Nuovi spazi della memoria. [Marco Mazzola, Alessandro Menini - 2014]

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NUOVI SPAZI DELLA MEMORIA due progetti per la Resistenza e la Liberazione a Milano



NUOVI SPAZI DELLA MEMORIA Due progetti per la Resistenza e la Liberazione a Milano

Marco Mazzola 782391 Alessandro Menini 782377

Relatore: Gennaro Postiglione Correlatore: Michela Bassanelli

Politecnico di Milano AA. 2013/2014 Scuola di Architettura e SocietĂ | Corso di Laurea Magistrale in Architettura



Abstract Le vicende drammatiche che hanno caratterizzato il Novecento hanno lasciato segni indelebili nelle città, nei paesaggi naturali e nella memoria delle persone che li hanno vissuti, dando vita a un paesaggio fisico e culturale molto prezioso ma con cui è difficile rapportarsi. Se da un lato si ha una forte necessità di mantenere vivo il ricordo dei traumi della storia recente, dall’altro si preferisce a volte che il passato resti passato perché i conflitti non sempre sono risolti e possono riaccendersi, mettendo a rischio il fragile equilibrio del presente. Inoltre, la sempre maggiore distanza temporale e i ricambi generazionali tendono inevitabilmente verso l’oblìo e l’indifferenza. Come può allora il progetto per la memoria tenere vivo il ricordo e costruire identità e futuri più consapevoli del proprio passato? È possibile andare oltre le forme della commemorazione classica che sembrano avere perso oggi molta della loro efficacia? Questa tesi prova a rispondere a tali domande analizzando il caso studio della memoria della Resistenza e della Liberazione a Milano, fenomeni complessi la cui eredità è ancora oggi combattuta e irrisolta. Dall’analisi del periodo storico sono emersi due diversi tipi di memorie: storie legate a luoghi specifici e storie di cui invece non è rimasta alcuna traccia tangibile; per ognuno dei due casi è stata elaborata una diversa strategia progettuale. La prima, mappa e comunica i luoghi della memoria storica del periodo in esame a Milano con un sito web e con alcune azioni sullo spazio pubblico che mettono in connessione i contenuti multimediali alla realtà urbana. Realizzato in collaborazione con un team di storici, questo progetto è stato inserito nel programma ufficiale delle celebrazioni del 70° anniversario della Resistenza e della Guerra di Liberazione a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri Struttura di Missione per gli Anniversari di interesse nazionale e ha ottenuto il patrocinio dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Milano. Il secondo progetto immagina invece un nuovo spazio pubblico per la memoria a Milano che si faccia carico di raccogliere e trasmettere le storie alle quali è impossibile associare uno specifico luogo. In entrambi i progetti, l’obiettivo è costruire una nuova relazione tra memorie, luoghi e vita quotidiana, per avvicinare le persone alla storia e stimolarle ad una presa di coscienza del proprio passato.


Indice Memoria e architettura

EreditĂ difficili Luoghi come testimoni Monumenti, memoriali, musei della memoria Crisi del memoriale Bibliografia Oltre il memoriale

Ripensare le forme della memoria Manifesto Bibliografia

Milano 1943-1945

Resistenza, deportazioni, Liberazione Bibliografia MI4345 – Topografia della Memoria

About Luoghi www.mi4345.it Azioni urbane Bibliografia Piccolo Teatro Urbano

About Memoria Teatro urbano Contesto Processo Progetto Bibliografia

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caso studio

cittĂ

memorie con luogo

Memoria Architettura

tema

Oltre il memoriale

strategia

Milano

1943-1945

periodo

memorie senza luogo



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Eredità difficili

Il Novecento è stato il secolo della paura, quello che ha conosciuto i maggiori drammi della storia universale: due guerre mondiali, genocidi, bombe atomiche. Tali eventi hanno prodotto un lascito che mai la civiltà si era trovata a dover affrontare, senza precedenti per la sua complessità, per la sua follia, per le sue ricadute sul presente. Questo doloroso patrimonio è stato identificato come difficult heritage o come dissonant heritage ed è formato sia da tracce tangibili che segnano i paesaggi urbani e naturali, sia da storie, racconti e ricordi che non hanno un’evidenza fisica ma sono ugualmente impressi nel territorio e concorrono a formare un paesaggio culturale di grande valore. La distanza temporale che ci separa dagli eventi e dall’eredità che essi ci hanno lasciato aumenta inesorabilmente. Oggi, pertanto, si ha da un lato la necessità di preservarla e trasmetterla alle nuove generazioni per costruire un futuro positivo e consapevole, dall’altro l’esigenza che il passato - specialmente se traumatico e irrisolto - resti passato affinché non metta a rischio il fragile equilibrio del presente.

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Definisco “eredità difficile” [...] un passato che, pur essendo oggi riconosciuto come significativo, è anche contestato ed ostacolo alla riconciliazione pubblica con un’identità contemporanea positiva e di auto-affermazione. L’ “eredità difficile” può essere anche turbolenta perché minaccia di irrompere nel presente in modi dirompenti, aprendo divisioni sociali, forse contribuendo a scenari futuri immaginati persino terrificanti. (Macdonald 2013, 57) Ogni conflitto ha lasciato la propria eredità. Rovine, macerie, ma anche edifici interi segnano il territorio europeo, richiamandoci un passato che molte persone preferirebbero piuttosto dimenticare. (Tzalmona 2010) Le tracce dei conflitti bellici, presenti nel tessuto urbano come nel paesaggio, rappresentano un patrimonio difficile da gestire e a cui relazionarsi perché legato a memorie scomode, spesso anche traumatiche, che pongono questioni di primaria importanza. [...] Questo patrimonio scomodo è formato sia da tracce fisiche e materiali come bunker, trincee e gallerie sotterranee, che immateriali come storie, racconti e memorie di persone che hanno vissuto quei tragici eventi. Queste ultime in particolare non hanno un’evidenza fisica ma i loro segni sono ugualmente impressi nel territorio. [...] Da un lato si vorrebbero eliminare dallo sguardo e dalla mente tutte queste presenze e memorie dolorose, ma dall’altro si manifesta contemporaneamente la paura che ciò equivalga a perdere parte della propria storia e identità costituita anche da queste cicatrici. (Postiglione 2011, 11-19) Le tracce e i reperti dei conflitti bellici sono vere e proprie archeologie della memoria che investono ampie parti di territori e città, formando un’eredità culturale molto preziosa. (Bassanelli 2013, 339) Possedere un patrimonio - ovvero un corpo dotato di storia e di tracce materiali - è, in altre parole, una parte integrante di avere un’identità, e afferma il diritto di esistere nel presente e continuare nel futuro. (Macdonald 2009, 2) Il legame tra guerra, memoria, identità e politica è incrementato significativamente negli ultimi anni. Il desiderio di commemorazione è cresciuto in particolare in corrispondenza degli anniversari della prima e della seconda guerra mondiale. ConfronMemoria e architettura

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tandoci con questo patrimonio traumatico potremmo sfruttare il suo potenziale per costruire identità più consapevoli del proprio passato. È indubbio, infatti, che memoria e identità siano inscritte nel paesaggio tramite le tracce del passato. (Carr 2010) Il patrimonio delle guerre, tangibile e intangibile, costituisce una risorsa per le future generazioni perché parte integrante di una memoria collettiva sulla quale costruire identità consapevoli del proprio passato. (Bassanelli 2013, 32) Ma il non dimenticare può essere anche causa di perpetuo rancore: sembra che la pace affondi almeno una delle sue radici nell’oblio, o quantomeno nell’attenuazione del ricordo. Finché si avverte il bruciore della ferita difficilmente si può procedere verso la sanazione definitiva. (Pirazzoli 2010, 54) Il fatto che il termine memoria abbia sostituito il termine ideologia non può significare che le funzioni di critica, discriminazione e valutazione etica siano divenute obsolete. Al contrario, il discorso memoriale deve sviluppare il suo proprio atteggiamento di vigilanza critica. Deve stabilire criteri per valutare la qualità delle costruzioni per la memoria, per distinguere tra usi e abusi del passato. (Assmann 2004, 19-37) Il Novecento e questo inizio di nuovo secolo sono un tempo cupo, frammentario, aperto a una miriade di punti di vista possibili, o meglio, a frammenti di punti di vista derivati dallo scontro e dal crollo delle ideologie. (Pirazzoli 2010, 128) All’inizio del XXI secolo, bombardati da moniti sempre più forti, ci si chiede se non sia necessario trovare una forma di conciliazione nella memoria, evitando una memoria ferma, fine a se stessa, pronta a essere strumentalizzata: il ricordo senza la riflessione non serve, non porta lontano, se non alla rabbia e al pianto. (Pirazzoli 2010, 54)

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Luoghi come testimoni

Come trasmettere la memoria del passato in modo che sia comprensibile a tutti, specialmente a chi non l’ha mai vissuto? Per rispondere a questa domanda, il secondo Novecento si è avvalso di uno “strumento” privilegiato: la testimonianza diretta di chi ha vissuto le tragedie del secolo scorso in prima persona. Oggi, però, con la progressiva scomparsa dei testimoni, s’impone la ricerca di un’alternativa. I luoghi, che assorbono il corso della storia e lo restituiscono nel tempo attraverso un insieme di tracce, possono diventare i nuovi testimoni. Come gli alberi, che all’interno del tronco segnano in modo continuo e invisibile la loro storia finché un’indagine dendrocronologica la porta alla luce rendendola comprensibile, anche i luoghi sedimentano le tracce del proprio passato ma la loro lettura non è altrettanto scientifica. Pertanto, sebbene i luoghi siano un tramite fondamentale per la memoria, essi necessitano di essere trattati con particolare attenzione: a volte possono essere quasi illeggibili, altre volte possono rivelarsi ambigui e diventare terreno di nuovi scontri.

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Il Novecento è stato il secolo del testimone, dell’uomo sopravvissuto che ha mostrato la veridicità di fatti sconvolgenti e insieme l’assoluta banalità del male. [...] Il processo Eichmann e quelli di Francoforte, nei primi anni Sessanta, hanno messo in evidenza la centralità del testimone nella costruzione di una storia condivisa. Il corpo del sopravvissuto diventa una sorta di corpo pubblico memore dei tanti che non possono più parlare: che non hanno più occhi, orecchi, numeri da mostrare incisi sulla pelle. [...] Il transito intergenerazionale fa sì che oggi gli ultimi testimoni vadano scomparendo lasciandoci il compito etico di tramandare le storie vissute dai nostri nonni e bisnonni alle nuove generazioni con il forte monito a non ripetere i drammi del passato, a non dimenticare. In che modo allora è possibile oggi perpetrare il ricordo degli altri? I luoghi della memoria potrebbero rappresentare i nuovi testimoni che con le loro tracce, tangibili o intangibili, diventano portatori di valori altri. (Bassanelli 2013, 13-15) I luoghi della memoria sono i nuovi testimoni, su cui grava la traccia del passato: e in nome di quell’impronta carica di pathos, lo spazio di pura estensione, animata solo dal fluire del movimento, si trasforma in luogo. (Tarpino 2008, 20) Luogo della memoria è una unità significativa, d’ordine materiale o ideale, che la volontà degli uomini o il lavorio del tempo ha reso un elemento simbolico di una qualche comunità […] Il luogo della memoria ha come scopo fornire al visitatore, al passante, il quadro autentico e concreto di un fatto storico. Rende visibile ciò che non lo è: la storia […] e unisce in un unico campo due discipline: la storia appunto e la geografia. (Nora 1984) Alla categoria dei mediatori esterni della memoria, appartengono anche i luoghi teatro di avvenimenti significativi dal punto di vista religioso, storico o biografico. Questi luoghi hanno la capacità di conservare e garantire la memoria anche dopo una fase di oblio collettivo. [...] il luogo riattiva il ricordo, almeno quanto il ricordo riattiva il luogo. (Asmann 2003, 22) É come se esistesse un rapporto particolare tra luogo e ricordo che scatena una riattivazione delle memorie in esso presenti. Elena Pirazzoli definisce questo concetto con il termine di nudo luogo, ovvero “una sensazione sollevata dall’attraversamento del luogo, è quell’aspetto capace di suscitare un grumo di emozioni, ricordi, associazioni. Bunker, trincee e gallerie sono solo alcuni dei reperti tangibili che i conflitti Memoria e architettura

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lasciano sul paesaggio, esistono anche elementi intangibili, come storie e ricordi, che non hanno evidenza fisica ma che comunque sono impressi nella memoria dei luoghi. (Bassanelli 2013, 339) Il tema della memoria in relazione allo spazio si amplifica alla fine del secondo conflitto mondiale quando le città e il paesaggio si presentano come resti dei teatri di guerra. [...] Le tracce dei conflitti costellano le nostre città e il paesaggio, in alcuni casi i segni sono ancora evidenti, in altri il trascorrere del tempo ha cancellato i segni visibili ma non la memoria. (Bassanelli 2013, 15-22) Il nudo luogo è allora quel carattere che unisce tutti gli “spazi”, che siano essi luoghi o nonluoghi, è la presenza di stratificazioni d’usi, di passati, di residui, senza pretesa d’alta storicità ma capaci di rendere vicende umane. (Pirazzoli 2010, 46) Il nudo luogo [...] raramente resta congelato all’istante dell’evento: [...] si creano stratificazioni di memoria, usi e riusi sia metaforici che reali dell’evento stesso. [...] (Pirazzoli 2010, 45) Il luogo occupato da un gruppo non è come una lavagna su cui si scrivono delle cifre e delle figure e poi si cancellano. Come potrebbe l’immagine della lavagna ricordare ciò che vi si è tracciato sopra, dal momento che è indifferente alle cifre, e sulla medesima lavagna si possono riprodurre tutte le figure che si vogliono? No, il luogo invece accoglie l’impronta di un gruppo, e ciò è reciproco. Allora tutte le pratiche del gruppo possono tradursi in termini spaziali, e il luogo che occupa non è che la riunione di tutti i termini. (Halbwachs 1950, 137) Riprendendo l’espressione tardo settecentesca di architecture parlante, coniata per indicare quegli edifici che esprimono la loro funzione già a partire dalla forma, dovremmo chiederci se il nudo luogo può essere un paysage parlante: può comunicare a tutti coloro che lo percorrono la sua qualità? Il rischio è infatti che possa essere attraversato in modo consapevole solo da una ristretta cerchia di eletti, ovvero coloro che possono leggere i segni. Per chi conosce l’entità, l’essenza dell’evento che vi si è dato, il nudo luogo è molto più forte, più potente di qualsiasi monumento di pietra. Ma per chi non è “iniziato” alla conoscenza dell’evento? (Pirazzoli 2010, 42) Un luogo di memoria può essere campo di battaglia per ricordi contrapposti. (Assmann 2003, 339) 016

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[...] ambigua qualità dei luoghi della memoria, che sono spesso in origine campi di battaglia ma possono anche divenire luoghi di battaglia di memorie, in cui ricordare un toponimo oppure un altro è azione politica, fare emergere macerie e celebrarle come rovine di un passato mitico è atto di affermazione di identità . (Pirazzoli 2010, 49)

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Monumenti, memoriali, musei della memoria Alla fine della seconda guerra mondiale è stato possibile leggere un passaggio semantico e formale dal monumento al memoriale. Tale cambiamento avvenne perché il primo, architettura per la memoria di tradizione antica, iniziò ad essere percepito come inadatto e insufficiente a trasmettere la memoria di una tragedia che mai la storia umana aveva conosciuto in precedenza. A ciò si aggiunse l’uso (e talvolta l’abuso) che i regimi totalitari occidentali fecero del monumento, termine che di conseguenza finì per essere progressivamente abbandonato e sostituito dalla parola memoriale, inteso semplicemente come segno del ricordo e come oggetto che si fa carico di trasmettere la memoria. Da un punto di vista formale i caratteri di permanenza, lunga durata, eternità, grandi dimensioni e ieraticità tipici del monumento tradizionale lasciarono il posto ad astrazione, afasia e rapporto stretto con il luogo dell’evento. Infine, in parallelo a questa evoluzione, emerse la tendenza di affiancare al memoriale il museo della memoria, inteso come contenitore di storie e di reliquie oltre che come strumento di interpretazione e divulgazione.

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Sempre più, in questo inizio di XXI secolo, monumenti e memoriali sorgono nelle città a segnare luoghi e memorie di eventi del Novecento. Monumenti e memoriali le cui forme hanno subìto trasformazioni nel corso del secolo passato: tali mutamenti morfologici e tipologici continuano nel tempo, fino ad oggi. Negli ultimi venti/trenta anni il tema dell’arte per la memoria è stato al centro di riflessioni e polemiche in Europa, dove ci si è trovati a rendere ricordo degli eventi della seconda guerra mondiale, dei fascismi, del nazismo e della Shoah, fino alla caduta del Muro nel 1989 e le sue conseguenze. [...] La fortuna del termine monumento ha radici antiche, che si estendono fino al Novecento quando, come nome e come forma, è stato usato - e in certi casi abusato - dai regimi autoritari e dittatoriali della prima metà del secolo. La permanenza, l’eternità o quantomeno la lunga durata sono stati a lungo attributi necessari del monumento: le epoche fino al Novecento inoltrato avevano abituato alle memorie di pietra, al monumento come solenne e immutabile monito - come si ottiene risalendo le radici etimologiche fino al verbo latino moneo - , ammonimento fisicamente tangibile, spesso distante e circondato da un’aura sacrale. [...] Già dopo la Grande Guerra si osserva un mutamento di rapporto fra commemorazione e figurazione, scelta formale tradizionale adottata dai monumenti. In quel momento la figura umana è ancora elemento dominante in molti memoriali europei ai caduti. Tuttavia, le madri, dopo questa prima guerra tecnologica, nella maggior parte dei casi non avevano più neppure un corpo su cui piangere. Molti dei monumenti erano fatti di nomi e privi di corpi: semplici cenotafi, nel senso etimologico di sepolcri vuoti. Il corpo era la forma perduta che ritornava nel monumento. [...] Per la seconda guerra mondiale questa forma non si addice più: muoiono più civili che soldati, le madri con i figli. [...] La commemorazione della seconda guerra mondiale, invece, si trova di fronte a una situazione completamente diversa. Non vi era solo la guerra, da ricordare: non solo soldati e battaglie, ma deportazioni di civili, bombardamenti a tappeto, sterminio meticolosamente pianificato e attuato industrialmente. La forma del ricordo non riesce più ad essere la stessa. (Pirazzoli 2010, 11-17) Dopo il 1945 assistiamo a un lento passaggio verso il memoriale. Tra le due forme di commemorazione non c’è solo uno slittamento semantico ma anche un cambiamento nei caratteri. Gli aspetti costitutivi del monumento sono infatti permanenza, lunga durata, eternità, grandi dimensioni, ieraticità; aspetti che vengono successivamente rifiutati per l’assoluta mancanza di senso delle tragedie del secondo conflitto mondiale come l’Olocausto e la bomba atomica. I caratteri che iniziano a comparire sono Memoria e architettura

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astrazione, afasia, rapporto molto stretto con il luogo dell’evento. (Bassanelli 2013, 19) Il primo caso in cui si coglie il valore di cesura degli eventi passati è italiano: il “monumento” per l’eccidio delle Fosse Ardeatine [...] unisce luogo del massacro, sepoltura delle vittime e spazio del ricordo civile [...]. Questo caso annuncia precocemente come i “monumenti” per quella guerra spesso sceglieranno forme afasiche e archetipiche (la stele, il monolito) poste sul luogo stesso degli eventi. (Pirazzoli 2010, 8) Dopo il 1945 accanto a monumento e memoriale si aggiunge un nuovo nome e un nuovo luogo per la memoria: il museo. [...] Nella seconda metà del Novecento il museo diviene sempre più il luogo dove contenere memorie, residui e reliquie di ciò che si è perduto nel corso di quel secolo veloce e crudele: dalle tradizioni popolari ai popoli stessi. È il luogo dove raccontare, dove guidare i passi del visitatore in un percorso di ricostruzione. In particolare, è dagli anni Novanta che questo fenomeno ha assunto dimensioni impressionanti: il numero dei musei della memoria è cresciuto esponenzialmente a partire da molti casi europei legati alla caduta del Muro nel 1989, e poi è divenuto un fenomeno a catena che ha coinvolto tutto il mondo, senza distinzioni. Un nuovo culto, laico e identitario, trova spazio nel museo. Un culto rassicurante e tuttavia spesso illusorio: si desidera trattenere ciò che si è perduto, più raramente si cerca di elaborare la perdita stessa. Museo e monumento sembrano essere divenute realtà limitrofe e sconfinanti l’una nell’altra fino a creare forme memoriali progressivamente sempre più ibride, [...] in cui i musei divengono una sorta di contenitori di reliquie e i monumenti sono sempre più sconcretizzati, effimeri, volti a coinvolgere l’osservatore più che a imporsi su di esso con una presenza irrigidita. [...] Non essendo più solo monumento, né semplicemente museo, per designarlo viene quindi spesso prescelto il termine memoriale in quanto contiene in sé il termine memoria, ma l’oggetto che si ha di fronte possiede una sorta di identità plurima, che mostra a seconda delle necessità una delle sue sfaccettature. Nessun nuovo termine viene coniato in quanto ci si accontenta dei preesitenti, adeguandoli man mano alla realtà che si vuole designare. Memoriale, monumento, museo, a volte anche centro di documentazione: divengono definizioni fluttuanti, legate alla funzione, per i segni sorti o sui luoghi stessi degli eventi o nei luoghi designati per ospitare la memoria degli eventi. (Pirazzoli 2010, 23-26)

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Crisi del memoriale

Dalla seconda metà del Novecento sì è assistito ad una proliferazione quasi ossessiva di memoriali sebbene, dalla fine degli anni Ottanta, sia emersa al contempo una perdita progressiva della loro efficacia e una loro conseguente messa in discussione. È possibile delineare alcune cause che stanno alla base di tale crisi: 1. distanza temporale e generazionale dagli eventi ricordati, ossia i memoriali non comunicano più alle nuove generazioni ciò che comunicavano a quelle passate; 2. mutamenti negli obiettivi culturali, ossia volontà di abbandonare lo scopo di perpetuare una memoria attraverso un oggetto in favore di azioni che stimolino una riflessione più attiva nelle persone; 3. peso senza precedenti assunto dai luoghi degli eventi, che rende inutile o inadeguato qualsiasi memoriale posto su di essi; 4. evoluzione della dimensione visuale, che rende difficile attribuire una gerarchia all’interno del flusso continuo e indistinto di immagini che pervadono gli spazi della contemporaneità; 5. evoluzione dell’arte verso forme effimere, site-specific e relazionali, cioè l’esatto contrario delle forme di commemorazione classica.

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Nel panorama complesso e devastante prodotto dalle due guerre mondiali la prima azione commemorativa è stata quella di porre sui luoghi monumenti e memoriali con lo scopo di fungere da monito all’oblio. (Bassanelli 2013, 18) Il monumento/memoriale è [...] lo strumento che la memoria ha per durare nel tempo, oltre il tempo, sollevando emozioni. [...] Tuttavia, non solo questo oggetto non può fermare lo scorrere del tempo, ma anzi ne viene segnato, come tutto. L’esperienza mostra come il monumento subisca un progressivo svuotamento di significato, e col passare del tempo la sua lettura divenga difficile, la distanza sacrale da esso imposta si tramuti in dimenticanza subita. (Pirazzoli 2010, 15) Il significato e la forma sembrano [...] andare di pari passo nell’opera di commemorazione pubblica: a una perdita di valore etico consegue anche uno svuotamento della valenza estetica, dovuto a un progressivo allontanamento dal sentire del tempo di volta in volta attuale, in cui la forma non risulta più adeguata alle sensibilità contemporanee. (Pirazzoli 2010, 17) Monumenti e memoriali sembrano perdere la loro efficacia con il passare del tempo e i ricambi generazionali, diventando sempre più simili a vuoti simulacri incapaci di riattivare la memoria o tener vivo il ricordo. Le cerimonie, ripetute in occasione negli anniversari, anziché essere momenti di recupero e rielaborazione non fanno altro che enfatizzare il fallimento di queste architetture per la memoria. Questa crisi è strettamente legata ad un cambio di obbiettivi che sottendono le forme di memorializzazione: rispetto alla volontà di perpetuare una memoria ad infinitum attraverso un oggetto che se ne faccia carico, oggi si sta affermando sempre più la necessità di stimolare la riflessione per costruire un futuro consapevole. (Bassanelli 2014, 11) Una volta che assegnamo una forma monumentale alla memoria, spogliamo in un certo grado noi stessi dall’obbligo di ricordare. (Young 1993) Macerie che si sgretolano, fugaci come il fumo e il soffio, si alternano allora con imbarazzanti e pesanti rovine, il cui senso dell’espressione “il peso del passato” non è solo metaforico [...]. Di fronte a questi due generi di residuo, il fugace e il pesante, il monumento/memoriale entra in crisi, essendo molto meno significante di ciò che resta. (Pirazzoli 2010, 207) Memoria e architettura

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Il nudo luogo sembra quindi mettere in crisi l’architettura della memoria: qualsiasi monumento verrà attenuato, o additittura oscurato fino alla scomparsa, dalla presenza più forte del luogo stesso. [...] Il rapporto tra luogo ed evento sembra quindi essere più forte di qualsiasi segno memoriale posto su di esso [...]. (Pirazzoli 2o1o, 42-44) La capacità del cinema di lavorare sulle emozioni delle masse [...] lo ha reso molto più coinvolgente di qualsiasi altra forma artistica sui temi “forti”. [...] un “monumento capace di entrare nelle case, non più immobile al centro delle piazze [...], un memoriale capillare, monumento che si sconcretizza, perde la propria materialità di pietra per assumerne una temporanea e al tempo stesso maggiormente capace di permeare la società [...]. Di fronte all’indebolimento del valore e della funzione del monumento, ovvero del memoriale di pietra, il cinema ha assunto il ruolo di veicolo di memoria [...] avvolgendo emotivamente l’individuo-spettatore e insieme arrivando ad attirare l’attenzione delle masse. (Pirazzoli 2010, 90) La facilità di cogliere e ricevere immagini crea un flusso indistinto, in cui è difficile segnare l’importanza di un fotogramma su di un altro. Attraverso la proliferazione di immagini i sensi si saturano fino a che l’orrore non si trasforma più in dolore: restano solo l’indifferenza e il dolore degli altri. (Pirazzoli 2010, 86) Non vi è solo l’ “astrazione” ma esistono anche altre reazioni alle catastrofi di metà Novecento. Uno degli aspetti più evidenti [...] è la sempre maggiore ricerca di relazione non solo con il visitatore - esponente di un pubblico consapevole - ma anche con fasce sociali di solito lontane dal mondo elitario della sperimentazione artistica contemporanea. L’arte scende in strada, nella città, non solo per contestare, quanto per conoscere e far conoscere, per creare consapevolezza. Questa linea dell’arte, definita “relazionale”, emerge con forza nel secondo dopoguerra: l’happening e la performance ne sono chiara espressione. Spesso si tratta ancora di arte ospitata nei suoi luoghi [...] ma a volte entra in spazi pubblici, piazze ed edifici cittadini: il coinvolgimento del pubblico inizia a far parte del lavoro artistico. (Pirazzoli 2010, 163)

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Bibliografia

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Ripensare le forme della memoria

La trasmissione della memoria passa attraverso la sua riattivazione, interiorizzazione e rielaborazione. In risposta alla crisi dei memoriali, che si sono dimostrati sempre più inadatti a tale scopo, molti progettisti hanno sentito la necessità di ripensare radicalmente le forme commemorative tradizionali, sperimentandone di nuove. I counter-monuments, sorti in Germania durante gli anni Ottanta, sono stati la prima esplicita rottura con la tradizione. Contemporaneamente iniziavano a nascere anche i primi parchi della memoria, sviluppandosi generalmente su luoghi significativi e riattivandone le tracce. In modo analogo, la musealizzazione/memorializzazione diffusa, punta a unire in un unico sistema i luoghi di memoria e le comunità locali. Entrambe le strategie sono fondate sulla presenza attiva di persone che si muovono nello spazio e attraversano i luoghi. Oggi si sta aprendo una stagione ulteriore, in cui i progetti per la memoria sembrano puntare sempre più alla riattivazione di spazi pubblici e al coinvolgimento delle persone, entrando nel quotidiano e integrandosi nel naturale svolgersi della vita della città e dei suoi abitanti.

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L’oggetto che assume in sé la commemorazione, sembra avere, più di altre espressioni d’arte, la necessità di rigenerarsi e di accordarsi al proprio tempo. In particolare, i caratteri della permanenza e della ieraticità non si addicono più al nostro tempo fluido, alla modernità liquida analizzata da Zygmunt Bauman. (Pirazzoli 2010, 22) La reazione a questa radicale messa in discussione è stata il tentativo di trasformare il modello, di renderlo adeguato a questo tempo, alla modalità attuale di fare memoria. Ma, in sostanza, si è sempre cercato di reagire alla crisi affermando nuove possibilità formali, che hanno ampliato il senso del monumento in memoria: memoriali, musei, ma anche installazioni, indagini, film. (Pirazzoli 2010, 207) “counter-monuments”: brazen, painfully self-conscious memorial spaces conceived to challenge the very premises of their being. (Young 1992, 271) Ethically certain of their duty to remember, but aesthetically skeptical of the assumptions underpinning traditional memorial forms, a new generation of contemporary artists and monument makers in Germany is probing the limits of both their artistic media and the very notion of a memorial. (Young 1992, 271) Each of these causes pedestrian to pause, if only momentarily, on realizing they have accidentally entered an artist’s installation, a space they have previously regarded as banal. What is it? They ask. Who made it? And why is it here? (Young 1992, 285) [...] the site alone cannot remember, that is the projection of memory by visitors into a space that makes it a memorial. (Young 1992, 286) Nel corso degli anni Ottanta vi sono stati vari esempi di Gegen-Denkmal, contro-monumenti nati con l’intento di sfidare le convenzioni memoriali, nell’obiettivo di provocare, piuttosto che consolare o celebrare. Questo genere di forme memoriali spesso non cercava l’eternità, ma programmaticamente inseguiva la mutazione, il deperimento, la scomparsa. Tali contro-monumenti volevano sfuggire al destino di progressiva mancanza di attenzione riservata ai monumenti da sempre posti nelle piazze e poi dimenticati, esigendo invece interazione, rinunciando così all’aura sacrale per invitare i passanti alla propria violazione. Le forme memoriali concepite in questo modo non assumono su di sé il peso della memoria, deresponsabilizzando l’uomo, Oltre il memoriale

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ma lo gettano ai suoi piedi. (Pirazzoli 2010, 175) Questa strategia artistica, secondo l’analisi di Johnatan Vickery, può darsi due modalità: la prima [...] tende a decostruire e sovvertire l’autorità del monumento tradizionale e a smascherare il fatto che ci sono delle rimozioni nascoste sotto la pelle marmorea della memoria istituzionalizzata; la seconda è interessata all’affermazione di un gesto etico, che consiste nel pensare il monumento non come una forma d’arte ma come una forma culturale estremamente utile per una comunità, che può anche funzionare in modi diversi da quello tradizionale. In questo secondo caso, si tratta di liberare il monumento dalla monumentalità che gli è stata attribuita (con tutti i suoi portati di monoliticità, grandiosità, autorità, chiusura); di reinterpretare la sua funzione “pubblica” non nel senso di “istituzionale” o “statale”, ma nel senso di “nel pubblico interesse”; di disattivare le funzioni tradizionali del monumento e di riattivarle in modi nuovi, radicalmente riflessivi e improntati alla relazionalità. (Grechi 2013, 325) I parchi della memoria rappresentano un [altro] possibile approccio alla volontà di andare oltre la commemoriazione classica, promuovendo un superamento della tradizionali modalità di trasmissione dei ricordi. (Bassanelli 2013, 21) Si assiste, negli ultimi anni, alla nascita di alcuni progetti che coinvolgono in maniera innovativa i paesaggi che sono stati oggetto di conflitti nel passato. [...] Gli elementi [...] di novità sono rappresentati da: l’idea di una musealizazione diffusa (e in sito) che non coincide con le forme classiche e stereotipate della memoria [...]; l’idea che l’azione musealizzante diffusa non coincida con una “messa in vetrina” di reperti, tracce e materie quanto piuttosto con un loro ritorno nella vita delle cose e delle persone, l’idea quindi che l’azione di musealizzazione diffusa implichi una riappropriazione dei luoghi, delle memorie e delle storie (Bassanelli 2013, 340) Dopo la stagione dei monumenti e dei memoriali, che segnano il primo atto di fissare la memoria entro forme stabilite, oggi si apre una nuova stagione dove le azioni implicano una riappropriazione dei luoghi, delle memorie e delle storie per rielaborare il trauma. (Bassanelli 2013, 27)

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Giardino dei giusti tra le Nazioni

Progettista

/

Data

1962

Luogo

Gerusalemme (Israele)

Memoria

Giusti tra le nazioni

Durata

Permanente

Tipologia

Parco pubblico

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Oltre il memoriale


I Giardini dei Giusti sono un progetto per la memoria delle persone che nel mondo si sono opposte con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi. Promotore di questa iniziativa fu Moshe Bejski (uno degli ebrei salvati da Oskar Schindler), che nel 1953 fondò e guidò il cosiddetto Tribunale del Bene, commissione incaricata di valutare i candidati al titolo di Giusto tra le Nazioni. Tale riconoscimento era inizialmente dedicato ai non ebrei che salvarono almeno un ebreo dal genocidio, mentre oggi ha una valenza più ampia. Il primo Giardino dei Giusti sorse a Gerusalemme nel 1962 come parte del complesso di Yad Vashem, il memoriale ufficiale di Israele dedicato alla Shoah. Il progetto consisteva nel piantare un albero (un carrubo) per ogni Giusto da ricordare, in modo che la vita dell’albero tenesse viva la memoria della persona e del suo atto di bene. Questo “rito” a Yad Vashem si ripeté innumerevoli volte (oggi i giusti lì ricordati sono oltre 20 mila) fino a che, per mancanza di spazio, gli alberi iniziarono ad essere sostituiti da iscrizioni su muri appositamente eretti nel giardino. Grazie ad alcune figure promotrici, questa esperienza si è poi internazionalizzata prendendo il nome di Gariwo (Garden of the Righteous Worldwide) e, in altre città al di fuori dei confini di Israele sono sorti dei giardini per la memoria dei Giusti. Questa forma memoriale, oltre ad essere fatta di un gesto semplice e comprensibile a tutti, comporta la possibilità (tuttavia spesso non sufficientemente esplorata) che commemorazione e vita quotidiana entrino in contatto e che il giardino serva non solo al ricordo ufficiale ma anche ad uno uso di piacere e di svago delle persone, comunque conservando il suo valore educativo e civile.

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Vietnam Veterans Memorial Memoriale ai Caduti in Vietnam

Progettista

Maya Lin

Data

1982

Luogo

Washington (USA)

Memoria

Soldati statunitensi caduti in Vietnam

Durata

Permanente

Tipologia

Land art

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Oltre il memoriale


Nel 1981, anno del concorso per la realizzazione del memoriale ai soldati americani morti nella guerra del Vietnam, Maya Lin era ancora una studentessa dell’università di Yale. Nonostante i 1.400 concorrenti, questo giovane architetto vinse il concorso e realizzò un’opera nuova e controversa rispetto alla tradizionale concezione dei monumenti di guerra americani. Proprio per la sua forza di rottura, il memoriale fu profondamente criticato subito dopo la costruzione e, in meno di un anno, fu aggiunto un grande gruppo bronzeo dello scultore Frederick Hart, che meglio rispecchiava la tradizione figurativa americana. La sua proposta consisteva in un muro di granito nero lucido lungo 150 metri piegato a metà in un angolo di 125 gradi (che fa riferimento alle diagonali dei viali della città) su cui sono scritti tutti i nomi dei 58.195 caduti dal 1959 al 1975. Questa lama, al contrario della maggior parte dei monumenti di guerra, non si innanza verso il cielo ma sprofonda nel terreno, raggiungendo il punto più basso nel vertice dell’angolo, con un dislivello di oltre 3 metri. Per scorrere la lista dei nomi è necessario seguire la forma data al terreno, scendendo per poi risalire, mentre il granito lucido riflette i vivi sul muro dei morti. Questo progetto rappresenta un efficace punto di congiunzione tra il monumento celebrativo e la costruzione di un luogo, attraverso un’operazione vicina alla land art. Nei disegni di progetto, il rapporto con la natura era più immediato, l’erba arrivava a lambire il muro di marmo, quasi ci si potesse sedere e addirittura appoggiarsi. Nella realizzazione è stato invece realizzato un camminamento pavimentato con paletti e catena che lo separano dal parco e rendono più formale e meno immediato il rapporto con il segno del ricordo.

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Mahnmal gegen Faschismus Monumento contro il Fascismo

Progettista

Jochen Gerz, Esther Shalev-Gerz

Data

1986

Luogo

Amburgo (Germania)

Memoria

Fascismo, guerra e violenza

Durata

Permanente

Tipologia

Counter-monument

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Oltre il memoriale


Dopo anni di dibattiti, nel 1983 il Comune della città di Hamburg-Harburg decise di erigere un monumento contro il Fascismo, commissionandolo a Jochen Gerz e Esther Shalev-Gerz. L’opera, inaugurata il 10 ottobre 1986 non fu situata in un luogo simbolico della città ma fu volutamente posta in un’area periferica, vicino ad un centro commerciale e quindi soggetta a un continuo passaggio di persone assorte nella loro quotidianità. Il “monumento” consisteva in una colonna quadrata in acciaio zincato rivestita in piombo, alta 12 metri per 1 metro di base e 7 tonnellate di peso. Un cartello invitava i passanti a inciderne con una penna d’acciaio la superficie esterna, lasciando commenti e firme. Non appena la parte accessibile del monumento (1,5 metri) era coperta di scritte veniva fatta sprofondare nel terreno fornendo così spazio libero da riempire di nuove incisioni. L’operazione si ripeté otto volte finché il 10 novembre 1993 fu interrato l’ultimo tratto. Oggi dell’opera restano solo la faccia superiore della colonna con le ultime firme e una placca che ne racconta la storia con alcune fotografie e il testo rivolto ai passanti che sottolineava come nessun monumento potesse elevarsi contro le ingiustizie al posto delle persone. Contrariamente alla volontà di eternità e alla “sacralità” che caratterizzano la concezione tradizionale delle forme commemorative, quest’opera durò solo 7 anni, nei quali però il monumento fu “vivo” e interagì con gli abitanti, tenendo attiva la memoria, sollecitando discussioni (le incisioni non furono solo positive: ci furono anche svastiche e scritte neo-naziste) e riflessioni sul presente.

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Aschrottbrunnen Fontana di Aschrott

Progettista

Horst Hoheisel

Data

1987

Luogo

Kassel (Germania)

Memoria

Fontana di Aschrott

Durata

Permanente

Tipologia

Counter-monument

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Oltre il memoriale


Sigmund Aschrott era un facoltoso imprenditore ebreo. Nel 1908 fece progettare e realizzare dall’architetto Karl Roth una fontana piramidale alta 12 metri, che fu collocata nella piazza principale della città di Kassel. Questo dono alla città da parte di un “capitalista ebreo” fu pubblicamente distrutto dai nazisti locali la notte fra l’8 e il 9 aprile 1939 e della fontana rimase solo l’ampio e vuoto basamento al centro della piazza. Quando gli ebrei di Kassel furono deportati, il basamento fu riempito di terra, vi furono piantati dei fiori e iniziò ad essere chiamato “la tomba di Aschrott”. Durante gli anni Sessanta, la base fu ritrasformata in una fontana, ma senza piramide. Tuttavia, solo pochi anziani ricordavano vagamente il nome di Aschrott e gli stessi, se interrogati circa la vicenda della fontana originale, rispondevano che, per quel che potevano ricordare, era stata distrutta dai bombardamenti inglesi. Per rispondere a questa sorta di memoria corta dei propri cittadini, il governo di Kassel propose all’inizio degli anni Ottanta di restaurare la fontana e ricordare la figura di Sigmund Aschrott. Il progetto di Hoheisel non prevedeva però né il restauro né la ricostruzione: intendeva piuttosto fare parlare il vuoto rimasto. Disegnò e realizzò quindi una fontana speculare all’originale, affondata nel terreno per lasciare una ferita aperta nella piazza. Per enfatizzare il processo, la nuova fontana, ricostruita identica alla precedente ma cava e in calcestruzzo, fu lasciata esposta alcune settimane, come forma risorta, prima di essere ribaltata e affondata nel terreno. É soprattutto il rumore dell’acqua che attira i passanti ad affacciarsi a questo imbuto e, in questo modo, sono le persone che “diventano monumento”, prendendo coscienza del vuoto e della memoria ad esso legata.

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Homomonument

Progettista

Karin Daan

Data

1987

Luogo

Amsterdam (Paesi Bassi)

Memoria

Omosessuali soggetti a persecuzioni a causa del loro orientamento sessuale

Durata

Permanente

Tipologia

Spazio pubblico

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Oltre il memoriale


Ad Amsterdam l’idea di un memoriale permanente agli omosessuali vittime di persecuzioni risale al 1970, quando alcuni attivisti vennero arrestati per aver cercato di portare una corona di fiori al memoriale di guerra nazionale in piazza De Dam, nel centro città. Negli anni successivi l’idea del memoriale, anche in risposta a questo episodio, si rafforzò e delineò in modo più concreto: nel 1980, attraverso un concorso, fu scelto il progetto di Karin Daan e partì una raccolta fondi unita a finanziamenti pubblici per la realizzazione. L’opera fu inaugurata il 5 settembre 1987, e si trova lungo il canale Keizersgracht. Il progetto si sviluppa sull’icona del triangolo rosa, che contraddistingueva gli internati omosessuali nei campi di concentramento nazisti. È composto da 3 triangoli in granito rosa, di lato 10 metri ciascuno, collocati ai vertici di un triangolo maggiore i cui lati misurano 36 metri e sono marcati da una sottile striscia di mattonelle in granito rosa a livello della suolo. I triangoli minori sono tutti diversi: uno è a livello della pavimentazione, è rivolto verso la casa di Anna Frank e reca inscritto un verso del poeta Jacob Israel; uno è a gradoni, si sporge sul canale ed è rivolto verso la piazza De Dam; il terzo è alto 60 centimetri ed è rivolto verso la sede centrale del COC, il movimento per i diritti omosessuali. L’opera lega quindi il passato, il presente e il futuro e, oltre a veicolare la memoria, intende comunicare la cultura del rispetto alle nuove generazioni. Il progetto coglie l’occasione del memoriale per ridisegnare uno spazio pubblico esistente, sovrapponendosi e integrandosi ad esso; l’intervento quindi, oltre a svolgere il proprio compito etico, porta nuove possibilità d’uso a uno spazio pubblico cittadino.

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Panchina rosa triangolare

Progettista

Corrado Levi

Data

1989

Luogo

Torino (Italia)

Memoria

Omosessuali deportati e uccisi nei campi di concentramento

Durata

Permanente

Tipologia

Dispositivo

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Oltre il memoriale


Progettata nel 1989, è stata presentata al PAC di Milano, alla fiera Abitare il Tempo di Verona e alla GAMEC di Bergamo, per poi essere donata al Museo Diffuso di Torino nel 2013. Attualmente si trova collocata nel cortile interno del museo. La panchina è di forma triangolare in ferro, dipinto con pittura rosa. Inizialmente al centro era presente un palloncino dello stesso colore riempito di elio. Il progetto si sviluppa riprendendo l’icona del triangolo rosa, ossia il marchio di stoffa che veniva cucito sulla divisa degli internati omosessuali nei campi di concentramento nazisti. Sullo stesso tema, nel 1990, Corrado Levi progettò, insieme al Collettivo R.O.S.P.O., Assonanze, installazione permanente presso il parco Cassarini di Bologna. “Sono per gli oggetti attivi, usufruibili e vitali - ha affermato Corrado Levi - Anche ad Amsterdam c’è un monumento triangolare simile su cui ci si può sedere. [...] Mi raccomando, usate la panchina: non lascia i vestiti color rosa!”. Nel progetto e nelle parole dell’autore si legge chiaramente l’intenzione di andare oltre al memoriale tradizionale provando a legare la materializzazione della memoria e la sua trasmissione ad un oggetto d’uso comune, inserito nel circuito della vita quotidiana delle persone.

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Maison manquante Casa mancante

Progettista

Christian Boltanski

Data

1990

Luogo

Berlino (Germania)

Memoria

Inquilini ebrei vittime del Nazionalsocialismo

Durata

Permanente

Tipologia

Arte pubblica

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Oltre il memoriale


Christian Boltanski, francese ed ebreo di seconda generazione, lavora sul tema dell’assenza e della perdita: di corpi, di ricordi, di sapere. L’intervento si concentrava sul vuoto lasciato da una casa su Grosse Hamburger Strasse 15/16, distrutta dai bombardamenti e mai più ricostruita. L’artista coinvolse un gruppo di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Berlino perché ricercassero negli archivi cittadini le tracce degli abitanti della casa fra il 1930 e il 1945. Il palazzo sorgeva in una delle zone ebraiche di Berlino, quindi alcuni dei suoi abitanti erano ebrei, altri no. I materiali recuperati sugli abitanti della casa - foto di famiglia, lettere, disegni di bambini, tessere alimentari, documenti di vario genere - furono riprodotti e allestiti in un’area pubblica a poca distanza (oggi i fascicoli si possono consultare nel museo di storia locale della circoscrizione Berlino Mitte). Sui due muri ciechi dei civici adiacenti alla casa mancante, invece, Boltanski affisse delle targhe all’altezza dei piani originari, riportando nomi, professioni, date di nascita e di morte delle persone che vi avevano abitato prima e durante la guerra. La Shoah era presente, ma le date delle targhe facevano pensare alla prosecuzione di alcune di quelle vite dopo il 1945. Il tema della memoria è affrontato qui come scavo e recupero delle tracce e come tentativo di farle parlare. “Con la sua opera Boltanski ha trasformato in un luogo storico un anonimo pezzo di terra adibito a passaggio. Utilizzando il minimo numero di segni possibile, egli ha reso di nuovo leggibili i segni della storia, ormai, invisibili” (Assmann 2003, 343)

Oltre il memoriale

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Germania

Progettista

Hans Haacke

Data

1993

Luogo

Venezia (Italia)

Memoria

Germania nazista

Durata

14 giugno 1993 - 10 ottobre 1993

Tipologia

Installazione

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Oltre il memoriale


Hans Hacke, chiamato a rappresentare il proprio Paese, da poco riunito, alla Biennale di Venezia del 1993, decise di guardarsi indietro e confrontarsi con il tema dell’eredità del pesantissimo passato tedesco. Questa volontà lo portò ad agire direttamente sull’architettura del padiglione tedesco, che portava ancora i segni evidenti del passato nazista: nel 1937, infatti, per volontà del regime l’edificio nei Giardini della Biennale aveva subito una trasformazione in senso monumentale, attraverso la modifica del colonnato di facciata e la sostituzione del pavimento in legno con uno in marmo, materiale più adeguato al nuovo Reich. Fu proprio sul pavimento che Hacke agì, facendolo rimuovere e lasciando che le sottili lastre di marmo, e con esse il passato a cui erano legate, si frantumassero progressivamente sotto i piedi del pubblico. Agendo sullo spazio architettonico attraverso un processo di interazione con le persone, Hacke affrontò il passato come in una specie di catarsi e purificazione.

Oltre il memoriale

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Orte des Erinnerns Luoghi del ricordo

Progettista

Stih & Schnock

Data

1993

Luogo

Berlino (Germania)

Memoria

Leggi razziali e Shoah

Durata

Permanente

Tipologia

Arte pubblica, intervento diffuso

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Oltre il memoriale


Il quartiere Schöneberg a Berlino, noto come Quartiere Bavarese, negli anni Venti del Novecento era un centro della vita intellettuale cittadina ed era abitato da persone di ceto medio-alto, in gran parte ebrei perfettamente integrati nella società tedesca. Con la salita al potere di Hitler, nel 1933, parte del quartiere fu progressivamente trasformata in una sorta di ghetto dove vennero concentrati oltre 6.000 ebrei, in condizioni miserabili e privati di ogni diritto, che furono poi deportati e uccisi. Nel 1991, dopo anni di ricerche su quella vicenda, l’amministrazione indisse un concorso per erigere un memoriale. L’opera doveva essere realizzata nella piazza principale, ma la proposta vincitrice fu quella degli artisti Renata Stih e Frieder Schnock e sovvertiva completamente le “regole” della commemorazione tradizionale. Il progetto consisteva in 80 cartelli bi-frontali installati sui lampioni del quartiere. Ogni pannello mostrava su un lato un disegno a colori sgargianti e, sull’altro, un brevissimo testo in bianco e nero, chiaramente leggibile dalla strada, tratto dalle leggi razziali promulgate tra il 1933 e il 1945 dal regime Nazista. L’obiettivo dell’intervento, secondo Stih e Schinock, non era quello di drammatizzare ulteriormente la tragicità della storia, né di generare un senso di compassione, quanto piuttosto, con estrema lucidità, far percepire ai cittadini fino a che punto la Shoah era arrivata a penetrare la vita quotidiana, aiutata spesso anche dall’indifferenza degli stessi tedeschi. I cartelli stradali, disseminati lungo le vie, grazie alla loro estetica pop attirano lo sguardo e obbligano ad un continuo confronto con il passato; gli stessi artisti hanno affermato che quei cartelli vogliono soprattutto suscitare domande, specialmente nei bambini, costringendo gli adulti a dar loro spiegazioni.

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Slide projections Diapositive

Progettista

Norbert Radermacher

Data

1994

Luogo

Berlino (Germania)

Memoria

Campo satellite del campo di concentramento di Sachsenhausen

Durata

Temporaneo

Tipologia

Counter-monument

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Nel distretto berlinese di Neukölln, lungo la Sonnenallee, si trova un ordinario insieme di campi sportivi. In quello stesso luogo, dal 1944 al 1945 fu attivo un campo satellite del lager di Sachsenhausen, di cui il luogo non porta più alcuna traccia. L’intervento di Radermacher, realizzato nel 1994, intendeva riportare alla luce quel passato e farlo conoscere ai cittadini. L’artista installò quindi un proiettore ad alta intensità luminosa che si innescava al passare delle persone; il fascio di luce proiettava un breve testo scritto che rivelava alcuni dettagli del pesante passato rimosso dal luogo in questione. Il testo veniva prima proiettato sulle fronde degli alberi, risultando illeggibile, poi iniziava ad essere percepito mentre scendeva sulla recizione e finalmente sul pavimento della via, dove poteva essere letto chiaramente. A quel punto, restava attivo per un minuto prima di dissolversi e sparire. Inoltre, l’artista invitò gli studenti del quartiere a scavare nella storia di quel luogo a loro familiare e ad aggiungere alle proiezioni le loro scoperte. L’intervento è un’azione minima ed effimera attuata su uno spazio pubblico della quotidianità dei cittadini che tuttavia pare più efficace di un monumento statico votato all’eternità. Con il suo apparire improvviso al passaggio delle persone, che inconsapevolmente innescano il proiettore, l’opera di Radermacher rallenta anche solo per un momento il ritmo quotidiano e dona un po’ di consapevolezza in più sul proprio passato. Inoltre, invitando i ragazzi a partecipare direttamente all’opera, cerca di stimolare l’interesse e creare consapevolezza nelle nuove generazioni.

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Stolpersteine Pietre d’inciampo

Progettista

Gunter Demnig

Data

1994

Luogo

Europa

Memoria

Persone deportate e uccise nei campi di concentramento

Durata

Permanente

Tipologia

Arte pubblica, intervento diffuso

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Oltre il memoriale


Per ricordare le vittime del sistema concentrazionario nazista, Gunter Deming ha dato vita nel 1995 a un memoriale che, partendo dalla Germania, si è diffuso in tutta Europa e attualmente è ancora in espansione. L’artista iniziò a raccogliere dati sulla vita e sull’ultima residenza delle vittime prima della prigionia nei campi. Quindi iniziò ad incastonare, davanti a ogni casa interessata, una mattonella di cemento di 10 x 10 centimetri, sul cui lato superiore si trova una placca di ottone con il nome della persona, l’anno di nascita, la data e il luogo di deportazione e la data di morte (se conosciuta). La posa delle pietre, sempre effettuata dall’artista in persona, è parte stessa dell’opera. I passanti, “inciampando” in questi segni, ricevono uno stimolo al ricordo. Per leggere l’iscrizione è necessario accovacciarsi o piegarsi verso il basso, stabilendo quindi un rapporto fisico con l’opera. Inoltre, chi cammina sulle targhe di ottone, anche non leggendola, ne mantiene vivo il ricordo poiché con il passaggio il metallo riacquista la sua lucentezza. Ad aprile 2013, risultano posate 40 mila pietre in circa 1.000 località europee. A Berlino, sempre nel 2013, in occasione del 75° anniversario della Notte dei Cristalli, è stata promossa dalla municipalità un’azione partecipata di pulizia delle pietre, in cui l’amministrazione ha fornito gli strumenti necessari all’opera. L’intervento di Demnig dissemina il tessuto urbano di piccoli “appigli” per la memoria, di stimoli “minimi” per attivare il ricordo. Questi segni creano una topografia della memoria che rende visibile a tutti un passato altrimenti cancellato e rimosso.

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Sarajevske ruze Rose di Sarajevo

Progettista

/

Data

1996

Luogo

Sarajevo (Bosnia ed Erzegovina)

Memoria

Guerra di Bosnia e assedio di Sarajevo

Durata

Permanente

Tipologia

Intervento spontaneo, intervento diffuso

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Oltre il memoriale


Tra il 1992 e il 1996, durante i quattro anni di assedio, a Sarajevo esplosero circa 330 granate al giorno, disseminando per le strade della città una miriade di piccoli crateri dalla caratteristica forma a fiore. Al termine della guerra questi segni della sofferenza e della difesa di Sarajevo iniziarono spontaneamente ad essere dipinti di rosso nei punti in cui l’esplosione uccise una o più persone e in seguito riempiti di resina rossa per essere più duraturi nel tempo. Sono stati chiamati Rose di Sarajevo e sono diventate un tratto caratteristico della città, luoghi dove talvolta le persone depositano dei fiori. Questi interventi stanno scomparendo man mano che l’asfalto viene sostituito per l’ordinaria manutenzione, e con loro inevitabilmente la memoria che involontariamente si sono fatti carico di portare. Durante l’assedio eravamo suddivisi in coloro che piantavano le rose con le loro vite e nei sopravvissuti che le annaffiavano con le loro lacrime, scrisse Jasminko Halilović, un giovane scrittore poco più che bambino al tempo dell’assedio. Ora Jasminko è membro dell’Associazione URBAN e, in collaborazione con lo Studio LISICA e con alcuni cittadini, sta sviluppando il progetto 7 Luoghi – 7 Rose di Sarajevo per salvaguardare i segni di memoria rossi impressi nell’asfalto della sua città. L’azione spontanea e ripetuta degli abitanti di Sarajevo andò a creare inconsapevolemente un’azione memoriale diffusa nel tentativo condiviso di sigillare per sempre i ricordi dolorosi trascorsi. Le Rose di Sarajevo conservano la memoria collettiva dei Serbi attraverso un gesto tanto semplice quanto efficace; mantenerle nel loro stato originale significa preservare questo ricordo difficile dall’oblio.

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Parque de la Memoria Parco della Memoria

Progettista

Baudizzone-Lestard Arquitectos

Data

2001

Luogo

Buenos Aires (Argentina)

Memoria

Desaparecidos e vittime della dittatura militare che governò in Argentina tra il 1976 ed il 1983

Durata

Permanente

Tipologia

Parco pubblico

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Oltre il memoriale


Il Parco della Memoria di Buenos Aires è uno spazio pubblico realizzato per ricordare e rendere omaggio ai desaparecidos e alle vittime della dittatura militare che governò in Argentina tra il 1976 ed il 1983, autodefinitasi Processo di Riorganizzazione Nazionale. Situato nella parte nord della città, sul Rìo de la Plata, il fiume dove furono gettati molti dei prigionieri politici dai cosiddetti voli della morte, il parco si estende per 14 ettari e comprende il Monumento a las Víctimas del Terrorismo de Estado, nove interventi artistici e una sala espositiva. Il Monumento a las Víctimas del Terrorismo de Estado è stato disegnato come una frattura, una ferita aperta in una collina verde spogliata di qualsiasi altro elemento. Il muro punta verso il Rìo de la Plata ed è stato progettato per mostrare 30.000 nomi, il numero totale di persone mancanti all’appello, ma attualmente ne contiene circa 10.700. Un bando d’arte pubblica ha dato la possibilità a nove artisti internazionali di realizzare, tra il 1999 e il 2011, altrettanti interventi artistici site-specific all’interno del parco. Il Parque de la Memoria è un luogo di testimonianza e riflessione con l’obiettivo di far prendere coscienza alle attuali e alle future generazioni dell’orrore commesso dallo Stato e di assicurarsi che atti simili non si ripetano in futuro.

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Diana Princes of Wales Memorial Fountain “Fontana in memoria di Diana, Principessa di Galles

Progettista

Kathryn Gustafson, Neil Porter

Data

2004

Luogo

Londra (Regno Unito)

Memoria

Diana, principessa di Galles

Durata

Permanente

Tipologia

Spazio pubblico, land art

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Oltre il memoriale


Il memoriale è dedicato a Diana Spencer, la principessa amata dagli inglesi rimasta vittima del celebre incidente stradale a Parigi del 31 agosto 1997. L‘intervento è situato nella parte sud-ovest di Hyde Park, a sud del Serpentine Lake e a est della Serpentine Gallery. Kathryn Gustafson e Neil Porter progettarono una fontana ovale a terra di 50 metri di larghezza e 80 metri di lunghezza composta da 545 pezzi di granito della Cornovaglia. La larghezza variabile da 3 metri a 6 metri e le leggeri differenze di quota del rigoglioso prato erboso permettono all’acqua pompata nella parte sommitale di scendere dalle due estremità contrapposte. Un lato del corso d’acqua scende regolare increspandosi leggermente, l’altro lato è costituito da una serie di gradoni, curve e canaletti che gli permettono di creare divertenti giochi d’acqua prima di rincongiungersi una vasca alla fine della discesa. Le due parti del memoriale simboleggiano i due lati della vita di Diana, composta da momenti felici e da momenti difficili. Ledy D era vista come una principessa semplice e disponible e per questo l’obiettivo del memoriale è stato quello di permettere alla persone di accedere liberamente alla fontana, di camminarci all’interno e di sentirsi parte di essa. La fontana suscita le qualità per cui la gente amava la principessa e invita le persone ad accedere nella parte interna. L’interattività crea un ambiente in cui le persone possono immedesimarsi nella sua vita e non fare di lei un’icona che possono solo osservare da distante.

Oltre il memoriale

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Denkmal für die ermordeten Juden Europas Memoriale per gli Ebrei Assassinati d’Europa

Progettista

Peter Eisenman

Data

2005

Luogo

Berlino (Germania)

Memoria

Persecuzione e sterminio degli ebrei d’Europa

Durata

Permanente

Tipologia

Spazio pubblico

062

Oltre il memoriale


Il Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa fu promosso con un’iniziativa cittadina dalla pubblicista Lea Rosh e dallo storico Eberhard Jäckel alla fine degli anni Ottanta. Nel 1999 il Bundestag tedesco approvò il progetto dell’architetto americano Peter Eisenman ma decise di integrarlo con il Centro d’Informazione con lo specifico compito di raccontare la persecuzione e lo sterminio degli ebrei d’Europa e i luoghi storici dell’Olocausto. Per attuare la risoluzione fu creata la Fondazione Memoriale per gli Ebrei assassinati d’Europa. Inaugurato il 12 maggio 2005, il memoriale si compone del Campo di Stele con una superficie di 19.000 metri quadrati e del Centro d’Informazione sotterraneo. La piazza pubblica comprende 2.711 blocchi di cemento disposti in un pattern regolare; i pilastri sono profondi 0,95 metri, larghi 2,38 metri e di altezza variabile fino a raggiungere i 4,7 metri nella parte centrale. Camminare attraverso questi corridoi è disorientante: si vedono persone apparire e scomparire e non è possibile sapere se qualcuno si sta avvicinando improvvisamente da davanti o da dietro. A pochi giorni dall’inaugurazione Peter Eisenman spiegò con queste parole le intenzioni del suo memoriale: Io credo che i bambini giocheranno a rincorrersi. Io credo che le persone mangeranno il loro pranzo sui blocchi di cemento. Sono sicuro che gli skateboarder lo useranno. Le persone balleranno sopra i pilastri. Potranno succedere situazioni inaspettate di ogni tipo. [...] Ci saranno persone che tenteranno di deturparlo. [...] Tante persone, specialmente all’interno delle comunità ebraiche, mi hanno chiesto cos’ha a che fare con l’Olocausto. Non ci sono stelle, non ci sono nomi. Ma noi non lo volevamo. Un bambino vi andrà a giocare a nascondino finché non si perderò e inizierà a gridare. Non possiamo impedire a nessuno di fare ciò che vuole, e questo era parte del messaggio.

Oltre il memoriale

063


Brandgrens Linea di fuoco

Progettista

West 8

Data

2007

Luogo

Rotterdam (Olanda)

Memoria

Bombardamento del 14 maggio 1940

Durata

Permanente

Tipologia

Intervento diffuso

064

Oltre il memoriale


Nella notte del 14 maggio 1940 il bombardamento aereo effettuato dalla Luftwaffe tedesca su Rotterdam per costringere i Paesi Bassi alla resa durò solo quindici minuti ma riuscì a distruggere gran parte del centro storico della città. La città bruciò per giorni: le bombe e il fuoco uccisero circa 850 persone, distruggendo 25 mila case e altri 11 mila edifici. Nel 2007 la municipalità di Rotterdam lanciò un concorso per la realizzazione di un memoriale per commemorare il tragico evento, vinto dallo studio olandese West 8. Il progetto utilizza dei LED di forma circolare per delimitare permanentemente a terra i confini dell’area del bombardamento aereo e dei successivi incendi che ne risultarono. L’immagine iconica di una fiamma è incorporata nella parte superiore delle luci e rimanda visivamente alla scultura La città distrutta realizzata nel 1953 dall’artista Ossip Zadkine e al bombardiere Heinkel He 111. Il 14 maggio 2010, nella ricorrenza dei 70° anniversario, l’intervento fu completato con il Brandgrenssteen, una pietra circolare che fornisce informazioni storiche sul bombardamento. L’effetto deve essere provato a due scale solo apparentemente diverse, quella urbana e quella metropolitana. Per le strade di Rotterdam ci si può imbattere molto facilmente in queste luci ma è solo osservandone l’insieme dall’alto o in una pianta che si può rendere conto della vastità del bombardamento. Sul sito web è poi possibile scaricare un audiotour che, in 30 clip audio, racconta più dettagliamente i fatti storici della città e degli abitanti lungo i 12 km di lunghezza del percorso ciclopedonale.

Oltre il memoriale

065


9/11 Memorial

Progettista

Michael Arad

Data

2011

Luogo

New York (USA)

Memoria

Attentati dell’11 settembre 2001

Durata

Permanente

Tipologia

Spazio pubblico

066

Oltre il memoriale


Nel 2003 la Lower Manhattan Development Corporation lanciò un concorso internazionale per costruire un memoriale sul sito del World Trade Center per commemorare e onorare le migliaia di uomini, donne e bambini rimasti uccisi negli attacchi terroristici del 26 febbraio 1993 e dell’11 settembre 2001. Il masterplan dell’architetto Danil Libeskind prevedeva la costruzione di un grande parco pubblico con all’interno quattro nuovi grattacieli, un museo, un padiglione per i visitatori e un memoriale. Il concorso per costruire il 9/11 Memorial venne vinto dall’architetto israelo-americano Michael Arad e dall’architetto paesaggista Peter Walker. Reflecting Absence è composto da due profonde vasche d’acqua dove una volta c’era il basamento delle torri gemelle e sui bordi dei quali sono iscritti i nomi delle 2.983 vittime su 76 placche di bronzo. I nomi sono stati disposti secondo un processo e un algoritmo che è stato usato per creare una “relazione” tra di essi. Ad esempio i nomi delle vittime che si trovavano nella Torre Nord (WTC 1), dei passeggeri e dell’equipaggi del volo American Airlines 11 (che ha colpito la Torre Nord) si trovano attorno al perimetro della North Pool. Ogni vasca misura 4.000 metri quadrati e contiene le più grandi cascate artificiali degli Stati Uniti; esse insieme hanno lo scopo di simboleggiare la perdita di vite umane e il vuoto fisico lasciato dagli attacchi terroristici. Il suono dell’acqua soffoca i rumori della città porta cittadini e visitatori in un’atmosfera straniante rispetto a quella caotica caratteristica di Manahattan. Quasi 400 alberi riempiono i restanti 6 ettari del Memorial Plaza, compreso il Survivor Tree, l’unica pianta nell’area sopravvissuta agli attacchi terroristici.

Oltre il memoriale

067


Gebran Tueni Memorial Memoriale a Gebran Tueni

Progettista

VDLA

Data

2011

Luogo

Beirut (Libano)

Memoria

Assassinio del giornalista libanese Gebran Tueni

Durata

Permanente

Tipologia

Spazio pubblico

068

Oltre il memoriale


Situato all’ingresso del Central District di Beirut, ai piedi del palazzo del quotidiano libanese An Nahar, il Gebran Tueni Memorial si configura in ricordo del giornalista brutalmente assassinato con cento chili di tritolo il 12 dicembre 2005 per le idee politiche che stampava sul suo giornale e che professava in parlamento. A distanza di anni dalla fine della guerra civile, questo intervento sullo spazio pubblico si inserisce all’interno del processo della città di risolvere il suo passato e di definire una nuova identità nel presente. Un segno a terra cerca di raccontare visivamente tutto quello per cui Gebran Tueni ha lottato fino alla morte con parole incise nella pavimentazione. Questo tappeto culmina in un monolite di granito alto 4,9 metri che riporta il suo giuramento in Piazza dei Martiri del 14 marzo 2005 fatto al popolo libanese prima della sua uccisione. Il memoriale si articola in una serie di fasce in granito larghe 15, 9 e 57 centimetri proprio in quanto ispirate alla data di nascita di Tueni, 15 settembre 1957. Le essenze scelte per il progetto sono tutte locali e fanno riferimento al profondo senso patriottico del giornalista: un grande ulivo segna l’inizio del memoriale, mentre il percorso è accompagnato da querce e timi. Sotto l’albero dell’ulivo sono sparsi ciottoli con inciso il nome del giornalista; il progetto prevede che i visitatori possano portarsi a casa questo oggetto-ricordo, mentre i suoi ex colleghi giornalisti riforniranno quotidianamente i ciottoli mancanti per tenere viva la memoria. La stessa illuminazione notturna è stata programmata per rivelare anche di notte le parole incise a terra e per tenere viva la sua presenza.

Oltre il memoriale

069


Gedenkstätte Berliner Mauer Memoriale del Muro di Berlino

Progettista

ONarchitektur

Data

2011

Luogo

Berlino (Germania)

Memoria

Muro di Berlino

Durata

Permanente

Tipologia

Spazio pubblico

070

Oltre il memoriale


Dal 13 agosto 1961 al 9 novembre 1989 il muro di Berlino cinse Berlino ovest e attraversò, come una fascia ermetica, l’intero centro cittadino con lo specifico scopo di impedire la fuga dei berlinesi dell’est e dei cittadini della DDR all’ovest. Il memoriale del Muro di Berlino è il luogo della memoria più significativo sulla divisione della Germania nel cuore della capitale. Nel luogo storico della Bernauer Straße, il complesso commemorativo si sviluppa per 1,4 chilometri lungo l’antica fascia di confine. Nell’area del complesso si conserva, nella sua articolata forma originaria a più livelli, una striscia di 220 metri del muro di Berlino e parte della complessa struttura del sistema di sbarramento. La vista dei resti e delle tracce del sistema di confine nonché il ricordo degli avvenimenti drammatici che qui si sono succeduti mostrano in modo emblematico la storia degli anni della divisione della Germania. Lungo il parco sono presenti dei dispositivi multimediali che fanno interagire il visitatore sul ricordo delle vittime e sulla vita durante la divisione della città di Berlino. Numerosi segni a terra in acciaio corten tracciano la posizione delle barriere difensive e del perimetro degli edifici residenziali fatti abbattere perché posizionati sul confine e quindi possibile passaggio per i fuggitivi. La Finestra del Ricordo mostra i volti delle vittime dei falliti tentativi di fuga e permette di mantenere viva la loro memoria ; la Cappella della Riconciliazione sorge nel punto dove l’antica Chiesa della Riconciliazione fu abbattuta nel 1985; il Centro Visitatori e il Centro di Documentazione mostrano un’esposizione sulla costruzione del muro e permettono di guardare il memoriale dall’alto per mezzo della torre panoramica.

Oltre il memoriale

071


Memorias contenidas Memorie contenute

Progettista

Liza Kunkel, Aida Lรณpez, Joaquim Cano

Data

2011

Luogo

Barcelona (Spagna)

Memoria

Bombardamento di Plaza Sant Felip Neri del 30 gennaio 1938

Durata

Un giorno

Tipologia

Performance

072

Oltre il memoriale


Piazza Sant Felip Neri è situata nel centro storico di Barcellona ed è interessante tanto per la sua posizione urbana quanto per la sua storia. Il 30 gennaio 1938, durante la guerra civile spagnola, lo scoppio di una bomba dell’aviazione del bando nacional provocò la rottura di una delle strutture protettive del rifugio situato sotto la piazza e uccise quarantadue persone, per la maggior parte bambini. La parete della chiesa di Sant Felipe Neri rimase gravemente danneggiata dalle schegge della deflagrazione e ancora oggi conserva i segni del bombardamento. L’intervento temporaneo ha fatto di questo elemento il suo filo conduttore, utilizzando dei bicchieri di plastica come contenitori simbolici della memoria di queste persone. I bicchieri sono stati riempiti riempiti dell’acqua della fontana della piazza poi colorata di rosso come richiamo visuale e metafora del dolore e della morte. I bicchieri sono stati posizionati davanti alla facciata della chiesa danneggiata dalle schegge del bombardamento per enfatizzarle e nello stesso tempo dare un significato profondo all’intervento. Il disegno della pavimentazione è stata utilizzato per creare un reticolo di bicchieri a terra. Quando i bicchieri hanno iniziato ad invadere lo spazio, i cittadini hanno cominciato ad avvicinarsi, interessarsi, chiedere per comprendere il significato dell’intervento. Verso sera, con il buio, gli artisti hanno posizionato delle candele ed è venuta così a crearsi un’atmosfera di silenzio e comtemplazione. Alla fine dell’intervento alcune persone hanno spontaneamente condiviso il loro ricordo personale dell’evento, tra i quali il figlio di un maestro della scuola di quei bambini che ha raccontato che il padre si salvò perché quel giorno perché non potè andare a lavorare.

Oltre il memoriale

073


Berlin-Birkenau

Progettista

Lukasz Surowiec

Data

2012

Luogo

Berlino (Germania)

Memoria

Campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau

Durata

Permanente

Tipologia

Peformance, spazio pubblico

074

Oltre il memoriale


Il progetto Berlin-Birkenau fu il contributo dell’artista polacco Lukasz Surowiec alla settima Biennale di Berlino tenutasi nel 2012. Operando un intervento permanente sullo spazio urbano, tra l’autunno del 2011 e la primavera del 2012 Surowiec piantò in diversi luoghi della capitale tedesca 320 giovani betulle provenienti dall’area del campo di Auschwitz-Birkenau, accompagnate da una placca esplicativa. Tali alberi, peraltro caratteristici del paesaggio polacco, erano nati e cresciuti nella stessa terra che anni prima accolse le ceneri delle vittime del campo di sterminio. Il progetto aveva l’obiettivo di “restiture” ai tedeschi una parte della loro difficile eredità storico-culturale, di farli confrontare con essa e combatterne l’oblio, attraverso un processo che non fosse imposto o oppressivo ma partecipato e riconciliatorio. I cittadini, infatti, erano invitati in prima persona a prendere parte alle piantumazioni e l’intervento non si esauriva con la posa ma implicava l’impegno da parte della cittadinanza di mantenere vive le betulle e quindi, insieme, la memoria. L’opera, in aggiunta, prevedeva la semina, presso la Kunst-Werke, di migliaia di giovani germogli, che crebbero durante i mesi dell’esposizione e poterono essere portati via dai visitatori a patto che questi ultimi s’impegnassero a prendersene cura.

Oltre il memoriale

075


Sarajevska Crvena Linija Linea rossa di Sarajevo

Progettista

Haris Pašovic

Data

2012

Luogo

Sarajevo (Bosnia ed Erzegovina)

Memoria

Ventesimo anniversario dell’inizio dell’assedio di Sarajevo

Durata

06 aprile 2012

Tipologia

Installazione

076

Oltre il memoriale


L’assedio di Sarajevo iniziò il 6 aprile 1992, durò 1.395 giorni e contò 11.541 persone uccise, per la maggior parte civili. Il 6 aprile 2012, nella città pacificata e ricostruita ma con ferite ancora aperte e divisioni non ancora del tutto risolte, fu realizzata un’installazione temporanea della durata di un giorno per commemorare il ventesimo anniversario dall’inizio dell’assedio. L’intervento fu affidato a Haris Pašovic, direttore della compagnia teatrale East West, fortemente impegnata nel promuovere l’importanza del multiculturalismo nei Balcani. Lungo la strada principale della città furono disposti un palco con una platea, lunga oltre 800 metri, composta di 11.541 sedie vuote, corrispondenti al numero delle vittime. Tutte le sedie erano in plastica rossa, colore con cui era proibito vestirsi durante l’assedio per non attirare l’attenzione dei cecchini, mentre 643 erano di piccole dimensioni per rappresentare gli altrettanti bambini uccisi. Su di esse i passanti lasciarono fiori, giocattoli, caramelle. L’evento comprese, inoltre, l’esposizione lungo la via di poster con immagini della guerra e un concerto serale dedicato agli spettatori mancanti. L’allestimento fu realizzato con l’aiuto dei cittadini, interagì fortemente con la vita quotidiana della città e, soprattutto durante il concerto, riattivò in modo emozionante il ricordo.

Oltre il memoriale

077


07:05:1945

Progettista

Ronald van Tienhoven

Data

2013

Luogo

Amsterdam (Paesi Bassi)

Memoria

Sparatoria di Dam Square del 7 maggio 1945

Durata

07 maggio 2013

Tipologia

Performance, video art

078

Oltre il memoriale


Il 7 maggio 1945, due giorni dopo la resa tedesca nei Paesi Bassi, migliaia di olandesi stavano aspettando l’arrivo delle truppe canadesi in piazza Dam ad Amsterdam. Allo stesso tempo alcuni membri della marina militare tedesca stavano osservando le persone festeggiare e danzare dal Grote Club quando, forse dopo una discussione con le forze olandesi di liberazione e forse ubriachi, piazzarono una mitragliatrice su un balcone del locale e iniziarono a fare fuoco sulla folla sottostante. 33 persone persero la vita e altre 120 rimasero ferite nella sparatoria. Molti fotografi ripresero la scena che si presentò davanti ai loro occhi e documentarono l’accaduto, tra i quali Willem Leijins che scattò una celebre foto mentre circa 25 persone stavano cercando riparo dietro un’organetto da strada. Il 7 maggio 2013 l’artista Ronald van Tienhoven ricreò lo stesso modello dell’organetto da strada e utilizzò degli attori volontari per ricostruire a piazza Dam la stessa scena di 68 anni prima. Utilizzando una telecamera piazzata nello stesso punto dove fu scattata la foto, Ronald van Tienhoven riprese tutta la scena per creare un video di 3 minuti e mezzo. Confondendo gli attori tra i numerosi passanti, l’artista puntò sulla creazione progressiva del memoriale in un processo durato alcune decine di minuti. I passanti risultarono sorpresi da quanto stava accadendo e si fermarono per osservare la performance. La memoria del 7 maggio 1945 si riattivò negli ignari spettatori e nel video e nella foto che ne risultarono al culmine della messinscena. Il giorno successivo il quotidiano NRC Handelsblad pubblicò l’immagine sulla prima pagina del proprio giornale.

Oltre il memoriale

079


The Fallen I caduti

Progettista

Jamie Wardley, Andy Moss

Data

2013

Luogo

Arromanches-les-Bains (Francia)

Memoria

9.000 vittime dello sbarco in Normandia del 6 giuno 1944

Durata

21 settembre 2013

Tipologia

Performance, land art

080

Oltre il memoriale


Lo sbarco in Normandia, nome in codice Operazione Overlord, fu una delle più vaste e importanti operazioni militari della Seconda Guerra Mondiale ma inevitabilmente anche una di quelle più sanginuose in fatto di perdita di vite umane. Ci furono circa 9.000 vittime tra civili, forze alleate e forze tedesche nel solo D-Day, il 6 giugno 1944. Nella giornata internazionale della pace, il 21 settembre 2013, gli artisti inglesi Jamie Wardley e Andy Moss realizzarono un intervento temporaneo nella città francese di Arromanches-les-Bains in Normandia per commemorare questo tragico evento storico. Assieme con un team di volontari crearono degli stencil di persone a dimensione reale per poi disegnare 9.000 silhouette sulla sabbia ad una ad una con un rastrello. Il processo impiegò diverse ore e rimase sulla sabbia per 4 ore e mezza prima di esser definitivamente cancellato dall’alta marea. Sul Vallo Atlantico ci sono molti monumenti alla memoria della guerra e dello sbarco in Normandia ma spesso non riescono a trasmettere realmente la quantità di perdita di vite umane. Il concept di The Fallen nacque per dare una rappresentazione visuale delle persone che hanno perso la vita su quelle spiagge in quel giorno in modo che tutti possano realizzare con i propri occhi quante possano essere realmente 9.000 persone cadute. Il progetto non fa distinzione tra alleati e nemici, tra militari e civili, tra buoni e cattivi; il progetto vuole mostrare indistintamente cosa può accadere in assenza di pace.

Oltre il memoriale

081


Topografie della Memoria

Progettista

Associazione Culturale Quarantasettezeroquattro

Data

2013

Luogo

Gorizia (Italia) - Nova Gorica (Slovenia)

Memoria

Luoghi e storie del confine italo-sloveno nel ‘900

Durata

Permanente

Tipologia

Intervento diffuso

082

Oltre il memoriale


Nel territorio della Venezia Giulia popolazioni italiane e slave vissero pacificamente per secoli finchè le due guerre mondiali, in pochi anni, ruppero quell’equilibrio dando vita a odio etnico e a sanguinarie lotte di confine che solo tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI furono sanate. Quegli scontri hanno lasciato numerose tracce sul territorio, a volte fisiche a volte solo nei ricordi delle persone. L’Associazione 47|04 è nata nel 2009 proprio con l’obiettivo di valorizzare quelle tracce e quelle memorie nella loro pluralità ed eterogeneità, al fine di costruire un futuro consapevole, fondato sulla multiculturalità e sulla collaborazione tra Paesi ed etnie. Il progetto Topografie della memoria - Museo diffuso dell’area di confine è un percorso interattivo e multimediale che collega luoghi sensibili sia per la storia ufficiale che per quella individuale dei cittadini di Gorizia (Italia) e Nova Gorica (Slovenia). Il nucleo centrale dell’iniziativa è la raccolta delle testimonianze orali, delle storie di vita dei cittadini che hanno vissuto nell’area di confine nella prima metà del Novecento. A partire da quei racconti si è potuta comporre una mappa storica ed emotiva del territorio costituita da 10 tappe (6 a Gorizia e 4 a Nova Gorica). Su ciascuna di esse è stato collocato un totem in ferro battuto che propone tre modalità di fruizione: didascalia trilingue (italiano, sloveno, inglese), punti di vista fisici che indirizzano lo sguardo verso caratteri particolari dello spazio circostante, QR Code per accedere a contenuti multimediali. In questo modo, contenuti di memoria, oltre ad essere salvaguardati dall’oblio, vengono valorizzati, comunicati e rimessi in circolo nel tessuto urbano.

Oltre il memoriale

083


Blood Swept Lands and Seas of Red Terre cosparse di sangue e mari di rosso

Progettista

Paul Cummins, Tom Piper

Data

2014

Luogo

Londra (Regno Unito)

Memoria

Centenario dell’entrata del Regno Unito nella prima guerra mondiale

Durata

4 agosto 2014 - 11 novembre 2014

Tipologia

Arte pubblica

084

Oltre il memoriale


Per commemorare il centenario dell’entrata del Regno Unito nella prima guerra mondiale, la collaborazione tra il ceramista Paul Cummins e lo scenografo Tom Piper ha portato alla realizzazione di un grande intervento all Torre di Londra che ha avuto luogo dal 4 agosto 2014 all’11 novembre, giornata della commemorazione dei caduti nel Regno Unito. Un totale di 888.246 papaveri rossi di ceramica, uno per ogni soldato britannico ucciso durante la prima guerra mondiale, sono stati posti nel fossato della fortezza medievale. Alcuni percorsi si snodano attraverso la distesa di fiori, a volte attraversandoli a volte passandoci attraverso. Intitolato Blood Swept Lands and Seas of Red come una poesia scritta da un soldato inglese anonimo, l’intervento utilizza il papavero come simbolo della memoria dei caduti nel Regno Unito e lascia diverse possibili interpretazioni. Potrebbero essere lacrime, potrebbero rappresentare del sangue che scorre o potrebbero essere ancora papaveri rampicanti sulle alte mura fortificate. Come in un quadro puntinista, ogni singolo fiore contibuisce a creare l’effetto finale, molto scenografico e toccante. Al termine dell’installazione temporanea i papaveri di ceramica sono stati messi in vendita a 25 sterline l’uno per raccogliere fondi da destinare ad organizzazioni benefiche per le forze armate. In questo modo i singoli pezzi dell’intera installazione sono stati dispersi attraverso il mondo, lasciando un segno fisico della memoria.

Oltre il memoriale

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The Jewish Resistance Monument revisited Il Monumento alla Resistenza Ebraica rivisitato

Progettista

Mikel van Gelderen, Marianne Theunissen, Gennaro Postiglione, Jeroen Werner, Jurjen Zeinstra, Loes Gompes

Data

2014

Luogo

Amsterdam (Paesi Bassi)

Memoria

Resistenza ebraica olandese

Durata

19-25 febbraio 2014

Tipologia

Performance

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Oltre il memoriale


All’inizio del 1941, in risposta alle sempre più frequenti aggressioni e intimidazioni nei confronti degli ebrei, un gruppo di giovani formò un fronte di resistenza. Tra il 22 e il 23 febbraio i tedeschi raccolsero un gruppo di 425 giovani ebrei per picchiarli e deportarli; il partito comunista olandese propose uno sciopero generale che paralizzò il sistema dei trasporti di Amsterdam. L’evento fece notare alla città che stava succedendo qualcosa e spinse molte persone a marciare per le strade insieme agli scioperanti. Su iniziativa dell’ex membro della resistenza Benny Bluhm nel 1988 venne eretto il Monumento all Resistenza ebraica a pochi metri dal quartiere ebraico di Waterlooplein ma la scultura in granito nero non è oggi più in grado di trasmettere quella memoria alle nuove generazioni. A poco più di 70 anni dagli eventi, un collettivo di artisti e architetti guidati dall’italiano Gennaro Postiglione ha realizzato un intervento sul monumento per cercare di mantenere viva la memoria attraverso la partecipazione e il coinvoglimento attivo dei cittadini. In collaborazione con lo storico Loes Gomp, il team ha fatto una ricerca sistematica d’archivio per ritrovare le vicende dei protagonisti della resistenza olandese. Il materiale raccolto ha permesso di mettere insieme una grande quantità di storie dalle testimonianze dirette trovate su libri, interviste e documenti originali che sono poi raccolti in una pubblicazione posta davanti al monumento. Lì, per una settimana, è stato chiesto ai passanti di leggere alcuni frammenti in prima persona per dare voce alle vicende dimenticate che il memoriale non è in grado di comunicare da solo. Per una settimana i cittadini sono diventati il veicolo attivo della trasmissione della memoria.

Oltre il memoriale

087


Manifesto

Gli interventi per la memoria che provano ad andare oltre la commemorazione tradizionale operano adottando strategie eterogenee. Eppure, analizzandoli, è possibile identificare alcuni “caratteri” comuni, dei princìpi che stanno alla base dei vari progetti, come una sorta di codice genetico che li caratterizza.

01 / Scavare nel passato, recuperare frammenti, ricomporli, ricostruire storie. 02 / Scoprire i luoghi, mapparli, tracciare le geografie, cercare le tracce, farle riemergere. 03 / Dialogare con la città, analizzarla, inserirsi nel tessuto, agire sullo spazio pubblico. 04 / Interagire con le persone, generare curiosità, rallentare il quotidiano, suggerire usi, innescare processi. 05 / Richiamare il passato, portare alla scoperta, dare consapevolezza, riattivare la memoria, stimolare la riflessione.

088

Oltre il memoriale


Aldo van Eyck. Playgrounds. Dijkstraat 1954

089


Antimonumentalità monumentalità s. f. [der. di monumentale], non com. – Condizione e aspetto di ciò che è monumentale; impressione di grandezza e solennità

Attribuire una forma monumentale alla memoria può significare sollevare noi stessi dal dovere di ricordare. I progetti non estremizzano la tragicità, assumono una scala più umana e mirano a una maggiore responsabilizzazione e rielaborazione individuali, oltre che ad un superamento critico del trauma.

Appigli appìglio s. m. [der. di appigliarsi]. – Punto di sostegno e di appoggio

I progetti agiscono come piccoli sostegni materiali per il ricordo. Riattivano le tracce o innestano indizi e rimandi al passato negli spazi del quotidiano, riattivando la memoria.

090

Oltre il memoriale


Atmosfera atmosfèra s. f. [comp. del gr. ἀτμός «vapore» e -sfera; l’uso fig. è un calco del fr.atmosphère]. – Condizione, modo d’essere di un determinato ambiente, in relazione ai sentimenti o alle reazioni che può suscitare, ai rapporti umani, o sociali, o culturali che vi si stabiliscono tra individuo e individuo.

Il ricordo è un’esperienza personale: stimolare le sensazioni crea occasioni di richiamo della memoria e offre la possibilità di entrare in contatto direttamente con il ricordo.

Contesto contèsto s. m. [dal lat. contextus -us «connessione, nesso», der. di contexĕre«contessere»]. – Complesso di circostanze o di fatti che costituiscono e caratterizzano una determinata situazione, nella quale un singolo avvenimento si colloca o dev’essere ricondotto per poterlo intendere, valutare o giustificare.

Comprendere le dinamiche sociali, storiche e urbane di un luogo per creare interferenze tra memoria, persone e luogo stesso. Le connessioni creano dialogo.

Oltre il memoriale

091


Curiosità curiosità s. f. [dal lat. curiosĭtas -atis]. – Desiderio di vedere, di sapere, a fine di pettegolezzo o anche per amore del conoscere, come stimolo intellettuale.

La generazione di curiosità nelle persone è una potente strategia per rompere l’ordinario. Generare curiosità significa rallentare il quotidiano e stimolare la voglia di scoperta.

Partecipazione partecipazióne (ant. participazióne) s. f. [dal lat. tardo participatio -onis]. – In generale, il fatto di prendere parte a una forma qualsiasi di attività, sia semplicemente con la propria presenza, con la propria adesione, con un interessamento diretto, sia recando un effettivo contributo al compiersi dell’attività stessa.

La memoria è intesa come processo partecipato e condivisione di un paesaggio culturale comune. L’immedesimazione o il coinvolgimento delle persone sono i mezzi per trasmettere la memoria del passato, stimolare la riflessione individuale, generare consapevolezza.

092

Oltre il memoriale


Ri-narrazione narrazióne s. f. [dal lat. narratio -onis]. – Esposizione o rappresentazione, a viva voce o con scritti o altri mezzi, di vicende, situazioni, fatti storici e reali, oppure fantastici, vissuti o, più spesso, non vissuti in prima persona, riferendoli in modo ampio e accurato e nel loro svolgimento temporale

Raccontare le vicende storiche in modo chiaro e imparziale è il primo passo per assicurarsi la loro comprensione e rielaborazione da parte di chi non le ha vissute.

Uso uṡo s. m. [lat. usus -us, der. di uti «usare», part. pass. usus]. – Il fatto di usare, di servirsi di una cosa in modi e per scopi particolari.

Guardare, toccare, sentire, provare, sperimentare: uno spazio per la memoria può generare occasioni di utilizzo nella vita di tutti i giorni. Mantenere attivo il ricordo attraverso il suo uso in prima persona.

Oltre il memoriale

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Bibliografia

Assmann, Aleida. 2003. Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale. Trad. Simona Paparelli. Bologna: Il Mulino. Bassanelli, Michela. 2013. “Oltre il memoriale: la museografia per il patrimonio dei conflitti” In Re-enacting the past. Museography for conflict heritage, edited by Bassanelli, Michela and Gennaro, Postiglione, 12-29. Siracusa: LetteraVentidue. Bassanelli, Michela. 2013. “Arte e patrimonio dei conflitti” In Re-enacting the past. Museography for conflict heritage, edited by Bassanelli, Michela and Gennaro, Postiglione, 270-275. Siracusa: LetteraVentidue. Grechi, Giulia. 2013. “Contro-monumento e anti-monumento: l’impazienza assoluta di un desiderio di memoria” In Re-enacting the past. Museography for conflict heritage, edited by Bassanelli, Michela and Gennaro, Postiglione, 320-337. Siracusa: LetteraVentidue. Halilovic, Jasminko. 2008. Disappearing Sarajevo Roses. Pirazzoli, Elena. 2010. A partire da ciò che resta: forme memoriali dal 1945 alle macerie del muro di Berlino. Parma: Diabasis. Ruggeri Tricoli, Maria C. 2009. Trauma. Memoriali e musei fra tragedia e controversia. Santarcangelo di Romagna: Maggioli editore. 094

Oltre il memoriale


Tarpino, Antonella. 2008. Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani. Torino: Einaudi. Vickery, Johnatan. 2012. “The Past and Possible Future of Countermonument” Public Art Online. http://www.publicartonline.org.uk/downloads/news/IXIA_Countermonument_ Final.pdf Young, James E. 1992. “The Counter-Monument. Memory against Itself in Germany Today”. Critical Inquiry 18: 267-296. Young, James E. 1993. The texture of memory. Holocaust memorials and meaning. New Heaven and London: Yale University Press.

Oltre il memoriale

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Milano 1943-1945

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Resistenza, deportazioni, Liberazione

Perché il caso italiano sfugge a ogni regola? Si considerino i casi di tre diversi paesi, Francia, Germania e Italia, e li si confrontino con le tre possibili forme di guerra che uno stato può conoscere: guerra internazionale, guerra partigiana (o di liberazione), guerra civile (che potremo considerare come tre cerchi concentrici). Ebbene, la Germania ha sperimentato esclusivamente la prima; la Francia ha conosciuto le prime due e non la terza; l’Italia tutte e tre. L’intensità della violenza nei tre casi è crescente e progressiva, fino a toccare il massimo nell’ultimo: la Germania è stata schiacciata e disgregata, ma la sua guerra è stata una sola; in Francia si è svolta, come in Italia, una fase di resistenza e poi di guerra di liberazione contro l’occupante, ma come è noto le dimensioni del movimento partigiano vi furono ben più limitate che non in Italia, la quale oltre ad avere partecipato – per così dire – a una doppia guerra internazionale (quella nazifascista a cui poi seguì quella con gli alleati occidentali), ne ha combattuta un’altra, condotta dal CLN e mirante a ricacciare i tedeschi fuori dal Paese (come la Francia), e poi ancora una terza, la più tragica e lacerante – la guerra civile – tra fascisti e antifascisti.

Luigi Bonanate, La violenza nelle guerre del Novecento, “l’impegno”, a. XIV, n. 2, agosto 1994, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli. 098

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10 luglio 1943 / 07 settembre 1943

occupazione liberazione

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Europa 10.07.43 Inizio ritirata tedesca dalla Russia

set/43

ago/43

Italia 10.07.43 Sbarco degli Alleati in Sicilia

03.08.43 Firma armistizio a Cassibile

25.07.43 Dimissioni e arresto di Mussolini

set/43

ago/43

Milano

set/43

ago/43

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08 settembre 1943 / 17 maggio 1944

occupazione liberazione

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Europa 11.11.43 Liberazione di Kiev

mar/44

apr/44

mag/44

mar/44

apr/44

mag/44

mar/44

apr/44

mag/44

feb/44

gen/44

dic/43

nov/43

ott/43

Italia 08.09.43 Annuncio armistizio

01.10.43 Liberazione di Napoli

19.01.44 Stallo degli Alleati sulla Linea Gustav

feb/44

gen/44

dic/43

nov/43

ott/43 12.09.43 27.09.43 Mussolini Nascita liberato RSI

Milano 11.09.43 Occupazione tedesca

07.11.43 Attentato partigiano alla Stazione Centrale

09.12.43 Fucilazione al Poligono della Cagnola

31.09.44 Nascita del CLNAI

feb/44

gen/44

dic/43

nov/43

ott/43

02.10.43 Attentato partigiano all’aeroporto di Taliedo

09.12.43 Fucilazione all’ Arena Civica

18.10.43 20.12.43 Assassinio di Attentato partigiano Aldo Resega al funerale di Resega

03.02.44 Attentato partigiano al questore di Milano

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18 maggio 1944 / 08 aprile 1945

occupazione liberazione

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Europa 06.06.44 Sbarco in Normandia

25.08.44 Liberazione di Parigi

31.12.44 Completa liberazione di Francia, Grecia, Balcani, Est Europa

dic/44

gen/45

feb/45

mar/45

nov/44

dic/44

gen/45

feb/45

mar/45

apr/45

nov/44

ott/44

set/44

ago/44

lug/44

giu/44

20.07.44 Fallito attentato a Hitler

Italia 01.09.44 Liberazione di Firenze

18.05.44 Sfondamento Linea Gustav

apr/45

ott/44

set/44

ago/44

lug/44

giu/44

04.06.44 Liberazione di Roma

25.08.44 Stallo degli Alleati sulla Linea Gotica

Milano 19.06.44 Nascita CVL

13.01.45 Attentato partigiano alla Bottega del Liquore

apr/45

mar/45

28.08.44 Fucilazione Via Tibaldi

02.02.45 Fucilazione Campo Giuriati

feb/45

gen/45

dic/44

nov/44

ott/44

set/44

ago/44

lug/44

giu/44

17.07.44 Attentato partigiano allo scalo di Greco

10.08.44 Fucilazione Piazzale Loreto

14.01.45 Fucilazione Campo Giuriati

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09 aprile 1945 / 07 maggio 1945

occupazione liberazione

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Europa 16.04.45 Ingresso Armata Rossa a Berlino

30.04.45 Liberazione di Monaco e suicidio di Hitler

07.05.45 Resa della Germania

mag/45 02.05.45 Presa di Berlino

23.04.45 Liberazione di Vienna

Italia 09.04.45 Sfondamento Linea Gotica

24.04.45 Liberazione di Genova

26.04.45 Liberazione di Milano

02.05.45 Liberazione di Trieste

mag/45

21.04.45 Liberazione di Bologna

Milano

25.04.45 Insurrezione a Milano, Torino, Venezia

25.04.45 Insurrezione armata della città

28.04.45 Liberazione di Torino e Venezia Fucilazione di Mussolini

29.04.45 Ingresso Alleati in città Cadavere di Mussolini in Piazzale Loreto

mag/45

26.04.45 Liberazione della città

30.04.45 Liberazione definitiva della città

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Adunata fascista in Piazza Duomo negli anni Venti

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Soldati in via Fabio Filzi

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Festeggiamenti in Piazza Duomo il 26 luglio 1943

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Partigiani in Corso Buenos Aires il 28 aprile 1945

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Soldati in Piazza Duomo nel 1948

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Bibliografia

A.N.P.I. Sezione Zona 1 Milano. 2012. Milano itinerari della Resistenza. Nomi e luoghi della guerra di liberazione e della resistenza antifascista 1943 - 1945 nel centro storico di Milano. Milano: Litografia Ammiano. Baldissara, Luca. 2000. Atlante storico della Resistenza italiana. Milano: Mondadori. Borgomaneri, Luigi. 1995. Due inverni, un’estate e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia. 1943-1945. Milano: FrancoAngeli. Borgomaneri, Luigi. 1997. Hitler a Milano. I crimini di Theodor Saeveche capo della Gestapo. Roma: Datanews. Borgomaneri, Luigi. 2005. Milano 1940-1945. Itinerari della Memoria. Milano: Everprint. Borgomaneri, Luigi. 2000. “Milano”. In Dizionario della Resistenza. Storia e geografia della liberazione, edited by Enzo Collotti, Renato Sandri, and Frediano Sessi, 535-545. Torino: Einaudi. Breda, Maria Antonietta, and Padovan, Gianluca. 2012. Milano: rifugi antiaerei. Scudi degli Inermi contro l’Annientamento. Milano: Lo Scarabeo.

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Milano 1943-1945


Cenati, Roberto. 2013. “Gli angoli della Milano occupata e dei giorni dell’insurrezione”. Patria Indipendente Febbraio 2013. Collotti, Enzo, Sandri, Renato, and Sessi, Frediano. 2006. Dizionario della Resistenza. Torino: Einaudi. De Finetti, Giuseppe. 1969. Milano: costruzione di una città. Milano: Hoepli. Isnenghi, Mario. 2010. I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia Unita. Roma: Laterza. Paticchia, Vito. 2005. Percorsi della memoria: 1940-1945 la storia, i luoghi. Bologna: CLUEB.

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MI4345 – Topografia della Memoria è un progetto di mappatura e comunicazione dei luoghi della memoria storica della città di Milano. Racconta le vicende che furono presupposto, conseguenza e che segnarono la Resistenza, le deportazioni nei campi di sterminio e di internamento in Europa e la Liberazione. Attraverso una mappa georeferenziata e interattiva accessibile da computer, tablet e smartphone, il sito internet www.mi4345.it guida cittadini e visitatori alla scoperta del passato che edifici, strade e piazze portano con sé in modo quasi invisibile; alcune azioni temporanee sullo spazio pubblico, inoltre, collegano i contenuti multimediali alla realtà urbana. Gli spazi della città e il paesaggio, che assorbono il corso della storia e ne restituiscono memoria nel tempo attraverso un insieme di tracce tangibili o intangibili, si rivelano nuovi testimoni delle eredità difficili. Costruire una relazione tra memorie, luoghi e vita quotidiana permette di avvicinare le persone alla storia, stimolandole ad una presa di coscienza del proprio passato.

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MI4345 – Topografia della Memoria è un progetto parte del programma ufficiale delle celebrazioni del 70° anniversario della Resistenza e della Guerra di Liberazione a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Struttura di Missione per gli Anniversari di interesse nazionale ed è promosso dal Politecnico di Milano e dalla Fondazione Memoria della Deportazione, con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Milano e la collaborazione di ANPI Provinciale di Milano, FIAP Federazione Italiana Associazioni Partigiane e Associazione Archivio del lavoro.

Promosso da

In collaborazione con

Con il patrocinio di

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Luoghi

Grazie alla preziosa e costante collaborazione con Massimo Castoldi, direttore della Fondazione Memoria della Deportazione, è stato possibile selezionare 32 luoghi della memoria della Resistenza, delle deportazioni e della Liberazione di Milano. I testi delle schede di approfondimento sono stati scritti da Roberta Cairoli (FIAP – Federazione Italiana Associazioni Partigiane), Roberto Cenati (ANPI Provinciale di Milano), Massimo Castoldi (Fondazione Memoria Deportazione), Guido Lorenzetti (Fondazione Memoria della Deportazione), Debora Migliucci (Associazione Archivio del Lavoro) e Cristina Palmieri (studiosa di storia contemporanea).

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01. Palazzo Castani 02. Casa Turati Kuliscioff 03. Camera del Lavoro di Milano 04. Sede dell’”Avanti” 05. Albergo Regina e Metropoli 06. Palazzo Carmagnola 07. Villa Hike 08. Villa Fossati 09. Carcere di San Vittore 10. Stazione di Milano Centrale 11. Palazzo del “Corriere della Sera” 12. Arena Civica 13. Poligono della Cagnola 14. Stazione di Milano Greco Pirelli 15. Piazzale Loreto 16. Viale Tibaldi 17. Campo Giuriati 18. Via Botticelli 19. Fabbrica Innocenti 20. Fabbrica Olap 21. Fabbrica Bianchi 22. Officine ATM Teodosio 23. Politecnico di Milano 24. Palazzo Mezzanotte 25. Palazzo dell’Arcivescovado 26. Palazzo dell’Aeronautica Militare 27. Casa dello Studente 28. Monumento ai Morti nei campi di sterminio 29. Loggia dei Mercanti 30. Campo della Gloria al Cimitero Maggiore 31. Monumento ai Piccoli Martiri di Gorla 32. Tempio civico di San Sebastiano MI4345 – Topografia della Memoria

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01. Palazzo Castani Indirizzo

Piazza San Sepolcro 9

Luogo della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento il 23 marzo 1919. Dal 1921 al 1943 sede del Partito Nazionale Fascista di Milano e dal 1943 al 1945 del Partito Fascista Repubblicano.

Nella sala riunioni del Circolo dell’Alleanza Industriale presso Palazzo Castani in piazza San Sepolcro – un edificio d’epoca la cui costruzione risale al XV secolo – il 23 marzo 1919 furono fondati da Benito Mussolini i Fasci Italiani di Combattimento. Due giorni prima era stato costituito il Fascio di Combattimento di Milano, la cui giunta era formata da Mussolini, Ferruccio Vecchi, Enzo Ferrari, Michele Bianchi, Mario Gianpaoli, Ferruccio Ferradini e Carlo Meraviglia. Nell’adunata del 23 marzo parteciparono circa trecento persone, in gran parte reduci e arditi della Grande guerra, futuristi nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari, anarchici e repubblicani. I locali della prima sede a Milano, affittati dall’Associazione Lombarda degli Industriali, esibivano, oltre al fascio littorio, i simboli degli arditi, i quali sarebbero diventati una costante dell’iconografia fascista: il pugnale, il gagliardetto degli arditi, il teschio. Il 24 marzo sul «Popolo d’Italia» fu pubblicato il «programma di San Sepolcro». L’organizzazione, che si proclamava un «antipartito», nel suo programma accolse le rivendicazioni più diverse: riscatto della «vittoria mutilata»; lotta contro i neutralisti e i pacifisti; feroce contrapposizione ai socialisti; suffragio universale, voto alle donne, giornata lavorativa di otto ore, lotta ai «pescicani»; abbattimento della monarchia e istituzione della repubblica. Un programma, quindi, che mescolava elementi provenienti tanto dal patrimonio della destra nazionalista, quanto dall’ala massimalista della sinistra. Lo stesso 23 marzo sul «Popolo d’Italia» Mussolini rivelò quella «bivalenza di formule» che avrebbe costituito la chiave del suo successo: «Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti; reazionari e rivoluzionari, legalitari e illegalitari, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente». Poche settimane dopo, il 15 aprile, gli aderenti ai fasci furono protagonisti a Milano del primo grave episodio di violenza nell’Italia del dopoguerra: lo scontro con un corteo di socialisti si concluse con l’incendio della sede dell’«Avanti!», quotidiano socialista che era stato in precedenza diretto dallo stesso Mussolini. Palazzo Castani diventò, poi, tra il 1921 e il 1943, la sede del Partito nazionale fascista di Milano e, durante l’occupazione tedesca tra il 1943 e il 1945, la sede del Partito fascista repubblicano. – Roberta Cairoli

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02. Casa Turati Kuliscioff Indirizzo

Portici Galleria 23

Dal 1891 al 1926 redazione della rivista “Critica Sociale” e centro vitale del socialismo e del primo antifascismo milanese.

In corso Vittorio Emanuele, sotto i portici, all’altezza del civico 23, di fianco al Duomo sono oggi due targhe una in bronzo risalente al 1987 e una in marmo del 1948, che ricordato il luogo, dove si trovava, al quarto piano, l’appartamento nel quale vissero Filippo Turati e Anna Kuliscioff e che fu dal 1892 al 1925 il centro di riferimento prima del socialismo e poi del primo antifascismo. Era la sede della redazione della rivista «Critica sociale» e per quelle stanze passarono quasi tutti i principali esponenti della cultura progressista di quegli anni: da Gaetano Salvemini a Claudio Treves, da Giacomo Matteotti a Carlo Rosselli, da Angelica Balabanoff a Romolo Murri. I testimoni ricordano la grande sala luminosissima con vista sulle guglie del Duomo, le due scrivanie, il piccolo divano verde e un tavolino quadrato a tre piedi con piano superiore intarsiato, sempre coperto da libri e riviste. Presenze costanti erano la governante Maria Milanesi, e i giovani collaboratori, oltre a Treves, Ettore Albini, Mario Borsa, e il celebre medico Paolo Pini. Da qui l’8 maggio 1898 Anna Kuliscioff e Filippo Turati furono arrestati con l’accusa di aver complottato contro lo Stato e Turati rimase in carcere un intero anno. Ripresero poi le frequentazioni e le attività fino alla morte della Kuliscioff il 29 dicembre 1925 e alla fuga di Turati in Francia il 21 novembre 1926, lasciando carte, libri e tutto quanto era nella propria abitazione milanese. Turati morì in esilio a Parigi nel 1932, le sue ceneri furono riportate a Milano con quelle di Claudio Treves il 10 ottobre 1948 e inumate con quelle della Kuliscioff al Cimitero Monumentale. L’epigrafe originale della targa di marmo fu dettata da Alessandro Schiavi, allievo di Antonio Labriola, amico e biografo dello stesso Turati: «In questa casa | dal 1892 al 1925 | due vite intrecciate | Filippo Turati e Anna Kuliscioff | irradiarono sui lavoratori | la luce e il conforto | della fede nel socialismo | ottobre 1948». – Massimo

Castoldi

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03. Camera del Lavoro di Milano Indirizzo

Corso di Porta Vittoria 43

Sede dei Sindacati Fascisti dell’Industria e dopo il 25 aprile 1945 sede del sindacato libero. Sul piazzale venne uccisa Stella Zuccolotto da tre fascisti armati, il 23 aprile 1946.

Il palazzo di Porta Vittoria 43, attuale sede della Camera del Lavoro di Milano, fu per più di 10 anni la dimora dei Sindacati Fascisti dell’Industria. Costruito negli anni Trenta del Novecento su progetto degli architetti Angelo Bordoni, Luigi Maria Caneva e Antonio Carminati, era stato voluto da Mussolini come simbolo della potenza del regime. In verità, il sindacato fascista non ebbe mai seguito tra i milanesi, nonostante la posizione di monopolio ottenuta nel 1925 con lo scioglimento della Confederazione generale del Lavoro e delle Camere del Lavoro. Dovettero passare vent’anni affinché la Camera del Lavoro risorgesse e i lavoratori milanesi ritrovassero la loro casa. Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1945 i partigiani della 6ª Brigata Garibaldi (Nello) attaccarono il palazzo di corso Porta Vittoria 43. Lo scontro costò la vita a due combattenti ma infine l’edificio fu occupato e consegnato al Comitato Sindacale di Milano e provincia, che fino a quel momento aveva agito in clandestinità. La ricostituzione dell’organismo camerale trovava eco sulle pagine milanesi de «l’Unità» e de «l’Avanti!» e il nuovo segretario Giuseppe Alberganti poteva annunciare dalle frequenze di Radio Milano che:

«Dopo oltre 20 anni di sindacalismo fascista, di soppressione delle libertà sindacali, [...] la nostra Camera del Lavoro, grazie all’eroismo dei lavoratori, riprende la sua attività». Un anno dopo, la sera del 23 aprile 1946, la Camera del Lavoro fu bersaglio di un attentato di matrice fascista in cui perse la vita Stella Zuccolotto, una militante della lega portieri che assisteva a una riunione nei locali del primo piano. La Zuccolotto morì il 28 aprile 1946 e una folla gremita partecipò ai suoi funerali. Una lapide sul piazzale della Camera del Lavoro ne ricorda la morte, inizialmente fatta risalire al 1945 e poi corretta con la data esatta. Fanno da corredo i versi di Sirena Operaia, a lei dedicati da Alberto Bellocchio. – Debora Migliucci

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04. Sede dell’”Avanti!” Indirizzo

Via Lodovico Settala 22

Sede del quotidiano socialista “Avanti!” dal 1921, fu oggetto di ripetuti attacchi fascisti.

Qui nel 1921 ebbe la sua nuova sede l’«Avanti!», storico quotidiano socialista, con la sua nuova rotativa tedesca Vomag, pesante 480 quintali, dopo che nell’aprile del 1919 i fascisti avevano distrutto la vecchia sede di via San Damiano. Ancora prima della sua inaugurazione, l’edificio di via Settala 22 fu un obiettivo privilegiato delle aggressioni fasciste. Il 25 marzo 1921, dopo l’attentato al teatro Diana di viale Piave, i fascisti assaltarono sia la vecchia sede di via San Damiano, sia il cantiere in costruzione di via Settala. Il 4 agosto 1922, due giorni dopo l’attacco a Palazzo Marino, una colonna di oltre duecento fascisti prese nuovamente d’assalto il giornale. All’inizio avevano pensato addirittura ad un bombardamento aereo, poi ripiegarono su un attacco «con una manovra avvolgente». Alcune automobili e ‘camions’ partirono dalla sede fascista di via San Marco, passarono da via Castelfidardo in direzione di porta Venezia. All’altezza di via Lazzaretto la colonna si divise: alcune macchine proseguirono per piazzale Venezia, corso Buenos Aires e via San Gregorio; altre per vie traverse raggiunsero lo stesso obiettivo: la redazione dell’«Avanti!». Pietro Nenni rimase con non più di una quindicina di persone, tra redattori e operai, chiuso per tre giorni nell’edificio, ma la sede era indifendibile, anche perché la polizia perquisiva e disarmava gli operai che si recavano al lavoro. Mentre le colonne fasciste avanzavano, le guardie regie che dovevano garantire la sicurezza del giornale si ritiravano «tra gli applausi delle camicie nere», che pur lasciarono sul terreno tre morti. Rimase ucciso anche l’operaio socialista Franchini. I fascisti riuscirono a incendiare gli uffici e a mettere fuori uso i macchinari. L’«Avanti!» sarebbe uscito di nuovo soltanto il 18 agosto. Un nuovo assalto fascista avvenne il 29 ottobre 1922, contrastato solo inizialmente dalle guardie regie che avevano l’ordine di sparare, come previsto dalle norme dello stato d’assedio richieste dal governo Facta. Dopo che il re respinse la richiesta di Facta, i fascisti poterono completare l’opera di distruzione. Nel 1923 l’«Avanti!» fu sequestrato sessantadue volte! Lasciò l’edificio ormai ingestibile di via Settala e si trasferì in via Paganini 10, vicino a piazzale Loreto. Soppressa nel 1926 la stampa di opposizione, l’«Avanti!» sarebbe uscito clandestinamente nel 1943 e nel 1944, fino alla prima libera edizione del 26 aprile 1945, con il titolo Milano è insorta. – Guido Lorenzetti

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05. Albergo Regina e Metropoli Indirizzo

Via Santa Margherita 6 ang. Via Silvio Pellico 7

Sede dei Comandi della SIPO-SD e della Gestapo, agli ordini di Theodor Saevecke.

Tra il 10 e il 12 settembre 1943 a Milano l’Albergo Regina fu occupato da reparti della divisione Waffen SS - Leibstandarte Adolf Hitler. Il 13 settembre fu poi requisito dai nazisti, circondato da barriere di filo spinato, casematte in cemento armato e illuminato di notte da potenti cellule fotoelettriche. In esso si insediarono i comandi della Sicherheitspolizei-Sicherheitdienst (SIPO-SD, Polizia e Servizi di sicurezza delle SS) – la centrale informativa più completa al servizio dell’apparato di polizia tedesco in Italia – e della Gestapo, la polizia politica dipendente dalla SIPO. Ben presto, all’interno del sistema di polizia nazista, il «Regina» diventò a Milano uno dei principali centri per la cattura, il sequestro, gli interrogatori e la tortura di partigiani, ebrei e civili sospettati di collaborare attivamente con la Resistenza, operando in strettissima connessione con i corpi di polizia e le forze armate della Repubblica Sociale Italiana (Rsi). Il comando interregionale della SIPO-SD comprendente Piemonte, Lombardia e Liguria fu affidato al colonnello Walter Rauff, quello interprovinciale al capitano Theodor Saevecke, responsabile dell’Aussenkommando di Milano (Comando Avanzato), da dove diresse e coordinò la repressione antipartigiana e la caccia agli ebrei. Le vittime, una volta arrestate, venivano condotte all’albergo Regina, dove all’ultimo piano si trovavano le celle di sicurezza, erano sottoposte a lunghi interrogatori e torture, infine mandate al carcere di San Vittore – che dipendeva dal «Regina» – per poi essere di nuovo prelevate per ulteriori interrogatori. In alcuni casi le vittime venivano direttamente avviate ai trasporti in partenza dal binario 21 della stazione Centrale per essere deportate sulla base delle liste predisposte nella sede delle SS. Il 30 aprile 1945, dopo venti mesi di occupazione, le SS, protette dai mezzi corazzati americani e sotto le armi puntate dai partigiani, lasciarono l’Hotel Regina. Nel dopoguerra le atrocità compiute in Italia dal colonnello Rauff e dal capitano Saevecke sarebbero rimaste impunite. Il primo, evaso dal campo di concentramento di Rimini, morì in Cile nel 1984; il secondo, processato soltanto nel 1999 dal Tribunale Militare di Torino, fu condannato in contumacia all’ergastolo per avere ideato, in qualità di comandante della SIPO-SD di Milano, richiesto e organizzato l’eccidio di Piazzale Loreto. Fu necessario attendere il 27 gennaio 2010 perché una targa commemorativa fosse posta sulla facciata dell’edificio. – Roberta Cairoli 134

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06. Palazzo Carmagnola Indirizzo

Via Rovello 2

Sede centrale del Comando e dell’ufficio politico della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”; dal 1947 ospita il Piccolo Teatro Grassi.

Nel 1947 Paolo Grassi e Giorgio Strehler fondarono nel palazzo di via Rovello 2 il Piccolo Teatro. In quello stesso edificio, come ricorda una targa commemorativa posta sulla facciata del Teatro, durante l’occupazione tedesca ebbe sede il Comando e l’ufficio politico della Legione autonoma Ettore Muti. Nelle camere di sicurezza e nelle celle di isolamento disposte al primo e al secondo piano, partigiani, ebrei e civili venivano rinchiusi, interrogati e torturati. La Legione autonoma mobile «Ettore Muti» (dal nome dell’ex segretario del Partito nazionale fascista ucciso durante i quarantacinque giorni di Badoglio) aveva le sue origini nella squadra d’azione omonima costituita a Milano il 18 settembre del 1943 da Francesco «Franco» Colombo, ex caporale dell’esercito e fascista della prima ora, e da un pugno di ex squadristi che negli anni Venti avevano contribuito all’affermazione violenta del fascismo nel Milanese. I primi arruolati furono ex reclusi del riformatorio minorile di Vimodrone, cui si aggiunsero delinquenti comuni evasi dal carcere di San Vittore e numerosi giovani. Nei mesi successivi alla sua costituzione, la Muti fu promossa dal ministro degli Interni della Rsi, Guido Buffarini Guidi, a Battaglione mobile ausiliario di Pubblica sicurezza, che il 18 marzo 1944 assunse il nome definitivo di «Legione autonoma mobile Ettore Muti». Furono costituite ventuno tra compagnie e squadre operative, che agirono sia nel Milanese, sia nel Piemonte settentrionale e orientale. La Legione si distinse per le operazioni di rastrellamento, oltre che per i furti, i saccheggi, gli incendi e le fucilazioni di civili e partigiani. Nel corso della sua esistenza ne compì non meno di trentasei, tra il marzo del 1944 e il marzo del 1945, di cui diciannove rastrellamenti nella città di Milano e nella sua provincia e dodici in Piemonte e in Valle d’Aosta. In tredici casi la Legione operò insieme alle formazioni militari tedesche e direttamente agli ordini dei tedeschi, in dieci ebbe l’appoggio dei reparti della Gnr (Guardia Nazionale Repubblicana) e delle Brigate nere locali. Nei restanti casi agì di propria iniziativa. La Legione disponeva di un ufficio di polizia politica, dotato di una sua propria squadra mobile, il cui ruolo consisteva nella prevenzione e nella repressione di ogni forma di opposizione alla Repubblica sociale. Avvalendosi di informazioni estorte con la tortura dall’Ufficio politico e di soffiate provenienti dagli informatori, oltre alle numerose delazioni, la squadra mobile identificava e arre136

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stava partigiani, antifascisti, renitenti alla leva, civili e soldati nemici in fuga. Solo tra il 25 febbraio e il 15 aprile 1945 furono eseguiti centocinquanta arresti. Il 25 aprile 1945, nel corso dell’insurrezione generale, la 120a brigata Garibaldi occupò la sede della Muti, ma i militi risultarono in fuga. Prima dell’arrivo dei partigiani circa duecento «mutini» lasciarono, insieme a Colombo, la caserma di via Rovello, dirigendosi in colonna verso Como attraverso la strada dei laghi, nel vano tentativo di raggiungere Mussolini in fuga. Fallita la mediazione con il Cln, la colonna si sciolse a Cernobbio. Franco Colombo, catturato dai partigiani, fu fucilato a Lenno il 28 aprile. – Roberta Cairoli

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07. Villa Hike Indirizzo

Via Carlo Ravizza

Sede dell’ufficio politico della Brigata Nera “Aldo Resega” e del “Gruppo David”, un servizio speciale di spionaggio e controspionaggio diretto da Tommaso David.

Presso Villa Hike, in via Ravizza 51, aveva sede l’Ufficio politico investigativo della Brigata nera Aldo Resega, il quale era addetto allo spionaggio antipartigiano. Qui ventiquattro agenti, sei uomini e diciotto donne (in base a quanto segnalato dal servizio di informazioni del Clnai – Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), operavano alle dipendenze di Tommaso David, alias prof. D’Amato, alias dr. De Santis, settant’anni, ex tenente colonnello della milizia ed ex squadrista. Lo stesso dirigeva un’organizzazione nota come «Gruppo David» o «Gruppo S. A. Sabotatori e Attentatori», che agiva per conto dei servizi informativi tedeschi (nello specifico dell’Abwehr I, «kommando 190» o «kommando kora», dal nome del suo comandante). Il compito era quello di reclutare e addestrare spie da inviare oltre le linee, nel territorio occupato dagli Alleati, per missioni di spionaggio e controspionaggio. L’organizzazione, costituita presso Piazza Colonna a Roma, si trasferì a Milano, dopo la liberazione della città, prima nella caserma di via Vincenzo Monti e poi a Villa Hike, in via Ravizza 51, adibita anche ad alloggio degli agenti. Di essa faceva parte anche il «Gruppo speciale A», composto esclusivamente da agenti femminili. Tra i principali compiti assegnati da Tommaso David vi era prima di tutto lo spionaggio nei confronti dei partigiani, assolto da agenti maschili e femminili in unione alla Gnr (Guardia Nazionale Repubblicana) e alla Legione «Ettore Muti». Gli altri compiti consistevano nella raccolta di materiale di propaganda dei partiti di sinistra nel territorio liberato, solitamente compiuta dalle agenti femminili; nell’accertamento delle condizioni morali e materiali delle truppe italiane che combattevano a fianco di quelle alleate; nell’obiettivo di appurare se a Roma esistesse un movimento clandestino fascista e se la popolazione civile avesse gradito il ritorno di Mussolini. Quanti erano addetti allo spionaggio nel territorio occupato dagli Alleati erano istruiti nella scuola per informatori di Milano, con sede in viale Monza. Anche le missioni per conto dell’organizzazione di spionaggio dell’Abwehr I di Milano erano di diversa natura: gli agenti raccoglievano materiale di propaganda (fogli, giornali, fogli, manifestini antifascisti); informavano sulla situazione politica ed economica del territorio liberato, sul morale della popolazione, sulle mire dei partiti antifascisti nel dopoguerra; osservavano i contrassegni degli autoveicoli, accertavano il tipo e il numero degli 138

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aerei esistenti presso i vari reparti alleati; accertavano l’esatta dislocazione e l’identità dei comandi e delle truppe di stanza. Per la raccolta delle informazioni gli agenti, una volta entrati nel territorio liberato, dovevano frequentare luoghi pubblici e conversare con militari alleati e civili italiani. Prima di partire in missione, le spie ricevevano il nome in codice e la parola d’ordine – la sigla «Ghero», che indicava l’appartenenza al reparto, seguita da un numero – un fazzoletto bianco con un messaggio segreto in inchiostro simpatico, una carta d’identità falsa, un distintivo di alluminio da partigiano del Cln (Comitato di Liberazione Nazionale). Relativamente ai compensi, ricevevano 5000 lire come premio d’ingaggio, 12.000 lire mensili e 20.000 lire al momento della partenza. Non mancavano poi le gratificazioni di «natura morale»: da parte delle autorità tedesche l’encomio e la croce di ferro di II classe, da quelle italiane la medaglia d’argento al valor militare e «l’onore» di essere ricevuti da Mussolini in persona. –

Roberta Cairoli

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08. Villa Fossati Indirizzo

Via Paolo Uccello 19

Nota come Villa Triste, nell’estate del 1944 fu sede della “Banda Koch”, ovvero del reparto speciale della polizia repubblicana. Oggi ospita un istituto religioso.

Villa Fossati, ribattezzata «Villa Triste», stretta tra via Paolo Uccello e via Masaccio, tra l’estate e l’autunno del 1944 fu sede della «banda Koch», ovvero del Reparto speciale di polizia addetto alla repressione antifascista. L’ex granatiere Pietro Koch, classe 1918, nel novembre del 1943 si era iscritto al Partito fascista repubblicano e si era arruolato a Firenze nella «Banda Carità», formazione irregolare di polizia impegnata nella repressione antipartigiana agli ordini del maggiore Mario Carità. Nel dicembre del 1943 Koch si trasferì a Roma, dove diede vita a un nuovo Reparto autonomo di polizia sotto l’egida del tenente colonnello Kappler. Il Reparto si insediò provvisoriamente nella pensione Oltremare, per poi trasferirsi nell’aprile del ’44 alla pensione Jaccarino, dove lo scantinato e la soffitta furono adibiti a celle per i detenuti. Gli interrogatori avvenivano di notte ed erano accompagnati da percosse e sevizie: tra gli strumenti di tortura vi erano «tenaglie per estirpare i denti, pinze per cavare le unghie, daghe che arroventate venivano apposte sulle parti più delicate del corpo». Durante la sua attività il Reparto compì seicento trentatré arresti, di cui quattrocentotrentacinque a Roma, centonovantuno a Milano e sette in altre località. Dopo l’arrivo degli Alleati a Roma, il 4 giugno 1944, il Reparto si trasferì a Milano nella Villa Fossati di via Paolo Uccello 19, sequestrata all’anziana proprietaria Adele Mariani Fossati. La villa ospitava gli uffici del Reparto e, nei sotterranei, le camere di sicurezza. Al di sopra dei muri di cinta furono installati giri di filo spinato, e sulla facciata anteriore vennero collocati potenti riflettori. La banda aveva un suo specifico modus operandi: nella maggior parte dei casi gli arresti erano eseguiti di notte sulla base di una lista di nominativi e indirizzi. Giunti sul posto, gli agenti facevano irruzione nelle case delle vittime, armati e a volto scoperto, intimando agli arrestasti di seguirli e facendosi consegnare qualsiasi oggetto di valore. Quanto al trattamento nei confronti dei prigionieri, oltre alle pratiche già sperimentate a Roma – le sevizie avevano addirittura una denominazione precisa, come lo «schiaffo scientifico» o la «capriola» – a Milano le vittime erano anche costrette «a fare di corsa il tratto che dal vano della doccia doveva riportarli in cella, passando tra due schiere di agenti pronti a colpirli al momento del passaggio». Nel pomeriggio del 25 settembre 1944 una sessantina di legionari della Muti e alcuni agenti di pubblica sicurezza irruppero a «Villa Triste» e arrestarono i componenti del Reparto, i quali 140

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furono poi tradotti a San Vittore. Koch, detenuto nel carcere, riuscì a fuggire con l’aiuto dei tedeschi nei giorni immediatamente precedenti la Liberazione, ma, raggiunta Firenze, fu riconosciuto e arrestato. Processato a Roma davanti all’Alta Corte di Giustizia il 4 giugno 1945, fu fucilato il giorno successivo presso il Poligono di tiro di Forte Bravetta. – Roberta Cairoli

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09. Carcere di San Vittore Indirizzo

Piazza Gaetano Filangeri 2

Principale luogo di detenzione di prigionieri politici, partigiani, scioperanti, ebrei, spesso poi destinati ai campi di concentramento e di sterminio.

Sorto sull’antico convento dei Cappuccini di San Vittore agli Olmi, in Piazza Filangieri 2, il carcere di San Vittore, durante il regime fascista, divenne luogo di detenzione dei numerosi oppositori politici, vittime del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Il 12 settembre 1943 i tedeschi, occupata Milano, requisirono un’ala del carcere, che da quel momento fu gestita direttamente dalle SS insediate presso l’Hotel Regina: assunsero il controllo del IV e del VI raggio destinati ai detenuti politici, e del V destinato agli ebrei. Inizialmente gli ebrei furono ammassati all’ultimo piano del quarto raggio del carcere, così gelido nell’inverno 1943-44 che sui pavimenti dei corridoi era solita formarsi una patina di ghiaccio. Successivamente, crescendo di numero, vennero sistemati anche nei piani inferiori e, nella primavera del 1944, trasferiti al quinto raggio e radunati all’ultimo piano, non più in celle per due o quattro detenuti ma in diciotto cameroni da venti posti ciascuno. San Vittore ebbe non solo la funzione di luogo di raccolta degli ebrei arrestati a Milano e provincia, nelle zone di frontiera con la Svizzera e nelle grandi città del Nord (Torino e Genova), ma fu anche un carcere politico con funzione di raccolta a livello regionale di detenuti, i quali sarebbero stati trasferiti o direttamente nei lager nazisti o nei campi di transito, Fossoli prima, Bolzano poi. Primo responsabile del settore tedesco del carcere fu, dal settembre 1943, Helmuth Klemm, sostituito poi dal vice maresciallo Leander Klimsa, che successivamente passò alla Gestapo. A subentrare a Klimsa fu quindi il caporalmaggiore Franz Staltmayer, detto «la belva» o anche «il porcaro», che girava a San Vittore armato di frustino e in compagnia di un cane lupo, che aizzava contro qualche detenuto. Assistevano i tedeschi e praticavano le torture sui prigionieri gli italiani Manlio Melli e Dante Colombo, agenti dell’Ufficio politico investigativo (Upi) della Guardia Nazionale Repubblicana (Gnr), alle dipendenze del maggiore Ferdinando Bossi. Il regolamento del carcere era durissimo e le condizioni igieniche drammatiche. Agli ebrei erano negati i pochi diritti concessi agli altri prigionieri politici e comuni, ovvero l’ora d’aria in cortile, l’assistenza sanitaria, la possibilità di ricevere lettere e pacchi e di acquistare generi alimentari allo spaccio del carcere. Gli interrogatori degli arrestati erano condotti in uno stanzone a pian terreno, detto il «refettorio». Qui le sevizie di ogni genere venivano inflitte soprattutto sugli ebrei che non rivelavano i recapiti o i nascondigli dei loro parenti della cui presenza a Milano 142

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o nei dintorni le SS erano venute a conoscenza tramite loro spie. Degli ebrei di san Vittore, sette morirono in carcere, tre per causa ignota. I trasporti degli ebrei detenuti a San Vittore ammontarono complessivamente a quindici. Il primo partì per Auschwitz il 6 dicembre 1943, l’ultimo il 15 gennaio 1945 per Bolzano. Non mancarono coloro che cercarono di rendere meno drammatiche le condizioni di vita dei detenuti: da suor Enrichetta Alfieri ai medici antifascisti Gatti e Giardina, che riuscirono a salvare qualche detenuto dalla deportazione e favorirono la fuga dei politici.San Vittore fu liberato il 26 aprile 1945 dai partigiani delle Brigate Matteotti.

– Roberta Cairoli

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10. Stazione di Milano Centrale Indirizzo

Piazza Duca d’Aosta 1

Luogo di partenza dei treni per i campi di concentramento e di sterminio e centro attivo di Resistenza. Sotto la stazione oggi sorge il Memoriale della Shoah (Piazza Edmond J. Safra).

Durante l’occupazione nazista di Milano centinaia di uomini, donne e bambini tra ebrei e detenuti politici partirono dalla Stazione Centrale, diretti verso i campi di sterminio e di concentramento in Europa, spesso passando per i campi di transito italiani prima di Fossoli e poi di Bolzano. Si partiva dal binario numero 21. Sul muro che fiancheggia a destra il binario è posta dal 27 gennaio 1998 una targa in pietra grigia, che reca la scritta «Tra il dicembre 1943 e il maggio 1944 dai sotterranei di questa stazione cominciò il lungo viaggio di uomini, donne e bambini ebrei e oppositori politici deportati verso Auschwitz e altri lager nazisti. La loro memoria vive tra noi insieme al ricordo di tutte le vittime dei genocidi del XX secolo». Questa è seguita dal primo verso, «Poiché l’angoscia di ciascuno è la nostra», della poesia di Primo Levi La bambina di Pompei, che accosta nell’immagine della bambina di Pompei «convulsamente» aggrappata alla madre il destino tragico di una non nominata Anna Frank, «fanciulla d’Olanda», a quello non diverso della «scolara di Hiroshima», con un forte appello alla pace, rivolto ai «potenti della terra padroni di nuovi veleni». All’inaugurazione erano presenti il cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, e il rabbino capo, Giuseppe Laras. Sul medesimo muro a sinistra, oltre a lapidi storiche dedicate ai caduti di altre guerre, è una lapide in marmo che ricorda quarantuno ferrovieri antifascisti e sei figli di ferrovieri caduti durante la guerra di Liberazione. La partecipazione dei lavoratori delle ferrovie alla Resistenza fu tanto rilevante, quanto poco ricordata. L’episodio più clamoroso fu quello accaduto alla stazione di Milano Greco, che portò alla fucilazione di tre uomini per rappresaglia, ma in tutti gli scali ferroviari di Milano furono numerose le azioni di sabotaggio per ritardare partenze, guastare scambi, linee elettriche e locomotive, nonché liberare prigionieri in partenza per i campi. E questo avvenne, nonostante l’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato fosse stata sottoposta dal regime fascista a una radicale ristrutturazione nell’organico del personale, che aveva determinato nel corso del Ventennio il licenziamento di centinaia di ferrovieri antifascisti. Dal 2007, nei locali sottostanti il piano dei binari, ha avuto inizio il progetto del Memoriale della Shoah, che si estende su una superficie di circa 7000 mq e si sviluppa 144

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su due piani, piano terreno e piano interrato, inaugurato il 27 gennaio 2013. Era questa la zona adibita al carico e scarico dei vagoni postali, con ingresso da via Ferrante Aporti. È ricordato che qui i prigionieri venivano caricati su vagoni merci, poi sollevati tramite un elevatore e trasportati al sovrastante piano dei binari, per essere infine agganciati ai convogli diretti nei campi di prigionia e di sterminio. In questo spazio si trasferisce verticalmente la vibrazione proveniente dai binari al piano superiore e il rumore, provocato dal passaggio dei treni, invade gli ambienti, stimolando nel visitatore la percezione fisica della vicinanza tra il luogo del proprio presente e il luogo remoto della memoria storica. Il Memoriale della Shoah, con ingresso da piazza Edmond J. Safra 1, già via Ferrante Aporti 3, si propone come un centro polifunzionale di incontro e confronto sul tema della memoria come «impegno civile» e «dovere morale». – Massimo Castoldi

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11. Palazzo del “Corriere della Sera” Indirizzo

Via Solferino 28

Il quotidiano “Corriere della Sera” fu organo di propaganda del regime, ma anche centro di opposizione durante gli scioperi del marzo 1944.

Nel 1904 il «Corriere della Sera» trasferì la sede in un palazzo dell’architetto Luca Beltrami, che era stato direttore del giornale nel 1896. Facciata liberty, fronde d’alloro, sporgenze decorative: il palazzo di via Solferino 28 doveva dare la sensazione dell’autorevolezza del quotidiano. In tipografia furono installate le quattro nuove rotative Hoe, fatte venire dagli Stati Uniti e questa nuova tecnologia permise di portare la foliazione prima a sei, poi a otto pagine. Il «Corriere» divenne presto il più prestigioso quotidiano italiano, sia per la tecnologia all’avanguardia, sia per la perfetta organizzazione del lavoro. Era espressione degli interessi della borghesia produttiva, interpretati dal direttore Luigi Albertini, che schierò il giornale contro la politica di Giolitti e appoggiò la guerra di Libia e l’intervento nella guerra mondiale. Nel dopoguerra il «Corriere» manifestò tutto l’orrore della borghesia conservatrice per gli scioperi e le occupazioni dei luoghi di produzione. I socialisti e gli anarchici furono definiti con frequenza «sovversivi», mentre c’era piena comprensione per i fascisti, che pure violarono in continuazione la legge con i loro assalti e le spedizioni armate contro le Case del Popolo, le redazioni dei giornali socialisti e i Comuni amministrati dai socialisti. Persino quando nell’agosto del 1922 fu assaltato Palazzo Marino, sede del Comune di Milano con la giunta Filippetti democraticamente eletta, il «Corriere» non ebbe una parola di condanna; e ciò neppure il giorno successivo, in occasione dell’assalto militare di duecento fascisti con bombe e mitragliatrici alla sede dell’«Avanti!» di via Settala. È solo dopo il delitto Matteotti che avvenne la rottura tra il regime e il giornale, che fu sequestrato in continuazione, finché alla fine del 1925 il fascismo costrinse la proprietà a licenziare Albertini e, come tutta la stampa italiana, anche il «Corriere della Sera» fu asservito al regime. Il 14 febbraio 1943 la sede di via Solferino fu bombardata e la direzione trasferì parte della tipografia. Dopo l’8 settembre e l’occupazione nazista di Milano, diversi redattori, tra i quali Montanelli e Afeltra, non si presentarono più al giornale. Il grande sciopero del marzo 1944 vide protagonisti anche i tipografi del «Corriere», che per tre giorni impedirono l’uscita dell’edizione pomeridiana. Come tutti i luoghi strategici della città, anche la tipografia del «Corriere» in via Sol146

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ferino fu occupata la mattina del 25 aprile da un gruppo di partigiani comunisti e fu usata per far uscire l’edizione straordinaria de «L’Unità» con la notizia dell’insurrezione. Per qualche settimana «L’Unità» e l’«Avanti!» furono stampati in via Solferino, mentre il «Corriere della Sera» fu sospeso per decisione del CLN. Riprese dopo il 21 maggio come «Corriere d’Informazione», e nel 1946 come «Nuovo Corriere della Sera». – Guido Lorenzetti

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12. Arena civica Indirizzo

Viale Giorgio Byron 2

Luogo della prima esecuzione di antifascisti nella Milano occupata, il 19 dicembre 1943.

All’Arena civica di viale Byron, a fianco del parco Sempione, avvenne il primo eccidio decretato da un tribunale fascista durante l’occupazione nazista a Milano, il 19 dicembre 1943. Fu deciso come rappresaglia per l’agguato gappista al federale della Repubblica Sociale Italiana Aldo Resega, che era stato ucciso il giorno precedente presso la sua abitazione in via Fratelli Bronzetti. La sera stessa un tribunale straordinario fascista condannò a morte otto uomini già detenuti a San Vittore per attività antifascista, sia pure estranei all’uccisione di Resega: Carmine Capolongo, Fedele Cerini, Giovanni Cervi, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Carlo Mendel, Amedeo Rossin, Giuseppe Ottolenghi. Oggi all’esterno dell’Arena è posta una targa di marmo in loro memoria, mentre all’interno nel punto, dove avvenne la fucilazione è un cippo con la scritta «qui caddero per la causa della libertà il 19 dicembre 1943». Non di tutti i condannati abbiamo chiare e sicure informazioni. Giovanni Cervi, ingegnere e capo dell’ufficio tecnico alla Caproni di Taliedo, apparteneva alle formazioni di «Giustizia e Libertà»; il ventiduenne Giuseppe Ottolenghi era figlio del noto socialista Giorgio Ottolenghi; il dott. Carlo Leone Mendel, ebreo di origine tedesca, attivo nella A.R.I., Associazione Radiotecnica Italiana, aveva curato i contatti radio per le prime formazioni di Resistenza. Carmine Capolongo, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Fedele Cerini e Amedeo Rossin erano legati in modi diversi al gruppo «Cinque Giornate - San Martino di Vallalta - Varese», comandato dal tenente colonnello dei bersaglieri Carlo Croce. Sono controverse le vicende di Cerini e Rossin, già condannati a morte dal colonnello Croce: Rossin per avere agito con azioni isolate e temerarie mettendo anche a repentaglio l’incolumità del gruppo; Cerini, fatto ben più grave, perché accusato, oltre che di piccoli furti, di aver complottato con i fascisti di Varese. – Massimo Castoldi

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13. Poligono della Cagnola Indirizzo

Piazzale Francesco Accursio

Luogo della fucilazione di tre partigiani il 31 dicembre 1943.

Il poligono di tiro della Cagnola in piazzale Accursio è il luogo dove il 31 dicembre 1943 furono uccisi da militi fascisti i tre partigiani Gaetano Andreoli, Arturo Capettini e Cesare Poli. Era con loro anche l’avvocato liberale Angelo Scotti, che fu invece graziato e poi deportato a Mauthausen, dove morì l’8 luglio 1944. Una lapide in granito rosa li ricorda tutti e quattro. Furono condannati a morte da un «Tribunale Militare Straordinario» fascista la mattina stessa del 31 dicembre. Il processo durò dieci minuti. Condotti al Poligono verso le 11 del mattino, fu loro letta la sentenza. Ognuno scrisse su un pezzettino di carta il proprio nome e se lo appuntò al petto per essere riconosciuto; consegnarono al sacerdote presente, don Giovanni Cazzaniga, i pochi oggetti loro rimasti e gli indumenti più personali per le famiglie. Uno pare avesse voluto levarsi perfino le scarpe. Erano già pronte le bare. Furono poi condotti sullo spiazzo antistante al lato destro del Poligono, dove era schierato un plotone tutto italiano, che sparò alle 12 e 30 ai tre che si tenevano per mano. Fu fucilato in quel frangente anche un certo Sergio Dell’Acqua, pare un delinquente comune, che i tre non vollero fosse confuso con loro. Andreoli era un barbiere e faceva parte con Angelo Scotti di quel «Comitato Militare Lombardo», che fu una delle prime organizzazioni della Resistenza sorte subito dopo l’occupazione tedesca, insieme con Poldo Gasparotto, Arturo Martinelli e Napoleone Tirale, poi uccisi a Fossoli. Poli era un operaio e teneva i contatti con i partigiani del San Martino, portando loro anche i medicinali forniti dalla casa farmaceutica di Roberto Lepetit. Capettini era un militante comunista dal 1921. La sua casa milanese, dove aveva un negozio di accessori di bicicletta, era diventata un centro di raccolta di armi e di viveri per le formazioni partigiane del San Martino e della Val d’Ossola, oltre ad essere ricovero per patrioti perseguitati, prigionieri inglesi e greci. – Massimo Castoldi

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14. Stazione di Milano Greco Pirelli Indirizzo

Piazzale Egeo 8

Luogo della fucilazione di tre ferrovieri partigiani il 15 luglio 1944 in seguito ad un sabotaggio.

Fino al 1923 comune separato da Milano, Greco, entrato a far parte del tessuto urbano, fu noto soprattutto come snodo ferroviario, per il quale passavano tutte le ferrovie anulari che circondavano Milano con lo smistamento del traffico in ogni direzione. Durante la dominazione nazista la stazione di Greco aveva pertanto una grande importanza strategica, anche perché vi si trovavano le più importanti officine di riparazioni del Nord Italia, presidiate in permanenza dalle SS. Da lì passarono, nell’inverno 1943-44, trecentomila tonnellate di merci dirette in Germania, segno dell’asservimento totale del sistema industriale italiano alle esigenze belliche della Wehrmacht. I nazisti cercarono anche di mimetizzare gli edifici dipingendoli di verde e giallo, per proteggerli dai bombardamenti alleati. È evidente che molte azioni di sabotaggio della Resistenza fossero concentrate sulle linee ferroviarie, sia per ridurre la spoliazione del nostro patrimonio industriale, sia per liberare i prigionieri rinchiusi nei carri diretti ai lager. Si parla di oltre 5500 azioni di sabotaggio nell’Italia settentrionale, con distruzione di centinaia di locomotive, vagoni e ponti. Il 25 giugno 1944 a Milano Greco i partigiani attaccarono la stazione e l’officina, diverse esplosioni distrussero sette locomotive tedesche e un importante deposito di carburante. Per rappresaglia i tedeschi fecero fucilare da militi della legione Ettore Muti, tre ferrovieri, Antonio Colombi, Carlo Mariani e Siro Mazzetti, che non erano responsabili dell’attentato, ma che, scrive il «Corriere della Sera» del 16 luglio 1944 su ordine del Comando tedesco, «distribuendo volantini e scritti comunisti incitanti il popolo all’assassinio e ad atti di sabotaggio… si erano messi allo stesso livello dei sabotatori, appoggiandoli e quindi condividendone le colpe». Il 23 aprile 1945 alla stazione di Greco il magazzino di approvvigionamento fu conquistato dai partigiani, dopo il disarmo delle guardie fasciste. Il 24 i ferrovieri di Greco andarono in aiuto degli operai della vicina Pirelli, che combattevano per salvare la fabbrica dalla distruzione. Il 26 fu bloccato un treno merci in partenza per la Germania: i partigiani riuscirono a conquistarlo e a portarlo in salvo a Corsico. Oggi la vecchia stazione di Milano Greco non esiste più ed è stata sostituita dalla nuovissima stazione Greco-Pirelli. Sopravvive, però, nel ricordo dei tanti che anche lì hanno lottato per conquistare la libertà per il nostro Paese. – Guido Lorenzetti

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15. Piazzale Loreto Indirizzo

Piazzale Loreto

Luogo dove il 10 agosto 1944 furono uccisi quindici partigiani su ordine tedesco e dove il 29 aprile 1945 furono portati i corpi di Benito Mussolini e altri gerarchi.

In Piazzale Loreto all’alba del 10 agosto 1944 quindici detenuti per motivi politici, senza aver subito alcun processo e avere alcuna condanna specifica, prelevati dal carcere di San Vittore, senza conforti umani e religiosi, furono uccisi su ordine tedesco da un plotone fascista della Legione Muti. Il presidio della zona fu affidato all’Aeronautica repubblicana e a circa trenta militi della Brigata nera «Aldo Resega». La fucilazione fu scomposta e violenta. Qualcuno tentò invano la fuga. Ci riuscì soltanto Eraldo Soncini, che ferito a un polpaccio fu rincorso fino a un sottoscala di via Palestrina 9 da due militi fascisti della brigata «Resega», dove fu ucciso nel punto nel quale oggi è una lapide che ricorda l’episodio. Il corpo fu riportato con un autocarro sul Piazzale. I corpi furono lasciati esposti per l’intera giornata. Non sono chiare le ragioni che determinarono la scelta di quei quindici uomini di età, posizioni politiche, professioni diverse, ma certamente tra gli ispiratori degli scioperi di marzo del 1944 e alcuni di essi esponenti di primo piano dei rinascenti partiti politici: Antonio Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo Del Riccio, Andrea Esposito, Domenico Fiorani, Umberto Fogagnolo, Tullio Galimberti, Vittorio Gasparini, Emidio Mastrodomenico, Angelo Poletti, Salvatore Principato, Andrea Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo, Vitale Vertemati. L’eccidio fu presentato dal comando tedesco come una forma di rappresaglia contro due ordigni esplosi l’8 agosto a un autocarro tedesco, che sostava a Milano in viale Abruzzi all’altezza del n. 77, ma quell’esplosione non causò la morte di alcun tedesco, bensì di sei passanti, tutti italiani. Una stele commemorativa in granito all’angolo con via Andrea Doria, opera dello scultore Giannino Castiglioni, sostituì nel 1960 un precedente cippo di marmo giallo, che era stato collocato il 10 agosto 1945 poco più avanti verso Corso Buenos Aires nel punto dove avvenne la fucilazione. A due giorni dalla Liberazione era ormai voce diffusa in città che il popolo milanese avesse «spontaneamente dato al Piazzale Loreto il nome di Piazzale Quindici Martiri» e nel pomeriggio del 28 aprile 1945 si incontrarono sul Piazzale alcuni parenti dei martiri prima con le organizzazioni dei Gruppi di Difesa della Donna e poi con le brigate partigiane di Cino Moscatelli. Presero la parola in quell’occasione il figlio di 154

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Eraldo Soncini, Franco, e Marcella Chiorri vedova di Salvatore Principato. Era incominciato così il processo di costruzione della memoria e del riscatto di Milano dall’oppressione nazi-fascista, quando verso le 3 e 40 del 29 aprile furono scaricati sul piazzale da un camion proveniente da Como i corpi di Benito Mussolini, Claretta Petacci e di altri sedici ministri ed esponenti di spicco della Repubblica Sociale Italiana fucilati a Dongo. Presto si diffuse la notizia in città e una folla incontrollata si adunò sul piazzale, costringendo verso le 11 il servizio d’ordine con l’aiuto dei vigili del fuoco ad appendere i corpi almeno delle sette figure più rappresentative del fascismo alla pensilina del distributore di benzina all’angolo con Corso Buenos Aires e ad allontanare la folla con gli idranti. Verso mezzogiorno fu condotto sul luogo anche Achille Starace, ex segretario generale del Partito Nazionale Fascista, arrestato e processato in modo sommario in un’aula del Politecnico, e subito fucilato sul piazzale. Nel primo pomeriggio i corpi furono rimossi. – Massimo Castoldi

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16. Viale Tibaldi Indirizzo

Viale Tibaldi 26

Luogo in cui il 28 agosto 1944 quattro partigiani vennero fucilati dai militi della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”.

Il 28 agosto 1944, alle 19.30, i militi della Legione «Ettore Muti» bloccarono viale Tibaldi, misero al muro quattro partigiani, arrestati e seviziati nelle ore precedenti, e li fucilarono, lasciando esposti i loro corpi sino a sera inoltrata. Oggi, in viale Tibaldi 26, una lapide li ricorda. Si tratta di Albino Abico, di anni 25, Giovanni Alippi, 24 anni, Bruno Clapiz, 41 e Maurizio Del Sale, di anni 47. Abico, Alippi e Del Sale facevano parte, insieme a Mario Negroni, del «gruppo di Assiano», sorto nella primavera del 1944, che agiva in collegamento con le formazioni dell’Ossola, contribuendo a rifornirle di armi e materiali. Avevano, poi, preso contatto a Milano con il Gap di Ruggero Brambilla («Nello»), per il trasporto di un carico d’armi in val d’Ossola, trattenendosi per qualche giorno presso l’85a brigata Garibaldi «Valgrande Martiri». Mentre stavano per rientrare a Milano, si univa a loro anche Bruno Clapiz, che aveva chiesto e ottenuto dal suo comandante, il «capitano Mario» (Mario Muneghina), di operare in città. A Milano, dunque, i quattro formavano il Gap distaccamento della 85a brigata , il «Gap Mendel» (o «3a brigata Gap-II distaccamento») alle dipendenze di Brambilla, con il compito di approvvigionare del necessario la brigata di montagna. Il 7 agosto, Abico, Alippi e Negroni percorrevano in macchina le strade di Milano, lanciando numerose copie dell’edizione straordinaria de «l’Unità» e manifestini «inneggianti alla liberazione di Firenze». Pochi giorni dopo, Alippi e Del Sale, insieme ad altri, riuscivano a disarmare i militi di un posto di blocco a Porta Vigentina, prima di essere arrestati con Abico e Clapiz, forse in seguito a una delazione, nella bottiglieria «Roma» di viale Tibaldi, di proprietà di Daniele Richini, un sappista della 113a brigata Garibaldi Sap, poi deportato a Mauthausen, che era solito ospitarli. Sulle dinamiche dell’arresto, tuttavia, le fonti divergono. In un caso si sostiene che il fermo e l’arresto dei quattro partigiani sia avvenuto il 26 agosto, e che per due giorni siano stati torturati nelle carceri fasciste e poi riportati il 28 in viale Tibaldi e quindi fucilati. Nell’altro che l’arresto, le torture e la fucilazione siano avvenuti nello stesso giorno, a distanza di ore. – Roberta Cairoli

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17. Campo Giuriati Indirizzo

Via Carlo Pascal 6

Giardino dove avvennero tre esecuzioni di partigiani nei primi mesi del 1945.

Si entra da via Ponzio 34, nella così detta Città Studi, si percorre qualche metro e sulla destra c’è un giardino, in fondo ancora a destra è il luogo dove tra gennaio e marzo 1945 avvennero fucilazioni di partigiani detenuti e sommariamente processati da tribunali fascisti. Il primo eccidio avvenne il 14 gennaio 1945, quando un plotone del Battaglione azzurro dell’Aeronautica militare ebbe l’ordine di fucilare nove ragazzi del Fronte della Gioventù, di età compresa tra i diciotto e i ventidue anni, alcuni operai alla T.I.B.B. e alla Geloso: Sergio Bazzoni, Renzo Botta, Arturo Capecchi, Attilio Folli, Roberto Giardino, Roberto Ricotti, Giuseppe Rossato, Giancarlo Serrani, Luciano Rossi. I ragazzi erano tutti attivi e residenti nella zona compresa tra piazzale Corvetto e porta Romana e avevano maturato il loro antifascismo nelle fabbriche durante gli scioperi del marzo 1944. Furono condannati a morte dal fascista Tribunale militare regionale di guerra di Milano presieduto dal generale Pasquale Spoleti, con sentenze conservate e datate 11 e 12 gennaio 1945. Il successivo 2 febbraio furono fucilati nello stesso luogo i gappisti, quasi tutti della 3a Brigata d’assalto Garibaldi, Luigi Campegi, Venerino Mantovani, Vittorio Resti, Oliviero Volpones, Franco Mandelli. Campegi era tra i più noti capi partigiani, aveva trentun anni ed era già stato arrestato nel dicembre 1943. Fu anche in Valsesia presso le formazioni di Cino Moscatelli. Mantovani era operaio dell’Olap e aveva quarantatré anni; Resti quarantotto, Volpones quaranta. Il più giovane Franco Mandelli apparteneva alla 182a Brigata Garibaldi e aveva soltanto vent’anni. Recenti indagini ricostruiscono un terzo episodio, cioè la fucilazione del partigiano Luigi Arcalini, appartenente alla divisione Aliotta, brigata Crespi, nato a Voghera il 3 dicembre 1920, ivi avvenuta per opera di alcuni militi della legione Muti il 18 marzo 1945. – Massimo Castoldi

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18. Via Botticelli Indirizzo

Via Sandro Botticelli angolo Via Giuseppe Colombo

Luogo della fucilazione di quattro giovanissimi partigiani appartenenti al Fronte della Gioventù il 6 gennaio 1945.

In via Botticelli avvenne una strage particolarmente efferata, di cui sappiamo ancora poco. Nell’inverno tra il 1944 e il 1945 era in corso una grande ondata repressiva che colpì molto duramente anche il Fronte della Gioventù di Eugenio Curiel. I suoi giovanissimi attivisti erano impreparati ad affrontare la rete di spie e delazioni messa in atto dal regime e in molti caddero prigionieri. Tullio Di Parti, Orazio Maron e Giancarlo Tonissi avevano 16 anni, Giuseppe Bodra ne aveva 18. Tutti militavano nel Fronte. Orazio Maron era impegato all’azienda tranviaria, lavorava nelle officine di via Teodosio e militava anche nella 10a Brigata Matteotti. Furono arrestati dal battaglione azzurro di Piazza Novelli, forse sorpresi a trasportare stampa antifascista, oppure identificati durante il lancio di volantini nel Cinema Pace di corso Buenos Aires in cui erano stati coinvolti. Vennero torturati per alcuni giorni e uccisi il 6 gennaio; i loro corpi furono deposti sul marciapiede, nella neve, laddove ora si trova la lapide che li ricorda. – Cristina Palmieri

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19. Fabbrica Innocenti Indirizzo

Via Raffaele Rubattino 81

Protagonista degli scioperi del 1943 e 1944 e uno dei centri più attivi della Resistenza a Milano.

«L’azienda industriale Innocenti viene fondata dall’ingegner Ferdinando Innocenti per la produzione di tubi senza saldatura, – si legge sull’Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza a cura di Pietro Secchia ed Enzo Nizza – negli anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale la fabbrica venne attrezzata per la produzione bellica, in particolare per la fabbricazione di proiettili. Con il passaggio dell’azienda alla produzione bellica si registrò un progressivo aumento di manodopera: i dipendenti che all’origine erano un migliaio, salirono a seimila nel 1939-40. La manodopera era costituita per il 70 per cento da donne che, pur costrette a compiere lavori pesanti, venivano pagate con retribuzioni assai inferiori a quelle maschili. Poiché il trattamento salariale degli uomini era di per sé già basso, esisteva nell’azienda uno stato di scontento permanente e di tensione che offriva ai gruppi antifascisti organizzati un fertile terreno di azione sindacale e politica». Nel marzo del 1943 gli operai delle grandi fabbriche del Nord scioperano per «la pace e per il pane». «Nel marzo 1943 allorché anche a Milano, sull’esempio di quanto stava accadendo a Torino, “l’Unità” clandestina diffuse la parola d’ordine dello sciopero, all’Innocenti trovò un terreno fertile. Il 24 marzo gli operai scioperarono e buona parte delle rivendicazioni furono accolte». «L’occupazione tedesca seguita all’armistizio dell’8 settembre 1943 inferse un serio colpo all’organizzazione politica nella fabbrica. Numerosi quadri dirigenti furono costretti ad abbandonare la fabbrica per sottrarsi alla cattura. Ricostituito con nuovi quadri il gruppo dirigente, nel giro di pochi mesi, l’Innocenti diventò uno dei centri più attivi della lotta di Liberazione a Milano: si formarono le prime Sap poi raggruppate nella 194a Brigata Garibaldi». A dicembre riprendono all’Innocenti le agitazioni che si protraggono dal 13 al 17 dicembre 1943. «Nell’inverno, come in tutte le grandi fabbriche all’Innocenti si va organizzando un gruppo clandestino della Resistenza che nel gennaio-febbraio 1944 effettua continui sabotaggi». I lavoratori persistono nella loro opera di sabotaggio e di preparazione ai grandi scioperi del marzo 1944. Il primo marzo 1944 inizia alle ore 10 lo sciopero anche all’Innocenti di Lambrate. Il drammatico andamento dello sciopero all’Innocenti costò la 162

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deportazione a Mauthausen di quindici lavoratori. «Siamo stati arrestati la sera del 10 marzo 1944» – racconta l’operaio dell’Innocenti Adamo Sordini in una testimonianza registrata su audiocassetta nell’aprile del 1992 da Giuseppe Valota, Presidente dell’Aned di Sesto San Giovanni – «e ci hanno portato subito a San Vittore, dove siamo rimasti cinque giorni. Poi ci hanno portato a Bergamo, nel carcere di Sant’Agata a Bergamo Alta. Qui non c’era più posto. Allora hanno parlottato tra loro e ci hanno portato giù a Città Bassa, alla caserma 68° fanteria, in Borgo Santa Caterina. Hanno radunato tutti i lombardi, i liguri e i piemontesi. Eravamo circa 650-660 e il 17 marzo siamo partiti da Bergamo, alle ore 13,30, sfilando per le vie della città, con a fianco i parenti e curiosi, dalla stazione ferroviaria e siamo arrivati a Mauthausen il 20 marzo 1944». Ai dodici lavoratori dell’Innocenti che non fecero ritorno sono dedicati: una lapide alla Camera del Lavoro di Lambrate in via Conte Rosso 30, una lapide all’interno della fabbrica INNSE di via Rubattino e un cippo in piazza Vigili del Fuoco. – Roberto

Cenati

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20. Fabbrica Olap Indirizzo

Piazza Leonardo da Vinci ang. Via Benedetto Spinoza

Stabilimento del gruppo tedesco Siemens, protagonista degli scioperi del 1943 e 1944 e centro in cui sorsero i Gruppi di Difesa della Donna.

La Olap sin dagli inizi della Prima Guerra Mondiale faceva parte del gruppo tedesco Siemens. Lo stabilimento si trovava tra piazza Piola, piazza Leonardo da Vinci e via Spinoza. Durante la Seconda Guerra Mondiale la fabbrica contava tremila operai di cui millesettecento donne. La Olap costituiva un complesso tra i più importanti, per il particolare tipo di produzione strettamente legata alla guerra: strumentazione di altissima precisione per radiofonia e telefonia. La fabbrica ha dato un notevole contributo alla Resistenza con atti di sabotaggio alla produzione bellica, introduzione di armi nei sotterranei dello stabilimento, scioperi e attività clandestina che videro protagoniste soprattutto le donne operaie. Con il peggioramento della situazione alimentare, l’aggravamento dei problemi legati al riscaldamento e al vestiario, negli anni successivi all’entrata in guerra dell’Italia, si registrano alla Olap le prime manifestazioni di protesta agli inizi del 1943, sfociate nello sciopero attuato nei giorni successivi al 24 marzo di quello stesso anno. Nell’inverno del 1943 sorgono all’interno della Olap, sotto la guida di Elena Rasera, i Gruppi di Difesa della Donna, addetti alla distribuzione di volantini e di materiale di propaganda. Elena Rasera, la partigiana «Olga», organizzò lo sciopero del marzo 1944 in fabbrica, cui aderirono circa cinquecento donne. Nel corso dello sciopero, dopo aver tolto la corrente, furono prima le donne a uscire proteggendo così gli uomini che erano più esposti agli arresti e alle rappresaglie. In fabbrica agiva anche Gilberto Carminelli che verrà poi fucilato a Cima di Porlezza il 21 gennaio 1945, insieme ad altri cinque partigiani. Nel corso del dopoguerra al posto dello stabilimento trasferito in altra sede, viene costruito in via Spinoza un supermercato sul muro del quale è stata affissa una lapide che ricorda i lavoratori della fabbrica caduti per la Libertà. – Roberto Cenati

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21. Fabbrica Bianchi Indirizzo

Piazza Graziadio Isaia Ascoli

Celebre fabbrica di biciclette, diede un contributo attivo agli scioperi del 1943 e 1944 e alla Resistenza a Milano.

La gloriosa fabbrica di biciclette Bianchi sorgeva a pochi passi dall’istituto magistrale Virgilio di piazza Ascoli (ex Tonoli) adiacente alla caserma dell’Aeronautica di piazza Novelli (ex Italo Balbo). Nelle vicinanze della fabbrica si era insediata la 7a Brigata nera Aldo Resega, compagnia Tonoli, che raccoglieva fascisti, a detta dei protagonisti di quegli anni, come l’operaio della Bianchi e partigiano della 116a Brigata Garibaldi Amilcare Bestetti, tra i peggiori: «Là finivano i compagni e gli antifascisti sospettati ed era meglio non entrarci. Lì picchiavano duro». Nel dopoguerra la vasta area occupata dallo stabilimento con i suoi capannoni è stata demolita per far posto a edifici di un certo pregio. Le vicende della Bianchi ci sono state raccontate da Amilcare Bestetti in una intervista in audiocassetta registrata il 18 febbraio 1985 da Antonio Quatela. Amilcare Bestetti entra nella fabbrica nel 1925 come apprendista attrezzista a 17 anni e mezzo, quando il fascismo si stava consolidando come regime autoritario. La sua adesione all’antifascismo è dovuta soprattutto al contatto con gli anziani operai di Turro e di Greco. Bestetti racconta che il numero dei lavoratori della Bianchi contrari al fascismo alla fine degli anni Venti è abbastanza consistente. Anche se, purtroppo, la stragrande maggioranza degli operai aderiva al fascio. Gli anni Trenta segnano per Bestetti e per molti suoi compagni di fabbrica la scelta di resistere al regime di Mussolini. Poi, con la Guerra di Spagna, cresce sempre di più una forte attività di resistenza ai fascismi che avevano invaso l’Europa. È in quegli anni che aumenta la diffusione di giornaletti e volantini, mentre in fabbrica crescono i simpatizzanti. Uno dei momenti sicuramente più importanti prima della caduta del 25 luglio 1943 di Mussolini è stato lo sciopero del marzo 1943. «Quello sciopero alla Bianchi – dichiara Bestetti – andò bene, proprio bene e diede una scossa alla baracca di Mussolini. È a causa di quello sciopero che spesso si discuteva anche con gli operai fascisti delle nostre condizioni di vita e a chi faceva comodo la guerra. Quelle discussioni sono state utili per tanti lavoratori che ingenuamente credevano in quel Mussolini. Purtroppo la reazione del regime non si fece aspettare. Alla Bianchi, dopo lo sciopero, portarono via dieci operai. Uno solo di quei compagni tornò vivo dai campi di concentramento tedeschi dopo il 25 aprile del 1945». – Roberto Cenati 166

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22. Officine ATM Teodosio Indirizzo

Via Teodosio 89

Le Officine ATM hanno avuto un ruolo fondamentale nello sciopero dei tranvieri del marzo 1943 e nelle giornate della Liberazione di Milano.

Le officine di via Teodosio furono ultimate negli anni ’20 e da allora svolgono il loro ruolo di riparazione e manutenzione delle vetture tranviarie. L’edificio ospita anche il deposito tranviario che si affaccia su via Leoncavallo. Nei mesi dell’occupazione le officine divennero un punto importante per l’organizzazione antifascista all’interno dell’Azienda. Mentre i socialisti legati alla figura di Giovanni Buscaglia ottenevano di poter gestire la mensa e si impegnavano per dare protezione agli oppositori, molti dei più giovani parteciparono direttamente all’attività clandestina, all’interno del Partito comunista o socialista. In particolare gli operai di via Teodosio furono, fra i tranvieri, il centro propulsore dello sciopero del marzo 1943. Grazie all’impegno di propaganda e al lavoro di sabotaggio delle vetture, alle quali vennero tolti i «manettini», la città rimase ferma per quasi quattro giorni e i trasporti pubblici vennero riattivati solo con la precettazione dei lavoratori e il terrore scatenato dall’ondata di arresti operata dalla milizia fascista. Alla conclusione dell’agitazione il prefetto Piero Parini, come amara beffa, fece ricadere sui lavoratori il costo dei danni provocati dai militanti dei Guf e dagli avieri che avevano tentato, con poco successo, di guidare i tram. È importante sapere che questo episodio non rimase un unicum nella storia resistenziale dell’Atm: a partire dall’autunno del 1944 il Comitato di agitazione e il Cln aziendale organizzarono molte astensioni dal lavoro e proteste per le dure condizioni economiche. Inoltre diversi operai di via Teodosio si arruolarono nelle Sap, nelle Brigate Matteotti e nella 110a Brigata Garibaldi. All’interno delle officine e dei depositi il loro ruolo fu quello di impedire i furti di materiale da parte degli occupanti tedeschi che si preparavano alla ritirata. Durante le giornate dell’insurrezione le officine furono controllate direttamente dalla 110 a Brigata Garibaldi; i reparti divennero luogo di aggregazione di tutto il quartiere, si organizzò una mensa popolare e l’ospitalità per i partigiani scesi dalle montagne. La 110a Brigata combatté nel quartiere di Lambrate contro i tedeschi asserragliati all’Innocenti e negli scontri avvenuti presso la stazione. – Cristina Palmieri

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23. Politecnico di Milano Indirizzo

Piazza Leonardo Da Vinci 32

Centro attivo di Resistenza al Fascismo grazie al rettore Gino Cassinis e a numerosi professori e studenti.

Come in tutte le università italiane anche al Politecnico furono numerose le adesioni di docenti e studenti al fascismo: nel 1931 erano centoquindici i professori iscritti al Partito Nazionale Fascista e tra il 1922 e il 1940 furono diciassette i casi di destituzione e allontanamento dall’università per motivi politici e undici per motivi razziali. Ciò nonostante, il 29 gennaio 1944 il collegio dei professori votò all’unanimità il nuovo rettore Gino Cassinis, che non prestò giuramento alla Repubblica Sociale Italiana. Con Cassinis il Politecnico divenne un importante centro operativo per la Resistenza. Il rettore si attivò, infatti, in prima persona, sia all’interno dei pochi spazi di ufficialità concessi dalla RSI, sia in diretta collaborazione con il CLN. Coprì iniziative cospirative, protesse studenti e personale non in regola con il servizio militare, nascose strumenti scientifici per sottrarli alla requisizione, intervenne presso le autorità tedesche e italiane per ottenere permessi, generi di prima necessità e materiali vari. Per iniziativa dell’ing. Bruno Setti, responsabile del servizio di protezione antiaerea, si costituirono squadre di azione partigiana che avevano al Politecnico il proprio deposito d’armi. Nei sotterranei dell’università fu anche installato un centro radio clandestino, con radiotrasmittente e centralino telefonico, diretto dal prof. Gian Battista Boeri e dall’ing. Francesco Moschettini, arrestato nel settembre 1944 e deportato a Mauthausen, dove morì nel gennaio 1945. Analogo destino ebbe il prof. di termotecnica, Michelangelo Böhm, deportato a seguito della legislazione antisemita e morto ad Auschwitz con la moglie Margherita Luzzatto. Vittime illustri nella lotta per la libertà furono lo studente di architettura Giorgio Labò, nato a Modena nel 1919, fucilato a Roma a Forte Bravetta il 7 marzo 1944 da un plotone della Polizia dell’Africa Italiana, e Gianfranco Mattei, assistente di Giulio Natta e poi docente di chimica analitica. Nell’ottobre del 1943 Mattei scelse la lotta clandestina e si trasferì a Roma dove si dedicò alla realizzazione di ordigni per i gruppi partigiani. Arrestato e torturato in via Tasso, si uccise in carcere il 7 febbraio 1944. Aveva ventisei anni. A Mattei fu dedicata un’aula del Politecnico e nel 1953 una targa con epigrafe di Piero Calamandrei presso la sua casa di via Lazzaretto 16. Durante l’insurrezione nazionale dell’aprile 1945 l’ateneo fu occupato militarmente 170

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dalla 116a Divisione Garibaldi e dal comitato delle Brigate SAP per una quindicina di giorni. In un’aula dell’università fu processato il 28 aprile 1945 l’ex gerarca fascista Achille Starace, poi fucilato in Piazzale Loreto. Gino Cassinis, divenuto già nel 1945 membro del Comitato Onoranze Caduti per la Libertà, rimase rettore fino al 1960, per poi essere nominato sindaco di Milano dal gennaio 1961 al 13 gennaio 1964, data della sua morte. – Massimo Castoldi

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24. Palazzo Mezzanotte Indirizzo

Piazza degli Affari 6

Sede della Borsa Valori, ebbe un ruolo importante nella Resistenza a Milano.

L’architetto Paolo Mezzanotte iniziò nel 1927 a progettare il palazzo destinato a ospitare sia la Borsa Valori, sia tutte le Borse merci. Con un ritardo dovuto alla scoperta, nelle fondamenta, dei resti di un teatro romano, la nuova sede della Borsa fu inaugurata nel 1932. Per dare risalto alla monumentale facciata di marmo bianco, con timpano sovrastante e quattro enormi colonne a sostenerlo, l’architetto aveva previsto un grande slargo antistante al palazzo, ma a causa delle mancate demolizioni di edifici circostanti, ciò rimase solo un progetto, compromettendo in parte la solennità dell’insieme per mancanza di una sufficiente prospettiva. Si trattava comunque di una struttura all’avanguardia, con un sistema di aria condizionata e un quadro elettrico luminoso, dove si potevano leggere contemporaneamente le quotazioni dei settantotto titoli ammessi. Non mancava un bar-ristorante-balera, chiamato Taverna Ferrario, cui si accedeva per un’entrata laterale e discreta, in modo che la sacralità del luogo fosse salvaguardata. La sala delle «grida», in cui fino al 1987 si sono svolte le contrattazioni a voce, oggi visitabile, è così detta perché per contrattare titoli di borsa si gridava sempre e con voce potente. Il fascismo non amava troppo le Borse valori. Se è vero che uno dei primi provvedimenti del governo Mussolini, nel novembre 1922, fu l’abolizione della nominatività azionaria, che era quanto chiedevano a gran voce gli industriali e i capitalisti del Nord, è altrettanto vero che, una volta ottenuto il loro soddisfatto appoggio, il regime non poteva apprezzare più di tanto l’esistenza di un mercato libero, che contrastava con il proprio dirigismo corporativo. Già nel 1925 i decreti De Stefani limitarono fortemente l’attività di Borsa. Il resto lo avrebbe fatto la crisi del 1929. La Borsa di Milano rappresentò, comunque, anche tra le due guerre, il sistema industriale italiano e nel 1945 un palazzo Mezzanotte miracolosamente in piedi in mezzo alle rovine di Milano rappresentò in parte l’Italia destinata a risorgere. Il «principe di piazza Affari» fu Antonio Foglia negli anni Trenta e subito dopo la Liberazione, quando diventò presidente del Comitato direttivo degli agenti di cambio. Fino agli anni Ottanta lo fu Aldo Ravelli, cui è dedicata la Fondazione Memoria della Deportazione. Procuratore di borsa del primo, e compagno di deportazione a Gusen (Mauthausen) del secondo fu Andrea Lorenzetti, eroe della resistenza antinazista, che dettò proprio a Ravelli le sue ultime volontà prima di morire a Gusen il 15 maggio 1945. – Guido Lorenzetti 172

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25. Palazzo dell’Arcivescovado Indirizzo

Piazza Fontana 2

Luogo dell’incontro tra il Comitato di Liberazione Nazionale e Benito Mussolini per trattare la resa il 25 aprile 1945.

In piazza Fontana si trova il palazzo arcivescovile di Milano, già rifatto nel Cinquecento da Pellegrino Tibaldi su incarico di Carlo Borromeo e ristrutturato soprattutto nella facciata nel Settecento da Giuseppe Piermarini, che disegnò anche la fontana posta al centro dell’omonima piazza. Qui regnava dal 1929 Ildefonso Schuster, romano di origine bavarese, che aveva cercato di compromettersi il meno possibile con il fascismo, del quale rifiutava l’ideologia antiebraica e le leggi razziali, anche se ne aveva benedetti labari e insegne. Durante la guerra, dopo aver inviato un telegramma in latino al cardinale di New York Spellmann, chiedendogli di intercedere presso i militari americani al fine di ottenere una sospensione dei bombardamenti sulle città (telegramma rimasto senza risposta), Schuster cercò di ricavarsi un ruolo nell’ultima fase dell’occupazione tedesca, in modo da evitare distruzioni e massacri, ma anche una temuta «insurrezione comunista bolscevica». Fin dal settembre-ottobre 1944 nel palazzo si svolsero incontri segreti fra il cardinale e i tedeschi. Il cardinale si offriva formalmente di agire come mediatore tra il Comando nazista e il CLN, col patto che i tedeschi si sarebbero astenuti da ogni distruzione o neutralizzazione sistematica dell’industria italiana e i partigiani si sarebbero trattenuti da azioni offensive o di sabotaggio contro le forze armate germaniche. La richiesta del cardinale al CLNAI di impegnarsi a non attaccare le truppe della Wehrmacht durante la futura evacuazione fu tuttavia respinta. Nel suo libro Gli ultimi tempi di un regime Schuster ricorda la visita dell’ambasciatore tedesco Rahn del 19 aprile 1945, quella del 22 aprile del maresciallo Graziani che parlò a lungo, «come sogliono fare i meridionali», quella del console Wolff. La giornata storicamente più decisiva fu quando, nel primo pomeriggio del 25 aprile 1945, Mussolini si presentò al palazzo insieme a Graziani e altri, per incontrarvi i rappresentanti del CLNAI. Prima però ebbe un colloquio privato con il cardinale (che gli offrì un bicchierino di rosolio e gli regalò una vita di San Benedetto). Come è noto, alla richiesta di resa incondizionata da parte del CLNAI Mussolini chiese un’ora di tempo per dare una risposta, se ne tornò in prefettura e decise poi di partire verso Como. Vi fu ancora un contatto tra i collaboratori del cardinale e il colonnello tedesco Rauff 174

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il 26 aprile. Il segnale della definitiva liberazione di Milano fu portato in Arcivescovado dalla visita di Antonio Greppi, nuovo sindaco della Milano liberata, nonostante l’opposizione dei partiti di sinistra del CLNAI. La visita, definita «cortese», durò mezz’ora e si concluse con il regalo al sindaco di un libro su Sant’Ambrogio. Era il 29 aprile del 1945. – Guido Lorenzetti

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26. Palazzo dell’Aeronautica Militare Indirizzo

Piazza Ermete Novelli 1

Sede del Comando Aeronautico dal 1941 e rifugio per centinaia di militari tedeschi dopo il 25 aprile.

Nel 1935 il Comune di Milano affidò all’ingegner Secchi, autore dell’edificio della piscina Cozzi, la progettazione del nuovo Comando Aeronautico, da erigersi in piazza Italo Balbo (oggi piazza Novelli). Iniziata nel 1938 la costruzione terminò in piena guerra mondiale, nel 1941, anche se le opere di finitura furono completate solo nel 1948. Secondo le disposizioni dell’autarchia l’edificio fu costruito interamente con materiali nazionali, in particolare marmi apuani. A forma di trapezio occupa gran parte dell’isolato ed è costituito da due palazzi e due caserme. Non manca la cappella della Madonna Lauretana, patrona degli aviatori. È qui che si rifugiarono, dopo il 25 aprile 1945, centinaia di militari tedeschi, armati di tutto punto, per cercare di sfuggire alle forze partigiane e attendere l’arrivo degli alleati. Le scarse forze dei GAP e dei SAP non erano in grado di giungere a una manovra risolutiva, fino a quando il 27 aprile la situazione si sbloccò con l’arrivo a Milano delle colonne dell’Oltrepò, guidate dal comandante Luchino Dal Verme, che si sistemarono nelle vicine scuole di viale Romagna. All’alba del 28 aprile due distaccamenti dell’Oltrepò, accompagnati da alcune unità SAP, circondarono il palazzo e occuparono tutti i punti strategici. Secondo il racconto di Giovanni Pesce «un partigiano armato controlla ogni finestra del piano terreno, pronto ad intervenire. Altri partigiani tengono sotto tiro le finestre dei piani superiori. I tedeschi si rifugiano nei sotterranei e fanno sapere che si arrenderanno soltanto alle “forze regolari”». La risposta di Luchino Dal Verme, intervistato nel gennaio 2013, fu: «noi partigiani, soltanto noi partigiani, siamo in questo momento le forze regolari». Seguirono diverse ore di tensione, nelle quali la richiesta tedesca di una ‘trattativa’ fu respinta da Dal Verme che volle la resa senza condizioni. Lo stesso comandante dice di aver temuto che qualche partigiano perdesse la calma e cominciasse a sparare, mentre il suo obiettivo era di evitare altri spargimenti di sangue. «Finché» – ricorda Dal Verme – «all’improvviso un capitano tedesco, “grande e grosso”, dice ai suoi: “È finita, arrendiamoci”». E infatti, continua Pesce, «i tedeschi, dopo essere corsi a prendere i propri effetti personali, escono a gruppi dagli scantinati, buttano le armi allineandosi in perfetto ordine». Resta ancora un momento rischioso quando, spiega ancora il comandante Dal Verme, egli scese nei sotterranei a controllare la situazione. Ma tutto era a posto. – Guido Lorenzetti 176

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27. Casa dello Studente Indirizzo

Viale Romagna 62

La residenza dell’Istituto per il il Diritto allo Studio fu rifugio di numerosi soldati nazisti dopo il 25 aprile 1945.

Storica residenza dell’Istituto per il Diritto allo Studio (Istituzione Regionale Lombarda) del Politecnico, progettata e costruita nel 1934 dall’ingegner Italo Azimonti, ha ospitato generazioni di ingegneri e architetti. La residenza è articolata su cinque piani, dei quali uno interamente adibito ad ambienti collettivi. Il 25 aprile del 1945 nella Casa si sono asserragliate consistenti forze tedesche, come nel vicino Palazzo dell’Aeronautica, nell’hotel Regina e nella Casa dei Martinitt. Scrive Giovanni Pesce: «dalla casa dello Studente, in viale Romagna, sparano. Alcuni giovani tentano di snidarli». Anche qui sono mandati, il 27 aprile, dopo la riuscita evacuazione del Palazzo dell’Aeronautica, i partigiani delle Brigate dell’Oltrepò, comandati da Luchino Dal Verme. A differenza della precedente operazione, protrattasi per varie ore in un’atmosfera di grande tensione, qui il Comandante, in un’intervista del febbraio 2013, ricorda che i suoi uomini arrivarono a cose quasi fatte e che i tedeschi si stavano già arrendendo ai partigiani di Milano. – Guido Lorenzetti

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28. Monumento ai Morti nei campi di sterminio Indirizzo

Piazzale Cimitero Monumentale

Memoriale realizzato dallo studio di architettura BBPR posto a destra dell’ingresso del Cimitero Monumentale, copia di quello già lì collocato nell’estate 1945.

Passato l’ingresso del Cimitero Monumentale di Milano è subito visibile a destra il monumento dedicato a tutti i «Morti nei campi di sterminio nazisti». Fu uno dei primissimi monumenti dedicati specificamente alle vittime dei campi di sterminio in Europa, progettato e realizzato nell’estate 1945 da Enrico Peressutti e Lodovico Barbiano di Belgiojoso del noto studio di architettura BBPR, fondato a Milano nel 1932 e così detto dalle lettere iniziali dei suoi quattro componenti: Gian Luigi Banfi, Belgiojoso, Peressuti, Ernesto Nathan Rogers. Banfi e Belgiojoso subirono la deportazione a Mauthausen, dove Banfi morì nel sottocampo di Gusen il 10 aprile 1945. Il 12 agosto 1945, al termine di tre giorni di celebrazioni per il primo anniversario della strage di Piazzale Loreto, fu portata al Cimitero Monumentale una gamella, miski, contenente la terra di Mauthausen, e qui, secondo la stampa coeva, già si sarebbe trovato il monumento. La struttura, formata da tubolari metallici dipinti di bianco, disegna una griglia tridimensionale, che nasce dall’intersezione tra le figure di un cubo e di una croce greca. Al centro, circondata da filo spinato, è posta la gamella contenente la terra di Mauthausen. La regolarità della figura è contraddetta dalla posizione asimmetrica delle lapidi riportanti brani del Discorso della Montagna, tratto dal Vangelo secondo Matteo, che costituisce il fondamento dell’etica cristiana. Quella oggi visibile è la terza versione del monumento, che è di fatto la ricostruzione del progetto iniziale. La semplicità dei materiali, l’essenzialità del segno, l’esigenza di razionalità rappresentano la negazione più evidente dell’ampollosa retorica fascista. La presenza della terra di Mauthausen nel cuore della struttura lineare starebbe a indicare che la ragione può contenere e deve trattenere il germe, il mostro, della distruzione, ma che al tempo stesso sempre lo cova in sé, mai lo annienta definitivamente e, al primo cedimento, questo nuovamente la distrugge. – Massimo Castoldi

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29. Loggia dei mercanti Indirizzo

Via dei Mercanti

Antico loggiato dove sono affisse diciannove lastre in bronzo coi nomi dei caduti per la libertà. Luogo simbolo dell’antifascismo milanese.

La Loggia dei mercanti sovrastata dal medioevale Palazzo della Ragione, all’inizio di via Mercanti, si scorge da piazza del Duomo, sulla destra, voltando le spalle alla cattedrale. È il luogo simbolo della memoria della Resistenza milanese, dove diciannove lastre di bronzo conservano dal 1953 i nomi dei caduti per la libertà di Milano. Fin dai giorni successivi al 25 aprile 1945 i cittadini milanesi avevano posto qui su provvisori basamenti di legno le fotografie dei caduti coperte di fiori. Qui giungevano i cortei commemorativi e vi si tenevano discorsi. Il 1° giugno 1952 sotto la Loggia furono commemorate le due donne ebree Giulia Leoni Voghera e la figlia Augusta, barbaramente uccise nel lager di Bolzano. Lo stesso anno, l’11 ottobre, sotto la Loggia furono ricordati Sergio Papi, Luigi Fossati e Ugo Cellini, i tre soldati partigiani processati come disertori e fucilati il 19 ottobre 1944 a Münsingen, in Germania, dove era un campo di addestramento militare. La posa delle lastre fu la conseguenza inevitabile di questa partecipazione, che rendeva lo spazio luogo di memoria per moto spontaneo dei cittadini. Il Comitato Onoranze Caduti per la Libertà, che raggruppava le principali associazioni nate dalla Resistenza ed era presieduto dal sindaco della Liberazione Antonio Greppi, in accordo col Comune di Milano, ne affidò la compilazione, che durò due anni, a Marcella Chiorri Principato, segretaria del Comitato, con la partecipazione di tutte le associazioni di caduti e con la fidata collaborazione di Nelda Fontana, moglie del dottor Ciro Fontana, segretario particolare del Sindaco. È il primo tentativo di compilare un elenco dei caduti, che per questo presentò enormi difficoltà. Le lastre furono inaugurate nell’ottavo anniversario della Liberazione, il 25 aprile 1953, alle ore 10 della mattina con una cerimonia alla quale presero parte rappresentanze di varie associazioni partigiane e familiari dei caduti. Parlarono Ferruccio Parri e Antonio Greppi. – Massimo Castoldi

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30. Campo della Gloria al Cimitero Maggiore Indirizzo

Piazzale Cimitero Maggiore

Nel campo 64 del Cimitero Maggiore sono sepolti partigiani e militari caduti durante la guerra di Liberazione.

Il campo n. 64 del Cimitero Maggiore di Milano, detto Musocco, in fondo a viale Certosa è il campo dove sono sepolti i partigiani e i militari caduti durante la guerra di Liberazione. Vi si accede entrando nel Cimitero e imboccando il primo viale a destra dell’ingresso principale. La più recente ristrutturazione fu inaugurata il 24 aprile 1997 con lo scoprimento dell’opera copia del «Partigiano fucilato» di Marino Mazzacurati (1955), a sua volta situata dal 1968 nel Cimitero della Villetta di Parma. Le tombe sono allineate una di seguito all’altra e recano il nome e la fotografia del caduto. Oggi una serie di lapidi ne fa un luogo di memoria di tutti i caduti e i deportati milanesi. Il Cimitero Maggiore era divenuto luogo di memoria già nei primi giorni del 1945, quando ancora Milano era dominata dall’oppressione nazi-fascista. Qui erano stati sepolti alcuni partigiani e su quelle tombe la popolazione si raccoglieva, manifestando il proprio dissenso al regime, ma anche organizzando la Resistenza. Il campo allora era il campo n. 60. La prima sistemazione del campo fu affidata al Comitato Onoranze Caduti per la Libertà, presieduto da Antonio Greppi, sindaco della Liberazione, e fu assegnata, a seguito di un concorso, all’architetto Umberto Comolli, che progettò la stele altissima e sei pale laterali che avrebbero dovuto raccogliere i nomi dei Caduti. All’esterno due fontanelle avrebbero erogato l’acqua necessaria al Campo. Il 25 aprile 1948 fu posta la prima pietra del Monumento, nella quale fu murata una pergamena che portava questa dicitura: «Ad iniziativa del Comitato Onoranze Caduti per la Libertà di Milano e Provincia, viene posta oggi, 25 aprile 1948, la prima pietra del Monumento che ricorderà ai Posteri Coloro che fecero eroico sacrificio della vita all’Italia e alla Libertà. 1922 ­ 1945». Seguivano le firme degli ispiratori del progetto. Il monumento fu poi inaugurato il 6 novembre 1949. – Massimo Castoldi

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31. Monumento ai Piccoli Martiri di Gorla Indirizzo

Piazza dei Piccoli Martiri

Inaugurato nel 1947, ricorda le centinaia di bambini morti insieme ai loro insegnanti sotto le bombe americane del 20 ottobre 1944.

Tragedie come quella della scuola di Gorla hanno almeno il merito di mostrare in modo netto e inequivocabile la follia della guerra. I protagonisti sono da un lato una squadriglia di bombardieri americani e dall’altro centinaia di bambini di Milano che, il 20 ottobre 1944, insieme ai loro insegnanti, si trovavano a scuola, come di solito fanno tutti i bambini del mondo. La squadriglia 451, composta di trentasei bombardieri e comandata dal colonnello James Knopp, era decollata quella mattina da Foggia con il compito di distruggere gli stabilimenti della Breda di Sesto San Giovanni. Dopo aver sbagliato varie manovre, fu costretta a rientrare alla base, senza aver potuto portare a termine la missione: doveva, però, scaricare le bombe, perché era pericoloso atterrare con il carico di esplosivi. Invece di farlo sulle campagne della pianura padana, o sul mare Adriatico, il comandante ordinò di sganciare le bombe immediatamente sul centro abitato. E così sui quartieri di Gorla e Precotto si riversarono, alle 11 e 29 del mattino, quasi ottanta tonnellate di esplosivo, molte delle quali sulla scuola elementare «Francesco Crispi». Morirono centottantaquattro bambini, che non avevano fatto in tempo a raggiungere i rifugi e si trovavano sulle scale, e quasi tutti i loro insegnanti. Morirono sotto i bombardamenti quel giorno complessivamente seicentoquattordici persone. Il «Corriere della Sera» del 21 ottobre 1944 intitolò nella pagina milanese Strage di bimbi – sotto le macerie di una scuola e descrisse la tragedia con accenti commossi: «Una quarantina di apparecchi nemici, apparsi in formazione serrata sul cielo della città verso le 11e 30, ha sganciato bombe alla periferia distruggendo case operaie, colpendo abitazioni di pacifici cittadini, seminando la strage in una scuola elementare di Gorla». Nel dopoguerra i genitori delle piccole vittime costituirono un comitato per ottenere dal Comune il terreno dove sorgeva la scuola, nel frattempo demolita completamente, e costruirvi un monumento-ossario. Dopo qualche difficoltà, perché il Comune aveva deciso di vendere il terreno ai privati, il sindaco Greppi s’impegnò personalmente a concederlo al Comitato. Alla fine, dopo una lunga e difficile raccolta fondi tra i genitori, nel 1947 si poté inaugurare il monumento realizzato dallo scultore Remo Brioschi. E tutti gli anni, il 20 ottobre, si commemorano a Milano i Piccoli Martiri di Gorla. – Guido Lorenzetti 186

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32. Tempio civico di San Sebastiano Indirizzo

Via Torino 28

Monumento a un tempo civile e religioso, conserva dal 1970 la tomba dell’internato ignoto.

In via Torino al n. 28 si trova il tempio civico di San Sebastiano, che mantiene lo status ambiguo di monumento a un tempo civile e religioso, fin da quando fu costruito in seguito a un voto per la fine della peste del 1576. Qui si tennero il 10 agosto 1945 e 1946 le messe ufficiali in memoria dei Quindici martiri di Piazzale Loreto. Dal 1970 vi si trova la tomba dell’internato ignoto, posta sotto la seconda cappella di sinistra, dove è una Pietà di marmo di Benedetto Cacciatori. Una lapide reca l’iscrizione: «Non più reticolati nel mondo | riposa in pace | internato ignoto | nel vigesimoquinto anno | dalla Liberazione | 1945 A.N.E.I. 1970». La salma di questo anonimo soldato morto in Germania a Francoforte, pare il 26 marzo 1945 a seguito dello scoppio di una granata, rientrò in Italia nel maggio 1952 e il mese dopo vi fu sul sagrato del Duomo una grande cerimonia alla presenza del cardinale Ildefonso Schuster, del sindaco di Milano Virgilio Ferrari, ex-deportato a Bolzano, e di Antonio Greppi per il Comitato Onoranze Caduti per la Libertà. La salma fu tumulata in San Sebastiano diciotto anni dopo, il 21 giugno 1970, su iniziativa del sindaco Aldo Aniasi, con una messa solenne di monsignor Carlo Manziana, vescovo di Crema ed ex-deportato a Dachau. – Massimo Castoldi

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www.mi4345.it

Il 14 aprile 2015 è stato reso pubblico il sito internet www. mi4345.it che, attraverso una mappa georeferenziata e interattiva accessibile da computer, tablet o smartphone, guida cittadini e visitatori tra i luoghi della memoria della città di Milano alla scoperta del passato che edifici, strade e piazze portano con sé in modo quasi invisibile.

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Albergo regina e Metropoli Sede dei Comandi della SIPO-SD e della Gestapo, agli ordini di Theodor Saevecke.

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Tra il 10 e il 12 settembre 1943 a Milano l’Albergo Regina fu occupato da reparti della divisione Waffen SS – Leibstandarte Adolf Hitler. Il 13 settembre fu poi requisito dai nazisti, circondato da barriere di filo spinato, casematte in cemento armato e illuminato di notte da potenti cellule fotoelettriche. In esso si insediarono i comandi della Sicherheitspolizei-Sicherheitdienst (SIPO-SD, Polizia e Servizi di sicurezza delle SS) – la centrale informativa più completa al servizio dell’apparato di polizia tedesco in Italia – e della Gestapo, la polizia politica dipendente dalla SIPO. Ben presto, all’interno del sistema di polizia nazista, il «Regina» diventò a Milano uno dei principali centri per la cattura, il sequestro, gli interrogatori e la tortura di partigiani, ebrei e civili sospettati di collaborare attivamente con la Resistenza, operando in strettissima connessione con i corpi di polizia e le forze armate della Repubblica Sociale Italiana (Rsi). Il comando interregionale della SIPO-SD comprendente Piemonte, Lombardia e Liguria fu affidato al colonnello Walter Rauff, quello interprovinciale al capitano Theodor Saevecke, responsabile dell’Aussenkommando di Milano (Comando Avanzato), da dove diresse e coordinò la repressione antipartigiana e la caccia agli ebrei. Le vittime, una volta arrestate, venivano condotte all’albergo Regina, dove all’ultimo piano si trovavano le celle di sicurezza, erano sottoposte a lunghi interrogatori e torture, infine mandate al carcere di San Vittore – che dipendeva dal «Regina» – per poi essere di nuovo prelevate per ulteriori interrogatori. In alcuni casi le vittime venivano direttamente avviate ai trasporti in partenza dal binario 21 della stazione Centrale per essere deportate sulla base delle liste predisposte nella sede delle SS. Il 30 aprile 1945, dopo venti mesi di occupazione, le SS, protette dai mezzi corazzati americani e sotto le armi puntate dai partigiani, lasciarono l’Hotel Regina. Nel dopoguerra le atrocità compiute in Italia dal colonnello Rauff e dal capitano Saevecke sarebbero rimaste impunite. Il primo, evaso dal campo di concentramento di Rimini, morì in Cile nel 1984; il secondo, processato soltanto nel 1999 dal Tribunale Militare di Torino, fu condannato in contumacia all’ergastolo per avere ideato, in qualità di comandante della SIPO-SD di Milano, richiesto e organizzato l’eccidio di Piazzale Loreto. Fu necessario attendere il 27 gennaio 2010 perché una targa commemorativa fosse posta sulla facciata dell’edificio.

Roberta Cairoli

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PROGETTO LUOGHI AZIONI NEWS SCRIVICI CERCA

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Azioni urbane

In occasione del 25 aprile 2015, 70° anniversario della Liberazione, sono state realizzate alcune azioni sullo spazio pubblico per mettere in connessione i contenuti multimediali alla realtà urbana.

Mappa della Memoria Appigli di Memoria Itinerario tra i luoghi della memoria Racconti di memorie nascoste Mostra Design Resistente

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Mappa della Memoria A partire dal 14 aprile 2015 sono state diffuse per la città di Milano 4000 mappe cartacee dei luoghi della memoria. Utile strumento per muoversi in città e allo stesso tempo scoprire la memoria storica conservata nei luoghi urbani, la Mappa della Memoria indica sul fronte la localizzazione dei luoghi della Resistenza, delle deportazioni e della Liberazione a Milano e sul retro ne fornisce una breve spiegazione, collegandoli ai contenuti multimediali tramite QR Code. I blocchi di mappe sono stati lasciati in più di 40 punti diversi della città: i luoghi del Fuorisalone durante la Milano Design Week, i luoghi dei trasporti pubblici, i locali frequentati dai milanesi, oltre ad altre sedi più istituzionali quali l’infopoint del Politecnico di Milano, la libreria del Piccolo Teatro Grassi di Milano, l’assessorato alla Cultura del Comune di Milano, l’informagiovani, la sede del Corriere della Sera, Palazzo Marino e la sede dell’Ordine degli Architetti.

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01. Palazzo Castani

11. Palazzo del “Corriere della Sera”

Piazza San Sepolcro 9 [C3]

Via Solferino 28 [B3]

Luogo della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento il 23 marzo 1919. Dal 1921 al 1943 sede del Partito Nazionale Fascista di Milano e dal 1943 al 1945 del Partito Fascista Repubblicano.

Il quotidiano “Corriere della Sera” fu organo di propaganda del regime, ma anche centro di opposizione durante gli scioperi del marzo 1944.

02. Casa Turati Kuliscioff

12. Arena civica

Portici Galleria 23 [C4]

Viale Giorgio Byron 2 [B3]

Dal 1891 al 1926 redazione della rivista “Critica Sociale” e centro vitale del socialismo e del primo antifascismo milanese.

Luogo della prima esecuzione di antifascisti nella Milano occupata, il 19 dicembre 1943.

03. Camera del Lavoro di Milano

13. Poligono della Cagnola

Corso di Porta Vittoria 43 [C5]

Piazzale Francesco Accursio [A1]

Sede dei Sindacati Fascisti dell’Industria e dopo il 25 aprile 1945 sede del sindacato libero. Sul piazzale venne uccisa Stella Zuccolotto da tre fascisti armati, il 23 aprile 1946.

Luogo della fucilazione di tre partigiani il 31 dicembre 1943.

04. Sede dell’“Avanti!”

14. Stazione di Milano Greco Pirelli

Via Lodovico Settala 22 [B5]

Piazzale Egeo 8 [A5]

Sede del quotidiano socialista “Avanti!” dal 1921, fu oggetto di ripetuti attacchi fascisti.

Luogo della fucilazione di tre ferrovieri partigiani il 15 luglio 1944 in seguito ad un sabotaggio.

05. Albergo Regina e Metropoli

15. Piazzale Loreto

Via Santa Margherita 6 ang. Via Silvio Pellico 7 [C4]

Piazzale Loreto [A5]

Sede dei Comandi della SIPO-SD e della Gestapo, agli ordini di Theodor Saevecke.

Luogo dove il 10 agosto 1944 furono uccisi quindici partigiani su ordine tedesco e dove il 29 aprile 1945 furono portati i corpi di Benito Mussolini e altri gerarchi.

16. Viale Tibaldi

06. Palazzo Carmagnola

Viale Tibaldi 26 [D3]

Via Rovello 2 [C3]

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Sede centrale del Comando e dell’ufficio politico della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”; dal 1947 ospita il Piccolo Teatro Grassi.

Luogo in cui il 28 agosto 1944 quattro partigiani vennero fucilati dai militi della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”.

07. Villa Hike

17. Campo Giuriati

Via Carlo Ravizza 51 [B1]

Via Carlo Pascal 6 [B6]

Sede dell’ufficio politico della Brigata Nera “Aldo Resega” e del “Gruppo David”, un servizio speciale di spionaggio e controspionaggio diretto da Tommaso David.

Giardino dove avvennero tre esecuzioni di partigiani nei primi mesi del 1945.

08. Villa Fossati

18. Via Botticelli

Via Paolo Uccello 19 [B1]

Via Sandro Botticelli angolo Via Giuseppe Colombo [B6]

Nota come Villa Triste, nell’estate del 1944 fu sede della “Banda Koch”, ovvero del reparto speciale della polizia repubblicana. Oggi ospita un istituto religioso.

Luogo della fucilazione di quattro giovanissimi partigiani appartenenti al Fronte della Gioventù il 6 gennaio 1945.

09. Carcere di San Vittore

19. Fabbrica Innocenti

Piazza Gaetano Filangeri 2 [C2]

Via Raffaele Rubattino 81 [B6]

Principale luogo di detenzione di prigionieri politici, partigiani, scioperanti, ebrei, spesso poi destinati ai campi di concentramento e di sterminio.

Protagonista degli scioperi del 1943 e 1944 e uno dei centri più attivi della Resistenza a Milano.

10. Stazione di Milano Centrale

20. Fabbrica Olap

Piazza Duca d’Aosta 1 [A5]

Piazza Leonardo da Vinci ang. Via Benedetto Spinoza [B6]

Luogo di partenza dei treni per i campi di concentramento e di sterminio e centro attivo di Resistenza. Sotto la stazione oggi sorge il Memoriale della Shoah (Piazza Edmond J. Safra).

Stabilimento del gruppo tedesco Siemens, protagonista degli scioperi del 1943 e 1944 e centro in cui sorsero i Gruppi di Difesa della Donna.

MI4345 – Topografia della Memoria


21. Fabbrica Bianchi

31. Monumento ai Piccoli Martiri di Gorla

Piazza Graziadio Isaia Ascoli [B5]

Piazza dei Piccoli Martiri [A6]

Celebre fabbrica di biciclette, diede un contributo attivo agli scioperi del 1943 e 1944 e alla Resistenza a Milano.

Inaugurato nel 1947, ricorda le centinaia di bambini morti insieme ai loro insegnanti sotto le bombe americane del 20 ottobre 1944.

22. Officine ATM Teodosio

32. Tempio civico di San Sebastiano

Via Teodosio 89 [A6]

Via Torino 28 [C3]

Le Officine ATM hanno avuto un ruolo fondamentale nello sciopero dei tranvieri del marzo 1943 e nelle giornate della Liberazione di Milano.

Monumento a un tempo civile e religioso, conserva dal 1970 la tomba dell’internato ignoto.

23. Politecnico di Milano Piazza Leonardo da Vinci 32 [B6]

Centro attivo di Resistenza al Fascismo grazie al rettore Gino Cassinis e a numerosi professori e studenti.

Un progetto di

Testi di

Marco Mazzola Alessandro Menini

Roberta Cairoli

FIAP - Federazione Italiana Associazioni Partigiane

Scuola di Architettura e Società Politecnico di Milano

Coordinato da

24. Palazzo Mezzanotte Piazza degli Affari 6 [C3]

Sede della Borsa Valori, ebbe un ruolo importante nella Resistenza a Milano.

Massimo Castoldi

Fondazione Memoria della Deportazione

Roberto Cenati

Massimo Castoldi

ANPI provinciale di Milano

Fondazione Memoria della Deportazione

In collaborazione con

Debora Migliucci

Associazione Archivio del Lavoro

Michela Bassanelli Gennaro Postiglione

Guido Lorenzetti

Fondazione Memoria della Deportazione

Design for Conflict Heritage Lab www.designforconflictheritage.net DAStU - Politecnico di Milano

Cristina Palmieri

Studiosa di storia contemporanea

25. Palazzo dell’Arcivescovado Piazza Fontana 2 [C4]

Luogo dell’incontro tra il Comitato di Liberazione Nazionale e Benito Mussolini per trattare la resa il 25 aprile 1945.

26. Palazzo dell’Aeronautica Militare Piazza Ermete Novelli 1 [B6]

Sede del Comando Aeronautico dal 1941 e rifugio per centinaia di militari tedeschi dopo il 25 aprile.

27. Casa dello Studente Viale Romagna 62 [B6]

La residenza dell’Istituto per il il Diritto allo Studio fu rifugio di numerosi soldati nazisti dopo il 25 aprile 1945.

28. Monumento ai Morti nei campi di sterminio Piazzale Cimitero Monumentale [A3] Memoriale realizzato dallo studio di architettura BBPR posto a destra dell’ingresso del Cimitero Monumentale, copia di quello già lì collocato nell’estate 1945.

29. Loggia dei Mercanti

MI4345 – Topografia della Memoria è un progetto di mappatura e comunicazione dei luoghi della memoria storica della città di Milano. Racconta le vicende che furono presupposto, conseguenza e che segnarono la Resistenza, le deportazioni nei campi di sterminio e di internamento in Europa e la Liberazione. La mappa guida cittadini e visitatori alla scoperta del passato che edifici, strade e piazze portano con sé in modo quasi invisibile. I QR Code, opportunamente inquadrati con smartphone o tablet, collegano alle schede di approfondimento dei luoghi sul sito internet www.mi4345.it. Gli spazi della città e il paesaggio, che assorbono il corso della storia e ne restituiscono memoria nel tempo attraverso un insieme di tracce tangibili o intangibili, si rivelano nuovi testimoni delle eredità difficili. Costruire una relazione tra memorie, luoghi e vita quotidiana permette di avvicinare le persone alla storia, stimolandole ad una presa di coscienza del proprio passato. _

Via dei Mercanti [C3]

www.mi4345.it | progetto@mi4345.it

Antico loggiato dove sono affisse diciannove lastre in bronzo coi nomi dei caduti per la libertà. Luogo simbolo dell’antifascismo milanese.

Promosso da

30. Campo della Gloria al Cimitero Maggiore Piazzale Cimitero Maggiore [A1]

In collaborazione con

Con il patrocinio di

Nel campo 64 del Cimitero Maggiore sono sepolti partigiani e militari caduti durante la guerra di Liberazione.

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Appigli di Memoria Per intercettare l’atteso flusso di persone che avrebbe affollato gli spazi della città durante la Milano Design Week e in vista di Expo 2015, in corrispondenza dei luoghi della memoria mappati sul sito internet www.mi4345.it sono stati realizzati a terra dei QR Code che, opportunamente inquadrati con un dispositivo digitale, collegano alle relative schede di approfondimento curate da un team di storici coordinati da Massimo Castoldi, direttore della Fondazione Memoria della Deportazione. L’intervento temporaneo, che ha l’obiettivo di mettere in connessione i contenuti multimediali con la realtà urbana attraverso degli appigli di memoria, è stato possibile utilizzando degli stencil in cartoncino tagliati al laser e uno speciale gesso spray biodegradabile che, a contatto con l’acqua, si scioglie completamente senza lasciare residui. È stato così possibile riportare temporaneamente alla luce la profondità storica di alcuni luoghi della città che spesso si attraversano distrattamente o senza immaginare le storie che in essi sono conservate.

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Itinerario tra i luoghi della memoria Villard : 15 è un seminario itinerante di progettazione, a cadenza annuale, che vede coinvolte tredici scuole di architettura e ingegneria, italiane ed estere: Alghero, Ancona, Ascoli Piceno, Ljubljana, Milano, Napoli, Pescara, Palermo, Paris Malaquais, Patrasso, Reggio Calabria, Roma, Venezia e I’Ordine degli Architetti di Trapani. In occasione della tappa milanese del seminario (12 - 14 giugno 2014), che quest’anno ha affrontato il tema dell’eredità bellica nel territorio di Montefeltro, MI4345 – Topografia della Memoria è stato incaricato di preparare un itinerario tra i luoghi della Resistenza di Milano. Con la collaborazione del Politecnico di Milano e del prof. Massimo Castoldi, direttore della Fondazione Memoria della Deportazione, venerdì 13 giugno 2014 i 70 partecipanti di Villard sono stati accompagnati alla scoperta di alcuni luoghi fondamentali del passato recente della città, dei quali spesso i cittadini sono del tutto inconsapevoli. Il percorso ha previsto sette tappe in altrettanti luoghi di memoria: il Monumento ai caduti nei campi di concentramento al Cimitero Monumentale, la Loggia dei Mercanti, Palazzo Carmagnola, l’Albergo Regina e Metropoli, Piazzale Loreto, il Politecnico di Milano e infine il Campo Sportivo Mario Giuriati.

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Villard : 15 Paesaggi strategici e campi di battaglia Itinerario tra i luoghi della memoria di Milano Prof. Massimo Castoldi

Fondazione Memoria della Deportazione

Prof. Gennaro Postiglione Progetto europeo REcall

Arch. Michela Bassanelli Progetto europeo REcall

Prof. Andrea Gritti Villard : 15 - Milano

Marco Mazzola - Alessandro Menini vuotidimemoria.polimi-cooperation.org

Milano, 13 giugno 2014

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01 Monumento ai caduti nei campi di concentramento

Via dei Mercanti 1953

Il “Monumento ai caduti nei campi di concentramento”, realizzato nel 1946 dallo studio BBPR orfano di Gian Luigi Banfi (morto nel campo di Mathausen-Gusen il 10 aprile 1945), è una delle primissime architetture memoriali italiane specificamente dedicate alle vittime dei campi nazisti. Una gamella contente la terra di Mathausen fu portata al cimitero monumentale domenica 12 agosto 1945, in occasione del primo anniversario della fucilazione di quindici partigiani avvenuta a Milano in Piazzale Loreto il 10 agosto 1944, sancendo così una inscindibile connessione tra tragedia della deportazione e guerra di liberazione. Quella attualmente visibile è la terza versione del monumento e fu realizzata nel 1955. L’impegno dello studio BBPR rispetto al tema della memoria della guerra e della deportazione non si esaurì a Milano: negli anni seguenti gli architetti realizzarono altre architetture memoriali al campo di Mathausen-Gusen I (1967), al Castello Pio di Carpi (1973) e al campo di Auschwitz (1979).

Sulle diciannove lastre di bronzo poste sotto la Loggia dei Mercanti sono incisi 1737 nomi, senza distinzioni politiche e religiose, di caduti che ebbero una presenza nella città e nella provincia milanese perché vi nacquero, o perché vi lavorarono e vissero, o perché vi furono arrestati o uccisi. Molti nomi sono di persone deportate e morte nei campi in Germania. Le lastre furono inaugurate nel 1953 da Ferruccio Parri e Antonio Greppi (sindaco di Milano dal 27 aprile 1945 al 25 giugno 1951). Questo intervento per la memoria fu una delle principali opere che si devono al Comitato Onoranze Caduti per la Libertà, attivo a Milano tra il 1945 e il 1956 con lo scopo di conservare la memoria dei caduti milanesi, di assisterne i familiari e di coordinare le celebrazioni della Resistenza. Nato dalla solidale adesione di tutte le forze democratiche, sviluppò presto tensioni al suo interno e si sciolse nel febbraio 1956 in conseguenza di un uso strumentale della memoria che le forze politiche andavano imponendo in clima di Guerra fredda.

05 Piazzale Loreto

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02 Loggia dei Mercanti

Cimitero Monumentale 1946

06 Politecnico di Milano

Piazzale Loreto 10/08/1944 e 29/04/1945

Piazza Leonardo da Vinci 32 10/08/1944 e 29/04/1945

L’alba del 10 agosto 1944 quindici partigiani detenuti a San Vittore furono portati sul Piazzale Loreto. Senza processo, senza conforti umani e religiosi, forse anche senza essere messi con chiarezza a conoscenza del loro destino, furono uccisi su ordine tedesco da un plotone fascista e i loro corpi senza vita rimasero esposti per un’intera giornata. La vicenda dell’esecuzione è in parte nota, molto meno le ragioni che la determinarono, così come quelle che indussero alla scelta definitiva di quei quindici uomini. Nello stesso luogo, la mattina del 29 aprile 1945, furono depositati i corpi di Mussolini e dei gerarchi fascisti fucilati a Dongo. La voce si sparse velocemente in città e il piazzale si riempì presto di una folla di persone. Prima che quell’atmosfera diventasse pericolosa per l’ordine pubblico, i partigiani del servizio d’ordine decisero di appendere i corpi al traliccio del distributore di benzina che lì era situato. Lo stesso giorno, sul piazzale, avvenne anche la fucilazione di Achille Starace, ex segretario del Partito Nazionale Fascista.

Diretto in quegli anni da Gino Cassinis (sindaco di Milano nel dopoguerra), il Politecnico di Milano diventò un’importante base operativa della Resistenza, in collegamento con il Comando Piazza di Milano. Nei sotterranei dell’università era stato allestito un centro radio clandestino, con radiotrasmittente e centralino telefonico, diretto dal professor Gian Battista Boeri e dall’ingegner Francesco Moschettini. Un’altra importante figura legata al Politecnico fu Gianfranco Mattei, docente di chimica e realizzatore di ordigni per i gruppi partigiani, che fu arrestato e morì in carcere a Roma nel 1944. Nei giorni dell’insurrezione nazionale dell’aprile 1945, l’ateneo fu occupato militarmente dalla 116a Divisione Garibaldi e dal comitato delle Brigate SAP per una quindicina di giorni. In quell’occasione vi furono rinchiusi un centinaio di prigionieri tedeschi e fascisti e in un’aula dell’università fu processato il 28 aprile 1945 l’ex gerarca fascista Achille Starace, poi fucilato il giorno seguente in Piazzale Loreto.

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03 Palazzo Carmagnola

04 Albergo Regina e Metropoli

Via Rovello 2 09/09/1943 - 25/04/1945

Via Santa Margherita 16 13/09/1943 - 30/04/1945

Il rinascimentale Palazzo Carmagnola situato al numero 2 di via Rovello, che dal 1939 ospitava il Cinema Broletto, divenne dal settembre 1943 al 25 aprile 1945 la sede centrale del Comando della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, corpo dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana con compiti di polizia politica e militare. L’edificio disponeva di camere di sicurezza e celle di isolamento al primo e al secondo piano. Numerosi furono gli arresti operati, specialmente dai componenti della squadra mobile addetta all’ufficio politico investigativo. Gli arrestati venivano sottoposti a stringenti e ripetuti interrogatori spesso accompagnati da tortura in caso di non risposte o di affermazioni evasive. Dopo la fine della guerra, nel 1947, nello stesso edificio Paolo Grassi e Giorgio Strehler fondarono il Piccolo Teatro, che diressero insieme fino al 1967.

Tra il 10 e il 12 settembre 1943 le truppe tedesche occuparono Milano e, dal 13 settembre, l’Albergo Regina e Metropoli divenne la sede del quartier generale nazista in città, dove operavano i comandi della SIPO-SD (polizia e servizi di sicurezza delle SS), della Gestapo e dell’Ufficio IV B4, incaricato della persecuzione antiebraica. Da questa sede dipendeva anche il carcere di San Vittore. Fu luogo di interrogatori e tortura di partigiani, ebrei, oppositori politici, alla cui cattura collaborò intensamente l’ufficio politico investigativo della Legione Autonoma Ettore Muti. Nel gennaio 1945 la Polizia di Sicurezza arrestò Ferruccio Parri (vicecomandante del CVL) che da San Vittore fu trasferito qui e posto sotto stretta sorveglianza. Nei giorni dell’insurrezione dell’aprile 1945 l’Albergo Regina e Metropoli fu l’ultimo presidio nazista ad arrendersi; i soldati tedeschi lì asserragliati si decisero a cedere le armi solo il 30 aprile 1945, con l’entrata delle truppe statunitensi in città, che garantirono loro protezione e un regolare processo.

07 Campo sportivo Mario Giuriati (giardinetto) Via Ponzio 34 14/01/1945 e 02/02/1945 Accanto al campo sportivo Mario Giuriati (realizzato tra il 1928 e il 1933 e sede di eventi pubblici durante gli anni della dittatura) è situato un piccolo giardino pubblico con accesso da Via Ponzio. Inaugurato il 20 aprile 2009 grazie al contributo dell’ANPI e dei cittadini di Città Studi, è stato dedicato a quattordici partigiani uccisi nei primi mesi del 1945. Questo luogo, infatti, fu teatro dell’esecuzione di due condanne a morte decretate ed eseguite dai militi della Repubblica Sociale Italiana: il 14 gennaio 1945 furono fucilati nove ragazzi appartenenti al “Fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà”, organizzazione fondata a Milano nel 1944 che raccoglieva le forze partigiane giovanili senza distinzioni religiose e politiche; il 2 febbraio 1945 furono invece fucilati cinque membri della 3a GAP milanese. Oggi sul luogo dell’esecuzione sono presenti una lapide e un cippo commemorativo.

Villard : 15 Paesaggi strategici e campi di battaglia Itinerario attraverso i luoghi della Resistenza di Milano Prof. Massimo Castoldi

Fondazione Memoria della Deportazione

Prof. Gennaro Postiglione Progetto europeo REcall

Arch. Michela Bassanelli Progetto europeo REcall

Prof. Andrea Gritti Villard : 15 - Milano

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Milano, 13 giugno 2014

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Racconti di memorie nascoste Racconti di memorie nascoste è un itinerario sui luoghi della Resistenza, delle deportazioni e della Liberazione di Milano. Tra i 32 luoghi della memoria mappati e presenti sul sito internet www.mi4345.it per questa iniziativa ne sono stati scelti sei, alcune architetture note e meno note della città, sui quali gli storici che hanno scritto i relativi contenuti delle schede di approfondimento hanno raccontato di persona il passato che questi edifici conservano tra le loro mura. L’itinerario ha avuto luogo domenica 26 aprile 2015 con inizio alle ore 10 davanti al Deposito ATM di via Teodosio 89 e poi è proseguito con il seguente programma: ore 10:00 – Officine ATM Teodosio, via Teodosio 89 ore 11:00 – Palazzo dell’Aeronautica Militare, piazza Ermete Novelli 1 ore 12:00 – Camera del Lavoro di Milano, Corso di Porta Vittoria 43 ore 14:00 – Loggia dei Mercanti, via dei Mercanti ore 14:30 – Palazzo Carmagnola, via Rovello 2 ore 15:30 – Monumento ai Morti nei campi di sterminio, Cimitero Monumentale I luoghi sono stati raccontati da Massimo Castoldi (Fondazione Memoria Deportazione), Guido Lorenzetti (Fondazione Memoria della Deportazione), Roberta Cairoli (FIAP – Federazione Italiana Associazioni Partigiane), Debora Migliucci (Associazione Archivio del Lavoro) e Cristina Palmieri (studiosa di storia contemporanea).

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01 Officine ATM Teodosio

06 Monumento ai Morti nei campi di sterminio

02 Palazzo dell’Aeronautica Militare

05 Palazzo Carmagnola

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Loggia dei Mercanti

Camera del Lavoro di Milano

RACCONTI DI MEMORIE NASCOSTE

26 aprile 2015

5 storici per un itinerario tra il passato che le architettura della Resistenza, delle deportazione e della Liberazione di Milano conservano tra le loro mura. ore 10:00 - Officine ATM Teodosio, Via Teodosio 89 Cristina Palmieri ore 11:00 - Palazzo dell’Aeronautica Militare, Piazza Ermete Novelli 1 Guido Lorenzetti ore 12:00 - Camera del Lavoro di Milano, Corso di Porta Vittoria 43 Debora Migliucci ore 14:00 - Loggia dei Mercanti, Via dei Mercanti Massimo Castoldi ore 14:30 - Palazzo Carmagnola, Via Rovello 2 Roberta Cairoli ore 15:30 - Monumento ai Morti nei campi di sterminio, Piazzale Cimitero Monumentale Massimo Castoldi Promosso da

Con il patrocinio di

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In collaborazione con

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Mostra Design Resistente Marco Mazzola e Alessandro Menini, ideatori del progetto MI4345 – Topografia della Memoria, sono stati selezionati tra i giovani designer che hanno partecipato alla mostra Design Resistente all’Archivio Sacchi di Sesto San Giovanni dal 14 aprile al 1° maggio 2015. La mostra è organizzata in due sezioni. La prima, grazie a documenti provenienti dall’Archivio Giovanni Sacchi, dalla Fondazione ISEC e da altri archivi del design, fornisce il contesto per inquadrare il periodo storico e il contributo del mondo del progetto alla lotta per la Liberazione del nostro Paese. La seconda sezione, con l’intento di attualizzare il tema, ha chiamato alla collaborazione i designer divisi tra designer professionisti e giovani designer e studenti di grafica post diploma under 27 anni. L’allestimento ha previsto l’esposizione degli oggetti materiali del progetto: uno stencil e una bomboletta di gesso spray, gli strumenti usati per “taggare” temporaneamente i luoghi con dei QR Code, e un blocco di mappe, a disposizione dei visitatori per andare alla scoperta del passato che edifici, strade e piazze portano con sé in modo quasi invisibile.

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14 APRILE 2015

PROMOTORI

PARTNER

CON IL PATROCINIO DI

Comitato Provinciale Milano Regionale Lombardia

IN COLLABORAZIONE CON

LIBERAZIONE 1945 2015

Iniziativa realizzata con il contributo di Regione Lombardia

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Bibliografia

1945-1959 Mario Borsa, Memorie di un redivivo, Milano-Roma, Rizzoli, 1945; Pietro Nenni, Sei anni di guerra civile, Milano-Roma, Rizzoli, 1945; Ildefonso Schuster, Gli ultimi tempi di un regime, Milano, La Via, 1946; Riccardo Lombardi, Il libro bianco di Schuster, «Il Ponte. Rivista mensile di politica e letteratura diretta da Piero Calamandrei», anno II, n. 12, dicembre 1946; Antonio Greppi, Risorgeva Milano (1945-1951), Milano, Casa Editrice Ceschina, 1953; Piero Calamandrei, Uomini e città della Resistenza, Bari, Laterza, 1955; Luigi Pestalozza, Il processo alla Muti. Prefazione di Ferruccio Parri, Milano, Feltrinelli, 1956; Paolo Treves, Portici Galleria 23, in Esperienze e studi socialisti in onore di Ugo Guido Mondolfo, Firenze, La Nuova Italia, 1957, pp. 332-336. 1960-1969 Luigi Meda, La resistenza a Milano, in Fascismo e antifascismo (1936-1948). Lezioni e testimonianze, Milano, Feltrinelli 1962, pp. 577-587; Enzo Collotti, Dati sulle forze di polizia fasciste e tedesche nell’Italia 226

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settentrionale nell’aprile 1945, «Il Movimento di Liberazione in Italia», n. 71, aprile-giugno 1963, pp. 51-73; Frederick William Deakin, Storia della repubblica di Salò, Torino, Einaudi, 1963; Alberto Aquarone, L’organizzazione dello stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965; La Resistenza in Lombardia. Lezioni tenute nella Sala dei Congressi della Provincia di Milano (febbraio – aprile 1965), a cura del Comitato per le celebrazioni del XX anniversario della Resistenza. Istituto Lombardo per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Milano, Labor, 1965; Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965; Enzo Collotti, Documenti sull’attività del Sicherheitsdienst nell’Italia occupata, «Il Movimento di Liberazione in Italia», n. 83, aprile-giugno 1966, pp. 39-77; Renzo De Felice, La conquista del potere, 1921-1925, Torino, Einaudi, 1966. 1970-1979

Milano ha collocato solennemente fra le glorie civiche di S. Sebastiano le spoglie d’un ignoto caduto dei lager, «Bollettino Ufficiale Associazione Nazionale Ex-Internati», anno 20, n. 4, luglio-agosto 1970; Aldo Lualdi, La banda Koch, un aguzzino al servizio del regime, Milano, Bompiani, 1972; Ezio Bonfanti - Marco Porta, Città, museo e architettura. Il Gruppo BBPR nella cultura architettonica italiana 1932-1970. Introduzione di Paolo Portoghesi, Firenze, Vallecchi, 1973 [poi Milano, Hoepli, 2009]; Enzo Collotti, L’amministrazione tedesca nell’Italia occupata 1943-1945, Milano, Vangelista, 1974; Umberto Levra, Il colpo di stato della borghesia: la crisi politica di MI4345 – Topografia della Memoria

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fine secolo in Italia, 1896-1900, Milano, Feltrinelli, 1975; Franco Alasia, Gaetano Invernizzi dirigente operaio, Milano, Vangelista, 1976; Marino Gamba, Innocenti: imprenditore, fabbrica e classe operaia in cinquant’anni di vita italiana, prefazione di Alberto Martinelli, Milano, Mazzotta, 1976; Pietro Secchia – Enzo Nizza, Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, 1976; Giovanni Pesce, Quando cessarono gli spari: 23 aprile-6 maggio 1945: la liberazione di Milano, prefazione di Luigi Longo, Milano, Feltrinelli, 1977; Annibale Sclavi, Fuochi nell’Oltrepò, Milano, Vangelista, 1978; Le Brigate Garibaldi nella Resistenza: documenti, Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione, Istituto Gramsci, Milano, Feltrinelli, 1979. 1980-1989 Libero Cavalli – Carlo Strada, Il vento del Nord. Materiali per una storia del Psiup a Milano, 1943-45. Prefazione di Libero Biagi, Milano, Franco Angeli, 1982; Luigi Borgomaneri, Due inverni un’estate e la rossa primavera. Le brigate Garibaldi a Milano e Provincia (1943-1945), presentazione di Luigi Ganapini, Milano, Franco Angeli, 1985; Luigi Ganapini, Una città, la guerra: lotte di classe, ideologie e forze politiche a Milano, 1939-1951, Milano, Franco Angeli, 1988; Annamaria Galbani, Antifascismo e resistenza nel Politecnico di Milano, in Il Politecnico di Milano nella storia italiana (19141963). Introduzione di Enrico Decleva, Bari, Laterza, 1988, pp. 251-282; Elena Rasera: la partigiana «Olga», a cura di Giusto Perretta, Istituto Comasco per la Storia del Movimento di Liberazione, Como, graficoop, 1989. 1990-1999 228

MI4345 – Topografia della Memoria


Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, Torino, 1993; Marco Soresina, Gli arditi della Legione autonoma mobile Ettore Muti. Materiali per uno studio sociologico, in «Annali 2. Studi e strumenti di storia metropolitana milanese», a cura di Grazia Marcialis e Giuseppe Vignati, Istituto milanese per la storia della resistenza e del movimento operaio, Milano, FrancoAngeli, 1993, pp. 325-345; BBPR, a cura di Serena Maffioletti, Bologna, Zanichelli, 1994; «Annali 4. Studi e strumenti di storia contemporanea», a cura di Grazia Marcialis e Giuseppe Vignati, Istituto milanese per la storia della resistenza e del movimento operaio, Milano, FrancoAngeli, 1995;

Il segno della memoria 1945-1995. BBPR Monumento ai caduti nei campi nazisti, a cura di Ulrike Jehle-Schulte Strathaus e Bruno Reichlin, Milano, Electa, 1995; Il ruolo del Politecnico di Milano nel periodo della Liberazione, Atti del Convegno e catalogo della mostra, 6 aprile 1995, a cura di Andrea Silvestri, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1996; Il sacrificio dei partigiani, militari e deportati milanesi nella guerra di liberazione nazionale, 1943-1944-1945, a cura di Anpi e Compar, s.l., s.d. [1997]; Luigi Borgomaneri, Hitler a Milano. I crimini di Theodor Saevecke capo della Gestapo, Roma, Datanews editrice, 1997. 2000-2009

Massimiliano Griner, La “Banda Koch”. Il Reparto speciale di polizia 1943-1944, Torino, Bollati Boringhieri, 2000; Giorgio Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino, Einaudi, 2001; Massimiliano Griner, La pupilla del duce. La legione autonoma mobile Ettore Muti, Torino, Bollati Boringhieri, 2004; MI4345 – Topografia della Memoria

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Maurizio Punzo, Il ‘salotto’ di Anna Kuliscioff, in Salotti e ruolo femminile in Italia. Tra fine Seicento e primo Novecento, a cura di Maria Luisa Betri ed Elena Brambilla, Venezia, Marsilio, 2004; Jorge Torre Santos, Il sindacato unitario. La camera del lavoro di Milano nel periodo dell’unità sindacale (1945-1948), Milano, Guerini e Associati, 2005; Alfonso Airaghi, Il primo elenco degli assassini di piazzale Loreto, «Il calendario del popolo», anno LXI, n. 704, gennaio 2006, pp. 5-10; Claudia Magnanini, Ricostruzione e miracolo economico. Dal sindacato unitario al sindacato di classe nella capitale dell’industria, Milano, Franco Angeli, 2006; Daria Gabusi - Liviana Rocchi, Le feste della Repubblica 25 aprile e 2 giugno, Brescia, Morcelliana, 2006; Francesca Boldrini, «Se non ci ammazza i crucchi… ne avrem da raccontar». La battaglia di San Martino-Varese, 13-15 novembre 1943, Milano, Mimosa, 2006;

Alle fronde dei salici. 15 vite per la libertà. Milano, piazzale Loreto, 10 agosto 1944, a cura di Roberto Cenati e Antonio Quatela, Monza, Tipografia sociale, 2007; Massimo Castoldi, 10 agosto 1944. I martiri di Piazzale Loreto nella memoria di tre poeti: Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo, Franco Loi, «Poetiche. Rivista di letteratura», vol. 9, n. 1, 2007, pp. 77-102; Oltre il ponte, a cura di Roberto Cenati e Antonio Quatela, Sesto S.Giovanni, Sercom, 2009. 2010-2015 Concettina Principato, «Siamo dignitosamente fiere di avere vissuto così». Memoria della Resistenza e difesa della Costituzione. Scritti e discorsi, a cura di Massimo Castoldi, Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2010; Cristina Palmieri, La libertà sulle rotaie: tranvieri e ferrovieri a Mi230

MI4345 – Topografia della Memoria


lano dal fascismo alla Resistenza, presentazione di Nino Cortorillo; prefazione di Maurizio Antonioli, Milano, Unicopli, 2011; Elena Pirazzoli, Il trauma e la cura. Guerra, deportazione e sterminio per alcuni artisti sopravvissuti al 1945, «Studi e ricerche di storia contemporanea. Rassegna dell’istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea», anno 39, n. 74, dicembre 2010, pp. 64-76; Il Palazzo del Lavoro, a cura di Maurizio Magri, Milano, edizioni Camera del Lavoro, 2012; Per una storia del sindacato in Europa, a cura di Maurizio Antonioli, Milano, Bruno Mondadori, 2012; Ugo Intini, Avanti! Un giornale, un’epoca: 1896-1993: le sue pagine, i suoi giornalisti e direttori raccontano il secolo, Roma, Ponte Sisto, 2012; Matilde Bottero Capettini, Memorie: Arturo Capettini: Medaglia

d’oro della Resistenza : come nacque il nome della Brigata Partigiana che combatté nell’Oltrepò pavese, Varzi, Guardamagna, 2013; Roberta Cairoli, Dalla parte del nemico. Ausiliarie, delatrici e spie nella Repubblica sociale italiana (1943-1945), Milano-Udine, Mimesis, 2013; Marcella Chiorri Principato, Storia di un comitato. Il Comitato Onoranze Caduti per la Libertà. Milano 1945 1956, a cura di Massimo Castoldi, Milano, Franco Angeli, 2014; Massimo Castoldi, I quindici patrioti fucilati. Nuovi importanti elementi per la ricostruzione della strage di Piazzale Loreto, «Triangolo Rosso», n. 4-6, giugno-settembre 2014, pp. 36-41; Susanna Massari, Roberto Lepetit. Un industrale nella Resistenza, Milano, Archinto, 2015.

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Oltre ai luoghi della memoria, che conservano in sé le tracce dei fatti storici, esistono numerose altre storie di resistenza che possono essere definite “orfane di luogo”, perché non è possibile ricondurle a dei luoghi specifici in cui si svolsero. Esse, infatti, raccontano di persone che portavano avanti nel quotidiano una resistenza fatta di parole, di gesti, di cultura e che, per questo motivo, pur senza avere mai imbracciato un’arma, furono arrestate, deportate o uccise. Si tratta di una memoria estremamente frammentaria, per cui l’obiettivo del progetto non è quello di tracciarne una topografia ma di immaginare uno spazio che le possa raccogliere e trasmettere in modo nuovo. Il progetto di memorializzazione prova allora ad andare oltre il memoriale e diventa un modo di concepire e progettare lo spazio pubblico. Molte delle storie “orfane di luogo” che sono state raccolte possono essere interpretate, oggi, come volontà di affermare diritti e libertà, quindi il tema che il progetto intende affrontare per riattivarne la memoria è il teatro contemporaneo nello spazio pubblico urbano, inteso come arte che si rapporta alla città e sintetizza in sé la parola e il gesto. A fronte di questo tema progettuale, si è scelto di legare l’intervento all’istituzione del Piccolo Teatro – simbolo della rinascita culturale di Milano alla fine della guerra – e di agire sullo spazio aperto dei Teatri Strehler e Melato, luogo urbano irrisolto che viene ripensato come nuovo spazio per la memoria. 234

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Il progetto nasce dall’incontro di tre istanze contemporaneamente presenti: - memoria - teatro urbano - spazio pubblico / contesto urbano L’approfondimento e l’analisi di questi tre temi hanno reso possibile il raggiungimento di una loro sintesi progettuale.

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Memoria

L’esigenza di memoria, intesa come ricordo, trasmissione e rinarrazione di storie e passati difficili o drammatici è quella che sta alla base del progetto e ne innesca il processo. Le storie qui raccoite sono frammenti di passati e di vite, vissute durante l’occupazione nazifascista. Si tratta quindi di eredità intangibili, di cui non restano tracce fisiche nei luoghi urbani. È il progetto che ha l’obiettivo di dare una casa e di farsi “padre adottivo” di queste storie “orfane di luogo”.

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Eugenio Curiel nasce a Trieste l’ 11 dicembre 1912 da famiglia ebrea. Giovane intellettuale e docente di fisica, perde il posto a causa delle leggi razziali e trascorre periodi di tempo in carcere a Milano e al confino a Ventotene. Verso la fine del 1943 torna a Milano promuove la creazione di un’organizzazione unitaria di resistenza giovanile: il “Fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà”. Il mattino del 24 febbraio 1945 viene ucciso da una squadra di soldati fascisti in Piazzale Baracca.

http://www.anpi.it/donne-e-uomini/eugenio-curiel/

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Andrea Achille nacque a Milano il 21 luglio 1912. Tipografo clandestino durante l’occupazione tedesca, fu arrestato il 14 marzo 1944 e incarcerato a San Vittore. Fu quindi inviato al campo di Fossoli e fucilato dai nazisti al Poligono di Cibeno (Carpi) il 12 luglio dello stesso anno.

http://www.anpi.it/donne-e-uomini/andrea-achille/

Piccolo Teatro Urbano

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Mino Steiner a Milano prese contatto con gli esponenti locali del Partito d’Azione e si impegnò nella diffusione della stampa clandestina. Con Mario Paggi, Antonio Basso, Carlo E. Galimberti, Gaetano Baldacci ed altri, mise in cantiere “Lo Stato Moderno”, un giornale di cultura politica aperto a tutte le idee antifasciste, del quale però Mino non potè vedere l’uscita del primo numero clandestino nel luglio 1944: venne infatti arrestato il 16 marzo 1944 e deportato a Mauthausen.

http://www.chieracostui.com/costui/docs/search/scheda.asp?ID=1574

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Piccolo Teatro Urbano


Nato ad Ancona nel 1907, Andrea Lorenzetti, completa gli studi di ragioneria nel capoluogo marchigiano e a 16 anni trova impiego in una banca della città. Trasferitosi a Milano, viene assunto prima dal Crédit Commercial de France e poi, nel 1934, dallo studio di Antono Foglia, presso il quale inizia ad occuparsi di borsa, fino a diventare procuratore nel 1937. Nell’autunno 1942 entra in contatto con il movimento socialista e partecipa alle riunioni per rifondare il PSI. All’inizio del 1944 entra nella segreteria del partito per l’Alta Italia ed è nominato responsabile della redazione e della diffusione clandestina de “L’Avanti!”. Nel marzo dello stesso anno è tra gli organizzatori degli scioperi che paralizzano la produzione industriale delle fabbriche milanesi per un’intera settimana. Pochi giorni dopo la fine dell’agitazione, il 10 marzo 1944, Lorenzetti viene arrestato e tradotto nel carcere di San Vittore, dove resta in isolamento fino al 27 aprile 1944. Deportato al campo di concentramento di Fossoli, il 21 luglio è trasferito al lager di Bolzano. Ai primi di agosto (presumibilmente il 5, con il trasporto n. 73) è inviato al lager di Mauthausen. Smistato al sottocampo di Gusen III, vi rimane fino alla liberazione, che avviene il 5 maggio 1945. Provato fisicamente dalle difficili condizioni di prigionia, viene ricoverato in ospedale. Qui si spegne dieci giorni dopo, il 15 maggio 1945.

http://www.ultimelettere.it/?page_id=35&ricerca=793

Piccolo Teatro Urbano

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Madre Donata Castrezzati, superiora delle Suore delle Poverelle dell’Istituto Palazzolo di Milano in Via Gattamelata 73, con il tacito consenso delle autorità ecclesiastiche milanesi trasformò il suo istituto in una base logistica e organizzativa per l’espatrio clandestino in Svizzera di centinaia di ebrei ricercati, sin dalle prime azioni persecutorie a seguito dell’emanazione delle leggi razziali. L’aiuto per la fuga e l’espatrio si estese poi anche a partigiani e renitenti di leva. Fu arrestata il 14 luglio 1944 quando l’istituto fu perquisito all’improvviso e furono trovati alcuni ebrei nascosti.

Vecchio, Giorgio. 2010. Le suore e la Resistenza. Milano: Ambrosianeum. 242

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Nel Carcere di San Vittore operava Suor Enrichetta Alfieri, con l’aiuto di almeno dodici suore sotto la sua responsabilità. Oltre all’azione di assistenza umanitaria ai detenuti, queste religiose svolgevano una delicatissima opera di comunicazione e scambio di materiali tra l’interno e l’esterno del carcere (sottoposto ad un estremo controllo dei soldati tedeschi); nascondendo messaggi ed ogni genere di oggetto tra le pieghe dell’abito ecclesiastico riuscirono a salvare numerose persone dall’arresto. Suor Enrichetta fu arrestata il 23 settembre 1944 con l’accusa di spionaggio e intesa col nemico e posta in una cella di isolamento. Condannata alla fucilazione, grazie all’intervento del cardinale Schuster la pena fu commutata prima in deportazione e poi nella reclusione presso l’Istituto Palazzolo nel bergamasco.

Vecchio, Giorgio. 2010. Le suore e la Resistenza. Milano: Ambrosianeum. Piccolo Teatro Urbano

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Il Corriere della Sera, che era l’organo ufficiale della RSI, fu nonostante ciò un punto di riferimento nei giorni della Resistenza. In redazione gli operai si alternavano sui tetti per dare l’allarme contro eventuali attacchi fascisti. In tipografia si stampavano le pubblicazioni del Comitato di Liberazione e fogli clandestini. Per proteggersi dalla Gestapo era stato organizzato un servizio di avvistamento: ventiquattro ore su ventiquattro si vigilava agli ingressi, per avvertire i colleghi ricercati. Si formò un CLN aziendale che organizzò scioperi e sabotaggi con ritardi di composizione e di uscita del giornale e gusti alle macchine. All’interno del giornale si ebbero anche azioni di guerriglia. La partecipazione alla Resistenza dei giornalisti, degli impiegati e degli operai di Via Solferino fu ampia. Molti lavoratori ebbero fortuna: sia pure tra minacce, disagi, paure e fughe, riuscirono a scampare alla cattura, alla deportazione e alla morte. Altri pagarono duramente, come i quattro dipendenti (linotipisti, spedizionieri, impiegati) che, catturati insieme con Miniaci e Torquato Spadi, morirono in un lager. Erano Luigi Tacchini, Otello Ghirardelli, Dionigi Parietti, Ferdinando De Capitani.

A.N.P.I. Sezione Zona 1 Milano. 2012. Milano itinerari della Resistenza. Nomi e luoghi della guerra di liberazione e della resistenza antifascista 1943 - 1945 nel centro storico di Milano. Milano: Litografia Ammiano. 244

Piccolo Teatro Urbano


Luigi Memo (Venezia, 2 agosto 1882 - Milano, 13 aprile 1956) fu artigiano tipografo. Nel 1925 si era stabilito a Milano e qui aveva avuto modo di prendere contatto con esponenti dell’antifascismo. Nel 1943 provvide alla composizione e alla stampa del periodico clandestino La Riscossa. Scoperto dalla polizia, Memo fu arrestato e rinchiuso nel carcere di San Vittore. Ne uscì alla caduta del fascismo e subito riprese la sua attività, realizzando per la Casa editrice Bocca un’edizione del Capitale di Carlo Marx. Nel settembre 1944, nella tipografia di Luigi Memo irruppero i fascisti della famigerata banda Koch. L’artigiano fu arrestato con i due figli, Emilio ed Eugenio, e rinchiuso a Villa Triste, ma i fascisti non trovarono prove a loro carico e li rilasciarono. Memo riprese così a collaborare con la Resistenza sino alla Liberazione, tanto che riuscì anche a comporre e stampare clandestinamente, per conto di “Giustizia e Libertà”, il volume Socialismo liberale di Carlo Rosselli.

http://www.anpi.it/donne-e-uomini/luigi-memo/ Piccolo Teatro Urbano

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La Legione Autonoma “Ettore Muti” individuò la tipografia clandestina del PCI e sorprese Angelo Conca, responsabile della stampa comunista. Arrestato e condotto nella sede in Via Rovello, fu interrogato e ucciso il 1 marzo 1945 nei pressi di San Siro.

http://fc.retecivica.milano.it/rcmweb/rssweb/Milano/resistenza/storia/indice.htm 246

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Germano Facetti fu attivo durante la Resistenza nel trasporto di armi e in azioni di propaganda. All’età di 17 anni, il 28 Settembre 1943, venne arrestato da una pattuglia di SS tedesche mista a militari italiani per attività antifascista: “fummo presi per colpa dei manifestini. Ci massacrarono di botte. Alla fine in casa mia trovarono la cassa delle armi... Minaccia alla sicurezza delle forze armate tedesche, la mia condanna...”. Il 18 febbraio 1944, dopo alcuni mesi di carcere a San Vittore, Facetti fu caricato su un treno merci, destinazione Mauthausen - Gusen. Internato nel campo di concentramento, vi rimase fino al 5 Maggio del 1945, data dell’entrata nel lager dell’esercito alleato.

http://metarchivi.istoreto.it/biografie/p_bio_vis.asp?id=9 Piccolo Teatro Urbano

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I nazifascisti risposero agli scioperi del marzo 1944 con un’ondata repressiva senza precedenti: rastrellamenti e stragi sulle montagne, nelle valli ed in città; arresti e deportazioni nelle fabbriche che scioperano. Alla Pirelli Bicocca, mentre era in corso uno sciopero aziendale, alle 11 del 23 novembre del 1944, entrò nello stabilimento un reparto delle SS tedesche ed arrestò 181 operai e due tecnici, che vennero portati in carcere prima di procedere con la deportazione. Le SS respinsero la richiesta dell’azienda di rilasciare 105 degli arrestati poiché specialisti indispensabili alla produzione. Il comando tedesco respinse la richiesta e convocò Alberto Pirelli accusandolo di connivenza con gli operai. Alla fine, le SS rilasciarono 16 operai e deportarono in Germania tutti gli altri.

http://www.italia-resistenza.it/percorsi-tematici/percorsi-su-fascismo-e-resistenza/ scioperi-del-marzo-1944/ 248

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Teresio Olivelli fu tra i fondatori del giornale “Il Ribelle”. Il 27 aprile 1944 fu arrestato a Milano in piazza San Babila da un “Ufficio speciale di polizia”, assieme a Carlo Bianchi, e carcerato a San Vittore. Fu deportato a Fossoli e poi a Flossenburg e a Hersbruck, dove morì il 17 gennaio 1945.

http://www.teresioolivelli.it Piccolo Teatro Urbano

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L’ingegnere Carlo Bianchi fu un membro attivo della redazione de “Il Ribelle” e dell’OSCAR. Fu arrestato il 27 aprile 1944 e fucilato a Fossoli il 12 luglio dello stesso anno.

http://www.anpi.it/donne-e-uomini/carlo-bianchi/ 250

Piccolo Teatro Urbano


Enrico Bigatti dal settembre 1943 collaborò con Andrea Ghetti, Aurelio Giussani, Natale Motta, Giovanni Barbareschi e le Aquile Randagie, alla fondazione dell’organizzazione O.S.C.A.R. Nel gennaio 1944, quando venne trasferito a Crescenzago, la sua canonica divenne uno dei centri di smistamento delle Aquile Randagie per ricercati, ebrei e politici che fuggono in Svizzera. La polizia fascista lo tenne sotto sorveglianza, riuscĂŹ ad arrestarlo e corse il rischio di essere fucilato nel febbraio 1944.

http://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Bigatti Piccolo Teatro Urbano

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Giovanni Barbareschi, ordinato sacerdote nell’agosto del 1944, ha partecipato attivamente alla Resistenza collaborando alla realizzazione, durante l’occupazione nazifascista, del giornale clandestino Il Ribelle del quale sono stati pubblicati 26 numeri, ciascuno con una tiratura di 15 mila copie. Don Giovanni Barbareschi è stato anche membro dell’OSCAR. Per questo suo impegno il 15 agosto del ‘44, il giovane prete (che era stato notato in Piazzale Loreto, mentre benediceva i 15 Martiri massacrati per rappresaglia), era stato arrestato dalle SS. Incarcerato a “San Vittore” e sottoposto a durissimi interrogatori (da uno di questi uscì col braccio destro spezzato), non disse nulla che potesse mettere in difficoltà i suoi compagni di lotta.

http://www.anpi.it/donne-e-uomini/don-giovanni-barbareschi/ 252

Piccolo Teatro Urbano


Don Carlo Gnocchi, entrato a far parte dell’O.S.C.A.R., aiutò ebrei e prigionieri alleati scappati a riparare in Svizzera. Scrisse articoli sulla rivista clandestina Il Ribelle e sul quotidiano diocesano L’Italia. Fu rinchiuso più di una volta nel carcere di San Vittore, ma ottenne la liberazione grazie all’intervento dell’arcivescovo di Milano, Ildefonso Schuster.

http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Gnocchi Piccolo Teatro Urbano

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Il giovane ingegnere Francesco Moschettini mise i propri studi al servizio della Resistenza: installò un centro radio clandestino nei sotterranei del Politecnico di Milano, che gestì insieme al professor Gianbattista Boeri. Moschettini, in seguito, fu arrestato e deportato a Mauthausen, dove morì il 24 gennaio 1945.

Galbani, Annamaria. 1988. “Antifascismo e resistenza nel Politecnico di Milano”. In Il Politecnico di Milano nella storia italiana (1914-1963), 251-282. Bari: Laterza. 254

Piccolo Teatro Urbano


All’interno del 52° Corpo dei Vigili del Fuoco di Milano, guidato dal Com. Ing. Antonio Tosi, agirono diversi gruppi che parteciparono attivamente alla lotta di liberazione, sia trasportando al confine, dopo averli nascosti, ebrei, braccati e prigionieri in fuga.

“Riassunto di parte dell’attività svolta da 52° corpo Vigili del Fuoco di Milano per moti di liberazione dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945”. Dattiloscritto di Don Armando LAZZARONI, Cappellano del 52° Corpo Vigili Fuoco Piccolo Teatro Urbano

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Nella casa parrocchiale di via Luini 2 e nelle casa del Cappellano del Corpo dei Vigili del Fuoco Don Armando Lazzaroni (nome di battaglia “la Rosetta”) di via la Farina 15, vennero ricoverati molti prigionieri greci, inglesi e americani, al cui sostentamento pensarono i vigili Cavalli, Pietanera, Picco e De Lorenzi, che dal Dicembre 1943 all’Aprile 1944 vi si recarono ogni giorno per portargli il rancio.

Riassunto di parte dell’attività svolta da 52° corpo Vigili del Fuoco di Milano per moti di liberazione dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945”. Dattiloscritto di Don Armando LAZZARONI, Cappellano del 52° Corpo Vigili Fuoco 256

Piccolo Teatro Urbano


David Maria Turoldo e Camillo De Piaz, frati del convento dei Servi di Maria in San Carlo al Corso, furono un punto di riferimento fondamentale dell’opposizione cattolica al Nazifascismo. Durante i mesi dell’occupazione tedesca, dal convento, collaborarono con i partigiani, fornirono appoggio alle operazioni dell’O.S.C.A.R. e si dedicarono alla pubblicazione del giornale clandestino L’Uomo, per il quali essi stessi scrivevano.

Borgomaneri, Luigi. 2005. Milano 1940-1945. Itinerari della Memoria. Milano: Everprint. Piccolo Teatro Urbano

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Suor Teresa Scalpellini e suor Giovanna Mosna, infermiere all’Ospedale Maggiore di Niguarda nei mesi dell’occupazione tedesca, con l’aiuto di alcuni medici adottarono diversi stratagemmi per prolungare la degenza di detenuti politici, partigiani ed ebrei affinché le SS non li riportassero in carcere oppure per organizzarne la fuga, che spesso fu rocambolesca e spericolata.

Vecchio, Giorgio. 2010. Le suore e la Resistenza. Milano: Ambrosianeum. 258

Piccolo Teatro Urbano


Suor Rosa Chiarina Solari, superiora dell’Istituto Casa di Nazareth delle Suore della Riparazione in Corso Magenta 79 (dove venivano ospitate principalmente ragazze madri), offrì segretamente una parte del suo istituto ai membri del CLNAI che, lì radunati sotto il nome fittizio di Società di S. Vincenzo, pianificarono e diressero l’insurrezione cittadina del 25 aprile.

Vecchio, Giorgio. 2010. Le suore e la Resistenza. Milano: Ambrosianeum. Piccolo Teatro Urbano

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Grazie alla complicità del noto attore e impresario teatrale Remigio Paone, il Teatro Nuovo divenne durante la Resistenza luogo di numerose riunioni clandestine della direzione politica del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Gli uffici di Paone, ma anche la sua abitazione, erano aperti ai partigiani. Nella sua casa trovò rifugio anche Giorgio Amendola.

Cenati, Roberto. 2013. “Gli angoli della Milano occupata e dei giorni dell’insurrezione”. Patria Indipendente Febbraio 2013. 260

Piccolo Teatro Urbano


Fin dai primi giorni dopo l’armistizio il sottobrigadiere della Guardia di Finanza Enzo Passariello e altri finanzieri recuperarono carichi di viveri, tritolo, armi, fusti di benzina e munizioni da passare ai nuclei partigiani milanesi e lombardi.

Malgeri, Alfredo. 1947. L’occupazione di Milano e la liberazione. Milano: Editori Associati. Piccolo Teatro Urbano

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Il maresciallo della Guardia di Finanza Alberto Rossi fece ospitare convegni di cospiratori nei locali dello Spaccio Cooperativo della Caserma Cinque Giornate di via Melchiorre Gioia 5, dove vennero anche custodite armi destinate ai partigiani e documenti, oltre a timbri e benzina.

Malgeri, Alfredo. 1947. L’occupazione di Milano e la liberazione. Milano: Editori Associati. 262

Piccolo Teatro Urbano


Di tanto in tanto qualche caserma della Guardia di Finanza subì degli attacchi concordati delle formazioni partigiani per prelevare armi e munizioni, senza provocare reazioni da parte dei finanzieri. “Nelle relazioni ufficiali si parla di lunga resistenza ma, infine, c’è sempre una finestra o un cancelletto ‘involontariamente’ trascurato dai difensori che viene forzato di sorpresa...”.

Malgeri, Alfredo. 1947. L’occupazione di Milano e la liberazione. Milano: Editori Associati. Piccolo Teatro Urbano

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All’interno del 52° Corpo dei Vigili del Fuoco di Milano, guidato dal Com. Ing. Antonio Tosi, agirono diversi gruppi che parteciparono attivamente alla lotta di liberazione, sia facendo opera di collegamento con le formazioni partigiane, alle quali portavano armi e materiale.

Riassunto di parte dell’attività svolta da 52° corpo Vigili del Fuoco di Milano per moti di liberazione dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945”. Dattiloscritto di Don Armando LAZZARONI, Cappellano del 52° Corpo Vigili Fuoco 264

Piccolo Teatro Urbano


La Scuola femminile di avviamento professionale al lavoro Caterina da Siena, voluta e potenziata dalla professoressa Ines Saracchi, era considerata una scuola compiacente e fiancheggiatrice del regime fascista ma all’interno della struttura l’attività di resistenza fu molto intensa. Vi si tenevano infatti riunioni clandestine alle quali partecipavano dirigenti dei movimenti antifascisti, si raccoglieva materiale sanitario, viveri e indumenti da mandare ai partigiani. Era attivo il Soccorso Rosso, dove venivano indirizzati i giorni renitenti alla leva che volevano raggiungere la montagna e, nel magazzino della scuola, funzionava un Centro Di- fesa della Donna diretto da Anita Gerosa Faini, dove si smistavano anche pacchi di generi di conforto per il campo di concentramento di Bolzano e per i partigiani dell’Oltrepò Pavese. Anita Faini era anche in contatto con Suor Enrichetta Alfieri, superiora delle suore che avevano in custodia il reparto femminile del carcere di San Vittore, riuscendo a trasmettere messaggi ai prigionieri politici in attesa di processo.

Callegari, Pasqualina. 1991. Il coraggio della libertà. La scuola milanese durante il fascismo e la resistenza. Novara: D’Imperio Editore. Piccolo Teatro Urbano

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Anche alcuni medici si prodigano per venire incontro ai detenuti, come il dottor Gatti che prende servizio a San Vittore il 4 aprile 1944. Ricordato da tutti con profonda stima e gratitudine, per oltre dieci mesi, con gli scarsi mezzi a disposizione e con grave rischio personale, si prodigherà come medico per soccorrere ebrei e politici. Sarà latore di messaggi all’esterno del carcere, introdurrà somme di denaro per i partenti per il “Campo di polizia e di transito di Fossoli”, somministrerà farmaci in grado di causare l’insorgere di sintomatologie da ricovero ospedaliero e ad ogni partenza per la deportazione riuscirà a far depennare qualcuno dalla lista.

Cenati, Roberto. 2013. “Gli angoli della Milano occupata e dei giorni dell’insurrezione”. Patria Indipendente Febbraio 2013. 266

Piccolo Teatro Urbano


“La stampa, allora, aveva un’importanza eccezionale, [...] riusciva a smuovere anche coloro che erano meno convinti della necessità della lotta. Quei piccoli foglietti di carta velina, spesso battuti a macchina in più copie, rappresentavano la guida alla nostra lotta che si stava combattendo contro i nazifascisti. Ricordo, quando ancora lavoravo alla Olap, con quale ansia si attendeva l’arrivo di quei volantini che ci informavano sulla effettiva situazione e ci fornivano le indicazioni per gli scioperi. Nonostante il pericolo che essi rappresentavano, tutti li volevano, le donne poi, se li portavano a casa pur con molta cautela, per farli leggere in famiglia. Si aveva l’impressione che attraverso quei fogli, entrasse nella fabbrica e nelle case una ventata di aria pura.“

Perretta, Giusto. 1989. Donne della Resistenza. Elena Rasera: la partigiana “Olga”. Como: Graficop. Piccolo Teatro Urbano

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“Nei Gruppi ho conosciuto donne meravigliose che con grande semplicità rischiavano molto ogni momento. Ero, per esempio, in contatto con una signorina non più molto giovane (di cui mi spiace di aver scordato il nome e soprattutto non averla più rivista dopo l’ insurrezione), che gestiva una polleria in via Aselli 20. Frequentavo il suo negozio come cliente già prima della guerra. Capii che era una antifascista e così intavolai con lei delle discussioni che furono poi utili per agganciarla al gruppo Mischiari. Lei fece veramente un ottimo e importante lavoro: raccolse fondi e medicinali da inviare ai partigiani in montagna, ma soprattutto il suo negozio servì da recapito per la stampa clandestina, per far avere le direttive della federazione del Pci ai compagni ferrovieri e ricevere notizie sulla attività antifascista svolta dai compagni nelle stazione di Lambrate e Smistamento. Svolse questa attività con una semplicità persino commovente, quasi non si rendesse conto del pericolo che correva.”

Testimonianza di Giovanna Vallini I Gruppi di Difesa della Donna nella Zona 3 ANPI Sezione “25 aprile” di Milano Città Studi http://anpi25aprile.wordpress.com/2012/06/06/i-gruppi-di-difesa-della-donnanella-zona-3/ 268

Piccolo Teatro Urbano


Luigi Veronesi, figura poliedrica dell’arte e della grafica italiana, interrompe la sua carriera (ma non le sperimentazioni) per dedicarsi alla guerra di liberazione: nel 1943 aderisce al Partito Comunista e mette “la sua abilità di grafico e fotoriproduttore al servizio della lotta antifascista, dedicandosi alla realizzazione di documenti falsi e all’attività di propaganda”.

Vendetti, Andrea. 2012. Caratteri clandestini. Tesi di Laurea in Disegno Industriale presso la Facoltà di Architettura La Sapienza. Roma. Piccolo Teatro Urbano

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Fotomontaggio realizzato nel maggio 1945 divenuto simbolo della protesta operaia durante i mesi dell’occupazione nazifascista. 270

Piccolo Teatro Urbano


Volantino per incitare i civili alla resistenza civile. Piccolo Teatro Urbano

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I tranvieri presidiano il Deposito ATM Teodosio. 272

Piccolo Teatro Urbano


Stralcio del foglio clandestino prodotto dal Fronte della GioventĂš di Eugenio Curiel. Piccolo Teatro Urbano

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Teatro urbano

Il teatro urbano è un’arte dai contorni sfumati che ha bisogno di spazi che non siano la riproposizione di quelli della sala teatrale ma che siano più indefiniti e interpretabili. Si tratta di un territorio artistico e fisico in continua evoluzione che sperimenta diversi tipi di interferenze tra attori, pubblico e luoghi urbani. Il luogo in cui si svolge deve avere un certo grado di indeterminazione e “incompletezza”, così che registi, attori, scenografi possano leggerlo e interpretarlo in modo personale.

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Piccolo Teatro Urbano


Piccolo Teatro Urbano

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Il teatro di strada è un insieme di spettacoli esterni al teatro; può anche essere un trasferire en plein aire modi e spazi del teatro. Ma acquista senso quando è una diversa situazione del teatro. Possono echeggiare mitologie dello spazio originario (il cerchio e la sfilata), della spontaneità e del popolare: ma è un senso forte, anche per lo spazio, quando si vede il teatro di strada in quanto teatro, come una situazione non predeterminata dallo spazio teatrale riconosciuto.

Cruciani, Fabrizio. 1992. Lo spazio del teatro. Roma: Laterza. 276

Piccolo Teatro Urbano


Attori del Living Theatre in piazza a Genova nel 1976. Piccolo Teatro Urbano

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[…] l’eliminazione della divisione dello spazio tra attori e pubblico, [è] elemento spesso ricorrente nelle esperienze del teatro di ricerca, che peraltro riguarda tanto gli spazi al chiuso, quanto, e a maggior ragione, quelli all’aperto. Del resto, nel Novecento gli spazi alternativi sono divenuti un punto di riferimento per quegli uomini di teatro i quali, in virtù di un rifiuto dell’ordinario assetto spaziale ed organizzativo canonico del teatro all’italiana, frontale, “distanziante, immodificabile”, sono stati indotti “ad abbandonare i vecchi edifici teatrali ma non tanto per entrare in edifici teatrali nuovi” – è questo il dato significativo – “quanto per dedicarsi all’uso o al riuso di spazi non teatrali: capannoni, magazzini, garage, cantine, chiese sconsacrate; e poi luoghi aperti: piazze, strade, cortili, etc.” (De Marinis, 2000, 44).

Serino, Marco. 2011. “Spazio urbano e spazio teatrale nell’organizzazione dello spettacolo dal vivo”. Tafterjournal - Esperienze e strumenti per cultura e territorio. http://www.tafterjournal.it/2011/07/26/spazio-urbano-e-spazio-teatrale-nell’organizzazione-dello-spettacolo-dal-vivo/ 278

Piccolo Teatro Urbano


Schema di teatro ambientale proposto da Richard Schechner in Performance Theory (1988). Piccolo Teatro Urbano

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A partire dagli anni Cinquanta i giovani artisti che si vedono impegnati a ricondurre l’arte verso la conquista della vita reale usano sempre più spesso la scena urbana come palcoscenico. […] Le nuove forme di teatro mirano ad un impegno più diretto anche da parte del pubblico, rendendolo più partecipe sia con attività cerebrali, sia coinvolgendolo fisicamente all’interno degli spettacoli. Il nuovo teatro […] sembra includere tutto, così le cose non avvengono in un’unica direzione, ma in tutte le direzioni simultaneamente, lo spazio della rappresentazione si confonde con lo spazio della visione, lo spettatore diventa attore e l’attore si confonde col pubblico, la rappresentazione diventa realtà e il teatro si confonde con la vita.

Salvadeo, Pierluigi. 2007 “La scenografia come installazione autonoma” In Spazi per la cultura. Cultura degli spazi. Nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, edited by Branzi, Andrea and Chalmers, Alessandra, 161-179. Milano: Franco Angeli.

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Piccolo Teatro Urbano


Schema dell’ Untitled Event realizzato da John Cage, Robert Rauschenberg e Merce Cunningham al Black Mountain College nel 1952, considerato il primo vero happening. Lo scopo della rappresentazione era il “bombardamento dei sensi�. Cage non ammetteva limiti alla musica, i suoni provenivano da amplificatori posti in diversi luoghi e raggiungevano volumi elevatissimi. Il pubblico, posto al centro, era circondato da ogni lato di eventi. Piccolo Teatro Urbano

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Due sono le grandi operazioni operate dal Living Theatre, riscontrabili da un lato nella pratica della creazione collettiva e negli spazi dell’improvvisazione, dall’altro lato nel tentativo di coinvolgimento del pubblico all’interno della performance. […] Il Living Theatre sceglie spesso contenitori diversi dal palcoscenico, fino alle strade e alle piazze, perché non vuole costringere il pubblico ad una forma repressiva o ad una situazione di immobilità, vuole rompere i muri, portare il teatro entro altri luoghi al di fuori del teatro stesso. […] La scenografia lascia il posto ad ambienti in continua evoluzione, ogni volta rinnovati, a seconda delle esigenze della pièce.

Salvadeo, Pierluigi. 2007 “La scenografia come installazione autonoma” In Spazi per la cultura. Cultura degli spazi. Nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, edited by Branzi, Andrea and Chalmers, Alessandra, 161-179. Milano: Franco Angeli.

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Piccolo Teatro Urbano


Spettacolo Paradise Now del Living Theatre. Piccolo Teatro Urbano

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L’azione è dovunque e lo spettatore è coinvolto dal continuo passaggio di piattaforme mobili su cui duellano gli attori. La simultaneità degli eventi rende impossibile seguire lo spettacolo in una volta sola. […] Allo spettatore è consentito scegliere tra gli episodi, come se sfogliasse i capitoli di un libro, come se componesse a suo piacimento lo spettacolo stesso. Lo spettatore è indotto a immaginare i suoi spazi, scegliendo i propri punti di vista e le proprie prospettive, “arredano” lo spazio a proprio piacimento.

Salvadeo, Pierluigi. 2007 “La scenografia come installazione autonoma” In Spazi per la cultura. Cultura degli spazi. Nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, edited by Branzi, Andrea and Chalmers, Alessandra, 161-179. Milano: Franco Angeli.

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Piccolo Teatro Urbano


Orlando Furioso di Luca Ronconi, rappresentato per la prima volta sul sagrato della chiesa di Spoleto nel 1969. Piccolo Teatro Urbano

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There is an actual, living relationship between the spaces of the body and the spaces the body moves through; human living tissue does not abruptly stop at the skin. Exercises with space are built on the assumption that human beings and space are both alive.

Schechner, Richard. 1973. Environmental Theatre. New York: Applause. 286

Piccolo Teatro Urbano


Schechner, Richard. 1973. Environmental Theatre. New York: Applause. Piccolo Teatro Urbano

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Alle disposizioni tradizionali del teatro frontale e dell’anfiteatro l’attuale arte performativa preferisce ricercare aree, territori in continua mutazione, nei quali la realizzazione dello spettacolo è determinata in eguale misura dallo spettatore e dall’artista, che si relazionano attraverso meccanismi di condivisione dell’esperienza artistica.

Gravano, Viviana. 2006. “Spettacolo/spettacolare/spettacolarizzazione” In Santarcangelo 06. Scritti sulla contemporaneità, edited by Bounin, Olivier and Ruffini, Paolo, 72. Roma: Fandango Libri. 288

Piccolo Teatro Urbano


Schemi d’uso degli spazi della Città del Flamenco di Jerez proposti dallo studio SANAA. Piccolo Teatro Urbano

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Luoghi la cui funzione non è esattamente definita, e proprio per questo si adattano naturalmente a divenire “territori esperienziali”, luoghi cioè non identificati dalla forma che li contiene ma dalle esperienze immateriali che vi avvengono, sensoriali ed emotive. […] L’esecuzione si colloca dentro un tempo aperto, poroso, discontinuo, privo di un unico perimetro. […] Occorre abbandonare la strada del semplice aggiornamento tipologico per affrontare un cambiamento progettuale più radicale. […] creare non una nuova tipologia di teatro, ma piuttosto un “territorio musicale [teatrale]”, cioè un tessuto omogeneo di opportunità. […] un territorio dal perimetro sfumato, attraversatile, non blindato, che non produce una nuova forma architettonica ma piuttosto un sistema di layers che possono cambiare nel tempo.

Branzi, Andrea. 2007. “La musica contemporanea e il suo spazio: l’ottava nota” In Spazi per la cultura. Cultura degli spazi. Nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, edited by Branzi, Andrea and Chalmers, Alessandra, 111132. Milano: Franco Angeli.

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Casa della Musica progettata da Toyo Ito e Andrea Branzi. Piccolo Teatro Urbano

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Uno spazio di produzione della cultura performativa contemporanea si propone come osservatorio della stretta rete di relazioni che intercorrono tra artista, pubblico, spazio, luogo, diventando un laboratorio fondamentale per un confronto attivo con le trasformazioni sociali e urbane.

Telli, Francesca. 2007. “Nuovi spazi per la danza contemporanea� In Spazi per la cultura. Cultura degli spazi. Nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, edited by Branzi, Andrea and Chalmers, Alessandra, 149-159. Milano: Franco Angeli. 292

Piccolo Teatro Urbano


Festival UOVO a Milano dedicato alle arti performative. Piccolo Teatro Urbano

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Contesto

Il piazzale di fronte al Teatro Strehler e la Via Tivoli, sulla quale affaccia il Teatro Studio Melato, sono spazi prevalentemente d’attraversamento in quanto costituiscono una sorta di cerniera tra il quartiere di Brera e il Foro Buonaparte. Nonostante questa loro natura, hanno anche la potenzialità , ancora in gran parte inespressa, di diventare uno spazio adatto a importanti manifestazioni culturali.

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Piccolo Teatro Urbano

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Negli anni dell’immediato dopoguerra il Piccolo segna una risposta specificamente milanese alle inadeguatezze e alle frustrazioni imposte dal fascismo e alle ferite lasciate dalla guerra e dalla Repubblica Sociale. [...] La città esprime uno slancio di aggiornamento e di modernizzazione e una volontà di integrazione in Europa che, per Paolo Grassi e Giorgio Strehler, rimarranno sempre un riferimento e un’ambizione costanti.

Rocca, Alessandro. 1997. Il Piccolo Teatro Una storia milanese. Lotus 94 296

Piccolo Teatro Urbano


Le vicende del Piccolo Teatro di Milano raccontano una storia profondamente radicata nel tessuto culturale della città e strettamente intrecciata con le ambizioni, i progetti, le energie e le contraddizioni di cinquant’anni di società italiana.

Rocca, Alessandro. 1997. Il Piccolo Teatro Una storia milanese. Lotus 94 Piccolo Teatro Urbano

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Pressoché ultimato il Piccolo Teatro opera di Marco Zanuso e Pietro Crescini […] anche se permangono dubbi circa la disposizione finale degli spazi esterni […].

Irace, Fulvio. 1997. Il Nuovo Piccolo Teatro di Milano. Abitare 361 298

Piccolo Teatro Urbano


L’edificio realizzato vuole costituire un’unità dialettica con il Teatro Studio, la cui sintesi è costituita dal “teatro all’aperto” che è la piazza sopraelevata di accesso, articolata attorno ad un grande bagolaro (celtis australis). Per questo motivo, sostiene Zanuso, l’ingresso al Piccolo è un po’ “sottotono”: quando si ascendono i gradini della scalinata, si è già “a teatro”; il passaggio successivo è già “interno”. Nella fase realizzativa il “teatro all’aperto” si è ridimensionato, perdendo l’immediatezza del collegamento col Teatro Fossati che ne esaltava la funzione di cerniera (nel frattempo la Direzione Lavori era passata nelle mani della Metropolitana Milanese, a conclusione di una infinita catena di polemiche, con il teatro, ancora al rustico, che languiva dietro a una staccionata). Ma in fase di realizzazione si sono perse altre caratteristiche che innestavano con chiarezza questo “blocco minerale” nel tessuto storico di Milano: la piazza di acccesso di cui già si è detto; il “boulevard” che doveva collegare il retro del teatro al Parco Sempione, e sintomaticamente anche le aperture che mettevano in comunicazione lo scalone del teatro con la piazza e col cielo; il Piccolo Teatro si chiude su sé stesso, sotto il suo cielo di gesso basso e piatto, illuminato dai suoi piccoli lampioni interni a forma di stellina.

Piaggio, Juan Martìn. 1998. Nuova sede del Piccolo Teatro di Milano. Costruire in laterizio 62 Piccolo Teatro Urbano

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Sistema dei trasporti Piccolo Teatro Urbano

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Principali traiettorie pedonali Piccolo Teatro Urbano

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Processo

A seguito delle analisi svolte sui tre elementi in gioco (memoria, teatro urbano, contesto) è stato messo in atto un processo di definizione spaziale costituto da step sequenziali che leggono il contesto e ne danno una risposta progettuale per rispondere alle esigenze di memoria e di teatro urbano.

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memoria

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memoria

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memoria memoria

memoria

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memoria

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01. Preesistenze (rimozione)

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02. Definizione nuovo suolo

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03. Vincoli

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04. Aree performative

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05. Griglia 180x180cm (usata da Marco Zanuso per il Teatro Strehler)

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06. Maglia di steli

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07. Dispositivi

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08. Griglia 20x20cm (sottomodulo della griglia principale)

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09. Pavimentazione

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10. Suolo + steli + pavimentazione

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Progetto

Il progetto sintetizza in sé diverse esigenze: quelle della memoria, quelle del teatro urbano, quelle dello spazio pubblico. Lo spazio aperto dei teatri Strehler e Melato, nel suo stato attuale, è un’area chiaramente non disegnata, irrisolta e ricca di potenzialità inespressa. Le prime operazioni eseguite sono la rimozione delle preesistenze (aiuole, chioschi, parcheggio su Via Tivoli) e la ridefinizione dell’area del piazzale con una nuova pavimentazione chiara e continua in battuto di cls con polveri di quarzo, che segni chiaramente il nuovo spazio pubblico e pedonale riportando ordine. Sulla base dei vincoli esistenti dovuti al sistema dei trasporti, agli ingressi ai teatri e agli edifici e alle percorrenze trasversali tra Foro Buonaparte e Brera, sono state poi individuate delle aree performative che possano trasformare questo luogo in un “territorio del teatro”. Partendo dai vuoti, sulla piazza sono stati quindi disseminati 75 steli che riportano avvolte su di sé le memorie, mentre la loro disposizione definisce le aree performative a seconda che sia più rarefatta o più fitta. Ogni stelo è anche un dispositivo per lo spazio pubblico o per l’attività teatrale, mentre il loro insieme interferisce con il passaggio dei pedoni senza ostacolarlo e genera in ogni punto del piazzale una differente percezione dello stesso. La disseminazione di steli prosegue inoltre nel mezzanino sottostante, a volte connettendolo con la superficie, por324

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tando le memorie a interferire anche in questo luogo di transito. Le aree performative, infine, sono enfatizzate dal disegno della pavimentazione: il battuto di cemento è infatti disseminato da piccoli blocchi di granito che, oltre ad essere un motivo visivo, impediscono la fessurazione del calcestruzzo.

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Situazione urbana 1:5000 Piccolo Teatro Urbano

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Pianta superficie 1:500 Piccolo Teatro Urbano

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Schema d’uso 1

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Schema d’uso 2

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Schema d’uso 3

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Schema d’uso 4

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Schema d’uso 5

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Schema d’uso 6

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Pianta mezzanino 1:500 Piccolo Teatro Urbano

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Sezione 1:500 Piccolo Teatro Urbano

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Sezione 1:500 Piccolo Teatro Urbano

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LEGENDA DISPOSITIVI

01. Punto luce 02. Macchina scenica 03. Rampicanti 04. Fontana 05. Fonotrasmettitore 06. Periscopio 07. Mezzanino 342

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PUNTO LUCE

Dispositivo di illuminazione dello spazio pubblico. Stelo in acciaio inossidabile. Diffusore luminoso in vetro opalino nella parte superiore. Piccolo Teatro Urbano

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MACCHINA SCENICA

Dispositivo per gli spettacoli teatrali. Stelo in acciaio inossidabile. Diffusore sonoro a 360° e predisposizione per aggancio luci e scenografie. 344

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RAMPICANTI

Dispositivo per il verde urbano. Stelo in acciaio inossidabile. Vasca filo pavimentazione con terra da coltivo e piante rampicanti. Piccolo Teatro Urbano

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FONTANA

Punto d’acqua. Stelo in acciaio inossidabile. Vasca di raccolta dell’acqua a filo pavimentazione con ciottoli. 346

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FONOTRASMETTITORE

Dispositivo per la trasmissione dei rumori urbani. Stelo in acciaio inossidabile con estremitĂ a livello della piazza e del mezzanino della metropolitana. Piccolo Teatro Urbano

347


PERISCOPIO Dispositivo per guardare la piazza dal mezzanino della metropolitana. Stelo in acciaio inossidabile con estremitĂ a livello della piazza e del mezzanino della metropolitana. 348

Piccolo Teatro Urbano


MEZZANINO Dispositivo per intercettare i flussi di passanti nel mezzanino della metropolitana. Stelo in acciaio inossidabile. Disco luminoso in vetro opalino a filo soffito e a filo pavimento nell’estremità superiore e inferiore. Piccolo Teatro Urbano

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PUNTO LUCE

MACCHINA SCENICA

RAMPICANTI

FONT

5.00 m

D08

2.00 m

D09

1.50 m

D07

D07

D07

D07

D02

D02

D03

D04

1.10 m

0.00 m

D01

1.80 m

4.30 m 4.70 m

5.90 m

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TANA

FONOTRASMETTITORE

PERISCOPIO

MEZZANINO

D06

D07

D07

D05

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D01

1 2 3

4

2

1

1. Battuto in cls con polveri di quarzo 150mm 2. Blocchi in granito Ă˜120mm 3. Livellamento in cls 70mm 4. Sottofondo esistente

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D02

1 2

3

1. Battuto in cls con polveri di quarzo 150mm 2. Livellamento in cls

4

70mm 3. Sottofondo esistente 4. Piastra in acciaio Ă˜600mm

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D03

1 2 3

4

1. Terra da coltivo 2. Battuto in cls con polveri di quarzo 150mm 3. Livellamento in cls

5

70mm 4. Sottofondo esistente 5. Piastra in acciaio Ă˜600mm

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D04

1 2 3 4 5

1. Ciottoli 2. Battuto in cls con polveri di quarzo 150mm 3. Livellamento in cls 70mm

6

4. Griglia di scarico 5. Sottofondo esistente 6. Piastra in acciaio Ă˜600mm

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D05

1

2 3

1. Disco in vetro opalino

4

2. Luce led 3. Solaio esistente in cls 4. Piastra in acciaio Ă˜600mm

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D06 3

2

1

1. Disco in vetro opalino

4

2. Luce led 3. Solaio esistente in cls 4. Piastra in acciaio Ă˜600mm

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D07

6

1. Frammento tortile ottenuto mediante lucidatura su fondo opaco.

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D08

1

2

1. Diffusore luminoso in vetro opalino 2. Luce led

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D09

1

2

1. Microforatura 2. Casse acustiche

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Bibliografia

Cruciani, Fabrizio. 1992. Lo spazio del teatro. Roma: Laterza. Branzi, Andrea. 2007. “La musica contemporanea e il suo spazio: l’ottava nota” In Spazi per la cultura. Cultura degli spazi. Nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, edited by Branzi, Andrea and Chalmers, Alessandra, 111-132. Milano: Franco Angeli. Gravano, Viviana. 2006. “Spettacolo/spettacolare/spettacolarizzazione” In Santarcangelo 06. Scritti sulla contemporaneità, edited by Bounin, Olivier and Ruffini, Paolo, 72. Roma: Fandango Libri. Irace, Fulvio. 1997. Il Nuovo Piccolo Teatro di Milano. Abitare 361 Piaggio, Juan Martìn. 1998. Nuova sede del Piccolo Teatro di Milano. Costruire in laterizio 62 Rocca, Alessandro. 1997. Il Piccolo Teatro Una storia milanese. Lotus 94 Salvadeo, Pierluigi. 2007 “La scenografia come installazione autonoma” In Spazi per la cultura. Cultura degli spazi. Nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, edited by Branzi, Andrea and Chalmers, Alessandra, 161-179. Milano: Franco Angeli. 366

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Schechner, Richard. 1973. Environmental Theatre. New York: Applause. Serino, Marco. 2011. “Spazio urbano e spazio teatrale nell’organizzazione dello spettacolo dal vivo”. Tafterjournal Esperienze e strumenti per cultura e territorio. http://www. tafterjournal.it/2011/07/26/spazio-urbano-e-spazio-teatrale-nell’organizzazione-dello-spettacolo-dal-vivo/ Telli, Francesca. 2007. “Nuovi spazi per la danza contemporanea” In Spazi per la cultura. Cultura degli spazi. Nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, edited by Branzi, Andrea and Chalmers, Alessandra, 149-159. Milano: Franco Angeli.

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