Ottobre/Dicembre 2010 n. 10/12 Rivista fondata nel 1899
Periodico religioso mensile - Anno 112 - V. Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino - Sped. abb. post. - Art. 2, comma 20/C, - Legge 662/96 - Filiale di Torino
In copertina: Presepio preparato dal Vicerettore don Matteo, Altare della Consolata
Il Santuario della Consolata Torino
sommario
Periodico religioso mensile Anno 112 - n. 10/12 Ottobre/Dicembre 2010 Spedizione in abbonamento postale Art. 2, comma 20/c, Legge 662/96 - Filiale di Torino C.C. post. n. 264101 intestato a: Santuario Consolata Via Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino Tel. 011.483.61.11 - 011.483.61.00 Fax 011.483.61.20 rivistasantuario@laconsolata.org www.laconsolata.org Fotocomposizione e stampa: Arti Grafiche San Rocco 10095 Grugliasco (TO) Via Carlo Del Prete, 13 Tel. 011.783300 - Fax 011.7801253 info@artigrafichesanrocco.it Direttore responsabile: Marco Bonatti Autorizzazione del Tribunale Civile di Torino n. 379 del 22 febbraio 1949
Natale tempo del Dono, tempo dei doni Editoriale Mons. Marino Basso, Rettore del Santuario
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Il saluto del Cardinale Poletto
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Accogliamo il nuovo Arcivescovo Monsignor Cesare Nosiglia
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Ricordo di un Rettore emerito della Consolata: monsignor Franco Peradotto
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Il patrono dei carcerati: San Giuseppe Cafasso
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Formazione del volontariato Visita al monastero benedettino sul Lago d’Orta
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La foto del mese
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Il Padre Nostro e il Battesimo
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Intercessione di San Valerico
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Pellegrini dalla Lomellina
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La preghiera del mese
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Importante: nuove leggi sulla stampa
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Programma Pellegrinaggi 2010-2011
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La Consolata nel mondo
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Natale tempo del Dono tempo dei doni
Editoriale
I
l senso del Natale è uno solo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui” (Gv 3,16-17). È questo dono dall’Alto che raccoglie tutte le nostre attenzioni e se anche siamo distratti e presi da altre frenesie legate al tempo delle festività natalizie, nulla prende il posto alla centralità di questo Evento, che riempie il tempo e la storia di senso e di speranza per tutta l’umanità. Il dono del Padre, che è il Verbo fatto carne per noi, ci insegna a scorgere che ogni dono viene dall’Alto. La nostra Arcidiocesi di Torino è stata segnata nella sua storia millenaria da un lato dal dono del Cardinale Severino Poletto, che ha concluso il suo ministero episcopale dopo undici anni di presenza tra noi, e, dall’altro, dal dono del nuovo Arcivescovo Mons. Cesare Nosiglia. Ci permettiamo di raccogliere i pensieri che la Voce del Popolo, giornale della nostra Diocesi, ha presentato al nuovo Arcivescovo, siano anche i saluti della nostra rivista della Consolata.
Il dono del Vescovo, successore di san Massimo alla cattedra di Torino, fa pensare alla fedeltà che Cristo, “Pastore dei Pastori”, nutre per la nostra Chiesa, la quale già dal quarto secolo annuncia il Vangelo in questa porzione di terra piemontese. Le nostre radici sono antiche, ma la chiamata alla fede è sempre nuova e fa nuove tutte le cose. Ciò che è lambito dalla fede è mosso dallo Spirito, che ci fa crescere nell’orizzonte di Dio, che illumina e guida il cammino della Chiesa, della storia, delle relazioni umane, formando in noi una nuova mentalità: “il pensiero di Cristo”. A Lei, nostro Arcivescovo, l’augurio di ogni benedizione dall’Alto, accompagnato dalla intercessione della Madre di Dio, venerata con il dolce titolo di Consolata e Consolatrice, e dalla schiera innumerevole di Santi e Sante, frutto della vitalità della Chiesa di Torino, che l’accoglie, con affetto e con gioia, come suo Pastore.” Il Natale è il Dono di Dio, che ci aiuta a scoprire la Provvidenza del Padre in tutti i doni che ci giungono - anche nei Vescovi della nostra amata Arcidiocesi -, per questo ci sentiamo di poter cantare con gli angeli “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama”. Monsignor Marino Basso Rettore 1
IL SALUTO del Cardinale
POLETTO Il primo sentimento che mi nasce nel cuore è di sincera riconoscenza al Santo Padre, che ha voluto inviare come Pastore a Torino un Vescovo dotato di una non comune preparazione culturale e di lunga esperienza pastorale, acquisita prima all’interno degli organismi centrali della CEI come direttore dell’Ufficio Catechistico nazionale e poi nella Diocesi di Roma, dove ha svolto il compito di Vescovo Ausiliare, fino all’ultimo incarico, i sette anni alla guida della Diocesi di Vicenza. Fin da subito vi invito a pregare per il nuovo Arcivescovo Cesare e a mettervi tutti nel giusto atteggiamento di fede, condizione essenziale per accoglierlo con gioia e con totale disponibilità a collaborare con lui per la realizzazione di ogni proposta e progetto pastorale che vi proporrà, affinché tutti possiate essere fedeli a quella grande missione che il Signore ha affidato alla nostra Chiesa in Torino. Quanto a me, mi sento molto sereno nel consegnare il pastorale ad un Vescovo amico e che stimo, perché so che verrà per continuare quel lavoro che con tanta convinzione e senza risparmio di tempo e di energie ho cercato di fare in questi undici anni vissuti con voi per “costruire insieme” il Regno di Dio in questa a me cara città di Torino, che amo definire complessa ma stupenda, ed in tutta la nostra Arcidiocesi così ricca di carismi e santità. Il Signore Gesù ci chiede in ogni momento di fissare su di Lui, che è il vero “Pastore grande del2
Dopo 11 anni, lascia la reggenza dell’Arcidiocesi S.Em. il Card. Severino Poletto. Pubblichiamo uno stralcio del suo saluto, in occasione della comunicazione, fatta proprio al Santuario della Consolata, della nomina del nuovo Arcivescovo di Torino. le pecore” (Ebr 13,20), il nostro sguardo di fede e il nostro impegno di sequela. Gli Arcivescovi passano, ma Gesù Cristo resta per sempre con noi ed è questa certezza che ci consente di perseverare nel nostro impegno di discepoli che vedono in Lui l’unico Maestro che ci affida il suo messaggio di salvezza chiedendoci di comunicarlo con gioia a tutti quanti. Auguro al nuovo Arcivescovo che possa trovarsi bene con tutti voi come, vi assicuro, mi sono trovato io. A lui il nostro cordiale benvenuto esprimendo la nostra fiduciosa attesa con le parole del Salmo “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!”.
Torino 11 ottobre 2010 + Severino Card. Poletto 3
Accogliamo il nuovo Arcivescovo Monsignor
CESARE NOSIGLIA
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Pubblichiamo uno stralcio del primo messaggio alla Diocesi del capoluogo piemontese, appena dopo la nomina del Pontefice alla guida della Chiesa in Torino. La mia nomina a vostro Arcivescovo avviene nel giorno anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, avvenuta nell’ottobre del 1962. Considero questa coincidenza non puramente casuale, ma dono della Provvidenza di Dio, che vuole indicarmi la via maestra sulla quale promuovere, insieme con voi, il cammino della nostra Chiesa particolare. Nella mente e nel cuore riemergono alcuni ricordi lieti e significativi, dall’anno propedeutico alla teologia, svolto in Diocesi nel Seminario di Rivoli (arrivavo da Acqui), nel 1964, alla prima esperienza sacerdotale nella parrocchia di Santena, nell’estate del 1968. Ora il Santo Padre mi affida una Chiesa ricca di tradizione cristiana, vivace e creativa nelle sue intuizioni pastorali e protesa ad un costante rinnovamento spirituale, grazie all’influsso tuttora vivo di grandi personalità di santi e testimoni di fede e carità. Sono vicino fin d’ora al Presbiterio, a tutte le parrocchie, che rappresentano il luogo fondamentale della formazione della coscienza credente, alle realtà di vita consacrata, alle diverse aggregazioni laicali, così presenti in tanti settori quali la scuola, la solidarietà verso malati, poveri, nomadi ed emarginati, la formazione cristiana, la difesa della vita, la lotta all’illegalità diffusa, nell’impegno politico, nella promozione della pace, nell’accoglienza agli immigrati e nel sostegno alle comunità etnico-cattoliche. So bene quante sono le difficoltà di ogni giorno, per tutti, eppure sono convinto che la nostra Chiesa locale può guardare avanti con fiducia, e contribuire al vero progresso della gente promuovendo la stretta unità tra carità, verità e giustizia che Papa Benedetto richiama nella sua en5
ciclica “Caritas in Veritate”. Cari fratelli e sorelle, il mio cuore e tutta la mia persona sono ormai protesi verso di voi e mi auguro che presto potremo incontrarci e collaborare insieme al lavoro nella vigna che il Signore ci ha affidato. Pregate per me, perché possa svolgere con voi e per voi il mio ministero di Padre, Vescovo e amico e sappia ascoltarvi e seguirvi, sulla strada che state percorrendo, con un impegno che intendo condividere, fianco a fianco, per accogliere quanto il Signore e il suo Spirito ci indicheranno. Mi affido alla intercessione di san Massimo, primo Vescovo della Diocesi, di san Giovanni Battista e della Vergine Consolata, alla quale ogni torinese rivolge il cuore e lo sguardo carico di fiducia e confidenza. Maria ci indica le vie su cui camminare insieme nell’umiltà, ma anche nella consapevolezza di tanti talenti preziosi che il Signore ha donato alla nostra Chiesa. A lei ricorriamo in questo tempo complesso, ma non così diverso da tanti altri passaggi epocali, che hanno caratterizzato il cammino ecclesiale e civile dell’Arcidiocesi e della Città. Vi benedico e vi saluto con affetto e amicizia.
Vicenza, 11 ottobre 2010 Mons. Cesare Nosiglia Arcivescovo Eletto di Torino
Ricordo di un Rettore emerito della Consolata Monsignor
FRANCO PERADOTTO
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Il giorno dei Santi ha concluso il suo percorso terreno un prete torinese che ha lasciato un segno importante nell’Arcidiocesi di Torino, come Provicario Generale della Diocesi e Rettore del Santuario della Consolata. Braccio destro dei quattro Cardinali che si sono succeduti negli ultimi anni alla guida della Diocesi di Torino, giornalista e direttore della Voce del Popolo, settimanale diocesano torinese, non si è mai dimenticato di essere prete, cioè un punto di riferimento per gli ultimi, un riflesso dell’amore di Gesù Cristo per chi non ha speranza né futuro. Don Ciotti ci ricorda che tutti i mesi alla Consolata don Franco dedicava una sera agli incontri di spiritualità con il Gruppo Abele, accogliendo le persone più diverse, le fatiche e le fragilità di tutti, i bisogni e le speranze di ciascuno. Era orgoglioso di trasformare il Santuario della Consolata in una «casa», di praticare un ecumenismo concreto che andava oltre le parole e s’incarnava nei volti e nella storie di ogni persona che incontrava. Con la stessa smisurata fedeltà e diligenza riservata ai Vescovi, don Franco si metteva al servizio dei poveri convinto che «la strada» deve essere il costante riferimento del ministero sacerdotale, il luogo, cioè, delle povertà, dei bisogni, dei linguaggi complessi e diversi, delle relazioni e delle domande. Nel suo impegno di prete egli ha privilegiato la pastorale dei laici e delle famiglie, profondamente convinto della necessità di “fare spazio”, nella Chiesa, alla corresponsabilità dei laici. Ora continuerà ad aiutare dalla dimensione celeste la Chiesa di Torino, la costruzione di quel «noi» che è la dimensione essenziale della salvezza portata da Cristo. Non ci si salva da soli, bensì come popolo, come comunità riunita dal nome del Padre, nell’amore del Figlio e nella forza di consolazione dello Spirito. 7
La sua vita Mons. Franco Peradotto è nato a Cuorgnè il 15 gennaio 1928. Compì l’itinerario di formazione nei Seminari diocesani a Giaveno, Chieri, Torino e Rivoli. Ordinato prete il 29 giugno 1951 fu per un anno al Convitto ecclesiastico della Consolata, poi assistente per un biennio al Seminario di Rivoli. Nel 1954 venne nominato viceparroco alla Collegiata di S. Maria della Scala di Moncalieri, e nel 1956 a Maria Speranza Nostra in Torino. Qui, in Barriera di Milano, entrò in contatto con la realtà dell’immigrazione operaia e le problematiche sociali della città, formandosi quella sensibilità che accompagnò poi tutta la sua vita sacerdotale e professionale. In quegli anni si avvicina anche ai temi della cultura e del giornalismo con un incarico di consulenza per i testi teatrali dello Stabile di Torino. Inizia poi, negli anni ’60, a lavorare regolarmente per il quotidiano cattolico «L’Italia», a Torino e a Milano: i suoi primi direttori furono Giuseppe Lazzati e Carlo Chiavazza. Segue per intero, scrivendone soprattutto su «il nostro tempo», i lavori del Concilio Vaticano II. Negli anni successivi verrà spesso chiamato, in diocesi di Torino e in tutta Italia, a far conoscere e commentare quegli insegnamenti; il suo servizio di prete è segnato per sempre dall’adesione consapevole e convinta ai contenuti e allo stile del Concilio. Uno stile che in don Franco diventa dialogo sincero e rispettoso con tutti gli uomini di buona volontà, ma anche ferma fedeltà alla Chiesa, madre e maestra, esperta di umanità, testimone dell’autentica speranza del Cristo risorto. Diventa direttore de «La voce del popolo» succedendo al suo maestro professionale e spirituale, mons. Jose Cottino. Con lui il giornale interpreta i disagi di una Città cresciuta troppo in fretta e in cui aumenta il rischio dell’emarginazione, in cui la politica stenta a interpretare e fare proprie le esigenze di giustizia e partecipazione che
salgono dai cittadini. Sempre presente negli organismi consultivi diocesani cerca in ogni modo – talvolta anche a prezzo di pesanti sofferenze personali – di far maturare la comunione nel presbiterio e nella Chiesa locale. Fu tra i fondatori e il primo presidente della Fisc, “federazione italiana dei settimanali cattolici” e tra i fondatori e animatori del Cop, il “Centro nazionale di orientamento pastorale”. Don Franco è stato vicino fin dall’inizio all’esperienza del gruppo Abele e delle aggregazioni laicali che fioriscono negli anni successivi al Concilio. Ha seguito anche le attività dell’Azione Cattolica e delle Equipes Notre Dame: ma è impossibile ricordare tutte le associazioni che ha servito, i preti, le famiglie e i giovani che ha incontrato. Nel 1970 il cardinale Pellegrino lo nomina vicario episcopale per il laicato e la famiglia; nel 1979, con il cardinale Ballestrero, diventa vicario generale, mantenendo la direzione del giornale fino al 1996. Anche con il cardinale Saldarini sarà vicario generale fino al 1991 e poi provicario, protonotario apostolico, rettore del santuario della Consolata. Terminò la collaborazione diretta come vicario nell’anno 2000. Per un ventennio don Franco è stato tra le figure più rappresentative e conosciute anche all’esterno della Chiesa torinese. La città giustamente lo ha onorato nominandolo nel 2003 «Torinese dell’anno» e conferendogli nel 2006 la cittadinanza onoraria. Negli ambienti più vari è stata apprezzata la sua carica umana, la cordialità dei rapporti, la capacità di superare steccati ideologici per rivolgersi al cuore delle persone. Per la sua Diocesi, e per la Chiesa, si è speso senza risparmio, con un entusiasmo e una serenità d’animo che non sono di tutti. La malattia, cresciuta progressivamente, rende perciò ancora più significativi e preziosi questi ultimi suoi anni, trascorsi nel silenzio, nella sofferenza e nella fedeltà alla preghiera. Anche al
Cottolengo non è mai stato solo. Vicino a lui c’è la famiglia – il fratello Cesare, la cognata Lidia, i nipoti e pronipoti – e i tantissimi amici, molti dei quali presenti qui oggi per affidarlo al Signore e per testimoniare, ancora una volta, il nostro affetto e il nostro rimpianto. Marco Bonatti
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Il PATRONO delle CARCERI L’esempio di San Giuseppe Cafasso attraverso la vita dei cappellani delle carceri di oggi «Quando varcai per la prima volta la soglia del carcere, mi sentivo disorientato. Vagavo nei corridoi senza sole, incerto sul da farsi; attraverso gli spioncini delle pesanti porte mi affacciavo alle celle scrutando chi vi abitava: visi spettrali, con i segni profondi della sofferenza, della fame, della paura” Poi, dopo pochi giorni dal mio primo ingresso nel carcere, mi si disse che avrei dovuto, l’indomani, assistere un condannato a morte. Il “mio” primo condannato a morte!» Comincia così il racconto della prima esperienza in carcere che padre Ruggero Cipolla (19112006), francescano e per cinquant’anni cappellano delle carceri giudiziarie di Torino, scriveva nel 1960. Ecco come continua il suo racconto: «Sentii nell’anima uno schianto, crebbe la mia incertezza. E mi aggrappai disperatamente al confortatore per eccellenza dei condannati a morte: San Giuseppe Cafasso, il prete della forca». 9
RACCOMANDAZIONI PER LA MADONNA Più di 100 anni prima, esattamente nel 1839, il giovane ventottenne don Giuseppe Cafasso assisteva il suo primo condannato a morte, il primo di una lunga serie che il “prete della forca”, come veniva chiamato da tutti, avrebbe assistito, amato e consolato fino all’ultimo istante di vita. Dalla cella del “Confortatorio”, dove venivano condotti i detenuti in attesa di essere giustiziati per ricevere appunto il conforto religioso, seduto al suo fianco sul carro, don Cafasso accompagnava il condannato al palco del Rondò della Forca. E succedeva che durante il lugubre viaggio qualche volta il detenuto si convertisse, come nel caso di un certo Carlo Demichelis, condannato a morte per l’assassinio di sua suocera, che davanti all’immagine della Consolata raffigurata sul muro di una casa in via del Carmine, si pentì e chiese a don Cafasso l’assoluzione. L’umile “prete della forca” aveva un modo tutto suo per incoraggiare i suoi “santi impiccati” come li chiamava lui. I suoi biografi raccontano che dopo aver benedetto la corda, prima di impartire l’ultima assoluzione, si rivolgeva con convinzione al condannato affidandogli le sue raccomandazioni per la Madonna: “Quando sarete innanzi a Lei, vi inginocchierete ai suoi piedi, la ringrazierete, e le direte di preparare il posto anche a me”. Di fronte a una fede così, anche i più duri si lasciavano coinvolgere, si rincuoravano e, si racconta che, una volta un brigante chiamato Faggiani mentre il boia stava per dargli la spinta, sorridendo esclamò: “A momenti la sua commissione sarà fatta”.
Le carceri di Torino ieri ed oggi Raccontano che il Cafasso fosse di casa alle Prigioni Senatorie: ci andava ogni lunedì, mercoledì e venerdì per restarci dalle 16 fino a tarda notte, con le tasche piene di tabacco da fumare o fiutare, imaginette e libretti, e il cuore pieno di compassione e incoraggiamento per ogni detenuto. Le Senatorie si trovavano in via San Domenico angolo via delle Orfane: erano le prigioni più grandi della Torino di allora e lì erano rinchiusi i delinquenti peggiori. Le altre prigioni di Torino erano le Torri a Porta Palazzo e le Forzate in via San Domenico, entrambe riservate alle donne, mentre il carcere Correzionale era situato presso la Chiesa dei Santi Martiri. Le Nuove, costruite tra il 1854 e il 1859 lungo Corso Vittorio Emanuele, furono innaugurate nel 1970 e rimasero in funzione fino al 1986, anno in cui entrò in funzione il carcere moderno delle Vallette. Le Nuove disponevano di 648 celle disposte in 13 lungo tredici bracci tra cui quelli dei condannati a morte, due grandi cappelle, uno per gli uomini e uno per le donne. Oggi il carcere delle Nuove è un museo in cui è anche conservata una statua di San Cafasso, patrono dei carcerati.
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LA SOFFERENZA DI ESSERE IN CARCERE
IN NOME DELLA DIGNITÀ UMANA
Nell’Italia di oggi la pratica disumana e ingiusta della pena di morte è ormai solo un brutto ricordo, ma è purtroppo viva più che mai la sofferenza di chi finisce dietro le sbarre, sofferenza dettata non solo dalla perdita della libertà e dall’ozio forzato, ma anche dalla particolare situazione che si è creata negli ultimi anni. Infatti la popolazione carceraria, cresciuta ogni anno in maniera esponenziale, è spesso sistemata in strutture inadeguate a ospitare tutti i detenuti con gravi conseguenze di convivenza. A questo dobbiamo aggiungere tutti quei casi, si calcola quasi il 50%, che, a causa della lentezza della giustizia, trascorrono in carcere anche degli anni in attesa di processo, pur essendo magari innocenti. Anche se le celle sono piccole e sovraffollate (quelle delle Vallette per esempio misurano circa due metri e mezzo per quattro), certamente le carceri di oggi non hanno nulla a che vedere con le carceri ottocentesche: sporche, umide, fredde e maleodoranti in cui andava il Cafasso a confortare i carcerati. Ma oggi come ieri ai cappellani, (e per fortuna anche ai tanti volontari, assistenti sociali, insegnanti, medici e infermieri) è affidata la cura dei detenuti.
“Quando penso all’insegnamento di San Cafasso mi viene in mente il significato del perdono, cercare giustizia e non la vendetta e il senso della vita che continua al di là della morte”, esordisce don Piero Stararengo, che dal 1994 ricopre il ruolo di cappellano della casa circondariale delle Vallette di Torino. Don Piero è affiancato nel suo ruolo da don Alfredo Stucchi con cui divide la sua missione con le molteplici incombenze che vanno dalla celebrazione della messa festiva e alla confessione, dal contattare i ministri di culto per i detenuti delle altre religio-
Don Piero Stararengo
Numeri Gli ultimi dati confermano una situazione carceraria esplosiva: le 206 carceri italiane ospitano 64.406 detenuti, di cui 20 mila in esubero. Negli ultimi 9 anni nelle nostre prigioni sono deceduti circa 1500 detenuti, un terzo dei quali suicidi, in particolare dal 2000 al 2009 i suicidi sono stati 568 e nel 2010 una cinquantina. Il carcere più affollato è Poggioreale a Napoli con 2.266 detenuti contro una capienza di 1.400 posti, il San Vittore a Milano ha oltre 600 esuberi mentre Lecce ospita oltre 700 detenuti in più di quelli previsti. Il 37% dei carcerati è rappresentato da stranieri di cui 20 mila extracomunitari. 11
ni, alle più svariate commissioni per i detenuti, dal procurare vestiario o prodotti per l’igiene, alla telefonata alla famiglia. «San Cafasso almeno per noi di Torino che lo conosciamo bene, è la nostra figura di riferimento, anzi, proprio per questo, quando una volta all’anno a Roma si riunisce il Consiglio Nazionale dei Cappellani, celebro personalmente in onore di San Cafasso una delle messe previste. Lui con la sua profonda sensibilità aveva intuito per primo quanto sia fondamentale rifarsi alla dignità dell’uomo, qualunque cosa abbia fatto e qualunque reato abbia commesso e aveva anticipato il messaggio contenuto nell’articolo 27 della nostra Costituzione: che “il carcere dovrebbe essere il luogo della riabilitazione”. L’attenzione per la dignità umana ispirava la sua azione e muoveva la sua compassione nei confronti dei detenuti. Per fare un esempio, allora c’era l’abitudine di ubriacare i condannati a mor-
Cappella del carcere - particolare
te, un po’ come per sedarli. Invece il Cafasso insisteva che fossero coscienti, consapevoli e preparati ad accettare ciò che li aspettava: in una parola voleva che la fede si sostituisse al vino. Il Cafasso quindi è stato testimone dell’amore superando il binomio “delitto e castigo” con il binomio “delitto e perdono”, oppure anche “delitto, giustizia, perdono”».
“VENGONO A MESSA PERCHÉ TROVANO CONSOLAZIONE” Don Piero si passa una mano tra i folti capelli bianchi e ripensa a quando un giorno di diciassette anni fa il Vescovo Saldarini lo aveva mandato a chiamare da Carignano dove era parroco: «fu una strana coincidenza perché era il 23 giugno, proprio il giorno della festa di San Cafasso. Allora non ci feci caso, ma certo il nuovo incarico mi spaventò eccome!» Così la missione di don Piero si era improvvisamente legata a quella di San Cafasso, così come era successo al suo illustre predecessore padre Ruggero Cipolla che del Santo era estremamente devoto, «devozione – afferma don Piero - che era riuscito a trasmettere bene ai detenuti». Nel tempo sono state tante le iniziative promosse da padre Cipolla: dalla trasformazione di una palestra delle Vallette in cappella dove oggi fa bella mostra di sé l’immagine del Cafasso dipinta da due detenuti o di quando raccolse il denaro tra i detenuti di tutta Italia per costruire la statua del Cafasso che oggi si trova al Rondò della Forca. E tra l’altro fu proprio padre Cipolla a promuovere sin dal 1947 il Convegno Nazionale dei cappellani delle carceri italiane. «Quanto al senso di religiosità, posso dire che in carcere non esiste cella che non abbia un piccolo altarino con le foto dei cari defunti o dei santi a cui i detenuti sono devoti. Abbiamo distribuito numerosi volumi del Vangelo e della Bibbia e molti partecipano alle celebrazioni con attenzione e calore; un po’ cer12
tamente per avere l’occasione di uscire di cella, ma anche perché si sentono consolati; si sentono “poveri”, perché il carcere rende poveri, per questo confessano che qui fanno cose che fuori non si sognavano di fare, che qui ascoltano la Parola del Signore che prima non sapevano e la comprendono, come la parabola della Pecorella smarrita o l’episodio del ladrone in croce».
LA PISCINA DEL PERDONO «Certo – continua don Piero dopo un attimo di riflessione – dopo qualche mese, quando cominciano a conoscerti, i detenuti ci vengono a raccontare le loro cose, finalmente si aprono e ci confidano fatti che non confessano neppure al loro avvocato. Sanno che possono fidarsi, che 13
c’è il segreto confessionale che ci lega per sempre». La stessa cosa capitava al Cafasso, anzi, i biografi del Santo raccontano che alcuni detenuti gli presentavano addirittura il piano di fuga e altri confessavano delitti commessi, mai rivelati alla giustizia. Don Piero prosegue: «Dopo l’assoluzione che arriva sempre quando c’è il pentimento, si stupiscono ed esclamano: ma come, tu mi dai il perdono immediato? Dio mi perdona subito, mentre devo attendere magari 15 anni per essere perdonato dalla giustizia degli uomini! È allora che spiego loro che il perdono è come una piscina grande e spaziosa aperta a tutti, basta entrarci perché il perdono è per tutti ed è stato predisposto 2000 anni fa da un uomo chiamato Gesù, il figlio di Dio». Maria Giulia Vicentini
FORMAZIONE DEL VOLONTARIATO Visita al Monastero Benedettino sul Lago d’Orta ed incontro con Madre Anna Maria Cànopi Volontari che hanno dedicato il loro tempo e le loro energie gratuitamente per il bene del Santuario ci sono sempre stati. Dal mese di ottobre, però, il loro lavoro spesso silenzioso e “dietro le quinte” è giunto ad una tappa importante, che costituisce un punto di arrivo di un lavoro di anni e, allo stesso tempo, un punto di partenza, aperto a tutte le persone di buona volontà. I volontari che da tempo operano al Santuario si sono costituiti in Associazione di Volontariato, legalmente riconosciuta, con il nome di «Amici della Consolata».
Non si tratta – e la tentazione è sempre dietro l’angolo – di una ricerca di “visibilità” o di “riconoscimento”: il vero volontario è sempre quello che non cerca di mettersi in mostra, che non agisce per sentirsi “gratificato”. Non si entra in un’associazione di volontariato per riempire il proprio tempo, perché non si ha nulla da fare, oppure perché ci si possa vantare con qualcuno. La ragione che spinge è piuttosto un percorso di crescita umana, culturale e spirituale che vuole passare al dono gratuito di sé e del proprio tempo. Per favorire questo percorso, al Santuario si organizza-
Gli Amici della Consolata in ascolto di madre Cànopi
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no regolarmente conferenze, simposi, giornate di formazione e di confronto, pellegrinaggi. Dopo la pausa estiva, dopo il gran lavoro per l’Ostensione della Sindone e per la Festa annuale della Consolata, il Rettore del Santuario ha guidato i Volontari al Monastero Benedettino Mater Ecclesiae, sull’Isola di San Giulio, nel lago d’Orta. E’ stata una giornata di crescita nell’amicizia e nella conoscenza reciproche, ma il fine era anche quello di incontrare la realtà della vita religiosa femminile di clausura. Appena giunti, la Badessa e apprezzata scrittrice di testi spirituali Madre Anna Maria Cànopi ha condiviso la sua saggezza parlando al nostro gruppo del «Ruolo dei laici nella chiesa locale», sottolineando l’importanza di non lasciar mancare alla Chiesa l’apporto delle nostre intelligenze, sensibilità, capacità di accogliere e di amare tutti, indistintamente, in unione con la gerarchia, ma senza aspettarsi tutto dal clero, senza demandare quanto solo noi possiamo fare. Nel pomeriggio un’altra Monaca del monastero ci ha invece illustrato come si svolge la loro giornata e soprattutto il significato della scelta di queste donne che si dedicano interamente ai bisogni della Chiesa intera nella preghiera, nella solitudine, nel lavoro e nel sacrificio personale. Il dibattito è stato interessante ed acceso, a prova delle difficoltà che il nostro stile di vita pone alla comprensione della loro scelta estrema. Siamo abituati a valutare tutti sul “fare”, non sull’”essere”, ma la sorella ci ha comunque dimostrato che è sbagliata anche questa contrapposizione, che sottintende il fatto che le claustrali “non facciano”, semplicemente perché il loro operato non è visibile né tantomeno valutabile agli occhi umani, secondo le categorie efficientiste della nostra società. Bisogna avere gli occhi di Dio per vedere ciò che più vale ai suoi occhi. 15
La serenità di queste monache ha colpito tutti ed è stato un momento di crescita spirituale personale per ciascuno. Anche di questo abbiamo ringraziato nell’Eucarestia che abbiamo celebrato nella splendida ed antica chiesa di san Giulio, patrono dei muratori, eretta probabilmente intorno alla fine del IV secolo. Accanto all’antica chiesa vi era un castello, forse dei conti di Volpiano, sulle cui rovine venne eretto nel 1844 il Seminario Diocesano. Dal 1989 vi si sono installate le originarie 6 monache benedettine provenienti da Viboldone (MI) che agli inizi erano alloggiate nell’ex palazzo vescovile dell’isola. Ora le monache sono diventate ottanta, e hanno già dato il loro contributo alla fondazione di altri monasteri. Oltre a studi su testi antichi e traduzioni, preparazione di sussidi per la lectio divina, le monache si occupano di restauro di tessuti antichi, pittura e confezione di icone, realizzazione di paramenti liturgici. Luigi
Don Marino celebra nella Basilica di san Giulio
Gli occhi azzurri, acquosi, come il lago si dissolvono e si posano sui nostri. In una mattinata languida di settembre, quando l’estate sta per lasciarci, ma ancora ci vuole regalare gli ultimi raggi di un sole polveroso ma caldo. Il lago ci aspetta, noi viandanti alla ricerca di “verità”, ci facciamo cullare mentre andiamo all’Incontro. Edd’ecco, quegli occhi azzurri, annacquati dal tempo, accoglierci nel silenzio di un luogo a noi lontano, ma per un momento appartenerci. Eccola la Badessa del Monastero: una figurina nera ma luce d’amore. Parla con un filo di voce dolce, le sue parole rimbombano come un’eco nei nostri cuori. Mani diafane, come ali, vibrano alla luce tremula tra le persiane socchiuse per non sciupare quel viso di cera che si illumina e trasfonde quel corpo che diviene fiammella di Dio. ”Attingere dalla Grazia di Cristo Signore è attingere alla Sorgente per essere forti e combattenti: pregare è elevare il cuore a Dio”. Così ci ha salutati prima di riprendere la via nel silenzio della clausura. Con questo viatico anche noi abbiamo ripreso il nostro “viaggio”. Rosy
L’isola di Sa
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an Giulio nel Lago d’Orta
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Il monastero diventato abbazia benedettina
Foto di Roberto Bertero
La foto del mese
Il Cristo delle vette e la Consolata
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Il Cristo delle Vette è una statua di bronzo raffigurante Gesù posta sulla sommità del monte Balmenhorn (4167 m), cima che si trova nel gruppo del Monte Rosa. È stata realizzata dallo scultore Alfredo Bai (1913-1980), torinese, autore, tra l’altro, della targa in bronzo a “ricordo delle vittime di guerra”, di grande formato, esposta vicino all’ingresso della Prefettura in Piazza Castello a Torino. Durante la seconda guerra mondiale Alfredo Bai era combattente partigiano per la libertà. Fece voto di erigere, nel caso fosse finita vittoriosamente la guerra, su una qualche montagna una statua dedicata a Cristo redentore in ricordo dei caduti in guerra. Terminata la guerra, dopo aver trovato i fondi necessari, lo scultore la realizzò a Torino in 11 pezzi separati. Venne poi trasportata dagli alpini fin sulla cima del monte. Collocata sul luogo, la statua alta più di quattro metri fu inaugurata il 4 settembre 1955. Non esistendo allora mezzi adeguati a trasportare parti di statua pesanti fino a 100 kg., furono selezionati Alpini da ogni parte d’ Italia per compiere questa impresa. Impresa che all’epoca ebbe molta risonanza e fu seguita con grande interesse dai media. Il Cristo delle Vette rappresenta la meta per migliaia di alpinisti, un punto di arrivo o comunque un punto di riferimento ed orientamento, visibile anche da lontano. Tutti coloro che dalla Capanna Giovanni Gnifetti salgono alla Capanna Regina Margherita lo vedono da lontano e transitano nelle sue vicinanze. Presso la statua sorge il Bivacco Felice Giordano. Alla Messa di benedizione dell’opera, celebrata dall’allora Cardinale di Torino Mons. Maurilio Fossati, nella Piazza di fronte alla Consolata, parteciparono migliaia di persone e l’evento fu seguito dal Cinegiornale di informazione, la Settimana Incom. Il Cristo delle vette fu eretto a perenne ricordo di tutte le guerre e quale monito contro di esse, come spiega la frase del suo autore: «La pace deve trionfare».
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Dio Padre Abbà Il Padre Nostro e il Battesimo
Per scoprire la novità assoluta del nome Dio Padre Abbà, è utile, prima, leggere alcuni testi del Nuovo Testamento, che mostra la commovente tenerezza paterna e materna di Dio, come in Os 11,1-9 e Is 49,14-16. Però, quando Gesù Cristo esorta i discepoli a chiamare Dio, così come lui stesso lo chiama, Abbà, (Lc 11,1ss), sta rivelando qualcosa totalmente superiore alla nostra intelligenza umana e che si può solo capire con la fede, nel mistero della SS TRINITA’ (Gv 1,1.12-13). Poiché Dio, Padre di nostro Signore Gesù Cristo, con un atto di eterno Amore gratuito, ci destinò ad essere figli adottivi (Ef 1,3-5), portatori della sua stessa vita divina che è Spirito Santo (Rm 8,14-16), ci restituì proprio quello che persero, per il peccato, Adamo ed Eva ... (Rm 5,12.14.17; Gal 4,4-7). Per arrivare a sentire e gustare interiormente questa meravigliosa novità, è necessario leggere, meditare e pregare, per sentire nel cuore che realmente siamo figli di Dio. Aveva ben ragione il vecchio centenario Giovanni evangelista di ripetere, appassionato: “Considerate bene con che grande Amore ci amò Dio, che, non solo ci donò il titolo di figli di Dio, ma che lo siamo veramente” (1 Gv 3,1-2). Questa vita realmente divina tutti i cristiani l’abbiamo ricevuta nel giorno del Battesimo! Battezzati nell’acqua e nello Spirito santo, i Cristiani sono santi: tempio dello Spirito Santo (1 Cor 6, 19-20). Da noi, con molta più ragione, Dio Padre può esigere ciò che chiedeva ai figli d’Israele: “Siate santi, perché Io sono santo. Io, il Signore vostro Dio” (Lv 19,2). SANTITÀ ABBÀ, SIA SANTIFICATO IL TUO NOME Per comprendere meglio la novità assoluta della SANTITÀ, proposta da Gesù Cristo, non basta rispettare la santità di Dio con una semplice osservanza letterale e legalista dei Comandamenti 20
di Dio, come ben mostra Gesù Cristo nel suo discorso rivoluzionario sull’osservanza della Legge (vedi Matteo capp 5, 7). “Io non sono venuto per abolire i comandamenti della Legge, ma per elevarli alla perfezione (dell’Amore)” (Mt 5, 17). Per Gesù Cristo i comandamenti “Non ucciderai”, “Non commetterai adulterio”, “Amerai il tuo prossimo” (e non il tuo nemico) significano molto di più di ciò che dicono le parole.... Il figlio di Dio, (il cristiano), pieno dell’Amore infuso dallo Spirito Santo (Rm 5, 5), non oserà dire nessuna parola offensiva contro suo fratello; egli capisce bene che l’adulterio entra già nel cuore, quando guarda con desiderio cattivo; e sente che questo nuovo Amore lo porta ad amare anche il nemico. Insiste ancora Gesù Cristo: “Guardatevi dal
praticare la vostra religione davanti agli uomini...” (Mt, 6, 1). Anche le stesse opere sante (carità, preghiera e digiuno), come praticate dai Giudei, non potevano essere veramente sante, perché mancava l’intenzione ed il cuore puro. Gesù Cristo ripete oggi a tutti i battezzati che “Dio deve essere adorato nello Spirito” (Gv 4, 24), proprio così come figli di Dio, uniti dallo Spirito Santo, L’Amore! Concludendo, se vogliamo arrivare a sentire e gustare interiormente quanto è nuova la vita santa che ci propone Gesù Cristo, non può mancare una lettura meditata e pregata del capitolo 5 di Matteo ed altri testi importanti sul tema (Gv 3,3-8; Rm 6,3-4; 1Cor 6,19-20).
Il Padre Nostro in Aramaico
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p. Emilio Ardu sj
Intercessione di San Valerico Desidero vivamente pubblicare questo annuncio sul vostro Bollettino mensile “IL SANTUARIO DELLA CONSOLATA”, affinché la comunità cristiana legga e sappia quanto è grande l’intercessione di SAN VALERICO. Ho ricevuto una grande grazia spirituale a vantaggio di un santo Sacerdote piemontese, che è stato rigenerato nella fede per intercessione del nostro compatrono di Torino, san Valerico (la cui urna con le reliquie è conservata presso il Santuario). L’invocazione di san Valerico consoli la Chiesa e la conforti con spirituali soccorsi e frutti di bene. Ringrazio l’attenzione della gentile Redazione e mi confermo assidua. Silvana Morgese Rasiej
Immagine di San Valerico donata alla parrocchia di San Cassiano, Grugliasco
Dai «Quaderni della Consolata» /I Santi-2 Vita di San Valerico Abate, Torino 2008 Il 12 dicembre del 622 si spegneva in Francia l’abate Valerio (anche Valerico, Walaricus o Gualarico), dopo una vita di predicazione e di preghiera. Era entrato nel monastero di Luxeil dove era stato discepolo del grande irlandese san Colombano (Colum-Columba), conosciuto in Italia per il monastero di Bobbio, in Val Trebbia (Piacenza). Nel 611 Valerico aveva fondato il romitorio di Leuconay, presso Amiens (oggi 22
Saint-Valery-sur-Somme), dove operò molte conversioni, risvegliò la fede sopita nei villaggi in cui predicava, mettendo anche mano alla costruzione di edifici sacri o alla ristrutturazione di quelli in abbandono. Consumò tutta la propria esistenza al servizio della Chiesa con gli occhi rivolti sempre all’Altissimo. Un anno dopo la morte il monastero venne devastato dai Normanni e il Vescovo di Amiens si preoccupò che non andassero profanate le sacre spoglie. Il 1° aprile 628 fu costruita una prima cappella che divenne meta di pellegrinaggi. Il corpo vi rimase per circa due secoli ma, aumentando i pericoli di profanazione, l’abate Domniverto dell’abbazia di Novalesa in Valsusa, in territorio dei Franchi, reclamò a sé le reliquie col permesso di Carlo Magno (Chronicon III 15). Quando i Benedettini di Novalesa fuggirono a Torino, nel 906, accolti dal marchese Adalberto di Savoia presso la porta Segusina, si portarono dietro anche le reliquie del santo, che ora si trovano nella ex chiesa di sant’Andrea: la Basilica della Consolata. Nella capitale subalpina i Benedettini introdussero il culto al santo, che raggiunse l’apice nel 1598 quando venne eletto patrono della Città contro le pestilenze: memorabile la processione con le reliquie per le vie cittadine e tra i lazzaretti che accoglievano i contagiati. Proprio il 12 dicembre di quell’anno Papa Clemente VIII approvò il culto. Il Consiglio Comunale il 17 giugno 1599 rese pubblica riconoscenza al Santo finanziando la costruzione di un nuovo altare, di patronato municipale (si possono vedere le immagini all’indirizzo http://www.cultor.org/Consolata/L3/). La Municipalità fece dipingere a sue spese la grande pala d’altare di san Valerico dal pittore Antonio Parentani; nel 1702 fece costruire una nuova urna per le reliquie (quella attuale); nel 1765 incaricò il pittore Francesco Bolgeri di un nuovo quadro, proporzionato con il nuovo alta23
re del Vittone, donando la tela del Parentani alla parrocchiale di Grugliasco. La cura da parte della Città di Torino verso l’altare di san Valerico cessò nel 1830, ma ancora nel 1898 una nuova campana intitolata al Santo venne collocata nell’imponente antica torre romanica campanaria del Santuario. La cappella dedicata a san Valerico è alle spalle dell’esagono guariniano, la prima a sinistra appena salite le scale, una delle cappelle realizzate dall’architetto Ceppi nel 1904, durante la ristrutturazione del Santuario voluta dal Rettore Beato Giuseppe Allamano. Ai lati dell’altare della cappella si possono ammirare due quadri di Giovanni Felice Cervetti (17181779), uno dei quali raffigura proprio il trasporto a Torino delle reliquie di san Valerico.
Processione delle Reliquie di San Valerico
Pellegrini dalla Lomellina Una bella domenica di inizio ottobre abbiamo organizzato una gita-pellegrinaggio a Torino. Siamo quasi tutti componenti della corale “San Martino”, di Langosco, un paese di nemmeno 500 abitanti, che si trova tra Casale Monferrato e Mortara, in provincia di Pavia per pochi chilometri, tra il fiume Ticino e il Sesia, appena sopra il Po. Dopo aver fatto una sosta … tecnica in un noto antico locale torinese per la colazione, ci siamo diretti alla meta principale del nostro pellegrinaggio: il millenario Santuario della Consolata. Quasi tutti lo conoscevamo già, ma è sempre una meraviglia per gli occhi e per il cuore, per il corpo e per lo spirito entrare in questo Santuario, che trasuda di preghiere e di storia, di arte e di sagrin raccontati sommessamente alla Madre di Dio. Abbiamo avuto il privilegio di ottenere il permesso di poter animare con il canto la liturgia della Messa domenicale. Ci siamo quindi sistemati nella cappella delle Anime, a fianco dell’altare maggiore del noto architetto Filippo Juvarra, per preparaci ad eseguire i canti sapientemente preparati in precedenza. Il celebrante principale era proprio il Rettore, mons. Marino Basso. Abbiamo anche partecipato con un nostro rappresentante per una delle letture della Parola di Dio. Al termine della messa, il Rettore ha avuto parole di elogio e di ringraziamento nei confronti del maestro, Enrico e di tutti i coristi del coro “San Martino” per l’esecuzione raffinata dei canti eseguiti durante la Messa. Da parte nostra, ringraziamo la volontaria Franca dell’Associazione “Amici della Consolata” per il supporto logistico che ci ha fornito. Una foto ricordo per riguardare con calma nelle nostre case ciò che portiamo nel cuore, e poi ci
siamo trasferiti nel chiostro del Santuario, nel salone preparato per noi, accanto all’antico refettorio del XVI secolo. Ci siamo trovati a nostro agio, sia per l’accoglienza e la buona sistemazione e sia per le portate di un buon menù, servitoci dallo staff della cucina del Santuario. Verso la fine del pranzo, un nostro langoschino-torinese ha letto in modo scherzoso le “Litanie delle zitelle”, per chiudere con allegria la nostra visita al Santuario. Ringraziamo i preti del Santuario e tutto il personale per questa bella accoglienza, e proseguiamo con il nostro programma torinese: la Mole Antonelliana, il Museo del Cinema, via Po e piazza Vittorio e il ritorno verso i Giardini Reali, dove ci aspetta il bus che ci riporterà a casa. Portiamo nel cuore questa giornata, contenti di aver potuto portare il nome del nostro paese di Langosco non sono inciso nell’obelisco di piazza Savoia - in ricordo delle leggi abrogative volute da Giuseppe Siccardi, poco distante dal Santuario - ma molto più nel cuore della devozione torinese alla Madre di Dio, la Consolata, patrona della Diocesi. Eusebio Mattea
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La preghiera del mese
ALLA VERGINE DELL’AVVENTO Santa Maria di Nazareth, il tuo sì all’annuncio aprì la stagione della salvezza umana. Ti sei fidata che Colui che veniva dall’Alto potesse essere figlio di Dio e anche figlio tuo, capace di condividere e innalzare le sorti di noi, pellegrini su vie terrene. Donaci di saper dire il nostro “sì” all’imprevedibile azione divina sulle nostre vite, credendo all’impossibile.
Nuova Eva, madre dei viventi, noi ammiriamo la tua fede di fronte all’avverarsi del Mistero divino, che rimaneva misterioso anche per te. Hai creduto all’Atteso delle genti, il Messia promesso in te incarnatosi: lo hai accolto con cuore di madre e lo hai portato in grembo con ineffabile amore.
Fa che anche noi andiamo incontro alla rinnovata nascita tra noi del Salvatore con la sete di chi non trova più sorgenti, con un cuore che crede e si apre al mistero, con l’attesa viva di chi trova respiro pregando, con la gioia che tu provasti generando e adorando il Dio della Vita che con la sua presenza inonda il mondo di pace vera. Amen.
Danilo Sartor
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IMPORTANTE: NUOVE LEGGI SULLA STAMPA Carissimi lettori e devoti della Consolata, la “nostra” rivista «Il Santuario della Consolata», nostra sia per chi la legge e sia per chi la produce, ha recentemente festeggiato i 110 anni di vita, una tappa significativa della sua lunga ed importante storia. Nelle sue pagine i lettori hanno sempre potuto trovare approfondimenti spirituali per arricchire la propria vita di fede, notizie dalle Missioni della Consolata nel mondo e dalla chiesa locale, messaggi del Pontefice e del Magistero ecclesiale, approfondimenti sulla vita del Santuario, dall’accoglienza di gruppi e pellegrini, all’organizzazione di eventi di beneficenza, ai restauri del patrimonio artistico, sotto la diretta tutela dell’Arcidiocesi, di cui la Consolata è patrona. Recentemente questa lunga tradizione e storia è stata attaccata, al punto di minacciarla di estinzione. La Gazzetta Ufficiale del 31 marzo u.s. ha pubblicato, infatti, il Decreto Interministeriale con il quale l’allora ministro per lo Sviluppo Economico, on. Scajola, d’accordo con il ministro delle Finanze, on. Tremonti, annulla le tariffe postali agevolate per l’editoria. In pratica, per bollettini parrocchiali e riviste come la nostra le spese aumentano di colpo del 400%! Comprendiamo certamente i motivi di tagli economici di spesa e di bilancio che hanno spinto a questa scelta, ma comprendiamo anche che tale Decreto favorisce i grandi gruppi editoriali e costituisce una vera e propria “mazzata” per tante piccole testate che si reggono unicamente sulle offerte (e non sulla pubblicità); tali offerte non riescono mai a coprire i costi reali di impaginazione, di stampa e di spedizione cui devono far fronte le piccole case editrici o le realtà ecclesiali come la nostra. Dal 1 aprile in poi, mentre continuavate a leggere questa rivisita, noi abbiamo già esborsato seimila euro in più, solo per la spedizione dei due numeri precedenti. E’ chiaro che non potremo sostenere a lungo questa situazione, anche perché il numero dei lettori e dei sostenitori è in decrescita e, crediamo, non per demerito nostro. Coloro che sono interessati alla vita di questa rivista e possono dare una mano, aiutino il Santuario a mantenere viva questa sua “voce” che entra nelle case dei fedeli. Rinnoviamo l’invito a chi non sia interessato a comunicarci la rinuncia all’abbonamento, in modo da essere depennato dagli elenchi e abbassare i costi di spedizione. Chi invece vuole continuare a ricevere la nostra rivista, che cerca sempre di rinnovarsi nei contenuti e nella forma, è pregato di contribuire usufruendo del bollettino postale allegato ad ogni numero, facendo la propria offerta sul ccp. N. 264101 intestato a «Santuario della Consolata, via Maria Adelaide 2, 10122 Torino». Se ad alcuni rimane più comodo fare un versamento con bonifico bancario online direttamente da casa propria può farlo a questo indirizzo IBAN : IT06E030 69092171 0000 0011823 Un sentito ringraziamento per la collaborazione. I preti del Santuario P.S. Ogni comunicazione con la Rivista può avvenire a mezzo posta, telefonando al 011 483.6100 o tramite mail: rivistasantuario@laconsolata.org 26
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La Consolata nel mondo
Roraima (Brasile) Tra profezia e martirio Quest’anno è uscita la testimonianza scritta di Mons. Aldo Mongiano, missionario della Consolata e Vescovo di Roraima dal 1975 al 1996. Il suo libro «Roraima, tra profezia e martirio» raccoglie la testimonianza di un religioso e di un pastore legato alla devozione alla Consolata che ha lavorato con tutto se stesso per questo angolo di mondo, in una missione «dalle caratteristiche uniche, nel senso della trasformazione di una società e della persona umana» (dalla Prefazione). Per questo pubblichiamo uno stralcio delle parole di alcuni suoi collaboratori nella stessa Missione in questo Stato Federale del Brasile (ex Rio Branco), situato all’estremo nord del paese, al confine con il Venezuela. Una porzione di mondo grande come l’Italia, abitata da neanche mezzo milione di abitanti, molti concentrati nella capitale Boa Vista. Boavista (Roraima) Cari amici, il sogno/fantasia della neve che sicuramente ricoprirà le montagne del Piemonte, è molto difficile da farsi da qui. Il sole torrido e la siccità persistente che ci perseguitano in questo periodo, danno adito a molti incendi nella savana. Nel nostro giardino sono morte varie palme da coc-
Mons. Mongiano al Catrimani
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La Consolata nel mondo co. Eppure c’è in aria un non so ché di profumato, ci sono ancora fiori qua e là, almeno nei giardini della città che sono irrigati quotidianamente con delle enormi cisterne del municipio. L’aspetto prima di tutto. Poi, ci sono famiglie che fanno la fame, che disputano i resti nell’immondezzaio cittadino, ma per alcuni è solo “perché non vogliono lavorare”. Gli scandali della corruzione di politici più o meno conosciuti continuano a sorgere sui quotidiani nazionali, come credo anche da voi in Italia, contendendo lo spazio all’euforia che il Governo tenta di mantenere viva, dipingendo virtù e successi a volte reali, altre volte inventati. La vita continua e non è facile riuscire a mantenere uno spirito critico e sereno per mantenere i piedi per terra e continuare la lotta con gli occhi al futuro che sogniamo per questo popolo, o meglio questi popoli che si ostinano a voler vivere e per i quali spendiamo le nostre forze. A volte ci assale il disanimo, ma poi, pensiamo ai
più umili, agli amici e parenti che ci accompagnano col loro pensiero, con le loro incessanti preghiere, con aiuti concreti e continui, e che con noi soffrono e lottano per un mondo migliore. Non ci possiamo permettere di scoraggiarci, molti successi sono già stati ottenuti, altri lo saranno. La lotta per i diritti umani dei popoli indigeni è una lotta che dovrà essere portata avanti ancora per molto tempo. Per questo siamo spinti a combattere a fondo per avere uno spazio cogli strumenti più adatti per smantellare l’oscurantismo e i preconcetti di molti, a volte anche dei più indifesi. Con la neve o con la canicola, il Bambino sta per arrivare ancora una volta tra di noi. È un momento di speranza, di gioia, di fede, di amore. In questi giorni tra il corri corri continuo, è arrivato già un raggio di speranza. Un amico, che da anni dedica la sua attività alla difesa dei popoli indigeni, ha dimostrato molto interesse al nostro progetto di Cen-
Fratel Carlo con gli Indios Yanomami
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La Consolata nel mondo tro Culturale Indigeno, e appena sarà pronto mi ha assicurato che ci darà una mano per cercare finanziamenti anche in Brasile. Finalmente, l’associazione che occupava lo spazio del futuro Centro Culturale, da un mesetto, non ci mette più i piedi, hanno desistito. Quindi abbiamo intenzione di metterci a fare alcune cose per accelerare i lavori. In questi ultimi tempi, abbiamo arricchito la nostra regione con giovani missionari africani, oltre che con un mantovano che sta per essere ordinato al suo paese. Allo stesso tempo i vecchi tengono duro, anche se con gli acciacchi inevitabili, il nostro patriarca, P. Bindo, ha fatto novantun anni, e non ha intenzione di mollare, anzi, sta cercando di imparare a digitare su un computer, per poter produrre con maggior facilità i suoi poemi/poesie e discorsi. Vi ricordo TUTTI e chiedo ogni giorno che il
Bimbo Divino vi renda tutto l’amore che elargite ogni giorno ai più bisognosi. Buon Natale a TUTTI. Con affetto, Fratel Carlo Zacquini Missionario della Consolata Carissimi amici l’avvicinarsi del Natale ci porta sempre al desiderio di incontrarci. Dal momento che la distanza è sempre molta, approfitto di questa possibilità a Boa Vista per condividere un po’ di notizie della vita e della Missione. Questi ultimi mesi sono stati molti intensi con una serie di impegni, di corsi e riunioni per definire i leaders nelle diverse comunità. Si sono tenuti corsi per professori, istruttori della salute, catechiste, tuxauas (capi-villaggio). Alcuni corsi li ab-
Fratel Carlo con gli Indios Yanomami
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La Consolata nel mondo biamo tenuti noi, in altri siamo stati solo presenti per accompagnare e sostenere. La grande preoccupazione riguardo agli Indios, adesso che hanno la loro terra omologata, è organizzare bene la produzione, soprattutto in vista della loro autonomia, partendo sempre dalla forma originale, cioè dalla loro realtà di comunità, dove tutti devono partecipare e beneficiare, e anche tenendo presente la conoscenza pratica a quasi intima che hanno della terra e della natura, e resistendo all’uso di qualsiasi tipo di prodotti chimici e agrotossici, garantendo così un maggior rispetto alla natura e l’attenzione per la propria salute. Conoscono il vantaggio dei prodotti chimici in termini di quantità di produzione, però hanno ben presenti gli immensi terreni utilizzati prima dagli “arrozeiros”, gli agricoltori bianchi invasori produttori di riso, terreni
che adesso sono diventati cimiteri della natura. Oltre a questo, riconoscono la diversità degli alimenti prodotti nei campi usando il proprio lavoro e le risorse della natura a confronto con i prodotti della città. E’ molto bello per noi accompagnare questo processo di decisioni su come, quando e ciò che si deve produrre. Ancora in uno di questi giorni un capo animatore mi diceva: “Dal momento che nella mia comunità tutti partecipano, lavorando nei campi, soffrendo la durezza del lavoro, la comunità rimarrà unita e si nutrirà con cose sane; quando decideranno di prendere le macchine e tutti gli accessori che utilizzano i normali produttori per produrre di più, io sarò il primo ad andare in un altro posto e tutti noi saremo divisi”. Intanto questo lavoro di formazione è dedicato
Interno della maloca Yanomami al Catrimani
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La Consolata nel mondo soprattutto ai giovani. La maggior parte delle comunità ha già delle scuole, ma sono poche quelle che stanno riuscendo ad integrarsi nella comunità e a stimolare i giovani a dialogare positivamente con le proprie culture e tradizioni. Nella maggioranza dei casi i giovani che concludono la scuola base o la secondaria già non vogliono sapere di lavorare la terra, della comunità e dell’organizzazione. Quelli che vanno a vivere in città finiscono sempre nella disoccupazione o in un lavoro precario e, nella maggioranza dei casi, in forme di vita marginali. Questo è l’argomento che sempre fa discutere nelle riunioni e assemblee che facciamo. Ultimamente tornano ad aumentare le pressioni politiche contro l’organizzazione e i capi indigeni e anche contro di noi. In passato è giunto un convoglio militare a Maturuca, accompagnato da alcuni poliziotti federali, con l’obiettivo di espellere tutti noi missionari dall’area, asserendo che siamo in condizioni illegali. Sono arrivati in modo molto aggressivo con un primo sorvolo di elicottero, un volo raso sopra la Mis-
sione, e subito dopo c’è stato l’arrivo di vari camion e carri militari. Sono scesi già in assetto bellico, puntando le armi contro tutti, bambini inclusi, nonostante la richiesta dei capi villaggio della comunità di moderare i loro atteggiamenti poiché nessuno possedeva le armi e tantomeno voleva la guerra. Essi li ignoravano e proseguivano con arroganza creando un clima di tensione e paura. Abbiamo provato a dialogare con loro, ma senza successo: la loro missione era l’espulsione dei Missionari dell’area. Cosi siamo stati costretti a fare un viaggio a Boa Vista e, nel giorno seguente, dopo le firme della nostra autorizzazione di lavoro nell’area con l’organo federativo competente, siamo ritornati alla nostra Missione. Vedremo qual è la prossima mossa che loro inventeranno. Un grosso abbraccio a tutti voi, augurandovi un felice Natale e un prospero anno nuovo, e che Dio ci benedica e ci conduca ogni giorno. Padre Mario Campos Missionario della Consolata
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Calendario liturgico 2010/2011 Dicembre 2010 3 5 7 8
vita in santuario
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S. Francesco Saverio, missionario - memoria II Domenica di Avvento S. Ambrogio, memoria Immacolata Concezione di Maria, solennità III Domenica di Avvento - Gaudete S. Lucia, vergine e martire – memoria S. Giovanni della Croce, dottore della Chiesa memoria IV Domenica di Avvento Solennità del S. Natale di Gesù Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe S. Giovanni apostolo ed evangelista, festa Santi Innocenti, martiri – festa
Gennaio 2011 1 2 6 9 15 16 21 23 25 26 28 30 31
Solennità di Maria S.S. Madre di Dio II Domenica di Natale Solennità dell’Epifania del Signore Solennità del Battesimo del Signore 200 anni dalla nascita di s. G. Cafasso II Domenica del Tempo Ordinario C Memoria di s. Agnese III Domenica del Tempo Ordinario C Festa della Conversione di S. Paolo Memoria dei santi Timoteo e Tito Memoria di san Tommaso d’Acquino IV Domenica del Tempo Ordinario C Memoria di s. Giovanni Bosco
Febbraio 2011 2 3 5 6 11 13 14 16 20 22 27
Festa della Presentazione del Signore al Tempio Memoria di san Biagio Memoria di sant’Agata V Domenica del Tempo Ordinario Memoria della B.V. di Lourdes VI Domenica del Tempo Ordinario Festa dei Santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa Memoria del beato Giuseppe Allamano, rettore della Consolata (1880-1926) VII Domenica del Tempo Ordinario Festa della Cattedra di S. Pietro VIII Domenica del Tempo Ordinario
Il Natale del Signore Gesù trasfigura i nostri cuori trasformandoli in luoghi di luce, pace ed accoglienza verso poveri e stranieri. Buon Natale a tutti i lettori da parte dei preti del Santuario della Consolata.
Orario delle celebrazioni in Santuario Giorni festivi - Sante Messe ore 7 - 8.30 - 10 - 11.30 16 (da ottobre a giugno) - 18.15 - 19.30 - ore 8: Celebrazione delle Lodi - ore 17: Vespro, Benedizione, Rosario
Giorni feriali - Sante Messe ore 6.30 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 18.15 - 19 (sospesa ad agosto e prefestivi) - ore 8 (luglio-agosto: Altare Maggiore): LodiMessa in cripta (lun-ven) - ore 8.30 - 12 (settembre-giugno): Adorazione Eucaristica in cripta (lun-ven) - ore 17: Rosario, Vespro, Benedizione - ore 17: Via Crucis - 1° Venerdì del mese
Ogni sabato - ore 10: Messa per gli iscritti alla Compagnia della Consolata, vivi e defunti - ore 12.30 - 17: Adorazione - Altare Maggiore - ore 17: Vespro / ore 17.45: Rosario - ore18.15 Messa festiva
Confessioni - Feriali: 6.30 - 12.15 / 15 - 19.15 - Festivi: 6.30 - 12.30 / 15 - 20
Attenzione. In caso di mancato recapito, rinviare all’Ufficio di Torino C.M.P. Nord per la restituzione al mittente, Rettore del Santuario della Consolata - Via Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino, che s’impegna a corrispondere la relativa tariffa.
Il Santuario della Consolata Via Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino E-mail: info@laconsolata.org
TASSA RISCOSSA
Spedizione in abbonamento postale - Pubbl. inf. 50%
TORINO C.M.P.
TAXE PERÇUE