Architecture of postproduction

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ARCHITECTURE OF POSTPRODUCTION

PROJECT OF A RESILIENT SCENARIO FOR THE RIVER TYNE


FONT: AKZIDENZ-GROTESK (BERTHOLD TYPE FOUNDRY, 1896) CARTA: CYCLUS 80G COPERTINA: CARTONE VEGETALE 2MM STAMPATO DA SEF, VIA CANDIANI 124 MILANO, IL 17 APRILE 2015


ARCHITECTURE OF POSTPRODUCTION

POLITECNICO DI MILANO, FACOLTÀ DI ARCHITETTURA E SOCIETÀ CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA ANNO ACCADEMICO 2013/2014 × LUDOVICA NIERO 782049 × RELATORE GENNARO POSTIGLIONE CORRELATRICE SARA GANGEMI

PROJECT OF A RESILIENT SCENARIO FOR THE RIVER TYNE


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OVERTURE

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MAP ANATOMY IN 100 WORDS

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THEMES POSTPRODUCTION AS CURATING DREAM ISLE VICTIMS BILDERATLAS MANIPULATING CUT-UP CITY FUTURO PREGRESSO ECOSISTEMA ARTIFICIALE ADAPTING ARCHITECTURE DEPENDS EVERYTHING IS ARCHITECTURE ARCHITECTURE OF CHANCE

43 49 55 63 69 75 83 89 95

101 TOOLS POSTPRODUCTION THROUGH HABITAT 105 ADATTAMENTO ALLOPLASTICO 111 OMEOSTASI 117 AS FOUND CHANCE 125 ÉLAN VITAL 131 DESIDERIO TRASGRESSIONE MORTE 137 ANTI-CARTESIO RESILIENCE 145 RITO 151 NEUROSI 157 RHYTHMANALYSIS


163 GEOGRAPHY CASE STUDIES RIVER STRATEGIES 169 THE LIFE PROJECT 173 ROOM FOR A RIVER COASTAL SECTION 179 CRISSY FIELD 183 THE NEW HONDSBOSSCHE DUNES URBAN SECTION 189 MADRID RIO 193 GARONNE RIVERFRONT INDUSTRIAL SECTION 199 FRESHKILLS PARK 203 MINGHU WETLAND PARK RURAL SECTION 209 ISARPLAN 213 REWETLAND 217 SCENARIO RIVER TYNE&DUNSTON STAITHS POLITICS 227 A FUNNY THING HAPPENED ON THE WAY TO UTOPIA 233 NEWS FROM NEWCASTLE 239 DOUBLE VISION UNFOLDING THE CONTEXT 247 OPEN WORK 253 4 LANDSCAPES 259 PHASING THE RESILIENT RIVERSCAPE STRATEGY 267 RURAL 273 INDUSTRIAL&URBAN 279 COASTAL

285 BIBLIOGRAPHY


× POSTPRODUCTION > 2.AGENCY 5.ANTI-CARTESIO 10.BAZAAR 13.CANNIBALISMO 24.CURATORIAL PRACTICE 25.CUT-UP 38FLANEUR 51.ISOTROPY 53.LOFI 55.MANIPULATION 57.MERZBAU 62.NARRATIVE ARCHITECTURE 77.POSTPRODUCTION 89.SCENARIO 92.SPAZIO NARRATIVO


OVERTURE

pagina affianco: Giulio Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto, 1967. Fotografia che riproduce nelle dimensioni originali il Ritratto di giovane di Lorenzo Lotto: è la “ricostruzione nello spazio e nel tempo del punto occupato dall’autore (1505) e (ora) dall’osservatore di questo quadro. Il quadro si fa specchio mentale di una situazione, perché dà allo spettatore in quel momento l’illusione di trovarsi nella posizione, e quindi nella persona, di Lorenzo Lotto. Non vive quindi come quadro, ma come dichiarazione astratta. L’idea del quadro non è dunque l’immagine che ci mostra, ma il fatto stesso che noi siamo lì ad osservarlo. La fotografia è impiegata come strumento linguistico per “appropriarsi, attraverso il tempo, di una situazione che non si è vissuta nel reale, ma che si recupera attraverso il linguaggio” (l’artista in G. Celant, Giulio Paolini, Sonnabend Press, New York 1972, p. 55) 1 Bourriaud, Nicolas. 2004. Postproduction: come l’arte riprogramma il mondo. Postmedia books, Milano 2 ibid. p. 7.

Nella cultura occidentale, abbiamo perseguito negli ultimi sessant’anni l’idea che più produzione e quindi più consumo potessero portare ad un benessere diffuso. In epoca di crisi dei grandi sistemi, questa oggi non è più un’opzione culturale valida, ed ogni ipotesi di futuro possibile deve considerare la pratica del riciclo come premessa necessaria per la sostenibilità ambientale, sociale, e culturale. Si ri-pensa cioè quello che già c’è. Ricicliamo materia, edifici, parti di città, ma anche idee, concetti, progetti, attribuendogli nuove forme narrative e livelli di senso. Nicolas Bourriaud chiama questa operazione postproduzione.1 Qual’è il significato di questo processo in un mondo in cui la velocità delle trasformazioni consuma il senso delle cose ogni giorno producendo rifiuti semiotici e materiali? Quali strumenti la cultura del progetto mette in campo? La ricerca si sviluppa a partire da alcune considerazioni sul tema recycling e il suo valore proponendo una ricognizione aperta sul tema. “Postproduzione” è un termine tecnico del linguaggio audiovisivo che si riferisce all’insieme di processi che riguardano il materiale di registrazione: montaggio, inserimento di altre fonti audiovisive, sottotitolazione, voce fuori campo ed effetti speciali. Essendo un insieme di attività legate all’industria dei servizi e del riciclo, la postproduzione appartiene al settore terziario ed è contrapposta al settore agricolo e industriale che, invece, trattano materiali grezzi.2 Oggi si tratta di un’opzione disciplinare applicata a diversi campi di produzione e consumo della cultura contemporanea, si parla infatti di processo di postproduzione nel campo dei media in primo luogo, ma anche dell’arte, e della musica.

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3 ibid. p. 7.

Scrive Nicolas Bourriaud: “Dall’inizio degli anni Ottanta, le opere d’arte sono create sulla base di opere già esistenti; sempre più artisti interpretano, riproducono, espongono nuovamente e utilizzano opere realizzate da altri oppure altri prodotti culturali. L’arte della postproduzione sembra rispondere al caos proliferante della cultura globale nell’età dell’informazione, che è caratterizzata dall’incremento di forme ignorate e disprezzate fino ad ora e dalla loro annessione al mondo dell’arte. Inserendo nella propria opera quella di altri, gli artisti contribuiscono allo sradicamento della tradizionale distinzione tra produzione e consumo, creazione e copia, readymade e opera originale. Il materiale manipolato non è più primario. Non si tratta più di elaborare una forma sulla base di materiale grezzo, ma di lavorare con oggetti che sono già in circolazione sul mercato culturale, vale a dire, oggetti già informati da altri oggetti”.3 Allo stesso modo, il DJ è una figura professionale del mondo della musica che si occupa di selezionare quella composta da altri, fare una sequenza attraverso la tecnica del mixaggio, riprodurla come un unico flusso musicale. Il campionamento audio è il procedimento di conversione in forma digitale di un segnale audio analogico, se ne servono diversi tipi di generi musicali, dalla musica elettronica all’hip-hop. Il lavoro si divide in una parte di ricerca e l’ultima applicativa. Cercando di agire in modo coerente con gli argomenti indagati, questa tesi può dirsi cannibale: testi e immagini di altri sono scorporati e frammentati, ricombinati in un ordine altro per offrire un punto di vista sulla cultura progettuale contemporanea. Il collage viene assunto come paradigma metodologico progettuale. La parte di ricerca si propone di indagare questo macro tema tramite uno scenario di riferimento (map), l’individuazione di argomenti specifici (temi) e la delineazione di strategie progettuali (tools). Funzionando come collegamenti ipertestuali, ogni capitolo di queste ultime due sezioni vede attribuite una serie di parole chiave che rimandano alla prima sezione. Map, Anatomy in 100 Words, è una mappa concettuale tra mite parole. Sotto forma di selezione di citazioni, definizioni, ed estratti di testo, la ricerca terminologica intende disegnare lo scenario di riferimento alla base di questo lavoro. Non è una raccolta di termini con la spiegazione scientifica del loro significato, essa si pone in opposizione alla fruizione compulsiva e condivisa di un glossario. In modo più ampio, rispecchia una visione individuale e rarefatta campionando e riutilizzando le parole -di qualcun altro- per definire tematiche o elementi di questa ricerca.

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4 Mnemosyne. L’atlante della memoria di Aby Warburg. 1988. A cura di Italo Spinelli e Roberto Venuti, Roma 5 vedi p. 44. 6 Oggetto di uso comune, prefabbricato, scelto da un artista che, senza usare su di esso alcun intervento di carattere estetico, ne determina il valore con l’atto mentale di percepirlo come opera d’arte. Il termine fu usato per la prima volta da Marcel Duchamp per la sua Ruota di bicicletta posta su uno sgabello nel 1913

Una collezione corrosiva, che manifesta l’impossibilità di raggiungere una conoscenza della realtà e del tema stabile e definitiva, ma ne propone una narrazione scelta. La metodologia è postproduttiva: coerentemente con la tesi che propone, si serve di estratti di pensieri scritti da altri, scelti arbitrariamente e catalogati in cento voci, la cui combinazione inedita forma un ritratto complessivo del tema proposto. I testi sono stati trascritti con un processo taglia e incolla, dunque non necessariamente nella lingua originale con cui sono stati pensati dai singoli autori, ma nella maniera in cui sono stati trovati. Temi e Tools indagano invece tramite immagini, progetti, e libri provenienti da differenti ambiti disciplinari rispettivamente le tematiche e gli strumenti che la postproduzione dell’architettura mette in campo. Ciascuna sezione è suddivisa in tre argomenti a loro volta esplicitati in tre capitoli. Anche qui il processo adottato segue la tesi che propone: i riferimenti di ogni capitolo vengono assemblati in un collage di immagini e testi composti come reperti archeologici, le sigle rimandano alle note sulla sinistra delle pagine. Il processo con cui i capitoli sono stati scritti e i progetti accostati tra loro si è sviluppato per analogie di senso e di forma, in un modo metodologicamente simile al Bilderatlas di Aby Warburg.4 Gli argomenti non seguono alcuna gerarchia, e i capitoli si servono parimenti di interviste, articoli scritti da altri, testi copiati ed incollati. Per queste ragioni anche il progetto grafico è stato sviluppato coerentemente: le immagini sono proposte come fotocopie in bianco e nero, dichiarando così esplicitamente la non autenticità né autorialità della fonte, e trovando la loro ragione d’essere nel dominio della citazione più che in quello dell’emulazione. Perde di significato l’alta definizione: infatti la loro qualità non risiede nella riproducibilità tecnica impeccabile del materiale originale, ma nel loro potere di suggerire e rinviare ad altro. Temi, SFX1: postproduction as (Curating, Manipulating, Adapting) è un discorso diviso in tre parti su tre temi della contemporaneità considerati dall’attitudine postproduttiva. Curating infine prende in esame diversi esempi di “architettura narrativa” per dimostrare il potenziale dell’interpretazione e racconto di un progetto (Bildera-tlas di Warburg, Cut-Up di Burroughs e Gysin) o di un contesto (CJ Lim e Londra con Short Stories, Hejduck e Berlino con Victims, Rossi e la Lombardia con il progetto per la Città Analoga). L’architettura si avvicina così alla pratica curatoriale. Manipulating esemplifica con l’allegoria dell’assemblage5 forme fisiche e mentali esistenti

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come attuale scenario progettuale (da Branzi a Koolhaas), tecnico (Kosko e la logica fuzzy), artistico (Postproduction di Nicolas Bourriaud) e culturale (mp3, tarocchi, l’atmosfera secondo Latour). L’assemblage è un processo di ready made rettificato6 in costante mutazione di senso, capace di scardinare le no-zioni di creazione e opera originale e indebolire le categorie temporali di passato/presente/futuro. Adapting mette in discussione l’architettura come scienza pura, autonoma e controllata. Il progetto è infatti influenzato da contingenze (Till), casualità (Manolopoulou), e differenti discipline (Hollein). Tools, SFX2: postproduction through (Habitat, Chance, Antiform) prende in considerazione progetti di diversi ambiti disciplinari provando a definire un terreno comune nelle strategie progettuali. Emergono aspetti solo recentemente considerati dal panorama progettuale artistico, architettonico, tecnologico, etc. Habitat mostra una rinnovata attenzione all’ecosistema, in senso ampio, artificiale e naturale, a partire da un puro aspetto materiale, portando con sé aspetti caduci e metamorfici. Il contesto come punto di forza: se gli Smithson l’avevano descritto negli anni ‘50 con l’As Found, oggi da Gilles Clément a François Roche il contesto organico viene usato come base per costruire sottilissimi e spesso iper tecnologici rapporti ecologici. Chance definisce appunto la componente casuale come relazione tra un tipo d’ordine che si prevede e quello invece che succede. L’architettura non è più volta eroicamente all’affermazione di sé stessa ma è influenzata da diversi tipi di relazioni con il caso: formali (KAIT di Ishigami), materiali (Rotor), sociali (Lacaton&Vassal) o atmosferiche (Perec). Infine, Antiform libera la dimensione formale dell’architettura con ricerche e progetti che incorporano una dimensione soffice e antidogmatica all’interno del dominio spaziale (è il caso di ritualità, accumuli di oggetti, eventi temporanei, ma anche il progetto per la piazza Léon Aucoc di Lacaton&Vassal, il masterplan di Oma per Yokohama, o la rhythmanalysis lefebvriana). Scenario, Dunston Staiths. Il successivo sviluppo del lavoro propone invece un approccio applicativo sulla città di Newcastle, a partire da un progetto coordinato tra differenti università inglesi per aprire una discussione sui Dunston Staiths, gigantesca struttura lignea, in origine pontile per il caricamento del carbone sui vascelli, ora dismessa, sul fiume Tyne. Grazie al bando “Tesi all’estero” del Politecnico di Milano ho avuto la possibilità di trascorrere due mesi nella primavera 2014 a Newcastle upon Tyne. La permanenza mi ha dato la possibilità di studiare e comprendere a fondo

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7 Jean-Luc Godard, Godard par Godard. Des annees Mao aux annees 80, Flammarion, Paris, 1999. Citato in Bourriaud, Nicolas. 2004. Postproduction: come l’arte riprogramma il mondo. Postmedia books, Milano, p. 50

il contesto, offrendomi rispetto ad esso un’inedita chiave di lettura che ha aperto ad una riflessione ampia sui riverfront della città, a partire dall’osservazione degli Staiths. Le due rive del fiume oggi si offrono come un’opera aperta dai molti campi di accadimento potenziali e molteplici possibilità interpretative: un dinamismo di forze oppositive che motivano o modellano una tensione creativa sulle relazioni norma/eccezione, amicizia/ostilità, inclusione/esclusione, natura/cultura, ma anche rapporti di scala, ritualità, limiti. Lo scopo è capire la qualità di questi fenomeni e conseguentemente il potenziale di nuove narrative, dispiegare il contesto significa non solamente leggere le due sponde come il risultato di idee decise a tavolino e ideologie che emergono dalle sue architetture, ma anche spingere i suoi limiti oltre il tempo e la geografia attraverso un’operazione di post-produzione sull’esistente capace di rivelare nuovi scenari. I miti generati dall’architettura non hanno meno potere di cambiare la narrativa della città di quanto ne abbia il cinema, la musica, o la letteratura. Le perlustrazioni sul contesto sono state sviluppate tramite sopralluoghi, disegni, interviste, e recupero di materiale di vario genere che rivelassero l’immaginario collettivo della città. Analogo processo quello con cui la psicanalisi viene utilizzata come tecnica che permette l’emergere di nuovi scenari: di fronte a una personalità bloccata, l’analista ricostruisce il racconto della sua vita a un livello inconscio, permettendo al paziente di riappropriarsi di immagini, comportamenti e forme che fino ad allora gli erano sfuggiti. Jean Luc Godard diceva che il montaggio è “un concetto politico fondamentale”: un’immagine non è mai sola, esiste soltanto rispetto a uno sfondo (l’ideologia) o in relazione alla immagini che la precedono o che la succedono.7 Questo ci permette di esperire il reale attraverso la finzione. Si richiede una sensibilità lo-fi, che riserva attenzioni speciali per l’indeterminato e l’irrisolto. Un punto di vista che interpreta il processo progettuale sempre incompleto, riconoscendo le qualità imperfette dell’architettura. Essa significa un’opzione di ordine culturale operante nell’esistente che, interpretando il progetto come processo debole ed imperfetto, acquisisce forza proporzionalmente al suo grado di apertura, o, per meglio dire, debolezza. Questo tipo di approccio è interessato alla ricchezza degli eventi e alle energie che si trovano nelle manifestazioni informali della cultura del progetto, dei media, e dell’immaginario sociale, intrattenendo molteplici e diverse relazioni con la dimensione temporale, unità di misura fondamentale della nostra contemporaneità. Il progetto dovrebbe dimostrare di avere la capacità di

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8 Manzini, Ezio, e Susani, Marco (a cura di). 1995. The Solid Side: The Search for Consistency in a Changing World : Projects and Proposals. V+K Publishing 9 Secchi, Bernardo e Vigano, Paola. 2011. The project of isotropy. In Ferrario, Viviana, Sampieri, Angelo, e Vigano, Paola (a cura di), Landscapes of Urbanism, Q5–Quinto quaderno del dottorato in Urbanistica, Universita Iuav di Venezia. Officina, Roma. p. 72

comprendere nuove e possibili relazioni tra questi due mondi in contrasto: da una parte il mondo della realtà aumentata, senza materia né storia, dall’altra quello dello scarto, accumulo di rifiuti reali. Lo spazio è il vero capitale di oggi, e la necessaria rigenerazione -architettonica, sociale ed economica- deve prendere in considerazione nuovi cicli di vita che sovrascrivano il tessuto urbano. Su questo fronte, gli architetti sono spesso chiamati oggi ad agire come curatori, più che costruttori, chiamati a capire, scegliere, interpretare, riprodurre, ri-esporre, e riusare prodotti realizzati da altri. Le strategie di riuso si moltiplicano adottando aspetti che l’edilizia ex-novo per sua natura non considera, come azioni progettuali invisibili, l’inclusione della componente casuale, informale, o caduca. L’ambiente, la società e la nostra stessa esistenza individuale si stanno trasformando ad una velocità superiore a quella con cui la nostra cultura sembra in grado di aggiornare i propri modelli di lettura del mondo. Dalle soglie del ventunesimo secolo la materia ed il tempo non costituiscono più un limite alla continua variabilità del mondo con cui ci confrontiamo. La materia, ovvero qualsiasi manufatto a scale differenti, sembra aver perso la sua inerzia e non porre più limiti alla sua trasformazione: forme e funzioni si moltiplicano, cambiano, si aggregano con continuità.8 Il mondo delle cose non ci appare più come un supporto solido di significati duraturi, ma come fluido in perenne trasformazione. Dunque se l’architettura si e fin’ora occupata della progettazione di forme nello spazio, quella del nostro secolo e chiamata piuttosto a progettare forme nel tempo: vengono re-inventate, riprogrammate, re-funzionalizzate, ri-costruite forme idonee per contenere tutti i tempi della città. Le nostre coordinate temporali sono infatti moltiplicate, deformate, accelerate con i media attuali, che includono simultaneità e ubiquità. In questo senso, il concetto di isotropia come corpo o rete infinita, introdotto da Secchi e Viganò,9 che non ha ne un centro ne un limite, e dunque non possiede relazioni gerarchiche, sembra applicabile non solo alla progettazione dello spazio nel territorio, ma anche alla tradizionale nozione circolare del tempo. Questa nuova condizione temporale omogenea potrebbe essere occasione per creare un nuovo sistema di consumo e produzione sostenibile. Essendo il rapporto tra fenomenologia e cronologia la parte che più interessa all’architettura, si tratta di indagare i margini operativi della progettazione e gli ambiti di ricerca di nuove strategie del progetto, la cui finalità non sia interrogarsi retrospettivamente su forme e significati passati, ma mettere a punto sistemi per abitare le stesse forme producendo effetti differenti, che inglobino le più diverse modalità di trasforma-

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10 ricognizione aperta sulla linea di pensiero di Andea Branzi 11 Storicamente, il primo “ready-made” prodotto da Duchamp è stato Ruota di bicicletta. Egli, nel suo studio a Parigi, decise di montare una ruota di bicicletta su uno sgabello. L’operazione non aveva alcuna finalità precisa, e probabilmente non fu realizzata per essere esposta. Di fatto, egli aveva creato il suo primo ready-made rettificato. Con tale termine egli distingueva quei ready-made sui quali interveniva con qualche intervento minimo, da quelli sui quali non produceva alcun intervento. Tra i suoi ready-made rettificati il più celebre rimane probabilmente una riproduzione fotografica della Gioconda sulla quale disegna a matita baffi e pizzetto, e di sotto pone la scritta “L.H.O.O.Q.” che, letta in francese, prende il significato “ella ha caldo al culo”

zione dello spazio, dando risposte multiple e leggere alla crisi dei grandi sistemi.10 Postproduzione significa occuparsi del “riciclo” dell’esistente, materiale primario da manipolare, ma non deve essere intesa come una pratica low-cost, low-tech o low-quality, né come una forma di protesta contro una dimensione “formale” dell’architettura. Chiede all’architettura di accettare nuove sovrascritture e formule, reali o immaginarie. Altre discipline, come il restauro, si propongono di conservare la materia architettonica “riattivandola”, ma qui si tratta di vedere un intervento non come risultato finale di un processo, non di dare un “happy ending”, ma letteralmente di inventare (trovare, con l’immaginazione o l’ingegno) un luogo di produzione continua, mediante la messa a disposizione di strumenti “deboli” atti a conferire nuovi cicli di vita. L’architettura della postproduzione è parziale, non dice cosa fare ma come potrebbe essere, in una sorta di ready made rettificato11 che sta accanto all’esistente e non in sostituzione ad esso. Questo approccio rivela diverse mosse specifiche dell’ambito curatoriale, il quale interpreta le proprie azioni in una relazione specifica con il tempo e la sua gestione. La pratica curatoriale suggerisce utili strumenti per coltivare e testare attivamente un’idea diversa di progetto, è infatti connessa con la produzione culturale e con un pubblico generico: attraverso cambiamenti costanti questa pratica si sottrae a rigide definizioni mostrando un’idea di identità in perenne transizione, assorbita da perenni cambiamenti di realtà sociali, geopolitiche, economiche, e resistente a qualsiasi codice o manuale. La sua natura instabile ed interstiziale può essere un’importante riferimento per il progetto contemporaneo, il quale si trova ad operare in un tessuto urbano costruito, che ha interiorizzato nei secoli logiche contrastanti non più conciliabili oggi, nell’epoca della saturazione dello spazio edificabile nelle città, ma queste possono essere gestibili all’interno della sua stratificazione con pratiche di riuso che generino dinamiche instabili, reversibili, evolutive. Questo lavoro è stato sviluppato a partire da riflessioni ed interessi personali al termine del percorso di laurea in architettura. Lo sforzo maggiore è stato quello di procedere nel tentativo critico, sebbene spesso in modo arbitrario, di sistematizzazione di un pensiero, un’ipotesi, rispetto ad una tematica ampia che non possiede ancora una specifica bibliografia di riferimento. Pertanto questo è da considerarsi come un possibile inizio di conversazione, ben lontano dunque dall’essere una ricerca completa e finita.

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MAP ANATOMY IN 100 WORDS


VIII DEFINIZIONE UN EPIFENOMENO È CIÒ CHE SI SOVRAPPONE A UN FENOMENO. LA PATAFISICA LA CUI ETIMOLOGIA DEVE SCRIVERSI ̈B4 (:GJY JY NLF46Y) E L’ORTOGRAFIA REALE ’PATAFISICA, PRECEDUTA DA UN APOSTROFO, AL FINE D’EVITARE UN FACILE CALEMBOUR, È LA SCIENZA DI CIÒ CHE SI SOVRAPPONE ALLA METAFISICA, SIA IN SÉ, SIA ALTRO DA SÉ, ESTENDENDOSI COSÌ LONTANO AL DI LÀ DI QUESTA QUANTO QUESTA AL DI LÀ DELLA FISICA. ES.: ESSENDO L’EPIFENOMENO SOVENTE L’ACCIDENTE, LA PATAFISICA SARÀ SOPRATTUTTO LA SCIENZA DEL PARTICOLARE, QUANTUNQUE SI DICA CHE NON V’È SCIENZA SE NON DEL GENERALE. ESSA STUDIERÀ LE LEGGI CHE REGGONO LE ECCEZIONI E ESPLICHERÀ L’UNIVERSO SUPPLEMENTARE A QUESTO; O MENO AMBIZIOSAMENTE DESCRIVERÀ UN UNIVERSO CHE SI PUÒ VEDERE E CHE FORSE SI DEVE VEDERE AL POSTO DEL TRADIZIONALE, LE LEGGI CHE SI È RITENUTO DI SCOPRIRE DELL’UNIVERSO TRADIZIONALE ESSENDO ANCHE DELLE CORRELAZIONI DI ECCEZIONI, SEBBENE PIÙ FREQUENTI, IN OGNI CASO FATTI ACCIDENTALI CHE, RIDUCENDOSI A DELLE ECCEZIONI POCO ECCEZIONALI, NON HANNO NEPPURE L’ATTRATTIVA DELLA SINGOLARITÀ. 1. ALFRED JARRY, GESTA E OPINIONI DEL DOTTOR FAUSTROLL, PATAFISICO (MILANO: ADELPHI, 1984), 10. × AGENCY I’M NOT STEALING ALL THEIR MUSIC, I’M USING YOUR DRUM TRACK, I’M USING THIS LITTLE ‘BIP’ FROM HIM, I’M USING YOUR BASSLINE THAT YOU DON’T EVEN LIKE NO FUCKING MORE. 2. DJ MARK THE 45 KING, IN S.H. FERNANDO JR., THE NEW BEATS. EXPLORING THE MUSIC, CULTURE AND ATTITUDES OF HIP-HOP (NEW YORK: ANCHOR BOOKS/DOUBLEDAY, 1994), 246. × ANALOGIE LA CITTÀ GENERICA È LA CITTÀ LIBERATA DALLA SCHIAVITÙ DEL CENTRO, DALLA CAMICIA DI FORZA DELL’IDENTITÀ. LA CITTÀ GENERICA SPEZZA QUESTO CIRCOLO VIZIOSO DI DIPENDENZA: È SOLTANTO UNA RIFLESSIONE SUI BISOGNI DI OGGI E SULLE CAPACITÀ DI OGGI. E’ LA CITTÀ SENZA STORIA. E’ ABBASTANZA GRANDE PER TUTTI. E’ COMODA.

NON RICHIEDE MANUTENZIONE. SE DIVENTA TROPPO PICCOLA NON FA CHE ESPANDERSI. SE INVECCHIA NON FA CHE AUTODISTRUGGERSI E RINNOVARSI. E’ UGUALMENTE INTERESSANTE O PRIVA DI INTERESSE IN OGNI SUA PARTE. E’ “SUPERFICIALE” COME IL RECINTO DI UNO STUDIO CINEMATOGRAFICO HOLLYWOODIANO, CHE PRODUCE UNA NUOVA IDENTITÀ OGNI LUNEDÌ MATTINA. 3. REM KOOLHAAS, JUNKSPACE (MACERATA: QUODLIBET, 2006), 31. × ANARCONOMY+ IN A CHAPTER IN THE BOOK, WE DESCRIBE THE TREND KNOWN AS ANARCONOMY, IN WHICH A DECENTRALISED FREE ECONOMY BASED ON OPEN SOURCE AND VOLUNTARY WORK INCREASINGLY CHALLENGES TRADITIONAL COMPANIES. IN THE FUTURE, THIS TREND MAY BE UNITED WITH THE COPYFIGHT MOVEMENT, WHICH FIGHTS RESTRICTIVE COPYRIGHT AND PATENT LAWS, AND MAKER CULTURE (A HIGH-TECH DO-IT-YOURSELF CULTURE) IN A COHESIVE COUNTERCULTURE, WHICH ALMOST CONSTITUTES A PARALLEL SOCIETY.THIS POSSIBLE COUNTERCULTURE MIGHT BE CALLED ANARCONOMY +. 4. KLAUS AE. MOGENSEN AND KATRINE K. PEDERSEN, “COUNTERCULTURES OF THE FUTURE”, IN SCENARIO MAGAZINE N°5 (2011). WWW.SCENARIOMAGAZINE.COM/COUNTERCULTURES-OF-THE-FUTURE/, ACCESSED FEBRUARY 28, 2014. × ANTI-CARTESIO LA NOSTRA MENTE PRESOCRATICA NON RIESCE A FAR LUCE SU UN “SISTEMA MONDO GLOBALIZZATO” IN CRISI POLITICA, ECONOMICA E AMBIENTALE; UN SISTEMA-MONDO CHE È SIMILE ALL’INTERNO DI UN COMPUTER CHE SI È ROTTO, DI CUI LA VECCHIA LOGICA MECCANICA E ILLUMINISTA NON RIESCE A COMPRENDERE IL FUNZIONAMENTO E QUINDI A CAPIRE DOV’È IL GUASTO. TUTTO QUESTO MI SEMBRA CHE CORRISPONDA A UNA SORTA DI “MODERNITÀ PRESOCRATICA”, CHE PRODUCE MECCANISMI PARZIALI MA GENIALI, PENSIERI VERTICALI CHE NON FANNO SISTEMA MA PUNTELLANO PROVVISORIAMENTE IL TERRENO; NON APPARTENGONO ALLA RAZIONALITÀ MA ALL’INTUIZIONE, LASCIANDO (COME


DICEVA, MOLTO TEMPO FA, MARIO TRONTI) “I GRANDI SISTEMI A PICCOLI IMPROVVISATORI” E TORNANDO A NAVIGARE SEGUENDO COSTELLAZIONI DISCONTINUE CHE CI GUIDANO ATTRAVERSO LE TENEBRE. 5. ANDREA BRANZI: VISIONI DEL PROGETTO DI DESIGN 1972-2009, ED. FRANCESCA LA ROCCA (MILANO: FRANCO ANGELI, 2010), 203-204. × ANTI-FORM IT SUGGESTS OTHER WAYS OF DOING ARCHITECTURE. IN THE SPIRIT OF CEDRIC PRICE THE PROJECT STARTED WITH THE BELIEF THAT A BUILDING IS NOT NECESSARILY THE BEST SOLUTION TO A SPATIAL PROBLEM. [...] THERE ARE A NUMBER OF CONTEMPORARY PROJECTS THAT COLLECT AND COLLATE ALTERNATIVE APPROACHES TO THE PRACTICE OF ARCHITECTURE. THESE ARE ALL PROJECTS WHOSE CURATORIAL APPROACH BRINGS TOGETHER DIVERSE PRACTICES IN ORDER TO ELABORATE DIFFERENT WAYS OF THINKING AND ACTING IN RELATION TO ARCHITECTURE AND URBANISM. 6. “SPATIAL AGENCY”, WWW.SPATIALAGENCY. NET, ACCESSED MARCH 11, 2014. ×

TIME TRAVEL, IN TAKING COORDINATES, SUCH AS WHAT I PHOTOGRAPHED ON THE TRAIN, WHAT I WAS THINKING ABOUT AT THE TIME, WHAT I WAS READING AND WHAT I WROTE; ALL OF THIS TO SEE HOW COMPLETELY I CAN PROJECT MYSELF BACK TO THAT ONE POINT IN TIME. 7. WILLIAM S. BURROUGHS, IN THIRD DIMENSION, ED. WILLIAM S. BURROUGHS AND BRION GYSIN (NEW YORK: A SEAVER BOOK/ THE VIKING PRESS, 1978), 8. × ARCHITECTURAL CONSPIRACY PARANOIA IS A COSPIRATIONAL INTERPRETATION OF THE WORLD WHEREIN ALL FACTS AND ALL PHENOMENA BECOME A KIND OF MAGNETIC FIELD WHICH IS THE REINFORCEMENT OF ONE’S ORIGINAL PARANOID DELUSION. SO THIS IS REALLY AN UNCONTROLLABLE PROCESS OF ASSOCIATIONS, WHERE EVERYTHING IS CONNECTED WITH EVERYTHING ELSE. 8. REM KOOLHAAS, “DALÌ, THE CRITICAL METHOD & LE CORBUSIER”, IN SUPERCRITICAL, ED. BRETT STEELE AND REM KOOLHAAS (LONDON: AA PUBLICATIONS, 2007), 132. ×

APPROPRIATION I DON’T KNOW ABOUT WHERE FICTION ORDINARILY DIRECTS ITSELF, BUT I AM QUITE DELIBERATELY ADDRESSING MYSELF TO THE WHOLE AREA OF WHAT WE CALL DREAMS. PRECISELY WHAT IS A DREAM? A CERTAIN JUXTAPOSITION OF WORD AND IMAGE. I’VE RECENTLY DONE A LOT OF EXPERIMENTS WITH SCRAPBOOKS. I’LL READ IN THE NEWSPAPER SOMETHING THAT REMINDS ME OF OR HAS RELATION TO SOMETHING I’VE WRITTEN. I’LL CUT OUT THE PICTURE OR ARTICLE AND PASTE IT IN A SCRAP-BOOK BESIDE THE WORDS FROM MY BOOK. OR I’LL BE WALKING DOWN THE STREET AND I’LL SUDDENLY SEE A SCENE FROM MY BOOK AND I’LL PHOTOGRAPH IT AND PUT IT IN A SCRAPBOOK. I’VE FOUND THAT WHEN PREPARING A PAGE, I’LL ALMOST INVARIA-BLY DREAM THAT NIGHT SOMETHING RELATING TO THIS JUXTAPOSITION OF WORD AND IMAGE. IN OTHER WORDS, I’VE BEEN INTERESTED IN PRECISELY HOW WORD AND IMAGE GET AROUND ON VERY, VERY COMPLEX ASSOCIATION LINES. I DO A LOT OF EXERCISES IN WHAT I CALL

AVANGUARDIA PERMANENTE AN ANALYSIS OF EXPERIMENTAL DATA REGARDING RNA AND DNA REPLICATION AT VARIOUS LEVELS OF ORGANIZATION REVEALS, THAT A SUFFICIENT AMOUNT OF INFORMATION FOR THE BUILD UP OF A TRANSLATION MACHINERY CAN BE GAINED ONLY VIA INTEGRATION OF SEVERAL DIFFERENT REPLICATIVE UNITS (OR REPRODUCTIVE CYCLES) THROUGH FUNCTIONAL LINKAGES. A STABLE FUNCTIONAL INTEGRATION THEN WILL RAISE THE SYSTEM TO A NEW LEVEL OF ORGANIZATION AND THEREBY ENLARGE ITS INFORMATION CAPACITY CONSIDERABLY. THE HYPERCYCLE APPEARS TO BE SUCH A FORM OF ORGANIZATION […]. CONSIDER A SEQUENCE OF REACTIONS IN WHICH, AT EACH STEP, THE PRODUCTS, WITH OR WITHOUT THE HELP OF ADDITIONAL REACTANTS, UNDERGO FURTHER TRANSFORMATION. IF, IN SUCH A SEQUENCE, ANY PRODUCT FORMED IS IDENTICAL WITH A REACTANT OF A PRECEDING STEP, THE SYSTEM RESEMBLES A REACTION CYCLE AND THE CYCLE AS A WHOLE A CATALYST.


9. MANFRED EIGEN, “THE HYPERCYCLE. A PRINCIPLE OF NATURAL SELF-ORGANIZATION”, IN DIE NATURWISSENSCHAFTEN N°64 (1977), 541. × BABEL ABBIAMO BISOGNO DI ORDINI CAPACI DI GENERARE ERESIE. 10. MASSIMO CACCIARI, “NOMADI IN PRIGIONE”, IN LA CITTÀ INFINITA, CATALOGO DELLA MOSTRA, TRIENNALE DI MILANO, 13 GENNAIO-7 MARZO 2004, ED. ALDO BONOMI AND ALBERTO ABRUZZESE (MILANO: BRUNO MONDADORI, 2004), 4-7. × BAZAAR INSERENDO NELLA PROPRIA OPERA QUELLA DI ALTRI, GLI ARTISTI CONTRIBUISCONO ALLO SRADICAMENTO DELLA TRADIZIONALE DISTINZIONE TRA PRODUZIONE E CONSUMO, CREAZIONE E COPIA, READYMADE E OPERA ORIGINALE. IL MATERIALE MANIPOLATO NON È PIÙ PRIMARIO. NON SI TRATTA PIÙ DI ELABORARE UNA FORMA SULLA BASE DI MATERIALE GREZZO, MA DI LAVORARE CON OGGETTI CHE SONO GIÀ IN CIRCOLAZIONE SUL MERCATO CULTURALE, VALE A DIRE, OGGETTI GIÀ INFORMATI DA ATRI OGGETTI. 11. NICOLAS BOURRIAUD, POSTPRODUCTION. COME L’ARTE RIPROGRAMMA IL MONDO (MILANO: POSTMEDIA BOOKS, 2004), 7. × CALCULATED UNCERTAINTY LABYRINTHIAN CLARITY IMPLIES CONSECUTIVE IMPRESSION SIMULTANEOUSLY SENSED THROUGH REPEATED EXPERIENCE. IT IMPLIES THAT CLARITY OF PLACE ARTICULATION GROWS – SHOULD GROW AT LEAST IN TIME. THIS KIND OF LABYRINTHIAN CLARITY IS QUITE DIFFERENT FROM OVERALL INSTANTANEOUS CLARITY, THOUGH INSTANTANEOUS CLARITY FROM PLACE TO PLACE IS A PREREQUISITE FOR THE ACHIEVEMENT OF THE KIND OF OVERALL CLARITY REMEMBERED AND ANTICIPATED AS YOU MOVE FROM ONE PLACE IN A HOUSE TO THE OTHER – OR ONE PLACE IN A CITY TO THE OTHER. LABYRINTHIAN CLARITY, THIS MUST BE STRESSED, IS THEREFORE NOT A QUALITY WHICH RELIES ON CONFUSION, DISORIENTATION OR AMORPHOUSNESS. IT REPRESENTS ULTIMATELY NONE OF THESE NEGATIVES, THOUGH DURING A FIRST

ENCOUNTER WITH A CONFIGURATION THAT POSSESSES LABYRINTHIAN CLARITY THE IMPRESSION MAY BE IMPARTED THAT THEY ARE PRESENT. CITY AND HOUSE ARE, AFTER ALL, NOT CONCEIVED FOR SINGLE SHORT ACCIDENTAL VISITS. 12. ALDO VAN EYCK, IN WRITINGS. THE CHILD, THE CITY AND THE ARTIST VOL. 1, ED. VINCENT LIGTELIJN AND FRANCIS STRAUVEN (AMSTERDAM: SUN, 2008, ORIG.: 1962), 100. × CANNIBALISMO SE LO SPACE-JUNK SONO I DETRITI UMANI CHE INGOMBRANO L’UNIVERSO, IL JUNKSPACE È IL RESIDUO CHE L’UMANITÀ LASCIA SUL PIANETA. [...] LA CONTINUITÀ È L’ESSENZA DEL JUNKSPACE; IL JUNKSPACE SFRUTTA OGNI INVENZIONE CHE RENDE POSSIBILE UN’ESPANSIONE, DISPIEGA L’INFRASTRUTTURA DELL’UNIFORMITÀ: SCALE MOBILI, ARIA CONDIZIONATA, SPRINKLER, PORTE TA-GLIAFUOCO, LAME D’ARIA... E’ SEMPRE UN INTERNO, COSÌ ESTESO CHE RARAMENTE SE NE POSSONO PERCEPIRE I LIMITI, PROMUOVE IL DISORIENTAMENTO CON OGNI MEZZO (SPECCHI, ECO, SUPERFICI LUCIDE...). […] LO SPAZIO È STATO CREATO ACCUMULANDO MATERIA SU ALTRA MATERIA, CEMENTIFICANDO FINO A DAR FORMA A UN NUOVO INSIEME SOLIDO. IL JUNKSPACE È ADDITIVO, STRATIFICATO E LEGGERO, NON ARTICOLATO IN PARTI DIVERSE MA SUDDIVISO, SQUARTATO COME LO È UNA CARCASSA – SINGOLI PEZZI TRONCATI DA UNA CONDIZIONE UNIVERSALE. […] IL JUNKSPACE PROSPERA NEL PROGETTO, MA IL PROGETTO MUORE NELLO JUNKSPACE. 13. REM KOOLHAAS, JUNKSPACE (MACERATA: QUODLIBET, 2006), 63-69. × CHANCE IT’S REALLY A CONTINUOUS QUESTION OF THE FIGHT BETWEEN ACCIDENT AND CRITICISM. BECAUSE WHAT I CALL ACCIDENT MAY GIVE YOU SOME MARK THAT SEEMS TO BE MORE REAL, TRUER TO THE IMAGE THAN ANOTHER ONE, BUT IT’S ONLY YOUR CRITICAL SENSE THAT CAN SELECT IT. SO THAT YOUR CRITICAL FACULTY IS GOING ON AT THE SAME TIME AS THE SORT OF HALF-UNCONSCIOUS MANIPULATION -OR VERY UNCONSCIOUS. 14. FRANCIS BACON, IN INTERVIEWS WITH


FRANCIS BACON, ED. DAVID SYLVESTER (LONDON: THAMES AND HUDSON, 1975), 47. × CHAOS WHAT WE CALL COINCIDENCE SEEMS TO BE THE CHIEF CONCERN OF THIS PECULIAR [CHINESE] MIND, AND WHAT WE WORSHIP AS CAUSALITY PASSES ALMOST UNNOTICED. WE MUST ADMIT THAT THERE IS SOMETHING TO BE SAID FOR THE IMMENSE IMPORTANCE OF CHANCE. AN INCALCULABLE AMOUNT OF HUMAN EFFORT IS DIRECTED AT RESTRICTING THE NUISANCE OR DANGER REPRESENTED BY CHANCE. THEORETICAL CONSIDERATIONS OF CAUSE AND EFFECT OFTEN LOOK PALE AND DUSTY IN COMPARISON TO THE PRACTICAL RESULTS OF CHANCE.... THE MATTER OF INTEREST SEEMS TO BE THE CONFIGURATION FORMED BY CHANCE EVENTS IN THE MOMENT OF OBSERVATION.... WHILE THE WESTERN MIND CAREFULLY SIFTS, WEIGHS, SELECTS, CLASSIFIES, ISOLATES, THE CHINESE PICTURE OF THE MOMENT ENCOMPASSES EVERYTHING DOWN TO THE MINUTEST NONSENSICAL DETAIL, BECAUSE ALL OF THE INGREDIENTS MAKE UP THE OBSERVED MOMENT. 15. CARL GUSTAV JUNG, IN THE I CHING OR BOOK OF CHANGES, ED. RICHARD WILHELM AND CARY F. BAYNES (NEW JERSEY: BOLLINGEN FOUNDATION & PRINCETON UNIVERSITY PRESS, 1977), 12-13. × CINEMA L’ “URBANIZZAZIONE”, CHE HA SOSTITUITO LA CITTÀ DEL PASSATO, È IL POSTO DOVE VIVE LA MAGGIOR PARTE DELLA GENTE, LA CUI MENTE È PLASMATA DAI SUOI CONFINI. I MODELLI DELLA VITA URBANA CAMBIANO CONTINUAMENTE, E RAPPRESENTANO IL COPIONE CHE NOI TUTTI DOBBIAMO RECITARE. CI È PERMESSA UNA CERTA LIBERTÀ DI IMPROVVISAZIONE, MA È LA CITTÀ CHE ASSEGNA LE PARTI. 16. J.B. BALLARD, IN INTERVISTE VOLUME 1, ED. HANS ULRICH OBRIST (MILANO: CHARTA, 2003), 66. × CIVILTÀ INDUSTRIALE IN ALTRE PAROLE SIAMO PASSATI DALLA “SOCIETÀ INDUSTRIALE” DI UN TEMPO, ALLA “CIVILTÀ INDUSTRIALE” DI OGGI, DOVE L’INDUSTRIA

PRODUCE NON SOLTANTO MERCE MA ELABORA VALORI E COMPORTAMENTI CHE VENGONO INTERIORIZZATI E FANNO PARTE DELLA NOSTRA FILOSOFIA E DELLA NOSTRA MORALE: BASTI PENSARE AL “CONSUMO ETICO” CHE ATTRIBUISCE A UN PARTICOLARE TIPO DI ACQUISTO UN ALTRO VALORE MORALE. 17. ANDREA BRANZI, RITRATTI E AUTORITRATTI DI DESIGN (VENEZIA: MARSILIO, 2010), 18. × CLICHES AND YET EVERYTHING ENDS UP BEING AN IMAGE. EVEN IF ARCHITECTS DISLIKE IMAGES AND TRY TO STAGE “REAL” EVENTS OR SITUATIONS, IMAGES REMAIN THE FUNDAMENTAL MEDIUM THROUGH WHICH THESE EVENTS ARE TRANSMITTED. INSTEAD OF TRYING TO GO BEYOND IMAGES, PERHAPS IT WOULD BE MORE INTERESTING TO UNDERSTAND THEM NOT AS MERE ILLUSTRATIONS, BUT AS A FORM OF PRODUCTION. WITHIN ARCHITECTURE THE PRODUCTION OF IMAGES TRANSCENDS THE DISTINCTION BETWEEN “VIRTUAL” AND “REAL” SPACES. IF ARCHITECTURE IS NOT JUST BUILT MATTER, BUT THE EMBODIMENT OF VALUES, IDEOLOGIES, AND AFFECTS, THEN THE PRODUCTION OF IMAGES HAS TO BE UNDERSTOOD AS A SUBSTANTIAL ASPECT OF THE PRODUCTION OF ARCHITECTURE IN ITS REAL FORM. THIS BECOMES ESPECIALLY TRUE WITHIN A CONDITION IN WHICH COMMUNICATION, REPRESENTATION, AND AFFECT ARE FUNDAMENTAL ASSETS OF CONTEMPORARY POLITICAL ECONOMY. IMAGES ARE NOT JUST SIMULACRA OF REALITY, BUT HAVE A MATERIAL REALITY; THEY ARE THINGS AMONG THINGS. THE TRADITION OF THOUGHT KNOWN AS POST-OPERAISM HAS TAUGHT US TO RESIST THE POSTMODERN DISTINCTION BETWEEN THE VIRTUAL AND THE REAL IN FAVOUR OF AN UNDERSTANDING OF REALITY AS PRODUCTION, IN WHICH WHAT EXISTS AS INFORMATION AND KNOWLEDGE, AS WELL AS PHYSICAL OBJECTS, ARE PART OF THE SAME FIELD OF AFFECTIVE RELATIONSHIPS. 18. PIER VITTORIO AURELI, “MANET: IMAGES FOR A WORLD WITHOUT PEOPLE”, IN THE CITY AS A PROJECT. THECITYASAPROJECT.ORG/2012/09/ MANET-IMAGES-FOR-A-WORLD-WITHOUT-PEOPLE/, ACCESSED MARCH 15, 2014. ×


CONTINGENZE CHE COSA RIMANE, UNA VOLTA DEPOSTA L’IDENTITÀ? LA GENERICITÀ? NELLA MISURA IN CUI L’IDENTITÀ DERIVA DALLA SOSTANZA FISICA, DALLA STORIA, DAL CONTESTO, DAL REALE, NON RIUSCIAMO A IMMAGINARE CHE QUALCOSA DI CONTEMPORANEO (FATTO DA NOI) POSSA CONTRIBUIRE A COSTRUIRLA. MA IL FATTO CHE LA CRESCITA DELL’UMANITÀ SIA ESPONENZIALE IMPLICA CHE IL PASSATO A UN CERTO PUNTO DIVENTI TROPPO PICCOLO PER ESSERE ABITATO E CONDIVISO DA CHI È VIVO. NOI STESSI LO ESAURIAMO. […] L’IDENTITÀ È UNA TRAPPOLA IN CUI UN NUMERO SEMPRE MAGGIORE DI TOPI DEVE DIVIDERSI L’ESCA ORIGINARIA E CHE, OSSERVATA DA VICINO, FORSE È VUOTA DA SECOLI. 19. REM KOOLHAAS, JUNKSPACE (MACERATA: QUODLIBET, 2006), 27. × CONTINUITIES NOT THE CONTINUITY OF THE PLANNED, EFFICIENT, AND LEGITIMIZED CITY, BUT OF THE FLOWS, THE ENERGIES, THE RHYTHMS ESTABLISHED BY THE PASSING OF TIME AND THE LOSS OF LIMITS […]. WE SHOULD TREAT THE RESIDUAL CITY WITH A CONTRADICTORY COMPLICITY THAT WILL NOT SHATTER THE ELEMENTS THAT MAINTAIN ITS CONTINUITY IN TIME AND SPACE. 20. IGNASI DE SOLA-MORALES, “ARQUITECTURA LÍQUIDA”, IN REVISTA DE CRITICA ARQUITECTÒNICA N°5 (2001), 24. × COUNTERCULTURES THE NUMBER OF COUNTERCULTURES HAS GROWN IMMENSELY, BUT IT ISN’T UNUSUAL TO BE PART OF SEVERAL AND TO FORM YOUR IDENTITY FROM AN UNIQUE BLEND OF THE COUNTERCULTURES AND SUBCULTURES YOU CHOOSE TO BE PART OF. […]. WE ARGUE THAT COUNTERCULTURE TODAY IS A GENERAL STATE, A BASIC CONDITION ON THE GLOBAL MARKET. HOWEVER, IN DOING SO, WE DEFINE COUNTERCULTURE, AND JUST BY DOING SO WE GIVE RISE TO A NEW COUNTERCULTURAL AGENDA. BY ITS VERY NATURE, COUNTERCULTURE IS NOT A STATIC ENTITY, BUT A COUNTER-REACTION TO THE ESTABLISHMENT. JUST AS MANY PAST COUNTERCULTURES HAVE BECOME MAINSTREAM IN MORE OR LESS WATEREDDOWN VERSIONS, WE MUST EXPECT THE

SAME TO HAPPEN TO MANY OF TODAY’S AND TOMORROW’S COUNTERCULTURES. 21. KLAUS AE. MOGENSEN AND KATRINE K. PEDERSEN, “COUNTERCULTURES OF THE FUTURE”, IN SCENARIO MAGAZINE N°5 (2011), ACCESSED FEBRUARY 28, 2014. × CRADLE TO CRADLE L’ABBANDONO È SPESSO UN FATTO POSITIVO, UNA FUGA DAL MALE O VERSO MIGLIORI OCCASIONI, E LO STATO DI SOSPENSIONE POSSIEDE UN’UTILITÀ FUTURA E TALVOLTA ATTUALE. SI POTREBBE SUDDIVIDERE IN STADI, RITUALIZZARE, ACCELERARE, SOSTENERE PIÙ FACILMENTE L’INCERTO E DOLOROSO PROCESSO DI ABBANDONO? SI POTREBBE DICHIARARE LA BANCAROTTA DEGLI SPAZI ESENTI DA TASSE, PRIVI DI VALORE, CON PERDITE DERUBRICATE? LA LUNGA ATTESA DEL RIUSO NON SAREBBE PIÙ, ALLORA, UN TRAVAGLIO, E DURANTE QUEL TEMPO LO SPAZIO POTREBBE OSPITARE, SENZA VERGOGNA, QUELLE ATTIVITÀ EFFIMERE, MARGINALI, RESIDUE PER CUI GLI SCARTI SONO COSÌ BEN ADATTI. 22. KEVIN LYNCH, DEPERIRE. RIFIUTI E SPRECO NELLA VITA DI UOMINI E CITTÀ (NAPOLI: CUEN, 1992), 234. × CULTURAL FLOW MEDIA DAY NEVER ENDS, IT HAS NEITHER BEGINNING NOR END. CAN YOU IMAGINE THIS FLOWS THAT COVERS THE GLOBE, NOT EXCLUDING THE OCEANS AND DESERTS? IS IT IMMOBILE? IT HAS A MEANING: TIME […]. THE IMPORTANT: THAT TIME IS, OR APPEARS, OCCUPIED BY EMPTY WORDS, BY MUTE IMAGES, BY THE PRESENT WITHOUT PRESENCE. 23. HENRI LEFEBVRE, RHYTHMANALYSIS. SPACE, TIME AND EVERYDAY LIFE (LONDON: CONTINUUM, 2004), 46. × CURATORIAL PRACTICE THIS CATALOGUE OF 67 STRUCTURES IS PRESENTED TO THE CITY AND TO THE CITIZENS OF BERLIN. ONE POSSIBILITY IS THAT ALL 67 STRUCTURES CAN BE BUILT OVER TWO 30-YEAR PERIODS, THE OTHER POSSIBILITY IS THAT NONE OF THE STRUCTURES IS BUILT. A THIRD POSSIBILITY BEING THAT SOME STRUCTURES ARE BUILT. THE DECISION


LIES WITH THE CITY AND CITIZENS OF BERLIN. EACH STRUCTURE HAS BEEN NAMED. 24. INTRODUCTION TO JOHN HEJDUK, VICTIMS (LONDON: ARCHITECTURAL ASSOCIATION, 1986), I. × CUT-UP VOLEVAMO AVERE MOLTE FONTI E COLLABORATORI CHE SCRIVESSERO CONTRIBUTI, COME IN OGNI ALTRO PERIODICO. E L’IDEA DI CHIEDERE A PERSONE DIVERSE DI INVIARCI LE PAGINE DIRETTAMENTE FU IL MODO PIÙ FACILE DI CREARE QUALCOSA CHE ASSOMIGLIASSE ALLA STRUTTURA DI UN PERIODICO, E TUTTAVIA RIDUCESSE TUTTI I COSTI. DUNQUE FIN DALL’INIZIO DESIDERAVAMO CHE “PERMANENT FOOD” FOSSE UN GIORNALE DI SECONDA GENERAZIONE, QUALCOSA CHE CRESCESSE ATTINGENDO DA CIÒ CHE ERA GIÀ PRESENTE. E IO VOLEVO AVERE ANCHE UN GIORNALE SENZA PERSONALITÀ: PERTANTO QUANTE PIÙ PERSONALITÀ ERANO COINVOLTE, TANTO MENO IL GIORNALE AVREBBE DATO L’IMPRESSIONE DI ESSERE IL PRODOTTO DI UN SINGOLO AUTORE. QUINDI L’EVOLUZIONE DI “PERMANENT”, L’EVOLUZIONE PERMANENTE, È STATA DETTATA SEMPRE PIÙ DALLA MIA DIPENDENZA DALLE IMMAGINI. 25. MAURIZIO CATTELAN, IN INTERVISTE VOLUME 1, ED. HANS ULRICH OBRIST (MILANO: CHARTA, 2003), 152. × DÉRIVE THAT WE HAVE BEEN UNABLE TO CATCH THE MOOD OF OUR TIMES, UNABLE TO TAKE ADVANTAGE OF THESE NEWLY PERFECTED MEANS, IS MOSTLY BECAUSE WE OURSELVES ARE NOT SURE WHERE WE WANT TO WALK AND WHERE TO RIDE IN OUR BOUNCY NEW CLOTHES AND IN OUR SHINY NEW CARS. 26. ALISON+PETER SMITHSON, “WHERE TO WALK AND WHERE TO RIDE IN OUR BOUNCY NEW CLOTHES AND OUR SHINY NEW CARS” (1967), IN THE EMERGENCE OF TEAM 10 OUT OF CIAM, ED. ALISON SMITHSON (LONDON: ARCHITECTURAL ASSOCIATION, 1982), 88-91. × DÉTOURNEMENT SOPRATTUTTO, DA CHATEAUBRIAND A FLAUBERT, IL VIAGGIO ERA OCCASIONE E PRETESTO DI UN’OPERA,

DI UN’ESPERIENZA DI SÉ FAVORITA DA UNO SPAESAMENTO, IL CUI RISULTATO (ROMANZO, DIARIO) ERA IL FRUTTO DI UN DUPLICE SPOSTAMENTO: SPOSTAMENTO NELLO SPAZIO […] E SPOSTAMENTO ALL’INTERNO DEL PROPRIO IO. SOTTO QUEST’ULTIMO ASPETTO, IL VIAGGIO E L’OPERA ERANO IDENTICI: CHI FACEVA IL VIAGGIO O SCRIVEVA L’OPERA NON ER PIÙ, O PENSAVA DI NON ESSERE PIÙ, LA STESSA PERSONA DI PRIMA. QUESTO SOGNO INDIVIDUALE, DI UNA SCOPERTA O DI UNA COSTRUZIONE DI SÉ PER MEZZO DEL VIAGGIO, OGGI PROBABILMENTE NON È AFFATTO ASSENTE NELL’IMMAGINAZIONE DI COLORO CHE VOGLIONO ADDENTRARSI NEL DESERTO, PERCORRERE LA CATENA DELL’HIMALAYA O AFFRONTARE ALTRE SFIDE FISICHE. 27. MARC AUGÉ, ROVINE E MACERIE. IL SENSO DEL TEMPO (TORINO: BOLLATI BORINGHIERI, 2004), 61. × DESIDERIO CHE SI SPOSTI FINO ALLE PERIFERIE DELLA CITTÀ IN CUI ABITA O PERCORRA IL MONDO, OGGI PIÙ CHE MAI L’ETNOLOGO DEVE MUOVERSI, FISICAMENTE E INTELLETTUALMENTE, E ACCERTARSI CHE IL SUO SGUARDO RESISTA ALLE FALSE TRASPARENZE DELLE EVIDENZE ILLUSORIE. FORSE È SOLTANTO UN TESTIMONE DEL PIANETA. MA SE RESTA FEDELE ALLA SUA VOCAZIONE PUÒ RIUSCIRE A COMPRENDERE QUALCOSA DEI CAMBIAMENTI CHE STANNO TRASFORMANDO IL MONDO, CONTINUANDO SEMPRE A INTERROGARSI SULLE RAGIONI CHE, COME STUDIOSO, LO SPINGONO A MUOVERSI. PERCHÉ LA SUA VOCAZIONE È L’INSTABILITÀ. 28. MARC AUGÉ, FUTURO (TORINO: BOLLATI BORINGHIERI EDITORE, 2012), 129. × DOGMATIC REUSE IS A POLITICAL ACT. 29. MAARTEN GIELEN, “ON PRE-EXISTING CONDITIONS”, CONFERENZA TENUTA AL POLITECNICO DI MILANO (OTTOBRE 24, 2013). × EFFLUVIO MAGNETICO IN A LUDIC SOCIETY, URBAN PLANNING WILL AUTOMATICALLY HAVE THE ATTRIBUTES OF A DYNAMIC LABYRINTH. THE CONTINUAL CREATION AND RE-CREATION OF MODES OF


BEHAVIOUR REQUIRES THE ENDLESS CONSTRUCTION AND RECONSTRUCTION OF THEIR SETTING. THIS, THEN, IS UNIFIED URBANISM […]. A DYNAMIC LABYRINTH CANNOT BE DESIGNED, IT CANNOT ORIGINATE IN THE MIND OF A SINGLE INDIVIDUAL. IT ARISES IN THE FIRST INSTANCE AS A NON-STOP PROCESS THAT CAN BE INITIATED AND MAINTAINED BY THE SIMULTANEOUS ACTIVITY OF A GREAT MANY INDIVIDUALS. 30. WITTE DE WITH AND MARK WIGLEY, CONSTANT’S NEW BABYLON: THE HYPER-ARCHITECTURE OF DESIRE (ROTTERDAM: CENTER FOR CONTEMPORARY ART/010 PUBLISHERS, 1998), 32. × EMOTIONAL RESCUE IT’S AN INSANE WORLD, AND I’M PROUD TO BE PART OF IT. 31. BILL HICKS, “RELENTLESS”, IN JUST FOR LAUGHS COMEDY FESTIVAL, CENTAUR THEATRE, MONTREAL (1991). ×

WITH SELF-REPRODUCIBILITY, BUT IT IS ALSO (LOGICALLY) REQUIRED FOR EVOLUTION. ERRORS OF COPYING PROVIDE THE MAIN SOURCE OF NEW INFORMATION. 33. MANFRED EIGEN, “THE HYPERCYCLE. A PRINCIPLE OF NATURAL SELF-ORGANIZATION”, IN DIE NATURWISSENSCHAFTEN N°64 (1977), 541. × FABRICATION TIME IS RHYTHM. 34. VLADIMIR NABOKOV, ADA OR ARDOR. A FAMILY CHRONICLE (NEW YORK: MC GRAW HILL, 1969), 82. × FACTS, FETISHES, FACTISHES SPEED OF MODERNIZATION AND THE UNPREDICTABILITY INHERENT IN THE PROCESS MAKES IT VERY DIFFICULT TO ESTABLISH REALITY FOR SUCH A SLOW MOVING MEDIUM AS BUILDING. 35. BERNARD LEUPEN, INTRODUCTION TO TIME-BASED ARCHITECTURE, ED.BERNARD LEUPEN, RENÉ HEIJNE, AND JASPER VAN ZWOL (ROTTERDAM: 010 PUBLISHERS, 2005), II. ×

EURISTIC PATTERN EQUALLY, THE LO-FI ARCHITECTURE DOES NOT DEDICATE ATTENTION TO PROCESS OF FIGURATION, LEAVING NECESSITY TO SUSPEND ATTENTIONS TO FORM, BECAUSE IT IS TOO INVOLVED WITH DEFINING OTHER NECESSITIES, OTHER HIGHLY SELECTED INTERESTS, WHICH ALSO HELP TO PREVENTATIVELY RESOLVE FORMAL ISSUES RELATED TO OTHER DREAMS, TO OTHER CONFLICTS. 32. MARIO LUPANO, LUCA EMANUELI, MARCO NAVARRA, LO-FI. ARCHITECTURE AS CURATORIAL PRACTICE (VENEZIA: MARSILIO EDITORI, 2010), 7. × EVOLUTION 1) METABOLISM. THE ABILITY OF THE SYSTEM TO UTILIZE THE FREE ENERGY AND THE MATTER REQUIRED FOR THIS PURPOSE IS CALLED METABOLISM. 2) SELF-REPRODUCTION. THE COMPETING MOLECULAR STRUCTURES MUST HAVE THE INHERENT ABILITY OF INSTRUCTING THEIR OWN SYNTHESIS. FURTHERMORE, SELFCOPYING IS INDISPENSABLE FOR THE CONSERVATION OF INFORMATION THUS FAR ACCUMULATED IN THE SYSTEM. 3) MUTABILITY. HENCE MUTABILITY IS ALWAYS PHYSICALLY ASSOCIATED

FANTASMAGORIA UNA SOLA AVVENTURA CI SEMBRA DEGNA DI CONSIDERAZIONE: LA MESSA A PUNTO DI UN DIVERTIMENTO INTEGRALE. 36. AA. VV. POTLATCH N°7, BOLLETTINO DELL’INTERNAZIONALE LETTERISTICA (TORINO: NAUTILUS, 1954-57), 140. × FICTIF J’AIMERAIS QU’IL EXISTE DES LIEUX STABLES, IMMOBILES, INTANGIBLES, INTOUCHÉS ET PRESQUE INTOUCHABLES; DES LIEUX QUI SERAIENT DES RÉFÉRENCES, DES SOURCES : MON PAYS NATAL, LE BERCEAU DE MA FAMILLE, LA MAISON OÙ JE SERAIS NÉ, L’ARBRE QUE J’AURAI VU GRANDIR (QUE MON PÈRE AURAIT PLANTÉ LE JOUR DE MA NAISSANCE), LE GRENIER DE MON ENFANCE EMPLI DE SOUVENIRS INTACTS... DE TELS LIEUX N’EXISTENT PAS, ET C’EST PARCE QU’ILS N’EXISTENT PAS QUE L’ESPACE DEVIENT QUESTION: IL ME FAUT SANS CESSE LE MARQUER, LE DÉSIGNER ; IL N’EST JAMAIS À MOI, IL NE M’EST JAMAIS DONNÉ, IL FAUT QUE J’EN FASSE LA CONQUÊTE. 37. GEORGES PEREC, ESPÈCES D’ESPACES (PARIS: ÉDITIONS GALILÉE, 1974), 122.


× FLANEUR QUI LA STRUTTURA È PRIMA DI TUTTO L’ORGANIZZAZIONE DELLE CONDIZIONI DI POSSIBILITÀ DEI FENOMENI, MA SI SCOPRE IMMEDIATAMENTE, PROPRIO ALLO STESSO TEMPO, COME LA FORMA SCIENTIFICA DELLA DESCRIZIONE DEGLI STESSI, LA FORMA CONTROLLATA, TRAMITE INTERDEFINIZIONE, DI QUELLA PRATICA NECESSARIA E PER QUESTO UNIVERSALE CHE CONSISTE NEL PARAFRASARE, RIDIRE, TRASFORMARE IL SENSO DATO IN NUOVO SENSO, IN NUOVA SIGNIFICAZIONE. 38. FRANCESCO MARSCIANI, IMMANENZA SEMIOTICA E OPZIONE FORMALE, ACADEMIA. EDU (2003). WWW.ACADEMIA.EDU/6354448/ IMMANENZA_SEMIOTICA_E_OPZIONE_FORMALE, ACCESSED APRIL 3, 2014. × FLUX DEBATES AND INTERVENTIONS ON URBAN SUSTAINABILITY HAVE BEEN HEAVILY INFLUENCED BY CONCEPTS IN ECOLOGY AND BIOLOGICAL SCIENCES. ONE SUCH CONCEPT IS THAT OF “URBAN METABOLISM”, WHICH REFERS TO THE METABOLIC PROCESSES BY WHICH CITIES TRANSFORM RAW MATERIALS, ENERGY AND WATER INTO THE BUILT ENVIRONMENT, HUMAN BIOMASS AND WASTE. THE ADOPTION OF THIS CONCEPT HAS FOSTERED NEW IMAGINATIONS OF WHAT THE CITY IS AND HOW MATERIAL AND IMMATERIAL FLOWS THROUGH INFRASTRUCTURE, THROUGH DIFFERENT ECONOMIES MEDIATE THE PRODUCTION AND REPRODUCTION OF THE CITY, BOTH AS A BIOPHYSICAL AND SOCIO-ECONOMIC ENTITY. THE CONCEPT HAS BEEN INFLUENTIAL ACROSS A RANGE OF DISCIPLINES LINKING URBAN STUDIES WITH FIELDS AS DIVERSE AS ENGINEERING, HUMAN GEOGRAPHY, ECONOMICS AND DEVELOPMENT STUDIES. 39. VANESA CASTÁN BROTO, ADRIANA ALLEN AND ANDREAS ERIKSSON, “URBAN METABOLISM AT UCL – A WORKING PAPER”, IN UCL ENVIRONMENT INSTITUTE DEVELOPMENT AND PLANNING UNIT (2011). WWW.BARTLETT.UCL.AC.UK/DPU/URBAN-METABOLISM/PROJECT-OUTPUTS/URBAN_METABOLIM_REPORT.PDF, ACCESSED MARCH 15, 2014. ×

FOBIE IL VESTITO È STATO CERTAMENTE UNO DEI TRAMITI PIÙ FORTI DELLA COLONIZZAZIONE, MA SPESSO SCAMBIAMO PER DEVASTAZIONE CULTURALE SEGNI DELLA CAPACITÀ DI CERTE CULTURE DI FAR PROPRI E DIGERIRE ELEMENTI DI ALTRE. 40. FRANCO LA CECLA, “MESCOLANZE DI STRADA”, IN RASSEGNA N°73 (1998), 71-84. × FUNZIONALISMO DEBOLE PERCIÒ IL DIMENSIONAMENTO DI UN TAVOLO È MOLTO IMPORTANTE; NON, COME PENSAVANO I FUNZIONALISTI, PER ASSOLVERE UNA DETERMINATA FUNZIONE MA PER PERMETTERE PIÙ FUNZIONI. INFINE PER PERMETTERE TUTTO CIÒ CHE NELLA VITA È IMPREVEDIBILE. NEI MIEI ULTIMI PROGETTI CERCO SOLO DI PORRE DELLE COSTRUZIONI CHE PER COSÌ DIRE FAVORISCANO UN EVENTO. 41. ALDO ROSSI, AUTOBIOGRAFIA SCIENTIFICA (MILANO: IL SAGGIATORE, 2009), 75. × GENEALOGIA COLLETTIVA “DIMENTICANDO” IL LAVORO COLLETTIVO IN CUI SI INSCRIVE E ISOLANDO DALLA SUA GENESI STORICA L’OGGETTO DEL SUO DISCORSO, UN «AUTORE» FINISCE COL NEGARE LA SUA SITUAZIONE REALE. CREA LA FINZIONE DI UN LUOGO PROPRIO. MALGRADO LE IDEOLOGIE CONTRARIE CUI PUÒ ACCOMPAGNARSI, L’OBLITERAZIONE DEL RAPPORTO SOGGETTO-OGGETTO O DISCORSOOGGETTO È UN’ASTRAZIONE CHE GENERA L’ILLUSIONE DELL’«AUTORE». CANCELLA LE TRACCE DELL’APPARTENENZA DI UNA RICERCA A UNA RETE – TRACCE CHE COMPROMETTONO SEMPRE, IN EFFETTI, I DIRITTI DI D’AUTORE. MASCHERA LE CONDIZIONI DI PRODUZIONE DEL DISCORSO E DEL SUO OGGETTO. E A QUESTA GENEALOGIA NEGATA, SI SOSTITUISCE LA FINZIONE CHE COMBINA UN SIMULACRO DELL’OGGETTO CON UN SIMULACRO DELL’AUTORE. 42. MICHEL DE CERTEAU, L’INVENZIONE DEL QUOTIDIANO (ROMA: EDIZIONI LAVORO, 2001) 63-79. × GROTESQUE MOLTO PIÙ IMPORTANTE È SVELARE, ALMENO PARZIALMENTE, IL MECCANISMO CHE HA COSTRUITO L’ALLESTIMENTO. IN QUANTO OPERA DI POSTPRODUZIONE SU MATERIE ESISTENTI,


IN SÉ COMPLETE, L’INSTALLAZIONE NON NECESSITA DI EFFETTI SPECIALI, MA BENSÌ DI EFFETTI MAGICI. LA COSTRUZIONE DI UN MONDO ALTERNATIVO NON NEGA LA POSSIBILITÀ DI SBIRCIARE DIETRO AL VELO CHE LO RIVESTE, PER SCOPRIRE IL TRUCCO. E’QUELLO CHE AVVIENE NEL RAPPORTO FRA SPETTATORE E MAGO. FRA I DUE ESISTE UNA TACITA INTESA: IL MAGO COSTRUISCE UN EFFETTO AMMETTENDO L’ESISTENZA DI UN TRUCCO, LO SPETTATORE È PIENAMENTE CONSAPEVOLE DEL TRUCCO, MA PERMETTE ALLA SUA MENTE DI LASCIARSI TRASPORTARE DALLA MAGIA. 43. ITALO ROTA, COSMOLOGIA PORTATILE (MACERATA: QUODLIBET, 2012), 80. × HABITAT TRACE OF SOMETHING THAT HAS OCCURRED AND THE ANTICIPATION OF SOMETHING THAT IS ABOUT TO HAPPEN. 44. LIBERO ANDREOTTI, XAVIER COSTA, SITUATIONISTS ART POLITICS URBANISM (BARCELLONA: ACTAR, 1996), 59. × HUMAN CAPITAL NATURE IS THE BASIS, MAN IS THE GOAL. 45. JOHN MC CORMICK, GEORGE SANTAYANA A BIOGRAPHY (NEW YORK: ALFRED A. KNOPF, 1987) 127. × IDEOLOGICAL APPARATUS OUR OBSESSION WITH HERITAGE IS CREATING AN ARTIFICIAL RE-ENGINEERED VERSION OF OUR MEMORY. 46. REM KOOLHAAS, TWITTER (2011), ACCESSED FEBRUARY 12, 2014. × IMMAGINARIO COLLETTIVO SONO RIUSCITO A RACCOGLIERE IL MATERIALE PER UN ATLANTE DI IMMAGINI, NEL QUALE SI PUÒ VEDERE, PROPRIO GRAZIE ALLE IMMAGINI, LA DIFFUSIONE DELLA FUNZIONE DEL VALORE ESPRESSIVO IMPRONTATO ALL’ANTICO NELLA RAPPRESENTAZIONE DEI MOVIMENTI DELLA VITA ESTERIORE E INTERIORE. […] ALL’UOMO ARTISTA, CHE OSCILLA TRA LA VISIONE DEL MONDO MATEMATICA E QUELLA RELIGIOSA, IN MODO TUTTO PARTICOLARE VIENE IN SOC-

CORSO LA MEMORIA, SIA QUELLA DELLA PERSONALITÀ COLLETTIVA SIA QUELLA DELL’INDIVIDUO: NON SENZA CREARE UN ACCRESCIMENTO DI SPAZIO DEL PENSIERO, MA RAFFORZANDOLO -AI POLI LIMITE DEL COMPORTAMENTO PSICHICO- LA TENDENZA ALLA QUIETA CONTEMPLAZIONE O ALL’ABBANDONO ORGIASTICO. 47. ABY WARBURG, INTRODUCTION TO “ATLANTE DI MNEMOSYNE” (1929), IN MNEMOSYNE. L’ATLANTE DELLA MEMORIA DI ABY WARBURG, ED. ITALO SPINELLI E ROBERTO VENUTI (ROMA: 1988), I. × IMPROVVISAZIONE I FOUNDED A CLUB, WHICH IS CALLED THE BRUTALLY EARLY CLUB […]. THE REASON WHY I DECIDED TO DO MY CLUB AT 6.30AM IN DIFFERENT CAFÉS, WHICH ARE OPEN SO EARLY, IS BECAUSE IN 21ST-CENTURY CITIES IT’S BECOME VERY DIFFICULT TO IMPROVISE. EVERYBODY HAS A SCHEDULE AND IT BECOMES REALLY DIFFICULT TO DECIDE FROM ONE DAY TO THE NEXT TO GATHER FOR A MEETING. YOU HAVE TO PLAN IT WEEKS AND WEEKS IN ADVANCE. IT’S SO IMPORTANT TO HAVE IMPROVISATION IN CITIES. BUT MOST PEOPLE ARE FREE AT 6.30. 48. HANS ULRICH OBRIST, “THE Q&A: HANS ULRICH OBRIST, CURATOR”, IN INTELLIGENT LIFE (2011). MOREINTELLIGENTLIFE.COM/BLOG/ ROCCO-CASTORO/QA-HANS-ULRICH-OBRISTCURATOR, ACCESSED MARCH 15, 2014. × INTERFERENZE NECESSARIE SENZA QUALSIASI SISTEMA DI ORDINE COSTITUITO, ANCHE QUELLO FONDATO SUI PRINCIPI DELLA SOSTENIBILITÀ, SAREBBE SPAVENTOSAMENTE CHIUSO, COERCITIVO, E PRIVO DI VITA, MENTRE LA PRESENZA DELL’ANOMALIA (INTERFERENZA) NEI SISTEMI CO-EVOLUTIVI E LA CAPACITÀ DI QUESTI DI AUTO-ORGANIZZARSI ASSICURA LORO VITA E EVOLUZIONE. 49. VINCENZA FARINA, IN-BETWEEN E PAESAGGIO. CONDIZIONE E RISORSA DEL PROGETTO SOSTENIBILE (MILANO: FRANCO ANGELI, 2005), 16. × INTERHUMAN SPHERE INTERPRETO L’IDEA DI STAZIONE COME UNA BANCHINA DOVE


LE PERSONE SI RACCOLGONO IN UN CERTO MOMENTO, PRIMA DI RIPARTIRE PER DESTINAZIONI DIVERGENTI. LA STAZIONE È UN LUOGO DOVE, MENTRE SI ASPETTA O SI PASSA, SI PUÒ INTERAGIRE CON UN EVENTO LÌ ORGANIZZATO. E’ UN LUOGO DOVE CI SI RIPOSA ED ALLO STESSO TEMPO SI RACCOLGONO INFORMAZIONI [...]. ANCHE IL CHIOSCO MI FA VENIRE IN MENTE L’IDEA DELLA STAZIONE: PRIMA DI ANDARE, DEVI PRENDERE DEGLI OGGETTI. QUINDI STIAMO PARLANDO DI UN TIPO DI SPAZIO CHE SI STA PREPARANDO AL PAESAGGIO. 50. RIRKRIT TIRAVANIJA, IN INTERVISTE VOLUME 1, ED. HANS ULRICH OBRIST (MILANO: CHARTA, 2003), 911. × ISOTROPY AN INFINITE ISOTROPIC BODY OR NETWORK HAS NEITHER CENTRE NOR PERIPHERY. ISOTROPY IS OPPOSED TO HIERARCHY. […] BOTH HIERARCHY AND ISOTROPY TODAY FEATURE IN THE BROADEST RANGE OF DISCIPLINES, FROM ASTRONOMY TO PHYSICS, TO SOCIOLOGY AND ECONOMY, TO HISTORY AND THE TERRITORIAL SCIENCES. BOTH ARE IN FACT USED AS IMPORTANT CATEGORIES THAT DEPICT REALITY, IN THE WAY IT APPEARS TO OUR OBSERVATIONS, GIVING A RECOGNIZABLE ORDER WITH A STRONG OR AT LEAST IMPLICIT DESIGN INTENT […] RATHER THAN CONSIDERING THE ISOTROPIC FEATURE OF THE TERRITORY MERELY AS A PRODUCT OF HISTORY, A HERITAGE THAT SHOULD BE DEFENDED, IT SHOULD BE SEEN AND UNDERSTOOD AS A STRONG RATIONALITY; A RESOURCE AND AN INSPIRATION FOR CONTEMPORARY PROJECTS. 51. BERNARDO SECCHI E PAOLA VIGANO, “THE PROJECT OF ISOTROPY”, IN LANDSCAPES OF URBANISM, Q5–QUINTO QUADERNO DEL DOTTORATO IN URBANISTICA UNIVERSITA IUAV DI VENEZIA, ED. VIVIANA FERRARIO, ANGELO SAMPIERI, PAOLA VIGANO (ROMA: OFFICINA, 2011), 172. × LIMITE APERTO AGAINST THE PRESUMED OPEN-ENDED FORM OF THE CITY-TERRITORY PLANNING, THEN, ROSSI’S GROUP OPPOSED AN URBAN SPACE OF FINITE, JUXTAPOSED PARTS. THE IMITATION IMPLIED BY THE CIRCUMSCRIBED FORM OF THE URBAN ARTIFACT WAS SEEN AS THE

FOUNDATION OF THE ARCHITECTURE OF THE CITY. WITHIN THIS THEORETICAL POSITION, THE ARCHITECTURAL PROJECT WAS UNDERSTOOD AS AUTONOMOUS VIS-À-VIS THE CITY, YET NOT DETACHED FROM IT; ON THE CONTRARY, THE SINGULAR INTERVENTION HAD A CLEARLY ARTICULATED RELATIONSHIP TO THE OVERALL SOCIAL AND POLITICAL CONTEXT. 52. PIER VITTORIO AURELI, THE PROJECT OF AUTONOMY. POLITICS AND ARCHITECTURE WITHIN AND AGAINST CAPITALISM (NEW YORK: PRINCETON ARCHITECTURAL PRESS, 2010), 65. × LO-FI ARCHITECTURE …CONSIDERATIONS OF GRAVITY BECOME AS IMPORTANT AS THOSE OF SPACE. THE FOCUS ON MATTER AND GRAVITY AS MEANS RESULTS IN FORMS WHICH WERE NOT PROJECTED IN ADVANCE. CONSIDERATIONS OF ORDERING ARE NECESSARILY CASUAL AND IMPRECISE AND UNEMPHASISED. RANDOM PILING, LOOSE STACKING, HANGING, GIVE PASSING FORM TO THE MATERIAL. CHANCE IS ACCEPTED AND INDETERMINACY IS IMPLIED SINCE REPLACING WILL RESULT IN ANOTHER CONFIGURATION. DISENGAGEMENT WITH PRECONCEIVED ENDURING FORMS AND ORDERS FOR THINGS IS A POSITIVE ASSERTION. IT IS PART OF THE WORK’S REFUSAL TO CONTINUE AESTHETICIZING FORM BY DEALING WITH IT AS A PRESCRIBED END. 53. ROBERT MORRIS, “ANTI-FORM”, IN ARTFORUM (NEW YORK, APRILE 1968). × MACCHINA COMBINATORIA HO COMINCIATO CON I TAROCCHI DI MARSIGLIA, CERCANDO DI DISPORLI IN MODO CHE SI PRESENTASSERO COME SCENE SUCCESSIVE D’UN RACCONTO PITTOGRAFICO. QUANDO LE CARTE AFFIANCATE A CASO MI DAVANO UNA STORIA IN CUI RICONOSCEVO UN SENSO, MI METTEVO A SCRIVERLA; ACCUMULAI COSÌ PARECCHIO MATERIALE; POSSO DIRE CHE GRAN PARTE DELLA TAVERNA DEI DESTINI INCROCIATI È STATA SCRITTA IN QUESTA FASE; MA NON RIUSCIVO A DISPORRE LE CARTE IN UN ORDINE CHE CONTENESSE E COMANDASSE LA PLURALITÀ DEI RACCONTI; CAMBIAVO CONTINUAMENTE LE REGOLE DEL GIOCO, LA STRUTTURA GENERALE, LE SOLUZIONI NARRATIVE.


54. INTRODUCTION TO ITALO CALVINO, IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI (TORINO: EINAUDI, 1973), IV. × MANIPULATION SIAMO ORA CONSAPEVOLI DELLA POSSIBILITÀ DI ALLESTIRE L’INTERO AMBIENTE UMANO COME UN’OPERA D’ARTE, COME UNA MACCHINA DI INSEGNAMENTO DISEGNATA PER MASSIMIZZARE LA PERCEZIONE E PER RENDERE L’APPRENDIMENTO DI OGNI GIORNO UNA SCOPERTA. L’APPLICAZIONE DI QUESTA CONOSCENZA POTREBBE ESSERE L’EQUIVALENTE DI UN TERMOSTATO CHE CONTROLLA LA TEMPERATURA DI UNA STANZA. SEMBREREBBE RAGIONEVOLE ESTENDERE QUESTO CONTROLLO A TUTTE LE SOGLIE SENSORIALI DEL NOSTRO ESSERE. NON ABBIAMO NESSUNA RAGIONE DI ESSERE GRATI A COLORO CHE RIMESCOLANO QUESTE SOGLIE NEL NOME DI UNA CONFUSA INNOVAZIONE. 55. MARSHALL MCLUHAN, QUENTIN FIORE, IL MEDIUM È IL MASSAGGIO (MANTOVA: CORRAINI, 2011), 68. × MEDIA SPACE IS ARGUABLY THE LAST REMAINING FORM OF PUBLIC ACTIVITY. THROUGH A BATTERY OF INCREASINGLY PREDATORY FORMS, SHOPPING HAS BEEN ABLE TO COLONIZE –EVEN REPLACE– ALMOST EVERY ASPECT OF URBAN LIFE. HISTORICAL TOWN CENTERS, SUBURBS, STREETS, AND NOW TRAIN STATIONS, MUSEUMS, HOSPITALS, SCHOOLS, THE INTERNET, AND EVEN THE MILITARY, ARE INCREASINGLY SHAPED BY THE MECHANISMS AND SPACES OF SHOPPING. […] SHOPPING IS EXPANDING, NOW, BY LEARNING MORE ABOUT US. UNLIKE OTHER MOSTLY STATIC PROGRAMS, THE TRANSFORMATIONS OF SHOPPING ARE ENDLESS. 56. REM KOOLHAAS, “SHOPPING”, IN MUTATIONS, ED. REM KOOLHAAS AND HARVARD PROJECT ON THE CITY (BARCELLONA: ACTAR, 2000), 125. × MERZBAU COME DICONO I FILOSOFI, NOI OGGI VIVIAMO IN UN MONDO CHE NON HA PIÙ UN ESTERNO, NÉ POLITICO NÉ GEOGRAFICO (MA SOLTANTO RELIGIOSO);

UN MONDO GLOBALIZZATO MA COSTITUITO DALLA SOMMA DI TANTE CRISI LOCALI; UN MONDO INFINITO MA NON DEFINITO, MONOLOGICO MA NON OMOGENEO; SOMMA DI INFINITE IMMAGINI MA PRIVO DI UN’IMMAGINE GLOBALE. UN MONDO COSTITUITO DA TANTI MONDI: OPACO, INQUINATO, DOVE TUTTO SI FONDE E SI ESPANDE... 57. ANDREA BRANZI, UNA GENERAZIONE ESAGERATA. DAI RADICALI ITALIANI ALLA CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE (MILANO: BALDINI&CASTOLDI, 2014), 178. × METABOLISMO IN UNO DEI MIEI VIAGGI IN INDIA SONO STATO A CASA DI FRANCESCO CLEMENTE E CI SONO RIMASTO UN MESE; ANCHE LÌ HO IMPARATO UN SACCO DI COSE. PER ESEMPIO, QUEST’IDEA DI ACCETTARE COME DESTINO LA CORRUZIONE DELLE COSE, LA LORO DISTRUZIONE, L’HO IMPARATA IN INDIA, PERCHÉ AGLI INDIANI NON IMPORTA NIENTE SE LE COSE SI CONSUMANO. HANNO UN’IDEA MOLTO PIÙ “TENERA” DELLA VITA. LA VITA SI DISTRUGGE, SI DIVENTA VECCHI E SI MUORE, I MARMI SI CONSUMANO, LE STRADE CAMBIANO: SI TRATTA DI UN CONCETTO CHE LA CULTURA OCCIDENTALE CERCA DI EVITARE. SI RIDIPINGONO LE CASE, SI RIPARANO GLI OGGETTI, TUTTO DEVE SEMBRARE SEMPRE NUOVO, TUTTO DEVE ESSERE SOTTO CONTROLLO. QUESTA SPECIE DI SOUPLESSE CHE HANNO GLI INDIANI, IL FATTO CHE DA LORO TALI PROBLEMI NON ESISTANO, MI SEMBRA MOLTO BELLO. 58. ETTORE SOTTSASS, IN INTERVISTE VOLUME 1, ED. HANS ULRICH OBRIST (MILANO: CHARTA, 2003), 881. × METAMORFOSI URBANE SI LAVORA IN CASA, SI ABITA IN UFFICIO, SI COMMERCIA NELLE ABITAZIONI, SI STUDIA NELLE FABBRICHE, SI ORGANIZZANO SERVIZI NEI MAGAZZINI, SI FANNO MUSEI NEI GASOMETRI: QUESTA RIVOLUZIONE NON PRODUCE FENOMENI VISTOSI DAL PUNTO DI VISTA DEL PAESAGGIO URBANO, MA CORRISPONDE A PROCESSI TETTONICI PROFONDI, A CONTINUI SPOSTAMENTI E BRADISISMI INTERNI ALL’INTERO MOTORE DELLA CITTÀ. 59. ANDREA BRANZI, “L’ALLESTIMENTO COME METAFORA DI UNA NUOVA MODERNITÀ”, IN LOTUS N°115 (2002), 96-101.


× MITOLOGIA UN’ALTRA TENTAZIONE CHE FA CAPOLINO QUI E LÀ È QUELLA DI POLARIZZARE FORTEMENTE LA COMUNICAZIONE UMANA, FACENDO DEL LINGUAGGIO ARTICOLATO, DEL DISCORSO, LO STRUMENTO DELL’INTELLETTO, DELLA RAGIONE ARGOMENTATIVA E ASTRATTA, E AL CONTRARIO DELL’IMMAGINE IL VEICOLO NATURALE DEGLI AFFETTI, DEI MITI E DEL PATETICO, IN BREVE DEL “SENTIMENTO”. QUESTA ANTITESI PERMETTE DI ARRIVARE ALLA CONCLUSIONE CHE È IN CORSO UNA REGRESSIONE DELL’UMANITÀ VERSO L’IRRAZIONALE (O L’INFANZIA), REGRESSIONE CHE È POSSIBILE, IN EXTREMIS, CAMBIARE DI SEGNO, FACENDO DELL’IMMAGINE UNA COMUNICAZIONE PRIVILEGIATA CON IL SACRO. ORA, ALLO STATO ATTUALE DELLE ANALISI, QUESTA RIPARTIZIONE DI “RUOLI” FRA L’IMMAGINE E LA PAROLA È ASSOLUTAMENTE ARBITRARIA. DA UNA PARTE, IL POTERE “AFFETTIVO” DELL’IMMAGINE È ANCORA SCONOSCIUTO; CIÒ VUOL DIRE CHE, SINO A NUOVO ORDINE, ESSO PUÒ E DEVE ESSERE MESSO IN QUESTIONE. L’AFFETTIVITÀ DELL’IMMAGINE RESTA UN MITO DI CUI SI INTRAVEDE FACILMENTE IL PROFITTO: POSTULANDO QUESTA ATTIVITÀ SENZA MAI METTERE IN DUBBIO, SI STABILISCONO E TRIONFANO LE CENSURE: METTERE IN CAUSA LA NATURA AFFETTIVA DELL’IMMAGINE SIGNIFICHEREBBE METTERE IN CAUSA LA CENSURA STESSA; E SI CAPISCE BENE COME LA SOCIETÀ ESITI A DISCUTERE GLI “EFFETTI” DELL’IMMAGINE: NE HA BISOGNO. 60. ROLAND BARTHES, ELEMENTI DI SEMIOLOGIA (TORINO: EINAUDI, 1964), 102-103. × MUTAZIONE L’IPERCICLO METABOLICO PUÒ ESSERE UTILE PER SPIEGARE L’EQUILIBRIO TRA I PROCESSI DI CRESCITA E DECADIMENTO NON SOLTANTO A LIVELLO DELLE MOLECOLE E DELLE CELLULE, MA ANCHE A LIVELLO DEGLI ORGANISMI COMPLESSI, DELLE POPOLAZIONI E DEGLI ECOSISTEMI. SULLA BASE DEL MODELLO PROPOSTO L’EVOLUZIONE BIOLOGICA NON È PRODOTTA SOLTANTO DAI PROCESSI CASUALI DI MUTAZIONE E SELEZIONE DIRETTI DALL’AMBIENTE MA ANCHE DAI PROCESSI “INTELLIGENTI” E “LAMARCKIANI” DI MU-

TAZIONE E SELEZIONE ENDOGENA CHE IN SITUAZIONI STRESSANTI PERMETTONO UN RAPIDO ADATTAMENTO ALLE VARIAZIONI AMBIENTALI. 61. GIUSEPPE DAMIANI, “IL RITMO DELLA VITA: L’IPERCICLO METABOLICO”, IN SYSTEMA NATURAE VOL.4 (2002), 279-320. × NARRATIVE ARCHITECTURE LA TRADIZIONE LETTERARIA E ARTISTICA DELL’UMANITÀ DOVREBBERO ESSERE UTILIZZATE AI FINI DELLA PROPAGANDA PARTIGIANA. […] OGNI ELEMENTO, NON IMPORTA LA PROVENIENZA, PUÒ SERVIRE A CREARE NUOVE COMBINAZIONI. […] TUTTO PUÒ SERVIRE. NON C’È BISOGNO DI DIRE CHE SI PUÒ NON SOLTANTO CORREGGERE UN OPERA O INTEGRARE FRAMMENTI DIVERSI DI VECCHIE OPERE IN UNA NUOVA; SI PUÒ ANCHE ALTERARE IL SENSO DI QUESTI FRAMMENTI E MODIFICARE A PIACIMENTO CIÒ CHE GLI IMBECILLI SI OSTINANO A DEFINIRE CITAZIONI. 62. GUY-ERNEST DEBORD, GIL J. WOLMAN, “MODE D’EMPLOI DU DÉTOURNEMENT”, LES LÈVRES NUES N°8 (1956). × NATURE LE TIERS-PAYSAGE -FRAGMENT INDÉCIDÉ DU JARDIN PLANÉTAIRE- DÉSIGNE LA SOMME DES ESPACES OÙ L’HOMME ABANDONNE L’ÉVOLUTION DU PAYSAGE À LA SEULE NATURE. IL CONCERNE LES DÉLAISSÉS URBAINS OU RURAUX, LES ESPACES DE TRANSITION, LES FRICHES, MARAIS, LANDES, TOURBIÈRES, MAIS AUSSI LES BORDS DE ROUTE, RIVES, TALUS DE VOIES FERRÉES, ETC. COMPARÉ À L’ENSEMBLE DES TERRITOIRES SOUMIS À LA MAÎTRISE ET À L’EXPLOITATION DE L’HOMME, LE TIERS-PAYSAGE CONSTITUE L’ESPACE PRIVILÉGIÉ D’ACCUEIL DE LA DIVERSITÉ BIOLOGIQUE. LE NOMBRE D’ESPÈCES RECENSÉES DANS UN CHAMP, UNE CULTURE OU UNE FORÊT GÉRÉE EST FAIBLE EN COMPARAISON DU NOMBRE RECENSÉ DANS UN DÉLAISSÉ QUI LEUR EST ATTENANT. CONSIDÉRÉ SOUS CET ANGLE LE TIERS-PAYSAGE APPARAÎT COMME LE RÉSERVOIR GÉNÉTIQUE DE LA PLANÈTE, L’ESPACE DU FUTUR. 63. GILLES CLÉMENT, MANIFESTE DU TIERS PAYSAGE (PARIGI: ÉDITIONS SUJET/OBJET, 2004), 7.


× NEGOZIAZIONE PARCHI E OASI PROTETTI DALL’ANTROPOCENTRISMO, DOVE L’URBANITÀ SI ADDOMESTICA SECONDO LE LEGGI DEL MONDO ANIMALE E DOVE LA BIODIVERSITÀ DIVENTA LA PROSPETTIVA INVERSA SECONDO CUI SONO GLI ANIMALI A OSSERVARCI NEL NOSTRO RECINTO ARTIFICIALE. COSÌ COME È IMPORTANTE ASSECONDARE LA RIPRESA DEL POSSESSO DA PARTE DI ANIMALI E MAMMIFERI DI TERRITORI FINO A POCO TEMPO FA AUTORIZZATI, TROVANDO NUOVI EQUILIBRI DI SCAMBIO E RELAZIONE. 64. STEFANO BOERI, L’ANTICITTÀ (BARI: EDITORI LATERZA, 2011), 111. × NEVROSI CONTEMPORANEE L’ACCUMULO, LA RACCOLTA DI UNA GRANDE QUANTITÀ DI COSE PRIVE DI UN IMMEDIATO VALORE D’USO, È UN’ATTIVITÀ CHE SFIDA L’ARCHITETTURA A VALUTARE IL MODO DI GESTIRE I RIFIUTI E LE ECCEDENZE, A RIFLETTERE SU QUALI MATERIE L’ARCHITETTURA STESSA RESPINGE IN QUANTO TROPPO SCADENTI PER ENTRARE NEL REGNO DEL DESIGN, E SUL TIPO DI CONTROLLO CHE IL COSTRUIRE TENTA DI ESERCITARE, DAL PUNTO DI VISTA SOCIALE E NO, TANTO SULL’AMBIENTE INTESO COME CONTESTO IN CUI SORGE L’EDIFICIO, QUANTO SUGLI AMBIENTI INTERNI. L’ACCUMULO SFIDA I LIMITI DELLA COMPRENSIONE DELL’AMBIENTE STESSO DA PARTE DELL’ARCHITETTURA, MESCOLANDO SPESSO ESSERI UMANI E ANIMALI. […] LA CASA DI UN ACCUMULATORE È ARCHITETTURA PRODOTTA DAL RICICLAGGIO ESTREMO, DA UN’APPLICAZIONE DI VALORE (ANCHE SE NON RICONOSCIUTA DA ALCUNO ECCETTO L’ACCUMULATORE STESSO) AL PRE-USATO, ALL’INUTILE O ALL’ABUSATO, DA UNA BONIFICA DELLA MATERIA INDESIDERATA CHE SI REALIZZA ATTRAVERSO LA PROIEZIONE DI NUOVE FORME DI DESIDERIO. 65. SYLVIA LAVIN, “IL CRUDO, IL COTTO, GLI AVANZI”, IN RE-CYCLE. STRATEGIE PER L’ARCHITETTURA, LA CITTÀ E IL PIANETA, ED. SARA MARINI E PIPPO CIORRA (MILANO: ELECTA, 2011), 156.

DELL’ARCHITETTURA, CHE DEVE DI FATTO CREARE NUOVI APPETITI, NUOVI TIPI DI FAME - NON RISOLVERE PROBLEMI; L’ARCHITETTURA È TROPPO LENTA A RISOLVERE I PROBLEMI [...]. A COSA CI SERVE L’ARCHITETTURA? E’ UN MODO DI IMPORRE L’ORDINE O DI STABILIRE UNA CONVINZIONE, CHE È ENTRO CERTI LIMITI IL MOTIVO DELLA RELIGIONE. L’ARCHITETTURA NON HA PIÙ BISOGNO DI QUEI RUOLI; NON HA BISOGNO DELL’IMPERIALISMO MENTALE; È TROPPO LENTA, TROPPO PESANTE E, COMUNQUE, IO COME ARCHITETTO NON VOGLIO CONTRIBUIRE A CREARE LEGGE E ORDINE ATTRAVERSO PAURA E MISERIA. CREARE UN DIALOGO CONTINUO TRA LE PERSONE È MOLTO INTERESSANTE; POTREBBE ESSERE L’UNICA RAGIONE DELL’ARCHITETTURA, È QUESTO IL PUNTO. 66. CEDRIC PRICE, IN RE-CP, ED. HANS ULRICH OBRIST (MILANO: LETTERA 22, 2011), 60. × NOMADISMO OGGETTUALE GUARDO GLI OGGETTI CHE SONO DAVANTI A ME. ESSI SONO DI TUTTI I TIPI: UNA LAMPADA, DELLA CARTA, UN VIOLINO, UN VASO, UN CALORIFERO, UNA STATUINA, UNA TAZZA, DEI FIORI. [...] COSTITUISCONO UNA SPECIE DI MUSEO, UN’ANTOLOGIA, UNA COLLEZIONE RAGIONATA. [...] SONO DELLE PRESENZE. PRODOTTI UTILI O ANCHE INUTILI. ATTRAVERSANDO TUTTO IL MONDO DELLE MERCI E TUTTE LE ANIME DELLE COSE COMUNI, DAL POVERO AL LUSSUOSO, QUESTO INSIEME CAPILLARE DI OGGETTI È INTIMAMENTE LEGATO ALLA VITA (REALE, NORMALE E AFFETTIVA) DELLA GENTE, CONIUGANDO SIA LA BANALITÀ SIA L’ESPRESSIONE E LA RELIGIOSITÀ. ESSO AGISCE NEL VENTAGLIO DI TUTTI I BISOGNI, DESIDERI E IPOTESI DI VITA, E DI CAMBIAMENTO DELLA VITA. UN’IDEA DI CAMBIAMENTO CHE ARRIVA DALLA FOLLA, ATTRAVERSO IL BISOGNO DI MAGIA. 67. ALESSANDRO MENDINI, QUALI COSE SIAMO, CATALOGO MOSTRA ALLA TRIENNALE DESIGN MUSEUM 27 MARZO 2010-28 FEBBRAIO 2011 (MILANO: ELECTA, 2011), 12. ×

× NEW ORDER QUINDI QUELLA È UN’ALTRA REGOLA PER LA NATURA GENERALE

NON STOP-CITY MANY DEFINITIONS ASSUME SPRAWL IS A SUBURBAN PHENOMENON ESSENTIALLY DETACHED FROM


ITS URBAN CORE, THE CITY PROPER. I WILL ARGUE THAT THIS IS SIMPLY NOT TRUE ANYMORE. URBANIZATION IS URBANIZATION, WHETHER IN THE FORM OF LOW-RISE SUBURBAN, PLANNED UNIT DEVELOPMENTS OR HIGH RISE CENTRAL BUSINESS DISTRICT APARTMENT BUILDING. 68. ALAN BERGER, DROSSCAPE-WASTING LAND IN URBAN AMERICA (NEW YORK: PRINCETON ARCHITECTURAL PRESS, 2006), 21. × OLTRE WHAT DOES THE WORD ARCHITECTURE INTEND TO MEAN? AT FIRST, LIMITING IT TO THE ART OF BUILDING COULD SEEM PASSIVE AND, IN AN EVEN MORE RESTRICTED WAY, CONCERN JUST THE HOUSE CONSTRUCTION. BUT ARCHITECTURE IS ALMOST IMPLICITLY EVERYTHING WHICH IS STRUCTURE AND REPRESENTATION, FROM THE ROCKS, THE SKELETON, FROM THE STRUCTURE OF THE ATOM UP TO THE APPEARANCE OF THE SPHERES THAT ARE PART OF THE PLANETARY SYSTEM. THE MAN MADE EFFORTS, USING THE ELEMENTS THAT NATURE GAVE HIM, IN ORDER TO MODIFY AND REORGANIZE THIS SAME NATURE, CREATED ARCHITECTURES THAT, BY IMPROVING THEMSELVES, SPREAD THROUGH THE WORLD, GIVING ORIGIN TO NEW ARCHITECTURES, FROM THE ROCK TO THE INTERPLANETARY SATELLITE, FROM THE CAVE TO THE SKYSCRAPER, FROM THE PENDULOUS TO THE CATHEDRAL. 69. LINA BO BARDI, CONTRIBUÇÃO PROPEDÊUTICA AO ENSINO DE TEORIA DA ARQUITECTURA, TESI PER IL CONCORSO PER LA CATTEDRA DI TEORIA DELL’ARCHITETTURA PRESSO LA FAU-USP (1957). WWW.INSTITUTOBARDI.COM.BR/ENG/LINA/DEPOIMENTOS/ INDEX.HTML, LAST ACCESSED JULY 16, 2014. × ORDINE RIZOMATICO UNA MOLTEPLICITÀ NON HA NÉ SOGGETTO NÉ OGGETTO, MA SOLTANTO DETERMINAZIONI, GRANDEZZE, DIMENSIONI CHE NON POSSONO CRESCERE SENZA CHE CAMBI NATURA […]. UN CONCATENAMENTO È PRECISAMENTE QUESTA CRESCITA DELLE DIMENSIONI IN UNA MOLTEPLICITÀ CHE CAMBIA NECESSARIAMENTE NATURA MAN MANO CHE AUMENTA LE SUE CONNESSIONI. LE MOLTEPLICITÀ SI DEFINISCONO ATTRAVERSO IL

DI FUORI, COME LA LINEA DI FUGA O DI DETERRITORIALIZZAZIONE. 70. GILLES DELEUZE, FÉLIX GUATTARI, MILLEPIANI (ROMA: CASTELVECCHI, 1980), 25. × PARAMNESIA LA METROPOLI SI SFORZA DI RAGGIUNGERE UNO STADIO MITICO NEL QUALE IL MONDO SIA COMPLETAMENTE OPERA DELL’UOMO, FACENDOLO COINCIDERE PRECISAMENTE CON I SUOI DESIDERI. LA METROPOLI È UNA MACCHINA CHE DÀ ASSUEFAZIONE, DA CUI NON VI È SCAMPO, A MENO CHE NON LO CONCEDA LEI STESSA... GRAZIE A QUESTA PERVASIVITÀ, LA SUA ESISTENZA È DIVENTATA COME LA NATURA CHE HA SOSTITUITO: DATA PER SCONTATA, QUASI INVISIBILE, CERTAMENTE INDESCRIVIBILE. 71. REM KOOLHAAS, DELIRIOUS NEW YORK (MILANO: ELECTA, 2001), 274. × PARANOIC CRITICAL METHOD SETTING DOWN AN OBSESSIONAL IDEA SUGGESTED BY THE UNCONSCIOUS AND THEN ELABORATING AND REINFORCING IT BY A PERVERSE ASSOCIATION OF IDEAS AND SEEMINGLY IRREFUTABLE LOGIC UNTIL IT TOOK ON THE CONVICTION OF INESCAPABLE TRUTH. 72. CARLTON LAKE QUOTED IN SALVADOR DALÌ: THE SURREALIST JESTER, ED. MERYLE SECREST (LONDON: PALADIN GRAFTON, 1986), 29. × PATRIMONIO RELAZIONALE PERTANTO ALLA COSTITUZIONE DEL MONDO OGGETTIVO APPARTIENE PER ESSENZA UN’ARMONIA DI MONADI, ANZI QUELLA COSTITUZIONE ARMONICA PARTICOLARE CHE HANNO LE MONADI E QUINDI UNA GENESI CHE SI ATTUA ARMONICAMENTE NELLE SINGOLE MONADI. QUESTA NON È PERÒ INTESA COME STRUTTURA METAFISICA DELL’ARMONIA TRA LE MONADI […]. SI TRATTA INVECE DI UN FATTO CHE INERISCE ALLA DESCRIZIONE DEI CONTENUTI INTENZIONALI CHE SI TROVANO NEI FATTI DEL MONDO DI ESPERIENZA ESISTENTE PER NOI. 73. EDMUND HUSSERL, MEDITAZIONI CARTESIANE (MILANO: BOMPIANI, 1970), 64. ×


PERCEZIONE SECONDO IL COMPORTAMENTISMO, I NOSTRI SENTIMENTI E LA NOSTRA VOLONTÀ SONO SOLO APPARENZA; NEL MIGLIORE DEI CASI LI SI PUÒ CONSIDERARE COME UN FASTIDIOSO RUMORE DI FONDO. MA CHI È DELL’OPINIONE CHE I NOSTRI ORGANI MOTORI SERVANO A CONDURRE LE NOSTRE ATTIVITÀ OPERATIVE NON VEDRÀ PIÙ NEGLI ANIMALI SOLO ASSEMBLAGGI MECCANICI, MA NE SCORGERÀ ANCHE IL MACCHINISTA, PRESENTE IN LORO COME CIASCUNO DI NOI È PRESENTE NEL PROPRIO CORPO. NON CONCEPIREMO PIÙ GLI ANIMALI COME SEMPLICI COSE MA COME SOGGETTI, LE CUI ATTIVITÀ ESSENZIALI SONO OPERATIVE E PERCETTIVE. SOLO COSÌ SI APRIRÀ FINALMENTE LA PORTA CHE CONDUCE AI VARI AMBIENTI ANIMALI. TUTTO QUELLO CHE UN SOGGETTO PERCEPISCE DIVENTA IL SUO MONDO PERCETTIVO (MERKWELT) E TUTTO QUEL CHE FA COSTITUISCE IL SUO MONDO OPERATIVO (WIRKWELT). MONDO PERCETTIVO E MONDO OPERATIVO FORMANO UNA TOTALITÀ CHIUSA: L’AMBIENTE. GLI AMBIENTI, MULTIFORMI COME GLI ANIMALI CHE LI ABITANO, OFFRONO A TUTTI GLI AMICI DELLA NATURA TERRITORI NUOVI, DI UNA RICCHEZZA E BELLEZZA TALI CHE VALE SENZ’ALTRO LA PENA FARVI UNA PASSEGGIATA, ANCHE SE UN SIMILE SPLENDORE NON SI RIVELA AI NOSTRI OCCHI CORPOREI MA SOLO A QUELLI DELLA NOSTRA MENTE. 74. JAKOB VON UEXKÜLL, ILLUSTRATED BY GEORG KRISZAT, AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI, UNA PASSEGGIATA IN MONDI SCONOSCIUTI E INVISIBILI (MACERATA: QUODLIBET, 2010), 38-39. × PERFORMANCE CI SONO MOLTE COSE IN PLACE SAINT-SULPICE [...]. DI QUESTE COSE, MOLTE, SE NON LA MAGGIOR PARTE, SONO STATE DESCRITTE, CLASSIFICATE, FOTOGRAFATE, RACCONTATE O RECENSITE. NELLE PAGINE CHE SEGUONO, IL MIO INTENTO È STATO PIUTTOSTO QUELLO DI DESCRIVERE IL RESTO : CIÒ DI CUI NORMALMENTE NON SI PRENDE NOTA, CIÒ CHE NON SI OSSERVA, CIÒ CHE NON HA IMPORTANZA: CIÒ CHE SUCCEDE QUANDO NON SUCCEDE NIENTE, SE NON IL TEMPO, LE PERSONE, LE MACCHINE E LE NUVOLE. 75. GEORGES PEREC, “POURISSEMENT DES SOCIÉTÉ”, IN CAUSE COMMUNE N°1 (1975), 4.

× POST-AMBIENTALISMO OGGI ESISTE IL GRAVE PROBLEMA DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE, DELLE ENERGIE RINNOVABILI, DELLA SALVAGUARDIA DEGLI EQUILIBRI ECOLOGICI. QUESTO LIBRO PERÒ NON È CENTRATO SU QUESTO PROBLEMA, MA INDIRETTAMENTE PRENDE POSIZIONE A FAVORE DELLA NASCITA DI UN “POST-AMBIENTALISMO” CHE SAPPIA RITROVARE I COLLEGAMENTI CON LA CULTURA CREATIVA DA CUI È NATO E DI CUI OGGI È ORFANO; UN AMBIENTALISMO CHE NON LIMITI LA QUESTIONE AMBIENTALE AL SOLO PARAMETRO DELL’INQUINAMENTO, MA SAPPIA TENERE CONTO DELLE COMPLESSE RELAZIONI ANTROPOLOGICHE CHE LEGANO DA SEMPRE L’UOMO AL SUO AMBIENTE; RELAZIONI DI NATURA SIMBOLICA, PSICOLOGICA, ESTETICA, SENZA LE QUALI SI RISCHIA FORSE DI SALVARE L’AMBIENTE NATURALE, MA DI IMPOVERIRE PERICOLOSAMENTE QUELLO UMANO. 76. ANDREA BRANZI, RITRATTI E AUTORITRATTI DI DESIGN (VENEZIA: MARSILIO, 2010), 18. × POST-PRODUCTION CON QUESTA NUOVA FORMA DI CULTURA, CHE SI POTREBBE DEFINIRE CULTURA D’USO O DELL’ATTIVITÀ, L’OPERA D’ARTE FUNZIONA COME TERMINAZIONE TEMPORANEA DI UNA RETE DI ELEMENTI INTERCONNESSI, COME NARRATIVA CHE SI ESTENDE FINO A REINTERPRETARE LE NARRATIVE CHE L’HANNO PRECEDUTA. OGNI MOSTRA RACCHIUDE LA STORIA DI UN’ALTRA MOSTRA; OGNI OPERA PUÒ SERVIRE SCENARI MULTIPLI ED ESSERE INSERITA IN PROGRAMMI DIVERSI. NON È PIÙ UN PUNTO TERMINALE, DUNQUE, MA UN MOMENTO IN UNA CATENA INFINITA DI CONTRIBUTI. 77. NICOLAS BOURRIAUD, POSTPRODUCTION. COME L’ARTE RIPROGRAMMA IL MONDO (MILANO: POSTMEDIA BOOKS, 2004), 15. × POST-WELFARE CITIES, ESPECIALLY MEGACITIES OF MORE THAN 10 MILLION INHABITANTS, ARE THE MOST COMPLEX SYSTEMS THAT HUMANITY HAS EVER CREATED. TO UNDERSTAND THE FUNCTIONING OF CITIES, A MULTITUDE OF DISCIPLINES RANGING FROM NATURAL SCIENCES TO ENGINEERING AND SOCIAL SCIENCES


ARE NECESSARY. THE METABOLISM AS IT MANIFESTS ITSELF IN FLOWS AND STOCKS OF MATERIALS AND ENERGY IS INVESTIGATED, AND SUGGESTIONS FOR FUTURE IMPROVEMENT OF MATERIALS USE IN CITIES ARE GIVEN. THE FOCUS ON MATERIAL DIMENSIONS OF CITIES DOES NOT MEAN THAT THIS ASPECT IS THE MOST IMPORTANT FEATURE OF A CITY. THE DECISION TO CONCENTRATE ON MATERIALS IS BASED ON THE FACT THAT THERE ARE RELIABLE METRICS FOR THE ASSESSMENT OF URBAN MATERIAL FLOWS AND STOCKS AND THAT MATERIALS AND SUBSTANCES ARE CRUCIAL FOR THE SUSTAINABILITY OF A CITY IN TERMS OF FUNCTIONING RESOURCE AVAILABILITY, AND ENVIRONMENTAL PROTECTION. 78. PAUL H. BRUNNER, “RESHAPING URBAN METABOLISM”, JOURNAL OF INDUSTRIAL ECOLOGY N°2 (MASSACHUSETTS INSTITUTE OF TECHNOLOGY AND YALE UNIVERSITY, 2007), 11-14. × POTENTIALITY WANDERING TAKE THE PLACE OF ACTIONS. 79. GEORGIA DAS KALAKIS, IN STALKING DETROIT, ED. GEORGIA DAS KALAKIS, CHARLES WALDHEIM, AND JASON YOUNG (BARCELLONA: ACTAR, 2001), 80. × PROCESSO APERTO CONTENITORE DI OGGETTI E FUNZIONI NEL QUALE CIASCUNA COSA TROVA IL SUO SPECIFICO POSTO, MA COME UNO SPAZIO LE CUI TRADIZIONALI GIUSTAPPOSIZIONI DUALISTICHE (COMPRESA TALVOLTA ANCHE QUELLA DI CARATTERE MORFOLOGICO DI FIGURA E SFONDO DI OGGETTO E DI SUOLO) SI FANNO SFUMATE, BLURRED, E CONSEGUENTEMENTE ANCHE GLI OGGETTI (PROGETTI?), COSÌ COME LI ABBIAMO VISTI ESSERE NEL PENSIERO DI MERLEAU PONTY, PERDONO PARTE DELLA LORO CHIUSURA, DIVENGONO APERTI E RINVIANO SEMPRE A QUALCOS’ALTRO DA VEDERE, ALTRI SIGNIFICATI, ALTRI USI. 80. VINCENZA FARINA, IN-BETWEEN E PAESAGGIO. CONDIZIONE E RISORSA DEL PROGETTO SOSTENIBILE (MILANO: FRANCO ANGELI, 2005), 37. ×

PROGETTO ANCHE L’ATTRAVERSAMENTO DI UN MURO DIVENTA UNO SPAZIO PROGETTATO ATTRAVERSO UN PROCESSO DI ARTICOLAZIONI DELLE PARETI. IN QUESTA CASA SI VIVE ANCHE ALL’INTERNO DEI MURI. FAR COINCIDERE POI AD OGNI MOVIMENTO UNO SPAZIO DIVERSO, PER QUANTO MINIMO, PER QUANTO APPENA ACCENNATO, MOLTIPLICANDO LE OCCASIONI DI PERCEZIONE, CREA UNO SCARTO FRA LA DIMENSIONE FISICA E LA DIMENSIONE PERCETTIVA CHE RENDE SURREALE E IMMAGINARIA QUESTA ARCHITETTURA. L’INGRESSO È LUNGO 3,60 METRI, IL TEMPO NECESSARIO PER PERCORRERLO È MOLTO PIÙ LUNGO. 81. PAOLO DEGANELLO, “MOVIMENTI DOMESTICI, UMBERTO RIVA: PROGETTO DI RISTRUTTURAZIONE DI UNA CASA UNIFAMILIARE”, IN LOTUS INTERNATIONAL N°44 (1948), 109-127. × QUALITÀ INVISIBILI IL MONDO DELLA PERCEZIONE, OSSIA QUELLO CHE CI È RIVELATO PER MEZZO DEI SENSI E DELLA PRATICA DELLA VITA, SEMBRA A PRIMA VISTA QUELLO CHE CONOSCIAMO MEGLIO, POICHÉ NON SONO NECESSARI NÉ STRUMENTI NÉ CALCOLI PER ACCEDERVI, E IN APPARENZA, È SUFFICIENTE, PER PENETRARVI, APRIRE GLI OCCHI E LASCIARSI VIVERE. EPPURE QUESTA È UNA FALSA APPARENZA. IN CODESTE CONVERSAZIONI VORREI DIMOSTRARE CHE IN LARGA MISURA NOI IGNORIAMO UN TALE MONDO ALMENO SIN QUANDO ASSUMIAMO UN’ATTITUDINE PRATICA O UTILITARIA, CHE SONO STATI NECESSARI MOLTO TEMPO, MOLTI SFORZI E MOLTA CULTURA PER METTERLO A NUDO, E CHE UNO DEI MERITI DELL’ARTE E DEL PENSIERO MODERNI (INTENDO L’ARTE E IL PENSIERO DEGLI ULTIMI 50 O 70 ANNI) CONSISTE NELL’AVERCI FATTO RISCOPRIRE IL MONDO IN CUI VIVIAMO MA CHE ABBIAMO SEMPRE LA TENTAZIONE DI DIMENTICARE. 82. MAURICE MERLEAU-PONTY, CONVERSAZIONI (MILANO: SE, 2002), 16. × RADICAL NOTES THE AVANT-GARDE OF ARCHITECTURE AIMS TO REDUCE ALL PROCESSES OF DESIGN TO ZERO, REFUSING THE ROLE OF A DISCIPLINARY SECTOR ENGAGED IN PREFIGURING WITH ENVIRONMENTAL STRUCTURES A FUTURE ALREADY


SELECTED BY OTHERS. THE AVANT-GARDE OF ARCHITECTURE REFUSES TO HYPOTHESIZE ON THE “FORM OF THE CITY OF THE FUTURE”. IT ESTABLISHES A SCIENTIFIC RAPPORT WITH THE CITY, IN THE SENSE THAT IT ELIMINATES ANY CONCEPT OF QUALITY, TYPICAL OF ARCHITECTURE, FROM URBAN DEBATE, REDUCING THE PHENOMENON TO SIMPLY “QUANTITATIVE PARAMETERS”. THERE ARE NO LONGER DIFFERENT ARCHITECTONIC FORMS THAT CORRESPOND TO THE DIFFERENT FUNCTIONS OF THE CITY: STORES, THEATRES, SCHOOLS, ETC., NO LONGER HAVE A “SHAPE” OF THEIR OWN. THEY HAVE BECOME HOMOGENEOUS PARTS OF A SINGLE PLANE OF SERVICES THAT CANNOT BE DISTINGUISHES FROM THOSE OF THE DWELLINGS. THE CITY AND NATURE NO LONGER FIT TOGETHER ON A SINGLE BIDIMENSIONAL PLANE OF EXPERIENCE. NATURE NO LONGER DESIGNS THE CITY, AND THE CITY NO LONGER OUTLINES NATURE. 83. ANDREA BRANZI, IN EP. VOL.1 THE ITALIAN AVANT-GARDE: 1968-1976 , ED. ALEX COLES, CATHARINE ROSSI (BERLIN: STERNBERG PRESS, 2013), 188. × RECYCLING CITY SI RICICLA CIÒ CHE È SOGGETTO AD UN CICLO DI VITA. PARTI DI CITTÀ, OGGETTI, MATERIALI: PARLARE DELLA CITTÀ COME QUALCOSA CHE PUÒ ESSERE RICICLATO PORTA A CONSIDERARNE RITMI, CICLI DI VITA, METAMORFOSI. 84. PAOLA VIGANÒ, “RICICLARE CITTÀ”, IN RE-CYCLE. STRATEGIE PER L’ARCHITETTURA, LA CITTÀ E IL PIANETA, ED. SARA MARINI AND PIPPO CIORRA (MILANO: ELECTA, 2011), 102. × REINVENZIONE COLORO CHE L’ANTROPOLOGO ERA ANDATO A VISITARE SENTIVANO IL BISOGNO DI STORIA NELLA MISURA IN CUI, PROIETTATI VERSO UN AVVENIRE INIMMAGINABILE, SOTTO LA PRESSIONE DEGLI AGENTI ESTERNI CHE NON LO IMMAGINAVANO PIÙ DI LORO, AVVERTIVANO LA NECESSITÀ DI IDENTIFICARSI QUANTO MENO CON IL LORO PASSATO, A COSTO, COME SPESSO ACCADDE, DI REINVENTARLO DA CIMA A FONDO. MA L’OSCURITÀ DEL PRESENTE E L’INCERTEZZA DELL’AVVENIRE ERANO LA RAGIONE DI QUELLA REINVENZIONE. CIÒ CHE GLI

ANTROPOLOGI AVEVANO SOTTO GLI OCCHI ERA DUNQUE UNA SORTA DI CANTIERE NEL QUALE SI REDIGEVA L’INVENTARIO DEI MITI E DEGLI OGGETTI PERDUTI, SI ELABORAVANO (IN UNA SITUAZIONE IN CUI OSSERVATORI E OSSERVATI SI CONFONDEVANO FRA LORO) TEORIE INTERPRETATIVE, SEQUENZE STORICHE ED EPISODI MITICI. MA ERA UN AUTENTICO CANTIERE. 85. MARC AUGÉ, ROVINE E MACERIE - IL SENSO DEL TEMPO (TORINO: BOLLATI BORINGHIERI, 2004), 14-15. × RESILIENCE I’M STILL PRETTY SKEPTICAL ABOUT THE CONCEPT OF THE AUTHOR,” SAYS DOUGLAS GORDON, “AND I’M HAPPY TO REMAIN IN THE BACK- GROUND OF A PIECE LIKE 24 HOUR PSYCHO WHERE HITCHCOCK IS THE DOMI-NANT FIGURE. LIKEWISE, I SHARE RESPONSIBILITY FOR FEATURE FILM EQUALLY WITH THE CONDUCTOR JAMES CONLON AND THE MUSICIAN BERNARD HERRMANN. ... IN APPROPRIATING EXTRACTS FROM FILMS AND MUSIC, WE COULD SAY, AC-TUALLY, THAT WE ARE CREATING TIME READYMADES, NO LONGER OUT OF DAILY OBJECTS BUT OUT OF OBJECTS THAT ARE A PART OF OUR CULTURE. 86. DOUGLAS GORDON, “A NEW GENERATION OF READYMADES”, ART PRESS N°255 (2000), 27-32. × RESPONSABILITÀ QUESTO VIAGGIO, QUESTA VISITA FRA GLI “OGGETTI ITALIANI” È BASATA SU QUESTO SILLOGISMO: DESIGN È UN OGGETTO CHE SI ASSUME LE SUE RESPONSABILITÀ, OGNI OGGETTO DEVE ESSERE RESPONSABILE, OGNI OGGETTO RESPONSABILE È DESIGN. MA DI QUALE RESPONSABILITÀ SI TRATTA? SI TRATTA DI RESPONSABILITÀ “E BASTA”. MILLE E DIVERSE E POSSIBILI RESPONSABILITÀ. NESSUN OGGETTO “SPENSIERATO”, MA INVECE TUTTI OGGETTI DIMOSTRATIVI E MOTIVATI. SE QUESTO È IL CRITERIO SELETTIVO, SE IN QUESTA UMANITÀ COSCIENTE STANNO LE CARATTERISTICHE RADICALI DELLA SCELTA, LA TIPICA STORIA DEL DESIGN ITALIANO (E NON SOLO) SI DILATA VERSO GRANDI SPAZI DIVERSI DALL’USUALE. SE SI PARLA DI UMANITÀ COME METODO DI LAVORO, ALLORA UN ALTRO METODO PARALLELO È QUELLO DI LAVORARE PER INTUIZIONE. UNA SCELTA, UNA SELEZIONE SOGGETTIVA.


UNA IPOTESI UN PO’ MORALE NEI CONTENUTI E UN PO’ ISTINTIVA NEL PROGETTO. 87. ALESSANDRO MENDINI, QUALI COSE SIAMO, CATALOGO DELLA MOSTRA ALLA TRIENNALE DESIGN MUSEUM 27 MARZO 2010-28 FEBBRAIO 2011 (MILANO: ELECTA, 2011), 13.

ITS WALKING LIFE. TIME, SCALE AND RELATIONSHIPS BECOME FLUID, AND THE CITY IS FOREVER ON THE BRINK OF THE STRANGELY FAMILIAR AND THE FAMILIARITY STRANGE. 90. CJ LIM, ED LIU, SHORT STORIES: LONDON IN TWO-AND-A-HALF DIMENSIONS (ABINGDON: ROUTLEDGE, 2011), 27.

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RHYTM REUNITES QUANTITATIVE ASPECTS AND ELEMENTS WHICH MARK TIME AND DISTINGUISH MOMENTS IN IT, AND QUALITATIVE ASPECTS AND ELEMENTS WHICH LINK THEM TOGETHER, FOUND THE UNITIES AND THE RESULT FROM THEM. […] RHYTHMANALYSIS DOESN’T SIMPLY ANALYZE THE BODY AS A SUBJECT, BUT USES THE BODY AS THE FIRST POINT OF ANALYSIS […]. THE MODE OF ANALYSIS IS WHAT WE MEANT BY RHYTHMANALYSIS, RATHER THAN AN ANALYSIS OF RHYTHMS […]. THERE IS NO RHYTHM WITHOUT REPETITION. 88. HENRI LEFEBVRE, RHYTHMANALYSIS. SPACE, TIME AND EVERYDAY LIFE (LONDON: CONTINUUM, 2004), 8-9.

SELF-ORGANIZATION A LINKAGE CAN BE TRACED THROUGH POLITICAL ACTIVISM, CULTURAL PRODUCTION IN THE FORM OF MUSIC, ART AND LITERATURE, AND OTHER WAYS OF DWELLING SUCH AS SQUATTING OR AUTONOMOUS COMMUNITIES. IT DOES NOT SIMPLY SUGGEST PARTICIPATION IN SOMETHING THAT IS CONTROLLED ELSEWHERE, BUT ACTIVELY ESTABLISHES THE DESIRE AND NEED FOR A TRANSFORMATION IN THE FIRST INSTANCE, BEFORE ACTING ON IT. THIS ACTION INVOLVES THE DESIGN OF PROCESSES THAT CAN ENABLE PEOPLE TO TRANSFORM THEIR OWN ENVIRONMENTS MEANING THAT THE MECHANISMS INVOLVED ARE EMBEDDED WITHIN THEIR OWN LOCALITY AND ARE NOT EXTERNAL TO IT. SINCE SELF-ORGANISED PROJECTS EMERGE FROM THE NEGOTIATIONS OF MANY DIFFERENT ACTORS, THEY ARE INHERENTLY RELATIONAL PRACTICES, AND POINT TOWARDS THE COLLECTIVE PRODUCTION OF SPACE. 91. “SPATIAL AGENCY”, WWW.SPATIALAGENCY. NET, ACCESSED MARCH 11, 2014.

× SCENARIO “I HAVE A QUESTION FOR YOU,” HE SAID, TAKING OUT OF HIS POCKET A CRUMPLED PIECE OF PAPER ON WHICH HE HAD SCRIBBLED A FEW KEY WORDS. HE TOOK A BREATH: “DO YOU BELIEVE IN REALITY?” “BUT OF COURSE!” I LAUGHED. “WHAT A QUESTION! IS REALITY SOMETHING WE HAVE TO BELIEVE IN?” 89. BRUNO LATOUR, PANDORA’S HOPE: ESSAYS ON THE REALITY OF SCIENCE STUDIES (CAMBRIDGE: HARVARD UNIVERSITY PRESS, 1999), 1. × SCREENPLAY DREAMS, LIKE CITIES, SHAPE US AND ARE SHAPED BY US. ARCHITECTS WOULD HAVE US BELIEVE THAT THE EDIFICES THAT MAKE UP THE CITY ARE IMMUTABLE AND SOLID, MONUMENTS TO THEIR DESIGNERS’ IMMORTALITY. THEY ARE NOT. IN BOTH LONDON’S IMAGININGS AND REALITY, LANDMARKS AND EVENTS ASSUME SHIFTING MAGNITUDE AND SIGNIFICANCE, CONSTRUCTING DISTORTED MAPS OF DESIRE AND EXPERIENCE. NARRATIVE OBEYS NO LOGIC AS LONDON SEARCHES FOR AN EVER-CHANGING IDENTITY IMPRINTED BY

× SPAZIO NARRATIVO CIÒ CHE ABBIAMO L’ABITUDINE DI CHIAMARE “REALTÀ” È UN MONTAGGIO E CI SI CHIEDE SE QUELLO IN CUI VIVIAMO, SIA L’UNICO POSSIBILE. A COMINCIARE DALLO STESSO MATERIALE (IL QUOTIDIANO), SI POSSONO REALIZZARE DIVERSE REALTÀ. 92. NICOLAS BOURRIAUD, POSTPRODUCTION. COME L’ARTE RIPROGRAMMA IL MONDO (MILANO: POSTMEDIA BOOKS, 2004), 68. × STRUCTURALISM THEORY THAT SOCIETIES ARE CHARACTERISED BY DEEP MENTAL STRUCTURES THAT DETERMINE THE ACTIONS OF INDIVIDUALS. 93. ELENA WEBSTER, BOURDIEU FOR ARCHITECTS (ABINGDON: ROUTLEDGE, 2011), 23.


× SUBJECTIVITY COME I PRIMITIVI DELL’AMAZZONIA E COME GLI ANIMALI, NOI VIVIAMO IN UN PRESENTE CONTINUO NON SEGNATO DAL PASSARE DEL TEMPO MA DALLA SIMULTANEITÀ DI UN’ESPERIENZA UNICA, FULMINANTE, DOVE TUTTO SI ACCUMULA SENZA UNA PRECISA FINALITÀ. IL PROGETTO “PRIMITIVO” È QUELLO PIÙ SOFISTICATO PERCHÉ SENSIBILE ALLE MINIME TRASFORMAZIONI DEL CONTESTO, PRONTO A MODIFICARE SE STESSO; ESSO SI FA CARICO DI SOPRAVVIVERE; NON SI PROPONE DI CAMBIARE IL MONDO MA DI ADEGUAVISI AL MEGLIO. CIÒ NON SIGNIFICA IMMORALITÀ MA PIUTTOSTO UNA MORALITÀ PIÙ AMPIA, CHE OPERA SU SE STESSA PRIMA CHE SU GLI ALTRI. […] COME DICE ITALO ROTA “L’AUTENTICO MESTIERE DELL’ARCHITETTO RISIEDE NEL RIVELARE LO SPAZIO DELLA MENTE UMANA” CHE COME DENTRO LO SPAZIO “INVASO” DELL’AMAZZONIA, È UNO SPAZIO DI SOGNI, MITI, CONOSCENZE, MEMORIE, AMNESIE, PATOLOGIE, ESPERIENZE; UNO SPAZIO ATTIVO, ALTAMENTE COMPLESSO, DI CUI NON POSSIAMO VEDERE LA FORMA ESTERNA; UNICO STRUMENTO CHE CI CONNETTE AL MONDO ESTERNO E NE ELABORA CHIAVI DI INTERPRETAZIONE ASSOLUTAMENTE SOGGETTIVE... 94. ANDREA BRANZI, UNA GENERAZIONE ESAGERATA. DAI RADICALI ITALIANI ALLA CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE (MILANO: BALDINI&CASTOLDI, 2014), 198-199.

TIME-BASED I CALL A TACTIC […] A CALCULUS WHICH CANNOT COUNT ON A “PROPER”, NOR THUS ON A BORDERLINE DISTINGUISHING THE OTHER AS A VISIBLE TOTALITY. THE PLACE OF A TACTIC BELONGS TO THE OTHER. A TACTIC INSINUATES ITSELF INTO THE OTHER’S PLACE, FRAGMENTARILY, WITHOUT TAKING IT OVER IN ITS ENTIRETY, WITHOUT BEING ABLE TO KEEP IT AT A DISTANCE. IT HAS AT ITS DISPOSAL NO BASE WHERE RESPECT IT CAN CAPITALIZE ON ITS ADVANTAGE, PREPARE ITS EXPANSIONS, AND SECURE INDEPENDENCE WITH RESPECT TO CIRCUMSTANCES. THE “PROPER” IS A VICTORY OF SPACE OVER TIME. ON THE CONTRARY, BECAUSE IT DOES NOT HAVE A PLACE, A TACTIC DEPENDS ON TIME -IT IS ALWAYS ON THE WATCH FOR OPPORTUNITIES THAT MUST BE SEIZED “ON THE WING”. 96. MICHEL DE CERTEAU, THE PRACTICE OF EVERYDAY LIFE (OAKLAND: UNIVERSITY OF CALIFORNIA PRESS, 1984), 15. ×

TENSIONE CREATIVA UNA CONDIZIONE STORICA NUOVA DOVE ESPLODE CONTINUAMENTE IL CONFRONTO NON RISOLTO TRA PROGETTO E NON-PROGETTO, TRA SPONTANEISMO E PROGRAMMA, TRA IMMOBILISMO E INNOVAZIONE, DANDO LUOGO A UNA STAGIONE DI VERITÀ PROVVISORIE, DI SOLUZIONI PARZIALI, CHE SPESSO VENGONO PROCLAMATE COME SCOPERTE DEFINITIVE MA IN REALTÀ SONO IL FRUTTO DI UN PENSIERO A “SEGMENTI FORTI” MA CON “CONNESSIONI GENERALI MOLTO DEBOLI”. 95. ANDREA BRANZI, SCRITTI PRESOCRATICI. ANDREA BRANZI: VISIONI DEL PROGETTO DI DESIGN 1972-2009, ED. FRANCESCA LA ROCCA (MILANO: FRANCO ANGELI, 2010), 203-204.

UNNOTICED BEAUTY CHANCE, IN THE FORM OF COINCIDENCE AND SIMULTANEITY, IS INSEPARABLE FROM OUR EXPERIENCE OF SPACE AND TIME. THE ACTIVITY AROUND THE DINING TABLE AT A SPECIFIC MOMENT, THE SOUND OF THE PASSING TRAIN, A BRIGHT REFLECTION ON THE WINDOW, THE SUDDEN OPENING OF THE DOOR, THE COMING OF THE EVENING STORM AND THE REAR GARDEN’S SMELL, ALL THESE ORCHESTRATE A SPATIALITY THAT IS BASED MORE ON CHANCE FACTORS AND RELATIONSHIPS THAN ON DESIGN. IT IS THIS MODEST SIMPLICITY OF CHANCE, FLEETING AND HARDLY NOTICEABLE OR SPOKEN ABOUT, THAT BUILDS UP ARCHITECTURAL EXPERIENCE’S MAGICAL COMPLEXITY AND EVERYDAY BEAUTY. THIS BEAUTY, I SUGGEST, IS WHAT ANDRÉ BRETON MEANT BY ‘THE MARVELLOUS’, BEAUTIFUL REALITY MADE BY CHANCE. 97. YEORYIA MANOLOPOULOU, “THE ACTIVE VOICE OF ARCHITECTURE: AN INTRODUCTION TO THE IDEA OF CHANCE”, IN FIELD JOURNAL VOL.1 (2013), 62. WWW.FIELD-JOURNAL.ORG/UPLOADS/ FILE/2007_VOLUME_1/Y%20MANOLOPOULOU.PDF, LAST ACCESSED JULY 16, 2014.

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URBAN ECOLOGY HAS A PARTICULAR FOCUS ON THE IMPLICATIONS OF APPLYING THE METABOLISM CONCEPT TO THE URBAN REALM, SUCH THAT THE IDEA THAT URBAN AREAS SHOULD EMULATE THE CYCLICAL AND EFFICIENT NATURE OF NATURAL ECOSYSTEMS IS NOW EMPLOYED IN NORMATIVE THEORIES OF SUSTAINABLE URBAN PLANNING AND DEVELOPMENT (GIRARDET 2008; NEWMAN & JENNINGS 2008). THIS FOCUS ON CIRCULARITY, BALANCE AND ORDER IS CHALLENGED BY URBAN ECOLOGISTS STUDYING URBAN METABOLISMS FROM AN APPROACH GROUNDED IN COMPLEX SYSTEMS THEORY, WHO ARGUE THATRATHER THAN OPTIMISING A SINGLE SET OF SUPPOSEDLY IDEAL CIRCUMSTANCES THE GOAL SHOULD BE ACHIEVING GREATER RESILIENCE TO THE INEVITABLE INTERNAL AND EXTERNAL SHOCKS THAT WILL IMPACT ON AN URBAN AREA. 98. VANESA CASTÁN BROTO, ADRIANA ALLEN AND ANDREAS ERIKSSON, “URBAN METABOLISM AT UCL – A WORKING PAPER”, IN UCL ENVIRONMENT INSTITUTE DEVELOPMENT AND PLANNING UNIT (2011). WWW.BARTLETT.UCL. AC.UK/DPU/URBAN-METABOLISM/PROJECTOUTPUTS/URBAN_METABOLIM_REPORT.PDF, ACCESSED MARCH 15, 2014. × WASTE LAND WHAT ARE THE ROOTS THAT CLUTCH, WHAT BRANCHES GROW OUT OF THIS STONY RUBBISH? SON OF MAN, YOU CANNOT SAY, OR GUESS, FOR YOU KNOW ONLY A HEAP OF BROKEN IMAGES, WHERE THE SUN BEATS, AND THE DEAD TREE GIVES NO SHELTER, THE CRICKET NO RELIEF, AND THE DRY STONE NO SOUND OF WATER. 99. T.S. ELIOT, THE WASTE LAND (NEW YORK: HORACE LIVERIGHT, 1922), IN ERIC VOEGELIN, WHAT IS HISTORY? AND OTHER LATE UNPUBLISHED WRITINGS (COLUMBIA: UNIVERSITY OF MISSOURI, 1990), 85. × WORLD CULTURE GLOBALIZATION IS VERY COMPLEX; NOT JUST THE EXPANSION OF WESTERN CAPITAL AND ITS SIMULTANEOUS SPREAD OF PRODUCTS, CULTURE AND STYLE, BUT FREE TRADE, INSTANT COMMUNICATION AND PRE-9/11 OPEN TRAVEL;

THE GROWTH OF CROSS-CULTURAL CONTACTS; STORES OF NEW CATEGORIES OF CONSCIOUSNESS AND IDENTITIES EMBODYING CULTURAL DIFFUSIONS. SEEKING TO INCREASE ONE’S STANDARD OF LIVING AND ENJOY FOREIGN PRODUCTS AND IDEAS, ADOPTING NEW TECHNOLOGY AND PRACTICES, PARTICIPATING IN A “WORLD CULTURE”. GLOBALIZATION IN ITS LITERAL SENSE IS THE PROCESS OF MAKING, TRANSFORMATION OF SOME THINGS OR PHENOMENA INTO GLOBAL ONES. AS A PROCESS BY WHICH THE PEOPLE OF THE WORLD ARE UNIFIED INTO A SINGLE SOCIETY AND FUNCTION TOGETHER. THIS PROCESS IS A COMBINATION OF ECONOMIC, TECHNOLOGICAL, SOCIOCULTURAL AND POLITICAL FORCES. 100. HANS IBELINGS, SUPERMODERNISM. ARCHITECTURE IN THE AGE OF GLOBALIZATION (ROTTERDAM: NAI, 2003), 55.



THEMES POSTPRODUCTION AS


CURATING: 1. SELECT, ORGANIZE, AND LOOK AFTER THE ITEMS IN (A COLLECTION OR EXHIBITION): “BOTH EXHIBITIONS ARE CURATED BY THE CENTRE’S DIRECTOR”. 1.1 SELECT THE PERFORMERS OR PERFORMANCES THAT WILL FEATURE IN (AN ARTS EVENT OR PROGRAMME): “IN PAST YEARS THE FESTIVAL HAS BEEN CURATED BY THE LIKES OF DAVID BOWIE”. 1.2 SELECT, ORGANIZE, AND PRESENT (ONLINE CONTENT, MERCHANDISE, INFORMATION, ETC.), TYPICALLY USING PROFESSIONAL OR EXPERT KNOWLEDGE: “PEOPLE NOT ONLY WANT TO CONNECT WHEN USING A NETWORK BUT THEY ALSO ENJOY GETTING CREDIT FOR SHARING OR CURATING INFORMATION”.


CURATING


× DREAM ISLE > 6.ANTI-FORM 7.APPROPRIATION 11.BAZAAR 16.CINEMA 18.CLICHÉS 24.CURATORIAL PRACTICE 30.EFFLUVIO MAGNETICO 36.FANTASMAGORIA 47.IMMAGINARIO COLLETTIVO 60.MITOLOGIA 62.NARRATIVE ARCHITECTURE 66.NEW ORDER 75.PERFORMANCE 77.POST-PRODUCTION 79.POTENTIALITY 89.SCENARIO 90.SCREENPLAY 92.SPAZIO NARRATIVO


DREAM ISLE

pagina affianco: dettaglio tratto da Le Storie di Sant’Orsola di Vittore Carpaccio. Si tratta di un ciclo di nove teleri eseguiti tra il 1490 e il 1495 per la Scuola di Sant’Orsola a Venezia: attualmente si trovano presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia 1 Introduzione a Lim, CJ, Liu, Ed. 2011. Short Stories: London in Two-anda-half Dimensions. Routledge, Abingdon, pp. 6-21 2 Barthes, Roland, and Duisit, Lionel, “An Introduction to the Structural Analysis of Narrative”, New Literary History, Vol. 6, No. 2, On Narrative and Narratives. (Winter, 1975), pp. 237-272 3 ibid. 237-272

Cosa fa affermare a CJ Lim che l’epoca moderna è stata un brutto capitolo nella storia della narrativa architettonica? Nell’introduzione al suo Short Stories,1 egli rivendica il fatto che in passato fosse tutt’altro che inusuale per gli edifici essere costruiti attorno ad una precisa narrativa: proporzioni, allineamento, taglia e decorazioni delle piramidi egizie, ad esempio, venivano determinati da metafore, e non dalla loro utilità. Come Palazzo Ducale a Venezia, con il suo “Ponte dei Sospiri”, “Porta della Carta” e “Scala dei Giganti” e i leoni alati, è un assemblaggio di racconti, le piante circolari o cruciformi, ora per lo più forme fuori moda, un tempo erano immerse di misticismo e significati. Roland Barthes rivendica il fatto che forme di narrativa sono presenti in ogni epoca, in ogni luogo, e in ogni società, e iniziano con la storia del genere umano. Alle forme di narrativa non interessa nulla della divisione tra buona e cattiva letteratura, esse sono infatti internazionali, trans-storiche, trans-culturali, semplicemente così com’è la vita stessa.2 Perciò capiamo facilmente come gli edifici, repositori fisici della cultura umana, abbiano significato oltre la loro funzione. Perché dunque oggi sembra che le costruzioni contemporanee abbiano per lo più perso questi livelli di significato? CJ Lim e Ed Liu provano a reinvestire di narrative forme architettoniche esistenti nella città di Londra, usando la tecnica del collage per stabilire connessioni tra elementi reali e fittizi. Nella natura del collage stessa, che tende all’accumulazione, l’intento tematico del libro è quello di potersi appropriare di idee, allegorie e personaggi da forme preesistenti di pensiero critico nel campo della rappresentazione e della struttura narrativa. Nonostante Barthes3 ci avvisi che esistono innumerevoli forme di narrativa al mondo, articolati con una varietà di linguaggi e di media, come mai il veicolo più comune delle speculazioni

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4 Pier Vittorio Aureli, “Manet: images for a world without people”, The City as a Project, accessed March 15, 2014 5 Yau, John. 2008. A Thing Among Things: The Art of Jasper Johns, Distributed Art Publisher, New York

architettoniche è il render? Prodotto per le masse, l’immagine foto-realistica riesce a convincere il vasto pubblico della validità della proposta. La sua forza comunque è anche la sua debolezza: l’immagine è così plausibile che non richiede interpretazione alcuna. Ma tutto finisce per essere un’immagine. Pier Vittorio Aureli4 afferma che, per quanto gli architetti si trovino a disagio con le immagini, e provino costantemente a mettere in scena eventi o situazioni “reali”, forse sarebbe più interessante capirle non come mera forma di illustrazione volta a fornire delle informazioni, ma come forma di produzione. In architettura la produzione delle immagini trascende infatti la tradizionale distinzione tra virtuale e reale. Se l’architettura, infatti, non è più solamente un fatto di costruzione, ma l’incarnazione di valori, ideologie e affetti, allora la produzione delle immagini va capita come un fatto sostanziale rispetto all’architettura nella sua forma reale. Questo diventa specialmente vero alle presenti condizioni, in cui cioè comunicazione e rappresentazione incarnano l’assetto sostanziale della nostra economia politica. Le immagini non sono solamente simulacra della realtà, ma hanno dunque una realtà materiale loro stesse. Sono cioè cose tra le cose.5 Se infatti informazione e conoscenza sono, come gli oggetti fisici, parte dello stesso campo di relazioni affettive, cade la distinzione tra virtuale e reale intesi come forme di produzione ben distinte. Da quando la diffusione della disciplina architettonica avviene principalmente attraverso materiali visuali come fotografie, disegni, renderings e diagrammi, questa condizione è riflessa nelle forme degli edifici stessi, che sembrano essere stati disegnati come immagini tridimensionali meglio appropriate per essere esperienziate come riproduzioni che come costruzioni fisiche. In effetti, gli edifici più celebrati oggi sono conosciuti attraverso le loro rappresentazioni. Principalmente fotografie, ma non solo. Infatti, disegni e modelli, che siano fisici o virtuali, non sono affatto l’unico mezzo di rappresentazione a disposizione degli architetti. I testi, ad esempio, sono spesso un mezzo sottovalutato nella descrizione dell’intento architettonico e, anche quando usato, ha spesso un fine esplicativo più che espressivo, senza troppo contribuire all’aspetto creativo o concettuale. Un eccezione a ciò, d’altra parte, è la tendenza a dare nomi agli edifici, che questo sia deciso formalmente dagli architetti, oppure informalmente da chi ne usufruisce. Soprannomi come “The Shard”, “Falling Water”, “Flatiron Building”, sono potentemente suggestivi e ascrivono significato e qualità che possono essere abbracciate o meno nell’architettura “reale” in cui sono proiettati. Dunque cosa fa credere ancora che architettura e narrativa non siano conciliabili? Forse il fatto che un edificio non abbia uno “svolgimento” nel tempo come film o racconti.

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6 Le Corbusier ha addirittura inventato un espediente quasi letterario per raccontare come lo spazio si riveli poco a poco al visitatore, la promenade architecturale 7 Beatriz Colomina. 1996. Privacy and Publicity: Modern Architecture as Mass Media, The MIT Press, Cambridge 8 “Take a page. Like this page. Now cut down the middle and cross the middle. You have four sections: 1234... one two three four. Now rearrange the sections placing section four with section one and section two with section three. And you have a new page. Sometimes it says much the same thing. Sometimes something quite different”. Bourroughs, William, and Gysin, Brion. 1961. “The cut-up Method of Brion Gysin”, in Thomas Parkinson, A casebook on the Beat, Cromwell, New York, 1961, pp. 105-106 9 Barthes, Roland. 1977. “The Death of the Author”, in Image Music Text. Fontana Press, London, p. 146 10 “-Io parlo parlo, - dice Marco, - ma chi m’ascolta ritiene solo le parole che aspetta. Altra è la descrizione del mondo cui tu presti benigno orecchio, altra quella che farà il giro dei capannelli di scaricatori e gondolieri sulle fondamenta di casa mia il giorno del mio ritorno, altra ancora quella che potrei dettare in tarda età, se venissi fatto prigioniero da pirati genovesi e messo in ceppi nella stessa cella con uno scrivano di romanzi d’avventura. Chi comanda al racconto non è la voce: è l’orecchio”. Calvino, Italo. 1993. Le città Invisibili. Arnoldo Mondadori Editore, Milano. p. 137

O, quanto meno, non ad un livello esplicito. Infatti, lo spazio certamente contiene associazioni temporali, sia come e cosa cambia di un edificio nel corso del tempo, sia ad un livello esperienziale.6 La creazione di un edificio è spesso percepita come un processo lineare che attraversa diverse fasi: fare valutazioni, sviluppare un concept, fare evolvere la progettazione attraverso disegni e modelli. Man mano che ci si inoltra in questo processo, si ferma quella che comunemente viene definita come parte creativa per lasciare via via più spazio a considerazioni tecniche e contrattuali. E così, se la progettazione è la parte iniziale, la costruzione quella centrale, la vita di un edificio diventa la parte finale, fino a iniziare nuovamente il ciclo vitale con la riprogettazione dell’esistente. Ma quanto questo schema mentale corrisponde a verità? La linearità del progettare è messa in discussione anche da Beatriz Colomina,7 la quale contesta che la costruzione fisica di un edificio è solamente uno dei modi possibili di rappresentazione dell’architettura. Sostiene infatti che il luogo della produzione architettonica si è spostato dall’ambiente costruito ad altri media, come film, fotografia, e giornalismo: “a displacement that presupposes a new sense of space, one defined by images rather than walls”. Disegni, specifiche, fotografie, modelli e testi scritti sono dunque tutte altre manifestazioni possibili di un singolo archetipo platonico, ed ognuna di queste possono non essere meno rappresentative dell’architettura dell’edificio fisico. In altri campi, la demolizione di narrative sequenziali come dogma è un fatto di concezione per nulla affatto nuova. Una dimostrazione sono i cut-up8, o tagliuzzamenti, di William Burroughs e Brion Gysin. Ispirati dagli esperimenti Dada degli anni ‘20, i due applicano le tecniche del collage ai testi. La tecnica cut-up è una potente reazione alla linearità, dimostra infatti come la giustapposizione di elementi aleatori può condurre a esiti originali o sorprendentemente coerenti affidandosi ad associazioni poetiche ed immaginarie. Inoltre, l’autore non può prendersi nessuna responsabilità sul risultato a cui è pervenuto. Nel 1967 Roland Barthes9 pubblica La mort de l’auteur, rivendicando l’indipendenza del testo dal proprio autore, dando maggior potere al lettore che sarà così in grado di distillare una lettura personale ed unica da una molteplicità di livelli e significati: “Ora sappiamo che un testo non è una fila di parole relazionate ad un singolo significato “teologico” (il messaggio del Dio-Autore), ma uno spazio multi-dimensionale in cui una varietà di scritti, nessuno dei quali originale di per sé, si scontrano e si mescolano. Il testo è una tela di citazioni disegnata dagli innumerevoli centri di cultura”. E così, quando a Marco Polo10 viene chiesto se avrebbe raccontato le stesse cose alla propria gente una volta rimpatriato, Calvino richiama Barthes, spiegando che ci sono tante versioni di una storia quanti spettatori.

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× VICTIMS > 1.III DEFINIZIONE 8.ARCHITECTURAL CONSPIRACY 10.BABEL 16.CINEMA 18.CLICHÉS 24.CURATORIAL PRACTICE 30.EFFLUVIO MAGNETICO 47.IMMAGINARIO COLLETTIVO 55.MANIPULATION 60.MITOLOGIA 62.NARRATIVE ARCHITECTURE 67.NOMADISMO OGGETTUALE 71.PARAMNESIA 83.RADICAL NOTES 90.SCREENPLAY


VICTIMS

pagina affianco: John Hejduk, schizzi delle strutture di Victims in varie relazioni e combinazioni, 1986 1 Abbott, A. Edwin. 1966. Flatlandia, Racconto Fantastico a più dimensioni. Adelphi Edizioni, Milano 2 Manganelli, Giorgio. “Un luogo è un linguaggio”, in Abbott, A. Edwin. 1966. Flatlandia, Racconto Fantastico a più dimensioni. Adelphi Edizioni, Milano, p. 156 3 Hejduk, John. 1986. Victims. Architectural Association, London 4 Masque, genere teatrale. it.wikipedia.org/wiki/Masque_(genere_teatrale)

Nella sua celebre novella, Edwin A. Abbott crea in due dimensioni il mondo di Flatlandia,1 i cui abitanti consistono in linee, punti, e poligoni. Con il sottotitolo di “racconto fantastico a più dimensioni”, il libro, scritto nel 1884, è al contempo un trattato matematico sulla percezione dimensionale ed una sagace satira che si propone di esaminare il sistema delle classi e la sessualità in epoca vittoriana. Il racconto inizia dunque con un foglio di carta bidimensionale, occupando un territorio tra reale e surreale che descrive narrative “immorali, licenziose, anarchiche e non-scientifiche”, tra il bon mot e l’Apocalisse: uno spazio assai ampio, abitato da mostri tremendi quanto sommessi. La Flatlandia, la terra bidimensionale abitata da figure totalmente piatte, è appunto un invenzione in senso rigoroso: scoperta e delimitazione di uno spazio astratto mediante la creazione di un linguaggio. Un luogo è un linguaggio: noi possiamo essere “qui” solo accettando le regole linguistiche che lo inventano. Essendo il porsi di un linguaggio arbitrario e non deducibile, i diversi linguaggi indicheranno luoghi totalmente discontinui. Come appunto è la Flatlandia, nei confronti di qualsiasi luogo umano2. John Hejduk ha prodotto quello che si potrebbe dire un corrispettivo in forma di progetto architettonico con Victims3. Egli ha creato infatti un linguaggio, richiamando il masque, forma di rappresentazione teatrale in voga nell’Inghilterra del XVI e XVII secolo, che conosce la sua fortuna e la sua elaborazione compiuta in Inghilterra, grazie soprattutto al drammaturgo Ben Jonson. Da principio il masque è essenzialmente un corteo di maschere che suonano, ballano e invitano gli astanti a partecipare a danze e giochi. In un secondo momento il corteo viene introdotto da un prologo in versi. Ben Jonson ne fa una vera e propria rappresentazione teatrale, costituita da una serie di situazioni allegoriche con un loro apparato scenografico.4

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5 introduzione a: Hejduk, John. 1986. Victims. Architectural Association, London, p. I 6 Barthes, Roland, and Duisit, Lionel, “An Introduction to the Structural Analysis of Narrative”, New Literary History, Vol. 6, No. 2, on Narrative and Narratives (Winter, 1975), p. 242

Le maschere di Hejduk, sotto forma di architetture, abiteranno -oppure no- una determinata area di Berlino. Un luogo che può essere creato in trent’anni, incrementale nel tempo e nello spazio, in cui architetture-abitanti-natura sono legati dalle stesse decisioni e, conseguentemente, evoluzioni. Una griglia ideale, su cui ogni punto vengono piantati giovani alberi, marca lo spazio su cui si articolano potenzialmente 67 maschere-strutture, il catalogo delle quali è presentato alla Città e ai Cittadini di Berlino. Una possibilità è che tutte queste 67 strutture possano venire costruite nel corso del trentennio, un’altra è che nessuna di queste venga mai realizzata. Esiste una terza possibilità: che se ne costruisca solamente una parte. Ogni struttura è stata nominata.5 Hejduk articola la narrativa del progetto come una pièce teatrale, e, allo stesso tempo, il progetto è la narrativa. Le maschere sono rappresentate tramite testo e disegni, e, di più, sono un compendio di simboli, storia e performance, con lo scopo di condurre chi guarda il progetto ad una più profonda comprensione del ruolo del cittadino nella creazione di una comunità. Come ogni narrativa, ha dunque diversi livelli di lettura e significato, per la precisione quelli che Barthes definirebbe livelli di descrizione.6 Il progetto si struttura in quattro sezioni: un introduzione con il programma temporale, la pianta del sito e la potenziale agenda, i disegni, ed infine gli schizzi delle strutture in diverse configurazioni spaziali. L’introduzione è una descrizione testuale: un copione di un corteo di maschere, e, come in ogni altro copione teatrale, è soggetto ad interpretazioni. E, come una pianificazione urbana, il regolamento non è mai fisso ma sempre soggetto ad aggiustamenti. Una performance teatrale, e, per estensione, urbana, che esiste nel contesto di un tempo specifico ma senza linearità temporale, possiede il proprio senso del tempo e dello spazio. Il primo gesto di Hejduk, da agenda temporale descritta nella seconda parte, è quello di circoscrivere il sito con una siepe. La siepe, con un singolo punto di entrata, mima il muro di Berlino. In effetti, Hejduk ricrea Berlino: non ricreando la grandeur dei palazzi né semplicemente facendo un passivo memoriale delle vittime del Reich. Questo è uno spazio attivo, vivo sui piani della memoria: una città. L’introduzione testuale, è un suggestivo manifesto di pianificazione urbana. La terza sezione di Victims sono i disegni di ogni singola struttura. Questi disegni non appaiono nell’ordine numerico esatto, ma tutti quanti son disegnati in pianta e in prospetto. Niente sezioni: gli interni vanno capiti dalla descrizione di ogni personaggio e dalla storia cui è legato. I disegni formali sono proiezioni ortografiche il cui significato è comunicato attraverso il linguaggio tecnico: spessori di linea differenti, forme, simboli grafici che richiedono l’educa-

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7 Bragdon Gilley, Amy. 2010. Drawing, Writing, Embodying: John Hejduk’s Masques Of Architecture, dissertation submitted to the faculty of the Virginia Polytechnic Institute and State University, Doctor of Philosophy In Architecture Design and Research 8 Manganelli, Giorgio. “Un luogo è un linguaggio”, in Abbott, A. Edwin. 1966. Flatlandia, Racconto Fantastico a più dimensioni. Adelphi Edizioni, Milano, p. 156 9 introduzione a: Hejduk, John. 1986. Victims. Architectural Association, London, p. II

zione dell’osservatore, il quale può leggere il disegno senza bisogno di didascalie o altre spiegazioni testuali. Questo permette al “lettore” di esperienziare l’architettura come se fosse all’interno della struttura, facendo così sforzo d’immaginazione. Infine la quarta sezione sono gli schizzi delle strutture in varie relazioni e combinazioni. Questi disegni, alcuni su carta semplice altri su carta rigata, definiscono il significato di tutto l’apparato fin’ora descritto molto più accuratamente dei disegni tecnici o della pianta complessiva: si chiarisce il fatto che una maschera-struttura non può stare da sola. I limiti e la forma delle strutture devono incontrarsi e trovare tra loro un dialogo.7 In Flatlandia, triangoli omicidi, deliri poligonali, visioni sferiche percorrono la piatta terra senza colore invasa da una luce perenne,8 in Victims, trattori che chiedono pedaggio, telai di apocalittici orologi, bambini come caroselli occupano una griglia che giace su di un terreno assente. La pianta del progetto di Hejduk non è quella di un giardino, né un parco, ma piuttosto una città espressa per mezzo di tre pezzi interrelati: il tradizionale disegno di una pianta, la descrizione scritta della stessa, ed una poesia. La pianta di Victims è un’astrazione, non ci sono indicazioni topografiche, nessun nome di via. Si leggono una serie di “scarabocchi” e sovrapposizioni di linee, come fosse un disegno di Paul Klee, in cui il campo visivo galleggia dietro e davanti alle figure. I movimenti di questo disegno bidimensionale sono tali che sembrano muoversi in tre dimensioni, decollando dalla pagina. “Site is place occupied by something; that something is architecture. The architecture is the layers of an ecological and historical consciousness. Intertwined ghosts of memory haunt each layer of the site. Architecture rises from these layers, considering present, past and future. Architecture is the sites mobility and layered, like twisted folds of time, images, and memory. No site is ever empty. Site is defined by the mark of the human being: a building or the boundary defined by the eye. If sight is the old English for seen, and if what is to see is to “follow with the eyes, then this site can be one in real time or that which is “beheld in the imagination or in a dream.”. And site is defined by what is permitted there, and by what is permitted to be seen. Or by what is let alone there. Or by what the sight is allowed to leave behind”.9 Tutti questi sono segni, sigle di un discorso impersonale, disumano, e insieme intellegibile; dementi e orrendamente ragionevoli, come impeccabili ed insensati esempi grammaticali. Il tempo e la memoria, la prospettiva del pubblico e l’effettivo aspetto della pianta è sempre in un dialogo critico in Victims. Così, il sito va interpretato tra i movimentati livelli del tempo, tra disegni e testo. C’è assenza di viste prospettiche come di dettaglio, le immagini dipendono dai testi e viceversa, la sua forza è la sua mutevolezza.

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× BUILDERATLAS > 2.AGENCY 5.ANTI-CARTESIO 7.APPROPRIATION 10.BABEL 19.CONTINGENZE 25.CUT-UP 27.DÉTOURNEMENT 37.FICTIF 40.FOBIE 43.GROTESQUE 47.IMMAGINARIO COLLETTIVO 57.MERZBAU 60.MITOLOGIA 62.NARRATIVE ARCHTECTURE 77.POST-PRODUCTION


BILDERATLAS

pagina affianco: Aby Warburg con immagini da Mnemosyne nel suo studio, 1929 1 Rossi, Aldo. “La città analoga”, tavola in Lotus, n°13, 1976. pp. 4-7 2 Savinio, Alberto. 1988. Casa «la Vita». Adelphi, Milano

Nel 1976 Aldo Rossi disegna, secondo uno stile che evoca le rovine piranesiane, un paesaggio urbano immaginario composto dal collage di progetti, immagini e luoghi da lui amati. Lo chiama Città analoga, ricordando con questo titolo la mescolanza di desiderio, sogno e ragione presente in ogni originale progetto di architettura. Emergono nostalgie dell’infanzia, simbologie, ossessioni e geografie del territorio, fusi in un collage che dichiara tutto il suo mondo di appartenenza e l’amore speciale per il mondo della Lombardia e della sua storia. Un collezione ragionata ed emozionale al tempo stesso che trascende la memoria per essere contaminata dall’analogia e dall’immaginazione. «Il progetto è forse ritrovare questa architettura dove filtra la stessa luce, il fresco della sera, le ombre di un pomeriggio d’estate».1 L’immaginario diventa dunque progetto. E il progetto diventa occasione per riflettere sulle forme collettive di memoria. Alessandro Mendini, in occasione della mostra da lui curata alla Triennale Design Museum, Quali Cose Siamo, scrive: “La selezione per il Terzo Museo è costituita da oggetti, parti di oggetti, immagini, testimonianze, materie, utensili, situazioni, storie. Un gioco ibrido con sottostrato antropologico. Il tutto a formare un panorama movimentato, con salite e discese, con ritmi, segnali, dissonanze e supposizioni, e anche con labirinti. Un insieme di interferenze, di memorizzatori, di evidenziatori, di catalizzatori. […] Se si parla di umanità come metodo di lavoro, allora un altro metodo parallelo è quello di lavorare per intuizione. Una scelta, una selezione soggettiva. Un’ipotesi un po’ morale nei contenuti e un po’ istintiva nel progetto. Una ipotesi cosciente della sua parzialità. Si è posto lo sguardo sull’intensità degli oggetti concepiti quali racconti, quali elementi “caldi” della storia delle persone, come diceva Savinio: “Casa la vita”.2

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3 Mendini, Alessandro. 2010. Quali cose siamo. Catalogo della mostra alla Triennale Design Museum. Electa, Milano. Mostra dal 27 marzo 2010 - 27 febbraio 2011 4 Martino Gamper, 100 sedie in 100 giorni, 6 Ottobre - 15 Novembre 2009. Triennale Design Museum 5 dall’introduzione a “Atlante di Mnemosyne”, Aby Warburg, 1929. In Mnemosyne. L’atlante della memoria di Aby Warburg. 1988. A cura di Italo Spinelli e Roberto Venuti, Roma

Allora si è sciolta la struttura dura della terminologia omologata (innovazione, sostenibilità, ecologia, eccellenza, riciclo, didattica) e si è insinuata l’esigenza di altre espressioni destrutturate, una terminologia più “vagante”.”3 Viaggiando tra scale e generazioni di progettisti differenti, anche Martino Gamper procede con una metodologia similare, lavorando sulle forme narrative di oggetti esistenti. In particolare, nel suo progetto 100 sedie in 100 giorni,4 egli tenta di trasformarne il carattere e la funzionalità per investigare le potenzialità progettuali che derivano dalla fusione di diversi elementi stilistici e strutturali, a cavallo fra l’artigianato e la ricerca. In 100 giorni ha riconfigurato il disegno di 100 sedie abbandonate e da lui recuperate in un lasso di tempo di due anni. Le sedie derivano da una sorta di “collage” di pezzi di design storici e realizzazioni anonime. Dietro ad ogni sedia c’è una storia e questo progetto mira a sottolineare l’importanza del contesto sociologico, personale, geografico e storico del design. Martino Gamper dunque si serve di codici consolidati per riconfigurarli ponendoli in una nuova prospettiva. Rinnova così non solo la pratica progettuale ma anche la riflessione teorica ad essa collegata. Riaffiora dal lontano 1929, un progetto di grandissima attualità del critico d’arte tedesco Aby Warburg. Così Warburg commenta il suo progetto, Bilderatlas: “Ho dato inizio al progetto di mettere insieme i risultati delle mie ricerche, che hanno a che fare con l’influenza dell’Antico nella cultura europea, in un grande Atlante tipologico. Una pubblicazione di questo genere permetterebbe di fornire una solida cornice, pur sempre elastica, a tutto il mio materiale. […] Sono riuscito a raccogliere il materiale per un Atlante di immagini, nel quale si può vedere, proprio grazie alle immagini, la diffusione della funzione del valore espressivo improntato all’Antico nella rappresentazione dei movimenti della vita esteriore e interiore. […] All’uomo artista, che oscilla tra la visione del mondo matematica e quella religiosa, in modo tutto particolare viene in soccorso la memoria, sia quella della personalità collettiva sia quella dell’individuo: non senza creare un accrescimento di spazio del pensiero, ma rafforzandolo ai poli -limite del comportamento psichico- la tendenza alla quieta contemplazione o all’abbandono orgiastico”.5 Mnemosyne è un atlante figurativo composto da una serie di tavole, costituite da montaggi fotografici che assemblano riproduzioni di opere diverse: testimonianze di ambito soprattutto rinascimentale (opere d’arte, pagine di manoscritti, carte da gioco, etc.); ma anche reperti archeologici dell’antichità orientale, greca e romana; e ancora testimonianze della cultura del XX secolo (ritagli di giornale, etichette pubblicitarie, francobolli). Nel Bilderatlas, che contiene un migliaio di fotografie sapientemente composte e assemblate, le immagini sono

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6 “Mnemosyne: l’Atlante della Memoria di Aby Warburg”, in Engramma n°35, agosto-settembre 2004. Ultimo accesso 10 luglio 2014. www.engramma.it 7 Claudia Cieri, “Aby Warburg e il dramma barocco”, in Aisthesis-pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico. 2010. p. 31. Ultimo accesso 10 luglio 2014. www.aisthesisonline.it

oggetto privilegiato di studio in quanto sono un modo immediato di “dire il mondo”. Come nella visione rossiana, l’immagine è il luogo in cui più direttamente precipita e si condensa l’impressione e la memoria degli eventi. Dotate di un primordiale potere energetico di evocazione, in forza della loro vitalità espressiva, le immagini costituiscono i principali veicoli e supporti della tradizione culturale e della memoria sociale, che in determinate circostanze può essere “riattivata e scaricata”. Nell’Atlante la giustapposizione di immagini, impaginate in modo da tessere più fili tematici attorno ai nuclei e ai dettagli di maggior rilievo, crea campi di energia e provoca lo spettatore a un processo interpretativo aperto: “la parola all’immagine” (zum Bild das Wort). Mnemosyne è dunque una macchina, una sorta di gigantesco condensatore in cui si raccolgono tutte le correnti energetiche che hanno animato e ancora animano la memoria dell’Europa. L’Atlante è l’ultimo progetto di Aby Warburg. A partire dalle raccolte di immagini preparate, Warburg approntò l’opera in forma di un atlante che doveva essere corredato da testi esplicativi e in seguito pubblicato dall’editore Teubner, probabilmente in una collana che già ospitava atlanti figurativi, archeologici e di altro genere. Al momento della morte, nel 1929, Warburg lasciò un menabò incompleto (i 63 pannelli dell’ultima versione), l’abbozzo di una Introduzione e una serie di appunti raccolti poi dalla sua collaboratrice Gertrud Bing.6 Anche qui, come è stato illustrato per i progetti precedenti, la scelta dell’autore ha un ruolo chiave. Nei pannelli dell’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg hanno grande importanza la selezione delle immagini, la strategia compositiva di ogni tavola, l’orchestrazione dell’opera nel suo insieme. Come è stato messo in evidenza nell’allestimento Mnemosyne ritrovata (Venezia, Fondazione Levi 2004) l’opera-Atlante è pensata nel suo insieme come un grande racconto per fasi, dai fili tematici e cronologici intrecciati, che mette in scena il rapporto tra l’attualità dell’opera d’arte e la relazione con i modelli: l’Atlante rappresenta, per figuras, meccanismi della tradizione classica in un ambito geografico che ha il suo centro nel bacino del Mediterraneo e in un arco cronologico che va dalla protostoria delle civiltà mediterranee fino alla contemporaneità. Il confronto fra le diverse fasi del Bilderatlas e soprattutto tra l’ultima fase cui Warburg mise mano, documentata dalla campagna fotografica del 1929 e la versione Daedalus ricostruita nel 1993, rivela quanto sia importante, nel montaggio di ogni singolo pannello, la spaziatura tra le immagini che corrisponde a una sorta di punteggiatura del racconto: in ogni tavola proprio su quei margini -Denkraum, spazio per il pensiero- le immagini si contendono fra di loro ruolo e spazio per la sopravvivenza: nel gioco dell’Atlante si mette in scena il teatro della Memoria.7

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MANIPULATE: 1. TO MOVE, ARRANGE, OPERATE, OR CONTROL BY THE HANDS OR ANOTHER BODY PART OR BY MECHANICAL MEANS, ESPECIALLY IN A SKILLFUL MANNER: “SHE MANIPULATED THE LIGHTS TO GET JUST THE EFFECT SHE WANTED”. SEE SYNONYMS AT HANDLE. 2. TO INFLUENCE OR MANAGE SHREWDLY OR DEVIOUSLY: “HE MANIPULATED PUBLIC OPINION IN HIS FAVOR”. 3. TO TAMPER WITH OR FALSIFY FOR PERSONAL GAIN: “HE TRIED TO MANIPULATE STOCK PRICES”. 4. MEDICINE TO HANDLE AND MOVE IN AN EXAMINATION OR FOR THERAPEUTIC PURPOSES: “MANIPULATE A JOINT; MANIPULATE THE POSITION OF A FETUS DURING DELIVERY”.


MANIPULATING


× CUT-UP CITY > 6.ANTI-FORM 10.BAZAAR 13.CANNIBALISMO 19.CONTINGENZE 25.CUT-UP 26.DÉRIVE 29.DOGMATIC 32.EURISTIC PATTERN 57.MERZBAU 60.MITOLOGIA 77.POSTPRODUCTION 84.RECYCLING CITY 84.REINVENZIONE 85. RESILIENCE 100. WORLD CULTURE


CUT-UP CITY

pagina affianco: Brion Gysin & William Burroughs, cut-up tratto da The Third Mind, 1965. Pubblicato per la prima volta nel 1978, The Viking Press, New York 1 Anderson, Chris. “In the Next Industrial Revolution, Atoms Are the New Bits”. Wired, Febbraio 2010. www.wired.com/2010/01/ff_newrevolution/ 2 Branzi, Andrea. “L’allestimento come metafora di una nuova modernità”, in Lotus n°115, Dicembre 2002, pp. 96-101 3 Andrea Branzi in Doherty, Gareth, e Mostafavi, Mohsen. 2010. Ecological Urbanism. Lars Muller Publisher, Zurigo, p. 110

Da WikiLeaks agli mp3, la tecnologia digitale ha trasformato in modo irreversibile il concetto di proprietà, paternità, copyright, commercio e, in definitiva, la nozione stessa di autenticità. E questo pare solo l’inizio di un mutamento epocale nei nostri rapporti con gli oggetti: non è lontano il momento il cui la stampa digitale 3D trasformerà radicalmente produzione e distribuzione, allo stesso modo in cui iTunes e i lettori mp3 hanno rivoluzionato il nostro rapporto con la musica.1 L’ottimismo della modernità si trasforma nell’entusiasmo del suo fallimento? Si lavora in casa, si abita in ufficio, si commercia nelle abitazioni, si studia nelle fabbriche, si organizzano servizi nei magazzini, si fanno musei nei gasometri: questa rivoluzione non produce fenomeni vistosi dal punto di vista del paesaggio urbano, ma corrisponde a processi tettonici profondi, continui spostamenti e bradisismi interni all’intero motore della città.2 Sembrano interiorizzati lo sradicamento funzionale rispetto alle previsioni d’uso, i cambiamenti continui e costanti, il metabolismo urbano che fagocita e muta, ma quali caratteri ha accettato la cultura del progetto rispetto a questi temi? Andrea Branzi asserisce che la qualità della città è data dalla qualità dei propri oggetti domestici, strumenti, servizi, prodotti esposti nelle vetrine, persone, fiori nei vasi, e che la nuova centralità disciplinare è nelle trasformazioni urbane, in tutto ciò che è sovrastrutturale e transitorio.3 Si progettano con questi sistemi sovrascritture a livelli diversi, dal sistema oggettuale e allestitivo, alle energie della città. Si indaga la resilienza di un ecosistema urbano: la capacità di ripristinare l’omeostasi, la condizione di equilibrio del sistema, a seguito di interventi che possono provocare un deficit ecologico, ovvero l’erosione della consistenza di risorse che il sistema è in grado di produrre rispetto alla capacità di carico. Si manipolano fonti eterogenee, brani

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4 Kosko, Bart. 2002. Il fuzzy-pensiero. Teoria e applicazioni della logica fuzzy. Dalai Editore, Milano 5 Koolhaas, Rem, Harvard Project on the City. 2000. Mutations. Actar, Barcellona 6 Maas, Winy; Batstra, Brent; van Bilsen, Arthur; Pinilla, Camilo; Graafland, Arie; MVRDV (Delft School of Design), MIT-Department of Architecture, Berlage institute, cThrough, 2007. Spacefighter: the evolutionary city. Actar, Barcelona 7 ibid. p. 23 8 Koolhaas, Rem, Harvard Project on the City. 2000. Mutations. Actar, Barcellona. p. 309-310

frantumati di scenario collettivo, ogni volta considerandole non come fatti indiscutibili, ma come strutture precarie da utilizzare come strumenti per realizzare nuove scenografie urbane, senza distinguere tra il lavoro proprio e quello degli altri. L’operazione prima è quella del campionamento (sampling), che Nicolas Bourriaud chiama anche “scontornare”, ovvero: sradicare, innestare, decontestualizzare parti, per produrre nuovi usi (remaking), editing di narrative storiche e ideologiche, che creino scenari alternativi. La città dunque non è un contenitore di oggetti e funzioni nel quale ciascuna cosa trova il suo posto specifico, ma uno spazio le cui tradizionali giustapposizioni dualistiche -compresa talvolta anche quella di carattere morfologico di figura e sfondo, di oggetto e di suolo si fanno sfumate, fuzzy,4 e conseguentemente anche gli oggetti (progetti) perdono parte della loro chiusura, divengono aperti e rinviano sempre a qualcos’altro da vedere, altri significati, altri usi, in un meccanismo postproduttivo continuo. Costruiamo dei miti per traghettare frammenti, ma cosa significa progettare produzioni a posteriori per le città? Da Mutations5 di Koolhaas, a Space Fighter6 di MVRDV, si indaga sul territorio urbano come fosse una piattaforma di gioco, un’esplorazione attraverso un sistema entropico che vuole modellare il processo interattivo oltre la costruzione di uno scenario, concordi che nel paradigma urbano “change seems one of the very few constants”.7 L’attenzione è posta dunque sulla crescita e sviluppo delle città, e quelle condizioni spontanee che, in quanto tali, non consumano molta energia né materiali, ma vengono improvvisate, ed esse coesistono con la modernità. Rem Koolhaas in Mutations asserisce che sta diventando sempre più importante per gli architetti operare ad un livello indipendente dall’architettura per poter capire i principi che stanno alla base di fenomeni che interessano lo sviluppo dell’architettura e della città.8 Il primo passo sembra dunque quello di comprendere le condizioni minime alla base dei mutamenti del sistema urbano. D’altra parte pensatori ed artisti hanno sempre agito su questa linea di principio: Baudelaire aveva esaltato la bellezza effimera della città, i futuristi la simultaneità, i situazionisti avevano concepito la città come sito del movimento dinamico e del disorientamento comportamentale. In tutte queste visioni è centrale l’idea di tempo, in cui hanno scorto il riflesso maggiore dell’elasticità in contesto urbano: il tempo è la materia flessibile e soggettiva per eccellenza, una sovrascrittura immateriale alle strutture fisiche della città, che ricevono da esso informazioni e cambiamenti. Oggi, l’elasticità è data dalla rete di comunicazione, la quale provoca molti cambiamenti che, se ben articolati, rafforzano la resilienza della città. Anche il concetto di continuità oggi ci appare molto più dinamico, poiché con questa parola non si intende l’ordine ortotropo della città pianificata, chiara

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9 “Not the continuity of the planned, efficient, and legitimized city, but of the flows, the energies, the rhythms established by the passing of time and the loss of limits […]. We should treat the residual city with a contradictory complicity that will not shatter the elements that maintain its continuity in time and space”. Ignasi de Sola-Morales, “Arquitectura líquida”, Revista de Critica Arquitectònica n°5 (2001), p. 24 10 Farina, Vincenza. 2005. In-between e paesaggio, condizione e risorsa del progetto sostenibile. FrancoAngeli, Milano. p. 16 11 Merzbau é stato creato negli anni dal 1920 al 1936 nell’ appartamento di Kurt Schwitters, nella Waldhausenstrasse 5A a Hannover. Cominciò nel suo atelier e si é esteso, fino alla partenza di Kurt Schwitters per la Norvegia nel 1936, nei locali adiacenti dell’ appartamento, e nell’ appartartamento due piani sopra, sulla veranda, nel semi interrato sottostante ecc.

ed efficiente, quanto piuttosto quella dei flussi, delle energie, dei ritmi che scorrono nel tempo, senza confinarsi. Qualsiasi scarto urbano, che sia un edificio in stato di abbandono o uno spazio residuale, possiede questo senso della continuità.9 Dovremmo pensare ai déchets urbani come spazi ricchi di potenziale connettivo con la città, occasioni per produrre forme altre, programmi innovativi, spazi inaspettati. Infatti, un ecosistema come una città, ovvero qualsiasi sistema di ordine costituito, sarebbe spaventosamente chiuso, coercitivo e privo di vita senza la presenza di un’anomalia, un’interferenza necessaria che nei sistemi coevolutivi assicura a questi la capacità di auto-organizzarsi e dunque vita ed evoluzione.10 Il sistema urbano è un organismo adattivo complesso, che ha di per sé autonomia e capacità autoorganizzativa, ed il ruolo del progetto dovrebbe essere più aperto proprio per consentire questo metabolismo. Un pattern euristico, aperto, intuitivo e analogico, dovrebbe prendere forma dall’interazione tra architettura, urbanistica, e scienza delle comunicazioni. Non si tratta di un progetto fatto e finito, ma di una sorta di processo continuo, e costante nel suo ritmo, assomigliante più al Merzbau11 di Kurt Schwitters che alla pianificazione modernista. Merzbau è un progetto di curatela costante, che vive riciclandosi in se stesso alterato giorno per giorno, in cui la nuova temporalità nel meccanismo ne modifica la spazialità. Merzbau genera per frutto di un desiderio relazioni all’infinito senza momento terminale; il progetto è il processo stesso, un sistema continuo e metabolico che ingloba differenti tempi e differenti materie. Merzbau è totalmente resiliente, essendo capace di accogliere nella sua permanente evoluzione qualsiasi tipo di mutazione, qualsiasi deformazione spaziale e temporale, in cui nulla è determinante: né gli oggetti che incorpora, né la configurazione ottenuta. Merzbau è manifesto di assimilazione più che selezione, esso ridistribuisce come un meccanismo per fare uscire e sfruttare informazioni, rumori e comunicazioni parziali, instabili, inaffidabili. Merzbau non possiede gerarchie e non ha preferiti, ama celebrità e falliti. Merzbau è una creatura multiforme, trasformabile, pre-digerita, un assemblaggio da mezzi vari. Merzbau è cannibale, si nutre di altro sé, spezzettato e ricomposto in un nuovo ordine, basato sul principio secondo cui l’accoppiamento innovativo di due oggetti e immagini precedentemente non collegate attribuisca un nuovo significato a entrambe. Merzbau è un paesaggio operativo in cui la produzione è da considerarsi sempre una risorsa e mai uno scarto, ed ogni debolezza è occasione per immettere identità nuove e simboli alieni il cui inaspettato accoppiamento suggerisce nuove narrazioni. Merzbau è la postproduzione continua di sé stesso, in cui si annullano definitivamente i confini tra progetto e processo, composizione e programmazione.

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× FUTURO PREGRESSO > 2.AGENCY 7.APPROPRIATION 9.AVANGUARDIA PERMANENTE 11.BABEL 15.CHAOS 26.DÉRIVE 49.INTERFERENZE NECESSARIE 54.MACCHINA COMBINATORIA 55.MANIPULATION 66.NEW ORDER 70.ORDINE RIZOMATICO 77.POSTPRODUCTION 84.RECYCLING CITY 89.SCENARIO 99.WASTELAND


FUTURO PREGRESSO

pagina affianco: “Futuro Pregresso”, Enrico Forestieri, Ludovica Niero, Gennaro Postiglione. 1 Manifesto per Op-position, call indetta della ricerca PRIN Re-cycle, pubblicato nel libro in due volumi Re-cycle Op-positions, a cura di Sara Marini e Sissi Cesira Roselli, 2014, Aracne Edizioni. pp.102-103 2 Bourriaud, Nicolas. 2004. Postproduction: come l’arte riprogramma il mondo. Postmedia books, Milano. p.14

Il manifesto Futuro Pregresso,1 è stato pensato per costituire la sintesi di una tesi sul tema recycling partendo da una coppia oppositiva di concetti: noto/innovativo. L’idea di trasferire il sampling and remaking2 all’architettura, ovvero la postproduzione di forme fisiche e mentali esistenti come scenario teorico, tecnico e culturale di riferimento nella cultura del progetto, passa attraverso l’allegoria dei tarocchi per denunciare la possibilità che ogni forma di futuro possa ammettere o includere una forma di regressione, comportando così un indebolimento dell’opposizione noto/innovativo, che si riferisce invece a un tempo lineare. I tarocchi sono una macchina narrativa combinatoria, apparato di un laboratorio imperfetto che opera come editore contemporaneo di forme, idee e immagini, con cui tracciare scenari tematici di frammenti noti ma ricomponibili e riconfigurabili in un ordine sempre nuovo. Le carte sono simboli esoterici (in senso stretto, cioè iniziatrici di verità nascoste) che casualmente combinate compongono un ritratto complessivo atto ad una risposta. Il significato di ogni singola carta dipende dalla posizione che essa ha nella successione di carte che la precedono e la seguono, provocando perciò squilibri nelle suggestioni narrative e influenzando eventi collettivi e particolari. Si tratta di una modalità di intervento sull’esistente dall’equilibrio debole, basata sulla raccolta temporanea e nomadica di materiali precari che definiscono come permanente il soggetto, ma in continua evoluzione la lettura del suo contenuto. Questa “innovazione progettuale retroattiva” compie operazioni di campionatura e manipolazione del mondo, tali da ricomporne la narrativa con logiche altre fino al punto di reinterpretare anche quelle che l’hanno preceduta. In questo contesto operativo e metodologico, qualsiasi manufatto non viene più considerato punto terminale del processo creativo, ma sito di navigazione e negoziazione permanente, una postproduzione

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3 ibid. p.13 4 Calvino, Italo. 1999. Il castello dei destini incrociati. Mondadori, Milano

di forme fisiche e mentali esistenti. Crescendo in un universo di prodotti in vendita, di forme pre-esistenti, di segnali già emessi, di edifici già costruiti, di territori fisici e mentali già battuti, non si considera la cultura del progetto come un museo che contiene opere da citare o superare, come richiedeva l’ideologia modernista del progresso, ma come tanti magazzini riempiti di utensili da usare, stoccaggi di informazioni da manipolare per essere poi rimesse in scena.3 Si manipola a cominciare dalla produzione, navighiamo in una rete di segni, inseriamo le nostre forme su linee esistenti per produrre riedizioni contemporanee degli scenari in cui viviamo. Le categorie di passato-presente-futuro ne vengono indebolite così come il loro legame di linearità e necessità, mettendo in discussione l’idea stessa di futuro come progresso inevitabile o necessario e mandando in frantumi la coppia oppositiva noto/innovativo tradizionalmente ad esso connessa. Il ricorso ai tarocchi diventa l’unica ipotesi sostenibile in grado di generare una siffatta idea di futuro, essi scorrono in modo imprevedibile tra le dimensioni temporali, attingendo il loro significato da una dimensione atemporale, ambiguamente contestuale e responsive, proiettando innumerevoli futuri deboli senza generare significati autonomi. I tarocchi sono infatti collocabili in un passato idealizzabile quanto aspecifico, sono di origine incerta e propongono innumerevoli varianti esoteriche. I tarocchi non generano significato autonomo, ma è il Medium che interpreta le carte creando un significato. Il Medium, proprio come il progettista, stabilisce un’intima relazione con il presente e la personalità di chi interroga le carte. Per abbassare la pretesa di autorialità nella lettura dei tarocchi ci vuole uno strumento, in bassa definizione, con il giusto grado di duttilità, che permetta la trasmissione di informazione ad alta definizione, attinta da dimensioni ambigue e non binarie: televideo, che, inspiegabilmente oggi, a suo tempo è stato un futuro. Nella sua automazione e impersonalità il televideo accentua il valore del processo combinatorio e relazionale delle carte. La coppia, tarocchi e televideo, o meglio, tarocchi in televideo, che è una coppia oppositiva di per sé, vede indebolito sia le categorie temporali, sia il concetto di autorialità: permette infatti un mix di alta (le carte antiche minuziosamente disegnate) e bassa (scritte a pixels giganti) definizione. Infine, il medium impersonale e ormai “passato di moda” restituisce una sorta di atemporalità a cui le carte di per se stesse fanno riferimento, e le frasi sotto l’immagine legano i vari livelli di significato. Italo Calvino pubblica Il castello dei destini incrociati4 nel 1969, per l’editore Franco Maria Ricci, di Parma, come libretto di accompagnamento a una lussuosa edizione di un mazzo di tarocchi del XV secolo noti con il nome di Tarocchi Visconti-Sforza,

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5 “Mi sono applicato soprattutto a guardare i tarocchi con attenzione, con l’occhio di chi non sa cosa siano, e a trarne suggestioni e associazioni, a interpretarli secondo un’iconologia immaginaria. Quando le carte affiancate a caso mi davano una storia in cui riconoscevo un senso, mi mettevo a scriverla; accumulai così parecchio materiale [...] ma non riuscivo a disporre le carte in un ordine che contenesse e comandasse la pluralità dei racconti; cambiavo continuamente le regole del gioco, la struttura generale, le soluzioni narrative. Stavo per arrendermi, quando l’editore Franco Maria Ricci m’invitò a scrivere un testo per il volume sui tarocchi viscontei. [...] Provai subito a comporre con i tarocchi viscontei sequenze ispirate all’Orlando Furioso; [...] bastava lasciare che prendessero forma altre storie che s’incrociavano tra loro, e ottenni così una specie di cruciverda fatto di figure anziché di lettere, in cui per di più ogni sequenza si può leggere nei due sensi”. Dall’introduzione a Calvino, Italo. 1999. Il castello dei destini incrociati. Mondadori, Milano 6 Citazione di Italo Clavino in “Caos e destino della narrazione. Il castello dei destini incrociati di Italo Calvino”, articolo di Chiara Fratantonio. Ultimo accesso 4 Luglio 2014. www.flaneri.com/index.php

anche se il lavoro di Calvino sui tarocchi era già iniziato da tempo.5 Si tratta di una raccolta di dodici racconti brevi, in cui diversi personaggi raccontano la propria storia attraverso le carte che li rappresentano, seduti attorno a un tavolo. Calvino apre al lettore la sua fucina creativa, lo accompagna tra i personaggi che attendono di essere chiamati in causa, come attori dietro i pesanti tendaggi delle quarte: il re di denari, la forza, il penduto, la donna di bastoni, la temperanza: una dopo l’altra le carte vengono poggiate sul legno come tasselli di un mosaico fino a formare il misterioso disegno che trova spazio nelle ultime pagine di ciascuna sezione, le miniature dei tarocchi sono presenti anche ai margini delle pagine e pongono immediatamente sotto gli occhi del lettore l’immagine della carta scelta, per aiutarlo a seguire ogni storia, ma anche per stimolarlo a immaginare un diverso sviluppo. Alcune situazioni si ripetono più volte, rispondendo alle necessità di comprensione e memorizzazione semplice della trasmissione orale. Nel 1973 Calvino, durante il suo soggiorno parigino, era entrato a far parte dell’OuLiPo, Ouvroir de Littérature Potentielle, un organismo di ricerca sperimentale fondato da matematici appassionati di letteratura, e letterati appassionati di numeri, che aveva l’obiettivo di applicare strutture numeriche e formule matematiche alla creazione di opere letterarie. Un piccolo nucleo di pensatori, inserito in un contesto più ampio di riflessione in cui l’idea che l’opera letteraria potesse essere una combinazione, il risultato di un’operazione affidata al lettore, si era già diffusa ampiamente con il nome di Letteratura combinatoria interessando intellettuali e scrittori del calibro di Borges e Perec. Il testo non si definisce in una forma fissa nel momento in cui passa dallo scrittore al lettore, ma si apre continuamente a nuove possibilità poiché è fatto di elementi, di tessere che possono essere smontate e rimontate alimentando un processo creativo che non finisce. Nel caso specifico de Il castello dei destini incrociati, la carta, considerata in quanto tassello numerico, ha un numero di collocazioni limitato. Il numero di interpretazioni che si possono dare alle carte accostate, invece, è infinito. Mentre lui, Calvino, che veste i panni dell’autore-testimone, davanti a un numero così grande di possibilità narrative diventa paradossalmente impotente poiché osserva attraverso il filtro visivo del personaggio in cui si incarna l’intreccio da lui stesso creato senza poter prevenire gli eventi o pregiudicare eventuali sviluppi, almeno fin quando non arriva il suo turno. Le carte da lui disposte in successione originano una storia che è la storia di tutti gli autori contemporanei, che cercano materia sempre nuova da plasmare, ma devono necessariamente fare i conti con un passato già scritto, “un sottosuolo che appartiene alla specie, o almeno alla civiltà, o almeno a certe categorie di reddito”.6

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× ECOSISTEMA ARTIFICIALE > 4.ANARCOMY+ 7.APPROPRIATION 12.CALCULATED UNCERTAINTY 17.CIVILTÀ INDUSTRIALE 19.CONTINGENZE 46.IDEOLOGICAL APPARATUS 50.INTERHUMAN SPHERE 73.PATRIMONIO RELAZIONALE 79.POTENTIALITY 89.SCENARIO 90.SCREENPLAY 92.SPAZIO NARRATIVO 95.TENSIONE CREATIVA 98.URBAN ECOLOGY


ECOSISTEMA ARTIFICIALE

pagina affianco: Buckminster Füller, The Climatron in St. Louis, 1960. Gigantesca cupola geodesica che ospitava i giardini botanici della città 1 Bruno Latour. 2003. “Atmosphère, Atmosphère”, in Olafur Eliasson: The Weather Project, ed. Susan May, London, Tate. pp. 29-41 2 Sylvia Lavin. 2011. Kissing Architecture. Princeton University Press. pp. 109-110

Bruno Latour sostiene che la differenza sostanziale tra interno ed esterno abbia perso di significato nel tempo.1 I fenomeni culturali -dall’inquinamento ai mezzi utilizzati anche nelle più remote località della terra- hanno snaturato l’esterno proprio come l’aria condizionata ha trasformato l’interno in un ecosistema artificiale. Come risultato, l’interno non può più essere inteso come un luogo teorico di sperimentazione, proprio come l’esterno non può più essere inteso come il luogo dell’esperienza. Ma, dire che ora tutto è un interno, per Latour, significa innanzitutto ammettere che sia la scienza che la natura appartengono al dominio politico, il quale appro-fitta dell’associazione culturale dell’esterno come esperienza diretta e dell’interno come luogo del controllo. Se non c’è esterno, significa che non esiste alcuna verità naturale, ma possiamo provare solo emozioni mediate e preconfigurate. La descrizione di Latour di un mondo oggi caratterizzato da una molteplicità di ambienti definiti da diversi modelli di controllo climatico sarebbe un alleato potenzialmente utile all’architettura. Perciò, mentre non esiste sempre una buona ragione per stabilire una chiara divisione concettuale tra interno ed esterno, i suoi limiti possono produrre risultati politici e strumenti culturali migliori o peggiori. Per l’architettura oggi risulta importante sviluppare diverse strategie per comprendere come gli edifici condizionano i nostri continui cambiamenti climatici, le superfici interne ed esterne infatti possono mediarne la percezione in modo differente; esse modellano differenti tipi di ambienti in cui si respira creando diversi tipi di atmosfera. Avvalorandosi di queste differenze, si abbandona l’utopica idea che l’architettura possa dunque ricreare l’esperienza naturale di un passato mitico, ma la si incoraggia piuttosto a cercare mezzi per produrre nuove forme di esperienza e nuove politiche.2 Lo shopping, ad esempio, è una delle forme narrative moderne che più ha mutato l’assetto della città.

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3 Koolhaas, Rem, Harvard Project on the City. 2000. Mutations. Actar, Barcellona. pp. 124-183 4 Webster, Elena. 2011. Bourdieu for Architects. Routledge, London. p. 65 5 Clément, Gilles. 2008. Planetary gardens: the landscape architecture of Gilles Clément. Birkhauser, Basilea 6 Boeri, Stefano. 2011. L’Anticittà. Editori Laterza, Roma. pp. 110-111

Anche se esso è stato pienamente assorbito dal nostro modus vivendi -fino ad essere un’invisibile quanto agevole e costante presenza per tutto l’arco della nostra vita- non dobbiamo dimenticare che non avrebbe potuto provocare questa inesorabile trasformazione della città senza una serie di invenzioni chiave che hanno metodicamente preparato e modificato l’ambiente costruito per ricevere e indurre l’attività del consumatore. L’ascensore, ma soprattutto l’aria condizionata, che ha reso così confortabile lo spazio interno rispetto a quello esterno.3 Abbiamo dunque realizzato edifici, città e territori per un “uomo moderno”, che richiedono un comportamento da “uomo moderno”,4 ma se concordiamo con Pierre Bourdieu, assumendo che l’apparato di qualsiasi cultura è una nozione costruita arbitrariamente, e che i diversi gruppi sociali fondano il loro concetto di cultura in modo temporaneo e contingente, ci si chiede quindi quale edificio, città, territorio sia da proporre per “l’uomo contemporaneo”, o piuttosto, quale suo comportamento sia proprio da richiedere determinati progetti. La tendenza di pensiero auspicabile sembra quella di andare verso dispositivi anti-antropocentrici, che evadano cioè dai confini del solo dominio umano verso i territori della biodiversità animale e le possibilità di coabitazione delle diverse specie. Tutto parte da quella che Eugene Stoermer ha definito anthropocene, ovvero The Great Acceleration: si tratta dei grandi e rapidissimi cambiamenti che stanno interessando la Terra, nel quadro di una nuova era geologica caratterizzata dal forte impatto delle attività umane sull’ambiente. Il concetto di “antropizzazione” ha assunto connotati negativi con la presa di coscienza dello stato ecologico in cui versa la Terra, ma forse, a questo stadio delle cose, in cui non si può tornare indietro e ripristinare ciò che non è più, né si può fare finta di non sapere fino a dove può arrivare il nostro impatto sul pianeta, non si tratta di eliminare questo concetto ma quanto di rimodellarne i confini: antropizzazione, impatto sull’atmosfera, evoluzione geologica, nuovi rapporti tra esseri umani, animali, vegetali, macchine, prodotti, oggetti. Il ricorso all’architettura sembra ancora l’unico modo di incidere appropriatamente sul disordine delle cose, specie nella sfera naturale, che è un modo di dire che l’ordine biologico non è stato ancora percepito come una nuova possibilità di concezione.5 Perché non puntare ad un processo di rifondazione estetica e culturale che riveda gli equilibri tra spiritualità, tecnologia e materia? Invece di confinare parchi e oasi protetti dall’antropocentrismo, perché non creare un territorio dove l’urbanità si addomestica secondo le leggi del mondo animale e dove la biodiversità diventa la prospettiva inversa secondo cui sono gli animali a osservarci nel nostro recinto artificiale?6 Importante è assecondare la ripresa del possesso da parte di animali e mammiferi di territori fino a poco tempo fa

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7 Augé, Marc. 2007. Per un’antropologia della mobilità. Jaca Book, Milano 8 Kosko, Bart. 2002. Il fuzzy-pensiero. Teoria e applicazioni della logica fuzzy. Dalai Editore, Milano 9 “The creation of temporary, adaptable structures that can be altered, transformed or demolished, serving the need of the moment”. Cedric Price in Baillieu, Amanda. 1998. Bye Bye Baby. RIBA Journal 10 Aldo Van Eyck in: Ligtelijn, Vincent, and Strauven Francis (a cura di). 2008. Writings. Collected Articles and Other Writings 1947–1998. Sun, Amsterdam 11 Deleuze, Gilles, e Guattari, Félix. 1987. A Thousand Plateaus. University of Minnesota Press, Minneapolis. 12 Clément, Gilles. 2005. Manifesto del Terzo Paesaggio. Quodlibet, Macerata. pp. 13-14 13 Branzi, Andrea. 1997. La crisi della qualità. Edizioni della Battaglia, Palermo. p. 11

autorizzati, trovando nuovi equilibri di scambio e relazione. Nulla è perduto? Forse, perché non viviamo in un mondo compiuto, del quale non avremmo che da celebrare la perfezione,7 ma in un mondo fuzzy, in cui non vale il principio aristotelico del terzo escluso -A non è non A- ma ha come qualità la polivalenza, in opposizione alla bivalenza della logica binaria -A è, in una certa misura, non A.8 L’indeterminatezza è definibile come fuzzy, in-beetween, calculated uncertainty,9 labyrinthian clarity: “implies consecutive impression simultaneously sensed through repeated experience. It implies that clarity of place articulation grows -should grow at least in time. This is quite different from overall instantaneous clarity, though instantaneous clarity from place to place is a prerequisite for the achievement of the kind of overall clarity remembered and anticipated as you move from one place in a house to the other- or one place in a city to the other. Labyrinthian clarity, this must be stressed, is therefore not a quality which relies on confusion, disorientation or amorphousness. It represents ultimately none of these negatives, though during a first encounter with a configuration that possesses labyrinthian clarity the impression may be imparted that they are present. City and house are, after all, not conceived for single short accidental visits”.10 Ricerche che perseguono un ordine rizomatico piuttosto che gerarchico nella cultura del progetto, hanno in sé il concetto che qualcosa non cominci e non finisca, ma proceda per multipli, nonché intimamente legata all’idea di tempo. Questi approcci invocano il principio di molteplicità,11 danno per estinta la dicotomia tra idea VS fenomeno, etica VS estetica, materia VS spirito, natura VS cultura, che hanno caratterizzato la modernità, a favore di una fluidificazione della realtà che rende ambigui i confini fisici e semantici. In quest’ottica dunque, la sovrapproduzione non è più vista come un problema ma come ecosistema culturale dalle enormi potenzialità. Poiché produrre scarti per un territorio e per una città è inevitabile, infatti ogni organizzazione razionale di un territorio produce residuo, e una città produce tanti più residui quanto più il suo tessuto è rado,12 non possiamo pensare di programmare un ordine assoluto che ne governi i ritmi secondo uno schema prestabilito, la società stessa passa da essere programmata a una complessità controllata. Andrea Branzi alle soglie del nuovo millennio ha parlato di crisi della complessità come categoria capace di contenere una molteplicità di modelli di sviluppo, comportamento ed identificazione. L’incapacità di governare un campionario di varianti possibili ed il loro conseguente abbattimento avrebbe generato, tra le altre cose, la spinta dell’integralismo religioso e laico -fondamentalismo ed ecologismo in primis- riducendo a grandi semplificazioni culturali,13 che diventano poi, riprendendo Latour, semplificazioni ambientali.

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ADAPT: 1. (OFTEN FOLLOWED BY TO) TO ADJUST (SOMEONE OR SOMETHING, ESPECIALLY ONESELF) TO DIFFERENT CONDITIONS, A NEW ENVIRONMENT, ETC. 2. TO FIT, CHANGE, OR MODIFY TO SUIT A NEW OR DIFFERENT PURPOSE: “TO ADAPT A PLAY FOR USE IN SCHOOLS”. SYNONYMS: 1. ADJUST, CHANGE, MATCH, ALTER, MODIFY, ACCOMMODATE, COMPLY, CONFORM, RECONCILE, HARMONIZE, FAMILIARIZE, HABITUATE, ACCLIMATIZE: “THINGS WILL BE DIFFERENT AND WE WILL HAVE TO ADAPT”. 2. CONVERT, CHANGE, PREPARE, FIT, FASHION, MAKE, SHAPE, SUIT, QUALIFY, TRANSFORM, ALTER, MODIFY, TAILOR, REMODEL, TWEAK (INFORMAL), METAMORPHOSE, CUSTOMIZE.


ADAPTING


× ARCHITECTURE DEPENDS > 2.AGENCY 5.ANTI-CARTESIO 11.BABEL 14.CHANCE 19.CONTINGENZE 25.CUT-UP 26.DÉRIVE 29.DOGMATIC 35.FACTS, FETISHES, FACTISHES 42.GENEALOGIA COLLETTIVA 63.NATURE 64.NEGOZIAZIONE 89.SCENARIO 95.TENSIONE CREATIVA 98.URBAN ECOLOGY 100.WASTELAND


ARCHITECTURE DEPENDS

pagina affianco: immagine dalla copertina di Architecture Depends (Till, Jeremy. 2009. Architecture Depends. MIT Press, Cambridge, Massachussets) 1 Jeremy Till is an architect, writer and educator. He’s head of Central Saint Martins and Pro Vice-Chancellor of University of the Arts in London. Previously he was Dean of Architecture and the Built Environment at the University of Westminster, and Professor of Architecture and Head of School of Architecture at the University of Sheffield. His extensive written work includes Flexible Housing (with Tatjana Schneider, 2007), Architecture Depends (2009) and Spatial Agency (with Nishat Awan and Tatjana Schneider, 2011). All three of these won the RIBA President’s Award for Outstanding Research, an unprecedented sequence of success in this prize 2 ”So that is another rule for the whole nature of architecture: it must create new appetites, new hungers -not solve problems, architecture is too slow to solve problems.” Price, Cedric, edited by Obrist, HansUlrich. 2003. Re: CP. Birkhäuser, Basel. p. 57 3 www.spatialagency.net

Interview with Jeremy Till.1 The 23d of May 2014, at the Central Saint Martins School of art, London, 5.30 p.m. #C.P.2 Physical building is just one of many possible models of architecture representation, and in the introduction to Spatial Agency you actually say that the project started in the spirit of Cedric Price... Did I say that? Well, in a way, but Cedric Price was difficult, as it’s difficult to read him now. I remember travelling with him to Sheffield by train, one month before he died. He used to talk through aphorisms, some beautiful but some terrible. He was brilliant, though, but still I think the best qualities he had were his generosity first, and his political engagement. Spatial Agency3 started actually because we [Tatjana Schneider and me] were angry with this world. We were just upset with the most part of architects, or whoever has to deal with the practice of architecture nowadays. Not every architect is aware that their role have expanded from simply the design of space, in terms of enclosure and relationship between objects. It includes what comes before in terms of briefing and what comes after in terms of occupation and use. I’m at the same time optimistic about the fact that architects are well placed to address this expanded field of space, in a creative way. #agency. How important is space today, and how an agency should intend it within his commitment? Space is the most important thing for human beings [he turns his head looking around and making circular gestures with his hands] and that has to deal mainly with architecture. But our call in Spatial Agency is for architects and other professionals to address the social aspects of spatial occupation. This is a design issue, and of course involves the distribution of stuff in space, but the priority is to grasp the understanding of how social relations play out as spatial relations, and vice-versa. London is the capital of design because of his physical

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4 Architecture depends - on what? On people, time, politics, ethics, mess: the real world. Architecture cannot help itself: it is dependent for its very existence on things outside itself. Despite the claims of autonomy, purity, and control that architects like to make about their practice, architecture is buffeted by uncertainty and contingency. Circumstances invariably intervene to upset the architect’s best laid plans at every stage in the process, from design through construction to occupancy. Till, Jeremy. 2009. Architecture Depends. MIT Press, Cambridge, Massachussets

connections, and in the end we’re sitting around a table, talking, sharing, breathing, looking at people. This takes us away from how space “looks” or is “measured”, to how space is encountered and affective. #education. In your book Architecture Depends,4 you question and critique the autonomous and insular traditions of architectural schools, do you think we will ever see a radical change in architectural education? What is your perspective and what are you trying to achieve in your position? Yesterday I saw this year’s Bartlett book: beautiful works, but I think there is a deep problem in the structure, in all architectural schools. The most part of time there is radical making without radical thinking, that means a superficial freshness on the most conservative and old-fashioned of regimes. In architectural schools Professors engage with something that has to be “found” by students, a design studio is basically just the answer by a student to a given brief by a Professor. This is the same since VIII century, same way of thinking since, very cartesian. Moreover, change in the profession require first change in education. But this is more difficult than it sounds because of the way education and the profession are so tied to each other through systems of validation. The validation process, with its defined criteria of what constitutes a “proper” education, inevitably perpetuates the values of the profession, because it’s the profession that sets those criteria. That’s why we’re trying to enter Agency as a new way of practice in school: breaking the rules, feminism, and ethical understanding of what it means to teach and to be a professional. These are the subjects we [me and Tatjana Schneider] are working on here at Saint Martin and at Sheffield University. Education is a key question. The more I have thought and written about the operations of the profession, and of alternatives to those operations, the more I find myself tracing back to the their establishment in the rituals and values of architectural education. So, I am not sure that radical change will be possible as long as education is so firmly tied into the structures and values of the profession, but this does not mean that change is not possible per se. #politics. How important do you think it is to be political nowadays and what kind of experiences in the emerging architectural scene do you reckon is interesting? Be political today is fundamental. It is or, at least, it should be the central core of everything you do. It’s where the problem starts and where you have to find the solution. As an educator and as an architect, being political and being ethical are the most important things. The role of the architect as the person with overall control has long been lost, largely taken over by project managers, but new practices evolves by sharing, one can already see the emergence of new forms of practice that celebrate multiple voices and

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5 See David Knight project Building Rights: a popular repository of planning knowledge, a user-generated forum where the rules of what is built and what is not are shared, tested and generated in public. The ambition of the project is to become the primary source of planning expertise in the UK. Building Rights is the practice component of David Knight’s ongoing PhD at the Royal College of Art, London. The PhD, Making Planning Popular, aims to reestablish a popular discourse about planning, one rooted in the agency of popular activity and founded on ideas of socially organised systemic knowledge. The ideas behind Building Rights are explored in the essays Making Planning Popular (2012), What planning can learn from aspirin (2012), and Planning without Planners (2011), and in David’s TEDxHackney talk from June 2013. www.buildingrights.org

a more democratic form of spatial production. For instance David Knight,5 he makes critical and provocative research projects which question the limits of architectural production and explore new forms of process and communication. I think that first of all we have to shift our attention from just adding more stuff to the world, to redistributing what is there already. Most interesting designers today engage in a far wider field than the object alone, they try an understanding of systems that go into the genesis and production of objects and they think through the whole life of the object. #profession. This is a new historic condition where explode continuously the not-solved contrast between project and non-project, between spontaneousness and program, giving way to temporary truth and incomplete solutions, with a solid idea behind, but weak connections. Architects therefore should maybe leave “great systems to small improvisers”, as Mario Tronti said? What architecture should be about then and how do you see the profession today? This is a key question. Architecture is defined as an object, or as a profession. Less often it is defined as a “practice”, in the sense of a whole complex of operations, which I think it’s important. The problem is that more often an architect produce an object in which he tries to put some values. That’s not good when a value of the profession goes in the value of objects. Designer has to be both generous and modest, suddenly the thing that has previously defined design, the manifestation of the object, is subsumed into more invisible flows and systems. But it is also exactly where design needs to operate. There is so much one can do with the endless invention of fresh new objects, whereas the world of infrastructure, systems and processes presents new opportunities for creativity. As I said profession is bound to education. That’s why some of the work I did with colleagues at the University of Sheffield in the 2000s certainly shifted priorities, talking about practice and trying to find new values for the profession. This values tries then to move from the profession to ethics. Sarah, my wife, that as an architect has to deal with highly economics and political constrain, is angry sometimes with Academics because are not “real” architects. There are two ways, normally, to be an architect today: one is a nosey way, the other one is a theoretical way. That is to say, one way is about staying totally inside the practice, the other one is about staying totally disconnected from contingency of architecture. I try to fill this gap, in the end you need a whole spectrum to have a wide view. This is not improvisation but you have to chose what to do. I really admire Pier Vittorio Aureli’s work, for instance, but he’s an end of the spectrum: what he propose it’s a way of thinking, not a way of doing architecture. And it shouldn’t be built at all, it would be awful! However, it’s a beautiful sentence, the Mario Tronti’s one.

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× EVERYTHING IS ARCHITECTURE > 2.AGENCY 6.ANTI-FORM 11.BAZAAR 14.CHANCE 19.CONTINGENZE 46.IDEOLOGICAL APPARATUS 49.INTERFERENZE NECESSARIE 56.MEDIA SPACE 73.PATRIMONIO RELAZIONALE 81.PROGETTO 85.RESILIENCE 95.TENSIONE CREATIVA 96.TIME-BASED 98.URBAN ECOLOGY 99.WASTELAND


EVERYTHING IS ARCHITECTURE 1

pagina affianco: Hans Hollein, immagine dall’articolo su Bau, “Alles ist Arkitektur” 1 Hollein, Hans. “Alles ist Arkitektur”, in Bau, n.1-2, 1968

Limited and traditional definitions of architecture and its means have lost their validity. Today the environment as a whole is the goal of our activities—and all the media of its determination: TV or artificial climate, transportation or clothing, telecommunication or shelter. The extension of the human sphere and the means of its determination go far beyond a built statement. Today everything becomes architecture. “Architecture” is just one of many means, is just one possibility. Man creates artificial conditions. This is Architecture. Physically and psychically man repeats, transforms, expands his physical and psychical sphere. He determines “environment” in its widest sense. According to his needs and wishes he uses the means necessary to satisfy these needs and to fulfill these dreams. He expands his body and his mind. He communicates. Architecture is a medium of communication. Man is both—self-centered individual and part of a community. This determines his behavior. From a primitive being, he has continuously expanded himself by means of media which were thus themselves expanded. Man has a brain. His senses are the basis for perception of the surrounding world. The means for the definition, for the esta-blishment of a (still desired) world are based on the extension of these senses. These are the media of architecture—architecture in the broadest sense. To be more specific, one could formulate the following roles and definitions for the concept “Architecture”: Architecture is cultic; it is mark, symbol, sign, expression. Architecture is control of bodily heat—protective shelter.

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Architecture is determination—establishment—of space, environment. Architecture is conditioning of a psychological state. For thousands of years, artificial transformation and determination of man’s world, as well as sheltering from weather and climate, was accomplished by means of building. The building was the essential manifestation and expression of man. Building was understood as the creation of a three-dimensional image of the necessary as spatial definition, protective shell, mechanism and instrument, psychic means and symbol. The development of science and technology, as well as changing society and its needs and demands, has confronted us with entirely different realities. Other and new media of environmental determination emerge. Beyond technical improvements in the usual principles, and developments in physical “building materials” through new materials and methods, intangible means fa spatial determination will also be developed. Numerous tasks and problems will continue to be solved traditionally, through building, through “architecture”. Yet for many questions is the answer still “Architecture” as it has been understood, or are better media not available to us? Architects have something to learn in this respect from the development of military strategy. Had this science been subject to the same inertness as architecture and its consumers, we would still be building fortification walls and towers. In contrast, military planning left behind its connection to building to avail itself of new possibilities for satisfying the demands placed upon it. Obviously it no longer occurs to anyone to wall-in sewage canals or erect astronomical instruments of stone (Jaipur). New communications media like telephone, radio. TV, etc. are of far more import. Today a museum or a school can be replaced by a TV set. Architects must cease to think only in terms of buildings. There is a change as to the importance of “meaning” and “effect”. Architecture affects. The way I take possession of an object, how I use it, becomes important. A building can become entirely information—its message might be experienced through informational media (press, TV, etc). In fact it is of almost no importance whether, for example, the Acropolis or the Pyramids exist in physical reality, as most people are aware of them through other media anyway and not through an experience of their own. Indeed, their importance—the role they play—is based on this effect of information. Thus a building might be simulated only. An early example of the extension of buildings through media of communication is the telephone booth —a building of minimal size extended into global dimensions.

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Environments of this kind more directly related to the human body and even more concentrated in form are, for example, the helmets of jet pilots who, through telecommunication, expand their senses and bring vast areas into direct relation with themselves. Toward a synthesis and to an extreme formulation of a contemporary architecture leads the development of space capsules and space suits. Here is a “house”—far more perfect than any building—with a complete control of bodily functions, provision of food and disposal of waste, coupled with a maximum al mobility. These far-developed physical possibilities lead us to think about psychic possibilities of determinations of environments. After shedding the need of any necessity of a physical shelter at all, a new freedom can be sensed. Man will now finally be the center of the creation of an individual environment. The extension of the media of architecture beyond pure tectonic building and its derivations first led to experiments with new structures and materials, especially in railroad construction. The demand to change and transport our “environment” as quickly and easily as possible forced a first consideration of a broad range of materials and possibilities—of means that have been used in other fields for ages. Thus we have today “sewn” architecture, as we have also “inflatable” architecture. All these, however, are still material means, still “building materials”. Little consequent experimentation has been undertaken to use nonmaterial means (like light, temperature or smell) to determine an environment, to determine space. As the use of already existing methods has vast areas of application, so could the use of the laser (hologram) lead to totally new determinations and experiences. Finally, the purposeful use of chemicals and drugs lo control body temperature and body functions as well as to create artificial environments has barely started. Architects have to stop thinking in terms of buildings only. Built and physical architecture, freed from the technological limitations of the past, will more intensely work with spatial qualities as well as with psychological ones. The process of “erection” will get a new meaning, spaces will more consciously have haptic, optic, and acoustic properties, and contain informational effects while directly expressing emotional needs. A true architecture of our time will have to redefine itself and expand its means. Many areas outside traditional building will enter the realm of architecture, as architecture and “architects” will have to enter new fields. All are architects. Everything is architecture.

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× ARCHITECTURE OF CHANCE > 2.AGENCY 6.ANTI-FORM 7.APPROPRIATION 11.BAZAAR 14.CHANCE 19.CONTINGENZE 46.IDEOLOGICAL APPARATUS 49.INTERFERENZE NECESSARIE 56.MEDIA SPACE 73.PATRIMONIO RELAZIONALE 81.PROGETTO 85.RESILIENCE 89.SCENARIO 90.SCREENPLAY 98.URBAN ECOLOGY


ARCHITECTURE OF CHANCE

pagina affianco: fotogramma tratto da Stranger Than Paradise di Jim Jarmusch 1984 1 Manolopoulou, Yeoryia. 2013. Architectures of Chance, Ashgate Publishing, Farnham, England. Her sole-authored book Architectures of Chance (Ashgate series Design Research in Architecture, 2013) creates links between architecture and art, proposing the aleatory as an important area of study and practice in architecture and the related design disciplines. In her practice AY Architects, serendipity is understood to be socially located and negotiated through purposeful design

Interview via email with Yeoryia Manolopoulou, between May and June 2014. #1. In the opening of your book, Architectures of Chance,1 you declare that your interest in the idea of chance started in the late ‘90s, while you were studying at the Bartlett University. Since then, the sociopolitical landscape changed dramatically, as well as theories and practice of architecture, that saw the end of postmodernism (with the idea of an endless progress), in favor of contingent emerging themes of our contemporaneity, in a time of ideological and environmental crisis, such as: material and cultural sustainability, recycling, site specificity, interactivity, awareness of the importance of the relationships between people, and so on. Therefore chance seems to become an increasingly important matter of discussion in architecture, acquiring new significa-nces in the course of time. Could you tell me more about how your investigation around chance evolved through the years? My book Architectures of Chance discusses five key architectural practices related to the idea of chance: impulsive, systematic, fabricated, active and resistant, and examples range from Bergson, Beckett and Duchamp to Lina Bo Bardi, Lacaton & Vassal and SANAA. In the book I explore these five modes of practice from aesthetic, experiential, spatial and design-led points of view. I also discuss the social and environmental dimensions of architecture. I would say though that increasingly my interest in chance over the years has expanded from the poetic to include also the political. Through my engagement with practice (as AY Architects) and the social relevance of our work (see our Montpelier Community Building), I have started seeing the role of chance in architecture in a more political sense: the architect can take a chance opportunity, however small,

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to initiate projects, to creatively act in places and produce valuable pieces of architecture that can add and sustain local cultures and desires. #2. Involving the unforeseen on the design process, how do you think that the practice of architecture can be an opportunity for the proliferating chaos of informations and ideas that affect our contemporaneity? The unforeseen in the design process can be anything: an element of the local site, a new idea emerging from material experiments, a story told. The fact that the idea emerges from something unforeseen does not mean that the designed result needs to be complex or chaotic. It can be a very simple form. Architecture has played a central role in strengthening our contemporary culture of saturated visual information and imagery. A plethora of architectural visualisations and images circulate on the web across the globe often uncritically. Architectural competitions, publications, awards and reviews are often based on the success or (not) of the images chosen, taken or fabricated by architects. We refer to such images of buildings but rarely experience the buildings themselves in a physical and immersive way by visiting them. Chance certainly plays (a positive and negative) role in the selection and dissemination of this excessive amount of visual information, primarily digitised. But I am personally interested in also resisting this chance exposure to millions of images, accidentally found or produced. By resisting this multi-layered and chaotic kaleidoscope of information and by producing a distilled idea or built form, we can reveal the interplay of time and everyday life with buildings even more. #3. Chance seems to contribute to the eradication of the traditional distinction between production and consumption, creation and copy, readymade and original work, considering indeterminacy as a strong point in the design process, often beyond the production of artifacts. To what extent do you reckon we can still call this process of design “architecture�? Yes, this is very true. Architecture is co-produced by many agents. But again I ask if it is worth editing out all clutter of additions, reproductions and post-modern narratives in order to examine clearly the building itself. The bare building is not chaotic; but everything that happens around it is. This tension between the designed object and the accidental lifeworld that surrounds it is the magic of architecture (I think). #4. In the section Portfolio II: Chance in Design, you talk about the work of some well-known contemporary architects, whom research is undoubtedly fundamental for the culture of architecture nowadays, such as Ishigami, Sanaa, or Lacaton&Vassal. Do you see any interesting experience

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2 Price, Cedric, edited by Obrist, HansUlrich. 2003. Re: CP. Birkhäuser, Basel. p. 57

in the emerging architectural scene? I find the projects that I refer to in the book interesting but also see interesting work emerging outside the popular canon of architects. It is fascinating to see how low-key practices in Sub-Saharan Africa, South America and India insist on craft, sustainability and the possibilities of local materials and construction techniques. It is perhaps important to shift our attention to more local architectural cultures. Strangely they practice “experimental traditions” that seem fresher and more surprising. #5. “So that is another rule for the whole nature of architecture: it must create new appetites, new hungers -not solve problems, architecture is too slow to solve problems.”2 This is an interesting quotation. I agree that architecture cannot solve problems. There is a greater role that architecture plays in generating questions, thought, experiences and culture. Architecture is simultaneously a poetic and social material act - used (and abused) by many for different reasons. The excuse for creating it is usually in order “to solve pro-blems” but, depending on who you ask, the real reason may touch upon political and economic power; authorship, control and vanity; or the beauty of synergies in local communities.

× Yeoryia Manolopoulou is an architect, Senior Lecturer and Director of Architectural Research at the Bartlett School of Architecture. Her work is based on two parallel and related practices: her teaching and research activity at UCL and her collaborative practice at AY Architects. She’s interested in the productive dialogues that can be developed between speculative research and situated practice: while researching the political, social and environmental aspects of public spaces and buildings, she insists on architecture’s purpose as an aesthetic form and practice and on the cultural significance of buildings as public artefacts. She has completed a PhD by Design focusing on the study of aleatoric practices in architecture and art, and have run a related practice-led research project funded by the AHRB. She has published and exhibited her work internationally and acted as external critic, PhD examiner and academic advisor.

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TOOLS POSTPRODUCTION THROUGH


HABITAT: 1A. THE NATURAL ENVIRONMENT IN WHICH A SPECIES OR GROUP OF SPECIES LIVES: “GOOD COYOTE HABITAT; MANAGING WILDLIFE HABITAT”. 1B. A PARTICULAR KIND OF NATURAL ENVIRONMENT: “WOODLAND AND PRAIRIE HABITATS”. 1C. AN ARTIFICIAL ENVIRONMENT CREATED FOR AN ANIMAL TO LIVE IN: “THE LION HABITAT AT THE ZOO”. 2. A STRUCTURE THAT AFFORDS A CONTROLLED ENVIRONMENT FOR LIVING IN EXTREMELY INHOSPITABLE LOCATIONS, SUCH AS AN UNDERWATER RESEARCH LABORATORY. 3. THE PLACE WHERE A PERSON LIVES OR IS MOST LIKELY TO BE FOUND: “THIS PARK BECAME HIS HABITAT”.


HABITAT


× ALLOPLASTIC ADAPTATION > 6.ANTI-FORM 7.APPROPRIATION 14.CHANCE 17.CIVILTÀ INDUSTRIALE 22.CRADLE TO CRADLE 38.FLANEUR 41.FUNZIONALISMO DEBOLE 44.HABITAT 45.HUMAN CAPITAL 59.METAMORFOSI URBANE 61.MUTAZIONE 77.POST-PRODUCTION 85.RESILIENCE 93.STRUCTURALISM 98.URBAN ECOLOGY


ADATTAMENTO ALLOPLASTICO

pagina affianco: Nimrod Expedition, Spedizione Antartica Britannica (1907-09) comandata da Ernest Sheckleton (1874-1922), 1908 1 Sàndor Ferenczi, The Phenomenon of Hysterical Materialization, 1919. Sigmund Freud, The Loss of Reality in Neurosis and Psychosis, 1924 2 Malmgren, Carl Darryl. 1991. Worlds apart: narratology of science fiction. Bloomington: Indiana University Press, p.21

La modalità alloplastica di adattamento, secondo Freud e Ferenczi, gli autori che ne hanno sviluppato la definizione, si rivela quando il soggetto, posto davanti ad una situazione difficile, reagisce cercando di cambiare l’ambiente esterno per modificare una data situazione. Al contrario, nel comportamento autoplastico, per adattarsi alla situazione il soggetto cerca di modificare se stesso, dunque il suo ambiente interno.1 Questi concetti sono scalabili dall’individuo alla società, si pensi ad esempio alle rivolte sociali come comportamento alloplastico. Anche l’evoluzione culturale è stata sempre descritta come alloplasticità, poiché l’uomo si è da sempre evoluto costruendo oggetti che sono altro da sé, e sperimentando al di fuori del proprio corpo condizionando l’ambiente esterno. In particolare, le società più tecnologicamente avanzate si caratterizzano generalmente da relazioni alloplastiche con l’ambiente in cui sono insediate, coinvolgendolo in manipolazioni e trasformazioni.2 Con una rinnovata attenzione all’ecosistema artificiale -inteso come insieme di ambienti costruiti, dal loro passato al loro presente, dalle storie e dalle memorie che questi custodiscono- nella crisi dei grandi sistemi culturali, economici e sociali, la cultura del progetto sembra evolversi verso un’attitudine alloplastica, che le consente di ristabilire un contatto soffice con il contesto che la circonda, sia umano che materiale. Questa tendenza è manifesta sia per l’architettura di nuova edificazione, sia per il riciclo architettonico dell’esistente, in cui in particolare, si tratta di innesti organici che inneschino processi virtuosi nel costruito per produrre visioni mirate, con modalità alternative e attenzione alle fragilità del mondo in cui operano. Il paradigma si oppone all’architettura volta eroicamente all’affermazione di se stessa -comportamento autoplastico, secondo questa

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3 Gissen, David. 2011. The Architectural Reconstruction of Nature. Afterword for Stan Allen and Marc McQuade’s, Landform Building, Lars Mueller. pp. 456-465

logica- ma lavora attraverso bradisismi del sistema che il territorio riesce a metabolizzare senza shock, per mezzo di un insieme di relazioni e dispositivi. Difficilmente oggi riusciamo a distinguere le due dimensioni naturali: quella antropizzata e quella vergine, siamo cresciuti in uno spazio cannibalizzato, in cui nessuno si meraviglia che un capannone industriale faccia parte del panorama che stiamo ammirando, o che per trovare la “vera natura” andiamo in ghetti chiamati “riserve”. In questo modo, anche l’immagine della dimensione naturale autentica viene ricostruita dall’uomo diventando spesso, in questo particolare momento contemporaneo, una forma di ambientalismo politicizzata. Gli sforzi attuali dell’architettura per resuscitare e ripristinare lo Stato di Natura perso si concentrano paradossalmente sul ricreare artificialmente forme di natura esistenti, scavando, costruendo e manipolando la terra, in via di estinzione, o perse. Così facendo, possiamo considerare i frammenti di natura che l’architettura progetta in città come un avvicinamento ad una ricostruzione di un’immagine storica, dunque a tutti gli effetti come un prodotto della città, un atto di recupero. Nelle teorie architettoniche del 21esimo secolo, l’inserimento della materia naturale negli edifici e nelle città ha suggerito l’esistenza di un nuovo stretto legame tra architettura, ecologia, e scienze delle costruzioni. Gli architetti immaginano edifici e città che lavorano imitando processi e strutture naturali. Ma la ricostruzione architettonica di una topografia o di un brano naturale rappresenta anche una forma di ricostruzione storica, prima che una forma di ripristino naturale. In quest’ottica, la nostra comprensione della natura è di qualcosa che è stato nella città ed ora si è estinto. Sostanzialmente ricostruiamo una realtà precedente, ammettendo così la fine della natura come stato grezzo originale. D’altra parte, cosa potrebbe essere più moderno che dimostrare le possibilità di una manipolazione temporale e naturale in un progetto?3 Ma, nell’era della postproduzione, oltre a cercare di ricostruire l’habitat naturale riproducendo frammenti di natura una volta appartenutaci, si cerca di ricomporre anche l’habitat artificiale, per rileggere la storia dell’uomo a partire dal tessuto di una città, ma anche per costruire una ricognizione sulla cultura popolare di un determinato luogo, sugli usi e sui costumi di una civiltà sotterranea. La cultura del progetto contemporanea ha visto emergere un rinnovato interesse per l’ecosistema minerale umano, una sorta di rivincita del reale sull’interpretazione, a partire da un puro aspetto di materialità che tende alla conservazione dell’esistente con nuove strategie di inclusione che accorpano aspetti caduci e metamorfici della materia architettonica.

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4 Per la Biennale di Parigi del 1975, Matta-Clark ha prodotto Conical Intersect, tagliando un grande buco a forma di cono attraverso le pareti di due case settecentesche che sarebbero state di lì a poco demolite per costruire il Centre Georges Pompidou di Renzo Piano 5 Sylvia Lavin, “Il crudo, il cotto e gli avanzi, o l’accumulo come scienza dei materiali”, in Ciorra, Pippo, e Marini, Sara. 2012. Re-Cycle. Strategies for Architecture, City and Planet. Electa, Milano. p. 165

Si esplorano le potenzialità spaziali e percettive di un riuso adattivo, incorporando le ricadute economiche ed energetiche dei cicli dei materiali, si calcola il tempo secondo dati sensoriali e non cerebrali che ne amplifichino il senso. Gli interventi spesso non riqualificano l’ambiente e magari non ne rivelano nulla di specifico, ma piuttosto vi aggiungono senso, spessore, intensità; possono accentuarne l’aspetto archeologico, di rovina, trasformandolo in spazio interiore e della memoria, mettendo gli abitanti nella posizione di testimoni. Il gruppo belga Rotor nell’area portuale di Ghent mettono in luce frammenti di una storia esistita ed esistente, selezionando piccole porzioni significative che salvano dalla totale pittura bianca. Operazioni di anarchitettura che si avvicinano ai tagli, le perforazioni e rimozioni localizzate sugli edifici eseguite da Gordon Matta Clark, che mirano a definire nuove relazioni spaziali e alterazioni percettive, oltre che aprire squarci nelle coscienze, precisi e diretti come il buco conico che sezionava i due edifici del XVII secolo, in seguito demoliti per far posto al Centre Pompidou a Parigi.4 Questo non significa che l’architettura stia approntando una nuova lingua eco-chic, l’architettura non produce linguaggi, non vuole comunicare informazioni né celebrare o generare valori, al massimo i valori possono occuparla: l’architettura modifica paesaggi e modella condizioni spaziali e sensoriali, ma non traduce alcuna informazione in materia. Le antiche geometrie, le leggi della natura, l’ecologia, insieme alla volontà di dare forma all’esperienza in modo diretto ed energico, rendono il discorso architettonico contemporaneo stranamente memore del concetto rousseauiano di Stato di Natura, rivolto alla ricerca del non mediato come modello socialmente vantaggioso e all’idea che si possa avviare una nuova forma di azione estraneo ai capricci della cultura. L’architettura, invece di preoccuparsi di inseguire le leggi del marketing che deliziano le coscienze con l’estetica del verde, che, come cantava Kermit la Rana nel 1970, “It’s not easy bein’green”, dovrebbe invece occuparsi di ciò che le riesce meglio, come ragionare su questioni come: che cos’è un ambiente, come si fa a determinare quali aspetti di ogni ambiente siano degni di conservazione o riutilizzo, che tipo di riutilizzo è tollerabile e quale no e, infine, quali tipi di materiali possano attraversare lo stato di natura, la produzione, la sovrapproduzione, il degrado, fino a tornare di nuovo disponibili come agenti grezzi.5 L’architettura sembra quindi meglio attrezzata per interpretare il ruolo di catalizzatore del risanamento con attitudine alloplastica, necessario per ottenere una versione contemporanea dello Stato di Natura di Rousseau, e non intraprendere opere di pseudo-miglioramento continuando a costruire ed aggiungere materia al mondo.

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× NUOVOMONDO > 1.III DEFINIZIONE 9.AVANGUARDIA PERMANENTE 10.BABEL 30.EFFLUVIO MAGNETICO 31.EMOTIONAL RESCUE 33.EVOLUTION 36.FANTASMAGORIA 39.FLUX 44.HABITAT 63.NATURE 64.NEGOZIAZIONE 74.PERCEZIONE 76.POST-AMBIENTALISMO 82.QUALITÀ INVISIBILI 91.SELF ORGANISATION


OMEOSTASI

pagina affianco: Vanessa Beecroft, VB46.030.ali, Gagosian Gallery, 2001 1 Von Uexküll, Jakob, Kriszat, Georg. 2010. Ambienti animali e ambienti umani, una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili. Quodlibet, Macerata. pp. 38-39

“Secondo il comportamentismo, i nostri sentimenti e la nostra volontà sono solo apparenza; nel migliore dei casi li si può considerare come un fastidioso rumore di fondo. Ma chi è dell’opinione che i nostri organi motori servano a condurre le nostre attività operative non vedrà più negli animali solo assemblaggi meccanici, ma ne scorgerà anche il macchinista, presente in loro come ciascuno di noi è presente nel proprio corpo. Non concepiremo più gli animali come semplici cose ma come soggetti, le cui attività essenziali sono operative e percettive. Solo così si aprirà finalmente la porta che conduce ai vari ambienti animali. Tutto quello che un soggetto percepisce diventa il suo mondo percettivo (Merkwelt) e tutto quel che fa costituisce il suo mondo operativo (Wirkwelt). Mondo percettivo e mondo operativo formano una totalità chiusa: l’ambiente. Gli ambienti, multiformi come gli animali che li abitano, offrono a tutti gli amici della natura territori nuovi, di una ricchezza e bellezza tali che vale senz’altro la pena farvi una passeggiata, anche se un simile splendore non si rivela ai nostri occhi corporei ma solo a quelli della nostra mente. […] Ogni soggetto tesse intorno a sé una ragnatela di relazioni con alcune proprietà specifiche possedute dalle cose che lo circondano ed è proprio grazie a una rete tanto fitta che può condurre la propria esistenza. Qualunque siano le relazioni tra un soggetto e gli oggetti che popolano i suoi dintorni, esse vivono al di fuori del soggetto, là dove dobbiamo cercare le marche percettive. Per questo motivo, le marche percettive sono sempre legate tra loro sia in senso spaziale sia in senso temporale, visto che devono succedersi in un ordine determinato”.1 Ambienti animali e ambienti umani, ma come gli architetti cercano oggi di intessere relazioni con la nozione di habitat? I progetti di François Roche sembrano appartenere al dominio

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2 François Roche www.new-territories.com/he%20 shoot%20me%20down.htm 3 Theo Jansen www.strandbeest.com 4 Gilles Clément www.gillesclement.com/art-304-titL-escalier-jardin-Jardin-de-l-ArbreBallon-Foyer-Laekenois-LaekenBruxelles

della patafisica -scienza delle soluzioni immaginarie- negando l’ammissione delle loro origini e illusioni, genuinità e falsità. Articolano differenti tempi e livelli di conoscenza, negoziando il limite della loro assurdità con protocolli scientifici che ne descrivono le regole. Ha definito il proprio lavoro e la propria attitudine tossica, animale, pericolosa, regressiva politica e computa-zionale. He Shot me Down2 (Heyri, Korea 2006-2007) è uno spazio multifunzione ad esempio -casa privata, centro di danza, negozio, ristorante, museo, si basa un accurato studio sulle specificità del luogo e della sua urbanistica, oltre che morfologia, un “erotizzazione della paranoia”, come lui la definisce, immerso nel volume esteso della montagna che assorbe il programma temporale prima che spaziale. Per l’isolamento dell’edificio una macchina si sposta su apposite rotaie nella foresta raccogliendo biomassa e spargendo gas e foglie in decomposizione sulla superficie esterna. Dalle architetture come meccanismi, alle architetture dei meccanismi, o meglio, degli organismi: Theo Jansen,3 visionario ingegnere-artista olandese, dagli anni ‘80 lavora alle sue Strandbeesten (animali da spiaggia), grandi strutture mobili costruite connettendo e articolando sottili tubi gialli plastici, del tipo in uso in elettrotecnica, assemblati con nastro adesivo, elastici, fascette serrafili. A questi materiali si aggiunge l’impiego di bottiglie riciclate di polietilene, bastoni di legno e pallets. Simili nell’aspetto a giganteschi insetti, o a grossi scheletri animali, le creature sono in grado di camminare sulle spiagge sfruttando l’energia del vento: nel tempo, hanno acquisito anche forme di omeostasi, con la capacità di immagazzinare l’energia eolica in bottiglie, sotto forma di aria compressa, per garantirsi forme di autonomia in assenza di vento, ma anche con l’implementazione di forme rudimentali di abilità percettive nei confronti dell’ambiente esterno, attraverso semplici sensori realizzati con gli stessi materiali di base, e con l’implementazione di elementari forme di memorizzazione, una combinazione di elementi che permette alle Strandbeest di modificare il proprio comportamento sulla base delle percezioni. Gilles Clément spesso utilizza quello che potrebbe essere definito un principio omeostatico per autoregolare gli ecosistemi, e consentire la rigenerazione, o riciclaggio, di un ambiente. Ad esempio, nel suo progetto della Cité modèle de Laeken (2005),4 che comprende ben 5 ettari di giardino, la gestione ecologica si espleta in un continuo rinnovamento autoprodotto. Infatti tutte le sostanze si autoriciclano nello stesso giardino, come un albero che utilizza e riutilizza i propri rifiuti: il compost degli scarti viene distribuito e rimangiato da pecore che pascolano libere durante il giorno. Rinnovare sistemi ecologici è importante quanto rinnovare anche quelli infrastrutturali e culturali per andare incontro ad una nuova tipografia urbana più sostenibile non solo ecologicamente

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5 Agropolis Munchen www.agropolis-muenchen.de/ index_en.html 6 Rem Koolhaas, The New World, 30 Spaces for the 21st Century, Wired, June 2003

ma anche socialmente e culturalmente. Il progetto Agropolis Munchen (2009) si propone di riattivare pratiche desuete e spazi dismessi, è qualcosa che ha a che fare con l’estetica quanto con l’economia, comporta il riallocamento di pratiche e spazi dell’agricoltura entro flussi ecologici di materiali, energia e conoscenza. Agropolis riconnette così modelli di vita e lavoro sostenibili con lo spazio fisico, trasformando l’attuale terreno agricolo monostrutturale in un parco agricolo multidimensionale: entro trent’anni i quartieri residenziali riempiranno questo parco temporaneo implementando il nuovo strato rurale che si incontra con quello urbano. “Uso totale” come paradigma, e all’esplorazione dei sistemi della filiera alimentare.5 Come si può invece rinnovare un ecosistema urbano? La resilienza di questo sistema artificiale complesso, secondo Rem Koolhaas, necessita dell’introduzione di nuove narrative che riformino i presupposti di comprensione di che cos’è lo spazio contemporaneo. Nel 2003, Rem Koolhaas con AMO pubblica sulla rivista Wired, “The New World, 30 Spaces for the 21st Century”,6 in cui invita personalità diverse a descrivere questa proliferante moltitudine di nuove condizioni nella città, come Blog Space, Space Space, Protest Space, Sex Space, Crowd Space, etc. “Our old ideas about space have exploded. The past three decades have produced more change in more cultures than any other time in history. Radically accelerated growth, deregulation, and globalization have redrawn our familiar maps and reset the parameters: borders are inscribed and permeated, control zones imposed and violated, jurisdictions declared and ignored, markets pumped up and punctured. And at the same time, entirely new spatial conditions, demanding new definitions, have emerged. Where space was considered permanent, it now feels transitory - on its way to becoming. The words and ideas of architecture, once the official language of space, no longer seem capable of describing this proliferation of new conditions. But even as its utility is questioned in the real world, architectural language survives, its repertoire of concepts and metaphors resurrected to create clarity and definition in new, unfamiliar domains (think chat rooms, Web sites, and firewalls). Words that die in the real are reborn in the virtual. So, for this special issue of Wired, we at AMO have invited a cadre of writers, researchers, critics, and artists to report on the world as they see it. What follows are 30 spaces that fall into three rough clusters: waning spaces once celebrated, now hemorrhaging aura; contested spaces, continuously refined by the battles for their dominion; and new spaces, only recently understood as space at all. Together they form the beginning of an inventory, a fragment of an image, a pixelated map of an emerging world.”

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× AS FOUND > 6.ANTI-FORM 7.APPROPRIATION 11.BAZAAR 14.CHANCE 20.CONTINUITIES 24.CURATORIAL PRACTICE 28.DESIDERIO 29.DOGMATIC 44.HABITAT 58.METABOLISMO 61.MUTAZIONE 26.NARRATIVE ARCHITECTURE 77.POST-PRODUCTION 84.REINVENZIONE 86.RESPONSABILITÀ


AS FOUND

pagina affianco: The holy valley of Shaikh ‘Adi, immagine della copertina di Peacock Angel - Being some account of votaries of a secret cult and their sanctuaries, di Ethel Stefana Drower, pubblicato da London, J. Murray,1941 1 L’attualità di queste tematiche oggi ci fa risultare di facile comprensione la ragione per cui Germano Celant, con Thomas Demand e Rem Koolhaas, abbia voluto riproporre nel 2013 a Ca’ Corner della Regina questa importantissima tappa, rivisitata, della storia dell’arte contemporanea. Il titolo si è via via semplificato in When attitudes Become Form. Bern 1969/ Venice 2013. Luogo e data di nascita e di morte. Fondazione Prada, Venezia, 1 Giugno/ 3 Novembre 2013 2 Poli, Francesco, Corgnati, Martina, Bertolino, Giorgina, Del Drago, Elena, Bernardelli, Francesco, Bonami, Francesco. 2008. Contemporanea: Arte dal 1950 a oggi. Mondadori Electa, Milano. pp. 406-414

La Land Art, come molti altri movimenti artistici -nonché architettonici- degli anni settanta, nasce dal rifiuto per una forma puramente estetica, e si fa veicolo di una critica alla struttura commerciale del mercato artistico e agli apparati sociali dell’epoca, insomma ai prodotti di massa e alle masse di prodotti. Una delle prime manifestazioni in cui convergono le prime ricerche è la famosa mostra di Berna curata da Harald Szeemann, Live in your head: when attitudes Become Form. Works – Concepts – Processes – Situations – Informations. Siamo nel 1969, e in questa occasione gli artisti si preoccupano non tanto di esporre l’opera d’arte, quanto piuttosto di mostrare il processo che ne sta alla base, l’intenzione scatenante, coinvolgendo lo spettatore non in un’esperienza visiva ma mentale.1 L’atteggiamento di ribellione verso l’arte tradizionalmente intesa li porta al rifiuto di un prodotto finito, definitivo ed immutabile in favore della messa in scena di azioni, processi, informazioni, idee. La Land Art, sebbene condivida le stesse problematiche sociali delle ricerche artistiche coeve e la stessa vena critica, si esprime però attraverso imponenti forme scultoree naturali, temporanee e degradabili. I suoi artisti recuperano il legame con la natura non con uno scopo ornamentale o romantico, ma intervenendo su di essa, modificandola e lasciando sul terreno un marchio personale al loro passaggio.2 Christo e Jeanne Claude, insieme artisticamente dal 1961, intervengono temporaneamente sull’ambiente impacchettando paesaggi e monumenti con tessuti industriali e corde. Essi, a differenza di molti colleghi, non agiscono mai su paesaggi desertici ma in contesti urbani o rurali in cui la presenza umana influisce sull’ambiente circostante. Se prendiamo ad esempio Wrapped Coast, realizzato nel 1969 a Little Bay, in Australia, è il primo im pacchettamento a scala paesaggistica, e consistette in 2,5 km di costa avvolti in un telo

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3 Virilio, Paul. 2000. A Landscape of Events. MIT Press 4 La peste, Gian Maria Tosatti, a cura di Eugenio Viola. Promosso e sostenuto dalla Fondazione Morra. Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, Napoli, Largo Banchi Nuovi, Napoli, 26 Settembre - 30 Novembre, 2013 5 Bauschutt Hauptraum Secession, Lara Almarcegui, a cura di Jeanette Patcher e Annette Südbeck. Vienna, 10 Settembre - 7 Novembre, 2010

antierosione color sabbia per dieci settimane. La superficie risulta così ora astratta per l’uniformità del materiale, ma ancora riconoscibile come naturale per le sue modellazioni. É un paesaggio celato ed allo stesso tempo evidenziato. Suggerisce che nel paesaggio non c’è un senso obbligato, un unico punto di vista, ma soltanto il nostro incedere ci aiuta a trovare la nostra strada. Non sono i grandi eventi quelli che formano la trama del paesaggio del tempo, ma è la “massa” di incidenti, sono i fatti piccoli, inavvertiti e volontariamente connessi. Livelli di paesaggio e micromemoria atti a umanizzare l’esistente, a restituire la continuità agli eventi in una maniera frazionaria.3 Gordon Matta Clark l’aveva intuito e ce l’ha dimostrato intervenendo su edifici dismessi operando tagli, realizzando buchi oppure eliminando muri o altri elementi architettonici. Queste investigazioni, che in alcuni casi assumono proporzioni monumentali, vengono condotte su edifici destinati a essere distrutti, che l’azione dell’artista trasforma in commenti riguardanti l’inevitabile temporalità dell’architettura e il sovvertimento dei suoi principi basilari. L’edificio manipolato crea le condizioni per nuove prospettive, diventando luogo di inedite vedute vertiginose, telescopiche e periscopiche. Quelli erano gli anni settanta, ma oggi diversi artisti lavorano su tematiche simili in chiave contemporanea, e spesso senza aspettare che un edificio sia in stato di abbandono per sollevare la questione, come spesso fa Gian Maria Tosatti, oppure attendendone le macerie, come la spagnola Lara Almercegui, o “vandalizzandone” la carcassa, come il francese Cyprien Gaillard. Insomma si indagano stati altri della materia, ma anche significati altri che essa comporta, domandandosi quando e se questa muore quando viene privata di significati istituzionalmente validi. La peste,4 2013, è un’installazione ambientale site dell’artista romano Tosatti nella Chiesa dei SS. Cosma e Damiano a Napoli, prima del ciclo Sette Stagioni dello Spirito. Rappresenta le stanze più periferiche del «Castello interiore» descritto da Santa Teresa d’Avila, quelle in cui si vive quasi al di fuori della propria anima. L’installazione è stata realizzata in una chiesa oggi chiusa, al centro di un quartiere complesso di Napoli, e prevede una serie di inserimenti tanto mimetici da essere quasi irriconoscibili, volti ad una presa di coscienza individuale. Lara Almarcegui esamina i processi di trasformazione urbana attraverso gli scarti dei materiali da costruzione, macerie, terre incolte ed abbandonate, elementi invisibili. Nel 2010 a Vienna ha portato dentro il palazzo della Secessione5 cumuli di detriti provenienti da Brachflächen am Nordbahnhof, un terreno nelle vicinanze di una ferrovia dismessa a Vienna. Secondo l’artista, le terre incolte sono importanti in quanto sono gli unici posti di una città che rimangono senza definizione, senza possibilità di essere codificati. Per questa ragione, senza pianificazione, tutto può succedere a caso e senza previ piani.

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6 Dunepark, Cyprien Gaillard. Hogewal 1-9, The Hague, Olanda, 22 Febbraio - 5 Aprile, 2009 7 Smithson, Alison and Peter. The ‘As Found’ and the ‘Found’. In: Robbins, David. 1990. The Indipendent Group: Postwar Britain and the Aesthetics of Plenty. MIT Press

C’è dunque un grande potenziale nella mancanza di progettazione ed è per questo che l’Almarcegui ci mostra una visione possibile del preservare l’incolto. Cyprien Gaillard nel 2009 lavora a Dunepark6, un bunker della seconda guerra mondiale sull’Atlantikwall, tirato fuori dalla sabbia sventrando una collina di Scheveningen, nei Paesi Bassi, trasformato in una scultura in negativo violando ancora una volta il paesaggio, come ai tempi della guerra. Resti, macerie, avanzi, rovine, ed altri frammenti di un discorso romantico sembrano inserirsi perfettamente nelle tematiche di molti artisti contemporanei. Ai Wei Wei a Kassel, nel 2011, aveva installato davanti al palazzo delle esposizioni di Documenta una serie di porte recuperate, che sono però cadute durante la notte prima dell’apertura al pubblico. L’artista ha comunque deciso di mantenerle a terra, come un cumulo di materia “uccisa”, trovando che la permutazione da “recupero” a “rovina” avesse dato ancor più pregnanza all’opera. D’altra parte Rem Koolhaas l’ha detto, è più importante progettare la disintegrazione piuttosto che la pianificazione, oggi come nel futuro prossimo. Solamente grazie a questo rivoluzionario processo di cancellazione che potremo avere delle “zone libere”, luoghi e oggetti in cui le leggi dell’architettura non valgono più, e ci libereremo finalmente dell’insolubile paradosso della vita urbana: programma VS forma. Coop Himmelb(l)au, 1984: “The unscathed world of architecture no longer exists, and will never exist again... there is no truth and no beauty in architecture”. Alison and Peter Smithson descrivono il concetto di As Found come applicazione progettuale, nei primi anni ‘50, esprimendo con questo termine non solo l’importanza del contesto materiale rispetto all’architettura, ma un nuovo modo di vedere l’ordinarietà nella vita quotidiana, reinventando “il prosaico” come catalizzatore di ingegnose attività, e contro l’architettura come oggetto auto-referenziale: “The “as found,” where the art is in the picking up, twning over and putting­with.... and the “found,” where the art is in the process and the watchful eye....”. Gli Smithson sono stati i primi, in anni in cui impazzava l’euforia per le nuove materie plastiche capaci di riprodurre qualsiasi materiale naturale, a preoccuparsi della riscoperta della materia così com’è, e saper vedere la bellezza nella “legnosità del legno” o nella “sabbiosità della sabbia”. Piuttosto essi perseguivano un interesse in come le nascenti tecnologie avrebbero potuto apportare una generale nuova riappropriazione di valori che non fossero solo quelli promulgati da televisione e magazines. Si accorsero che qualcosa di nuovo su questo fronte stava succedendo nella cultura artistica, proprio grazie ai nuovi media: “Looking back to the 1940’s and 1950’s -the period of Dubuffet and Pollock -the image was discovered within the process of making the work. It was not prefigured but looked for as a phenomenon within the process”.7

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CHANCE: 1. A POSSIBILITY OF SOMETHING HAPPENING: “THERE IS A CHANCE OF WINNING THE RAFFLE, THERE IS LITTLE CHANCE OF HIS FINDING A JOB”. 1.1 (CHANCES) THE PROBABILITY OF SOMETHING DESIRABLE HAPPENING: “HE PLAYED DOWN HIS CHANCES OF BECOMING CHAIRMAN”. 1.2 AN OPPORTUNITY TO DO OR ACHIEVE SOMETHING: “I GAVE HER A CHANCE TO ANSWER”. 2. THE OCCURRENCE OF EVENTS IN THE ABSENCE OF ANY OBVIOUS INTENTION OR CAUSE: “HE MET HIS BROTHER BY CHANCE”. SYNONYMS: ACCIDENT, COINCIDENCE, SERENDIPITY, FATE, A TWIST OF FATE, DESTINY, FORTUITY, FORTUNE, PROVIDENCE, FREAK, HAZARD; NORTH AMERICAN: HAPPENSTANCE FORTUITOUSLY, BY ACCIDENT, ACCIDENTALLY, COINCIDENTALLY, SERENDIPITOUSLY, UNINTENTIONALLY, INADVER-TENTLY; UNWITTINGLY, UNKNOWINGLY, UNAWARES, UNCONSCIOUSLY. 3. FORTUITOUS; ACCIDENTAL: “A CHANCE MEETING”. FIND OR SEE BY ACCIDENT: “HE CHANCED UPON AN INTERESTING ADVERTISEMENT”.


CHANCE


× ÉLAN VITAL > 5.ANTI-CARTESIO 7.APPROPRIATION 14.CHANCE 28.DESIDERIO 37.FICTIF 41.FUNZIONALISMO DEBOLE 47.IMMAGINARIO COLLETTIVO 48.IMPROVVISAZIONE 69.OLTRE 70.ORDINE RIZOMATICO 74.PERCEZIONE 75.PERFORMANCE 77.POST-PRODUCTION 80.PROCESSO APERTO 92.SPAZIO NARRATIVO


ÉLAN VITAL

pagina affianco: David Claerbout, The Algiers’ Sections of A Happy Moment, 2011 1 Manolopoulou, Yeoryia. 2013. Architectures of Chance, Ashgate Publishing, Farnham 2 Bergson, Henri. 1911. Creative Evolution. In Manolopoulou, Yeoryia. 2013. Architectures of Chance, Ashgate Publishing, Farnham, p.155

La comprensione dell’idea di chance nel libro Architectures of Chance,1 che sta alla base della ricerca di Yeoryia Manolopoulou, Bartlett University, è influenzata dalla definizione di Henri Bergson di ordine vitale (élan vital). Bergson insiste che l’interesse modernista nel relativismo è una confusione tra due diversi tipi di ordine: l’ordine vitale e quello automatico. Il primo è volontario e diretto dall’intenzione umana; quello automatico invece è passivo, dato dal naturale fluire degli eventi. Sostanzialmente, l’ordine vitale è tutto ciò che intendiamo con creazione. Si manifesta a noi negli accidenti, e questi utimi possono dirsi immaginazione attiva: essi possono far scaturire, essere di contorno, interrompere o alterare il nostro pensiero che sta dietro ad un progetto. Per Bergson l’ordine è un patto tra il soggetto e l’oggetto, scrive infatti: “I enter a room and pronounce it to be in “disorder”, what do I mean? The position of each object is explained by the automatic movements of the person who has slept in the room, or by the efficient causes, whatever they may be, that have caused each article of furniture, clothing etc., to be where it is: the order, in the second sense of the word, is perfect. But it is order of the first kind that I am expecting, the order that a methodical person consciously puts into life, the willed order and not the automatic: so I call the absence of this order “disorder”.”2 Chance è dunque trovare un ordine differente rispetto a quello che ci si sarebbe aspettato. Chance è essenzialmente la relazione tra un tipo di ordine che si prevede e quello invece che succede. Seppur in misura diversa, l’esperienza di tutti gli edifici è influenzata da diversi tipi di relazioni con il caso, siano esse formali, materiali, sociali oppure atmosferiche. Nel 2008 l’architetto giapponese Junya Ishigami, formatosi presso lo studio SANAA, potentemente influenzato dalla capacità di astrazione e idea di casualità nel lavoro di Kazuyo Sejima,

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3 Ishigami, Junya. 2010. Another Scale of Architecture, Seigensha Art Publishing, Kyoto 4 Perec, Georges. 1975. Tentativo di esaurimento di un luogo parigino. Titolo originale: Tentative d’épuisement d’un lieu parisien. Union générale d’éditions

realizza KAIT Kobo per il Kanagawa Institute of Technology. Una foresta di sottili colonne sono distribuite irregolarmente in un parallelepipedo di cemento leggermente distorto, sovrastate da una leggera copertura piatta. La pianta di KAIT assomiglia ad un’immagine Dada di casualità artificiosa, o agli algoritmi casuali di Fontana Mix di John Cage, in cui sperimenta l’indeterminato nella notazione musicale attraverso la sovrapposizione randomica di dieci fogli con disegni geometrici, combinati casualmente a generare uno spartito. Similarmente imprevedibile nella sua esperienza, KAIT viene vissuto come una foresta, gli spazi non sono predestinati ad accogliere nessuna funzione specifica -o tutte le funzioni. In Another Scale of Architecture,3 Ishigami sistematizza il suo modo di fare architettura, provando a definire architettura quello che non è mai stato architettura prima. Si tratta non solo di ripensare i nostri metodi costruttivi, ma anche, così, di scoprire una nuova scala architettonica non prima percepibile, affine cioè all’ambiente naturale e non più a quello umano: la sensazione liberatoria di un paesaggio, la vastità del cielo, la leggerezza di una nuvola, la sottigliezza della pioggia. Un corrispettivo letterario di un analogo esperimento l’ha fatto Georges Perec, in Tentativo di esaurimento di un luogo parigino,4 provando a descrivere con le parole quello che viene non notato con gli occhi: “Ci sono molte cose in Place Saint-Sulpice, ad esempio: un municipio, degli uffici di tesoreria, un commissariato di polizia, tre caffè di cui uno è anche un tabacchi, un cinema, una chiesa ai cui lavori hanno partecipato Le Vau, Gittard, Oppenord, Servandoni e Chalgrin e che è consacrata ad un cappellano di Clotario II che fu vescovo di Bourges dal 624 al 644 e che si festeggia il 17 gennaio, un editore, un’impresa di pompe funebri, un’agenzia di viaggi, una fermata degli autobus, un sarto, un albergo, una fontana de- corata dalle statue di quattro grandi oratori cristiani (Bossuet, Fénelon, Fléchier e Massillon), un’edicola, un negozio di oggetti votivi, un parcheggio, un istituto di bellezza, e molte altre cose ancora. Di queste cose, molte, se non la maggior parte, sono state descritte, classificate, fotografate, raccontate o recensite. Nelle pagine che seguono, il mio intento è stato piuttosto quello di descrivere il resto: ciò di cui normalmente non si prende nota, ciò che non si osserva, ciò che non ha importanza: ciò che succede quando non succede niente, se non il tempo, le persone, le macchine e le nuvole”. La suggestione che l’architettura sia parte del mondo e possa essere scoperta piuttosto che creata può a prima vista sembrare bizzarra. Ma non lo è. Come le costellazioni esistono ma possono essere pensate come forma di disegno nel cielo, rocce e sabbia possono essere interpretati come disegni scritti dalla natura nel corso del tempo. Piuttosto, per poter rilevare questa architettura, si richiede un intenso sforzo creativo all’osservatore, il quale utilizzerà immaginazione

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5 Rossi, Aldo. 2009. Autobiografia scientifica. Il Saggiatore, Milano 6 ibid. p. 32 7 ibid. p. 72

e percezione attiva. Tra l’osservatore e il mondo, il caso è un silenzioso mediatore, facendo incontrare, coincidere ed associare pensieri fino a evocare un’immagine. Questo processo di osservazione immaginativa e associativa è una precondizione fondamentale per il disegno e per l’architettura poiché collega inconsciamente anfratti di memoria, osservazione e immaginazione in modo sintetico. Aldo Rossi, in Autobiografia Scientifica,5 che si basa su annotazioni dell’architetto degli anni ‘70, sottolinea il ruolo creativo dell’osservare nel suo lavoro, asserendo che l’osservazione delle cose è sempre stata la sua più importante educazione formale, l’osservazione diventa infatti poi memoria, infine un catalogo. L’esperienza che si fa memoria costruisce un codice di lettura e di interpretazione dell’atto complesso del guardare, del vedere e dell’osservare: «Forse l’osservazione delle cose è stata la mia più importante educazione formale; poi l’osservazione si è tramutata in una memoria di queste cose. Ora mi sembra di vederle tutte disposte come utensili in bella fila; allineate come in un erbario, in un elenco, in un dizionario. Ma questo elenco tra immaginazione e memoria non è neutrale, esso ritorna sempre su alcuni oggetti e ne costituisce anche la deformazione o in qualche modo l’evoluzione»6 Rappresentare (dal latino rapraesentare, composto di re- e praesentare “presentare”) costituisce per Rossi un approfondimento, nella sua duplice veste: fare riapparire di fronte a sé, sebbene trasfigurato da una modalità rappresentativa personale, ciò che sa per averlo visto. Quei frammenti di vita vissuta non appartengono solamente alla realtà oggettiva delle cose, ma, nei disegni di Rossi, sono altresì “cose” anche i ricordi, la memoria, il tempo ed il suo trascorrere, le atmosfere, i sentimenti. Non è casuale quindi che la preoccupazione, quasi l’ossessione, che anima tutti i suoi ultimi progetti sia quella di costruire un’architettura che sia solo un outil, uno strumento, un luogo utile per lo svolgersi di una determinata azione. Il luogo per antonomasia è ancora e sempre la città: “Ho sempre affermato che i luoghi sono più forti delle persone, la scena fissa è più forte della vicenda. Questa è la base teorica non della mia architettura ma dell’architettura; in sostanza è una possibilità di vivere. Paragonavo tutto questo al teatro e le persone sono come gli attori quando sono accese le luci del teatro, vi coinvolgono in una vicenda a cui potreste essere estranei e in cui alla fine sarete sempre estranei. Le luci della ribalta, la musica non sono diverse da un temporale d’estate, da una conversazione, da un volto. Ma spesso il teatro è spento e le città, come grandi teatri, vuote. È anche commovente che uno viva una sua piccola parte; alla fine l’attore mediocre o l’attrice sublime non potranno cambiare il corso degli eventi. Nei miei progetti ho sempre pensato a queste cose e proprio costruttivamente alla contrapposizione tra ciò che è labile e ciò che è forte”.7

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× DESIRES > 6.ANTI-FORM 8.ARCHITECTURAL CONSPIRACY 10.BABEL 14.CHANCE 25.CUT-UP 28.DESIDERIO 35.FACTS, FETISHES, FACTISHES 42.GENEALOGIA COLLETTIVA 52.LIMITE APERTO 56.MEDIA SPACE 68.NON STOP CITY 71.PARAMNESIA 72.PARANOIC CRITICAL METHOD 90.SCREENPLAY 94.SUBJECTIVITY


DESIDERIO TRASGRESSIONE MORTE

pagina affianco: Aldo Rossi, studi per il Teatro del Mondo, Biennale di Venezia 1979 1 orig. Freud, Sigmund. 1920. Die Traumdeutung. Franz Deuticke, Leipzig & Vienna 2 Manolopoulou, Yeoryia. 2013. Architectures of Chance, Ashgate Publishing, Farnham, England 3 “Architecture is not simply a platform than accommodates the viewing subject. It is a viewing mechanism that produces the subject. It precedes and frames its occupants”. Colomina, Beatriz. 1994. Privacy and Publicity: Modern Architecture as Mass Media. MIT Press. p. 250

Nel 1920 Sigmund Freud pubblica L’interpretazione dei sogni1, la cui tesi è in profonda contrapposizione con il modello cartesiano della coscienza indivisibile. Il pensiero di Freud e il significato che egli attribuisce ai sintomi dell’inconscio -sviste, scherzi, sogni, lapsus- pone l’attenzione sul ruolo della casualità, sia come soggetto che come tecnica, tra i circoli artistici della prima metà del XX secolo. Questa nozione soggettiva di casualità creativa, che nel suo libro Architectures of Chance2 Yeoryia Manolopoulou chiama impulsive chance, ha definito una larga parte del surrealismo, contribuendo significativamente all’attacco dell’oggettività. Il caso era visto come uno strumento creativo in grado di liberare gli impulsi umani e lo sviluppo spontaneo delle idee, accompagnando indeterminazione e soggettività. La relazione creativa tra progetto ed inconscio è inevitabile quanto evidente nella storia della produzione culturale attraverso il tempo ed in diversi luoghi. Inoltre, il legame tra architettura e psicoanalisi si è instaurato esplicitamente nell’ultima parte del XX secolo: Beatriz Colomina ha discusso criticamente come l’architettura sia essenzialmente un meccanismo visivo prodotto dal soggetto.3 Villa Savoye di Le Corbusier (1929), per usare un celebre esempio, è esperienziata attraverso una sequenza di campi visivi in cui lo sguardo tende a volare via. Al contrario, Villa Muller di Adolf Loos, costruita negli stessi anni (1930), Colomina sostiene che attivi un tipo di meccanismo differente che invece blocchi lo sguardo. Ad esempio le finestre servono a fare entrare la luce piuttosto che lasciare che lo sguardo penetri verso l’esterno. Loos ha progettato Villa Muller come una scena teatrale, in cui molteplici interazioni visuali sono in gioco. Quando qualcuno occupa una posizione adiacente alla finestra appare come una misteriosa silhouette, ed in ogni stanza è possibile guardare

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4 In questo passaggio Lacan si riferisce a L’Être et le néant di Jean-Paul Sartre. Lacan è citato da Beatriz Colomina in Privacy and Publicity: Modern Architecture as Mass Media, p. 250. Sugli interni di Loos invece p. 232 5 Hays, Michael. 2009. Architecture’s Desire, Reading the Late AvantGarde, MIT Press, Cambridge 6 Tschumi, Bernard. 1990. “The pleasure of Architecture”, in Questions of Space: Lectures on Architecture. AA Publications, London. p. 55

dentro le altre stanze. Nessuna privacy, ma ognuno interpreta un ruolo, sapendo di essere osservato. “You feel that you’re an object for the gaze of others”, Colomina scrive, citando Lacan: “I can feel myself under the gaze of someone whose eyes I do not even see, not even discern. All that is necessary is for something to signify to me that there may be others there. The window if it gets a bit dark and if I have reasons for thinking that there is someone behind it, is straightaway a gaze. From the moment this gaze exists, I am already something other, in that I feel myself becoming an object for the gaze of others. But in this position, which is a reciprocal one, others know that I am an object who knows himself to be seen”.4 La percezione spaziale è motivata dal desiderio di vedere e di interagire. Una questione di possibilità, non di certezze, includendo quella di qualcuno che compaia guardandoti. Michael Hays in Architecture’s Desire5 focalizza l’attenzione sui progetti dell’avanguardia degli anni ‘70 di Aldo Rossi, Peter Eisenmann, John Hejduk e Bernard Tschumi per studiare le relazioni tra spazio e architettura della psiche. Alla base sta la convinzione che il disegno è il luogo depositario dell’incontro tra psicoanalisi e architettura, in cui si possono incontrare ed influenzare mutevolmente, poiché lo spazio e la sua rappresentazione è un tema condiviso. Bernard Tschumi segue The Pleasure of Architecture, titolo di un suo precedente saggio, tracciando il tentativo di descrivere un’esperienza architettonica da nuovi punti di vista, ancora inesplorati. Come altri della tarda avanguardia, la sua ricerca esplora la frontiera ontologica dell’architettura. E lì, ai limiti del simbolico, il reale in architettura è non tanto sostanza ma fallimento e ambiguità del significante. Come scrive Tschumi: “Behind al masks lie “dark” and unconscious streams that cannot be dissociated from the pleasure of architecture. The mask may exalt appeareances. Yet by its very presence, it says that, in the background, there is “something else”.”6 Tschumi, forse più di ogni altro del movimento della tarda avanguardia, riconosce che questo “qualcosa d’altro”, ovvero il reale architettonico, è sia il nocciolo impenetrabile e immutabile che resiste alle appropriazioni discorsive, sia, allo stesso tempo, l’esorbitante vuotezza che rimane dopo la simbolizza-zione, provocando frustrazioni ma anche sofferta gioia. In una serie di saggi e progetti tra il 1975-1976, Tschumi si occupa dello stato del discorso architettonico cercando di definirne la posizione e produttività. Una riflessione sull’opposizione tra architettura come prodotto mentale (concettuale e dematerializzato con una logica coerente all’interno della disciplina), e l’architettura come esperienza sensuale e pratica spaziale (corporale e contingente). Tschumi ha insistito nel paradosso che se l’architettura è depositaria di uno specifico tipo di immaginazione, in grado di schematizzare il mondo in irriducibili modi architettonici,

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7 Tschumi, Bernard. 1976. “Architecture and Trasgression”, in Architecture and Disjunction, p. 73 8 Hays, Michael. 2009. Architecture’s Desire, Reading the Late AvantGarde, MIT Press, Cambridge. pp. 145-146

è dunque anche uno specifico tipo di immaginario, capace di produrre specifici desideri, i quali trovano nella rappresentazione stessa una sorprendente varietà di pratiche ed espressioni. L’architettura poi, ha a che fare con un particolare impulso che trova rappresentazione e la sua espressione sensuale con diversi media, solamente contingentemente relazionati alla composizione dell’edificio. Egli realizza poi Advertisement for Architecture, una serie di cartoline con testo ed immagini, ognuna delle quali rappresenta un manifesto che denuncia e confronta l’immediatezza dell’esperienza spaziale con l’analitica definizione di concetti teorici. Le cartoline sono volte ad innescare un desiderio di qualcosa che vada al di là della pagina stessa. Attraverso le parole di Michael Hays, Tschumi spiega così i suoi Advertisements for Architecture: “A notational device to “trigger” the desire for architecture -not an architecture of object s but rather of “point of tangency”: the embodied jouissance beyond form’s legibility, opened up in the lack of its own signifying finality. Stressing the inevitable commodification of architecture’s image, he queries the possibilitiy of détouring and accelerating rather than resisting that inevitability into an erotics of architectural performance. “The usual function of advertisements is to trigger desire for something beyond the [image or form] itself.. As there are advertisements for products, why not advertisements for architecture?”7 This is advertising in libidinal terms -intensities, perversions, trasgression, and violence- following Bataille, no doubt, but also the cultural politics of Tel Quel: making art from the world “just as it is”, only more so; oushing art through the channels of commodity distribution and perception in order to dialectically produce a new kind of perception and, at the limit of the push, let art annihilate itself (once again confirming the bonds between desire, trasgression, and death). By replacing conventional architectural drawings with other notational systems (here photograps and texts) that trigger or open a space for a possible architectural experience, Advertisements for Architecture throws into difficulty the sorting through of the relays between author, object, performance, audience, and so forth. For exemple, is the author here Tschumi, Le Corbusier, or those who smeared the excrement? Is the architectural content already present before the photograph that reduplicates it, or is content there only in the combination of photograph and text? Or there is no content at all, but only an organization of various flows of desire produced by a specific reader and then only in a particular moment? Tschumi attempts to estabilish architectural notation as a process of telegraphic overproduction that is not secondary to some bulding it denotes (as are conventional architectural drawings) and has no predetermined relashionship to the architectural performance it solicits or triggers”.8

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× ANTI-CARTESIO > 5.ANTI-CARTESIO 7.APPROPRIATION 12.CALCULATED UNCERTAINTY 14.CHANCE 19.CONTINGENZE 25.CUT-UP 30.EFFLUVIO MAGNETICO 32.EURISTIC PATTERN 44.HABITAT 57.MERZBAU 62.NARRATIVE ARCHITECTURE 77.POST-PRODUCTION 79.POTENTIALITY 92.SPAZIO NARRATIVO 97.UNNOTICED BEAUTY


ANTI-CARTESIO

pagina affianco: Hans Dieter Schaal, Path crossing a tiled platform that is penetrated by rocks, 1970’s 1 Manolopoulou, Yeoryia. 2013. Architectures of Chance, Ashgate Publishing, Farnham, p. 205 2 Lina Bo Bardi in de Oliveira, Olivia. 2006. Subtle Substance: the Architecture of Lina Bo Bardi. Romano Guerra e Gustavo Gili, p. 295 3 Lacaton&Vassal www.lacatonvassal.com

Si tende spesso a confondere flessibilità con indefinitezza in architettura, poiché entrambi vengono associati alla negazione di una funzione specifica e determinata a priori, sebbene i due termini suggeriscano attitudini ben differenti1. La flessibilità infatti è data attraverso mezzi spaziali e tecnici: quando il proposito di una stanza non è esplicito suggerisce una libertà d’uso che si può tradurre in un buon grado di flessibilità spaziale, ad esempio è questo il caso delle ampie stanze dei castelli medievali, o dei palazzi barocchi, mentre nella storia contemporanea questa idea è alla base delle architetture di importanti figure come Lina Bo Bardi o Lacaton&Vassal. “It’s the architecture of freedom!”, è quello che ha esclamato John Cage, rappresentante massimo dell’idea di indefinitezza nella musica, visitando il MASP a San Paolo. Voleva chiaramente dire che è un’architettura che supera i propri limiti materiali, offre dunque una stanza alla città più che prendersela per sé2. Anche Lacaton&Vassal3 sono espliciti nelle loro dichiarazioni di intenti contro l’irrevocabile identità funzionale di uno spazio. La loro metodologia progettuale è strategica e politicamente impegnata, perseguendo l’ambizione che tutti i cittadini possano beneficiare di spazi generosi per vivere, il vero capitale della nostra contemporaneità, combattendo lo spreco di risorse economiche e materiali a favore di sistemi standardizzati di costruzione. Inoltre, l’utilizzo di sistemi industriali perlopiù proviene da discipline scientifiche altre, come quella agronomica nel caso dell’adozione di sistemi di costruzione delle serre. L’unico punto fermo nell’approccio progettuale di Lacaton&Vassal è il fatto di donare un surplus di spazio per poter accogliere una vasta gamma di eventi potenziali. L’elemento di casualità in questo caso non è la forma fisica dell’edificio ma la sua estrema non-specificità. Gli edifici in

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4 Rirkrit Tiravanija, Untitled (2001/2012), Gallery Side 2, Tokyo, Japan 2012 5 Dieter Roth, Islands. 6 Novembre 2013-9 Febbraio 2014. Hangar Bicocca, Milano. A cura di Vicente Todolì 6 Rotor, Ex Limbo, Fondazione Prada, Milano. 13 Aprile-5 Giugno 2011

questo senso risultano come dei mai finiti poiché perseguono continuamente un processo di assemblaggio attivo, influenzati dal tempo e dalle proprie contingenze. In un edificio infatti, muri vengono aggiunti o sottratti, e influiscono fattori climatici nell’aspetto esteriore, la natura agisce insieme al tempo costantemente. Inoltre restauri, estensioni, alterazioni di diversa natura seguono il corso della costruzione. L’edificio vive così come un costante processo di assemblaggio. Il ruolo dell’architetto in questo caso si assimila a quello del curatore, una sorta di demiurgo di eventi possibili. In una mostra di Rirkrit Tiravanija lo spettatore difficilmente riesce a distinguere la frontiera che separa la produzione dell’artista dalla propria: in Untitled (2001/2012)4 mette in scena la rivisitazione di un lavoro iniziato undici anni prima alla triennale di Yokohama, un mini-van attrezzato per il campeggio, con tanto di cibo in libera fruizione per gli spettatori e diversi monitor tv. Nel 2012 pone al centro di un labirinto di sedie da camping, bottiglie, attrezzi vari che interagiscono con lo spazio costruendo un ambiente architettonico eterogeneo grazie alla varietà merceologica degli oggetti esposti e lo scenario che essi compongono. Dove si ferma la cucina e dove inizia l’arte, visto che l’opera consiste in fondo nell’esperienziare questa surreale scenografia, e gli spettatori sono invitati a compiere gesti che fanno parte della loro quotidianità? La volontà è quella di inventare collegamenti inediti tra l’attività artistica e l’insieme delle attività dell’uomo, costruendo uno spazio narrativo che catturi finalità e strutture del quotidiano in una forma di scenario organico diversa dall’arte tradizionale.5 Anche Dieter Roth riflette sul processo VS prodotto, come e perché attribuiamo valore agli oggetti (opere d’arte incluse), l’importanza del contesto materiale, archiviare e collezio-nare, ossessioni umane ed indagini culturali. Dieter Roth ha realizzato diari visivi basati sull’accumulazione, opere totali in cui si incontrano pittura, scultura, editoria, fotografia e video, utilizzando la più ampia varietà di materiali e oggetti. Il risultato sono installazioni imponenti e originali che nella mostra Islands, all’Hangar Bicocca di Milano,5 dialogano e interagiscono perfettamente con lo spazio ex industriale in cui sono state esposte. Con analogie tematiche ma esiti completamente differenti, il progetto del gruppo belga Rotor,6 Ex Limbo, alla Fonda-zione Prada di Milano (2011), è una riflessione sullo spazio espositivo di Via Fogazzaro, l’ambiente in cui si svolgono le sfilate di ogni nuova stagione. Ciascuna di queste sfilate porta con sé una successione spettacolare di idee nuove costruite con estrema precisione.

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7 Manolopoulou, Yeoryia. 2013. Architectures of Chance, Ashgate Publishing, Farnham, England. p. 204 8 Aldo Van Eyck citato in Strauven, Francis. 1998. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architectura&Natura. p. 359 9 Aldo Van Eyck citato in Manolopoulou, Yeoryia. 2013. Architectures of Chance, Ashgate Publishing, Farnham, England. p. 205. Manolopoulou a sua volta cita da Kultermann, Ugo. 1993. Architecture in the 20th Century. John Wiley&Sons. p. 138

Per parlare al pubblico, queste idee richiedono una materializzazione. Al di là dei pochi istanti della loro esistenza, la loro corporeità si trasforma in un peso. Da un’ idea che diventa una forma, ciò che resta è solo una presenza fisica. Presenza dell’assenza. Dai primi anni ‘50 Aldo Van Eyck critica l’architettura razionalista e funzionalista, sostenendo piuttosto un approccio focalizzato sulle persone più che sulla materia, che esorti una riflessione sugli spazi di scarto che la città offre, riscoprendo le qualità di ciò che non è pianificato, di ciò che è risultato “per caso”.7 Come seguace di Arp e Tzara, forti sostenitori dell’importanza della componente casuale in un progetto, Van Eyck ha concentrato gran parte del suo lavoro sugli spazi residuali della città, spazi che favorissero occasioni. Come ad esempio ha fatto nel suo celebre progetto dei Playgrounds in Amsterdam: “Whatever space and time mean, place and occasion mean more”.8 L’occasione è l’anello mancante tra circostanze e architettura, ed è da essa imprescindibile: in parte casuale ed in parte progettata, ma costantemente mutevole nel tempo. Per spiegare la matrice dell’aggregazione anti-gerarchica delle stanze e dei patii nel suo progetto per l’orfanatrofio di Amsterdam scrive: “The building was conceived as a configuration of intermediary places clearly defined. This does not imply continual transition or endless postponement with respect to place and occasion. On the contrary, it implies a break away from the contemporary concept (call it sickness) of spatial continuity and the tendency to erase every articulation between spaces, between inside and outside, between one space and another. Instead, I tried to articulate the transition by means of defined in-between places which induce simultaneous awareness of what is signified on either side”.9 L’esperienza simultanea di questi luoghi in-between riflette il più ampio interesse di Van Eyck per quelli che chiama “twin phenomena”, ovvero due realtà simultanee e corrispondenti: una psico-sociale, l’altra materiale. Per Van Eyck l’ambiente costruito è la controparte materiale di una tensione reciproca in cui forma, e realtà sociale e mentale delle persone abitano un determinato ambiente. Un esempio è la casa: questa può essere come una piccola città e una città può essere come una casa. Ammettere che un edificio è parzialmente descritto da eventi di natura sociale significa riconoscere la natura performativa del costruito. Il caso è performance, generato da un’ecologia di: attività sociali, circostanze storiche e politiche, fattori e cambiamenti climatici, tempo, e tutto quel complesso di forze che agiscono e interagiscono con la città e i suoi edifici.

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RESILIENCE: 1. THE ABILITY TO RECOVER QUICKLY FROM ILLNESS, CHANGE, OR MISFORTUNE; BUOYANCY. STRENGTH, TOUGHNESS, ADAPTABILITY, HARDINESS: “THE RESILIENCE OF HUMAN BEINGS”. 2. THE PROPERTY OF A MATERIAL THAT ENABLES IT TO RESUME ITS ORIGINAL SHAPE OR POSITION AFTER BEING BENT, STRETCHED, OR COMPRESSED; ELASTICITY, SUPPLENESS, GIVE, SPRING, FLEXIBILITY, ELASTICITY, PLASTICITY, PLIABILITY, SPRINGINESS.


RESILIENCE


× RITUALS > 6.ANTI-FORM 8.ARCHITECTURAL CONSPIRACY 11.BAZAAR 14.CHANCE 15.CHAOS 25.CUT-UP 32.EURISTIC PATTERN 53.LO-FI ARCHITECTURE 57.MERZBAU 59.METAMORFOSI URBANE 61.MUTAZIONE 77.POST-PRODUCTION 80.PROCESSO APERTO 82.QUALITÀ INVISIBILI 87.RHYTHM


RITO

pagina affianco: Marcel Duchamp, Ingegnere del Tempo Perduto, conversa-zione con Pierre Cabanne, Multhipla Edizioni, Milano 1979 1 Morris, Robert. “Anti Form”, in Artforum, Aprile 1968 2 “Quindi quella è un’altra regola per la natura generale dell’architettura, che deve di fatto creare nuovi appetiti, nuovi tipi di fame - non risolvere problemi; l’architettura è troppo lenta a risolvere i problemi. A cosa ci serve l’architettura? E’ un modo di imporre l’ordine o di stabilire una convinzione, che è entro certi limiti il motivo della religione”. Obrist, Hans Ulrich (a cura di). 2011. Re: CP-Cedric Price. LetteraVentidue, Milano. p. 60

L’artista americano Robert Morris fu uno degli iniziatori della Minimal Art, che successivamente respinse e rinnegò in favore di un’arte decisamente meno fredda e più impegnata, che accogliesse tutte le qualità e tutti i limiti della materia insieme, come se improvvisamente si fosse reso conto che la forza di gravità è più forte di quella di una volontà la quale vorrebbe un mondo pulito ed ordinato. Nel suo testo “Anti Form”, del 1968, scrive: “La nozione secondo cui l’opera d’arte è un processo che termina immancabilmente in un oggetto-icona non può più avere seguito. […] L’opera d’arte è un processo”.1 Se cambiassimo il soggetto di questa affermazione con “architettura” -45 anni dopo, ma un concetto non ha tempo e, come ha ben spiegato Cedric Price, l’architettura è troppo lenta per risolvere i problemi2- implicherebbe scardinare la disciplina dei suoi principi ed accettare quei caratteri che l’Architettura ha sempre rifiutato: la transitorietà, la precarietà, il disordine. Già sul finire del XIII secolo, in un trattato incompiuto, l’architetto barocco Fisher Von Erlach si è occupato di analizzare alcuni fenomeni spaziali che, sebbene possano dirsi di carattere architettonico in quanto occupano lo spazio conferendone una forma, non sono mai stati presi in conside-razione esplicitamente dalla disciplina: il colossale, l’affollato, il cerimoniale. Sebbene queste categorie non siano affatto di ordine utopico, anzi al contrario, fanno parte di dinamiche profondamente legate al progetto architettonico, sono state completamente ignorate e rinnegate dal movimento moderno, il quale faceva equivalere progetto con ordine, ed il progetto era “dal cucchiaio alla città”. Vale a dire che quest’ultimo ha ripudiato tutte quelle condizioni spaziali informali che però non possono non esistere in una città o all’interno di una casa, poiché il modo in cui viviamo contempla tempo, ripetizione, e ritualità.

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3 Superstudio, “Vita-Educazione-Cerimonia-Amore-Morte. Cinque storie del Superstudio”, 1972/1973. Opera pubblicata sulla rivista Casabella in cinque fascicoli 31x24,5 cm., testo in italiano e in inglese, con illustrazioni in bianco e nero e a colori 4 La Rocca, Francesca (a cura di). 2010. Scritti Presocratici. Andrea Branzi: visioni del progetto di design 1972-2009. Franco Angeli, Milano. pp. 146-148

E’ con il movimento Radical italiano, dalla seconda metà degli anni sessanta, che tra pessimismo e ironia si cerca di demistificare questo linguaggio, arrivando ad affermare che l’architettura ha negato la vita, e per una rifondazione teoretica di essa bisogna che si riconsiderino i più basici valori umani. Superstudio nel 1973 pubblica su Casabella in cinque fascicoli Vita-Educazione-Cerimonia-Amore-Morte. Cinque storie del Superstudio, o Cinque Atti Fondamentali,3 in cui si lancia la sostanziale provocazione che la vita è più forte dell’architettura. Bisogna insomma mettere in campo un’estetica che rivisiti e recuperi il panorama culturale della città mediante una metodologia camaleontica volta a riorganizzare i brani della vita comune per concepire opere aperte, progetti versatili, performambienti che invitano lo spettatore a interrogarsi sulla natura della società e delle cose stesse.4 Strizzando l’occhio a queste esperienze, potremmo dire che più che progettare edifici dovremmo essere in grado di produrre meccanismi che non vengano accolti come qualcosa che si riceve, ma come qualcosa che si espe-risce, che si genera processualmente e contestualmente, e che quindi diventi tessuto inscindibile dalla propria stessa identità. Dovremmo riuscire ad accettare non solo il consumo della materia, ma anche che il consumo di idee ed immagini esiste nel tempo, quindi un edificio, in qualsiasi epoca esso sia stato ideato e costruito, vive in una sorta di immediatezza. D’altra parte, seppur inconsapevolmente, già sono esistenti alcuni fenomeni di architetture effimere, come ad esempio lo sono a tutti gli effetti alcuni rituali urbani: mercati all’aperto, processioni religiose, manifestazioni politiche, proteste, concerti. Parate di festa, etc. Queste epifanie nella città creano paesaggi effimeri diventando e svanendo con un ritmo costante, trasformando la città che temporaneamente abitano. Parti mobili e animate possono raggiungere la taglia di veri e propri edifici, come nel caso dei carri di Carnevale, oppure sembrare città nella città, come i mercati all’aperto che, con le loro bancarelle mobili inscenano un villaggio precario all’interno della struttura urbana (normalmente una piazza) già consolidata. Nel caso delle processioni religiose, si esaltano un sistema di oggetti simbolici, a discapito dell’architettura che diventa solamente il contorno di questa massa umana che come un liquido pervade le strade. I rituali diventano luogo della comunità, interagendo con la solida materialità dell’architettura in cui si trovano ad occupare una dimensione interstiziale. I rituali prevedono, accolgono, gestiscono la varietà delle possibili interazioni nella loro spontaneità, hanno dunque di per sé le qualità del riciclarsi. Come una sorta di “architettura relazionale”, diventano essi stessi opera e spettatori. E’quello che succede nell’installazione di Pipilotti Rist,

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5 MoMA www.moma.org/visit/calendar/exhibitions/307 6 OMA www.oma.eu/projects/1992/ yokohama-masterplan/ 7 Lacaton&Vassal www.lacatonvassal.com/?idp=37#

Pour Your Body Out (7354 Cubic Meters),5 progettata per il MoMA nel 2009. Quest’opera site-specific multimediale unisce fantasia e realtà appropriandosi delle pareti dell’edificio che la contiene, avvolgendole, mangiandole. La dimensione immersiva dell’opera fa sì che lo spettatore viva l’opera in un vero e proprio ribaltamento del corpo dall’esterno all’interno, e nuovamente viceversa. L’opera cerca il contatto, l’appropriazione temporanea. La futilità è devota a ritualizzarsi e riciclarsi nella sua visione costante e ciclica tra corpo e visione. Per il Masterplan di Yokohama,6 1992, OMA parte non dall’hardware della città ma dal software, dai flussi, dai riti, dalle relazioni che la città intesse al suo interno. L’atipicità di Yokohama si riflette sull’assenza di pianificazione urbana che fa apparire la città come un mero insieme di architetture in un campo di massima libertà, senza codificazione dello spazio pubblico. Invece di progettare singoli edifici, OMA ha optato per un progetto continuo e senza forma che inghiotta la città come una “lava” programmatica con tre differenti livelli di attività pubbliche che possano supportare la più grande varietà di eventi con la minima quantità di definizione permanente. A partire da due mercati pubblici che terminano in tarda mattinata, la proposta è un complementare spettro di eventi che sfruttino al massimo i luoghi e le infrastrutture esistenti per creare un “picco” di 24/24 composto da un mosaico eterogeneo di attività: strade, parcheggi, teatri, cinema, clubs, ristoranti, chiese, sedi sportive ed altri programmi: accessibilità, comunicazione, artificialità e tecnologia sono congelati in una momentanea configurazione autogenerativa. Dove dunque finisce la pianificazione e iniziano le iniziative spontanee? Quello che Lacaton&Vassal a Bordeaux in Place Léon Aucoc, nel 1996 può sembrare una provocazio-ne, ma abbellire un luogo non significa renderlo “fashion”, soprattutto quando questo sembra possedere già la qualità e il fascino della vita autentica, giusta e necessaria. Per questo progetto gli architetti francesi dunque hanno preso la decisione di non cambiare nulla dello stato esistente, interrogandosi se la responsabilità di dare bellezza ad un luogo dipendesse effettivamente dal progetto. Compiono così un innesto organico, che parte dall’ambiente e dalla gente che lo abita, dal loro passato e dal loro presente, dalle storie e dalle memorie che questi custodiscono. “We’ve spent some time watching what happened there. We’ve conversed with a few of the local inhabitants. Then we asked ourselves about a development project on this square with a view to its embellishment. What does the idea of “embellishment” boil down to ? Does it involve replacing one groundcover with another? A wooden bench with a more-up-to-date design in stone? Or a lamp stan-dard with another, more fashionable, one?”.7

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× NEUROSIS > 4.ANARCOMY+ 6.ANTI-FORM 8.ARCHITECTURAL CONSPIRACY 10.BABEL 11.BAZAAR 13.CANNIBALISMO 17.CIVILTÀ INDUSTRIALE 21.COUNTERCULTURES 53.LO-FI ARCHITECTURE 57.MERZBAU 62.NARRATIVE ARCHITECTURE 65.NEVROSI CONTEMPORANEE 77.POST-PRODUCTION 78.POST-WELFARE 87.RHYTHM


NEUROSI

pagina affianco: fotogramma tratto da Empire of the Sun, di Steven Spielberg, 1987 1 La Rocca, Francesca (a cura di). 2010. Scritti Presocratici. Andrea Branzi: visioni del progetto di design 1972-2009. Franco Angeli, Milano. pp. 135-157

La postproduzione è disordine: sradica i binomi produzione/ consumo, creazione/copia, opera originale/opera alterata; manipola materiale non primario, con operazioni di selezione ed inclusione in nuovi contesti, di esclusione o cancellazione di certi aspetti, o esaltazione e modifica di altri. La postproduzione auspica nel territorio il caos degli eventi in sostituzione alle matrici formali del progetto, secondo un modello concettuale liberamente fluido che si avvicina a quello di un mercato all’aperto, al bazar, al souk, una raccolta temporanea e nomadica di materiali precari e di prodotti di diversa provenienza. Essa accumula significanti e significati per riconfigurarli in un ordine nuovo e inaspettato: un relitto industriale può evolvere in spazio per l’arte, spazio di eventi, teatro, discoteca, in una libera successione temporale in cui l’estetica dell’edificio non informa più sul suo ruolo. Il riciclaggio come metodo, e la riconfigurazione caotica come estetica, hanno sostituito matrici formali della pianificazione per riappropriarsi di quel mondo che ha sedimentato troppi strati differenti. Branzi scrive che l’utopia quantitativa è l’unica morale di una società di consumatori.1 Ogni epoca ha le sue nevrosi preferite, dall’agorafobia e dall’isteria delle donne di fine secolo, al disturbo di personalità multipla che fino a qualche anno fa andava per la maggiore da Hollywood al paesino di montagna. Oggi è l’accumulo la mania che affligge tutti: la raccolta di una grande quantità di cose prive di un immediato valore d’uso, iniziata con gli ateliers degli artisti come luogo della creatività e della liberazione umana, e consacrata con il programma tv Hoarding: Buried Alive. Ma, se ogni epoca ha il proprio sintomo, ha anche la propria cura: oggi il riciclo ah sostituito la psicoterapia come mezzo per far fronte a problemi di desiderio e consumo. Gli interni che contengono troppa roba che la società reputa spazzatura, in altri termini materia prima pronta per il riciclo, sono rite-

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2 Baudrillard, Jean. 1994. “The system of collecting”, in Elsner, John e Cardinal, Roger. The culture of collecting. Reaktion, London 3 Tsuzuki, Kyoichi. 1999. Tokyo: A Certain Style, Chronicle Books

ritenuti non solo di cattivo gusto, ma addirittura qualcosa di malsano e pericoloso. In altre parole, la disattenzione per l’emergente etica del riciclo è ormai considerata un sintomo di malattia piuttosto che uno strano modo di stare al mondo, un modo estremo di progettare il proprio spazio vitale. Certi complessi di sintomi comportano un’attrazione verso l’architettura e attirano a loro volta l’attenzione di questa. Questo rapporto speculare non solo riflette le modalità storicamente in evoluzione, con cui le condizioni limite dell’architettura sono state definite, ma ha anche contribuito a produrle. Per esempio, proprio come l’agorafobia e l’urbanistica hanno tratto forza l’una dall’altra nel produrre determinate nozioni riguardo al dimensionamento dello spazio ed il suo corretto uso, potrà l’accumulo fare altrettanto con lo spazio interno come liberazione profonda delle tensioni individuali? Mentre la costruzione di strutture abitative in tutto il mondo produce una grande quantità di scarti pronti per essere rimescolati nel calderone del capitale, l’abitare, il modo cioè in cui gli utenti addomesticano l’architettura attraverso la creazione del proprio Microcosmo,2 cioè l’aggiunta e la disposizione dei propri beni personali, riflette invece le ideologie dominanti nella gestione dei rifiuti. In generale l’architettura, come disciplina, mira a esercitare un controllo sulla scelta dei materiali che entrano in contatto con la costruzione, limitandone non solo l’estetica, ma l’ubicazione, la quantità e il carattere. Ed è in questo sforzo di controllo che l’architettura mantiene il suo ruolo potenziale nel ridisegnare l’atteggiamento della società verso il valore del materiale. Cosa spetterebbe decidere all’architettura se liberasse questo controllo, se lasciasse che un interno domestico sublimi in visioni dantesche?3 Questo è il riflesso del mondo, in cui i sentimenti diventano cose prelevate da una nuova natura costituita dalla merce, dai paesaggi dei supermercati, dai packaging industriali. L’accumulo è dunque un’attività che sfida l’architettura a valutare il modo di gestire i rifiuti e le eccedenze, a riflettere su quali materie essa stessa respinge in quanto troppo scadenti per entrare nel regno del design, e sul tipo di controllo che il costruire tenta di esercitare, dal punto di vista sociale e no, tanto sull’ambiente inteso come contesto in cui sorge l’edificio, quanto sugli ambienti interni. La casa di un accumulatore è architettura prodotta dal riciclaggio estremo, da un’applicazione di valore (riconosciuta solo dall’accumulatore stesso) al pre-usato, all’inutile o all’abusato, da una bonifica della materia indesiderata che si realizza attraverso la proiezione di nuove forme di desiderio. La Disposofobia, o accumulo patologico o accaparramento compulsivo o mentalità Messie, ge-nera un’architettura che non ritiene che la funzione sia un principio generaivo e non ama giocare con il programma e il significato.

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4 Sylvia Lavin, “Il crudo, il cotto e gli avanzi, o l’accumulo come scienza dei materiali”, in Ciorra, Pippo, e Marini, Sara. 2012. Re-Cycle. Strategies for Architecture, City and Planet. Electa, Milano. pp. 156-165

L’accumulo devia l’attenzione tanto dall’uso quanto dalla rappresentazione, rivolgendosi alla materialità delle cose, sottoponendole a una forma di design che ha le sue proprie tecniche e logiche. Le cose, gli oggetti che hanno vita materiale, non sono un’aggiunta secondaria alla situazione architettonica, né semplicemente uno strumento di personalizzazione o di adempimento funzionale ma, al contrario, sono proprio ciò che in prima istanza dà luogo all’architettura. L’interno non è costituito dai muri o da altre delimitazioni ma dall’ordine, dalla serie, dal numero di oggetti all’interno che si fondono in un ambiente percepibile, non malgrado la loro presenza, generalmente varia e imprevedibile, ma in virtù del loro essere-oggetto, indipendentemente dall’involucro che li contiene. L’accumulo non fa uso di un programma o di una funzione per codificare l’interazione tra l’architettura e il suo utente. Gli accumulatori sono definiti come persone che, oltre a raccogliere grandi quantità di oggetti, spesso dello stesso tipo, li collocano in luoghi “inappropriati” (se ribaltassimo il concetto di rifiuto iniziando a vederlo come una cosa buona nel posto sbagliato?). L’accumulo potrebbe benissimo essere descritto come una resistenza critica ai canoni applicati dall’architettura oppure come un mezzo per comprendere lo spazio che non solo è resistente alle misure standard di utilizzo ma ignora del tutto. Inoltre gli accumulatori non si limitano a disporre le cose in un luogo programmaticamente sbagliato, ma lo fanno in modo tale da interrompere il flusso dei corpi nello spazio: i loro archivi occupano spazio normalmente destinato alla circolazione e all’abitazione in modi che spesso convertono i vuoti in blocchi solidi. Attraverso questo processo di densificazione, l’accumulo libera gli interni dalle convenzioni tipiche dell’utilizzo, consentendo all’interno in quanto tale, e non in base al suo valore d’uso, di diventare materiale architettonico. Oltre alle questioni di quantità, posizionamento, e valore, l’accumulo descrive un rapporto attivo tra raccolta ed esposizione. Gli accumulatori spostano frequentemente le loro cose e localizzano gli oggetti in base alle loro coordinate spaziali. Ma ancor più importante è il fatto che gli accumulatori esercitano il “rimescolamento”, e cioè prendono le cose dal fondo delle pile e le mettono in cima. Le collezioni degli accumulatori subiscono quindi una rotazione costante, come le opere d’arte nei musei contemporanei, che si spostano tra il deposito e la galleria. Dal punto di vista architettonico questo movimento conferisce agli interni un flusso temporale che altrimenti non avrebbe. Il rimescolamento, la coscienza del fatto che gli oggetti, oltre a produrre ambienti architettonici, operano per mantenerli fluidi, offre alla costruzione una misura di variazione nel tempo che manca nelle definizioni tipiche di architettura. In altre parole, l’accumulo identifica nell’architettura ciò che dà forma alle interazioni ambientali, piuttosto che limitarsi a controllarle.4

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× RHYTHM > 2.AGENCY 6.ANTI-FORM 10.BABEL 15.CHAOS 20.CONTINUITIES 26.DÉRIVE 34.FABRICATION 35.FACTS, FETISHES, FACTISHES 55.MANIPULATION 62.NARRATIVE ARCHITECTURE 66.NEW ORDER 68.NO STOP CITY 71.PARAMNESIA 87.RHYTHM 96.TIME-BASED


RHYTHMANALYSIS

pagina affianco: CJ Lim, collage per Dream Isle, tratto da Short Stories: London in Two-and-a-half Dimensions, 2011 1 Farinelli, Franco. 2003. Geografia: un’introduzione ai modelli del mondo, Einaudi, Milano 2 Lefebvre, Henri. 2004. Rhythmanalysis - Space, time and everyday life. Continuum, London

Marco Polo nei suoi viaggi non misura il mondo per mezzo della sua estensione spaziale, valutazione che si sarebbe rilevata imprecisa per pochezza di mezzi, e molto relativa per ristrettezza di convenzioni, ma conta il susseguirsi dei soli e delle lune. In pratica, egli rileva le distanze spaziali con la durata temporale, misurando così lo spazio attraverso il tempo: dopo la foresta c’è il deserto, il deserto dura cinque giorni; dopo il deserto c’è un lago, il lago dura un giorno e mezzo.1 Quale nesso tra tempo e misura? Henri Lefebvre ha trovato la risposta nel ritmo, che è qualcosa di insito nel concetto di tempo, in particolare nell’idea di misura, ripetizione, frequenza. In Rhythmanalysis2 egli prova a leggere diversi fenomeni -oggetti, vita urbana, ambiente naturale, media, comportamento, musica- con questo strumento di indagine: un metronomo che ha come soggetto principale il corpo. Il ritmo riunisce una serie di elementi ed aspetti quantitativi che scandiscono il tempo e ne fanno distinguere i momenti, ma anche elementi ed aspetti qualitativi che li relazionano insieme, né danno senso e unità. Lefebvre inoltre identifica due tipi di ritmo: ciclico e alternato. Il primo concerne semplici intervalli di ripetizione, come il susseguirsi del giorno e della notte, mentre il secondo è un ritmo “lineare”, univoco, come il flusso di informazioni in un televisore. Uno non esclude l’altro, ad esempio se pensiamo alla messa in onda a determinati intervalli del giorno e delle settimane delle notizie locali, abbiamo i due ritmi uno dentro l’altro. Lefevbre dichiara che il ritmo esiste nell’intersezione di spazio, tempo, e dispendio di energia, egli assume che il corpo umano è composto da diversi ritmi, che egli percepisce attraverso i cinque sensi, sebbene possa esserci a seconda un senso preponderante sull’altro: per poter osservare questi ritmi dall’esterno, il rhythmanalista deve utilizzare i propri come

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3 Lúcio dos Santos (Braga 1889 - Rio de Janeiro1950), filosofo ed educatore portoghese, scrive il capitolo “La rythmanalyse,” pubblicato nella prefazione del capitolo ottavo del libro di Gaston Bachelard La dialectique de la durée (Parigi, Boivin) nel 1936 4 Leupen, Bernard, Heijne, René and van Zwol, Jasper. 2005. Time-based architecture, 010 Publishers, Rotterdam. pp. 12-20

riferimento per unificare quelli che prende in considerazione, agisce dunque per confronto, ed lo stesso ritmo è la congiunzione dell’analista e dell’oggetto dell’analisi. Il termine “rhythmanalysis”, tuttavia, è stato coniato dal portoghese Lucio Alberto Pinheiro dos Santos, il quale pubblicò una prima teoria della rhythmanalysis nel 1931, focalizzata maggiormente sulla dimensione fisiologica. Le sue idee vennero in seguito riprese dal francese Gaston Bachelard sei anni più tardi, nel libro La dialectique de la durée.3 Il tempo come strumento di indagine ma anche come metro della nostra vita e di quello che ci circonda è stato dunque ampiamente studiato, teorizzato, interpretato. Anche in architettura la questione ha cominciato a diventare di primario interesse nel corso del XX secolo, quando cioè è diventato sempre più lampante che l’architettura non è e non può essere in nessun modo un medium al di fuori del tempo, poiché né la sua materia, né il suo significato lo sono. Architetti ed artisti come Constant, Friedman, Archigram, Cedric Price, e i metabolisti giapponesi -giusto per citarne alcuni- si sono occupati del fattore temporale in architettura dandone interpretazioni visionarie, e quando non visionarie, in modo ironico, come a voler lasciare intravedere un’amara consapevolezza nel contrasto indissolubile tempo/materia. Con maggior rigore, sebbene con pari grado di intelligenza e sofisticatezza, dalla fine degli anni sessanta sono partite una serie di ricerche sui possibili gradi di adattabilità di un edificio nel tempo, ricerche che oggi si trovano sotto la voce “flessibilità programmatica”, specialmente nel settore dell’abitazione, poi ulteriormente estese fino a valicare i confini dell’architettura per inserirsi a vario titolo nel linguaggio comune. In Time-Based Architecture, Bernard Laupen classifica questa flessibilità d’uso nel tempo in differenti categorie che delineano diverse strategie progettuali: edifici parte permanente e parte modificabili (“carcassa” di supporto con sovrastrutture leggere), semi permanenti (completamente smontabili all’occorrenza), ed infine totalmente smontabili4. Ma qual’è il vero punto di innovazione della cultura progettuale di questo tipo di edifici? In che modo questi edifici possono essere culturalmente ed ambientalmente sostenibili se ambiscono, seppur con modificazioni date nel tempo, ad una durata sempiterna? Secondo Lefebvre, al ritmo di quale uomo sottostanno? Il maggior ostacolo alla progettazione “time-based” è il fatidico binomio forma-contenuto, si finisce cioè spesso per progettare edifici programmaticamente neutri, e formalmente senza carattere. La flessibilità è diventata quindi volentieri sinonimo di “piattume”, avendo perso con gli anni quella carica immaginifica che sognava di un’umanità nomade e di edifici volanti. E se Churchill faceva suonare il monito agli architetti: “Noi diamo forma ai vostri edifici, e da quel momento i vostri edifici ci formano”,

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5 Lavin, Sylvia. 2004. Form Follows Libido: Architecture and Richard Neutra in a Psychoanalytic Culture. MIT Press 6 “I’m sure I’m going to look in the mirror and see nothing. People are always calling me a mirror and if a mirror looks into a mirror, what is there to see?”. Da: Warhol, Andy. 1975. The Philosophy of Andy Warhol: From A to B and Back Again. Harcourt Brace Jovanovich, New York 7 Damiani, Giuseppe. “Il Ritmo Della Vita: l’iperciclo Metabolico”. www.biologiateorica.it/systemanaturae/art2002/Damiani.pdf 8 Augé, Marc. 2007. Per un’antropologia della mobilità. Jaca Book, Milano. p. 7

gli architetti del secolo scorso le hanno provate tutte: “La forma segue la funzione” ha lasciato il posto a concetti altri come “la funzione segue la forma”, “la funzione segue la libido”,5 “polivalenza”, “variabilità”, “flessibilità”, “smantellabilità”, “semi-permanenza”. Si può essere specifici accogliendo quello che non si sa? L’ideale è che ci sia una forma di adattamento simbiotico e reciproco tra “hardware” e “software”, ma per questo ci vuole un cambio di approccio radicale: costruire meno, riutilizzare l’esistente, includervi più cicli di attività durante uno stesso periodo di vita. L’architettura allora forse anziché guardarsi allo specchio (e non vedervi proprio nulla)6 dovrebbe combinare universi estetici eterogenei, categorie diverse della progettazione, e prendere spunto dall’ordinarietà e dall’informale. Il voler a tutti i costi cercare di valicare il problema forma/contenuto, non dando una programmazione specifica ad un edificio, è comunque una scelta programmatica, rivelatasi pure poco efficace. Usando la rhythmanalysis lefebvriana il tempo in architettura, per sua natura, segue sicuramente un percorso che sta nel dominio del lineare, più che del ciclico, è un libero fluire secondo differenti stadi naturali che si susseguono. Cosa possiamo dunque progettare, memori della lezione lefebvriana? Una strategia possibile adottabile è quella dell’iperciclo, e cioè l’innesto di più cicli di vita attivi contemporaneamente sulla stessa realtà (“l’iperciclo metabolico può essere utile per spiegare l’equilibrio tra i processi di crescita e decadimento non soltanto a livello delle molecole e delle cellule, ma anche a livello degli organismi complessi, delle popolazioni e degli ecosistemi. Sulla base del modello proposto l’evoluzione biologica non è prodotta soltanto dai processi casuali di mutazione e selezione diretti dall’ambiente ma anche dai processi “intelligenti” e “lamarckiani” di mutazione e selezione endogena che in situazioni stressanti permettono un rapido adattamento alle variazioni ambientali”).7 Integrare più dimensioni temporali, esattamente come abbiamo detto per la programmazione televisiva ed il flusso di informazioni, sembra la base di un confronto dell’architettura con un ritmo caldo, umano. Prende informazioni dall’esperienza quotidiana, dal meltin pot caotico della cultura globale, da quell’infinità di registri iconici e mescolanze come cultura alta e cultura bassa, oriente ed occidente, arte e non-arte. Il susseguirsi di un cortocircuito continuo genera nuovi significati e suggerisce nuovi modi d’uso, eliminando a priori le problematiche legate alla programmazione pianificata. Sicuramente non quella occidentale, ma certe culture inoltre hanno incorporato la ciclicità nel loro modus vivendi, come ad esempio le popolazioni nomadi, possedendo il senso del luogo e del territorio, del tempo e del ritorno, dimostrando la propria capacità di autorigenerarsi nel tempo.8

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3

Lb


1

Ff

6

Dg

2

Lh



GEOGRAPHY CASE STUDIES


Madrid Rio The LifE project Garonne Riverfront Room for the River Depoldering New Hondsbossche Dunes Crissy Field

Freshkills Park

Isarplan


Minghu Wetland Park


RIVER: 1. (PHYSYCAL GEOGRAPHY) A LARGE NATURAL STREAM OF FRESH WATER FLOWING ALONG A DEFNITE COURSE AND EMPTYING INTO AN OCEAN, LAKE, OR OTHER BODY OF WATER AND USUALLY FED ALONG ITS COURSE BY CONVERGING TRIBUTARIES STREAMS. 2. ANY ABUNDANT STREAM OR FLOW, : “A RIVER OF TEARS”. 3. A SIMILAR STREAM OF SOMETHING ELSE: “A RIVER OF LAVA”.


RIVER STRATEGIES



THE LIFE PROJECT

The LifE project Inghilterra Baca Architects and the Building Research Establishment in collaboration with Halcrow, Fulcrum Consulting, LDA Design, Cyril Sweett, and support from Dura Vermeer and the Max Lock Centre 2014-

LifE sta per Long-term Initiatives for Flood-risk Environments, uno studio inglese che, in linea con gli obbiettivi governativi, identifica delle strategie per mitigare il rischio di alluvioni integrandolo con uno sviluppo sostenibile e responsabile. Da un lato, con l’incremento della popolazione e la necessità di rendere disponibili nuovi terreni per lo sviluppo urbano, e la pressione di costruire in zone in cui sono presenti pianure alluvionali non è mai stata così grande. Dall’altro, i terreni soggetti ad inondazioni si stanno enormemente espandendo in prossimità di corsi d’acqua e zone costiere. Il livello dell’acqua è infatti crescente e le piogge sempre più forti, entrambi fenomeni causati dal cambiamento climatico che stanno acuendo il pericolo di allagamenti. L’obbiettivo di LifE è quello di gestire le conseguenze per gli abitanti e per l’economia che può risultare dal fenomeno delle inondazioni e dall’erosione costiera. Le problematiche a cui cerca di rispondere sono: qual’è un approccio integrato sostenibile da adottare? Quali discipline dovrebbero essere coinvolte e perché? Qual’è la valenza paesaggistica di queste misure? Quanto costerà? Poiché i problemi odierni sono stati causati da una forte antropizzazione sul territorio, si pensa che invece di tenere l’acqua lontana dalle aree urbane, bisogni invece creare “spazio per l’acqua” integrato alla pianificazione, verso una rinaturalizzazione degli argini. L’approccio di LifE combina i seguenti principi: living with water (adattamento alla crescente frequenza di inondazioni ed al loro grado di pericolo), making space for water (lavorare con processi naturali provvedendo “stanze” per il fiume ed il mare in cui esondare e ridurre l’affidamento a barriere protettive, dove possibile), zero carbon (provvedere a tutte le esigenze energetiche incentivando risorse rinnovabili puntuali come il vento, la marea, e l’energia solare).

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STRATEGIA CONCEPT

HABITAT

PROGRAMMA

NUOVO PAESAGGIO EMERSO

BENEFICI DATI DA UNA GESTIONE FLESSIBILE DEL TERRITORIO

aumentando la possibilità di avere zone umide, emerge un nuovo paesaggio urbano

RIGENERAZIONE ECOSISTEMI rinaturalizzando l’ambiente, fauna e flora si riequilibrano naturalmente

· aree di gioco · generazione energie rinnovabili · bonifica ambientale · parcheggi e strade

IMPLEMENTAZIONE DI GENERATORI DI ENERGIE RINNOVABILI LOCALIZZATE anche sfruttando l’impeto dell’acqua durante gli alluvioni

LIVE WITH WATER

PROTEZIONE AMBIENTI FRAGILI

adattamento all’aumentata frequenza e violenza degli allagamenti dovuti al cambiamento climatico

in zone di marea, si preserva l’habitat naturale allontanando inquinamento acustico e luminoso

MAKING SPACE FOR WATER lavorare con processi naturali per provvedere ad uno spazio per il fiume in cui esondare liberamente

ZERO CARBON

DIDATTICO/EDUCATIVO

provvedere al fabbisogno energetico attraverso risorse rinnovabili in zone localizzate come vento, energia solare, energia generata dal flusso delle maree

contatto più naturale con l’ambiente

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SUOLI

FLUSSI

ADATTAMENTO MONITORAGGIO COSTANTE questo cambiamento di prospettiva (da tenere l’acqua lontano a invece vivere con essa e farle spazio), ha bisogno di costante monitoraggio in accordo con i cambiamenti climatici attraverso previsioni ambientali, di rischio, e constatazione dello stato dei territori

PROGETTAZIONE DEL VERDE

GERARCHIE DI SICUREZZA

giardini e aree di gioco possono essere progettate con variazioni minime in elevazione che possano comunque attenuare gli allagamenti durante le tempeste

il territorio sarebbe organizzato secondo un piano di sicurezza gerarchico, definisce quindi gli edifici critici (ospedali, centrali elettriche, servizi di emergenza) in zone meno suscettibili ad allagamenti

GESTIONE TOPOGRAFIA

GERARCHIE DI ALLAGAMENTO

NUOVI PAESAGGI

non sono previste sostanziali modifiche alla topografia naturale

secondo il principio Making space for water, si allagheranno prima: paesaggio, strade e percorsi secondari, parcheggi, edifici meno vulnerabili, strade primarie, edifici. Tutto prima che si possano allagare strade di emergenza o vie di fuga

inevitabilmente questi approcci produrranno diverse visioni del territorio come siamo abituati a vederlo noi oggi

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NUOVE PROSPETTIVE SU UN TERRITORIO URBANO piscine tidali e piĂš aree verdi



ROOM FOR THE RIVER

Room for the river - Ruimte for de rivier Olanda Minister of Infrastructure and the Environment + 17 partners (province, municipalità, Rijkswaterstaat, architetti paesaggisti, ingegneri ambientali) 2006-2015

L’Olanda è il paese tradizionalmente associato al problema della gestione dell’acqua, per il quale ha sviluppato metodi sofisticati fin dal diciassettesimo secolo, quando sono iniziate le grandi opere per reclamare la terra costantemente sommersa. Ad esempio, il drenaggio di 18.000 ettari del lago Haarlemmermeer, oggi è l’areoporto Amsterdam Schiphol. L’alta densità della popolazione (491 persone/ kmq, dato in crescita) impone costanti pressioni sullo spazio e l’ambiente che richiedono estrema cautela. Il programma Room for the River affronta l’esigenza di offrire spazi, anche edificabili, più sicuri per gli abitanti con un programma di prevenzione dall’acqua e dalle inondazioni che prevede 39 progetti strategici. Essi integrano aspetti di progettazione e sicurezza in preparazione all’innalzamento del livello dell’acqua. Se infatti il livello di rischio è sempre maggiore, continuare ad irrobustire le infrastrutture idriche atte ad arginare e contenere l’acqua nel suo corso non bastano, anzi peggiorano il problema. Per questo Room for the River si pone come obbiettivo quello di dare ai fiumi spazio in cui esondare in modo sicuro e con benefici ecologici, oltre che economici, in più implementando le qualità paesaggistiche dei luoghi. Lo studio comprende interventi su quattro fiumi olandesi: Rhine, Meuse, Waal, Ijseel. L’area inizia così in Olanda ma prende una parte di Germania, Francia, e Svizzera. Le misure comprendono: riposizionamento degli argini, abbassare il livello della piana inondabile, ridurre l’altezza di argini e dighe, costruire “canali verdi”, aumentare la profondità dei canali laterali (per incrementare la barriera tra il fiume e le infrastrutture, essi consentiranno una maggiore capacità di portata d’acqua che potrà defluire dalle zone inondate attraverso la riduzione degli sfondamenti delle dighe), rimozione degli ostacoli (ad esempio il ponte idraulico a Oosterbeek).

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STRATEGIA CONCEPT

HABITAT

PROGRAMMA SICUREZZA E QUALITA’ SPAZIALI il progetto, nato per ragioni di sicurezza di fronte ai rischi ambientali, modificherebbe inoltre naura, spazi ricreativi ed accessibilità

INVERSIONE PROSPETTIVA

RITORNO ALLA NATURA

non più innalzare barriere per contenere o difendersi dall’acqua, ma permettere che l’acqua ripopoli il paesaggio urbano e naturale per una maggior resilienza naturale a lungo termine

si creano zone di allagamento in cui l’acqua può scorrere liberamente consentendo ai territori di tornare alla natura RIGENERARE ECOSISTEMI fauna nativa naturalmente implementata da un habitat più sano

PROGETTAZIONE INTERDISCIPLINARE partecipano al team di lavori: urbanisti, ecologisti, esperti di fiumi e idrologia, biologi, ecologi, il tutto presieduto da architetti paesaggisti

ARMONIZZARE

INVERSIONE DI PAESAGGIO

cultura e natura

a causa di diversi meccanismi agricoli, i terreni agricoli, drenati per poter essere coltivati, sono sprofondati man mano sempre di più, mentre i sabbiosi alvei fluviali sono rimasti allo stesso livello; sono emersi quindi i letti dei canali come dorsali

QUALITA’ DEL TERRENO oltre ai benefici sulla sicurezza, si stima che il progetto avrebbe conseguenze positive sulla qualità del terreno, l’acqua filtrata dal suolo ricaricherebbe infatti le falde acquifere in un ciclo resiliente a qualsiasi tipo di shock causato dalle inondazioni

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SUOLI

FLUSSI

ADATTAMENTO

MATRICE DI ATTREZZATURE PAESAGGISTICHE

CULTURA NATURA

ponti e passerelle per consentire l’usufruire del paesaggio in condizioni di bassa e di alta marea

RIPOSIZIONARE TERRAPIENI

COMPONENTE CASUALE

allargare il letto del fiume per creare spazio ulteriore come piana alluvionale

le modifiche topografiche, climatiche, idrogeologiche inevitabilmente muteranno nel tempo imprevedibilmente

ABBASSARE LIVELLO PIANA INONDABILE a causa della sedimentazione avvenuta negli anni

RIDURRE ALTEZZA ARGINI maggiore drenaggio durante l'innalzamento del livello dell'acqua

COSTRUIRE “CANALE VERDE” bypass tra Veessen-Wapenveld

AUMENTARE PROFONDITÀ CANALI LATERALI

la relazione è stretta in questa strategia , in cui si rinuncia alla progettazione formale ma si lascia che la natura sorprenda e modifichi il territorio controllando allo stesso tempo gli aspetti idrologici per quanto riguarda sicurezza e miglioramento delle qualità ambientali

IMPLEMENTAZIONE SPAZI PUBBLICI in zone urbane si verrebbero a creare nuove isole fluviali, nuovi parchi, e nuovi spazi pubblici

incrementare la barriera tra il fiume e le infrastrutture

RIMOZIONE OSTACOLI ponte idraulico a Oosterbeek

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COAST: 1A. LAND NEXT TO THE SEA; THE SEASHORE. 1B. THE WATER NEAR THIS LAND: “FISH OF THE ATLANTIC COAST”. 1C. COAST: “THE PACIFIC COAST OF THE UNITED STATES”. 2. A HILL OR OTHER SLOPE DOWN WHICH ONE MAY COAST, AS ON A SLED. 2B. TO SLIDE DOWN AN INCLINE THROUGH THE EFFECT OF GRAVITY. 3. NAUTICAL. TO SAIL OR MOVE NEAR OR ALONG THE COAST OR BORDER OF.


COASTAL SECTION



CRISSY FIELD

Crissy Field San Francisco, U.S.A. George Hargreaves 1996-2001

Il progetto ha come scopo la riconversione in parco nazionale di un ex campo di aviazione militare U.S.A. nella baia di San Francisco, che si estende lungo la costa dalla città sino ai piedi del Golden Gate Bridge. La vasta scala dell’area e la sua spettacolare cornice sul lato nord del Presidio National Park, con le colline in lontananza e il mare di fianco, offre un panorama di eccezione. Il paesaggio è quello costiero del nord della California: modellato dalle maree, con prevalenza di zone umide, lievi colline e spiagge battute dalle onde. Il progetto mira a ripristinare questo tipo di paesaggio naturale, che esisterebbe con tutta probabilità se non ci fosse stata la mano dell’uomo, che ha invece sconvolto l’area fino al 1994. Prima dell’intervento infatti, quel tratto di costa era caratterizzato da piste di atterraggio, montagnole artificiali, e terreni abbandonati, fino a diventare una palude e perdere l’interesse strategico da parte dell’esercito venendo così definitivamente abbandonato. L’area è stata quindi lasciata notevolmente impoverita, oltre che priva di ogni qualità estetica, venendo a perdere tutta la ricchezza dell’habitat pioniere tipico di quella tipologia di zona. La trasformazione doveva dunque determinare un nuovo waterfront, con la rimozione di quasi venti ettari di asfalto che riportasse l’area alla configurazione del 1925. Le problematiche dell’area comprendono, oltre alla rimozione del suolo antropizzato (riciclato per la costruzione di sentieri e parcheggi), il ripristino ecologico, restituire la terra alla comunità e renderla usufruibile nonostante le maree e le molte zone umide. La proposta di Hargreaves mira alla ricostruzione dello stadio naturale, manipolando ed amplificando quei fenomeni ambientali come la luce e l’ombra, l’azione dell’acqua, i movimenti geologici. La natura stessa, re-immessa, produce l’estetica del luogo, in apparenza in modo libero e spontaneo.

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STRATEGIA CONCEPT

HABITAT

PROGRAMMA

NATURA COME SPETTACOLO

CONTROLLO INONDAZIONI

PARCO E RISERVA NATURALE

progettata e manipolata perché appaia “naturale” e spontanea

tramite lo scavo di una zona umida che funga come bacino di esondazione per un naturale flusso delle acque

restituire alla comunità una porzione di territorio militarizzato

AMPLIFICAZIONE DI FENOMENI AMBIENTALI

RINATURALIZZAZIONE

6 ZONE INDIVIDUABILI

· introdotti dall’uomo esemplari pionieri di uccelli per una più veloce colonizzazione · ri-creazione degli elementi paesaggistici naturali come dune, palude, spiaggia · piantumazione di alcune specie native

· campo d’aviazione erboso com’era nel 1920 · passeggiata per joggers, ciclisti e pedoni · zona umida soggetta alla marea · spiaggia e dune · due aree ricreative (pic-nic, surf)

RIPRISTINARE LO STATO PRECEDENTE ALLA MANO DELL’UOMO mostrare nuovamente il “tipico paesaggio costiero”

progetto di paesaggio come applicazione di competenze tecniche, espressione culturale, costruzione estetica

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SUOLI

FLUSSI

ADATTAMENTO

CONFORMAZIONE IN APPARENZA NATURALE la cresta erbosa ha la funzione di frangivento

TRACCIATI GEOMETRICI suggeriscono punti di osservazione privilegiati e richiamano il disegno della linea costiera

RICICLO

NO MEZZI A MOTORE

la terra rimossa per formare le zone umide è stata usata per il campo erboso, così come l’asfalto del campo militare è stato usato per consolidamento della passeggiata

ampio parcheggio predisposto all’inizio del parco

PERCORSI PEDONALI E CICLABILI

NATURA CONTROLLATA

vedute preferenziali predisposte dall’orientatamento dei percorsi

l’aspetto “selvaggio” e spontaneo del nuovo assetto produrrà l’estetica del parco, sotto un attento controllo del consolidamento di un ecosistema sano

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THE NEW HONDSBOSSCHE DUNES

The New Hondsbossche Dunes North Holland, Olanda West8 2013-2015

La diga di Hondsbossche, lunga circa 6km e affacciata sul Mare del Nord nel nord dell’Olanda, ha origini medievali, ma, sulla base dei nuovi dati sulla crescita del livello del mare e la forza delle onde, nel 2004 è stata individuata come uno degli otto “anelli deboli” della costa olandese. Adrian Geuze afferma che se per secoli nei Paesi Bassi l’acqua è stata addomesticata in modo da migliorare le qualità dei terreni e renderli più attrattivi, negli ultimi decenni sembra che la tradizione sia invertita, principalmente per il pericolo costante di alluvioni. Per queste ragioni sono stati avviati recentemente importanti progetti per una diversa gestione dell’acqua e delle infrastrutture paesaggistiche, tra cui alcuni innovativi interventi di rinaturalizzazione dei territori olandesi, in cui si colloca il progetto New Hondsbossche Dunes, che permetterebbero inondazioni controllate e la formazione di terreni umidi in grado di sopportare in modo flessibile i cambiamenti climatici e stagionali. Se si abbandonano i mezzi fissi e robusti di diga, un’infrastruttura leggera, dinamica e naturale creerà simultaneamente l’opportunità di rafforzare il territorio, migliorare e valorizzare le qualità dell’ambiente naturale, e supportare attività ricreative. Il progetto di West8 propone dunque di intervenire sulla costa attraverso la realizzazione di una duna sabbiosa ecologicamente e geograficamente in continuità con il paesaggio circostante, che possa proteggere l’area dinamicamente anziché con una barriera rigida, inoltre conferendo una nuova narrativa del territorio. L’area naturalmente presenta una varietà topografica su cui sorge la vegetazione nativa, con dune che si perdono nel mare, valli, e spiagge con diverse profondità. L’obbiettivo del progetto è inserirsi nel territorio in maniera coerente con la natura esistente, accordando dune extra più alte delle naturali ed estendendo una penisola sulle spiagge tra a Petten e Camperduin.

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STRATEGIA CONCEPT

HABITAT

PROGRAMMA

RIGENERARE coerenza con l’ambiente naturale che non alteri gli ecosistemi locali GESTIRE L’EROSIONE COSTIERA minimizzata con la sabbia: creazione di dune secondarie più alte come barriera e penisole sabbiose come frangiflutti

NUOVA NARRATIVA esperienziare il paesaggio costiero naturale in tutta sicurezza

COSTRUIRE CON LA NATURA

ATTIVITA’ RICREATIVE E DIDATTICHE

soluzione dinamica, leggera, e flessibile nel tempo contro soluzione stabile ed invasiva

la costa offre nuove prospettive

GESTIONE FLORA implementata la vegetazione nativa

SICUREZZA in linea con gli obbiettivi governativi stabiliti dal programma Room for the River

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SUOLI

FLUSSI

ADATTAMENTO

PERCORSI

GESTIONE MANUTENZIONE

· rafforza l’identità della ragione · valorizza le qualità naturali dell’ambiente · supporta attività ricreative

minima perché è un ambiente che si auto rigenera con i fenomeni naturali quali moto del mare e vento

MODULARE IL TERRENO dunescape

INNALZAMENTO ACQUA prevenuta dalle dune e assorbita naturalmente dall’ambiente costiero resiliente al moto di flusso e riflusso

TOPOGRAFIA NATURALE

QUALITA’ PAESAGGISTICHE

ESONDAZIONE

non si modifica nulla più del necessario

il nuovo assetto rende questo tratto costiero più accessibile e attrattivo

il mare ha naturale spazio per esondare sulla terra ferma per poi rifluire

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URBAN: 1. (HUMAN GEOGRAPHY) OF, RELATING TO, OR CONSTITUTING A CITY OR TOWN. 2. (HUMAN GEOGRAPHY) LIVING IN A CITY OR TOWN. RELATING TO OR CONCERNED WITH A CITY OR DENSELY POPULATED AREA; “URBAN SOCIOLOGY”; “URBAN DEVELOPMENT”. 3. (POP MUSIC) (OF MUSIC) EMERGING AND DEVELOPING IN DENSELY POPULATED AREAS OF LARGE CITIES, ESPECIALLY THOSE POPULATED BY PEOPLE OF AFRICAN OR CARIBBEAN ORIGIN. 4. CHARACTERISTIC OF OR ACCUSTOMED TO CITIES; CITIFIED.


URBAN SECTION



MADRID RIO

Madrid Rio Madrid, Spagna Burgos Garrido, Porras La Casta, Rubio A.Sala, West8 2006-2011

Il progetto Madrid Rio è stato aperto dopo quasi sette anni di lavori, ed è uno dei progetti pubblici più importanti effettuati a Madrid negli ultimi decenni, nonché probabilmente uno dei più ambiziosi costruiti in Europa in anni recenti. Nel 2003 la Municipalità di Madrid ha deciso di interrare una parte di una delle strade principali della città che corre lungo il fiume Manzanares, per una lunghezza di 6km, cercando di rimediare a quella connessione persa tra la città e il fiume, isolato ed inaccessibile negli ultimi 30 anni. Le sorgenti del fiume Manzanares si trovano nella Sierra de Guadarrama. Il primo tratto scorre all’interno del Parque Regional de la Cuenca Alta del Manzanares per poi dirigersi a sud-est e toccare la città medievale di Manzanares el Real, dove forma il bacino di Santillana, una delle più importanti risorse idriche di Madrid. Il fiume prosegue verso sud, e scorre canalizzato all’interno delle aree urbanizzate della capitale; vi passa nella parte occidentale e il tratto più a sud costituisce il confine tra il centro città e i sobborghi di Carabanchel e Usera, situati a sud-ovest. Lasciata Madrid nel suo punto più meridionale, il fiume si dirige a est ed infine si getta nello Jarama, un affluente del Tago, al termine dei suoi 92 km. Le problematiche del progetto, oltre a restituire una nuova narrativa del paesaggio e di conseguenza dell’intera città, sono quelle del fiume in ambiente urbano: integrare una risorsa naturale in un ambiente costruito. La squadra di architetti ha vinto nel 2005 il concorso per creare un progetto urbano sulla terra “liberata” dopo l’interramento stradale. Il progetto si è dimostrato di più ampia ambizione: connettere Madrid con l’interessante paesaggio attorno alla città. Lo sviluppo del progetto è proceduto per singole parti o “stanze” lungo il fiume: Salón de Pinos, Avenida de Portugal, Huerta de la Partida, Jardines del Puente de Segovia, Jardines del Puente de Toledo, Jardines de la Virgen del Puerto e Arganzuela Park.

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STRATEGIA CONCEPT

HABITAT

UTILIZZARE UN CORRIDOIO COME STRUTTURA

RIGENERAZIONE DEGLI ECOSISTEMI

il fiume racconta la città

· sul letto del fiume e sulle sue sponde · tagliare le emissioni di CO2 · evitare inquinamento acustico e luminoso proteggendo il fiume con il verde

PROGRAMMA

PROGETTO DI SUOLO

NUOVA ESPERIENZA DEL FIUME

modifiche del terreno minime

· observation deck · spiaggia urbana · aree gioco e sport

GESTIRE LA MANUTENZIONE · limitate zone erbose e boschive lungo gli argini · manto erboso contenuto da fogli metallici

APPLICARE UNA MATRICE GENERALE

RIQUALIFICARE LA ZONA PERIFERICA

sezioni tipo che adottano un principio della strategia

rete di ponti che migliorino le connessioni

TRASFORMARE I PASSAGGI IN UN ELEMENTO DI PROGETTO

PERMETTERE L’INDETERMINATO

griglia con piantumazioni

vasto spazio per eventi

GESTIRE LA PIANTUMAZIONE · scelta di arbusti a basso consumo · sistema di fissaggio e tubi di areazione per le radici

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SUOLI

FLUSSI

ADATTAMENTO

CONNETTERE · corridoio verde metropolitano · rete dei sentieri europei · rimodellare le aree attorno ai quartieri residenziali

OTTIMIZZARE I MATERIALI granito

SEPARARE USO PASSIVO E ATTIVO

INTEGRARE L’ESISTENTE · rimodellare gli argini storici · riqualificare i ponti esistenti

· piste ciclabili, marciapiedi, e zone ricreative · strade veloci e strade lente

COMPORRE lastricato di granito e basalto

CREARE PERCORSI TEMATICI · alberi di cigliegio · giardini barocchi · ponti ferroviari

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GARONNE RIVERFRONT

Garonne Riverfront Masterplan Bordeaux, Francia Michel Desvigne 2003-2034

Inizialmente la città di Bordeaux commissiona a Michel Desvigne lo studio degli spazi pubblici della città per un masterplan che ne coordini i futuri sviluppi. L’attenzione si sposta poi sul fiume durante lo studio per restaurare il paesaggio urbano/industriale che in diverse parti della riva destra della città fatica ad essere trasformato altrimenti. L’intervento si focalizza dunque nella riva opposta al centro storico, in cui sorgono diversi relitti industriali con cui il masterplan dovrebbe accordarsi, oltre che un intricato sistema viario ed infrastrutturale. L’idea alla base del progetto è quella di un “intermediate landscape” delle caratteristiche geomorfiche dell’area, le quali includono rive naturali, ambienti acquitrinosi, frange d’erba, e zone boschive. Il problema è come riportare queste risorse naturali all’interno degli spazi residuali o da risanare della città, facendo metabolizzare al fiume il progetto in un processo lungo trenta anni. La Garonne è un grande fiume della Francia sud-occidentale che scorre in Francia per 553 km, e continua il suo percorso per altri cento chilometri. Il fiume è formato da due rami distinti, che nascono entrambi in territorio spagnolo dai Pirenei. Scorrendo con andamento nord-est il fiume si arricchisce dell’apporto del fiume Louge dopodiché si appresta ad attraversare Tolosa da dove viene affiancato sino alla foce dal Canal du Midi. Fuori dall’abitato assume direzione nord-ovest ricevendo da destra presso Moissac il notevole apporto del Tarn. Con andamento meandriforme raggiunge Bordeaux giungendo in prossimità della fine del suo corso. La foce del fiume, che avviene nell’Oceano Atlantico congiunta a quella della Dordogne, dà luogo al grosso estuario della Gironda che ha una larghezza imponente (12 km). Con l’alta marea, un mascheretto d’acqua di mare ricopre il fiume melmoso all’estuario dove si trovano grandi fari.

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STRATEGIA CONCEPT

HABITAT

PROGRAMMA

INTERMEDIATE LANDSCAPE

PARCO URBANO

argini naturali, paludi, prati, zone boschive

spazi ampi e semplici: lungofiume, spazi erbosi, spazi boschivi

EQUILIBRIO

RIQUALIFICAZIONE EDIFICI

le due rive come entrambe catalizzatrici di attrattività

integrata nel masterplan degli spazi verdi

INTEGRARE · introdurre il paesaggio graduamente · costruire sull’esistente · controbilanciare il grado di interesse storico della riva opposta

PROTEGGERE riqualificare e/o implementare zone naturali

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SUOLI

FLUSSI

ADATTAMENTO

SEPARARE percorsi ciclo e pedonali (lungo fiume) da quelli degli autoveicoli (parallelo al fiume ma interne)

CONNETTERE centro e periferia tramite il fiume

PERCORSO PROCESSUALE

RICICLO recupero adattivo di ex edifici industriali attualmente in stato di abbandono

APPLICARE UNA MATRICE GENERALE sezioni tipo che adottano un principio della strategia

CREARE IDENTITA’ elementi paesaggistici ripetuti

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fase1: studio e individuazione dei possibili elementi di cambiamento tramite soprattutto indagini e testimonianze sul campo fase 1: tracciare gli ambienti soggetti a cambiamenti fase3: implementazione


INDUSTRIAL: 1. OF, RELATING TO, OR RESULTING FROM THE MANUFACTU-RING INDUSTRY: “INDUSTRIAL DEVELOPMENT; INDUSTRIAL POLLUTION”. 2. HAVING A HIGHLY DEVELOPED MANUFACTURING INDUSTRY: “AN INDUSTRIAL NATION”. 3. EMPLOYED, REQUIRED, OR USED IN THE MANUFACTURING INDUSTRY: “INDUSTRIAL WORKERS; INDUSTRIAL DIAMONDS”. A COMPANY ENGAGED IN THE MANUFACTURING INDUSTRY, A PERSON EMPLOYED IN THE MANUFACTURING INDUSTRY. 4. A STYLE OF ROCK MUSIC MARKED BY HARSH RHYTHMS, LITTLE MELODY, AND NIHILISTIC LYRICS.


INDUSTRIAL SECTION



FRESHKILLS PARK

Freshkills Park Brooklyn, New York James Corner Field Operations 2001-2031

Freshkills si trova sulla punta occidentale di Staten Island, ed è stata la discarica conosciuta più grande al mondo. Fino al Marzo 2001, dal 1948 ha raccolto la spazzatura di New York, salvo poi ricevere in seguito all’11 Settembre le macerie del Word Trade Center, compresi i resti di migliaia di vittime. Più di tre volte Central Park e con un alto valore simbolico, la terra in cui sorgeva la discarica è stata reclamata dalla cittadinanza dopo 50 anni di inaccessibilità. Il parco viene costruito sopra i rifiuti, proprio come diverse parti di Manhattan attorno alla 14a Strada. Gli obbiettivi principali per la riqualificazione sono stati: migliorare le qualità del suolo, ridurre le specie invasive, introdurre piante native; e le relative problematiche come riciclare, come reintrodurre un processo naturale in un ambiente fortemente manomesso dall’uomo, come affrontare l’inquinamento accumulatosi nel corso del tempo. Il punto chiave della proposta di Field Operations è l’idea di lifescape: un processo ecologico naturale a lungo termine di riutilizzo ambientale a vasta scala che bonifichi le condizioni di salute della terra e implementi la biodiversità degli ecosistemi. L’area è in gran parte umida e pianeggiante, caratterizzata da ruscelli, insenature, zone acquitrinose. Freshkills Park sarà un habitat per la fauna selvatica, in uno sviluppo progettuale che conta tre fasi di dieci anni ciascuna (30 anni è il tempo per la decomposizione dei rifiuti). Il masterplan vuole creare in questi habitat differenti parchi adattivi (wetlands, grass-lands e woodlands ) utilizzando metodi agricoli di vasta scala. Un interessante approccio è il mantenimento del terzo paesaggio nel parco. Quello che viene chiamato “wilderness in the city” diventano i biotipi più importanti del parco, con un’intera varietà di uccelli e piante pioniere. Il parco può essere considerato come un racconto del passato, presente e futuro del territorio.

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STRATEGIA CONCEPT

HABITAT

PROGRAMMA

RESTITUIRE

WATCHING

riserva naturale all’interno della densità urbana di New York arricchita dall’intreccio di vari ecosistemi

il sito è un importante snodo per il flusso degli uccelli migratori

EDUCATIVO RICREATIVO una grande riserva non solo per la fauna selvatica ma anche per la vita sociale e culturale

NUOVI ECOSISTEMI

ORTICOLTURA

attraverso una rete di distribuzione dell’acqua e di sostanze nutrienti per le piante (threads), di isole dove creare habitat protetti per coltivazioni speciali (islands), e di superfici permeabili che regolino l’erosione e le trasformazioni del terreno (mats)

per migliorare le condizioni di suolo e per aumentarne la profondità. Aumentando i materiali organici del terreno si inibisce l’assorbimento dei metalli dal terreno da parte delle piante

RIGENERARE CORRIDOIO ECOLOGICO

SISTEMI IDRAULICI LOCALIZZATI

PROCESSO attraverso una strategia a lungo termine basata sui processi naturali e piante che riabilitino il terreno tramite i loro cicli vitali

allo stato di fatto Freshkills aveva una vegetazione omogenea, l’intervento prevede un processo di ricolonizzazione in grado di insediare una varietà di ecosistemi più stratificata

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trattengono l’acqua in uno specifico punto supportando così le piante native e prevenendo l’erosione delle colline di immondizia


SUOLI

FLUSSI

ADATTAMENTO PHASING 4 fasi in trent’anni: 1SEEDING: ristabilire l’ambiente naturale originario 2 INFRASTRUCTURE: tracciare in modo dinamico e flessibile le infrastrutture necessarie alle diverse funzioni 3 PROGRAMMING: implementare con attrezzature la programmazione del parco 4 ADAPTATION: adattamento dello spazio alle variazioni dei programmi di sviluppo e di utilizzo del parco nel tempo

CIRCOLAZIONE SEPARATA nuove strade e sistemi di passerelle soddisfano pedoni e fauna, cicli e autoveicoli

TOPOGRAFIA NATURALE ARTIFICIALE 53 anni di discarica hanno formato una topografia artificiale collinare, destinato a ridursi del 15% con la decomposizione

GESTIRE LA CONTAMINAZIONE la minaccia di contaminazione della falda acquifera e le emissioni di metano richiedono che ogni collina venga ricoperta da uno strato isolante impermeabile

EARTHWORK memoriale vittime dell’11 settembre

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MINGHU WETLAND PARK

Minghu Wetland Park Liupanshui, Cina Turenscape 2009-2012

Liupanshui è una città industriale nella parte ovest della provincia di Guizhou, sud della Cina, nell’altopiano di Yungui. Il fiume Shuicheng inizia nelle montagne di Zhongshan e si immette nel fiume Sancha, scorrendo per 13km e bagnando la città di Liupanshui. Il fiume testimonia i cambiamenti della città durante gli ultimi decenni, portando con sé la memoria collettiva degli abitanti. Liupanshui è stata costruita negli anni sessanta in una valle circondata da colline calcaree dall’aspetto delicato e pittoresco. La città, che conta circa 600.000 abitanti, è interessata di recente alle politiche di riqualificazione ambientale nell’ambito delle quali è stato realizzato il parco Minghu Wetland. Il paesaggio tipico di quest’area costiera è pianeggiante, e un tempo era ricco di zone umide di acqua dolce e salata, ormai quasi del tutto perdute a causa di decenni di sviluppo urbano. Il parco è stato creato su un sito di piccole paludi, vivai abbandonati e residui di campi di mais, punteggiato da discariche e percorso da acqua inquinata. Il progetto ha affrontato contestualmente diversi problemi, tra cui l’inquinamento delle acque a causa delle industrie, la gestione delle acque piovane durante la stagione dei Monsoni, il ripristino degli habitat naturali e la creazione di spazi aperti fruibili dai cittadini in grado di autoregolarsi con manutenzione minima. Al centro del progetto è il ripristino del fiume Shuicheng nel suo alveo naturale nel fondovalle: grazie alla rimozione delle canalizzazioni in cemento dei corsi d’acqua, e alla creazione di zone umide e terrazzamenti che seguono la conformazione del terreno alludendo alle caratteristiche risaie, un’area degradata è stata trasformata in un habitat salutare e attrattivo. Ad una macro scala, Turenscape approccia il bacino idrico e la città, mentre ad una micro scala, il progetto riguarda in modo specifico le sezioni del fiume in accordo con gli obbiettivi generali del masterplan.

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STRATEGIA CONCEPT MACRO SCALA bacino di drenaggio del fiume Shuicheng

HABITAT

PROGRAMMA

PURIFICAZIONE SISTEMA ECOLOGICO

RIVITALIZZARE LA MEMORIA COLLETTIVA DEL FIUME

sistema di zone umide con capacità differenti

intrecciando nuove relazioni con la città

MISURE DI CONTROLLO PER LE INONDAZIONI

RIMOSSE LE CANALIZZAZIONI IN CEMENTO

“stanza” per il fiume che regolano la ricarica delle falde acquifere

capacità del fiume di auto purificarsi

MICRO SCALA Minghu Wetland Park

ARMONIA

CREARE UN LANDMARK FORTE

nuova relazione uomo-natura basata sulla resilienza

passerella aerea

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SUOLI

FLUSSI

ADATTAMENTO

INTEGRARE SPAZI RICREATIVI ED ECOLOGICI

PROGETTO=PROCESSO

passerelle ciclo pedonali

è la natura che se ne appropria e adatta il progetto alla sua crescita e non viceversa

TOPOGRAFIA VARIABILE 15-20 di dislivello naturale

TERRAZZAMENTI PER REGOLAZIONE DEI FLUSSI ACQUIFERI

ACCESSIBILITA’ AL FIUME rimossi argini in cemento

richiamano i tradizionali terrazzamenti per le risaie

GESTIONE DELLA MANUTENZIONE minima, adattiva

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RURAL: 1. OF, RELATING TO, OR CHARACTERISTIC OF THE COUNTRY. 2. OF OR RELATING TO PEOPLE WHO LIVE IN THE COUNTRY: RURAL HOUSEHOLDS. 3. OF OR RELATING TO FARMING; AGRICULTURAL. SYNONYMS: RURAL, BUCOLIC, RUSTIC, PASTORAL. THESE ADJECTIVES ALL MEAN OF OR TYPICAL OF THE COUNTRY AS DISTINGUISHED FROM THE CITY. RURAL APPLIES TO SPARSELY SETTLED OR AGRICULTURAL COUNTRY.


RURAL SECTION



ISARPLAN

Isarplan Munich, Germania Irene Burkhardt Lanscape Architects, Winfried Jerney 2000-2011

L’Isar è un fiume che scorre nel Tirolo, Austria e Baviera, Germania. La sua sorgente è situata sui Monti del Karwendel in Tirolo, presso Scharnitz; entra in Germania nei pressi di Mittenwald, dove attraversa la pianura della Baviera bagnando Lenggries, Bad Tölz, Geretsried, Wolfratshausen, Monaco, Frisinga e Landshut prima di raggiungere il Danubio nei pressi di Deggendorf. Durante l’inverno la maggior parte delle precipitazioni sulle Alpi sono nevose, e ciò causa un aumento della portata del fiume durante lo scioglimento primaverile delle nevi. Tutto questo conferisce un carattere “selvatico al fiume”, che spesso porta i suoi detriti, come tronchi e sedimenti, fin dentro la città di Monaco. Ci sono anche molte riserve naturali lungo l’Isar, tra cui aree di protezione speciali per uccelli, come nel caso della riserva naturale Vogelfreistätte Mittlere Isarstauseen a nord-est di Moosburg. La riqualificazione del fiume Isar a Monaco si è proposta di aumentare le misure di controllo per le alluvioni, provvedere alla messa a punto di spazi ricreativi, favorire le condizioni dell’habitat per flora e fauna, di conseguenza migliorando la biodiversità. Il fiume non è mai stato preso in considerazione dalla cittadinanza come risorsa turistica di paesaggio, anzi è sempre stato scarsamente percepito a causa della sua scarsa visibilità e accessibilità. L’acqua del fiume è stata deviata molte volte per approvvigionare 28 centrali idroelettriche, e di conseguenza il fiume è stato canalizzato per quasi tutta la sua lunghezza. Ma fin dal maggio 2000 la parte del fiume nella zona a sud di Monaco, tra Großhesseloher Brücke e Reichenbachbrücke, è stata riportata a un carattere più naturale. Da natura dominata a natura controllata: il corso del fiume, i suoi numerosi sedimenti, la sua irruenza, sono problematiche in costante controllo grazie a tecniche non invasive che ne assecondano la sua natura.

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STRATEGIA CONCEPT

HABITAT

PROGRAMMA

RISCHIO ESONDAZIONE · letto del fiume allargato · sponde spianate · piccole isole ghiaiose costruite per limitare la velocità dell’acqua · dighe allargate sia in altezza che in larghezza.

ADDOMESTICARE IL FIUME

RIGENERARE

attraverso un processo di rinaturalizzazione

aspetto naturale originario

RISORSA RICREATIVA PER LA CITTA’ · spiaggia urbana · surfing · passeggiate · spot contemplativi

RICOSTRUIRE ECOSISTEMI

INTEGRARE

aree di protezione speciali per uccelli

risorsa naturale all’interno del contesto urbano

FIUME COME RISORSA E NON COME MINACCIA

CONNETTERE ponti storici con il nuvo assetto “spontaneo”

ridisegno degli argini

QUALITA’ DELL’ACQUA aumentata grazie al potenziamento degli impianti di trattamento delle acque nere posti lungo il fiume e alla rigenerazione naturale dell’ecosistema lungo gli argini

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SUOLI

FLUSSI

ADATTAMENTO

ESTENSIONE

ACCESSIBILITA’

in diversi punti del fiume, il suo letto è stato esteso da 50 a 90 metri di sezione trasversale

fiume prima non percepito perché non visto

PROCESSO DI PURIFICAZIONE E NATURALIZZAZIONE in corso

CONSOLIDAMENTO DELL’IDENTITA’ DEL FIUME

GESTIONE DELLA MANUTENZIONE

materiali ricorrenti: ghiaia e pietra bianca

costante monitoraggio del livello di purificazione dell’acqua e dei sedimenti trasportati dal fiume

RIVE DINAMICHE la ghiaia sulle sponde aiuta il flusso e riflusso in caso di esondazione, in una costante modifica di loro stesse

IMPIANTI DI TRATTAMENTO DELLE ACQUE dispositivi luce ultravioletta

INDETERMINAZIONE le rive del fiume continuano a cambiare, soprattutto dopo ogni inondazione che modifica la disposizione dei banchi di ghiaia

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REWETLAND

Rewetland, Provincia di Latina, Agro Pontino, Italia Alan Berger e Provincia di Latina 2010 – 2014

Il progetto Rewetland prevede la redazione di un Programma integrato di Riqualificazione Ambientale nell’Agro Pontino, territorio caratterizzato da condizioni critiche di inquinamento dei corpi idrici, dovute principalmente all’attività agricola intensiva. Obiettivo del progetto è sperimentare e sviluppare una serie di trattamenti biologici per la riduzione dell’inquinamento diffuso da fitofarmaci e la bio-attenuazione dei carichi inquinanti attraverso l’impiego di strumenti di fitodepurazione diffusa quali fasce ecotonali, ecosistemi filtro e zone umide artificiali. Il progetto interverrà su tutto l’Agro Pontino (circa 700 kmq), operando perciò non su un singolo corso d’acqua, ma considerando l’intera rete dei canali di bonifica (2200 km) come un unico oggetto di intervento, cosa che presuppone un cambio radicale nelle tecniche attuali di manutenzione dei canali e in generale di gestione del territorio e del paesaggio. Rewetland si ispira inoltre a una gestione partecipata del sistema delle acque. La condivisione delle scelte con tutti gli attori coinvolti nella gestione del territorio (istituzioni, enti, agricoltori e cittadini) e la collaborazione interistituzionale tra gli enti preposti alla programmazione, la pianificazione e la realizzazione degli interventi sono ritenute indispensabili per garantirne l’efficacia e conseguire gli obiettivi di sostenibilità. Il progetto ha un carattere sperimentale basato su due attività dimostrative principali: la redazione del Programma di Riqualificazione Ambientale e la realizzazione di quattro interventi pilota. Si svilupperà in tre fasi principali: fase di analisi (definizione di un quadro conoscitivo e realizzazione di una banca dati geografica dell’intero territorio; realizzazione degli studi di fattibilità per gli impianti pilota della seconda fase; redazione di una relazione sullo stato dell’ambiente), fase di pianificazione, concertazione, partecipazione, realizzazione degli interventi pilota, fase di monitoraggio.

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STRATEGIA CONCEPT 3 FASI: fase preparatoria (1-9 mesi) fase operativa (6-33 mesi) fase di montaggio (33-42 mesi)

HABITAT

PROGRAMMA

ECOSISTEMA FILTRO IN AREA PARCO zona umida artificiale finalizzata a intercettare e depurare “biologicamente” il flusso idrico proveniente dal canale prima dell’eventuale immissione nel lago, rimodellamento terreno

RINATURALIZZAZIONE ricostituizione dell’habitat ripariale, nell’ambito della realizzazione di un parco naturalistico lineare idoneo alla fruizione pubblica a scopo ricreativo e didattico. Rimodellamento morfologico del terreno, la messa a dimora di specie vegetali arboree, arbustive ed erbacee di ambiente ripariale, l’inserimento di attrezzature minime per la fruizione, inclusi pannelli didattici e tracciamento di percorsi di visita.

CONSISTENTE RIDUZIONE DEGLI INQUINANTI NELLE ACQUE SUPERFICIALI DELLA PIANURA PONTINA conseguente incremento della biodiversità dell’Agro Pontino

AZIENDA AGRICOLA PER LA GESTIONE SOSTENIBILE DELL’ACQUA l’intervento è finalizzato alla formazione di una fascia di vegetazione naturale permanente composta di specie arboree, arbustive ed erbacee di ambiente ripariale, che separi i coltivi dai canali e contribuisca a depurare “biologicamente” le acque di ruscellamento, provenienti dai campi, da eventuali sostanze inquinanti derivate da fitofarmaci e fertilizzanti

PARCO NATURALISTICO LINEARE

ECOSISTEMA FILTRO

Marina di Latina, lungo la costa

progetto dimostrativo e sperimentale, che prevede la predisposizione di un Programma integrato di Riqualificazione Ambientale a scala vasta attraverso la sperimentazione di tecniche di fitodepurazione diffusa

ITINERARI DIDATTICI previsti all’interno di una rete di percorsi

FASCE TAMPONE LUNGO I CANALI DI BONIFICA Creazione di zone umide artificiali non necessariamente permanenti

REALIZZAZIONE DI UN SISTEMA DI FITODEPURAZIONE DIFFUSO ALLA SCALA VASTA contributo all’implementazione della Direttiva Quadro sulle Acque

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SUOLI

FLUSSI

MODELLAMENTO TERRENI

ADATTAMENTO

DEFINIZIONE DEGLI INDICATORI AMBIENTALI

per la creazione di zone umide che purifichino il sistema dell’acqua. Oltre al rimodellamento morfologico del terreno, sono previste opere idrauliche per regolare l’apporto idrico, e la messa a dimora di specie vegetali di tipo erbaceo e arbustivo di ambiente palustre

derivati da parametri di tipo chimico, fisico e biologico - idonei al monitoraggio dei singoli interventi pilota

ADEGUAMENTO DELLA RETE DI MONITORAGGIO

RINNOVATA ACCESSIBILITà di flussi turistici per itinerari naturalistici e didattici

l’adeguamento della rete di monitoraggio prevede l’installazione di 2-4 stazioni di telemisura in corrispondenza di ogni progetto pilota, ognuna delle quali dotata di più sensori e alimentata con pannello fotovoltaico. È prevista la manutenzione delle stazioni per un periodo di almeno 2 anni

MONITORAGGIO VEGETAZIONALE E FAUNISTICO I dati raccolti saranno archiviati in un’apposita banca dati, aggiornati nel tempo e pubblicati sul portale web del progetto.

CANALIZZAZIONE

PERCORSI

previste nuove canalizzazioni per i corsi d’acqua per la fitodepurazione diffusa. Questi portano le acque bonificate e servono il sistema d’irrigazione agricolo

istituiti attaverso il paesaggio agricolo prima accessibile solo dagli addetti ai lavori

MONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DELLE ACQUE E DEI SEDIMENTI campionamenti periodici (mensili, trimestrali o semestrali, a seconda della sostanza inquinante) da effettuarsi in più punti di campionamento in corrispondenza di ogni progetto pilota. Il campionamento riguarda sia la qualità delle acque che quella dei sedimenti

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SCENARIO RIVER TYNE&DUNSTON STAITHS


POLITICS: 1. THE ACTIVITIES ASSOCIATED WITH THE GOVERNANCE OF A COUNTRY OR AREA, ESPECIALLY THE DEBATE BETWEEN PARTIES HAVING POWER: “THE PARTY QUICKLY GAINED INFLUENCE IN FRENCH POLITICS THEREAFTER HE DROPPED OUT OF ACTIVE POLITICS”. 1.1 THE ACTIVITIES OF GOVERNMENTS CONCERNING THE POLITICAL RELATIONS BETWEEN STATES: “IN THE CONDUCT OF GLOBAL POLITICS, ECONOMIC STATUS MUST BE BACKED BY MILITARY CAPACITY”. 1.2 THE ACADEMIC STUDY OF GOVERNMENT AND THE STATE: “A POLITICS LECTURER”. 1.3 A PARTICULAR SET OF POLITICAL BELIEFS OR PRINCIPLES: “PEOPLE DO NOT BUY THEIR PAPER PURELY FOR ITS POLITICS”. 1.4 (OFTEN THE POLITICS OF) THE PRINCIPLES RELATING TO OR INHERENT IN A SPHERE OR ACTIVITY, ESPECIALLY WHEN CONCERNED WITH POWER AND STATUS: “THE POLITICS OF GENDER”.


POLITICS








× A FUNNY THING HAPPENED ON THE WAY TO UTOPIA > 7.APPROPRIATION 12.CALCULATED UNCERTAINTY 17.CIVILTÀ INDUSTRIALE 19.CONTINGENZE 24.CULTURAL FLOW 43.GENEALOGIA COLLETTIVA


A FUNNY THING HAPPENED ON THE WAY TO UTOPIA

pagina affianco: città di Newcastle digitato su Google images 1 Rem Koolhaas, “Dalì, the critical method & Le Corbusier”, in Supercritical, ed. Brett Steele and Rem Koolhaas (London: AA Publications, 2007), p. 132

Da villaggio romano a città post-industriale, Newcastle si è costantemente adattata per più di 2000 anni modellando la sua forma urbana e riflettendo la sua immagine sul fiume Tyne, vera quinta teatrale di ogni accadimento. Se si guarda alla sua storia moderna, attraverso il fiume, durante la rivoluzione industriale, la città è stata epicentro di scambi, merci e persone da tutto il mondo. I suoi eroici ponti sono stati il simbolo del suo successo, e i Dunston Staiths infaticabili attori di primo piano. Dopo il declino delle principali industrie, la città ha dovuto reinventare se stessa ancora una volta, sviluppando un’entusiastica megalomania per una modernità grigio-acciaio, che ha portato ad un assetto d’insieme caotico e ricco di contrasti. La città sfrutta oggi il fiume per lasciarsi alle spalle il suo passato industriale, in favore di un presente post-industriale riflesso in una serie di immagini iconiche studiate ad hoc. Lo spazio dichiara esplicitamente di essere il campo di battaglia di ideologie conflittuali succedutesi nel corso del tempo, negoziazioni contingenti non solo tra forze materiali, ma anche tra visioni didattiche e culturali. Le due rive del fiume oggi inscenano il risultato di intenzioni politiche, spesso manifestazioni tangibili delle evoluzioni culturali succedutesi sotto forma di specifici progetti e contro-progetti architettonici. Quest’opera aperta offre un panorama con molti campi di accadimento potenziali e molteplici possibilità interpretative: con le stesse nonregole di un cadavre exquis, i due riverfront dichiarano un lavoro di gruppo in cui il nuovo contributo ignora quello precedente, ma in cui l’idea di separazione non implica un rifiuto/rigetto, quanto piuttosto l’associazione di diversi paradigmi architettonici. Il Tyne appare così una matrice di sogni realizzati e fallimenti, e le sue architetture una forma di attività paranoico-critica:1 un’idea ossessiva suggerita

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2 De Certeau, Michel. 2001. L’invenzione del Quotidiano. Edizioni Lavoro, Roma.

dall’inconscio, elaborata e rinforzata dall’associazione di idee, fino a diventare convinzione di una inevitabile verità. Ma non leggiamo mai un libro come il suo autore avrebbe voluto facessimo. Usare qualcosa significa disattendere l’idea che ne sta alla base. In L’invenzione del quotidiano,2 Michel de Certeau esamina i movimenti che stanno dietro alla coppia produzione-consumo, mostrando che lontano dell’essere puramente passivo, il consumatore instaura una serie di processi comparabili ad un atto clandestino di produzione silenziosa. Utilizzando Certeau, leggere, vedere o immaginare uno spazio significa sapere come distorcerlo: l’utilizzo è un atto di micro-pirateria che costituisce una post-produzione. L’architettura può diventare un mezzo attraverso cui sbottonare la camicia di forza spaziale in cui ci troviamo proponendo nuove narrative in grado di rivelare altri mondi possibili. Riconoscere come la città cresce dalla costante interazione tra idee e condizioni spaziali, significa esplorare le basi politiche della città, in cui forze opposte entrano in collisione e i progetti aprono un processo dialettico. Possiamo leggere le due sponde del fiume come un dinamismo di forze oppositive che motivano o modellano una tensione creativa sulle relazioni norma/eccezione, amicizia/ostilità, inclusione/esclusione, natura/cultura, ma anche rapporti di scala, ritualità, limiti. Lo scopo è capire la qualità di questi fenomeni e conseguentemente il potenziale di nuove narrative, dispiegare il contesto significa non solamente leggere le due sponde come il risultato di idee decise a tavolino e ideologie che emergono dalle sue architetture, ma anche spingere i suoi limiti oltre il tempo e la geografia attraverso un’operazione di postproduzione sull’esistente capace di rivelare nuovi scenari. L’ambizione della proposta risiede nella possibilità di riappropriazione del contesto da parte delle persone. Vista, distanza, fisicità, nonché i legami temporali di passato-presente-futuro sono indeboliti, si cerca la continuità rileggendo la città come una serie di fantasmagorie verso un nuovo immaginario collettivo. La sfida è quella di delineare un panorama visibile soltanto attraverso determinate lenti, tracciare mappe attraverso nuovi codici di lettura, iniettare dispositivi protesici che combinino diversi elementi del contesto per rivelare ciò che è invisibile agli occhi. I miti generati dall’architettura non hanno meno potere di cambiare la narrativa della città di quanto ne abbia il cinema, la musica, o la letteratura. Una serie di interviste si colloca in una prima parte del lavoro sull’area dei Dunston Staithes: mira a dispiegare analiticamente il contesto nelle sue parti -sociale, materiale, culturale, naturale, politico- tramite differenti strumenti di esplorazione. L’obbiettivo delle interviste è non solo quello di raccogliere differenti punti di vista grazie a conoscenze

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3 Calvino, Italo. 1993. Le città Invisibili. Arnoldo Mondadori Editore, Milano. p. 137 4 jetty-project.info 5 Newcastle City Futures: People, Place, Change. Multi-media exhibition and events series, organised by the School of Architecture, Planning and Landscape at Newcastle University, which explores change and renewal in Newcastle upon Tyne, Guildhall, 23May - 10June 6 www.avfestival.co.uk 7 www.amber-online.com

specifiche, esperienze, ricordi, per una comprensione più profonda del contesto, ma anche quello di rivelare scenari immaginari definiti dall’ambiguità e dalle possibilità di una fonte non-oggettiva. Le parole infatti suggeriscono sceneggiature non convenzionali, come Italo Calvino fa saggiamente recitare a Marco Polo “Chi comanda al racconto non è la voce: è l’orecchio”.3 Emergono infatti storie e visioni per comprendere e descrivere in ultima istanza le relazioni spaziali, un dislocamento questo che, definito dalla soggettività delle parole anziché dall’oggettività dell’ambiente costruito, suggerisce il tentativo di ricostruire retrospettivamente e creativamente nuove narrative del contesto rivelate dall’immaginario collettivo emerso. Quest’ultimo, in modo non-scientifico unisce il mito alla specificità locale, alle percezioni soggettive, visioni culturali, distorsioni della memoria. La fantascienza non è sostituto della scienza, ma può essere un valido strumento per generare, comunicare, e discutere idee che contribuiscano alla genesi di nuovi o scenari non-visibili. Le persone scelte per le interviste sono professionisti provenienti da molteplici ambiti disciplinari, che hanno lavorato o lavorano a vario titolo sul contesto locale, o si occupano di architettura oltre il built environment. Le domande proposte sono state pensate ad hoc per ogni singolo secondo il campo di interesse e contingenza, e le modalità di incontro differenti. Tra le persone intervistate: Angela Connelly (ricercatrice associata School of Environment, Education and Development, The University of Manchester, coinvolta nel progetto Jetty Project),4 Jeremy Till (architetto, scrittore ed accademico, rettore della Central Saint Martins e pro vice-rettore della University of the Arts London), John Goddard (professore emerito Regional Development Studies), John Tomaney (professore di Urban and Regional Planning, The Bartlett School of Planning, Faculty of the Built Environment), Lowri Bond (architetto Northern Architecture, a cui è stato affidato lo studio di fattibilità della ristrutturazione degli Staiths e la riqualificazione dell’area), Mark Tewdwr-Jones (professore di Town Planning, School of Architecture Planning and Landscape, promotore di Newcastle City Futures),5 Martin Hulse (Trust Manager per Tyne and Wear Building Preservation Trust, a cui gli Staiths sono affidati), Paul Jamrozy (musicista del gruppo industrial Test Dept-Industrial Agitation, autori di una performance sugli Staiths in occasione dell’AV Festival 2014),6 Sirkka-Liisa Konttinen (fotografa e documentarista per Amber Film & Photography Collective, gruppo che dagli anni ‘60 ha documentato la classe operaia sull’area di Newcastle e le evoluzioni della città negli anni),7 Yeoryia Manolopoulou (Senior Lecturer, The Bartlett School of Architecture Faculty of the Built Environment).

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I. City landmarks today


× NEWS FROM NEWCASTLE > 46.IDEOLOGICAL APPARATUS 50.INTERHUMAN SPHERE 73.PATRIMONIO RELAZIONALE 75.PERFORMANCE 92.SPAZIO NARRATIVO 95.TENSIONE CREATIVA 98.URBAN ECOLOGY


NEWS FROM NEWCASTLE1

pagina affianco: collage con volantino a sostegno dello sciopero dei minatori e come appare la Dunston Staith area oggi 1 Interviews made by Ludovica Niero in Newcastle between 23d of May and 10th of June, at The Guildhall, Newcastle Quayside, in the occasion of Newcastle City Futures: People, Place, Change. Multi-media exhibition and events series, organised by the School of Architecture, Planning and Landscape at Newcastle University, which explores change and renewal in Newcastle upon Tyne 2 Angela Connelly is Research Associate at School of Environment, Education and Development, University of Manchester 3 Simon Guy, University of Manchester, Head of School Environment, Education and Development and Head of Architecture

#communities.2 From the performance Test Dept played for the AV Festival this year, to the architectural artwork by Wolfgang Weileder, it seems that both art and architecture operate with great determination and commitment to make the Dunston Staiths live again in a contemporary context, through ephemeral events though. You had the chance to collaborate to several of these project. What do you think might be the evolution of such initiatives? And what are your expectations, beyond the peculiar event, as researcher and as a person? From my point of view, actually it’s worth to have a series of events, and not just one, in order to have a deeper understanding and a deep interaction with the communities around. I don’t have any expectation or prefigured idea at the beginning of such operations because it’s all about monitoring people. In fact, I think during the summer, once Wolfgang’s sculpture will be up, and a series of events will take place, I will stay here at the Dunston Staiths observing people. Simon3 did it when nothing was happening there at the Dunston Staiths, but he noticed that not too many people came up during the day. So we will try to use the artwork and the events as a catalyst to talk about sustainability and to have a better understanding of the communities. A temporary event require a massive amount of resources in comparison to its duration. Why do you think it is still worth to do it? We’re working a lot with the notion of sustainability, in a material and social sense, and more often people argue that making a temporary event is not sustainable at all. I argue that it doesn’t matter wether is temporary or permanent, in order to achieve sustainability. This is just a common perception. For instance, in Wolfgang works,

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4 The so-called interhuman sphere (relationships between people, communities, individuals, groups, social networks, interactivity, and so on) is a new cultural trend in architecture, in a time of ideological, environmental and economic crisis, what the French art curator Nicolas Bourriaud has defined as “relational aesthetics” has entered architecture (Bourriaud, Nicolas. 2002. Relational Aesthetics. Les presses du réel, Dijon)

sustainable is not only the fact that the sculpture is made out of acquadyne, a 100% recycled material, but also that he engages with a wide range of communities: during its construction and dismantling, and during its staying. How many communities and who are on the Dunston Staiths area currently? There are at least three different communities in the area, and there is no relation between them. The first one is the so-called “geographic community”, that is the Dunston community, the oldest community of the area, the one that first establish here and actually worked on the Staiths. They care about the Staiths, they think it’s really important to them for the historical significance he has. Then the second community is the most recently established one, that is the Staith South Bank community, and is located in the new residential area built by Taylor Whimpey. They fell like more related to Newcastle than to Dunston or the surrounding area: they work in Newcastle, and mostly are better-off and young. It’s not related at all with the first one, maybe they go to Dunston once a year. And it has a conflict relation with the third community, that is the Team community. This one is the most difficult: it is more related to Gateshead, they’ve got a really antisocial behaviour, and they’ve got no awareness about the Staith, but for the fact that is something to vandalise. That’s why the South Bank community doesn’t like them. Then there is a community that is more environmental aware, that is crossed the river, and they’re doing birdwatching with telescopes from there to the Staiths. They would probably create more usable spaces where topography allows for destination and view points, for example building platforms for viewing and bird watching. There is also a vulunteer community that is doing river-watching, that would possibly take part to the events. While in the visual arts the turn towards performance and event took place some time ago, within architecture this has been a relatively new phenomenon.4 A “relational architecture” means that the latter is no longer about building, but about editing, curating, presenting, acting, and interacting. What is the role and the concept of relational design within your work and in your research? It is really important because every research come step by step by monitoring people, having conversations with them, trying to involve them and to interact in different period of time. Then i’s about mapping people and ideas through “webcrowd”, like twitter, website, other social media. We do as well Breaching Experiments. In the fields of sociology and social psychology, a breaching experiment seeks to examine people’s reactions to violations of commonly accepted social rules or norms. Breaching experiments are

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5 John Tomaney is Professor of urban and Regional Planning, The Bartlett School of Planning, Faculty of the Built Environment 6 John Goddard is Emeritus Professor of Regional Development Studies at Newcastle University

most commonly associated with ethnomethodology, and in particular the work of Harold Garfinkel. Breaching experiments involve the conscious exhibition of “unexpected” behavior/violation of social norms, an observation of the types of social reactions such behavioral violations engender, and an analysis of the social structure that makes these social reactions possible. #politics.5 What is Newcastle politic? There is no Newcastle politic. And that’s the problem. What do you think is the cause of this? Because Newcastle doesn’t have the right institution providing a political autority and autonomy. Still struggling for that. I was reading an article on The Guardian about the North-East, accused to be Uk’s Detroit.. no wonder that happens, we’re still struggling to change the image of our industrial past. How do we think about the political future of Newcastle, do you think we can do something better than this? Yes, absolutely we can. But it has to start from the people, from the opinion, and not only local but national. It’s depressing itself now. Think about rental prices are growing everywhere (Manchester increase 18% every year, London 17%, just to make an example). It has to change the assetts in the next 15/20 years, it has to change the way we distribute the resources, and this is a concern in all the UK. An active region policy to balance the economy it would be a possible scenario, still the future is megacities, not decetralisation. Anyway, we’re trying to be optimistic about that. #city future.6 Which institution among others could play a key-role in Newcastle modern settlement? I would say definitely universities in Newcastle. Shaping the future, the role of University is fundamental: they’ve got a key-role as anchor institution. Moreover, they actively work with communities fostering them, they are locally embedded, with a strong historical connection with the city. Shaping the future, what do you reckon will be the next step? Mobilising academic expertise around future challenge faces the country, using both strategies bottom-up and top-down. They are called to shape scenarios to explore alternative futures under different assumptions, about the way the economy and the society might be regulated, or different ways of environmental protection, for example. What do you reckon is the keyword for the future? Challenge. And for what I’m concerned, I’m asking to myself: can a city, that is working with University, re-invent itself as national and global innovation hub? Here and now, no. But luckily we’re not constrained by a specific structure, and that’s the hope for a better future.

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II. City landmarks yesterday



× DOUBLE VISION > 1.III DEFINIZIONE 9.AVANGUARDIA PERMANENTE 10.BABEL 30.EFFLUVIO MAGNETICO 31.EMOTIONAL RESCUE 33.EVOLUTION 36.FANTASMAGORIA 39.FLUX 44.HABITAT 63.NATURE 64.NEGOZIAZIONE


DOUBLE VISION

pagina affianco: fotografie del Staiths South Bank, con i Dunston Staiths ritratti in diverse epoche: la prima nel dopoguerra, assente ancora il tessuto urbano circostante, gli unici edifici attorno sono industriali/ di deposito. La seconda fotografia è di un ventennio più recente, mentre la terza risale al Garden Festival del 1990, quando i Dunston Staiths, già dismessi come infrastruttura industriale, cercavano un nuovo ruolo nella nascente nuova comunità locale

Questa serie di interviste è stata svolta tra Aprile e Maggio 2014 a Team, Newcaste-Gateshead. Rivolte a professionisti del settore urbano, in particolare a persone che lavorano a stretto contatto con il teritorio: architetti, conservatori del patrimonio artistico e culturale, persone che lavorano nella comunità di Team, South Bank (Dunston), o Gateshead, ed infine rappresentanti locali. L’occasione per questa raccolta di opinioni è avvenuta durante delle riunioni organizzate appositamente per la questione dei Dunston Staiths al Team Community Centre, insieme ad Angela Connelly, Università di Manchester. Ne sono emerse alcune importanti questioni e preoccupazioni, in particolare sull’ambiente e la protezione della fauna aviaria, la marea come minaccia ma anche come opportunità. Gran parte della discussione ha poi raccolto papreri sulle comunità locali attorno agli Staiths, descritte come molto possessive rispetto al loro patrimonio, oltre che in qualche zona particolare di degrado una possibile minaccia. Quello che generalmente si aspettano da un possibile intervento attorno ai Dunston Staiths è la riqualificazione come spazio pubblico, usufruibile da tutti e con un programma sociale ed ambientale rispettato da tutti. #1. Environment. Architect. Well, certainly a different way of reengaging with the river as well in the historic kind of use as an industrial sort of infrastructure to kind of... Okay, people walk their dogs along it and the odd person goes up it on the jet-ski but is there a more everyday reengagement with it? And again, if flooding and rising sea levels and all of that is rising to the fore in people’s minds then maybe this becomes an opportunity to sort of suggest a way of living with water in a more positive way rather than a threat. #2. Balance. Environmental Professional. But you also have to think that if you were looking at it as a pure ecologist

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though, there is nothing that is a good answer. If the Staiths went completely and we did nothing, no one would win. We would lose the structure and the birds would lose their roost. So the do nothing approach, I’m not naive enough to think that it is a viable answer. But it is important to begin with the premise of understanding that balance, and that’s why there will be a negotiation over how long the Staiths will be open for in the future. #3. Health & Environment. Focus Group Staiths South Bank. R4: Yeah, and the other is mooring, I would love to see mooring, and some boats out here. R2: Well there was a pontoon. R1: Yeah there used to be a pontoon. But that was the original intention, that part of that would have been given over to some kind of tourist information, and another part would have been given over to people who wanted to watch the wading birds, because... #4. Time & History. Focus Group Teams Community Centre. Yes, if you could have a hide, that would be great there. There was an asylum there, there was a workhouse, there was all sorts just behind the field. And that’s what I was saying there, they could put a pavilion, because they don’t cost that much, and it could be a walk through piece of history, you know? With the sounds, dressing up and all that sort of thing. And the schools would be using it, you know? #5. Lighting. Focus Group Teams Community Centre. F: Yes, maybe just like a beacon....And everyone could just see it from miles around. Like a searchlight, you know? F: We’re looking at first world war, here, we need a beacon, we need a beacon. M: Yes, I’m with you, I love beacon, I love living flame, that light the sky. M: F: That’s what we want, a beacon definitely. M: A beacon would be lovely. A beacon, we like the word, beacon. M: Fire in the black skies. M: Lovely! F: We’ll have our own Olympics! M: Risk assessed, of course! #6. Economics. Focus Group Teams Community Centre. The same sort of thing, for strangers coming, would be quite useful. They worked at the beginning of the sculpture park, which is opposite the children’s centre, opposite Tyne View School, that little gateway, that was where they based...they had some wooden huts and things, the young people had designed...they’d all been given the option of what they would do with the hut, and they designed the interiors of these huts. Some of them were excellent, some of them were just huts! And couldn’t be described as anything else. But it was a way of attracting people, because parents came with their children. #7. The Gap. Heritage Professional. So I think by doing something like that you immediately bring it into public life

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again. Because at the moment it’s like a skeleton hanging out there with no obvious attachment to daily life except it’s a big old industrial monument. But I think by putting something in that gap which is modern, quite clearly a 21st century statement will immediately bring it back into the public domain. That’s my feeling. #8. The Gap. Gateshead Council. I see the similarity between that and an artwork in the fire damaged section of the Staiths. And saying, this structure was complete in the past, and then it was damaged, and it’s going to be complete again in the future. And this artwork is going to sit here, and symbolise that transition from past to future. #9. Scale/ Texture/ Shadows. Architect. I guess the difficulty with that is something like that is what’s the quality of it, you know, because if it’s about nostalgia and memory then the decay kind of adds to that, and if you sanitise it and preserve it and clean it all up, then does it lose some of that dirt that is associated with the past? Or is it about the sort of scale of it, but then you don’t want to put small... or do you put small things that then kind of play off the scale, but if it’s about the sort of transparency and delicacy of it, you don’t want to clad it. It’s sort of trying to pin down what the qualities are and then add to that quality rather than sort of distract from it. #10. The Role of Art. Architect. I mean, for me it feels like it needs a function. It needs a use, otherwise you’re just kind of continually putting on a bandage on it, and it’s always one of the arguments that’s thrown back about the arts is well, what’s the purpose, what’s the function. It’s just sort of an aesthetic or whatever, (...) what’s interesting about that is it starts to suggest a new function for it that builds of the qualities that it sort of has intrinsically. #11. Art as a Catalyst. Gateshead Council. And the timing is... at the AV festival, and then the actual Tyne and Wear scheme is starting; everything is happening next year, so you’ll have the scheme from Martin going on, to all intents and purposes, in the background, and it won’t be until later in the year that people can actually engage with it, and more so into 2015, when there’s access, we’d have the AV followed by your project in June, whilst all the hidden background stuff is going on, will really get people talking about it again. #12. But. Heritage Professional. But the point is, people think it just happens like that, and it doesn’t. It takes sheer hard work and dedication over a long period of time. Not just by one individual, or one organisation but by a series of people who want to work together. And that’s the only way these kind of projects ever get done. We have just finished Tynemouth Station. That’s taken 20 years to get there. A long time.

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III. Double vision of collective imaginery, from miners to utopian visions for the city in the 60’s



UNFOLD: 1. TO BRING OUT OF A FOLDED STATE; SPREAD OR OPEN OUT: “UNFOLD YOUR ARMS”. 2. TO SPREAD OUT OR LAY OPEN TO VIEW. 3. TO REVEAL OR DISPLAY. 4. TO REVEAL OR DISCLOSE IN WORDS, ESPECIALLY BY CAREFUL OR SYSTEMATIC EXPOSITION; SET FORTH; EXPLAIN. 5. TO BECOME UNFOLDED, OPEN. 6. TO DEVELOP. 7. TO BECOME CLEAR, APPARENT, OR KNOWN: “THE PROTAGONIST’S CHARACTER UNFOLDS AS THE STORY REACHES ITS CLIMAX”. FROM LATIN CONTEXTUS “A JOINING TOGETHER,” ORIGINALLY PAST PARTICIPLE OF CONTEXERE “TO WEAVE TOGETHER”.


UNFOLDING THE CONTEXT


× OPEN WORK > 2.AGENCY 6.ANTI-FORM 7.APPROPRIATION 11.BAZAAR 14.CHANCE 19.CONTINGENZE 46.IDEOLOGICAL APPARATUS 49.INTERFERENZE NECESSARIE 56.MEDIA SPACE 73.PATRIMONIO RELAZIONALE


OPEN WORK

pagina affianco: Dunston Staiths, anni ‘60, foto aerea di Tom Yellowley 1 Richard Sennett, “Boundaries and Borders”, Living in the Endless City (London: Phaidon Press, 2011), pp. 325-326

Parlando della possibilità di una progettazione aperta, Richard Sennett richiama l’idea del biologo Stephen Jay Gould di una distinzione nei sistemi naturali tra due tipi di confine: limiti e bordi1. Il limite è un confine contro cui le cose finiscono, mentre il bordo è una zona attiva di interazione in cui diversi gruppi interagiscono, grazie all’incontro di diverse specie e diverse condizioni fisiche. Andando oltre la biologia, se ci focalizziamo sull’area di Newcastle possiamo guardare il fiume Tyne come un bordo interattivo del territorio, capace nel tempo di implementare le strategie di mediazione tra le forze della terra e quelle dell’acqua. Il fiume è stato quinta teatrale di ogni evento, naturale o prodotto dall’uomo, su cui la città si è costantemente adattata per oltre duemila anni, plasmando e riflettendo la sua immagine. Con i robusti mezzi adottati dalle città europee nel ventesimo secolo, le rive del Tyne sono state costruite come barriere difensive progettate per segnare un limite, una netta divisione tra acqua e terra: banchine, spianate, sponde, argini. Ma questo confine in qualche modo è sempre stato superato: navigazione, commercio, industrie, ma anche inondazioni, uccelli, mammiferi e vegetazione hanno dato luogo a continue interazioni tra il fiume e le sue sponde. L’evoluzione permanente del fiume ha reso la condizione temporanea una costante. Gli effetti di questo sistema dinamico dimostrano che il Tyne è una struttura resiliente, con caratteristiche di quei margini ambigui di cui parlava Sennett. “Resilienza” indica la proprietà dei materiali di assorbire energia quando deformati, e rilasciarla per ripristinare la struttura originaria senza lasciare distorsioni permanenti. Dalle scienze dei materiali, questo concetto si è in seguito esteso in differenti campi: ecologia, scienze sociali, psico-

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logia, costruzione, informatica, ma anche ad architettura, pianificazione e architettura del paesaggio Questa parola dunque rivela un significato più ampio: resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento. Prima della Rivoluzione Industriale il Tyne appariva come un paesaggio rurale, in una sorta di rousseauiano Stato di Natura, con vegetazione e isole che emergevano dall’acqua. Guardando alla sua storia attuale, il fiume di Newcastle è stato pervaso dal carbone, era epicentro di commerci, beni, e persone provenienti da tutto il mondo. I suoi ponti erano il simbolo del suo successo. Con il declino delle principali industrie della città, il fiume ha dovuto reinventare se stesso ancora una volta, e mentre l’architettura delle sue sponde sviluppavano un’entusiastica megalomania per una modernità grigio acciaio, la natura ha iniziato un processo di ripresa dai danni dell’industrializzazione. Considerando il fiume Tyne come asse urbano del sistema Newcastle-Gateshead, esso agisce come infrastruttura culturale ed ecologica: una sorta di disorganico museo all’aria aperta attraverso più di due secoli di storia che rivela una matrice di sogni e fallimenti realizzati, oltre che un ricco corridoio ecologico che dischiude nuove caratteristiche con la bassa marea. Lungo il suo perimetro si susseguono una sequenza di spazi connotati da edifici e infrastrutture come objets trouvés, che compongono diverse stanze urbane in cui si passa attraverso, come un disorganico viaggio nel tempo. La dimensione struttura il carattere specifico di ogni punto del percorso lungo il fiume, originando specie di spazi. Gli Staiths con la loro scala monumentale, come una camera di compensazione, si differenziano da qualsiasi “stanza” precedente creando un luogo per la transizione tra la dimensione urbana e quella paesaggistica, tra il mondo minerale e quello naturale, tra il sistema dell’infrastruttura e quello dello spazio aperto, tra la città ed il territorio ed infine tra il passato industriale ed il presente post-industriale. Gli Staiths tornano ad essere cerniera del territorio grazie alla loro condizione di ambiguità. Oggi i Dunston Staiths riflettono la loro immagine nel fiume Tyne esattamente come un tempo. Ciononostante il loro spazio e carattere scenico è mutato sensibilmente: se infatti prima della dismissione godevano di una duplice visuale che li rendeva protagonisti del contesto, dal fiume e dalla ferrovia, oggi essi si avvalgono del primo in modo parziale, e del secondo in modo pressoché inesistente. Questo perché, rispettivamente, il traffico fluviale ha mutato connotazioni, oltre che essere quasi scomparso, e perché una nuova pianificazione della zona ha previsto la costruzione di un quartiere esclusivamente a vocazione residenziale

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2 Umberto Eco, The Open Work (Cambridge, MA: Harvard University Press: 1989) 3 Mario Tronti, Operai e Capitale (Turin: Einaudi, 1966), p. 303

tutto attorno, negando la scala originale dell’infrastruttura e mantenendo gli Staiths come landmark folkloristico in una dimensione squisitamente decorativa/monumentale. La zona prevede un camminamento pedonale lungo l’argine del fiume, ma, così come attuato, sembra esistere solo in virtù del fatto che serve la nuova area residenziale e come traccia del sentiero Keelman’s Way, senza approfondire la natura del luogo, la sua storia urbana e le sue relazioni con la città di Newcastle, ma esistendo piuttosto come frutto di una mera operazione commerciale. Le foto aeree d’epoca mostrano molto bene come gli Staiths invece intrecciassero profonde relazioni con il territorio tramite la rete ferroviaria. Questa infatti passava attraverso la città di Newcastle e i villaggi limitrofi, per poi deviare un ramo ferrato sugli Staiths, suggerendo così come il naturale proseguo del cammino di ferro sia proprio il fiume Tyne. Queste relazioni si sono perse con la dismissione degli Staiths e quel tratto ferroviario è stato cancellato dal tessuto urbano, pur lasciando una traccia visibile nel villaggio di Dunston. Il disegno urbano va dunque ricercato nella natura infrastrutturale ampia degli Staiths, e non nella sua sola qualità astratta di monumento. Ancora, la sua natura radicata di collegamento a scala territoriale ha plasmato l’intorno con limiti e segni molto più di quanto non sia riuscito a farlo qualsiasi intervento successivo, che invece trova nella sua pura immagine il suo significante. Ripensare gli Staiths offre l’occasione per una riflessione sul significato delle grandi infrastrutture che in epoche diverse hanno dominato e plasmato il territorio con la naturale capacità di strutturarlo. Per tutti questi motivi, gli spazi attuali attorno agli Staiths snaturano la scala dell’infrastruttura, ma anzi vanno a complicare e frammentare la sua definizione spaziale e semantica confinandolo ad interpretare il ruolo di arredo urbano, simbolo tra i simboli. A partire da queste riflessioni, lo studio ha preso in considerazione dunque una porzione di fiume ampia che permettesse di ipotizzare visioni possibili per il Dunston Staith all’interno di un quadro ecologico e culturale d’insieme. Non si prevede dunque il semplice “riuso”, ma una resilienza a lungo termine che includa una ciclicità di tempi e di spazi. Come una camera di compensazione, il fiume mette in scena un ibrido tra la dimensione del paesaggio e quella urbana, mondo naturale e minerale, città e territorio, passato industriale e presente post-industriale. Possiamo considerare il Tyne come un’opera aperta2 che offre molti campi di accadimento potenziali e una varietà di interpretazioni: la resilienza del fiume rivela la ricchezza della complessità, una rete di relazioni effimere che lasciano “piccoli sistemi a grandi improvvisatori”, come disse Mario Tronti3.

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× 4 LANDSCAPES > 2.AGENCY 5.ANTI-CARTESIO 7.APPROPRIATION 10.BABEL 19.CONTINGENZE 25.CUT-UP 27.DÉTOURNEMENT 37.FICTIF 40.FOBIE 43.GROTESQUE 47.IMMAGINARIO COLLETTIVO 57.MERZBAU 60.MITOLOGIA 62.NARRATIVE ARCHTECTURE 77.POST-PRODUCTION


4 LANDSCAPES

pagina affianco: planimetria dell’isola di King’s Meadow, formatasi naturalmente di fronte ai Dunston Staiths, e dragata via prima della loro costruzione, nel 1890. Collage

Ogni volta che il Tyne esonda, la domanda che sorge spontanea è: come evolverà la situazione negli anni? La progettazione del fiume è sempre stato soggetto di discussione attenta per la città di Newcastle, specialmente negli ultimi cinquant’anni in cui le emergenze ambientali si sono acuite, e il fiume ha perso la sua valenza infrastrutturale. Quello che manca alla discussione è la comprensione dell’identità del Tyne e delle sue rappresentazioni. Una varietà di ritratti del fiume mostrano diverse prospettive: immagini differenti hanno giocato un ruolo importante nell’evoluzione del fiume, e sul suo contenimento. Analizzando mappe, idrografia, disegni, fotografie, dipinti, reportage governativi, si forma un ritratto complessivo del fiume, di cosa non è più e di cosa potrebbe essere. Prima del diciannovesimo secolo la maggior parte del fiume Tyne è stato navigabile solamente in presenza di alta marea, poiché erano presenti numerose isole e banchi sabbiosi. L’invenzione del battello di draga ha avuto un enorme effetto sull’uso del fiume, ed è stato così largamente utilizzato per poter favorire l’accesso alle navi dalla foce del fiume Tyne fino ai villaggi di Elswick e Dunston. Fino al 1860 dunque queste aree erano paesaggi fluviali rurali, il cui principale tratto distintivo era King’s Meadow, un’isola di circa 120.000 ettari: completa di pub, The Countess of Coventry, l’isola ospitava popolari serate di festival per gare di cavalli, regate, e la proprietaria teneva le mucche per fornire il villaggio di Elswik con il latte. L’isola è stata dragata via attorno al 1890, ma ora, più di un secolo dopo, eliminato il bisogno industriale per un canale di commercio solido, il fiume sta nuovamente formando banchi di sedimenti che potrebbero crescere fino a diventare ancora un isola. Sempre nel diciannovesimo secolo, c’erano battelli che organizzavano escursioni che andavano fino alle isole

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Fame, una chiatta da Newcastle faceva un tour annuale controcorrente verso Ryton Willows, in cui si tenevano fiere ed altre feste. Regate professionali si sono tenute tra Natale e Capodanno dal 1870 al 1938, e le comunità più vecchie ricordano la pesca del salmone, e la possibilità di nuotare nel fiume. Attorno al 1860 le due sponde del fiume annoveravano una fila di industrie per la lavorazione del ferro, chimiche, ed ingegneristiche, oltre che un cospargimento diffuso lungo la costa di cantieri navali e pontili per il carico del carbone. Il fiume è presto diventato dunque il maggiore porto e centro cantieristico, il cuore di una vasta area di estrazione e centro del commercio regionale. E’ diventato anche luogo di fabbricazione di locomotive ferroviarie ed ha sviluppato il primo servizio di battelli a vapore in Inghilterra. Nonostante l’esportazione di carbone sia diminuita da circa 23 milioni di tonnellate nel 1923 a circa 6 milioni negli anni ‘60 del novecento, il fiume ancora serviva primariamente come porto d’esportazione del carbone, insieme a ferro, legno, petrolio, granaglie. E’ rimasto inoltre a lungo uno dei maggiori cantieri navali, che peraltro hanno visto costruire alcune tra le più grandi petroliere del mondo. Tutte queste attività hanno richiesto strutture e costruzioni specializzate lungo le sponde che ne hanno modificato profondamente la scena visiva. Per secoli la vita delle comunità sviluppatesi attorno al fiume Tyne si è basata sul fiume e sulle sue industrie, oltre che offrire lo spazio per numerose attività per il tempo libero. Nel diciottesimo secolo si fabbricava il vetro a South Shields, e industrie chimiche si sono stabilite a Gateshead e Felling. La storia del fiume Tyne è affascinante ma largamente ignorata da qualsiasi scritto recente e non commemorata affatto lungo le sue sponde o negli edifici che su di esso si affacciano. Oggi, l’elemento naturale all’interno del contesto urbano presenta caratteristiche che, anche se deturpate o trascurate, esercitano ancora influenze positive sulla scena cittadina. Visivamente, il corridoio fluviale vanta una varietà di caratteristiche interessanti, derivate dalla sua topografia, edifici, paesaggi, e strutture industriali. Dal villaggio di Newburn al mare, il profilo della costa cambia da piana di marea a paesaggio acquatico, con sfondi collinari che arrivano a toccare invece i 500m. Anche la sezione del fiume varia notevolmente, soprattutto grazie al fatto che il Tyne è un fiume soggetto alle maree, spaziando in due secoli di edifici e storia lungo le sue rive. Nell’ultimo ventennio si è arrestato l’uso del fiume come infrastruttura di trasporto commerciale o di massa, permettendo la crescita del numero delle piccole imbarcazioni (producendo inoltre un effetto benefico sul tasso di inquinamento delle acque), la gente passeggia lungo gli argini specialmente in corrispondenza del Riverside Park, si al-

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levano piccioni e vegetali nelle porzioni di terreno in affitto, si scopre un rinnovato interesse verso l’ornitologia. Specie di uccelli come il piviere dorato Pluvialis apricaria, anatre, Tringa totanus, piovanello pancianera o Calidris alpina, e piovanello maggiore Calidris canutus, sono studiati nella striscia di terra fangosa che si scopre con la bassa marea, e il gabbiano tridattilo Rissa tridactyla ed altre specie di gabbiani vengono invece studiati a North Shields. Sono cresciuti servizi legati allo sport d’acqua da parte delle Local Education Authorities e le università, come canoa, voga, e vela. Nuove navi portano la gente al mercato nel Quayside di Newcastle la domenica mattina. Il totale degli interessi ricreativi che il fiume offre, sia passivi che attivi, non vanno dunque sottovalutati. Proprio per questa ricchezza di paesaggi si è deciso di prendere in considerazione e studiare quattro tratti con identità forti distinte: agricolo, industriale, urbano, costiero, per un quadro ampio dello sviluppo del fiume dall’entroterra alla costa. Prendere in considerazione quattro tratti del fiume, significa studiare quattro differenti paesaggi, con connotazioni ecologiche ma anche valenze culturali diversissime. Nel tratto agricolo preso in considerazione non c’è edificato, il livello dell’acqua del fiume è basso, la topografia molto variabile, con ampio dislivello dall’argine agli adiacenti terreni. I tratti industriale e urbano sono stati studiati e considerati insieme, data la loro attiguità. In questi tratti il fiume è più alto, morfologicamente modificato dopo l’ampio utilizzo del battello di draga alla fine del 19esimo secolo. Le sue sponde sono state cementificate, il letto del fiume allargato e scavato, per meglio agevolare il flusso delle navi per il commercio. I centri abitati di Newcastle (a nord del Tyne), e Gateshead hanno avuto solo recentemente uno sviluppo urbano consistente, mentre prima il confine tra città e campagna/zona industriale era molto più netto, trovandosi le miniere a ridosso della conurbazione, in quelli che si sono conservati ancora oggi come piccoli villaggi operai, come per esempio quello di Dunston. Anche il tratto costiero ha subito un’edificazione consistente solo negli ultimi anni, che ne ha cambiato la vocazione squisitamente portualeindustriale per sviluppare interessi turistici ed attività ricreative legate all’ambiente marino. Anche in questo tratto gli argini sono artificiali, ed è stata creata una bocca di porto. Adiacente ad essa invece si sviluppa il paesaggio costiero naturale, con scogliere e piccole insenature che originano strette spiagge. La topografia del terreno è più regolare e generalmente meno elevata. Questi quattro paesaggi, “tratti tipo”, messi a confronto ci raccontano in sintesi il fiume, i suoi cambiamenti e le sue previsioni di evoluzione.

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× PHASING THE RESILIENT RIVERSCAPE > 7.APPROPRIATION 11.BAZAAR 16.CINEMA 18.CLICHÉS 24.CURATORIAL PRACTICE 36.FANTASMAGORIA 47.IMMAGINARIO COLLETTIVO 60.MITOLOGIA 62.NARRATIVE ARCHITECTURE 66.NEW ORDER 75.PERFORMANCE 77.POST-PRODUCTION 79.POTENTIALITY 89.SCENARIO 90.SCREENPLAY 92.SPAZIO NARRATIVO


PHASING THE RESILIENT RIVERSCAPE

pagina affianco: scenario in tre fasi, collage

Il progetto si propone di sviluppare uno scenario in tre tempi, a partire dallo studio dei quattro paesaggi iconici individuati lungo il fiume: agricolo, industriale, urbano, e costiero. Le fasi riprendono le tematiche sondate nella prima parte dello studio, adattandolo al contesto specifico del paesaggio del Tyne nell’area di Newcastle. La prima fase, Curating, dura da zero a dieci anni in una linea temporale ideale, e traccia in modo dinamico e flessibile servizi, infrastrutture e attrezzature reversibili e temporanee nel paesaggio fluviale con il coinvolgimento dei cittadini, attori attivi di nuove narrative possibili. La fase partecipativa risulta fondamentale nello sviluppo di questo scenario, si vogliono comprendere le esigenze delle diverse comunità che vivono il fiume, vagliarle, e porre le basi temporanee di uno sviluppo permanente in un contesto ambientalmente mutato, in cui il paesaggio fluviale è presente nella vita cittadina prima di qualsiasi altro tipo di sviluppo. La seconda fase, Manipulating, si sviluppa al contempo della prima, delineando le linee guida per l’evoluzione dei processi naturali del paesaggio. Questa fase dura da zero a vent’anni, per il più lento processo di evoluzione dell’ambiente naturale. Si tratta di operazioni sull’habitat: implementare, rigenerare, ristabilire i processi dei sistemi naturali per reinserire il fiume nel metabolismo urbano intrecciando nuove relazioni e suggerendo nuovi protocolli d’uso. Nascono così nuove narrazioni possibili: si svela l’habitat plasmato dagli eventi, esibisce l’assemblaggio delle sue condizioni fisiche. Manipulating non inventa nuovi ecosistemi, ma accelera semmai quelli già esistenti. L’ambiente naturale salmastro è quello maggiormente implementato in tutti e quattro i tratti, per la ricchezza biologica del suo ambiente ma anche per le sue qualità estetiche in armonia con la risorsa acquifera.

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Una delle caratteristiche principali di questi biotopi è di essere costantemente soggetti a variazioni. Non c’è niente di costante in questi ambienti. Gli ambienti salmastri presentano una concentrazione media di sali che può oscillare da un minimo di 0.5 ad un massimo di 35 grammi per ogni litro. Il parametro più importante è indubbiamente il contenuto di sale dell’acqua, anche se sarebbe riduttivo pensare ad esso come l’unica cosa variabile nel tempo. In ogni momento, in ogni luogo, può esserci una preponderanza dell’acqua dolce o dell’acqua marina, in relazione soprattutto all’alternarsi di alta e bassa marea, ma non solo, in quanto anche le zone non influenzate dalle maree sono soggette ad una miriade di variabili non costanti nel tempo, come il variare stagionale della portata dei fiumi, le maggiori o minori precipitazioni, il vento, l’irraggiamento solare ed la temperatura, le fasi di marea e gli apporti fluviali di acqua dolce. La necessità è dunque quella di integrare l’efficienza ecologica perché la fauna possa crescere spontaneamente. Gli studi compiuti sul territorio avevano infatti messo in luce come il Tyne, non solo il suo estuario ma anche internamente, sia importante baluardo di flussi migratori di uccelli. Per questo diversi piani governativi hanno vincolato alcune zone, specialmente lungo la costa e attorno al bacino tidale in prossimità dei Dunston Staith, con speciali leggi di protezione. La terza fase inizia dai vent’anni del processo in poi, Adapting, è la fase che si occupa più specificatamente della resilienza a lungo termine. Questa fase infatti cura l’adattamento nel tempo del riverscape come infrastruttura ecologica e culturale resiliente, in cui la condizione temporanea è permanente e il caso mediatore. Infatti, secondo un principio di resilienza, il fiume evolve nel tempo in una costante condizione transitoria che prevede la possibilità di rinnovarsi, assorbire, e adeguarsi alle esigenze dei sistemi naturali e di quelli urbani. L’attitudine post-produttiva sta nel non inventarsi nessun concetto-progetto nuovo, ma lavorare sulla manipolazione dell’esistente e i suoi processi naturali, tenendolo sotto stretta osservazione. Tutti e quattro i tratti sono accomunati da alcune problematiche e necessità, sebbene queste si presentino in maniera differente in ogni sezione. Ad esempio: migliorare le qualità dei suoli, contenere il rischio delle inondazioni, trattenere e purificare l’acqua piovana, offrire ampio spazio all’ecosistema con manutenzione minima. Le linee guida tracciate dalle due fasi precedenti mostrano i processi, la terza li amplifica. La struttura del fiume può ora dirsi resiliente, con confini ambigui dalle forme incomplete ed evolutive, dimostrando costantemente la capacità di un sistema di adattarsi ai cambiamenti. Se l’infrastruttura territoriale ha teso a separare il suolo abitato dall’acqua, da questi prin-

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1 Il progetto dell’isotropia: una mostra, una ricerca, un progetto, esposizione a cura di Luigi Fabian, Bernardo Secchi, Paola Viganò, Venezia 2012

cipi si propone un confine più permeabile, senza indicazioni specifiche o immutabili sul programma e sulla ri-funzionalità degli spazi presi in considerazione, ma traendo la sua forza proprio da questi universi narrativi incompiuti che “durano” in quanto si adattano per mantenere una stabilità dinamica. Quello invocato è una sorta di principio taoista di cedevolezza: la città, ma anche il territorio sebbene con logiche differenti, nella lunga durata ha la capacità di trasformarsi in continuazione rinnovando il senso della propria identità proprio interpretando, riproducendo, esponendo, utilizzando, inserendo in ciò che già c’è principi che cambiano e fanno evolvere gli equilibri. Le azioni messe in campo sono naturalmente diversificate per ogni sezione studiata, e anche il repertorio formale è molto variegato, per esprimere al meglio quell’attitudine post-produttiva che si vuole adottare, in cui saranno i cittadini, il sistema della fauna, e quello della vegetazione, a suggerire ed inventare nuovi protocolli d’uso, intersecandosi e sfumando i confini delle loro categorie. Lo scenario che si configura riflette sull’entità del cambiamento verso cui andiamo incontro: climatico, ambientale, di dismissione dell’edificato, costruzione di nuovo. Mette in luce la necessità di una mobilitazione allargata e dunque la necessità di oltrepassare la contrapposizione tra i due livelli bottom-up e top-down, troppo spesso semplicemente e banalmente contrapposti, l’urgenza, infine, di costruire, legami e strategie che sappiano riconnetterli. Lo scenario tracciato non si basa su tempistiche solide e definite, ma per la natura organica delle sue fasi, ogni fase sfuma i confini con l’altra, ammettendo anche ritardi e cambi di programma. Neppure la linea temporale si sviluppa in sequenza, poiché le prime due fasi si intersecano costantemente l’una con l’altra, in un perenne susseguirsi di evoluzioni. Questa non è una previsione di come potrebbe essere un determinato luogo in conseguenza a delle azioni progettuali pensate e disegnate, ma una visione possibile d’insieme su un territorio percorso da molteplici elementi e influenzato da altrettanti fattori che lo rendono talmente ricco e complesso, in cui il tempo e la sua ciclicità giocano un ruolo fondamentale. Dei quattro tratti si è voluto analizzare più approfonditamente il tratto industriale e l’attiguo tratto urbano, in continuità con i precedenti studi che nascevano dalla necessità trovata in loco da parte delle diverse comunità in Dunston e Gateshead di provare ad immaginare un futuro possibile per i Dunston Staiths, luogo di memoria ancora viva e di destino ancora imprecisato. Questi due tratti sono da considerarsi comunque paradigmatici poiché riassumono, nella strategia e nella conseguente visione, il maggior numero di problematiche e di necessità legate al fiume Tyne.

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STRATEGY: 1. THE SCIENCE OR ART OF PLANNING AND DIRECTING LARGE SCALE MOVEMENTS AND OPERATIONS. 2. A PARTICULAR LONG TERM PLAN FOR SUCCESS, ESP IN BUSINESS OR POLITICS. 3. A PLAN OF ACTION RESULTING FROM STRATEGY OR INTENDED TO ACCOMPLISH A SPECIFIC GOAL. POLICY, PROCEDURE, PLANNING, PROGRAMME, APPROACH, SCHEME, MANOEUVRING, GRAND DESIGN, PLAN, APPROACH, SCHEME.


STRATEGY


× RURAL> 6.ANTI-FORM 7.APPROPRIATION 14.CHANCE 17.CIVILTÀ INDUSTRIALE 22.CRADLE TO CRADLE 38.FLANEUR 41.FUNZIONALISMO DEBOLE 44.HABITAT 45.HUMAN CAPITAL 59.METAMORFOSI URBANE 61.MUTAZIONE 77.POSTPRODUCTION 85.RESILIENCE 93.STRUCTURALISM 98.URBAN ECOLOGY


RURAL

pagina affianco: diagramma della fase di adapting nel tratto agricolo

Quello agricolo è il tratto più specificatamente dedicato alla riqualificazione ambientale. Infatti, non essendoci contesto abitato, riassume le sue problematiche in questioni più prettamente ecologiche e di paesaggio. Il territorio preso in considerazione è caratterizzato da condizioni critiche di inquinamento dei corpi idrici, come emerge dai sondaggi sulla popolazione fruitrice, ma anche da analisi biologiche su campioni di terreno condotte da enti specializzati o organizzazioni di tutela paesaggistica. Queste condizioni sono dovute principalmente all’attività agricola intensiva, ma anche dal grande apporto di detriti che il fiume trascina con sé. Infatti, trovandoci in questo tratto agricolo più vicino alla sorgente del fiume, quest’ultimo presenta un tasso di sedimi e residui naturali trasportati molto più elevato rispetto alla foce. La fruizione di questo tratto di fiume non è quindi né squisitamente turistica né legata ad una comunità di abitanti, bensì ad una molteplicità e variabilità di attori che gestiscono, coltivano, monitorano la terra. Il progetto per quest’area nella prima fase mira dunque ad una gestione partecipata del sistema delle acque. La condivisione delle scelte con tutti gli attori coinvolti nella gestione del territorio, ovvero istituzioni, enti, agricoltori e cittadini, e la collaborazione interistituzionale tra gli enti preposti alla programmazione, la pianificazione e la realizzazione degli interventi sono ritenute indispensabili per garantirne l’efficacia e conseguire gli obiettivi di sostenibilità. Una prima Fase di analisi sarà dunque indispensabile: la definizione di un quadro conoscitivo e la realizzazione di una banca dati geografica dell’intero territorio, studi di fattibilità per impianti pilota come i bacini pensili ipotizzati nella seconda fase, la redazione di una relazione sullo stato dell’ambiente.

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La costruzione della banca dati geografica rende confrontabili e condivisibili dati e informazioni di enti diversi, di natura eterogenea e nati su supporti di differenti. Questo lavoro prevede la realizzazione delle banche dati dei singoli enti partecipanti e la loro uniformazione in un’unica banca dati del progetto, la definizione dei metadati, e il successivo aggiornamento della banca dati stessa anche nella fase di adattamento. Inoltre, nell’ambizione di creare una rete partecipata degli attori coinvolti, si possono organizzare workshop tematici per avere una relazione sullo stato dell’ambiente che consenta di delineare un quadro generale delle politiche e dell’ambiente della campagna di Newcastle in relazione all’acqua. In questa prima fase, Curating, si ipotizzano anche delle nuove connessioni lente che congiungano ed avvalorino i percorsi turistici e naturalistici che corrono lungo il fiume dal tratto urbano e industriale, come quello che ripercorre parte del Vallo di Adriano. Il tratto agricolo non possiede alcuna infrastruttura fruibile pubblicamente a scopi ricreativi, ma si pensa che la ricchezza del paesaggio naturale e la specificità di quello agricolo possa sviluppare interessi potenziali dal punto di vista didattico e naturalistico per il turismo. Inoltre, il basso livello dell’acqua consente il facile valicamento del fiume e il suo creare naturali spazi ricreativi come piccole spiagge nei meandri del fiume. Per la fase di manipolazione si sono pensati tre ordini di azioni: bacini pensili che raccolgano le acque piovane, le depurino tramite fitodepurazione, e fungano da riserva per l’agricoltura ma anche per l’implementazione del corso del fiume, per un ricambio d’acqua senza fattori di inquinamento né di contaminazione. Per questo saranno necessari aggiustamenti morfologici del terreno. Il progetto di fitodepurazione, inoltre, è pensato come diffuso e si estende agli argini del fiume, allargati per non indebolire troppo il corso d’acqua con la messa a dimora di numerose specie vegetali. Al contrario, l’allargamento del fiume, oltre a dare luogo a potenziali spazi pubblici ricreativi, consente un consolidamento naturale degli argini con la piantumazione delle erbe a falasco per la fitodepurazione. La terza fase, dopo queste prime due in cui tutto dipende dall’evoluzione ambientale e dal ruolo attivo degli attori coinvolti, traccia per prima cosa la definizione di indicatori ambientali di riferimento per il futuro monitoraggio. Dalla banca dati geografica creata, si definiscono cioè una serie di indicatori ambientali -derivati da parametri di tipo chimico, fisico e biologico- idonei al monitoraggio dei singoli interventi. Una fascia tampone lungo i canali di bonifica si inserirebbe nell’idea di non reclamare terra per l’agricoltura, sottraendo agli ecosistemi il loro naturale spazio per accrescere, ma, al contrario, amplificando la

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1 Clément, Gilles. 2011. Manifesto del Terzo Paesaggio (Macerata: Quodlibet)

possibilità di inserimento di nuovi ecosistemi. L’azione prevede interventi di rinaturalizzazione del fiume per la ricostituizione dell’habitat ripariale, anche nell’ambito eventuale della realizzazione di un parco naturalistico lineare idoneo alla fruizione pubblica a scopo ricreativo e didattico. Sarà indispensabile effettuare il rimodellamento morfologico del terreno, anche con introduzione di sinuosità finalizzate alla creazione di aree umide non permanenti, la messa a dimora di specie vegetali arboree, arbustive ed erbacee di ambiente ripariale, l’inserimento di attrezzature minime per la fruizione, inclusi eventuali pannelli didattici e tracciamento di percorsi di visita. I risultati attesi sono la sensibilizzazione della cittadinanza ad un tratto di fiume non prima godibile, la disponibi-lità di un’area parco sfruttabile come attrezzatura ricreativa, la dimostrazione della possibilità di abbattimento degli inquinanti generici, il miglioramento della qualità del paesaggio, il contributo all’incremento della biodiversità, la disponibilità di dati e informazioni utili alla definizione di un più dettagliato programma di riqualificazione ambientale e alla sua implementazione su larga scala. Queste linee di principio strategiche sono infatti scalabili dal tratto considerato, una porzione di territorio di 3 per 1,5 chilometri, a tutto il sistema agricolo della regione sotto cui si dirama il bacino idrico del Tyne, soprattutto per quanto riguarda la gestione partecipata del sistema delle acque. Lo scenario configurato è un sistema non più solamente agricolo, ma ibrido tra ambiente ripariale e agricolo, in bilico dunque tra natura artificiale e spontanea, terzo paesaggio e industria. L’ambiente ora sfrutta tutti gli spazi e il potenziale del paesaggio, prima soltanto residui dell’attività umana. Scrive Gilles Clément, infatti, che è possibile fare delle previsioni sulle sequenze evolutive dei residui, ma è impossibile predire con precisione i tempi e le forme finali, poiché questi dipendono da fattori complessi di adattamento all’ambiente. Gli spazi della diversità hanno origini difformi. Ci sono gli “insiemi primari”, che sono spazi vergini, mai utilizzati, dove ad un aspetto tendenzialmente unitario corrisponde una grande varietà biologica. Poi ci sono i “residui”, cioè gli spazi che derivano dall’abbandono di un’attività, che lentamente evolvono verso un paesaggio secondario, e sono caratterizzati da un aspetto eterogeneo e caotico. L’incostanza dei sistemi biologici nel tempo, infatti, è effetto di questo continuo adattamento, e garanzia di resistenza nel tempo. Il Terzo paesaggio è il luogo dell’evoluzione incostante di tipo lamarkiano, con modificazioni lente e modulate, è il territorio della “invenzione biologica”. Le scadenze amministrative e politiche sono incongruenti rispetto ad una realtà mutevole, che cambia quotidianamente.

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× INDUSTRIAL&URBAN > 4.ANARCOMY+ 7.APPROPRIATION 12.CALCULATED UNCERTAINTY 17.CIVILTÀ INDUSTRIALE 19.CONTINGENZE 46.IDEOLOGICAL APPARATUS 50.INTERHUMAN SPHERE 79.POTENTIALITY 89.SCENARIO 90.SCREENPLAY 92.SPAZIO NARRATIVO 98.URBAN ECOLOGY


INDUSTRIAL&URBAN

pagina affianco: diagramma della fase di adapting nel tratto industriale e in quello urbano

I tratti denominati industriale e urbano sono quelli più densamente popolati tra i quattro studiati. Di conseguenza presentano il maggior numero e varietà di comunità a loro supporto: enti, istituzioni, organizzazioni, ma anche gruppi di cittadini. La fase partecipativa per i servizi ai cittadini è dunque particolarmente delicata quanto fondamentale per lo sviluppo dello scenario progettuale. Questa fase mostra un processo radicalmente differente dalle prassi comuni di pianificazione urbana: dalla città comandata dall’alto della pianificazione, infatti, si passa invece alla volontà di creare prima di questa le condizioni per la vita urbana, con l’inserimento di attrezzature e servizi temporanei che facciano da catalizzatore ed attrattori. In questa maniera, nel tempo, le qualità temporanee dei servizi potranno essere mantenute, e l’area può evolvere senza vincoli forzosi, con un paesaggio sempre differente che si mescolerà e confonderà con la città esistente, apportando valore non solo estetico, ma anche ecologico e d’uso. Le prime azioni progettuali per la prima fase di curatela per quanto riguarda questa porzione di fiume sono: rendere il Dunston Staith accessibile, attrezzandolo come osservatorio della fauna aviaria, che nel contempo è naturalmente implementata nelle nuove isole in mezzo al fiume, stabilire attorno ad esso un parco umido diffuso di fruizione pubblica con la messa a dimora di specie vegetali di ambiente salmastro e ripariale, comprendendo ’intorno dei Dunston Staiths, e l’immediato intorno del fiume Team. Gli Staiths, attualmente in fase di restauro la cui fine è prevista per la fine del 2015, non subiranno in questo scenario nessun tipo di interventi architettonici, offrendosi semplicemente al corso d’acqua e agli abitanti come ramo sul fiume, nel naturale ordine delle cose di decadere e diventare altro rispetto alla loro orginale funzione ora storicizzata.

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Nelle sponde opposte, si sfrutteranno i fanghi di dragaggio ricavati per la formazione delle isole fluviali per creare, in quella che oggi è una friche urbana, nei suoli così riciclati, sistemi per l’orticoltura, lo sport, ed altre attività caratteristiche come l’allevamento dei piccioni da corsa. Nel tratto urbano, la fase di curatela prevede invece una serie di stanze lungo il fiume, espediente di sicurezza in caso di esondazione, ma anche sistema di nuove piazze e luoghi pubblici. Per questo motivo, si è pensato all’inevitabile modifica dell’attuale circolazione delle auto, potendo così rendere il lungofiume interamente ciclopedonale, e protetto da una fascia-cuscinetto di vegetazione, che possa isolare il fiume sia ambientalmente che dai rumori della strada. Le isole fluviali, il nuovo sistema di canalizzazione lungo il Team River, il modellamento del terreno per la creazione di zone umide artificiali, sono tutte operazioni che riguardano la manipolazione dell’ambiente naturale nel tratto industriale. L’obbiettivo è quello di creare un polo di interesse storico e naturalistico attorno al bacino degli Staiths. Le isole fluviali offrono un luogo per lo sviluppo di uno spazio primario di terzo paesaggio, ricco in biodiversità e non accessibile dalla mano umana. Il giardino salmastro si può dunque appropriare di tutto lo spazio che naturalmente prenderebbe per la ricchezza e l’importanza degli ecosistemi che ospita. Infatti, essendo quello salmastro un dominio ibrido tra l’ambiente marino e quello dolce, e la marea, che nel tempo ha creato sempre più vaste strisce di terra scoperte quando è bassa, forniscono un’importantissima risorsa di cibo per la fauna aviaria. Le piante presenti in questi ambienti sono di tipo alofite: hanno la capacità di vivere in ambienti salini o alcalinici, dove c’è una concentrazione di cloruro di sodio, elemento tossico per la maggior parte delle piante. Si può generare così un corridoio ecologico che dal fiume si sposti sulla terra ferma, penetrando in città grazie all’ecosistema filtro tra strada e fiume. L’azione prevede la realizzazione di una zona umida artificiale finalizzata a intercettare e depurare “biologicamente” il flusso idrico proveniente dal canale nei meandri del fiume Team, proseguendo poi fino a Gateshead, e nella riva opposta invece fino a Newcastle, con la messa a dimora di specie vegetali di tipo erbaceo e arbustivo di ambiente palustre. Questo permette la naturale generazione di ampie stanze alluvionabili, e fornisce argini di mediazione tra la terra ferma e il fiume. Come il fiume serve l’agglomerato urbano, quest’ultimo serve il fiume, in una relazione soffice tra natura e contesto costruito, lasciando permeabile il contatto con l’elemento naturale. La terza fase di adattamento partirà non appena la rinaturalizzazione industriale e urbana ha avuto luogo e le attrezzature temporanee per la fruizione pubblica sono

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state delineate. A quel punto la fauna, sia aviaria che di terra, avrà apiamente ricolonizzato naturalmente il territorio, mentre il giardino salmastro da spot diffuso sarà diventato un ricco dispositivo ambientale. La messa a dimora di specie vegetali di ambiente ripariale però non dovrà sicuramente interrompersi, come allo stesso tempo cresceranno i nuovi spazi ricreativi attrezzati, che, insieme al corridoio ecologico, attraverseranno la città e proseguiranno oltre. Il paesaggio fluviale a questo punto si fa memore di quello Stato di natura esistente prima dell’epoca industriale, le isole offrono un paesaggio evocativo delle stesse geometrie, la selvatichezza penetrata in città sembrerà il naturale proseguo di Riverside Park, e sarà ormai comunque impossibile distinguere la natura originale da quella rigenerata. Non ci saranno più distinzioni tra natura vergine e quella contaminata dal suolo inquinato, rendendo piuttosto interessante rivelare un nuovo paesaggio plasmato dalle industrie precedenti, in cui si evidenziano pattern della vegetazione disturbata, così mappando in maniera naturale la contaminazione dei suoli, mostrando processi naturali precedentemente non visti, nell’ottica di un nuovo immaginario che raccolga le tracce passate, presenti, e si evolva in futuro. Le industrie hanno plasmato il territorio nel secolo scorso, la vegetazione se ne riappropria riplasmando il terreno industriale in futuro, in una ciclicità temporale ricca di metamorfosi. La vegetazione si adatta infatti alle caratteristiche del terreno, accetta le condizioni fisiche del suolo, che presenta tracce di metalli da scarti industriali come, fenolo, catrame, benzene, xylene, toluene, idrocarburi policiclici aromatici, ed anche tracce di metalli pesanti. La marea, moto periodico che fa alzare ed abbassare ciclicamente ogni giorno il livello dell’acqua, è un prezioso ambiente di transizione di due dominii, quello di terra e quello d’acqua, ma senza condizioni climatiche estreme, sempre mediate. La marea lascia che l’acqua copra e riscopra le isole nel fiume, di livelli diversi per consentire la naturale evoluzione di diverse specie vegetali e lo scorrere dell’acqua, cambiano la loro estetica a seconda delle stagioni e delle ore del giorno. Esse forniscono al paesaggio urbano nuove forme narrative e livelli di senso, riciclando concetti e progetti che una volta già esistevano plasmati dalla natura, lasciando invece nello scenario libera interpretazione. Il coinvolgimento con il fiume è ora quotidiano, in senso storico ed ecologico, offre numerose opportunità per vivere l’acqua in maniera positiva e non minacciosa, con il potere di plasmare l’immaginario collettivo della città che associa oggi maggiormente il fiume al retaggio industriale. Con questo scenario, l’elemento paesaggistico entra a fare parte della città, proprio come i canali ad Amsterdam o il lago a Zurigo, costituendo una nuova narrativa del paesaggio.

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× COASTAL > 2.AGENCY 5.ANTI-CARTESIO 7.APPROPRIATION 10.BABEL 19.CONTINGENZE 25.CUT-UP 27.DÉTOURNEMENT 37.FICTIF 47.IMMAGINARIO COLLETTIVO 57.MERZBAU 60.MITOLOGIA 62.NARRATIVE ARCHTECTURE


COASTAL

pagina affianco: diagramma della fase di adapting nel tratto costiero

Per quanto riguarda la strategia costiera, si è proceduto per la prima fase alla formazione di un parco naturalistico lineare che garantisse quindi la fruizione da parte del pubblico, individuando dapprima quali sono le aree a protezione speciale e tracciando solo conseguentemente i percorsi dolci per rendere il parco fruibile. L’individuazione delle zone protette avverrà con la partecipazione degli enti e gli organismi governativi preposti. Anche qui, come per il tratto agricolo, si rivelerà necessaria una relazione sullo stato dell’ambiente che consenta di delineare un quadro generale delle politiche e dell’ambiente in relazione all’acqua e allo stato della costa. La relazione serve a individuare, organizzare e presentare le informazioni sullo stato dell’ambiente e delle risorse naturali dell’intero sistema costiero. Oggi la foce del fiume si presenta prevalentemente con argini in cemento ed industrie, molte delle quali dismesse o in dismissione, lungo i suoi argini. La costa, presenta invece ancora amenità naturali quali lingue di spiaggia e spazi pubblici adibiti a parco, ma non attrezzati, o non sufficientemente, e soprattutto in cui manca una forte connotazione identitaria di cosa quel posto rappresenti, specialmente in relazione all’immediato intorno ed al contesto abitativo. A valorizzare l’immediato paesaggio costiero dopo la foce, il Tynemouth Castle e le scogliere a picco sul mare, che offrono un panorama potenzialmente pittoresco e caldo. Solo recentemente è stata sviluppata qualche infrastruttura per il turismo, come ad esempio un Boating Lake, nei cui pressi si organizzano occasionali regate ed altre competizioni di piccole imbarcazioni. Essendo comunque un ambiente prevalentemente antropizzato, costruito, ed abitato, gli interventi si focalizzano maggiormente sulla spiaggia e le risorse naturali, di fronte all’inevitabile problematica dell’erosione costiera

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e del rischio sempre più crescente di inondazioni in certi punti critici dovuto al cambiamento climatico. La fase di manipolazione interessa la morfologia del terreno, con la formazione di dune secondarie per proteggere la costa dall’ulteriore erosione dell’acqua marina che avanza. Le dune servirebbero quindi per permettere inondazioni controllate e la formazione di terreni umidi in grado di sopportare in modo flessibile i cambiamenti climatici e stagionali. Se si abbandonano i mezzi fissi e robusti di diga, un’infrastruttura leggera, dinamica e naturale creerà simultaneamente l’opportunità di rafforzare il terreno costiero, migliorare e valorizzare le qualità dell’ambiente naturale, supportare eventuali attività ricreative, formare un’identità forte per questo ambiente ora ibrido e irrisolto. Si propone dunque di intervenire sulla costa attraverso la realizzazione di una duna sabbiosa ecologicamente e geograficamente in continuità con il paesaggio circostante, che possa proteggere l’area con metodologie dinamiche anziché con una barriera rigida ed inamovibile, inoltre conferendo una nuova narrativa paesaggistica del territorio, ora spoglio e per la maggior parte artificiale. L’area naturalmente presenta una varietà topografica su cui al momento sorge sparuta vegetazione nativa, e spiagge con diverse profondità. Per consolidare la costa e preservare i caratteri ambientali, si procede alla messa a dimora di specie vegetali di ambiente palustre, con la formazione, specialmente durante la realizzazione del paesaggio di dune, aree umide non permanenti che filtrino e rimettano in circolazione l’acqua. In questa fase le azioni di progetto si possono dividere in due tipologie: le azioni di breve termine e quelle di mediolungo termine. Le azioni a breve termine sono quelle che tenderanno a consolidare la diversità biologica per quelle specie il cui habitat è ad oggi in uno stato precario. In questo caso è opportuno parlare di “potenziamento” e non di “incremento” della biodiversità, poiché non saranno introdotte nuove specie, o condizioni per nuove specie. L’intervento sarà teso al potenziamento funzionale ed ecologico dell’habitat per scongiurare la minaccia di riduzione di diversità biologica, mentre le azioni a medio-lungo termine sono invece indirizzate ad un incremento di biodiversità, mediante l’introduzione di elementi naturali. Con l’evoluzione del parco costiero lineare, nuovi ecosistemi salmastri popoleranno naturalmente la costa, e si potranno dunque tracciare itinerari didattici, percorsi di visita, aggiustamenti eventuali all’evolversi della vegetazione, e il rimodellamento morfologico del suolo per attutire i cambiamenti. Come nel tratto industriale e in quello urbano anche qui la marea gioca un ruolo decisivo nell’estetica e nella costituzione identitaria del luogo: l’ambiente di transizione tra il dominio marino e quello di terra infatti accetta

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1 Clément, Gilles. 2011. Manifesto del Terzo Paesaggio (Macerata: Quodlibet)

solo condizioni ambientali sempre mediate: le zone umide salmastre comprendono tutti i corpi idrici costieri in cui si mescolano le acque dolci continentali e quelle salate in cui, a seconda delle maree e della portata dei fiumi, la salinità assume di volta in volta diversi valori intermedi. Anche in questi luoghi la striscia di terra fangosa e la spiaggia, scoperte con la bassa marea, offrono una preziosa risorsa di cibo per la fauna aviaria che, specialmente nella costa, ne fa un luogo di scambi di rotte nella stagione delle migrazioni. E, se ora il Tyne è considerato il terzo fiume dell’inghilterra per importanza ecologica, nell’ottica di una resilienza a lungo termine non può che aumentare la sua ricchezza ecologica con l’espandersi di una solida fascia di paesaggio terziario lungo la costa. La visione strategica dunque mira primariamente al consolidamento e alla messa in sicurezza, poi alla rigenerazione dell’habitat e al suo arricchimento, inoltre vuole rendere una risorsa fin’ora poco sfruttata alla comunità. Bisogna considerare che il paesaggio costiero è già ora suscettibile di cambiamenti consistenti con la progressiva dismissione di molti dei luoghi precedentemente legati all’industria. Quei posti ospiteranno un’evoluzione da paesaggio primario, poi secondario, ed in fine Terzo. Scrive Gilles Clément, che il Terzo paesaggio può divenire o meno oggetto di assunzione di responsabilità. L’interesse da parte dell’istituzione porta regole, limiti, statuti, organizzazione, protezione; ne cambia le forme e i meccanismi di evoluzione. Il disinteresse dell’istituzione invece non modifica il suo divenire, lo rende possibile. Crescita e sviluppo determinano infatti, nel tempo, dal punto di vista economico accumulazione, e da quello biologico trasformazione, cioè principi dinamici profondamente diversi, che non sono sovrapponibili. Il Terzo paesaggio si pone come luogo dell’invenzione, opponendosi all’accumulazione. Bisognerebbe iniziare a conferire anche all’improduttività una dignità politica. Il Terzo paesaggio cambia nel corso del tempo, sia a causa del dinamismo interno, che lentamente lo conduce verso situazioni di climax forestale, sia a causa delle pressioni esterne, di carattere economico e politico, che possono essere eccessive, determinando così una perdita di diversità, oppure moderate, assicurando invece benefici al territorio antropizzato circostante. Questo tipo di dinamiche positive di scambio dovrebbe essere incentivato. La sfida del Terzo paesaggio è quella della diversità. Oggi l’antropizzazione del pianeta ha lo stesso effetto, sulla diminuzione delle specie, delle catastrofi che nelle ere passate portarono all’estinzione di numerose specie viventi. I residui rappresentano un rifugio e contemporaneamente i luoghi dell’invenzione, del futuro biologico, ed una illuminata politica territoriale dovrebbe puntare ad aumentarli, e non a diminuirli.

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PROJECT
























BIBLIOGRAPHY


MAP

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GRAZIE, SPECIALMENTE ALLE PERSONE CHE MI HANNO SUPPORTATA E SOPPORTATA DURANTE QUESTO LAVORO.


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