San Massimo, Vescovo di Torino

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Quaderni della Consolata / I Santi – 5

San Massimo «Primo Vescovo della città di Torino»


EDIZIONI LA CONSOLATA Torino, maggio 2009

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SAN MASSIMO DI TORINO Vescovo di Torino dal 380 al 420 ca. 1. AMBIENTAZIONE STORICA La

più

antica

testimonianza

della

presenza cristiana in Piemonte è la chiesa di santa Maria di Testona (Moncalieri – nella foto), del 160 d.C. Secondo l’abate cistercense Federico Ughelli, che nel 1648 pubblicava a Venezia la sua «Italia Sacra», frutto della descrizione dettagliata di numerose visite accurate in tutte le Diocesi d’Italia, la consacrazione di questa prima chiesa nei pressi di Torino, dedicata alla S.S. Vergine, avvenne per mano del santo papa Pio I. Sappiamo, d’altronde, che è con il 313 che l’imperatore Costantino, con l’editto di Milano, ammette il Cristianesimo come religione «lecita» in tutto l’Impero, ponendo fine alle persecuzioni dei periodi precedenti. Anzi, è proprio nei dintorni di Torino che lo stesso imperatore Costantino si scontra con il figlio di Massimiano, Massenzio, il quale dal 306 al 312 aveva tentato il colpo di mano, impadronendosi dei territori d’Italia e d’Africa, mentre la Gallia e la Britannia fin dal 308 avevano nominato Costantino come Cesare. In Valle di Susa, sotto il monte Musinè, c’è stato il primo scontro con le truppe dell’usurpatore, salite da Roma per sbarrargli la strada, e probabilmente qui può essere ambientata la famosa visione di Costantino, la scritta nel cielo «in hoc signo vinces», «con questo segno vincerai», riferito alla croce, simbolo dei cristiani.

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Costantino si farà battezzare solo sul letto di morte,

ma

comunque

la

sua

vittoria

definitiva su Massenzio, il 28 ottobre del 312 a

Ponte

Milvio

consolidare

(Roma)

contribuirà

l’affermazione

a del

Cristianesimo, già da tempo praticato in quelle regioni subalpine. Un’altra

testimonianza

concreta

della

antichità della pratica di culto cristiana è data dai ritrovamenti di resti dell’epoca romana,

soprattutto

da

una

epigrafe

ritrovata a Revello (nella foto), nei pressi di Saluzzo (CN), datata al 341. Ma come si presentava il contesto storico-geografico della città di Torino, nel tempo in cui si trovò ad operare il santo vescovo Massimo, ossia all’incirca dal 360-370 al 420? Il panorama è sconfortante, la città è spaurita e i suoi abitanti si ritrovano a dover difendere la propria vita giorno dopo giorno. Le distruzioni e i saccheggi delle truppe Visigote di Alarico erano ormai una costante. I Goti «nobili» (Visigoti), o Goti dell’Ovest, per distinguerli dagli Ostrogoti (Goti dell’Est), provenivano dalla Germania e si erano stanziati nell’Europa orientale. Spinti dall’invasione degli Unni entro i confini dell’Impero, per un po’ di tempo furono assoggettati e vassalli dei Romani. Nel 395 avevano nominato loro re Alarico, iniziando una serie di conquiste territoriali (Bulgaria, Macedonia, Grecia del nord), per poi rientrare in Italia e saccheggiare Roma per tre giorni (24 agosto 410). Distrutta la capitale dell’Impero, che ormai si stava sfaldando, risalirono la penisola, distrussero a più riprese Torino e la Val di Susa (411)

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per stabilirsi per un certo tempo a Tolosa (412), nella Gallia meridionale. Spinti in seguito verso sud dai Franchi, si stabilirono a Toledo, per svanire completamente al tempo della conquista dei Mori, ossia i Berberi della Mauretania (Marocco) e della Numidia (Algeria), guidati dagli Arabi, nel 711.

Torino si presentava a queste popolazioni come una città fatta di case di legno, sparse tra i ruderi superstiti delle architetture romane che, come in ogni epoca di povertà, distruzioni ed invasioni, venivano riutilizzati per edificare gli unici edifici reputati degni di avere una consistenza duratura: gli edifici di culto.

E’ ragionevole pensare che il credo cristiano, in pieno

sviluppo, avesse bisogno di luoghi adatti in cui i fedeli potessero incontrarsi e praticare il culto. I vecchi monumenti romani erano a quel tempo vere e proprie «cave» dalle quali asportare marmi, mattoni, fregi, fusti e capitelli di colonne, da rimettere in opera, senza troppo badare che il risultato fosse di una certa omogeneità oppure no. Questo spiega come mai, in una città romana come Augusta Taurinorum (Torino) non si siano conservati che

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pochissime vestigia del tempo romano, in cui i templi e gli altari a tutte le divinità dell’Olimpo romano (Giove-Giunone, Minerva, Mercurio-Apollo, ecc.) e orientale (Attis, Serapis, Magna Mater, ecc.) abbondavano. Man mano poi che il cristianesimo prendeva il sopravvento e il culto agli dei dell’Olimpo romano perdeva di significato, molti templi abbandonati venivano poco alla volta convertiti in chiese cristiane, grazie anche ai Decreti Teodosiani (392). La circostanza di un importante Concilio tenuto proprio a Torino ai tempi di san Massimo sembra dimostrare che alcuni templi cristiani, forse addirittura una chiesa cattedrale, esistessero già in quel tempo. Anche se non sempre precisa nelle sue deduzioni, dice la fonte dello storico Buscalioni: «Torino, ai tempi di san Massimo, doveva già possedere un buon numero di chiese consacrate al nuovo culto e, soprattutto, una chiesa madre o cattedrale, alquanto cospicua se al tempo del santo vescovo poté essere scelta, nel 398, a sede di un importante Concilio». Com’è noto, il duomo di Torino viene costruito alla fine del XV secolo sulle fondamenta di altre tre chiese affiancate, dedicate al Santo Salvatore, a san Giovanni Battista e a Santa Maria «del Duomo», forse a loro volta sovrapposte 1. Resti del teatro romano di Torino accanto al Duomo di san Giovanni Battista

ad una chiesa primitiva più grande, che potrebbe essere stata la prima cattedrale

della città. Secondo alcune fonti storiche, dunque, si può logicamente supporre che la cattedrale di Torino al tempo di san Massimo o nel tempo precedente al suo episcopato fosse stata adattata in un tempio a triplice cella, un riadattamento di un tempio anticamente dedicato alla triade capitolina (Giove, Giunone e Minerva) che troviamo anche a Roma sul Campidoglio o

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persino in ben più antichi templi etruschi. «Secondo mons. Benna», prosegue lo storico Buscalioni «l’antico tempio di san Salvatore era la chiesa capitolare, quello di san Giovanni la chiesa battesimale, e quello di santa Maria de Dompno la più antica chiesa parrocchiale di Torino. E’ probabile che in questa chiesa san Massimo pronunziasse quelle dottissime omelie, dalle quali balza, con mirabile vivacità di colori, l’esaltazione della Verginità di Maria Santissima, e la sua conseguente divina maternità».

2. IL CONCILIO DI TORINO Il 22 settembre 398 viene quindi convocato un Concilio a Torino dai Vescovi della Gallia transalpina e cisalpina (Sermoni 21 e 78), per risolvere alcuni problemi di disciplina ecclesiastica e prendere alcune decisioni su alcune differenze gerarchiche insorte tra alcuni vescovi metropolitani in fatto di precedenza e di giurisdizione primaziale. E’ ancora il Buscalioni a indicare il numero dei partecipanti in «ottanta vescovi, il che dimostra in quale alta considerazione fosse fin da allora tenuta Torino in tutta la cristianità». E’ interessante notare che essi vennero ospitati in semplicità nelle case dei cristiani torinesi durante il loro soggiorno in città, su esortazione dello loro stesso pastore, san Massimo (Sermoni 21,2). In realtà il Concilio di Torino viene anche indetto perché l’Italia cisalpina si trova in una situazione particolare. E’ appena morto il grande Aurelio Ambrogio (Treviri 339 – Milano 397) da 23 anni Episcopo di Milano, fino ad allora capitale dell’Impero, schierata con gli eretici Ariani. Con lui muore uno dei quattro grandi massimi Dottori della Chiesa (con Agostino, da lui convertito, Girolamo e Gregorio Magno).

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Sempre in quegli anni, è appena morto, alla presenza della figlia Galla Placidia, l’ultimo vero imperatore unico, Teodosio I (a fianco), detto anche Teodosio il Grande (347-395), spagnolo, passato alla storia per aver reso il cristianesimo «religione ufficiale di tutto l’Impero» con l’editto «di Tessalonica» (380), per aver insediato a Costantinopoli il vescovo Gregorio di Nazianzo al posto di un vescovo ariano e per aver indetto nel 381 il I Concilio di Costantinopoli (381), per elaborare il credo niceno. Fu ancora Teodosio a ribattezzare il Dies Solis nel «giorno del Signore», rendendo obbligatoria la Domenica (383) e a iniziare la pratica della confessione segreta o privata, dopo che una donna ebbe confessato in pubblico che il giorno prima era andata a letto con il Sacerdote che la stava confessando. Dopo Teodosio, l’Impero verrà suddiviso e due Cesari diversi governeranno la parte occidentale e quella orientale. In quel tempo, la capitale viene trasferita a Ravenna da Onorio, che era in contrasto con Alarico e le sue truppe. Già nel 394 Torino era stata visitata dalle truppe di Arbogaste (dei Goti) e del ribelle Eugenio, in marcia contro Teodosio alla volta di Aquileia, dove verranno sconfitti. In quei tempi incerti e pericolosi, il Concilio di Torino delinea per la prima volta in Occidente le strutture di una provincia ecclesiastica, in cui vengono attribuite le prerogative ed assegnati i compiti propri dell’ordinamento metropolitano. Non c’è da meravigliarsi che i torinesi di quel tempo guardassero con terrore l’avvicendarsi delle varie schiere dello scacchiere internazionale, in quanto ogni avanzata di esercito per la città significava un insieme di stragi, latrocini e rovine. Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, deplorava già ai suoi

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tempi che città un giorno fiorenti come Piacenza e Parma, Modena o Brescia, per i gravi danni subiti in quelle scorrerie, fossero discese dal grado di municipio alle misere condizioni di villaggi. Anche san Girolamo si lamentava che Vercelli, un tempo così potente, fosse rimasta, per le stesse cause, quasi del tutto rovinata.

3. SAN MASSIMO PREDICATORE E SCRITTORE In tutto questo, Massimo, il cui nome significa «Grandissimo» in latino, esortava la popolazione. Dal carattere mite ed accogliente, come emerge dai suoi numerosi scritti, dimostra però in quei frangenti una grande forza e fermezza, invitando i suoi fedeli allo stesso atteggiamento. Li spronava a non abbandonare la città con queste parole: «E’ un figlio ingiusto ed empio colui che abbandona la propria madre [Torino] in 2. San Massimo scrittore

pericolo. Dolce madre è, in qualche modo, anche la patria». Ed i pericoli non erano certo pochi in quegli anni. La poderosa mole di scritti attribuiti tradizionalmente a san Massimo costituisce indubbiamente un tesoro di inestimabile valore. L’edizione critica del 1784, curata da Bruno Bruni per volontà di papa Pio VI, comprendeva ben 116 sermoni, 118 omelie e 6 trattati. Di questi, 111 sermoni hanno passato un attento esame di autenticità e sono entrati nell’edizione bilingue della Biblioteca Ambrosiana

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del 1991. I suoi Sermoni sottolineano la sua dipendenza da sant’Ambrogio, di cui era discepolo (77 citazioni esplicite) ma hanno una loro originalità e sono molto ricchi non solo per quanto riguarda la dottrina e l’istruzione dei cristiani, ma anche per la quantità di notizie storiche che vi si ritrovano, come ad esempio l’abolizione dei combattimenti dei gladiatori (anni 403-405, Sermoni 197,2) nell’anfiteatro situato fuori delle porte cittadine (la Porta Principalis Dextera, meridionale o Marmorea), nella zona dove ora si trovano piazza san Carlo, via Arcivescovado e via XX Settembre. I Sermoni 72 e 73, e quelli dal n. 81 all’86, riflettono le discese e le scorribande dell’usurpatore Eugenio dalla Gallia (393) che andava, come detto, a combattere Teodosio, le devastazioni e l’assedio di due mesi di Alarico (401-402) con i suoi Visigoti, o ancora il passaggio delle orde di Radagaiso (406) che devastarono tutto il Piemonte, o ancora nuovamente le truppe Visigote di Ataulfo (Atha-wulf, nobile lupo, latinizzato in Adolfo) nel 411, colui che sposerà Galla Placidia, unendo per la prima volta «Barbari» e dinastia imperiale romana. Ascoltiamo direttamente le parole del santo Vescovo: «Quantunque in questa vita non ci manchino i predatori del corpo, che sono i barbari, tuttavia li temo meno dei predoni spirituali, i nemici dello spirito; poiché, infatti, se i barbari possono rubare il patrimonio tuttavia non possono rubare l’onestà, se tolgono l’oro, tuttavia non possono togliere Cristo, se rubano l’argento, non possono rubare il Salvatore» (Sermone 72). «Forse, fratelli, siete tentati perché sentiamo dire continuamente che avvengono tumulti di guerra e incursioni di combattenti […] ma quanto più siamo vicini alla rovina del mondo, tanto più siamo vicini al Regno del Salvatore. Lo stesso Signore dice: “Quando vedrete terremoti, carestie e guerre, sappiate che il regno è vicino”. Non devo dunque temere l’avversario che avanza, perché attraverso questi segni comprendo piuttosto che viene il Salvatore. Quantunque, infatti, l’uno incuta un

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timore temporaneo, l’altro tuttavia recherà l’eterna salvezza. Il medesimo Signore ha il potere di respingere da noi il terrore del nemico e di concederci la sua assistenza. Questi tumulti di guerra che significano in qualche modo la “fine del mondo” sono una specie di avvertimento a vedere il giudizio di Dio, così da temere questo senza lasciarti intimorire da quelli. […] Vediamo come vengono fortificate le porte della città, ma ancor prima dobbiamo fortificare in noi le porte della giustizia. […] Non giova a nulla, infatti, rinforzare i baluardi e le mura e poi provocare Dio con i nostri peccati. […] Indossiamo quindi l’armatura della fede, proteggiamoci con l’elmo della salvezza, difendiamoci con la Parola di Dio come con una spada spirituale. Chi sarà provvisto di queste armi, non deve temere il presente sconvolgimento né paventare il futuro giudizio, così come il santo Davide, inerme, con la sola forza della fede, sconfisse il nemico gigante filisteo Golia. […] Questo avvenne per insegnarci che non dobbiamo sperare la vittoria soltanto dalle armi, ma la dobbiamo chiedere nel nome del Salvatore» (Sermone 85). Dagli scritti di san Massimo, abbiamo le uniche notizie di alcuni martiri cristiani, ad esempio Solutore, Avventore ed Ottavio, anche se l’unica cosa che veniamo a sapere è il loro nome. Inoltre, egli sostiene di aver avuto «personale conoscenza e di aver visto con i suoi stessi occhi» i santi martiri Alessandro, Sisinnio e Martirio, missionari in Rezia (Sermoni, 105-106).

Sisinnio era un

diacono, Martirio un lettore ed Alessandro un ostiario: su richiesta del vescovo di

3. Il Vescovo Vigilio con Sisinnio, Martirio ed Alessandro (P. Naurizio - 1583)

Trento, Vigilio, Ambrogio di Milano li inviò nella diocesi tridentina, ancora per larga parte pagana, come missionari.

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Il 29 maggio 397 furono bruciati in Val di Non con i legni della chiesa che avevano costruito durante un rito, detto degli Ambarvalia o lustratio agri, una festa pagana di carattere agreste nella località di Mecla (oggi Sanzeno, non lontano da Mezzocorona). Nella suddetta località venne costruita in seguito una basilica in loro ricordo (vicino all’eremo di San Romedio). La valle, detta anche anticamente Anaunia, era all'epoca una zona di grande vitalità economica e culturale, sede di un importante e frequentato tempio dedicato a Saturno (probabilmente presso l'attuale città di Cles, sempre in Val di Non), attorno al quale si erano sviluppate numerose strutture produttive. Fu probabilmente proprio a causa dei minacciati interessi economici, più che per attaccamento alla religione tradizionale, che i tre chierici vennero aggrediti e uccisi dai pagani ubriachi, un po’ come san Paolo, che aveva sfiorato la morte nella sommossa degli orefici ad Efeso (Atti degli Apostoli 19). San Massimo trae spunto dal loro esempio per esortare a mettere in pratica le Costituzioni imperiali contro i culti pagani (anno 399), ancora vivi nelle superstizioni popolari (Sermoni 106.2). Per quanto riguarda invece i martiri ai quali nel XV secolo Emanuele Filiberto dedica la chiesa di Via Doragrossa (via Garibaldi), la chiesa dei Santi Martiri, ossia Solutore, Avventore ed Ottavio sappiamo solo le notizie tramandate da un certo Eucherio, vescovo di Lione (434 – 450 circa). Le sue parole non hanno mai trovato conferme 4. El Greco (1541-1614) Il martirio di san Maurizio

storiografiche e sono reputate «leggenda» da tutti gli storici più affermati. Ad ogni

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modo, egli affermava l’esistenza di una legione composta interamente da cristiani (tebana), la Legio I Maximiana, spostata da Tebe alla Gallia per combattere con l'imperatore Massimiliano.

Quando l’imperatore nel 286

ordinò di reprimere alcuni galli cristiani, che nella regione di Lione abbondavano, i soldati si rifiutarono e la legione venne decimata, con il sostegno e l'incoraggiamento di san Maurizio che ne era il comandante, fino allo sterminio dell'intera legione (6600 uomini), nel Canton Vallese (Svizzera). Anche se san Massimo non ne parla, pare che abbia fatto parte della stessa legione anche san Besso. Sfuggito al massacro in Svizzera, sarebbe riuscito a raggiungere le regioni alpine piemontesi. Braccato dai legionari di Massimiliano, sarebbe riuscito ad evangelizzare i montanari pagani della Val Soana (celebre il suo santuario a 2000 metri di altitudine) e probabilmente della valle di Cogne.

In realtà queste tradizioni non trovano nessuna

conferma nella storia militare romana, ma ciò nonostante il culto di Maurizio, dei tre martiri torinesi e di san Besso costituì una base essenziale per la cristianizzazione delle Alpi e per il rafforzamento della dinastia Savoia, che al culto di san Maurizio ha intestato l'Ordine Mauriziano. Ma la predicazione e l’insegnamento di san Massimo spaziavano in tutti i campi, dalla formazione spirituale profonda della fede dei suoi cristiani alla spiegazione dei misteri teologici più importanti, dall’incoraggiamento e l’incitamento alla resistenza davanti alle distruzioni dei barbari al costante richiamo dell’esempio dei martiri, dall’incitamento a liberarsi delle antiche superstizioni legate ai culti zodiacali e astrali alla concretezza e aderenza a tutte le varie situazioni che la città doveva attraversare. Non mancano le spiegazioni esegetiche bibliche, gli espedienti retorici, i rimproveri a quella parte del clero rilassata e pigra, al costante richiamo all’elemosina, come forma di assistenza ai fratelli più poveri.

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Ascoltiamo ancora le sue parole, in una omelia dedicata alle due «colonne» della Chiesa, Pietro e Paolo: Il Signore ha riconosciuto in Pietro un amministratore fedele al quale ha affidato le chiavi del Regno dei cieli, e in Paolo un Maestro specializzato al quale ha dato l'incarico di insegnare nella Chiesa. Per permettere a coloro che sono stati formati da Paolo di trovare la salvezza, occorreva che Pietro li accogliesse per il riposo. Una volta che Paolo ha aperto i cuori con la predicazione, Pietro apre alle anime il Regno dei cieli. E dunque una specie di chiave che Paolo ha ricevuto a sua volta da Cristo, la chiave cioè della conoscenza, che permette di aprire alla fede nel loro intimo i cuori induriti; poi, essa fa venire a galla, in una rivelazione spirituale ciò che era nascosto all'interno. Questa è una chiave che lascia uscire dalla coscienza la confessione dei peccati e rinchiude per sempre la grazia del mistero del Salvatore. Ambedue hanno ricevuto le chiavi dalle mani del Signore, chiave della conoscenza per l'uno, chiave del potere per l'altro; Pietro dispensa le ricchezze dell'immortalità, Paolo distribuisce i tesori della sapienza. Ci sono infatti dei tesori della conoscenza come sta scritto: Questo mistero è «Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3) (Sermoni 1).

4. SAN MASSIMO NELLA NUOVA DIOCESI DI TORINO Massimo nacque in un paese imprecisato del Piemonte, nella seconda metà del secolo IV. Nulla sappiamo della sua infanzia e della sua istruzione. Sappiamo che sant’Eusebio, Vescovo di Vercelli (283-371), unica Diocesi piemontese fino a quel tempo, nel suo programma di riorganizzazione della struttura ecclesiastica in espansione, creò una nuova Diocesi in Julia Augusta Taurinorum, chiamandovi come pastore Massimo. Eusebio, sardo di origine, consacrato vescovo da papa Giulio I nel 345, è ricordato da san Girolamo per la sua traduzione del Commento ai Salmi di Eusebio di Cesarea. Nel 354 viene lodato da sant’Ambrogio per aver imposto agli ecclesiastici della sua Diocesi la vita comune, secondo il modello delle 14


chiese orientali, seguito anche da sant’Agostino ad Ippona (Canonici Regolari Agostiniani). Ne deduciamo che nel 350 era già Vescovo di Vercelli. E’ logico, quindi, che la chiamata di san Massimo all’episcopato di Torino si aggiri tra questa data, 350, e quella della sua morte, il 371 anche se molti indicano il 380 come data d’inizio del suo episcopato. Nel Sermone 7 san Massimo parla del «suo

signore

e

maestro,

il

beato

Esuperanzio», Vescovo di Tortona, tra i partecipanti del Concilio di Aquileia del 381. Lo ricorda come «collaboratore di Eusebio nell’episcopato,

compagno

nel

martirio,

partecipe nelle fatiche». La lode più bella nei confronti direttamente

di dalle

sant’Eusebio prediche

emerge del

primo

Vescovo di Torino. Leggiamo le sue parole:

5. San Massimo di Torino

«Cosa potrei dire per celebrare la gloria di Eusebio, se la sua gloria è tutto questo popolo? E poiché la Scrittura afferma “Gloria del padre è un figlio saggio” (Pr 10,1), quante sono le glorie di costui che si rallegra della saggezza e della devozione di tanti figli! Infatti, mediante il Vangelo egli ci ha generato in Cristo Gesù. Dunque, tutto quello che di virtù e di grazia può esservi in questo santo popolo, si ritrova nel Magistero del santo Eusebio» (Sermoni 7,2).

5. SAN MASSIMO E LA DEVOZIONE ALLA CONSOLATA NELLA CHIESA DI S. ANDREA L’architetto Maria Grazia Cerri, nel suo volume dedicato al campanile di Sant’Andrea alla Consolata, ci parla di una fonte storica importante per capire le relazioni e l’importanza avuta dal santo Vescovo Massimo nella devozione alla Consolata in Torino. Menziona lo storico del Cinquecento

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Emanuele Filiberto Pingone (1525-1582), Barone di Cusy, nominato Consigliere di Stato dal duca Emanuele Filiberto, il quale, seppur non sempre affidabile nel basare la sua opera su documenti precisi, scrisse la più antica storia di Torino, il volume Augusta Taurinorum, che contiene un fiume di notizie affascinanti. Tra queste, viene menzionata una «chiesa di sant’Andrea esistente ai tempi di san Massimo presso le mura della città, vicino alla Porta Comitale». Fin dai tempi antichi, in questa chiesa si riunivano i cittadini per scegliere i loro Magistrati ed Amministratori. Anche se non possediamo sicure fonti storiche che possano documentare il fatto, pare che sant’Eusebio di Vercelli avesse fatto dono a san Massimo di un’icona della Madre di Dio portata con sé dalla Terra Santa, in occasione del suo esilio. Il Vescovo di Torino avrebbe posta questa preziosa immagine della Vergine proprio nella chiesa di sant’Andrea, promuovendo il culto mariano contro le eresie ebionite, di Eutiche e degli antimarianisti, che affliggevano il mondo cristiano di allora. Diamo ancora una volta spazio alle sue parole stesse:

«Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! […] La pace di Cristo non dipende dagli uomini, ma dal loro modo di comportarsi. Essa appartiene a chi crede Cristo autore della pace. Ed è giusto che una volontà incorrotta possieda il Salvatore, generato da una verginità immacolata. Come Maria lo portò essendo illibata, così anche l’anima nostra lo custodisca essendo incontaminata. Infatti, Maria, in un certo senso, rappresenta la figura delle nostre anime. Come Cristo cercò la verginità in sua madre, così cerca anche l’integrità del nostro animo. Infatti, un’anima esente da peccati concepisce e partorisce il Salvatore, mentre lo annuncia, lo custodisce, mentre ne osserva i comandamenti. La fede lo conserva una volta concepito, la professione di fede lo dà alla luce nel parto, la sollecitudine lo custodisce dopo la nascita» (Sermoni 61c,2). Sono parole stupende, che colgono in profondità la centralità di Gesù Cristo nel mistero di Maria, vera icona e figura delle nostre anime. E’ proprio nei 16


nostri cuori, nel nostro intimo, infatti, che il Verbo vuole essere desiderato ed atteso, accolto e portato in gestazione, per giungere ad essere partorito al mondo. 5.1. Le Eresie mariane A proposito delle eresie su Maria e sul Cristo del tempo di san Massimo,

ricordiamo

che

proprio l’imperatore Teodosio I, nel

381,

aveva

Costantinopoli

un

indetto

a

Concilio

Ecumenico per affrontare varie 6. Antica raffigurazione del Concilio di Costantinopoli

idee errate che circolavano nella

Chiesa, tra cui proprio quelle di coloro che si opponevano alla Verginità di Maria e al suo essere Madre di Dio. I 150 Vescovi presenti avevano ribadito le conclusioni già tratte nel 325 al Concilio di Nicea (oggi Iznik, in Turchia), tra cui la divinità dello Spirito Santo (contro Macedonio di Costantinopoli) e la definizione del Simbolo, il Credo che passerà alla storia come Nicenocostantinopolitano.

San Massimo, con le sue omelie e la sua devozione

mariana, anticipa ciò che verrà fissato dogmaticamente in sede di Concilio Ecumenico solo dopo la sua morte, nel 431 ad Efeso, (oggi Selçuk, sempre Turchia) in cui Maria verrà solennemente proclamata Theotókos, ossia Madre di Dio, contro coloro che reputavano Maria solamente la madre di Gesù uomo, giammai la Madre del Verbo Gesù Signore, seconda Persona della santissima Trinità. A noi oggi sembra, leggendo di queste dispute all’interno della Chiesa cristiana dei primi secoli, di assistere a discussioni «di lana caprina», inutili

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disquisizioni e sofismi, perdite di tempo, solo per fissare alcune parole sulle quali essere tutti d’accordo nel definire la propria fede. Forse alcune di queste discussioni passate saranno anche state inutili, ma altre assolutamente no, in quanto dietro alle disquisizioni teologiche si celava sempre una particolare concezione del mondo, una particolare idea dell’antropologia, della vita dell’uomo e dei suoi valori. Qualche esempio? Non è così difficile. Siamo abituati a sentir parlare della Chiesa cattolica come di una “organizzazione oscurantista” che mira unicamente al potere, oppure sentiamo che i dogmi di fede vengono definiti “opprimenti”, orgogliose definizioni che credono di avere la verità dalla propria parte, mentre – tanti sostengono – la verità è soggettiva, e tutti hanno il diritto di esprimersi in materia di fede. Ora, è vero che oltranzisti e fanatici hanno fatto e forse fanno ancora parte della Chiesa cattolica da qualche parte. Ma è altrettanto vero che quando centocinquanta o trecento Vescovi (come a Nicea) si radunano insieme pregando lo Spirito Santo di illuminarli perché possano agire ed esprimersi unicamente per il bene di tutta la Cristianità, possiamo con certezza dire che le loro preghiere non vanno mai a vuoto. Facciamo qualche esempio, per capirci, in semplicità. Dal 345 al 385, ad esempio, era operante un monaco spagnolo, un certo Priscilliano, diventato Vescovo di Avila (Castiglia). Influenzato

da

studi

di

esoteria

ed

astrologia, affermava che, dal momento che la natura divina assunta da Gesù Cristo non poteva sottoporsi a sofferenza e tantomeno a 7. Miniatura antica "L'alchimia"

morte, perché Dio non può soffrire e morire,

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la crocifissione, centro del mistero di fede cristiano insieme alla risurrezione, doveva essere capita come una «apparenza» (dokeo). Questa dottrina raccolse tanti seguaci e venne chiamata docetismo. In pratica riduceva la Passione di Gesù ad una farsa, ad una messa in scena per aiutarci, non vissuta realmente nella propria carne con una sofferenza reale. Dietro una tale concezione, per quanto affascinante, si cela un grande pessimismo verso tutto ciò che è umano, carnale, terrestre. Contrariamente a quanto scritto nel libro ispirato della Genesi, che chiama tutto ciò che Dio ha creato «buono» e la creatura umana, uomo e donna «molto buono», con la loro corporeità e la loro esistenza sessuata distinta, i Doceti dicevano invece che il corpo è «parto del demonio», sua abitazione. Si dedicavano, quindi, ad un ascetismo esasperato, in cui reprimere, sopprimere, controllare tutto ciò che nell’uomo è istintuale, legato alla sessualità e al suo essere «terrestre». In definitiva, anche se la loro vita ascetica, piena di preghiere e di digiuni, di penitenze e di privazioni, poteva sembrare una vita santa ed esemplare agli occhi di molti semplici cristiani, in realtà nascondeva una grande sfiducia verso la redenzione operata da Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Sembra dunque uno sbaglio quello di un Sinodo che, riunito nel nome del Signore, condanna queste idee come contrarie non solo alla vera fede ma anche ad un’esistenza corretta e felice degli esseri umani, creati dall’amore di Dio per vivere nella gioia la propria condizione terrestre (e non angelica)? Solo chi agisce per ignoranza o per mala fede può dire il contrario. In ogni caso, anche se riconosciamo che simili idee potevano davvero rovinare la vita di molti cristiani, imponendo dei gioghi che il Signore non ha mai imposto al genere umano, non possiamo mai trovarci d’accordo con l’eliminazione fisica di chi tali idee propagava con successo, l’eretico: in tempi

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in cui le idee teologiche andavano di pari passo con le idee politiche, era normale che un eretico finisse sotto il torchio della legge, che prevedeva per i reati stimati più gravi la pena capitale.

5.2. Un esempio dalla cinematografia Allo stesso modo, però, notiamo che alcuni letterati o registi, nella loro personale (e confusa) rivisitazione storica, accusano la Chiesa in toto di oscurantismo, fanno di ogni erba un fascio, e mescolano ad arte cose vere e conclusioni frutto di una ideologia di parte. E’ il caso del film del 1968 La via lattea (altro nome per il Cammino di Santiago di Campostela), del regista spagnolo Luis Buñuel. E’ un film di difficile lettura che non pretendiamo esaurire, in quanto penetrarne il senso simbolico è complicato. L'unica certezza è data dalla centralità che il regista attribuisce alla figura di un Messia eretico, che non è venuto a portare pace sulla terra, ma spada. Un Messia che discende direttamente dalla stirpe di Davide, un Re d'Israele che è circondato da fratelli e sorelle (quindi viene esclusa la Verginità di Maria) e a Cana si unisce in matrimonio con una donna, forse la Maddalena. Un Messia che deve certamente molto alla tradizione apocrifa del vangeli e qualcosa alla letteratura gnostica, ritrovata a Nag Hammadi e Qumran dopo la seconda guerra mondiale. La chiave per comprendere il significato dei nomi attribuiti ai "due figli di prostituzione" (cf. il profeta Osea) risiede forse negli opposti atteggiamenti manifestati nei confronti del messianismo di Gesù da parte degli apostoli Pietro e Giovanni. L'apostolo Giovanni e la tradizione giudeo-cristiana sono i custodi di un messaggio messianico legato alla stirpe davidica di Gesù e all'obbedienza alla Legge ebraica. L'apostolo Pietro, invece, è colui che, disperando del successo della missione politico-sociale di Gesù e non 20


volendo accettare la sconfitta, ne prostituisce allora il messaggio a vantaggio di una sua interpretazione di tipo salvifico, sul modello delle religioni orientali. Ma la prostituta del finale del film è anche una "principessa", che ricorda la figura di Maria di Magdala e l'ammonimento a non considerare la morte di Gesù come un atto di misericordia nei confronti dell'uomo. Che dire? Abbiamo aperto questa parentesi, forse un po’ pesante, perché chi approfondisce e conosce la letteratura gnostica ed eretica del tempo in cui è vissuto san Massimo, può tranquillamente leggere la produzione letteraria odierna, vedere film basati su false ricostruzioni storiche e interpretazioni faziose che essendo anti-cristiane sono anche antiumane, e concludere come il Qohelet «non c’è niente di nuovo sotto il sole».

5.3. La devozione mariana di S. Massimo Allo stesso modo, potremmo fare l’esempio del monaco Gioviniano, dell’erudito Elvidio di Milano e della setta dei cosiddetti Antidicomarianisti o Antimariani i quali, non leggendo in profondità l’ebraico (la parola ebraica per fratello significa al contempo anche parente, cugino, ecc.), prendevano alla lettera il passo di Matteo 4,18, dove si parla dei «fratelli di Gesù», traendo l’errata conclusione che Maria non avesse partorito solo Gesù. In questo modo, la sua vita non poteva essere integralmente e qualitativamente orientata nel dare Gesù al mondo, come il frutto esclusivo ed intenso di tutta la sua vita (il vero significato della verginità), e di conseguenza – secondo queste idee - non poteva essere realmente Vergine, prima, durante e dopo il suo parto del Signore Gesù Cristo. Il Vescovo Ambrogio di Milano aveva già dovuto fare i conti con il maestro di Elvidio, il Vescovo ariano di Milano Aussenzio, morto nel 374 e

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condannato dal Sinodo di Milano, il quale affermava anche l’inesistenza del peccato: «tutti siamo stati creati puri come Maria, diceva, pertanto siamo immuni dal peccato in quanto battezzati». In realtà, si tratta di una semplice scappatoia che molte generazioni, precedenti alla nostra, hanno conosciuto per tentare di sfuggire alla lotta contro le proprie inclinazioni egoistiche e all’impegno di costruire la propria vita nell’altruismo, nella dedizione, nell’amore gratuito e oblativo verso tutti. San Massimo, nelle sue omelie, seppe trovare accenti sublimi contro questa eresia che offendeva nella parte più viva e sensibile il suo senso religioso, accenti pieni di calore e d’ispirazione, ritraendo dai suoi uditori tutti quei frutti spirituali che egli si riprometteva. Il suo modo di parlare della Madre di Dio non riflette solo un amore particolare per Maria Santissima, ma anche una visione positiva e costruttiva della nostra condizione umana. Ascoltiamolo nuovamente : «Il Verbo di Dio nasce secondo la testimonianza della Trinità. Certamente nel grembo della Santa Maria, quando scende lo Spirito Santo, quando l’Altissimo stende la sua ombra, quando Cristo è generato, è contenuta la professione di fede. Era conveniente, infatti, che la Madre, che avrebbe partorito la salvezza delle genti, confermasse prima nelle sue viscere il mistero della Trinità. Maria, nel sacrario del suo ventre, portò tutto ciò che doveva giovare al mondo: Dio, il sacerdote e la vittima. Il Dio della resurrezione, il sacerdote dell’offerta, la vittima della passione. Tutto questo riconosciamo in Cristo. Egli è Dio perché ritornò al Padre, pontefice perché offrì se stesso, vittima perché venne ucciso per noi. Direi che il grembo di Maria non fu un grembo, ma un tempio. Un tempio in cui abitava tutto ciò che di santo si trova in cielo, persino superiore ai cieli, perché in esso, come in un tabernacolo segreto, dalla Divinità è stato collocato il mistero. Superiore ai cieli deve essere ritenuto il grembo di Maria, perché rinviò al cielo il Figlio di Dio più glorioso di quando era disceso dal cielo. Dal cielo venne per patire, in cielo tornò per regnare. Dal cielo discese umiliato nell’uomo, dalla terra salì glorificato al Padre». (Sermoni 61b 3). 22


Non meraviglia che, essendo Maria la direttrice e l’ispiratrice dei più nobili affetti del Vescovo san Massimo, nonché il caposaldo per contrastare tutte le idee eretiche e fuorvianti dalla retta fede in Cristo Salvatore, egli abbia voluto dare inizio al culto verso la Vergine Consolatrice, ponendo una sacra immagine di Maria nella chiesa di sant’Andrea, ora Santuario della Consolata. Che questa tradizione abbia un antico e solido fondamento storico lo apprendiamo anche dall’autore della prima storia della Consolata, nel 1704, p. Domenico Arcourt, priore dei Cistercensi che allora abitavano alla Consolata e Consultore del Sant’Uffizio. Analizzati alcuni documenti della biblioteca, lasciati dai Monaci Benedettini, primi officianti della chiesa di sant’Andrea, egli conclude, nel linguaggio del suo tempo: «In questo tempio di sant’Andrea, è sempre stata publica voce, e fama de’ popoli, tramandata da Padre à Figlio, che nell’anno 440 dell’inuittissimo e gloriosissimo S. Massimo Vescovo di Torino, collocata vi fosse l’Imagine della gran Regina del Cielo, all’hor che havendo purgata la Città dall’abominevole e nefasta eresia di Eutiche […] Per stabilire ne’ cuori de’ Cittadini la verità cattolica et accrescer maggiormente ne’ suoi popoli la vera divozione verso la gran Madre di Dio Maria sempre Vergine, egli pose nelle Chiese della Città diuerse imagini della Madona, frà le quali la principale fù questa, che sotto il titolo della Consolata s’adora». Lo stesso storico continua dicendo che un’altra prova della provenienza dell’immagine della Consolata da san Massimo sono anche i grandi prodigi che si sono susseguiti a beneficio di tutto coloro che tale immagine hanno venerato e pregato. Sembra sostenere che solo un’immagine toccata e donata da un santo poteva operare miracoli, grazie alla fede della gente, e non un’immagine qualsiasi.

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Lo storico Carlo Amedeo Cavalli, che nel 1819 scrive un’altra Storia della Consolata in Torino e Luigi Cibrario nella sua Storia di Torino del 1846 si allineano alla posizione dell’Arcourt. Altri, invece, riprendendo le tesi di Pingone, pensano che sia stato san Massimo stesso a costruire la chiesa di sant’Andrea (o cappella), con l’aiuto di un conte municipale, dei cittadini Maiano e Vitaliano,

spesso

lodati

per

la

loro

generosità e di tutta la comunità del tempo. Non

abbiamo

motivi

per

escludere

nemmeno questa ipotesi, dal momento che, 8. San Massimo con l’icona della Consolata

come ci ricorda Franco Bolgiani, a Ravenna e a Rimini erano state fondate, più o meno

allo stesso tempo, altre due chiese dedicate allo stesso Apostolo. La professoressa Wataghin Cantino, docente di Archeologia cristiana alla Facoltà di Vercelli, sostiene che, grazie agli sviluppi peculiari dell’urbanistica torinese - che ha rispettato il tracciato viario antico creando una sovrapposizione totale di strutture che rende difficile il compito agli archeologi - non rimane traccia di altre chiese paleocristiane, come ad esempio s. Agnese, s. Stefano e sant’Andrea, che pure esistevano già nel IV secolo, se non agli inizi del V secolo. L’unica rimasta è quella scavata nel 1909 accanto al Duomo. In ogni caso, oltre al fatto che l’antica cappella o chiesa di sant’Andrea è stata via via incorporata nelle sovrapposizioni strutturali successive, è ancora lo storico Carlo Amedeo Cavalli a dirci che sicuramente le distruzioni di

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Unni, Goti e Vandali dell’inizio del VI secolo non hanno sicuramente risparmiato la chiesa di sant’Andrea, seppellendo probabilmente l’antica icona donata dal santo Vescovo Massimo sotto un mucchio di rovine. Ascoltiamo direttamente le sue parole: «… si ha certo ed appoggiato riscontro che, sin dall’anno 924, esistevano vestigia e memorie del suddetto sacro tempio denominato di sant’Andrea, benché non più frequentato, perché quasi interamente distrutto, essendosi però nello stesso luogo, tuttoché involta nelle rovine della Chiesa, sempre conservata la stessa miracolosa immagine collocatavi dalla memorabile pietà e singolar zelo del Santo Vescovo Massimo». Questo è uno dei pochi dati storici certi: all’arrivo dei Benedettini, fuggiti dall’Abbazia di Novalesa (Nuova Luce) nei pressi di Venaus verso Torino nel 906, sul luogo che viene loro affidato esisteva una chiesa molto più antica, in condizioni di rovina. Questo nuovo nucleo di figli di san Benedetto (che non diventerà mai abbazia ma unicamente «priorato») viene affidato all’abate di Breme in Lomellina, il quale manda il rinomato monaco architetto Bruningo a ricostruire abside e chiesa, per adattarla alle nuove esigenze, dotandola – anche se su questo non esiste alcuna fonte documentaria certa – della splendida torre campanaria, opera che ancora oggi possiamo ammirare a lato del Santuario della Consolata. Per quanto guardato con sospetto come storico, il Buscalioni cita a suffragio della sua tesi numerose altre fonti storiche, quali Teofilo Rossi e Ferdinando Gabotto, il Bragagnolo, il Bettazzi, l’Alessio, tutti autori di opere storiche sulla città di Torino o sul Piemonte. Con loro, egli s’azzarda a concludere: «lo storico non può mettere in dubbio che san Massimo abbia cercato di diffondere in Torino la devozione alla Vergine Maria, ed abbia

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scelto, come centro di questo culto la chiesetta di sant’Andrea, per quanto difettino i documenti a corroborare la pia tradizione».

6. LA MORTE DI SAN MASSIMO

Gabriele Banterle, nella sua introduzione alla raccolta di Sermoni curata dalla Biblioteca Ambrosiana nel 1991, ci ricorda che la più antica testimonianza su san Massimo è quella di uno scrittore del V secolo, Gennadio di Marsiglia, che intendeva completare l’opera di san Girolamo «De uiris illustribus». Egli conclude la sua presentazione del santo Vescovo con una precisa indicazione cronologica: «moritur Honorio et Theodosio iuniore regnantibus» (Morì durante il regno di Onorio e Teodosio il giovane). Questa precisazione rimanderebbe al periodo tra il 408 e il 423, tempo in cui i due imperatori furono colleghi. Nel XVII secolo, però, il primo successore di san Filippo Neri alla Congregazione dell’Oratorio, il Cardinale Cesare Baronio, incaricato dal santo stesso di compilare una «Storia Ecclesiastica» (i famosi Annales), darà nuove indicazioni sulla data di morte di san Massimo. Aveva trovato, infatti, la menzione di un Massimo Episcopo della chiesa di Torino presente al Concilio di Milano del 451 e firmatario, subito dopo il Papa, quindi presumibilmente molto vecchio tra i Cardinali, in un Concilio a Roma nel 465. Egli ritenne, dunque, che le indicazioni di Gennadio fossero false, proponendo di leggere nell’antico testo claruit al posto di moritur. Per lui, san Massimo era vissuto almeno fino al 465. Se questo fosse corretto, allora gli si potrebbero attribuire quei sermoni dove si parla della minaccia degli Unni. In alcune omelie, erroneamente attribuite a san Massimo, troviamo, infatti, la descrizione della distruzione di

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Milano da parte delle truppe di Attila, «flagello di Dio» (406-453). Costui, iniziando dalle remote regioni asiatiche, proveniente dalla tribù degli Xiongnu, antenati di Mongoli e Turchi, per otto anni regnò su di un impero, basato sul terrore, che si estendeva dalla Russia fino a Sigindunum (l’attuale Belgrado). Minacciava costantemente Constantinopoli e giunse a deporre Valentiniano III a Ravenna, dove in gioventù aveva studiato latino, nel corso del suo soggiorno coatto, come prigioniero dei Romani.

Nel 451 Attila

raggiunse il massimo del potere, nel 452 rase al suo la città di Aquileia, senza lasciarne alcuna traccia, saccheggiò completamente Padova, contribuendo senza saperlo alla nascita di una futura città, tra le malsane paludi del delta del Po, dove si erano rifugiati i fuggiaschi: Venezia. In realtà, Milano non venne distrutta, ma riuscì

ad

evitare

il

massacro

aprendo

volontariamente le porte al re Unno, il quale s’insediò per un po’ di tempo nel palazzo reale di Milano. Gli si apriva la strada verso Roma, ma un po’ papa Leone I, un po’ la sua proverbiale superstizione (aveva saputo che Alarico dei Visigoti era morto subito dopo aver saccheggiato Roma nel 410), lo fecero desistere dal scendere nel sud Italia. Il «piccolo padre»

9. Eugène Delacroix 1798-1863 "Attila l’Unno"

(Atta-la) morì nel 453 in Ungheria e il suo immenso impero, costruito sul terrore e sul sangue, si sfaldò immediatamente. Riguardo alla sua nota superstizione, le cronache riportano la sua avversione per le persone che portavano nomi di animali, ed in effetti le tre persone davanti alle quali, per una ragione o per un’altra, dovette fermarsi furono il Vescovo Lupo di Troyes,

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il vescovo tedesco Orso e papa Leone (san Leone Magno). Ironia della sorte, per un condottiero che si riteneva invincibile e signore del mondo. Tornando a san Massimo, facciamo un po’ di conti. Se è vero che ha ricevuto l’incarico della Diocesi di Torino da san Eusebio, morto nel 371, avrebbe partecipato al Concilio di Roma del 465 dopo circa 95 anni di reggenza della Diocesi, il che porta presumibilmente la sua età ad almeno 130 anni! Per questa ragione e per il fatto che comunque la lezione «moritur» è ben attestata in tutti i manoscritti antichi del testo di Gennadio, il gesuita F. Savio nel 1898 e altri dopo di lui convengono che non si possa accettare l’ipotesi di Baronio e bisogni ipotizzare l’esistenza di due Vescovi, entrambi di nome Massimo: il primo vissuto al massimo fino al 423 e il secondo presente a Milano nel 451, e ancora in vita nel 465 (a Roma), del quale viene riportato un discorso per la dedicazione dell’ecclesia maior di Milano, dopo la disastrosa invasione degli Unni del 452. L’omonimia e la fama di santità di Massimo I, primo Vescovo di Torino, avrebbero spinto inoltre Massimo II a raccogliere tutti i Sermoni del suo predecessore, organizzandone una prima raccolta scritta, incrementandone la popolarità anche ben al di fuori dei confini della Diocesi taurinense.

7. I SUCCESSORI E I RESTI MORTALI DI SAN MASSIMO Conosciamo ben poco degli immediati successori di san Massimo. Le fonti antiche ricordano un certo Trigidio, attivo tra il 501 e il 503 e il vescovo Rufo, legato alla leggenda del pollice di san Giovanni Battista. Poi, viene ricordato il Vescovo Vittore, santo, che accompagnò S. Epifanio, Vescovo di Pavia, in una delicata missione presso i Burgundi, a Lione, tra il 497 e il 508, su invito di Teodorico, per trattare la pace e la restituzione dei prigionieri,

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strappati al Piemonte in occasione delle scorrerie a Torino e in Val di Susa. Nella seconda metà del VI secolo era Vescovo Ursicino (562-609), al tempo della perdita della Val di Susa, diventata una diocesi dei Franchi e sottratta a Torino. Partecipa al Concilio del 680 a Roma il vescovo di Torino Rustico, mentre con l’avvento dei Franchi, dopo il 774, viene menzionato un certo Vescovo di Torino Andrea. Agli inizi dell’800 il Re di Acquitania, Ludovico il Pio, diventato imperatore dei Franchi, insediò a Torino come Vescovo il suo cappellano di corte, Claudio, catalano, ricordato per le sue tendenze teologiche adozioniste e per la sua avversione viscerale nei confronti delle immagini sacre, fenomeno noto come lotta iconoclasta. Francesco Cognasso, nella sua Storia di Torino del 1959, riporta una lettera del vescovo Claudio che con parole sue descrive ad un abate suo amico «le basiliche piene di brutture degli anatemi e di immagini contro l’ordine della verità, per cui cominciai a La popolazione torinese oppose a

distruggere ciò che tutti riverivano».

quell’insensato Vescovo la più strenua resistenza, appoggiati anche da papa Pasquale I. Questa circostanza ci porta a concludere, sulla linea di Buscalioni e della stessa professoressa Cerri, che la reazione popolare tese a difendere le immagini più care e più significative per la città, quindi soprattutto la cara immagine della Madre di Dio Consolata, che non cadde nelle mani del Vescovo sacrilego, bensì venne custodita, nascosta con cura, dai fedeli torinesi, affinché potesse essere rimessa al suo posto e proteggere la città, una volta passato il pericolo. Ci dicono gli studiosi che a partire dalla fine del VII secolo, seguirono tre secoli molto bui, al punto che di alcune località non abbiamo più alcuna notizia sui nomi dei Vescovi locali, né alcuna traccia epigrafica che testimoni l’intensa e silenziosa attività evangelizzatrice dei successori di san Massimo,

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come si constata dalle fonti che riemergono in modo lampante nel periodo tardo carolingio ed ottoniano. Il professor Bolgiani ci informa che dal 1949 al 1959 venne intrapresa una campagna di scavi archeologici nei pressi di Collegno (TO).

Venne

identificata

una

Basilica

chiamata ad quintum lapidem (o miliarium), in quanto distante cinque miglia dal centro città. Questo sarebbe, secondo un’antica e 10.La chiesa di san Massimo a Collegno (TO)

ripetuta tradizione, il luogo dove sono stati posti i resti mortali di san Massimo, verso la

fine del secolo V. La basilica era a tre navate, con un presbiterio piuttosto allungato e venne datata alla seconda metà del secolo V (cf. i testi di Carducci, De Bernardi-Ferrero e Crosetto), ma non può essere esclusa una datazione più antica. Ciò che importa rilevare, ci ricorda il Casiraghi, è che la basilica viene documentata come pieve e accanto al culto di san Massimo vi si trova anche quello di san Giovanni Battista, come documenta anche la visita pastorale di mons. Peruzzi del 1584. Inoltre, essa sorge nel quadro di un nucleo romano di entità modesta, nel caso specifico una mansio sulla strada che da Torino portava alle Gallie, che presenta una continuità dal tempo paleocristiano a quello medioevale e oltre, esattamente come la pieve di san Pietro in Pianezza o quella di santa Maria a Cavour. Questi ritrovamenti archeologici diedero nuovamente credibilità alla vita di san Massimo scritta da un monaco di Novalesa, il quale aveva parlato di questa translatio delle ossa di san Massimo a Collegno, senza essere stato creduto per mancanza di prove concrete. D’altronde è del tutto logico che nella seconda metà del secolo V - proprio quando viene eretta la basilica di

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Collegno e quando il Vescovo Massimo II stava raccogliendo tutte le testimonianze orali dei Sermoni del suo santo predecessore mettendole per scritto e diffondendole dappertutto – si fosse alla ricerca di una sede adeguata dove la fama del santo Vescovo Massimo potesse trovare casa. Una Basilica a lui intitolata e con i suoi resti mortali era ciò di cui aveva bisogno la chiesa locale torinese per iniziare a venerare il santo Vescovo che aveva dato inizio alla Diocesi. Indubbiamente una grande fama di santità circondò il vescovo Massimo già in vita e la venerazione nei suoi confronti fu perpetuata dai fedeli dopo la sua morte. Ma in realtà il suo culto non incontrò particolare fortuna nei secoli successivi, perché i suoi resti mortali non vennero mai trovati e solitamente questi sono il centro della devozione popolare nei confronti di un santo. L’antica chiesa che ancora oggi sorge a Collegno non ha portato alla luce, infatti, le sue spoglie anche se, secondo una tradizione locale, le sue reliquie furono nascoste per sottrarle alle invasioni barbariche (o forse per proteggerle dagli iconoclasti, attivi a Torino agli inizi del IX secolo). Alcuni piccoli frammenti di reliquie, scoperti nel XVII secolo, sono stati a lui attribuiti. 11. La chiesa di san Massimo a Torino

8. LA CHIESA DI SAN MASSIMO A TORINO Nella sua città, Torino, solo nel XIX secolo gli venne dedicata una chiesa e la strada ad essa adiacente. Il progetto della chiesa di San Massimo di via dei Mille, già prevista nel piano per l’ampliamento dei viali di passeggio della 31


contrada di Borgo Nuovo, viene stabilito da un concorso di architettura, dove viene richiesto un edificio isolato su quattro lati, lontano da ogni idea di lusso e di superficialità. Nel 1844 viene preferito un progetto di Carlo Sada e nell’anno seguente vengono cominciati i lavori.

Questioni finanziarie

ritardano la realizzazione e la chiesa è inaugurata soltanto il 14 giugno 1853. L’edificio presenta elementi che richiamano un impianto a croce greca, benché

risulti

sviluppato

longitudinalmente,

con

il

campanile

in

corrispondenza dell’abside in posizione centrale. La facciata principale si distingue per la presenza di un pronao corinzio; semicolonne pure corinzie caratterizzano i fronti laterali. All’interno, la navata unica è coperta da una volta a botte cassettonata, interrotta sulla mezzeria da una cupola poggiata su un tamburo colonnato sia all’interno che all’esterno. In quello stesso secolo XIX, si tentò anche un processo per attribuirgli il prestigioso titolo di “Dottore della Chiesa”. Solo dal 2004 nella Basilica Cattedrale Metropolitana di San Giovanni Battista, in occasione del rinnovo degli arredi liturgici del presbiterio voluto dall’arcivescovo cardinale Severino Poletto, San Massimo è stato raffigurato sulla nuova cattedra episcopale destinata ai suoi successori. Da quella cattedra sembra ancora oggi invitare i torinesi a riflettere sull’importanza dell’Eucarestia, con fede autentica, pensata, profonda e matura: «A tutti risulta palese come noi predichiamo volentieri e come adempiamo con gioia il servizio divino; eppure quando constatiamo che tra i fratelli parecchi si recano in Chiesa con indolenza e non si curano di partecipare per nulla ai misteri celesti soprattutto di domenica, allora predichiamo malvolentieri, e non già perché ci spiaccia parlare, ma perché la nostra predicazione non emenda, ma piuttosto rende più colpevoli i più negligenti. Per questo parliamo malvolentieri, e tuttavia non possiamo tacere. Infatti la nostra predicazione tra il popolo produce o la beatitudine o il castigo; la beatitudine ai credenti, il castigo agli increduli. In realtà ogni 32


fratello che non prende parte ai misteri domenicali, dinanzi a Dio appare come un disertore dei divini accampamenti. Infatti come può giustificarsi chi nel giorno dei sacramenti, preparandosi un pranzo in casa propria, non si cura del pranzo celeste e preoccupandosi del ventre trascura la medicina della sua anima?» (Sermoni 23). Recentemente anche la nuova parrocchia ortodossa russa di Torino è stata a lui dedicata. Provvisoriamente, appartiene al Patriarcato di Mosca, Diocesi di Chersoneso, Decanato d’Italia. L’intera Regione Pastorale Piemontese, comprendente le diocesi di Valle d’Aosta e Piemonte, tranne Tortona, commemora il protovescovo torinese al 25 giugno nel suo calendario liturgico, ossia il giorno successivo del santo patrono di Torino, san Giovanni Battista, eletto proprio da san Massimo a protettore della città.

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BENEDETTO XVI - UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro - Mercoledì, 31 ottobre 2007

SAN MASSIMO DI TORINO Cari fratelli e sorelle, tra la fine del quarto secolo e l’inizio del quinto, un altro Padre della Chiesa, dopo

sant’Ambrogio,

contribuì

decisamente

alla

diffusione

e

al

consolidamento del cristianesimo nell’Italia settentrionale: è san Massimo, che incontriamo Vescovo a Torino nel 398, un anno dopo la morte di Ambrogio. Ben poche sono le notizie su di lui; in compenso è giunta fino a noi una sua raccolta di circa novanta Sermoni. Da essi emerge quel legame profondo e vitale del Vescovo con la sua città, che attesta un punto di contatto evidente tra il ministero episcopale di Ambrogio e quello di Massimo. In quel tempo gravi tensioni turbavano l’ordinata convivenza civile. Massimo, in questo contesto, riuscì a coagulare il popolo cristiano attorno alla sua persona di Pastore e di maestro. La città era minacciata da gruppi sparsi di barbari che, entrati dai valichi orientali, si spingevano fino alle Alpi occidentali. Per questo Torino era stabilmente presidiata da guarnigioni militari e diventava, nei momenti critici, il rifugio delle popolazioni in fuga dalle campagne e dai centri urbani sguarniti di protezione. Gli interventi di Massimo, di fronte a questa situazione, testimoniano l’impegno di reagire al degrado civile e alla disgregazione. Anche se resta difficile determinare la composizione sociale dei destinatari dei Sermoni, pare che la predicazione di Massimo – per superare il rischio della genericità – si rivolgesse in modo specifico a un nucleo selezionato della comunità cristiana di Torino, costituito da ricchi proprietari terrieri, che avevano i loro possedimenti nella campagna 34


torinese e la casa in città. Fu una lucida scelta pastorale del Vescovo, che intravide in questo tipo di predicazione la via più efficace per mantenere e rinsaldare il proprio legame con il popolo. Per illustrare in tale prospettiva il ministero di Massimo nella sua città, vorrei addurre ad esempio i Sermoni 17 e 18, dedicati a un tema sempre attuale, quello della ricchezza e della povertà nelle comunità cristiane. Anche in questo ambito la città era percorsa da gravi tensioni. Le ricchezze venivano accumulate e occultate. «Uno non pensa al bisogno dell’altro», constata amaramente il Vescovo nel suo diciassettesimo Sermone. «Infatti molti cristiani non solo non distribuiscono le cose proprie, ma rapinano anche quelle degli altri. Non solo, dico, raccogliendo i loro danari non li portano ai piedi degli Apostoli, ma anche trascinano via dai piedi dei sacerdoti i loro fratelli che cercano aiuto». E conclude: «Nella nostra città ci sono molti ospiti o pellegrini. Fate ciò che avete promesso» aderendo alla fede, «perché non si dica anche a voi ciò che fu detto ad Anania: “Non avete mentito agli uomini, ma a Dio”» (Sermone 17,2-3). Nel Sermone successivo, il diciottesimo, Massimo stigmatizza forme ricorrenti di sciacallaggio sulle altrui disgrazie. «Dimmi, cristiano», così il Vescovo apostrofa i suoi fedeli, «dimmi: perché hai preso la preda abbandonata dai predoni? Perché hai introdotto nella tua casa un “guadagno”, come pensi tu stesso, sbranato e contaminato?». «Ma forse», prosegue, «tu dici di aver comperato, e per questo pensi di evitare l’accusa di avarizia. Ma non è in questo modo che si può far corrispondere la compera alla vendita. E’ una buona cosa comperare, ma in tempo di pace ciò che si vende liberamente, non durante un saccheggio ciò che è stato rapinato ... Agisce dunque da cristiano e da cittadino chi compera per restituire» (Sermone 18,3). Senza darlo troppo a vedere, Massimo giunge così a predicare una relazione profonda tra i doveri del cristiano e quelli del cittadino. Ai suoi

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occhi, vivere la vita cristiana significa anche assumere gli impegni civili. Viceversa, ogni cristiano che, «pur potendo vivere col suo lavoro, cattura la preda altrui col furore delle fiere»; che «insidia il suo vicino, che ogni giorno tenta di rosicchiare i confini altrui, di impadronirsi dei prodotti», non gli appare neanche più simile alla volpe che sgozza le galline, ma al lupo che si avventa sui porci (Sermone 41,4). Rispetto al prudente atteggiamento di difesa assunto da Ambrogio per giustificare la sua famosa iniziativa di riscattare i prigionieri di guerra, emergono chiaramente i mutamenti storici intervenuti nel rapporto tra il Vescovo e le istituzioni cittadine. Sostenuto ormai da una legislazione che sollecitava i cristiani a redimere i prigionieri, Massimo, nel crollo delle autorità civili dell’Impero romano, si sentiva pienamente autorizzato ad esercitare in tale senso un vero e proprio potere di controllo sulla città. Questo potere sarebbe poi diventato sempre più ampio ed efficace, fino a supplire la latitanza dei magistrati e delle istituzioni civili. In questo contesto Massimo non solo si adopera per rinfocolare nei fedeli l’amore tradizionale verso la patria cittadina, ma proclama anche il preciso dovere di far fronte agli oneri fiscali, per quanto gravosi e sgraditi essi possano apparire (Sermone 26,2). Insomma, il tono e la sostanza dei Sermoni suppongono un’accresciuta consapevolezza della responsabilità politica del Vescovo nelle specifiche circostanze storiche. Egli è «la vedetta» collocata nella città. Chi mai sono queste vedette, si chiede infatti Massimo nel Sermone 92, «se non i beatissimi Vescovi che, collocati per così dire su un’elevata rocca di sapienza per la difesa dei popoli, vedono da lontano i mali che sopraggiungono?». E nel Sermone 89 il Vescovo di Torino illustra ai fedeli i suoi compiti, avvalendosi di un paragone singolare tra la funzione episcopale e quella delle api: «Come l’ape», egli dice,

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i Vescovi «osservano la castità del corpo, porgono il cibo della vita celeste, usano il pungiglione della legge. Sono puri per santificare, dolci per ristorare, severi per punire». Così san Massimo descrive il compito del Vescovo nel suo tempo. In definitiva, l’analisi storica e letteraria dimostra una crescente consapevolezza della responsabilità politica dell’autorità ecclesiastica, in un contesto nel quale essa andava di fatto sostituendosi a quella civile. E’ questa infatti la linea di sviluppo del ministero del Vescovo nell’Italia nordoccidentale, a partire da Eusebio, che «come un monaco» abitava la sua Vercelli, fino a Massimo di Torino, posto «come sentinella» sulla rocca più alta della città. E’ evidente che il contesto storico, culturale e sociale è oggi profondamente diverso. Il contesto odierno è piuttosto quello disegnato dal mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nell’Esortazione postsinodale Ecclesia in Europa, là dove egli offre un’articolata analisi delle sfide e dei segni di speranza per la Chiesa in Europa oggi (6-22). In ogni caso, a parte le mutate condizioni, restano sempre validi i doveri del credente verso la sua città e la sua patria. L’intreccio degli impegni dell’«onesto cittadino» con quelli del «buon cristiano» non è affatto tramontato. In conclusione, vorrei ricordare ciò che dice la Costituzione pastorale Gaudium et spes per illuminare uno dei più importanti aspetti dell’unità di vita del cristiano: la coerenza tra fede e comportamento, tra Vangelo e cultura. Il Concilio esorta i fedeli a «compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile, ma che cerchiamo quella futura, pensano di potere per questo trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno» (n. 43).

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Seguendo il magistero di san Massimo e di molti altri Padri, facciamo nostro l’auspicio del Concilio, che sempre di più i fedeli siano desiderosi di «esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio» (ibid.) e così al bene dell’umanità.

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PREGHIERA

O Dio, che in San Massimo, vescovo e servitore del tuo popolo, hai dato alla Chiesa un’immagine viva del Cristo, buon pastore, per la sua preghiera concedi a noi di giungere ai pascoli della vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

(nella diocesi di Torino:)

Proteggi, o Signore, questa Chiesa che san Massimo ha fondato con la parola di verità e i sacramenti della vita. Con la sua predicazione ci hai dato di conoscere il Cristo salvatore: per la sua intercessione fa che viviamo con coerenza la nostra vocazione di cristiani. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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CRONOLOGIA III secolo aC villaggio dei Taurini (fusione di Liguri e Celti della Gallia), alla confluenza dei fiumi Po e Dora 221 aC trattato di pace con i Romani in espansione nella regione 218 aC Annibale scende dalla Valsusa e distrugge Torino, rimasta fedele ai patti con i Romani 27 aC L’imperatore Augusto ri-fonda Augusta Taurinorum Pianta romana: Cardo nord-sud = via di Porta Palatina Decumano = via Doragrossa (v Garibaldi) 160 dC 286 dC 308 311 312 313 325 341 345 345-371 371 374 380 381 384 392 393-394 395 397 397 398 401 406

papa Pio I consacra la chiesa di s. Maria a Testona (TO) massacro della Legione Tebea (Massimiliano) S. Maurizio, Solutore-Avventore-Ottavio / S. Besso Costantino nominato “Cesare” Editto di Galerio: fine delle persecuzioni anticristiane Costantino sconfigge Massenzio al ponte Milvio Editto di Milano (Costantino) I Concilio Ecumenico a Nicea (Turchia) epigrafe cristiana di Revello (CN) Eusebio consacrato Vescovo di Vercelli da papa Giulio I Massimo viene nominato da Eusebio di Vercelli come Vescovo della nuova Diocesi di Torino muore s. Eusebio S. Ambrogio Vescovo di Milano (succede ad un Vescovo ariano) Editto di Tessalonica di Teodosio I: Cristianesimo religione dell’Impero Teodosio convoca il Concilio di Costantinopoli rimozione dell’ara pagana alla Vittoria dall’aula del Senato Decreti Teodosiani : templi in disuso trasformati in chiese cristiane Passaggio a Torino delle truppe di Eugenio usurpatore insieme ad Arbogaste Visigoto (sconfitti ad Aquileia da Teodosio) (17 gennaio) muore l’imperatore Teodosio I (4 aprile) muore il vescovo di Milano s. Ambrogio Sisinnio, Martirio e Alessandro martiri in Val di Non Concilio di Torino con 80 Vescovi delle Gallie Alarico a Torino con i suoi Visigoti Torino saccheggiata da Radagaiso Visigoto

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410 411 423

sacco di Roma di Alarico Visigoto Ataulfo Visigoto passa per Torino data presunta della morte di san Massimo

431 451

III Concilio Ecumenico ad Efeso: Maria “Madre di Dio” sinodo di Milano (al quale avrebbe partecipato un Massimo II Vescovo di Torino, secondo lo storico francese Gennadio, De viris illustribus, firmando una lettera al papa Leone I). 450-455 Passio Acaunensium Martyrum di Eucherio di Lione 452 Attila re degli Unni devasta Aquileia ed entra a Milano 465 sinodo di Roma (la firma di un Massimo II Vescovo di Torino segue immediatamente quella di papa Ilario) Fine V sec. è verosimile che Massimo II Vescovo abbia messo le reliquie nell’antica pieve di Collegno Ad Quintum miliarium ed abbia iniziato a raccogliere, catalogare e diffondere l’opera oratoria del suo predecessore san Massimo. 501-503 Trigidio vescovo a Torino 562-609 Ursicino vescovo a Torino (la Valsusa diventa Diocesi dei Franchi) 680 Rustico, vescovo di Torino, partecipa al Sinodo di Roma, contro il monotelismo per preparare il Concilio Costantinopolitano III (Trullano). IX secolo XVII sec.

1784 1844-53 1949-1959 2004 2005 2007

le reliquie di san Massimo vengono nascoste dalla chiesa di san Massimo di Collegno per sottrarle agli iconoclasti scoperte a Collegno alcuni frammenti che potrebbero essere reliquie di san Massimo prima edizione critica delle opere di san Massimo costruzione e dedicazione della chiesa di san Massimo a Torino scavi archeologici alla pieve basilica di san Massimo a Collegno san Massimo compare sulla nuova cattedra episcopale della Cattedrale di san Giovanni Battista a Torino la chiesa ortodossa russa dedica la sua chiesa torinese a san Massimo Vescovo ad ottobre, papa Benedetto XVI dedica a san Massimo l’udienza generale del mercoledì, in Vaticano

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BIBLIOGRAFIA

ARCOURT DOMENICO, Historica Notitia della miracolosa immagine della Madonna Santissima della Consolata, venerata nella Chiesa di sant’Andrea de’ MM. RR. Monaci di S. Bernardo dell’Ordine Cistercense di Torino, Garimberti, Torino 1705, 271p. BIFFI INOS, «Dalla predicazione pasquale di san Massimo di Torino: testi e commenti», in: Ambrosius 40(1964)131-139. BOLGIANI F., «La penetrazione del cristianesimo in Piemonte», in: Atti del V Congresso nazionale di archeologia cristiana, Roma 1979, 37-61. BUSCALIONI PIETRO, La Consolata nella storia di Torino del Piemonte e della Augusta Dinastia Sabauda, La Palatina, Torino 1938, 566pp. CAVALLI CARLO AMEDEO, Compendio di storia di Maria Vergine venerata in Torino sotto il titolo di Consolata e della sua sacra immagine, e del suo santuario, con altre particolari nozioni, Davico e Picco, Torino 1819. CERRI MARIA GRAZIA, Il campanile di sant’Andrea alla Consolata, Percorsi di ricognizione intorno ad un’architettura benedettina, Coll. Biblioteca di «Studi Piemontesi», Centro Studi Piemontesi, Torino 1997, 160pp. COGNASSO FRANCESCO, Storia di Torino, Milano 1959. DEFILIPPIS CAPPAI CHIARA, Massimo, Vescovo di Torino e il suo tempo, SEI, Torino 1995, 111pp. DI MAURO NICOLA, La paterna tenerezza di un pastore di anime. San Massimo, Vescovo di Torino, Effatà, Cantalupa (TO) 2001, 93pp. PELLEGRINO MICHELE, «Sull’autenticità di un gruppo di omelie e sermoni attribuiti a san Massimo di Torino», in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 90(1955-1956)1-113. SAN MASSIMO DI TORINO, Sermoni, Introduzione, traduzione e note di G. Banterle, Coll. Scrittori dell’aerea Santambrosiana/4, testo latino a fronte, Biblioteca Ambrosiana/Città Nuova, Milano/Roma 1991, 510 pp. SAN MASSIMO DI TORINO, Sermoni, Introduzione, traduzione e note di F. Gallesio, Paoline, Roma 1975. SAN MASSIMO VESCOVO, La vita cristiana. Sermoni, a cura di Luigi Padovesi, Piemme, Casale Monferrato 1989. 42


SAVIO F., Gli antichi Vescovi d’Italia dalle origini fino al 1300. Il Piemonte, Bocca, Torino 1898, 283-294. WATAGHIN CANTINO GISELA, «Problemi e prospettive dell’archeologia cristiana in Piemonte», in: Atti del V Congresso nazionale di archeologia cristiana, Roma 1979, 67-81.

SOMMARIO

San Massimo di Torino .............................................................................................. 3 1. Ambientazione Storica .................................................................................. 3 2. Il Concilio di Torino....................................................................................... 7 3. San Massimo Predicatore e Scrittore........................................................... 9 4. San Massimo nella nuova Diocesi di Torino ........................................... 14 5. San Massimo e la devozione alla Consolata nella chiesa di s. Andrea 15 5.1. Le Eresie mariane...................................................................................... 17 5.2. Un esempio dalla cinematografia........................................................... 20 5.3. La devozione mariana di S. Massimo .................................................... 21 6. La Morte di San Massimo ........................................................................... 26 7. I Successori e i Resti Mortali di san Massimo .......................................... 28 8. La Chiesa di san Massimo a Torino .......................................................... 31 BENEDETTO XVI - UDIENZA GENERALE....................................................... 34 San Massimo di Torino ........................................................................................ 34 CRONOLOGIA ......................................................................................................... 40 B I B L I O G R A F I A ............................................................................................. 42

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