IL Rivista fondata nel 1899
DELLA n. 1 GENNAIO - MARZO 2021
In copertina: «S. Giuseppe col Bambino Gesù tra S. Carlo Borromeo e S. Francesco di Sales», olio su tela del 1961 di Nicola Arduino. Cappella di S. Giuseppe del Santuario della Consolata, Torino (Fotografia di Andrea Aloi)
Periodico religioso trimestrale Anno 123 - n. 1 Gennaio - Marzo 2021 Poste italiane S.p.A. - Sped. in abb. postale «Regime R.O.C.» - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, NO/TORINO - Nuovo corso n. 1/2021 C.C. post. n. 264101 intestato a: Santuario della Consolata Via Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino Tel. +39 011 483.61.11 Fax +39 011 483.61.99 E-mail: rivistasantuario@laconsolata.org Sito web: www.laconsolata.org Impaginazione grafica rivista: Andrea Aloi
editoriale
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La parola del Rettore Giacomo Maria Martinacci
Stampa: A4 servizi grafici di Serra Sergio Snc Via F.lli Meliga 5/D - Chivasso (TO) Tel. 011919.55.96 E-mail: info@a4servizigrafici.it Sito web: www.a4servizigrafici.it
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Promuovere la cultura della fiducia Osvaldo Maddaleno
Direttore responsabile: Marco Bonatti
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La Vergine Maria: donna orante Catechesi di Papa Francesco
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Con cuore di padre ha amato Gesù Dalla Lettera Apostolica Patris corde di Papa Francesco
Autorizzazione del Tribunale Civile di Torino n.379 del 22 febbraio 1949
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rubriche
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L’ex-voto di un Dragone di Carlo Alberto Gianlorenzo Boano
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Il patrocinio di S. Giuseppe sulla Città di Torino Daniele Bolognini
Redazione:
Collaboratori:
Andrea Aloi Daniele Bolognini Lino Ferracin Osvaldo Maddaleno Giacomo Maria Martinacci Giulia Poretti
Gianlorenzo Boano
editoriale
La parola del Rettore mons. Giacomo Maria Martinacci
Carissimi amici e devoti della Consolata, è consuetudine augurare: anno nuovo vita nuova, e tutti auspichiamo che l’attuale sia migliore di quello che lo ha preceduto. Ma non limitiamoci a considerare la pandemia che ha infuriato nel 2020 e che non ci ha ancora abbandonati. È doveroso alzare lo sguardo per scoprire segnali di speranza, coltivando una ducia che va al di là dell'immediato. È in questa ottica che siamo invitati ad accogliere la proposta di celebrare un “Anno di San Giuseppe” (dall'8 dicembre 2020 all'8 dicembre 2021) con cui Papa Francesco intende fare memoria del 150° della proclamazione del Santo come Patrono della Chiesa Cattolica, voluta dal Beato Pio IX in un periodo non facile per la Chiesa. Oggi non viene meno la necessità di rafforzare quotidianamente la propria vita di fede ed il Santo continua ad essere per tutti modello di come si compiono pienamente i voleri di Dio, oltre che intercessore a cui rivolgersi per ottenere conforto e sollievo davanti alle tribolazioni umane e sociali che gravano sul mondo contemporaneo. L'8 dicembre scorso, nel giorno dell'Immacolata Concezione di Maria, il Papa ha rivolto a tutta la Chiesa una specica Lettera intitolata, dalle prime parole latine, Patris corde e cioè “Con cuore di padre”. Ne riportiamo ampi stralci in questo numero della nostra rivista per favorire un primo accostamento, invitando però a leggere il testo integrale, che è ricco di sottolineature per la meditazione e l'assimilazione dell'articolato e prezioso messaggio che in essa è contenuto.
Accanto all'Anno di San Giuseppe, il Santo Padre ha lanciato una seconda proposta: nel 2021 ricorre il quinto anniversario della sua Esortazione riguardante l'ideale dell'amore coniugale e familiare, che venne pubblicata proprio nel giorno della festa liturgica di San Giuseppe. Per questo motivo, dal 19 marzo di quest'anno no al mese di giugno 2022 si svolge un anno di riessione sull'Esortazione Amoris laetitia, accompagnato dalla pubblicazione di sussidi e riessioni utili a comunità ecclesiali e famiglie per favorire un cammino di maggiore conoscenza di quanto allora offerto e che necessita di ulteriori approfondimenti. Nei prossimi numeri di questa rivista cercheremo anche noi di offrire ai nostri lettori elementi utili per valorizzare la celebrazione di questo speciale “Anno”. L'intersecarsi delle due proposte ci sembra una coincidenza davvero bella e provvidenziale. La paternità di San Giuseppe, affermava il Papa San Paolo VI, si è espressa concretamente «nell'aver fatto della sua vita un servizio, un sacricio, al mistero dell'Incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell'aver usato dell'autorità legale, che a lui spettava sulla Sacra Famiglia, per farle totale dono di sé, della sua vita, del suo lavoro; nell'aver convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità, nell'amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa» (Omelia, 19 marzo 1966).
Quando questo numero della nostra rivista giungerà nelle vostre case, sarà ormai prossima la celebrazione della Pasqua, mentre il cammino quaresimale avrà già offerto quanto è utile per una rinnovata e consapevole rinnovazione delle promesse del nostro Battesimo durante la Veglia Pasquale. Nello scorso anno le celebrazioni del Triduo Sacro incontrarono difcoltà pratiche, dovute alla pandemia; al momento non ci è dato di prevedere se in questo anno vi saranno limitazioni circa l'accesso alle nostre chiese ed alle celebrazioni, ma non per questo viene meno l'importanza insostituibile del messaggio che Gesù Risorto ci offre. Non lasciamoci intimorire dalla eventuale mancanza di festeggiamenti esterni. Una loro limitazione nulla toglierebbe al messaggio che è fondamentale: Cristo, mia speranza, è risorto e vi precede. L'annuncio gioioso di Maria di Magdala, evangelizzatrice degli Apostoli, risuoni pienamente nel nostro cuore e nelle nostre famiglie. Vivremo il Tempo Pasquale accompagnati dai Nove Sabati che ci condurranno alla festa della Consolata: Gesù, che dalla croce ci ha afdati a Maria e ci ha afdato Maria, ci chiede di guardare a lei e la Vergine, come a Cana, continua a dirci la necessità di fare qualunque cosa Gesù ci dice. Questa è vita cristiana. Questo auguro a tutti e a ciascuno di voi, con l'aiuto della riessione di Papa Francesco, pubblicata in queste pagine, che ci presenta Maria: “donna orante”.
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Promuovere la cultura della ducia Oltre alla scienza, serve la ducia per costruire una comunità
Osvaldo Maddaleno
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bbiamo iniziato un nuovo anno e subito mi viene in mente la parabola di Gesù dei talenti (Mt 25, 14-30). Abbiamo un nuovo talento, un nuovo anno, da far fruttare. Dove sta il pericolo più grande? Il terzo servo, che non ha fatto fruttare, ha detto al padrone: «… ho avuto paura». Il problema è tutto qui: la paura, nutrita dalla falsa immagine che egli si era fatta del suo signore, ha portato il servo a tradire la ducia che il padrone aveva in lui. Dio ha ducia in noi, ma attende da noi quanto possiamo dare. Questo servo non percependo la ducia che il suo padrone nutre nei suoi confronti, nisce con il perdere persino la ducia in se stesso e sotterra il suo talento. Il nuovo anno è l'inizio di un cammino di ducia, è l'occasione che abbiamo per riaccendere la ducia. Lo sguardo di Papa Francesco è così, è il più simile a quello di Gesù e ce lo ha manifestato con l'Enciclica “Fratelli tutti”. Così era lo sguardo di Gesù sulla croce, che no all'ultimo istante di vita ha detto: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». E lo disse a favore di quelli che lo uccidevano, quindi senza escludere nessuno. Gesù sulla croce continuava a sognare il sogno del
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Padre. Guardava i suoi assassini e li perdonava, si voltò verso il malfattore crocisso con lui promettendogli il Paradiso, afdò Maria a Giovanni. Il suo sguardo, velato dal sangue e dal sudore, irrigidito da tte di dolore, continuava a sognare il sogno che era lo stesso pensiero di Dio: un mondo di fratelli, consapevoli di essere tutti gli del Padre. Questo sguardo-sogno di Gesù rivive in Papa Francesco che nell'Enciclica scrive: «Sogniamo come un'unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come gli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli» (n.8). E immediatamente prima aggiunge: «Come è importante sognare insieme! Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c'è. I sogni si costruiscono insieme». Il primo motivo per avere ducia è proprio lo sguardo di Dio che si da di noi. I Magi seppero aver ducia persino di Erode, nonostante fosse evidente la sua intenzione, e ne trassero il bene dell'incontro con Gesù. Non persero tempo in polemiche scomposte e non si dispersero, ritrovando così la stella dell'unità che li aveva condotti no a quel momento.
Abbiamo bisogno di questo sguardo di Dio come ci insegna il Salmo 27: «Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura?». L'autore è probabilmente una persona accusata ingiustamente, abbandonata da tutti, in attesa di giudizio. È nell'incertezza per un destino minaccioso, ma si afda a Dio. Proprio nella consapevolezza della sua fragilità si apre alla condenza con Dio e attende con ducia la vittoria denitiva sulle strade imprevedibili del suo amore. Chiara Lubich nel 1945 a chi le chiedeva quale fosse il segreto del suo impegno sociale per i poveri nella cittadina di Trento rispose: «Siamo piccole, povere, poche … ma Dio è dalla nostra parte». Questa certezza, all'apparenza tanto semplice, era frutto di cieca ducia. Un genitore, per chiedere a un'altra persona di prendersi cura del proprio bambino, spesso usa l'espressione: «Me lo guardi?». Essere sotto lo sguardo di una persona amata infonde sicurezza, protezione, non fa sentire soli. Se nessuno ci guarda è come non ci fossimo. Non si esiste mai da soli. La tristezza dell'anziano è quella di sentirsi trascurato, senza nessuno che lo degni di uno sguardo. Uno sguardo dà la certezza di non essere soli ad affrontare le prove della vita. Le difcoltà della vita spesso fanno perdere la ducia. Ricordiamoci però di quello che ci ha detto Gesù: «Abbiate ducia, io ho vinto il mondo!» (Gv 16, 33). Il Santuario della Consolata vuole essere un luogo dove si alimenta la ducia. Perché la Consolata riaccende la ducia? La prima parola che l'angelo Gabriele, venendo da Maria, dice non è: «Prega, inginocchiati, fai questo o quello», ma semplicemente: «Rallegrati, sii felice, dati». Invece il serpente alla prima donna, Eva, ha insinuato parole di sospetto, di difdenza; in fondo suggerisce di non darsi di Dio. L'angelo dice: «Fidati di Lui, ascolta la sua parola che ti riveste di gioia». Maria fa una domanda perché vuole capire meglio, senza pretendere di sapere tutto e subito. Si da e crede. Alla Consolata veniamo a imparare a rispondere a Dio come ha fatto Maria, perché la sua storia è anche la nostra. Maria è la donna tutta ducia. Nei momenti di difcoltà abbiamo bisogno di qualcuno in grado di farci uscire dal tunnel della paura. Come quando eravamo piccoli e, per sollevarci dall'angoscia del buio, arrivava mamma a rassicurarci. Una delle obiezioni rivolte con insistenza ai cristiani riguarda la crescita lenta del Regno di Dio nel mondo. Come si spiega che, dopo duemila anni, sulla terra sia presente ancora tanto male, tanto degrado morale e civile? Perché la parola e l'opera di Gesù non hanno il successo che molti desiderano? Ci diamo o no di Gesù? Maria si è data! Noi proviamo una gioia immensa quando qualcuno si da di noi: è come se egli consegnasse se stesso nelle nostre mani, mostra di preferirci a tanti altri e questo ci fa sentire importanti, meritevoli di stima, afdabili. Prima di Natale è stata fatta una ricerca europea sulla vita delle grandi città. Lo sviluppo di una città dipende,
più che da ogni altra cosa, dalle relazioni fra i suoi cittadini: più sono armoniose e collaborative, più è probabile che diano buoni frutti. Tra l'altro ha evidenziato: a Monaco e Copenhagen ha ducia nei propri concittadini il 56% dei cittadini. A Torino solo il 31%, mentre il 62% ritiene che bisogna essere cauti nel trattare con le persone e, se è il caso, rinunciare. Torniamo alla Consolata ad imparare da Maria a promuovere una cultura della ducia. Aiutati, in modo speciale, anche da San Giuseppe a cui il Papa ha dedicato questo nuovo anno. Questa storia di Paulo Coelho ci aiuta a capire come raramente ci rendiamo conto che siamo circondati da ciò che è straordinario. I miracoli avvengono intorno a noi, i segnali di Dio ci indicano la strada, gli angeli chiedono di essere ascoltati. Ma noi abbiamo imparato che ci sono determinate formule e regole per avvicinarci a Dio e quindi non prestiamo attenzione a nulla di tutto ciò. Un missionario spagnolo stava visitando un'isola, quando incontrò tre sacerdoti aztechi. “Come pregate?” domandò loro. “Abbiamo una sola preghiera”, gli rispose uno. “Diciamo: Dio, tu sei tre, noi siamo tre. Abbi pietà di noi”. “Una bella preghiera,” disse il missionario, “ma non è esattamente il tipo di preghiera che Dio possa ascoltare. Ve ne insegnerò una migliore”. E il prete insegnò loro una preghiera cattolica. Poi proseguì nel suo cammino di evangelizzazione. Anni dopo, ormai sulla nave che lo riconduceva in Spagna, si trovò a passare di nuovo per quell'isola. Dalla tolda, vide i tre sacerdoti sulla spiaggia e li salutò. In quel momento, i tre cominciarono a camminare sulle acque, verso di lui. “Padre! Padre!” chiamò uno, avvicinandosi alla nave. “Insegnaci di nuovo la preghiera ascoltata da Dio, perché non abbiamo saputo ricordarla!”. “Non importa,” disse il missionario assistendo al miracolo. E chiese perdono a Dio per non aver capito prima che il Signore parlava tutte le lingue. Diceva il monaco Thomas Merton: «La vita spirituale si riassume nell'amare. Non si ama perché si vuole fare il bene di qualcuno, aiutarlo, proteggerlo. Agendo in questa maniera, ci comportiamo come se vedessimo il prossimo come semplice oggetto e noi stessi come esseri generosi e saggi. Ma questo non ha nulla a che vedere con l'amore. Amare signica comunicare con l'altro e scoprire in lui una particella di Dio». Chi ama riesce a vincere il mondo, non ha paura di perdere nulla. Il vero amore è un atto di totale abbandono e ducia, una delle cure per l'umanità, un modo di vedere il mondo, un approccio alla vita che valorizza ciò che c'è, invece di lamentarsi per ciò che manca. La ducia in Dio è fonte di vera pace perché ci fa affrontare tutti i problemi come camminassimo sulle acque: è la sua mano che ci sostiene.
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La Vergine Maria: donna orante Catechesi di Papa Francesco da meditare nei nove Sabati della Consolata
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ggi incontriamo la Vergine Maria, come donna orante. La Madonna pregava. Quando ancora il mondo la ignora, quando è una semplice ragazza promessa sposa di un uomo della casa di Davide, Maria prega. Lei è già piena di grazia e immacolata n dalla concezione, ma ancora non sa nulla della sua sorprendente e straordinaria vocazione e del mare tempestoso che dovrà solcare. Una cosa è certa: Maria appartiene alla grande schiera di quegli umili di cuore che gli storici ufciali non inseriscono nei loro libri, ma con i quali Dio ha preparato la venuta del suo Figlio. Maria non dirige autonomamente la sua vita: aspetta che Dio prenda le redini del suo cammino e la guidi dove Egli vuole. È docile, e con questa sua disponibilità predispone i grandi avvenimenti che coinvolgono Dio nel mondo. Il Catechismo ci ricorda la sua presenza costante e premurosa nel disegno benevolo del Padre e lungo il corso della vita di Gesù (cfr. nn. 2617-2618). Maria è in preghiera, quando l'arcangelo Gabriele viene a portarle l'annuncio a Nazaret. Il suo «Eccomi», piccolo e immenso, che in quel momento fa sobbalzare di gioia l'intera creazione, era stato preceduto nella storia della salvezza da tanti altri “eccomi”, da tante obbedienze duciose, da tante disponibilità alla volontà di Dio. Non c'è modo migliore di pregare che mettersi come Maria in un atteggiamento di apertura, di cuore aperto alla volontà di Dio. E
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Dio sempre risponde. Quanti credenti vivono così la loro preghiera! Quelli che sono più umili di cuore, pregano così con umiltà semplice: «Signore, quello che Tu vuoi, quando Tu vuoi e come Tu vuoi». E questi pregano così, non arrabbiandosi perché le giornate sono piene di problemi, ma andando incontro alla realtà e sapendo che nell'amore umile, nell'amore offerto in ogni situazione, noi diventiamo strumenti della grazia di Dio. Una preghiera semplice, ma è mettere la nostra vita nelle mani del Signore: che sia Lui a guidarci. Tutti possiamo pregare così, quasi senza parole. La preghiera sa ammansire l'inquietudine: noi siamo inquieti, sempre vogliamo le cose prima di chiederle e le vogliamo subito. Questa inquietudine ci fa male, e la preghiera sa ammansire l'inquietudine, sa trasformarla in disponibilità. Quando sono inquieto, prego e la preghiera mi apre il cuore e mi fa disponibile alla volontà di Dio. La Vergine Maria, in quei pochi istanti dell'Annunciazione, ha saputo respingere la paura, pur presagendo che il suo “sì” le avrebbe procurato delle prove molto dure. Se nella preghiera comprendiamo che ogni giorno donato da Dio è una chiamata, allora allarghiamo il cuore e accogliamo tutto. Si impara a dire: «Quello che Tu vuoi, Signore. Promettimi solo che sarai presente ad ogni passo del mio cammino». Questo è l'importante: chiedere al Signore che non ci lasci soli, che non ci abbandoni nella tentazione, nei momenti brutti. Quel nale del Pa-
dre Nostro è la grazia da chiedere al Signore che Gesù stesso ci ha insegnato. Maria accompagna in preghiera tutta la vita di Gesù, no alla morte e alla risurrezione; e alla ne continua, ed accompagna i primi passi della Chiesa nascente (cfr. At 1,14). Maria prega con i discepoli che hanno attraversato lo scandalo della croce. Prega con Pietro, che ha ceduto alla paura ed ha pianto per il rimorso. Maria è lì, con i discepoli, in mezzo agli uomini e alle donne che suo Figlio ha chiamato a formare la sua Comunità. Maria è la Madre di Gesù che prega come una della Comunità: prega con loro e prega per loro. E, nuovamente, la sua preghiera precede il futuro che sta per compiersi: per opera dello Spirito Santo è diventata Madre di Dio, e per opera dello Spirito Santo diventa Madre della Chiesa. Pregando con la Chiesa nascente diventa Madre della Chiesa, accompagna i discepoli nei primi passi della Chiesa nella preghiera, aspettando lo Spirito Santo. In silenzio, sempre in silenzio. La preghiera di Maria è silenziosa. Il Vangelo ci racconta soltanto una preghiera di Maria: a Cana. A suo Figlio, per quella povera gente che sta per fare una guraccia nella festa, chiede di risolvere quel problema. La presenza di Maria è per se stessa preghiera, e la sua presenza tra i discepoli nel Cenacolo, aspettando lo Spirito Santo, è in preghiera. Così Maria partorisce la Chiesa, è Madre della Chiesa. Il Catechismo spiega: «Nella fede della sua umile
◄ Beata Vergine Maria Consolatrice, altorilievo in marmo dell’inizio del 1900, nel corridoio degli ex-voto del Santuario (fotografia di Andrea Aloi)
serva il Dono di Dio [cioè lo Spirito Santo] trova l’accoglienza che n dall’inizio dei tempi aspettava» (n. 2617). Nella Vergine Maria, la naturale intuizione femminile viene esaltata dalla sua singolarissima unione con Dio nella preghiera. Per questo, leggendo il Vangelo, notiamo che ella sembra qualche volta scomparire, per poi riaforare nei momenti cru-
ciali: Maria è aperta alla voce di Dio che guida il suo cuore, i suoi passi là dove c'è bisogno della sua presenza. Presenza silenziosa di madre e di discepola: è presente perché è madre, ma è anche presente perché è la prima discepola, quella che ha imparato meglio le cose di Gesù. Maria non dice mai: «Venite, io risolverò le cose». Ma dice: «Fate quello che Lui vi
dirà», sempre indicando con il dito Gesù. Questo atteggiamento è tipico del discepolo, e lei è la prima discepola: prega come madre e prega come discepola. «Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Così l'Evangelista Luca ritrae la Madre del Signore nel Vangelo dell'infanzia. Tutto ciò che le capita intorno nisce con l'avere un riesso nel profondo del suo cuore: i giorni pieni di gioia, come i momenti più bui, quando anche lei fatica a comprendere per quali strade debba passare la Redenzione. Tutto nisce nel suo cuore, perché venga passato al vaglio della preghiera e da essa trasgurato. Che si tratti dei doni dei Magi, oppure della fuga in Egitto, no a quel tremendo venerdì di passione: tutto la Madre custodisce e porta nel suo dialogo con Dio. Qualcuno ha paragonato il cuore di Maria a una perla di incomparabile splendore, formata e levigata dalla paziente accoglienza della volontà di Dio attraverso i misteri di Gesù meditati in preghiera. Che bello se anche noi potremo assomigliare un po' alla nostra Madre! Con il cuore aperto alla Parola di Dio, con il cuore silenzioso, con il cuore obbediente, con il cuore che sa ricevere la Parola di Dio e la lascia crescere come un seme del bene della Chiesa.
(Catechesi tenuta durante l’Udienza Generale del 18 novembre 2020).
I nove Sabati della Consolata iniziano il 24 aprile Il Beato Giuseppe Allamano, nel bollettino del Santuario di aprile 1899, segnalava e inculcava la pia pratica dei nove Sabati in preparazione alla festa della Consolata suggerendo di: accostarsi ai SS. Sacramenti, una visita al Santuario, almeno in spirito, qualche preghiera alla SS. Vergine e specialmente il S. Rosario. A queste pratiche devote aggiungeva la proposta dello «studio continuo di schivare in tal giorno qualche difetto» e di «praticare quella virtù che ci è più necessaria, e l’esercizio di piccole morticazioni, che alla sera si offriranno a Maria perché gradisca i sacrici fatti e ce li ricambi colle grazie che sospiriamo».
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Con cuore di padre ha amato Gesù San Giuseppe da 150 anni è invocato come Patrono della Chiesa Cattolica
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on cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli “il glio di Giuseppe” (Lc 4, 22; Gv 6, 42; cfr. Mt 13, 55; Mc 6, 3). Sappiamo che egli era un umile falegname (cfr. Mt 13, 55), promesso sposo di Maria (cfr. Mt 1, 18; Lc 1, 27); un “uomo giusto” (Mt 1, 19), sempre pronto a eseguire la volontà di Dio manifestata nella sua Legge (cfr. Lc 2, 22. 27. 39) e mediante ben quattro sogni (cfr. Mt 1, 20; 2, 13. 19. 22). Dopo un lungo e faticoso viaggio da Nazaret a Betlemme, vide nascere il Messia in una stalla, perché altrove «non c'era posto per loro» (Lc 2, 7). Fu testimone dell'adorazione dei pastori (cfr. Lc 2, 8-20) e dei Magi (cfr. Mt 2, 1-12), che rappresentavano rispettivamente il popolo d'Israele ed i popoli pagani. Ebbe il coraggio di assumere la paternità legale di Gesù, a cui impose il nome rivelato dall'Angelo: «Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 21). Come è noto, dare un nome a una persona o a una cosa presso i popoli antichi signicava conseguirne l'appartenenza, come fece Adamo nel racconto della Genesi (cfr. 2, 19-20). Nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita, insieme alla madre Giuseppe offrì il Bambino al Signore ed ascoltò sorpreso la profezia che Simeone fece nei confronti di Gesù e di Maria (cfr. Lc 2, 22-35). Per difendere Gesù da Erode, soggiornò da straniero in Egitto (cfr. Mt 2, 1318). Ritornato in patria, visse nel nascondimento del piccolo e sconosciuto villaggio di Nazaret in Galilea -da dove, si diceva “non sorge nessun profeta” e “non può mai venire qualcosa di buono” (cfr. Gv 7, 52; 1, 46)-, lontano da Betlemme, sua città natale, e da Gerusalemme, dove sorgeva il Tempio. Quando, proprio durante un pellegrinaggio a Gerusalemme, smarrirono Gesù dodicenne, lui e Maria lo cercarono angosciati e lo ritrovarono nel Tempio mentre discuteva con i dottori della Legge (cfr. Lc 2, 41-50). Dopo Maria, Madre di Dio, nessun Santo occupa tanto spazio nel Magistero Ponticio quanto Giuseppe, suo sposo. I miei Predecessori hanno approfondito il messaggio racchiuso nei pochi dati tramandati dai Vangeli per evidenziare maggiormente il suo ruolo centrale nella storia della salvezza: il Beato Pio IX lo ha dichiarato “Patrono della Chiesa Cattolica”, il Venerabile Pio XII lo ha presentato quale “Patrono dei lavoratori” e San Giovanni Paolo II come “Custode del Redentore”. Il popolo lo invoca come “Patrono della buona morte”. Tutti possono trovare in San Giuseppe, l'uomo che passa inosservato, l'uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difcoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. 1. Padre amato La grandezza di San Giuseppe consiste nel fatto che egli
fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù. In quanto tale, si pose al servizio dell'intero disegno salvico, come afferma San Giovanni Crisostomo. Per questo suo ruolo nella storia della salvezza, San Giuseppe è un padre che è stato sempre amato dal popolo cristiano, come dimostra il fatto che in tutto il mondo gli sono state dedicate numerose chiese, che molti Istituti religiosi, Confraternite e gruppi ecclesiali sono ispirati alla sua spiritualità e ne portano il nome. A titolo di esempio, per illustrare quanto il Papa scrive, che cioè “in tutto il mondo sono stati dedicati a San Giuseppe molti Istituti religiosi”, ricordiamo quanto si è vericato nell'Arcidiocesi di Torino: San Leonardo Murialdo ha fondato la Congregazione di San Giuseppe (Giuseppini del Murialdo); il Beato Clemente Marchisio le Figlie di San Giuseppe-Rivalba; uno dei rami delle Suore di San Giuseppe, presenti autonomamente in varie Diocesi, è nato e si è sviluppato anche a Torino; inoltre è un torinese il Vescovo di Acqui San Giuseppe Marello, che ha fondato in Asti gli Oblati di San Giuseppe. La ducia del popolo in San Giuseppe è riassunta nell'espressione “Ite ad Ioseph”, che fa rirerimento al tempo di carestia in Egitto quando la gente chiedeva il pane al faraone ed egli rispondeva: «Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà» (Gen 41, 55). Si trattava di Giuseppe glio di Giacobbe, che fu venduto per invidia dai fratelli e che -stando alla narrazione biblica- successivamente divenne vice-re dell'Egitto. Come discendente di Davide (cfr. Mt 1, 16. 20), dalla cui radice doveva germogliare Gesù secondo la promessa fatta a Davide dal Profeta Natan (cfr. 2 Sam 7), e come sposo di Maria di Nazaret, San Giuseppe è la cerniera che unisce l'Antico e il Nuovo Testamento. 2. Padre nella tenerezza Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52). Come il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva il bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare” (cfr. Os 11, 34). Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe: «Come è tenero un padre verso i gli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono» (Sal 102 [103], 13). La storia della salvezza si compie «nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4, 18) attraverso le nostre debolezze. Troppe volte pensiamo che Dio faccia afdamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza. Se questa è la prospettiva dell'economia della salvezza, dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è
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◄ A pagina 8: «S. Giuseppe col Bambino», olio su tela (1640) di Guido Reni, Houston Museum of Fine Arts, Texax (USA)
Afdarsi a Maria nel tempo della pandemia
► A lato «Sogno di S. Giuseppe», olio su tela (metà del 1700) di Anton Raphael Mengs
► A pagina 12: L’omelia dell’Arcivescovo nella Festa della Consolata «S. Giuseppe con Gesù Bambino», (dettaglio), olio su tela firmato T. L. Cappella interna, Convitto Ecclesiastico, Torino (fotografia di Andrea Aloi)
Mons. Cesare Nosiglia
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uesta Festa, che ogni anno ci vede riuniti ai piedi di Maria Consolata come Chiesa di Torino, comunità cristiana e civile della Città, è per noi la Festa della riconoscenza. Riconosciamo quanto la Consolata ha fatto per Torino nel corso dei secoli, in particolare per la liberazione da pestilenze che si abbattevano frequentemente nella vita degli abitanti di Città e territorio. Il nostro Santuario è la prova e il segno di questa riconoscenza e dell’amore che i Torinesi hanno verso la loro Patrona e Madre celeste. Il Vangelo ci ha ricordato il momento supremo della vita di Cristo e di Maria, sua Madre: la morte in croce. Gesù, prima di morire, afda Maria al discepolo prediletto, Giovanni, e afda Giovanni a Maria. Il popolo cristiano, n dall’inizio sua storia, haciaccolto gioia e fede fragile in noi. della Solo la tenerezza salveràcon dall'opera delquesta consegna del Signore. Ha onorato la Madre di l'Accusatore (cfr. Ap 12, 10). Per questo è importante Dio e l’ha accolta nella sua di vita e nella suanel storia con una incontrare la Misericordia Dio, specie sacramento costante e crescente devozione, che esprime la propria della Riconciliazione, facendo un'esperienza di verità e gliolanza. Ha visto in lei la Madre di consolazione di tenerezza. Noi sappiamo che la Verità che viene da eDio speranza percilaabbraccia, propria storia e il proprio E a La lei ci accoglie, ci sostiene, ci futuro. perdona. ricorre sempre, soprattutto nei momenti di difcoltà Verità si presenta a noi sempre come il Padre misericor-e di bisogno. Anche noi, al Lc termine della Messa e questa dioso della parabola (cfr. 15, 11-32): ci viene inconsera, afderemo la Diocesi, la Città, i fedeli ed i cittadini tro, ci ridona la dignità, ci rimette in piedi, fa festa per di Torino noi, con laall’intercessione motivazione che potente «questo di mioMaria glio Consolata era morto perèottenere lavita, sua protezione l'Altissimo. ed tornato in era perdutopresso ed è stato ritrovato». Anche attraverso l'angustia di Giuseppe passa la volontà di Afdiamo Dio, la suaastoria, Lei lailnuova suo progetto. partenza, Giuseppe comecisiinsegna usa dicosì re, dopo che la avere tragica fedeesperienza in Dio comprende del coronavirus pure ilanche credere se che l’epidemia Egli può non operare è del tutto anche cessata attraverso ed esige le nostre tutta l’attenpaure, le zione nostre necessaria fragilità,per la nostra una vita debolezza. di comunità E ci insegna serena eche, coin struttiva. mezzo alle Questa tempeste fase cidella sollecita vita,anon farcidobbiamo più visibilitemere e predi senti lasciare nel tessuto a Dio il timone concreto della della nostra vitabarca. sociale con quel compito di testimonianza e di proposta dell'annuncio di Gesù Cristo, che solo può dare vigore e speranza di ren3. Padre nell'obbedienza dere sempre più umano, giusto solidale, ogni ambienAnalogamente a ciò che ha fattoeDio con Maria, quando te ha di lavoro. le manifestato il suo piano di salvezza, così anche a
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Giuseppe ha rivelato i suoi disegni; e lo ha fatto tramite i sogni, che nella Bibbia, come presso tutti i popoli antichi, venivano considerati come uno dei mezzi con i quali Dio manifesta la sua volontà. Giuseppe è fortemente angustiato davanti all'incomprensibile gravidanza di Maria (Mt 1, 19). Nel primo sogno l'angelo lo aiuta a risolvere il suo grave dilemma: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. …» (Mt 1, 20). La sua risposta fu immediata. Con l'obbedienza egli superò il suo dramma e salvò Maria. Nel secondo sogno l'angelo ordina a Giuseppe: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto» (Mt 2, 13). Giuseppe non esitò ad obbedire, senza farsi domande sulle difcoltà cui sarebbe andato incontro. In Egitto Giuseppe, con ducia e pazienza, attese dall'angelo il promesso avviso per ritornare nel suo Paese. Appena il messaggero divino, in un terzo sogno, gli ordina di alzarsi, di prendere con sé il bambino e sua madre e ritornare nella terra d'Israele (cfr. Mt 2, 19-20) egli ancora una volta obbedisce senza esitare. Ma durante il viaggio di ritorno, «… avvertito in sogno ed è la quarta volta che accade- si ritirò nella regione
della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret» (Mt 2, 22-23). In ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “at”, come Maria nell'Annunciazione e Gesù nel Getsemani. Giuseppe, nel suo ruolo di capo famiglia, insegnò a Gesù ad essere sottomesso ai genitori (cfr. Lc 2, 51), secondo il comandamento di Dio (cfr. Es 20, 12). Nel nascondimento di Nazaret, alla scuola di Giuseppe, Gesù imparò a fare la volontà del Padre. Tale volontà divenne il suo cibo quotidiano (cfr. Gv 4, 34). Anche nel momento più difcile della sua vita, vissuto nel Getsemani, preferì fare la volontà del Padre e non la propria e si fece «obbediente no alla morte … di croce» (Fil 2, 8). Da tutte queste vicende risulta che Giuseppe «è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro della salvezza» (San Giovanni Paolo II, Redemptoris custos, 8). 4. Padre nell'accoglienza Giuseppe accoglie Maria senza mettere condizioni preventive. Si da delle parole dell'angelo. La nobiltà del suo cuore gli fa subordinare alla carità quanto ha imparato per legge; e oggi, in questo mondo, si presenta come gura di uomo rispettoso e delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria. E nel suo dubbio su come agire nel modo migliore, Dio lo ha aiutato a scegliere illuminando il suo giudizio. Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il signicato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e di ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie. Solo a partire da questa accoglienza si può anche intuire una storia più grande, un signicato più profondo. Giuseppe non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. L'accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com'è, di fare spazio anche a quella parte contraddittoria, inaspettata, deludente dell'esistenza. Come Dio ha detto al nostro Santo: «Giuseppe, glio di Davide, non temere» (Mt 1, 20), sembra ripetere anche a noi: “Non abbiate paura!”. Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un signicato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se
troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. Dio può far germogliare ori tra le rocce. Anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Egli «è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3, 20). Lungi da noi allora il pensare che credere signichi trovare facili soluzioni consolatorie. La fede che ci ha insegnato Cristo è invece quella che vediamo in San Giuseppe, che non cerca scorciatoie, ma affronta “ad occhi aperti” quello che gli sta capitando, assumendone in prima persona la responsabilità. L'accoglienza di Giuseppe ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole (cfr. 1 Cor 1, 27), è «padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 67 [68], 5) e comanda di amare lo straniero. Voglio immaginare che, dagli atteggiamenti di Giuseppe, Gesù abbia preso lo spunto per la parabola del glio prodigo e del padre misericordioso (cfr. Lc 15, 1132). 5. Padre dal coraggio creativo Se la prima tappa di ogni vera guarigione interiore è fare spazio dentro noi stessi anche a ciò che non abbiamo scelto nella nostra vita, serve aggiungere un'altra caratteristica importante: il coraggio creativo. Esso emerge soprattutto quando si incontrano difcoltà. Sono a volte proprio le difcoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere. Molte volte, leggendo i “Vangeli dell'infanzia”, ci viene da domandarci perché Dio non sia intervenuto in maniera diretta e chiara. Ma Dio interviene per mezzo di eventi e persone. Giuseppe è l'uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della Redenzione. Egli è il vero “miracolo” con cui Dio salva il Bambino e sua madre. Il Cielo interviene dandosi del coraggio creativo di quest'uomo. Il Vangelo ci dice che ciò che conta Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazaret, il quale sa trasformare un problema in un'opportunità anteponendo sempre la ducia nella Provvidenza. Se certe volte Dio sembra non aiutarci, ciò non signica che ci abbia abbandonati, ma che si da di noi, di quello che possiamo progettare, inventare, trovare. Alla ne di ogni vicenda che vede Giuseppe come protagonista, il Vangelo annota che egli si alza, prende con sé il Bambino e sua madre, a fa ciò che Dio gli ha ordinato (cfr. Mt 1, 24; 2, 14. 21). In effetti, Gesù e Maria sua madre sono il tesoro più prezioso della nostra fede. Dobbiamo sempre domandarci se stiamo proteggendo con tutte le nostre forze Gesù e Maria, che misteriosamente sono afdati alla nostra responsabilità, alla nostra cura, alla nostra custodia. Il Figlio dell'Onnipotente viene nel mondo assumendo una condizione di grande debolezza. Si fa bisognoso di Giuseppe per essere difeso, protetto, accudito, cresciuto. Dio si da di quest'uomo,
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così come fa di Maria, che in Giuseppe trova colui che non solo vuole salvarle la vita, ma che provvederà sempre a lei e al Bambino. In questo senso San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa, perché la Chiesa è il prolungamento del corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa, continua a proteggere il Bambino e sua madre, e anche noi amando la Chiesa continuiamo ad amare il Bambino e sua madre. 6. Padre lavoratore Un aspetto che caratterizza San Giuseppe è il suo rapporto con il lavoro. San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che signica mangiare il pane frutto del proprio lavoro. In questo nostro tempo è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il signicato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare Patrono. Chi lavora, qualunque sia il suo compito, collabora con Dio stesso, diventa un po' creatore del mondo che ci circonda. Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. Imploriamo San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro! 7. Padre nell'ombra Giuseppe, nei confronti di Gesù, è l'ombra sulla terra del Padre celeste: lo custodisce, lo protegge, non si stacca mai da Lui per seguire i suoi passi. Pensiamo a ciò che Mosè ricorda ad Israele: «Nel deserto … hai visto come il Signore, tuo Dio, ti ha portato, come un uomo porta il proprio glio, per tutto il cammino» (Dt 1, 31). Così Giuseppe ha esercitato la paternità per tutta la sua vita. Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un glio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Essere padri signica introdurre il glio all'esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinaria-
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mente libera. Non ha mai messo se stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù. La felicità di Giuseppe è nella logica del dono di sé. Non si percepisce mai in quest'uomo frustrazione, ma solo ducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di ducia. Il mondo ha bisogno di padri, riuta chi vuole usare il possesso dell'altro per riempire il proprio vuoto. Ogni glio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l'aiuto di un padre che rispetta la sua libertà. Un padre deve essere consapevole di completare la sua azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso “inutile”, quando vede che il glio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita, quando si pone nella situazione di Giuseppe, il quale ha sempre saputo che quel Bambino non era suo ma era stato semplicemente afdato alle sue cure. In fondo, è ciò che lascia intendere Gesù quando dice: «Non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste» (Mt 23, 9). In un certo senso, siamo tutti sempre nella condizione di Giuseppe: ombra dell'unico Padre celeste, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5, 45); e ombra che segue il Figlio. Lo scopo di questa Lettera è quello di accrescere l'amore verso questo grande Santo, per essere spinti ad implorare la sua intercessione, per imitare le sue virtù e il suo slancio. Infatti la specica missione dei Santi è quella di intercedere per noi davanti a Dio, come fecero Abramo e Mosè, come fa Gesù, “unico mediatore” (1 Tm 2, 5), che presso Dio Padre è il nostro “avvocato” (1 Gv 2,
1), «sempre vivo per intercedere [in nostro] favore» (Eb 7, 25; cfr. Rm 8, 34). I Santi aiutano tutti i fedeli «a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato» (Lumen gentium, 42). La loro vita è una prova concreta che è possibile vivere il Vangelo. Non resta che implorare da San Giuseppe la grazia delle grazie: la nostra conversione. A lui rivolgiamo la nostra preghiera: Salve, custode del Redentore e sposo della Vergine Maria. A te Dio afdò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua ducia; con te Cristo diventò uomo. O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen.
Preghiera che Papa Francesco recita ogni giorno Glorioso Patriarca San Giuseppe, il cui potere sa rendere possibili le cose impossibili, vieni in mio aiuto in questi momenti di angoscia e difcoltà. Prendi sotto la tua protezione le situazioni tanto gravi e difcili che ti afdo, afnché abbiano una felice soluzione. Mio amato Padre, tutta la mia ducia è riposta in te. Che non si dica che ti abbia invocato invano, e poiché tu puoi tutto presso Gesù e Maria, mostrami che la tua bontà è grande quanto il tuo potere. Amen.
Questa riduzione del testo integrale della Lettera Apostolica “Patris corde”, che Papa Francesco ha pubblicato l'8 dicembre 2020 per celebrare il 150° della dichiarazione di San Giuseppe come Patrono della Chiesa Cattolica, è stata compiuta dalla Redazione della nostra rivista per facilitare una prima conoscenza dell'importante Documento Ponticio nell'anno dedicato al Santo. Il testo integrale della Lettera si può trovare sia nelle librerie cattoliche, sia nel sito della Santa Sede:
Lasciti e donazioni Da tanti anni, affezionati devoti della Consolata esprimono la volontà di destinare al Santuario parte delle loro sostanze. Il Santuario B. V. della Consolata, con sede in Torino, gode di personalità giuridica come ente ecclesiastico (decreto ministeriale del 18.6.1987) ed è iscritto nel registro della Prefettura di Torino al n. 463. Come tale può ricevere legati ed eredità. Per le formule da utilizzare nella stesura di un testamento -che è sempre modicabile e/o revocabile- può essere utile il consiglio di un notaio al ne di evitare spiacevoli errori o incomprensioni, che rischiano di inciarne la validità. Solo con il generoso aiuto di tutti il Santuario può continuare ad essere un luogo accogliente e sicuro per svolgere il servizio pastorale che gli è proprio. Quanto potrà essere destinato al Santuario sarà un dono prezioso, segno di particolare amore alla Vergine Consolata-Consolatrice. Per informazioni rivolgersi direttamente al rettore del Santuario.
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L’ex-voto di un Dragone di Carlo Alberto Da soldato del Trocadero ad amministratore di Torino con la Consolata nel cuore Gianlorenzo Boano fotograa di Andrea Aloi
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ome tutti ben sappiamo, l'ex-voto è una pia e popolare testimonianza di un ringraziamento a Dio per aver ottenuto, tramite la Vergine Maria o un Santo, una grazia per sé o per altri. L'ex-voto ha quindi, innanzi tutto, un valore devozionale legato alla salute, alla guerra, al lavoro, a vicissitudini familiari e sociali, a volte inserite in un fatto storico ben preciso, come nel quadretto che viene riprodotto nella pagina a lato, dove ci è presentata la scena di un malato che sembra in procinto di alzarsi dal letto, proteso verso una nube nella quale compare l'efge della Madonna Consolata, che manda raggi verso l'infermo come per l'esaudirsi ed il concretizzarsi della grazia richiesta. La didascalia recita: «Grazia ricevuta a Porto S. Maria presso Cadice in Jspagna li 23 agosto 1823». Il dipinto è bello e nitido e la scena, nella sua semplicità, è interessante perché ricca di particolari. L'infermo è adagiato su un letto, stile impero con decorazioni e sormontato da un baldacchino a tenda; alla sinistra una nestra spalancata attraverso la quale si intravede, sotto un cielo luminoso, un tratto di costa e forse proprio il forte di Trocadero su un isolotto.
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Accanto al letto, sulla spalliera di una sedia, è appesa una giubba militare con spalline da ufciale e con il colletto giallo del reggimento di appartenenza; sul comò vicino, sotto una grande specchiera, è posato un elmo di Cavalleria della specialità Dragoni e, tra la sedia e il mobile, la sciabola. A lato del letto è riprodotto il Crocisso posto sotto un quadro, forse devozionale. La persona rafgurata è Carlo Emanuele Gabriele Nicolis di Robilant e di Cereaglio, ufciale di Cavalleria del Reggimento Dragoni del Genevese, in quel 1823 secondo scudiere, o aiutante di campo, del Principe di Carignano, Carlo Alberto. Il Robilant, per il suo incarico, faceva parte del gruppo di ufciali al seguito di Carlo Alberto che fu inviato in Spagna per raggiungere le truppe francesi del Duca d'Angoul ême e combattere al loro anco contro gli insorti costituzionalisti spagnoli al ne di rimettere sul trono il Re di Spagna Ferdinando VII. In quel periodo però, si diffuse fra le truppe una epidemia di “febbre gialla”, morbo che non perdonava se preso in forma grave, anche per l'inadeguatezza o la mancanza di terapie atte a contrastarlo. Carlo Alberto fu colpito da questo morbo, fortunatamente in forma molto lieve e per
pochi giorni, tanto che poté valorosamente partecipare alla battaglia. Non fu così invece per il nostro Robilant che venne colpito dall'epidemia in forma molto più grave, tanto che temendo per la sua vita gli fu impartita l'Estrema Unzione. Egli però, particolarmente devoto alla Vergine Consolata, a Lei si afdò con ferventi preghiere. Guarì! Si ristabilì completamente e in brevissimo tempo ritornò in forze senza fare alcuna convalescenza, tanto che poté, partecipare alla battaglia. L'esercito del Duca d'Angoulême dopo aver posto sotto assedio il forte del Trocadero, situato a poca distanza dalla cittadina di Cadice ed ultimo baluardo dei costituzionalisti, lo conquistò il 31 agosto 1823, ponendo ne alla guerra e rimettendo sul trono di Spagna Ferdinando VII. Tornato a Torino, il Robilant disse il suo grazie alla Vergine Consolata con frequenti visite al Santuario e partecipando assiduamente alle funzioni religiose; inoltre volle più concretamente ricordare anche ai devoti quella sua esperienza, con la donazione dell'ex-voto che ancora oggi possiamo vedere. La sua devozione ebbe modo di concretizzarsi anche quando, eletto Decurione della Città di Torino, fece parte attiva della delegazione che,
con i Sindaci, presentò all'Arcivescovo di Torino nel Santuario della Consolata il “voto” della Città per la liberazione dal “cholera morbus” del 1835, voto che si concretizzò con l'erezione della colonna con la statua della Madonna che vediamo tuttora nella piazzetta a anco del Santuario. Il Robilant inoltre, nella sua funzione di Decurione, fu tra quelli che in un primo tempo proposero addirittura di collocare la suddetta colonna votiva nella piazza antistante il Palazzo Civico, per sottolineare il legame plurisecolare della Città con la Consolata. La devozione alla Vergine di Carlo di Robilant è testimoniata ancor oggi dal suo ex-voto, che ha la particolarità di essere l’unico in nostro possesso degli albori del Risorgimento.
Biograa Carlo Emanuele Gabriele Nicolis dei Conti di Robilant e di Cereaglio, appartenente a una nobile e antica famiglia piemontese, nacque a Torino il 23 ottobre 1799. Iniziò a sedici anni la carriera militare con il grado di sottotenente del Reggimento Dragoni della Regina. Nel 1817 fu nominato secondo scudiere del principe Carlo Alberto di Carignano, nel 1823 lo seguì in Spagna nella guerra contro gli insorti costituzionalisti, in seguito alla quale fu decorato con la “Croce di San Ferdinando” di Spagna e con la “Legion d'Onore” di Francia; nei vent'anni seguenti continuò la sua brillante carriera militare no a raggiungere, nel 1847, il grado di Maggior Generale di Cavalleria. Durante la prima guerra di Indipendenza contro gli Austriaci, nella battaglia di Novara fu ferito e venne decorato con la medaglia d'argento al valor militare. Terminò il suo servizio nell'esercito, nel 1854, con il grado di comandante delle Guardie del Corpo di S. M.. Parallelamente alla carriera militare, Carlo di Robilant fu anche attivo con importanti incarichi nella amministrazione civica di Torino: dal 1828 ne era Decurione, poi Consigliere di Congregazione, Ragioniere ed inne Sindaco nel biennio 1836/1837. Morì a Torino il 19 agosto 1871.
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► «La Beata Maria degli Angeli intercede per la Città di Torino», che è raffigurata nello sfondo. Olio su tela nella chiesa dei Santi Vittore e Carlo in Genova
Il patrocinio di S. Giuseppe sulla Città di Torino L’opera della torinese Beata Maria degli Angeli Daniele Bolognini
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n una lettera che il Beato Sebastiano Valfré (16291710) scrisse al fratello Bernardo leggiamo: «È tempo che stabiliate di voler davvero servir Dio e ciò non vi divertirà d'aver prudente cura di casa vostra, ma farete le vostre funzioni domestiche tutte per dare gusto a Dio, come faceva S. Giuseppe». Con la schiettezza che lo distingueva, ma con affetto fraterno, Valfré indicò il Santo come esempio cui ispirarsi nella vita quotidiana per tendere a un maggior fervore religioso. Il grande “apostolo della Consolata” fu quindi anche un devoto di San Giuseppe, Santo del cui culto fu solerte propagatrice anche una monaca di clausura torinese contemporanea del Valfré: la carmelitana Beata Maria degli Angeli (Marianna Fontanella, 1661-1717). Il padre Valfré e madre Maria degli Angeli illuminarono con la loro santità la storia di Torino tra il Sei e il Settecento: l'uno impegnato nell'attività apostolica, l'altra dedita alla preghiera nel silenzio di un monastero. La collaborazione tra i due futuri Beati si sviluppò proprio negli anni cruciali che prepararono la nascita del Regno di Sardegna. Nel 1683 salì al trono sabaudo Vittorio Amedeo II -il Valfré ne era stato il precettore- dopo la reggenza della madre Giovanna Battista di Savoia-Nemours. Il giovane sovrano l'anno seguente sposò nel castello di Versailles, per volere di Luigi XIV, la principessa Anna d'Orléans. Madre e consorte del Duca ebbero come condente spirituale proprio suor Maria degli Angeli: annesso al Carmelo di S. Cristina vi era, infatti, l'appartamento ducale in cui potevano ritirarsi in preghiera le due dame. Maria degli Angeli, che quand’era adolescente visse nel palazzo di famiglia a pochi isolati dal Santuario della Consolata, decise di vestire l'abito carmelitano a sedici anni durante un'ostensione della Sindone; a soli trentatré anni fu eletta priora, in virtù dei grandi sentimenti di carità che manifestava per le consorelle e per quanti entravano in contatto col monastero. Anche il Duca era tra coloro che abitualmente la interpellavano per avere consigli. Nel 1690 scoppiò una guerra tra ducato sabaudo e regno di Francia che si trascinò per sei anni: la popolazione era allo stremo, ma Vittorio Amedeo II era deciso a non arrendersi nonostante le petizioni di ministri e consiglieri. Anna d'Orléans e Giovanna Battista, impotenti, chiedevano conforto a madre Maria degli Angeli che, come S. Teresa d'Avila, faceva ricorso a S. Giuseppe in ogni grave occasione. La Carmelitana e le Principesse sabaude gli afdarono le sorti del Ducato. Maria degli Angeli intensicò preghiere e penitenze per implorare la pace e un giorno ebbe una premonizione: la grazia sarebbe stata concessa se la Città di Torino si fosse messa sotto il Patrocinio del Santo. Giovanna Battista, formalmente, tramite il marchese Morozzo, rivolse al Consiglio Comunale un invito a proclamare San Giuseppe Compatrono cittadino. Nella seduta del 31 dicembre 1695 i consiglieri unanimi aderirono alla richiesta e l'Arcivescovo Michele Antonio Vibò impartì le disposizioni per celebrare solennemente l'avvenimento: «… Onde considerando Noi non poter provenire al nostro spiritual
Gregge le gratie desiderate per più beneco e largo canale, che per l'intercessione di sì gran Santo, Quem constituit Dominus super familiam suam, il quale per il singolarissimo privilegio a lui conceduto d'essere Sposo della Madre di Dio, ed intitolato nella Sacra Scrittura Padre di Giesù Christo, ci fa sperare ogni più sicura efcacia appresso il Datore di tutti i beni e la Dispensatrice di tutte le Divine misericordie. Habbiamo stimata legge e obligatione di Pastorale ofcio l'adoperarci con tutto l'ardore di vero e paterno zelo accioché col maggior frutto che sia possibile, seguano i bramati effetti di sì salutevole e potente protettione. … Torino li 7 Maggio 1696». La predizione di Maria degli Angeli si avverò: il 29 agosto 1696, inaspettatamente, il Duca rmò la pace col Re di Francia. Negli anni successivi la Carmelitana rassicurò i Duchi che la protezione di San Giuseppe avrebbe regalato un erede al Ducato. Se ne fecero interpreti i reggitori della Città di Torino che prestando fede a queste parole decisero, nella seduta del 29 settembre 1698, di commissionare a Daniel Seiter, valente pittore al servizio del Duca, un grande quadro rafgurante il Patrocinio di S. Giuseppe sulla Città di Torino. Sei mesi dopo il quadro arrivò da Roma e fu esposto nella sala del Consiglio comunale per essere poi trasferito nella chiesa di Santa Cristina, dono alle Carmelitane. I torinesi, qualche mese dopo, poterono gioire per l'attesa ma insperata nascita del Principe di Piemonte (6 maggio 1699). Nei primi mesi del 1703 la festa del Patrocinio di San Giuseppe fu stabilita per tutto lo Stato sabaudo, da celebrarsi annualmente la terza domenica dopo Pasqua. Proprio in quell'anno Maria degli Angeli fondò un monastero a Moncalieri dedicandolo a “S. Giuseppe della Madre di Dio”. Nella visita preparatoria del solenne ingresso delle prime monache, il 10 settembre 1703, il Beato Valfré vi celebrò la prima Messa: attualmente nella chiesa del monastero è conservata l'urna con le reliquie della Beata Maria degli Angeli. Tre anni più tardi, nel 1706, il Ducato sabaudo scrisse una delle pagine più gloriose della sua storia, la vittoria sui francesi che da mesi assediavano Torino, circostanza in cui rifulse nuovamente la santità del Valfré, che si distinse nello spronare i soldati e la popolazione, nel soccorrere e curare i feriti garantendo loro la protezione della Vergine Consolata, e quella di Maria degli Angeli che, coadiuvata dalle consorelle, collaborò alla preparazione dei medicamenti per i feriti alloggiati nell'ospedale allestito sulla piazza reale (oggi San Carlo). In più la Carmelitana, che trascorreva lunghe ore in adorazione davanti al Santissimo, ebbe “rassicurazioni” dalla Vergine Maria che avrebbe protetto la Città. Valfré ripeteva tra i soldati, sduciati e a corto di munizioni, quanto gli aveva detto madre Maria degli Angeli: «Alla Bambina saremo liberati, la Bambina sarà la nostra liberatrice», ovvero per la festa della Natività della Madonna. Il messaggio si diffuse in Città, contribuendo a infondere coraggio e ducia. Il Santuario della Consolata fu il riferimento spirituale di tutti i Torinesi, Valfré distribuiva le immagini della Vergine partico-
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▲ Antica immaginetta devozionale di S. Giuseppe, «Protettore e Patrono di Torino», con le due chiese di piazza San Carlo
larmente ai soldati, ripetendo quanto la Carmelitana gli aveva condato. I Torinesi sconssero il nemico il 7 settembre, vigilia della festa della Natività di Maria: l'imponente Basilica di Superga -inaugurata nel 1731- ricorda ancora oggi l'evento. Padre Valfré morì quattro anni più tardi, il 30 gennaio 1710; Maria degli Angeli continuò a vegliare con la preghiera sulla sua Città. Nel 1714 la peste bovina colpì parte del Piemonte e la Carmelitana ottenne nuovamente una “celeste protezione”, con umiltà e senza clamore, come sempre fanno le monache di clausura. Il fatto è artisticamente ricordano in un bel quadro conservato a Genova nella chiesa dei Santi Vittore e Carlo, un tempo dei Carmelitani (qui riprodotto a pag. 16). Proseguirono anche le “visioni”: nel 1715 -leggiamo in una sua biograa- «nel giorno che si celebra a Torino la festa della SS.ma Vergine della Consolazione, ai 20 giugno, le apparve nostra Signora dopo la S. Comunione e l'assicurò di tenerla sotto la sua gloriosa protezione». In omaggio alla Carmelitana, che per tutta la vita pregò per invocare protezione su Torino, Madama Reale Giovanna Battista fece erigere da Filippo Juvarra la superba facciata della chiesa di S. Cristina, completata nel 1718: Maria degli Angeli non ebbe la gioia di vederla nita essendosi spenta il 16 dicembre 1717. La soppressione del monastero di S. Cristina nel 1802 obbligò a trasferire la celebrazione della festa del Patrocinio di S. Giuseppe nella chiesa di S. Teresa dei Padri Carmelitani. Nel 1847, il Papa Beato Pio IX la estese alla Chiesa universale e fu celebrata nella III domenica dopo Pasqua no al 1913, quando il Papa San Pio X la trasferì al III mercoledì dopo l’ottava di Pasqua; nel 1956 il Papa Pio XII la sostituì istituendo la festa di S. Giuseppe Artigiano (ora denito «Lavoratore») al 1° maggio. Ultimamente in Torino la celebrazione annuale del Patrocinio di S. Giuseppe è ripresa, proprio nella chiesa di Santa Cristina.
Il dono di speciali indulgenze nell'Anno di San Giuseppe Per mandato di Papa Francesco, la Penitenzieria Apostolica ha comunicato che nel corso dell'intero Anno di San Giuseppe (2020 - 8 dicembre - 2021) possono ricevere il dono dell'indulgenza plenaria -una volta al giorno- alle consuete condizioni (Confessione sacramentale, Comunione eucaristica, preghiera per le intenzioni del Santo Padre) i fedeli che, con l'animo distaccato da qualsiasi peccato, compiranno una delle opere qui di seguito elencate: 1. meditazione per almeno mezz'ora della preghiera Padre nostro o partecipazione a un ritiro spirituale di almeno una giornata che preveda una meditazione su San Giuseppe; 2. attuazione di un'opera di misericordia corporale o spirituale sull'esempio di San Giuseppe; 3. afdamento della propria attività quotidiana alla protezione di San Giuseppe, l'artigiano di Nazaret, o preghiera al Santo afnché chi è in cerca di lavoro possa trovare un'occupazione e il lavoro di tutti sia più dignitoso; 4. recita delle Litanie di San Giuseppe o di qualche altra preghiera al Santo a favore della Chiesa perseguitata al suo interno o dall'esterno e per il sollievo di tutti i cristiani perseguitati. Il dono dell'indulgenza plenaria, inoltre, è concesso ai fedeli che reciteranno una preghiera legittimamente approvata o compiranno un atto di pietà in onore del Santo il 19 marzo, il 1° maggio, nella festa della Santa Famiglia, il 19 di ogni mese e il mercoledì, giorno dedicato alla memoria del Santo nella tradizione latina. Nell'attuale contesto di emergenza sanitaria, il dono dell'indulgenza plenaria è esteso agli anziani, ai malati, agli agonizzanti e a coloro che per legittimi motivi non possono uscire di casa, i quali con l'animo distaccato da qualsiasi peccato e con l'intenzione di compiere, non appena possibile, le tre solite condizioni, nel luogo dove l'impedimento li trattiene reciteranno una preghiera in onore di San Giuseppe, conforto dei malati e Patrono della buona morte, offrendo con ducia a Dio i dolori e i disagi della propria vita.
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Il Santuario della Consolata
calendario liturgico del Santuario
Marzo 2021 5. Venerdì (astinenza) a 7. c 3 DOMENICA DI QUARESIMA Sante Perpetua e Felicita, martiri (m.) 12. Venerdì (astinenza) 13. a 14. c 4 DOMENICA DI QUARESIMA 19. S. GIUSEPPE, Sposo della B. V. Maria (s.) (non vige l’obbligo dell’astinenza) a 21. c 5 DOMENICA DI QUARESIMA 25. ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE (s.) 26. Venerdì (astinenza) 27. Beato Francesco Faà di Bruno, presbitero (m. f.) 28. c DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE La Giornata Mondiale della Gioventù da quest’anno cambia data e verrà celebrata nella solennità di Cristo Re
29.3 - 3.4. SETTIMANA SANTA
Aprile 2021 1. Beato Giuseppe Girotti, presbitero e martire (m. f.) 2. VENERDÌ SANTO (astinenza e digiuno)
3. 4. 6. 8. 9. 12. 13. 14. 15. 16.
SANTI FILIPPO E GIACOMO, apostoli (f.) Venerazione della Sindone (m.) S. Domenico Savio (m. f.) 3° Sabato della Consolata a c 6 DOMENICA DI PASQUA S. Pancrazio, martire (m. f.) Beata Vergine Maria di Fatima (m. f.) S. MATTIA, apostolo (f.) 4° Sabato della Consolata c ASCENSIONE DEL SIGNORE (s.) Giornata Mondiale per le comunicazioni sociali
18. S. Leonardo Murialdo, presbitero (m.) 22. S. Rita da Cascia, religiosa (m. f.) 5° Sabato della Consolata 23. c DOMENICA DI PENTECOSTE (s.) 24. Beata Vergine Maria Madre della Chiesa (m.) Beata Vergine Maria Aiuto dei cristiani (m.) 26. S. Filippo Neri, presbitero (m.) 29. S. Paolo IV, papa (m. f.) 30. c SS. TRINITÀ (s.) S. Giuseppe Marello, vescovo (m.f.) 31. VISITAZIONE DELLA B. V. MARIA (f.)
Giornata Mondiale per le opere della Terra Santa c DOMENICA DI PASQUA RISURREZIONE DEL SIGNORE 5 - 10. OTTAVA DI PASQUA 7. S. Giovanni Battista de la Salle, presbitero (m.)
4.
Giorno anniversario della concessione al Santuario del titolo di Basilica (1906) Oggi, visitando il nostro Santuario-Basilica, è possibile ricevere il dono dell’indulgenza plenaria
11.
c
a
2 DOMENICA DI PASQUA
Domenica della Divina Misericordia Partecipando a pratiche di pietà svolte in onore della Divina Misericordia, è possibile ricevere il dono dell’indulgenza plenaria
18.
S. Stanislao, vescovo e martire (m.) a c 3 DOMENICA DI PASQUA Giornata Nazionale a favore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 10° anniversario della morte dell’Arcivescovo Card. Giovanni Saldarini (2011)
23. S. Giorgio, martire (m. f.) 24. 1° sabato della Consolata 25. c 4a DOMENICA DI PASQUA Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni
S. MARCO, evangelista (f.) 28. S. Luigi Maria Grignion de Montfort, presbitero (m. f.) 29. S. CATERINA DA SIENA, vergine e dottore della Chiesa, patrona d’Italia e d’Europa (f.) 30. S. Giuseppe Benedetto Cottolengo, presbitero (m.)
Abbreviazioni: s. = solennità; f. = festa; m. = memoria; m. f. = memoria facoltativa
Orario delle celebrazioni in Santuario Sante Messe: Festive: ▪ Domenica e feste: 8,30 - 10 - 11,30 - 16 - 18 - 19,30 ▪ Sabato e prefestivi: 18
Feriali: 8 - 9 - 10,30 - 12 - 18 - 19 (sospesa nei prefestivi)
Confessioni: ▪ Giorni festivi: 7,45 - 12,15 / 15 - 20,15 ▪ Sabato e prefestivi: 7,45 - 12,15 / 15 - 18,30 ▪ Giorni feriali: 7,45 - 12,15 / 15 - 19,15
Rosario: ▪ Ogni giorno: 17,30
Via Crucis: Maggio 2021 1. S. Giuseppe Lavoratore (m.) 2. c 5a DOMENICA DI PASQUA Giornata Nazionale di sensibilizzazione per il sostegno economico alla Chiesa Cattolica
S. Atanasio, vescovo e dottore della Chiesa (m.)
▪ Venerdì di Quaresima: 17 La Liturgia delle Ore e l’Adorazione Eucaristica del sabato, a motivo delle vigenti disposizioni emanate dalle Autorità competenti per l’emergenza Covid-19, continuano ad essere sospese.
Il Ramo O.N.L.U.S. si dedica alla tutela, custodia, valorizzazione e promozione del Santuario B. V. della Consolata e dell'annesso Convitto Ecclesiastico e particolarmente delle opere d'arte in essi custodite, nonché della loro manutenzione sia ordinaria che straordinaria. Per sostenere le iniziative si può contribuire preferibilmente: ► tramite bonico su conto corrente bancario UNICREDITSPA: IBAN IT 91 A 02008 01046 000105031377 specicando la destinazione al “Santuario B. V. della Consolata - Ramo O.N.L.U.S.” (codice scale 97501670018) ► tramite versamento sullo specico conto corrente postale n. 1040900498 allegato ad ogni numero della rivista del Santuario.
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Dal 1 gennaio 2018 le erogazioni a favore delle ONLUS fatte da persone siche, da società o enti possono essere dedotte, nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato (art. 83 co.2 D.Lgs 117/2017). In alternativa, solo per le persone siche, le erogazioni liberali a favore di ONLUS per un importo complessivo di ciascun periodo d’imposta non superiore a 30.000 euro danno diritto a una detrazione di imposta pari al 30% dell’importo erogato (art. 83 co. 1 D.Lgs 117/2017).
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La Compagnia della Consolata, istituita dal Beato Giuseppe Allamano, ha come scopo di favorire la devozione alla Vergine Maria, venerata come Consolata dai doni di Dio e, per questo, Consolatrice dei sofferenti e degli afflitti: modello e sorgente di speranza, Ella ci precede nel cammino della fede e ci sostiene nelle difficoltà della vita quotidiana. È vivamente raccomandata agli iscritti la partecipazione personale alle celebrazioni liturgiche del Santuario e, nel giorno della festa titolare (20 giugno), alla processione in onore della Consolata.
Tutti, anche i defunti, possono essere iscritti nella Compagnia. Per loro, in Santuario, ogni sabato viene celebrata una S. Messa alle ore 10,30. Per iscrizioni e maggiori informazioni rivolgersi alla sacrestia del Santuario o telefonare al n. 011/483.61.01.
Attenzione: in caso di mancato recapito, rinviare all’Ufficio di Torino C.M.P. Nord per la restituzione al mittente, Rettore del Santuario della Consolata Via Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino, che s’impegna a corrispondere la relativa tariffa.
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