2011 - Anno 11 n° 31 - MUP Editore
Laboratorio di Narrazioni
€ 5,00
Dal giardino dell’Eden, olio e pastelli su tela, cm 100x100, 2011 Elisa Anfuso è nata a Catania nel 1982, dove vive e lavora. Laureata con il massimo dei voti presso l’Accademia di Belle Arti di Catania, è abilitata all’insegnamento delle Discipline Pittoriche. Ha frequentato diversi corsi di pittura e fotografia ed è stata selezionata per importanti mostre e fiere d’arte contemporanea. Nel 2010 è tra i vincitori del prestigioso “Premio internazionale Arte Laguna”, finalista al “Premio Combat”, tra i segnalati del “Premio Celeste” e vincitrice del “Concorso Subway edizioni”. Espone a Vienna, Praga e Fukuoka. Inaugura, nello stesso anno, due mostre personali rispettivamente a Catania e San Gimignano. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni private.
DIRETTORE Massimo Carta
LA LUNA DI TRAVERSO Noir
VICEDIRETTORE Federica Pasqualetti ORGANIZZAZIONE E COORDINAMENTO Associazione Culturale “Lunatici” REDAZIONE Silvia Bia, Enrico Cantino, Carlotta Fiore, Roberta Gatti, Armando Minuz, Silvia Pelizzari, Andrea Rabaglia, Andrea Tinterri RELAZIONI ESTERNE e UFFICIO STAMPA Andrea Rabaglia Federica Sassi REALIZZAZIONE GRAFICA Simone Pellicelli Le illustrazioni alle pagine 48, 50, 52, 63 sono di Valentina Scaletti STAMPA Pressup - Roma PROMOZIONE E DISTRIBUZIONE PDE - Promozione Distribuzione Editoriale INFORMAZIONI Per collaborare alla rivista scrivi a: redazione@lalunaditraverso.it lalunaditraverso@gmail.com info@lunatici.net Il giudizio e il lavoro editoriale della redazione sono insindacabili e accettati implicitamente. Gli autori pubblicati riceveranno due copie in omaggio. La Luna di Traverso è realizzata
Laboratorio di Narrazioni 2011 - Anno 11 n° 31 © 2011 MUP Editore ISBN 978-88-7847-400-0 ISSN 1826-5367-11031
EDITORIALE Incipit d’autore American Tabloid | di James Ellroy racconto d’autore Azzurro | di Raul Montanari Racconti Crash Test | di Tommaso Chimenti Estinzione | di Emanuele Puglisi Le donne di Caronte | di Polissena Cerolini In morte dell’agente Jasmine | di Giacomo Dazzi La cattiva letteratura | di Andrea Cirillo Il volo di Simon Mago | di Giorgia Bandini In fondo al giardino | di Roberto Stradiotti Segreteria telefonica | di Giovanni Maria Pedrani L’ultimo | di Alfredo Goffredi FUMETTI La resa dei conti | di Alessio Moroni Noir | di Matteo Zallocco Che fine ha fatto Max Mark? | di Csam Cram RUBRICA - NARRATIVA ED EDITORIA Chi fa cosa | di Andrea Rabaglia RECENSIONI INTERVISTE Alessandro Sambini, fotografo Tito Faraci, sceneggiatore di fumetti e scrittore concorsi & co. le facce della luna il nuovo bando fight club
COPERTINA D’AUTORE
5 6 8 12 14 18 21 25 28 30 32 34 37
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Luchino Visconti © Chiara Samugheo
“Lunatici” con il sostegno dell’Archivio Giovani Artisti di Parma e Provincia Servizio Giovani.
COMUNE di PARMA Servizio Giovani
www.lalunaditraverso.com www.lunatici.net www.mupeditore.it
Chiara Samugheo, personalità di fama internazionale, è stata una delle prime donne a diventare fotografa in Italia ed è da sempre impegnata nel fotogiornalismo. Nasce a Bari nel 1935 e i suoi primi racconti fotografici sono di reportage e denuncia sociale: ritrae le baraccopoli di Napoli (Le baraccate di Napoli, Gli scugnizzi Napoletani), la prigione (La regina delle zingare in carcere), il fenomeno dei tarantolati in Puglia (Le invasate). A Milano frequenta l’ambiente intellettuale di Enzo Biagi, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Strehler e con Pasquale Prunas è nella redazione di una rivista di fotogiornalismo internazionale, Le Ore. Alla fine degli anni ‘50 lascia il reportage per dedicarsi alla realizzazione di servizi fotografici per i maggiori periodici e riviste internazionali immortalando le dive, gli artisti e le stelle del cinema di tutto il mondo (lavora a Hollywood, Spagna, Russia, Giappone) fra le quali Monica Vitti, Sophia Loren, Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida. Le sue fotografie sono la memoria della “dolce vita”: copertine e servizi sulle maggiori prestigiose riviste del mondo che documentavano le figure delle “dive”, delle donne cinematografiche, come oggetto del desiderio. Le foto di Chiara Samugheo prendono le mosse da questo contesto restituendo al corpo-oggetto una femminilità e una personalità reali, intime, in netta contrapposizione dialettica quell’ambiente effimero e costruito intorno ai corpi. Ha, al suo attivo, più di 165.000 scatti di personaggi celebri da cui ha tratto numerosi libri. Ha partecipato a numerose mostre ed eventi artistici in Italia e all’estero ed è ospitata in numerose gallerie come: Guggenheim Museum - New York, Cinecittà, Biennale di Venezia, CIFE - New York, Cannes Film Festival, Festival Internazionale di Monte Carlo. Ha vinto numerosi premi e riconoscimenti e dal 2002 è Cavaliere della Repubblica Italiana. Dopo aver vissuto a Roma per anni, divide oggi il suo tempo tra Venezia e Nizza. www.chiarasamugheo.com
Sommario
integralmente dall’Associazione Culturale
Š Aniello Barone (inedito, 2011)
COMUNE di PARMA Servizio Giovani
D
a tempo, ormai, “La Luna di Traverso” rappresenta un significativo punto di riferimento nell’ambito del panorama culturale della città, rendendo i giovani artisti di Parma protagonisti e valorizzandone efficacemente le potenzialità.
La capacità di sperimentare linguaggi differenti, lo sforzo di coniugare testi e immagini in un’originale sintesi espressiva, l’obiettivo di offrire ad autori e lettori una utile opportunità di incontro e di confronto intellettuale ne costituiscono senza dubbio alcuni degli elementi distintivi più apprezzati e interessanti. In questa prospettiva, anche il tema proposto ora, quello del Noir, offre certamente ai nostri giovani artisti un’occasione importante per dimostrare sul campo il loro valore e per consolidare questo laboratorio culturale che costituisce un elemento di stimolo per tutta la città di Parma, che intende sempre di più scommettere sulle nuove generazioni. Siamo pronti a leggere, dunque, con attenzione gli esiti di questo numero della rivista, certi che potremo trarre spunti, idee, riflessioni certamente stimolanti. Per il presente, ma anche per il futuro.
Mario Ciclosi Commissario straordinario del Comune di Parma
Aniello Barone - Fotografia d’autore Censurare per mostrare solo un braccio, una protesi per un corpo metallico di cui non sappiamo l’inizio ne la fine. Aniello Barone nasce a Napoli nel 1965, si laurea in sociologia e poco dopo inizia a fotografare cercando nel frattempo lo strumento comunicativo per poter descrivere l’immigrazione che ridefinisce i luoghi della città; la periferia, soprattutto quella napoletana, conosciuta di persona e trasformata in carta con un tratto necessariamente violento; il paesaggio del rifiuto, ricostruendo una possibile storia dei bisogni umani partendo dai suoi scarti. Forse è proprio nel medesimo bisogno di sopravvivenza (bisogni fisiologici nella piramide di Abraham Maslow) che va ricercata la traccia della fotografia di Barone Aniello. Un bisogno che si esprime principalmente nella sua indispensabile cattiveria attraverso una fotografia spesso in bianco e nero in cui l’assenza del colore sembra richiamare un punto di partenza, un inizio. Ogni situazione (storica) di profonda crisi ha bisogno di una ricognizione dei propri bisogni primari: non ci interessa chi è dall’altra parte, ma vogliamo sapere perché il suo pugno è chiuso e batte contro il suo corpo, perché è rimasto incastrato e non riesce a svincolarsi e come, eventualmente, ne uscirà. Aniello Barone è anche docente di Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Fra le sue pubblicazioni: Igboland, 5 Continents, Milano, 2011; Detta Innominata, PelitiAssociati, Roma, 2006; La comunità accanto, Federico Motta, Milano, 2011; Sahrawi: la terra sospesa, Electa Napoli, Napoli, 2001. Ha partecipato a numerose esposizioni, fra le ultime segnaliamo: Detta Innominata (FotoLeggendo VII Edizione 2011, Roma); L’arte bonifica del territorio (collettiva – Chiesa Sconsacrata SS. Apostoli, Nola, 2011); O’ vero (collettiva – Madre, Napoli, 2011). In preparazione: Incontri di Archeologia “Il Forum di Liternum”, Mann, Napoli, 2012. www.aniellobarone.com
La Luna di Traverso
Noir 4
Three More Fates Š Jon Carling (inedito, 2012)
La Luna di Traverso
Editoriale Noir di Federica pasqualetti
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Jon Carling: illustrazione d’autore «La mia prerogativa è quella di disegnare su fogli recuperati, raccolti durante le mie ricerche in piccoli negozi sparsi nell’intera area della baia di San Francisco. Amo la grana e i colori dei fogli vecchi: quando disegno, seduto in un caffè o ascoltando musica, si crea una vera sintonia tra la mia immaginazione e la loro vecchia superficie. Ho moltissimi progetti per quest’anno: autopubblicare una graphic novel, allestire mostre di arte locale e realizzare animazioni. Sono cresciuto con l’etica del “Do It Yourself”, il che comporta delle difficoltà ma ne vale sempre la pena. Voglio che la gente abbia una reazione emotiva davanti al mio lavoro, che questo risvegli il loro lato infantile: quando determinati dettagli sono omessi da un’immagine, per riempire quegli spazi si finisce per usare una parte molto speciale del proprio cervello, e io credo che lasciare che lo spettatore scriva da solo la storia sia la chiave per conquistarlo. Il mio obiettivo consiste nel portare più stupore nel mondo.» Jon Carling è un artista americano appartenente all’area della baia di San Francisco (California). Cresciuto in quelle che erano un tempo le verdi colline rurali di El Sobrante, si è laureato nel 2002 al California College of Arts di Oakland con una laurea in illustrazione. Vive tuttora ad Oakland dove disegna mobili e si dedica all’illustrazione. Il suo lavoro è stato descritto come imperfettamente preciso e di un altro mondo. Lavora esclusivamente con penna e matita (e rare macchie di colore). Nei suoi lavori, che oscillano spesso fra la pura fantasia e il terrore pungente, manifesta un’immaginazione infantile; in essi si intrecciano spesso ambienti e creature che ricordano alcuni libri illustrati del XIX secolo con temi sinistri e trascendenti. Negli ultimi anni, allestimenti e cataloghi di numerose gallerie in varie città degli Stati Uniti hanno reso omaggio al lavoro di Carling, sia con mostre personali, sia in occasione di collettive di autori contemporanei. Ha creato inoltre cortometraggi di animazione, proiezioni multimediali, manifesti e copertine per gli album di numerose band fra le quali: The Brian Jonestown Massacre, The Entrance Band, Meho Plaza, Agent Ribbons, Voice on Tape, The Lovely Eggs e Ema and the Ghosts. www.joncarling.com e www.joncarling.tumblr.com.
Noir 5
rmai siete in trappola: se siete arrivati fin qui dovrete immergervi con noi nella nostra infernale avventura lungo le rive del Noir. Finiamo il 2011 e apriamo il 2012 con una nostra personale “rilettura” di questo genere o, forse, dovremmo definirlo più precisamente una vocazione, uno sguardo, una sensazione. Il Noir cammina con l’impermeabile fianco a fianco con il Giallo per un po’ finché intorno agli anni Quaranta un critico francese, guardando Il Falcone Maltese, tratto dall’omonimo romanzo di Dashiell Hammett, lancia l’idea che il nero possa essere il colore giusto per definire un film come quello. Dal cinema ai libri il passo è breve e ci arriva, detonante, un mondo narrativo pieno di caos, linguaggi e regole contraddittorie; l’occhio di Caino puntato su di noi. Ma l’ordine non torna, mai: la sconfitta diventa la metafora dell’esistenza e del continuo tentativo degli esseri umani di controllare una realtà malsana sfuggente e asfittica. Gli ingredienti? Crimini, droga, sesso, violenza, denaro, misteri, degrado, scenari post-industriali ma anche ritratti critici e drammatici della società contemporanea. E da qui siamo partiti per scandagliare le proposte dei nostri autori e capire quanti e quali “occhi criminali” potevamo trovare nel panorama odierno della narrativa esordiente ma anche fra fotografi, illustratori e, ormai appuntamento fisso, fumettisti. E vi assicuro che ci possiamo sentire osservati. Se non vi basta come buon motivo per leggere la rivista, eccone un altro: 16 pagine in più sono sufficienti? Si, avete capito bene: la Luna sta cambiando. Abbiamo introdotto un po’ di idee nuove dedicate a scrittori e lettori: interviste – in questo numero il fotografo Alessandro Sambini e lo sceneggiatore di fumetti e scrittore Tito Faraci – , recensioni pescate fra le nostre letture e i nostri ascolti o visioni, aggiornamenti, consigli di scrittura e suggerimenti, approfondimenti sul mondo e sui meccanismi dell’editoria (trucchi, tendenze, pregi e difetti). E se aveste qualcosa da dire? Potete farlo nel Fight Club: una pagina creata appositamente per “botte & risposte”, per le sfide, le provocazioni, le discussioni. No, non è finita qui. In questo numero abbiamo anche grandi ospiti: la scatto d’autore in copertina di Chiara Samugheo, una delle più importanti fotografe italiane nonché memoria storica di quella meravigliosa stagione della Dolce Vita che tutti conosciamo; il Racconto d’autore di Raul Montanari e non stiamo parlando semplicemente di un racconto ma del suo “primo” racconto il che lo rende immediatamente speciale e, infine, le illustrazioni d’autore che ha preparato per noi Jon Carling, un giovane illustratore californiano “imperfettamente preciso e fuori dal mondo”. Ecco perché vi conviene seguirci. Attenti, vi teniamo d’occhio.
La Luna di Traverso
Incipit d’autore American tabloid di James Ellroy
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L’
fotografia di Martino Ferrari
America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto. Non si può ascrivere la nostra caduta dalla grazia ad alcun singolo evento o insieme di circostanze. Non è possibile perdere ciò che non si ha fin dall’inizio. La mercificazione della nostalgia ci propina un passato che non è mai esistito. L’agiografia santifica politici contaballe e reinventa le loro gesta opportunistiche come momenti di grande espressione morale. La nostra narrazione ininterrotta è confusa al di là di ogni verità o giudizio retrospettivo. Soltanto una verosimiglianza senza scrupoli è in grado di rimettere tutto in prospettiva. La vera Trinità di Camelot era Piacere, Spaccare il culo e Scopare. Jack Kennedy è stato la punta di diamante mitologica di una fetta particolarmente succosa della nostra storia. Spandeva merda in modo molto abile e aveva un taglio di capelli di gran classe. Era Bill Clinton senza l’onnipresente scrutinio dei media e qualche rotolo di grasso. Jack venne fatto fuori al momento ottimale per assicurarne la santità. Le menzogne continuano a vorticare attorno alla sua fiamma eterna. È giunto il momento di rimuovere la sua urna e illuminare le azioni di alcuni uomini che spalleggiarono la sua ascesa e facilitarono la sua caduta. Erano sbirri corrotti e artisti del ricatto. Erano intercettatori, soldati di fortuna e cabarettisti froci. Se un solo istante delle loro esistenze avesse imboccato un percorso diverso, la Storia americana come noi la conosciamo non sarebbe esistita. È tempo di demitizzare un’era e costruire un nuovo mito, dalle stalle alle stelle. È tempo di abbracciare la storia di alcuni uomini malvagi e del prezzo da loro pagato per definire in segreto il loro tempo. Dedicato a loro.
La Luna di Traverso Perso in un campo di grano, Mamya RZ67, Pellicola 120 Kodak 100T-MAX B/N, formato cm 6x7
Noir 7
Martino Ferrari è da sempre meravigliato dalla capacità di catturare un istante. La sua passione per la fotografia inizia fin da piccolo. Il primo approccio fu però traumatico: a 8 anni ruppe la sua prima macchina fotografica, regalo di compleanno. Passarono diversi anni prima che riprendesse in mano un apparecchio fotografico e inizia a fotografare seriamente a 17 anni, prima in digitale, poi tornando alla pellicola. Adesso fotografa per passione e fa parte del circolo fotografico “Il Grandangolo” di Parma. A tempo perso studia Ingegneria informatica.
La Luna di Traverso
Racconto d’autore AZZURRO
a Tiziano Scarpa
di Raul Montanari
Noir 8
I
fumetto di Corrado Civello
o mi sono macchiato, a detta di molti, di colpe irrimediabili. Penso che non siano più atroci delle infinite altre che questo sole torrido ha contemplato. È vero, appartengo alla polizia di uno stato oppressore della libertà. Sono stimato, dai miei corrotti superiori, per la mia incorruttibile fedeltà al mio compito. La faccia del commissario che mi porge un bicchiere di brandy non è diversa da quella dell’uomo che ha smesso da poco di urlare. Nella mia mente scorrono immagini odiose ai più. Ma se guardo all’intreccio di vie che mi ha condotto a questo porto, non trovo di essere stato più crudele o più codardo di mio fratello, che occupa una posizione rispettabile nell’ordine civile. Ho ventitré anni, ma conosco già abbastanza del corpo umano da saperne trarre il massimo spasimo o il massimo piacere. (Ricordo un ragazzo, dal nome francese. Con aria di sfida, mi disse che l’impulso che genera piacere o dolore è il medesimo, solo il segno cambia. Sono stato, con lui, non meno spietato che con altri.) Non trovo differenze fra le contorsioni dell’orgasmo e quelle della tortura; ma forse sono indotto a questo dal fatto che molte delle donne che ho avuto - spesso di ottima famiglia ‑ amavano immaginare che le stessi torturando, e sussurravano confessioni non richieste. In verità, non gioisco del potere che ho sui miei prigionieri. Nessuno qui ne gioisce, benché non ci si faccia mancare l’alcol per renderci più zelanti. Solo i nuovi arrivati mostrano (non so quanto fingano) di godere dell’opportunità di essere crudeli, e si fanno assegnare le donne. Io mi sento il grado intermedio fra il potere esercitato su di me dallo stato che difendo e quello che io esercito sui prigionieri. Senza avere ancora metà della loro vita, ho provato disprezzo e pietà per uomini di cinquant’anni, che gridavano possedendo una ragazza legata. Tutto mi è indifferente. Forse perché nessuna donna mi ha amato (io ispiro eccitamento, non amore), neppure io mi sono mai innamorato. Faccio quel che devo fare, provando un’ombra di piacere nello svolgere le operazioni necessarie in modo efficiente e rapido. Per questo sono già ispettore. E per questo vengo impiegato in interrogatori veri e propri, e non collaboro con le Squadre della Morte. Non credo che Dio, se esiste, abbia tempo per premiarmi o punirmi. Non c’è niente al mondo che mi piaccia davvero, niente che mi tocchi nel profondo, tranne un colore. Sono stato fortunato in questo, perché il desiderio avrebbe potuto tormentarmi per una donna irraggiungibile, o per un tesoro inafferrabile, o per un colore strano, misterioso e inusuale. Invece, se solo il cielo è terso e sgombro da nubi, e il sole non troppo intenso né troppo blando, io posso immergere i miei occhi nell’azzurro. Non so come, ho resistito all’impulso di tappezzare d’azzurro le pareti della mia casa, quando l’ho avuta. Ho invece rivestito del mio colore l’interno dei cassetti, che mi sorprendono e accarezzano i miei occhi quando li apro distratto, pensando ad altro. Il lampadario del piccolo salotto è azzurro, e diffonde un universo diafano di azzurro, ammorbidisce, più che illuminare, la notte intorno a me. La mia biancheria intima (non la camicia) è azzurra, come il confortevole interno della mia automobile. Penso con gioia che un fiocco azzurro è stato il mio simbolo, un giorno. I miei occhi sono neri. Non mi dispiace, perché intuisco in qualche modo che c’è una connessione tra la mancanza in essi del colore che amo, e l’amore stesso che provo. Ma nei miei sogni, che non sono mai
La Luna di Traverso
Noir 9 Metodi di persuasione, china
La Luna di Traverso
angosciosi, figure luminescenti e azzurre emergono e mi guidano tra bui corridoi. Oggi, come sempre, ho bendato gli occhi di un prigioniero, perché non mi distogliessero né influenzassero in nessun modo la mia opera. (A volte immagino di ucciderli subito con una prima scarica violenta, lasciando la bocca silenziosa e gli occhi spalancati e limpidi.) Vivo immerso nell’azzurro. Il sangue che cola non tocca il fiore celeste, intangibile, in me. Mi hanno detto che la rivoluzione è ormai vicina (noi li torturiamo per sapere quando loro ci uccideranno). Mani rese invincibili dall’odio mi afferreranno. Dita inesperte mi strapperanno grida imperfette. Morirò certo troppo in fretta. Ma l’ultima immagine, l’ultimo urlo, l’ultimo battito del cuore, avrà il colore e il sapore dell’azzurro. (Se esisti, se non ti sono indifferente, fa’ che mi prendano all’aperto, sotto un cielo terso e sgombro da nubi, e un sole né troppo intenso né troppo blando...)
Noir 10
Raul Montanari (Bergamo 1959) ha pubblicato i romanzi La perfezione (Feltrinelli 1994), Sei tu l’assassino (Marcos y Marcos 1997), Dio ti sta sognando (Marcos y Marcos 1998) e, per Baldini Castoldi Dalai, Che cosa hai fatto (2001), Il buio divora la strada (2002), Chiudi gli occhi (2004), La verità bugiarda (2005), L’esistenza di dio (2006), La prima notte (2008), Strane cose, domani (2009; premio Bari e premio Siderno; selezione premio Strega), L’esordiente (2011). In volume sono usciti anche i racconti di Un bacio al mondo (Rizzoli 1998), È di moda la morte (Perrone 2007), E poi la notte (Giallo Mondadori 2010) e il saggio Il Cristo zen (Indiana 2011). Con Aldo Nove e Tiziano Scarpa ha scritto Nelle galassie oggi come oggi (Einaudi 2001), insolito bestseller nel campo della poesia. Ha curato l’antologia Incubi. Nuovo horror italiano (Baldini Castoldi Dalai 2007). Più di cento suoi racconti sono usciti in antologie, quotidiani e periodici. Autore di sceneggiature e opere teatrali, ha pubblicato traduzioni dalle lingue classiche e moderne (Sofocle, Seneca, Shakespeare, Poe, Stevenson Wilde, Borges e C. McCarthy fra gli altri). Dal ‘99 ha una scuola di scrittura creativa a Milano. Dirige il festival letterario Presente Prossimo. Interviene su Rai2, Rai3, La7, SkyTv. www.raulmontanari.it Corrado Civello crede che il suo bisogno di nutrirsi delle emozioni e dell’indescrivibile sensazione di appagamento procurata dal poter esprimere la sua creatività attraverso il disegno, sia del tutto innata. Ha iniziato a disegnare all’età di 8 anni, dopo aver letto il suo primo fumetto, e non ha più smesso: se lo avesse fatto, avrebbe smesso anche di respirare. Ha realizzato svariate storie di generi differenti (dal western al poliziesco, dalla fantascienza all’horror) per piccoli editori che pubblicano albi a fumetti per collezionisti. È Odontotecnico, quindi totalmente autodidatta. Si augura che i suoi disegni possano parlare più di una qualsiasi biografia.
La Luna di Traverso
Noir 11 Grazie amico! Lo considero un regalo!..., china
La Luna di Traverso
test Crash Test racconto di Tommaso Chimenti
Noir 12
L
fotografia di Luca Catellani
a regola l’ho sempre conosciuta, fin da bambino. Non accettare passaggi dagli sconosciuti. Quando ho forato con il motorino, quando non sono riuscito a prendere l’ultimo autobus, quando non avevo i soldi per il taxi, me la sono sempre fatta a piedi. Le macchine sfrecciavano. I fari si facevano enormi fino a sorpassarmi. Gli sconosciuti non mi hanno mai offerto un passaggio. Stavo camminando nel buio. Le mani in tasca. Non stavo neanche a perdere tempo tirando fuori il pollice verso la strada. Roba da anni Ottanta. Tanto non si ferma nessuno. Chilometri prima di arrivare al mio letto, disfatto come me. Uno stridere di gomme e freni mi fa voltare. Una curva diventata un angolo retto. È una Mercedes vecchio stampo, di quelle con il muso e la coda lunga. Mio nonno le chiamava “ammiraglie”, come nel ciclismo le auto che seguono i corridori con borracce e biciclette di scorta. Il motore ingolfato tossisce, sobbalza il cofano. Il finestrino scende. «Dov’è», comincia la frase una voce dall’interno, ma non riesco a sentire il seguito. Il motore sputa, il tubo di scappamento sta per esalare l’ultimo respiro. «Io vado da quella parte», dico fregandomene della regola base. «Sali dietro», mi ha detto la voce. Non avrei saputo dire con certezza se appartenesse ad un uomo o a una donna. «Credo che andiamo dalla stessa parte», ha detto secco mentre la portiera posteriore ha fatto clic. La luce all’interno non funziona. Apro lo sportello arrugginito. Ho l’antitetanica, penso. Di che cosa devo aver paura? Sto seduto su una coperta di moquette. Faccio a tempo a richiudere lo sportello che il macchinone sgassa. Le ruote posteriori slittano. Il guidatore ha dei capelli ampi, soffici, che gli sono cresciuti verso l’esterno. Accanto a lui siede un tipo. All’improvviso un fascio di luce m’investe. Non ho ancora detto dove devo andare, dove sia casa mia. Nessuno me lo ha chiesto. Il personaggio che sta a fianco del pilota mi ha acceso un accendino proprio sotto il naso. Ho sentito il calore forte della piccola fiamma. Al mio fianco un uomo.Tiene le mani in mezzo alle gambe. Dondola la testa. I polsi leggermente rossi. Potrei giurarci che ha le mani sporche di sangue. L’autista, il compare che sta davanti e il loro amico, che con il suo ginocchio tocca il mio ad ogni sobbalzo di questo cassettone ambulante con le sospensioni finite e le ruote lisce, sono vestiti da clown. Le grandi occhiaie bianche, il naso rosso, i riccioli colorati che escono fuori da cappellini a bombetta di plastica, le giacche improbabili. Quello che si è girato verso di me adesso mi sta parlando. Non capisco una parola. Forse è un’altra lingua. La musica che esce dall’autoradio è altissima. «Vorrei scendere», dico. Sento ridere. Il conducente batte con le mani sul volante, il suo compare tira pugni sul tettuccio, l’essere accanto a me
La Luna di Traverso
non la smette di ondeggiare avanti e indietro. Mi schiaccio alla mia portiera. Controllo il pallino di plastica. È schiacciato verso il basso. Con l’indice e il pollice tento di tirarlo su. La macchina sfreccia tra i viali. A quest’ora forse qualche prostituta, guardie giurate. Nemmeno la polizia. Cigolano le viti, stridono gli ammortizzatori, scricchiola ogni parte metallica. Urlano sulla musica. L’accendino si spegne e si accende. Hanno le facce stralunate, sconvolte. «Vorrei scendere», urlo. «Per favore»», aggiungo. A cento metri da noi il semaforo indica un gigantesco rosso. Sembra un sole al tramonto. Non ci si può sbagliare. Quello è un rosso, non puoi dire che forse era un giallo, che ti sei confuso, che pensavi che magari. È rosso. «Frena», sbraito mettendo la faccia tra i due sedili davanti. Sul pavimento dell’auto lattine di birra schiacciate, pacchetti di patatine finite, arachidi, mozziconi di sigaretta, foglie secche, briciole di biscotti. I due complici ridono ancora più forte. Quello alla guida batte la fronte sul volante. Non sta guardando la strada. Mi faccio il segno della croce, io che non credo. «Vi prego», supplico. So che è la peggior cosa fare la parte della vittima. Ho paura che quello accanto a me mi tocchi con le mani unte di quello che io credo sia sangue. Guardo la lancetta dei chilometri. Oltre i cento all’ora. E continua ad aumentare. In lontananza appare un incrocio. È grande come una casa la scritta STOP. È bianca e i fari la illuminano, i lampioni la immortalano. «Lo prendo? Lo prendo?», chiede al passeggero l’autista eccitato. L’amico pagliaccio sembra una scimmia. Inizia a dire si muovendo la testa velocemente, i denti stretti, il volto deformato. Appena attraversiamo l’incrocio sentiamo un tonfo clamoroso. Qualcosa è volato sul nostro parabrezza. Il clown moribondo che sta seduto dietro mi è venuto addosso, io ho battuto la testa nel vetro, mi fa male una guancia, i due davanti si toccano il volto. La macchina accosta sulla destra. Il viale è completamente deserto. Il muso dell’auto è sfasciato, il parabrezza incrinato. I due davanti scendono. La portiera dietro rimane bloccata. Guardo i due che camminano verso qualcosa che è sdraiato in mezzo alla strada. Raccolgono questa cosa che penzola da ogni lato. Aprono il bagagliaio e la buttano dentro. La bicicletta la nascondono in una siepe. Per terra nessun segno di frenata. «Adesso sei nostro complice», mi dice la voce che non è né maschile né femminile. «Vedi di non fare altro rumore.» La macchina riparte piano. Come per andare in gita la domenica.
Luca Catellani è nato a Parma nel 1974, si è laureato in Scienze Naturali e lavora come giardiniere. Ha frequentato due corsi base di introduzione alla tecnica fotografica. Per il resto ha imparato da autodidatta, dalle mostre e foto di affermati fotografi e continuando a fotografare, cercando ogni volta di rimediare agli errori tecnici. Nel 2009 tiene la sua prima mostra, Copertine (Libreria Coop, Parma). Appassionato di Arte, in particolare fotografia e cinema insieme a musica e letteratura, ama viaggiare e lo sport.
Noir 13
Tommaso Chimenti è giornalista e critico teatrale. Ha pubblicato su numerose antologie poetiche e narrative. Ha inoltre scritto i monologhi teatrali rappresentati Mani di forbice, Caramelle dagli sconosciuti, Tacchi a spillo, La Funambola, Non mi hai mai voluto bene, (B)Arca, Mattone, La prima pietra non si scorda mai”. Perde capelli e aggiunge anni. Si è rassegnato ad essere ottimista. Adora la nocciola, la salvia, il basilico. L’origano e il cumino proprio no. Fa tutte le cose che gli fanno paura. Vuole tutto, ma non subito. Se mai avrà un figlio gli darà tre nomi e due cognomi, così, tanto per metterlo un po’ in difficoltà. Avendo le vertigini pensa bene di salire continuamente su torri e campanili. Sport preferito: spuntarsi la barba. Adora la Maremma e la frutta acerba. Fotografa le nuvole e la propria ombra. Odia aspettare. Non ha più l’età per sopportare i rifiuti. Non è assolutamente vegetariano.
La Luna di Traverso
estinzione
Noir 14
racconto di Emanuele Puglisi
illustrazione di Andrea Castellani
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«Dove vuole andare?» La voce del tassista mi giunse lontana, come da oltre la riva di un fiume. Per un istante ebbi la sensazione di trovarmi sul fondo duro di un pozzo, immersa nel buio.Tutto ciò che vedevo, se alzavo lo sguardo, era la pallida luce che incorniciava il volto scuro del tassista. Fermo sul bordo del pozzo si sporgeva verso di me, gridando qualcosa. Potevo udire la sua voce che avanzava cristallizzandosi, galleggiando nella densità vuota dello spazio che ci divideva. «Mi scusi», dissi, scuotendo la testa. «Ero soprappensiero.» Mi allungai, per mostrare all’uomo il foglietto su cui avevo segnato l’indirizzo. Lui gli rivolse una rapida occhiata, quindi ingranò la marcia e si immise nel traffico. Non appena la vettura cominciò a muoversi presi a rilassarmi, e a scacciare quella scomoda sensazione di gelo che strisciava lungo il mio corpo come una serpe molle e disgustosa, serrandomi mani e piedi. Mossi le dita dentro le scarpe e strinsi i pugni così tanto che le nocche mi si arrossarono. Sospirai, rilasciando lentamente il fiato. Mi sentivo le mani lorde di sangue.
2
Quella mattina, avevo ricevuto una telefonata. Si trattava di una donna. Per tutta la durata della chiamata ebbi l’impressione di aver già udito quella voce, ma non avrei saputo dire dove. «Ha da segnarsi l’indirizzo?» «Sì, solo un momento…» Presi nota di quanto mi dettava. La penna ancora in mano, aspettavo che aggiungesse qualcosa. «Bene, direi che per il momento è tutto», fece la donna. «Ha qualche domanda?» Restai in silenzio, riflettendoci sopra. «No», risposi alla fine. «Direi di no.» Pensai avesse riagganciato, ma all’improvviso riprese a parlare. «Senta, cerchi di non mancare l’appuntamento», disse. La sua voce era educata, ma ferma. «Non ci sarà una seconda occasione.» Le confermai che ci sarei stata, senza alcun dubbio. A quel punto, chiuse la chiamata senza aggiungere altro.
3
Il taxi mi lasciò davanti a un vecchio magazzino in disuso, scrostato e con le saracinesche arrugginite. Sembravano ferite aperte su un cadavere putrescente. Più lo guardavo, più avevo l’impressione che da un momento all’altro ne sarebbe uscito qualcosa di orrendo, pronto ad afferrarmi. Aggirai l’edificio, come mi era stato indicato.Trovai una porta, sul retro, bloccata da una grossa serratura nuova di zecca; a fianco, un citofono. Suonai. Dopo un istante, la pesante serratura di acciaio scattò e la porta si schiuse, scricchiolando sui cardini. L’interno era buio, fatta eccezione per il lungo passaggio sulla sinistra, illuminato a stento da alcune lampadine che penzolavano dal soffitto nude, come la pelle pallida e vuota di un rettile. Mi incamminai lungo il corridoio: era umido, e ricoperto di muffa. L’aria era viziata e puzzava di chiuso. L’unica presenza, oltre alla mia, era quella di un ratto che sgusciava furtivo lungo la parete. Il corridoio svoltò, terminando con delle scale che conducevano a una porta. Quando bussai, un rumore di passi risuonò sempre più vicino, finché la porta si aprì. «Benvenuta.» Era una donna. Forse la stessa della telefonata. Nella voce era molto simile, ma non l’avevo mai vista in
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volto e non avrei potuto giurare che fosse lei. Si era fermata proprio dietro lo stipite, là dove la luce non riusciva a raggiungerla. «Prego, si accomodi», mi disse, l’accenno di un sorriso nella voce. «La stavamo aspettando.» La seguii nella stanza, dove una luce opaca filtrava a stento dalle finestre sprangate, tracciando sul pavimento di cemento grezzo nitide strisce sottili. Senza mai uscire dal buio, la donna mi fece strada lungo uno stretto budello che terminava con una porta chiusa. Ai lati vi stazionavano due uomini massicci, dal volto coperto. «Ecco», disse, voltandosi verso di me. «È qui dentro.» La guardai, cercando di coglierne come potevo i lineamenti del volto. Mi chiedevo dove l’avessi già incontrata. Stavo per domandarglielo, quando mi mise tra le mani una mazza da baseball. Io strinsi meccanicamente le dita intorno al manico di legno robusto, mentre lei mi apriva la porta. «Mi raccomando, non abbia pietà. Se dovesse esitare anche solo per un attimo, per lei sarebbe la fine. Ha capito?» Annuii, e a quel punto mi guidò nella stanza. Tutto quel buio mi impediva di vedere bene; ma sul fondo si avvertiva la presenza di qualcuno che si agitava scomposto, emettendo un debole mugolio. Doveva essere incatenato, perché ad ogni suo movimento si levava uno stridente suono metallico. «Non posso vederlo in volto?», chiesi. La donna nicchiò. «No, non è possibile. Se lo vedesse, il trauma potrebbe risultare eccessivo. Lo facciamo per il suo bene.» Cercai di protestare, ma lei mi zittì. Anche se non potevo vederla, sentivo tutto il peso del suo sguardo su di me. «Si fidi» fu quel che mi disse. Poi uscì, richiudendosi la porta alle spalle. Ormai sola, strizzai gli occhi più volte, nel vano tentativo di dipanare le tenebre che si stringevano su di me. Erano così fitte che se avessi teso la mano avrei potuto toccarle. Con decisione, trassi un profondo respiro. Cominciavo a percepire l’odore della paura, che si mischiava a quello acre di sudore che avevo addosso. Mentre avanzavo verso quell’ombra nel buio, la udivo agitarsi, e ringhiare muta contro di me. Aspettavo quel momento da tanto. Levai alta la mazza e mi concentrai là dove il buio sembrava addensarsi di più. Lo fissai, trattenendo il fiato. Quindi colpii. Ci misi tutta la forza che avevo.
Andrea Castellani nasce nel 1975 a Firenze. Cresciuto nella ridente campagna toscana, diventa cartoonist nel 2000, dopo aver frequentato una scuola professionale. Dal 2001 è socio fondatore di Cartobaleno, società di animazione di Scarperia (www.cartobaleno.com) per la quale lavora tuttora come creativo e regista. Dopo aver lavorato a numerose serie televisive, tra cui Le ricette di Arturo & Kiwi, Pipì, Pupù e Rosmarina, The Qpiz e I Davincibles, si è dedicato all’illustrazione di libri per l’infanzia e la scuola con Giunti Progetti Educativi.
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Emanuele Puglisi nasce a Scandiano (RE) nel 1980. Desideroso fin da piccolo di intraprendere la carriera del precario, decide di diplomarsi in pianoforte e in seguito di laurearsi in Filosofia, conseguendo l’abilitazione all’insegnamento e coronando così il suo sogno. La passione per la letteratura sboccia in lui già in tenera età ma, solo da grande, prova a cimentarsi seriamente con la scrittura, vista l’immensa quantità di tempo libero che ha a disposizione. Almeno per il momento vive a Barco di Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, località famosa per aver dato i natali al Parmigiano Reggiano.
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Shock, cm 29,7x14,85
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Le donne di Caronte racconto di Polissena Cerolini
fotografia di Alessia Mascellani
I
l corpo è accanto al letto disfatto, decorosamente composto. Le mani della giovane donna, poggiate in maniera elegante sul petto. Il lenzuolo adagiato su di lei a coprirne le nudità e due monete sugli occhi. Un sorriso scarlatto disegnato da una lama affilata nel collo sottile. Il flash della scientifica mi obbliga a un sobbalzo, mi avvicino al cadavere, so cosa aspettarmi. Dal viso ignobilmente coperto di sangue sollevo una delle monete. I giornalisti amano dare nomi altisonanti e hanno definito questo serial killer “Caronte”: non potrebbero essere più fuori strada. Non è per ingraziarsi il traghettatore che perpetua l’antico rito. Lo fa per coprire le orbite svuotate. Anche ora, come nelle vittime precedenti, ha asportato i bulbi oculari. Ha lasciato un messaggio e lo ha lasciato per me. Ha usato due rare monete della metà dell’Ottocento. La stessa serie di quelle usate le altre volte. «Una vittima di “Caronte” capo?» Il poliziotto mi passa accanto. «Ancora lui.» Rispondo. Siamo davvero in pochi nel paese a possedere questa specifica serie, ho già fatto controllare tutti i numismatici registrati e tutti i negozi del settore, ma a nessuno risultano mancanti. Prendo la bustina con i reperti per osservarne il contenuto: il corpo senza vita mi passa accanto su una barella pieghevole. «Non sono monete qualsiasi.» Morin, il mio collega di sempre, mi ha raggiunto; un paio di caffè fumanti. «Che vuoi dire?» Gli sfilo il bicchiere dalle mani. «Sono del cinquantatré, sono incredibilmente preziose. Credo ce ne siano solo un paio di dozzine in circolazione.» E quattro di quelle meraviglie fanno bella mostra nella mia collezione. Ora ne sono certo: è con me che vuole avere a che fare, è da me che vuole essere fermato, il figlio di puttana. Ho passato buona parte della nottata davanti a decine di fotografie di ragazze morte. Non si erano mai conosciute, nulla in comune l’una con le altre. A parte l’essere state sgozzate e deturpate dalla stessa mano. Tagli veloci, precisi, fatti da dita esperte. Dodici monete. Se ho ragione, in un modo o nell’altro è finita e io non lo prenderò più. La serie che ha usato è formata da dodici monete, dovrebbe fermarsi a questo punto. Il cellulare vibra nella mia tasca. «Ne abbiamo trovata un’altra. Raggiungici.»
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Ho sbagliato qualcosa. Non ho considerato tutti i particolari. Il corpo è qui da giorni, i vicini sono stati allertati dall’odore di marcio e putrescenza che il rigore invernale aveva ritardato. La porta è stata forzata dagli agenti che mi hanno preceduto, devo coprirmi il viso con un fazzoletto per non cedere ai conati che mi stanno assalendo.
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Volti dell’Aldilà
La Luna di Traverso
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Nel trionfo di vermi e putrefazione che doveva essere un viso gentile, le due monete: stessa serie delle altre, dei doppioni quindi. Mi costringo a mantenere la calma mentre con dita tremanti afferro le pinze. Non ho bisogno di ulteriori conferme, studio monete da tutta la vita, la mia collezione è tra le più complete dello stato. So già quale anno troverò in rilievo nel metallo, ma quando leggo milleottocentocinquantatré le pinze mi scivolano comunque di mano, rimbombando sul pavimento imbrattato di vermiglio. Tutta la stanza prende a vorticarmi intorno, perdo l’equilibrio, finendo a sedere per terra, a pochi passi dalla donna morta. Le voci degli altri agenti mi rimbombano in testa, non riesco a decifrarne le frasi. Immagino siano preoccupati e io non trovo il fiato per poterli rassicurare, e nemmeno il motivo. Sono io il bersaglio. Il torace è talmente compresso che sembra scoppiare, prendo un grande respiro, ma non riesco a espandere i polmoni. Delle mani mi afferrano per i fianchi e per le braccia, finalmente nel buio si apre uno spiraglio e riesco a distinguere la voce di Morin «Jean, tutto bene?» Seguo la voce del mio amico come una guida e il velo che mi offusca la vista cade. «Ho un terribile sospetto, devo andare. Pensa tu a tutto, qui.» Salto in macchina e mi dirigo verso casa mia, la pistola è carica e ho tolto la sicura. La pioggia martella contro il vetro appannato dell’auto, ma stranamente non c’è traffico. Arrivo in poche decine di minuti, scendo dalla macchina lasciando il motore acceso. Impiego più del necessario per infilare la chiave nella serratura, sto facendo molto più rumore di quanto dovrei, se fosse qui lo avrei già allertato. Forse non ha alcuna intenzione di scappare. Forse vuole me. Non ricordo di aver lasciato le luci del soggiorno accese, mi sposto verso lo studio, pistola alla mano. È alla fine del corridoio, le stanze a destra e a sinistra sembrano deserte, ma non posso esserne sicuro senza ispezionarle. Correrò il rischio, devo controllare. Accendo le luci e mi sposto verso la parete di fondo, gli espositori con le monete sono intatti. Nessuna effrazione, nessuno scasso, ma le dodici monete della serie incriminata e i due doppioni non sono più nella loro teca. Faccio alcuni passi indietro continuando a fissare la teca vuota, col tacco della scarpa urto un mobile in un vibrare di cristalli. Catalogati con la mia scrittura, sette paia di occhi mi guardano inespressivi da altrettanti vasetti trasparenti.
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Polissena Cerolini è nata nelle Marche nel 1975 e sabina di adozione. Selezionata in molti premi letterari nazionali, compare in diverse antologie, tra cui 365 giorni d’horror e Il magazzino dei mondi, Delos Edizioni, Vapore italico e Short Stories, Scudo Editore, oltre che in diverse riviste letterarie. Il suo primo romanzo è edito dalla Arduino Sacco Editore (2010) e si intitola Cronache da Nuova Milano – La Lupa. Sono reperibili in rete molti suoi racconti e audioracconti. Collabora con siti di genere, con recensioni e articoli, come La zona morta, La tela nera e Scheletri.com. Di prossima uscita: due antologie e due romanzi per Scudo Editore. Alessia Mascellani è nata nel 1975 a Bologna, si è laureata in Filosofia Estetica ed è legata alla fotografia da sempre. Ha frequentato corsi e workshop (Guido Bissatini, Sara Munari) e numerosi sono i riconoscimenti ricevuti per i suoi scatti. Fotografare è prima di tutto una passione, qualcosa che nutre il suo essere. Ama la natura, il paesaggio, il close-up, ma soprattutto il dettaglio che cattura l’attenzione, quel quid che racchiude in sé il significato vero, al di là di ogni ragionevole impostazione e spiegazione tecnica. www.alessiamascellani.com
racconto di Giacomo Dazzi
La Luna di Traverso
In morte dell’agente Jasmine illustrazione di Vincenzo Pisano
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L
a camera era quadrata: otto metri per otto. Un letto nel centro: rotondo, ricoperto da lenzuola di seta nera. Per il resto specchi e cuscini che affioravano in una luce tenue sulle tonalità del rosso. La ragazza vestita da suora si chiamava Mary. Mary era un nome di fantasia. La ragazza vestita da Poliziotto si chiamava Jasmine. Jasmine era un nome meticcio. La ragazza aveva sangue creolo. L’uomo seduto sulla poltrona era il Presidente. Aveva settant’anni, indossava una vestaglia traslucida e si stava per addormentare. Mary dettava i tempi. Mary fece un cenno a Jasmine. Jasmine si spostò il cappello da poliziotto sulle ventitré, si alzò e avanzò sinuosa verso il presidente: una porno poliziotta con stivali neri e fondina per la pistola. Il presidente era partito. Un filo di bava gli scendeva dall’angolo della bocca. Jasmine gli si sedette sulle ginocchia. Il presidente si svegliò di soprassalto. Biascicò. Deglutì. Biascicò. S’accorse di Jasmine. L’identificò. Si ritrovò il suo décolleté sotto il naso. Riconobbe le tette. Prese la mira e ci ficcò in mezzo il grugno. Jasmine gettò la testa all’indietro in un risolino. I suoi capelli neri gettarono riflessi blu. Mary si alzò dal letto e si avvicinò oscillando sui tacchi. Il Presidente la scorse oltre il décolleté di Jasmine. Nell’abito monacale si apriva uno spacco che le arrivava all’anca. Il presidente ci frugò dentro con lo sguardo, si sentì ribollire, diede una pacca sul sedere all’agente Jasmine per farlo scendere. Sorella Mary fu a portata di mano. Il presidente si sporse in avanti, aprì lo spacco e ficcò la testa sotto la veste della sua monaca preferita. «Cucù!» Le ragazze si guardarono. Mary strabuzzò gli occhi. Il presidente grufolava sotto di lei. Quando uscì aveva il parrucchino spostato di lato. «Cucù!» Le ragazze si piegarono su di lui: «Paparinooo!!!!» Lui si abbandonò sulla poltrona, sorrise e soffiò baci all’una e all’altra. Sorella Mary si sporse e gli massaggiò le palle. Il presidente sospirò. «Datevi dei bacini. Accarezzatevi. Da brave.» Le ragazze si abbracciarono. Mary si fece scivolare giù l’abito monacale e rimase in lingerie. Il presidente si sporse per accarezzarla. Mary sollevò una gamba. Il presidente si alzò appoggiandosi sui braccioli della poltrona. «Continuate ad accarezzarvi! Io torno subito.» Si diresse verso il bagno. Aprì la porta e si volse verso le ragazze abbracciate. «Vi voglio così bene!» La porta del bagno si richiuse. Le ragazze si staccarono. L’agente Jasmine si levò il cappello e lo lasciò cadere sulla poltrona. «E adesso che fa?» «Si fa un’altra doccia e un puntura sul cazzo.» «Merda! Dici che c’è da farsi scopare?» «Non penso. Di solito ce la caviamo con mezz’ora di palpate.» «E perché si fa la puntura allora?» «Gli piace farselo toccare quando ce l’ha duro.»
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«Ommerda.» Dal bagno giunse il rumore della doccia. Mary spostò il cappello di Jasmine e si lasciò cadere sulla poltrona. «Fatti trovare nuda quando esce.» «Cazzo!» Jasmine si spostò verso il letto. «Prima sarà meglio tirarsi un po’ su.» Jasmine sfilò una scatolina di metallo dalla borsetta. La scatolina conteneva cocaina. «Ne vuoi un po’?» «No.» «C’è da restare tutta notte?» Mary fece spallucce. Jasmine stese una riga di coca sullo specchietto per il trucco. Ne aspirò metà con la narice destra e metà con la sinistra. Jasmine si strofinò il naso. «Merda!» «Stai calma. Ti sarai scopata di peggio no?» «Si ma Lui la tira per le lunghe. Meglio se me ne faccio un’altra.» Jasmine ripeté l’operazione. Metà riga per narice. «Merda!» «Smettila di dire merda» disse Mary. «E spogliati.» «Tutta?» «Per ora tieniti gli slip.»
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Il presidente uscì dal bagno. La vestaglia chiusa a doppio petto. Un fard leggero sulle guance. Settant’anni camuffati da sessantasette. Le ragazze erano sedute sul letto. Solo gli slip e il copricapo. Due Barbie: una con la testa da poliziotto, una con la testa da suora. Il presidente sfoderò un sorriso smaltato: se lo sentiva duuuuro. Mary gli lanciò un dolce sguardo allusivo. Jasmine sembrava distratta. Il presidente si avvicinò mellifluo. «Vi voglio bene.Voletevi bene.» Mary si sporse verso Jasmine. Jasmine rimase immobile. Mary le leccò l’orecchio in un sussurro. «Su dai, dobbiamo baciarci.» Jasmine strangozzò. Jasmine s’irrigidì. Jasmine oscillò. Mary si scostò per guardarla. Jasmine era cianotica. Il presidente avanzò sorridente. «Siete così belle. Accarezzatevi.» Jasmine cadde di lato. Mary si alzò di scatto. Il presidente s’era già aperto la vestaglia. Se la richiuse. «Che succede?» Mezz’ora più tardi. Stessa stanza. Stessa luce. Il presidente seduto sulla poltrona nella sua vestaglia traslucida. Si alzò. Si risedette. «Cazzo!» Gianni l’abbronzato gli appoggiò una mano sulla spalla «Risolveremo tutto.» «Ma quella è crepata!» «Risolveremo tutto.» «Manda via tutti quelli di sotto. La festa è finita in merda.» Gianni l’abbronzato fece due passi verso la porta poi si fermò. «Meglio di no Lucio, meglio fare come se non fosse successo niente.» Il presidente si sporse sulla poltrona e si coprì la faccia con le mani. «Mary dov’è andata?» «È in bagno. Lei non dirà niente. È affidabile.» «Dagli 10.000 euro e pregala di tacere. Digli che ce ne saranno altri.» «Mary non parlerà.»
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A noir story, elaborazione digitale
Il presidente aveva una faccia di merda ma la puntura glielo teneva duro. Sollevò la testa. Supplicò: «Ma che che cazzo è successo?» Gianni si voltò verso il cadavere di Jasmine steso sul letto: un agente deceduto in servizio. «Deve aver tirato della coca tagliata male.» Il presidente si stizzì. «Non capisco che bisogno c’era di portarsi della roba comprata da chissà chi! Non c’era tutta quella che le serviva qui?» Gianni gli posò una mano sulla spalla. «Lucio, sistemeremo tutto.» «A… a Mary… dagliene 20.000 e digli che il mio cuore gronda sangue.»
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Jasmine era chiusa nel baule della BMW530. Indossava l’abito da sera col quale era arrivata alla villa milanese del Presidente la sera prima. La macchina sfrecciava sulla A1 all’altezza di Grosseto. Fabio Nascemi guidava con la sigaretta in bocca. «Dov’è ’sto merdaio?» Mirco Vitali accese la luce sopra lo specchietto e lesse: «Al Laurentino». «Cazzo, ma ce n’è uno comodo sull’Appia Nuova!» «Gianni dice che la dobbiamo mollare da quello al Laurentino.» «Ma vaffanculo a Gianni.» «Sì sì, ascolta: la prima area di parcheggio fermati che c’è da far sembrare che l’hanno menata e violentata.» «Cosa?» Nascemi rallentò. «Ma è morta da cinque ore!» «E che ci vorrà mai! Io ancora mi scopo mia moglie che è viva da quasi settant’ anni!» Il cadavere di Jasmine venne ritrovato a Roma la mattina del 15 Febbraio. In un fosso nei pressi del campo Nomadi del Laurentino. La notizia venne divulgata dai notiziari della sera. “...da una prima perizia medica sembra che la diciannovenne di origine Domenicana abbia subito violenza sessuale post mortem.” Prima di sera c’erano già due sospetti: due giovani del campo. Origine rumena. Ventisette e trent’anni: fratelli. La mattina dopo confessarono. La confessione fu estorta a furia di calci nelle palle. Il 17 Febbraio il presidente in persona si espresse per lo smantellamento immediato del campo nomadi. Mezzo busto su tutti i TG. “Dobbiamo garantire la sicurezza dei Cittadini Romani e di tutti i turisti” Le ruspe entrarono in azione il 6 marzo. Una folla si radunò al Laurentino. L’inizio dei lavori di smantellamento fu accolto da una selva di applausi. Il 20 aprile, nell’area, iniziarono i lavori per la costruzione di un centro commerciale. Gianni chiamò direttamente sul cellulare. «Presidente.» «Ohh, Gianni. Dimmi carissimo.» «Allora si è sistemato tutto. Hai visto?» «Eh sembra di sì, ringraziando il cielo.» «Cosa ti dicevo?» «Sei stato bravo.» «Presidente, per quelle concessioni? Quelle sull’area del Laurentino.» «Eh eh. Sì sì. Stai tranquiiiiiiillo. Te l’ho promesso no?» «Grazie presidente.» «E di che?» Il 25 ottobre la segretaria del presidente ricevette una telefonata. «Devo parlare col presidente.» «Mi spiace ma è occupato.» «Occupato? Digli che Jasmine è scesa dal paradiso dei poliziotti morti in servizio apposta per parargli.» «Cosa? Ma chi è lei?» «Digli che Jasmine è scesa da quel paradiso del cazzo! Sbrigati.»
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Giacomo Dazzi è nato a Parma nel 1971. Abita a Fontevivo (PR) da sempre. Si è diplomato nel 1990 come Perito informatico. Attualmente lavora come progettista software in una azienda con sede a Corcagnano (PR). Gli piace scrivere storie (lo fa da una decina d’anni), guardare film (soprattutto polizieschi e western), leggere (alla mattina prima di andare al lavoro e alla sera prima di dormire) e andare a correre. Suona la chitarra e canta in un gruppo di Rock’n’Roll. Vincenzo Pisano nasce nel 1987 a Palermo, dove vive, lavora e studia. Sin da piccolo manifesta la sua indole artistica e dopo la maturità presso il Liceo Artistico Eustachio Catalano, di cui decora gli interni con murales street-art, si iscrive all’Accademia di Belle Arti, che tuttora frequenta e dove affina l’esperienza pratica e tecnica nelle discipline artistiche: dalla grafica d’arte classica (incisione calcografica, xilografica, litografica) a quella digitalizzata, dall’aerosol-art con aerografo alla pittura tradizionale sia figurativa che ornamentale.
racconto di Andrea Cirillo
La Luna di Traverso
La cattiva letteratura illustrazione di Giovanni Curi
«La casa editrice Il Fusto seleziona opere letterarie inedite per la pubblicazione. Per concorrere alle selezioni è sufficiente inviare una raccolta poetica, un romanzo o una raccolta di racconti, un saggio letterario, storico o filosofico. Le opere dovranno essere inviate in unica copia dattiloscritta, allegando i dati dell’autore (nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico) entro giovedì 16/12/2010. Gli autori delle opere selezionate riceveranno una proposta editoriale. I volumi pubblicati saranno diffusi tramite radio, carta stampata e internet.»
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Da La Repubblica del 12 giugno 2010.
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ARRESTATA GIOVANE SCRITTRICE. È accusata dell’omicidio di tre uomini. (ANSA) - PARMA, 23 NOV - Una donna di 36 anni è stata arrestata nella notte con l’accusa di omicidio plurimo. I detective della sezione omicidi di Parma, coordinati dal commissario capo Claudio Malafini, hanno ricondotto alla silloge poetica della donna i decessi di Filippo Marloni (33 anni), Montalba Novellari (22 anni) e Ingrid Vallow (41 anni). La donna, impiegata come segretaria per una ditta d’importexport, il 10 settembre aveva presentato il suo libro in un noto caffè cittadino. Gli inquirenti avrebbero trovato sul comodino delle vittime la silloge in questione, forse acquistata proprio il 10 settembre. La polizia di Parma ha scoperto che tale silloge è stata pubblicata a pagamento. Gli organi di competenza stanno provvedendo al ritiro del prodotto dal mercato. *** Londra, 24 novembre 2011 Doc. Ref. ELEA/CHLP/20977/2011 COMUNICATO STAMPA L’Agenzia Europea della Letteratura (ELEA) raccomanda la sospensione dell’autorizzazione alla commercializzazione di Sensazioni di un attimo (ISBN 978-88-99989-87-9). Sensazioni di un attimo è una silloge di 30 poesie vagamente baudelairiane, scritta da Marta De Ambris e pubblicata dalla casa editrice Il Fusto nell’agosto 2011 a seguito di una proposta editoriale. Il Comitato per i Prodotti Letterari per Uso Umano (CHLP) dell’ELEA ha riesaminato il profilo beneficio rischio del libro su richiesta della Commissione Europea e a seguito della segnalazione di gravi effetti avversi tra cui sette casi confermati di Leucoecefalopatia Multifocale Progressiva in pazienti che avevano letto Sensazioni di un attimo. La PML è una rara infezione del cervello che solitamente esita in grave disabilità o morte. Tre dei sette casi confermati di PML segnalati al CHLP hanno portato alla morte del lettore. A seguito della revisione di tutti i dati disponibili relativi alla sicurezza ed efficacia del libro, il CHLP ha concluso che i rischi di Sensazioni di un attimo superano i suoi benefici e che l’autorizzazione alla commercializzazione in Europa per questo libro debba essere sospesa. I librai non devono effettuare nessun nuovo ordine per Sensazioni di un attimo e i lettori che lo stanno leggendo o lo hanno fatto recentemente devono interromperne immediatamente la lettura e sottoporsi a esami medici. Si precisa che Sensazioni di un attimo è commercializzato solo nella provincia di Parma, in pochissime copie, molte delle quali già confiscate all’autrice. La raccomandazione dell’ELEA è stata inviata alla Commissione Europea per l’adozione di una decisione legalmente vincolante. *** Da Il Fatto Quotidiano del 25 novembre 2011
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Intercettazione telefonica tra Antonio Baluppi e Massimo Cistofelli, soci della casa editrice Il Fusto, effettuata il 12 ottobbre 2011, ore 15:18. M. Pronto? A. Max, non ce la faccio più… la notte manco dormo. M. Ancora questa storia! A. Eh, ma porca troia mi sa che questa volta abbiamo esagerato… M.Vaffanculo, noi diamo a quegli pseudo-scrittori quello che vogliono.
La Luna di Traverso
A. Sì be’, ma… non lo so… ma le hai lette tu le poesie? M. Sto cazzo, secondo te mi metto a leggere quella roba? Sensazioni di un attimo… già il titolo mi mette la nausea. A. Fosse un po’ di nausea… cazzo Max, quella merda ti fonde il cervello. M. Ma porca puttana, non ti sei mica posto questi problemi quando abbiamo aperto… A. Be’… M. … mi dicevi che non potevo continuare a pensare di vivere nella speranza di trovare il nuovo Pessoa. A. E se ci fanno delle domande, che diciamo? M. Diciamo che il libro non c’entra, che Marta De Ambris è una scrittrice su cui noi crediamo molto e che chiediamo un contributo economico solo perché il mercato… devo andare avanti? La conosci la prassi. A. Boh… speriamo… M. Non fare il cacasotto. Ora devo andare. A presto. A. Sì, ok… A presto. *** Da La stampa del 10 dicembre 2011 È il 23 novembre 2011, Marta De Ambris viene ascoltata dal commissario capo Claudio Malafini coadiuvato dal professore Umberto Cozzi, docente di Letterature comparate dell’Università degli Studi di Parma. Riportiamo uno stralcio dell’interrogatorio. De Ambris: Vede signor Commissario, la mia vita è triste. Ho 36 anni, sono single e il lavoro che faccio non mi soddisfa. […] Ma la scrittura mi fa sentire viva. Comm. Malafini: Così quando quelli del Fusto le hanno detto che volevano pubblicarla non ha badato a spese. […] De Ambris: Ho realizzato il mio sogno. Comm. Malafini: A costo di uccidere delle persone. De Ambris: Io non avrei mai immaginato che… […] Prof. Cozzi: Signorina, a lei piace la poesia? De Ambris: Ma certo… io… al diavolo, la trovo noiosa! Comm. Malafini: Non capisco, perché scriverla se non le piace? Perché pubblicarla se non la legge? De Ambris: La poesia va svecchiata. Prof. Cozzi: Signorina, mi scusi, ma lei ha dedicato il suo libro a Charles Baudelaire! Mi chiedo se conosce poeti che siano vivi. […] De Ambris: Io... volevo essere accettata.Volevo essere felice.
Giovanni Curi vive a Pescara. Si è diplomato presso l’Accademia di Belle Arti (Corso di Pittura) dell’Aquila con una tesi dal titolo Il Fumetto come mezzo di espressione dalle origini alla Pop Art. Subito dopo il diploma, ha frequentato un Corso di Grafica Pubblicitaria presso l’Università Europea del Design di Pescara, città in cui ha frequentato anche un Corso triennale presso la Scuola del Fumetto. Ha partecipato a numerosi concorsi: Omaggio a Tex, Oscar Comix, 2003, Chieti; Una fiaba per crescere, 2003, Associazione CaraSan, Sesto Calende (VA) (I classificato); La bicicletta d’oro, 2007, a cura del Centro Antartide; Il soffio divino negli animali, 2007, Arca 2000 Onlus; Il mio mare, 2007, IV Edizione, Casa Editrice Mandragora e Associazione Cultura e Risorse Onlus; Il viaggio, 2007, Edizioni Farnedi; Marco Pantani, 2008, Edizioni Farnedi (II classificato); Il fuoco, 2009, Proloco Gallarate (VA).
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Andrea Cirillo nasce nel 1982 e vive a Parma, dove si laurea in Lettere moderne. Ha pubblicato su riviste come “La Luna di Traverso” e “Maltese Narrazioni” e su numerose antologie, come Trenta secondi di universo (2010, narrativa) e Frecce verso l’altro (2010, poesia), entrambe edite da Marcos y Marcos, Star (2007, poesia, Tapirulan), Souvlaki (2010, narrativa, Tapirulan) e I Lunatici (2006, narrativa, Mup Editore). Alcune sue poesie sono apparse sul noto sito web di letteratura e poesia absolutepoetry.org.
La Luna di Traverso
Il volo di Simon Mago racconto di Giorgia Bandini
fotografia di Andrea Tosques
1. Un’ombra senza nome. Protetta da una grata di ferro, si conserva a Roma, nella chiesa di Santa Francesca Romana, una lastra di basalto sulla quale, secondo un’antica leggenda, si trovano le impronte delle ginocchia di San Pietro: queste vi restarono impresse quando l’apostolo pregò intensamente perché fallisse il volo di Simon Mago, che, in effetti, cadde e morì proprio dove oggi sorge la basilica. A circa 200 metri, nel caldo Largo Corrado Ricci, al numero civico 40, la carta Visa di un tailleur grigio fumo paga un pranzo al ristorante Angelino “ai Fiori”.
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2. Un nome. Il giudice dichiarò aperto il dibattimento e fece leggere i capi d’imputazione. Era la prima volta che mi capitava in cinque anni di servizio. Di solito il giudice chiede alle parti: «Diamo per letti i capi di imputazione?» Poi senza ascoltare la risposta va avanti dando per scontato che a nessuno interessi sentire cose che già tutti sanno. Quel giorno, invece, Arbizzoni decise di perdersi in tale formalità e il cancelliere ne diede lettura: Il Sig. Enrico Vallani imputato del reato previsto e punito dall’articolo 575 del codice penale perché spingendo il Sig. Michele Andrei ne provocava la rovinosa caduta dal terrazzo della sua abitazione cagionandone la morte. In Roma, 20 giugno 2011. Quell’aula di tribunale mi ricordava un’iscrizione in rame che avevo visto in Svizzera.Vi si notava, in primo piano, un giudice che sedeva impettito sul suo scranno e il cancelliere che guardava diffidente il giudice di sbieco, come Creonte aveva guardato di sbieco Edipo; sotto stava scritto la brocca rotta. Poi il giudice Arbizzoni invitò il pubblico ministero a fare le sue richieste di prova. Il Dott. Penazzi parlò poco, si limitò a dire che avrebbe provato i fatti indicati nelle imputazioni attraverso i testi della sua lista e la produzione dei documenti. Credo che anche il mio collega avesse il sentore che qualcosa stesse accadendo alle nostre spalle. Poi venne il mio turno, mi alzai e la tonaca nera scivolò sul mio tailleur grigio fumo, fino alle gambe nude. 3. L’ombra di un uomo. La carbonara di Angelino è una delle migliori di Roma, ma Arbizzoni quel giorno non aveva fame. Di fronte a lui, nel mio impeccabile tailleur, lo stavo annoiando da ore con storie d’arte e di sciocchezze simili, ero partita da lontano e probabilmente mi ero persa poco dopo, ma senza che lui potesse accorgersi di niente. Arbizzoni non conosceva la lastra di basalto della chiesa di Santa Francesca Romana, poco distante da noi, e associava il nome di Edipo solo al complesso freudiano. Eppure anche lui aveva pregato intensamente che un uomo dalle idee diverse dalle sue cadesse dal sesto piano (a rigor di cronaca il sesto piano non era stato calcolato casualmente). Eppure anche lui aveva giudicato se stesso innocente. Ma non potevo dimostrare niente di tutto ciò nella sua aula di tribunale. Gialli gli spaghetti giacevano spezzati nel piatto annodati all’uovo addensato e la pancetta sudava grasso. La brocca del vino, quella invece rimase vuota.
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4. Dal nome all’ombra. Era un vino della casa, rosso e corposo: Arbizzoni lo bevve tutto, forse per non ascoltarmi, di certo rammaricato che non gli dessi l’occasione di parlarmi di quel caso che gli stava tanto a cuore. Il giudice non sapeva ancora che le mie passioni non erano solo la giurisprudenza e la storia dell’arte, anche se, a ragion del vero, proprio grazie al mio interesse per il colore giallo nelle opere di Van Gogh ero informata, per esempio, che da una pianta che si chiama digitalis purpurea è stato ricavato un farmaco, detto digitale, che il pittore usava per alterare la percezione dei colori e che se assunto in dosi eccessive provoca una fibrillazione ventricolare; tale farmaco si può amministrare per bocca sciolto in qualsiasi liquido. Ne consegue, in termini medici, un forte dolore retrosternale ed un senso di oppressione che si irradia al braccio sinistro e alla mandibola e, in questo caso specifico, una brocca rotta. Una laurea in giurisprudenza a volte non basta a far tacere il giudice che è in noi. Io uccido. Io uccido per lasciare il mondo migliore di come l’ho trovato. Ho fatto gli Scout.
Andrea Tosques è nato a Foggia nel 1988 ed è studente di Ingegneria gestionale presso l’Università di Parma. Da un paio di anni si è avvicinato al fantastico mondo della fotografia. Fotografare per lui significa giocare e disegnare con la luce e il tempo, sentirsi liberi.
Senza Sangue
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Giorgia Bandini è cresciuta tra Parma e Vernazza (SP), dove ora, nel fango, ha perso il cuore.
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In fondo al giardino racconto di Roberto Stradiotti
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L
fotografia di Martino Ferrari
a donna bionda sorrise all’altra che le stava accanto. Quella ricambiò con un mezzo sguardo, sfilò una sigaretta e diede un tiro. «A quanto pare stiamo tutte aspettando Grippi», disse la bionda guardandosi intorno inquieta, come se una folla la premesse alle spalle. «Aveva detto che sarebbe stato qui alle tre.» La fumatrice confermò con un cenno, spegnendo la sigaretta contro il muro, perché Grippi stava arrivando trafelato, camminando come una geisha. «Eccomi, perdonate, eccomi», squittì, protendendo le chiavi. Sempre scusandosi, con profondi inchini, aprì loro la porta del suo negozio di fiori. Solo due clienti? Mai successo. Forse era colpa del ritardo. Era la prima volta che Grippi tardava mezz’ora. La cosa era talmente inusuale che la bionda glielo fece notare. Grippi scosse la testa. «Eh, a casa», disse, «a casa…» e mentre estraeva i fiori recisi da una brocca le donne si scambiarono uno di quegli sguardi che parlavano. A casa del fiorista non era accaduto niente di interessante, a parte una perdita dal lavello che aveva invaso il bagno, ma Grippi era il re delle cronache mondane e le donne erano convinte che qualcosa sarebbe comparso sui giornali del mattino seguente. E non avevano tutti i torti. La sera Grippi tirò fuori il sacchetto di olive nere, di cui andava ghiotto. Erano greche e deliziose e si sposavano con le rape rosse. Le portò a tavola e chiuse gli occhi lasciando libera la mente. Non pensava più agli affari, perché sapeva di essere il migliore. «Ciao, Ermes», disse. Il gatto lo guardò con la più assoluta indifferenza, poi prese a leccare qualcosa sul pavimento. Grippi si accorse di una scia di succo di rapa, rada e sghemba, che attraversava il pavimento e presso il frigo si condensava in una pozza scura. Mentre puliva sentì l’automobile di Tommy entrare in rimessa. Gli preparò nel piatto rape rosse e olive nere, le condì con l’olio e attese. Gli avrebbe baciato la schiena come piaceva a lui, gli avrebbe detto che era un giorno speciale. Versò del vino rosso a entrambi. Sorrise all’idea che di lì a poco gli avrebbe chiesto di sposarlo. Assaggiò il vino, poi lo chiamò. Lo immaginò entrare con un mazzo di fiori, quelli no, perdio! «Tommy?» Nei giorni speciali farsi desiderare era perdonabile, Tommy però stava diventando eccessivo. «Tommy!» Si affacciò alle scale che portavano alla cantina. Salivano il rumore del motore acceso e l’odore del gas di scarico. Grippi abbassò gli occhi e vide sui gradini una strada familiare, di rade gocce scure. Le seguì come un macabro Pollicino che si pente di essere tornato. Nella rimessa, dentro la macchina Tommy lo guardava sorridendo due volte, una con la bocca e una con la gola. E rapito da quei sorrisi Grippi crollò privo di sensi. Un uomo, impugnando un coltello insanguinato, uscì dal ripostiglio delle scope. Lo guardò, steso di traverso sulla porta, gli occhi semichiusi. «Ti è andata bene» disse. Lo scavalcò, risalì la scala a passi lenti e cercò il bagno, rovistò nei cassetti, estrasse un asciugamano, aprì la camicia e lo premette contro la ferita. Siamo così uguali,Tommy, pensò. Scostò la porta d’ingresso e si guardò intorno. Premette il pulsante di apertura del cancello e uscì in giardino. Il cielo era troppo grande e pulito per la sua vita. Un cielo così solo qualche settimana prima era stato il luogo ideale, quando con Tommy era volato da Baltimora a Roma e in mezzo alle nuvole avevano brindato e si erano giurati amore eterno. Tommy, debole e incostante, ecco cosa sei. E ti amavo anche per quello, per i tuoi sì ai quali non sapevi dare un valore, per i no mai convinti. Ecco perché quando mi hai detto di sì non ci ho creduto fino in fondo. Sì, mi avevi detto, andremo da lui e gli spiegheremo che voglio stare con te. E mi guardavi negli occhi, ma io nei tuoi vedevo la solita ombra di incertezza. E così quando stavamo entrando in rimessa e con un gemito mi hai detto di no non mi sono stupito più di tanto. Però non volevo mollarti, a nessun costo, così mi hai piantato un coltello in pancia. Il gesto sì che mi ha fatto male, più della ferita, perché
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non ti credevo capace di una cosa simile. Non riuscivi a odiare e fare del male, il vero problema era che non sapevi come cavartela nella vita. E infatti piangevi mentre mi uccidevi, stupido Tommy. Con un coltello del ristorante, pensò l’uomo e sorrise. Si immaginava la scena del goffo Tommy, che di soppiatto infilava il coltello sporco di maionese tonnata nella tasca, perché come tutti i migliori amanti aveva già considerato di uccidere, mentre fissava il bordo dorato del piatto. Il cancello d’entrata sembrava non arrivare mai, eppure era così vicino. Era l’ultima uscita di una storia e già accennava a chiudersi elettricamente. L’uomo sentì la mano bagnata sulla ferita, ma non guardò in basso, fissò le porte di metallo brunito che con un lieve cigolio, sotto il lampeggiante giallo, facevano un gioco: chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Correre non se ne parlava. Camminare, difficile. Era ora di sedersi a respirare, era ora di fermarsi. Il cancello si chiuse con un battito metallico e l’uomo rimase a guardarlo, incantato.
Roberto Stradiotti ha scordato il passato e per quello che lo riguarda potrebbe anche averne venti, di anni. Non ha debiti e non ha intenzione di farne, anche perché versa alla consorte il suo stipendio da impiegato e tira avanti con le paghette. Scrive perché poi prende sonno meglio. Sarebbe grato a chi gli gira 1 euro per il caffè. Martino Ferrari è da sempre meravigliato dalla capacità di catturare un istante. // continua a pag. 7
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Trittico sul sogno, Lomo Lubitel 166b, Pellicola 120 Fujicolor PRO 160 Colore, cm 6x6
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Segreteria telefonica racconto di Giovanni Maria Pedrani
fotografia di Luca Catellani
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isponde la segreteria telefonica di Piergiorgio Dossi. Lasciate un messaggio dopo il beep, grazie. Beep! «Sono Piergiorgio. Anita? Non sei ancora arrivata? Rispondi. Ok, se sentirai questo messaggio vorrà dire che avrai trovato la chiave sotto lo zerbino. Ho provato a chiamarti sul cellulare, ma sento che è spento. Hai dimenticato ancora di caricarlo? Brava, piccola! Volevo dirti che torno a casa più tardi. Se vuoi metti l’acqua sul fuoco. Ho fatto un sugo buono buono. È nel frigo. A dopo amore.» – Click Risponde la segreteria telefonica di Piergiorgio Dossi. Lasciate un messaggio dopo il beep, grazie. Beep! «Piergiorgio? Non sei ancora arrivato? Senti, sei irraggiungibile: arrivo tra poco a casa tua. Sono ad una cabina, poi ti spiego. Aspettami tesoro. Un bacio.» – Click Risponde la segreteria telefonica di Piergiorgio Dossi. Lasciate un messaggio dopo il beep, grazie. Beep! «Ciao pezzo di merda! Si può sapere dove cazzo sei? Se sei a casa rispondi, se no vengo a prenderti per la pelle del culo e te lo spacco! Dove cazzo sono i nostri soldi, pezzo di merda? Se non ce li dai ti faccio maledire il giorno in cui sei nato!» – Click Risponde la segreteria telefonica di Piergiorgio Dossi. Lasciate un messaggio dopo il beep, grazie. Beep! «Anita! Oddio, Anita! Se sei in casa rispondi, ti prego! Rispondi! Senti, ascoltami bene. Mi ha appena chiamato sul cellulare… No, niente, lascia stare. Non c’è tempo. Se qualcuno bussa alla porta non aprire. Mi hai capito? Non aprire! Appena entri in casa e ascolti il messaggio vai via! Vai via subito da lì! Ti spiego dopo, ma esci immediatamente! Carica il cellulare in modo che ti possa chiamare! Capito? Vai via da lì! Ti amo» – Click Risponde la segreteria telefonica di Piergiorgio Dossi. Lasciate un messaggio dopo il beep, grazie. Beep! «Anita! Non sei ancora arrivata? Dio… Ma dove cazzo sei! Ok, scusa, senti: sto arrivando. Ascoltami: è importante. Sto arrivando, ma non aspettarmi! Vai via subito da lì! Capito?» – Click Risponde la segreteria telefonica di Piergiorgio Dossi. Lasciate un messaggio dopo il beep. Grazie. Beep! «Piergiorgio? Amore? Ci sei? Senti, sto arrivando. Spero tu abbia lasciato la chiave sotto lo zerbino come al solito. Sto morendo di freddo e di fame e di voglia di te.» – Click
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Risponde la segreteria telefonica di Piergiorgio Dossi. Lasciate un messaggio dopo il beep, grazie. Beep! «Anita ti supplico… Dove sei? Sei arri…» – Click «Pronto? Anita? Sei tu?» «No, pezzo di merda, sono io. E Anita è qui con me.»
Giovanni Maria Pedrani è un ingegnere che vive in provincia. Fin dall’adolescenza confeziona romanzi e racconti di genere noir, giallo, thriller, ma anche umoristico e grottesco. Dopo aver esitato per più di vent’anni a rendere pubblici i suoi romanzi e racconti, decide finalmente nel 2004 di partecipare a qualche concorso letterario. Da allora ha collezionato numerosi riconoscimenti e alcune sue opere sono state pubblicate da case editrici, riviste e quotidiani nazionali. I suoi ultimi libri sono il romanzo thriller Nebbie d’estate (CSA Editrice, 2010) e la raccolta di racconti Il sonno di Cesare (Edizioni Il Ciliegio, 2010). Luca Catellani è nato a Parma nel 1974, si è laureato in Scienze Naturali e lavora come giardiniere. //continua a pag. 13
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L ’ultimo racconto di Alfredo Goffredi
fotografia di Valentina Scaletti
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esplosione del colpo rimbombò a lungo nel cortile interno. Fu una cosa rapida, chirurgica. L’ultimo era morto senza nemmeno potersene rendere conto, senza un grido, senza nemmeno provare dolore. In un attimo aveva cessato di esistere. Pochi istanti e il cortile venne invaso dalle guardie. Troppo tardi. Avrebbero potuto prendere il colpevole, ma che senso avrebbe avuto ormai? Dal canto suo, l’uomo non mostrava alcuna intenzione di voler fuggire, anzi il suo stare immobile, ben piantato sulle gambe, la pistola fumante ancora in mano, tradiva una profonda incertezza riguardo all’esatto modo di comportarsi, da qui in poi. La morte dell’ultimo, invece, ebbe su di loro un effetto completamente diverso. L’eco di quel singolo colpo di pistola riempiva ancora lo spazio acustico compreso tra quelle quattro mura spoglie, propagando, come un sasso caduto in acqua, le onde concentriche di un destino inalienabile: impattarono sulle prime guardie che, ormai consce dell’accaduto, presero a tremare (che fosse gioia o terrore non si può stabilire con certezza); travolsero le mediane, che in un primo momento non capirono e chiesero spiegazione; sorpresero infine le ultime, i cui fucili, nel dubbio, erano già spianati, e le sconvolsero con il peso della nuova rivelazione. Quindi, dalle prime alle ultime, le misero tutte in fuga. I turisti si erano sparpagliati verso le uscite non appena l’uomo – più tardi identificato come David Baker, incensurato professore di filosofia – aveva estratto la pistola. Ai suoi piedi giaceva l’ultimo; il
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Alfredo Goffredi: periodo – Marzo 1982 ad oggi. Descrizione impiego: figlio, studente, aspirante scrittore a tempo perso, orbitante per l’Emilia e le regioni limitrofe, in cerca di una configurazione energetica. Valentina Scaletti è nata nel 1983 a Parma, dove vive e lavora. Nel 2008 si diploma in scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Durante gli anni trascorsi all’Accademia, oltre che alla modellazione della creta, si è avvicinata alla fotografia e alla tecniche di incisione e fonderia. Nel 2001 e 2002 espone alla Mostra Nazionale di Ceramica - Centro Allende (Associazione Culturale Dante Alighieri - La Spezia). Nel 2004 collabora con la Galleria d’Arte Babele, Firenze. Nel 2008 partecipa alla collettiva di scultura Eventi scultorei cinque - Comune di Crespellano (BO), espone una personale – Alice & My secret garden − al Ground’s Art Gallery, Associazione Culturale 360° (PR). Nel 2010 partecipa alla collettiva all’interno dello Squinterno Festival (Berceto, Parma), alla collettiva The green party from Ecology to Economy - Studio Fiscalis Commercialisti Associati a Parma. Nel 2011 partecipa alla doppia personale “Flirt” con Erjon Nazeraj all’interno della Giornata del Contemporaneo LAT – Love Approach Together, presso la sede dell’Associazione Culturale Made in Art.
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cranio spappolato dal proiettile rappresentava uno spettacolo decisamente poco elegante, ma era l’unico modo per garantire il pieno successo dell’operazione. Era coriaceo, si capiva facilmente dalla sua corporatura. Mirare altrove se non alla testa avrebbe potuto rivelarsi una soluzione troppo clemente, l’avrebbero potuto salvare in qualche modo, non sarebbe certo stata la prima volta che ci riuscivano, e la sua sopravvivenza avrebbe vanificato tutto. Il fallimento non era ammissibile questa volta. Nello stesso momento in cui Baker, pedina ormai inerte di un gioco più grande di lui, terminava il proprio compito posando l’arma del delitto a terra, vicino alla carcassa, l’ultima guardia lasciava la Torre. Simultaneamente, come nella più perfetta delle costruzioni, un biglietto terminava il suo attraversamento dei corridoi reali per fermarsi nelle mani della Regina. Lei sapeva bene che sarebbe accaduto prima o poi. Era un destino telefonato da tempo quello che li teneva tutti sospesi ad un filo e quel filo era la vita dell’ultimo, che da solo non poteva certo riprodursi. Qualcuno, negli ultimi quindici anni, aveva questionato sul fatto che l’ultimo si stesse dimostrando troppo longevo. Ma non sono le stranezze come questa che compongono il tessuto del mito? Nessuno sarebbe mai stato in grado di spiegare come Baker avesse potuto portare una pistola dentro al perimetro; la teoria più plausibile ipotizzava l’aiuto di un complice interno, forse un Beefeater, ma rimane, per l’appunto, niente più che una teoria, infondata e impossibile da verificare. Fu chiaro da subito, invece, come il gesto reclamasse un rinnovamento del paese, un grido più forte di qualsiasi rivolta, immediatamente assimilabile da tutti i cittadini: per forgiare un nuovo paese la monarchia doveva farsi da parte. Quello era l’unico modo. La Regina conosceva il contenuto del biglietto prima ancora di aprirlo ma, nonostante tutto, lo sfilò dalla busta e lesse le parole che si aspettava di trovare: All’attenzione di Sua Maestà la Regina. L’ultimo corvo della Torre di Londra è morto . La Vostra presenza non è più gradita o giustificata. La camera dei Comuni e quella dei Lord chiedono quindi che lasciate la Gran Bretagna. ORA.1 La firma riportata era quella del Primo Ministro. Mentre leggeva, la bocca le si era piegata in una smorfia, le mani presero a tremare. Pensò a un complotto, ma come poteva impedire qualcosa che era già accaduto? Come poteva condannare un gesto che la privava del potere di condannare? «È la fine», pensò. Ai tempi dell’ultima guerra avevano falsificato i registri e diffuso la voce che lo shock dei bombardamenti aveva ucciso tutti i corvi. Non era vero, fu una strategia per mostrare la potenza del Regno, libero da ogni superstizione così come dallo stivale nazista. Questa volta non era così, però. Questa volta era davvero la fine.
Note È tradizione che finché ci sarà un corvo vivo tra le mura della Torre di Londra, in Gran Bretagna, la monarchia e il regno saranno al sicuro. È anche vero, tuttavia, che nessun documento prima del 1895 fa riferimento ai corvi della torre.
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Delegata la preparazione delle valigie e degli inscatolamenti vari a chi di dovere, la Regina si avviò verso l’uscita, avvertendo dal cellulare il proprio autista di tenersi pronto per un’immediata partenza. Mentre attraversava vedeva la folla sciamare nelle strade; la notizia si era diffusa in fretta. «Tutta colpa di quel cazzo di Internet», pensò. Non vedeva un simile tumulto dalla prima rivolta dell’Earl Grey, sul finire del 2011. Squadre di ruspe e bulldozer, da lontano, incedevano con lenta insistenza verso il palazzo.
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Your Ghost Your Demon Š Jon Carling (inedito, 2012)
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I Fumetti
Alessio Moroni è nato a Moncalieri (TO) nel 1990. Attualmente studente all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, si è diplomato alla Scuola di Fumetto e Animazione di Asti, entrando a far parte dell’associazione ALFA (Associazione Laboratorio Fumetto Asti) con cui porta avanti vari progetti, tra cui la realizzazione dei due volumi Zingari e Gagè. Nel 2010 ha tenuto un corso di copia dal vero, in qualità di Insegnante di Illustrazione, presso Palazzo Madama a Torino e ha partecipato al Concorso di grafica “Pietro Parigi”. Nel 2011 ha pubblicato la storia breve Ultimo sul primo numero di “ALFA magazine”. http://alessiomoroni.blogspot.com
Csam Cram abita a Verona, splendida e romantica città. Fin da piccolo appassionato di disegno, si è sempre dilettato nell’inventare nuovi personaggi e nell’immergerli in nuovi racconti. È autodidatta, ma la sua fantasia cerca di colmare questa lacuna portandolo ad esplorare nuove tecniche e storie da raccontare. A tal proposito ha creato un intero mondo con personaggi più o meno bizzarri. Per motivi di tempo – e per il fatto che il disegno attualmente è un hobby – si diletta a elaborare racconti molto brevi facenti comunque parte di un progetto più complesso ed elevato. Il racconto Che fine ha fatto Max Mark? è un pezzo fondamentale di questo intricato puzzle.
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Matteo Zallocco sicuramente non vi annoierà, in quanto non è un tipo che ami particolarmente parlare; al contrario, è attratto da qualunque tipo di immagine: disegno, pittura, fotografia, illustrazione, animazione, fumetto.. Attualmente, a 23 anni, si è diplomato alla Scuola Romana dei Fumetti e non crede che i suoi studi per il disegno siano finiti. Dopo aver seguito un corso di fotografia, sta lavorando come fotografo ma in realtà niente lo fa sentire bene come disegnare, ed è per questo che vorrebbe a tutti i costi lavorare come fumettista o magari animatore. Per adesso disegna, nella speranza che quel giorno non sia poi così lontano.
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Noir 38 LA RESA DEI CONTI
testi e disegni (china su carta e tecnica mista, cm 24x33) di Alessio Moroni
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La Luna di Traverso
Noir 41 testi e disegni (matite, colore in digitale, cm 29,7x42) di Matteo Zallocco
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La Luna di Traverso
Noir 43 Tecnica: China su carta, 20,2x27,2 cm
Tecnica: matita, inchiostro, colorate in digitale, cm 21x29,7
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Chi fa cosa... di Andrea Rabaglia «Che lavoro vorresti fare da grande?» «Lo scrittore.»
Alla domanda «Che lavoro vorresti fare da grande?», ecco seguire risposte quali: l’astronauta, il calciatore, lo scienziato, il dottore, il pasticcere, la ballerina, il musicista, l’elicotterista, il pilota, e via dicendo. Per esempio: se si sogna di diventare pilota, come minimo, bisogna saper guidare; o, almeno, imparare a farlo ed esercitarsi quanto prima possibile. Poniamo invece che il vostro sogno sia quello di diventare scrittore. Beh, allora come minimo, si suppone che si sappia scrivere. E non parlo di cosa si comunichi, ma di come lo si faccia. Molto banalmente, si allude alle basi: all’ortografia, alla punteggiatura, alla grammatica e alla sintassi, prima ancora che ai soggetti, agli intrecci, alla caratterizzazione dei personaggi, e via dicendo. No, cortesemente, non mi si risponda, magari risentiti e piccati, che poi nella filiera editoriale vi sono Correttori di Bozze ed Editor eccezionali, capaci di compiere veri e propri miracoli: la questione è altra. Viviamo in un’epoca già (molto più che) sufficientemente veloce, del tutto avvezzi a linguaggi scarni tipo smsforum-SocialNetwork e affini – nulla in contrario, naturalmente, ma quello, semplicemente, è un altro mezzo. La letteratura, però, o quanto aspiri ad esserlo, è appunto altra cosa. Poniamo il fatto che Maria abbia visto i quadri di sua cugina Giulia, esposti nella galleria di Michela, sua amica, e le scriva un sms per complimentarsi:
Noir 44 - Narrativa & editoria 44 Rubrica
“ciao giulia complimenti gli ho visti un pò in fretta ma son veramente belli a Michela gli ho detto che è propria una bella mostra” Certo, sicuramente Maria sarà stata veramente di fretta e, nel digitare l’sms, deve aver fatto non poca confusione. Prendiamo dunque l’sms con il beneficio del dubbio, auspicando che la stessa Maria, magari con un attimo di calma, possa aver scritto una e-mail più articolata all’interno della quale esprimeva le sue sensazioni in merito alle tele esposte dalla cugina Giulia, magari iniziando dicendo: Cara Giulia, perdona l’sms alquanto sconnesso di ieri sera ma, come avrai dedotto tu stessa, pur di corsa, volevo farti sapere in tempo quasi reale che cosa pensassi dei tuoi quadri. Complimenti! Li ho visti, seppur come ti dicevo un po’ di fretta – purtroppo il nuovo lavoro mi lascia ben poco tempo a disposizione –, e mi sono sembrati veramente molto, molto belli. Che cosa ho detto a Michela? Mi sono complimentata molto anche con lei, dicendole che mi è sembrata una mostra molto ben curata e interessante… […] Un caro abbraccio, Maria
Se di fronte all’sms si può provare – seppur con un certo imbarazzo – a chiudere un occhio, di fronte a racconti di aspiranti scrittori è decisamente molto meno facile farlo. Con ciò, ovviamente, non s’intende che, qualora un racconto presenti anche un solo, semplice errore ortografico, esso venga scartato d’ufficio. Sarebbe controproducente al massimo: per noi come rivista, ma indubbiamente anche per voi come scrittori. “La Luna di Traverso” è sì una rivista, ma anche e soprattutto un laboratorio. Una sorta di bottega artigianale in cui, attraverso un lavoro collettivo, si cerca di aiutare, indirizzare e, infine, valorizzare giovani talenti. Il lavoro, di certo, non è semplice; ma lo si cerca di fare nel migliore dei modi e al massimo delle nostre possibilità. Proprio per questo si è ritenuto utile affrontare l’argomento, consigliando e, anzi, esortando i giovani autori a consultare e scaricare le schede comprendenti molti degli errori ortografici più comuni e diffusi (in giro per la Rete ce ne sono diverse, alcune proprio ben fatte), al fine di evitare di cadere in trappole dovute alla lingua parlata, alle storture dei correttori automatici dei cellulari (il classico pò accentato, per esempio, al posto del corretto po’ con l’apostrofo) e, eventualmente, alle carenze di una scuola, purtroppo, sempre più in crisi. Siatene certi, inviare un proprio manoscritto privo di simili errori ad un Editore, contribuisce nettamente ad una miglior presentazione di sé, oltre che della propria Opera.
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L’e-mail di Maria, dunque, è ben altra cosa rispetto all’orrendo, sgrammaticato sms inviato, magari pigiata nella calca serale di un autobus, oppure, peggio ancora, scritto guidando l’auto o andando in bicicletta.
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andrea.rabaglia@lunatici.net
La Luna legge Recensioni Libri = Scarso
= Sufficiente
= Buono
= Ottimo
James Ellroy, Il sangue è randagio Mondadori, 2011 Violenza come teoria su cui sono fondati gli Stati Uniti e, per estensione, le democrazie occidentali contemporanee. Con questa terza “sacra” rappresentazione americana (dopo lo splendido American Tabloid e Sei pezzi da mille) Ellroy spalanca il suo consueto, magistrale inferno sotto i piedi del lettore, catapultandolo nell’estate del ’68, quando in seguito agli omicidi del Reverendo King e Robert Kennedy gli U.S.A. sembravano sul punto di incendiarsi. Le componenti con cui gioca Ellroy sono sempre le stesse, sono a prova di bomba e a ritmo serrato: omicidi, droga, sesso, violenza, potere, su cui si innesta anche un’esotica divagazione haitiana, una “vacanza” a base di voodoo e zombificazioni. Sopra tutto questo, ancora le trame degli altissimi poteri occulti, le forze del Male (con J. Edgar Hoover in testa) che muovono le fila di burattini indemionati pronti a sparare, picchiare, sanguinare per loro. Eppure, Il sangue è randagio è anche un libro diverso dall’Ellroy di American Tabloid e Sei pezzi da mille, a tratti dolorosamente autobiografico (nel personaggio di Crutchfield il guardone, non a caso forse il più umano). Ed è diverso per un insperato potere matriarcale che, soprattutto attraverso il personaggio della “Dea Rossa”, giunge salvifico a trasformare alcuni dei burattini in esseri umani. Nel suo Pantheon capovolto, sempre composto da demoni e peccatori e mai da santi e dei, Ellroy inserisce inaspettatamente la madonna rossa Joan Rosen Klein, rivoluzionaria e comunista, che con il potere ancestrale del sesso e del fascino attira a sé sicari e spietati assassini, trasformandoli in uomini che cercano, anche se nell’unico modo che conoscono, e cioè con la violenza, un (im)possibile riscatto. Armando Minuz
armando.minuz@lunatici.net
Roberto Saporito, Generazione di perplessi, Edizioni della Sera, 2011 Bisogna che la trasformazione da pensiero a scrittura avvenga senza che il pensiero se ne accorga. I personaggi di Roberto Saporito – che pubblica dal 1996 e meriterebbe una più ampia platea – si perplimono. Sono tutti perplessi, insomma. Guidano quasi tutti un vecchio Maggiolone della Volskwagen, che non li tradisce mai. Parte
Sherwood Anderson, Winesburg Ohio Einaudi, 2011
Mr. Gwyn è uno scrittore. Ha deciso di smettere.Vuole fare ritratti. Non sa disegnare.Vuole fare ritratti con le parole. Sì, ha deciso di scrivere ritratti. Quando conobbi Plasson non volevo fare altro che stare a sentire quello che avrebbe detto, ma dopo aver incontrato Mr. Gwyn ho capito che non avrei avuto voglia di passare del tempo con lui. Se potessi, gli direi: io conosco un pittore che ritrae il mare, lui sì che è interessante. Qualcuno ha detto che c’è troppo Baricco, in questo romanzo. Difficile smentire questo qualcuno, ma altrettanto difficile liquidare la delusione con vaghe parole. La verità è che c’è sempre stato molto di Baricco nei suoi personaggi (negli ospiti della locanda Almayer, nei sognatori di treni, nell’ispirata solitudine di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento), solo che allora era bello starli ad ascoltare. Che cosa è successo? Forse l’onanismo stilistico è diventato troppo, il narcisismo è cresciuto tanto da soffocare le idee. Eravamo noi, troppo ingenui per pensare di venire truffati o, senza preavviso (come quando cade un quadro), l’amore è finito? Quello che ci resta da fare è conservare il ricordo dei momenti passati insieme e accennare l’ultimo saluto con la mano, nell’eco di quella frase: Un’altra vita, saremo onesti. Saremo capaci di tacere.
Winesburg, Ohio è un romanzo rimasto inspiegabilmente nell’ombra. Pubblicato da Einaudi per la prima volta nel 1950, nel 2011 è stato ristampato con una traduzione rivista e aggiornata. È un romanzo con una copertina fuxia: nessuna immagine, solo una prima pagina colorata, come se niente servisse a spiegare perché si è scelto lui, certi che la sola lettura sia una spiegazione adatta. È un peccato che siano così poco conosciuti, questo autore e questo romanzo, perché incredibilmente attuali. La storia è scritta nel 1919 eppure estremamente moderna. Capossela l’ha giustamente definita una “Spoon River dei vivi”. Anderson racconta la storia di una cittadina del Mid-West attraverso i suoi abitantie se le storie sembrano a se stanti e chiuse in una scatola, si scopre poi che sono intrecciate tra di loro formando la ragnatela di un villaggio. Una scrittura asciutta, secca, che riesce a penetrare il foglio e l’attenzione; a farci arrivare ogni sfumatura, ogni pensiero, ogni atmosfera. Favole per adulti che si mescolano alla perfezione. La scrittura di Anderson non passa inosservata. Niente di lui ha potuto farlo, nemmeno la sua morte, avvenuta a Panama nel 1941 a causa di una peritonite, dopo che l’autore dell’Ohio ha inghiottito uno stuzzicadenti a un rinfresco in suo onore.
Carlotta Fiore
Silvia Pelizzari
silvia.pelizzari@lunatici.net
sempre. Con qualunque condizione meteo. E hanno a che fare con la morte. Forse ce l’hanno dentro. Sicuramente è fuori di loro.Vittime o carnefici, gettano sul mondo il loro sguardo ironico e disincantato. Sorprendono il lettore con il loro male di vivere, perché tutto sommato sanno gestirlo. Affrontandolo o riponendolo con simulata inconsapevolezza nel solito Armadio Personale Dei Babau. Da cui spunta fuori nei momenti più inopportuni, e per questo proprio opportuni. Diciannove racconti fra noir, fantastico e altre varianti. Storie brevi che si consumano con ritmo e velocità nel volgere di poche pagine. Magari lasciano in bocca un retrogusto amarognolo, ma che volete mai. Succede anche bevendo birra. Enrico Cantino
enrico.cantino@lunatici.net
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carlotta.fiore@lunatici.net
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Alessandro Baricco, Mr. Gwyn Feltrinelli, 2011
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Kiss Kiss Bang Bang, Shane Black, 2005 Thanks for coming, please stay for the end credits. if you’re wondering who the best boy is, it’s somebody’s nephew. Don’t forget to validate your parking and, to all you good people in the Midwest, sorry: we said “fuck” so much. Prendete un ladro maldestro che, per sfuggire alla polizia, capita nel mezzo di un provino e viene catapultato a Hollywood. Mettete il ladro Robert Downey Jr. alle calcagna di un improbabile investigatore privato omosessuale (Val Kilmer) allo scopo di apprendere i trucchi del mestiere. Se questo non bastasse ad accendere la vostra curiosità, mescolate le rocambolesche gesta di due eroi improvvisati al fascino di una donna della porta accanto travestita da femme fatale, destinata a risolvere il mistero della sorella scomparsa. Kiss Kiss Bang Bang veste il noir da commedia. Non cade nel vuoto della parodia, ma cammina sul filo, sfidando lo spettatore a domandarsi se riuscirà a mantenere l’equilibrio. È un autotreno impazzito che travolge il neofita e strizza l’occhio al pubblico esperto. Chiamatelo poliziesco, ma fatelo a bassa voce. Non fatevi sentire, se lo definite noir. Kiss Kiss Bang Bang ci ricorda che non serve un’etichetta per avere una propria identità. Nel cinema, ma non solo. Carlotta Fiore
carlotta.fiore@lunatici.net
L’Odio, Mathieu Kassovitz, 1995 La pistola rubata, prima nascosta e poi esibita e portata addosso, chiuderà la pellicola facendola precipitare dove fin dall’inizio si sapeva sarebbe caduta: in uno spazio intermedio tra momento storico circoscritto (dentro), Francia, Europa, metà anni ’90, e tempo assoluto (fuori) dove L’odio non ha possibilità di catarsi. L’arma diventa il nesso narrativo portante, per tutto il film la pistola funge da coprotagonista sia quando viene mostrata o maneggiata, sia quando viene imitata dal gesto della mano. I due momenti: l’arma reale individua la contingenza dell’evento e quella simulata una condizione a-storica in cui l’odio è parte integrante di noi stessi, un prolungamento epidermico: primordiale. Kassovitz inventa un classico tracciando un continuo passaggio tra “dentro” e “fuori” e “il fuori” è di quelli che ci fa campare, di quelli che ci mette a contatto con il mondo, con chi ti sta seduto vicino in treno, al cinema o in farmacia quando si prendono le aspirine per l’emicrania. Andrea Tinterri
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Il grande sonno Howard Hawks, 1946
La vita può essere molte cose, per esempio una festa dalle grandi aspettative poi riuscita male. La vita è due sposi che si guardano in cagnesco il giorno del loro matrimonio, e che poi si ubriacano davanti a tutti per far fiorire un sorriso. La vita è una mongolfiera di carta su cui hai scritto la parola “amore”, e dopo averle dato fuoco la guardi allontanarsi nella notte. Von Trier realizza un’opera che parla della poesia delle stelle e dei pianeti, della loro primitiva capacità di influenzare gli esseri umani, e che tributa forse un silenzioso omaggio a un regista divinamente ispirato - e beatamente dimenticato - come Tarkovskij. Una pellicola che mescola a un nitore quasi bergmaniano un’aura lisergica e magica, secondo cui l’universo non appartiene alla fisica, ma a regole troppo grandi per essere anche solo fraintese dall’uomo. Stars can frighten, direbbero i Pink Floyd di Astronomy Domine. Soprattutto, con Melancholia Von Trier gira un film dedicato alle donne, o alla parte femminile di ognuno di noi. È il femminile che risente dei moti astrali e dei movimenti remoti delle costellazioni. È il femminile che, alla fine, tenta di fare l’amore e di trarre sensualità anche dalla più ineluttabile delle disgrazie, mentre gli uomini sono occupati a puntare telescopi verso il cielo. Il vero protagonista del film è però Melancholia stesso, offuscato solo dalla luce cupa di un’indescrivibile Kirsten Dunst, brava e bella da togliere il fiato. Sua la carne candida e bianca illuminata nottetempo dalla luce di un pianeta ambiguo e vicinissimo alla Terra, in una delle scene più evocative del film. Da brividi il prologo del Tristan und Isolde wagneriano.
Vedere un film di Howard Hawks è come osservare una lattina di Coca-Cola o sfogliare qualche foto di Dorothea Lange o ancora accendere la TV e riprendersi una puntata dei Simpson. Quello che voglio dire è che Hawks è entrato a far parte di una narrazione collettiva di un racconto americano che, in quanto racconto, non deve assumersi l’onere del reale ma costruire il nostro immaginario, necessario anche ad un pubblico europeo per non capire nulla forse dell’America ma giocare ad immaginare di sedurre una taxista chiedendole d’inseguire una macchina. Nel caso de Il grande sonno la trama è difficilmente rintracciabile diventando un manto appoggiato a terra su cui far scorrere due immagini, Lauren Bacall e Humphrey Bogart: sono loro, in una danza in cui si avvicinano per pungersi e quindi allontanarsi nella promessa di un addio, a definire le regole del gioco suggerendo allo spettatore in quale illusione confondersi. Tutto questo amalgamato nello stereotipo di un genere (gli stereotipi sono forme necessarie al riconoscimento e quindi al mito) quello del noir: i titoli di testa sono accompagnati dalla siluette dei due divi, lui accende la sigaretta a lei per poi provvedere alla sua, il tabacco brucia segnando graficamente l’altezza dello schermo. Ambienti interni, pioggia, notte, fari, erotismo evidente nella sua censura: un mare afoso da cui affiorano due boe che ondeggiano; in una delle prime scene Bogart si ritrova in una serra, metafora del clima della narrazione, beve due Brendy, suda e ascolta l’incipit della storia:
Armando Minuz armando.minuz@lunatici.net
Andrea Tinterri andrea.tinterri@lunatici.net
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Melancholia Lars Von Trier, 2011
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«Ama le orchidee?» «Non particolarmente» «Sono orribili, la loro carne assomiglia troppo a quella umana e il profumo ha la putrida dolcezza della corruzione».
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Bad as me, Tom Waits, 2011 Sette anni: provate a pensare a tutte le cose che possono cambiare in un simile lasso temporale. Chi invece rimane fedele a se stesso è Tom Waits, forse proprio per la poliedricità della sua – ormai quarantennale – produzione artistica. E così, dopo Real Gone, ecco finalmente questo album: ispido, languido, fumoso, avvolgente e cavernoso come capolavori passati quali Swordfishtrombones e Rain Dogs. Vite raccontate, ostinatamente, dal punto di vista di chi le vive, o si trova costretto a viverle, dalla parte sbagliata. Musicalmente, nessuno sconvolgimento rispetto a quanto Waits ci ha abituato: qualcuno potrebbe eccepire che è sempre il “solito disco”, ma di dischi così, ultimamente, ne escono veramente pochi. Andrea Rabaglia
andrea.rabaglia@lunatici.net
Demolished Thoughts, Thurston Moore, 2011 Una svolta decisamente noir per molti fan, se si scoprisse che Thurston Moore ha realmente fatto fuori il suo omonimo gemello rumoroso, fondatore dei Sonic Youth, per dedicarsi esclusivamente al folk. Dimenticatevi quindi sfuriate elettriche, valigie di effetti, fiumi di feedback e bordate di noise: Demolished Thoughts è un album intimista, sussurrato all’orecchio dell’ascoltatore come il più dolce dei segreti. Minimalista ed essenziale, ad impreziosire gli arpeggi della chitarra acustica solo un violino, un’arpa e un violoncello. Melodie delicate, avvolgenti, che paiono sottratte agli ultimi dischi della sua band. In fondo, lo stile è il solito marchio di fabbrica Moore: manca solo l’elettricità e un (bel) po’ di rumore in sottofondo. Ma non è necessariamente una critica. Anzi. Andrea Rabaglia
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Sulla sanguinosa scia del maestro Cash, Cave pubblica Murder Ballads, una collezione di efferati delitti, narrati spesso dagli stessi carnefici in un clima teso e claustrofobico. Non mancano, tuttavia, aperture melodiche di struggente bellezza e vibrante intensità. “Song of Joy” è un vero e proprio capolavoro noir, capace di confondere le idee dell’ascoltatore tanto da non riuscire più a distinguere la vittima dal carnefice. “Stagger Lee”, dall’incedere marziale, è contraddistinta da un giro di basso ipnotico, oltre che da un piglio tragico e malefico. “Henry Lee”, un invito ad uscire dalle atmosfere cupe e ossessive; ma solo musicalmente: PJ Harvey veste infatti i cruenti panni di femme fatale. “Lovely Creature” è un capolavoro visionario, una ballata tragica come La Belle Dame Sans Merci di Keats, dove Romanticismo, Amore e Morte si confondono. “Where the Wild Roses Grow” parrebbe la trasposizione in musica dell’Ofelia di J.E. Millais. Kylie Minogue interpreta una giovanissima donna che, al pari dell’Ofelia shakespeariana, conoscerà una triste sorte causata dall’amore, dalla follia e dalla sua stessa bellezza. “All Beauty must die”, recita il testo, e ancora una volta riecheggia Keats. In “The Curse of Millhaven”, la morte è di nuovo un’ossessione: “We all have to die”. La maledizione del piccolo villaggio cui allude il titolo, genera un crescendo di fatti di sangue che non risparmia nessuno. “The Kindness of Strangers”: il titolo è ironico, il lieto fine non contemplato. Dopo avere in qualche modo omaggiato Sergio Leone e Clint Eastwood (“O signor Smith e signor Wesson/ Perchè chiudete bottega così tardi?”), “Crow Jane” è racchiusa in questo passaggio: “Le abbiamo domandato che strada avrebbe preso/ Ci ha risposto che avrebbe preso la strada dell’odio”. “O’Malleys’ Bar”, un quarto d’ora di apocalittico sproloquio d’uno psicopatico omicida all’interno di un bar. “The Ballad of Robert Moore and Betty Coltraine”, ancora una volta il lato oscuro dell’amore: Betty, contesa da più uomini, è all’origine di una sparatoria. “Death is not the End” parrebbe quasi voler stemperare la scia di sangue lasciata orrendamente alle spalle, addolcendo le musiche e cantando che, in fondo, la morte non è poi la fine di tutto… Ma i lieti fine mal si abbinano alla poetica caveiana, ed ecco allora un dubbio raccapricciante insinuarsi in noi: e se l’atrocità continuasse anche in seguito, dopo la morte? Andrea Rabaglia
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Murder Ballads, Nick Cave and The Bad Seeds, 1996
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«Cash ha rivelato l’intera gamma dell’esistenza umana: fallimento e rinascita, catene e fuga, debolezza e forza, perdita e redenzione, vita e morte.», Al Gore. Il “romanzo” noir che ci serve è tutto qua: canzoni oscure, drammatiche, romantiche. Storie di conflitti, inganni, “dure prove”. Storie di nostalgia e sconfitte. La verità custodita nel mito della speranza. Recensire in poche righe Mr. Cash è difficile: è il cantautore dell’umana tendenza all’oscurità. Ha parlato – con la penna che gli hanno dato il country e mezzo secolo di folk alle sue spalle – a tre generazioni narrando di uomini semplici, del martirio di ogni fottuto giorno, dell’America dei treni e del cotone, del lavoro e della fatica, dell’adolescenza infelice e di quel senso ineluttabile di morte appiccicato al suo vestito nero. Solitudine, sofferenza, piccole storie di anime di provincia, dei loser, dei drogati come lui, dei dimenticati da Dio; le anfetamine, le prigioni ma anche la voce della dignità, il folk del Greenwich Village e delle proteste per i diritti, il blues filtrato dal Vecchio West, l’amore che brucia. Voglio ricordare tre “cardini” della sua storia: Johnny Cash With His Hot And Blue Guitar, la sua “prima volta” At Folsom Prison, la sua personale preghiera per uomini soli e perduti; American IV: The Man Comes Around, l’ultimo album dell’Uomo in nero, prima della sua morte, dove “Hurt” di Trent Reznor ci fa sanguinare il cuore. Here I depart ‘til we meet again… Federica Pasqualetti
federica.pasqualetti@lunatici.net
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Discography, Johnny Cash, 1957-2010
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L’intervista Alessandro Sambini di Andrea Tinterri
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Le tue ricerche sfruttano scritture di- le immagini nonostante la loro apparente belverse spaziano dalla fotografia al video, lezza o perfezione tecnica/estetica? Io cerco di senza escludere la parola scritta; credi decodificare gli immaginari a cui ogni immagine che oggi sia necessario proporre una appartiene e le modalità con cui esse conservacomunicazione contaminata e meticcia? no e perpetuano certi messaggi. Ogni immagine, Per quali motivi? è figlia di un contesto che l’ha prodotta, che la Il fatto che la mia ricerca utilizzi diverse tipolo- ospita, che la pone in dialogo con l’osservatore. gie di scrittura è una conseguenza del fatto che Il fotografo è colui che produce la fotografia ma ogni progetto è rivolto ad un contesto specifico la comprensione della traiettoria di un’immagine o trae ispirazione da immaginari caratterizzati da si completa quando si arrivano a definire anche aspetti precisi; per fare un esempio: in A Bombed le ragioni che l’hanno portato a produrre quello Tower era necessario cucire quei video amato- scatto ed il luogo in cui questa verrà mostrata. In riali per dar voce alla possibilità di sfida che pro- questo modo, ogni tipo di comunicazione soffre ponevano nei confronti del potere. In Bona Fide, di una contaminazione inevitabile. A me interesera necessario mettere a confronto diversi tipi sano due tipi di immaginario: il primo è quello dei di immagini per mostrare in che modo l’idea di media ufficiali, il secondo è quello amatoriale. Nel fiducia-in-ciò-che-vedo si declinasse all’interno primo le immagini vengono prodotte e diffuse in dei video-contratti e nel modo in cui questi sono maniera calcolata, per innescare un effetto ben costruiti. Direi quindi che l’accento non sia sul preciso nello spettatore (pubblicità, telegiornali). proporre una comunicazione contaminata e me- Questo tipo di narrazione ha un livello di comticcia, bensì sul rendersi conto che affrontare di- plessità molto alto; sono infatti molte le strategie versi immaginari porterà spesso ad un resoconto creative coinvolte che agiscono sulla matericità più o meno variegato e multiforme. Parlando di visuale dell’informazione in causa: dal marketing “comunicazione contaminata” credo che si do- al montaggio, dalla psicologia alla postproduzione vrebbe definire tra chi e chi e il doppiaggio, ecc. Nel sestia avvenendo una forma di condo, le immagini vengono comunicazione. Successivaprodotte per ragioni molto mente: se la comunicazione personali, a volte nel tentatra questi due poli è contativo di imitare i media stanminata, che cosa la contamidard, a volte per dare una na? La fotografia effettivapropria visione del mondo. mente negli ultimi 15 anni si È chiaro che si parla già di è “sporcata” di pixel, per cui due linguaggi, di punti di si potrebbe dire che a subire partenza e di arrivo diversi. un processo di corruzione Io investigo queste dinamie di inquinamento sia stata che per poterle riproporre l’estetica stessa di questo decontestualizzate, per isolinguaggio; probabilmente, lare ed evidenziare la loro però, le immagini precedenti possibilità intrinseca. non erano necessariamente più “pulite”. Come definire la Nel video A Bombed Tower has contaminazione? Cosa altera A bombed tower graps our gaze again © A. Sambini grasped our gaze again è rac-
Interroga l’immagine del potere e la sua divulgazione anche Presidents: lo schermo è diviso in rettangoli all’interno dei quali compaiono le immagini (ufficiali) di diversi presidenti e le voci, sovrapponendosi, creano una massa sonora indistinta e incomprensibile. Il risultato è un cortocircuito informativo: le immagini sono raccolte da “YouTube” e riflettono schemi standarizzati (presidente con dietro una bandiera). Quindi una tradizionale immagine, potremmo dire novecentesca, del potere ma distribuita da un canale che scardina l’ufficialità della comunicazione: questa diacronia viene interpretata dal suono indistinto e magmatico, un rumore prolungato. Cosa ne pensi e soprattutto cosa aggiungeresti? La rappresentazione del sovrano, che risponde a canoni ben definiti da diversi secoli, viene riproposta invariata su YouTube. Attraverso la “massa sonora indistinta e incomprensibile” di cui parli ho tentato di suggerire come la sollenità, l’aura
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montaggio. Ed è proprio nell’audio che s’annida un altro livello di rottura con la narrazione ufficiale: ogni clip-video, oltre alle immagini, conserva anche un proprio voice-over (i commenti di chi filma, delle persone accanto, ecc.) che diventa il commentary alternativo di tutto lo spettacolo. Non solo: è accaduto spesso che i video caricati su YouTube fossero gli stessi video che venivano registrati ma a volte questi video venivano riproposti sottoforma di qualcos’altro; qualcuno cambiava la musica, qualcuno i colori, qualcuno aggiungeva un ulteriore commento: qualcuno modificava le immagini. In particolare un utente ha ritagliato la forma della torre mentre “esplodeva” e l’ha fatta diventare un razzo in partenza per lo spazio. Trovo che tutti questi livelli di rottura, assommati, costituiscano una possibilità di sfida nei confronti della narrazione ufficiale. What does making history means? Chiede la bambina alla fine. Cosa significa fare la storia? Una domanda che nasce spontanea quando il padre, rivolgendosi alla madre che sta filmando l’evento, afferma: You are making history! State facendo la storia, ma cosa significa fare la storia? In che modo, filmare, commentare, riproporre immagini di cui ci siamo riappropriati diventa “fare la storia”? Che tipo di storia? Ranciére parla di “spettatore emancipato” e ritiene che nella riproposizione delle immagini ci sia il potenziale per modificare il mondo: lo spettatore modifica il mondo. È possibile delineare una storia delle immagini in questo processo di produzione/diffusione/riappropriazione e riproposizione?
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contata l’inaugurazione, a Dubai, della torre più alta del mondo. Il lavoro si divide in due parti, la prima, The spectacle of Power, riporta la narrazione dell’evento vista dai media ufficiali (anche se, elemento non trascurabile, filmati dalla televisione); la seconda, The spectators, è un montaggio di video amatoriali dello stesso evento. Due punti di vista diversi: nella seconda parte l’immagine si dilata, la comunicazione da verticale si trasforma in orizzontale: in alcune scene si vedono riprese di cellulari che, in questo caso, assumono la funzione di memoria collettiva ed indipendente. Il tutto si conclude con una scritta, What does (making)history means? L’obiettivo del progetto sembra, appunto, quello d’interrogare l’interazione tra “ufficiale” e “amatoriale”: un nuovo codice di trasmissione della storia, un modo diverso di pensare e ricordare l’immagine. Quali sono le tue riflessioni in merito? Il tentativo di quel lavoro è di far uscire il potenziale presente nei video amatoriali considerandoli non come visioni separate l’una dall’altra, bensì come una moltitudine di parti di una stessa regia. A differenza del filmato prodotto e distribuito in diretta per quell’evento dai media ufficiali, dove la regia era perfettamente cosciente di quello che sarebbe accaduto, i video amatoriali riflettevano l’incoscienza e lo stupore che quel tipo di spettacolo causava in ogni singolo spettatore. Ai videooperatori della televisione veniva assegnato un luogo da cui filmare l’intero evento. Sapevano che avrebbero dovuto, per esempio, mantenere un’ottica molto stretta sulla cima della torre o un ottica molto larga dalla base verso l’alto per un tempo, anch’esso, ben definito. Sarebbe stato il regista a “saltare” da un’inquadratura all’altra, da un videooperatore all’altro: i singoli operatori, però, non avevano capacità di decidere e di contribuire alla narrazione per immagini che si stava creando se non tecnicamente. I turisti che filmavano invece si. Il loro occhio è un occhio libero, non erano vincolati da un’inquadratura: potevano decidere, in ogni istante, ciò che per loro era più importante registrare. Non solo: ciò che guidava i loro movimenti di camera erano tutte le emozioni che mano a mano li accompagnavano durante lo spettacolo. Ho pensato di considerare quelle migliaia di telecamere come dei video-operatori inconsapevoli e di diventare regista di questa narrazione “saltando” da una camera all’altra. Per montare tutti questi video (circa 500) ho dovuto sincronizzare l’audio di tutti. Fortunatamente, durante lo spettacolo veniva diffusa una colonna sonora, che è diventata la colonna portante del mio lavoro di
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di potere e di intoccabilità che nel tempo hanno caratterizzato la rappresentazione del sovrano (attraverso l’uso di certi segni come la bandiera, i bambini, lo scettro) stiano lentamente svanendo; un processo inevitabile, accelerato dalla comprensione sempre più lucida da parte dello spettatore dei meccanismi di costruzione delle immagini. Chi osserva non confida più in un potere sovrano e non confida più nella sua manifestazione attraverso queste forme di display. Il tuo lavoro appare spesso come una riflessione geopolitica sempre attenta all’immagine, in molti casi come strumento di coercizione. Mi riferisco al video Bona Fide, che interroga un particolare tipo di emigrazione, quello delle badanti, e il suo riflesso comunicativo. Parlando con te di questo progetto mi ha colpito una tua frase: “l’emigrato lascia un buco dal luogo da cui Cumuli © A. Sambini scappa”. Alla luce di questa considerazione vorrei capire quale atteggiamento hai voluto mantenere rispetto al tema trattato e come, concretamente, hai costruito il lavoro (contatto diretto con i testimoni, come ti sei informato, come hai ricomposto le singole parti). La prima cosa che ho voluto esplorare erano le ragioni che spingevano delle persone ad emigrare per lavoro a grande distanza dal proprio paese. La mia attenzione si è spostata subito verso le Filippine che rappresentano una sorta di standard a livello mondiale in termini di sedimentazione profonda di una cultura della servitù che ha riflessi nella vita quotidiana. Infatti, le migliaia di donne e uomini che lasciano ogni anno il paese per lavorare all’estero vengono chiamati: The Great Filipino Workers. Trovavo curioso che noi occidentali avessimo bisogno di un’ulteriore persona che si occupasse dei figli, della casa e degli anziani e che questo ospite-per-contratto, di fatto, non potesse occuparsi più dei propri figli, della propria casa e dei propri genitori: ecco il buco che tu citavi. A cambiare è l’idea stessa di famiglia. Da una parte, nei paesi occidentali dove i lavori in casa non sono più svolti solamente dalle donne, nasce una
famiglia-azienda all’interno della quale interagiscono delle persone extra che hanno una valenza ambigua; queste persone offrono le cure tipiche di una madre o di un padre pur non essendo legate da un vincolo sanguigno alle persone affidategli; l’unico vincolo è economico (da qui il titolo del lavoro, Bona Fide, un passaggio all’interno del contratto standard che regola il rapporto di lavoro tra una collaboratrice domestica ed un datore di lavoro ad Hong Kong e che sancisce la totale buona fede delle due parti). Un cortocircuito clamoroso visto che a casa loro, in maniera altrettanto fragorosa, manca completamente una figura essenziale. Il concetto di servitù è certamente molto antico, non mi interessava denunciarlo quanto esplorarne le dinamiche nell’odierno. Ho parlato con diverse collaboratrici domestiche (rumene, ucraine, moldave, filippine) in diversi paesi europei (Italia, Regno Unito, Cipro) ed a tutte ho chiesto come vedessero questo loro emigrare, questo tipo di vita, se fossero felici. Tutte dicevano che era una stepping stone, una fase di passaggio dalla quale si sarebbero presto affrancate. Le storie che ho sentito erano a volte molto crude ma quello che le accumunava era la lucida consapevolezza e l’atteggiamento stoico. Da una parte la mia ricerca era molto personale, emozionale, dall’altra era di denuncia nei confronti di chi tratta questo fenomeno come se questi “attori” non avessero coscienza di quello che fanno ma che fossero solo vittime incoscienti di dinamiche perverse. Ho anche, in questo senso, messo l’accento sul fatto che le immagini che accompagnano queste storie sono spesso stereotipate: raccontano a noi occidentali, ancora fascinati dall’esotico antropologico e dal maligno che imperversa nel mondo a noi sconosciuto, storie e scenari che vedono le persone vittime croniche. È sicuramente doveroso combattere ciò che non è giusto, difendere chi soffre, ma sono i nostri comportamenti quotidiani ed il nostro grado di “evoluzione” e benessere che alimentano certe dinamiche “ingiuste” a migliaia di chilometri da
Tracciando un profilo del tuo percorso, per concludere la breve riflessione, sembra che l’interesse si concentri sulla narrazione e su come essa venga costruita, distribuita e quindi recepita dal fruitore. Perché questo interesse? Pensando anche agli eventi in Nord Africa e Medio Oriente, come credi che oggi stia cambiando il modo di narrare? È fuori luogo parlare di una democrazia comunicativa partecipata? Perché trovo che ci sia una potenzialità di qualche tipo, che ancora non mi è chiara, nell’attività di riappropriazione delle immagini da parte degli spettatori. Questa comunità, si appropria dei materiali visivi e li ripropone in un’altra veste usando gli stessi mezzi tecnici che sono stati usati da chi ha proposto loro quelle immagini. Per questo parto dalla narrazione originale, dalla costruzione e dalla distribuzione, per capire cos’è cambiato lungo il percorso e a cosa di specifico lo spettatore si è addomesticato: al montaggio? Al ritmo? Al gusto? Non sono in grado di rispondere alla domanda su come stia cambiando il modo di narrare, però credo che si stia dando molta attenzione alle macrostorie ed alle macronarrazioni; sarebbe interessante esplorare anche come avvengono gli scambi in nuclei ristretti di persone, i microcodici comunicativi coinvolti, le strutture microfilmiche, le microsceneggiature che sono legate a porzioni di società e di territorio molto piccole. Le tre parole: “democrazia”, “comunicativa” e “partecipata”, mi spaventano molto, non credo molto né alla prima né all’ultima. Preferisco constatare l’esistenza di una forma di comunicazione largamente partecipata. Democrazia comunicativa partecipata = rumore di fondo, democratico-per-assioma. (La caratteristica del rumore di fondo è che ogni volta che alzi la cornetta del telefono il fruscio è la e puoi decidere di intervenire).
Alessandro Sambini (Rovigo, 1982) diplomato in Research Architecture al dipartimento di Visual Culture del Goldsmiths’ College di Londra. Attraverso la fotografia, il video e l’utilizzo di supporti multimediali riflette sulla necessità e le modalità di produzione di nuove immagini, la loro circolazione e diffusione, i diversi ambiti di relazione tra l’immagine e il pubblico.
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Cumuli è un progetto del 2010: una serie di fotografie che ritraggono cumuli artificiali, ma spesso integrati nello spazio dalla memoria collettiva, perdendo, in questo modo, la percezione della loro contraffazione e quindi del loro pericolo. Discutendo insieme di questo lavoro hai citato il testo di Benjamin il carattere distruttivo: l’orrore del quotidiano. Come si integrano le due riflessioni? Provo così: il primo uomo traccia traiettorie rette tranciando il paesaggio di netto. Suddivide ciò che si trova davanti, ne accantona i residui in zone non utilizzate, ai margini. Con lo sguardo fisso all’orizzonte egli vede davanti a sè la nuova strada che attraversa e quest’attività perenne di distruzione e costruzione lo soddisfa. Il secondo uomo lo segue e non vede solo quella strada ma anche i residui del disfare e del tracciare del suo predecessore “integrati nello spazio”. Egli allora traccia dei recinti attorno a questi cumuli con dei segnali per l’uomo che verrà; segnali di pericolo, di allerta, perché il paesaggio che lo sguardo indagherà non sarà reale, non sarà puro bensì pericoloso e infingardo. Il terzo uomo che verrà vedrà il pericolo sostituito al paesaggio originario, ormai mutato; egli rimarrà fermo, immobile, impotente drammaticamente e si chiederà: “Che aspetto avrebbe il paesaggio se nulla di male gli fosse stato fatto prima di me? È questo ciò che voglio vedere? Guarderei allo stesso modo quello che ho di fronte o in maniera diversa se mi fosse data la possibilità di riappropriarmi di quella condizione iniziale? Distruggerei anch’io se fossi messo nella condizione in cui era il primo uomo?”. Oggi, per questioni “evolutive”, abbiamo delegato le decisioni importanti sui cambiamenti del territorio ad un ristretto gruppo di persone che, per il Bene Comune e leggitimate da questa investitura democratica, distruggono il territorio con molta facilità. La maggior parte delle persone, invece, non può più farlo con la stessa
facilità. Questo ci lascia un po’ più di tempo per dannarci nei confronti di quello che è stato fatto o è stato lasciato fare dai nostri padri.
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noi. In questo senso trovavo fastidioso il consumo ipocrita di certe immagini.
La Luna di Traverso
L’altra intervista TITO FARACI di Silvia Pelizzari & A.G.
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uando noi della Luna di Traverso abbiamo deciso di dedicare l’ultimo numero del 2011 al tema Noir ci è venuto naturale chiedere un’intervista a Tito Faraci. Non ha bisogno di presentazioni, ma noi ci proviamo comunque. Nasce a Gallarate quarantasei anni fa. Si può dire che sia sceneggiatore da sempre. Sue le tavole di moltissimi fumetti passati tra le mani di intere generazioni: da Zagor a Topolino, da Diabolik a Tex, fino ad arrivare a Lupo Alberto e Dylan Dog, tanto per fare qualche nome. Ha scritto per Bonelli e Marvel, capisaldi del settore, ed è suo l’adattamento a fumetti di Senza Sangue, tratto dal romanzo di Alessandro Baricco e disegnato da Francesco Ripoli. Ha inoltre scritto per Einaudi Topolino Noir, con le illustrazioni di penne quali Cavazzano, De Vita, Ziche, Scarpa. Ha appena pubblicato per Piemme il romanzo horror Oltre la soglia, in libreria dall’11 ottobre e disponibile anche in e-book. Protagonista un gruppo di adolescenti alle prese con un mondo colpito da un’epidemia che trasforma gli adulti in esseri violenti e terribili. Al centro della storia il giovane Jaco e i
suoi amici, che cercano di sopravvivere in un mondo alla deriva. Faraci è bravissimo a immergersi nell’universo adolescenziale, assumendone i tratti e i modi di fare con una scrittura estremamente scorrevole. Gli scrivo un pomeriggio di novembre. Lui, sempre disponibile e gentilissimo, è ben lieto di concederci un’intervista. Com’è nata l’idea di un romanzo? Che difficoltà hai riscontrato (se le hai riscontrate) con questo tipo di scrittura rispetto a quella per fumetti? Non era un romanzo nel cassetto. Una bella fortuna: almeno non ho avuto quel tipo d’ansia. La responsabile della collana FreeWay, della Piemme, mi ha incontrato in un corridoio della redazione e mi ha sorpreso con una richiesta. Sapeva che avevo scritto storie di Dylan Dog, sapeva soprattutto della mia passione per Stephen King, e allora mi ha detto: “Ci piacerebbe un romanzo alla It”. Eh, già... a chi non piacerebbe? Era una sfida, una provocazione. L’ho voluta raccogliere. Anche se poi, per fortuna, il riferimento a King è stato una stella polare, per non perdere la rotta, ma ho trovato, io credo, una voce mia. Non ho tentato di clonare il Maestro. A ogni modo, ho cercato un’idea che si potesse riassumere in quattro parole. Che sono state queste: tutti gli adulti impazziscono. Un punto di partenza, per un percorso lungo e difficile. Sceneggiare una storia a fumetti significa progettarla. Il rapporto è meno intimo, meno diretto, rispetto a quello che si ha con un romanzo. Quando sceneggi, scrivi soprattutto indicazioni per il disegnatore. I dialoghi sono solo una parte limitata di quanto contenuto in una sceneggiatura. In un romanzo, ciò che scrivi è ciò che il lettore leggerà. Tutto quello che scrivi.
Qual è l’elemento più complesso nella sceneggiatura di un fumetto noir? Mah, come in ogni scrittura di genere, forse riuscire a mantenere una propria cifra stilistica. Fare sentire la propria voce, anche quando si utilizzano dei canoni. Il lettore si aspetta certe cose, certi percorsi. E, nello scarto - anche apparentemente minimo - tra tali attese e quello che tu effettivamente gli dai, c’è la tua cifra, il tuo stile. A un giovane fumettista che volesse farsi le ossa nel fumetto noir quali autori di riferimento (di fumetti e non) segnaleresti? Quali sono stati quelli che hanno accompagnato il tuo personale percorso di sceneggiatore? Nella narrativa, Chandler, Hammett, Thompson, Spillane; e poi Ellroy, Connelly. Sono davvero tanti i nomi che mi vengono in mente. Nel fumetto, si va da Gottfredson a Sclavi (molto “chandleriano” nel suo primo Dylan Dog, se ci fate caso), passando per Sampayo e Munoz, il Magnus dello “Sconosciuto” e il Frank Miller di “Sin City”. A ogni modo, le
Consiglia ai nostri lettori i tre fumetti noir che consideri l’eccellenza. Molte classiche storie di Topolino di Floyd Gottfredson, con il supporto ai testi di Bill Walsh, hanno un autentico spirito noir. Soprattutto nel modo in cui il protagonista entra, anzi, precipita nella storia. È straordinario l’universo criminale di Torpedo, consigliatissimo. E poi, visto che ho solo tre scelte, il già citato “Lo Sconosciuto di Magnus”.
La Luna di La Traverso Luna di - Intervista Traverso
Da Topolino a Diabolik, da Dylan Dog a Senza Sangue hai saputo declinare i diversi aspetti del noir. Qual è la sostanziale differenza tra un noir a fumetti rivolto agli adulti e quello rivolto a una fascia d’età più allargata? In realtà, come non mi stanco mai di ripetere, per me scrivere per bambini significa scrivere anche per bambini. Avere un pubblico in più, non uno in meno. E peraltro un pubblico molto ricettivo, pronto a seguirti su strade impervie, senza schemi mentali cementificati dagli anni e dalle abitudini. Quindi, l’unica mia eventuale preoccupazione è non utilizzare elementi - sesso e violenza, diciamo - che potrebbero turbare un bambino. Nulla più del puro buonsenso. Ma non tratto i bambini da bambini. È un’ottima regola.
storie si nutrono di storie. Ogni scrittore è, innanzitutto, un lettore.
Tito Faraci, ovviamente, non è solo fumetto noir; dai tuoi esordi fino ad oggi hai dimostrato di essere uno degli autori più versatili del fumetto italiano. A livello di scrittura come gestisci le tue incursioni nei diversi generi e formati su cui ti abbiamo visto al lavoro negli ultimi anni? Devo dire che mi vengono abbastanza naturali. Mi piacciono i generi, mi piace studiarne strutture e meccanismi. E la varietà dei miei gusti come lettore - seppure all’interno dei generi - si riflette nella varietà delle cose che scrivo. Adattarsi ai vari formati è un problema più grosso. Ma non sono poi tanti: il fumetto popolare italiano si è sviluppato sulle tre strisce, comuni a Topolino, Dylan Dog, Tex. Fa eccezione Diabolik, una sorta di “manga involontario”, con le sue pagine di due, tre vignette al massimo. Per sceneggiarlo devo cambiare ritmo. Se potessi avere carta bianca sul personaggio di un altro autore su quale ti piacerebbe lavorare e in che modo? Mi piacerebbe provare a scrivere una storia di Superman. Un vecchio sogno, credo inattuabile. Ma non so esattamente come ci lavorerei. Quando hai uno stile, finisci per applicarlo istintivamente.
Tito Faraci Vive e lavora a Milano. Ha scritto storie a fumetti, pubblicate in vari paesi del mondo, per personaggi come Topolino e tutta la banda Disney, Dylan Dog, Tex, Diabolik, Lupo Alberto, Spider-Man, Capitan America, Devil e Brad Barron (una sua “creazione”). Ha vinto numerosi premi, fra i quali quello per il miglior sceneggiatore a Lucca Comics, nel 2004. Per l’Einaudi, nel 2000, è uscito il volume “Topolino Noir – Storie di Tito Faraci”, in seguito ripubblicato negli Oscar Mondadori come “La nera di Topolino”. Con Alessandro Baricco, ha scritto “La vera storia di Novecento”, trasposizione disneyana del monologo teatrale “Novecento”. “Il cane Piero, avventure di un fantasma” è il primo libro di Faraci per Il Battello a Vapore.
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Questa consapevolezza mi ha stordito, soprattutto all’inizio.
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Concorsi & Co. Concorsi, Bandi, iniziative PREMIO NEBBIAGIALLA PER LA LETTERATURA NOIR E POLIZIESCA PER IL RACCONTO INEDITO Il festival NebbiaGialla, la testata giornalistica MilanoNera e l’Istituzione Città di Suzzara (MN) organizzano, in collaborazione con Giallo Mondadori, un premio letterario per il miglior racconto giallo, thriller e noir e del mistero per esordienti. Scadenza: 31.03.2012. Il racconto vincitore verrà pubblicato su uno dei volumi della collana Giallo Mondadori. Il regolamento lo potete trovare qui: hotmag.me/nebbiagialla (quota di adesione)
PREMIO LETTERARIO GIOVANE HOLDEN L’Associazione Culturale “I soliti ignoti” con il patrocinio della Provincia di Lucca organizzano la VI edizione del premio letterario per autori esordienti (romanzo, racconto, poesia, silloge). Scadenza 18.05.2012. I vincitori verranno pubblicati dalla casa editrice Giovane Holden. Il regolamento lo potete trovare qui: www. giovaneholden.it (quota di adesione) IOSCRITTORE TORNEO LETTERARIO Il gruppo editoriale Mauri Spagnol intende rilanciare una competizione paritaria affidata alla rete che dia luogo a una comunità di scrittori e lettori
forti. Una nuova formula di scouting e una alternativa valida al self-publishing con un unico claim “Se l’hai scritto, va valutato”. I lettori scelgono gli scrittori e il vincitore verrà pubblicato con una delle case editrici del gruppo editoriale. Dedicato ai romanzi, scadenza: 12 marzo 2012. Il regolamento lo potete trovare qui: www. illibraio.it/ioscrittore/ home.htm (gratuito) DALLA POESIA, IL RACCONTO Il concorso letterario per autori esordienti promosso da Terre di Mezzo Editore e dalla Scuola Holden parte dai versi di Wislawa Szymborska per arrivare alla narrativa. Cercano racconti di 5400 battute;
scadenza 15.02.2012. Il vincitore verrà pubblicato su Terre di mezzo - Street magazine. Le informazioni le potete trovare qui: magazine.terre. it (gratuito) Tenete d’occhio, anche se i nuovi bandi non sono ancora usciti, questi premi: Premio Perelà: un concorso letterario per esordienti in collaborazione con Lalineascritta; la Scuola Holden, la scuola di scrittura di Raul Montanari. premioperela.blogspot.com Premio Italo Calvino: un concorso letterario importante destinato agli scrittori esoridienti. premiocalvino.it
corto circuito
concorso per microdrammi ad alto potenziale Le associazioni I Lunatici e UOT_unità di organizzazione teatrale presentano la prima edizione di corto circuito concorso nazionale di microdrammaturgia per corti a tema libero. Battute fulminanti, situazioni elettriche, fili scoperti da non toccare: due personaggi si incontrano e sono subito... scintille. Ma basta anche un solo personaggio per creare momenti di alta tensione drammatica. O comica. Insomma, le possibilità sono tantissime, le parole invece devono essere poche: corto circuito vuole valorizzare nuove idee di drammaturgia che in poche battute (max. novemila) dicono tutto quello che c’è da dire. E anche di più. La partecipazione è gratuita e i corti vincitori – selezionati da esperti del mondo del teatro – saranno pubblicati in un’antologia a cura dei Lunatici e presentati alla III edizione di Fermenti_forme di vita teatrali, rassegna di teatro contemporaneo organizzata da UOT che si terrà nella seconda metà di giugno al Teatro alla Corte di Giarola (Parma). Ai primi di febbraio bando con info e scadenze su:
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www.lalunaditraverso.it
www.associazioneuot.it
Silvia Bia è nata a Parma il 29 febbraio e per questo le piace credere che non invecchierà mai. Giornalista professionista, è sempre in cerca di novità e progetti in cui lanciarsi, a volte anche follemente. Lunatica di nome e di fatto, ama viaggiare, scrivere e adora il Giappone e i manga. Non sa ancora cosa farà da grande. silvia.bia@lunatici.net
Federica Pasqualetti è nata nel giorno più lungo dell’estate e per questo ha un pessimo carattere. Ha fatto: l’archeologa, la libraia, la scrittrice. Si occupa di enogastronomia e cucina ma non fa tutorial online. Sopra ogni cosa: B.Vian,A. Jodorowsky, E. Lee Masters, E. Carnevali, W. Shakespeare, H. Selby J., C. Pavese, R. Arenas, R. Carver, L. Ferlinghetti, J. Fante. Nel cuore: F. Kalho, C. Claudel e i Joy Division. Se fosse nata maschio avrebbe fatto il pugile. O il pirata. A volte ha un blog: writing.infraordinario.it federica.pasqualetti@lunatici.net
Enrico Cantino fa parte della “Banda Lunatica” da un po’. Ha 46 anni, una laurea in Materie letterarie, un libro nel cassetto (riguardante le tecniche narrative dei cartoni animati giapponesi), un nuovo blog (il primo si è rotto) all’indirizzo http://abatelunare.tumblr.com/ e tre o quattro passioni. Non di più, perché preferisce concentrarsi su poche cose per volta. enrico.cantino@lunatici.net
Silvia Pelizzari in 28 anni di vita ha capito che quello che conta davvero è la messa in piega. In subordine, la letteratura. Si appassiona alle scrittrici suicide e a certi autori americani contemporanei.Voleva fare la giornalista ma poi i programmi sono cambiati. Ora cerca di leggere tanto e bene, pensarci e rielaborare con parole sue. È una grande sostenitrice del punto e virgola; il suo blog è http://babbazza.wordpress.com. silvia.pelizzari@lunatici.net
Massimo Carta è nato e vive a Parma. In una vita precedente ha scritto alcune raccolte di racconti, collaborato con quotidiani e riviste locali, letto molto di ciò che poteva trovarsi in forma scritta e ha fondato nel 2001 assieme a pochi coraggiosi, La luna di traverso. Attualmente divide il tempo tra il lavoro, il lavoro, il lavoro e due bambini meravigliosi. massimo.carta@lunatici.net
Federica Sassi è nata e vive a Parma, dove lavora nel settore dell’editoria (è una formidabile ufficio stampa!) e nel settore dell’allevamento dei figli (è una mamma meravigliosa!). La domanda sempre pronta è: “come mai il tempo è sempre la risorsa più scarsa?”. Non ha ancora trovato la risposta e neppure il rimedio.
Carlotta Fiore è nata nell’agosto del 1983. È da sempre innamorata dell’America, specialmente dopo averla incontrata. Combattuta tra l’amore per la scrittura e la passione per la recitazione ha deciso di diventare critica cinematografica. Se si rivelasse la scelta sbagliata ricorrerebbe al piano B: trasformarsi in una cantante country. carlotta.fiore@lunatici.net
Roberta Gatti è nata e vive a Parma. Pur collaborando da anni con una rivista letteraria, si trova in imbarazzo ogni volta che si tratta di scrivere. Anche la sua biografia. Laureata in Lingue e letterature straniere con una tesi su David Garrick, deve essersi montata la testa e insieme a un manipolo di eroi sta tentando di gestire un piccolo teatro di provincia. roberta.gatti@lunatici.net
Andrea Rabaglia è nato nello stesso anno in cui da un racconto di Jim Thompson ha preso vita una pellicola di Alain Corneau. Laureato in Lettere Moderne, vive e lavora a Parma, ma appena può cerca conforto tra le cime dei monti. andrea.rabaglia@lunatici.net
© Chiara Samugheo
Andrea Tinterri è laureato in Lettere Moderne, frequenta il corso magistrale in Storia e Critica delle Arti e Spettacolo. Nel 2010 pubblica un racconto sull’antologia Trenta secondi di universo pubblicata dalla Marcos y Marcos. Collabora con lo CSAC, Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma. è nel consiglio direttivo di “Monumenta” Ass. culturale, per la difesa dei beni culturali e urbanistici di Parma. andrea.tinterri@lunatici.net
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© Giovanni Amoretti
La Luna di Traverso
Ledella facce luna
Armando Minuz nel 1975 Frank Zappa sciolse i Mothers of Invention e il buon Dio, nella sua infinita misericordia, decise di bilanciare il Karma negativo del mondo destinando il Nobel a Montale e facendo nascere il piccolo Minuz. Per il resto non successero grandi cose. Giunto oltre i 30, vanta una laurea in letteratura italiana sulla retorica e il comico nelle opere di Luigi Malerba, collaborazioni con alcune case editrici, alcuni amori e amicizie indimenticabili (molti dei quali sono libri, cd, film). È il chitarrista del miglior gruppo della storia del rock dopo gli Who. Il miglior gruppo del mondo, davvero. Solo che il mondo non vuole proprio rendersene conto. armando.minuz@lunatici.net
La rivista letteraria “La Luna di Traverso”, edita dalla Casa editrice Monte Università Parma e dall’Associazione Culturale “Lunatici”, bandisce un NUOVO CONCORSO PER NARRATORI, FOTOGRAFI, ILLUSTRATORI e FUMETTISTI. REGOLAMENTO Art. 1 - TEMA DEL CONCORSO Il nuovo tema dell’edizione n°32 de “La Luna di Traverso” è Mattatoio n. 2012 «E io mi domandai rispetto al presente, quanto vasto fosse, quanto profondo fosse, quanto fosse mio». Come nel romanzo di Kurt Vonnegut Mattatoio n.5, cerchiamo testimonianze del nostro presente. Il Mattatoio è un luogo come un altro dove ci fermiamo a ragionare e guardiamo quello che c’è intorno a noi: mondi tragici sull’orlo di una crisi di nervi, vite fragili, coscienze in crisi, atrofia della mente, miseria, deserti, asfalto, i soldi, la pubblicità, la rabbia, la televisione, illusioni, speranze, la voglia di vivere e di crescere, la voglia di essere. Cerchiamo testimonianze di questo millennio per raccontarci che siamo ancora in grado di capire, di reagire, di amare, di essere onesti, di lottare. Cerchiamo testimonianze di quello che vediamo, di quello che sentiamo, di quello che vogliamo. Art. 2 – REQUISITI PER LA PARTECIPAZIONE Il bando è rivolto a giovani autori operanti nei settori della Narrativa, della Fotografia, dell’Illustrazione e del Fumetto residenti, domiciliati, studenti o lavoratori nel territorio nazionale. Si richiede materiale inedito, in lingua italiana, che non sia stato premiato in altri concorsi o già pubblicato, anche parzialmente, oppure presente in Internet. La partecipazione al bando è totalmente gratuita. Art. 3 – MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE e INVIO DEI MATERIALI Opere narrative: si ammettono racconti originali ed inediti per una lunghezza massima di 5400 battute, spazi inclusi. Fotografie: si ammettono per ogni autore da 1 a 5 fotografie, originali e inedite, in bianco e nero o a colori, formato 10x15 cm. È preferibile scansionare ed inviare il materiale via mail o tramite posta su cd rom, con risoluzione minima 300 dpi. Illustrazioni: si ammettono per ogni autore da 1 a 5 tavole, originali e inedite, in bianco e nero o a colori, del formato massimo di un foglio A4 (21x29.7 cm). È preferibile scansionare ed inviare il materiale via mail o tramite posta su cd rom, con risoluzione minima 300 dpi. Fumetti: si ammettono un massimo di 2 tavole in bianco e nero o a colori, in cui sviluppare un racconto e realizzarlo con tecnica a libera scelta, del formato di un foglio A4 (21x29.7 cm). È preferibile scansionare ed inviare il materiale via mail o tramite posta su cd rom, con risoluzione minima 300 dpi. Per una maggiore valorizzazione, fruizione e aderenza agli intenti artistici e comunicativi di ogni fotografo o illustratore o fumettista si richiede, ove lo stesso autore lo ritenga utile e necessario, di indicare il titolo della propria opera, le dimensioni e la tecnica utilizzata. Questi dati verranno indicati come didascalia di accompagnamento alle fotografie o illustrazioni che verranno scelte per la pubblicazione. Le opere di tutti i partecipanti (Narrativa, Fotografia, Illustrazione, Fumetto) dovranno essere obbligatoriamente accompagnate da: una breve biografia dell’autore (massimo 800 battute, per evitarne tagli arbitrati) corredata dai dati personali (nome, cognome, indirizzo, recapiti telefonici, indirizzo e-mail). Farà fede il timbro postale. Eventuali attestati di partecipazione al concorso saranno assegnati agli artisti che ne faranno richiesta solo qualora i loro lavori vengano selezionati. I materiali dovranno essere inviati via mail a: lalunaditraverso@gmail.com Chi volesse, può comunque inviare le proprie opere per posta tradizionale, facendole pervenire al seguente indirizzo: MUP Editore,Vicolo al Leon d’Oro, 6 43121 Parma. Art. 4 – TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI e RESPONSABILITÀ In relazione alla previsione che il materiale possa essere pubblicato e utilizzato dalla redazione per letture e reading, in esecuzione del Decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), il partecipante fornisce il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali. Ogni autore partecipante sarà responsabile per i contenuti della propria opera. Inoltre i candidati si faranno garanti che l’opera presentata è originale, che non è mai stata premiata né presentata in altri concorsi, né mai pubblicata, nemmeno parzialmente, né immessa nella rete Internet. Art. 5 - CRITERI DI SELEZIONE e PREMIO Per la valutazione delle opere si terrà conto della qualità, dei percorsi di ricerca formale e dell’originalità dei testi e delle immagini. Il premio del concorso consiste nella pubblicazione dell’opera sulla rivista “La Luna di Traverso”, in formato cartaceo e digitale. Solo i vincitori saranno contattati dalla redazione e riceveranno al proprio domicilio due copie omaggio. Non si accettano racconti e materiali già editi o che hanno partecipato a bandi precedenti. Le decisioni della Commissione redazionale saranno inappellabili e il materiale non verrà restituito. Partecipando all’eventuale selezione, si concede il diritto, a titolo gratuito, di prima edizione delle opere inviate senza avere nulla a pretendere come Diritto d’Autore. Art. 6 – SCADENZA Le opere devono essere consegnate entro e non oltre le ore 12.00 del 2 aprile 2012.
INFORMAZIONI Per ulteriori informazioni, rivolgersi ai seguenti indirizzi email: lalunaditraverso@gmail.com - info@lunatici.net - redazione@lunaditraverso.it www.lalunaditraverso.it
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Signori benvenuti al...
S
crutai la pista metallica senza pronunciare una parola. L’emozione del salto mi era calata nelle vene, gelida, irruenta, faticavo a respirare e quasi non mancarono di tremarmi le mani dal tanto che mi sentii mordere il petto. Assomigliava al rimpianto, era una strana sensazione. Avevo passato una vita intera tra calcoli, esperimenti, laboratori, eppure, ora che sapevo quanto poco tempo avremmo vissuto, l’occasione di entrare in contatto con una dimensione totalmente sconosciuta non mi destava più alcun interesse. L’unica cosa che desideravo era di baciare la donna che amavo, fino a notte fonda, sulla pelle abbronzata che sapeva di salsedine, sulla spiaggia dove ci piaceva ammirare il riverbero della luna, la marea che danzava sul bagnasciuga come un fruscio d’estate. Fu durante uno scambio di battute sulla Luna di Oppure stiamo confondendo solo lucciole per Immaginai la sua carnagione bruna, la chioma che guarniva la bellezza del suo volto, e mi perdetti nel Traverso “Noir” che, fra risatine splendidamente lanterne. Stiamo disturbando uno scrittore, una ricordo di quella dolcezza mentre un nugolo di mani si affaccendava per attivare il circuito elettronico frivole e nasi storti, un po’ all’insù, fece capoli- lucciola che emana luce di meraviglia senza che della mia attrezzatura. La tensione del corpo, ricalcata dalla rigidità dei muscoli, si affievolì per un mono il fantasma nero di Gadda. Fu ripensando a nessuno glielo chieda, senza chiedere nulla in mento. Fu come sognare a occhi aperti. Non feci il minimo movimento e rimasi cosi immobile che l’uoquel capolavoro ambiguo e in fondo deformato cambio. Siamo uomini e donne “comuni” che, mo nascosto sotto ai tre strati sintetici della tuta dovette sembrare morto. I tecnici colpirono un paio da molta critica che è il Pasticciaccio. Sembrava già insonni, percorriamo le strade di notte, lungo i di volte contro il casco per avere la mia attenzione. Fui scosso da un brivido e alzai le palpebre, di colpo. tutto pronto per essere colto, anche se il prezzo fossi, per catturare le lucciole. Siamo cresciuti in Stavano cercando di dirmi qualcosa, urlavano, ma non potevo capirli. L’isolamento acustico del casco era infilare le mani fra i rovi di una selva inclassifi- tenera età leggendo non libri ma antologie e duntrasformava tutte le parole in un rimbombo ovattato e sordo. I tecnici fecero quindi dei segnali con la cabile, e di farlo in una sola paginetta, tipo tesina. que creiamo generi e sottogeneri, creiamo miti mano. Alzarono due dita, più o meno dove immaginavano che fosse il mio sguardo, nascosto dalla visiera Ma la domanda era troppo bella – e pericolosa – e su essi edifichiamo religioni, imbastiamo croa specchio, e scandirono lentamente il movimento delle labbra: ancora due minuti e sarei stato operaper non essere almeno discussa, anche a costo di ciate in nome del giusto e del santo. Così nasce tivo. Digrignai i denti, sapendo che non potevano vedermi. La verità è che ero troppo fragile, o realista, sembrare ingenui, o di tornare a esserlo. Il Pastic- anche il “noir”: un’immagine monocromatica che, per immergermi senza rancore in quella cieca illusione, e i loro occhi pieni di speranze, che avrebbero ciaccio poteva essere letto, a ritroso, come noir, soltanto se si ha il coraggio e la pazienza di osserriempito d’orgoglio chiunque fosse stato al mio posto, mi gettarono in uno stato di enorme inquieanzi diremo ora e per sempre “nero”? Non tanto varla da vicino, rivela la sua composizione in mitudine. Credevano davvero che da qualche parte, lì nell’altra dimensione, nell’ultra-mondo, si celasse la nel conclamato “non-finale” del libro, perché il croscopiche, minuscole tessere. Ma noi preferiachiave della nostra salvezza. Sollevai lievemente la mano. I tecnici videro il mio guanto bianco accennare noir quasi sempre punta al finale, ma perché non mo creare il mito, preferiamo barattare l’incerto un gesto di consenso. Furono impartiti degli ordini, sulla visiera comparirono dati digitali. Aspettai che gioca quasi mai la carta del caos ma della dispe- per il certo, dove in realtà ci troviamo soltanto venissero scollegati i cavi di sostegno e quando fui libero iniziai a muovermi. La lunga piattaforma sorazione (si pensi a Viale del Tramonto o al Falcone scrittori che vivono le loro dannate, incasinatisspesa nell’aria, che era infissa di cablaggi, conduttori elettrici e led che ne illuminavano le grate in ferro, maltese, pietre miliari del genere), del fato che fa sime vite. Definire un genere è dunque impresa pareva essere un percorso di scintille affacciato su un orizzonte più tetro e scuro della notte ai margini ricadere l’uomo nelle stesse vecchie trappole, in ardua e scorretta. E soprattutto definire Gadda del cosmo. La fonte dei nostri guai era laggiù, sul fondo. La osservai inibito, spaventato, come se mi fossi una dannazione che, com’è stato ripetuto fino “noir” significa forse disturbare il fantasma deltrovato in corpo la pura sensazione del nulla. Un nero, nerissimo abisso si ergeva a pochi chilometri di alla nausea, sa di tragedia greca o di dramma sha- lo scrittore italiano informe per eccellenza? E se distanza, ricoprendo il panorama intero. In verità non era niente che potessi vedere, o descrivere, ma kespeariano. fosse solo un luogo comune? solo un puro concentrato di massa, da cui nemmeno la luce riusciva a sfuggire, che cresceva e divorava e risucchiava tutto quanto in un groviglio di assoluta gravità senza colore. Era terribile sapere che in pochi giorni anche la stazione scientifica sarebbe stata raggiunta. Quando arrivai a destinazione, l’agitazione divenne Ancora una trovato volta, miunchiesi cosadimi avesse spinto ciglio di O insopportabile. forse abbiamo semplicemente po’ di che macchie inchiostro nero frasul le pagine delquell’orrore. PasticIl portale si trovava al termine dellatracce rampa. Come un ponte interrotto, il tragitto si annoiato, fendeva affanel vuoto, ciaccio. E se fossero solo piccole di un originalissimo “noir” tutto italiano: affranto, al limite di una bassa ringhiera e di due antenne che oscillavano alle estremità di un unaromanzo balaustra. ticato, tragico e forse incompreso nel momento stesso in cui non viene cercato? C’è che Mi avvicinai.non Improvvisamente due antenne dove si accese iridescenti. Segmenti di fulmine. I finisce, dove non sulle si trova il colpevole, non c’èqualcosa. soluzione Luci poiché la realtà è troppo complessa, dati che monitoravano l’atmosfera esterna, proiettati condella precisione sulla visiera,ofurono disturbati spietata, illogica, caotica, feroce, insospettabile: è il gioco soluzione nonmia necessaria impossibile da strane interferenze. Al posto delle informazioni numeriche, teca di vetro, aleggiarono confuse di Gadda. Se fosse solo che abbiamo “qualcosa da dirvi e nulla dasulla risolvere”? spazzolate di colore, più simili al risultato di un sismografo impazzito che al prodotto di una catena di sensori avanzati. Allungai braccio, inilpreda alla confusione. Oltre la ed rampa, crollando a velocità pazze Tutto qua? ilAffatto… fighting prosegue in rete, è aperto a tutti.
Gadda vs. il noir
Avete qualcosa da dire? Fatelo qui: info@lunatici.net
Registro Tribunale di Parma n째14 del 5/9/2005 - Finito di stampare nel mese di dicembre 2011 da Pressup - Roma.