Lahar Magazine #24 John Belushi

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#24 JOHN BELUSHI


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i siamo incontrati per caso qualche mese fa a una festa. Una birra dopo l’altra, senza che io me ne accorgessi, mi hai fatta tua. Mi hai posseduta, trasportandomi in universi nuovi, d’improvviso senza che avessi il tempo di decidere se seguirti oppure no. Mi hai fatto ballare su ogni ritmo, mi hai fatto parlare ogni lingua del mondo, mi hai fatto provare sensazioni e sentimenti prima sconosciuti, sconosciuti come te. Sospesa, tra realtà e porte doppie, tra equilibrio e pavimento, tra umano e animale, io ti ho bevuto superando ogni limite e volendo ce ne fossero di più, per superarli tutti di nuovo. Un gioco di sguardi veloce: io qui, tu lì, oltre il bordo di quel bicchiere. E una volta entrato dentro di me, eccomi libera, selvaggia, coraggiosa, bella come una regina africana a piedi nudi sulla terra, e tu maestro concertatore di tutto questo. Nessuno mi aveva insegnato che dovevo gestire il mio entusiasmo con moderazione, che dovevo capire quando fermarmi, che non dovevo esagerare. E così mi sono avvicinata, anzi no, mi sono avventata su di te, impulsiva e senza controllo, come un fiume in piena. La verità era che mi piaceva l’effetto che mi procuravi: mi piaceva pisciare per strada anche avendo le mestruazioni, mi piaceva svegliarmi e non capire dove fossi, mi piaceva scoprire sul mio corpo lividi di cui non avevo memoria, mi piaceva trovare macchie sulle lenzuola e ficcarle in lavatrice. Da quella festa in poi ti avrei voluto tutto per me. Ogni sera uscivo di casa con magliette sempre più scollate e con soldi, sempre più soldi, per comprarti, per poterti avere sempre, perché non finissi mai. Mi portavo addirittura il bancomat. Ma tu, spirito assetato a tua volta, non sei incatenabile, non ti fai mettere in gabbia, vuoi e vorrai sempre scorrere libero nelle bocche delle donne più belle, delle donne più interessanti, di quelle più difficili, insegnando a chi ti segue come essere uguali a te, come ottenere gli effetti che ottieni tu. È solo quando realizzo tutto questo, quando capisco che dopo avermi leccato via ogni liquido, dopo avermi spinta contro la porta di un bagno, guardata negli occhi, girata e violentata, ecco, in questo momento, senza accorgermi, in un attimo spezzo il bancomat e ti vomito fuori di me. Illustrazione di ANDREA SELF

CIUCCA A L'ASIATIQUE Nicole Romanelli

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a quando arriva l’hangover? Sono nove mesi che sto in botta. Ubriaca fradicia. Nella fenomenologia dell’ubriaco si parte da un livello di allegria piacevole per poi approdare nel peggiore dei casi a pregare di morire perché si è decisamente passato il limite. Il livello di ubriacatura in cui mi trovo da mesi non assomiglia all’euforia-calimocho da erasmus spagnolo fatta di vino, zuccheri e caffeina, nonché miscela da leone all night long esattamente a metà tra la sbronza e l’alticcio. La mia è una sbornia faticosissima. La consapevolezza della dipendenza è arrivata una sera di caldo febbraio in direzione tropici. Dormo quelle ore di viaggio da Halong Bay in poi, tanto passata la porta dell’amicizia al confine tra Vietnam e Cina, il tempo di percorrenza diventa per magia inversamente proporzionale alla distanza. Mi svegliano urlando di muovermi e senza capirci nulla scendo tra una spinta e l’altra tirandomi dietro lo zaino per 2210 km; polvere e disagio. Questa è la storia di come sono arrivata nella capitale del Vietnam, ovvero buttata giù dall’autobus. Hanoi è stato lo shottino di assenzio alle 5 del mattino quando oramai si è decisamente fatAvete mai immaginato come ta una certa. Tutto intorno una giungla di cavi potrebbe muoversi un batdi Vietnam Telecom, odore di pho, contadini tello ebbro? Io mi immagino con enormi bilancieri, persone sedute in straun oscillare tranquillo come da a bere caffè, vendi cibo, vendi cose – tante, troppe cose – ammassati nelle stradine della il pendolo di un metronomo città vecchia già intasate da fiumi di motorini rumorosi, molesti e clacsonanti. È stato come se mi avessero fatto un gavettone di umanità. Avete mai immaginato come potrebbe muoversi un battello ebbro? Io mi immagino un oscillare tranquillo come il pendolo di un metronomo, però ecco meno simmetrico e più sbilenco, quasi ipnotizzante in uno spazio onirico definito. La sbronza di Asia non ha niente a che vedere con i battelli ebbri, con le serate ispirate, con i filosofi proletari e con la magia dei dehor. La sbronza asiatica è come il Katun, mentre ci sei sopra l’unica cosa che realizzi è che hai perso la bussola. Poi scendi, recuperi l’orientamento e vuoi fare un altro giro. Ma ad un certo punto anche la curiosità finisce e da lì in poi, si salvi chi può, inizia l’insofferenza. Vivo e giro l’Asia da mesi e mi ha ubriacato a tal punto da pretendere l’hangover. Un hangover domestico e familiare fatto della vecchia Europa e di Negroni. Insomma adesso basta e come direbbe Pinocchio nella mia Toscana natia: «Babbo so’ tronco».

UOMINI E GAMBERI Tommaso Meo

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e migliori serate non iniziano certo con the e pasticcini, ma potrebbero finire con un risotto ai gamberetti, che ci guarda dal basso verso l’alto spiaccicato sull’asfalto. Ed è proprio un pasto di questo tipo il testimone, martire involontario riverso sulla strada, di una delle mie prime sbronze. Quel risotto rosa pastello rigettato in un’afosa serata di inizio settembre dopo una doppia cifra di spritz mi è sempre rimasto nella memoria, anche perché qualcuno me lo fece notare molto divertito: «Ma che hai mangiato stasera? Gamberi?». Dall’alto delle mie funzioni vitali minime glissai come potevo. Ingenuo ancora non sapevo che prima di andare a bere con intenzioni bellicose bisognasse mangiare qualcosa di sobrio per non attirare l’attenzione nella sventurata eventualità. Non è sicuramente un perfetto spartiacque tra serate andate benone ed altre meno, ma una domanda frequente degli amici quando dici di esserti ubriacato è: «Sì, ma hai vomitato?», come se fosse la sola prova che ci si sia distrutti e divertiti sul serio. Non è sempre e totalmente vero e questa non è un’apologia del rigurgito o una lode sperticata alla sana vomitata, ma con tutta sincerità dico: fuochino. Perché è innegabile che alcune storie memorabili (per certi versi non sempre po-

ATUK

sitive) della nostra adolescenza siano collegate a delle grandi e grosse vomitate liberatorie. Diciamocelo: in quasi tutte le serate da ricordare qualcuno ha lasciato un pezzetto di sé in giro. Una pozza confusa verde smeraldo è ciò che per esempio ricordo di una festa di fine anno scolastico in cui esagerai con un liquore alla menta da discount. Mi portarono a casa in qualche modo, ma non entrai e decisi di schiacciare una dormita su una panchina nel giardino, per essere destato da una poco pacata chiamata genitoriale solo alle sei di mattina. Mia madre ebbe la certezza della mia propensione all’alcolismo solo in un’altra occasione: dopo aver festeggiato l’orale di maturità e quella che pensavo la libertà più assoluta, vomitai di fianco al mio letto, raggiunto con grande fatica. Toccò a lei, sveÈ innegabile che alcune gliata dai miei conati, pulire il tutto e fornirmi il secchio d’ordinanza. Non c’è onore in questo, storie memorabili della lo so, ma è così che va quando si è giovani e nostra adolescenza siano ingenui e con poco controllo sulle nostre drink collegate a delle grandi e card. Ed è un valido insegnamento di vita: un grosse vomitate liberatorie attimo prima hai il gomito alzato, tutto gira alla grande e ti senti il padrone del creato, e l’attimo dopo hai il culo per terra e c’è la tua ex cena di lato a farti compagnia, ma Gesù se ne valeva la pena. Potresti anche essere così socievole da non riuscire proprio a tenere tutto per te e innaffiare la portiera dell’auto – ferma − di un tuo amico, come feci io, non avendo la lucidità di scendere. Fu così che sua madre conobbe bene il mio nome. Ma la dea dell’ubriachezza molesta ha la vista un bel po’ annebbiata, però cieca non è. Non appena si ripiglia un attimo dall’after sistema tutte le questioni in sospeso, comprese le mie. Ne fece le spese la mia macchina nuova che, dopo qualche mese, subì un contrappasso apollineo quando il mio amico ci rigurgitò dentro in corsa senza neanche avvisare di fermarmi. Gli passai qualche fazzoletto per ripulirsi e tutto ciò che ottenni fu un: «Siamo pari adesso!», e furono le sue uniche parole per le dieci ore successive. Fu così che vedendoci tornare (me e l’auto) mio padre non fece più domande su cosa facessimo il sabato sera.

PH CraftHate

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ohn Adam fa tre raglie a dir poco grossine. È abilissimo, sbriga il tutto in un lampo e passa il kit al tizio di fianco a lui, non è Smokey (tutt'altro), ma un losco produttore hollywoodiano che stringe in mano una sceneggiatura sospetta, non la molla neanche per pippare. Mi fa sempre un certo effetto veder buttar giù la coca, soprattutto se il tipo che lo fa è alla guida di una limousine rubata alla NBC. Mi fa meno effetto quando il tizio si volta e mi porge uno dei neonati CD – è The Record dei Fear – con la mia botta da 10 cm sopra. Non rifiuto affatto: sono anch'io in missione per conto del nostro dio. Con me alla rinfusa sui sedili c’è una toga bianca con corona d'alloro, una fedora nera made in Chicago e dei Wayfarer, mezza boccia di Jack Daniel's oltre a qualche bustina vuota: non ci manca niente, e chi ci ferma mo’? Superiamo il Whisky a Go Go, nel cuore della notte Sunset Boulevard (un nome un presagio) brilla e luccica nel dedalo asfaltato d'insegne e posteroni che s'insinuano tra le foglie delle palme, tentando di resistere alle ombre quelle che lasciamo e quelle che ci seguono, sempre e comunque. John guida come un pazzo, ogni dieci minuti usa il CD dei Fear come vassoietto da coca e non smette di tempestare il tizio losco di domande su quella sceneg-

giatura che lo rende più euforico del solito. L'altro di suo continua a rispondergli che è l'adattamento cinematografico di un testo del '63 e che vogliono lui come protagonista. Ogni volta che John sente questa parola, suona il clacson e accelera ulteriormente. La nostra limo rubata è il party dell'eccesso, o meglio, è l'eccesso dell'eccesso stesso e al party vero che c’attende – quello all'On The Rox – manco ci stiamo pensando. L'unica cosa che ho in mente ora è la spesa da fare per John, un acquisto illecito che fra telefonate e consegna mi prenderà un'oretta almeno. Gli chiedo di accostare e farmi scendere, preferisco fare il giro a piedi e lo tranquillizzo che ci vedremo a breve al suo hotel, nel bungalow numero 3 del Chateau Marmont, giusto? John annuisce col capo ma non mi guarda neanche – ha occhi solo per la sceneggiatura del tizio losco (e il CD dei Fear eccetera) – mentre sto per chiudere lo sportello della limo sento solo che quello gli dice che il film si chiamerà Atuk e sarà una bomba. Atuk... non conosco quel nome ma rabbrividisco forte, un brutto presentimento fa da anticamera ad un attacco di panico, tento di avvertire John di non so che, ma è troppo tardi. La limo è già ripartita sgommando, corre nel buco nero del Sunset Boulevard.

SANGUE, SPERMA E SUDORE

IL CONTO PER PIACERE Paola Alioto

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Mi chiamo Alessio, ho 7 anni e da grande voglio imparare a volare». Un sorriso comparve sulla sua bocca mentre, seduto in un bar come tanti, Alessio, da poco trentenne, contemplava il suo bicchiere vuoto per poi alzare la testa, cogliere l’attenzione del barista e chiedere: «Me ne dai un altro, per favore?». Non sapeva spiegarsi né come né perché quella frase gli fosse tornata in mente proprio quella sera, a distanza di così tanto tempo. Alessio non amava parlare del suo passato, neanche con i suoi amici più stretti, forse per vergogna, per rabbia, per rancore o per risentimento. O forse perché di imparare a volare non ebbe mai la possibilità, dato che a soli 9 anni, in seguito al suicidio di suo padre, più che spiccare il volo dovette apprendere come stare coi piedi per terra. «Un altro giro, grazie!». Guardava la sua immagine riflessa nel bicchiere di White Oak: il ghiaccio del suo drink che si scioglieva, la luce soffusa del locale, i fumi dell’alcool che, lentamente, prendevano il sopravvento. E all’improvviso ecco che il mondo intorno a lui mutò aspetto, le facce degli sconosciuti che lo circondavano cambiarono forma e diventarono volti a lui familiari. Come in un flashback, come nel peggiore degli incubi, tutto d’un tratto Alessio si ritrovò a essere di nuovo quel bambino di 9 anni. Sono le sette di sera di un anonimo martedì di fine febbraio: Alessio sta rientrando a casa dal cinema insieme all’amico di una vita, Silvestre. Suona il campanello e ad aprire la porta non è il volto felice di sua madre che lo stringe tra le braccia e lo avvolge in un tiepido abbraccio, bensì lo sguardo pietrificato, terrorizzato, della vicina Eloisa. «Dove è la mamma?», chiede lui. Eloisa lo guarda e scoppia in un pianto ininterrotto. Alessio si dirige verso il salone: sua madre, la polizia, una lettera d’addio scritta dal padre e una bottiglia finita di whiskey, di White Oak per la precisione. Alessio sobbalzò, scolò il suo bicchiere e ne ordinò un altro. Voleva imparare a volare, ma forse avrebbe dovuto amputarsi le gambe per sfuggire alle trappole della vita. «Il conto, per piacere!».

NON PIÙ Michele Candiotto

S

corre la notte, una notte atemporale: potrebbero essere le due, forse le quattro, per me fa lo stesso in questo momento, perché non ricordo nulla. Corpo e mente connettono a fatica, provo, mi sforzo ancora una volta a ricordare, ma non c’è verso. Avrei potuto fare molto questa notte, divertirmi, conoscere qualche donna, forse scopare o addirittura far l’amore. Certo avrei potuto, ma di tutto quello che avrei potuto e voluto fare l’unica cosa che mi resta, assieme all’acido freddo di ghiaccio e lime nella bocca, è la tragicomica sensazione di aver fatto qualche stupida e ridicola cazzata. Ancora una volta, l’ennesima, mi riprometto di non bere più. Guardo nuovamente l’ora, il tempo è trascorso, ora sono le sei e mi rendo conto che è solo mercoledì. Faccio la doccia, cerco il cellulare e lo trovo gremito di messaggi, prendo lo zaino, scorgo all’angolo del soggiorno la bicicletta. Come sempre prima di uscire mi guardo allo specchio, osservo il mio volto stanco e beffardamente sorrido. Inizio a ripetere un personalissimo mantra: “Non bevo più ... non bevo più ... non bevo più” e mi perdo nella città.

Vincenzo Iacomo

Q

uando arrivai sul luogo dell’esplosione l’incendio era ormai sotto controllo, Quindi qualche isolato più in là accostai vicino al primo bar e mi ci buttai dentro finalmente il capo dei pompieri mi fece cenno ed io entrai ad analizzare la come fossi un assetato che ha appena trovato un’oasi nel fottuto Sahara. scena del crimine. In quella stanza sembrava ci fosse la storia dell'umanità, All’ennesima tequila il tizio allo specchio che mi assomiglia incomincia ad inbuttata a terra: sangue, sperma e sudore. Il fumo proveniente da sultarmi, sono sulla buona strada. La maggior parte della gente quei cadaveri ormai era il mio, mi attraversò i vestiti e la carne Accostai vicino al primo non beve per dimenticare, ma per risolvere, ed io di questioni in andandosi ad aggiungere alla collezione di vecchia merda, che bar e mi ci buttai dentro sospeso ne ho un bel po’. in questo lavoro viene chiamata “esperienza”. Chiedo la bottiglia. Ora finalmente la realtà ha perso i suoi concome fossi un assetato Dopo aver interrogato qualche guardone ed aver lanciato qualtorni e anche se non posso interferire con i miei pensieri, è tutto che osso ad un giornalista, accesi la macchina e mi allontanai. che ha appena trovato più chiaro: “La vita è stronza, ma non bisogna prenderla sul perun'oasi nel fottuto Sahara sonale, è fatta così!” Dovevo riflettere e guardarmi dentro.

Illustrazione di VERNICA MERLO

La storia continua su www.laharmagazine.com

LAHAR MAGAZINE - ANNO IV - 07/2015

John Belushi s.m. 1. comico, attore e cantante statunitense di origini albanesi, fratello di Marian, Jim, Billy e Dan Aykroyd 2. (mus.) Joe Cocker che interpreta se stesso in preda agli spasmi 3. chi recita la messinscena di sé; depressa, insicura, ossessionata vittima della solitudine procurata da un continuo e minuzioso ricorso alla finzione 4. sensale di poche parole e molta sete; sfrontato ed etilico cerimoniere di toga party e spione di fidanzate altrui | caposcuola di mensa selfservice 5. Joliet Jake Blues, antesignano per estetica delle iene (di Confalonieri piuttosto che di Tarantino) | protagonista di «una saga presuntuosa» nella quale, dopo aver visto la luce, viene preso a colpi di bazooka da un’ex fidanzata 6. inveterato cerchio alla testa, spesso accompagnato da quel gusto in bocca 7. ribellione, presa di coscienza ed esaltazione del caos orgiastico | intemperante, dissoluto, smodato esempio di qualcuno che si vuole dimenticare in fretta 8. un certo numero di copertine di Rolling Stone

Francesca Sensolo

A cura di Luca Facchini

FUORI DI ME

#24 JOHN BELUSHI

piccolo dizionario Lahar Magazine è una posterzine, una rivista in formato pieghevole che aperta diventa poster. È un progetto editoriale indipendente, auto-prodotto e no profit la cui idea e anima fondante è quella delle collaborazioni esterne. Ogni pubblicazione, ad uscita bimestrale, è monotematica; la redazione cura il processo produttivo, mentre la partecipazione al processo creativo dei contenuti editoriali, illustrativi e fotografici è completamente aperta a chiunque ne voglia far parte. COME COLLABORARE: Seguendo l'argomento proposto invia un

tuo scritto, una tua illustrazione o una tua foto. Le migliori opere che perverranno in redazione entro le 23:59 del 30/08/2015, verranno pubblicate nel sito e quelle che si distingueranno maggiormente troveranno il loro spazio sul cartaceo. Per informazioni più dettagliate consulta la sezione “Collabora” nel nostro sito: www.laharmagazine.com. Nel prossimo numero di Lahar Magazine #25 si parlerà di: IRA

IN QUESTO NUMERO: Paola Alioto, Michele Candiotto, Vincenzo Iacomo, Tommaso Meo, Veronica Merlo, PH CraftHate, Nicole Romanelli, Alberto Rossato, Andrea Self, Francesca Sensolo IN COPERTINA: Giovanni Frasconi

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Vorresti ricevere comodamente Lahar Magazine a casa tua? Scopri il servizio di abbonamenti sul nostro sito! Progetto Marco Sartore Editore Associazione Lahar Direttore responsabile Luca Facchini Direttore editoriale Riccardo Alessandro Didonè Redazione Nathalie Antonello, Simone Antonello, Luca Baggio, Barberina Bala Tema, Francesca Barco, Paolo Basso, Morena Faverin, Giacomo Gecchele, Alessandro Mesirca, Giulio Michelon, Giulia Piccinetti, Eric Parolin, Diego Pontarolo, Silvia Scarabello, Leonardo Tessarolo Direzione artistica, progetto grafico e impaginazione Sabrina Carretta Registrazione n° 2287 del 07/05/2012 presso il Tribunale di Padova Sede legale Via M. Grappa 23, 35014 Fontaniva, PD Stampa Tipografia Sartore Tiratura 4000 copie Periodicità Bimestrale Distribuzione Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/PD Contatti redazione@laharmagazine.com - www.laharmagazine.com Ringraziamenti Streets on Fire, Giacomo Streliotto, Santi Lahar Magazine lo trovi anche su Facebook, Twitter, Vimeo e Issuu.

EDITORIALE Troviamoci a metà strada. Troviamoci dove le nostre colpe incontrano i nostri destini, dove ogni singolo sorso di cocktail allieta le più torbide paure che albergano nelle menti dell'essere umano aperitivante. Perciò ora io chiedo ad ognuno di voi di alzare un calice immaginario, ricolmo della vostra bibita preferita e di brindare con me ad ogni desiderio che mai si avvererà. Perché a metà strada non troviamo che le speranze mitigate, soprusi incivili di ogni vita che, a colpi di feste obbligate, ha dovuto buttare giù tutto d'un fiato alcolici di bassa lega. Eccolo quindi lo sforzo del divertimento, la festa predeterminata alla quale non siamo stati invitati e alla quale non avremmo mai voluto andare. Ma ci siamo e l'abbiamo vestita di ricordi, sempre belli e offuscati da quella patina di epica che solo le serate ebbre di un tempo passato riescono ad avere. Ha la consistenza delle dita appiccicose e l'odore di mozziconi bagnati. Noi guarda caso siamo proprio lì, a metà, che ci aspettiamo. In attesa di annegare noi stessi in un barile di sangria riviviamo ricordi che tali non sono. Sono vecchie speranze. Silenzi assensi, vite che dopo averle immaginate non siamo ancora pronti per viverle. Io non sono pronto e dopo averlo capito ho smesso di praticare rabbia alla spina e di sciabolare disillusione. Indossata la toga sono pronto a devastare le case degli amici ricchi, palazzi sfarzosi, che una volta crollati non lasciano scampo alla domanda: "Tutto qua?". Troviamoci a metà strada e nel tragitto preoccupiamoci di dove ci porterà e non pensiamo da che luogo stiamo scappando. Troviamoci e ritroviamoci al punto di partenza per migliorare. In un processo di rinascita continua possiamo finire un bicchiere e riempirlo subito dopo, come insegnano i nostri nonni: "Salendo sempre di grado, così domani non ti svegli con il mal di testa!" Lahar si ritrova al punto di partenza, noi con lui, pronti ad ubriacarci di nuovo, ma questa volta con un vino ancora più buono. Mazeltov!

Riccardo Alessandro Didonè

Alberto Rossato

LINO E JACKY


BY THE BUS STOP di Richard Hooker | rzhooker.com/busstop

THE POETRY OF THE NIGHT

di Davide Bart Salvemini | davidebartsalvemini.tumblr.com


piccolo dizionario John Belushi s.m. 1. comico, attore e cantante statunitense di origini albanesi, fratello di Marian, Jim, Billy e Dan Aykroyd 2. (mus.) Joe Cocker che interpreta se stesso in preda agli spasmi 3. chi recita la messinscena di sé; depressa, insicura, ossessionata vittima della solitudine procurata da un continuo e minuzioso ricorso alla finzione 4. sensale di poche parole e molta sete; sfrontato ed etilico cerimoniere di toga party e spione di fidanzate altrui | caposcuola di mensa selfservice 5. Joliet Jake Blues, antesignano per estetica delle iene (di Confalonieri piuttosto che di Tarantino) | protagonista di «una saga presuntuosa» nella quale, dopo aver visto la luce, viene preso a colpi di bazooka da un’ex fidanzata 6. inveterato cerchio alla testa, spesso accompagnato da quel gusto in bocca 7. ribellione, presa di coscienza ed esaltazione del caos orgiastico | intemperante, dissoluto, smodato esempio di qualcuno che si vuole dimenticare in fretta 8. un certo numero di copertine di Rolling Stone A cura di Luca Facchini LAHAR MAGAZINE - ANNO IV - 07/2015


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