’ una rete a circuizione che racchiude il branco di pesci raccolto sotto la fonte luminosa. E’ dotata sulla parte superiore di galleggianti e su quella inferiore di pesi; compiuto il giro, il branco è racchiuso in una trappola da cui non può più uscire. La rete viene chiusa come un sacco, viene tirata fino al peschereccio dove con grossi coppi di rete i pescatori issano a bordo il pescato. La pesca con questo sistema ebbe un rapido sviluppo e le tradizionali barche delle lampare divennero insufficienti ad alloggiare questo nuovo attrezzo, così furono sostituite da motopescherecci più grandi. L'eccellenza gastronomica: La colatura di alici Secondo molti storici della gastronomia, la «colatura» deriverebbe direttamente dagli antichi Garum e Liquamen Romani, dei quali sono giunte fino a noi numerose ricette. Tutte utilizzavano come materia prima pesci più o meno grassi con le loro interiora, messi al sole per tempi oscillanti dai 20-30 giorni fino ad alcuni mesi. Con l'aggiunta di sale e spezie si otteneva una salsa liquida molto forte, usata per insaporire ed arricchire gli altri alimenti.


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Il comune di Cetara è famoso per le alici salate che venivano vendute in loco o in modo itinerante in tutta Italia. Le alici venivano salate in modo da poter essere conservate nei mesi invernali, quando la pesca era scarsa, dentro vasetti di terracotta smaltati all'interno. I cetaresi cedevano il surplus e conservavano il liquido che gemeva dalle alici salate (colatura), aggiungendolo al vasetto che conservavano per le loro esigenze. Poi, nel periodo natalizio, la colatura si scambiava tra le famiglie di Cetara per condire gli spaghetti della vigilia. La tradizione, che si è perpetuata fino ai giorni nostri, si è sviluppata così tanto da far sorgere piccole e medie imprese artigianali sul territorio comunale ed immediatamente confinante. Ora è diventato un prodotto d'eccellenza inserito nei Presidi di Slow Food. L'attuale prodotto è costituito dal liquido che deriva dall'estrazione delle alici salate mature. Si tratta di una soluzione salina di colore giallo ambrato e, in alcuni casi, quasi mogano chiaro. Il profumo è pungente, di salsedine, e conferisce ai piatti un piacevole sapore di pesce conservato a base salata. La colatura è commercializzata all'interno di bottiglie di vetro chiuse e si conserva a temperatura ambiente. Una volta aperte, devono essere conservate in frigorifero o in luogo fresco, al buio e senza tappo, ricoperte da un rametto di origano. La produzione della colatura avviene in laboratori appositi e segue varie fasi di processo. In primo luogo, si utilizzano solo alici pescate nel periodo che va da maggio ad agosto nei soli golfi di Napoli e Salerno. Per ottenere 1 kg di colatura sono necessarie circa 38-40 alici. Il sale ammesso nella lavorazione è marino e, più precisamente, il pugliese di Margherita di Savoia o il siciliano di Trapani. Il sale grosso costa meno, ma rovina la superficie delle alici, rendendole poco adatte alla sfilettatura. Per questo motivo si preferisce adoperare esclusivamente sale fino. Dopo essere state desquamate, decapitate ed eviscerate, le alici vengono poste all'interno dei fusti con la classica posizione «Testa-coda» ed alternate a strati di sale. Successivamente il contenitore viene coperto con dischi di legno o di teflon, su cui vengono posizionati pesi proporzionali all'altezza delle alici ed al materiale che compone il contenitore stesso. Il carico, di 50 kg all'inizio del processo, si riduce gradualmente con l'avanzare della maturazione, fino a raggiungere i 15-20 kg. La maturazione dura dai 4 ai 6 mesi, a seconda delle dimensioni delle alici e della temperatura di conservazione. La colatura ottenuta viene confezionata in bottiglie di vetro, chiuse con tappo in sughero o con tappo metallico a vite. Conservata al fresco ed al buio, può essere consumata anche dopo 18-24 mesi. Tutte le operazioni vengono effettuate sempre manualmente.


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Patrimonio Archeologico e Architettonico della Costiera Amalfitana Accanto all’enorme patrimonio paesaggistico e naturalistico della Costiera Amalfitana, si affianca quello altrettanto importante ed interessante del patrimonio archeologico e architettonico che caratterizzano questo territorio; entrambi racchiusi in questa relativamente limitata porzione di territorio, insieme alla presenza e dell’uomo ed alle modificazioni che ha apportato, rappresentano una serie vastissima di ricchezze culturali che fanno della Costiera Amalfitana una perla del nostro paese, dove bellezza paesaggistica e ricchezza culturale formano un mix perfetto. L'analisi dei beni ha avuto come finalità quella di definire un quadro generale che potesse illustrare in modo esaustivo i caratteri del patrimonio culturale locale. Per quanto riguarda i beni archeologici, si puo’ effettuare una divisione delle diverse tipologie: -Archeologia classica Nell'alternarsi degli scavi e dei rinvenimenti fortuiti, le indagini archeologiche hanno seguito le tracce e interpretato i segni di un sistema insediativo non fitto, ma complesso e articolato. Un unico approdo in località Fuenti e gli ambienti termali ritornati alla luce a Vietri, da sotto una faenzera settecentesca di quella che gli storici hanno ritenuto la Marcina di Strabone. Dall'isolotto del Gallo Lungo a Positano, da Amalfi all'intatta magnificenza della villa marittima di Minori, la costa conserva il ricordo dell'antica opulenza degli ozi e delle villeggiature, dell'incanto di ville sognanti affacciate ed immerse nel glorioso spettacolo dei luoghi. La vita produttiva si svolgeva altrove, tra le colline dell'entroterra agricolo che i valichi in quota avvicinavano all'agro di Nuceria Alfaterna e che oggi si offrono come straordinario serbatoio di evidenze soprattutto mobili. È una storia forse meno splendida ma altrettanto suggestiva, narrata sottovoce dai resti della villa rustica ritrovata a Tramonti e dalle preziose quanto bistrattate testimonianze ellenistiche, romane, medievali. -Archeologia medievale Case e chiese, particolari architettonici e dettagli decorativi, una galassia di piccoli, impercettibili segni che accompagnano discretamente, senza farsi notare, chiunque passeggi per le strade di Pontone: questo è il medioevo della Costa d'Amalfi. Un medioevo di tarsie policrome e di cortili interni disegnati di archi, di torri minacciose divenute abitazioni, di ingegnosi bagni arabi dalle tubature in terracotta e di chiese, primo fra tutte il romantico rudere di Sant'Eustachio che ancora sovrasta lo sperone roccioso con le sue abisidi e la facciata decorata. -Archeologia militare La gloria e la potenza, la storia e la leggenda, le alterne vicende di assedi subiti e di attacchi respinti rivivono nelle sopravvivenze del poderoso sistema difensivo del ducato d'Amalfi. Da Vietri a Positano le torri si susseguono a guardia della capricciosa linea di costa. Risalgono all'età angioina ed aragonese oppure a quella vicereale e hanno strutture specifiche, modellate sulla morfologia dei luoghi. Scrutano il mare pronte ad avvistare, ad avvertire e segnalare, a comunicare con un complesso e preciso codice fatto di fumo, di fuoco e di botti. Alle loro spalle, il formidabile sistema difensivo prosegue con i castra annidati nei punti strategici delle colline a Tramonti, a Maiori, a Ravello e fino a Scala: castelli posti a presidio del mare e della terra ma ormai quasi distrutti, sconosciuti ai più e per nulla valorizzati, ricostruiscono la storia e le forme di un territorio orlato di mura e punteggiato di torri, permeato di presenze e impregnato di leggende che culminano nella tragica storia d'amore di Giovanna, duchessa d'Aragona. -Archeologia industriale Tuttora rintracciabili nel tessuto dei centri, i luoghi delle fiorenti attività protoindustriali ricostruiscono la storia di antiche tradizioni manifatturiere e prestigiose produzioni. Ad Amalfi le cartiere si susseguono lungo il corso del Chiarito, immerse nel verde lussureggiante e incantato della Valle delle Ferriere. Edifici a più piani, chiuse e canali, vasche e spanditoi, volte che mutano al variare del periodo storico di appartenenza: su tutto, l'antica sapienza, l'arte e la consuetudine di governare la forza idraulica del torrente. Ancora, a Vietri, le sedi delle antiche faenzere indicano i luoghi di nascita dei vasi e delle riggiole che colorano cupole e pavimenti, edicole e pannelli della Costa d'Amalfi. La ceramica vietrese riassume il senso di un incontro e di uno specifico ibrido culturale, di un'arte che nell'argilla, tra l'acqua delle sorgenti e il fuoco delle fornaci, ha saputo fondere la sensibilità dei maestri locali e le suggestioni mediate da artisti stranieri. Per quanto rigurda invece il patrimonio architettonico, la descrizione può essere suddivisa in questo modo: -L'architettura religiosa L'architettura religiosa è quella che meglio illustra il succedersi dei rimaneggiamenti. La maggior parte delle chiese, pur appartenendo ad un'epoca alto medievale, presenta un impianto basilicale tipico del periodo paleocristiano, con lo spazio interno scandito da tre navate divise da archi e poggianti su colonne di spolio ovvero su pilastri (da considerare come successivi perché spesso inglobano le colonne). Dove manca la divisione in tre navate bisogna ipotizzare interventi edilizi successivi o adattamenti allo spazio disponibile. La Chiesa di Paterno S. Elia, a Tramonti, mostra ad esempio solo due navate, di cui una maggiore affiancata a destra da quella più piccola: questo farebbe pensare ad una variazione dello schema classico, ma un attento esame evidenzia che la navata minore mancante è crollata nel vallone sottostante senza più essere ricostruita. Riconducibili all'architettura paleocristiana sono anche l'andamento leggermente in salita del piano di calpestio finalizzato ad una maggiore profondità prospettica, la copertura a capriata lignea a vista ed ancora punti luce posti a grandi altezze e molto contenuti nell'ampiezza. Ma a questi elementi se ne mescolano altri che attingono al filone architettonico romanico: il transetto leggermente elevato, la costruzione delle cripte, i volumi arrotondati delle absidi, l'uso preponderante dell'arco anche nella copertura di ampi spazi, mediante volte a botte o a crociera che si innestano soprattutto nella zona presbiteriale. Che questi eventi edilizi abbiano interessato le strutture senza arrestarsi al gusto romanico è testimoniato dall'aspetto attuale delle chiese della Costa, dove i restauri hanno in molti casi eliminato la sovrastruttura di interventi anche barocchi riportando a vista l'essenzialità romanica. Molti edifici sono stati interessati quasi subito dall'ampliamento di alcune parti: è il caso delle sacrestie e delle cappelle gentilizie, fenomeno ricollegabile alla crescita economica che vede emergere alcune potenti famiglie che costruiscono altari e cappelle, decorandoli con elementi artistici di diversa provenienza ed ispirazione. Solo raramente la committenza ha costruito strutture ex novo: piuttosto, è intervenuta con aggiunte e sovrapposizioni. Le chiese subiscono trasformazioni importanti quando il barocco introduce significativi cambiamenti negli interni riprogettandone gli spazi: balaustre marmoree sottolineano la separazione del transetto dalla parte riservata al popolo, gli altari cinquecenteschi ricevono cornici di stucchi e la stessa abside centrale viene decorata con ovali destinati ad accogliere tele o con paraste di marmo policromo. La copertura può subire aggiunte, come tetti piani a cassettoni ove poggiare dipinti; le cupole, in alcuni casi già presenti, possono essere esternamente decorate da mattonelle di ceramica, mentre qualche facciata riceve una decorazione di riccioli e volute, pinnacoli e guglie. Interessante è inoltre la presenza delle cripte fuori terra, circostanza che forse è da ricondurre all'impianto originario delle chiese sorte in posizione elevata rispetto all'area circostante. Assente il gotico cistercense perché estraneo alla cultura e alle influenze locali.


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-L'architettura civile L'architettura civile risente più di quella religiosa delle richieste specifiche della committenza ed è sopravvissuta nei suoi tratti più antichi nei grandi palazzi della nobiltà amalfitana, ravellese e scalese. Le strutture maggiori, i palazzi, presentano caratteri di impianto comuni: portone d'accesso da cui si entrava in un cortile centrale solitamente scoperto, intorno al quale vi erano vani adibiti alle diverse attività e dal quale una scala a tutta luce conduceva ai piani superiori, che affacciavano tutti su questo stesso cortile mediante aperture arcuate o quadrate. La facciata concentra la ricchezza decorativa. Pur tralasciando l'esempio più importante, costituito dal giardino-palazzo di Villa Rufolo a Ravello di ispirazione e disegno islamico, altri palazzi a Ravello, a Scala, ad Amalfi, mostrano nei loro archi e colonnine pensili, nelle loro strutture alleggerite da aperture e terrazzi, il gusto, non arabo ma arabeggiante, che suggestiona lo spettatore anche senza palesarsi appieno. Tutta l'architettura della Costa mostra queste suggestioni più che influenze, perché il punto di forza degli architetti locali è stato quello di saper mediare ciò che proveniva dall'esterno interpretandolo alla luce dei caratteri tipici di quest'area. Descrivere singolarmente ogni palazzo non servirebbe a comprendere la ricchezza di queste costruzioni che, nonostante gli interventi subiti nel corso dei secoli, non hanno perso quelle suggestioni originarie: se anche i riccioli di ispirazione barocca incorniciano un balcone, o un portale con arco aragonese decorato da intrecci floreali di tufo, l'attenzione viene catturata dalla colonnina binata che spunta su una facciata o da un arco intrecciato, dai raffinati dettagli che mostrano la ricchezza di suggerimenti architettonici che gli abitanti dell'antico Ducato di Amalfi hanno saputo cogliere.


Positano

Praiano

Furore

Conca dei Marini

Amalfi

Scala

Atrani

Ravello Minori Maiori

Tramonti

Cetara

Vietri sul Mare

Salerno


87-redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

Vietri sul Mare -POSIZIONAMENTO Località Albori -DESCRIZIONE La torre è di epoca vicereale, a doppia altezza; è stata restaurata malamente per adattarla ad abitazione privata. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è di proprietà privata. Non è visitabile. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

1_Torre d’Albori

-POSIZIONAMENTO Località Marina -DESCRIZIONE La torre, di epoca vicereale, a cinque troniere, è indicativa dell'avanzamento della linea di costa dopo l'alluvione del 1954, infatti ora risulta lontana dal mare. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è visitabile dall'esterno. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

2_Torre Bianchi -POSIZIONAMENTO Località Marina -DESCRIZIONE La Torre, di epoca vicereale, a quattro troniere, detta anche "Fiatamone" (probabilmente da un corrotto "Chiatamone"), presenta un'insolita larghezza della troniera. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è visitabile dall'esterno. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

3_Torre della Crestarella

4_Chiesa di San Giovanni

-POSIZIONAMENTO Via S. Giovanni -DESCRIZIONE Costruita alla fine del X secolo da un Atranese, un certo Jennace, ed intitolata a Maria e a S. Giovanni Battista, questa struttura ha subito notevoli restauri e rifacimenti, di cui il più importante nel 1657, quando fu donato l'altare maggiore in marmo policromo. È ad un'unica navata, con transetto coperto da una cupola a scodella (esternamente maiolicata) poggiante su un tamburo e terminante in basso su quattro pilastri, affrescati con le riproduzioni degli Evangelisti. La chiesa subì un ulteriore ampliamento nel 1732, occasione in cui fu realizzata la copertura a soffitto piano della navata, decorato da un cassettonato in oro. Secondo gli studiosi locali il soffitto doveva contenere tele di un discepolo del Solimena, il De Mura. Interessante un polittico del XVI secolo, rappresentante i Misteri mariani con la Vergine al centro, attribuito ad Andrea Sabatino, mentre i quindici quadri della volta, con episodi della vita di S. Giovanni, furono danneggiati dall'alluvione del 1954. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Aperta durante le celebrazioni. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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5_Villa Guariglia

-POSIZIONAMENTO Raito -DESCRIZIONE La villa (fino al 1970 proprietà dell'ambasciatore d'Italia, dell'Ordine di Malta e Ministro nel governo Badoglio), in origine casa colonica, ha subito già dal 1800 numerose trasformazioni che l'hanno portata ad essere la struttura attuale, composta da un corpo centrale di tipo residenziale, con cappella attigua, e costruzioni minori sparse nel parco, tra cui una piccola torre, la piscina, ecc.. Il parco, che sfrutta la tecnica locale dei terrazzamenti, è un esempio di macchia mediterranea, nella torretta, invece, del 1981 si trova il Museo della Ceramica, che raccoglie numerosissime testimonianze della produzione locale. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il Museo è aperto tutti i giorni tranne il lunedì dalle 8,15 alle 15,15 (l'apertura di domenica è variabile). -DATI SULLA FRUIZIONE Circa 20.000 visitatori all'anno (+ 20%).

Cetara -POSIZIONAMENTO Strada statale 163 -DESCRIZIONE La torre risulta dall'unione tra una torre cilindrica angioina ed una a doppia altezza di epoca vicereale; fu sopraelevata di due piani nel 1867. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è di proprietà privata. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

6_Torre

7_Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli

8_Chiesa di San Francesco

-POSIZIONAMENTO Centro urbano -DESCRIZIONE Di questa struttura sopravvivono solo i muri perimetrali che la collegano cronologicamente al periodo medievale. Gli abitanti del luogo costruirono una piccola cappella dedicata alla Madonna di Costantinopoli nella parte alta del paese. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Nessuna. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

-POSIZIONAMENTO Centro urbano -DESCRIZIONE Il complesso è costituito dalla chiesa e dal vicino convento, costruito nel 1585; la chiesa, ad un'unica navata, absidata, presenta quattro cappelle per lato. La copertura è affidata ad una volta a botte, con lunette laterali, affrescate con scene della vita della santa di Cetara, Suor Orsola Benincasa; il transetto è coperto da una cupola decorata dal Giudizio Universale di produzione locale, mentre nell'abside rettangolare vi è un dipinto di Marco Benincasa, datato 1546 e riproducente la Deposizione. L'ingresso è incorniciato da una struttura di tufo scanalato, datata al 1632 e decorata da un affresco della Vergine. L'elemento pregevole del vicino convento è il chiostro, affrescato sulle pareti. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta tutti i giorni dalle 18,00 alle 20,00. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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9_Chiesa di San Pietro

-POSIZIONAMENTO Centro urbano -DESCRIZIONE Risalente al X secolo, la struttura ha subito un rifacimento nel XVIII secolo. A tre navate, con transetto, la chiesa mostra all'interno le sovrastrutture barocche, come le cappelle che fiancheggiano il transetto. Accanto all'ingresso c'è la tomba di Grandonetto Aulisco, colui che salvò il figlio di re Ferdinando I d'Aragona, nel 1485, dalla "congiura dei Baroni". Il campanile, a pianta rettangolare, presenta gli ultimi due piani (in tutto sono cinque) a base ottagona. La cupola presenta all'esterno la consueta decorazione a maioliche colorate. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta tutti i giorni dalle 18,00 alle 20,00. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

Tramonti

10_Castello di Santa Maria La Nova

11_Castello di Montalto

-POSIZIONAMENTO Località S. Maria La Nova -DESCRIZIONE A difesa del territorio di Tramonti fu costruito il Castello di S. Maria la Nova, così chiamato dalla presenza al suo interno di una cappella dedicata alla Madonna. La descrizione del castrum, ormai scomparso, viene fatta dallo storico Camera, che racconta che la costruzione fu iniziata solo nel 1458 e previde una struttura con cortine presidiate da dieci torrette e sette mezzi bastioni quadrati, con cisterne ed una campana per gli allarmi contro attacchi nemici. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE I resti del castrum sono definitivamente scomparsi -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

-POSIZIONAMENTO Monte Trivento o Montalto -DESCRIZIONE Costruito sullo sperone di roccia tra la vallata di Tramonti ed il territorio di Ravello prendeva il nome di "castrum Montalto" o di "Trivento" ed appare citato già in un documento del 1131. Se le strutture fossero private della copertura vegetazionale sarebbe possibile seguirne l'andamento. Esso ha pianta rettangolare con a S i resti di un torrione, mentre sul lato E si trovavano le strutture di una cisterna, rivestita in cocciopesto ed in parte crollata. Il materiale utilizzato per la costruzione è la pietra calcarea, in blocchi di diversa misura e chiaramente provenienti dal circondario (è possibile identificare facilmente gli scassi da dove fu prelevata la pietra). -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il sito è di facile accesso dal punto di vista della viabilità ma occorre conoscere il sentiero (non è indicato e attraversa, inoltre, castagneti privati), perché non è di facile individuazione. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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12_Chiesa di San Francesco

13_Chiesa di San Erasmo

-POSIZIONAMENTO Polvica -DESCRIZIONE Il convento, in posizione dominante sull'abitato della frazione, fu edificato nel 1474 e soppresso più volte; attualmente accoglie alcuni monaci dell'ordine francescano. La struttura è semplice, anche se imponente, e si sviluppa attorno ad un cortile centrale su pilastri decorati ad angolo da laterizi, da cui parte una scala laterale che conduce ai piani superiori. La vicina chiesa mostra decorazioni del 1926 di Raffaele Severino, con affreschi del Bocchetti. La copertura della chiesa è a soffitto piano con cupola sul transetto. Sull'altare maggiore un bassorilievo riproduce i Ss. Stefano, Antonio Abate e Valentino. Due sepolture a sarcofago accolgono i corpi del Vescovo De Majo (1487) e di Romano, vescovo di Minori nel 1409. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta durante le celebrazioni liturgiche ed è visitabile rivolgendosi all'attiguo convento. Questo è utilizzato dai monaci con finalità anche ricettive. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

-POSIZIONAMENTO Pucara -DESCRIZIONE Questa chiesa fu costruita nel 1412 sui resti di una struttura più antica, dedicata a S. Sebastiano; ad un'unica navata, con cappelle poco profonde sui lati, mostra all'incrocio del transetto con la navata una cupola, definita esternamente da un corpo ottagonale terminante con una cuspide. Tra gli arredi sacri notevoli sono alcune tele della scuola di Luca Giordano. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta durante le celebrazioni. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

Maiori

14_Torre Normanna

-POSIZIONAMENTO Strada Statale 163 -DESCRIZIONE È il risultato della fusione di più strutture (torre cilindrica angioina unita nella parte inferiore ad una vicereale a doppia altezza); presenta un coronamento a controscarpa e una scudatura a cinque troniere. Sembra piuttosto una fortezza, data la grandezza, ma forse questa caratteristica è da ricollegarsi all'ampiezza della spiaggia di Maiori che doveva essere controllata. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è adibita a locale pubblico (ristorante). -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

-POSIZIONAMENTO Strada Statale 163 -DESCRIZIONE La torre di epoca vicereale è a cinque troniere ed aveva per armamento due cannoni di bronzo. Attualmente è adibita ad abitazione privata, anche se mantiene abbastanza inalterato l'aspetto esterno. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è di proprietà privata. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

15_Torre di Cesare


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-POSIZIONAMENTO Località Catacombe -DESCRIZIONE La torre Badia è di epoca vicereale, a quattro troniere; anticamente veniva chiamata anche Torre di S. Spirito all'Ogliara per la vicinanza con la Badia di S. Maria de' Olearia. Attualmente è adibita ad abitazione privata. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è di proprietà privata. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

16_Torre Badia -POSIZIONAMENTO Località Lama del Cane -DESCRIZIONE La torre è parzialmente crollata; di epoca vicereale, a tre troniere, presenta un lato lungo 14 m. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Nessuna -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

17_Torre Lama del Cane

-POSIZIONAMENTO Località Tummolo -DESCRIZIONE La torre è di epoca vicereale, di tipo maggiorato; qui la fortificazione di epoca angioina è difesa da quella rinascimentale, posteriore, costruita come scudo della piazza d'armi. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è visibile dalla strada. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

18_Torre Tummolo

-POSIZIONAMENTO Località Erchie -DESCRIZIONE La torre è di epoca vicereale, a quattro troniere; risulta sopraelevata da una costruzione che occupa metà della piazza d'armi. Moderne le aperture e lo scalone di accesso. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La visita non è possibile in quanto proprietà privata. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

19_Torre di Erchie

20_Castello di San Nicola

-POSIZIONAMENTO Località S. Nicola -DESCRIZIONE Questo castrum, posto a NE di Maiori, era detto castello "de thoro plano" ( i "tori" sono le colline meno alte rispetto ad altre che si trovano attorno); costruito nel 1465, ancora oggi in ottimo stato di conservazione, presenta una pianta a sette lati, con nove torrette. Trovandosi in ottima posizione, il castello doveva essere il tramite tra la torre Normanna e il castrum di Tramonti. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Per visitare il castello occorre rivolgersi al Municipio. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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21_Santuario di Santa Maria dell’Avvocata

22_Collegiata di Santa Maria a Mare

-POSIZIONAMENTO Monte Falerzio -DESCRIZIONE La chiesa che svetta alla sommità del monte Falerzio, alle cui pendici si snoda l'abitato di Maiori, è dedicata alla Beata Vergine Avvocata e fa parte di un complesso la cui parte più antica è costituita dalla grotta. Nel 1485, infatti, ad un pastore maiorese apparve in questa grotta la Vergine che gli chiese di edificare un luogo di preghiera proprio lì dove gli era apparsa, presentandosi col titolo di Avvocata. Il Cinnamo (così si chiamava il pastore) edificò nella grotta una cappella, ingrandita in seguito dai Padri Camaldolesi che nel 1682 presero in custodia il convento che era lì sorto. Il Cinnamo, oltre alla grotta, rese luogo di culto varie costruzioni che egli stesso aveva erette: una chiesa che lo storico Camera così descrive: "...ad un'unica navata ed un solo altare...La porta maggiore della Chiesa era rivolta a settentrione con davanti un ampio cortile lastricato in pietra". Questa chiesa, nel momento in cui fu soppresso il convento, andò in disuso ed, in seguito ad un incendio nel 1838, fu distrutta. La parte più importante del complesso è la grotta, dove è possibile vedere la parte esterna della cappella con la scena dell'Annunciazione, mentre sull'altare è ritratta l'apparizione della Vergine al pastore; sulla volta, invece, sono rappresentati i dodici apostoli circondati da angeli. Da questa cappella si aprono due scale che conducono, una a due pozzi per la raccolta dell'acqua, e l'altra ad una cavità più vasta, orse originaria sede del culto. Con la soppressione del convento anche la grotta non fu più frequentata e solo nel 1892 si ebbe la concessione di tutte le strutture per il pubblico culto, riedificando quindi la chiesa. Poco lontano dalla cappella vi è un'altra cavità con strutture architettoniche, chiamata Grotta Salese dal nome del brigante che qui si nascondeva. Si possono vedere sulla parete di fondo della grotta una serie di tre piccoli archi, di cui quello centrale, più ampio, chiuso con funzione di fontana per l'acqua che fuoriusciva dalla sorgente. Le strutture sono ottocentesche. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il complesso è gestito dall'Abbazia di Cava de' Tirreni, a cui ci si può rivolgere (si può provare a chiedere anche al Municipio di Maiori) per organizzare una visita. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

-POSIZIONAMENTO Piazza D'Amato -DESCRIZIONE La chiesa risulta dall'ampliamento della cappella interna alla Rocca di S. Angelo, che sorgeva in questo luogo elevato (il campanile è una delle torri della rocca), ed è datata al XII secolo (la rocca fu distrutta nel 1137 dai Pisani), in quanto già nel 1204 viene dedicata alla Vergine, la cui statua fu rinvenuta sulla spiaggia di Maiori. L'aspetto attuale deriva da numerose trasformazioni (1662-1671-1748), anche se l'intervento del 1836 dell'architetto napoletano Valente definì l'impianto nelle sue componenti architettoniche tuttora visibili. La struttura, a tre navate, mostra su quelle laterali numerose cappelle che alloggiano sugli altari tele di artisti locali (Gianni D'Amato del 1500 e Gaetano Capone del 1800), e sull'altare maggiore la statua di S. Maria a mare, in cedro del Libano, di fattura orientale, rinvenuta sulla spiaggia nel 1200, avvolta in una balla di cotone gettata da una nave. La copertura della navata maggiore è affidata ad un soffitto cassettonato dorato del 1520, opera di Alessandro Fulco, mentre la facciata settecentesca con timpano terminale presenta nel registro mediano un ampio finestrone arcuato. Il campanile, che è una torre della rocca, termina con un corpo ottagono che fu aggiunto in un secondo tempo. La cupola presenta all'esterno il rivestimento di maioliche colorate. Nella cripta è stato creato uno spazio museale, dove sono raccolti alcuni arredi della sovrastante collegiata; tra questi degni di nota sono la statua della Madonna Assunta, un paliotto di alabastro a bassorilievo, una scultura in legno della Vergine con Bambino risalente al XVI secolo, un reliquiario in ebano ed avorio del XIV secolo, dei codici miniati di antifonari donati da Giovanna di Napoli. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta durante l'intera giornata. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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Minori

23_Villa Romana

25_Convento San Nicola

-POSIZIONAMENTO Località Grotte -DESCRIZIONE La villa scoperta a Minori risale, nonostante una vita edilizia molto complessa, nella sua fase originale, all'epoca giulio-claudia, con interventi di monumentalizzazione nell'età dei Severi. Questa villa, scoperta nel 1932, presenta un impianto organico e allo stesso tempo monumentale che vede come punto centrale un triclinio-ninfeo. Questo ambiente, che divide la villa in due parti simmetriche, fu abbellito sul lato N da una piccola cascata e da una vasca decorata da una architettura prospettica, di cui sopravvive solo il frontone con resti di stucchi, mentre sui lati E ed O da letti triclinari in muratura. Il triclinio si apre a S, mediante un arco in laterizi, su un ampio viridarium con vasca centrale; questo spazio è delimitato sui lati E, S e N (su questo lato si affacciano tutti gli ambienti della villa) da un triportico. Ad O, all'estremità del nucleo occidentale dei vani, una scala immetteva al piano superiore; un'altra scala simmetrica doveva trovarsi all'estremità del lato E, dove sono stati rinvenuti pochi gradini e dove la villa veniva lambita dal corso del torrente Reghinna (in antichità il torrente scorreva lungo l'attuale Corso Vittorio Emanuele). L'arco che costituisce l'apertura del triclinio sul viridarium ha in asse sul lato S del triportico un altro arco più piccolo, che rappresentava forse l'accesso all'impianto da mare; completavano la scenografia due prolungamenti del triportico verso S (sopravvive solo quello dell'estremità O, di cui sono stati posti in luce piccoli vani, forse adibiti a locali di servizio). Gli ambienti del nucleo ad E del triclinio erano quelli riservati al proprietario; infatti è qui che è stata ritrovata la parte termale, di cui sono riconoscibili il tepidarium, il calidarium ed il praefurnium. Del piano superiore rimane soltanto parte di un impianto termale, difficilmente riconducibile alle strutture originarie della villa. La tecnica costruttiva prevalente è l'opera incerta con utilizzo di pietra calcarea locale, con una regolarizzazione mediante blocchetti di travertino pestano nei punti di maggiore sollecitazione strutturale; nel triportico viene utilizzata l'opera laterizia. La decorazione pittorica (grandi pannelli con elementi figurati su zoccoli a fondo nero e rosso) rientra nel pieno III stile e riguarda solo quattro ambienti; i mosaici che si trovano nella parte di rappresentanza della villa riproducono una scena di tiaso marino e motivi vegetali di ispirazione dionisiaca. Delle 1300 monete recuperate durante lo scavo del 1934, di cui ne restano attualmente solo 120, la maggior parte si colloca tra il I ed il IV sec. d.C.; la ceramica rinvenuta è rappresentata soprattutto da contenitori da trasporto e da pezzi di uso comune. Al piano superiore è stato creato un piccolo antiquarium dove è possibile vedere non solo gli oggetti rinvenuti nella villa ma anche dei pannelli pittorici, staccati da un ninfeo, scoperto più a N, sotto la Chiesa di S. Lucia, e rinterrato perché pericolante. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La villa è aperta tutti i giorni dalle ore 9,00 alle 16,00 (in estate con orari prolungati) -DATI SULLA FRUIZIONE Anno 1980: 8342; anno 1981: 7940; anno 1982: 9120; anno 1983: 10822; anno 1984: 11480; anno 1985: 5948; anno 1986: 6605; anno 1987: 6149; anno 1988: 13017; anno 1989: 11140; anno 1990: 10235; anno 1991: 13235; anno 1992: 7872; anno 1993: 8344; anno 1994: 9972; anno 1995: 12126; anno 1996: 9451; anno 1997: 12031; anno 1998: 11023; anno 1999: 10453; anno 2000: 11428; anno 2001: 11749; anno 2002: 13664; anno 2003: 12134.

-POSIZIONAMENTO Monte Forcella -DESCRIZIONE Il complesso di S. Nicola, sul Monte Forcella, è composta da una chiesa e dal convento, interessati entrambi da un necessario restauro negli anni '80 del 1900. La fondazione risale all'XI secolo e divenne sede degli Agostiniani a partire dal 1628. La chiesa è a navata unica, con una statua del santo nella nicchia sull'altare. Il convento è a struttura allungata su due piani: quello inferiore era composto da locali di servizio con volte a botte, quello superiore, invece, da cinque camere, originarie celle dei monaci. Si notano tracce di un campanile. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Per visitare il complesso occorre rivolgersi al parroco di Minori o presso la Pro Loco. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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24_Basilica di San Trofimena

27_Torre Mezzacapo

28_Torre Paradiso

-POSIZIONAMENTO Piazza Cantilena -DESCRIZIONE La struttura che si erge al centro del paese è il risultato di una sovrapposizione di una costruzione iniziata nel 1747 sulla più antica cattedrale. Attualmente la Basilica è a croce latina, in stile neoclassico, a tre navate, divise da pilastri rivestiti di marmi policromi. Nelle navate minori si aprono quattro cappelle per lato (a destra: quella di S. Maria di Porto Salvo, dell'Immacolata, di S. Antonio, di S. Giuseppe; a sinistra: quella del fonte battesimale, della Deposizione, delle Anime del Purgatorio, della Madonna del Rosario). La navata centrale presenta una copertura a volta a botte con lunette laterali e stucchi decorativi, mentre quelle laterali a piccole cupole. L'altare maggiore, in marmo, contiene la pala della Crocifissione, opera di Marco del Pino da Siena (XVI secolo). Il transetto, molto ampio, con balaustra in marmo e due cappelle, quella del SS. Sacramento, con una tela della scuola del Sabatini, e quella del Cristo Morto, con una tavola dipinta di influenza raffaellesca, è coperto da una cupola ad otto spicchi, inclusa esternamente in un tiburio ottagonale con lanterna centrale e copertura di tegole, mentre nelle parti laterali è coperto da volte a botte decorata a stucchi, opera di Venanzio Conforto del 1800. Il transetto occupa la navata centrale della più antica chiesa, costruita intorno al 1093 con andamento da E ad O ed ingresso a S. Questa chiesa era a tre navate divise da colonne in porfido e misurava 38.40 m di lunghezza. Un elemento artistico importante era la pala d'altare con la Crocifissione, ora sull'altare maggiore della nuova basilica. Nucleo centrale di tutta la struttura era la cappella dedicata alla santa patrona, che coincideva con la prima chiesa costruita intorno al 640 per accogliere le reliquie della santa, chiesa che aveva andamento N-S e dovrebbe corrispondere all'attuale cripta. La cripta si trova al di sotto del transetto ed è divisa in tre navate, coperte da volte a vele (i marmi dei pilastri sono di Onofrio Conforto). Il pavimento della basilica, come quello della cripta, è in marmo. La facciata è costituita da più registri: nella parte più bassa quattro nicchie accolgono le statue degli Evangelisti, nella parte centrale si apre una finestra e nella zona più alta una meridiana è il segno del tempo che passa; tre medaglioni sormontano le porte, di cui quello centrale riproduce la santa. Il campanile, secondo lo schema neoclassico, è a più registri (a pianta quadrata), con orologio alla sommità. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta durante tutta la giornata. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno -POSIZIONAMENTO Strada Statale 163 -DESCRIZIONE Questa torre, di epoca vicereale a tre troniere, è stata inglobata nelle strutture del cosiddetto castello ed è visibile nella parte anteriore dello stesso. La costruzione del castello ha stavolto non poco la struttura della torre, uno dei numerosi esempi di torri anticorsare. Essa era dotata di due cannoni. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il castello, e quindi la torre, di proprietà privata, è stato utilizzato anche come albergo e ristorante; attualmente è in fase di restauro. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

-POSIZIONAMENTO Strada Statale 163 -DESCRIZIONE Questa torre, di epoca vicerale, originariamente a doppia altezza, ma con una troniera in sostituzione di parte del coronamento crollato, è divenuta abitazione privata e come tale ha subito numerose manomissioni. E' ben visibile, però, la struttura esterna. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è privata, quindi non visitabile. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


95-redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

26_Chiesa dell’Annunziata

-POSIZIONAMENTO Località Petrito. -DESCRIZIONE Della chiesa, risalente all'XI secolo, furono abbattute le strutture nel 1950 per problemi alla staticità; di essa sopravvivono solo parti delle due absidi che contengono resti di un affresco (S. Michele), della cripta e lo splendido campanile. Il campanile, infatti, visibile da tutto il paese, è uno splendido esempio dell'uso architettonico delle tarsie bicrome di tufo. A pianta quadrata, presenta la cella campanaria circolare, con cupola e decorazioni degli elementi portanti delle bifore, ottenute mediante l'aternanza del tufo grigio e giallo, di cui purtroppo, a volte, resta solo l'impronta nella malta; losanghe, rombi, motivi stelliformi completano il repertorio decorativo. La chiesa era sede della Congrega dell'Annunziata, composta dai soli pastai minoresi. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il campanile è visibile lungo la strada che dal centro di Minori porta alla località Torre, da cui si gode un interessante panorama sul paese. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

Scala

29_Torre dello Ziro

30_Bagni Arabi

-POSIZIONAMENTO Località Pontone -DESCRIZIONE Sullo sperone di roccia che si protende verso il mare, tra Atrani ed Amalfi, si eleva la torre dello Ziro, con uno stretto camminamento, cinto da mura merlate, che la collega al punto estremo della spianata. Come si mostra ora la torre ha tutti gli elementi delle opere difensive di epoca angioina; si tratta, infatti, di una costruzione cilindrica con base scarpata e toro aggettante all'imposta del cilindro sulla base. Il coronamento doveva presentare una merlatura di cui sopravvivono alcuni elementi; le uniche aperture sono al di sopra della cornice, una più ampia che doveva servire da ingresso, le altre più piccole (quattro vani finestra di forma quadrata). Le prime notizie su questa torre risalgono al 1151, quando viene ancora chiamata "Rocca di S. Felice", mentre a partire dal 1292 diventa Turris cziri. A questa struttura è legata una storia molto conosciuta tra la gente del luogo; si racconta che la torre fu utilizzata come luogo di prigionia per Giovanna d'Aragona. Questa, sposata giovanissima ad Alfonso Piccolomini duca di Amalfi, quando troppo presto (a circa venti anni) divenne vedova, intraprese una relazione amorosa con il suo amministratore (servo) Antonio Bologna, che in seguito sposò in segreto e da cui ebbe dei figli. Quando i due fratelli di lei, il cardinale Carlo e Federico, scoprirono la cosa, mostrarono il loro dissenso cercando di dividere i due amanti; questi fuggirono, ma, rintracciati, il Bologna fu ucciso e Giovanna fu ricondotta ad Amalfi dove sparì. La storia, svoltasi nel 1500, è un fatto realmente accaduto, raccontato tra i tanti da Matteo Bandello nelle sue novelle, testimone oculare della vicenda perché era amico del Bologna; poi venne addirittura trasposta in forma di tragedia da John Webster, nel XVI secolo, che però conclude la vicenda con l'uccisione di Giovanna da parte di un sicario, il Bosola. La tradizione locale racconta invece che Giovanna, ricondotta ad Amalfi, fu rinchiusa nella Torre dello Ziro e murata viva insieme ai figli, frutto dell'amore segreto; la riprova di questa conclusione sta, secondo la vox populi, nell'assenza di porte nella torre. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è visitabile dall'esterno. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno -POSIZIONAMENTO Località Pontone e Località S. Caterina -DESCRIZIONE Di queste costruzioni, appartenenti a dimore di ricche famiglie scalesi, ne sopravvivono due, una in una casa di località Pontone, la cosiddetta casa-torre, l'altra in località S. Caterina (palazzo Trara). Entrambi i bagni presentano la stessa struttura; sono costituiti, infatti, da piccoli ambienti comunicanti tra loro, con destinazione diversa: uno per il bagno freddo, uno per quello tiepido ed infine l'ultimo per il bagno caldo. Si è conservato meglio l'ultimo ambiente, con copertura a cupola scanalata e vasca centrale a cui si accede attraverso dei gradini. Interessante risulta il sistema di tubazioni in terracotta, che doveva servire all'abduzione dell'acqua e alla creazione del vapore, sistema di cui è possibile vedere ancora parti ben conservate nell'esemplare esistente a Pontone. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Durante la manifestazione annuale "Scala, porte aperte", tesa a valorizzare il patrimonio monumentale locale, è possibile visitare le due strutture. Altrimenti occorre rivolgersi ai proprietari. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia-96

31_Duomo di San Lorenzo

32_Chiesa di San Eustachio

-POSIZIONAMENTO Piazza Duomo -DESCRIZIONE Il duomo, dedicato a S. Lorenzo martire, fu costruito nell'XI secolo anche se, nel corso dei secoli, ha subito numerosi interventi. L'interno, a tre navate divise da archi a tutto sesto poggianti su pilastri, presenta un transetto triabsidato e copertura piana di quest'ultimo e della navata centrale, impreziosito da tele di Antonio Cacciapuoti delimitate da motivi geometrici e floreali a stucco, opera di Giovanni De Simone del 1748. L'altare maggiore è decorato da una tavola riproducente la Madonna con i martiri e nel registro inferiore l'Ultima Cena, opera di Marco Pino e Bartolomeo Guelfo. Le navate laterali, con copertura di volte a crociera, sono alleggerite negli alzati da cappelle poco profonde; nella navata destra vi è un piccolo ambone, con decorazioni musive e poggiante su quattro colonne (l'opera proviene dalla chiesa della località scalese Campidoglio). Un vano-porta sulla navata destra, sormontato da una tela raffigurante l'"Ecce Homo con S. Sisto Papa", della scuola di Andrea Sabatino, immette, attraverso un'ampia scala, alla sottostante cripta, divisa longitudinalmente in due navate da quattro colonne che reggono volte a crociera. Alla parete sinistra della cripta è poggiato il monumento funerario di Marinella Rufolo, fatto costruire dal marito Antonio Coppola nel 1332 ad un discepolo di Tino da Camaino. Il monumento, di impianto gotico, con doppio spiovente ornato di guglie, è abbellito da alcuni bassorilievi in marmo: la colomba, Cristo con gli Apostoli, la morte, l'Assunzione e l'Incoronazione della Vergine; nel registro inferiore la defunta distesa sopra la cassa tombale riprende il classico schema funerario con il cane accucciato ai piedi, mentre sulla cassa in medaglioni sono riprodotti la Vergine ed i Santi. Sui piedistalli le figure della defunta e del marito completano l'impianto. Tra gli arredi della chiesa sono da notare: una mitra vescovile, dono di Carlo I d'Angiò nel 1270, quando sconfisse i Saraceni nel giorno della festa del Santo patrono; un calice, opera di alta oreficeria. Il campanile, accanto alla chiesa, è a tre registri e poco svettante. Interessante è il riquadro maiolicato, inserito nel pavimento, risalente al 1853. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il Duomo è aperto tutti i giorni per l'intera giornata ed è sempre visitabile, compatibilmente con le celebrazioni liturgiche. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno -POSIZIONAMENTO Località Pontone -DESCRIZIONE I resti delle strutture, risalenti al XII secolo (le campane sono datate 1187), sono state interessate da un importante restauro che ha permesso di fermare il processo distruttivo, iniziato già nel 1570. Di impianto basilicale, a tre navate, absidata, la chiesa conserva ancora la sua imponenza grazie alla posizione dominante su uno sperone roccioso e alle tre absidi che si innalzano per molti metri sul pianoro. Le navate erano probabilmente divise da archi poggianti su colonne, di cui restano in situ solo alcune; nulla resta della copertura, mentre interessante risulta la decorazione della parte esterna absidale. La facciata, infatti, è alleggerita da motivi di arcatelle a sesto acuto cieche, disposte su più registri e poggianti su colonnine binate di fine marmo bianco, a volte doppie e arricchite da elementi di tufo, atto a creare contrasti cromatici. I resti di una cripta, in parte crollata, e di vari terrazzamenti arricchiscono l'impianto. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il sito è ancora in fase di recupero dal punto di vista architettonico, ma è visitabile rivolgendosi preventivamente alla soprintendenza BAPPSAE di Salerno. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

Ravello

33_Torre dello Scarpariello

-POSIZIONAMENTO Marmorata -DESCRIZIONE Questa torre, di epoca vicereale, è una struttura a doppia altezza con feritorie adattate a finestre, priva di armi. Detta anche della "Ficarola", presenta ancora l'aspetto originario anche se ha subito numerosi adattamenti ad abitazione in età moderna. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è di proprietà privata . -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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34_Villa Rufolo

36_Palazzo Sasso

POSIZIONAMENTO Piazza Vescovado -DESCRIZIONE Villa Rufolo è costituita da un vasto complesso di strutture, riconducibili al modello del palazzo-giardino, non tutte cronologicamente contemporanee e che sono state arricchite di nuovi ambienti fino al termine del XVIII secolo. Le due torri quadrate, di cui la più piccola contiene l'ingresso attraverso un arco a sesto acuto che immette in un viale alberato ed è coperta da una cupola ad ombrello, non servivano alla difesa dai nemici ma assecondavano il progetto del palazzo-giardino di chiara impronta islamica. Al termine del viale alberato, alla cui destra resti di pilastri fanno supporre l'esistenza di alcune sale ora crollate ma un tempo sicuramente situate tra quella struttura che oggi è chiamata cappella e l'ingresso, si giunge al nucleo originario del palazzo, risalente al XIII secolo, costituito dal cortile moresco, il cui ingresso è da ravvisare in quello costruito in tufo giallo, abbellito da volute; il cortile è a pianta rettangolare, con una galleria doppia su tre lati e con una successione di ambienti in alzato molto complessa, soprattutto dopo i lavori di contenimento dei crolli successivi al terremoto del novembre 1713. Il prof. Peduto, che si è occupato dello studio della villa, così descrive l'intera struttura: "Dell'ordine inferiore rimangono quasi tre lati completi, realizzati da una successione di archi acuti poggianti su colonne, mentre del livello superiore,..., resta ben poco più di un solo lato lungo. Questo secondo ordine formava un loggiato coperto, disposto su una successione di colonne binate...I quattro corridoi del loggiato erano alti fino alla copertura delle volte estradossate." La facciata del cortile sul lato E mostra una decorazione al secondo livello fatto da archi intrecciati sovrapposti e rovesciati e colonnine che reggono archi ciechi e gocce trilobate. Qui sono stati rintracciati altri ambienti originari, come le cucine; accanto all'altra torre quadrata, molto più alta della prima, i resti di un patio a cupola e di una sala più grande immettono in un primo giardino, alla cui destra altri ambienti non risalenti all'impianto originario mostrano interessanti pavimenti in riggiole e coperture voltate, affrescate di grottesche e motivi floreali tra stucchi di ispirazione barocca. Dall'alto del terrazzo è possibile ammirare il giardino sottostante, opera di uno dei tanti proprietari della villa, lo scozzese Nevile Reid, il quale, spianando i ruderi delle vecchie strutture, creò i vari terrazzamenti. A N del giardino sopravvive l'impianto termale costituito da una sala, coperta da volta a crociera lateralmente, e nella parte centrale da una volta a calotta. Interessante la cosiddetta sala da pranzo, a livello del giardino intermedio, divisa longitudinalmente in due parti da una serie di cinque archi su colonne; la copertura è affidata a volte a crociera. Annessa alla villa, accanto all'ingresso, la cosiddetta cappella presenta ancora la decorazione della facciata con archi intrecciati ciechi su colonne binate. La ricchezza e la complessità della pianta sono dovute al fatto che la villa costruita dalla ricca famiglia Rufolo, nota dai documenti a partire dal XI secolo (ad essa apparteneva il Landolfo, la cui avventura è descritta in una novella del Decamerone dal Boccaccio), appartenne ai Muscettola, ai Gonfalone e, dopo un periodo di disastroso abbandono, a Reid, che la trasformò per ricreare un ambiente ancora più ricco. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE È possibile visitare i giardini della Villa e, dall'esterno, anche alcuni corpi di fabbrica, tutti i giorni dalle ore 9.00 all'ora del tramonto e, nel periodo estivo, anche di sera, secondo modalità che variano di anno in anno (in estate i giardini sono utilizzati per i concerti dedicati a Wagner). Il biglietto di ingresso varia a secondo dell'età dei visitatori. -DATI SULLA FRUIZIONE:Anno 2001: 181.660;Anno 2002: 178.580; Anno 2003: 172.720

-POSIZIONAMENTO Via S. Giovanni del Toro -DESCRIZIONE Appartenuto alla famiglia Acconciagioco e passato poi alla famiglia di origine scalese Sasso, il palazzo mostra le caratteristiche architettoniche proprie delle costruzioni di prima età angioina. La struttura, a più piani, si sviluppa intorno ad un cortile centrale, decentrato rispetto all'ingresso, che è costituito da un portone ad arco a sesto acuto che immette in ambienti di passaggio e di accesso ai piani superiori. Interessante è la facciata verso E, alleggerita da ampie aperture ad arco a sesto acuto con balconata di colonnine sagomate ad "otto". Il palazzo ha subito grandi lavori di riadattamento già in passato, quando si iniziò ad utilizzarlo per uso ricettivo (vecchio hotel Palumbo). -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il palazzo è utilizzato come albergo e quindi non è aperto alle visite. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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35_Villa Cimbrone

37_Palazzo Confalone

-POSIZIONAMENTO Via S. Chiara -DESCRIZIONE La situazione architettonica della villa, adibita attualmente ad uso ricettivo e quindi non visitabile in tutte le sue parti, appare molto complessa perché poco sappiamo delle strutture originarie (era della famiglia Acconciagioco) rispetto alla grande opera di monumetalizzazione avvenuta nei primi anni del secolo scorso, quando il nuovo proprietario, Lord Bercket Grimthorp, affidò la risistemazione dell'area ad un ravellese, Nicola Mansi. Già dal viale d'ingresso si vede il palazzo, che richiama le forme di un castello merlato con tanto di torre e vani finestra arcuati, sottolineati da giochi cromatici realizzati in tufo. Un'altra torre, con cuspide finale maiolicata, riproduce in alzato la struttura del campanile della Chiesa di S. Martino. Le stanze del palazzo, tutte con copertura a volta e affrescate, mostrano pavimenti maiolicati di gusto medievale e arredo ricco, con camini in quasi tutti gli ambienti. Visitabile è il chiostro, con bifore inquadrate da archi a sesto acuto e poggianti su colonnine tortili, con la vera del pozzo al centro, il tutto costruito rielaborando l'imitazione dei chiostri claustrali presenti sulla Costa. Interessante e visitabile anche la cosiddetta Tea-room, accanto al palazzo, riproducente forme proprie del palazzo islamico; si tratta, infatti, di una costruzione a pianta rettangolare che ha un lato lungo aperto sul roseto attraverso archi retti da esili pilastri decorati da maioliche e motivi ad intreccio. Statue di ispirazione classica abbelliscono il roseto. Sottostante il corpo di fabbrica principale fu creata una cripta su imitazione della sala da pranzo di Villa Rufolo, con pilastri a fusto ottagonale da cui dipartono colonne attorcigliate. Visitabile in tutta la sua ampiezza e bellezza resta il parco, con il viale che termina nel Belvedere mozzafiato, a cui si accede attraverso una specie di arco monumentale a quattro lati, dove fa bella mostra di sé una riproduzione di statua greca. La riproduzione di un tempietto classico circolare accoglie, immerso nei giardini del parco, le ceneri di Lord Bercket, mentre numerose statue (tra tutte la Venere nella grotta) abbelliscono i terrazzamenti. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La villa di proprietà privata è visitabile solo per la parte del giardino e del chiostro mediante l'acquisto del biglietto all'entrata. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno -POSIZIONAMENTO Via S. Giovanni del Toro -DESCRIZIONE La data di costruzione è incerta anche se alcuni caratteri costruttivi e la stessa storia di questa nobile famiglia ravellese indicano un periodo tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV. La famiglia Confalone, infatti, era originaria di Scala e il primo membro di essa a trasferirsi a Ravello, trasformando il cognome da Compalone a Comphalonum, fu Aniello, detto il Sagese, nel 1384. Il palazzo è a due piani, con copertura a tetto a doppio spiovente; vi si accede attraverso un portone ad arco a tutto sesto incorniciato da due piccole colonne con capitelli compositi, in cui compaiono foglie di palma e tre fiori; sul punto di chiave dell'arco appare lo stemma della famiglia, in marmo: un leone rampante a sinistra, poggiante su una banderuola a doppia punta sventolante. Dal portone si entra in un cortile chiuso su due lati da archi a sesto acuto con sottarchi a piani digradanti, retti da colonne con capitelli di spolio di tipo composito, in marmo giallo paglierino. L'androne, ora completamente coperto da una struttura in vetro, mostra l'originaria apertura in alto al centro, e per questo può essere ricondotto alla prima età angioina (1270-80). Dal lato opposto all'ingresso, nel cortile, una scala inquadrata da un arco a tutto sesto leggermente ribassato e da due colonne, a tutta luce, con piccole rampe di scalini, conduce al secondo piano, dove gli interventi settecenteschi sono più evidenti; le stanze, infatti, adibite attualmente a sala da pranzo, presentano coperture di vario tipo (volte a semibotte, volte a botte, soffitto piano). Nella seconda di queste stanze, il soffitto presenta un affresco che lo occupa completamente, ben conservato perché a lungo coperto da uno strato di intonaco. L'affresco, in cui prevale un cromatismo molto forte con punte di verde rame nella cornice, incorniciato da stucchi, riproduce, tra grottesche e intrecci vegetali, una scena marina in un riquadro in cui forse una Venere (la conchiglia alle spalle potrebbe far pensare a questo soggetto) si staglia sullo sfondo con un palazzo, due cornucopie da cui fuoriescono frutti sullo stipite di una porta e un ovale con erma di donna, con due amorini dormienti, sull'altra porta. La vita edilizia del palazzo non permette di verificare l'ipotesi della presenza di una struttura più piccola antecedente alla costruzione attuale, inglobata in essa. Il palazzo è circondato ad E da un giardino con belvedere, delimitato da colonne ottagonali che richiamano il Belvedere di Villa Rufolo, che appartenne ai Confalone fino al 1551. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il palazzo è adibito ad albergo. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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38_Chiesa dell’Annunziata

-POSIZIONAMENTO Via Dell'Annunziata -DESCRIZIONE La chiesa e l'oratorio di questo complesso presentano l'accesso da un portico coperto da volte a crociera a sesto acuto, estradossate. La chiesa ha orientamento N-S ed ha un unico ingresso sul cui architrave troneggia lo stemma marmoreo della famiglia Fusco. La struttura è a tre navate divise da archi poggianti su due colonne di granito grigio (due) e di marmo (rosa e verde), con transetto sopraelevato di un gradino e tre absidi, di cui la centrale più ampia, ma tutte con apertura a monofora; la copertura delle navate laterali è a volta a crociera, mentre sul transetto si eleva la cupola su tamburo con diametro di quattro metri. La facciata esterna a S mostra una decorazione in tufo nero che definiscono fasce marcapiano e archetti decorativi nelle monofore e nella cupola. L'oratorio, invece, perpendicolare alla chiesa, con ingresso unico, sormontato da un'ampia finestra trilobata, è una vasta sala, a navata unica, con due piccole absidi sul lato S (il lato lungo) ed un'abside ampia sul fondo ad O, dove trova posto un altare in muratura sormontato da una pala rinascimentale, divisa in tre livelli: in quello più basso i busti in stucco degli Apostoli e di Cristo, ora non più esistenti, riproducevano l'Ultima Cena, in quello mediano il presepe, in quello più alto una pittura di paesaggio fa da ampia scenografia alla scena dell'Annunciazione; la lunetta superiore conteneva il busto della Vergine con gli Angeli in stucco (tutti scomparsi). Lungo il perimetro alto delle pareti, a sottolineare l'imposta di un soffitto cassettonato settecentesco, ora eliminato, fu realizzato un fregio a grottesche con in principio lo stemma del comune. L'oratorio è sicuramente antecedente al 1437, perché era a questa data sede della confraternita dei Battenti e subì un restauro nel 1721. La chiesa risale, invece, al 1277, perché ricordata nel testamento di Nicola Rufolo e fu concessa in patronato alla famiglia Fusco già nel 1393, poi confermata alla stessa famiglia quando questa fu fedele a Ladislao di Durazzo nel 1403. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta solo in occasione di convegni. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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39_Duomo di Ravello

-POSIZIONAMENTO Piazza Vescovado -DESCRIZIONE Il Duomo, dedicato alla Madonna Assunta, conserva la preziosa reliquia del santo protettore del paese, S. Pantaleone, reliquia costituita dal sangue versato dal martire e conservato in un'ampolla e soggetto a liquefazione nel giorno anniversario del suo martirio, il 27 luglio. Dal punto di vista architettonico, questa struttura mostra molte fasi edilizie che un attento restauro, durato decenni, ha tentato di studiare e di ridurre nei risultati architettonici prodotti. Questa descrizione vuole essere solo di carattere informativo, per tutti gli aspetti architettonici e storici nella loro evoluzione si rimanda alla bibliografia. A croce latina, a tre navate, la chiesa absidata mostra un impianto con caratteri paleocristiani, compreso l'andamento ascendente del piano di calpestio; le navate sono divise da archi a tutto sesto poggianti su colonne con capitelli di spolio. Il transetto, elevato rispetto alla parte riservata al popolo, presenta nell'abside centrale un altare di marmo policromo, preceduto da quattro scalini, seicentesco, ed una mensa, di tipo postconciliare, costituita da un sarcofago di epoca medievale (1362), con iscrizione dei nomi dei primi otto vescovi ravellesi (Ravello fu sede vescovile dal 1086 al 1818, motivo per cui il Duomo è detto anche ex Cattedrale). La copertura delle navate è affidata ad una capriata lignea a vista per quella centrale e due mezze capriate cementizie per le laterali; il transetto è coperto, invece, da una volta a botte lunettata, interrotta nella parte centrale da una cupola a scodella. Il catino absidale è decorato da motivi barocchi, come barocche sono le paraste con capitelli in stucco che decorano il transetto. L'abside destra accoglie l'altare in marmo del 1795, su cui spicca una grossa pala rettangolare che mostra l'Arcangelo Michele mentre colpisce il demonio, opera del 1583 di Giovan Angelo D'Amato di Maiori; sull'abside centrale una nicchia contiene la statua lignea della Madonna Immacolata, settecentesca, mentre l'abside sinistra fu ampliata per far posto nel 1618 alla costruzione della Cappella per accogliere la reliquia del Santo, fino ad allora custodita sull'altare maggiore. Un grande altare di marmo contiene, al di sopra del Tabernacolo, un piccolo vano dove è posta, tra due grate, l'ampolla con il sangue; al di sopra una tela, opera del genovese Geronimo Imperiale del 1638, ritrae S. Pantaleone legato ad un tronco di olivo ed il sacerdote Ermolao (colui che convertì il santo, prima pagano, al cristianesimo); due tele più piccole, ai lati, ritraggono S. Barbara e S. Tommaso Apostolo. Il sottarco d'ingresso alla Cappella è diviso in riquadri dove sono affrescate scene della vita del santo. Altri tre elementi importanti, dal punto di vista artistico, sono conservati nel Duomo: le porte bronzee, il pulpito e l'ambone. La porta bronzea è costituita da cinquantaquattro formelle disposte sui due battenti ed incorniciati da motivi geometrici; delle formelle quarantadue presentano figure (dalla Maiestas Domini alla Deposizione dalla Croce, all'albero della vita, alla Madonna col Bambino, ecc.) L'intera struttura, risalente al 1079, dono del nobile Sergio Muscettola (come ricorda l'iscrizione che occupa una delle formelle), fu creata a fusione dall'artista tranese Barisano di Trani. L'ambone dell'epistola, dal lato sinistro della navata centrale, fu offerto dal vescovo ravellese Costantino Rogadeo non più tardi del 1150 (fu infatti vescovo dal 1095 al 1150). La decorazione, a mosaico, è definita su due registri: in quello inferiore il motivo dell'eternità divina è reso mediante due dischi di porfido circondati dalla spirale continua ottenuta con tessere marmoree quadrate; nella parte superiore la scena musiva riproduce l'episodio biblico di Giona, mangiato e poi vomitato da un mostro marino, simbolo della Resurrezione di Cristo. Il pulpito, invece, nella navata opposta, è una costruzione più articolata, poggiante nella parte della balaustra su colonne, con capitelli di scuola francese, sostenute da sei leoni marmorei, ripresi nell'atto di camminare; dono del nobile Nicola Rufolo, costruito nel 1272 da Nicola Bartolomeo da Foggia, mostra una decorazione musiva spettacolare non solo nella balaustra, dove appaiono la Vergine col Bambino (il pulpito è dedicato alla Madonna) e gli stemmi della casata, circondati dai gigli angioini, ma di ogni elemento architettonico, che appare impreziosito da motivi geometrici e figurativi (le arabe fenici alla fonte). La cripta, fuori terra, con copertura di volte a crociera, è adibita a museo. Completa il duomo un campanile quadrato a tre registri con ampie bifore sui quattro lati definite dal motivo decorativo a laterizi; la coronatura è ad archetti di tufo ciechi su colonnine binate. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il Duomo è aperto tutti i giorni dalle ore 8.30 alle 19.00 (in estate anche fino alle 21.00); durante la chiusura di primo pomeriggio esso è accessibile dal Museo, quindi è sempre visitabile. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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Atrani

40_Chiesa di San Salvatore

41_Colleggiata di Santa Maria Maddalena

-POSIZIONAMENTO P.zza Umberto I -DESCRIZIONE La chiesa risulta importante nella storia politica della Repubblica marinara di Amalfi, perché qui i dogi ricevevano l'investitura e avevano sepoltura. Risale al 940 e divenne quasi subito cappella palatina. Nel corso dei secoli ha subito notevoli trasformazioni, non solo negli alzati, ma anche in pianta, a cui un restauro molto accurato sta mettendo rimedio. È a tre navate, con altare ad E ed ingresso principale sulla navata laterale destra, che si apre su un piccolo atrio a cui si accede attraverso la scala dalla piazza. La copertura è a volte a crociera ed il cantiere di restauro sta mettendo in luce interessanti novità. Due archi a sesto acuto sono stati scoperti lì dove una volta esisteva la sacrestia, dando alla struttura una forma completamente nuova (questo ambiente recuperato doveva essere semiaperto e risalire al XIII secolo); inoltre, una parte della navata sinistra risulta essere stata abbattuta verso N, mentre all'altezza dell'altare presenta un secondo ingresso. La chiesa non ha una facciata vera e propria se non una sovrastruttura laterale, divisa in due piani, di cui quello superiore, più interessante, mostra un orologio inquadrato da due paraste per lato, con capitelli ionici, e termina con una struttura a capanna che fa da cella campanaria, definita nella zona laterale bassa da due volute. Interessante è la porta di bronzo, commissionata da Pantaleone di Viarecta, nel 1076, formata da 24 formelle, di cui quattro (quelle centrali) mostrano Cristo, la Vergine, S. Pantaleone e S. Sebastiano, mentre le altre venti riproducono croci ageminate e fogliate. La porta, in origine destinata alla non più esistente chiesa di S. Sebastiano, si ricollega stilisticamente alle altre porte bronzee presenti in Costiera, soprattutto con quella del Cattedrale di Amalfi. Le formelle sono tenute insieme su un'intelaiatura di legno (una vera e propria seconda porta) da elementi di giuntura continui. Qui conservato è pure un pluteo (XII secolo) di marmo, senza epigrafi, ma con una decorazione molto articolata: il campo maggiore è occupato da due pavoni, visti di fronte, con le code e le ali aperte e divisi da un tronco d'albero, alla cui sommità c'è un uccello che cova; il pavone a sinistra poggia sulla testa di un uomo circondato da due sirene, quello a destra tiene con le zampe una lepre, contesa da due uccelli. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Attualmente la chiesa è chiusa al pubblico per facilitare i restauri; la porta bronzea è visibile perché temporaneamente è conservata nel complesso della collegiata di S. Maria Maddalena. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno. -POSIZIONAMENTO Largo S. Maria Maddalena. -DESCRIZIONE Questa chiesa sorge nello stesso luogo dove un tempo (all'inizio della storia urbana di Atrani) si trovava una piccola torre di guardia che fu inglobata nella zona del transetto. Essa ha subito, nel corso dei secoli, numerosi rimaneggiamenti finalizzati a rendere più sicura la statica della struttura che nel 1570 e nel 1669 rischiò di crollare (la costruzione di un contrafforte ad O della chiesa risale appunto al 1669). Nel 1753 la Chiesa fu ingrandita e nel 1852, addirittura, rimodernata dall'architetto Lorenzo Casalbore. L'interno, a tre navate, mostra solo l'ultima fase edilizia; lungo le due navate minori, sostenute da pilastri, si aprono cappelle poco approfondite, tranne le due affrontate che si trovano nella zona del presbiterio. Queste due cappelle, infatti, hanno destinazione particolare: una, quella di sinistra, è la cappella del Sacramento, quella di destra, invece, è la cappella gentilizia di una nobile famiglia atranese, dove si può ammirare l'opera del pittore Andrea Sabatini da Salerno, l'Incredulità di Tommaso. La copertura della navata centrale è a volta a botte con lunette laterali, decorata da motivi floreali in stucco; le navate minori, invece, sono coperte da volte a crociera. Il transetto è diviso in due parti da una balaustra marmorea e mentre la zona più esterna presenta una copertura con cupola a scodella su alto tamburo, quella più interna, dove trova posto l'altare di marmo del 1700, è coperta da un soffitto piano, dove è collocata la tela con l'apparizione di Cristo alla Maddalena. Tre tavole dipinte (S. Andrea, S. Maria Maddalena e S. Sebastiano), opera del D'Amato di Maiori, decorano l'altare. Anche l'organo presenta un'interessante decorazione pittorica del parapetto, con riquadri pittorici di Giulio Cesare Ricci e Giacomo Fiammingo (1611). Il campanile del 1500 è formato da cinque piani; i primi tre quadrati, gli ultimi due ottagonali; tutti gli elementi architettonici di raccordo sono in tufo grigio. La facciata, interessante, presenta il rifacimento di epoca barocca ed è divisa in due registri da elementi architettonici di stucco (capitelli e colonne). Il registro superiore, terminante con un timpano, alloggia la statua della santa protettrice, ed è decorato da cuspidi e pignatte. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta durante le funzioni religiose, oppure occorre chiedere di poterla visitare al sacrista, bussando alla casa canonica. -DATI SULLA FRUIZIONE Molti visitatori chiedono di poter vedere la struttura ma non sempre ci riescono, dato che resta chiusa tutta la giornata per essere aperta solo durante la messa vespertina, nei giorni feriali, e nei festivi limitatamente alla celebrazione.


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Amalfi

42_Arsenali

43_Cattedrale di San Andrea

-POSIZIONAMENTO Largo Flavio Gioia -DESCRIZIONE Gli arsenali, vicinissimi alla linea di costa, furono costruiti intorno all'XI secolo e subirono la distruzione di parte della struttura in seguito alla libecciata del novembre 1343. Attualmente è possibile vedere due corsie di circa 40.00 m, coperte da volte a crociera poggianti su pilastri, di cui ne sopravvivono dieci (dalle fonti storiografiche locali sappiamo che antecedentemente al 1343 i pilastri erano ventidue, quindi la lunghezza della struttura misurava il doppio). Gli archi ogivali delle volte presentano sottarchi. La tecnica costruttiva è l'opera incerta a vista. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La struttura è utilizzata come spazio espositivo per mostre sulla storia della Repubblica marinara, e vi è esposta una copia del galeone da regata che viene usato durante la manifestazione annuale. L'ingresso è libero e, per accedervi, occorre rivolgersi alla Azienda di Soggiorno e Turismo di Amalfi, in quanto potrebbe essere chiuso. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno -POSIZIONAMENTO Piazza Duomo -DESCRIZIONE La cattedrale vera e propria, dedicata a s. Andrea, il cui corpo fu portato ad Amalfi da Patrasso solo nel 1208 ed è conservato nella sottostante cripta, risale al 987, anche se è stata rimaneggiata più volte nel corso dei secoli. Il nucleo originario può essere supposto guardando le strutture decorative visibili ancora sulla parete destra del transetto (archetti intrecciati). L'impianto basitale, a tre navate divise da archi poggianti su pilastri (in origine colonne) rivestiti di marmi, presenta l'aspetto barocco voluto dal vescovo M. Bologna. Nell'abside centrale, l'altare maggiore del 1711, opera di Giuseppe e Paolo Mozzetti, contiene, incorniciata da una struttura a timpano spezzato barocco, la tela di Dell'Asta, con il Martirio del Santo; il catino absidale, lunettato da nervature barocche, mostra, invece, tre affreschi (S. Andrea, la Madonna Assunta, S. Giovanni Battista), realizzati nel 1715 sempre dal Dell'Asta. Le absidi laterali approfondiscono per contenere a destra la cappella del Coro dei Canonici del 1700, a sinistra quella del Sacramento, sempre del 1700, con volta a vela affrescata. Le navate laterali mostrano cinque cappelle per lato; a destra, iniziando dall'ingresso, c'è la cappella che contiene tre statue (S. Giovanni Evangelista, S. Giovanni Battista, S. Benedetto), le altre contengono tele del 1700, opere di Silvestro Mirra e della sua scuola (la Vergine, S. Michele, S. Nicola e la Natività); a sinistra, dopo il fonte battesimale in porfido rosso, le cappelle alloggiano tele sempre del Mirra (S. Eustachio, la Vergine, S. Gaetano da Tiene con S. Andrea Avellino, la Vergine). La controfacciata della navata destra mostra la tela di Ottavio Elioni (XVIII secolo) che racconta il miracolo del Santo patrono. La copertura è affidata ad un soffitto piano a cassettoni dorati che contiene tele di Dell'Asta con scene di vita del Santo, nel transetto le tele sono di Giuseppe Castellano (XVIII secolo- Vocazione del Santo e Pesca miracolosa). Teche vetrate aperte sulle pareti laterali custodiscono un reliquiario di S. Andrea in argento (XVI secolo) e una croce di madreperla di Mons. Marini (1930). Interessanti opere sono inoltre: la mensa eucaristica, costituita dal sarcofago del vescovo Pietro Capuano (1360), le due colonne monolitiche di marmo rosso, poste ad incorniciare i presbiterio, i due candelabri, con le colonne che li sostengono, a decorazione musiva. Dalla navata destra si accede alla sacrestia, costruita nel 1786 a pianta ottagona, con interessanti affreschi. L'ingresso della cattedrale è costituito da un atrio, voluto dal Cardinale Pietro Capuano, nel XIII secolo, affrescato nel 1929 dal Paolo Vetri, con scene della vita di Cristo e di S. Andrea; su di esso si apre la porta centrale, di bronzo, costruita a Costantinopoli nel 1060, formata da formelle con motivi cruciformi. La facciata, a capanna, con archetti intrecciati, mostra la fase edilizia ottocentesca (nel 1861 ci fu un crollo e quindi fu ricostruita dall'Alvino e dal Raimondi), con i mosaici su disegno di Domenico Morelli. La cripta, a cui si accede da una scala nella navata destra, fu costruita nel 1203 per accogliere il corpo di S. Andrea. E' divisa longitudinalmente in due navate da pilastri, ricoperti da marmi, che reggono volte a crociera interamente affrescate nel 1600 da artisti napoletani, tra cui Aniello Falcone. L'altare, del 1500, mostra la statua bronzea di S. Andrea di Michelangelo Naccherini e quelli in marmo di S. Stefano e di S. Lorenzo, opere di Pietro Bernini. Il campanile, iniziato nel 1180, mostra un progressivo alleggerimento delle strutture ottenuto mediante aperture più ampie e con la cella campanaria circolare, circondata da quattro celle minori e decorata da motivi bicromi di archi intrecciati e dalle maioliche verdi e gialle della cupola -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Alla Cattedrale si accede, con ingresso libero, durante le funzioni liturgiche, mentre la visita è sempre possibile, entrando dal Chiostro Paradiso, con biglietto che include la visita del chiostro e della Basilica del Crocifisso. -DATI SULLA FRUIZIONE La Cattedrale è il punto di arrivo di tutti i visitatori di Amalfi


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-POSIZIONAMENTO Località Vettica. -DESCRIZIONE Questa torre, detta anche torre di Capo della Vite, fu costruita nel 1568 secondo lo storico Camera; presenta le caratteristiche architettoniche delle costruzioni di epoca vicereale ed è a quattro troniere. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE È visitabile dall'esterno. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

44_Torre Anticorsara

45_Museo della carta

-POSIZIONAMENTO Via Lorenzo d'Amalfi -DESCRIZIONE Il museo della carta è sorto nella vecchia cartiera di proprietà del Sig. Nicola Milano, nel 1969; esso presenta, attraverso le fasi della lavorazione, il processo di creazione della famosa carta a mano di Amalfi, ed è possibile vedere le macchine tradizionali che servivano alla produzione. All'interno del Museo è possibile anche vedere il prodotto finito del ciclo di lavorazione, oltre ad avere a disposizione le spiegazioni del personale addetto. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.30. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

Conca dei Marini

46_Convento di Santa Rosa

-POSIZIONAMENTO Strada statale 163. -DESCRIZIONE Il monastero di S. Rosa sorse nel 1681 ad opera di una suora, Rosa Pandolci, membro di una importante famiglia scalese, che nel 1500 si trasferì a Conca, divenendo protagonista della vita del paese. In origine esisteva, nello stesso luogo, la chiesa di S. Maria del Grado, caduta in rovina e ceduta nel 1679 alla suora che cominciò a costruire il monastero, dotandolo di acqua corrente mediante un canale, esteso poi anche al paese. Il monastero è dedicato a S. Rosa da Lima e sorge sullo sperone di roccia più avanzato verso il mare secondo uno schema ad L, con giardino centrale. La descrizione delle strutture parte dal cancello d'ingresso che immette in un piccolo spazio d'accesso a locali la cui destinazione originaria era quella di parlatoio e alla chiesa che, preceduta da un piccolo atrio, risulta dalla giustapposizione di un'aula rettangolare coperta da una volta a botte, con lunette laterali, e di un vano quadrato, corrispondente all'area presbiteriale e coperta da una cupola a calotta, e presenta tre cappelle per lato e due cori, di cui uno sull'ingresso e l'altro sulla controfacciata della parete di fondo. Gli ingressi sono due, di cui uno immette al vicino campanile, a tre piani sottolineati da una cornice ad ovoli e dentelli in tufo grigio, terminante con una calotta cilindrica. All'interno della chiesa, sull'altare maggiore, in legno dorato, che è andato perduto, l'immagine della Vergine risulta incorniciata da stucchi; le "frasche" argentate del '700 e gli stucchi che sottolineano geometricamente il passaggio tra le cappelle, il pavimento in "riggiole" maiolicate con motivi floreali intramezzati da stelle bianche e nere su fondo giallo del 1750 rappresentano il completamento della struttura. Il nucleo originario del convento è nell'ala a N e sicuramente devono qui riconoscersi anche le superstiti strutture abitative annesse a S. Maria del Grado. Le celle, separate su due lati da corridoi che raggiungono la lunghezza totale di 100 m, coperti da volte a botte, sono piccole stanze a cui arriva luce da finestre che affacciano sul mare. La copertura è affidata a volte a botte doppie, in modo da assicurare la ventilazione nell'intercapedine mediante la presenza di due fori. Al piano sottostante lo stesso corridoio serve ad isolare il refettorio, la cucina e la dispensa del 1728 dalla roccia affiorante; infine il piano più in basso, destinato a cimitero, è servito da una ripida scala. Non tutta la struttura presenta questa divisione in quanto il blocco trasversale deve adattarsi alla roccia. Interessante la zona della lavanderia con la vasca in muratura e ampi vani-finestra arcuati e l'esterno molto lineare, nonostante la grande articolazione del corpo di fabbrica e la statica precaria in alcuni punti. Il refettorio presenta volte a padiglione con costoloni terminanti a nappa. Il monastero fu soppresso nel 1866 e fu comprato da privati, i Marcucci, nel 1924 e divenne poi albergo, raccogliendo una miniera di tesori d'antiquariato, ceramiche di Cerreto, Faenza, Albissola e Montelupo, porcellane di Sèvres, tappeti orientali, una gualdrappa Bokkara-Iomud, migliaia di libri. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il convento non è visitabile perché è di proprietà privata, mentre la chiesa è accessibile rivolgendosi al Municipio di Conca. La chiesa è utilizzata in estate per concerti. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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47_Torre del Capo di Conca

-POSIZIONAMENTO Località Capo -DESCRIZIONE Fatta edificare da Carlo V, questa torre vicereale si confonde con la roccia, senza armamento. La pianta quadrata, con un unico vano al pian terreno e due al piano superiore, rientra nella tipologia costruttiva tipica di questi manufatti. Il coronamento è a tre troniere. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è visibile dalla strada. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno.

Praiano

48_Torre Costiera “Grado”

49_Torre Costiera “Assiola”

50_Chiesa di San Gennaro

-POSIZIONAMENTO Vettica Maggiore -DESCRIZIONE Edificata nel 1564 su un piccolo promontorio, risulta composta da una torre cilindrica di epoca medievale che è riconoscibile nella parte rivolta al mare e da una quadrata con caratteristiche strutturali di epoca vicereale; la fusione tra le due strutture, avvenuta nel 1564 appunto, rende questa torre ascrivibile al tipo "a doppia altezza composita". Era dotata di due cannoni piccoli di bronzo e appare completamente ristrutturata. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è visitabile dall'esterno. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno -POSIZIONAMENTO Località Sciola -DESCRIZIONE Della torre si hanno notizie già in un documento del 1260; in origine essa doveva avere un'altezza maggiore e subì adattamenti in epoca vicereale. La struttura ha una base tronco-conica, con coronamento in controscarpa e troniere a spatola; due ambienti, con volta a calotta, sovrapposti, costituivano lo spazio abitabile. I due vani comunicano attraverso una scala costruita nello spessore del muro perimetrale, che misura alla base 3,00 m e alla sommità 2,00 m. Il materiale da costruzione utilizzato è la pietra calcarea. L'eccessiva altezza della torre è, dagli studiosi, ricondotta al fatto che originariamente (in epoca angioina) essa serviva a controllare solo la baia sottostante dove si raccoglieva il corallo e che solo in epoca vicereale divenne torre di guardia. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è visitabile dall'esterno. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno -POSIZIONAMENTO P.zza di S. Gennaro Vettica Maggiore -DESCRIZIONE Di una primitiva chiesa dedicata a S. Gennaro si hanno notizie a partire dal 1300, quando le nobili famiglie amalfitane Corsario e D'Alagno godevano del patronato fino al 1859, data di passaggio del luogo di culto al popolo di Praiano. Fu dopo questa cessione che la chiesa fu abbattuta e finita solo nel 1602, con le caratteristiche architettoniche che si possono ancora ammirare. La struttura è a croce latina, a tre navate, con copertura di quella centrale con volta a botte a lunette laterali, mentre sulle navate minori volte a crociera con innesto all'altezza delle cinque cappelle laterali completano gli alzati. La volta a botte presenta un bassorilievo di S. Gennaro in stucco con decorazione floreale degli archi delle lunette. La copertura della zona centrale del transetto è affidata ad una cupola decorata esternamente da un rivestimento di maioliche ed internamente da stucchi; completano la struttura una sacrestia a pianta ottagonale che funge da cappella del Santo patrono, il campanile del 1700 ed un interessante pavimento maiolicato (l'originale del 1771 è stato sostituito da una copia del 1966) riproducente geometrie policrome ed elementi floreali dai colori molto forti. Nella zona che precede il transetto un pulpito ligneo, dono della cattedrale di Amalfi nel 1907, mostra piedistalli a zampe leonine; un organo di fattura ottocentesca napoletana copre il rosone della abside centrale. Tra le tele più significative dal punto di vista artistico vanno ricordate quella con il martirio di S. Gennaro, nella quinta cappella della navata sinistra, quella con il martirio di S. Bartolomeo di G. B. Lama, ancora la tavola cinquecentesca della Madonna del Carmine nella sesta cappella, e il Cenacolo di Francesco Saverio Corbelli del 1761 nella sacrestia. La statua del Santo patrono, seicentesca, è mancante delle mani e della testa montate su un busto d'argento. La facciata è stata ricostruita solo nel 1931 su progetto dell'ingegnere Parlato. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta di pomeriggio e la domenica (tutta la giornata) -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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Furore

51_Grotta di Santa Barbara

52_Chiesa di San Giacomo

-POSIZIONAMENTO Località S. Barbara -DESCRIZIONE Poco lontano dal centro abitato, in una cavità naturale fu costruita, in un momento non ben precisabile, ma sicuramente anteriore al 1800, una piccola chiesa, ormai allo stato di quasi totale crollo, preceduta da un atrio a pianta quadrata, sotto il quale fu ricavata una cisterna, dove veniva raccolta anche l'acqua proveniente da una sorgente presente in grotta. La copertura a volta a sesto rialzato del vano d'ingresso (l'unico ancora leggibile architettonicamente) presenta tracce di decorazione pittorica; la struttura è a tre navate, absidata, con chiari interventi strutturali nel XIX secolo (costruzione di un muro davanti alle absidi). La decorazione pittorica, meglio conservata, presenta una Madonna con Bambino tra due monaci, inserita tra due colonne con capitelli corinzi che sostengono una struttura architettonica a timpano. A destra dell'entrata un campanile a pianta quadrata completava il complesso religioso. La grotta sottostante la chiesa contiene resti di pitture non più leggibili, ma forse dovette costituire il primo insediamento cultuale -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Attualmente il sito non è raggiungibile da Furore ma solo da Agerola (NA), attraverso un sentiero poco agevole -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

-POSIZIONAMENTO Strada provinciale -DESCRIZIONE Detta anche di S. Jaco, la struttura mostra la fase edilizia successiva agli interventi del 1858; ha un impianto a tre navate, divise da archi a tutto sesto poggianti su colonne con capitelli. La copertura è a tetto piano sulla navata centrale, mentre volte a crociera coprono le navate minori. La facciata è preceduta da un esonartece e le tre absidi furono murate solo nel 1858. Il campanile, con monofore e sottolineature dei diversi ordini mediante cornici aggettanti, culmina con pinnacolo rivestito da maioliche. L'importanza di questa struttura risiede nel ciclo pittorico rinvenuto casualmente nell'area absidale di un locale sottostante la navata laterale destra. Le pitture, riproducenti l'iconografia della Maddalena, di S. Caterina e S. Margherita, si ascrivono al clima artistico tardobizantino della Costa (è rintracciabile un forte richiamo con le pitture della cappella superiore del sito di S. Maria de'Olearia, soprattutto per l'impostazione prospettica - frontale o di ¾- delle figure). La scoperta di queste pitture ha fatto ipotizzare l'origine del luogo cultuale come cappella rupestre, individuabile proprio nei locali sottostanti. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è aperta solo la domenica alle 9,30 per la Messa. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

Positano

53_Torre Fornillo

-POSIZIONAMENTO Fornillo -DESCRIZIONE Edificata intorno al 1582, presenta la tipologia angioina del 1281 (probabilmente la presenza di una torre più antica ha influenzato l'aspetto). Il profilo, leggermente rastremato, a scarpatura continua, si confonde con la roccia grazie all'utilizzo della pietra locale nel paramento esterno. È a pianta esastila e i vani, di cui si compone, sono coperti da volte a crociera. Ha subito alterazioni soprattutto nei vani-finestra, quando è stata adattata ad abitazione privata. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Essendo di proprietà privata, la torre è visitabile solo dall'esterno. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno


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54_Torre Transìta

-POSIZIONAMENTO Loc. Trasìta -DESCRIZIONE La torre, a pianta circolare, è da ricollegare alla Guerra del Vespro (1282) ed in origine presentava due ambienti sovrapposti con copertura a volta a calotta. Il paramento esterno è in pietra locale. La torre prende il nome dal toponimo legato al punto di avvistamento degli uccelli, solitamente quaglie, che entravano verso terra dal mare. Ha subito adattamenti -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre non è visitabile perché è di proprietà privata. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

55_Torre Sponda

-POSIZIONAMENTO Loc. Sponda (Lungo la strada che conduce al centro urbano dalla strada statale) -DESCRIZIONE La torre si trova in posizione opposta a quella di località Trasìta e denuncia con la sua pianta circolare un'origine medievale, anche se il coronamento in controscarpa (di cui restano alcune parti) rivela adattamenti subiti in epoca vicereale. La copertura è a cupola con muro a N, ricollegabile alla protezione del posto dove si trovava il cannone. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La torre è visitabile dall'esterno. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

56_Collegiata Santa Maria Assunta

57_Palazzo Murat

-POSIZIONAMENTO P.zza Flavio Gioia -DESCRIZIONE La chiesa, a tre navate divise da pilastri, presenta l'aspetto ricevuto dai lavori di ampliamento settecentesco, mentre in origine doveva avere un assetto planimetrico a croce greca. Il pavimento, in marmi, dovrebbe, almeno per la zona del transetto, essere costituito dal materiale di spoglio della sottostante villa di epoca romana. La copertura è a volte, mentre il transetto mostra nella parte mediana un'alta cupola a calotta, decorata esternamente dalle classiche "riggiole" vietresi. Da notare, sempre nel transetto, a destra, una "Circoncisione", opera di Fabrizio Santafede, risalente al 1599, e sull'altare maggiore la tavola del XIII secolo di una Madonna con Bambino, che costituisce il motivo per cui i Positanesi costruirono questa chiesa. Si racconta, infatti, che questa tavola fu rinvenuta sulla spiaggia del paese prima del XI secolo, ma una notte fu rubata dalla chiesa da alcuni pirati. I predoni non fecero, però, molta strada, in quanto come si allontanarono dalla riva si alzò una tempesta e sentirono una voce che ripeteva "Posa, posa"; spaventati, quindi, riportarono l'immagine sulla spiaggia e qui dai pescatori fu ricondotta in chiesa. Accanto alla chiesa, il campanile è decorato nella parte inferiore da un bassorilievo del XIII secolo, raffigurante animali fantastici, tra cui un pistrice. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE La chiesa è ad ingresso libero ed aperta durante tutta la giornata con breve chiusura all'ora di pranzo (ore 8,00 - 19,00). -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno

-POSIZIONAMENTO Via Dei Mulini, 23 -DESCRIZIONE Gioacchino Murat, dopo essere divenuto re di Napoli nel 1808, scelse questo palazzo per poter risiede a Positano durante la stagione estiva. La dimora, risalente al 1700, ancora mostra l'interessante stile barocco napoletano di scuola vanvitelliana ed è divenuto un importante punto della ricettività positanese, senza perdere nessuna delle caratteristiche architettoniche originarie. -MODALITÀ DELLA FRUIZIONE ATTUALE Il palazzo, essendo adibito ad albergo, è escluso dalla possibilità di essere visitato, ma nella stagione estiva si apre al pubblico, trasformandosi in contenitore d'eccezione per eventi culturali. -DATI SULLA FRUIZIONE Nessuno



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Insediamenti L’ evoluzione degli insediamenti antropici della Costiera Amalfitana sono stati condizionati nel tempo, sia dalle vicende storiche che hanno interessato l’area sia dalla morfologia del territorio stesso. Quest’ultima si riflessa non solo sulla conformazione degli insediamenti, ma anche sulle attività socio-economiche che si insediarono e prosperarono nel territorio. In ogni caso i rinvenimenti archeologici frammentari e la bassa presenza di insediamenti preesistenti millenari porta alla convinzione che ci sia una netta cesura, tra le vicende storico-insediative e la situazione attuale. Forme di organizzazione urbana possiamo farle ascendere al periodo tardo antico probabilmente intorno al VI secolo con la discesa dei longobardi, visto che anche le importanti ma poche ville romane scoperte non riescono a dare solidità ad un’idea di continuità distributive e morfologiche degli insediamenti costieri. Ma a causa del territorio troppo inospitale e difficilmente accessibile bisogna aspettare ancora del tempo per vedere un insediamento umano organizzato stabile e non votato alla precarietà, infatti solo intorno al VII-VIII sec. la costa iniziò a popolarsi di genti bizantine, che per sfuggire alle insidie e insicurezze delle valli, trovarono rifugio sui Monti Lattari, elemento che poi si rivelerà fondamentale per il futuro sviluppo di Amalfi (la cui data di fondazione si fa risalire intorno al IV secolo). Visto le morfologia del contesto in cui si erano insediati che praticamente annullava qualsiasi possibilità di collegamento con l’entroterra, gli amalfitani volsero il loro interesse verso il mare e svilupparono le loro capacità, divenendo una delle più grandi potenze marinare del Mediterraneo, intrattenendo ottimi rapporti con Costantinopoli e tutto l’Oriente; prova di questi rapporti si può riscontrare ancora nei tratti costruttivi di molte nobili produzioni architettoniche giunte fino a noi. Il nucleo originario della città di Amalfi, capoluogo del territorio costiero crebbe in torno alla cattedrale per poi espandersi e risalire lungo la valle, ma non solo, infatti anche altri centri distribuiti sulla linea costiera conobbero un’espansione urbanistica secondo un sistema policentrico, che oltre a derivare dall’esigua disponibilità di spazio rispondeva anche alle necessità difensive di controllo puntuale del difficile territorio. Tutto questo si rispecchia perfettamente in diverse realtà insediative dell’alto medioevo.


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Il cuore dell’organizzazione urbana resta comunque da individuarsi in Amalfi e nei centri vicini, il capoluogo probabilmente comprendeva gli abitati attuali di Atrani e della stessa Amalfi che avevano dei collegamenti stabili, probabilmente interrotti dal maremoto del 1343; le residenze invece scelte dall’aristocrazia amalfitana di Pontone e Ravello; i Dogi venivano eletti ad Atrani; a Minori vi era il centro di costruzione e manutenzione delle imbarcazioni della repubblica marinara, infine le principali guarnigioni di difesa erano state costruite a Maiori, Ravello, Campidoglio, Pontone e Pogerola, sostenute poi da torri di difesa distribuiti lungo la costa e castelli nelle colline più interne.Altro ruolo fondamentale nello sviluppo e nella difesa della Costa d’Amalfi proveniva da Tramonti ed i suoi tredici casali, infatti oltre a proteggere il territorio dalle incursioni dell’entroterra già rese difficili dalla conformazione dell’area, forniva le provvigioni ed i materiali fondamentali tra cui il legname per la costruzione delle imbarcazioni. Intorno all’anno 1000 venne raggiunta un’ottima solidità e prosperità economica che portò al completamento dell’urbanizzazione ed anche nei centri minori si vedrà la comparsa di un maggior numero di abitazioni patrizie ed edifici pubblici ed ecclesiastici. Fino a questo punto quindi i centri abitati si erano sviluppati secondo la situazioni morfologica del territorio che ha poi condizionato inevitabilmente le dimensioni e il ruolo intrapreso dagli stessi centri; quelli posti alla foce sulla costa dei principali torrenti e cioè Amalfi, Atrani, Minori, Maiori, e Vietri si svilupparono prima in maniera compatta attorno alle preesistenze arretrate rispetto alla linea di costa, espandendosi verso territori morfologicamente più protetti ed utilizzando l’energia dei torrenti per attivare i primi opifici nati nella zona, solo più tardi lo sviluppo interesso anche la parte costiera di questi centri con la costruzione di importanti fortificazioni e costruzioni difensive. Altri centri come Tramonti, Agerola, Scala si svilupparono invece con uno schema di organizzazione costituito da piccoli nuclei decentrati che avevano ognuno una funzione specifica politica o economica. Ravello e Positano essendosi sviluppate in maniera simili ad i centri appena citati, si differenziano da essi per lo sviluppo ed espansione di un solo nucleo che costituiva l’impianto totale. Ulteriori sviluppi urbanistici vennero meno con il tramonto della repubblica Amalfitana ed a causa di vari avvenimenti quali le distruzioni derivanti dalla conquista pisana, le pestilenze e poi il maremoto del 1343, qualsiasi possibilità di ripresa venne bloccata ed anche la popolazione presente ebbe un drammatico crollo numerico. Il ripopolamento dei centri abitati fu lento e si riscopre l’interesse per il territorio rurale con la nascita di nuovi centri, rimane comunque nel periodo angioino e aragonese una piccola attività edilizia; in ogni caso la Costiera Amalfitana rimane in una posizione marginale all’interno degli assetti economici e politici della regione e questo dovuto anche dalla possibilità di raggiungere la zona solo via mare o con tortuose mulattiere; a questo c’è da affiancare anche la sempre maggiore affermazione di Napoli sia come centro di potere che commerciale costringendo i centri costieri a sviluppare e modificare le loro marine che in alcuni casi si trasformarono in centri di stoccaggio ed imbarco di merci poi diretti nel polo commerciale. Così lo sviluppo urbanistico che prima si era espanso verso l’entroterra in questo nuovo assetto politico ed economico della regione si rivolge al litorale costiero e da qui iniziano a definirsi le prime strade di collegamento litoranee anche se la prima strada costiera effettiva sarà realizzata solo nell’ 800 tra Vietri e Amalfi; Anche


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l’impronta economica dei diversi centri inizia a modificarsi, quelli costieri infatti si specializzano nel commercio e nelle attività marinare mentre quelli più interni si caratterizzano per la produzione agricola. Nel territorio si verificherà un forte cambiamento solo a partire del XIX secolo quando le condizioni climatiche e i paesaggi unici al mondo iniziarono a richiamare un embrionale turismo di elite inizialmente riguardante solo Positano, Amalfi e Ravello per poi estendersi negli anni a seguire agli altri centri, fornendo l’imput per un nuovo sviluppo edilizio che proseguirà fino a noi. Positano è inserito all’interno di una quinta montuosa costituita di diversi promontori che poi convergono tutti verso l’ampia insenatura costiera dove si è sviluppato il principale centro abitato. Liparlati, Chiesa Nuova, Fornillo e Laurito sono i quattro quartieri di Positano che insieme alle due frazioni Montepertuso e Nocelle erano collegati alla costa solo attraverso percorsi pedonali, successivamente con la creazione delle strade carrabili, si è andata sovrapponendo, una seconda giacitura parallela alla linea di costa che nel tempo e risalendo i terrazzamenti agricoli e le pendici più scoscese ha portato alla definitiva saldatura dei centri abitati. Le tre spiagge di più grande dimensione sono Fornillo, Positano e Laurito, mentre altre più piccole e nascoste vengono utilizzate dai complessi alberghieri come spiagge private.

Praiano è costituito da nuclei sparsi nati sul tratto di costa che divide Positano da Conca dei Marini, la presenza edilizia si distribuisce lungo gli assi infrastrutturali che risalgono il promontorio, rimanendo rada e con piccoli episodi di raggruppamento


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come può essere quello definitosi nei dintorni della chiesa di san Luca; la parte più bassa di Praiano si distende fino al mare dove troviamo la Marina di Praia, scavata tra due alte pareti di roccia, proprio a guardia della Marina si trova la Torre a Mare, di costruzione medievale per avvistare i pericoli provenienti dal mare; con vista sulla splendida Positano e su Capri si torva invece Vettica Maggiore, che oggi è una frazione di Praiano, mentre in passato costituiva in un centro autonomo. Le più recenti costruzioni edilizie nel Comune di Praiano hanno tipologie e dimensioni che poco ricollegano all’insediamento storico, anche se ne seguono la logica aggregativa.

Conca dei Marini e Furore presentano una morfologia edilizia molto simile a quella di Praiano, anche se qui in maniera ancora più rada, infatti le presenze edilizie più significative rimangono legate all’aspetto rurale e nascono anche lontano dal sistema infrastrutturale principale per distribuirsi sui terrazzamenti; il Fiordo di Furore e il vallone di Praia costituiscono due fortissime presenze naturalistiche e le loro anguste insenature che si aprono poi a mare hanno li permesso la costituzione di nuclei edilizi, purtroppo invece sulla fascia costiera nel periodo dopoguerra si è manifestata una diffusa costruzione di complessi alberghieri che inevitabilmente, contrastando le tradizionali forme di aggregazione, trasformano il fronte di affaccio a mare.


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Amalfi, centro storico e attuale dell’intera costa, si è sviluppato lungo la valle del Chiarito differenziando per funzione le diverse parti urbane che lo costituiscono: oltre al nucleo storico centrale sorto attorno all’antico Duomo, vi sono tutti gli insediamenti produttivi che sono sorti lungo il torrente del canneto sfruttando così le acque dello stesso, mentre il litorale costiero è interessato dalla presenza, come nel caso di diversi centri della costiera di strutture di esercizi alberghieri. L’abitato storico è caratterizzato da un susseguirsi di percorsi pedonali che si sviluppano a quote diverse risalendo la valle, esso poi si è costituito addensandosi attraverso successive stratificazioni da cui poi è derivata una straordinaria compenetrazione di volumi edilizi interconnessa da una fitta rete di collegamenti pedonali; la valle dei Mulini invece che, come già detto in precedenza era l’area in cui si erano concentrati gli insediamenti produttivi e dove il paesaggio conviveva in equilibrio con l’espressione più alta dell’ingegno delle popolazioni amalfitane e le ha rese note a tutto il mondo, nel dopoguerra è stato interessato, sopratutto nella parte più prossima all’abitato storico dalla costruzioni di nuovi complessi residenziali assolutamente disconnessi rispetto al contesto che ne hanno condizionato il valore. L’ultima parte che si distribuisce lungo l’area litoranea, dopo la costruzione della strada costiera ha subito un forte aumento della produzione edilizia e della densificazione di quella già presente con risultati spesso poco felici caratterizzati da goffi tentativi di mimetismo atti a proteggere l’immagine della costa.


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Atrani situata in un’area caratterizzata da una forte asprezza paesaggistica, si è addensata nelle limitate aree pianeggianti dove il torrente Dragone sfocia in mare; come nel caso di Amalfi, vista la limitata disponibilità di spazio il centro abitato si è sviluppato per successive stratificazioni e sovrapposizioni costituendo un denso sistemava abitativo caratterizzato da un fitto reticolo di percorsi pedonali. Anche se questo centro della Costa d’Amalfi non è stato interessato da una recente contaminazione dello spazio urbano, probabilmente vista la quasi assoluta mancanza di aree disponibili è da sottolineare lo stato di abbandono in cui si presenta il patrimonio edilizio storico, a volte difficilmente accessibile, ma che rimane simbolo della cittadina che un tempo oltre ad essere gemellata con il ducato di Amalfi era sede delle famiglie aristocratiche.


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Il centro abitato di Ravello si sviluppa ad un’altezza di circa 300 metri distribuito su un’alto sperone roccioso che si protende verso il mare, per il suo grande valore paesaggistico e le importanti presenze storiche esso è una della mete turistiche più apprezzate di tutta la Costiera Amalfitana; il nucleo abitato che oggi si presenta come unico, si è andato componendosi con l’unione dei tre antichi insediamenti Lacco, Toro e Torello. Lo sperone naturale su cui sorge Ravello segna una forte cesura tra il nucleo abitato e l’area rurale che con i vasti terrazzamenti si estende ad oriente fino a Minori presentando qualche episodio edilizio minore; il centro è ancora oggi impreziosito da importanti presenze monumentali che si concentrano verso il limite del promontorio, mentre l’interno del nucleo abitato risulta più compatto e denso, inoltre ad impreziosire tutto questo c’è la presenza all’interno di questa disposizione urbana di un continuo susseguirsi di orti, spazi verdi e giardini che aumentano ancora di più il valore di Ravello e anche la qualità abitativa in esso presente; purtroppo come in altri casi la realizzazione di una recente strada panoramica che si estende sul lato orientale ha costituito in quell’area una base per un pessimo sviluppo edilizio.


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Scala costituisce un esempio molto interessante di aggregato edilizio che si costituisce per diversi nuclei e si sviluppa sulla dorsale tra la valle dei Mulini e quella Dragonea; una viabilità parzialmente carrabile collega i vari centri che costituiscono Scala: Pontone, Minuto, San Pietro, Piazza, Santa Caterina e Campidoglio. Questa sorta di policentrismo viene sostenuto dalla forte presenza di terrazzamenti che vengono coltivati e che costituiscono l’intera dorsale, inoltre danno vita ad una vera e propria alternanza di episodi architettonici con elementi importanti e rappresentativi opposti ad aree di diffusa edilizia minore, tutto questo comunque nel complesso crea un sistema stabile ed equilibrato; le frazione più isolate presentano però un alto stato di degrado e spesso presente monumentali importanti ridotte a ruderi.


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Minori così come molti altri centri costieri si concentra essenzialmente dove il torrente Sambuco si tuffa in mare ed anche qui il centro abitato si sviluppa seguendo i lati del corso d’acqua e rastremandosi progressivamente risalendo la valle. Il nucleo originario nel corso della storia ha subito importanti cambiamenti, cancellando l’antica configurazione; sia la strada realizzata che collega Minori ad Amalfi, sia l’alluvione del 1962 che ha costretto a deviare il corso del torrente Sambuco hanno prodotto diverse modificazioni che insieme a diversi inteventi edilizi hanno modificato completamente l’immagine della cittadina costiera. sopravvivono soltanto pochi e radi episodi dell’antico sistema abitativo, circondati da edifici di recente costruzione ma che risultano totalmente anonimi, inoltre nella parte più alta del Sambuco rimangono ancora oggi abbandonati a deperire gli antichi opifici, mentre rimangono sempre presenti sui terrazzamenti i caratteristici agrumeti anche loro però in uno stato di conservazione sempre peggiore.


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Racchiusa tra la torre Mezzacapa a Ovest e ad Est la torre normanna costruite su due emergenze paesaggistiche, c’è il più grande impluvio alluvionale di tutta la Costa Amalfitana, costituita dall’opera incessante del torrente Reginna Major, da cui prende il nome anche l’intera valle che poi si sviluppa salendo di altitudine; proprio in questo impluvio sorge il centro abitato di Maiori che vista la conformazione morfologica del luogo è stato interessato soprattutto da uno sviluppo litoraneo. inizialmente il centro abitato per ragioni di sicurezza e di protezione dagli attacchi che potevano provenire dal mare si era sviluppato arretrato rispetto alla linea di costa, solo recentemente costruzioni con tipologie e dimensioni estranee rispetto alle caratteristiche costruttive della zona si sono addensate sul lungomare segnalando una netta demarcazione tra il centro storico e le nuove costruzioni; purtroppo lo stesso centro è stato interessato da un processo di addensamento provocato dalla saturazione dei pochi spazi verdi e liberi rimasti da parte di nuove abitazioni anonime. Tutto questo produce l’immagine di un centro costituito dall’aggregazione di oggetti edilizi completamente diversi tra loro e senza alcun legame logico, in cui sono immersi i pochi episodi storici e di valore identitario che non vengono curati e valorizzati, ma lasciati decadere.


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Nella valle delimitata a occidente dal gruppo del Ceneto ad Oriente dai monti del Demanio e che scende verso sud fino a raggiungere Maiori dove incontra il mare, si trova un’altro centro abitato molto importante della Costa d’Amalfi: Tramonti. Sia la dimensione territoriale, la forte presenza naturalistica e la struttura insediativa costituita dalle 15 frazioni fanno di Tramonti un luogo di estremo interesse; l’insediamento a carattere principalmente sparso ed la conformazione del casale con il fondo agricolo annesso, generalmente terrazzato e coltivato a vite o agrumeti, costituisce l’elemento tipologico più diffuso a cui è sovrapposto un sistema di percorsi tortuosi che connettono i vari terrazzamenti e le varie zone. Lungo l’asse che congiunge Tramonti a Maiori si sono poi sviluppati gli altri centri minori, ma recentemente l’unico centro che ha mostrato un’espansione edilizia anche se comunque limitata è stata la frazione di Polvica dove risiede la sede amministrativa del Comune; elemento fondamentale che conserva le sue connotazioni e che costituisce un elemento fondamentale ed imprescindibile dell’area è il paesaggio naturale in cui è immerso Tramonti.


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Cetara è l’ennesima prova della prevalente morfologia urbana che caratterizza i centri abitati presenti sulla Costa Amalfitana, quella della costituzione dei centri abitati alla foce dei torrenti che dalle montagne scendono verso il mare. l’assetto originario si è ampliato con la costruzione del porto, ma le contenute addizioni edilizie effettuate durante gli anni e limitate a pochi spazi liberi, non ha cambiato l’identità del luogo che anzi conserva ancora perfettamente quella trama costituita da terrazzamenti e percorsi rurali che si estendono sulle pendici in cui è racchiuso il centro storico.


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Vietri sul Mare vista la vicinanza con il capoluogo di Provincia ha subito fenomeni di espansione e costruzione edilizia molto più intensi, anche se l’impronta originaria è quella riscontrata nella maggior parte dei centri abitati sviluppatisi lungo la costa; il centro storico infatti era collegato ai numerosi nuclei residenziali che lo circondano in maniera limitata, mentre nella Marina di Vietri si sono concentrate le principali strutture turistiche spesso a picco sul mare e quindi obbligatoriamente sostenute da strutture molto solide che hanno modificato la morfologia del litorale. come in altri casi descritti precedentemente la crescita edilizia che ha interessato la zona nell’ultimo periodo ha prodotto un gran numero di nuove unità abitative che stridono molto con le preesistenti strutture e che hanno praticamente unito in unico centro abitato il centro storico ed i diversi nuclei più esterni.


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Grazie alla nuova spinta turistica a cui abbiamo già accennato più volte, la Costiera Amalfitana è riuscita a lasciarsi alle spalle un lungo periodo di decadenza, anche se il sistema territoriale creatosi in tanti anni di storia e sviluppo si fatica a riconoscere, visto che si sono modificate le funzioni e le attività dei diversi centri, mentre il rapporto contrastante tra il litorale e l’entroterra rimane sempre presente. Quella che un tempo era una naturale e logica differenziazione ha finito per trasformarsi in una frattura sempre più evidente, da una parte abbiamo la zona costiera che deve la sua fortuna al turismo, ma che non riesce più a sostenere la pressione che questo provoca, dall’altro l’entroterra rimane ai più sconosciuto e risulta escluso quasi totalmente dal circuito turistico, alle prese oltretutto con la crisi delle attività tradizionali che ne hanno sempre caratterizzato la storia. Tuttavia non è il fenomeno del turismo in se che porta a questa rottura e differenziazione, ma probabilmente è il fatto di basare il sistema economico e di sviluppo solo su questo elemento senza avere delle valide alternative, inoltre dall’annullamento delle attività, dalla mancata capacità di mantenere e creare una rete di legami tra le diverse parti del territorio e l’oscuramento delle logiche insediative già presenti negli stessi luoghi. Il turismo lavora per selezione secondo dei criteri definiti dal mercato, dalla domanda richiesta e dall’immagine, sceglie alcuni luoghi e ne scarta altri, così lungo la Costiera


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Amalfitana questo fenomeno di selezione è emerso nell’urbanizzazione e nella frenetica e continua offerta di utilizzazione, mentre nell’entroterra ha prodotto un’ edilizia pervasiva anche se meno densa ed un conseguente abbandono e degrado di ampie e preziose parti di territorio. I centri costieri quali Amalfi, Positano, Vietri e Maiori hanno raggiunto un livello di quasi totale monofunzionalità turistica supportati invece da quelli più piccoli che sostengono la domanda ricettiva primi tra tutti Minori e Praiano; stessa situazione presenta Ravello, che ha “trasformato” Scala in un centro di appoggio per i turisti. Altri centri invece come Cetara, Tramonti, Furore e Conca dei Marini appaiono relegati in una sorta di zona d’ombra, quasi esclusa e nascosta dal percorso turistico, interessata solamente da un processo di espansione edilizia che rimane comunque strettamente legato alla funzione turistico-residenziale dei centri più grandi e quasi considerati solamente come punti di passaggio obbligati nel sistema infrastrutturale del sistema costiero. Questa è la situazione attuale nata dal processo di territorializzazione turistica in atto nella Costiera Amalfitana, che con la sua forza economica e le varie sfaccettature tra cui quella che interessa il mercato immobiliare, sta cancellando la diversificazione di funzioni che hanno sempre caratterizzato l’area. Qualcosa delle antiche attività e tradizione emerge ancora nelle moderne specializzazioni: la lavorazione delle ceramiche a Vietri, le manifatture a Positano, l’agricoltura a Furore e nei centri più interni, così come la pesca a Cetara. Per uscire da questo meccanismo e non rischiare di raggiungere una totale dipendenza economica e culturale dal fenomeno turistico, si deve puntare sulle specializzazione citate precedentemente e quindi incoraggiare la varietà di funzioni e attività per tutelare e potenziare l’autonomia, la vitalità dei sistemi locali.Non serve adottare politiche per ostacolare o fermare il turismo, ma piuttosto recuperare le identità proprie dei vari centri sia sulla costa che nell’entroterra, rafforzando e potenziando gli elementi caratteristici ed unici di ogni luogo in maniera coerente sia dal punto di vista identitario sia dal punto di vista storico, in modo da ricomporre quella varietà di elementi che hanno fatto la richezza di queste terre e quindi poter ridare basi solide ad un processo di crescita economica e culturale ormai fermo da molto tempo.



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Quadro Normativo Dopo una breve introduzione e localizzazione dell’area selezionata dal mio lavoro di ricerca e la descrizione storica e di sviluppo dei sistemi insediativi presenti nella Costiera Amalfitana, voglio ora soffermarmi sul quadro normativo vigente per fornire una visione completa sul territorio d’interesse per poi successivamente passare alla presentazione di tavole di analisi che metteranno in evidenza quegli elementi fondamentali per il proseguimento dello studio. Piano Territoriale Regionale (PTR) Con la legge numero 13 del 13 ottobre 2008 la Regione Campania ha approvato il PTR-Piano Territoriale Regionale, insieme alle “ Linee guida per il paesaggio in Campania”, altro documento che fa da integrazione alla proposta di PTR per conformarlo agli accordi d’attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio in Campania. Il Piano regionale si prefigge gli obbiettivi generali stabiliti dalla legge per la promozione dello sviluppo sostenibile e per la tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio ed individua gli obbiettivi e le linee principali di organizzazione oltre alle strategie e le azioni per realizzarle; inoltre definisce i sistemi infrastrutturali e le attrezzature di rilevanza regionale e sovraregionale, gli interventi pubblici e gli impianti di grande rilevanza e successivamente l’individuazione degli indirizzi e dei criteri che permettano l’elaborazione degli strumenti di pianificazione territoriale provinciale e per la cooperazione tra le istituzioni. Il PTR poi si presenta soprattutto come un documento strategico d’inquadramento, d’indirizzo e di promozione articolato in 5 Quadri territoriali di riferimento (q.t.r.) che hanno l’obbiettivo di contribuire allo sviluppo ponendo il territorio come elemento di mediazione tra la pianificazione territoriale, comprensiva delle componenti paesistico- ambientali, e la programmazione e promozione dello sviluppo. In questo senso quindi le strategie proposte dal PTR compongono un quadro di riferimento sia per la pianificazione territoriale della Regione, delle Province e dei Comuni, sia un riferimento per le politiche di sviluppo che interessano i diversi Enti Locali. Per quanto riguarda il primo Quadro territoriale di riferimento esso si dedica alle reti che attraversano il territorio regionale: quella ecologica, quella del rischio ambientale


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e quella della mobilità e della logistica. Grazie alla sovrapposizione e descrizione di queste reti, s’individuano per i quadri territoriali successivi i punti critici sui quali è importante e coerente concentrare gli interventi; in particolare la pianificazione paesistica viene individuata come l’azione integrata nella pianificazione territoriale ed in tutte le altre attività di programmazione sul territorio che quindi dovranno contenere tra gli obbiettivi le azioni di conservazione, recupero e costruzione del paesaggio. Il secondo q.t.r. descrive gli ambiti di livello “macro” che hanno come argomento le scelte strategiche di lunga durata nei quali si affrontano e si descrivono soluzioni a problemi derivanti dall’assetto ambientale, insediativo ed economico-sociale che richiedono una programmazione equilibrata e sul lungo periodo. Gli ambienti insediativi sono stati individuati sulla base delle analisi della morfologia territoriale e del quadro ambientale, delle trame insediative, delle reti della mobilità, dei caratteri economico-sociali e delle relative dinamiche in atto, con lo scopo di mettere in evidenza l’emergere di città, distretti, insiemi territoriali con diverse esigenze e potenzialità, rispetto ai quali la Regione deve porsi come cornice di coordinamento e sostegno. Il Piano individua nell’intera regione 9 ambienti insediativi, i cui confini sono assunti in modo del tutto sfumato; 4 ambienti insediativi investono il territorio della Provincia di Salerno, in particolare: la penisola sorrentino- amalfitana,; l’Agro sarnese-nocerino; l’area salernitana e la Piana del Sele; l’area del Cilento e del Vallo di Diano; l’ambiente insediativo “Avellinese”, che coinvolge parte di alcune aree interne del Salernitano. Il terzo Quadro territoriale di riferimento s’interessa dei Sistemi Territoriali di Sviluppo e introduce un primo tentativo di territorializzazione degli indirizzi strategici definiti dal piano. gli STS sono delle unità territoriali “delimitate soprattutto in base alla programmazione di strategie di intervento sul territorio e di condivisione degli obbiettivi di sviluppo e valorizzazione delle risorse”, Essi quindi rappresentano dei luoghi dove esercitare visioni strategiche condivise. Il PTR individua in Campania 45 STS, di cui 15 nella provincia di Salerno, identificati sulla base della geografia dei processi di auto-riconoscimento delle identità locali e di auto-organizzazione dello sviluppo, confrontando la geografia riguardante l’attuazione della programmazione negoziata (patti territoriali, contratti d’area, Leader, P.I. e PIT), con i perimetri dei distretti industriali, dei parchi naturali, delle Comunità montane. Il quarto q.t.r. è dedicato ai Campi Territoriali Complessi, aree nelle quali la sovrapposizione-intersezione dei precedenti quadri territoriali mette in evidenza degli spazi di particolare criticità (riferibili soprattutto a infrastrutture di interconnessione di particolare rilevanza, oppure ad aree di intensa concentrazione di fattori di rischio) dove si ritiene che occorra promuovere un’azione prioritaria di interventi integrati. Il PTR individua, nel territorio della Provincia di Salerno, quale c.t.c., la Piana del Sele ed in parte la Costiera Amalfitana, congiuntamente alla Penisola Sorrentina, in riferimento alle problematiche connesse al della portualità turistica e di diporto. Il 5° Quadro territoriale di riferimento definisce, infine, degli indirizzi per le intese intercomunali e le buone pratiche di pianificazione, anche in risposta all’art.13, punto 3, lett. d), della L.R. 16/04, dove si stabilisce che il PTR definisca “i criteri per l’individuazione, in sede di pianificazione provinciale, degli ambiti territoriali entro i quali i comuni di minori dimensioni possono espletare l’attività di pianificazione urbanistica in forma associata”.


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Carta dei paesaggi e Linee guida per il per il Paesaggio Si è già evidenziato in precedenza che a seguito dell’approvazione del Dlgs n.63/08, la Regione, con la legge regionale 13 ottobre 2008 n.13 di approvazione del PTR, ha ridefinito l’articolazione delle competenze concernenti la pianificazione paesaggistica riservando alla Regione stessa la titolarità della pianificazione paesaggistica. L’articolo 3 della L.R. 13/08 articola l’attività di pianificazione paesaggistica disciplinata dalla Regione attraverso: a) il quadro unitario di riferimento paesaggistico costituito dalla carta dei paesaggi della Campania; b) le linee guida per il paesaggio in Campania contenenti direttive specifiche, indirizzi e criteri metodologici per la ricognizione, la salvaguardia e la gestione e valorizzazione del paesaggio da recepirsi nella pianificazione paesaggistica provinciale e comunale; c) il piano paesaggistico di cui al decreto legislativo n.42/2004, art. 135, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’art. 143, comma 1, lettere b), c) e d) del citato Decreto, redatto congiuntamente con il Ministero per i beni e le attività culturali ed approvato dal Consiglio regionale; d) i piani territoriali di coordinamento provinciali, attuativi della Convenzione europea del paesaggio, finalizzati alla valorizzazione paesaggistica dell’intero territorio regionale, redatti in coerenza con il PTR e concorrenti alla definizione del piano paesaggistico di cui alla lettera c). Dall’approvazione del piano paesaggistico regionale perdono validità ed efficacia tutti i piani paesistici attualmente vigenti. Con la sottoscrizione, il 13 novembre 2008, dell’Intesa istituzionale tra la Direzione regionale della Campania del Ministero per i beni e le attività culturali e l’Assessorato al governo del territorio della Regione Campania, che fa seguito all’Intesa istituzionale preliminare del 2006, sono state avviate le attività finalizzate all’attuazione del procedimento previsto dalla L.R. 13/08. La “Carta dei paesaggi della Campania” definisce lo statuto del territorio regionale inteso come quadro istituzionale di riferimento del complesso sistema di risorse fisiche, ecologico-naturalistiche, agro-forestali, storico-culturali e archeologiche, semiologico-percettive, oltre alle rispettive relazioni e alla disciplina di uso sostenibile e rappresenta il quadro di riferimento unitario per la pianificazione territoriale e paesaggistica, per la verifica di coerenza e per la valutazione ambientale strategica dei Ptcp e dei Piani urbanistici comunali (PUC) oltre che per la redazione dei piani di settore regionali, e ne costituisce la base strutturale. La Carta dei paesaggi è costituita dalle carte delle risorse naturalistiche ed agroforestali, dei sistemi del territorio rurale ed aperto, delle strutture storico-archeologiche e dallo schema di articolazione dei paesaggi della Campania, basati sul riconoscimento delle grandi tipologie di risorse e di beni. Le “Linee guida per il paesaggio in Campania” assumono il concetto di paesaggio espresso dalla CEP e costituiscono il quadro di riferimento unitario, relativo a tutto il territorio regionale, della pianificazione paesaggistica. Esse forniscono i criteri e gli indirizzi di tutela, valorizzazione, salvaguardia e gestione del paesaggio per la pianificazione provinciale e comunale, gli indirizzi per lo sviluppo sostenibile ed i criteri generali da rispettare nella valutazione dei carichi insediativi ammissibili sul


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territorio. Il rispetto delle direttive specifiche, degli indirizzi e criteri metodologici contenuti nelle Linee guida è obbligatorio ai soli fini paesaggistici per la verifica di compatibilità dei Ptcp, dei PUC e dei piani di settore, nonché per la valutazione ambientale strategica. Gli indirizzi relativi al territorio rurale ed aperto sono articolati con riferimento alle aree montane, alle aree collinari, ai complessi vulcanici, alle aree di pianura, alla fascia costiera ed alle isole, agli ambiti di più diretta influenza dei sistemi urbani, ai corpi idrici e relative fasce di pertinenza. Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Salerno (PTCP) Il Piano territoriale di coordinamento provinciale, approvato con deliberazione di Consiglio Provinciale n.15 del 30 marzo 2012, è uno strumento di pianificazione di vasta area e definisce gli obiettivi e le strategie di sviluppo, assetto e tutela del territorio di rilievo provinciale e sovracomunale o che costituiscono attuazione della pianificazione regionale; esso ha l’obbiettivo di: governare temi territoriali complessi che non possono essere adeguatamente affrontati alla scala comunale (come ad esempio quelli ambientali); coordinare e rendere coerenti i piani di settore e gli interventi nelle materie di specifica competenza della Provincia (come ad esempio la viabilità ed i trasporti, l’edilizia scolastica per l’istruzione secondaria, ecc.); di orientare la pianificazione dei comuni in coerentemente alle precedenti finalità ponendosi anche come punto di partenza per promuovere il coordinamento dei PUC in modo da costituire un assetto equilibrato ed armonico dell’intero territorio provinciale. Gli obiettivi generali della Proposta di PTCP, in coerenza con gli indirizzi e le strategie del Piano territoriale regionale, sono lo sviluppo economico e sociale del territorio provinciale, la sostenibilità dell’assetto territoriale e l’attuazione della Convenzione europea del paesaggio. Per perseguire tali obiettivi il PTCP promuove la valorizzazione delle risorse e delle identità locali, orienta lo sviluppo delle competitività in una logica di sostenibilità ambientale e sociale, definisce misure per la salvaguardia delle risorse ambientali e storico-culturali e per la mitigazione dei rischi naturali e la prevenzione di quelli di origine antropica, delinea indirizzi per la valorizzazione del paesaggio, fornisce indicazioni per la riqualificazione e l’integrazione degli insediamenti e per il potenziamento del sistema infrastrutturale. Esso guida l’attività di pianificazione locale e di settore per il conseguimento di obiettivi comuni per l’intero territorio provinciale, coordinando le strategie di carattere sovracomunale che interessano i Piani Urbanistici Comunali ed orientando la pianificazione di settore. Il PTCP della provincia di Salerno, ai sensi della L.R. n. 16/2004, è articolato in due componenti: “componente strutturale”, che ha validità a tempo indeterminato, e “componente programmatica”, che attiene ai programmi di intervento da attuarsi in un intervallo di tempo definito (5 anni) ed in correlazione con la programmazione finanziaria. La “componente strutturale” si suddivide a sua volta in disposizioni strutturali che individuano e delimitano le diverse componenti territoriali con riferimento ai caratteri ed ai valori naturali (geologici, vegetazionali, faunistici), storico-culturali, paesaggistici, rurali, insediativi e infrastrutturali e ne definiscono le modalità di uso e di manutenzione che ne possano garantire la tutela, la riqualificazione e la valorizzazione sostenibile. Esse inoltre riguardano la mitigazione dei rischi naturali, la prevenzione del rischio antropico e la tutela e gestione delle risorse idriche.


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La componente strategica delinea le scelte di trasformazione di lungo periodo dell’assetto insediativo e infrastrutturale – attraverso indirizzi che orientano il riassetto policentrico dell’organizzazione insediativa e l’integrazione ed il potenziamento del sistema infrastrutturale –, forniscono indicazioni per perseguire la qualità del paesaggio e per la costruzione della rete ecologica provinciale. La “componente programmatica” del PTCP fornisce indirizzi e prescrizioni per la pianificazione comunale e definiscono le scelte operative del PTCP. Gli indirizzi e prescrizioni che dovranno essere osservati nella predisposizione dei PUC riguardano il dimensionamento del fabbisogno residenziale, degli insediamenti produttivi di interesse sovralocale e locale, del sistema di attrezzature pubbliche, delle sedi per attività terziarie e turistiche; la mobilità ciclabile e la rete pedonale. l Ptcp pone grande importanza al tema della “valorizzazione del paesaggio della Costiera Amalfitana”, definendo come obiettivi centrali il miglioramento dell’accessibilità sostenibile della fascia costiera e delle aree più interne, il risanamento delle fasce marine e la messa in sicurezza delle scogliere. Infatti il Ptcp individua come “ambito identitario” il territorio della Costiera Amalfitana e le aree minori di terriotorio all’interno di questo ambito come “unità di Paesaggio” per i quali definisce indirizzi generali volti alla conservazione, alla tutela, alla valorizzazione, al miglioramento, al ripristino dei valori paesaggistici esistenti o alla creazione di nuovi valori paesaggistici. Piano Urbanistico Territoriale per l’Area Sorrentino-Amalfitana (PUT) Il Piano Urbanistico Territoriale ( PUT) dell' Area Sorrentino - Amalfitana è stato approvato - ai sensi dell'articolo 1/ bis della Legge 8 agosto 1985, n. 431 – con la Legge Regionale n.35 del 27.06.1987 (BURC n.40 del 20.07.1987). Il Piano Urbanistico Territoriale dell'Area Sorrentino - Amalfitana è Piano Territoriale di Coordinamento con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e sottopone a normativa d' uso il territorio dell'Area Sorrentino Amalfitana. Il Piano Urbanistico Territoriale prevede norme generali d'uso del territorio dell'area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o per l’adeguamento di quelli vigenti... (art.3). E solo il caso di accennare che le previsioni del Put hanno trovato nel corso degli anni rarissime deroghe: tra queste occorre ricordare le previsioni di cui alla L.R. 15/00 come s.m.i., in materia di recupero abitativo di sottotetti esistenti, e le previsioni di cui alla L.R. 19/01 come s.m.i., in materia di parcheggi pertinenziali e di regimi edilizi. Si evidenzia, infine, che le norme del Put rimangono in vigore fino all’approvazione del Piano paesaggistico regionale di cui all’art.3, co.1, lett.c), della L.T.13/08, e che le stesse prevalgono sulle previsioni di qualsiasi altra strumento di pianificazione territoriale e di settore. E’ del tutto evidente, pertanto, il rilievo attribuito alle previsioni della L.R.35/87 come s.m.i. attribuita in questa sede. Il Piano di Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (Psai) Il Piano per l’Assetto Idrogeologico dell’Autorità di Bacino Regionale in Destra Sele costituisce Piano Stralcio del Piano di Bacino, ai sensi della vigente normativa in materia di difesa del suolo, ed ha valore di Piano territoriale di settore. Adottato il 17/10/2002 con delibera di Comitato Istituzionale n. 80 e s.m.i., è stato


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recentemente aggiornato con Delibera del Comitato Istituzionale n° 10 del 28 marzo 2011. Ai sensi della vigente normativa in materia di difesa del suolo, il Psai, tra l’altro, individua le aree a pericolosità e rischio idrogeologico molto elevato, elevato, medio e moderato, ne determina la perimetrazione e definisce le relative norme di attuazione. Le norme di salvaguardia del Parco Regionale dei Monti Lattari Il Parco regionale dei Monti Lattari è stato istituito, ai sensi della L.R. n. 33/1993 ed in attuazione delle previsioni di cui alla legge 394/91, con deliberazione di Giunta Regionale n. 2777 del 26 settembre 2003. Con tale provvedimento è stato definito il perimetro del Parco e la zonizzazione provvisoria dello stesso, e sono state approvate le Norme di Salvaguardia, che restano in vigore fino all’approvazione del Piano del Parco (procedimento attualmente in itinere). Con D.P.G.R. Campania n. 781 del 13.11.2003 è stato poi istituito l’Ente Parco Regionale dei Monti Lattari. Il territorio del Parco, che si estende per circa 160 kmq, comprende i territori della Penisola Sorrentina, della Costiera Amalfitana e dei Monti Lattari, includendo complessivamente 27 comuni, una parte nella provincia di Napoli (Agerola, Casola di Napoli, Castellammare di Stabia, Gragnano, Lettere, Massa Lubrense, Meta di Sorrento, Piano di Sorrento, Pimonte, Sant’Agnello, Sant’Antonio Abate, Vico Equense) ed una parte, nella provincia di Salerno (Amalfi, Atrani, Cava de’ Tirreni, Cetara, Conca dei Marini, Corbara, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Sant’Egidio del Monte Albino, Tramonti, Vietri sul Mare). Le norme di salvaguardia prevedono elementi di tutela generali: il divieto di aperture di nuove cave e discariche e le modalità per l’esercizio provvisorio, la dismissione, il recupero ambientale delle stesse; la protezione della fauna, delle singolarità (geologiche, paleontologiche, mineralogiche e i reperti archeologici), della flora e delle attività agronomiche e silvopastorali; la tutela delle zone boschive, delle risorse idriche e dell’assetto idrogeologico; limitazioni e prescrizioni per le infrastrutture di trasporto e quelle impiantistiche, per la circolazione; gli interventi ammissibili sul patrimonio edilizio esistente, le modalità per la loro realizzazione, nonché le tipologie di intervento ammissibili nella strutture insediativa. Inoltre il territorio è stato suddiviso secondo tre tipologie di aree omogenee per ognuna delle quali vengono introdotti ulteriori norme; le tre tipologie sono: zona A definita come “Area di tutela integrale”, la zona B “Area di riserva generale orientata e di protezione” e l’ultima zona quella C definita “Area di riqualificazione urbana e ambientale di promozione e sviluppo economico e sociale”.


Positano

Praiano

Furore

Scala

Atrani

Ravello

Minori

Tramonti

Maiori

Tramonti

Cetara

V Mare


it Ab e ich

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ili

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3500 euro/mq 2942 euro/mq 4184 euro/mq

2638 euro/mq 2063 euro/mq 3920 euro/mq

1910 euro/mq 1290 euro/mq 2200 euro/mq

2335 euro/mq 0 euro/mq 2960 euro/mq

3118 euro/mq 2694 euro/mq 3121 euro/mq 1900 euro/mq 0 euro/mq 1825 euro/mq

2600 euro/mq 2613euro/mq 3070euro/mq

2725 euro/mq 2475 euro/mq 0 euro/mq

2300 euro/mq 2080 euro/mq 2687 euro/mq

1020 euro/mq

2675 euro/mq

920 euro/mq

2394 euro/mq

945 euro/mq

3000 euro/mq

2840 euro/mq 3100 euro/mq 3600 euro/mq

2294 euro/mq

| Studio immobiliare

2034 euro/mq 2838 euro/mq


| Porti e approdi


Insediamenti al 1870 Insediamenti al 1956

| Sviluppo sistema insediativo


| Insediamenti


| ViabilitĂ


| Limiti amministrativi


| Crinali


| Corridoi ecologici ed aree costiere ad elevato rischio naturale e antropico



| Aree protette


ambientale


| Aree di media biodiversitĂ e di collegamento ecologico


| Aree ad elevata biodiversitĂ






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Le cifre dell’abuso edilizio La Campania anche nel 2012 è la regione con il più alto numero di reati consumati tra il mare e la costa, e la seconda, subito dopo la Sicilia, per numero di reati edilizi, 449, il 15,7% sul totale nazionale. Reati che hanno portato a 736 tra arresti e denunce e a 330 sequestri. Un bollettino di guerra. Il fronte più caldo è sicuramente quello del cemento illegale, che nel litorale campano non accenna a perdere di intensità, come testimoniano le attività delle forze dell’ordine e delle varie procure impegnate giornalmente in un vero e proprio corpo a corpo con gli abusivi. Case, palazzi, villette e villoni, garage, piscine, insomma tutto il solito rosario di strutture fuori legge, che non fanno altro che massacrare un territorio già provato, in ampi tratti ad alto rischio di crisi idrogeologico, soprattutto lungo la costa e alle foci dei fiumi. I cantieri abusivi sembrano essere quasi la norma in un contesto segnato dalla forte presenza camorristica, in cui non c’è clan senza una sua ditta di forniture di calcestruzzo o di movimento terra. I vantaggi, del resto, sono enormi, soprattutto quando il mercato immobiliare va in crisi. Nella filiere del mattone illegale non si pagano tasse, né oneri di urbanizzazione, né contributi per chi lavora: si costruisce e basta. Come spiegano i magistrati campani, tra cui Raffaello Magi, giudice in prima linea contro i pericolosi casalesi, le aziende mafiose attive nel ciclo del cemento sono il fiore all’occhiello dell’industria criminale mafiosa. In effetti, in ogni operazione antimafia non manca quasi mai un impianto di betonaggio o di movimento terra che finisce sotto chiave della magistratura. Se in tutta la regione sono 1.571 gli immobili confiscati, le aziende confiscate sono diventate 347, secondo i dati dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati. Aziende mafiose con le quali si crea consenso sociale, oltre ad accumulare quattrini cementificando il possibile e approfittando anche di competenze effettive maturate negli anni, come quelle dei tanti lavoratori del settore edile che vivono a Casal di Principe. I controlli, del resto, latitano, se non quando sono gli stessi controllori a fare carte false e a gestire dietro mazzette il ciclo illegale del mattone. E se ci sono – e ci sono stati in passato – sindaci che hanno dato la vita per non votarsi dall’altra parte e fare il loro dovere fino in fondo, ce ne sono altri che si voltano esattamente dall’altra parte, e aprono le porte ai clan. Nei 6 comuni campani sciolti dal Consiglio dei ministri durante il 2012 per infiltrazioni mafiose, il ciclo del cemento è onnipresente, a cominciare da Castel


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Volturno in provincia di Caserta (noto per le vicende legate agli abusi sul Villaggio Coppola) e Giugliano, in provincia di Napoli, dove si è arrivato a costruire abusivamente anche sui resti dell’Antica Appia. Il mattone selvaggio non ha per padrini solo i boss, tutt’altro. Basta scorrere l’elenco delle operazioni di polizia giudiziaria nel contrasto all’abusivismo edilizio, per un fenomeno che in questa regione raggiunge uno dei suoi punti più drammatici. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta, infatti, di mera speculazione edilizia, tesa alla creazione di valore aggiunto, a spese del territorio. Una delle zone più colpite è il litorale Domitio-Flegreo. Qui, in soli 3 mesi di controlli effettuati nel territorio di Pozzuoli (tra novembre e gennaio di quest’anno), le forze dell’ordine hanno individuato 50 casi di abusivismo edilizio. L’ultimo risale a pochi giorni dalla chiusura di questo dossier, il 5 giugno, giorno in cui la Guardia costiera ha sequestrato un lido e alcuni chioschi a Licola mare, una striscia di terra ai piedi del monte di Cuma. Diverse le irregolarità riscontrate, dalla presenza di manufatti in cemento armato realizzati sul demanio marittimo ai chioschi privi di licenze ed autorizzazioni. Tutto finito sotto sequestro e affidato in custodia giudiziaria all’Amministrazione comunale. Scendendo nel golfo di Napoli, il diffuso abusivismo non ha risparmiato nemmeno l’area archeologica di Pompei, dove a metà gennaio i carabinieri hanno scoperto addirittura 3 villette tirate su totalmente in maniera illegale, proprio a ridosso degli scavi. Accanto alle martoriate province di Napoli e Caserta, nelle mappe degli illeciti edilizi spicca anche la mia provincia di Salerno, con in testa l’agro nocerino-sarnese. In queste aree ancora resiste l’idea che gli immobili costruiti illegalmente siano il frutto di un mero “abusivismo di necessità”. Giustificazione che non convince affatto gli inquirenti, tra tutti Aldo De Chiara, avvocato generale della Repubblica a Salerno. Un magistrato che gli abusivi li conosce bene avendo coordinato il pool ambiente della procura di Napoli ed essendosi confrontato, su tutti, con il “caso Ischia”, una delle realtà più eclatanti di cementificazione selvaggia, compreso il corollario delle demolizioni disposte dal tribunale e accompagnate da forti proteste da parte degli stessi abusivi. Tra le carte delle indagini, infatti, compaiono tutt’altro che case di “necessità”, come ville o abitazioni di notevole pregio e dimensioni. Su tutti, i comuni di Sarno, Cava dei Tirreni, Scafati, Angri, Pagani, Nocera, dove negli ultimi anni si sono letteralmente moltiplicati i sequestri e i sigilli su manufatti abusivi (in tutto o in parte). Nell’ultimo anno si registra anche la bulimia illegale dei parcheggi, messi sotto torchio dalla Guardia di finanza: fatte le case, magari abusive, serve spazio per le auto, così da chiudere il cerchio. I risultati di questa lunga e complessa attività di indagine non mancano. Solo per fare un esempio, tra Cetara e Vietri sul mare ad aprile del 2012 sono scattati i sigilli per un parcheggio a tre piani, del valore di due milioni di euro, su un’area di 6.000 metri quadrati, in parte adibita a parcheggio e in parte a discarica abusiva di rifiuti speciali; in un’altra area di cantiere di 600 metri quadrati erano stati realizzati 9 box auto “in difformità rispetto alle necessarie autorizzazioni”. Il tutto corredato dalle denunce di proprietari, amministratori locali, funzionari pubblici, tecnici e progettisti. Per scendere ancora di più nel particolare e nello specifico dell’area da me presa in considerazione dobbiamo sottolineare che Nel complesso, lungo la costa salernitana, e in parte napoletana, nel 2012 solo la Sezione operativa navale di Salerno della Guardia di finanza ha denunciato 117 persone ed emesso 84 verbali per immobili abusivi realizzati in riva al mare, in aree demaniali, doganali e ambientale. Con danni


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irreversibili al contesto paesaggistico annoverato dall’Unesco tra i beni classificati “Patrimonio dell’Umanità”. E come capita spesso da queste parti, molti di questi manufatti, ancora con i cantieri aperti, erano artificiosamente mimetizzati con i classici teli adoperati per la copertura degli agrumeti dalle gelate invernali. Nello specifico si tratta di 64 immobili, tra complessi turistico-alberghieri, ville e palazzine, tutte con vista mare, per un totale di 75.855 metri quadrati finiti sotto i sigilli dei finanzieri per un valore di quasi 20 milioni di euro (19.469.000, per la precisione). Tra le tante, anche 3 ville con piscina su un’area di 2.700 metri quadrati e un valore commerciale di 1 milione e 300 mila euro in località Orticelli nel comune di Positano.

“Costiera Amalfitana notizie -Notizie : Costa d'Amalfi, un abuso edilizio ogni due giorni e mezzoCostiera Amalfitana. Un abuso edilizio ogni due giorni e mezzo. Questo è il dato allarmante in Costiera Amalfitana dove continua a prolificare la cementificazione selvaggia nonostante la fitta attività di controllo di Carabinieri e Guardia di Finanza. E sono proprio i dati relativi a questi sette mesi del 2008 a sottolineare come il fenomeno non sia affatto in diminuzione.Paragonando le cifre dello scorso anno (i sequestri superavano le 150 unità e i deferimenti all’autorità giudiziaria riguardavano circa 350 persone) a quelle attuali calcolate da gennaio a luglio, emerge come il fenomeno dell’abusivismo non abbia subito alcuna battuta d’arresto.Infatti se nel 2007 si viaggiava su una media di un abuso ogni 2,4 giorni, in questi sette mesi dell’anno si registra un + 0,1 che potrebbe essere determinante sul valore finale.In questa task-force contro il mattone selvaggio, sono due le attività di indagine attualmente in corso: la prima, condotta dai Carabinieri della Compagnia di Amalfi coordinati dal capitano Enrico Calandro, l’altra dai militari della Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza di Salerno, diretti dal capitano Alessandro Furnò. In Costiera, stando ai totali finora calcolati dai militari dell’Arma, sono ben 210, le persone denunciate per abusivismo edilizio (nel 2007 furono 262), 22 dei quali anche per violazione di sigilli.Per occupazione abusiva di suolo demaniale i deferimenti sono invece 7, ai quali si aggiungono i 6 per falsità ideologica in atto pubblico, gli 11 per abuso d’ufficio, i 22 per truffa aggravata per il conseguimento di finanziamenti pubblici, e uno solo per omissione di atti d’ufficio.Alle denunce si aggiungono i 67 cantieri sequestrati pari ad un totale di 7.820 metri quadrati di opere abusive.Secondo i carabinieri, in cima alla lista dei comuni, spicca Furore con 18 sequestri. Qui, è alto anche il numero delle persone deferite all’autorità giudiziaria: ben sessanta. A seguire, Praiano con 12 cantieri sequestrati e 33 persone denunciate per abusivismo edilizio; Amalfi con 10 sequestri e 19 denunce; Positano (7 sequestri e 38 denunce); Tramonti con 18 persone denunciate e 6 cantieri sequestrati; Scala (12 persone denunciate e 6 sequestri) e Ravello con 10 denunce e quattro sequestri. La graduatoria si completa con i due sequestri operati finora a Conca dei Marini (otto sono le persone denunciate) i due ad Atrani e Minori (qui sono rispettivamente due e tre le persone denunciate) e le sette denunce a Maiori per abusivismo. A questi dati vanno ad aggiungersi quelli del reparto navale della Guardia di Finanza: nei sette mesi del 2007 sono state 76 persone finite nel mirino degli inquirenti, mentre risultano essere 20 i manufatti sequestrati (Maiori, 5 sequestri e otto denunce; Minori, 3


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sequestri con 13 denunce; Praiano, 3 sequestri e 5 denunce; Ravello 7 sequestri e 15 denunce; Scala, 5 sequestri e 18 denunce; Tramonti 3 sequestri e 17 denunce, Vietri sul Mare 1 sequestro e due denunce) per un valore complessivo di oltre 19 milioni di euro. Cifre da brividi, che diventano cifre di rabbia e di indignazione se si pensa anche alla tragedia del 18 agosto del 2007. “Gli abusi vanno perseguiti e come comune apprezziamo l’opera delle forze dell’ordine alle quali abbiamo sempre offerto massima collaborazione – dice il sindaco di Furore, Alfonso Avitabile che per il suo paese rifiuta l’appellativo di comune maglia nera - Purtroppo esistono due tipologie di abusi: le aperture di finestre e le costruzioni ex novo. Non si possono classificare allo stesso modo”. Infatti, in Costiera giacciono oltre 7.000 domande riguardanti i tre condoni (1985, 1994 e 2003) e molte di queste riguardano molte situazioni diverse dalle opere completamente abusive. “Ogni estate è un boom di terrazze, solarium, piscine, bar e centri benessere completamente fuorilegge – tuona Legambiente nel suo rapporto Mare Monstrum - Qui siamo in presenza di un abusivismo di lusso, dove la realizzazione di piccoli manufatti produce rendite enormi: ogni metro quadrato può valer anche diecimila euro. Conviene rischiare. Tra corsi e ricorsi, chi commette un abuso sa di aver a disposizione almeno tre anni prima di essere chiamato a risponderne”. -Il foglio costa d’Amalfi, 2008, Marlo Amodio-

“Costiera Amalfitana: a Furore sequestrati abusi edilizi costruiti con fondi del dopo terremoto Ancora altri abusi edilizi, e altre scoperte di raggiri di fondi pubblici utilizzati in Costiera Amalfitana: 690 metri quadri di edifici costruiti senza licenze edilizie (8 cantieri fuorilegge), dal valore stimato di oltre tre milioni di euro, e ben trentuno persone denunciate. Ma ancora una volta a Furore i carabinieri del comando Compagnia di Amalfi, guidati dal capitano Enrico Calandro, si sono trovati in presenza di documenti falsificati, e di pratiche fasulle per ottenere i fondi del dopo terremoto del 1980. Con la complicità dei competenti della “Commissione per il terremoto del 1980”, che ancora a distanza di ventotto anni, esiste, visiona progetti, approva o boccia. Sembra quasi di trovarsi dinanzi ad una prassi consolidata, un "sistema". Perché questo non è il primo caso scoperto dalle forse dell’ordine che si sono imbattutti nell'ennesimo abuso, ma con risvolti incredibili. Si è partiti dallo scoprire l'esistenza di un manufatto abusivo di 90 mq., ancora in corso di realizzazione e privo di alcuna autorizzazione, ma poi nel corso delle indagine il tutto ha preso un' altra piega: l'opera non solo era stata costruita abusivamente e nonostante non esisteva all'epoca del terremoto che colpì drammaticamente l'Irpinia e altre aree della Campania (in Costiera Amalfitana solo Tramonti fu la più danneggiata) spunta fuori il “parere favorevole all'istanza di concessione di finanziamenti pubblici” presentati dal proprietario alla Commissione per il terremoto del comune di Furore. Denunciati per abuso d'ufficio e truffa aggravata ai danni dello Stato, cinque professionisti (avvocati e geometri) che fanno parte della Commissione, il proprietario e un imprenditore edile.


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Nel corso dell'operazione (un blitz durato dal 25 al 27 marzo) che ha interessato tutti i comuni della costiera, i militari delle Stazioni Carabinieri hanno controllato autolavaggi, officine meccaniche e cantieri edili. Nessuna irregolarità è stata riscontrata nei lavaggi e nelle officine meccaniche controllate, mentre in dodici cantieri edili sono state rilevate opere abusive e otto di essi sono stati sottoposti a sequestro: due a Furore, uno ad Amalfi, uno a Positano, tre a Praiano e uno a Ravello. Trentuno le persone denunciate in stato di libertà alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno: proprietari, operai, direttori dei lavori e titolari di imprese edili. Tutti responsabili di aver realizzato manufatti edili in violazione delle norme che disciplinano il settore edilizio, in zone di grande interesse ambientale sottoposte a vincolo paesaggistico. A Ravello è stato sequestrato un manufatto su due livelli di 150 mq. ancora in corso di costruzione, e a Positano un bel terrazzo panoramico di 60 mq. realizzato per rendere “più confortevole” l'abitazione” -Ecostiera online, 2013-

“AMALFI. «La legislazione attuale è farraginosa e i Comuni hanno le mani legate. Perciò difficilmente si riesce ad abbattere i manufatti abusivi». E’ questa la spiegazione, sintetica ed esaustiva, di Antonio Della Pietra, primo cittadino di Maiori e presidente della Conferenza dei sindaci della Costiera, sul perché in tutto il comprensorio amalfitano non si proceda alla demolizione delle costruzioni fuorilegge. Eppure di abusi ce ne sono e non solo di “necessità”, ma il più delle volte il territorio è sfregiato da vere e proprie colate di cemento che deturpano angoli incontaminati della costa e dell’entroterra. Però le sanzioni sono minime e, soprattutto, salvo in rarissimi casi, non si dà seguito alle ordinanze di ripristino dei luoghi. «Le Amministrazioni comunali – chiosa Della Pietra – non hanno i soldi per procedere in danno e, dunque, per demolire le costruzioni, in quanto è molto difficile non solo anticipare i fondi ma anche rientrare nelle spese». L’unica soluzione, perciò, a detta del sindaco di Maiori, sarebbe quella di «modificare la legge e fare sì che, una volta accertato l’abuso, si possa procedere immediatamente». A incoraggiare i “signori del cemento”, in particolar modo negli anni addietro, ci sono stati anche i tanti condoni che hanno, di fatto, legalizzato situazioni di illegalità. «E pure adesso – rimarca Della Pietra – c’è chi costruisce sperando sempre che, prima o poi, venga emanata una nuova sanatoria». Sul fatto che la legge non viene incontro agli enti è d’accordo il sindaco di Cetara, Secondo Squizzato, il quale suggerisce, proprio per snellire la procedura, che possa essere delegata «all’autorità giudiziaria, una volta terminato l’iter processuale, la facoltà di procedere all’abbattimento dell’abuso», in quanto i Comuni «non hanno i mezzi economici per provvedere». «A Cetara – tiene comunque a precisare Squizzato – il 90 per cento dei casi di abusivismo non riguardano costruzioni ex novo ma difformità su immobili in regola. In pratica c’è chi allarga di pochi metri la cucina o il bagno». Seguire il cittadino, per evitare nuovi casi di abusivismo e capire le proprie necessità, è la strategia adottata a Minori, cittadina che, tra poco più di un anno, sarà finalmente dotata del Piano regolatore. «Nell’importante strumento urbanistico - evidenzia il primo cittadino Andrea Reale – inseriremo molte opportunità per privati e aziende, sempre nell’ottica di un turismo diffuso e tenendo conto dell’esigenze del turismo extralberghiero. Il nostro obiettivo è quello di ristabilire le regole e, proprio per questo motivo, assistiamo quotidianamente i cittadini, cercano di comprendere le loro esigenze». Che prevenire sia meglio che curare è anche il pensiero di Michele De Lucia, sindaco di Positano. «Nel nostro territorio comunale – chiarisce – non si sono


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registrati abusi di una certa rilevanza, ma le illegalità riguardano piccoli interventi edilizi. I nostri uffici, tuttavia, sono sempre vigili, affinché tutti rispettino le leggi e i regolamenti».” -Positano News, 2012, Gaetano de Stefano-



CAPITOLO 3 Obbiettivi


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Dopo aver parlato ampiamente ed inquadrato il tema argomento della tesi, aver descritto la storia, il quadro normativo, le risorse e l’emergenze della porzione di territorio scelta come focus del lavoro di ricerca, su cui agire per trasformarlo e fermare processi in atto che portano verso il declino e la perdita delle caratteristiche fondamentali dell’area, in questo capitolo voglio soffermarmi sull’individuazione ed argomentazione degli obbiettivi del mio lavoro di tesi, la definizioni del sistema teorico e progettuale che ne rappresentano gli esiti ed il processo di tutela del territorio in cui quest’ultimi si possono inserire. L’obbiettivo quindi è quello di creare un sistema di valutazione e successiva ridefinizione dell’abuso edilizio, tenendo conto però del luogo in cui questo avviene, delle criticità e potenzialità dello stesso e dei fattori sociali che risultato in diversi casi fondamentali, in modo da poter fornire una possibile alternativa agli attuali strumenti che sia calata nel contesto e quindi sia positiva e concepita come occasione di sviluppo del territorio. fondamentale poi è stato definire in quale ambito o in quale sistema più ampio si potesse inserire questo processo valutativo per essere poi realmente applicabile ed avere una base solida che abbracciasse più ambiti della tutela del territorio.


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Nuove forme di compensazione Nel 1997 la Costiera Amalfitana viene iscritta nella World Heritage List dell’UNESCO, per i suoi fondamentali valori paesaggistici e per il suo enorme patrimonio culturale, materiale ed immateriale. Questo territorio come sappiamo è una delle poche aree della Campania ad essere soggetta ad un Piano Paesistico e già dagli anni 50’ sotto tutela grazie all’effetto di decreti ministeriali emessi ai sensi della legge del 29.6.1939 n. 1497 e successivamente con l’art. 1 del decreto ministeriale del 21 settembre 1984, il decreto Galasso. Oggi vige invece il Piano Urbanistico Territoriale (PUT) della penisola SorrentinoAmalfitana che dopo 26 anni dalla sua entrata in vigore si dimostra un mezzo di tutela del paesaggio culturale in buona parte efficace, anche se in diversi casi ha creato situazioni di confusione negli abitanti della Costa D’Amalfi, visto il mancato adeguamento di diversi piani urbanistici alle norme del PUT. Per sottolineare nuovamente l’importanza del patrimonio culturale e paesaggistico dei territori del nostro paese è fondamentale ricordare che questo concetto è ribadito solennemente all’articolo n.9 della Costituzione Italiana, che definisce come la repubblica “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. E’ quindi in questo quadro che si inserisce nel 1997 l’entrata della Costiera Amalfitana nella lista dell’UNESCO con l’obbiettivo e la speranza che questo evento potesse ,oltre a permettere un’attivazione da parte delle istituzioni politiche anche innescare la formazione di una maggiore consapevolezza negli abitanti grazie alla quale poter costituire una seria collaborazione con gli organi di potere per salvaguardare un territorio che non è solo patrimonio dell’umanità, ma è anche patrimonio comune delle persone che lo vivono giorno dopo giorno ed hanno contribuito in maniera differente alla sua alterazione (positiva e negativa), che può ancora restituire alla comunità una serie di risorse locali inesauribili di natura immateriale, economica e culturale. Riconosciuto l’enorme valore della Costa d’Amalfi l’UNESCO ha definito la redazione da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Salerno ed Avellino, di un Piano di Gestione del sito, per non limitare l’azione ad una sterile conservazione e protezione del territorio, ma per immaginare e


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attuare una tutela attiva del patrimonio che possa creare nuove condizioni di sviluppo coerenti con i paradigmi dell’area. Questo Piano di Gestione è stato redatto attraverso una collaborazione della Soprintendenza e della Comunità Montana “Penisola Amalfitana” supportati nel 2005 per gli studi preliminari anche dal Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali e successivamente finanziati per la conclusione della redazione del piano, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. La redazione di questo piano comunque ha trovato sulla sua strada difficoltà ed intoppi come sempre accade quando si deve mettere a punto un sistema di questa portata e che coinvolge un gran numero di attori; il Piano infatti è un elemento necessario all’interno della gestione di un sistema territoriale, perché è costituito dall’insieme degli interventi da realizzare o da vietare per cui si possa verificare un’evoluzione nello stato di un territorio, ma non è l’unico elemento; devono essere infatti definiti prima di tutto gli interessi che si vogliono garantire e successivamente gli attori i tempi e le risorse necessarie per attuare le azioni previste dal piano. Essendo la Costiera Amalfitana definibile come un sistema “comunità-territorio”, il governo dell’uso e delle trasformazioni dello stesso risultano fondamentali per la sua gestione; è qui infatti che entra in gioco il Piano Urbanistico Territoriale della penisola Sorrentino-Amalfitana (PUT) che garantendo la tutela del territorio ha permesso l’iscrizione nella Heritage List dell’UNESCO il paesaggio culturale della Costa D’Amalfi, sprovvisto all’epoca di un piano di gestione. L’impostazione vincolistica del PUT però ha prodotto dei risultati molto contrastanti: se da un lato non è riuscito a realizzare quelle trasformazioni di interesse pubblico che ricadevano su tutta la comunità, dall’altro lato non è stato neanche in grado di gestire quelle invece fatte nell’interesse privato, molto spesso sfociate come più volte detto nei capitoli precedenti nell’abuso edilizio. Questa carenza del PUT deriva proprio dai limiti dei piani urbanistici tradizionali, che oltre a presentare un disegno del territorio, definiscono il possibile stato futuro dell’area, lasciando poi alle istituzioni politiche il compito di fissare i tempi e reperire le risorse, senza però redigere un sistema di scadenze, di procedure e risorse magari già presenti nell’area; tutto questo ha determinato una percezione del piano urbanistico negativa, come uno strumento di limitazione e non come uno che possa garantire lo sviluppo dell’area. Addirittura il suo ruolo strettamente vincolistico ha portato alla generazione di situazione paradossali, dove costruire un terrazzamento per ampliare un limoneto è assolutamente vietato, così come costruire piccole strade di servizio per raggiungere i terrazzamenti meno accessibili, che quindi rimangono abbandonati, ostruendo alla fine gli interventi che in passato hanno generato il paesaggio culturale che oggi tutti ammirano e che si sta lentamente soffocando. Anche da questo deriva la reticenza da parte della comunità della penisola Sorrentino-Amalfitana verso i piani urbanistici e di tutela ed è quindi contro questa sfiducia che ha dovuto confrontarsi anche la redazione del Piano di Gestione. Oltre a questo aspetto un altro ha creato diverse difficoltà: infatti se la definizione della “vision” e della “mission” sono state ben definite, questione fondamentale è poi diventata quella della “governance” del sistema. La visione su cui si è basato il Piano di Gestione è quella di riattivare i processi che in passato hanno generato il paesaggio culturale della Costiera Amalfitana, attraverso i criteri che definiscono invece la “mission” quali: il recupero della “conoscenza” dei valori esistenti e dell’impatto delle attività che ognuno degli attori vuole realizzare e


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la ricostruzione di quelle condizioni di “convenienza” immediata derivanti dalle azioni dirette e compatibili sul territorio. La “governance” del piano si è poi venuta a definire dopo la presa di coscienza di essere all’interno di un sistema territoriale nel quale agiscono molte istituzioni che hanno competenze diverse, sistema che deve la sua fortuna turistica ,relativamente recente, ad un paesaggio che è stato caratterizzato dalle attività agricole, oggi completamente in crisi, e dove quindi la mancanza di un istituzione superiore alle altre con una competenza prevalente che possa monitorare tutto il sistema e magari modificarlo nel corso del progetto di gestione, rendeva difficile condividere come possibili la “vision” e la “mission”. Alla fine la soluzione è stata quella di proporre un sistema di “governance” costituito da due organi: la Conferenza di Gestione (CdG) con il preciso compito di definire la visione, missione e obbiettivi strategici ed invece un’istituzione più tecnica quale la Struttura di Supporto alla Decisione (SSD) con il compito di definire gli obbiettivi e le azioni che possano realizzare le proposte espresse dal CdG in precedenza, inoltre ha il compito di informare tutti gli attori del sistema delle azioni; ai Comuni, gli imprenditori e la Comunità dei Monti Lattari invece la missione di attuare realmente le azioni programmate. Questo Piano di Gestione alla fine si è posto come una proposta concreta, coerente e motivata che segue le linee guida dettate dall’UNESCO e che ha mostrato l’intenzione di superare i piani di tutela che hanno governato il territorio fino ad ora, per invece proporre una nuova logica che vada nella direzione del recupero del paesaggio e della cultura per riprodurre un processo di sviluppo concreto. Aspetto fondamentale del processo di gestione del paesaggio culturale della Costiera Amalfitana è sicuramente la consapevolezza che attraverso questa gestione corretta si può contribuire a rafforzare l’identità della comunità locale, prevenire o mitigare possibili disastri naturali e contemporaneamente proporre uno sviluppo locale compatibile con il territorio; inoltre concetto centrale è quello di modificare la visione esageratamente vincolistica, per proporre una tutela attiva delle risorse presenti e quindi la possibilità di trarne dei profitti per la comunità locale, che non derivino solo dalla conservazione, ma anche e soprattutto dalla utilizzazione corretta e coerente delle risorse a disposizione. la qualità delle azioni effettuate sul territorio che rende positive o negative le stesse; le necessarie nuove azioni di trasformazione non vanno per forza vietate, cancellate o mimetizzate per ridurne l’effetto, perché molto spesso possono essere occasione per “ fare paesaggio”, bisogna però individuare modalità di controllo e di valutazione che siano capaci di bloccare le trasformazioni negative, molto spesso già in atto, e ridefinirle stimolando quelle compatibili, dando così davvero terreno fertile per uno sviluppo concreto e per il cambiamento della tutela da una visione vincolistica ad una attiva e positiva. E’ In questo Piano di Gestione, condividendone gli obbiettivi e le procedure, che inquadro la mia proposta progettuale frutto del lavoro di analisi e studio sull’abusivismo edilizio in Costiera Amalfitana. La proposta teorica e progettuale si fonda sull’idea di poter costruire un nuovo ed alternativo sistema per ridefinire gli abusi edilizi già presenti nell’area e che rappresentano uno dei più diffusi e deturpanti problemi che affliggono un paesaggio così prezioso come quello della Costa d’Amalfi. L’intento è quello di discostarsi dalle attuali norme e dagli strumenti che vengono attivati per porre rimedio all’abuso rifiutando ogni forma di condono edilizio come


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possibile strada risolutiva visto, come ho descritto nei capitoli precedenti, i principi per cui il processo è stato attivato e le conseguenze palesemente negative che ha poi prodotto sui territori di tutta la Nazione e delle quali paghiamo ancora il prezzo. Il problema dell’abuso viene trattato ed analizzato nel processo progettuale come un elemento presente e reale a cui trovare una soluzione, che possa si tutelare il territorio culturale su cui si è insediato, ma che possa anche diventare un’occasione per risolvere le criticità dell’area e trasformarle in potenzialità per un possibile e coerente sviluppo dell’ambito paesaggistico nell’interesse di tutti gli attori che lo vivono. Primo elemento fondamentale è quello del processo di valutazione dell’abuso edilizio, per fare questo è stato necessario realizzare una “scheda da valutazione dell’immobile” che ne definisse gli elementi fondamentali e poi ne analizzasse lo stato secondo diversi criteri ritenuti fondamentali. Importantissimo infatti nel caso di abusi edilizi è la scelta dei criteri con i quali si valuta l’immobile in quanto questi danno una reale traccia dello stato della costruzione e del suo impatto sul territorio, e mostrano quindi anche gli elementi che possono essere utilizzati o no, nelle possibili ridefinizioni dell’immobile abusivo oppure dell’area in cui è presente. La scheda di valutazione semplice ma efficace, ha una prima parte in cui è definita la localizzazione dell’edifico suddivisa per ambiti: prima di tutto viene presentato brevemente il comune specifico in cui si verifica la presenza dell’immobile sotto indagine, sai dal punto di vista territoriale, che paesaggistico ed inoltre con accenni alla situazione economica e della popolazione in modo da avere immediatamente un quadro chiaro del contesto. Di seguito viene presentata una descrizione dell’immobile abusivo nella sua composizione architettonica e strutturale, specificando ogni particolare che possa essere disponibile ed utile per un’attenta valutazione. Inoltre se possibile si inseriscono disegni tecnici della costruzione per rendere ancora più comprensibile la forma, le dimensioni e gli elementi che compongono l’edificio e l’area circostante. A questo punto si declinano vari criteri con cui viene valutato l’abuso e le possibili opzioni che questi criteri offrono, la scelta di queste opzioni è molto importante per poi arrivare ad una approfondita e chiara valutazione. I criteri sono stati scelti perché ritenuti fondamentali ed utili per l’analisi dell’immobile in previsione di una possibile riconversione o altro tipo d’intervento con un incidenza più alta o più bassa: il primo dei criteri è quello dei “vincoli”, dove si deve approfondire quali vincoli sono presenti sull’area in cui è edificato l’abuso: in particolare sotto la definizione di “vincolo di procedura” vengono indicate ,se sussistono, quelle procedure specifiche per l’autorizzazione a costruire su quell’area, oltre a quelle basilari. Tra i vincoli troviamo anche quello paesistico, idrogeologico e sismico che danno delle indicazioni fondamentali all’interno del processo di valutazione dell’immobile Successivamente bisogna indicare la “tipologia di abuso” che si suddivide in abuso residenziale prima casa, abuso residenziale seconda casa, abuso da pressione turistica, abuso non residenziale oppure abuso per difforme uso del territorio (quando l’abuso riguarda non una costruzione ma l’uso e la sistemazione abusiva di un’area). Altro criterio è quello concentra la sua attenzione sulle “dimensioni” dell’abuso con la differenziazione tra microabusivismo e macroabusivismo, già illustrata precedentemente e che si basa sulla grandezza dell’abuso, inteso come edifico intero oppure parte di esso, e che offre una distinzione tra micro abusi (dal 1% al 30% delle


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dimensioni) che possono essere riassorbiti attraverso operazioni di piccola entità dal contesto in cui avvengono e macro abusi (dal 30% al 100% delle dimensioni) che determinano invece un ‘azione più forte; comunque è fondamentale affrontare caso per caso ogni abuso nelle sue specifiche situazioni. La “reversibilità” si prefigge il compito di valutare la possibilità di riutilizzare il materiale o i materiali di cui è costituito l’abuso in maniera totale, parziale o nulla a seconda del loro stato di fatto, della loro origine e della loro possibile sostenibilità nell’ambiente in cui sono utilizzati. La “proprietà del suolo” nel quale si indica se il terreno su cui è edificato l’immobile è proprietà privata oppure del Demanio. Altro criterio inserito è quello che indica “l’incidenza sul contesto” sia dimensionale che ambientale; nel primo caso si valuta l’influenza dimensionale dell’edificio all’interno del contesto, nel secondo caso si valuta invece quella ambientale e quindi se l’edificio è sostenibile oppure no dal punto di vista del materiale utilizzato, delle caratteristiche dell’area in cui è inserito e se ha apportato delle modificazioni all’equilibrio dell’assetto territoriale del contesto. Non meno importante è la definizione della “fase” in cui vige la costruzione: una fase iniziale di costruzione, una fase inoltrata di costruzione, oppure se siamo in presenza di un’immobile già terminato, infatti questa informazioni da una risorsa qualitativa in più al successivo ragionamento di risoluzione dell’immobile se risultasse realmente abusivo. Per finire viene indicato anche lo stato di occupazione dell’immobile, poichè si ritiene sia un aspetto fondamentale nella valutazione finale, e può avere un’interpretazione che tocca maggiormente l’ambito pratico oppure la sfera sociale. Ultimata la scelta delle opzioni dei diversi criteri e approfondito nel miglior modo ogni aspetto la scheda di valutazione è completa e ci permette di avere un quadro soddisfacente dell’abuso edilizio sopratutto riguardo alcuni aspetti fondamentali poi per la stesura di un progetto di ridefinizione. Terminata questa fase, si passa alla creazione di un possibile sistema d’intervento che si differenzi caso per caso in base appunto ai risultati della scheda di valutazione, può sembrare un processo molto specifico, ed è proprio così, ma solo in questo modo è possibile concretamente stendere una proposta risolutiva per un abuso edilizio che sia consona ed in sintonia con il contesto sociale, culturale e paesaggistico, elemento secondo me fondamentale per la riuscita positiva dell’operazione. Carattere fondamentale all’interno della formazione della proposta d’intervento è l’aspetto sociale in cui s’inserisce l’abuso, cosa che non viene mai considerata, ma che può essere decisiva nella scelta della direzione operativa da prendere; ritengo infatti molto importante conoscere se l’immobile abusivo ha un ruolo sociale importante o meno per i proprietari, se ad esempio è una prima casa, il numero di persone che ci vivono, da quanto tempo è abitato l’edificio, se dai proprietari stessi dell’immobile oppure no. L’aspetto sociale comunque non viene in questo caso utilizzato come motivo per evitare le sanzioni prescritte dalla legge oppure essere quasi motivo di giustificazione dell’abuso edilizio, ma si affianca invece alle altre informazioni emerse durante la valutazione per la definizione di un progetto che possa essere positivo per tutela del territorio, per la comunità e per la riattivazione di processi economici. A questo punto dopo aver redatto una soddisfacente e approfondita valutazione dell’immobile, il comune decide come agire e la prima azione prevista se il manufatti risulta abusivo è quella del sequestro da parte delle autorità competenti; Il comune e


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quindi la comunità che esso rappresenta si appropriano dell’edificio e dell’area in cui sorge divenendone proprietario a prescindere dalla poi scelta di compensazione. Nessuna operazione è preclusa a questo livello sia che essa preveda l’abbattimento dell’immobile oppure la cessione, in alcuni casi particolari, del comodato d’uso del manufatto, ma la cosa fondamentale e che deve essere molto chiara è che qualsiasi azione venga intrapresa essa deve essere fatta nell’interesse del territorio in tutti i suoi aspetti e degli abitanti che lo abitano cercando magari di convertire una situazione negativa in una positiva. Il processo di valutazione e di stesura di forme di compensazione alternative ha come obbiettivo principale, utilizzando i criteri e gli aspetti sopra descritti, di creare degli interventi che mettano al primo posto il patrimonio culturale e paesaggistico dell’area, cercando attraverso soluzioni di riutilizzo degli edifici abusivi con funzioni specifiche, sanzioni che contemplano metodi reali ed innovativi di compensazione dell’abuso, di innescare ed introdurre un processo di “tutela attiva” del territorio, con cui i cittadini possano recuperare la consapevolezza del loro ambiente e delle grandi potenzialità che esso offre; che si possano trasformare fattori negativi come quello dell’abuso edilizio, in occasioni per recuperare il paesaggio (le colture tradizionali ed i terrazzamenti), la cultura tradizionale ed innescare nuovi processi economici che forniscano nuova linfa al territorio e ai suoi abitanti, magari ridimensionando fenomeni come quello del turismo che hanno si fatto la fortuna della Costiera Amalfitana, ma che ne hanno anche dettato il degrado e l’abbandono. Elementi quindi fondamentali che successivamente spiegherò con più precisione nelle diverse proposte d’intervento, che da criticità si possono trasformare in potenzialità, sono la fragilità del territorio costiero, sempre più soggetto a fenomeni franosi, l’abbandono delle attività agricole e quello conseguente dei terrazzamenti e delle colture tradizionali ed il problema della pressione turistica e della diffusione di un turismo negativo che non rispetta l’ambiente e il patrimonio culturale dei luoghi.


161-redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

Procedura della scheda di valurazione Viene individuato l’immobile da sottoporre a valutazione per verificare se la sua origine è abusiva o no. si individua poi il Comune in cui esso si trova e si fa una breve descrizione delle caratteristiche fondamentali del comune. a questo punto si producono planimetrie a diverse scale che individuano la costruzione sul terriotorio e successivamente, dopo aver eseguito un sopralluogo si definiscono piante sezione e prospetti dell’immobile e dell’area circostante.

Definite queste informazioni si prosegue con la definizione della scheda di e l’approfondimento dei vari criteri: -vincoli -tipologie di abuso -dimensioni -reversibilità -proprietà del suolo -incidenza sul contesto (dimensionale) -incidenza sul contesto (ambientale) -fase -occupazione dell’immobile (temporale)

successivamente all’approfondimento dei criteri che ci permettono di valutare diversi aspetti dell’immobile, si compila la scheda finale.

a questo punto abbiamo i mezzi e le possibilità di dare una valutazione approfondita all’immobile, e poi utilizzare queste informazioni per prevedere quando e dove possibile un progetto di recupero o compensazione dell’abuso edilizio. ELABORAZIONE DELLA PROPOSTA D’INTERVENTO


CAPITOLO 4 Verifica progettuale


163 -redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

Nelle pagine che seguono vengono presentati 4 diversi casi di abuso edilizio in Costiera Amalfitana, mostrando tutto il procedimento di valutazione e di progettazione spiegato nel capitolo precedente. Difficile è stato il reperimento d’informazioni specifiche e corrette di questi diversi abusi, non basate su articoli di giornale oppure reperiti in rete, ma che fossero realmente certificati e riconosciuti anche dalle istituzioni competenti. Per questo devo ringraziare infatti la grande disponibilità della Procura di Salerno che mi ha permesso di accedere, sempre in maniera controllata, ad un cospicuo numero di fascicoli riguardanti gli abusi edilizi nei comuni della Costiera Amalfitana, esclusi per motivi di legge quelli ancora in luogo a procedere, da cui poi ho selezionato i quattro casi presenti in questo lavoro. Questa verifica progettuale è un vero e proprio campo di prova dove testare e mostrare il sistema progettuale che si è andato costituendo tenendo sempre presente i diversi aspetti che agiscono su questo delicato territorio: L’aspetto paesaggistico, quello sociale, l’aspetto culturale, gli interessi degli abitanti e l’importante ruolo che devono svolgere le autorità locali in questo delicato ecosistema; sempre con l’intento ed il desiderio di poter esportare questo processo anche in altri territori ed in altre situazioni più o meno delicate del nostro paese dando vita ad una metodologia esportabile e riproducibile in differenti condizioni.


Positano

caso .4

Praiano

Furore

Conca dei Marini

Amalfi

Scala Minori

caso .2 caso .1

Atrani

caso .3

Ravello

Maiori

Tramonti

Cetara

Vietri sul Mare

Salerno


Scheda di Valutazione - Area .1

RAVELLO

Superficie: 7,99 Kmq Altezza s.m.l.: 350 mt Abitanti: 2489 Densità: 311,52 Ab./Kmq

Latitudine: 40° 38’ 55,94’’ Longitudine: 14° 36’ 45,37’’

Comune di collina risalente probabilmente all'alto Medioevo, rinomata stazione balneare ricca di storia e di arte, in cui da secoli gli artigiani si tramandano la raffinata arte della ceramica artistica. Solo una minima parte dei ravellesi, il cui indice di vecchiaia è compreso nella media, risiede in case sparse nell'agro comunale; minuscoli agglomerati urbani (Casabianca, Marmorata, Sambuco e San Cosma), la località di Castiglione e il capoluogo comunale accolgono infatti la fetta più ampia della comunità. L'abitato appare come un terrazzo proteso sul mare: dai suoi belvedere strapiombanti sulla costa, caratterizzata da speroni rocciosi affioranti dalla superficie marina, si apre alla vista non solo tutta la costiera amalfitana ma l'intero golfo di Salerno e la piana di PAESTUM. Il torrente Dragone viene giù dalle pendici del monte Cerreto, coperte da boschi cedui e fustaie di latifoglie a quote elevate, più in basso da colture specializzate. Il capoluogo comunale, adagiato sulla costiera amalfitana a est della valle del torrente Dragone, usufruisce della principale arteria di traffico della zona, vale a dire la strada statale n. 163 Amalfitana, dal tragitto tanto tortuoso quanto panoramico. Piuttosto agevoli sono anche i collegamenti autostradali e ferroviari: l'abitato dista una ventina di chilometri dalla stazione più vicina sulla linea ferroviaria Napoli-Reggio Calabria e dal casello di Vietri sul Mare dell'autostrada Napoli-Reggio Calabria (A3); 75 e 70 chilometri lo separano dall'aeroporto e dal porto commerciale di Napoli, 30 dalle strutture portuali di Salerno e appena 7 da quelle di Amalfi. Il comune, che appartiene alla Comunità montana della penisola amalfitana, dipende per i rapporti con le istituzioni da Amalfi e Salerno; quest'ultima assorbe anche i flussi di consumo ravellesi. Attualmente conta 2489 abitanti ed è suddivisa in 4 localita’: Castiglione, Sambuco, San Cosma e Torello.

RAVELLO

Sito di importanza Comunitaria (SIC)

Zone di Protezione Speciale (ZPS)

Parco Regionale dei Monti Lattari

Riserva Naturale statale valle delle ferriere


Indicatori economici (numero di imprese / aziende per settore e variazioni intercensuali) 2,27%

Industria

1991

2001 5,08%

Indagine valore immobili Commercio

1991

2001 51,67%

Servizi

1991

2001 3070 â‚Ź/mq

0,00%

Artigianato

1991

Abitazioni economiche

Ville

2001 200%

Abitazioni civili Istituzionali

1991

2001 2613 â‚Ź/mq

5,06%

Agricoltura

1990

2000

Indagine demografica 3000

2594 2486

2500

2508 2489 2415

2320

2422 2315

2054 1983

2000 1832

1936 1938 1851

1596 1500

1000

500

0 1861 1871

1881 1901

1911 1921

1931

1936 1951 1961

1971 1981

1991 2001 2011

2600 â‚Ź/mq


Area .1_Caso.1

L’area è sita in Via Grotta Petina del Comune di Ravello in zona periferica rispetto al centro cittadino. Dal punto di vista catastale essa è censita al foglio n.08, mentre urbanisticamente la zona è normata dalle prescrizioni della Legge Regionale n. 35/87 ed è gravata da vincolo sisimico, paesaggistico, idrogeologico oltre che dalle prescrizioni del Parco Regionale dei Monti Lattari.


Descrizione preliminare dell’immobile

Il manufatto edilizio è costituito da due camere che presentano dimensioni pari a 3.75x4.95 mt e 3.75x3.30 mt, mentre il bagno ha dimensioni di 2.50x1.35 mt ed il ripostiglio di 1.15x1.55 mt, che producono una superficie utile di 36.10 mq ed un volume di 108.66 mc. l’edificio è in legno a doghe incastrabili ad accezzione del locale bagno e le divisione interne dei vari ambienti che sono costruite in muratura; la copertura anch’essa realizzata in legno con manto impermiabile ardesiato è costituita da due falde il cui colmo è attestato a quota +3.57 mt mentre la gronda è a quota +2.45 mt. Per quanto riguarda le finiture il manufatto si presenta privo di pavimento e di impianto elettrico ad esclusione del bagno dove invece è stato realizzato l’impianto idrico e la predisposizione iniziale per l’impianto elettrico. Inoltre sul terrazzamento dove è stato edificato il manufatto e su quello sottostante, sono presenti altre opere edilizie: dei camminamenti con pietrame calcareo, opere di sostegno sempre in pietrame calcareo, scale in muratura ed opere di sostegno per le stesse.


Camera

Camera Bagno

Planimetria

Prospetto

Sezione


Criteri e relazioni di valutazione o

UT

P

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Vincoli Piano Urbanistico Territoriale per l’area Sorrentino-Amalfitana L’area in cui si trova l’immobile ricade sotto i vincoli del PUT (Piano Urbanistico Territoriale per l’Area Sorrentino-Amalfitana) che è stato approvato, ai sensi dell’articolo 1/bis della legge 8 agosto 1985, n.431, con la Legge Regionale n.35 del 27.06.1987 (BURC n.40 del 20.07.1987). Questo ha una specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e sottopone a normativa d’uso il territorio dell’Area Sorrentino-Amalfitana; inoltre prevede norme generali d’uso del territorio dell’area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o per l’adeguamento di quelli vigenti. In questo caso particolare la costruzione ricade nella zona Territoriale 1b-Tutela dell' ambiente naturale - 2° grado: Comprende la parte del territorio prevalentemente a manto boscoso o a pascolo, le incisioni dei corsi di acqua, alcune aree a culture pregiate di altissimo valore ambientale. Essa va articolata nei Piani Regolatori Generali in zone di Piano Regolatore, tutte di tutela, ma differenziate in relazione alla preminenza delle istanze in esse contenute o documentate: a) zona di tutela dei terrazzamenti della costiera amalfitana; b) zona di tutela agricola; c) zona di tutela silvo - pastorale; d) zona di tutela idrogeologica e di difesa del suolo. Le indicazioni e la normativa dei Piani Regolatori Generali in particolare: - per le zone di cui alle lettere a), b), c) e d), devono: - assicurare la inedificabilità sia pubblica che privata; - consentire, per l' eventuale edilizia esistente a tutto il 1955, interventi, secondo le norme tecniche di cui al titolo IV di: 1) restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria e demolizione delle superfetazioni; 2) adeguamento funzionale, una tantum, degli alloggi (ai fini della creazione dei servizi igienici) con i seguenti parametri: - dimensione minima dell' alloggio per consentire l' intervento: 30,00 mq di superficie utile netta; - incremento di superficie utile netta, pari al 10% di quella esistente, fino ad un valore massimo di 15,00 mq (per i valori risultanti minori di metri quadrati 6,00 si consente l' arrotondamento sino a tale valore); - consentire, per l' eventuale edilizia esistente e realizzata in epoca successiva al 1955, interventi, secondo le norme tecniche di cui al successivo titolo IV, di sola manutenzione ordinaria; - per le zone di cui alle lettere a) e b) devono: - prevedere la realizzazione delle indispensabili strade interpoderali di cui al precedente articolo 15 che dovranno essere progettate e costruite secondo le norme tecniche di cui al titolo IV; - consentire, nel rispetto delle norme tecniche, di cui al titolo IV, rifacimenti dei muri di sostegno dei terrazzamenti e la costruzione di piccole rampe di collegamento tra i terrazzamenti; - per la zona di cui alla lettera a), devono assicurare la immodificabilità degli esistenti ordinamenti colturali; - per la zona di cui alla lettera b) devono: - consentire la sostituzione degli ordinamenti colturali esistenti con altri appartenenti comunque alla tradizione dell' area; - consentire la realizzazione di stalle, porcilaie etc., connesse con la conduzione dei poderi già dotati di case rurali e nella misura del 15% rispetto al volume di detta casa; - per la zona di cui alla lettera c) devono: - prevedere e/ o consentire la realizzazione, secondo le norme tecniche di cui al successivo titolo IV di stradette forestali; - consentire gli interventi di rimboschimento; - consentire la realizzazione delle indispensabili attrezzature per le attività connesse con la zootecnia e per la lavorazione del latte; - per la zona di cui alla lettera d) devono consentire interventi per la difesa del suolo, nel rispetto delle caratteristiche ambientali.


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COMUNE DI ATRANI

L’area in cui è stato realizzato il manufatto secondo il PRG del comune di Ravello si trova nell’area Ev, questa comprende la zona immediatamente sottostante al belvedere posto al termine del viale dell’Infinito di Villa Cimbrone. In essa vige la normativa più restrittiva per le zone agricole, e cioè quella relativa alla zona Et, integrata dalle seguenti disposizioni. Per il valore neppure quantificabile di questo panorama, sono vietate nuove strade interpoderali e nuove costruzioni di qualsiasi tipo. Particolare attenzione dovrà essere rivolta alle coperture, che dovranno essere obbligatoriamente di tipologie tradizionali: volte tradizionali in lapillo senza coloriture di alcun tipo, oppure tetti in laterizio di colore tradizionale. Tutte le costruzioni o gli elementi di disturbo, come tettoie in lamiera o in materiali plastici, aperture abusive in copertura di finestre tipo “velux”, baracche, depositi di materiale non protetti da pergolati o altro, comignoli in alluminio o simili, e tutti gli altri possibili elementi di disturbo anche se non menzionati, dovranno essere eliminati. Gli impianti di ricezione televisiva dovranno essere centralizzati; non si ammette più di un’antenna per edificio. Non è consentita la installazione di antenne di tipo parabolico situate in posizione visibile dal panorama di Villa Cimbrone, anche se tinteggiate del colore della copertura. Esse dovranno essere collocate in posizione tale da non risultare visibili da tale veduta. Nella zona Ev il piano si attua mediante procedure dirette. Le zone Et comprendono tutte le zone del territorio comunale individuate dalle tavole dell’uso agricolo del suolo, i cui perimetri sono riportati nelle tavole agricole del presente P.R.G., interessate da terrazzamenti e coltivate prevalentemente ad agrumeti e a vigneti, non comprese in zone di P.R.G. di cui agli articoli dal 6.1 al 6.9 e dal 6.13 al 6.21. Possono comprendere pertanto anche le zone agricole integrate o immediatamente limitrofe ai nuclei storici (centro, Torello e Lacco). La loro forte integrazione con il tessuto insediativo testimonia il rapporto tra le modalità di antropizzazione del territorio ed i suoi usi produttivi. La tutela dei tessuti agricoli interessati da terrazzamenti concerne non solo gli ordinamenti colturali, ma anche la struttura morfologica del suolo; tale modalità di tutela prevale pertanto sulla semplice tutela agricola, e quindi le tavole della zonizzazione agricola riportano innanzitutto i perimetri relativi ai suoli terrazzati, sovrapponendoli a quelli dei suoli agricoli classificati di categoria E2. Le destinazioni ammesse sono: - abitazioni agricole; - pertinenze agricole; - allevamenti zootecnici;


L’area dove è stato edificato il manufatto edilizio rientra all’interno del raggio d’azione del PUT della penisola Sorrentino-Amalfitana e in particolare nel comune di Ravello che nel proprio PRG ha poi successivamente classificato e suddiviso il suo territorio. Il Piano Urbanistico Territoriale fornisce delle prescrizioni generiche sul territorio che si trova nell’area 1B, cioè di tutella dell’ambiente di secondo grado, definendo sopratutto come fondamentale il principio per il quale in queste zone bisogna garantire l’inedifcabilità sia pubblica che privata, mentre sugli edifici già presenti precedenti al 1955 prevede solo degli interventi di manutenzione ordinaria e restauro,e su quelli edificati dopo il 1955 solo manutenzione ordinaria. Inoltre in quest aree sono previste norme per le quali devono essere effettuate operazioni di manutenzione dei muri di sostegno delle macere alle rampe di collegamento e sopratutto operazioni e norme per proteggere e conservare le colture presenti nell’area e che le danno un enorme valore. l’edificio sorge quindi in un’area in cui non si potrebbe edificare assolutamente niente ne privato ne pubblico, ma oltretutto viene sottolineato come nell’area vigano severe norme per la cnservazione del delicato ecosistema ambientale. In più il piano regolatore generale del comune di Ravello ci indica che l’immobile si trova in un’area dove vige la norma più restruttiva per le zone agricole dove sono vietate nuove costruzioni di qualsiasi tipo e anche strade interpoderali, con in più uno sguardo molto importante anche all’impatto visivo che le costruzioni già presenti hanno sul contesto, visto l’area di grande pregio paeaggistico in cui si trova. A questo punto si può quindi essere concordi nel dire che il manufatto edilizio che sto analizzando sorge in un’area in cui qualsiasi costruzione è vietata e addirittura qualsiasi modificazione del paesaggio e delle colture presenti è assolutamente proibita, ragioni per cui c’è bisogno di maggiori approfondimenti sugli altri criteri per costruire una completa e realistica valutazione dell’immobile vista l’ importante probabilità che esso possa essere di origine abusiva.


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Vincoli

Vincolo paesistico

Vincoli Paesistici 2001, Legge Galasso

Vincoli Paesistici 2001, PTP

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Vincoli Paesistici, Legge 1947/39

La prima legge organica a livello nazionale inerente la protezione delle bellezze naturali è la L.1497 del 1939 - Norme sulla protezione delle Bellezze Naturali. La legge 1497/39 si basa su di una concezione essenzialmente estetica dell'oggetto paesaggistico e riguarda singoli beni o bellezze d'insieme. Essa si caratterizzava nell'individuare alcune categorie di Bellezze Naturali, in particolare: bellezze individue - cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o geologica / ville parchi, che si distinguono per la non comune bellezza; bellezze d'insieme - complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale / le bellezze panoramiche e sull'imposizione del vincolo che ha come corollario la catagolazione ed il censimento dei beni e del territorio. Si è trattato di una legislazione di grande portata innovativa per l'epoca, ma caratterizzata per un approccio essenzialmente statico e per la tendenza a delineare un concetto di bellezza naturale di tipo estetizzante. Anche a fronte dei ritardi nell'adozione dei Piani Paesaggistici si promulga nel 1985 una legge innovativa, la c.d. Legge Galasso ( L.431/85) che sarà recepita prima dal Testo Unico n.490/99 poi dal vigente Codice Urbani (D.Lgs 42/2004). La Legge Galasso, mantenendo inalterata la disciplina delle Bellezza Naturali della L.1497/1939, opera su due fronti: introduce aree tutelate ex lege dettagliatamente elencate dall'art. 1 (ora recepite all'art. 142 del Codice); demanda alle Regioni, competenti nella materia a seguito della delega delle funzioni operate dallo Stato, la redazione dei Piani Paesaggistici. Nel Maggio 2004 è entrato in vigore il D.Lgs. n.42 recante il titolo " Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio" (c.d. Codice Urbani). Si è quindi fuori dalla tematica dei testi Unici perchè si tratta di un codice, di un testo normativo che, anche quando riproduce fedelmente il disposto di un precedente testo normativo (quale il previgente T.U. 490/99 ), determina, proprio per la sua natura, un effetto innovativo della fonte. Tra i principi generali una importante novità rappresentata dal Codice è costituita dalla introduzione della nozione di patrimonio culturale, quale più ampio genere nel quale devono essere ricondotti i beni culturali ed i beni paesaggistici ( art. 2 c.1). La riconduzione delle due categorie di Beni nella comune nozione di Patrimonio Culturale ha il suo presupposto nel riconoscimento delle affinità tra le due specie assoggettate dai principi generali di cui alla prima parte del Codice stesso. Il Codice inoltre recepisce nella propria disciplina i concetti di Paesaggio così come individuati nella Convenzione Europea del Paesaggio firmata a Firenze nell'anno 2000.


Le Regioni, cui è trasferita la competenza in materia di pianificazione paesaggistica, hanno il compito di sottoporre a specifica normativa d'uso e valorizzazione il territorio tutelato, attraverso la realizzazione dei Piani Territoriali Paesistici Regionali (le cui previsioni sono recepite nei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (PTCP ) e nei Piani comunali), che hanno la finalità di salvaguardare i valori paesaggistici e ambientali, presenti nelle loro realtà territoriali. E nel 2012 è stato approvato il PTCP della provincia di Salerno con specifica tavola di riferimento per i vincoli paesistici dell’intero territorio e nello specifico della Costiera Amalfitana. A questo punto si può notare senza dubbio, come l’immobile preso in esame sia stato edificato in una area che è tutt’ora ed è stata in passato sotto vincolo paesaggistico, per il grande valore paesaggistico e per il valore degli immobili presenti in zona.


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Vincoli

Vincolo idrogeologico INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO Il territorio comunale di Ravello si estende sin nell’entroterra della penisola sorrentina, ricoprendo una stretta dorsale limitata dai corsi del T. Sambuco (ad E) e dal vallone Reginola (ad W) e spingendosi fino alla sommità dei rilievi di Vena Secata (1135 m s.l.m.), Costa S. Pietro (911 m s.l.m.), Montalto (766 m s.l.m.) e Monte Cerreto (1316 m s.l.m.). La suddetta dorsale è invece rappresentata dai rilievi di P.ta del Vento (810 m s.l.m.), Monte Brusale (647 m s.l.m.) e dall’area su cui è ubicato l’abitato di Ravello (362 m s.l.m.). Il tessuto urbano comunale è strutturato in un centro capoluogo, in alcune frazioni (Lacco, S.Martino, Castiglione, Sambuco e Torello) ed altri piccoli nuclei abitati. I terreni affioranti appartengono alla serie mesozoica calcareo-dolomitica del Sistema di Piattaforma Carbonatica e Bacini (CPBS sensu D’Argenio et alii 1993). In particolare sono presenti nel territorio comunale la parte alta di tale successione (Giurassico - Cretacico), di natura essenzialmente calcarea, mentre la parte bassa (Trias), di natura prevalentemente dolomitica, affiora solo nella parte nord orientale del territorio. I terreni più recenti sono rappresentati dai depositi continentali detritici e alluvionali del pleistocene e dell’olocene, oltre che dai depositi sciolti di copertura detritico-piroclastica. L’assetto morfologico dell’area è il risultato di successive fasi di sollevamento tettonico; il paesaggio, pertanto, presenta settori di territorio a diverso grado di maturità morfologica. Il ripiano su cui è ubicato l’abitato di Ravello, correlabile al ripiano di Agerola, testimonia una lunga fase di modellamento successiva alla fase surrettiva avvenuta tra la fine del Miocene e l’inizio del Pliocene. Tale ripiano presenta, ai margini occidentale e meridionale, scarpate dell’ordine delle diecine di metri di altezza alla cui base spesso sono presenti cospicui accumuli di materiale detritico. I versanti hanno un diverso grado di evoluzione: più evoluti e arealmente più estesi quelli esposti a sud e ad est, mentre più acclivi e con numerose pareti subverticali, quelli esposti ad ovest. Il versante orientale della dorsale su cui è ubicato l’abitato di Ravello risulta modellato da numerose incisioni fluviali talvolta con testate vallive molto estese e con notevoli accumuli di materiali incoerenti. Alla base di tali impluvi spesso sono presenti conoidi detritico-alluvionali che testimoniano una evoluzione dei versanti anche attraverso colate detritico-piroclastiche. INQUADRAMENTO IDROGRAFICO I corsi d’acqua principali sono rappresentati dal vallone Reginola che confluisce nel torrente Dragone (codice 0.DR) e dal T. Sambuco (codice 0.SB); tali aste drenanti, che si sviluppano in direzione N-S, sono impostate su importanti lineamenti strutturali. Le linee drenanti secondarie ad andamento prevalente E-W, soprattutto nel tratto medio basso dei due valloni principali, presentano confluenze ortogonali alle aste principali confermando il condizionamento litostrutturale dell’idrografia. I corsi d’acqua principali risultano particolarmente incassati nei terreni del substrato con sezione degli alvei sagomata a “V” e con alcuni tratti riempiti da materiale piroclastico rimaneggiato. Gli impluvi minori, invece, presentano sezioni generalmente più svasate in quanto, quasi sempre, sono riempiti da una spessa coltre di materiale piroclastico in giacitura secondaria. Il regime delle portate è direttamente legato alle precipitazioni meteoriche e subordinatamente alle acque sorgentizie. CRITICITA’ In accordo con l’orientamento assunto per la valutazione dell’assetto idro-geologico del territorio, che prevede di inquadrare la franosità pregressa per ambiti geomorfologici omogenei, le criticità legate ai diversi insediamenti e infrastrutture sono state distinte per tipologia, riunendole nei settori di seguito riportati. Si precisa inoltre che sono da considerarsi critiche tutte le aree indicate nella cartografia di Piano a rischio molto elevato R4 e elevato R3, laddove esse sono riferite a edifici e infrastrutture esistenti e non a previsioni di pianificazione urbanistica non ancora attuate. A. Zona di testata del bacino imbrifero del T. Sambuco : in tale ambito si rilevano numerose colate rapide delle quali diverse sono riferibili all’evento del 1954 e altre, più recenti, al 2005. Esse interessano diffusamente la strada provinciale per il Valico di Chiunzi, strade comunali e, localmente, la frazione Sambuco e gruppi di case sparse. B. Versante ad in destra idrografica del T. Sambuco - Colate rapide hanno interessato tale tratto di versante, caratterizzato inoltre dalla presenza di estese scarpate subverticali. I depositi di copertura presenti sui versanti in località Lacco e S. Croce incombono direttamente sull’abitato di Minori e su diversi edifici sparsi; già in passato eventi di frana si sono innescati nel territorio di Ravello raggiungendo il sottostante territorio di Minori in località Villamena. C. Versante a nord-ovest della dorsale di Ravello - l’area è stata classificata critica per il riconoscimento di diversi eventi di crollo e per la presenza di grandi scarpate subverticali predisponenti ad ulteriori movimenti dello stesso tipo. Sono esposti a rischio alcuni edifici sparsi e la strada provinciale che collega la S.S. 163 con l’abitato di Ravello. D. Versante a sud-est della dorsale di Ravello - La criticità dell’area deriva dalla presenza di una spessa coltre piroclastica lungo il versante e nelle testate degli impluvi minori. In tale area almeno un episodio di colata rapida (loc. San Cosma) ha interessato i depositi presenti in una concavità morfologica con recapito diretto a mare. E. Falesia – Tale morfotipo è rappresentato dalla scarpata costiera che segna tutta la linea di costa comunale. L’elevata acclività e lo stato di fratturazione e alterazione dei litotipi affioranti, costituiscono fattori predisponenti per frane di crollo, talora aggettanti su spiagge frequentate nel periodo estivo.


CLASSIFICAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ P1 -pericolosità moderata- Unita’ territoriale caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi caratterizzati da intensita’ bassa, ovvero di fenomeni di intensita’ media/elevata a magnitudo bassa (volume coninvolto molto limitato), ovvero da fenomeni franosi inattivi di media intensita’. P2 -pericolosita’ media- Unita’ territoriale caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi caratterizzati da intensita’ bassa o da intensita’ elevata, ma magnitudo media, nonchè franosita’ attiva o quiescente, con evidenze di riattivazioni recenti (di epoca storica), comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di ampliamento di frane con massima intensita’ reale o attesa bassa. P3 -pericolosita’ elevata- Unita’ territoriale priva di franosita’ attiva o quiescente,ma caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi con intensita’ e magnitudo elavata, nonchè franosita’ attiva o quiescente, con evidenze di riattivazioni (di epoca storica), comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di ampliamento di frane con massima intensita’ reale o attesa bassa. P4 -pericolosità molto elevata- Aree con franosita’ attiva o quiescente (comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di invasione) di frane con massima intensita’, reale o attesa elevata. Piano per l’assetto idrogeologico

L’edificio abusivo è situato in un’area P3, quindi con elevata pericolosità con franosità alta o media a magnitudo elevata

Gli interventi per la mitigazione della pericolosità e del rischio da frana dovranno prevedere misure strutturali laddove le condizioni di rischio siano riferite a un’area ben definita (es. pareti verticali soggette a crolli, elevati spessori di depositi di copertura lungo i versanti e incombenti su specifiche aree urbanizzate, frane attive o quiescenti in successioni terrigene ecc...); le misure non strutturali possono costituire integrazione e/o completamento delle precedenti e sono da preferire laddove i livelli di pericolosità e rischio sono diversificati all’interno di un ambito morfologico ampio ma ben definito. Di seguito vengono illustarte sinteticamente le mitigazioni strutturali e non strutturali per il riassetto idrogeologico. MISURE NON STRUTTURALI Attivita’ di previsione e sorveglianza (APS) APS1-monitoraggio meteo-idrologico del rischio di frana: Tale misura risulta essere il principale intervento per gli ambiti territoriali interessati da frane di colata rapida, in quanto misure strutturali di tipo intensivo possono risultare non applicabili in areali molto vasti. Essa è da applicare, pertanto, alla scala di bacino idrografico o di ampio settore significativo di territorio (versante). Il monitoraggio meteoidrologico deve rientrare in un quadro complessivo di pianificazione della protezione civile.


L’ubicazione dei pluviometri dovrà integrare la rete esistente, tenendo conto della variabilità della piovosità locale in funzione dell’altitudine e esposizione dei versanti. Dovrà essere prevista la trasmissione in tempo reale delle informazioni al fine di attivare un sistema di ‘allerta rapido’ per l’applicazione delle misure di protezione civile. APS2- monitoraggio di sorveglianza e/o controllo strumentale di frana attiva o quiescente: attraverso misurazioni pluviometriche, inclinometriche, piezometriche ed estensimetriche del fenomeno franoso. La scelta del tipo di monitoraggio più opportuno dovrà essere individuata, in fase di studio, sulla base della tipologia di frana e dei meccanismi evolutivi propri di ogni singolo dissesto. Tale misura è indispensabile per verificare l’efficacia di eventuali interventi strutturali intensivi già realizzati. Regolamentazione dell’uso del suolo nelle aree a rischio (RUS) Regole ben definite riguardo l'utilizzo delle aree a pericolosità da frana sono fondamentali per la riduzione del rischio idro-geologico. Esse riguardano sia le aree urbane, esistenti e di progetto, sia quelle extra-urbane. RUS1- revisione degli strumenti urbanistici vigenti in termini di compatibilità con le condizioni di rischio: potrà essere attuata mediante verifica di compatibilità degli strumenti urbanistici anche mediante studi finalizzati alla riperimetrazione e caratterizzazione dei dissesti e delle aree critiche. RUS2- indirizzi alla programmazione a carattere agricolo-forestale per interventi con finalità di protezione idraulica e idrogeologica: dovrà essere prevista la manutenzione, soprattutto per quanto riguarda l’efficacia dei drenaggi superficiali, delle aree terrazzate a fini agricoli, prevedendone l’eventuale recupero laddove queste dovessero versare in stato di abbandono. Le pratiche e le tecniche colturali, inoltre, dovranno essere finalizzate alla prevenzione degli incendi. RUS3- indirizzi e prescrizioni per la progettazione di opere private, pubbliche e di interesse pubblico secondo criteri di compatibilità con le condizioni di rischio idrogeologico: si richiamano le indicazioni relative all’adeguamento degli strumenti urbanistici, sottolineando che la progettazione di qualsiasi opera non potrà prescindere da una adeguata valutazione di compatibilità idro-geologica. Mantenimento delle condizioni di assetto del territorio e dei sistemi idrografici (MAT) MAT1- manutenzione programmata sui versanti e sulle relative opere di stabilizzazione: mantenimento delle condizioni attuali di assetto del territorio con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria dei versanti (es. disgaggio lungo i costoni rocciosi, rimozione di materiale in condizioni di equilibrio precario) e delle opere di sistemazione presenti (es. rimozione dei sedimenti accumulati in corrispondenza delle briglie). MISURE STRUTTURALI DI TIPO ESTENSIVO (MSE) Gli interventi di tipo estensivo, a carattere permanente e diffuso, riguardano estesi ambiti territoriali e sono finalizzati: a migliorare l'assetto idro-geologico e a prevenire fenomeni di dissesto di versante. Per il conseguimento di tali finalità sono da preferire misure di: MSE1- opere di idraulica forestale sul reticolo idrografico minore; MSE2- riforestazione e miglioramento dell’uso agricolo del suolo a fini di difesa idrogeologica. MISURE STRUTTURALI DI TIPO INTENSIVO (MSI) MSI1- riferite al reticolo idrografico minore e ai versanti, rappresentate da opere con funzione di controllo e contenimento dei fenomeni di dissesto: Tali opere, localizzate e dimensionate in modo opportuno in fase di progettazione esecutiva, dovranno essere diversificate in funzione delle tipologie dei dissesti: Per le frane di crollo, ribaltamento o scorrimento traslativo, l’uso di reti metalliche paramassi, chiodature e tirantature, barriere paramassi consentirebbero un’efficace azione difensiva delle aree minacciate. Dovranno essere previsti contestualmente programmi di manutenzione e verifiche di efficienza e efficacia degli interventi. Per le frane in terreni piroclastici il dimensionamento e la scelta progettuale delle opere da effettuare dovrà, ovviamente, tenere conto delle caratteristiche locali della singola zona di intervento, in particolar modo degli spessori di copertura. La tipologia delle opere da effettuare per il riassetto delle aree di innesco potrebbe essere così articolata: canalette inerbite, palizzate o palificate, drenaggi superficiali e/o sotterranei (trincee), risagomature del versante, muri, gabbionate, rimboschimento.


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Vincoli

Vincolo sismico Per ridurre gli effetti del terremoto, l’azione dello Stato si è concentrata sulla classificazione del territorio, in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato, e sull’applicazione di speciali norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche. La legislazione antisismica italiana, allineata alle più moderne normative a livello internazionale prescrive norme tecniche in base alle quali un edificio debba sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e senza crollare i terremoti più forti, salvaguardando prima di tutto le vite umane. Sino al 2003 il territorio nazionale era classificato in tre categorie sismiche a diversa severità. I Decreti Ministeriali emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1981 ed il 1984 avevano classificato complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, che corrispondono al 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione. Nel 2003 sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo. ZONA 1 - La zona più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti. ZONA 2 - Comuni inseriti in questa zona possono verificarsi terremoti abbastanza forti. ZONA 3 - Comuni inseriti in questa zona possono essere soggetti a scuotimenti modesti. ZONA 4 - E' la zona meno pericolosa. Di fatto, sparisce il territorio “non classificato”, che diviene zona 4, nel quale è facoltà delle Regioni prescrivere l’obbligo della progettazione antisismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su roccia (zona 1=0.35 g, zona 2=0.25 g. zona 3=0.15 g, zona 4=0.05 g). SUDDIVISIONE DELLE ZONE SISMICHE IN RELAZIONE ALL’ACCELERAZIONE DI PICCO SU TERRENO RIGIDO (OPCM 3519/06). Zona sismica 1 - ag >0.25 Zona sismica 2 - 0.15< ag <0.25 Zona sismica 3 - 0.05< ag <0.15 Zona sismica 4 - ag <0.05

L’edificio preso in esame, come già detto precedentemente, si trova nel comune di Ravello che come tutti i comuni della Costiera Amalfitana e la penisola Sorrentina, comprese le isole si trovano in Zona sisimica 3 (dati dalla classificazione sisimica del 2012 della protezione civile) quindi caratterizzata dalla possibilita’ di avere scuotimenti modesti. Ad ogni modo in Italia le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008), hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e quindi territorio comunale – precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico da utilizzare per il calcolo delle azioni sismiche.


Dal 1 luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera (Indica il numero di anni durante i quali una struttura deve poter essere usata per lo scopo per cui è stata progettata; questo parametro, previsto dalle Norme Tecniche per le Costruzioni, condiziona l'entità delle azioni sismiche di progetto; per le costruzioni ordinarie, la vita nominale considerata è ≥ 50 anni). Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 km di lato, indipendentemente dai confini amministrativi comunali. La classificazione sismica (zona sismica di appartenenza del comune) rimane utile solo per la gestione della pianificazione e per il controllo del territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio civile, ecc.). Inoltre le nuove norme hanno anche stabilito un iter per il calcolo strutturale più completo e sicuro, infatti le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo tale da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle presenti norme. La sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazione agli stati limite che si possono verificare durante la vita nominale. Stato limite è la condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata. In particolare le opere e le varie tipologie strutturali devono possedere i seguenti requisiti: - sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possano compromettere l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali e sociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera; - sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio; - robustezza nei confronti di azioni eccezionali: capacità di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità delle cause innescanti quali incendio, esplosioni, urti. Il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso e il superamento di uno stato limite di esercizio può avere carattere reversibile o irreversibile. Per le opere esistenti è possibile fare riferimento a livelli di sicurezza diversi da quelli delle nuove opere ed è anche possibile considerare solo gli stati limite ultimi. La durabilità, definita come conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali e delle strutture, proprietà essenziale affinché i livelli di sicurezza vengano mantenuti durante tutta la vita dell’opera, deve essere garantita attraverso una opportuna scelta dei materiali e un opportuno dimensionamento delle strutture, comprese le eventuali misure di protezione e manutenzione. I prodotti ed i componenti utilizzati per le opere strutturali devono essere chiaramente identificati in termini di caratteristiche meccanico-fisico-chimiche indispensabili alla valutazione della sicurezza e dotati di idonea qualificazione. I materiali ed i prodotti, per poter essere utilizzati nelle opere previste dalle presenti norme, devono essere sottoposti a procedure e prove sperimentali di accettazione. Le prove e le procedure di accettazione sono definite nelle parti specifiche delle presenti norme riguardanti i materiali. La fornitura di componenti, sistemi o prodotti, impiegati per fini strutturali, deve essere accompagnata da un manuale di installazione e di manutenzione da allegare alla documentazione dell’opera. I componenti, sistemi e prodotti, edili od impiantistici, non facenti parte del complesso strutturale, ma che svolgono funzione statica autonoma, devono essere progettati ed installati nel rispetto dei livelli di sicurezza e delle prestazioni dettati dalle norme.


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Vincoli

Vincolo Parco regionale Il comune di Ravello nella sua totale estensione ricade all’interno del Parco Regionale dei Monti Lattari, quindi anche la ristretta area che in questo momento ho preso in considerazione e dove si trova questo immobile. In particolare questa porzione di territorio situata lungo la parete collinare che dal centro storico di Ravello scende fino al mare, fa parte della zona B del Parco dei Monti Lattari cioè “area di riserva generale orientata e di protezione”.

PARCO REGIONALE DEI MONTI LATTARI

Tramonti

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Ravello

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Furore Praiano

Atrani

Conca dei Marini

Area di riserva controllata

Area di riserva generale

Area di riserva Integrale

Nella zona B oltre alle prescrizioni generali valide su tutto il territorio del Parco e contenute nelle norme generali di salvaguardia per il parco dettate dalla Regione Campania, ne sono presenti altre specifiche per le “area di riserva generale orientata e di protezione” quali: -ATTIVITA’ SPORTIVE E‘ vietato lo svolgimento delle attivita’ sportive con veicoli a motore di qualsiasi genere. -PROTEZIONE DELLA FAUNA E‘vietata l’introduzione di nuove specie animali e vegetali estranee all’ambiente naturale, fatti salvi gli interventi connessi alla normale conduzione delle attivita’ agro-zootecniche e silvo-pastorali. E‘vietata la pesca negli specchi e nei corsi d’acqua, fatta salva quella con singola canna nel rispetto delle specie e dei tempi stabiliti da calendari annuali. -PROTEZIONE DELLA FLORA ED ATTIVITA’ AGRONOMICHE E SILVO-PASTORALESono ammesse e regolamentate secondo gli usi tradizionali, le attivita’ agro-silvo-pastorali, artigianali, turistiche e ricreative finalizzate ad un corretto utilizzo del parco. Sono ammessi e regolamentati gli interventi previsti nei piani di assetto forestale, diretti alla conservazione, alla tutela ed al ripristino della flora e della fauna. Sono ammesse e regolamentate le attivita’ agricole con impianti arboree e frutticoli esistenti nelle zone vincolate,


consentendone l’ampliamento compatibilmente con la tutela del paesaggio. Sono ammessi e regolamentati i rimboschimenti con essenze autoctone, arbicoltura da legno, operazioni di fronda e di potatura necessarie per le attivita’ agricole. Sono ammesse e regolamentate opere antincendio, incluse le poste tagliafuoco, lavori di difesa forestale e di regimazione e sistemazione di corse d’acqua, sistemazione delle pendici, di conservazione del suolo con sistemi naturali. Sono ammesse e regolamentate opere di trasformazione di cedui castanili in castagneto da frutto e l’impianto ex novo di castagneti da frutto compatibilmente con la tutela del paesaggio. Fermo restando le prescrizioni di cui alle norme generali nella zona è consentito il taglio colturale e produttivo. -CIRCOLAZIONE E’ consentita la circolazione, fuori dai percorsi stradali, dei veicoli a motore per i mezzi necessari allo scavo, al restauro ed alla sistemazione delle strutture connesse alle attivita’ del Parco e per i mezzi necessari alle normali attivita’ di sorveglianza e soccorso. -INFRASTRUTTURE IMPIANTISTICHE E’ consentita l posa di cavi e tubazioni interrati per reti di distribuzione dei servizi di pubblico interesse, comprese le opere igienico-sanitarie che non comportino danni per le alberature di alto fusto né la modifica permanente della morfologia del suolo; cabine di trasformazione elettrica; tutti gli interventi che comunque non interessano l’asoetto esterno dell’edificio; piccoli serbatoi per uso idropotabile; adeguamento di impianti tecnici alle norme di sicurezza; opere per l’eliminazione delle barriere architettoniche. -USO DEL SUOLO Sono consentiti interventi volti alla conservazione ed alla ricostruzione del verde nonchè delle zone boscate secondo l’applicazione dei princicpi fitosociologici. Sono consentiti interventi di prevenzione dagli incendi. Sono consentiti interventi di risanamento e restauro ambientale per l’eliminazione di strutture e di infrastrutture in contrasto con l’ambiente, di cartelloni pubblicitai e di altri detrattori ambientali. Sono consentiti interventi di sistemazione ed adeguamento della viabilita’ pedonale e carrabile. E’ consentita realizzazione di piste ciclabili utilizzando percorsi esistenti. -TUTELA DEL PATRIMONIO EDILIZIO E DISCIPLINA EDILIZIA E’ consentito l’adeguamento igienico funzionale delle case rurali esistenti fino al raggiungimento degli indici fondiari stabiliti dall’art.1, comma 8 al titolo II (Direttive e paramentri di pianificazione) della L:R: 14/82. Le attrezzature e le pertinenze rurali possono essere incrementate entro il limite del 20% dei volumi esistenti con il vincolo della destinazione. Secondo gli usi tradizionali, le utilizzazioni e le attivita’ produttive di tipo agro-silvo-pastorale, compresa realizzazione di piccole strutture strettamente connesse alle attivita’ agricole ed alla commercializzazione di prodotti tipici locali.Le strutture da realizzare non possono superare dimensioni di mt. 5x6 per essicatoi e mt. 4x4 per altri usi e non possono essere contigue; anche non in conformita’ alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti. Sono inoltre consetite nuove attivita’ artiginali, nonchè agrituristiche ricettive, purchè compatibili con l’equilibrio ambientale e con la capacita’ di carico dei sistemi naturali. In ogni caso occorre preventivo parere dell’Ente Parco che deve pronunciarsi entro 90 giorni dalla data di ricezione della richiesta. Sono consentite le attivitˆ agrituristiche e artigianali, purchè compatibili con l’equilibrio ambientale e con la capacita’ di carico dei sistemi naturali, tramite il recupero del patrimonio edilizio esistente con opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro, risanamento conservativo e ristruttrazione edilizia da effettuarsi secondo le prescrizioni generali. E’ consentito l’ampliamento della volumetria esistente entro il massimo del 10% per l’adeguamento igienico, con esclusione degli immobili di valore storico-artistico ed ambientale-paesistico. E’ consentita la recinzione delle propieta’ private salvaguardando il passaggio della fauna minore; è consentita la continuazione di esercizio dei campeggi organizzati gia’ esistenti nelle aree destinate a tale scopo ed appositamente attrezzate. E’ consentita la realizzazione di attrezzature pubbliche comunali e territoriali, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, nei limiti dei seguenti paramentri: rapporto di copertura pari a 1/10 della superficie fondiaria e altezza massima 8 metri, purchè compatibili con l’esigenza della tutela paesistica e con il rispetto dei punti di vista panoramici e previo parere vincolante dell’Ente Parco.

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Vincoli Vincolo di procedura Come per ogni costruzione sul territorio della regione Campania e di tutta la nazione, per poter eseguire delle opere edilizie di qualsiasi tipo, devono essere ottenuti presso gli istituti competenti una serie di autorizzazioni e permessi che permettono alla costruzione di essere poi realizzata. Ovviamente senza queste autorizzazioni nessun progetto si può realizzare legalmente e quindi passando all’immobile preso in cosiderazione in questo momento la situazione riguardo i vincoli di procedura risulta la seguente: -Commesso le opere di costruzione senza la preventiva redazione di un progetto e senza la direzione di un tecnico abilitato ed iscritto nel relativo albo nei limiti delle rispettive competenze. (art.110 c.p. e agli artt.64 e 71 D.P.R. n° 380/2001).


-Iniziato la costruzione delle opere senza aver fatto precedente richiesta allo Sportello Unico del comune di Ravello. (art.110 c.p. e agli artt. 65 e 72 D.P.R. n°380/2001). -Eseguito i lavori in zona sismica senza darne preavviso scritto allo Portello Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest’ultimo ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico descrittivi per le zone sismiche. (art.110 c.p. e agli artt.93 e 95 D.P.R. n°380/2001). -Realizzato opere in una zona sottoposta come abbiamo gia citati precedentemente, sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, senza la prescritta autorizzazione. (art.110 c.p. e agli artt. 146 e 181 D.L.vo 42/04, già art. 163 D.L.vo 490/99, in relazione all’art.44 lett. c) D.P.R. 380/01).

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Tipologie di abuso

Abuso residenziale seconda casa Dopo diversi controlli effettuati anche dalle autorita’ competenti è stato verificato che la proprietaria dell’immobile preso in esame in questa sede, oltre, come descritto nelle fasi precedenti, essere stato costruito senza alcun tipo di autorizzazione istituzionale e in aree protette da diversi vincoli, risulta anche essere stato edificato con l’intenzione di diventare un’unita’ immobiliare da utilizzare come seconda casa, casa vacanza per uso personale della propietaria e non solo, visto anche la dichiarata e verificata residenza della stessa ne in Loc. Grotta Petina, ne nel comune di Ravello e neanche nella provincia di Salerno, ma invece residente a Napoli. Questa situazione ci porta a definire il probabile abuso edilizio, come un “abuso residenziale seconda casa”.

Abuso per difforme uso del territorio Oltre ad un abuso residenziale come seconda casa, possiamo aggiungere anche un’altra tipologia di abuso, quella per “difforme uso del territorio”. Come gia’ descritto infatti nella descrizione dell’immobile, oltre alla modificazione stessa sul territorio fatta dall’edificio, sono state effettuate opere riguardanti scale di collegamento tra terrazzamenti e opere di pavimentazione dei percorsi di collegamento, che modificano ancora più profondamente l’aspetto e la natura stessa dell’ambiente in cui sorge l’edificio.

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Dimensioni

Macroabusivismo Come in altri capitoli del mio lavoro di tesi ho gia’ detto, ho deciso di differenziare l’edificio abusivo secondo un criterio dimensionale riguardo la percentuale della parte abusiva dell’immobile, in Microabusivismo e Macroabusivismo. In questo caso particolare siamo in presenza di un manufatto completamente abusivo (100%), in più anche l’area circostante vede la presenza di opere realizzate abusivamente, proprio per questo motivo ho deciso di inserire questo caso nella cerchia dei Macroabusi, dove non c’è alcuna possibilita’ che la modifcazione apportata dall’edificio sul territorio, possa essere in alcun modo assorbita con piccole direttive o linee guida indicate dal Comune di Ravello al contesto, come invece accade per gli episodi di Microabusivismo.

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Reversibilità Materiale parzialmente reversibile Il manufatto, si compone di due camere, un servizio igienico e di un locale ripostiglio/ deposito, il tutto per un totale circa di 40 mq. L’immobile ad esclusione del locale bagno che presenta parti in muratura, così come le divisioni interne tra i vari ambienti, sono in legno a doghe incastrabili; stesso materiale è stato utilizzato per gli infissi. La copertura anche’essa realizzata in legno, con sovrastante manto impermiabile in asfalto ardesiato, presenta due falde il cui colmo in intradosso è stato assestato a +3.57 mt dal tavolato di legno, mentre alla gronda si ha un’altezza di 2.45 mt


Per quanto riguarda le finiture, il manufatto risulta privo di pavimentazione e di impianto elettrico ad esclusione del bagno dove invece è stato realizzato l’impianto idrico e la predisposizione all’impianto elettrico; Inoltre si sottolinea anche la predisposizione di attacco idrico all’interno della camera d’ingresso. Inoltre nell’area circostante abbiamo la presenza di camminamenti realizzate con lastre di pietrame e di scale con murature in pietrame calcareo.

Come si può vedere da questa immagine dell’immobile il materiale più utilizzato è sicuramente il legno a doghe incastrabili, mentre come ho giˆ detto precedentemente all’interno della costruzioni c’è la presenza di alcune parti in muratura. Secondo una mia personale analisi, siamo in presenza di materiale parzialmente reversibile, infatti il legno utilizzato è un materiale sicuramente sostenibile e che si adatta molto bene al contesto ambientale in cui il manufatto è inserito ed anche nel caso di un ipotetico abbattimento, è un materiale che può essere facilmente riutilizzato per altre costruzioni o per altre opere all’interno del comune di Ravello. Le parti in muratura che risultano essere interne alla costruzione, invece risultano essere meno sostenibili, sia dal punto di vista ambientale, da quello costruttivo e da quello dello smaltimento cosi’ come i camminamenti e le scale di collegamento costruiti in muratura che non rispecchiano nemmeno le tecniche costruttive utilizzate da sempre sui terrazzamenti della costiera amalfitana per connetterle.

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Proprietà del suolo Verificato dalle istituzioni competenti e avvagliato anche da documenti scritti, il terreno su cui sorge il manufatto preso in esame risulta proprietà privata della stessa persona che poi ha progettato ed iniziato i lavori per la costruzione del piccolo edificio e delle opere di connessione e camminamento sui terrazzamenti, risultante però residente a Napoli e non nel comune di Ravello.


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Incidenza sul contesto (dimensionale) L’area complessiva su di una cui parte poi è stato realizzato il manufatto si estende per circa 2.000 mq suddivisi in due terrazzamenti nella località di Grotta Petina nel comune di Ravello, in un area periferica rispetto al centro abitato e situata sul versante che da villa Cimbrone scende fino al mare. Sicuramente rispetto al terreno proprietà privata l’edificio in se risulta di dimensioni abbastanza ridotte, visto i suo 110mc di volume, non è da sottovalutare comunque l’impatto che le scale di collegamento tra i due terrazzamenti e poi i vari percorsi pavimentati presenti, hanno sull’ambiente circostante, visto il materiale con cui sono stati costruiti e l’impatto dimensionale visto che devono connettere due piani che hanno un dislivello di circa 3,50 mt. Questo tipo di indagine visivo e di ragionamento dimensionale mi inducono quindi a definire l’incidenza sul contesto “parziale”, perchè certo l’immobile ha una dimensione tutto sommato ridotta, ma l’intervento non si riduce solo al singolo immobile, ma si estende su tutto la proprietà come abbiamo visto quindi presentando un incidenza che non si può assolutamente definire bassa. Inoltre il manufatto risulta visibile, anche se parzialmente mitigato dall presenza di vegetazione anche dagli altri terrazzamenti, motivo in più che mi ha portato ha valutare come di medio livello la sua incidenza sul territorio circostante, di una delicatezza inestimabile.

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Questo criterio racchiude diverse tipologie di valutazione alcune già illustrate in precedenza che poi successivamente mi hanno portato ha definire sostenibile l’incidenza ambientale sul contesto della costruzione che sto analizzando. L’area in cui sorge si trova all’interno del Parco Regionale dei Monti lattari che racchiude al suo interno una grandissima varietà di flora e fauna che fanno della Costiera Amalfitana uno dei territori più belli del nostro paese: L’albero di Lobe, la Betula Verrucosa, il Carrubo, lo Stramonio, una grande varietà di funghi, l’Assiolo, l’Averla, il Biancone, il Falco pecchiaiolo, solo per citarne alcuni esempi ed inoltre come in diverse altre aree della costa vengono coltivati sui terrazzamenti, simbolo della trasformazione del territorio per mano degli abitanti durante il corso della storia come equilibrata collaborazione tra uomo e natura, i prodotti tipici della costiera poi esportati in tutto il mondo, Limoni, viti, frutteti e oliveti. Vista la delicatezza del territorio in cui ci troviamo il manufatto risulta relativamente sostenibile, grazie alla sua struttura quasi completamente in legno e alle sue ridotte dimensioni, mentre le scale ed i camminamenti visto la loro composizione nella maggior parte cementizia non lo sono assolutamente, infatti il pericolo più grande per questi terrazzamenti oltre all’edificazione di nuovi muretti in cemento, al pericoli di crolli, agli smottamenti e frane è il consumo del suolo agricolo e la cementificazione del territorio.


Dal punto di vista visivo il manufatto anche se comunque visibile si introduce in maniera moderata nell’ambiente, mitigato anche dalla presenza di alberi di grandi dimensioni nelle sue vicinanze. Le sue dimensioni ridotte come gia’ detto, ma allo stesso tempo il materiale usato per il 90% della costruzione e cioè il legno, conferiscono all’edificio una leggerezza insita che permette anche alla struttura della macera di sostenerne la presenza senza provacare smottamenti o crolli che potrebbero intaccarne la stabilità. Viste le appena citate considerazioni può essere inteso come sostenibile dal punto di vista ambientale nel contesto in cui è inserito, e all’interno di un discorso di possibile riconversione, avrebbe diversi elementi a suo favore per poter partecipare e favorire il processo di recupero del territorio in cui è situato.

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Fase L’edificio sia nella struttura interna che in quella esterna è completamente finito, anche gli infissi sono stati già montati così come le divisione degli ambienti interni, così come è stato realizzato già nel bagno l’impianti idrico e predisposto quello elettrico, l’unica cosa che manca è il pavimento interno e l’impianto elettrico e termico. Anche le opere esterne al manufatto sono completate nella loro interezza, quindi l’edificio può essere definito come “finito”. i ato ma cup oc

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Occupazione dell’immobile (temporale) L’immobile come da accertamenti non risulta mai essere stato occupato, quindi la sua destinazione d’uso di seconda casa o alloggio turistico non è stata mai messa in atto.


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Proposta d’intervento - Area .1

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Centro storico Completamento satura e non satura Espansione Zone produttive

Zona d’interesse collettivo Turistico-Ricettivo

Elementi antropici Comune di Ravello


Proposta d’intervento - Area .1_caso.1 Dopo aver all’interno della scheda di valutazione di questo primo caso, sito in via Grotta Petina nel comune di Ravello, analizzato diversi aspetti riguardanti l’immobile stesso e l’area in cui è stato edificato ora posso trarne diverse e interessanti conclusioni che mi porteranno poi alla definizione di una proposta d’intervento secondo l’ipotetico iter procedurale che ho descritto nel capitolo precedente e che sta al centro del mio lavoro di ricerca. Come ho esplicato in precedenza il manufatto si trova nel comune di Ravello in un’erea lontano dal centro cittadino ed è costituito da due locali che presentano dimensioni pari a 3.75x4.95 mt e 3.75x3.30 mt, un bagno che ha dimensioni di 2.50x1.35 mt ed un ripostiglio di 1.15x1.55 mt, che producono una superficie utile di 36.10 mq ed un volume di 108.66 mc. l’edificio è in legno a doghe incastrabili ad accezzione del locale bagno e le divisione interne dei vari ambienti che sono costruite in muratura; la copertura anch’essa realizzata in legno con manto impermiabile ardesiato è costituita da due falde il cui colmo è attestato a quota +3.57 mt mentre la gronda è a quota +2.45 mt. Per quanto riguarda le finiture il manufatto si presenta privo di pavimento e di impianto elettrico ad esclusione del bagno dove invece è stato realizzato l’impianto idrico e la predisposizione iniziale per l’impianto elettrico. Inoltre sul terrazzamento dove è stato edificato il manufatto e su quello sottostante, sono presenti altre opere edilizie: dei camminamenti con pietrame calcareo, opere di sostegno sempre in pietrame calcareo, scale in muratura ed opere di sostegno per le stesse. Dall’approfondito studio svolto attraverso diversi criteri di valutazione è emerso come l’immobile preso in esame sia situato all’interno di una porzione di territorio definita da Piano Territoriale Urbanistico come di “tutela dell’ambiente di 2° grado”, dove quindi non si può assolutamente edificare nessuna tipologia di costruzione sia pubblica che privata e dove sono ammesse solo opere di manutenzione per gli edifici già presenti; anche il P.R.G. del comune di Ravello definisce questa come una zona di grande valore, infatti l’area in cui è stato realizzato il manufatto viene classificata come Ev, questa comprende la zona immediatamente sottostante al belvedere posto al termine del viale dell’Infinito di Villa Cimbrone; in essa vige la normativa più restrittiva per le zone agricole, e cioè quella relativa alla zona Et dove la tutela dei tessuti agricoli interessati da terrazzamenti concerne non solo gli ordinamenti colturali, ma anche la struttura morfologica del suolo e che quindi prevede operazioni importanti di manutenzione delle colture esistenti per la loro conservazione e di sistemazione dei terrazzamenti che hanno un’importanza fondamentale nell’ecosistema della Costiera Amalfitana sotto diversi aspetti. Come approfondito nelle valutazioni si nota che l’edificio abusivo si trova in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico ormai da diversi anni, situazione confermata dal protrarsi di questo vincolo in diverse leggi che si sono succedute nel tempo; inoltre risulta essere anche un’area sottoposta a vincolo iderogeologico, con un livello di rischio P3 elevato e di vincolo sismico. Ad aumentare ancora la gravita’ dell’abuso è il fatto che il manufatto si trova all’interno del Parco Regionale dei Monti Lattari, come gran parte del territorio della Costiera Amalfitana ed oltretutto in un’area che è definita di “ riserva generale” dove vigono diverse regolamentazioni e divieti che interessano soprattutto la tutela della fauna del Parco che è davvero molto numerosa ed interessante, la tutela della flora e della attività agronomiche e silvo-pastorali che in questo territorio sono bene radicate che svolgono fin da quando l’uomo è presente in questa porzione di territorio un’importanza a dir poco fondamentale; Inoltre sono previste anche prescrizioni per la difesa e manutenzione del suolo ed in particolare dei terrazzamenti e le vie di comunicazione. Per effettuare qualsiasi operazione di costruzione, quando possibile, su quest’area quindi ci sarebbe bisogno di diversi permessi, autorizzazioni e procedure da seguire, mentre chi ha costruito il manufatto abusivo ha completamento ignorato queste prescrizioni ignorando assolutamente le autorità e quindi operando: -Senza un progetto e senza la direzione di un tecnico abilitato ed iscritto nel relativo albo nei limiti delle rispettive competenze. -Senza aver fatto precedente richiesta allo Sportello Unico del comune di Ravello. -Eseguito i lavori in zona sismica senza darne preavviso scritto allo Portello Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest’ultimo ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico descrittivi per le zone sismiche. -Realizzato opere in una zona sottoposta come abbiamo gia citati precedentemente, sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, senza la prescritta autorizzazione. La costruzione sita in via Grotta Petina inoltre è risultata essere come già ampiamente spiegato un “abuso residenziale seconda casa” e un “abuso per difforme uso del territorio” elementi che aggravano ancora di più la sua posizione in quanto il manufatto era previsto per essere utilizzato come seconda casa oppure come abitazione per uso turistico (la pressione turistica su questi delicati territori è elevatissima e crea molti problemi), visto anche che la residenza del proprietario risulta essere situata nel comune di Napoli; oltretutto se non fosse abbastanza che già l’edificio stesso provoca una forte modificazione dell’equilibrio dell’area i lavori e le modificazioni riguardano attraverso camminamenti e scale tutta la porzione di terrazzamenti interni alla proprietà privata. Il materiale con il quale è costruito l’edificio e con cui sono stati fatti gli altri lavori risulta dall’analisi definibile come parzialmente reversibile in previsione di un possibile processo di riutilizzo o smaltimento; la costruzione si può considerare terminata se non per le finiture interne ed una parte degli impianti e non è mai stata occupata come risulta dai sopralluoghi delle autorità competenti. Le valutazioni per quanto riguarda invece l’incidenza sul contesto sia dimensionale che ambientale sono rispettivamente “parziale” per il primo e “sostenibile” per il secondo, e la loro importanza emergerà poi successivamente.


A questo punto al processo di valutazione critica dell’immobile abusivo ormai concluso e che ha fornito importanti e specifiche informazioni, subentra la vera e propria azione sull’edificio e sull’area su cui esso è stato costruito. Visto il carattere abusivo dell’opera e le importanti verificate aggravanti che emergono dai criteri riassunti precedentemente il comune di Ravello procede con il sequestro dell’intera porzione di territorio, anche se proprietà privata e del manufatto stesso, oltre ad accusare il proprietario di diversi reati commessi e che saranno causa di un processo ai suoi danni e che seguirà l’iter previsto dalla legge. Definito quindi il sequestro, il comune deve decidere come operare e cosa fare dell’edificio e dell’area di sua pertinenza. Le strade che si prospettano sono diverse, ma la decisione deve a mio parere tenere conto delle valutazioni emerse durante il lavoro di analisi ed inoltre fattore ancora più importante deve rientrare in una visione più ampia di tutela del territorio che non si riduca alla sola azione sanzionatoria per i reati di abusivismo edilizio. La possibilità infatti è quella di poter, a seconda delle particolari situazioni e valutazioni dei diversi casi, elaborare un progetto di compensanzione alternativo che ha come obbiettivo fondamentale quello di dare vita a degli interventi che pongono al primo posto il patrimonio culturale e paesaggistico dell’area cercando col il riutilizzo, se possibile, degli edifici abusivi, la sistemazione del suolo ed altre soluzioni innovative di compensazione dell’abuso, di innescare ed introdurre in questo contesto un processo di “tutela attiva” del territorio attraverso il quale i cittadini possono recuperare la consapevolezza del loro ambiente e delle grandi potenzialità che esso offre.


La costruzione non è abitata perchè risulta essere stata costruita con l’intento di essere adibita a seconda casa inoltre l’area dove è stato costruito il manufatto comprende più terrazzamenti che per la maggior parte della loro estensione sono abbandonati, le connessioni tra le macere sono già presenti, così come un sistema di camminamenti, per i quali però è stato utilizzato un materiale non sostenibile. Il legno con doghe incastrabili invece è il materiale utilizzato per la struttura dell’edificio, leggero ed ecologico. sono presenti inoltre nell’area già elementi e predisposizioni per la coltivazioni di limoni e vite. L’area complessiva su di una cui parte poi è stato realizzato il manufatto si estende per circa 2.000 mq suddivisi in due terrazzamenti; sicuramente rispetto al terreno proprietà privata l’edificio in se risulta di dimensioni abbastanza ridotte, visto i suo 110mc di volume, non è da sottovalutare comunque l’impatto che le scale di collegamento tra i due terrazzamenti e poi i vari percorsi pavimentati presenti, hanno sull’ambiente circostante, visto il materiale con cui sono stati costruiti e l’impatto dimensionale visto che devono connettere due piani che hanno un dislivello di circa 3,50 mt. L’immobile ha una dimensione tutto sommato ridotta, ma l’intervento non si riduce solo al singolo immobile, ma si estende su tutto la proprietà come abbiamo visto quindi presentando un incidenza che non si può assolutamente definire bassa. L’area in cui sorge si trova all’interno del Parco Regionale dei Monti lattari che racchiude al suo interno una grandissima varietà di flora e fauna che fanno della Costiera Amalfitana uno dei territori più belli del nostro paese: L’albero di Lobe, la Betula Verrucosa, il Carrubo, lo Stramonio, una grande varietà di funghi, l’Assiolo, l’Averla, il Biancone, il Falco pecchiaiolo, solo per citarne alcuni esempi ed inoltre come in diverse altre aree della costa vengono coltivati sui terrazzamenti, simbolo della trasformazione del territorio per mano degli abitanti durante il corso della storia come equilibrata collaborazione tra uomo e natura, i prodotti tipici della costiera poi esportati in tutto il mondo, Limoni, viti, frutteti e oliveti. Vista la delicatezza del territorio in cui ci troviamo il manufatto risulta relativamente sostenibile, grazie alla sua struttura quasi completamente in legno e alle sue ridotte dimensioni, mentre le scale ed i camminamenti visto la loro composizione nella maggior parte cementizia non lo sono assolutamente, infatti il pericolo più grande per questi terrazzamenti oltre all’edificazione di nuovi muretti in cemento, al pericoli di crolli, agli smottamenti e frane è il consumo del suolo agricolo e la cementificazione del territorio. Le sue dimensioni ridotte come gia’ detto, ma allo stesso tempo il materiale usato per il 90% della costruzione e cioè il legno, conferiscono all’edificio una leggerezza insita che permette anche alla struttura della macera di sostenerne la presenza senza provacare smottamenti o crolli che potrebbero intaccarne la stabilità.

Intervento Il Comune dopo aver sequestrato l’area e il manufatto edilizio, ridefinisce tutto l’amibito territoriale. Questa situazioni costituisce un’occasione fondamentale per l’attuazione di un azione di recupero delle colture tradizionali che vengono abbandonate ogni giorno di più, conseguentemente subentra un’azione di tutela e recupero del paesaggio della costiera ed infine è possibile sviluppare attività di educazione ambientale allo scopo di rendere i cittadini consapevoli del patrimonio di storia, cultura e biodiversità. L’idea quindi recuperare i terrazzamenti facenti parti dell’area e dopo un’attenta manutenzione degli stessi, predisporre la coltivazioni del Limone e della vite secondo le tecniche tradizionali che li hanno resi oggi prodotti origine controllata e protetta, richiesti ed esportati in tutto il mondo.

Manutenzione dei Terrazzamenti Il paesaggio dei terrazzamenti della Costiera Amalfitana è un paesaggio agrario storico, che sin all’Alto Medioevo è stato parte integrante di questa parte della costa salernitana, il cui territorio è caratterizzato da un’accentuata acclività con alti costoni rocciosi che, attraverso profondi valloni, invalicabili pareti calcaree e vertiginosi strapiombi, scendono velocemente verso il mare. Gli abitanti, sin dal Medioevo, cercarono subito di appropriarsi delle migliori aree coltivabili iniziando un intenso sviluppo di colture redditizie, grazie al sistema dei terrazzamenti, quali quella del castagno, della vite, dei frutteti e, soprattutto, dei limoni. ‘Terrazzamento’ non è solo la muratura di sostegno, il terreno da essa contenuto, le coltivazioni, le opere idriche, ma “una tecnica tradizionale complessa frutto di conoscenze costruttive, idrauliche ed agrarie, applicate in perfetta comprensione delle caratteristiche idrogeologiche e climatiche, capace di utilizzare in modo appropriato le risorse ambientali e prevenirne i rischi creando un sistema che si auto regola, dotato di elevata qualità estetica e di integrazione con il paesaggio”


Questi sono gli elementi che costituiscono e caratterizzano il sistema dei terrazzamenti della costiera amalfitana: - i muretti a secco detti localmente ‘macere’; - i terrazzi detti anche ‘piazzole’; - il sistema di irrigazione: - i canali; - le ‘peschiere’ o vasche di raccolta delle acque; - i castagneti; - le pertiche in legno per il sostegno delle piante di limone - le reti di protezione delle piante; - i muretti divisori in pietra; - le scalette di collegamento tra i vari terrazzi; - la teleferica o la monorotaia. I muri a secco e, in genere i terrazzamenti, sono un vero e proprio bene monumentale per le caratteristiche dei materiali e della messa in opera tradizionale: sono depositari di un sapere antico che ci ricorda come un tempo si lavorasse la pietra, come si captassero le acque dei fiumi e quali fossero le tecniche di coltivazione e di protezione dei suoli. La mancata manutenzione dei terrazzamenti e l’abuso edilizio che si verifica su queste aree provoca diversi rischi di alterazione quali: edificazione di nuovi muretti in cemento; pericoli di crolli, smottamenti e frane; consumo del suolo agricolo; alterazioni delle colture originarie; cementificazione. Nell’ambito specifico della Costiera Amalfitana, i terrazzamenti sono strettamente legati alla coltivazione dei limoni (lo sfusato amalfitano) ed alla creazione di marchi di Indicazione Geografica Protetta (IGP). Anche le tecniche di coltivazione e potatura e gli strumenti utilizzati per la crescita delle piante di limone (come i pali di castagno e le tecniche antichissime utilizzate per il sostegno e la crescita delle piante), costituiscono un patrimonio culturale unico.

Il nome della varietà Sfusato Amalfitano, che dà luogo alla Indicazione Geografica Protetta “Limone Costa d’Amalfi”, racchiude due caratteristiche importanti: la forma affusolata del frutto, da cui il termine “sfusato”, e la zona in cui si è venuto, col tempo, a differenziare: la Costiera Amalfitana. Il “Limone Costa d’Amalfi” IGP è un prodotto dalle caratteristiche molto pregiate e rinomate: la buccia è di medio spessore, di colore giallo particolarmente chiaro, con un aroma e un profumo intensi grazie alla ricchezza di oli essenziali e terpeni (carattere ritenuto di pregio per la produzione del liquore di limoni). La polpa è succosa e moderatamente acida, con scarsa presenza di semi. E’ inoltre un limone di dimensioni medio-grosse (almeno 100 grammi per frutto). Da studi recenti dell'Università degli Studi di Napoli Federico II si è venuti a conoscenza che questa varietà di limone è tra le più ricche in assoluto in acido ascorbico, la nota vitamina C. Il “Limone Costa d’Amalfi” IGP è considerato, commercialmente, un prodotto di eccellenza, sia per il mercato del fresco che per la produzione del celebre “limoncello”, che qui come a Sorrento e a Capri ha trovato la sua area di elezione. La coltivazione tipica a terrazzamenti, lungo i versanti acclivi della Costiera, con la copertura delle piante attraverso le famosissime “pagliarelle” (oggi sostituite dalle più pratiche reti ombreggianti), contribuisce a conferire quelle caratteristiche uniche e di pregio al “Limone Costa d’Amalfi” IGP e a rendere famosi nel mondo i suoi mitici “giardini”. La raccolta avviene più volte l'anno, per il fenomeno tipico nei limoni del polimorfismo, anche se la produzione di maggior pregio si ottiene nel periodo primaverile-estivo, compreso tra marzo e fine luglio.


La zona di produzione del Costa D’amalfi individua 13 comuni, tutti in provincia di Salerno, caratterizzati da ambienti naturali di eccezionale bellezza e da arditi terrazzamenti, spesso a picco sul mare o in anguste gole, quasi sempre irraggiungibili, se non lungo ripidi e tortuosi scalini; ogni ripiano, ogni maceria, che oggi ospita un vigneto, è stato letteralmente rubato alle rocce, mediante la costruzione di muri a secco, il trasporto di terreno a spalla e il duro lavoro dell'uomo. Da questa superba gradinata, coltivata a vigna e a limone, dove i gusti e i profumi degli agrumi e della flora mediterranea si mescolano con la salsedine marina, si ottengono i vini della Costa d'Amalfi, che inevitabilmente imprigionano gli aromi, i sentori di queste terre. Se ne conoscono tre tipi, il Furore, il Ravello e il Tramonti, prodotti nei rispettivi areali di coltivazione. La base varietale è strettamente legata alla tradizione, essendo imperniata, per i tipi rossi, su Piedirosso, Sciascinoso e Aglianico, e, per i tipi bianchi, su Falanghina e Biancolella; ma rilevante è anche l'apporto di numerosi vitigni locali minori, dalle rese contenute,- la Ginestra, la Pepella, la Biancazita o la Bincatenera, ecc. - che contribuiscono a conferire ai vini spiccata personalità e accentuata originalità.

Questo permette inoltre la tutela paesaggista del luogo e di ridurre il pericolo di frane per abbandono dei terrazzamenti; seguendo questo processo è possibile pensare poi alla ridefinizione della funzione del manufatto edilizio: la struttura essendo stata costruita in legno può essere mantenuta, vanno invece aggiunti pannelli solari ed altri più minuti accorgimenti(mini eolico) in modo da rendere l’edificio completamente sostenibile e utilizzare solo fonti rinnovabili. A questo punto è possibile in collaborazione con le attività agricole presenti nella zona, le associazioni culturali e il comune stesso di creare delle attività di educazione ambientale per insegnare e far conoscere i prodotti della propria terra e le tecniche di coltivazione utilizzate, è possibile inoltre costituire anche delle attività pratiche. Inoltre l’area essendo posta in una zona ideale e con una vista privilegiata potrebbe essere posta all’interno del sistema già esistente dei sentieri che si distribuiscono in tutta la Costiera Amalfitana.

b Z recupero dell’edificio adibito a centro per l’educazione ambientale

Prospetto

utilizzo di materiali ecologici e di fonti rinnovabili

Punto di vista

W Sezione

operazioni di manutenzione per ridurre le frane



Area .1_Caso.2

L’area è sita in Località Grotta Petina del Comune di Ravello in zona periferica rispetto al centro cittadino. La zona è normata dalle prescrizioni della Legge Regionale n. 35/87 ed è gravata da vincolo sisimico, paesaggistico, idrogeologico oltre che dalle prescrizioni del Parco Regionale dei Monti Lattari.


Descrizione preliminare dell’immobile

Il manufatto edilizio è di circa 63 mq con copertura in lamiera grecata chiuso lateralmente su tre lati da pareti in blocchi di lapil cemento e su di un lato da macera di contenimento con un’altezza minima di 3.15 mt e messima di 3.70 mt. L’edificio presenta tre porte finistre, una finestra, una porta d’ingresso ed è sprovvisto di impianti elettrici, termici ed idrici. La costruzione inoltre è completamente occultata da teloni di colore nero usati per la copertura dei limoneti.


Locale Locale

Planimetria

Prospetto

Sezione


Criteri e relazioni di valutazione

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Vincoli Piano Urbanistico Territoriale per l’area Sorrentino-Amalfitana L’area in cui si trova l’immobile ricade sotto i vincoli del PUT (Piano Urbanistico Territoriale per l’Area Sorrentino-Amalfitana) che è stato approvato, ai sensi dell’articolo 1/bis della legge 8 agosto 1985, n.431, con la Legge Regionale n.35 del 27.06.1987 (BURC n.40 del 20.07.1987). Questo ha una specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e sottopone a normativa d’uso il territorio dell’Area Sorrentino-Amalfitana; inoltre prevede norme generali d’uso del territorio dell’area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o per l’adeguamento di quelli vigenti. In questo caso particolare la costruzione ricade nella zona Territoriale 1b-Tutela dell' ambiente naturale - 2° grado: Comprende la parte del territorio prevalentemente a manto boscoso o a pascolo, le incisioni dei corsi di acqua, alcune aree a culture pregiate di altissimo valore ambientale. Essa va articolata nei Piani Regolatori Generali in zone di Piano Regolatore, tutte di tutela, ma differenziate in relazione alla preminenza delle istanze in esse contenute o documentate: a) zona di tutela dei terrazzamenti della costiera amalfitana; b) zona di tutela agricola; c) zona di tutela silvo - pastorale; d) zona di tutela idrogeologica e di difesa del suolo. Le indicazioni e la normativa dei Piani Regolatori Generali in particolare: - per le zone di cui alle lettere a), b), c) e d), devono: - assicurare la inedificabilità sia pubblica che privata; - consentire, per l' eventuale edilizia esistente a tutto il 1955, interventi, secondo le norme tecniche di cui al titolo IV di: 1) restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria e demolizione delle superfetazioni; 2) adeguamento funzionale, una tantum, degli alloggi (ai fini della creazione dei servizi igienici) con i seguenti parametri: - dimensione minima dell' alloggio per consentire l' intervento: 30,00 mq di superficie utile netta; - incremento di superficie utile netta, pari al 10% di quella esistente, fino ad un valore massimo di 15,00 mq (per i valori risultanti minori di metri quadrati 6,00 si consente l' arrotondamento sino a tale valore); - consentire, per l' eventuale edilizia esistente e realizzata in epoca successiva al 1955, interventi, secondo le norme tecniche di cui al successivo titolo IV, di sola manutenzione ordinaria; - per le zone di cui alle lettere a) e b) devono: - prevedere la realizzazione delle indispensabili strade interpoderali di cui al precedente articolo 15 che dovranno essere progettate e costruite secondo le norme tecniche di cui al titolo IV; - consentire, nel rispetto delle norme tecniche, di cui al titolo IV, rifacimenti dei muri di sostegno dei terrazzamenti e la costruzione di piccole rampe di collegamento tra i terrazzamenti; - per la zona di cui alla lettera a), devono assicurare la immodificabilità degli esistenti ordinamenti colturali; - per la zona di cui alla lettera b) devono: - consentire la sostituzione degli ordinamenti colturali esistenti con altri appartenenti comunque alla tradizione dell' area; - consentire la realizzazione di stalle, porcilaie etc., connesse con la conduzione dei poderi già dotati di case rurali e nella misura del 15% rispetto al volume di detta casa; - per la zona di cui alla lettera c) devono: - prevedere e/ o consentire la realizzazione, secondo le norme tecniche di cui al successivo titolo IV di stradette forestali; - consentire gli interventi di rimboschimento; - consentire la realizzazione delle indispensabili attrezzature per le attività connesse con la zootecnia e per la lavorazione del latte; - per la zona di cui alla lettera d) devono consentire interventi per la difesa del suolo, nel rispetto delle caratteristiche ambientali.


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COMUNE DI ATRANI

L’area in cui è stato realizzato il manufatto secondo il P.R.G. del comune di Ravello si trova nell’area 1/b e cioè area di tutela dell’ambiente di 2° grado, come già descritto nel P.U.T. in precedenza e a cui il P.R.G. fa assoluto riferimento. Tale zona comprende la maggior parte del territorio comunale, dalla fascia costiera, includendo il nucleo storico di Castiglione, alle zone montuose interne. In base alle indicazioni del P.U.T., essa deve articolarsi in zone di tutela di P.R.G., in base alla prevalenza delle sue caratteristiche. Fermo restando che, come si evince dalle tavole geologiche, tutto il territorio richiede di essere considerato oggetto di tutela dal punto di vista idrogeologico e della difesa del suolo, il piano individua come zone da sottoporre a tutela idrogeologica (denominate Ei) non solo le fasce di rispetto dei torrenti Dragone e Regina Maior, ma anche tutti gli impluvi naturali, nei quali non è possibile realizzare alcun manufatto che ostacoli il deflusso delle acque. Il piano ritiene di individuare all’interno della zona di P.U.T. le seguenti sottozone di P.R.G., individuate tenendo conto delle tavole dell’uso agricolo del suolo: - zona Et: agricola di tutela dei terrazzamenti della costiera amalfitana; - zona Ea: agricola di tutela; - zona Esp: agricola di tutela silvo- pastorale; quando queste zone di P.R.G. confinano direttamente con aree che ricadono in diverse zone di P.U.T. ma che presentano la medesima conformazione, vengono ad esse estese. - zona Ev: agricola di tutela speciale; - zone B1: di tutela; - zone F; - zona Fsp: zona da sottoporre a specifico piano- spiaggia; - zona Fr: zone di riqualificazione ecologica (Torrente Dragone, stoccaggio rifiuti); - zona G1: zona destinata a servizi sanitari di scala territoriale; - zona G3: zona destinata ad impianto di depurazione di valenza extra- comunale. Come si può vedere dalla seguente mappa dell’uso agricolo del suolo, il manufatto architettonico sorge in un’area 2, sistemata prevalentemente a ciglioni e terrazzamenti e quindi nella zona Et del P.R.G., quella che viene definita “area agricola di tutela dei terrazzamenti della costiera amalfitana”.


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COMUNE DI ATRANI

Le zone Et comprendono tutte le zone del territorio comunale individuate dalle tavole dell’uso agricolo del suolo, i cui perimetri sono riportati nelle tavole agricole del presente P.R.G., interessate da terrazzamenti e coltivate prevalentemente ad agrumeti e a vigneti, non comprese in zone di P.R.G. di cui agli articoli dal 6.1 al 6.9 e dal 6.13 al 6.21. Possono comprendere pertanto anche le zone agricole integrate o immediatamente limitrofe ai nuclei storici (centro, Torello e Lacco). La loro forte integrazione con il tessuto insediativo testimonia il rapporto tra le modalità di antropizzazione del territorio ed i suoi usi produttivi. La tutela dei tessuti agricoli interessati da terrazzamenti concerne non solo gli ordinamenti colturali, ma anche la struttura morfologica del suolo; tale modalità di tutela prevale pertanto sulla semplice tutela agricola, e quindi le tavole della zonizzazione agricola riportano innanzitutto i perimetri relativi ai suoli terrazzati, sovrapponendoli a quelli dei suoli agricoli classificati di categoria E2. Le destinazioni ammesse sono: - abitazioni agricole; - pertinenze agricole; - allevamenti zootecnici; - attività di agriturismo; - impianti tecnologici a scala territoriale. In tale zona se ricadente in Zona Territoriale 1B non è consentita la sostituzione degli ordinamenti colturali. Nelle zone Et non è consentita alcuna edificazione né pubblica né privata. E’ consentito, previa autorizzazione del il Responsabile del Servizio, il rifacimento dei muri di sostegno dei terrazzamenti obbligatoriamente con paramenti in pietra calcarea a faccia vista senza stilatura dei giunti e la costruzione di piccole rampe di collegamento tra i terrazzamenti. Gli interventi sul tessuto edificato esistente sono i medesimi previsti nelle zone B2 di cui alla presente normativa. E’ altresì consentita: - la realizzazione delle rampe di collegamento tra i terrazzamenti di larghezza non superiore ai mt 2,20; gli eventuali muri di sostegno dovranno essere realizzati obbligatoriamente con paramenti in pietra calcarea a faccia vista senza stilatura dei giunti; - la realizzazione della viabilità interpoderale indispensabile, esclusivamente in battuto, secondo progetti dettagliati e redatti in scala non inferiore a 1:500 che rappresentino esattamente e compiutamente la morfologia del suolo, con sezione non superiore a mt 1.80, con andamento longitudinale tale da limitare al massimo sbancamenti e riporti, con eventuali muri di sostegno realizzati obbligatoriamente con paramenti in pietra calcarea a faccia vista senza stilatura dei giunti e con piazzole di interscambio a distanza non inferiore a mt 200 e collocate in corrispondenza di idonee conformazioni del suolo atte ad evitare sbancamenti o riporti.


Inoltre, le strade dovranno essere interrotte almeno ogni 100 mt da rampe con pendenza minima del 25% realizzate secondo le prescrizioni di cui al punto precedente, che permettano alla strada di collegare i vari terrazzamenti disposti a quote diverse. Tale interruzione dovrà essere collocata ad una distanza di ml 10 dalla strada di comunicazione principale a cui la strada interpoderale si collega. La realizzazione delle stradette non deve assolutamente variare il regime delle acque per cui dovranno presentare sezione trasversale con pendenza rivolta verso valle. Inoltre è fatto divieto assoluto di disporre al limite a valle cordoli, muretti e simili manufatti che concentrino il flusso delle acque in determinati punti . E’ ammessa, previa autorizzazione il Responsabile del Servizio, l’installazione temporanea di teleferiche per il trasporto di prodotti agricoli o di materiali (pali, reti, concimi, ecc.) per le attività agrumicole o viticole. Le modalità di intervento sul tessuto connettivo (territorio agricolo e silvo- pastorale), sugli impianti tecnologici di interesse generale e per la difesa del suolo e del paesaggio sono descritti negli articoli ad essi dedicati nella presente normativa. Nelle zone Et il piano si attua mediante procedure dirette. Allo stesso tempo come già citato precedentemente sono ammesse in queste aree anche gli interventi sull’edificato presente previsti pe le zone B2 che qui di seguito descrivero sinteticamente: Sugli immobili compresi all’interno della zona B2 di cui sia documentata l’esistenza al 1955 sono consentite esclusivamente operazioni di manutenzione ordinaria, restauro o risanamento conservativo, contemplanti l’intera unità edilizia, e le aree contermini libere, anche se aventi ad oggetto opere volte alla eliminazione delle barriere architettoniche; recinzioni, muri di cinta e cancellate; sistemazione di aree libere da manufatti edilizi; opere interne che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti, e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile; revisione o installazione di impianti tecnologici (questi potranno essere collocati in nuovi volumi tecnici, purché interrati ed opportunamente mimetizzati. In alternativa, i volumi esistenti destinati ad adeguamenti tecnologici possono essere recuperati, laddove possibile, utilizzando i sottotetti); parcheggi di pertinenza nel sottosuolo su cui insiste il fabbricato o nel sottosuolo di aree pertinenziali, non direttamente sottostanti al fabbricato, purché non comportino la distruzione di essenze arboree di pregio in superficie. Sugli immobili compresi all’interno della zona B2 di edificazione successiva al 1955 sono consentiti interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, ristrutturazione edilizia, demolizione parziale. La nuova edificazione e nuovo impianto, intervento su ruderi è ammessa solo ai fini pubblici. Non è consentito in nessun caso l’intervento di ristrutturazione urbanistica, in quanto l’impianto del tessuto ha di per sé valore storico. Riassumendo sinteticamente l’area in località Grotta Petina del comune di Ravello in cui sorge la costruzione edilizia che abbiamo in questo secondo caso preso in cosiderazione, ricade nuovamente nella zona 1/b del P.U.T. della penisola Sorrentino-Amalfitana, che come abbiamo ricordato più volte indica la presenza di un’area di tutela dell’ambiente di 2° grado e che quindi prevede diverse prescrizioni. Inoltre il Piano Regolatore Generale ci ricorda che tutta l’area del Comune di Ravello è da considerarsi come una zona da sottoporre a tutela idrogeologica e di cui successivamente approfondiremo alcuni aspetti. Altra cosa importante è che il P.R.G. definisce delle norme specifiche per le aree agricole di tutela dei tezzammenti della Costiera Amalfitana ed è proprio su uno di queste macere che sorge il manufatto architettonico di cui sto parlando, in questi casi quindi il piano regolatore inpone il divieto di edificare qualsiasi tipo di costruzione sia pubblica che privata mentre è possibile compiere delle opere per conservare e ricostituire i muri di sotegno dei terrazzamenti, seguendo pero’ delle specifiche direttive tecniche, cosi’ come la realizzazione di rampe di collegamento tra le macere. Inoltre ogni tipo di modificazione ha bisogno di una specifica autorizzazzione rilasciata da parte dell’autorita’ competente, senza la quale qualsiasi operazione viene logicamente definite illegale. Per quanto riguarda le operazione che possono avvenire sul patrimonio edificato esistente prima del 1955 queste si riduco alla manutenzione ordinaria ed a restauro o risanamento conservativo, mentre per quelle realizzate dopo il 1955 viene autorizzata la manutenzione ordinaria, straordinaria ristrutturazione edilizia e demolizione parziale, la nuova edificazione però è permessa solo per motivi pubblici. Anche in questa situazione ho bisogno di approfondire gli altri criteri di valutazione e gli altri vincoli presenti nell’area per valutare nel miglior modo possibile la relazione che ha questo edificio con il contesto ambientale e con quello delle norme e delle autorizzazioni territoriali.


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Vincoli

Vincolo paesistico

Vincoli Paesistici 2001, Legge Galasso

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Vincoli Paesistici, Legge 1947/39

La prima legge organica a livello nazionale inerente la protezione delle bellezze naturali è la L.1497 del 1939 - Norme sulla protezione delle Bellezze Naturali. La legge 1497/39 si basa su di una concezione essenzialmente estetica dell'oggetto paesaggistico e riguarda singoli beni o bellezze d'insieme. Essa si caratterizzava nell'individuare alcune categorie di Bellezze Naturali, in particolare: bellezze individue - cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o geologica / ville parchi, che si distinguono per la non comune bellezza; bellezze d'insieme - complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale / le bellezze panoramiche e sull'imposizione del vincolo che ha come corollario la catagolazione ed il censimento dei beni e del territorio. Si è trattato di una legislazione di grande portata innovativa per l'epoca, ma caratterizzata per un approccio essenzialmente statico e per la tendenza a delineare un concetto di bellezza naturale di tipo estetizzante. Anche a fronte dei ritardi nell'adozione dei Piani Paesaggistici si promulga nel 1985 una legge innovativa, la c.d. Legge Galasso ( L.431/85) che sarà recepita prima dal Testo Unico n.490/99 poi dal vigente Codice Urbani (D.Lgs 42/2004). La Legge Galasso, mantenendo inalterata la disciplina delle Bellezza Naturali della L.1497/1939, opera su due fronti: introduce aree tutelate ex lege dettagliatamente elencate dall'art. 1 (ora recepite all'art. 142 del Codice); demanda alle Regioni, competenti nella materia a seguito della delega delle funzioni operate dallo Stato, la redazione dei Piani Paesaggistici. Nel Maggio 2004 è entrato in vigore il D.Lgs. n.42 recante il titolo " Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio" (c.d. Codice Urbani). Si è quindi fuori dalla tematica dei testi Unici perchè si tratta di un codice, di un testo normativo che, anche quando riproduce fedelmente il disposto di un precedente testo normativo (quale il previgente T.U. 490/99 ), determina, proprio per la sua natura, un effetto innovativo della fonte. Tra i principi generali una importante novità rappresentata dal Codice è costituita dalla introduzione della nozione di patrimonio culturale, quale più ampio genere nel quale devono essere ricondotti i beni culturali ed i beni paesaggistici ( art. 2 c.1). La riconduzione delle due categorie di Beni nella comune nozione di Patrimonio Culturale ha il suo presupposto nel riconoscimento delle affinità tra le due specie assoggettate dai principi generali di cui alla prima parte del Codice stesso. Il Codice inoltre recepisce nella propria disciplina i concetti di Paesaggio così come individuati nella Convenzione Europea del Paesaggio firmata a Firenze nell'anno 2000.


Le Regioni, cui è trasferita la competenza in materia di pianificazione paesaggistica, hanno il compito di sottoporre a specifica normativa d'uso e valorizzazione il territorio tutelato, attraverso la realizzazione dei Piani Territoriali Paesistici Regionali (le cui previsioni sono recepite nei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (PTCP ) e nei Piani comunali), che hanno la finalità di salvaguardare i valori paesaggistici e ambientali, presenti nelle loro realtà territoriali. E nel 2012 è stato approvato il PTCP della provincia di Salerno con specifica tavola di riferimento per i vincoli paesistici dell’intero territorio e nello specifico della Costiera Amalfitana. A questo punto si può notare senza dubbio, come l’immobile preso in esame sia stato edificato in una area che è tutt’ora ed è stata in passato sotto vincolo paesaggistico, per il grande valore paesaggistico e per il valore degli immobili presenti in zona.


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Vincoli

Vincolo idrogeologico INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO Il territorio comunale di Ravello si estende sin nell’entroterra della penisola sorrentina, ricoprendo una stretta dorsale limitata dai corsi del T. Sambuco (ad E) e dal vallone Reginola (ad W) e spingendosi fino alla sommità dei rilievi di Vena Secata (1135 m s.l.m.), Costa S. Pietro (911 m s.l.m.), Montalto (766 m s.l.m.) e Monte Cerreto (1316 m s.l.m.). La suddetta dorsale è invece rappresentata dai rilievi di P.ta del Vento (810 m s.l.m.), Monte Brusale (647 m s.l.m.) e dall’area su cui è ubicato l’abitato di Ravello (362 m s.l.m.). Il tessuto urbano comunale è strutturato in un centro capoluogo, in alcune frazioni (Lacco, S.Martino, Castiglione, Sambuco e Torello) ed altri piccoli nuclei abitati. I terreni affioranti appartengono alla serie mesozoica calcareo-dolomitica del Sistema di Piattaforma Carbonatica e Bacini (CPBS sensu D’Argenio et alii 1993). In particolare sono presenti nel territorio comunale la parte alta di tale successione (Giurassico - Cretacico), di natura essenzialmente calcarea, mentre la parte bassa (Trias), di natura prevalentemente dolomitica, affiora solo nella parte nord orientale del territorio. I terreni più recenti sono rappresentati dai depositi continentali detritici e alluvionali del pleistocene e dell’olocene, oltre che dai depositi sciolti di copertura detritico-piroclastica. L’assetto morfologico dell’area è il risultato di successive fasi di sollevamento tettonico; il paesaggio, pertanto, presenta settori di territorio a diverso grado di maturità morfologica. Il ripiano su cui è ubicato l’abitato di Ravello, correlabile al ripiano di Agerola, testimonia una lunga fase di modellamento successiva alla fase surrettiva avvenuta tra la fine del Miocene e l’inizio del Pliocene. Tale ripiano presenta, ai margini occidentale e meridionale, scarpate dell’ordine delle diecine di metri di altezza alla cui base spesso sono presenti cospicui accumuli di materiale detritico. I versanti hanno un diverso grado di evoluzione: più evoluti e arealmente più estesi quelli esposti a sud e ad est, mentre più acclivi e con numerose pareti subverticali, quelli esposti ad ovest. Il versante orientale della dorsale su cui è ubicato l’abitato di Ravello risulta modellato da numerose incisioni fluviali talvolta con testate vallive molto estese e con notevoli accumuli di materiali incoerenti. Alla base di tali impluvi spesso sono presenti conoidi detritico-alluvionali che testimoniano una evoluzione dei versanti anche attraverso colate detritico-piroclastiche. INQUADRAMENTO IDROGRAFICO I corsi d’acqua principali sono rappresentati dal vallone Reginola che confluisce nel torrente Dragone (codice 0.DR) e dal T. Sambuco (codice 0.SB); tali aste drenanti, che si sviluppano in direzione N-S, sono impostate su importanti lineamenti strutturali. Le linee drenanti secondarie ad andamento prevalente E-W, soprattutto nel tratto medio basso dei due valloni principali, presentano confluenze ortogonali alle aste principali confermando il condizionamento litostrutturale dell’idrografia. I corsi d’acqua principali risultano particolarmente incassati nei terreni del substrato con sezione degli alvei sagomata a “V” e con alcuni tratti riempiti da materiale piroclastico rimaneggiato. Gli impluvi minori, invece, presentano sezioni generalmente più svasate in quanto, quasi sempre, sono riempiti da una spessa coltre di materiale piroclastico in giacitura secondaria. Il regime delle portate è direttamente legato alle precipitazioni meteoriche e subordinatamente alle acque sorgentizie. CRITICITA’ In accordo con l’orientamento assunto per la valutazione dell’assetto idro-geologico del territorio, che prevede di inquadrare la franosità pregressa per ambiti geomorfologici omogenei, le criticità legate ai diversi insediamenti e infrastrutture sono state distinte per tipologia, riunendole nei settori di seguito riportati. Si precisa inoltre che sono da considerarsi critiche tutte le aree indicate nella cartografia di Piano a rischio molto elevato R4 e elevato R3, laddove esse sono riferite a edifici e infrastrutture esistenti e non a previsioni di pianificazione urbanistica non ancora attuate. A. Zona di testata del bacino imbrifero del T. Sambuco : in tale ambito si rilevano numerose colate rapide delle quali diverse sono riferibili all’evento del 1954 e altre, più recenti, al 2005. Esse interessano diffusamente la strada provinciale per il Valico di Chiunzi, strade comunali e, localmente, la frazione Sambuco e gruppi di case sparse. B. Versante ad in destra idrografica del T. Sambuco - Colate rapide hanno interessato tale tratto di versante, caratterizzato inoltre dalla presenza di estese scarpate subverticali. I depositi di copertura presenti sui versanti in località Lacco e S. Croce incombono direttamente sull’abitato di Minori e su diversi edifici sparsi; già in passato eventi di frana si sono innescati nel territorio di Ravello raggiungendo il sottostante territorio di Minori in località Villamena. C. Versante a nord-ovest della dorsale di Ravello - l’area è stata classificata critica per il riconoscimento di diversi eventi di crollo e per la presenza di grandi scarpate subverticali predisponenti ad ulteriori movimenti dello stesso tipo. Sono esposti a rischio alcuni edifici sparsi e la strada provinciale che collega la S.S. 163 con l’abitato di Ravello. D. Versante a sud-est della dorsale di Ravello - La criticità dell’area deriva dalla presenza di una spessa coltre piroclastica lungo il versante e nelle testate degli impluvi minori. In tale area almeno un episodio di colata rapida (loc. San Cosma) ha interessato i depositi presenti in una concavità morfologica con recapito diretto a mare. E. Falesia – Tale morfotipo è rappresentato dalla scarpata costiera che segna tutta la linea di costa comunale. L’elevata acclività e lo stato di fratturazione e alterazione dei litotipi affioranti, costituiscono fattori predisponenti per frane di crollo, talora aggettanti su spiagge frequentate nel periodo estivo.


CLASSIFICAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ P1 -pericolosità moderata- Unita’ territoriale caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi caratterizzati da intensita’ bassa, ovvero di fenomeni di intensita’ media/elevata a magnitudo bassa (volume coninvolto molto limitato), ovvero da fenomeni franosi inattivi di media intensita’. P2 -pericolosita’ media- Unita’ territoriale caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi caratterizzati da intensita’ bassa o da intensita’ elevata, ma magnitudo media, nonchè franosita’ attiva o quiescente, con evidenze di riattivazioni recenti (di epoca storica), comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di ampliamento di frane con massima intensita’ reale o attesa bassa. P3 -pericolosita’ elevata- Unita’ territoriale priva di franosita’ attiva o quiescente,ma caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi con intensita’ e magnitudo elavata, nonchè franosita’ attiva o quiescente, con evidenze di riattivazioni (di epoca storica), comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di ampliamento di frane con massima intensita’ reale o attesa bassa. P4 -pericolosità molto elevata- Aree con franosita’ attiva o quiescente (comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di invasione) di frane con massima intensita’, reale o attesa elevata. Piano per l’assetto idrogeologico

L’edificio abusivo è situato in un’area P3, quindi con elevata pericolosità con franosità alta o media a magnitudo elevata

Gli interventi per la mitigazione della pericolosità e del rischio da frana dovranno prevedere misure strutturali laddove le condizioni di rischio siano riferite a un’area ben definita (es. pareti verticali soggette a crolli, elevati spessori di depositi di copertura lungo i versanti e incombenti su specifiche aree urbanizzate, frane attive o quiescenti in successioni terrigene ecc...); le misure non strutturali possono costituire integrazione e/o completamento delle precedenti e sono da preferire laddove i livelli di pericolosità e rischio sono diversificati all’interno di un ambito morfologico ampio ma ben definito. Di seguito vengono illustarte sinteticamente le mitigazioni strutturali e non strutturali per il riassetto idrogeologico. MISURE NON STRUTTURALI Attivita’ di previsione e sorveglianza (APS) APS1-monitoraggio meteo-idrologico del rischio di frana: Tale misura risulta essere il principale intervento per gli ambiti territoriali interessati da frane di colata rapida, in quanto misure strutturali di tipo intensivo possono risultare non applicabili in areali molto vasti. Essa è da applicare, pertanto, alla scala di bacino idrografico o di ampio settore significativo di territorio (versante). Il monitoraggio meteoidrologico deve rientrare in un quadro complessivo di pianificazione della protezione civile.


L’ubicazione dei pluviometri dovrà integrare la rete esistente, tenendo conto della variabilità della piovosità locale in funzione dell’altitudine e esposizione dei versanti. Dovrà essere prevista la trasmissione in tempo reale delle informazioni al fine di attivare un sistema di ‘allerta rapido’ per l’applicazione delle misure di protezione civile. APS2- monitoraggio di sorveglianza e/o controllo strumentale di frana attiva o quiescente: attraverso misurazioni pluviometriche, inclinometriche, piezometriche ed estensimetriche del fenomeno franoso. La scelta del tipo di monitoraggio più opportuno dovrà essere individuata, in fase di studio, sulla base della tipologia di frana e dei meccanismi evolutivi propri di ogni singolo dissesto. Tale misura è indispensabile per verificare l’efficacia di eventuali interventi strutturali intensivi già realizzati. Regolamentazione dell’uso del suolo nelle aree a rischio (RUS) Regole ben definite riguardo l'utilizzo delle aree a pericolosità da frana sono fondamentali per la riduzione del rischio idro-geologico. Esse riguardano sia le aree urbane, esistenti e di progetto, sia quelle extra-urbane. RUS1- revisione degli strumenti urbanistici vigenti in termini di compatibilità con le condizioni di rischio: potrà essere attuata mediante verifica di compatibilità degli strumenti urbanistici anche mediante studi finalizzati alla riperimetrazione e caratterizzazione dei dissesti e delle aree critiche. RUS2- indirizzi alla programmazione a carattere agricolo-forestale per interventi con finalità di protezione idraulica e idrogeologica: dovrà essere prevista la manutenzione, soprattutto per quanto riguarda l’efficacia dei drenaggi superficiali, delle aree terrazzate a fini agricoli, prevedendone l’eventuale recupero laddove queste dovessero versare in stato di abbandono. Le pratiche e le tecniche colturali, inoltre, dovranno essere finalizzate alla prevenzione degli incendi. RUS3- indirizzi e prescrizioni per la progettazione di opere private, pubbliche e di interesse pubblico secondo criteri di compatibilità con le condizioni di rischio idrogeologico: si richiamano le indicazioni relative all’adeguamento degli strumenti urbanistici, sottolineando che la progettazione di qualsiasi opera non potrà prescindere da una adeguata valutazione di compatibilità idro-geologica. Mantenimento delle condizioni di assetto del territorio e dei sistemi idrografici (MAT) MAT1- manutenzione programmata sui versanti e sulle relative opere di stabilizzazione: mantenimento delle condizioni attuali di assetto del territorio con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria dei versanti (es. disgaggio lungo i costoni rocciosi, rimozione di materiale in condizioni di equilibrio precario) e delle opere di sistemazione presenti (es. rimozione dei sedimenti accumulati in corrispondenza delle briglie). MISURE STRUTTURALI DI TIPO ESTENSIVO (MSE) Gli interventi di tipo estensivo, a carattere permanente e diffuso, riguardano estesi ambiti territoriali e sono finalizzati: a migliorare l'assetto idro-geologico e a prevenire fenomeni di dissesto di versante. Per il conseguimento di tali finalità sono da preferire misure di: MSE1- opere di idraulica forestale sul reticolo idrografico minore; MSE2- riforestazione e miglioramento dell’uso agricolo del suolo a fini di difesa idrogeologica. MISURE STRUTTURALI DI TIPO INTENSIVO (MSI) MSI1- riferite al reticolo idrografico minore e ai versanti, rappresentate da opere con funzione di controllo e contenimento dei fenomeni di dissesto: Tali opere, localizzate e dimensionate in modo opportuno in fase di progettazione esecutiva, dovranno essere diversificate in funzione delle tipologie dei dissesti: Per le frane di crollo, ribaltamento o scorrimento traslativo, l’uso di reti metalliche paramassi, chiodature e tirantature, barriere paramassi consentirebbero un’efficace azione difensiva delle aree minacciate. Dovranno essere previsti contestualmente programmi di manutenzione e verifiche di efficienza e efficacia degli interventi. Per le frane in terreni piroclastici il dimensionamento e la scelta progettuale delle opere da effettuare dovrà, ovviamente, tenere conto delle caratteristiche locali della singola zona di intervento, in particolar modo degli spessori di copertura. La tipologia delle opere da effettuare per il riassetto delle aree di innesco potrebbe essere così articolata: canalette inerbite, palizzate o palificate, drenaggi superficiali e/o sotterranei (trincee), risagomature del versante, muri, gabbionate, rimboschimento.


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Vincolo sismico Per ridurre gli effetti del terremoto, l’azione dello Stato si è concentrata sulla classificazione del territorio, in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato, e sull’applicazione di speciali norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche. La legislazione antisismica italiana, allineata alle più moderne normative a livello internazionale prescrive norme tecniche in base alle quali un edificio debba sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e senza crollare i terremoti più forti, salvaguardando prima di tutto le vite umane. Sino al 2003 il territorio nazionale era classificato in tre categorie sismiche a diversa severità. I Decreti Ministeriali emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1981 ed il 1984 avevano classificato complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, che corrispondono al 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione. Nel 2003 sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo. ZONA 1 - La zona più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti. ZONA 2 - Comuni inseriti in questa zona possono verificarsi terremoti abbastanza forti. ZONA 3 - Comuni inseriti in questa zona possono essere soggetti a scuotimenti modesti. ZONA 4 - E' la zona meno pericolosa. Di fatto, sparisce il territorio “non classificato”, che diviene zona 4, nel quale è facoltà delle Regioni prescrivere l’obbligo della progettazione antisismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su roccia (zona 1=0.35 g, zona 2=0.25 g. zona 3=0.15 g, zona 4=0.05 g). SUDDIVISIONE DELLE ZONE SISMICHE IN RELAZIONE ALL’ACCELERAZIONE DI PICCO SU TERRENO RIGIDO (OPCM 3519/06). Zona sismica 1 - ag >0.25 Zona sismica 2 - 0.15< ag <0.25 Zona sismica 3 - 0.05< ag <0.15 Zona sismica 4 - ag <0.05

L’edificio preso in esame, come già detto precedentemente, si trova nel comune di Ravello che come tutti i comuni della Costiera Amalfitana e la penisola Sorrentina, comprese le isole si trovano in Zona sisimica 3 (dati dalla classificazione sisimica del 2012 della protezione civile) quindi caratterizzata dalla possibilita’ di avere scuotimenti modesti. Ad ogni modo in Italia le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008), hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e quindi territorio comunale – precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico da utilizzare per il calcolo delle azioni sismiche.


Dal 1 luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera (Indica il numero di anni durante i quali una struttura deve poter essere usata per lo scopo per cui è stata progettata; questo parametro, previsto dalle Norme Tecniche per le Costruzioni, condiziona l'entità delle azioni sismiche di progetto; per le costruzioni ordinarie, la vita nominale considerata è ≥ 50 anni). Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 km di lato, indipendentemente dai confini amministrativi comunali. La classificazione sismica (zona sismica di appartenenza del comune) rimane utile solo per la gestione della pianificazione e per il controllo del territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio civile, ecc.). Inoltre le nuove norme hanno anche stabilito un iter per il calcolo strutturale più completo e sicuro, infatti le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo tale da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle presenti norme. La sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazione agli stati limite che si possono verificare durante la vita nominale. Stato limite è la condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata. In particolare le opere e le varie tipologie strutturali devono possedere i seguenti requisiti: - sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possano compromettere l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali e sociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera; - sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio; - robustezza nei confronti di azioni eccezionali: capacità di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità delle cause innescanti quali incendio, esplosioni, urti. Il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso e il superamento di uno stato limite di esercizio può avere carattere reversibile o irreversibile. Per le opere esistenti è possibile fare riferimento a livelli di sicurezza diversi da quelli delle nuove opere ed è anche possibile considerare solo gli stati limite ultimi. La durabilità, definita come conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali e delle strutture, proprietà essenziale affinché i livelli di sicurezza vengano mantenuti durante tutta la vita dell’opera, deve essere garantita attraverso una opportuna scelta dei materiali e un opportuno dimensionamento delle strutture, comprese le eventuali misure di protezione e manutenzione. I prodotti ed i componenti utilizzati per le opere strutturali devono essere chiaramente identificati in termini di caratteristiche meccanico-fisico-chimiche indispensabili alla valutazione della sicurezza e dotati di idonea qualificazione. I materiali ed i prodotti, per poter essere utilizzati nelle opere previste dalle presenti norme, devono essere sottoposti a procedure e prove sperimentali di accettazione. Le prove e le procedure di accettazione sono definite nelle parti specifiche delle presenti norme riguardanti i materiali. La fornitura di componenti, sistemi o prodotti, impiegati per fini strutturali, deve essere accompagnata da un manuale di installazione e di manutenzione da allegare alla documentazione dell’opera. I componenti, sistemi e prodotti, edili od impiantistici, non facenti parte del complesso strutturale, ma che svolgono funzione statica autonoma, devono essere progettati ed installati nel rispetto dei livelli di sicurezza e delle prestazioni dettati dalle norme.


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Vincoli

Vincolo Parco regionale Il comune di Ravello nella sua totale estensione ricade all’interno del Parco Regionale dei Monti Lattari, quindi anche la ristretta area che in questo momento ho preso in considerazione e dove si trova questo immobile. In particolare questa porzione di territorio situata lungo la parete collinare che dal centro storico di Ravello scende fino al mare, fa parte della zona B del Parco dei Monti Lattari cioè “area di riserva generale orientata e di protezione”.

PARCO REGIONALE DEI MONTI LATTARI

Tramonti

Minori

Scala

Ravello

Maiori

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Amal

Furore Praiano

Atrani

Conca dei Marini

Area di riserva controllata

Area di riserva generale

Area di riserva Integrale

Nella zona B oltre alle prescrizioni generali valide su tutto il territorio del Parco e contenute nelle norme generali di salvaguardia per il parco dettate dalla Regione Campania, ne sono presenti altre specifiche per le “area di riserva generale orientata e di protezione” quali: -ATTIVITA’ SPORTIVE E‘ vietato lo svolgimento delle attivita’ sportive con veicoli a motore di qualsiasi genere. -PROTEZIONE DELLA FAUNA E‘vietata l’introduzione di nuove specie animali e vegetali estranee all’ambiente naturale, fatti salvi gli interventi connessi alla normale conduzione delle attivita’ agro-zootecniche e silvo-pastorali. E‘vietata la pesca negli specchi e nei corsi d’acqua, fatta salva quella con singola canna nel rispetto delle specie e dei tempi stabiliti da calendari annuali. -PROTEZIONE DELLA FLORA ED ATTIVITA’ AGRONOMICHE E SILVO-PASTORALESono ammesse e regolamentate secondo gli usi tradizionali, le attivita’ agro-silvo-pastorali, artigianali, turistiche e ricreative finalizzate ad un corretto utilizzo del parco. Sono ammessi e regolamentati gli interventi previsti nei piani di assetto forestale, diretti alla conservazione, alla tutela ed al ripristino della flora e della fauna. Sono ammesse e regolamentate le attivita’ agricole con impianti arboree e frutticoli esistenti nelle zone vincolate,


consentendone l’ampliamento compatibilmente con la tutela del paesaggio. Sono ammessi e regolamentati i rimboschimenti con essenze autoctone, arbicoltura da legno, operazioni di fronda e di potatura necessarie per le attivita’ agricole. Sono ammesse e regolamentate opere antincendio, incluse le poste tagliafuoco, lavori di difesa forestale e di regimazione e sistemazione di corse d’acqua, sistemazione delle pendici, di conservazione del suolo con sistemi naturali. Sono ammesse e regolamentate opere di trasformazione di cedui castanili in castagneto da frutto e l’impianto ex novo di castagneti da frutto compatibilmente con la tutela del paesaggio. Fermo restando le prescrizioni di cui alle norme generali nella zona è consentito il taglio colturale e produttivo. -CIRCOLAZIONE E’ consentita la circolazione, fuori dai percorsi stradali, dei veicoli a motore per i mezzi necessari allo scavo, al restauro ed alla sistemazione delle strutture connesse alle attivita’ del Parco e per i mezzi necessari alle normali attivita’ di sorveglianza e soccorso. -INFRASTRUTTURE IMPIANTISTICHE E’ consentita l posa di cavi e tubazioni interrati per reti di distribuzione dei servizi di pubblico interesse, comprese le opere igienico-sanitarie che non comportino danni per le alberature di alto fusto né la modifica permanente della morfologia del suolo; cabine di trasformazione elettrica; tutti gli interventi che comunque non interessano l’asoetto esterno dell’edificio; piccoli serbatoi per uso idropotabile; adeguamento di impianti tecnici alle norme di sicurezza; opere per l’eliminazione delle barriere architettoniche. -USO DEL SUOLO Sono consentiti interventi volti alla conservazione ed alla ricostruzione del verde nonchè delle zone boscate secondo l’applicazione dei princicpi fitosociologici. Sono consentiti interventi di prevenzione dagli incendi. Sono consentiti interventi di risanamento e restauro ambientale per l’eliminazione di strutture e di infrastrutture in contrasto con l’ambiente, di cartelloni pubblicitai e di altri detrattori ambientali. Sono consentiti interventi di sistemazione ed adeguamento della viabilita’ pedonale e carrabile. E’ consentita realizzazione di piste ciclabili utilizzando percorsi esistenti. -TUTELA DEL PATRIMONIO EDILIZIO E DISCIPLINA EDILIZIA E’ consentito l’adeguamento igienico funzionale delle case rurali esistenti fino al raggiungimento degli indici fondiari stabiliti dall’art.1, comma 8 al titolo II (Direttive e paramentri di pianificazione) della L:R: 14/82. Le attrezzature e le pertinenze rurali possono essere incrementate entro il limite del 20% dei volumi esistenti con il vincolo della destinazione. Secondo gli usi tradizionali, le utilizzazioni e le attivita’ produttive di tipo agro-silvo-pastorale, compresa realizzazione di piccole strutture strettamente connesse alle attivita’ agricole ed alla commercializzazione di prodotti tipici locali.Le strutture da realizzare non possono superare dimensioni di mt. 5x6 per essicatoi e mt. 4x4 per altri usi e non possono essere contigue; anche non in conformita’ alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti. Sono inoltre consetite nuove attivita’ artiginali, nonchè agrituristiche ricettive, purchè compatibili con l’equilibrio ambientale e con la capacita’ di carico dei sistemi naturali. In ogni caso occorre preventivo parere dell’Ente Parco che deve pronunciarsi entro 90 giorni dalla data di ricezione della richiesta. Sono consentite le attivitˆ agrituristiche e artigianali, purchè compatibili con l’equilibrio ambientale e con la capacita’ di carico dei sistemi naturali, tramite il recupero del patrimonio edilizio esistente con opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro, risanamento conservativo e ristruttrazione edilizia da effettuarsi secondo le prescrizioni generali. E’ consentito l’ampliamento della volumetria esistente entro il massimo del 10% per l’adeguamento igienico, con esclusione degli immobili di valore storico-artistico ed ambientale-paesistico. E’ consentita la recinzione delle propieta’ private salvaguardando il passaggio della fauna minore; è consentita la continuazione di esercizio dei campeggi organizzati gia’ esistenti nelle aree destinate a tale scopo ed appositamente attrezzate. E’ consentita la realizzazione di attrezzature pubbliche comunali e territoriali, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, nei limiti dei seguenti paramentri: rapporto di copertura pari a 1/10 della superficie fondiaria e altezza massima 8 metri, purchè compatibili con l’esigenza della tutela paesistica e con il rispetto dei punti di vista panoramici e previo parere vincolante dell’Ente Parco.

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Vincoli Vincolo di procedura Come per ogni costruzione sul territorio della regione Campania e di tutta la nazione, per poter eseguire delle opere edilizie, devono essere ottenuti presso gli istituti competenti una serie di autorizzazioni e permessi che permettono alla costruzione di essere poi realizzata. Ovviamente senza queste autorizzazioni nessun progetto si può realizzare legalmente, in questo specifico caso mancano praticamente tutti i permessi che poi danno la possibilità di costruire un edificio, in particolare: -Aver eseguito le opere in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza del permesso di costruire previsto. (art.44, comma 1, lett. c) DPR n.380 del 6/6/01)


-Eseguito le opere prima illustrate in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale, senza la prescritta autorizzazione. (artt. 146,181 D.Lvo 42/04, in relazione all’art.44 lett. c) DPR 380/01). -Aver alterato con l’opera edilizia le bellezze naturali di località soggetta alla speciale protezione dell’autorità. (art. 734 del Codice Penale) -Realizzato l’immobile senza la previa redazione di un progetto e senza la direzione di un tecnico abilitato ed iscritto nel relativo albo nei limiti delle rispettive competenze. (srtt. 64 e 71 DPR n. 380/01). -Iniziato la costruzione delle opere senza averne fatta previa denuncia allo Sportello Unico. (artt. 65 e 72 DPR n. 380/01) -Aver eseguito i lavori in zona sismica senza darne preavviso scritto allo Sportello Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest’ultimo ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico-descrittivi prescritti per le zone. (artt. 93 e 95 DPR n.380/01) La mancanza in questo caso delle autorizzazioni e le operazioni effettuate senza i relativi permessi producono dei reati per i quali le autorità competenti possono perseguire il colpevole o i colpevoli.

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Tipologie di abuso

Abuso non residenziale Dopo i controlli effettuati anche dalle autorita’ competenti è stato verificato che la proprietaria dell’immobile preso in esame in questa sede, oltre, come descritto nelle fasi precedenti, essere stato costruito senza alcun tipo di autorizzazione istituzionale e in aree protette da diversi vincoli, risulta essere stato realizzato anche se non completato nella sua interezza, per diventare un probabile laboratorio di lavoro o in alternativa come deposito viste le condizioni attuali, si può però anche ipotizzare che finiti i lavori e portati alcuni accorgimenti, potesse essere anche poi adibito a casa vacanza visto la posizione di pregio e la vista che si gode da qusta località. Questa situazione comunque ci porta a definire il probabile abuso edilizio, visto le condizioni costruttive in cui è stato ritrovato e non le ben chiare intenzioni del proprietario del terreno, come un “abuso non residenziale”.

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Dimensioni

Macroabusivismo In questo caso particolare siamo in presenza di un manufatto completamente abusivo (100%), in più anche l’area circostante vede la presenza di opere realizzate abusivamente, proprio per questo motivo ho deciso di inserire questo caso nella cerchia dei Macroabusi, dove non c’è alcuna possibilita’ che la modifcazione apportata dall’edificio sul territorio, possa essere in alcun modo assorbita con piccole direttive o linee guida indicate dal Comune di Ravello al contesto, come invece accade per gli episodi di Microabusivismo. Inoltre come accertato anche dalle autorità le dimensioni dell’abuso si riscontrano anche nel fatto che la loro grandezza ha provocato delle trasformazioni permanenti e definitive sul regolare assetto del territorio.

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Reversibilità Materiale non reversibile Il manufatto, di circa 63 mq risulta essere composta da una copertura realizzata in lamiera gracata sostenuta da una struttura molto elementare in legno, l’interno presenta un grande vano ed una piccolo locale di 14 mq nell’angolo sinistro. l’edificio è chiuso lateralmente su tre lati da pareti in blocchi di lapil cemento e su di un lato da macera di contenimento, con un’ altezza minima di mt. 3,15 e massima di mt. 3,70. Appoggiata al muro di contenimento del terrazzamento ed interno al locale abbiamo la presenza di una scala realizzata


in cemento e che connette il suolo dove sorge il manufatto con la macera superiore. l’edificio poi si compone di tre porte finestre con larghezza di 2,20 mt ciascuna, una finestra e una porta d’ingresso; altra cosa da aggiungere è che adiacente alla struttura abusiva vi è un’altro edificio che è stato oggetto di condono edilizio. Per quanto riguarda le finiture, il manufatto risulta privo di pavimentazione e di servizi igienici inoltre l’impianto elettrico è praticamente inesistente a parte una piccola fonte di luce collegata all’esterno ad un’altra linea, mancano anche l’impianto idrico e termico. L’area circostante non risulta aver avuto nessuna modificazione, ma il manufatto è stato coperto con dei teloni neri che solitamente vengono utilizzati per i limoneti, per nasconderlo alla vista dagli altri terrazzamenti e alle autorità del Comune di Ravello, elemento che conferma maggiormente la sua origine assolutamente abusiva.

L’intera struttura dell‘edificio è realizzato lapil cemento, materiale composto da pietra lavica e cemento, prodotto in blocchi prefabbricati, molto utilizzate nelle piccole costruzioni, che però non si adattano per niente all’ambiente in cui il manufatto si trova, visto sia modo grezzo e incompleto in cui sono state portate avanti le opere oltre al problema dello smaltimento nell‘ambiente di questi blocchi prefabbricati.Oltre a questo l’edifcio è stato costruito creando solo tre pareti per poi utlizzare come parete di fondo il muro di contenimento del terrazzamento stesso, aumentando quindi la possibilità di creare problemi e rovinare la struttura della macera. Oltretutto questo materiale difficilmente può essere utilizzato per altre opere nel caso questo manufatto venisse smantellato, inoltre all’interno è stata realizzata anche una scala in cemento che contribuisce ancora di più ad intaccare l’ambiente delicato. Possiamo quindi concludere che i materiali utilizzati non sono da considerarsi reversibile per un possibbile riconversione dell’edificio.

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Proprietà del suolo Verificato dalle istituzioni competenti e avvagliato anche da documenti scritti, il terreno su cui sorge il manufatto preso in esame risulta proprietà privata della stessa persona che poi ha progettato ed iniziato i lavori per la costruzione del piccolo edificio e delle opere di connessione e camminamento sui terrazzamenti, risultante residente a nel Comune di Ravello in via Casa Pisani.


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Incidenza sul contesto (dimensionale) Il manufatto abusivo sorge sul versante che dal centro storico di Ravello scende fino a valle, versante completamente costituito dai tipici terrazzamenti della costiera amalfitana; per quanto riguarda le dimensioni, l’edificio risulta avere delle dimensioni abbastanza ridotte, circa 63 mq, che sicuramente abbassano molto il suo impatto visivo sul contesto, vista la presenza nei dintorni di altri edifici. Inoltre sul resto dell terrazzamento nei dintorni della costruzioni non si rileva la presenza di altre operazioni di modificazione del contesto. Questo tipo di indagine visivo e di ragionamento dimensionale mi inducono quindi a definire l’incidenza sul contesto “parziale”, perchè certo l’immobile ha una dimensione tutto sommato ridotta. Inoltre il manufatto risulta visibile, anche se parzialmente mitigato dall presenza di vegetazione anche dagli altri terrazzamenti, motivo in più che mi ha portato ha valutare come di medio livello la sua incidenza sul territorio circostante, di una delicatezza inestimabile.

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Questo criterio racchiude diverse tipologie di valutazione alcune già illustrate in precedenza che insieme ad altre mi hanno portato ha definire non sostenibile l’incidenza ambientale sul contesto del manufatto. L’area in cui sorge si trova all’interno del Parco Regionale dei Monti lattari che racchiude al suo interno una grandissima varietà di flora e fauna che fanno della Costiera Amalfitana uno dei territori più belli del nostro paese: L’albero di Lobe, la Betula Verrucosa, il Carrubo, lo Stramonio, una grande varietà di funghi, l’Assiolo, l’Averla, il Biancone, il Falco pecchiaiolo, solo per citarne alcuni esempi ed inoltre come in diverse altre aree della costa vengono coltivati sui terrazzamenti, simbolo della trasformazione del territorio per mano degli abitanti durante il corso della storia come equilibrata collaborazione tra uomo e natura, i prodotti tipici della costiera poi esportati in tutto il mondo, Limoni, viti, frutteti e oliveti. Vista la delicatezza del territorio la costruzione risulta proprio instonibile a causa dell’utilizzo del lapil cemento che è un materiale sintetico prodotto a livello industriale e di difficile smaltimento rispetto al legno o ad altri materiali più ecosostenibili, inoltre l’utilizzo di questi materiali, favorisce e sostiene il mercato cementizio della campania fortemente compromesso dagli ambienti mafiosi e che rappresenta uno dei problemi più gravi della regione, visto l’enorme volano economico creato dal cemento illegale e dalle cave di estrazione abusive e da tutte le operazioni connesse alla catena produttiva.


Il pericolo più grande per questi terrazzamenti oltre all’edificazione di nuovi muretti in cemento, al pericoli di crolli, agli smottamenti e frane è il consumo del suolo agricolo e la cementificazione incontrollata del territorio; Inoltre la stessa edificazione del manufatto ha creato dei problemi e delle trasformazioni permanenti alla stabilità dell’ambiente, visto il peso che porta sul terrazzamento e sul muro di contenimento su cui si appoggia, aumentando ancora di più i rischi già presenti su questo territorio delicato e già in difficoltà. Viste le appena citate considerazioni può essere inteso non sostenibile dal punto di vista ambientale nel contesto in cui è inserito e non potrebbe assolutamente sostenere un discorso di riconversione. e ial niz ei s ne fa zio di stru co

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Fase L’edificio nella struttura esterna risulta completamente finito, anche gli infissi sono stati già montati così come è già completa la finitura dell’intonaco esterno; l’interno invece risulta ancora incompleto, vista la mancanza delle finiture, del pavimento e di praticamente tutti gli impianti; il tetto risulta inoltre in lamiera gracata a vista, sorretta solamente da una struttura leggere in legno. Il manufatto si può quindi collocare in una “fase inoltrata di costruzione”.

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Occupazione dell’immobile (temporale) L’immobile come da accertamenti risulta essere stato occupato da poco tempo, data anche la recente costruzione dello stesso, con una destinazione d’uso di magazzino.


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Proposta d’intervento - Area .1_caso.2 Grazie all’approfondito lavoro effettuato dalla scheda di valutazione del secondo caso posso trarre diverse e interessanti conclusioni che mi porteranno poi alla definizione di una proposta d’intervento secondo l’ipotetico iter procedurale che ho descritto nel capitolo precedente e che sta al centro del mio lavoro di ricerca. Il manufatto, di circa 63 mq risulta essere composta da una copertura realizzata in lamiera gracata sostenuta da una struttura molto elementare in legno, l’interno presenta un grande vano ed una piccolo locale di 14 mq nell’angolo sinistro. l’edificio è chiuso lateralmente su tre lati da pareti in blocchi di lapil cemento e su di un lato da macera di contenimento, con un’ altezza minima di mt. 3,15 e massima di mt. 3,70. Appoggiata al muro di contenimento del terrazzamento ed interno al locale abbiamo la presenza di una scala realizzata in cemento e che connette il suolo dove sorge il manufatto con la macera superiore. l’edificio poi si compone di tre porte finestre con larghezza di 2,20 mt ciascuna, una finestra e una porta d’ingresso; altra cosa da aggiungere è che adiacente alla struttura abusiva vi è un’altro edificio che è stato oggetto di condono edilizio. Per quanto riguarda le finiture, il manufatto risulta privo di pavimentazione e di servizi igienici inoltre l’impianto elettrico è praticamente inesistente a parte una piccola fonte di luce collegata all’esterno ad un’altra linea, mancano anche l’impianto idrico e termico. L’area circostante non risulta aver avuto nessuna modificazione, ma il manufatto è stato coperto con dei teloni neri che solitamente vengono utilizzati per i limoneti, per nasconderlo alla vista dagli altri terrazzamenti e alle autorità del Comune di Ravello; anche questo manufatto abusivo si trova in Località Grotta Petina. Dall’approfondito studio svolto attraverso diversi criteri di valutazione è emerso come l’immobile preso in esame sia situato all’interno di una porzione di territorio definita da Piano Territoriale Urbanistico come di “tutela dell’ambiente di 2° grado”, dove quindi non si può assolutamente edificare nessuna tipologia di costruzione sia pubblica che privata e dove sono ammesse solo opere di manutenzione per gli edifici già presenti. il P.R.G. del comune di Ravello definisce l’area in cui è stato realizzato il manufatto classificata come Et, e nello specifico zona agricola di tutela dei terrazzamenti della Costiera Amalfitana, in questa prozione di territorio quindi vigono diverse prescrizioni con il preciso intento di salvaguardare questi manufatti che rappresentano l’equilibri creato dall’uomo con la terra che abitata, nel rispetto totale della stessa. Come approfondito nelle valutazioni si nota anche che l’edificio abusivo si trova in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico ormai da diversi anni, situazione confermata dal protrarsi di questo vincolo in diverse leggi che si sono succedute nel tempo; inoltre risulta essere anche un’area sottoposta a vincolo iderogeologico, con un livello di rischio P3 elevato e di vincolo sismico. Ad aumentare ancora la gravita’ dell’abuso è il fatto che il manufatto si trova all’interno del Parco Regionale dei Monti Lattari, come gran parte del territorio della Costiera Amalfitana ed oltretutto in un’area che è definita di “ riserva generale” dove vigono diverse regolamentazioni e divieti che interessano soprattutto la tutela della fauna del Parco che è davvero molto numerosa ed interessante, la tutela della flora e della attività agronomiche e silvo-pastorali che in questo territorio sono bene radicate che svolgono fin da quando l’uomo è presente in questa porzione di territorio un’importanza a dir poco fondamentale; Inoltre sono previste anche prescrizioni per la difesa e manutenzione del suolo ed in particolare dei terrazzamenti e le vie di comunicazione. Per effettuare qualsiasi operazione di costruzione, quando possibile, su quest’area quindi ci sarebbe bisogno di diversi permessi, autorizzazioni e procedure da seguire, mentre chi ha costruito il manufatto abusivo ha completamento ignorato queste prescrizioni ignorando assolutamente le autorità e quindi operando: -Senza un progetto e senza la direzione di un tecnico abilitato ed iscritto nel relativo albo nei limiti delle rispettive competenze. -Eseguito i lavori in zona sismica senza darne preavviso scritto allo Portello Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest’ultimo ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico descrittivi per le zone sismiche. -Realizzato opere in una zona sottoposta come abbiamo gia citati precedentemente, sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, senza la prescritta autorizzazione. La costruzione sita in località Grotta Petina è risultata essere come già precedentemente spiegato un “abuso non residenziale” infatti è stato realizzato anche se non nella sua interezza, per diventare un probabile laboratorio di lavoro o in alternativa come deposito; questa valutazione non può avere totale certezza in quanto il proprietario non ha dichiarato apertamente la funzione dell’immobile, in ogni caso quelle descritte sono le destinazioni d’uso più probabili viste le condizioni del manufatto abusivo. Il materiale con il quale è costruito l’edificio e con cui sono stati fatti gli altri lavori risulta dall’analisi definibile come non reversibile in previsione di un possibile processo di riutilizzo o smaltimento; la costruzione si può considerare in una fase inoltrata di avanzamento e non è mai stata occupata come risulta dai sopralluoghi delle autorità competenti. Le valutazioni per quanto riguarda invece l’incidenza sul contesto sia dimensionale che ambientale risulta in questo caso specifico abbastanza negative in quanto sono rispettivamente “parziale” per il primo e “ non sostenibile” per il secondo, e la loro importanza nella scelta della strada da prendere come risoluzione possibile emergerà poi successivamente.


A questo punto al processo di valutazione critica dell’immobile abusivo ormai concluso e che ha fornito importanti e specifiche informazioni, subentra la vera e propria azione sull’edificio e sull’area su cui esso è stato costruito. Visto il carattere completamente abusivo dell’opera e le importanti verificate aggravanti che emergono dai criteri riassunti precedentemente tra cui sopratutto il grave impatto che ha avuto sulla struttura intrinseca del terrazzamento, il comune di Ravello procede con il sequestro dell’intera porzione di territorio, anche se proprietà privata e del manufatto stesso, oltre ad accusare il proprietario di diversi reati commessi. Definito quindi il sequestro, il comune deve decidere come operare e cosa fare dell’edificio e dell’area di sua pertinenza. Le strade che si prospettano sono diverse, ma la decisione deve a mio parere tenere conto delle valutazioni emerse durante il lavoro di analisi ed inoltre fattore ancora più importante deve rientrare in una visione più ampia di tutela del territorio che non si riduca alla sola azione sanzionatoria per i reati di abusivismo edilizio. La possibilità infatti è quella di poter, a seconda delle particolari situazioni e valutazioni dei diversi casi, elaborare un progetto di compensanzione alternativo che ha come obbiettivo fondamentale quello di dare vita a degli interventi che pongono al primo posto il patrimonio culturale e paesaggistico dell’area cercando col il riutilizzo, se possibile, degli edifici abusivi, la sistemazione del suolo ed altre soluzioni innovative di compensazione dell’abuso, di innescare ed introdurre in questo contesto un processo di “tutela attiva” del territorio attraverso il quale i cittadini possono recuperare la consapevolezza del loro ambiente e delle grandi potenzialità che esso offre.


La costruzione non è abitata perchè risulta essere stata costruita con l’intento di essere adibito a probabile laboratorio oppure deposito di materiali;mentre l’area circostante del terrazzamento risulta assolutamente non curata e lasciata abbandonata, anche se sono presenti nei pressi altre proprietà distribuite sui terrazzamenti e che mostrano una certa cura per il territorio. L’intera struttura dell‘edificio è realizzato lapil cemento, materiale composto da pietra lavica e cemento, prodotto in blocchi prefabbricati, molto utilizzate nelle piccole costruzioni, che però non si adattano per niente all’ambiente in cui il manufatto si trova, visto sia modo grezzo e incompleto in cui sono state portate avanti le opere oltre al problema dello smaltimento nell‘ambiente di questi blocchi prefabbricati.Oltre a questo l’edifcio è stato costruito creando solo tre pareti per poi utlizzare come parete di fondo il muro di contenimento del terrazzamento stesso, aumentando quindi la possibilità di creare problemi e rovinare la struttura della macera. Oltretutto questo materiale difficilmente può essere utilizzato per altre opere nel caso questo manufatto venisse smantellato, inoltre all’interno è stata realizzata anche una scala in cemento che contribuisce ancora di più ad intaccare l’ambiente delicato. Possiamo quindi concludere che i materiali utilizzati non sono da considerarsi reversibile per un possibbile riconversione dell’edificio. Il manufatto abusivo sorge sul versante che dal centro storico di Ravello scende fino a valle, versante completamente costituito dai tipici terrazzamenti della Costiera Amalfitana; per quanto riguarda le dimensioni, l’edificio risulta avere delle dimensioni abbastanza ridotte, circa 63 mq, che sicuramente abbassano molto il suo impatto visivo sul contesto, vista la presenza nei dintorni di altri edifici. Questo mi induce quindi a definire l’incidenza sul contesto come “parziale”, perchè certo l’immobile ha una dimensione tutto sommato ridotta ma oltre al materiale utilizzato non adatto, il manufatto risulta visibile, anche se parzialmente mitigato dall presenza di vegetazione anche dagli altri terrazzamenti, motivo in più che mi ha portato ha valutare come di medio livello la sua incidenza sul territorio circostante, di una delicatezza inestimabile. L’area in cui sorge si trova all’interno del Parco Regionale dei Monti lattari che racchiude al suo interno una grandissima varietà di flora e fauna che fanno della Costiera Amalfitana uno dei territori più belli del nostro paese: L’albero di Lobe, la Betula Verrucosa, il Carrubo, lo Stramonio, una grande varietà di funghi, l’Assiolo, l’Averla, il Biancone, il Falco pecchiaiolo, solo per citarne alcuni esempi ed inoltre come in diverse altre aree della costa vengono coltivati sui terrazzamenti, simbolo della trasformazione del territorio per mano degli abitanti durante il corso della storia come equilibrata collaborazione tra uomo e natura, i prodotti tipici della costiera poi esportati in tutto il mondo, Limoni, viti, frutteti e oliveti. Vista la delicatezza del territorio la costruzione risulta proprio instonibile a causa dell’utilizzo del lapil cemento che è un materiale sintetico prodotto a livello industriale e di difficile smaltimento rispetto al legno o ad altri materiali più ecosostenibili, inoltre l’utilizzo di questi materiali, favorisce e sostiene il mercato cementizio della campania fortemente compromesso dagli ambienti mafiosi e che rappresenta uno dei problemi più gravi della regione, visto l’enorme volano economico creato dal cemento illegale e dalle cave di estrazione abusive. Inoltre la stessa edificazione del manufatto ha creato dei problemi e delle trasformazioni permanenti alla stabilità dell’ambiente, visto il peso che porta sul terrazzamento e sul muro di contenimento su cui si appoggia, aumentando ancora di più i rischi già presenti su questo territorio delicato e già in difficoltà. Viste le appena citate considerazioni l’immobile può essere inteso come “non sostenibile” dal punto di vista ambientale nel contesto in cui è inserito e non potrebbe assolutamente sostenere un discorso di riconversione.

Intervento l’edificio e l’area vengono completamente sequestrati inoltre viene disposto, vista l’incoerenza del manufatto all’interno del contesto, la sua nessuna utilità anche nell’ambito sociale (edificio utilizzato come deposito) e l’utilizzo di materiali non sostenibili e non riconvertibili, l’abbattimento totale della costruzione ed il pagamento da parte dei propietari delle spese di smaltimento. All’interno infatti della creazione di processo di tutela attiva del territorio, esiste comunque la possibilità di abbattere l’edificio abusivo, quando non ricovertibile sia dal punto di vista materiale, sia dal punto di vista di costituzione di un vantaggio locale. La ricerca infatti di soluzioni di compensazione alternativa per l’abuso edilizio, rimane comunque molto legata alla valutazione dell’immobile e del suo inserimento ambientale nel contesto e non esclude assolutamente la possibilità di abbattare l’edificio quando necessario, ma amplia di molto le possibilità di risoluzione di un abuso, logicamente non a favore di chi lo ha compiuto, ma sempre negli interessi della comunità e della possibilità che nelle giuste condizioni un’azione negativa sul territorio possa trasformarsi in qualcosa di positivo ed innovativo.


Dopo l’abbattimento e lo smaltimento dei rifiuti edilizi, il comune può decidere se dare in comodato d’uso l’appezzamento di terreno ad un’azienda agricola nelle vicinanze, che possa quindi coltivare e produrre colture tipiche dell’area, poi vendibili a km zero sia per gli abitanti locali che per i turisti, divenendo in questo modo occasione di sviluppo economico e allo stesso tempo occasione ed opportunità per educare ad un turismo ecologico che tuteli anche il paesaggio e sia volano per la conservazione e l’evoluzione dello stesso e dei prodotti che produce. Attualmente sono presenti solo due aziende agricole nel comune di Ravello. Alternativa può essere quella di cedere sempre in comodato d’uso il terrazzamento ai proprietari vicini all’area che ne fanno richiesta, per poter aumentare magari l’estensione delle loro terre coltivate e quindi della quantità del prodotto, con l’obbligo però di provvedere alla manutenzione della struttura terrazzata e mantenere assolutamente l’area solo ad uso agricolo, negli interessi dell’equilibrio dell’ambiente costiero.

Il recupero della manutenzione dei terrazzamenti ad uso agricolo è necessario ed utile, visto che questa azione concorre al raggiungimento di numerosi obiettivi, tra cui il ripristino di attività agricole tradizionali ad alto valore aggiunto; una riduzione dell’erosione del suolo, dei fenomeni franosi e dell’instabilità dei versanti; il miglioramento dell’efficienza idrologica, ecologica e strutturale e la salvaguardia paesaggistica, anche al fine di incrementare le opportunità economiche del territorio attraverso la fruizione turistica. Come rimarcato nel citato dossier Ispra, è dunque fondamentale, quindi, specie per quanto riguarda le zone a colture permanenti su versanti terrazzati, assicurare la manutenzione dei muretti e dei ciglionamenti con scarpata inerbita per poter evitare i fenomeni di dissesto e di perdita di suolo. Le principali azioni consistono nella ripulitura dei muretti dalla vegetazione infestante, nel ripristino dei sistemi di drenaggio e del coronamento dei muretti a secco, nell’inerbimento interfilare delle coltivazioni (in genere vigneti e oliveti, ma con consistente presenza di agrumi al sud), nell’inerbimento dei ciglioni dei terrazzamenti, e in alcuni casi, nell’impianto di specie arbustive sempre sulle superfici di bordo.


Area .1_Caso.3

L’area è sita in Via Repubblica nel Comune di Ravello in zona centrale. La zona è normata dalle prescrizioni della Legge Regionale n. 35/87 ed è gravata da vincolo sisimico, paesaggistico, idrogeologico oltre che dalle prescrizioni del Parco Regionale dei Monti Lattari.


Descrizione preliminare dell’immobile

L’edifico è interrato all’interno di un terrazzamento, è costituito da due locali adiacenti previo sbancamento di roccia e di terreno, uno con superficie di circa 25.20 mq mentre l’altro di 9.12 mq. Entrambi i locali presentano una copertura a volta realizzata in pietrame con altezza che varia dai 2.60 mt a 3.60 mt.


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Sezione Planimetria

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Piano Urbanistico Territoriale per l’area Sorrentino-Amalfitana L’area in cui si trova l’immobile ricade sotto i vincoli del PUT (Piano Urbanistico Territoriale per l’Area Sorrentino-Amalfitana) che è stato approvato, ai sensi dell’articolo 1/bis della legge 8 agosto 1985, n.431, con la Legge Regionale n.35 del 27.06.1987 (BURC n.40 del 20.07.1987). Questo ha una specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e sottopone a normativa d’uso il territorio dell’Area Sorrentino-Amalfitana; inoltre prevede norme generali d’uso del territorio dell’area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o per l’adeguamento di quelli vigenti. In questo caso particolare la costruzione ricade nella zona Territoriale 2 definita come area di tutela degli insediamenti antichi accentrati. Comprende gli insediamenti antichi ed accentrati di interesse storico, artistico ed ambientale, perimetrali e classificati secondo i criteri di cui alla relazione del Piano Urbanistico Territoriale parte 3a. Essa va trasferita nei Piani Regolatori Generali come zona “A” di Piano Regolatore, ai sensi del DM 2 aprile 1968, n. 1444, oppure articolata in due zone di cui una classificata “A” - come sopra- e l' altra di “rispetto ambientale”. La normativa del Piano Regolatore Generale deve: - per la zona “A” prevedere la redazione obbligatoria di Piani particolareggiati di restauro e risanamento conservativo, da redigere secondo le norme tecniche di cui al successivo titolo IV; fino all' approvazione dei suddetti Piani particolareggiati consentire soltanto interventi di manutenzione ordinaria e consolidamento statico, entrambi secondo le norme tecniche di cui al successivo titolo IV; - per la zona di “rispetto ambientale”: - impedire nuova edificazione privata; - consentire, per l' eventuale edilizia esistente, quanto previsto relativamente alla precedente “zona territoriale 1b” per l' edilizia esistente a tutto il 1955; - consentire, qualora la zona di “rispetto ambientale” non interferisca con le visuali prospettive di osservazione degli insediamenti antichi, di cui alla zona “A”, interventi pubblici per la realizzazione di scuole materne e dell' obbligo, di attrezzature di interesse comune e di impianti sportivi, il tutto nel rispetto delle caratteristiche ambientali.


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COMUNE DI ATRANI

La zona A1 corrisponde alla zona A compresa nella zona territoriale 2 del P.U.T. (tutela degli insediamenti antichi accentrati) situata sul versante da sottoporre a massima tutela, e cioè il versante di Minori, individuato attraverso la linea di crinale. In conformità alle disposizioni di cui all’art. 17 del P.U.T., per tutte le zone A è obbligatoria la redazione di Piani di recupero di iniziativa pubblica ai sensi della L. N. 457/78. Inoltre nell’area sono ammesse le suguenti destinazioni d’uso: - residenza permanente; - residenza turistica; - usi di tipo diffusivo; - attività commerciali al dettaglio; - attività pararicettive ed esercizi pubblici; - attività produttive artigianali; - impianti tecnologici a scala territoriale privi di impatto visivo; - attività ricettive a rotazione d’uso; - parcheggi. Nelle zone A1 valgono le seguenti disposizioni: - negli interventi conservativi (restauro, risanamento conservativo, ecc.) le densità edilizie di zona e fondiarie non devono superare quelle preesistenti, computate senza tenere conto delle sovrastrutture di epoca recente prive di interesse storico testimoniale; - devono essere rimossi gli elementi incongrui, intesi sia come volumetrie aggiunte in epoca recente (volumi finalizzati alla installazione di servizi igienico- sanitari, tettoie, ecc.) sia come elementi di disturbo (rivestimenti incoerenti ceramiche, intonaci plastici, tegole in cotto di colorazione avulsa dal contesto, ad es. rossiccia, ecc.-, infissi in alluminio anodizzato, ecc.). Si rimanda al regolamento edilizio ed al manuale per il recupero per una maggiore specificazione degli elementi di disturbo; - devono essere rimossi capannoni, depositi, magazzini, o altri volumi ricavati dalla chiusura di corti o cortili, nonché le tettoie; - le aree cortilizie con valore testimoniale vanno conservate o ripristinate, così come aree di pertinenza degli immobili interni al perimetro della zona A1 quali orti e giardini; - va preservata la vegetazione che caratterizza i margini e gli interstizi dell’edificato storico, nonché le alberature esistenti;


- gli adeguamenti tecnologici comportanti allestimenti per gli impianti, quali contatori, caldaie, ecc. devono essere resi non visibili; - negli elaborati di concessione, autorizzazione, denuncia di inizio attività va rappresentato il colore, la tonalità e la grana degli interventi di tinteggiatura delle pareti comunque visibili del fabbricato; devono essere consegnati campioni del materiale che si intende adottare e date indicazioni specifiche del colore e non indicazioni di generiche gradazioni cromatiche; - le preesistenze volumetriche vanno accertate attraverso rilevazioni oggetto di perizia asseverata; I p.d.r. sulla base e in riferimento alle analisi indicate, preciseranno le unità minime di intervento e, per ciascun edificio, gli interventi edilizi previsti tra quelli ammissibili. Ciascuna unità edilizia avente ruolo nella definizione della identità della morfologia urbana costituisce unità minima di intervento, inscindibile per la progettazione sia degli interventi di consolidamento ed adeguamento antisismico, che dell’intervento e di finitura esterna. Sugli immobili compresi all’interno della zona A1 sono consentite esclusivamente operazioni di manutenzione ordinaria, restauro o risanamento conservativo, contemplanti l’intera unità edilizia, e le aree contermini libere, anche se aventi ad oggetto opere volte alla eliminazione delle barriere architettoniche; recinzioni, muri di cinta e cancellate; sistemazione di aree libere da manufatti edilizi; opere interne che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti, e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile; revisione o installazione di impianti tecnologici (questi potranno essere collocati in nuovi volumi tecnici, purché interrati ed opportunamente mimetizzati. In alternativa, i volumi esistenti destinati ad adeguamenti tecnologici possono essere recuperati, laddove possibile, utilizzando i sottotetti); parcheggi di pertinenza nel sottosuolo su cui insiste il fabbricato o nel sottosuolo di aree pertinenziali, non direttamente sottostanti al fabbricato, purché non comportino la distruzione di essenze arboree di pregio in superficie; piscine, nelle limitazioni imposte dall’art. 4.1.9.. Il manufatto preso in considerazione quindi si trova in un’area definita dal Piano Urbanistico Territoriale, zona 2 classificata come area di tutela degli insediamenti antichi accentrati, visto il grande valore storico artistico ed ambientale del contesto insediativo presente. All’interno del P.R.G. queste aree vengono automaticamente trasferite sotto la regolamentazione delle zone “A”, ed in particolare in questo caso in quella “A1” che si riferisce al versante terrazzato del comune di Ravello che si affaccia verso Minori (verso est); in questo particolare ambito territoriale messo sotto massimo livello di tutela, sono però possibili diversi interventi di recupero degli edifici presenti, con un gran numero, come ho già descritto prima di possibili destinazioni d’uso che possono essere realizzato e questo da ampie possibilita’ di un possibile recupero delle costruzioni abusive o non conformi alle direttive comunali, trasformando quindi un elemento negativo, a vari livelli di gravitˆ per il contesto, in un potenziale elemento positivo.


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Vincoli

Vincolo paesistico

Vincoli Paesistici 2001, Legge Galasso

Vincoli Paesistici 2001, PTP

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Vincoli Paesistici, Legge 1947/39

La prima legge organica a livello nazionale inerente la protezione delle bellezze naturali è la L.1497 del 1939 - Norme sulla protezione delle Bellezze Naturali. La legge 1497/39 si basa su di una concezione essenzialmente estetica dell'oggetto paesaggistico e riguarda singoli beni o bellezze d'insieme. Essa si caratterizzava nell'individuare alcune categorie di Bellezze Naturali, in particolare: bellezze individue - cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o geologica / ville parchi, che si distinguono per la non comune bellezza; bellezze d'insieme - complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale / le bellezze panoramiche e sull'imposizione del vincolo che ha come corollario la catagolazione ed il censimento dei beni e del territorio. Si è trattato di una legislazione di grande portata innovativa per l'epoca, ma caratterizzata per un approccio essenzialmente statico e per la tendenza a delineare un concetto di bellezza naturale di tipo estetizzante. Anche a fronte dei ritardi nell'adozione dei Piani Paesaggistici si promulga nel 1985 una legge innovativa, la c.d. Legge Galasso ( L.431/85) che sarà recepita prima dal Testo Unico n.490/99 poi dal vigente Codice Urbani (D.Lgs 42/2004). La Legge Galasso, mantenendo inalterata la disciplina delle Bellezza Naturali della L.1497/1939, opera su due fronti: introduce aree tutelate ex lege dettagliatamente elencate dall'art. 1 (ora recepite all'art. 142 del Codice); demanda alle Regioni, competenti nella materia a seguito della delega delle funzioni operate dallo Stato, la redazione dei Piani Paesaggistici. Nel Maggio 2004 è entrato in vigore il D.Lgs. n.42 recante il titolo " Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio" (c.d. Codice Urbani). Si è quindi fuori dalla tematica dei testi Unici perchè si tratta di un codice, di un testo normativo che, anche quando riproduce fedelmente il disposto di un precedente testo normativo (quale il previgente T.U. 490/99 ), determina, proprio per la sua natura, un effetto innovativo della fonte. Tra i principi generali una importante novità rappresentata dal Codice è costituita dalla introduzione della nozione di patrimonio culturale, quale più ampio genere nel quale devono essere ricondotti i beni culturali ed i beni paesaggistici ( art. 2 c.1). La riconduzione delle due categorie di Beni nella comune nozione di Patrimonio Culturale ha il suo presupposto nel riconoscimento delle affinità tra le due specie assoggettate dai principi generali di cui alla prima parte del Codice stesso. Il Codice inoltre recepisce nella propria disciplina i concetti di Paesaggio così come individuati nella Convenzione Europea del Paesaggio firmata a Firenze nell'anno 2000.


Le Regioni, cui è trasferita la competenza in materia di pianificazione paesaggistica, hanno il compito di sottoporre a specifica normativa d'uso e valorizzazione il territorio tutelato, attraverso la realizzazione dei Piani Territoriali Paesistici Regionali (le cui previsioni sono recepite nei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (PTCP ) e nei Piani comunali), che hanno la finalità di salvaguardare i valori paesaggistici e ambientali, presenti nelle loro realtà territoriali. E nel 2012 è stato approvato il PTCP della provincia di Salerno con specifica tavola di riferimento per i vincoli paesistici dell’intero territorio e nello specifico della Costiera Amalfitana. A questo punto si può notare senza dubbio, come l’immobile preso in esame sia stato edificato in una area che è tutt’ora ed è stata in passato sotto vincolo paesaggistico, per il grande valore paesaggistico e per il valore degli immobili presenti in zona.


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Vincoli

Vincolo idrogeologico INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO Il territorio comunale di Ravello si estende sin nell’entroterra della penisola sorrentina, ricoprendo una stretta dorsale limitata dai corsi del T. Sambuco (ad E) e dal vallone Reginola (ad W) e spingendosi fino alla sommità dei rilievi di Vena Secata (1135 m s.l.m.), Costa S. Pietro (911 m s.l.m.), Montalto (766 m s.l.m.) e Monte Cerreto (1316 m s.l.m.). La suddetta dorsale è invece rappresentata dai rilievi di P.ta del Vento (810 m s.l.m.), Monte Brusale (647 m s.l.m.) e dall’area su cui è ubicato l’abitato di Ravello (362 m s.l.m.). Il tessuto urbano comunale è strutturato in un centro capoluogo, in alcune frazioni (Lacco, S.Martino, Castiglione, Sambuco e Torello) ed altri piccoli nuclei abitati. I terreni affioranti appartengono alla serie mesozoica calcareo-dolomitica del Sistema di Piattaforma Carbonatica e Bacini (CPBS sensu D’Argenio et alii 1993). In particolare sono presenti nel territorio comunale la parte alta di tale successione (Giurassico - Cretacico), di natura essenzialmente calcarea, mentre la parte bassa (Trias), di natura prevalentemente dolomitica, affiora solo nella parte nord orientale del territorio. I terreni più recenti sono rappresentati dai depositi continentali detritici e alluvionali del pleistocene e dell’olocene, oltre che dai depositi sciolti di copertura detritico-piroclastica. L’assetto morfologico dell’area è il risultato di successive fasi di sollevamento tettonico; il paesaggio, pertanto, presenta settori di territorio a diverso grado di maturità morfologica. Il ripiano su cui è ubicato l’abitato di Ravello, correlabile al ripiano di Agerola, testimonia una lunga fase di modellamento successiva alla fase surrettiva avvenuta tra la fine del Miocene e l’inizio del Pliocene. Tale ripiano presenta, ai margini occidentale e meridionale, scarpate dell’ordine delle diecine di metri di altezza alla cui base spesso sono presenti cospicui accumuli di materiale detritico. I versanti hanno un diverso grado di evoluzione: più evoluti e arealmente più estesi quelli esposti a sud e ad est, mentre più acclivi e con numerose pareti subverticali, quelli esposti ad ovest. Il versante orientale della dorsale su cui è ubicato l’abitato di Ravello risulta modellato da numerose incisioni fluviali talvolta con testate vallive molto estese e con notevoli accumuli di materiali incoerenti. Alla base di tali impluvi spesso sono presenti conoidi detritico-alluvionali che testimoniano una evoluzione dei versanti anche attraverso colate detritico-piroclastiche. INQUADRAMENTO IDROGRAFICO I corsi d’acqua principali sono rappresentati dal vallone Reginola che confluisce nel torrente Dragone (codice 0.DR) e dal T. Sambuco (codice 0.SB); tali aste drenanti, che si sviluppano in direzione N-S, sono impostate su importanti lineamenti strutturali. Le linee drenanti secondarie ad andamento prevalente E-W, soprattutto nel tratto medio basso dei due valloni principali, presentano confluenze ortogonali alle aste principali confermando il condizionamento litostrutturale dell’idrografia. I corsi d’acqua principali risultano particolarmente incassati nei terreni del substrato con sezione degli alvei sagomata a “V” e con alcuni tratti riempiti da materiale piroclastico rimaneggiato. Gli impluvi minori, invece, presentano sezioni generalmente più svasate in quanto, quasi sempre, sono riempiti da una spessa coltre di materiale piroclastico in giacitura secondaria. Il regime delle portate è direttamente legato alle precipitazioni meteoriche e subordinatamente alle acque sorgentizie. CRITICITA’ In accordo con l’orientamento assunto per la valutazione dell’assetto idro-geologico del territorio, che prevede di inquadrare la franosità pregressa per ambiti geomorfologici omogenei, le criticità legate ai diversi insediamenti e infrastrutture sono state distinte per tipologia, riunendole nei settori di seguito riportati. Si precisa inoltre che sono da considerarsi critiche tutte le aree indicate nella cartografia di Piano a rischio molto elevato R4 e elevato R3, laddove esse sono riferite a edifici e infrastrutture esistenti e non a previsioni di pianificazione urbanistica non ancora attuate. A. Zona di testata del bacino imbrifero del T. Sambuco : in tale ambito si rilevano numerose colate rapide delle quali diverse sono riferibili all’evento del 1954 e altre, più recenti, al 2005. Esse interessano diffusamente la strada provinciale per il Valico di Chiunzi, strade comunali e, localmente, la frazione Sambuco e gruppi di case sparse. B. Versante ad in destra idrografica del T. Sambuco - Colate rapide hanno interessato tale tratto di versante, caratterizzato inoltre dalla presenza di estese scarpate subverticali. I depositi di copertura presenti sui versanti in località Lacco e S. Croce incombono direttamente sull’abitato di Minori e su diversi edifici sparsi; già in passato eventi di frana si sono innescati nel territorio di Ravello raggiungendo il sottostante territorio di Minori in località Villamena. C. Versante a nord-ovest della dorsale di Ravello - l’area è stata classificata critica per il riconoscimento di diversi eventi di crollo e per la presenza di grandi scarpate subverticali predisponenti ad ulteriori movimenti dello stesso tipo. Sono esposti a rischio alcuni edifici sparsi e la strada provinciale che collega la S.S. 163 con l’abitato di Ravello. D. Versante a sud-est della dorsale di Ravello - La criticità dell’area deriva dalla presenza di una spessa coltre piroclastica lungo il versante e nelle testate degli impluvi minori. In tale area almeno un episodio di colata rapida (loc. San Cosma) ha interessato i depositi presenti in una concavità morfologica con recapito diretto a mare. E. Falesia – Tale morfotipo è rappresentato dalla scarpata costiera che segna tutta la linea di costa comunale. L’elevata acclività e lo stato di fratturazione e alterazione dei litotipi affioranti, costituiscono fattori predisponenti per frane di crollo, talora aggettanti su spiagge frequentate nel periodo estivo.


CLASSIFICAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ P1 -pericolosità moderata- Unita’ territoriale caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi caratterizzati da intensita’ bassa, ovvero di fenomeni di intensita’ media/elevata a magnitudo bassa (volume coninvolto molto limitato), ovvero da fenomeni franosi inattivi di media intensita’. P2 -pericolosita’ media- Unita’ territoriale caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi caratterizzati da intensita’ bassa o da intensita’ elevata, ma magnitudo media, nonchè franosita’ attiva o quiescente, con evidenze di riattivazioni recenti (di epoca storica), comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di ampliamento di frane con massima intensita’ reale o attesa bassa. P3 -pericolosita’ elevata- Unita’ territoriale priva di franosita’ attiva o quiescente,ma caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi con intensita’ e magnitudo elavata, nonchè franosita’ attiva o quiescente, con evidenze di riattivazioni (di epoca storica), comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di ampliamento di frane con massima intensita’ reale o attesa bassa. P4 -pericolosità molto elevata- Aree con franosita’ attiva o quiescente (comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di invasione) di frane con massima intensita’, reale o attesa elevata. Piano per l’assetto idrogeologico

L’edificio abusivo è situato in un’area P2, quindi con la franosità avvenuta o attesa caratterizzata da intensità media o bassa associata a magnitudo medie.

Gli interventi per la mitigazione della pericolosità e del rischio da frana dovranno prevedere misure strutturali laddove le condizioni di rischio siano riferite a un’area ben definita (es. pareti verticali soggette a crolli, elevati spessori di depositi di copertura lungo i versanti e incombenti su specifiche aree urbanizzate, frane attive o quiescenti in successioni terrigene ecc...); le misure non strutturali possono costituire integrazione e/o completamento delle precedenti e sono da preferire laddove i livelli di pericolosità e rischio sono diversificati all’interno di un ambito morfologico ampio ma ben definito. Di seguito vengono illustarte sinteticamente le mitigazioni strutturali e non strutturali per il riassetto idrogeologico. MISURE NON STRUTTURALI Attivita’ di previsione e sorveglianza (APS) APS1-monitoraggio meteo-idrologico del rischio di frana: Tale misura risulta essere il principale intervento per gli ambiti territoriali interessati da frane di colata rapida, in quanto misure strutturali di tipo intensivo possono risultare non applicabili in areali molto vasti. Essa è da applicare, pertanto, alla scala di bacino idrografico o di ampio settore significativo di territorio (versante). Il monitoraggio meteoidrologico deve rientrare in un quadro complessivo di pianificazione della protezione civile.


L’ubicazione dei pluviometri dovrà integrare la rete esistente, tenendo conto della variabilità della piovosità locale in funzione dell’altitudine e esposizione dei versanti. Dovrà essere prevista la trasmissione in tempo reale delle informazioni al fine di attivare un sistema di ‘allerta rapido’ per l’applicazione delle misure di protezione civile. APS2- monitoraggio di sorveglianza e/o controllo strumentale di frana attiva o quiescente: attraverso misurazioni pluviometriche, inclinometriche, piezometriche ed estensimetriche del fenomeno franoso. La scelta del tipo di monitoraggio più opportuno dovrà essere individuata, in fase di studio, sulla base della tipologia di frana e dei meccanismi evolutivi propri di ogni singolo dissesto. Tale misura è indispensabile per verificare l’efficacia di eventuali interventi strutturali intensivi già realizzati. Regolamentazione dell’uso del suolo nelle aree a rischio (RUS) Regole ben definite riguardo l'utilizzo delle aree a pericolosità da frana sono fondamentali per la riduzione del rischio idro-geologico. Esse riguardano sia le aree urbane, esistenti e di progetto, sia quelle extra-urbane. RUS1- revisione degli strumenti urbanistici vigenti in termini di compatibilità con le condizioni di rischio: potrà essere attuata mediante verifica di compatibilità degli strumenti urbanistici anche mediante studi finalizzati alla riperimetrazione e caratterizzazione dei dissesti e delle aree critiche. RUS2- indirizzi alla programmazione a carattere agricolo-forestale per interventi con finalità di protezione idraulica e idrogeologica: dovrà essere prevista la manutenzione, soprattutto per quanto riguarda l’efficacia dei drenaggi superficiali, delle aree terrazzate a fini agricoli, prevedendone l’eventuale recupero laddove queste dovessero versare in stato di abbandono. Le pratiche e le tecniche colturali, inoltre, dovranno essere finalizzate alla prevenzione degli incendi. RUS3- indirizzi e prescrizioni per la progettazione di opere private, pubbliche e di interesse pubblico secondo criteri di compatibilità con le condizioni di rischio idrogeologico: si richiamano le indicazioni relative all’adeguamento degli strumenti urbanistici, sottolineando che la progettazione di qualsiasi opera non potrà prescindere da una adeguata valutazione di compatibilità idro-geologica. Mantenimento delle condizioni di assetto del territorio e dei sistemi idrografici (MAT) MAT1- manutenzione programmata sui versanti e sulle relative opere di stabilizzazione: mantenimento delle condizioni attuali di assetto del territorio con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria dei versanti (es. disgaggio lungo i costoni rocciosi, rimozione di materiale in condizioni di equilibrio precario) e delle opere di sistemazione presenti (es. rimozione dei sedimenti accumulati in corrispondenza delle briglie). MISURE STRUTTURALI DI TIPO ESTENSIVO (MSE) Gli interventi di tipo estensivo, a carattere permanente e diffuso, riguardano estesi ambiti territoriali e sono finalizzati: a migliorare l'assetto idro-geologico e a prevenire fenomeni di dissesto di versante. Per il conseguimento di tali finalità sono da preferire misure di: MSE1- opere di idraulica forestale sul reticolo idrografico minore; MSE2- riforestazione e miglioramento dell’uso agricolo del suolo a fini di difesa idrogeologica. MISURE STRUTTURALI DI TIPO INTENSIVO (MSI) MSI1- riferite al reticolo idrografico minore e ai versanti, rappresentate da opere con funzione di controllo e contenimento dei fenomeni di dissesto: Tali opere, localizzate e dimensionate in modo opportuno in fase di progettazione esecutiva, dovranno essere diversificate in funzione delle tipologie dei dissesti: Per le frane di crollo, ribaltamento o scorrimento traslativo, l’uso di reti metalliche paramassi, chiodature e tirantature, barriere paramassi consentirebbero un’efficace azione difensiva delle aree minacciate. Dovranno essere previsti contestualmente programmi di manutenzione e verifiche di efficienza e efficacia degli interventi. Per le frane in terreni piroclastici il dimensionamento e la scelta progettuale delle opere da effettuare dovrà, ovviamente, tenere conto delle caratteristiche locali della singola zona di intervento, in particolar modo degli spessori di copertura. La tipologia delle opere da effettuare per il riassetto delle aree di innesco potrebbe essere così articolata: canalette inerbite, palizzate o palificate, drenaggi superficiali e/o sotterranei (trincee), risagomature del versante, muri, gabbionate, rimboschimento.


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Vincoli

Vincolo sismico Per ridurre gli effetti del terremoto, l’azione dello Stato si è concentrata sulla classificazione del territorio, in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato, e sull’applicazione di speciali norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche. La legislazione antisismica italiana, allineata alle più moderne normative a livello internazionale prescrive norme tecniche in base alle quali un edificio debba sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e senza crollare i terremoti più forti, salvaguardando prima di tutto le vite umane. Sino al 2003 il territorio nazionale era classificato in tre categorie sismiche a diversa severità. I Decreti Ministeriali emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1981 ed il 1984 avevano classificato complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, che corrispondono al 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione. Nel 2003 sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo. ZONA 1 - La zona più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti. ZONA 2 - Comuni inseriti in questa zona possono verificarsi terremoti abbastanza forti. ZONA 3 - Comuni inseriti in questa zona possono essere soggetti a scuotimenti modesti. ZONA 4 - E' la zona meno pericolosa. Di fatto, sparisce il territorio “non classificato”, che diviene zona 4, nel quale è facoltà delle Regioni prescrivere l’obbligo della progettazione antisismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su roccia (zona 1=0.35 g, zona 2=0.25 g. zona 3=0.15 g, zona 4=0.05 g). SUDDIVISIONE DELLE ZONE SISMICHE IN RELAZIONE ALL’ACCELERAZIONE DI PICCO SU TERRENO RIGIDO (OPCM 3519/06). Zona sismica 1 - ag >0.25 Zona sismica 2 - 0.15< ag <0.25 Zona sismica 3 - 0.05< ag <0.15 Zona sismica 4 - ag <0.05

L’edificio preso in esame, come già detto precedentemente, si trova nel comune di Ravello che come tutti i comuni della Costiera Amalfitana e la penisola Sorrentina, comprese le isole si trovano in Zona sisimica 3 (dati dalla classificazione sisimica del 2012 della protezione civile) quindi caratterizzata dalla possibilita’ di avere scuotimenti modesti. Ad ogni modo in Italia le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008), hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e quindi territorio comunale – precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico da utilizzare per il calcolo delle azioni sismiche.


Dal 1 luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera (Indica il numero di anni durante i quali una struttura deve poter essere usata per lo scopo per cui è stata progettata; questo parametro, previsto dalle Norme Tecniche per le Costruzioni, condiziona l'entità delle azioni sismiche di progetto; per le costruzioni ordinarie, la vita nominale considerata è ≥ 50 anni). Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 km di lato, indipendentemente dai confini amministrativi comunali. La classificazione sismica (zona sismica di appartenenza del comune) rimane utile solo per la gestione della pianificazione e per il controllo del territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio civile, ecc.). Inoltre le nuove norme hanno anche stabilito un iter per il calcolo strutturale più completo e sicuro, infatti le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo tale da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle presenti norme. La sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazione agli stati limite che si possono verificare durante la vita nominale. Stato limite è la condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata. In particolare le opere e le varie tipologie strutturali devono possedere i seguenti requisiti: - sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possano compromettere l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali e sociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera; - sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio; - robustezza nei confronti di azioni eccezionali: capacità di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità delle cause innescanti quali incendio, esplosioni, urti. Il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso e il superamento di uno stato limite di esercizio può avere carattere reversibile o irreversibile. Per le opere esistenti è possibile fare riferimento a livelli di sicurezza diversi da quelli delle nuove opere ed è anche possibile considerare solo gli stati limite ultimi. La durabilità, definita come conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali e delle strutture, proprietà essenziale affinché i livelli di sicurezza vengano mantenuti durante tutta la vita dell’opera, deve essere garantita attraverso una opportuna scelta dei materiali e un opportuno dimensionamento delle strutture, comprese le eventuali misure di protezione e manutenzione. I prodotti ed i componenti utilizzati per le opere strutturali devono essere chiaramente identificati in termini di caratteristiche meccanico-fisico-chimiche indispensabili alla valutazione della sicurezza e dotati di idonea qualificazione. I materiali ed i prodotti, per poter essere utilizzati nelle opere previste dalle presenti norme, devono essere sottoposti a procedure e prove sperimentali di accettazione. Le prove e le procedure di accettazione sono definite nelle parti specifiche delle presenti norme riguardanti i materiali. La fornitura di componenti, sistemi o prodotti, impiegati per fini strutturali, deve essere accompagnata da un manuale di installazione e di manutenzione da allegare alla documentazione dell’opera. I componenti, sistemi e prodotti, edili od impiantistici, non facenti parte del complesso strutturale, ma che svolgono funzione statica autonoma, devono essere progettati ed installati nel rispetto dei livelli di sicurezza e delle prestazioni dettati dalle norme. In questo particolare caso molta attenzione deve essere posta al fattore sismico e alla struttura del manufatto visto che risulta interrato all’interno di un terrazzamento che già si presenta come una struttura molto delicata. Sicuramente in un possibile recupero sarà fondamentale da parte del comune un azione di messa in sicurezza e assolita verifica della struttura dell’immobile interrato.


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Vincoli

Vincolo Parco regionale Il comune di Ravello nella sua totale estensione ricade all’interno del Parco Regionale dei Monti Lattari, quindi anche la ristretta area che in questo momento ho preso in considerazione e dove si trova questo immobile. In particolare questa porzione di territorio situata vicino al centro storico di Ravello sul versante che si affaccia verso est, fa parte della zona C , zona di riserva controllata del Parco dei Monti Lattari cioè “area di riqualificazione urbana e ambientale e di promozione e sviluppo economico e sociale ”.

PARCO REGIONALE DEI MONTI LATTARI

Tramonti

Minori

Scala

Ravello

Maiori

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Amal

Furore Praiano

Atrani

Conca dei Marini

Area di riserva controllata

Area di riserva generale

Area di riserva Integrale

Nella zona C (Area di riserva controllata) oltre alle prescrizioni generali valide su tutto il territorio del Parco e contenute nelle norme generali di salvaguardia per il parco dettate dalla Regione Campania all’art2, vigono le norme degli strumenti urbanistici vigenti oltre alle norme sulla ricostruzione delle zone terremotate (ex legge 1431/62, 219/81, 363/84 e successive modificazioni ed integrazioni. Gli insediamenti di edilizia minore, rurale, sparsa, dei centri storici devono essere recuperati nel rispetto delle tipologie tradizionali, per la promozione delle attivita’ economiche delle collettivita’ locali in stretta armonia e coesistenza con le attivita’ del Parco Regionale in conformita’ con quanto disposto dalla legge regionale di attuazione 179/92. Quindi il manufatto preso in esame oltre alle norme generali del Parco dei Monti Lattari in materia di: tutela dell’ambiente per quanto riguarda cave e discariche, protezione della fauna, raccolta di singolarita’, protezione della flora ed attivita’ agrnomiche e silvopastorali, tutela delle zone boschive, tutela della risorsa idropotabile e dell’assetto idrogeologico, infrastruttura impiantistica, circolazione, tutela del patrimonio edilizio e disciplina edilizia (che si possono trovare in forma estesa all‘art.2 del piano del Parco Regionale dei Monti Lattari); si fa riferimento alle norme descritte nel P.U.T. e nel P.R.G. del comune di Ravello, che ho gia’ descritto precedentemente.


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Vincoli Vincolo di procedura Come per ogni costruzione sul territorio della regione Campania e di tutta la nazione, per poter eseguire delle opere edilizie, devono essere ottenuti presso gli istituti competenti una serie di autorizzazioni e permessi che permettono alla costruzione di essere poi realizzata. Ovviamente senza queste autorizzazioni nessun progetto si può realizzare legalmente, in questo specifico caso mancano praticamente tutti i permessi che poi danno la possibilità di costruire un edificio, in particolare: -Aver eseguito le opere in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza del permesso di costruire previsto. (art.44, comma 1, lett. c) DPR n.380 del 6/6/01). -Realizzato l’immobile senza la previa redazione di un progetto e senza la direzione di un tecnico abilitato ed iscritto nel relativo albo nei limiti delle rispettive competenze. (artt. 64 e 71 DPR n. 380/01). -Aver eseguito i lavori in zona sismica senza darne preavviso scritto allo Sportello Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest’ultimo ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico-descrittivi prescritti per le zone. (artt. 93 e 95 DPR n.380/01) -Iniziato la costruzione delle opere senza aver fatto precedente richiesta allo Sportello Unico del comune di Ravello. (art.110 c.p. e agli artt. 65 e 72 D.P.R. n°380/2001). La mancanza in questo caso delle autorizzazioni e le operazioni effettuate senza i relativi permessi producono dei reati per i quali le autorità competenti possono perseguire il colpevole o i colpevoli.

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Tipologie di abuso

Abuso non residenziale Il manufatto di questo terzo caso risulta di più difficile classificazione, poichè dagli accertamenti delle autorita’ competenti e dagli addetti del comune non si riscontra una precisa destinazione d’uso, ma posso ipotizzare vista le piccole dimensioni dei locali interrati e l’area relativamente ristretta in cui si trovano che il proprietario li volesse utilizzare come deposito o cantina per la conservazione di cibi e bevande. Questa situazione ci porta a definire il probabile abuso edilizio, visto le condizioni costruttive in cui è stato ritrovato e non le ben chiare intenzioni del proprietario del terreno, come un “abuso non residenziale”.

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Dimensioni

Macroabusivismo In questo caso particolare siamo in presenza di un manufatto completamente abusivo (100%), in assenza di alcuna autorizzazione, che apporta delle modificazioni importanti e pericolose alla struttura terrazzata del comune di Ravello, anche se non visibile perchè la costruzione è interrata. Inoltre le sue dimensioni se pur contenute, circa 35 mq, risultano in ogni caso di considerevole importanza se si pensa che sono interrate all’interno di un suolo ricavato da due muri di sostegno in pietra e che ha una larghezza di circa 7 mt. Per questo considero l’abuso come un episodio di “Macroabusivismo”.


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Reversibilità Materiale reversibile La costruzione interrata all’interno di un terrazzamento è un operazione molto diffcile e particolare, ma in questo caso fatta in maniera ottima e utilizzando i materiali semplici e della tradizione; le pareti interne dei locali non risultano ancora rifinite, ma presentano così come la volta una struttura costituita da pietrame, la composizioneè molto semplice e di dimensioni ridotte e quindi il materiale utilizzato non intacca assolutamente il contesto ambientale in cui si trova, anzi ne fa parte da moltissimo tempo, visto che anche le abitazioni e gli stessi muri di contenimento dei terrazzamenti venivano e per quest’ultimi anche tutt’oggi realizzati con delle pareti in pietrame. A prescindere che il manufatto possa essere riconvertito oppure abbattuto, il materiale utilizzato per la sua costruzione può essere sicuramente riutilizzato e risulta quindi “reversibile”.

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Proprietà del suolo Verificato dalle istituzioni competenti e avvagliato anche da documenti scritti, il terreno su cui sorge il manufatto preso in esame risulta proprietà privata della stessa persona che poi ha progettato ed iniziato i lavori per la costruzione del piccolo edificio e delle opere di connessione e camminamento sui terrazzamenti, risultante residente a nel Comune di Ravello. ale

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Incidenza sul contesto (dimensionale) Il manufatto abusivo sorge all’interno del centro storico di Ravello, su un terrazzamento del versante est, che da sul mare e sul centro abitato costiero di Minori e che quindi guadagna una valenza panoramica di inestimabile valore. Caratteristica però che mi induce a valutare come bassa la sua incidenza sul contesto dal punto di vista dimensionale è, oltre alle sue limitate dimensioni come già riferito prima si tratta di due locali per un totale di circa 35 mq, quella di essere una struttura completamente interrata e quindi nascosta alla vista dall’esterno, con una sola rampa di scale che collega il manufatto alla superficie. Questo riduce notevolemte l’impatto che questo edificio abusivo ha sul contesto perchè non disturba e non modifica visivamente il contesto territoriale in cui si inserisce.

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Incidenza sul contesto (ambientale)

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La valutazione dell’incidenza sul contesto ambientale, se ad una prima occhiata puo’ sembrare di facile conclusione, in realta’ cosi’ non è, in quanto si il manufatto abusivo è interrato e quindi non provoca nessuna trasformazione visibile all’ambiente in cui si trova, ma il fatto stesso che esso sia scavato all’interno di un terrazzamento, struttura gia’ insitamente delicata e fragile e che senza la giusta manutenzione puo’ facilmente deteriorarsi e quindi minare la sua stabilita’ e quella del manufatto che risiede al suo interno. Quindi se dal punto di vista visivo e di impatto sulla vegetazione l’incidenza si puo’ definire comunque basso, per quanto riguarda la struttura stessa degli elementi che compartecipano ho ancora dei dubbi. Il manufatto come ho gia’ descritto prima, è interrato e costituito da due locali con copertura a volta realizzata in pietrame e che sembra comunque staticamente in buono stato, anche se dalle autorita’ competenti del comune di Ravello ci sara’ sicuramente bisogno di un accurato controllo, qualsiasi sia l’azione che poi sara’ portata avanti riguardo l’edificio. L’elemento negativo è che questa struttura anche se costruita con materiale reversibile ed ecosostenibile, e che diciamo rispecchia le tipiche tecniche costruttive dell’epoca, possa aver delle conseguenze negative sulla struttura del terrazzamento che lo contiene, visto che questo è lasciato per adesso senza alcuna cura e manutenzione e visto che il muro di contenimento più a sud confina con una strada di passaggio del centro storico di Ravello, qualsiasi smottamento o cedimento strutturale del sistema delle macere potrebbe creare gravi problemi. In ogni caso dopo queste valutazioni mi sento comunque di poter dichiarare che, in presenza di una serie di controlli e di una minima manutenzione del sistema terrazzato si possa definire l’incidenza sul contesto dell’immobile “sostenibile”


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Fase L’edificio nella struttura risulta completamente finito, anche la porta di accesso e le scale risultano completate e presenti; l’interno invece risulta ancora incompleto, vista la mancanza delle finiture, del pavimento e di praticamente tutti gli impianti; Il manufatto si può quindi collocare in una “fase inoltrata di costruzione”.

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Occupazione dell’immobile (temporale) L’immobile come da accertamenti risulta essere stato occupato da poco tempo, data anche la recente costruzione dello stesso, con una destinazione d’uso di magazzino.


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Proposta d’intervento - Area .1_caso.3 Dopo aver all’interno della scheda di valutazione di questo terzo caso, sito in via Reppubblica nel comune di Ravello, analizzato diversi aspetti riguardanti l’immobile stesso e l’area in cui è stato edificato ora posso trarne diverse e interessanti conclusioni. L’edifico è interrato all’interno di un terrazzamento, è costituito da due locali adiacenti previo sbancamento di roccia e di terreno, uno con superficie di circa 25.20 mq mentre l’altro di 9.12 mq. L’area in cui si trova l’immobile ricade sotto i vincoli del PUT (Piano Urbanistico Territoriale per l’Area SorrentinoAmalfitana) che è stato approvato, ai sensi dell’articolo 1/bis della legge 8 agosto 1985, n.431, con la Legge Regionale n.35 del 27.06.1987 (BURC n.40 del 20.07.1987). In questo caso particolare la costruzione ricade nella zona Territoriale 2 definita come area di tutela degli insediamenti antichi accentrati. Comprende gli insediamenti antichi ed accentrati di interesse storico, artistico ed ambientale, perimetrali e classificati secondo i criteri di cui alla relazione del Piano Urbanistico Territoriale parte 3a. Essa va trasferita nei Piani Regolatori Generali come zona “A” di Piano Regolatore, ai sensi del DM 2 aprile 1968, n. 1444, oppure articolata in due zone di cui una classificata “A” - come sopra- e l' altra di “rispetto ambientale”. In questo particolare ambito territoriale messo sotto massimo livello di tutela, sono però possibili diversi interventi di recupero degli edifici presenti, con un gran numero, come ho già descritto prima di possibili destinazioni d’uso che possono essere realizzato e questo da ampie possibilita’ di un possibile recupero delle costruzioni abusive o non conformi alle direttive comunali, trasformando quindi un elemento negativo, a vari livelli di gravitˆ per il contesto, in un potenziale elemento positivo. Come approfondito nelle valutazioni si nota che l’edificio abusivo si trova in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico ormai da diversi anni, situazione confermata dal protrarsi di questo vincolo in diverse leggi che si sono succedute nel tempo; inoltre risulta essere anche un’area sottoposta a vincolo iderogeologico, con un livello di rischio P2 e di vincolo sisimico Ad aumentare ancora la gravita’ dell’abuso è il fatto che il manufatto si trova all’interno del Parco Regionale dei Monti Lattari, come gran parte del territorio della Costiera Amalfitana ed oltretutto in un’area che è definita di “ riserva controllata” dove sono presenti prescrizioni importanti in materia di: tutela dell’ambiente per quanto riguarda cave e discariche, protezione della fauna, raccolta di singolarita’, protezione della flora ed attivita’ agrnomiche e silvopastorali, tutela delle zone boschive, tutela della risorsa idropotabile e dell’assetto idrogeologico, infrastruttura impiantistica, circolazione, tutela del patrimonio edilizio e disciplina edilizia. Per effettuare qualsiasi operazione di costruzione, quando possibile, su quest’area quindi ci sarebbe bisogno di diversi permessi, autorizzazioni e procedure da seguire, mentre chi ha costruito il manufatto abusivo ha completamento ignorato queste prescrizioni ignorando assolutamente le autorità e quindi operando: -Senza un progetto e senza la direzione di un tecnico abilitato ed iscritto nel relativo albo nei limiti delle rispettive competenze. -Senza aver fatto precedente richiesta allo Sportello Unico del comune di Ravello. -Eseguito i lavori in zona sismica senza darne preavviso scritto allo Portello Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest’ultimo ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico descrittivi per le zone sismiche. -Realizzato opere in una zona sottoposta come abbiamo gia citati precedentemente, sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, senza la prescritta autorizzazione. La costruzione sita nel centro storico di Ravello inoltre è risultata essere come già spiegato un “abuso non residenziale, poichè dagli accertamenti delle autorita’ competenti e dagli addetti del comune non si riscontra una precisa destinazione d’uso, ma posso ipotizzare vista le piccole dimensioni dei locali interrati e l’area relativamente ristretta in cui si trovano che il proprietario li volesse utilizzare come deposito o cantina per la conservazione di cibi e bevande. Il manufatto è interrata all’interno di un terrazzamento e questa risulta essere un’operazione molto diffcile e particolare, ma in questo caso fatta in maniera ottima e utilizzando i materiali semplici e della tradizione (per lo più pietrame). Le valutazioni per quanto riguarda invece l’incidenza sul contesto sia dimensionale che ambientale sono rispettivamente “bassa” per il primo e “sostenibile” per il secondo, e la loro importanza emergerà poi successivamente.


A questo punto al processo di valutazione critica dell’immobile abusivo ormai concluso e che ha fornito importanti e specifiche informazioni, subentra la vera e propria azione sull’edificio e sull’area su cui esso è stato costruito. Visto il carattere completamente abusivo dell’opera e le importanti modificazioni che ha apportato alla struttura intrinseca del terrazzamento, il comune di Ravello procede con il sequestro dell’intera porzione di territorio, anche se proprietà privata e del manufatto stesso, oltre ad accusare il proprietario di diversi reati commessi. Definito quindi il sequestro, il comune deve decidere come operare e cosa fare dell’edificio e dell’area di sua pertinenza. Le strade che si prospettano sono diverse, ma la decisione deve a mio parere tenere conto delle valutazioni emerse durante il lavoro di analisi ed inoltre fattore ancora più importante deve rientrare in una visione più ampia di tutela del territorio che non si riduca alla sola azione sanzionatoria per i reati di abusivismo edilizio. La possibilità infatti è quella di poter, a seconda delle particolari situazioni e valutazioni dei diversi casi, elaborare un progetto di compensanzione alternativo che ha come obbiettivo fondamentale quello di dare vita a degli interventi che pongono al primo posto il patrimonio culturale e paesaggistico dell’area cercando col il riutilizzo, se possibile, degli edifici abusivi, la sistemazione del suolo ed altre soluzioni innovative di compensazione dell’abuso, di innescare ed introdurre in questo contesto un processo di “tutela attiva” del territorio attraverso il quale i cittadini possono recuperare la consapevolezza del loro ambiente e delle grandi potenzialità che esso offre.


La costruzione non è abitata perchè risulta essere stata costruita con l’intento di essere adibito a probabile deposito;mentre l’area circostante del terrazzamento risulta assolutamente non curata e lasciata abbandonata. Il manufatto abusivo sorge all’interno del centro storico di Ravello, su un terrazzamento del versante est, che da sul mare e sul centro abitato costiero di Minori e che quindi guadagna una valenza panoramica di inestimabile valore. Caratteristica però che mi induce a valutare come bassa la sua incidenza sul contesto dal punto di vista dimensionale è, oltre alle sue limitate dimensioni come già riferito prima si tratta di due locali per un totale di circa 35 mq, quella di essere una struttura completamente interrata e quindi nascosta alla vista dall’esterno, con una sola rampa di scale che collega il manufatto alla superficie. Questo riduce notevolemte l’impatto che questo edificio abusivo ha sul contesto perchè non disturba e non modifica visivamente il contesto territoriale in cui si inserisce. La costruzione interrata all’interno di un terrazzamento è in questo caso fatta in maniera ottima e utilizzando i materiali semplici e della tradizione; le pareti interne dei locali non risultano ancora rifinite, ma presentano così come la volta una struttura costituita da pietrame, la composizione è molto semplice e di dimensioni ridotte e quindi il materiale utilizzato non intacca assolutamente il contesto ambientale in cui si trova, anzi ne fa parte da moltissimo tempo, visto che anche le abitazioni e gli stessi muri di contenimento dei terrazzamenti venivano e per quest’ultimi anche tutt’oggi realizzati con delle pareti in pietrame, a questo punto possiamo quindi definire che sia la struttura che il materiale utilizzato per edificarle sono reversibili e riutilizzabili. Quindi se dal punto di vista visivo e di impatto sulla vegetazione l’incidenza si puo’ definire comunque basso, per quanto riguarda la struttura stessa degli elementi che compartecipano ho ancora delle incertezze, infatti il manufatto come ho gia’ descritto prima, è interrato e costituito da due locali con copertura a volta realizzata in pietrame e che sembra comunque staticamente in buono stato, anche se dalle autorita’ competenti del comune di Ravello ci sara’ sicuramente bisogno di un accurato controllo, qualsiasi sia l’azione che poi sara’ portata avanti riguardo l’edificio. L’elemento negativo è che questa struttura anche se costruita con materiale reversibile ed ecosostenibile, e che diciamo rispecchia le tipiche tecniche costruttive dell’epoca, possa aver delle conseguenze negative sulla struttura del terrazzamento che lo contiene, visto che questo è lasciato per adesso senza alcuna cura e manutenzione e visto che il muro di contenimento più a sud confina con una strada di passaggio del centro storico di Ravello, qualsiasi smottamento o cedimento strutturale del sistema delle macere potrebbe creare gravi problemi. In ogni caso dopo queste valutazioni mi sento comunque di poter dichiarare che, in presenza di una serie di controlli e di una minima manutenzione del sistema terrazzato si possa definire l’incidenza sul contesto dell’immobile “sostenibile”

Intervento Dopo il sequestro totale dell’immobile e della piccola area circostante il comune impone ai realizzatori dell’opera le spese per verfica e la valutazione della stabilità strutturale del manufatto. Inoltre il comune decide di ridefinire la funzione dell’edificio, per renderlo utile agli abitanti locali visto la sua struttura interrata e la sua posizione strategica.

il comune trasforma il manufatto edilizio in un piccolo , ma strategico centro culturale che oltre a curare il paesaggio in cui è inserito, operazione fondamentale in tutta la costiera, attraverso la manutenzione dei terrazzamenti e la tutela delle biodiversità, offre un servizio fondamentale per i turisti e per gli stessi abitanti locali. l’oganizzazione del centro è affidata da parte delle istituzioni ad associazioni libere di cittadini oppure a quelle legate ad organizzazioni più grandi votate communque alla tutela del paesaggio culturale della Costiera Amalfitana (Parco dei monti Lattari). Il centro può occuparsi di diverse attività, da quelle puramente istruttive e culturali a quelle di diffusione delle informazioni relative all’agricoltura biologica ed alle sue tecniche, alla organizzazione di escursioni tematiche nei luoghi della costiera. Inoltre il luogo e lo spazio che occupa può diventare un luogo di pregio per la sua vista privilegiata e la sua altitudine da cui si può ammirare il particolare paesaggio. Ancora una volta il recupero di un manufatto abusivo, da alla comunità locale, l’occasione di ridefinire e convertire un elemento assolutamente negativo sotto diversi aspetti e ormai già completamente costruito, in un elemento positivo offrendo la possibilità di un diverso sviluppo in chiave sostenibile e coerente con quegli eventi che hanno contribuito nel tempo a costituituire il paesaggio che noi tanto ammiriamo, ma che con la sua fragilità sta scomparendo per mano dell’uomo sempre più disinteressato nei riguardi del valore materiale ed immateriale dello spazio che lo circonda.


escursioni

guide ai sentieri della Costiera

Locale Locale

Punto informazioni

esposizione e materiale informatico della cultura locale

Planimetria

operazioni di manutenzione per ridurre le frane

M

Punto di vista

tutela del paesaggio locale

Sezione


Scheda di Valutazione - Area .2

PRAIANO

Superficie: 2,66 Kmq Altezza s.m.l.: 120 mt Abitanti: 2081 Densità: 761,28 Ab./Kmq

PRAIANO

Latitudine: 40° 36’ 37,30’’ Longitudine: 14° 31’ 57,61’’

Sito di importanza Comunitaria (SIC)

Zone di Protezione Speciale (ZPS)

Parco Regionale dei Monti Lattari

Riserva Naturale statale valle delle ferriere

Comune costiero d'impronta medievale in cui sopravvivono alcune lavorazioni artigianali, amorevolmente custodite da tempi immemorabili ma oggi purtroppo in declino; vive del turismo balneare e delle residue attività rurali e ittiche. La configurazione del territorio comunale, classificato collinare, è poco favorevole all'insediamento sparso e pertanto la comunità dei praianesi, con un indice di vecchiaia nella media, vive prevalentemente concentrata nella località di Vettica Maggiore e nel capoluogo comunale, costituito da case irregolarmente disseminate su un ripido pendio degradante sul mare. I contrafforti del monte Sant'Angelo a Tre Pizzi, coperti di boschi governati a ceduo e di macchia mediterranea, si spingono fino alla costa alta e frastagliata, che strapiomba sul mare limpidissimo con spettacolari pareti e spuntoni di roccia, formando Capo Sottile; poco distante dall'abitato si apre una pittoresca insenatura, La Praia, con una graziosa spiaggetta. Sullo sfondo azzurro dello stemma comunale, concesso con Decreto del Presidente della Repubblica, campeggiano tre bande dorate; nel "capo" d'argento, figurano tre arance disposte "in fascia"-quella centrale con gambo e foglie verdi. L'interesse dei turisti è stimolato non solo dall'incomparabile mare della costiera amalfitana ma anche dalla possibilità di compiere suggestivi itinerari sui rilievi retrostanti: da Vettica Maggiore si raggiunge il meraviglioso belvedere di Colle Serra; attraverso una scalinata recentemente restaurata, invece, ci s'immette nel fitto bosco che incornicia la chiesa e il convento di San Domenico, nelle vicinanze di un'interessante cavità carsica. In maggio la sagra della patata, cucinata in diversi modi appetibili, e nel mese di luglio la manifestazione "Festa d'estate" allietano il soggiorno accostando allegramente i più disparati aspetti delle tradizioni locali. La festa del Patrono San Luca si celebra il 18 ottobre.


Indicatori economici (numero di imprese / aziende per settore e variazioni intercensuali) -5,88%

Industria

1991

2001 -8,82%

Indagine valore immobili Commercio

1991

2001 28%

Servizi

1991

2001 3920 â‚Ź/mq

-12,20%

Artigianato

1991

Abitazioni economiche

Ville

2001 Abitazioni civili

50%

Istituzionali

1991

2001 2638 â‚Ź/mq

7,06%

Agricoltura

1990

2000

Indagine demografica 3000

2500 2087 1883

2000

1915

1774 1675 1595 1575

1535

1522

1546

1911 1921

1931

1936 1951 1961

1430

1500 1178 1060 1015 1064 1000

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1881 1901

1971 1981

1991 2001 2011

2063 â‚Ź/mq


Area .2_Caso.4

L’immobile è sito in via Campo 14 del Comune di Praiano in zona periferica rispetto al centro cittadino. Dal punto di vista catastale essa è censita al mappale 754 foglio 1, mentre urbanisticamente la zona è normata dalle prescrizioni della Legge Regionale n. 35/87 ed è gravata da vincolo sisimico, paesaggistico, idrogeologico oltre che dalle prescrizioni del Parco Regionale dei Monti Lattari.


Descrizione preliminare dell’immobile

Il manufatto di circa 55 mq al piano inferiore, sirulta completamente ultimata, abitabile ed è costruita da un primo ambiente soggiorno/cucina, di mt 7.00x5.10, in fondo al quale vi è la porta d’accesso alla camera da letto, di mt 3.50x3.50, e la porta di accesso al bagno il quale misura mt 3.10x1.35. Sul prospetto sud/ovest inoltre è stato realizzato un balcone, privo di pavimentazione, avente come parapetto una ringhiera in ferro, lungo quanto il fronte dell’appartamento e largo circa mt. 0,90, su cui si aprono tre porte finestre dalle dimensioni di mt 1,25x2.20. Al primo piano viene ripetuta la stessa metratura e identica organizzazione interna, compresa la costruzione del balcone con ringhiera in ferro largo circa mt 0,90. La cosa particolare e che ha attirato l’attenzione delle autorità competenti del comune di Praiano è che in origine l’unica parte costruita era quella al primo piano, mentre il piano sottostante era costituito solo dalla struttura in c.a., cosa che attualmente non corrisponde alla realtà come ho descritto poco sopra, perchè anche il piano sottostante risulta definito e ultimato in tutti i dettagli, creando un nuovo locale di circa 55 mq.


Prospetto stato di fatto

Prospetto antecedente ai lavori

sezione stato di fatto

Planimetria stato di fatto

sezione antecedente ai lavori

Planimetria antecedente ai lavori


Criteri e relazioni di valutazione o

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Vincoli Piano Urbanistico Territoriale per l’area Sorrentino-Amalfitana L’area in cui si trova l’immobile ricade sotto i vincoli del PUT (Piano Urbanistico Territoriale per l’Area Sorrentino-Amalfitana) che è stato approvato, ai sensi dell’articolo 1/bis della legge 8 agosto 1985, n.431, con la Legge Regionale n.35 del 27.06.1987 (BURC n.40 del 20.07.1987). Questo ha una specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e sottopone a normativa d’uso il territorio dell’Area Sorrentino-Amalfitana; inoltre prevede norme generali d’uso del territorio dell’area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o per l’adeguamento di quelli vigenti. In questo caso particolare la costruzione ricade nella zona Territoriale 1a-Tutela dell' ambiente naturale - 1° grado. Comprende le maggiori emergenze tettoniche e morfologiche che si presentano prevalentemente con roccia affiorante o talvolta a vegetazione spontanea. Essa va trasferita nei Piani Regolatori Generali, come zona di << tutela naturale >>, e la relativa normativa deve: - assicurare l' inedificabilità , sia privata che pubblica; - impedire ogni trasformazione del suolo (sbancamento, muri di sostegno, riporti etc.); - non consentire l' attraversamento da parte di strade, elettrodotti, acquedotti, funivie e altre opere che non siano quelle indicate dal Piano Urbanistico Territoriale; - non consentire opere di rimboschimento in contrasto con la vegetazione esistente; - assicurare la conservazione della vegetazione spontanea; - prevedere, ove necessario, interventi di restauro del paesaggio, secondo i criteri indicati nelle norme tecniche del titolo IV, esso infatti definisce che gli interventi per il restauro del paesaggio che sono previsti per la zona territoriale 1a, devono essere programmati secondo progetti unitari e qualificati culturalmente, tendenti a: - rimuovere le cause che hanno alterato l' ambiente naturale mediante demolizione delle opere eseguite (da effettuarsi anche con la predisposizione di opportune leggi); - ripristinare l' aspetto primitivo, sia per quanto riguarda la morfologia del suolo che per quanto riguarda la vegetazione. - prevedere per l' eventuale edilizia esistente: a) per gli edifici esistenti a tutto il 1955, il solo restauro conservativo, secondo le norme del titolo IV; b) per gli edifici costruiti successivamente, nessun intervento edilizio; - garantire per i Comuni costieri il pubblico accesso al mare o ai luoghi panoramici, mediante il ripristino dei sentieri o passaggi pedonali. Trasferendola nel Piano Regolatore Generale del comune di Praiano le predisposizioni sono le seguenti: 1. Nelle zone di tutela naturale è perseguita la conservazione del suolo, del sottosuolo, delle acque, della flora e della fauna, e il mantenimento o la ricostituzione delle predette componenti e di adeguati equilibri tra di esse. In dette aree è pertanto inammissibile qualsiasi intervento di edificabilità, pubblica e privata, e di trasformazione degli assetti presenti. 2. Nelle zone di tutela naturale non possono in alcun caso essere consentiti: a) i mutamenti di categoria di assetto vegetazionale e d'uso dei suoli nonché l'asporto di materiali e i movimenti di terra (quali sbancamenti, riporti e simili) che non siano strettamente finalizzati a interventi di restauro del paesaggio; b) l'esercizio di attività suscettibili di danneggiare gli elementi geologici o mineralogici; c) il deposito permanente di cataste di legna, di contenitori, di roulotte, caravan, container e simili, e di qualsiasi altro corpo ingombrante suscettibile di alterare lo stato del terreno sottostante; d) la raccolta, l'asportazione, il danneggiamento degli esemplari autoctoni floristici spontanei e faunistici selvatici, salvi gli eventuali interventi mirati di prelievo selettivo, effettuati o prescritti dai soggetti competenti; e) l'introduzione in qualsiasi forma di specie vegetali e animali non autoctone. 3. Nelle zone di tutela naturale sono effettuabili esclusivamente: a) l’ordinaria gestione selvicolturale, che deve salvaguardare il patrimonio arboreo esistente favorendo la disseminazione e la rinnovazione naturale delle specie vegetali autoctone, essendo preclusi i rimboschimenti artificiali che contrastino con i dinamismi naturali di tali specie; b) la prosecuzione delle pratiche colturali in atto sui suoli già da esse interessati alla data di adozione del presente Prg nonché sui suoli sui quali il ripristino dell’esercizio di pratiche colturali tradizionali sia espressamente previsto da progetti di interventi di restauro del paesaggio; c) la manutenzione degli elementi viari per i mezzi di trasporto motorizzati, degli impianti a rete per l'approvvigionamento idrico, per il trasporto dell'energia e per le telecomunicazioni, e delle altre opere indicate dal piano urbanistico territoriale dell’area sorrentino-amalfitana; 3. Nelle zone di tutela naturale sono effettuabili esclusivamente: a) l’ordinaria gestione selvicolturale, che deve salvaguardare il patrimonio arboreo esistente favorendo la


disseminazione e la rinnovazione naturale delle specie vegetali autoctone, essendo preclusi i rimboschimenti artificiali che contrastino con i dinamismi naturali di tali specie; b) la prosecuzione delle pratiche colturali in atto sui suoli già da esse interessati alla data di adozione del presente Prg nonché sui suoli sui quali il ripristino dell’esercizio di pratiche colturali tradizionali sia espressamente previsto da progetti di interventi di restauro del paesaggio; c) la manutenzione degli elementi viari per i mezzi di trasporto motorizzati, degli impianti a rete per l'approvvigionamento idrico, per il trasporto dell'energia e per le telecomunicazioni, e delle altre opere indicate dal piano urbanistico territoriale dell’area sorrentino-amalfitana; d) la manutenzione di spazi di sosta in immediata contiguità con i predetti elementi viari; gli spazi di sosta di nuova realizzazione non devono comportare sbancamenti né realizzazione di muri di sostegno, e non devono essere asfaltati, né pavimentati con altri materiali impermeabilizzanti, né costituire ostacolo al deflusso delle acque; degli esistenti elementi viari e spazi di sosta per i mezzi di trasporto motorizzati può essere mantenuta o ripristinata la pavimentazione in asfalto o in altri materiali impermeabilizzanti soltanto ove preesistente all'adozione del presente Prg; e) il ripristino e la manutenzione di percorsi e spazi di sosta pedonali e per mezzi di trasporto non motorizzati, soprattutto ove funzionali all’accesso al mare o ai luoghi panoramici; tali percorsi e spazi di sosta non devono essere asfaltati, né pavimentati con altri materiali impermeabilizzanti, né costituire ostacolo al deflusso delle acque; f) la realizzazione di opere di difesa del suolo, di difesa idraulica, e simili, nonché le attività di manutenzione e di esercizio delle predette opere; g) le trasformazioni dei manufatti edilizi esistenti rientranti nelle definizioni di: - manutenzione straordinaria, - restauro conservativo. 4. Nelle zone di tutela naturale sono compatibili le seguenti utilizzazioni: a. Naturalistica: - attività escursionistiche, ricreative, d'osservazione e di studio e relativi sentieri; - ricoveri connessi con l'attività escursionistica. b. Agricola, nei limiti di cui ai precedenti commi: - campi coltivati; - abitazioni per i conduttori dei fondi; - annessi agricoli necessari alla conduzione dei fondi: depositi per attrezzi e macchine, serbatoi idrici, locali per la conservazione e la prima trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, ricoveri per animali; - locali e servizi connessi all’attività di agriturismo e alla rivendita diretta dei prodotti agricoli e zootecnici; - boschi, pascoli. c. Per la produzione di beni e servizi se già esistenti: - artigianale. Artigianato di produzione: laboratori artigianali (esclusivamente per la produzione di beni artistici o connessi con le persone e le abitazioni, e a condizione che la superficie utile dell’unità immobiliare a ciò adibita non superi i 100 metri quadrati); magazzini, depositi; - terziaria. Attività ricettive e pubblici esercizi: ristoranti, bar. d. Residenziale: - residenze permanenti e temporanee; - residenze collettive: pensionati, conventi, caserme. e. Per spazi pubblici o riservati alle attività collettive e attrezzature pubbliche di interesse generale, di proprietà pubblica o privata: - per la cultura e il culto: musei, chiese, oratori; - sociali e ricreativi: centri sociali, culturali, ricreativi e polivalenti, mense; - assistenza sociale e sanitaria: centri di assistenza, case di riposo, residenze protette; - istruzione di base: asili, scuole materne, scuole dell’obbligo; - sanitari: ambulatori, poliambulatori; - tecnici: impianti tecnici per la distribuzione di acqua, energia elettrica e gas, servizi postelegrafonici e telefonici, servizi comunali e della protezione civile, per la pubblica sicurezza; -giardini, parchi. f. Per infrastrutture e attrezzature per la mobilità: - pontile per l’attracco di mezzi nautici di servizio pubblico. 5. Le utilizzazioni di cui al precedente comma 4 sono attivabili solo ove non comportino trasformazioni fisiche diverse da quelle di cui al precedente comma 3. Elemento fondamentale che quindi emerge sia dal P.R.G di Praiano che dal P.U.T. della penisola SorrentinoAmalfitana per la zona dove si trova l’edificio sotto indagine per abusivismo edilizio, è che questa porzione di territorio possiede delle importanti e fondamentali prescrizioni per la tutela ed il mantenimento del paesaggio naturale costiero, vientando praticamente qualsiasi nuovo intervento edilizio, a meno che non serva per la manutenzione del territorio, escludendo piccoli interventi o modificazioni della destinazione d’uso sui manufatti già presenti prima dell’attuazione del P.R.G..


T PU

Vincoli

Vincolo paesistico

Vincoli Paesistici 2001, Legge Galasso

Vincoli Paesistici 2001, PTP

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Vincoli Paesistici, Legge 1947/39

La prima legge organica a livello nazionale inerente la protezione delle bellezze naturali è la L.1497 del 1939 - Norme sulla protezione delle Bellezze Naturali. La legge 1497/39 si basa su di una concezione essenzialmente estetica dell'oggetto paesaggistico e riguarda singoli beni o bellezze d'insieme. Essa si caratterizzava nell'individuare alcune categorie di Bellezze Naturali, in particolare: bellezze individue - cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o geologica / ville parchi, che si distinguono per la non comune bellezza; bellezze d'insieme - complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale / le bellezze panoramiche e sull'imposizione del vincolo che ha come corollario la catagolazione ed il censimento dei beni e del territorio. Si è trattato di una legislazione di grande portata innovativa per l'epoca, ma caratterizzata per un approccio essenzialmente statico e per la tendenza a delineare un concetto di bellezza naturale di tipo estetizzante. Anche a fronte dei ritardi nell'adozione dei Piani Paesaggistici si promulga nel 1985 una legge innovativa, la c.d. Legge Galasso ( L.431/85) che sarà recepita prima dal Testo Unico n.490/99 poi dal vigente Codice Urbani (D.Lgs 42/2004). La Legge Galasso, mantenendo inalterata la disciplina delle Bellezza Naturali della L.1497/1939, opera su due fronti: introduce aree tutelate ex lege dettagliatamente elencate dall'art. 1 (ora recepite all'art. 142 del Codice); demanda alle Regioni, competenti nella materia a seguito della delega delle funzioni operate dallo Stato, la redazione dei Piani Paesaggistici. Nel Maggio 2004 è entrato in vigore il D.Lgs. n.42 recante il titolo " Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio" (c.d. Codice Urbani). Si è quindi fuori dalla tematica dei testi Unici perchè si tratta di un codice, di un testo normativo che, anche quando riproduce fedelmente il disposto di un precedente testo normativo (quale il previgente T.U. 490/99 ), determina, proprio per la sua natura, un effetto innovativo della fonte. Tra i principi generali una importante novità rappresentata dal Codice è costituita dalla introduzione della nozione di patrimonio culturale, quale più ampio genere nel quale devono essere ricondotti i beni culturali ed i beni paesaggistici ( art. 2 c.1). La riconduzione delle due categorie di Beni nella comune nozione di Patrimonio Culturale ha il suo presupposto nel riconoscimento delle affinità tra le due specie assoggettate dai principi generali di cui alla prima parte del Codice stesso. Il Codice inoltre recepisce nella propria disciplina i concetti di Paesaggio così come individuati nella Convenzione Europea del Paesaggio firmata a Firenze nell'anno 2000.


Le Regioni, cui è trasferita la competenza in materia di pianificazione paesaggistica, hanno il compito di sottoporre a specifica normativa d'uso e valorizzazione il territorio tutelato, attraverso la realizzazione dei Piani Territoriali Paesistici Regionali (le cui previsioni sono recepite nei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (PTCP ) e nei Piani comunali), che hanno la finalità di salvaguardare i valori paesaggistici e ambientali, presenti nelle loro realtà territoriali. E nel 2012 è stato approvato il PTCP della provincia di Salerno con specifica tavola di riferimento per i vincoli paesistici dell’intero territorio e nello specifico della Costiera Amalfitana. A questo punto si può notare senza dubbio, come l’immobile preso in esame sia stato edificato in una area che è tutt’ora ed è stata in passato sotto vincolo paesaggistico, per il grande valore paesaggistico e per il valore degli immobili presenti in zona.


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Vincoli

Vincolo idrogeologico INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO Il territorio comunale di Ravello si estende sin nell’entroterra della penisola sorrentina, ricoprendo una stretta dorsale limitata dai corsi del T. Sambuco (ad E) e dal vallone Reginola (ad W) e spingendosi fino alla sommità dei rilievi di Vena Secata (1135 m s.l.m.), Costa S. Pietro (911 m s.l.m.), Montalto (766 m s.l.m.) e Monte Cerreto (1316 m s.l.m.). La suddetta dorsale è invece rappresentata dai rilievi di P.ta del Vento (810 m s.l.m.), Monte Brusale (647 m s.l.m.) e dall’area su cui è ubicato l’abitato di Ravello (362 m s.l.m.). Il tessuto urbano comunale è strutturato in un centro capoluogo, in alcune frazioni (Lacco, S.Martino, Castiglione, Sambuco e Torello) ed altri piccoli nuclei abitati. I terreni affioranti appartengono alla serie mesozoica calcareo-dolomitica del Sistema di Piattaforma Carbonatica e Bacini (CPBS sensu D’Argenio et alii 1993). In particolare sono presenti nel territorio comunale la parte alta di tale successione (Giurassico - Cretacico), di natura essenzialmente calcarea, mentre la parte bassa (Trias), di natura prevalentemente dolomitica, affiora solo nella parte nord orientale del territorio. I terreni più recenti sono rappresentati dai depositi continentali detritici e alluvionali del pleistocene e dell’olocene, oltre che dai depositi sciolti di copertura detritico-piroclastica. L’assetto morfologico dell’area è il risultato di successive fasi di sollevamento tettonico; il paesaggio, pertanto, presenta settori di territorio a diverso grado di maturità morfologica. Il ripiano su cui è ubicato l’abitato di Ravello, correlabile al ripiano di Agerola, testimonia una lunga fase di modellamento successiva alla fase surrettiva avvenuta tra la fine del Miocene e l’inizio del Pliocene. Tale ripiano presenta, ai margini occidentale e meridionale, scarpate dell’ordine delle diecine di metri di altezza alla cui base spesso sono presenti cospicui accumuli di materiale detritico. I versanti hanno un diverso grado di evoluzione: più evoluti e arealmente più estesi quelli esposti a sud e ad est, mentre più acclivi e con numerose pareti subverticali, quelli esposti ad ovest. Il versante orientale della dorsale su cui è ubicato l’abitato di Ravello risulta modellato da numerose incisioni fluviali talvolta con testate vallive molto estese e con notevoli accumuli di materiali incoerenti. Alla base di tali impluvi spesso sono presenti conoidi detritico-alluvionali che testimoniano una evoluzione dei versanti anche attraverso colate detritico-piroclastiche. INQUADRAMENTO IDROGRAFICO I corsi d’acqua principali sono rappresentati dal vallone Reginola che confluisce nel torrente Dragone (codice 0.DR) e dal T. Sambuco (codice 0.SB); tali aste drenanti, che si sviluppano in direzione N-S, sono impostate su importanti lineamenti strutturali. Le linee drenanti secondarie ad andamento prevalente E-W, soprattutto nel tratto medio basso dei due valloni principali, presentano confluenze ortogonali alle aste principali confermando il condizionamento litostrutturale dell’idrografia. I corsi d’acqua principali risultano particolarmente incassati nei terreni del substrato con sezione degli alvei sagomata a “V” e con alcuni tratti riempiti da materiale piroclastico rimaneggiato. Gli impluvi minori, invece, presentano sezioni generalmente più svasate in quanto, quasi sempre, sono riempiti da una spessa coltre di materiale piroclastico in giacitura secondaria. Il regime delle portate è direttamente legato alle precipitazioni meteoriche e subordinatamente alle acque sorgentizie. CRITICITA’ In accordo con l’orientamento assunto per la valutazione dell’assetto idro-geologico del territorio, che prevede di inquadrare la franosità pregressa per ambiti geomorfologici omogenei, le criticità legate ai diversi insediamenti e infrastrutture sono state distinte per tipologia, riunendole nei settori di seguito riportati. Si precisa inoltre che sono da considerarsi critiche tutte le aree indicate nella cartografia di Piano a rischio molto elevato R4 e elevato R3, laddove esse sono riferite a edifici e infrastrutture esistenti e non a previsioni di pianificazione urbanistica non ancora attuate. A. Zona di testata del bacino imbrifero del T. Sambuco : in tale ambito si rilevano numerose colate rapide delle quali diverse sono riferibili all’evento del 1954 e altre, più recenti, al 2005. Esse interessano diffusamente la strada provinciale per il Valico di Chiunzi, strade comunali e, localmente, la frazione Sambuco e gruppi di case sparse. B. Versante ad in destra idrografica del T. Sambuco - Colate rapide hanno interessato tale tratto di versante, caratterizzato inoltre dalla presenza di estese scarpate subverticali. I depositi di copertura presenti sui versanti in località Lacco e S. Croce incombono direttamente sull’abitato di Minori e su diversi edifici sparsi; già in passato eventi di frana si sono innescati nel territorio di Ravello raggiungendo il sottostante territorio di Minori in località Villamena. C. Versante a nord-ovest della dorsale di Ravello - l’area è stata classificata critica per il riconoscimento di diversi eventi di crollo e per la presenza di grandi scarpate subverticali predisponenti ad ulteriori movimenti dello stesso tipo. Sono esposti a rischio alcuni edifici sparsi e la strada provinciale che collega la S.S. 163 con l’abitato di Ravello. D. Versante a sud-est della dorsale di Ravello - La criticità dell’area deriva dalla presenza di una spessa coltre piroclastica lungo il versante e nelle testate degli impluvi minori. In tale area almeno un episodio di colata rapida (loc. San Cosma) ha interessato i depositi presenti in una concavità morfologica con recapito diretto a mare. E. Falesia – Tale morfotipo è rappresentato dalla scarpata costiera che segna tutta la linea di costa comunale. L’elevata acclività e lo stato di fratturazione e alterazione dei litotipi affioranti, costituiscono fattori predisponenti per frane di crollo, talora aggettanti su spiagge frequentate nel periodo estivo.


CLASSIFICAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ P1 -pericolosità moderata- Unita’ territoriale caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi caratterizzati da intensita’ bassa, ovvero di fenomeni di intensita’ media/elevata a magnitudo bassa (volume coninvolto molto limitato), ovvero da fenomeni franosi inattivi di media intensita’. P2 -pericolosita’ media- Unita’ territoriale caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi caratterizzati da intensita’ bassa o da intensita’ elevata, ma magnitudo media, nonchè franosita’ attiva o quiescente, con evidenze di riattivazioni recenti (di epoca storica), comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di ampliamento di frane con massima intensita’ reale o attesa bassa. P3 -pericolosita’ elevata- Unita’ territoriale priva di franosita’ attiva o quiescente,ma caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi con intensita’ e magnitudo elavata, nonchè franosita’ attiva o quiescente, con evidenze di riattivazioni (di epoca storica), comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di ampliamento di frane con massima intensita’ reale o attesa bassa. P4 -pericolosità molto elevata- Aree con franosita’ attiva o quiescente (comprensivo dell’ambito morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di alimentazione / rialimentazione, d’innesco, di transito e di invasione) di frane con massima intensita’, reale o attesa elevata. Piano per l’assetto idrogeologico

L’edificio abusivo è situato in un’area con una porzione classificata P3, quindi con elevata pericolosità con franosità alta o media a magnitudo elevata ed una P2 quindi con la franosità avvenuta o attesa caratterizzata da intensità media o bassa associata a magnitudo medie. Gli interventi per la mitigazione della pericolosità e del rischio da frana dovranno prevedere misure strutturali laddove le condizioni di rischio siano riferite a un’area ben definita (es. pareti verticali soggette a crolli, elevati spessori di depositi di copertura lungo i versanti e incombenti su specifiche aree urbanizzate, frane attive o quiescenti in successioni terrigene ecc...); le misure non strutturali possono costituire integrazione e/o completamento delle precedenti e sono da preferire laddove i livelli di pericolosità e rischio sono diversificati all’interno di un ambito morfologico ampio ma ben definito. Di seguito vengono illustarte sinteticamente le mitigazioni strutturali e non strutturali per il riassetto idrogeologico. MISURE NON STRUTTURALI Attivita’ di previsione e sorveglianza (APS) APS1-monitoraggio meteo-idrologico del rischio di frana: Tale misura risulta essere il principale intervento per gli ambiti territoriali interessati da frane di colata rapida, in quanto misure strutturali di tipo intensivo possono risultare non applicabili in areali molto vasti. Essa è da applicare, pertanto, alla scala di bacino idrografico o di ampio settore significativo di territorio (versante). Il monitoraggio meteoidrologico deve rientrare in un quadro complessivo di pianificazione della protezione civile.


L’ubicazione dei pluviometri dovrà integrare la rete esistente, tenendo conto della variabilità della piovosità locale in funzione dell’altitudine e esposizione dei versanti. Dovrà essere prevista la trasmissione in tempo reale delle informazioni al fine di attivare un sistema di ‘allerta rapido’ per l’applicazione delle misure di protezione civile. APS2- monitoraggio di sorveglianza e/o controllo strumentale di frana attiva o quiescente: attraverso misurazioni pluviometriche, inclinometriche, piezometriche ed estensimetriche del fenomeno franoso. La scelta del tipo di monitoraggio più opportuno dovrà essere individuata, in fase di studio, sulla base della tipologia di frana e dei meccanismi evolutivi propri di ogni singolo dissesto. Tale misura è indispensabile per verificare l’efficacia di eventuali interventi strutturali intensivi già realizzati. Regolamentazione dell’uso del suolo nelle aree a rischio (RUS) Regole ben definite riguardo l'utilizzo delle aree a pericolosità da frana sono fondamentali per la riduzione del rischio idro-geologico. Esse riguardano sia le aree urbane, esistenti e di progetto, sia quelle extra-urbane. RUS1- revisione degli strumenti urbanistici vigenti in termini di compatibilità con le condizioni di rischio: potrà essere attuata mediante verifica di compatibilità degli strumenti urbanistici anche mediante studi finalizzati alla riperimetrazione e caratterizzazione dei dissesti e delle aree critiche. RUS2- indirizzi alla programmazione a carattere agricolo-forestale per interventi con finalità di protezione idraulica e idrogeologica: dovrà essere prevista la manutenzione, soprattutto per quanto riguarda l’efficacia dei drenaggi superficiali, delle aree terrazzate a fini agricoli, prevedendone l’eventuale recupero laddove queste dovessero versare in stato di abbandono. Le pratiche e le tecniche colturali, inoltre, dovranno essere finalizzate alla prevenzione degli incendi. RUS3- indirizzi e prescrizioni per la progettazione di opere private, pubbliche e di interesse pubblico secondo criteri di compatibilità con le condizioni di rischio idrogeologico: si richiamano le indicazioni relative all’adeguamento degli strumenti urbanistici, sottolineando che la progettazione di qualsiasi opera non potrà prescindere da una adeguata valutazione di compatibilità idro-geologica. Mantenimento delle condizioni di assetto del territorio e dei sistemi idrografici (MAT) MAT1- manutenzione programmata sui versanti e sulle relative opere di stabilizzazione: mantenimento delle condizioni attuali di assetto del territorio con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria dei versanti (es. disgaggio lungo i costoni rocciosi, rimozione di materiale in condizioni di equilibrio precario) e delle opere di sistemazione presenti (es. rimozione dei sedimenti accumulati in corrispondenza delle briglie). MISURE STRUTTURALI DI TIPO ESTENSIVO (MSE) Gli interventi di tipo estensivo, a carattere permanente e diffuso, riguardano estesi ambiti territoriali e sono finalizzati: a migliorare l'assetto idro-geologico e a prevenire fenomeni di dissesto di versante. Per il conseguimento di tali finalità sono da preferire misure di: MSE1- opere di idraulica forestale sul reticolo idrografico minore; MSE2- riforestazione e miglioramento dell’uso agricolo del suolo a fini di difesa idrogeologica. MISURE STRUTTURALI DI TIPO INTENSIVO (MSI) MSI1- riferite al reticolo idrografico minore e ai versanti, rappresentate da opere con funzione di controllo e contenimento dei fenomeni di dissesto: Tali opere, localizzate e dimensionate in modo opportuno in fase di progettazione esecutiva, dovranno essere diversificate in funzione delle tipologie dei dissesti: Per le frane di crollo, ribaltamento o scorrimento traslativo, l’uso di reti metalliche paramassi, chiodature e tirantature, barriere paramassi consentirebbero un’efficace azione difensiva delle aree minacciate. Dovranno essere previsti contestualmente programmi di manutenzione e verifiche di efficienza e efficacia degli interventi. Per le frane in terreni piroclastici il dimensionamento e la scelta progettuale delle opere da effettuare dovrà, ovviamente, tenere conto delle caratteristiche locali della singola zona di intervento, in particolar modo degli spessori di copertura. La tipologia delle opere da effettuare per il riassetto delle aree di innesco potrebbe essere così articolata: canalette inerbite, palizzate o palificate, drenaggi superficiali e/o sotterranei (trincee), risagomature del versante, muri, gabbionate, rimboschimento.


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Vincoli Vincolo sismico Per ridurre gli effetti del terremoto, l’azione dello Stato si è concentrata sulla classificazione del territorio, in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato, e sull’applicazione di speciali norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche. La legislazione antisismica italiana, allineata alle più moderne normative a livello internazionale prescrive norme tecniche in base alle quali un edificio debba sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e senza crollare i terremoti più forti, salvaguardando prima di tutto le vite umane. Sino al 2003 il territorio nazionale era classificato in tre categorie sismiche a diversa severità. I Decreti Ministeriali emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1981 ed il 1984 avevano classificato complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, che corrispondono al 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione. Nel 2003 sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo. ZONA 1 - La zona più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti. ZONA 2 - Comuni inseriti in questa zona possono verificarsi terremoti abbastanza forti. ZONA 3 - Comuni inseriti in questa zona possono essere soggetti a scuotimenti modesti. ZONA 4 - E' la zona meno pericolosa. Di fatto, sparisce il territorio “non classificato”, che diviene zona 4, nel quale è facoltà delle Regioni prescrivere l’obbligo della progettazione antisismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su roccia (zona 1=0.35 g, zona 2=0.25 g. zona 3=0.15 g, zona 4=0.05 g). SUDDIVISIONE DELLE ZONE SISMICHE IN RELAZIONE ALL’ACCELERAZIONE DI PICCO SU TERRENO RIGIDO (OPCM 3519/06). Zona sismica 1 - ag >0.25 Zona sismica 2 - 0.15< ag <0.25 Zona sismica 3 - 0.05< ag <0.15 Zona sismica 4 - ag <0.05

L’edificio preso in esame, come già detto precedentemente, si trova nel comune di Ravello che come tutti i comuni della Costiera Amalfitana e la penisola Sorrentina, comprese le isole si trovano in Zona sisimica 3 (dati dalla classificazione sisimica del 2012 della protezione civile) quindi caratterizzata dalla possibilita’ di avere scuotimenti modesti. Ad ogni modo in Italia le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008), hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e quindi territorio comunale – precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico da utilizzare per il calcolo delle azioni sismiche.


Dal 1 luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera (Indica il numero di anni durante i quali una struttura deve poter essere usata per lo scopo per cui è stata progettata; questo parametro, previsto dalle Norme Tecniche per le Costruzioni, condiziona l'entità delle azioni sismiche di progetto; per le costruzioni ordinarie, la vita nominale considerata è ≥ 50 anni). Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 km di lato, indipendentemente dai confini amministrativi comunali. La classificazione sismica (zona sismica di appartenenza del comune) rimane utile solo per la gestione della pianificazione e per il controllo del territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio civile, ecc.). Inoltre le nuove norme hanno anche stabilito un iter per il calcolo strutturale più completo e sicuro, infatti le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo tale da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle presenti norme. La sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazione agli stati limite che si possono verificare durante la vita nominale. Stato limite è la condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata. In particolare le opere e le varie tipologie strutturali devono possedere i seguenti requisiti: - sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possano compromettere l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali e sociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera; - sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio; - robustezza nei confronti di azioni eccezionali: capacità di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità delle cause innescanti quali incendio, esplosioni, urti. Il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso e il superamento di uno stato limite di esercizio può avere carattere reversibile o irreversibile. Per le opere esistenti è possibile fare riferimento a livelli di sicurezza diversi da quelli delle nuove opere ed è anche possibile considerare solo gli stati limite ultimi. La durabilità, definita come conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali e delle strutture, proprietà essenziale affinché i livelli di sicurezza vengano mantenuti durante tutta la vita dell’opera, deve essere garantita attraverso una opportuna scelta dei materiali e un opportuno dimensionamento delle strutture, comprese le eventuali misure di protezione e manutenzione. I prodotti ed i componenti utilizzati per le opere strutturali devono essere chiaramente identificati in termini di caratteristiche meccanico-fisico-chimiche indispensabili alla valutazione della sicurezza e dotati di idonea qualificazione. I materiali ed i prodotti, per poter essere utilizzati nelle opere previste dalle presenti norme, devono essere sottoposti a procedure e prove sperimentali di accettazione. Le prove e le procedure di accettazione sono definite nelle parti specifiche delle presenti norme riguardanti i materiali. La fornitura di componenti, sistemi o prodotti, impiegati per fini strutturali, deve essere accompagnata da un manuale di installazione e di manutenzione da allegare alla documentazione dell’opera. I componenti, sistemi e prodotti, edili od impiantistici, non facenti parte del complesso strutturale, ma che svolgono funzione statica autonoma, devono essere progettati ed installati nel rispetto dei livelli di sicurezza e delle prestazioni dettati dalle norme. In questo particolare caso che sto valutando la struttura del manufatto anche se in cemento armato deve comunque essere sottoposta a delle verifiche visto che le operazioni di custruzione sono state effettuate come vedremo dopo senza la consegna dei progetti strutturali che contengono gli studi statici della struttura a seconda delle specifiche sollecitazioni a cui è posta nel territorio in cui verrà costruita.


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Vincoli

Vincolo Parco regionale Il comune di Ravello nella sua totale estensione ricade all’interno del Parco Regionale dei Monti Lattari, quindi anche la ristretta area che in questo momento ho preso in considerazione e dove si trova questo immobile. In particolare questa porzione di territorio situata vicino al centro storico di Ravello sul versante che si affaccia verso est, fa parte della zona C , zona di riserva controllata del Parco dei Monti Lattari cioè “area di riqualificazione urbana e ambientale e di promozione e sviluppo economico e sociale ”.

PARCO REGIONALE DEI MONTI LATTARI

Tramonti

Minori

Scala

Amal

Furore

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Praiano

Ravello

Maiori

Atrani

Conca dei Marini

Area di riserva controllata

Area di riserva generale

Area di riserva Integrale

Nella zona C oltre alle prescrizioni generali valide su tutto il territorio del Parco e contenute nelle norme generali di salvaguardia per il parco dettate dalla Regione Campania all’art2, vigono le norme degli strumenti urbanistici vigenti oltre alle norme sulla ricostruzione delle zone terremotate (ex legge 1431/62, 219/81, 363/84 e successive modificazioni ed integrazioni. Gli insediamenti di edilizia minore, rurale, sparsa, dei centri storici devono essere recuperati nel rispetto delle tipologie tradizionali, per la promozione delle attivita’ economiche delle collettivita’ locali in stretta armonia e coesistenza con le attivita’ del Parco Regionale in conformita’ con quanto disposto dalla legge regionale di attuazione 179/92. Quindi il manufatto preso in esame oltre alle norme generali del Parco dei Monti Lattari in materia di: tutela dell’ambiente per quanto riguarda cave e discariche, protezione della fauna, raccolta di singolarita’, protezione della flora ed attivita’ agrnomiche e silvopastorali, tutela delle zone boschive, tutela della risorsa idropotabile e dell’assetto idrogeologico, infrastruttura impiantistica, circolazione, tutela del patrimonio edilizio e disciplina edilizia (che si possono trovare in forma estesa all‘art.2 del piano del Parco Regionale dei Monti Lattari); si fa riferimento alle norme descritte nel P.U.T. e nel P.R.G. del comune di Ravello, che ho gia’ descritto precedentemente.


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Vincoli Vincolo di procedura Come per ogni costruzione sul territorio di tutta la nazione, per poter eseguire delle opere edilizie, devono essere ottenuti presso gli istituti competenti una serie di autorizzazioni e permessi che permettono alla costruzione di essere poi realizzata. Ovviamente senza queste autorizzazioni nessun progetto si può realizzare legalmente, in questo specifico caso mancano praticamente tutti i permessi che poi danno la possibilità di costruire un edificio, in particolare: -Aver eseguito i lavori di costruzione in zona sismica senza darne preavviso scritto allo Sportello Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest’ultimo ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico descrittivi per le zone sismiche. (artt. 93 e 95 D.P.R. n°380/2001). -Eseguito lavori in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, senza la prescritta autorizzazione. (artt. 146-181 D.L.vo n°42/04, già art.163 D.L.vo 490/99 in relazione all’art.44 lett. c) D.P.R. 380/01). -Aver alterato le bellezze naturali di località soggetta alla speciale protezione dell’autorità. (art.734 codice penale). -Realizzato l’immobile senza la previa redazione di un progetto e senza la direzione di un tecnico abilitato ed iscritto nel relativo albo nei limiti delle rispettive competenze. (artt. 64 e 71 DPR n. 380/01). -Iniziato la costruzione delle opere senza aver fatto precedente richiesta allo Sportello Unico del comune di Ravello. (art.110 c.p. e agli artt. 65 e 72 D.P.R. n°380/2001). La mancanza in questo caso delle autorizzazioni e le operazioni effettuate senza i relativi permessi producono dei reati per i quali le autorità competenti possono perseguire il colpevole o i colpevoli. I possibili reati in questo caso sono davvero diversi e fanno emergere come i proprietari dell’immobile, abbiamo compiuto dei lavori assolutamente senza alcun tipo di permesso e autorizzazione, pensando magari di poter poi usufruire e di fare richiesta di un possibile condono edilizio, che in Italia a solo provocato l’aggravarsi dell’abuso edilizio e non ha per niente risolto il problema.

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Tipologie di abuso

Abuso residenziale prima casa L’edificio che sto valutando in questo quarto caso rappresenta sicuramente una situazione diversa delle altre, molto delicata poi successivamente quando bisognerà prendere una decisione sul futuro di questo edificio abusivo. Esso viene da me classificato come un “abuso residenziale prima casa” in quanto i proprietari hanno residenza proprio al domicilio dove risiede il manufatto da ormai diversi anni, come confermato dai documenti che ho potuto visionare, almeno da 15 anni; infatti l’edificio che accoglieva i proprietari presentava solo il primo piano costruito totalmente e con destinazione d’uso abitativa, mentre il piano terra che è la parte che risulta ad oggi anch’essa completata con la creazione di un’altro appartamento oggetto dell’abuso edilizio, risultava invece lasciata solo con la struttura a vista come da progetto presentato. Visto quindi la residenza ufficiale dei proprietari ed il periodo probabile di occupazione dell’immobile, esso risulta essere abuso residenziale come prima casa. o cro ism mi usiv b a

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Dimensioni Macroabusivismo In questo caso particolare siamo in presenza di un manufatto abusivo al 50%, in assenza di alcuna autorizzazione infatti oltre al già presente e finito primo piano è stato completato anche il piano terra che risulta quindi essere abusivo, come però già spiegato nei capitoli precedenti l’abuso risulta essere una porzione considerevole del manufatto edilizio e sicuramente non facilmente riassorbile dal contesto, visto anche la sua posizione lontana dal centro abitato ed in un’area di totale tutela ambientale oltre alla sua grande visibilità dalle aree limitrofe e dalla statale che è proprio nelle vicinanze, unica strada che collega tutta la costiera malfitana da Salerno a positano per poi preoseguire nell’area sorrentina. Per questo considero l’abuso come un episodio di “Macroabusivismo”.


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Reversibilità Materiale reversibile La costruzione risulta essere costruita in cemento armato elemento che da una certa stabilità strutturale al manufatto, anche se manca come già ripetuto precedentemente il progetto statico dell’edificio. Sicuramente non è il materiale più adatto visto anche il suo peso importante che porta sul terreno delicato della costiera, e i sui lati positivi e negativi riguardo anche alle infiltrazioni e alle problematiche che possono emergere se non realizzato nel modo giusto. Vero è anche che il manufatto risulta essere gia completo in ogni sua parte, così come tuti gli impianti e le operazioni di finitura, quindi l’ipotesi di abbattere l’edificio avrebbe come elemento negativo quello di dover smaltire tutte le macerie di diversa tipologia che ne deriverebbero e la possible creazione di problemi idrogeologici causati dalle operazioni di abbattimento. Per questo insieme di ragioni definisco il materiale come parzialmente reversibile, poichè risulta essere non la migliore scelta dal punto di vista ecologico e ambinetale, visto l’area di alto pregio naturalistico in cui è edificato il manufatto, però già completato in ogni sua parte e che può essere vista la sua stabilità e la sua completezza riutilizzato all’interno di un ragionamento più ampio di conversione dell’abuso.

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Proprietà del suolo Verificato dalle istituzioni competenti e avvagliato anche da documenti scritti, il terreno su cui sorge il manufatto preso in esame risulta proprietà privata della stessa persona che poi ha progettato ed iniziato i lavori per la costruzione del piccolo edificio e delle opere di connessione e camminamento, risultante residente a nel Comune di Praiano.

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Incidenza sul contesto (dimensionale)

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Come si può osservare dalle immagini che mostrano la situazione sia precedente all’abuso (la prima), che a costruzione abusiva ormai ultimata (la seconda), l’impatto dimensionale che il manufatto ha sul contesto territoriale, che ricade ancora una volta in un’area di grande pregio naturalistico, è davvero molto alto; già la dimensione dell’edificio stesso è molto elevata visto che i volumi sono distribuiti su due livelli ed in più il livello di accesso all’edificio risulta essere sollevato rispetto al livello della strada, grazie ad una serie di rampe di scale che permettono l’arrivo alla quota sopralevata su cui è presente il manufatto abusivo. Questo elemento aumenta ancora di più la sua visibilità, amplificata anche dalla conformazione morfologica stessa che proprio in quel punto inizia a scendere abbasando la quota del rilievo roccioso sui cui l’edificio si appoggia. Visto l’analisi dimensionale, più di 110 mq di costruzione abitativa distribuita su due piani, oltre alla posizione in cui essa si trova che ne da visibilità da praticamente qualsiasi posizione ci si metta nei dintorni, mi portano ad definire incidenza sul contesto molto elevata.

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La valutazione dell’incidenza sul contesto ambientale, se ad una prima occhiata puo’ sembrare di facile conclusione, in realta’ cosi’ non è, in quanto il manufatto abusivo risulta essere assolutamente visibile, costituito da un materiale, il cemento armato, molto resistente e sicuro dal punto di vista strutturale, ma allo stesso tempo con un livello di ecosostenibilità molto basso, essendo oltretutto stato realizzato da diverso tempo ormai e quindi non di moderno sviluppo, oltre alla grande difficoltà e all’inquinamento che porta questo materiale nel suo smaltimento; inoltre i manufatti in c.a. soprattutto quelli abusivi, ma non solo, contribuiscono ad alimentare l’industria del cemento illegale, che in campania risulta essere un’altro imponenete problema. A questa situazione si aggiunge il fatto che la costruzione parzialmente abusiva è situata in un’area di enorme pregio naturalistico e di grande fragilità che si regge su un delicatissimo equilibrio che l’abusivimo edilizio insieme all’enorme pressione turistica, ormai da anni sta destabilizzando. Visto le sopra citate considerazioni ritengo sotto il punto di vista dell’incidenza ambientale questo manufatto “non sostenibile”. le zia ini e ne fas zio di stru co

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Fase L’edificio nella sua struttura risulta completamente finito, cosi come nella finitura esterna ed interna e nell’impiantistica termica, elettrica e idrica. Il manufatto si può quindi definire come ”edificio finito”.


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Occupazione dell’immobile (temporale)

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L’immobile come da accertamenti risulta essere stato occupato da molto tempo nella parte non abusiva (il primo piano), e da un periodo di tempo considerevole, si parla di almeno 5 anni, nella parte abusiva (il piano terra); entrambi i locali hanno come destinazione d’uso quella abitativa.


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Proposta d’intervento - Area .2

Caso.4


Caso.4

Centro storico Completamento satura e non satura Espansione Zone produttive

Zona d’interesse collettivo Turistico-Ricettivo

Elementi antropici Comune di Praiano


Proposta d’intervento - Area .2_caso.4 Avendo quindi osservato e analizzato gli elementi forniti dall’approfondita scheda di valutazione fatta per questo quarto caso che si occupa di un’immobile abusivo sito in via Campo 14 del comune di Praiano. Il manufatto di circa 55 mq al piano inferiore, sirulta completamente ultimata, abitabile ed è costruita da un primo ambiente soggiorno/cucina, di mt 7.00x5.10, in fondo al quale vi è la porta d’accesso alla camera da letto, di mt 3.50x3.50, e la porta di accesso al bagno il quale misura mt 3.10x1.35. Sul prospetto sud/ovest inoltre è stato realizzato un balcone, privo di pavimentazione, avente come parapetto una ringhiera in ferro, lungo quanto il fronte dell’appartamento e largo circa mt. 0,90, su cui si aprono tre porte finestre dalle dimensioni di mt 1,25x2.20. Al primo piano viene ripetuta la stessa metratura e identica organizzazione interna, compresa la costruzione del balcone con ringhiera in ferro largo circa mt 0,90. La cosa interessante e che ha attirato l’attenzione delle autorità competenti del comune di Praiano è che in origine l’unica parte costruita era quella al primo piano, mentre il piano sottostante era costituito solo dalla struttura in c.a., cosa che attualmente non corrisponde alla realtà come ho descritto poco sopra, perchè anche il piano sottostante risulta definito e ultimato in tutti i dettagli, creando un nuovo locale di circa 55 mq. Dall’approfondito studio svolto attraverso diversi criteri di valutazione è emerso come l’immobile preso in esame sia situato all’interno di una porzione di territorio definita da Piano Territoriale Urbanistico come di “tutela dell’ambiente di 1° grado”, questa comprende le maggiori emergenze tettoniche e morfologiche che si presentano prevalentemente con roccia affiorante o talvolta a vegetazione spontanea, trasferendola nel Piano Regolatore Generale del comune di Praiano le predisposizioni sono le seguenti: Nelle zone di tutela naturale è perseguita la conservazione del suolo, del sottosuolo, delle acque, della flora e della fauna, e il mantenimento o la ricostituzione delle predette componenti e di adeguati equilibri tra di esse. In dette aree è pertanto inammissibile qualsiasi intervento di edificabilità, pubblica e privata, e di trasformazione degli assetti presenti. Come approfondito nelle valutazioni si nota che l’edificio abusivo si trova in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico ormai da diversi anni, situazione confermata dal protrarsi di questo vincolo in diverse leggi che si sono succedute nel tempo; inoltre risulta essere anche un’area sottoposta a vincolo iderogeologico, con un livello di rischio P3 e P2 e di vincolo sismico. Ad aumentare ancora la gravita’ dell’abuso è il fatto che il manufatto si trova all’interno del Parco Regionale dei Monti Lattari, come gran parte del territorio della Costiera Amalfitana ed oltretutto in un’area che è definita di “ riserva controllata” dove sono presenti prescrizioni importanti in materia di: tutela dell’ambiente per quanto riguarda cave e discariche, protezione della fauna, raccolta di singolarita’, protezione della flora ed attivita’ agrnomiche e silvopastorali, tutela delle zone boschive, tutela della risorsa idropotabile e dell’assetto idrogeologico, infrastruttura impiantistica, circolazione, tutela del patrimonio edilizio e disciplina edilizia. Per effettuare qualsiasi operazione di costruzione, quando possibile, su quest’area quindi ci sarebbe bisogno di diversi permessi, autorizzazioni e procedure da seguire, mentre chi ha costruito il manufatto abusivo ha completamento ignorato queste prescrizioni ignorando assolutamente le autorità e quindi operando: -Senza un progetto e senza la direzione di un tecnico abilitato ed iscritto nel relativo albo nei limiti delle rispettive competenze. -Senza aver fatto precedente richiesta allo Sportello Unico del comune di Ravello. -Eseguito i lavori in zona sismica senza darne preavviso scritto allo Portello Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest’ultimo ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico descrittivi per le zone sismiche. -Realizzato opere in una zona sottoposta come abbiamo gia citati precedentemente, sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, senza la prescritta autorizzazione. La costruzione sita in via Grotta Petina inoltre è risultata essere un “abuso residenziale prima casa” e quindi risulta una situazione diversa dalle altre e sicuramente interessante in quanto i proprietari hanno residenza proprio al domicilio dove risiede il manufatto da ormai diversi anni, come confermato dai documenti che ho potuto visionare, almeno da 15 anni; infatti l’edificio che accoglieva i proprietari presentava solo il primo piano costruito totalmente e con destinazione d’uso abitativa, mentre il piano terra che è la parte che risulta ad oggi anch’essa completata con la creazione di un’altro appartamento oggetto dell’abuso edilizio, risultava invece lasciata solo con la struttura a vista come da progetto presentato. La costruzione risulta essere costruita in cemento armato elemento che da una certa stabilità strutturale al manufatto, anche se manca come già ripetuto precedentemente il progetto statico dell’edificio. Sicuramente non è il materiale più adatto visto anche il suo peso importante che porta sul terreno delicato della costiera, e i sui lati positivi e negativi riguardo anche alle infiltrazioni e alle problematiche che possono emergere se non realizzato nel modo giusto. Per questo insieme di ragioni definisco il materiale come parzialmente reversibile, poichè risulta essere non la migliore scelta dal punto di vista ecologico e ambinetale, visto l’area di alto pregio naturalistico in cui è edificato il manufatto, però già completato in ogni sua parte e che può essere vista la sua stabilità e la sua completezza riutilizzato all’interno di un ragionamento più ampio di conversione dell’abuso.L’immobile come da accertamenti risulta essere stato occupato da molto tempo nella parte non abusiva (il primo piano), e da un periodo di tempo considerevole, si parla di almeno 5 anni, nella parte abusiva (il piano terra); entrambi i locali hanno come destinazione d’uso quella abitativa. Le valutazioni per quanto riguarda invece l’incidenza sul contesto sia dimensionale che ambientale sono rispettivamente “alta” per il primo e “ non sostenibile” per il secondo, e la loro importanza emergerà poi successivamente.


A questo punto al processo di valutazione critica dell’immobile abusivo ormai concluso e che ha fornito importanti e specifiche informazioni, subentra la vera e propria azione sull’edificio e sull’area su cui esso è stato costruito. Visto il carattere abusivo dell’opera anche se non nella sua completezza e le importanti verificate aggravanti che emergono dai criteri riassunti precedentemente il comune di Praiano sequestra l’intera porzione di territorio, anche se proprietà privata e del manufatto stesso, oltre ad accusare il proprietario di diversi reati commessi e che saranno causa di un processo ai suoi danni e che seguirà l’iter previsto dalla legge. Fatto questo il Comune decide come procedere sull’area e sull’immobile sequestrato. Le strade che si prospettano sono diverse, ma la decisione deve a mio parere tenere conto delle valutazioni emerse durante il lavoro di analisi ed inoltre fattore ancora più importante deve rientrare in una visione più ampia di tutela del territorio che non si riduca alla sola azione sanzionatoria per i reati di abusivismo edilizio. In questo caso particolare il ruolo sociale dell’immobile potrebbe essere decisivo. La possibilità infatti è quella di poter, a seconda delle particolari situazioni e valutazioni dei diversi casi, elaborare un progetto di compensanzione alternativo che ha come obbiettivo fondamentale quello di dare vita a degli interventi che pongono al primo posto il patrimonio culturale e paesaggistico dell’area cercando col il riutilizzo, se possibile, degli edifici abusivi, la sistemazione del suolo ed altre soluzioni innovative di compensazione dell’abuso, di innescare ed introdurre in questo contesto un processo di “tutela attiva” del territorio attraverso il quale i cittadini possono recuperare la consapevolezza del loro ambiente e delle grandi potenzialità che esso offre.


In questo quarto caso ci troviamo di fronte ad una situazione molto più complicata, perchè risulta abitato da diverso tempo, e solo una parte dell’immobie, il 50% risulta essere abusivo e quindi senza permessi e senza autorizzazioni. Il fattore temporale di occupazione in questo caso risulta fondamentale poichè da questo elemento potrebbe dipendere la scelta su quale iter seguire. Il fatto che l’immobile sia abitato da una famiglia da molti anni nella parte non abusiva e che poi abbiano creato al piano terra la stessa metratura del primo, ma in maniera abusiva, sempre per uso abitativo necessario, può pesare molto di fronte alle altre valutazioni e considerazioni fatte. Come si può osservare dalle immagini della scheda di valutazione, che mostrano la situazione sia precedente all’abuso (la prima), che a costruzione abusiva ormai ultimata (la seconda), l’impatto dimensionale che il manufatto ha sul contesto territoriale, che ricade ancora una volta in un’area di grande pregio naturalistico, è davvero molto alto; già la dimensione dell’edificio stesso è molto elevata visto che i volumi sono distribuiti su due livelli ed in più il livello di accesso all’edificio risulta essere sollevato rispetto al livello della strada, grazie ad una serie di rampe di scale che permettono l’arrivo alla quota sopralevata su cui è presente il manufatto abusivo. Questo elemento aumenta ancora di più la sua visibilità, amplificata anche dalla conformazione morfologica stessa che proprio in quel punto inizia a scendere abbasando la quota del rilievo roccioso sui cui l’edificio si appoggia. Visto l’analisi dimensionale, più di 110 mq di costruzione abitativa distribuita su due piani, oltre alla posizione in cui essa si trova che ne da visibilità da praticamente qualsiasi posizione ci si metta nei dintorni, mi portano ad definire incidenza sul contesto molto elevata. E per quanto riguarda l‘incidenza sul contesto ambientale le cose non migliorano perchè, se ad una prima occhiata puo’ sembrare di facile conclusione, in realta’ cosi’ non è, in quanto il manufatto abusivo risulta essere assolutamente visibile, costituito da un materiale, il cemento armato, molto resistente e sicuro dal punto di vista strutturale, ma allo stesso tempo con un livello di ecosostenibilità molto basso, essendo oltretutto stato realizzato da diverso tempo ormai e quindi non di moderno sviluppo, oltre alla grande difficoltà e all’inquinamento che porta questo materiale nel suo smaltimento; inoltre i manufatti in c.a. soprattutto quelli abusivi, ma non solo, contribuiscono ad alimentare l’industria del cemento illegale, che in campania risulta essere un’altro imponenete problema.

Intervento Visto l’insieme di elementi che compartecipano su questo edificio sociali ed temporali insieme al sistema ambientale in cui esso è inserito, viene concesso dal comune di Ravello la possibilità ai proprietari di mantenere l’immobile anche se in parte abusivo con la formula del comodato d’uso. La scelta può suonare strana, ma a mio parere è sicuramente molto più costruttiva di quella dell’abbattimento oppure del condono edilizio, infatti il comune visto i gravi reati compiuti e l’entità dimensionale dell’abuso, prende possesso dello stesso e dell’area di terreno privata attraverso il sequestro, ma concede con una formula di “comodato d’uso” agli inquilini ormai ex proprietari, di mantenere li la loro residenza ed abitazione da molti anni, ma questa tipologia particolare di compensazione prevede poi logicamente che queste persone restituiscano alla propria comunità ed al loro territorio un servizio. La scelta quindi ricade su un compromesso, che predilige la protezione e manutenzione del territorio che il bisogno e la voglia abbattare l’immobile e punire i fautori, che comunque vengono denunciati per i reati compiuti e che dovranno coprire di tasca loro le possibili spese per l’attuazione del servizio di compensazione.


I propietari dell’immobile che risulta abusivo, ottenendo il comodato d’uso devono però mantenere pulito e compiere opere di manutenzione sul terreno costituito da diversi terrazzamenti che circondano l’abitazione e dove essa è stata edificata. In questo modo si attiva un processo per il quale è lo stesso abitante che si deve occupare dell’amobiente in cui vive, nel tentivo di instaurare una spontanea sensibilità e tutela dela paesaggio sul quale a costruito la propria casa. Nello stesso tempo questa opera di pulizia e manutenzione permette di evitare e ridurre il numero di frane che purtroppo con l’abbandono delle coltivazione e dei terrazzamenti sta aumentando vertiginosamente. E’ lo stesso abitante che protegge l’ambiente diventa consapevole dell’importanza del sistema paesaggistico e offre un servizio a tutta la comunità, locale e mondiale vista l’importanza ed il valore inestimabile riconosciuto della Costiera Amalfitana.

Manutenzione dei Terrazzamenti Il paesaggio dei terrazzamenti della Costiera Amalfitana è un paesaggio agrario storico, che sin all’Alto Medioevo è stato parte integrante di questa parte della costa salernitana, il cui territorio è caratterizzato da un’accentuata acclività con alti costoni rocciosi che, attraverso profondi valloni, invalicabili pareti calcaree e vertiginosi strapiombi, scendono velocemente verso il mare. Gli abitanti, sin dal Medioevo, cercarono subito di appropriarsi delle migliori aree coltivabili iniziando un intenso sviluppo di colture redditizie, grazie al sistema dei terrazzamenti, quali quella del castagno, della vite, dei frutteti e, soprattutto, dei limoni. ‘Terrazzamento’ non è solo la muratura di sostegno, il terreno da essa contenuto, le coltivazioni, le opere idriche, ma “una tecnica tradizionale complessa frutto di conoscenze costruttive, idrauliche ed agrarie, applicate in perfetta comprensione delle caratteristiche idrogeologiche e climatiche, capace di utilizzare in modo appropriato le risorse ambientali e prevenirne i rischi creando un sistema che si auto regola, dotato di elevata qualità estetica e di integrazione con il paesaggio”. Questi sono gli elementi che costituiscono e caratterizzano il sistema dei terrazzamenti della costiera amalfitana: - i muretti a secco detti localmente ‘macere’; - i terrazzi detti anche ‘piazzole’; - il sistema di irrigazione: - i canali; - le ‘peschiere’ o vasche di raccolta delle acque; - i castagneti; - le pertiche in legno per il sostegno delle piante di limone - le reti di protezione delle piante; - i muretti divisori in pietra; - le scalette di collegamento tra i vari terrazzi; - la teleferica o la monorotaia. I muri a secco e, in genere i terrazzamenti, sono un vero e proprio bene monumentale per le caratteristiche dei materiali e della messa in opera tradizionale: sono depositari di un sapere antico che ci ricorda come un tempo si lavorasse la pietra, come si captassero le acque dei fiumi e quali fossero le tecniche di coltivazione e di protezione dei suoli.La mancata manutenzione dei terrazzamenti e l’abuso edilizio che si verifica su queste aree provoca diversi rischi di alterazione quali: edificazione di nuovi muretti in cemento; pericoli di crolli, smottamenti e frane; consumo del suolo agricolo; alterazioni delle colture originarie; cementificazione. Nell’ambito specifico della Costiera Amalfitana, i terrazzamenti sono strettamente legati alla coltivazione dei limoni (lo sfusato amalfitano) ed alla creazione di marchi di Indicazione Geografica Protetta (IGP). Anche le tecniche di coltivazione e potatura e gli strumenti utilizzati per la crescita delle piante di limone (come i pali di castagno e le tecniche antichissime utilizzate per il sostegno e la crescita delle piante), costituiscono un patrimonio culturale unico.


Situazione attuale

Previsione d’intervento


1° caso Comune di Ravello

Scheda di valutazione e conseguente verifica dell’edificio come 100% abusivo

Sequestro dell’immobile e dell’area da parte del Comune di Ravello

l’intervento definisce un recupero ambientale del terrazzamento dove sorge l’immobile abusivo e la riconversione dello stesso ad una nuova funzione quale sede per la diffusione della cultura ambientale della Costiera Amalfitana.

2° caso Comune di Ravello

Scheda di valutazione e conseguente verifica dell’edificio come 100% abusivo

visto le caratteristiche dell’edifico esso viene abbattuto e ci si occupa della sistemazione ambientale del terrazzamento su cui esso sorgeva; il Comune poi mette a disposizione questo terreno per le attività produttive degli agriturismi del comune di Ravello o in comodato d’uso per i proprietari dei terrazzamenti vicini, che possono usufruirne se contribuiscono alla manutenzione e al mantenimento delle condizioni ambientali ottimali dello stesso.

Sequestro dell’immobile e dell’area da parte del Comune di Ravello


3° caso Comune di Ravello

Scheda di valutazione e conseguente verifica dell’edificio come 100% abusivo

Sequestro dell’immobile e dell’area da parte del Comune di Ravello

Scheda di valutazione e conseguente verifica dell’edificio come 50% abusivo

Sequestro dell’immobile e dell’area da parte del Comune di Ravello

la proposta definisce il recupero ambientale del terrazzamento e la conversione dell’immobile interrato in un centro culturale con varie attività e funzioni che possano favorire la diffusione delle informazioni e la conoscenza del territorio della Costiera Amalfitana e del suo patrimonio

4° caso Comune di Praiano

in questo ultimo caso visto la posizione, la struttura dell’immobile e le sue condizioni di occupazione, dopo il sequestro si decide di proseguire con la cessione in comodato d’uso ai proprietari precedenti, alla condizione che forniscano un servizione al territorio e alla comunità, compiendo operazioni di manutenzione e mantenimento del terreno circostante l’immobile, visto il grande rischio idrogeologico e la bellezza e fragilità dell’ambiente costiero.

Situazione attuale

Previsione d’intervento


Conclusioni


redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia- 275

Il lavoro di ricerca presentato in questo volume rappresenta la definizione finale di un processo di studio partito dalla scelta e dall’analisi di un problema attuale e quotidiano per quasi tutto il territorio nazionale, quello dell’abuso edilizio, con i suoi aspetti storici, politici e sociali e le conseguenze che ha comportato in tutte le sue sfaccettature nel paesaggio italiano. Attraverso lo studio e l’approfondimento di questa questione si è poi giunti alla consapevolezza di dover scendere ad una scala più ridotta e quindi definire più nello specifico un ambito territoriale nel quale verificare e consolidare le idee nate da una prima fase analitica e conoscitiva, per poter poi definire un vero processo evolutivo che portasse all’obbiettivo finale di definizione di nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio. Da qui la scelta della Costiera Amalfitana come paesaggio culturale da conoscere e approfondire, per il suo grande patrimonio artistico, storico e naturale e per la sua altrettanto grande fragilità territoriale ed istituzionale che ne fanno un caso difficile, ma altrettanto interessante sul quale verificare le idee progettuali. Fondamentale è stata poi la costruzione vera e propria del metodo valutativo dell’abuso edilizio secondo criteri specifici e già proiettati verso un’idea nuova di progetto, di evoluzione e di ridefinizione. Ed è proprio la parola ridefinizione che contraddistingue tutto il lavoro di ricerca, infatti l’obbiettivo non è quello di definire delle nuove norme o delle nuove pratiche istituzionali che possano risolvere la questione sull’abuso edilizio, visto la già enorme quantità di leggi che vengono sistematicamente disattese ed aggirate; ma ridefinire l’idea con cui ci si pone verso il problema, calandosi nello specifico del contesto in cui esso si trova con le sue criticità e potenzialità, mantenendo sempre ben chiaro l’intento che il riutilizzo e la ridefinizione stessa di un elemento negativo possano trasformasi in una potenzialità ed occasioni di progresso per il territorio. E’ questo il concetto fondamentale che poi ha portato alla stesura delle proposte d’intervento per quattro differenti casi di abuso edilizio ed alla definizione dell’intero processo valutativo e progettuale. I quattro casi di abusivismo edilizio che sono presentati, sono l’applicazione di questo sistema che analizza in profondità e poi descrive una possibile soluzione che in tutte e quattro le situazioni è assolutamente fattibile e realizzabile e sono sicuro possa creare degli effetti positivi sul territorio. L’intento è quello anche di creare un concetto di base e uno schema di applicazione che possa poi essere esportato in altre parti del territorio per valutare degli episodi di abuso, la cosa fondamentale è approfondire il giudizio perché solo questa attenzione può creare davvero poi dei progetti importanti e cosciente. Sicuramente non è un processo facile sia da sviluppare che poi da integrare all’interno delle specifiche realtà, ma a mio parere risulta essere molto più approfondito e potenzialmente proficuo per la lotta all’abusivismo edilizio, rispetto all’applicazione di un sistema puramente sanzionatorio che molte volte non viene neanche recepito o addirittura viene ignorato totalmente. Lo sguardo deve essere rivolto al futuro, e perché esso sia positivo c’è bisogno di cogliere qualsiasi occasione per modificare le cose, in molti casi è un’ azione obbligata e legittima quella di abbattere un’immobile abusivo o un intero complesso, ma la forza del processo che vi ho raccontato in questo volume che raccoglie un percorso di ricerca sta proprio nel fatto di non fermarsi all’applicazione della sanzione, nella speranza che questa scoraggi altri progetti abusivi o lasciando che le cose cambino da sole, ma attraverso l’approfondita conoscenza del territorio in ogni suo aspetto, di


276 -redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

convertire la situazione negativa che l’azione abusiva ha provocato in una potenzialità che se colta e sfruttata al meglio può anche solo in minima parte generare qualcosa di positivo, con uno sguardo sempre rivolto alla tutela del nostro delicato territorio che ogni anno di più ci comunica la sua instabilità ed il suo eccessivo consumo. Il paesaggio della nostra nazione infatti non racchiude solo un enorme valore dal punto di vista naturalistico, ma possiede e conserva ancora un’inestimabile patrimonio culturale, generato dall’azione dell’uomo nel corso del tempo in grande equilibrio con il territorio che occupava. E’ questa a mio parere l’idea che può realmente definire un cambiamento ed un’evoluzione, per non limitarsi ad una conservazione rigida e ad una tutela statica del nostro territorio e del suo inestimabile patrimonio, ma per provare ad innescare un processo di tutela attiva che coinvolga realmente le persone, gli abitanti e tutti gli attori che partecipano attivamente sul territorio, che non si fermi alla definizione di inutili sanzioni sempre più spesso ignorate o alla stesura di elenchi sempre più lunghi di ordinanze di demolizione, come se l’abbattimento risolvesse il problema nella sua interezza, ma che produca attraverso le forme di compensazione le circostanze ideali per attivare processi di rivalutazione e protezione del nostro territorio culturale, unico e ancora oggi ricco di potenzialità.


redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia- 277

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278 -redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

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redefining landscapes: nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia- 279

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redefining landscapes

nuove forme di compensazione per l’abuso edilizio in italia

Questo è il risultato di un lavoro di ricerca e studio nato e proseguito grazie alla volontà di confrontarsi con un territorio ed un paesaggio tra i più belli al mondo, riconosciuto e protetto dall’Unesco, ma che dietro cotanta naturalità e fascino nasconde diversi problemi e criticità che la maggior parte delle volte vengono trascurate o evitate quasi per non intaccare l’immagine che si ha di questo frammento di nostro territorio.

ma purtroppo in molti casi non rispettato dalla popolazione, dalle istituzioni e dal paese stesso a cui appartiene. Questa indagine quindi vuole dare la visione regioni italiane fare poi un salto di scala e focalizzarsi soprattutto su un territorio degli obbiettivi di questa ricerca e la successiva stesura della metodologia che porti alla progettazione di nuove forme di compensazione dell’abuso edilizio in un territorio così delicato. Stefano Galasso

immagine — Amalfi, Costiera Amalfitana. Stefano Galasso , 2013, illustrazone tesi .


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