Consiglio di Stato 2022-lavori eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire: sanzione pecuniaria o demolizione? Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 30/05/2022) 06-07-2022, n. 5620 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4165 del 2016, proposto da A.L., rappresentata e difesa dall'avvocato OMISSIS OMISSIS, con domicilio eletto fisico presso lo OMISSIS dell'avvocato OMISSIS OMISSISin Roma, via OMISSISi, n. 30; contro COMUNE DI OMISSIS, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato OMISSIS OMISSIS, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 2378 del 2015; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di OMISSIS; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 30 maggio 2022 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati OMISSIS OMISSIS e OMISSIS OMISSIS, in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, mediante utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams"; Svolgimento del processo - Motivi della decisione Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell'art. 74 c.p.a.;
Rilevato in fatto che: - la signora A.L., con Provv. n. 118 del 24 dicembre 2002 prot. n. (...), otteneva la concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato rurale presso il fondo di sua proprietà sito in N. S., alla via C.B.; - a seguito di sopralluogo (effettuato in data 21 giugno 2005) dei Carabinieri, il Comune di OMISSIS emetteva l'ordinanza n. 7 del 4 agosto 2005, con cui ingiungeva al proprietario la demolizione del suddetto fabbricato poiché realizzato in totale difformità rispetto al rilasciato permesso di costruire; - l'interessata impugnava la predetta sanzione demolitoria e (con motivi aggiunti) il sopravvenuto provvedimento prot. n. (...) del 26 giugno 2006, con cui veniva disposta l'acquisizione gratuita dell'immobile e della relativa area di sedime al patrimonio comunale; - a fondamento della domanda di annullamento, l'istante sosteneva, in estrema sintesi, che l'Amministrazione comunale aveva erroneamente qualificato l'intera struttura come opera abusiva, trascurando di considerare che: i) il fabbricato era stato eretto in forza di regolare permesso di costruire; ii) gli abusi riguardavano una piccola parte della struttura (così come implicitamente ammesso dalla stessa Amministrazione, allorquando aveva individuato e corretto, a lite già pendente, l'originario errore del computo complessivo dell'impatto volumetrico realizzato, in effetti pari a 1356,36 mc, e non a 3797,16 mc); iii) il fabbricato era stato legalmente assentito per una volumetria complessiva di mc 1208,85; d) in ogni caso, l'intero fabbricato era, allo stato, sottoposto a sequestro penale conservativo del 22 giugno 2006, ancora pendente, rendendo di fatto ineseguibile, nella prospettiva della contestata acquisizione, l'impugnata ingiunzione demolitoria; - il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, con sentenza n. 2378 del 2015, rigettava il ricorso; - avverso la predetta sentenza ha proposto appello la signora A.L., riproponendo nella sostanza i motivi di impugnazione di primo grado, sia pure adattati all'impianto motivazionale della sentenza gravata; - in particolare, l'appellante: a) con il primo motivo, lamenta che il primo giudice avrebbe erroneamente qualificato la struttura realizzata come totalmente difforme rispetto a quella assentita, e che in caso di difformità
totale l'Amministrazione avrebbe dovuto procedere all'annullamento del preliminare assenso edilizio; b) con il secondo motivo, censura il difetto di motivazione dell'ordine di demolizione impugnato in quanto il Comune avrebbe emesso un generico ordine di ripristino dello stato dei luoghi inerente l'intera struttura immobiliare senza analizzare la portata dei singoli abusi; c) con il terzo motivo, deduce l'illegittimità dell'ordine di acquisizione, sia perché pende sequestro penale, sia in quanto, trattandosi di difformità parziale (così come dimostrato dalla rettifica dell'ordinanza di ripristino), tale ordine avrebbe dovuto riguardare unicamente le parti abusive; d) con il quarto motivo, insiste per il carattere parziale della difformità dell'opera rispetto al permesso di costruire rilasciato: per quanto attiene l'area esterna, sostiene che la difformità rispetto al progetto iniziale avrebbe carattere temporaneo; per quanto attiene l'aumento planovolumetrico dovuto alla chiusura della scala esterna, deduce che il carattere pertinenziale dello stesso, dovuto alla funzione di collegamento tra il piano terra ed i piani superiori, ne escluderebbe il carattere di variazione essenziale ai sensi dell'art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001; e) con il quinto motivo, sostiene che l'ordinanza di demolizione sarebbe illegittima in quanto l'Amministrazione non avrebbe valutato se la demolizione delle opere abusive comprometteva la restante struttura; - si è costituito in giudizio il Comune di OMISSIS, insistendo per il rigetto del gravame; - in data 13 aprile 2022, l'appellante ha depositato documentazione attestante la pendenza giudizio di appello connesso (n. 6342 del 2021), di cui ha chiesto la trattazione congiunta; Considerato in diritto che: - in via preliminare, non è necessario rinviare la presente causa ai fini della trattazione congiunta con l'appello n. 6342 del 2021, promosso avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania n. 193 del 2021; - il giudizio da ultimo citato ‒ avente per oggetto la diversa ordinanza n. 27 del 2009 del Comune di OMISSIS ‒ presenta profili di connessione soggettiva e oggettiva (riguardando anch'esso opere edilizie realizzate sul fabbricato per civile abitazione assentito con concessione edilizia n. 118 del 24 dicembre 2002), ma non di pregiudizialità (tecnica o logica), con la causa oggi in discussione; - su queste basi, appare preminente l'esigenza di
definire celermente il presente appello in ragione del suo carattere risalente nel tempo; - nel merito, la sentenza di primo grado va interamente confermata; - giova ricordare che la disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni contempla tre fattispecie ordinate secondo la gravità dell'abuso: l'ipotesi di interventi in assenza di permesso o di totale difformità; l'ipotesi intermedia di variazioni essenziali dal titolo edilizio; l'ipotesi residuale della parziale difformità da esso; - in particolare, l'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 disciplina gli abusi più gravemente sanzionati; - si ha difformità totale dell'opera rispetto a quanto previsto nel titolo, pur sussistente, quando sia realizzato un organismo edilizio: i) integralmente diverso per caratteristiche tipologiche architettoniche ed edilizie; ii) integralmente diverso per caratteristiche planovolumetriche, e cioè nella forma, nella collocazione e distribuzione dei volumi; iii) integralmente diverso per caratteristiche di utilizzazione (ovvero la destinazione d'uso derivante dai caratteri fisici dell'organismo edilizio stesso); iv) integralmente diverso perché comportante la costituzione di volumi nuovi ed autonomi; - accanto alle forme di abuso appena ricordate, l'art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001, ‒ così come prima l'art. 7, comma 2, della L. n. 47 del 1985 ‒ regola la fattispecie dell'esecuzione di opere in "variazione essenziale" rispetto al progetto approvato, parificandola, quanto alle conseguenze, al caso di mancanza di permesso di costruire e di difformità totale, salvo che per gli effetti penali; - ai sensi della predetta norma sussiste, tra l'altro, variazione essenziale in caso di "mutamento di destinazione d'uso che implichi variazione degli standard previsti dal D.M. 2 aprile 1968"; - il caso della difformità parziale dal permesso di costruire per le nuove costruzioni è invece previsto e regolato dall'art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001; - si tratta una categoria residuale, la cui nozione è stata ulteriormente chiarita dalla giurisprudenza amministrativa: il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, come si desume in negativo dall'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001; - in base alla richiamata disposizione, mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali,
sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, si configura invece la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera; - ai fini sanzionatori, per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, va senz'altro disposta la demolizione delle opere abusive, mentre, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la legge prevede la demolizione, a meno che, non potendo essa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, debba essere applicata una sanzione pecuniaria; - nel caso in esame, il giudice di prime cure ha correttamente qualificato la struttura realizzata come totalmente difforme rispetto a quella assentita; - come risulta in atti dagli accertamenti eseguiti dall'Amministrazione, le modifiche apportate sull'originario corpo di fabbrica hanno condotto alla realizzazione di un manufatto del tutto diverso rispetto a quello assentito con la concessione edilizia n. 118 del 2002, e segnatamente: un deposito agricolo è stato trasformato in civile abitazione (id est: appartamento di 3 vani, cucina e 2 bagni), operando peraltro diverse modifiche planovolumetriche (aumento di superficie e volumi, maggiore altezza); - i presupposti per l'applicazione della sanzione demolitoria, di cui all'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, non possono dunque essere messi in discussione in questa sede e ‒ trattandosi di difformità totale ‒ non si imponeva affatto la previa rimozione del titolo edilizio rilasciato nel 2002 per realizzare il predetto deposito agricolo (peraltro con minore volume e diversità di sagoma), in quanto non è in discussione la legittimità del pregresso titolo abilitativo; - a fronte di abusi contestati e non rimossi, appare del tutto fuorviante l'affermazione secondo cui si assume che le predette opere costituirebbero una "situazione temporanea", destinate a venire meno con la "sistemazione temporanea del lotto"; - non sussiste poi il lamentato difetto motivazionale: la consolidata giurisprudenza l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con la descrizione delle opere e l'indicazione delle ragioni giuridiche della loro abusività:
l'ingiunzione di demolizione impugnata in questa sede è stata adottata a seguito del sopralluogo del 21 giugno 2005, nel corso del quale si è analiticamente riscontrata la consistenza degli abusi e la loro esecuzione in totale difformità rispetto al titolo abilitativo; - quanto poi all'ulteriore censura, l'art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 - il quale disciplina gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, prevedendo che "quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione" ‒ attribuisce rilievo al pregiudizio conseguente alla "parte eseguita in conformità" e non si riferisce anche ai casi (come quello per cui è causa) in cui il manufatto realizzato costituisce un organismo edilizio integralmente diverso da quello previsto per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche o di utilizzazione; - rispetto all'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, la censura incentrata sull'asserita portata preclusiva del sequestro penale dell'immobile non può essere accolta per le ragioni che seguono; - va premesso che la gratuita acquisizione al patrimonio indisponibile del comune dell'area sulla quale insiste la costruzione abusiva ‒ come si desume anche dalla lettera dell'art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il quale ne subordina l'effetto al previo accertamento dell'"inottemperanza" all'ingiunzione a demolire ‒, non è una misura meramente strumentale, bensì costituisce una sanzione autonoma che consegue ad un duplice ordine di condotte, poste in essere da chi, dapprima esegue un'opera abusiva e, poi, non adempie all'obbligo di demolirla, in conformità della regola (cfr. sul punto l'ordinanza n. 82 del 1991 e la sentenza 345 del 1991 della Corte Costituzionale, in relazione ad analoghe ipotesi sanzionatorie); - mentre l'ordine di demolizione, avendo natura ripristinatoria, prescinde dalla valutazione dei requisiti soggettivi del trasgressore, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell'irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell'ordine violato, l'ulteriore misura sanzionatoria, consistente nell'acquisizione gratuita dell'immobile, non può essere disposta quando non è possibile muovere alcun addebito di responsabilità nei confronti di chi la subisce;
- la misura in parola costituisce, infatti, una sanzione "penale" ai sensi dell'art. 7 della CEDU, in ragione della sua dimensione intrinsecamente "afflittiva" ‒ la quale costituisce un indice sostanziale sufficiente, fin dalle sentenze 8 giugno 1976, Engel contro Paesi Bassi, e 21 febbraio 1984, O. contro G., per qualificare una sanzione come "pena" ai fini dell'applicazione delle garanzie assicurate dalla Convenzione ‒, di talché può venire disposta solo nei confronti di colui la cui responsabilità sia stata accertata in ragione di un legame intellettuale, in termini di coscienza e volontà, con i fatti; - in mancanza di tale nesso soggettivo, l'effetto acquisitivo in favore del comune eccederebbe senza dubbio la finalità di ripristino della legalità violata; - sennonché, il proprietario di un bene abusivo (anche in caso di abuso commesso da terzi: l'ordine di demolizione, per legge, è rivolto congiuntamente al proprietario e al responsabile) che voglia scongiurare l'effetto ablativo a suo danno del diritto di proprietà, deve comunque dimostrare di essere stato impossibilitato, per una ragione non riconducibile a sua colpa, ad eseguire l'ingiunzione di demolizione; - nel caso in cui il bene sia stato sottoposto a sequestro penale (circostanza assai frequente, in quanto l'illecito edilizio integra, ricorrendone i presupposti, anche un reato), il proprietario deve intraprendere una specifica iniziativa offerta dall'ordinamento, ovvero la presentazione alla Autorità giudiziaria di un'istanza di dissequestro ai fini del ripristino dello stato dei luoghi (cfr. l'art. 85 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale): pendendo tale istanza, e sino a quando non venga accolta dalla magistratura inquirente, il termine assegnato dall'ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino deve ritenersi sospeso; - siffatto comportamento attivo ‒ il quale non costituisce un "onere individuale eccessivo" ‒ si impone al fine di bilanciare: da un lato, il vincolo di non potere applicare una sanzione afflittiva, se non quando sia possibile muovere un giudizio di rimprovero nei confronti del destinatario della misura afflittiva; dall'altro, quello di non incentivare comportamenti opportunistici volti a paralizzare l'azione amministrativa di vigilanza e tutela del territorio, speculando sui tempi (per ovvi motivi, necessariamente più lunghi) di conclusione del procedimento penale; - nel caso di specie, l'appellante non ha dedotto (nonostante il lungo tempo trascorso) di avere intrapreso alcuna iniziativa al riguardo;
- sotto altro profilo, il provvedimento impugnato ha indicato l'area da acquisire con riferimento alla particella n. (...) del foglio (...), sui cui insiste l'immobile abusivo; - l'iniziale errore di calcolo relativo alla volumetria del fabbricato abusivo (poi corretto dalla stessa Amministrazione in mc 1356,36, anziché in mc 3797,16), non ha avuto ‒ di per sé ‒ alcuna conseguenza sull'individuazione dell'area da acquisire; - l'appello, per tutte le ragioni sopra esposte, è infondato; - le spese di lite del secondo grado di giudizio vanno poste a carico dell'appellante, secondo la regola generale della soccombenza; P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 4165 del 2016, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento delle spese di lite del secondo grado di giudizio in favore del Comune costituito, che si liquidano in € 2.500,00, oltre accessori di legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati: Dario Simeoli, Presidente FF, Estensore Giovanni Sabbato, Consigliere Davide Ponte, Consigliere Sergio Zeuli, Consigliere Annamaria Fasano, Consigliere