Cassazione 2022-la Suprema Corte boccia il ricorso di Steve Bannon e non potrà rimettere le mani sul

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Civile Ord. Sez. U Num. 25499 Anno 2022

ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 13466/2021 R.G. proposto da ASSOCIAZIONE D.H.I. – DIGNITATIS HUMANAE INSTITUTE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Antonietta Cataldi, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione; ricorrente contro MINISTERO DELLA CULTURA (già Ministero dei beni e delle attività culturali), in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; controricorrente

Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO

Relatore: MERCOLINO GUIDO Data pubblicazione: 30/08/2022

COMUNITA' SOLIDALI LAB, ASSOCIAZIONE GOTTIFREDO, ALLE ORIGINI DEL CAMMINO DI SAN BENEDETTO, AMICI DEL CAMMINO DI SAN BENEDETTO, CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI ALATRI, DE RERUM NATURA, GRUPPO DI AZIONE LOCALE VERSANTE LAZIALE DEL PARCO NAZIONALE D'ABRUZZO, CIRCOLO LEGAMBIENTE DI FROSINONE, FONDAZIONE L'ABBADIA, RES CIOCIARIA e SYLVATICA; intimate avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 2207/21, depositata il 15 marzo 2021.Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 aprile 2022 dal Consigliere Guido Mercolino FATTI DI CAUSA 1. L'Associazione D.H.I. Dignitatis Humanae Institute propose ricorso al Tribunale amministrativo per il Lazio, Sezione staccata di Latina, chiedendo l'annullamento del decreto DG MU n. 1279 del 16 ottobre 2019, con cui il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo aveva disposto l'annullamento d'ufficio del decreto emesso il 16 giugno 2017, avente ad oggetto l'approvazione della graduatoria della selezione per l'affidamento in concessione della Certosa di Trisulti, all'esito della quale, con atto sottoscritto il 14 febbraio 2018, era stata rilasciata la concessione in favore della ricorrente. Si costituì il Ministero, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.

Nel giudizio spiegarono intervento numerose Associazioni aventi come scopo statutario la valorizzazione del patrimonio culturale, resistendo anche esse alla domanda.

Con motivi aggiunti, la ricorrente chiese poi l'annullamento anche della nota prot. n. 10331 del 5 dicembre 2019, con cui il Ministero le aveva ordinato il rilascio dell'immobile, nonché del provvedimento n. 16790 del 4 dicembre 2019, con cui il Ministero aveva rigettato l'istanza di accesso agli atti da essa presentata.

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1.1. Con sentenza del 26 maggio 2020, il Tar dichiarò inammissibile l'intervento delle Associazioni, accogliendo nel merito il ricorso.

2. L'appello proposto dal Ministero è stato accolto dal Consiglio di Stato, che con sentenza del 15 marzo 2021 ha rigettato il gravame incidentale proposto dalla DHI ed accolto quello proposto dalle Associazioni intervenute nel giudizio.Afondamento

Nel merito, il Consiglio di Stato ha premesso che l'annullamento d'ufficio risultava motivato sulla base del difetto dei requisiti prescritti dall'avviso di gara, essendo emerso che alla data di scadenza del termine per la presentazione delle candidature la DHI non era dotata di personalità giuridica, non aveva come finalità principale lo svolgimento di attività di tutela o valorizzazione dei beni culturali, non era in possesso di un'esperienza quinquennale nel settore ed aveva dichiarato il pregresso svolgimento di attività non comprovate e non congruenti con quanto richiesto dal bando. Ha aggiunto che da interventi ispettivi compiuti a seguito della trasmissione di ulteriore documentazione e della sottoscrizione dell'atto di concessione, erano emersi il mancato avvio degl'interventi previsti ed altri inadempimenti della concessionaria, sicché il Ministero aveva avviato, oltre al procedimento per l'annullamento in autotutela, un altro procedimento per la decadenza dalla concessione. Ciò posto, e ribadito che i requisiti prescritti dovevano essere posseduti alla scadenza del termine per la presentazione della domanda, a garanzia della par condicio tra i candidati, ha ritenuto congruamente svolta l'attività istruttoria e motivata la determinazione assunta, rilevando che tanto il riconoscimento dell'Associazione quanto l'inserimento nello statuto della finalità di tutela, promozione e valorizzazione del patrimonio culturale avevano avuto luogo in

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della decisione, il Giudice amministrativo ha riconosciuto innanzitutto l'ammissibilità dell'intervento delle Associazioni, osservando che la legittimazione ad intervenire postula requisiti meno stringenti di quelli prescritti per la legittimazione ad impugnare, e rilevando che le Associazioni risultavano titolari di un interesse di fatto al mantenimento dell'assetto risultante dal provvedimento impugnato, avendo fornito la prova del loro scopo statutario e della loro contrarietà all'assegnazione della gestione della Certosa alla DHI, per le stesse ragioni che ne avevano determinato l'annullamento.

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Considerato poi che la selezione avviata dal Ministero aveva ad oggetto l'assegnazione di un vantaggio economico, ha ritenuto applicabile il disposto dell'art. 21 nonies, comma primo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, osservando che l'operazione di rilascio della concessione è caratterizzata dalla coesistenza di due diverse fasi, una pubblicistica costituita dall'emissione di un atto amministrativo unilaterale, all'esito di un procedimento amministrativo di tipo selettivo, ed una civilistica costituita dalla stipulazione di una convenzione, volta a disciplinare gli aspetti concreti della gestione del bene demaniale, tra le quali intercorre un intimo rapporto di causa effetto, con la conseguenza che l'illegittimità del provvedimento concessorio è destinata a ripercuotersi sul contratto, determinando la decadenza dal beneficio indebitamente conseguito. Precisato che nella specie il provvedimento di annullamento in autotutela e l'ordine di restituzione erano intervenuti in epoca ampiamente successiva alla scadenza del termine previsto dalla predetta disposizione, e rilevato che l'istruttoria svolta dal Ministero in contraddittorio con la DHI aveva confermato sia il difetto dei requisiti prescritti che la non veridicità delle dichiarazioni, ha ritenuto applicabile anche l'art. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, affermando che, ove le dichiarazioni non veritiere abbiano prodotto un effetto rilevante ai fini del rilascio del provvedimento amministrativo, il termine ragionevole per l'annullamento decorre soltanto dal momento in cui l'Amministrazione sia venuta a conoscenza di tale non veridicità. Premesso infatti che il termine di cui all'art. 21 nonies, comma primo, cit. è previsto a tutela del legittimo affidamento, il quale impone che la situazione di vantaggio assicurata da uno specifico atto amministrativo non possa essere successivamente rimossa, se non sia strettamente necessario per l'interesse pubblico, ha precisato che ai fini della legittimità dell'affidamento è necessaria la buona fede incolpevole del destinatario del vantaggio, non configurabile nel caso in cui, come nella specie, la patologia dell'atto sia ascrivibile al comportamento scorretto dallo stesso tenuto, che abbia sviato

4 data successiva, mentre la documentazione comprovante l'esperienza maturata nel settore non recava l'esatta indicazione dell'epoca di svolgimento delle attività e della tipologia delle stesse, né la relativa attestazione della sovrintendenza territorialmente competente.

3. Avverso la predetta sentenza la DHI ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Il Ministero della cultura ha resistito con controricorso. Le altre intimate non hanno svolto attività difensiva.

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5 in modo decisivo la valutazione dei requisiti prescritti dalla legge, in pregiudizio anche potenziale delle aspirazioni di altri concorrenti Ha aggiunto che la necessità di attendere una sentenza penale di condanna ai fini dell'annullamento in autotutela dopo la scadenza del termine è prevista soltanto nel caso in cui per le dichiarazioni non veritiere sia già stato avviato un procedimento penale, in assenza del quale l'Amministrazione ha il dovere di rimuovere il provvedimento illegittimamente adottato, anche nel rispetto del principio di leale collaborazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo d'impugnazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto sufficiente, ai fini della dimostrazione della falsità delle dichiarazioni da essa rilasciate, un'indagine svolta dall'Amministrazione, senza considerare che il relativo accertamento non spetta al Giudice amministrativo, ma al Giudice penale. Premesso inoltre che, per escludere la veridicità delle predette dichiarazioni, il Consiglio di Stato si è avventurato in valutazioni attinenti al merito dell'azione amministrativa, sostiene che, nel ritenere che la volontà dell'Amministrazione fosse stata sviata da un comportamento doloso o colposo di essa ricorrente, tale da escludere la configurabilità di un legittimo affidamento, la sentenza impugnata non ha considerato che la fattispecie integrava un'ipotesi di dolo civile, idoneo a determinare non già la nullità, ma l'annullabilità dell'atto, non rilevabile d'ufficio, ma solo mediante una sentenza costitutiva, pronunciata all'esito di un procedimento civile nel quale fossero rispettate le garanzie del contraddittorio. Aggiunge che, nel rilevare sostanzialmente la nullità dell'atto, il Consiglio di Stato non ha tenuto conto della presunzione di buona fede operante in materia negoziale, la quale pone a carico di chi la neghi l'onere di dimostrare la mala fede della controparte, ed ha violato i principi del doppio grado di giurisdizione e del giusto processo, avendo provveduto in grado di appello, in tal modo impedendole di

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6 difendersi al riguardo. Afferma infine che, nell'attribuire portata determinante ad un fatto ancora all'esame del Giudice penale, il Giudice amministrativo si è pronunciato su una questione riservata alla giurisdizione ordinaria, privando essa ricorrente di un bene acquisito legittimamente, sulla base di una valutazione che potrebbe risultare diversa da quella del giudice naturale precostituito per legge. 1.1. Il motivo è inammissibile. Le censure proposte dalla ricorrente cumulano, in un unico contesto, tre distinti profili di eccesso di potere giurisdizionale, costituiti rispettivamente a) dall'esercizio di attribuzioni spettanti al Giudice penale, cui sarebbe demandato in via esclusiva l'accertamento della falsità delle dichiarazioni rese in ordine al possesso dei requisiti prescritti per l'accesso alla convenzione, dal quale l'art. 21 nonies, comma 2 bis, della legge n. 241 del 1990 fa dipendere la possibilità di procedere all'annullamento d'ufficio della concessione anche dopo la scadenza del termine di cui al comma primo della medesima disposizione, b) dallo sconfinamento nel merito dell'azione amministrativa, cui atterrebbe la valutazione relativa alla sussistenza dei predetti requisiti, c) dalla invasione della sfera di competenza del Giudice civile, cui sarebbe riservata la pronuncia di annullamento della convenzione per dolo, ove la stessa dovesse ritenersi stipulata per effetto di false dichiarazioni rese in ordine al possesso dei medesimi requisiti. In ordine alla prima questione, si osserva che l'art. 21 nonies, comma 2 bis cit. (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 63 del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2021, n. 108), prevedendo che «i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1», non regola il riparto di giurisdizione in ordine all'accertamento dei fatti che hanno condotto all'adozione del provvedimento annullato, ma si limita ad introdurre una deroga alla disciplina generale dettata dal comma primo, secondo cui «il

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7 provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'art. 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo art 21 octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'art. 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge». Se è vero, infatti, che, ove l'attribuzione del vantaggio costituisca il risultato di una condotta penalmente illecita, l'accertamento del reato non può spettare che al Giudice penale, è anche vero, però, che ciò non esclude, in linea di principio, la possibilità che il medesimo fatto formi oggetto di un autonomo accertamento da parte dell'Autorità amministrativa, ai fini della rimozione del provvedimento illegittimamente adottato, indipendentemente dall'avvio di un procedimento penale; è altrettanto evidente che, qualora si proceda all'annullamento d'ufficio del provvedimento attributivo del beneficio, l'impugnazione della relativa determinazione è devoluta alla giurisdizione del Giudice amministrativo, cui spetta il compito di stabilire, tra l'altro, se l'annullamento abbia avuto luogo nel rispetto del termine di cui all'art. 21 nonies, ove lo stesso sia ritenuto applicabile.Benvero, la formulazione del comma 2 bis può indurre a chiedersi se l'avvio del procedimento penale sia destinato a venire in rilievo soltanto ai fini dell'operatività del termine previsto dal comma primo, oppure se la norma intenda subordinare al passaggio in giudicato della sentenza penale con cui venga accertata la falsità delle dichiarazioni la stessa facoltà dell'Amministrazione di procedere all'annullamento d'ufficio del provvedimento attributivo del beneficio: peraltro, anche qualora si propenda per quest'ultima tesi, deve riconoscersi che l'avvio del procedimento penale non può incidere sulla spettanza al Giudice amministrativo della giurisdizione in ordine all'impugnazione del provvedimento di annullamento adottato prima della sua definizione, ma solo sulla legittimità del provvedimento, il quale può (anzi deve) essere impugnato dinanzi al predetto Giudice, se si vuole evitarne il definitivo consolidamento, anche in pendenza del predetto procedimento.

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In questa sede, non occorre neppure stabilire se, come affermato dalla sentenza di primo grado, la deroga prevista dal comma 2 bis dell'art. 21 nonies presupponga in ogni caso l'accertamento in sede penale della falsità della dichiarazione, con sentenza passata in giudicato, a seguito della quale soltanto sarebbe consentito all'Amministrazione di procedere all'annullamento d'ufficio del provvedimento di attribuzione del beneficio anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi, oppure se, come ritenuto dalla sentenza impugnata, tale condizione debba essere rispettata nella sola ipotesi in cui un procedimento penale sia stato effettivamente avviato, avendo altrimenti l'Amministrazione il dovere di rimuovere il provvedimento illegittimamente adottato per cause riconducibili esclusivamente all'apporto procedimentale infedele dell'interessato, e ciò sia in virtù di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 21 nonies che alla luce della contemporanea applicabilità della disciplina dettata dall'art. 75, comma primo, del d.P.R. n. 445 del 2000, il quale prevede la decadenza dai benefici conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera, indipendentemente dalla condizione soggettiva del dichiarante. Anche a voler ritenere che, decorso il termine in questione, l'Amministrazione possa procedere allo annullamento d'ufficio del provvedimento di assegnazione del beneficio soltanto a seguito di un giudicato penale di accertamento della falsità delle dichiarazioni, la mancanza dello stesso non inciderebbe sulla spettanza al Giudice amministrativo della giurisdizione in ordine all'impugnazione del provvedimento di annullamento, ma solo sull'osservanza del termine, e quindi sulla legittimità del provvedimento, la cui affermazione, in quanto attinente al merito della controversia, non sarebbe censurabile ai sensi dell'art. 111, ottavo comma,Com'èCost.noto, infatti, il controllo spettante a queste Sezioni Unite in sede delle sentenze del Consiglio di Stato è limitato al riscontro dell'eventuale violazione dei limiti esterni della giurisdizione, configurabile quando detto giudice si sia pronunciato su una materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero abbia negato la propria giurisdizione sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici;

d'impugnazione

9 esso non include quindi il sindacato sulle scelte ermeneutiche del Giudice amministrativo, che, in quanto suscettibili di tradursi in errores in procedendo o in judicando, restano confinate entro i limiti interni della giurisdizione, attenendo alle modalità di esercizio dell'attività giurisdizionale, il cui proprium distintivo consiste per l'appunto nell'interpretazione delle norme giuridiche (cfr. Cass., Sez. Un., 4/12/2020, n. 27770; 20/03/2019, n. 7926; 3/08/2018, n. 20529).1.2.L'eccesso

di potere giurisdizionale sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, deducibile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, ottavo comma, Cost., è invece configurabile quando l'indagine svolta dal Giudice amministrativo ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, dimostrandosi strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero se la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, evidenzi l'intento dell'organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella dell'Amministrazione mediante una pronuncia che, in quanto espressiva di un sindacato di merito ed avente il contenuto sostanziale e l'esecutorietà propria del provvedimento sostituito, non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti della autorità amministrativa (cfr. Cass., Sez. Un., 4/02/2021, n. 2604; 24/05/ 2019, n. 14264; 26/11/2018, n. 30526). Il vizio in questione, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi tuttavia insussistente nell'ipotesi in cui il sindacato sulla legittimità del provvedimento amministrativo impugnato implichi la verifica dei requisiti prescritti per la partecipazione ad una selezione o per l'accesso a determinati benefici, la cui ricognizione non presenti alcun profilo di discrezionalità, trattandosi di circostanze oggettivamente riscontrabili, il cui accertamento rimane nell'alveo del controllo di conformità del provvedimento alla normativa primaria e secondaria che lo disciplina (cfr. Cass., Sez. Un., 3/11/2021, n. 31311; 3/03/ 2020, n. 5904; 23/12/2014, n. 27341). Tale principio risulta applicabile non solo ai provvedimenti di amministrazione attiva, ma anche a quelli adottati dalla Pubblica Amministrazione in sede di autotutela, come quello di annullamento d'ufficio, costituendo gli stessi, al pari del provvedimento annullato, esercizio di un potere anch'esso soggetto al principio di legalità, ai sensi dello

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Non possono pertanto trovare ingresso, in questa sede, le censure mosse dalla ricorrente all'accertamento compiuto dal Consiglio di Stato in ordine al difetto dei requisiti prescritti per la partecipazione alla selezione per l'affidamento della concessione, ed in particolare all'oggetto dell'attività svolta dalla Associazione, così come individuato dalle norme statutarie vigenti alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara: la ritenuta estraneità di tale attività al settore della tutela e della valorizzazione dei beni culturali trova infatti giustificazione nel confronto tra le predette disposizioni e le prescrizioni contenute nell'avviso di gara, la cui configurabilità come lex specialis della procedura selettiva, cui l'Amministrazione doveva attenersi nell'individuazione dei soggetti ammessi a parteciparvi, senza alcun margine di opinabilità della relativa valutazione, consente di escludere che, nella verifica dei presupposti necessari per l'annullamento dell'assegnazione, il Giudice amministrativo abbia spiegato un'indebita ingerenza nella sfera riservata alla discrezionalità dell'Amministrazione.

1.3. Quanto infine alla lamentata invasione della sfera di competenza del Giudice civile, è appena il caso di rilevare che la convenzione stipulata tra il Ministero e l'Associazione, in virtù dell'assegnazione disposta all'esito della procedura selettiva, non è assimilabile ad un comune contratto di diritto privato, suscettibile di annullamento per dolo, in conseguenza dell'accertata dipendenza della stipulazione dalle dichiarazioni non veritiere rese dal beneficiario al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara. Come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, la concessione per la gestione di un bene culturale demaniale integra una fattispecie complessa caratterizzata dalla giustapposizione di un momento pubblicistico, rappresentato dall'atto autoritativo unilaterale con cui l'Amministrazione individua il soggetto al quale attribuire la gestione, all'esito di un procedimento

10 art. 97 Cost., ed essendo in quanto tali sottoposti al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, con esclusione dei soli profili di discrezionalità, i quali riguardano tuttavia soltanto le ragioni di convenienza ed opportunità sottese alla rimozione dell'atto illegittimo, e non anche la conformità dello stesso alle norme che l'Amministrazione era tenuta ad applicare (cfr. Cass., Sez. Un., 20/12/2020, n. 33013).

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11 amministrativo di tipo selettivo, ed un momento privatistico, rappresentato dalla stipulazione della convenzione, con cui le parti disciplinano i diritti e gli obblighi connessi all'utilizzazione del bene, anche sotto il profilo economico: tale atto è strettamente condizionato dalla validità ed efficacia delle scelte effettuate dall'Amministrazione nella fase pubblicistica d'individuazione dello assegnatario, ed è quindi destinato a risentire dell'effetto patologico dell'accertata illegittimità del provvedimento concessorio, il cui annullamento determina la decadenza dal beneficio indebitamente conseguito.

Trova pertanto applicazione il principio, costantemente ribadito da queste Sezioni Unite in riferimento agli accordi integrativi del contenuto di provvedimenti amministrativi di natura concessoria, secondo cui la giurisdizione in ordine alle relative controversie spetta al Giudice amministrativo, anche dopo le modifiche apportate dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 all'art. 11 della legge n. 241 del 1990, trattandosi di accordi che, in quanto costituenti anche essi espressione di un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, restano conseguentemente assoggettati, ai sensi dell'art. 133, comma primo, lett. a), n. 2, cod. proc. amm., al sindacato del medesimo giudice cui la lett. b) della medesima disposizione attribuisce la cognizione in ordine all'esercizio di tale potere (cfr. Cass., Sez. Un., 4/12/2020, n. 27768; 30/05/2018, n. 13701; 14/01/2018, n. 584). Tale orientamento ha ottenuto anche l'autorevole avallo della Corte costituzionale, la quale ha riconosciuto che «le convenzioni e gli atti d'obbligo stipulati tra pubblica amministrazione e privati costituiscono pur sempre espressione di un potere discrezionale della stessa pubblica amministrazione», affermando che «tali moduli convenzionali di esercizio del potere amministrativo non hanno, quindi, specifica autonomia. In coerenza con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, il fondamento di tali ipotesi di giurisdizione esclusiva viene legittimamente individuato nell'esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, del potere pubblico» (cfr. Corte cost., sent. n. 179 del 2016).

2. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibili, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

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12 P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.Così deciso in Roma il 5/04/2022

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