Ott 2021 - Gen 2022 - N. 16
SPECIALE Filosofia dei valori La logica come etica del pensiero Intervista a Roberta De Monticelli
Editoriale di Elisa Giraud Il paradosso della finzione È possibile provare emozioni reali nei confronti di personaggi immaginari? di Chiara Frezza
La forza delle narrazioni Causa e caso nel racconto della pandemia di Petra Codato
Vivere il e nel piacere Tecniche per trasformare i nostri desideri in esercizi spirituali di Gaia Ferrari
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La logica come etica del pensiero. Intervista a Roberta De Monticelli di La Redazione
Potenziamento dei nostri corpi e inquietanti questioni etiche di Pamela Boldrin
80
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L’analisi sempre attuale di Max Weber di Agnese Giannino
9
Filosofia a fumetti Il simposio a casa di Agatone di Isabella Tiveron
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Selezionati per voi Libri di Sonia Cominassi Film di Laura Casagrande Libri Junior di Federica Bonisiol
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Evocare storie che corrono da sé di La valigia del filosofo
Intervista Filosofia dei valori
77
Bioeticamente Il futuro della neuro-tecnologia
Philovintage La politica tra vocazione e professione
RUBRICHE Filosofia per bambini Collodi, le pentole e i ventilatori
SOMMARIO
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9 72
SOMMARIO
Educarsi per educare
42
Il progetto pedagogico confuciano di Maurizio Scarpari
Non è stata la Dad! di Roberto Trinchero
EDUCARE PER EDUCARSI L’educare a essere di Francesco Codello
14
Il significato dell’acqua per i pesci
17
Formare allo svelamento della relazionalità di Marco Milella
20
Coltivare un orto a scuola di Erica Pradal
22 24
Costruire spazi dell’agire comune di Anna Lazzarini
Digital education di Giovanni Fasoli
Orfani delle scuole di partito di Giacomo Mininni
48
Un mondo di carta e inchiostro
50
Perché ancora oggi dovremmo educare alla lettura? di Anna Tieppo
La filosofia educa a pensare di Massimiliano Mattiuzzo
Educare a “fare città”
Una generazione senza formazione
Educare per educarsi - libri e film di Sonia Cominassi e Laura Casagrande
52
Educazione e lavoro
54
Riflessioni a partire dal pensiero di Jean-Jacques Rousseau di Andrea Potestio
Un modello educativo dall’Oriente di Stefano Aranginu
56
Global Education di Giuseppe Stampone e Mara Vicino
58
La scuola che ci manca
62
27
Educare è narrare Intervista a Duccio Demetrio di Chiara Frezza
30
Una rivoluzione educativa
35
Uno sguardo rinnovato su una fascia d’età trascurata di Dario Donadello
Riflessioni di pedagogia dell’intelligenza artificiale di Cristian Righettini
Educazione sentimentale, educazione esistenziale
Dal visto al vissuto di Umberto Anesi
38
L’elemento educativo nel romanzo Klara e il sole di Kazuo Ishiguro di Francesca Plesnizer
Riavviare il software educativo
40
Cenni sul pensiero riflessivo
La storia come palestra antropotecnica di Giacomo Pezzano
45
Approcci per vivere meglio di Matteo Astolfi
64
66
L’ARTE DELLA LEVATRICE di Elisa Giraud
EDITORIALE
La pandemia ha messo a dura prova il nostro sistema di valori, costringendoci anche fisicamente a rallentare il ritmo della vita quotidiana e quindi regalandoci momenti preziosi per stare con noi stessi e riflettere. Un evento di forza maggiore che ci ha fatto, e ci fa ancora, tirare fuori aspetti del nostro essere, del nostro stare nel mondo che a volte sono nuovi. Si potrebbe dire che è un evento educativo, se pensiamo al significato etimologico della parola educare, che viene dal latino ex ducere (e-ducere), trarre fuori, condurre. Che è poi il modo di intendere l’educare di quello che è considerato uno dei padri della pedagogia, Socrate, il quale “sapeva di non sapere” e attraverso il dialogo e la confutazione portava le persone a questa consapevolezza. Una cognizione che diventa feritoia, un’apertura che diventa varco dal quale si può far sì che esca qualcosa. «Eccoci così alla vera arte educativa – spiega Vito Mancuso nel suo libro I quattro maestri (Garzanti 2020) – che viene illustrata al meglio dalla terza immagine usata dalle fonti per descrivere l’operato di Socrate: la levatrice». Levatrice che in greco si dice maîa, da cui maieutica, termine che indica l’arte della levatrice «e che è diventato il contrassegno più noto della pedagogia socratica in quanto Socrate voleva portare alla luce la verità che ognuno potenzialmente possiede». Un significato che nei secoli si è perso ed educare è diventato sinonimo di insegnare. Tanto che quando si pensa all’ambito educativo vengono in mente i bambini, che invece sono stati messi al centro delle attività educative soltanto dal XVII secolo, mentre prima erano soggetti praticamente inesistenti dal punto di vista sociale. Anche il significato che riportano attualmente i vocabolari del verbo educare richiama una visione unidirezionale: “In generale, promuovere con l’insegnamento e con l’esempio lo sviluppo delle facoltà intellettuali, estetiche e delle qualità morali di una persona”. L’approfondimento di questo numero della rivista, consapevoli delle oggettive difficoltà applicative e logistiche di una revisione generale del modello pedagogico, vuole proporre un’idea diversa di educazione, nuova nel suo affondare le radici nell’antichità, una visione che parta da un primo passo che è “educare ad educarsi”, iniziando un percorso di autoconoscenza e auto-miglioramento che travalichi i confini della scuola, e formi persone attive, consapevoli, dinamiche e capaci. L’educazione è e deve tornare a essere un cammino inesauribile che non fornisce conoscenza, ma genera sete di conoscenza, non offre risposte preconfezionate, ma aiuta a porre le giuste domande e indica la via per trovare le risposte. La sfida è enorme, e riguarda ogni campo del vivere, del sapere e dell’interagire umani. L’educazione, per usare le parole di Maria Montessori, «è tale quando si configura come aiuto alla vita che si svolge».
4 LA CHIAVE DI SOPHIA | CHIARA FREZZA
IL PARADOSSO DELLA FINZIONE È possibile provare emozioni reali nei confronti di personaggi immaginari?
di Chiara Frezza
I
l rapporto tra apparenza e realtà è da sempre uno dei temi della filosofia. Mimesis, tradotto con «imitazione», «finzione» o anche «menzogna», a partire dalla Poetica di Aristotele, è il termine con cui di solito si è concepita la relazione tra arte e realtà. Data la pervasività che le attività finzionali hanno nelle nostre vite – fin da bambini, infatti, con i giochi in cui facciamo finta di essere qualcun altro, ci imbattiamo in tale attività – è interessante indagare la questione correlata al ruolo cognitivo dell’arte. Spesso le opere di finzione, raccontando situazioni immaginarie, sembrano farci comprendere certi eventi della realtà meglio di un resoconto di fatti realmente accaduti. Leggendo per esempio, Guerra e Pace di Tolstoj posso acquisire delle conoscenze in merito all’aristocrazia russa del XIX secolo e i film del cineasta iraniano Kiarostami, con le loro immagini, possono restituirmi più adeguatamente di un articolo di giornale certi aspetti della vita in Iran. A questo proposito in Art and Belief (2017), dodici studiosi hanno trattato della relazione che intercorre tra credenza e verità nella nostra esperienza estetica, relazione che è anche il punto di congiunzione tra filosofia
della mente e filosofia dell’arte1. Collegate all’aspetto cognitivo, vi sono delle problematiche che emergono dalla presenza degli atteggiamenti emotivi indotti dal coinvolgimento in un’opera d’arte: questi si presentano come un caso interessante da analizzare sia per i sostenitori della possibilità di formazione di credenze legate alla fruizione artistica, sia per coloro che invece negano tale possibilità. Il fatto che un’opera finzionale riesca a coinvolgerci emotivamente, e in particolare che molte storie abbiano la capacità di suscitare sentimenti verso i loro personaggi, ci porta a interrogarci sulla natura degli oggetti che generano tali emozioni.
LA relazione tra credenza e verità è anche il punto di congiunzione tra filosofia della mente e filosofia dell’arte. La relazione problematica che investe l’ontologia dei protagonisti di un racconto o di un film e le emozioni provate nei loro confronti da parte dei lettori/spettatori è il nodo centrale del cosiddetto paradosso della finzione, composto da una triade di enunciati che, presi
LA CHIAVE DI SOPHIA | OTT 2021 - GEN 2022 5
enunciato (ii). Non è affatto vero che per provare un’emozione per qualcosa è necessario che questa esista, in particolare se “esistere” significa esistere spaziotemporalmente. Il punto importante da capire è che le emozioni, per essere quel che sono, non richiedono credenze esistenziali sul loro oggetto2.
Le emozioni, per essere quel che sono, non richiedono credenze esistenziali sul loro oggetto.
individualmente, sono tutti plausibili, ma messi insieme sembrano generare una contraddizione: i) Spesso proviamo emozioni per entità fittizie che riconosciamo come tali; ii) Per provare emozioni per qualcosa occorre credere che quel qualcosa esista; iii) Sappiamo che le entità fittizie non esistono. La prima di queste asserzioni appare inconfutabile: leggendo il romanzo di Tolstoj siamo portati a empatizzare con Anna Karenina, e nel provare tale stato non siamo nella situazione di coloro che scambiano entità fittizie per entità concrete (come nel caso della credenza, da parte dei bambini, in Babbo Natale). La seconda proposizione esprime il punto di vista dei teorici cognitivisti delle emozioni, per i quali un sentimento comporta una credenza di tipo esistenziale sull’oggetto verso cui tale sentimento è diretta. Il terzo punto dichiara la non esistenza, in senso stretto e quindi concretamente, delle entità fittizie.
Potremmo dire che nel contesto finzionale non abbiamo a che fare con entità fittizie, anche se esse non rientrano nel dominio generale di ciò che c’è. Questo perché nel momento della fruizione si è coinvolti in un gioco di finzione più ampio che comprende sia gli eventi narrati, sia i partecipanti a tale racconto. Le emozioni che proviamo verso questi oggetti sono genuine, ma finte perché provate all’interno di un mondo creato dall’autore, contesto in cui siamo spettatori partecipi. L’intuizione di provare emozioni per entità che riconosciamo come fittizie è giustificata e non necessita la sospensione della convinzione che tali oggetti non esistano nella realtà. In altre parole, noi spettatori diventiamo parte dell’opera d’arte. Guardando all’esperienza è chiaro che Oliver Twist e Crudelia De Mon, stricto sensu, non esistono; ma allo stesso tempo, seppure non dati materialmente, essi producono delle conseguenze che si manifestano in un certo tipo di comportamento nella nostra vita di tutti i giorni. Questi effetti reali possono essere identificati con la compassione provata nei confronti dell’orfanello ideato da Dickens e con l’avversione nutrita verso la principale antagonista del romanzo di Dodie Smith. Per cui sentitevi liberi di ammirare, odiare, invidiare e amare tutti i protagonisti delle vostre storie preferite!
Cfr. E. Sullivan-Bisset, H. Bradley, P. Noordhof (a cura di), Art and Belief, Oxford University Press, Oxford 2017 2 Cfr. P. Lamarque, How Can We Fear and Pity Fictions?, in “British Journal of Aesthetics”, 21 (1981), pp. 291-304 1
Per Peter Lamarque, il modo più adeguato per risolvere il paradosso della finzione è quello di negare il secondo
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