2011 - Anno 11 n° 30 - MUP Editore - ₏ 5,00
Laboratorio di Narrazioni
Ultramondi
Disegno ed elaborazione digitale, 2011 Ettore Tomas è nato in provincia di Napoli nel 1979 e vive a Sasso Marconi (BO). Dopo una maturità scientifica e una laurea presso l’Accademia di Belle Arti in Decorazione, si è specializzato in Grafica. Dal 2003 partecipa a mostre, concorsi, progetti, Mail Art in Italia e all’estero. Tra le più recenti: nel 2010 presentazione del corto Micro il circo, Future Film Festival (Palazzo Re Enzo, Bologna) con il quale ha partecipato al Lucas Film Festival di Francoforte; partecipazione al progetto e al catalogo 4OUR, The Screamer Company (Austin, Texas); 3° Classificato a Fabbricanti di libri, (Lecce). Nel 2011: mostra personale Disegni (e non solo) a cura di Lamberto Caravita (Galleria Arteincontro, Conselice - RA); partecipazione alla manifestazione e catalogo Use a book - IV Festival del libro d’artista e delle piccole edizioni, a cura di Elisa Pellacani (Barcellona). Attualmente è impiegato come insegnante di arte e immagine presso una scuola media statale.
DIRETTORE Massimo Carta
LA LUNA DI TRAVERSO Ultramondi
VICEDIRETTORE Federica Pasqualetti ORGANIZZAZIONE E COORDINAMENTO Associazione Culturale “Lunatici” REDAZIONE Silvia Bia, Enrico Cantino, Simona De Blasio, Carlotta Fiore, Roberta Gatti, Armando Minuz, Silvia Pelizzari, Andrea Rabaglia, Federica Sassi, Andrea Tinterri, Denis Zuliani RELAZIONI ESTERNE Andrea Rabaglia REALIZZAZIONE GRAFICA Simone Pellicelli STAMPA Pressup - Roma PROMOZIONE E DISTRIBUZIONE PDE - Promozione Distribuzione Editoriale INFORMAZIONI Per collaborare alla rivista scrivi a: redazione@lalunaditraverso.it lalunaditraverso@gmail.com info@lunatici.net Il giudizio e il lavoro editoriale della redazione sono insindacabili e accettati implicitamente.
Laboratorio di Narrazioni 2011 - Anno 11 n° 30 © 2011 MUP Editore ISBN 978-88-7847-378-2 ISSN 1826-5367-11029
Incipit d’autore Il Signore degli Anelli | di J. R. R. Tolkien La macchina della realtà | di W. Gibson & B. Sterling Racconti Gilmore World | di Enrico Elvis Crotti I grigi | di Alberto Vacca La chiesa del Diametro | di Roberto Guarnieri Madre | di Adriano Marchetti Ricordi i bastioni? | di Lorenzo Carbone The Club | di Claudia Ceci Ultramondi | di Muriel Benassi Uno stato apparente | di Domenico Sivilli FUMETTI Ultramondi | di Giacomo Agnetti Il viaggiatore | di Mario Del Pennino Sabbia | di Luca Giorgi Il sonno genera sogni | di Hélène Taiocchi INTERVISTA Moreno Burattini, sceneggiatore
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Gli autori pubblicati riceveranno due copie in omaggio.
COMUNE di PARMA Assessorato al Benessere e alla Creatività Giovanile
www.lalunaditraverso.com www.lunatici.net www.mupeditore.it
IN COPERTINA Biker woman © Lateral Studio/Giovanni Roschini, digital painting Elia Bonetti nasce a Parma nel 1983 e vive a Castell’Arquato. Dopo la consueta gavetta, gli esordi su Diabolik ed uno sfortunato numero di Trigger (il #5) mai uscito, sottopone alcune sue prove a C.B. Cebulski presso la fiera di Mantova: il riscontro è positivo e l’artista nostrano finisce nel 2009 per disegnare un one-shot scritto da Paul Jenkins inserito nell’operazione Captain America: Theatre of War. Si concentra poi sul mercato francese, realizzando per la casa editrice Soleil un episodio della serie L’ordre des dragons, pubblicato nel 2010. Questi ultimi mesi sono stati molto prolifici: dapprima la miniserie Hollow Point per la giovane etichetta Radical Comics (testi di David Hine); poi un’altra storia per la Soleil ancora in fase di completamento; infine il grande ritorno alla Marvel con Fear Itself: Home front, uno dei crossover più ambiziosi della Casa delle Idee. Alessandro Vitti nasce a Taranto nel 1978. Sotto la guida di Giuseppe Palumbo realizza varie illustrazioni per importanti case editrici e nel 2002 esordisce come disegnatore grazie alla rivista “Frigidaire”. Da quel momento in poi collabora a varie serie, sia francesi che italiane, tra queste: Brendon, L’insonne e X-Campus. Negli ultimi anni si è concentrato sul mercato americano grazie alla Top Cow (Broken Trinity: Pandora’s Box) e alla Marvel Comics (Secret Warriors, Doctor Voodoo). Nel 2011 nasce il Lateral Studio dalla volontà di diversi giovani autori, fra cui Elia Bonetti e Alessandro Vitti, provenienti da differenti settori artistici, che si sono prefissati l’obiettivo di unire le energie per realizzare produzioni personali e non solo, con lo scopo di mostrare liberamente le proprie tendenze stilistiche e creative, prive di particolari vincoli editoriali. Inoltre lo studio è anche un’agenzia di creativi che mette a disposizione le proprie capacità professionali per lavori legati alla grafica e all’editoria.
Sommario
La Luna di Traverso è sostenuta dall’Archivio Giovani Artisti di Parma e Provincia dell’Assessorato al Benessere e alla Creatività Giovanile.
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Frammento di Zion, china
La Luna di Traverso
COMUNE di PARMA Assessorato al Benessere e alla Creatività Giovanile
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bbattere le barriere dell’ovvio e del consueto è un imperativo che ognuno di noi dovrebbe imporsi. Come se fosse un esercizio di sopravvivenza, un’opportunità da non lasciarsi sfuggire. Perché, così facendo, scoprirebbe che dietro quanto è normalmente considerato prevedibile e ordinario, si celano mondi che sono, all’opposto, imprevedibili e straordinari; mondi che possiamo almeno immaginare o, se soltanto lo desideriamo, anche vivere.
Ecco, “Ultramondi”, il tema a cui è dedicato questo ricco e stimolante numero de “La Luna di Traverso”, ci dice proprio questo, ossia che esistono mondi che vanno oltre, dimensioni ignote, tutte da esplorare, in cui la fantasia, la creatività, l’originalità di ognuno di noi possono esprimersi fino in fondo, realizzando non solo quello che per una volta vorremmo - e potremmo - essere, ma soprattutto quello che intimamente siamo. In una parola, la nostra identità. Anche il ParmaFantasy, a cui si lega questo numero della rivista, offre da alcuni anni un’opportunità unica, interpretando questa esigenza e questa possibilità. Perciò nel tempo si è consolidato fino a diventare una tappa obbligata per gli appassionati del fantasy di tutta Italia. Lorenzo Lasagna Assessore al Benessere e alla Creatività Giovanile
Dario Baldinetti è nato a Torino nel 1974. Si è diplomato al Liceo Artistico “R. Cottini” e successivamente in Decorazione presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Ha iniziato ad esporre nell’anno 2000 in vari locali, sia nella città di Torino, sia nella provincia di Piacenza. Oltre a dipingere, da qualche anno si è avvicinato al mondo del fumetto e dell’ illustrazione. Collaborando con il Circolo “Il Senso delle Nuvole - Arcadia” di Piacenza, ha esposto in altre manifestazioni tra le quali “Fullcomics” e “Disegni in Circolo”, presso Villa Raggio di Pontenure.
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Supereroe
La Luna di Traverso
La Luna di Traverso
Editoriale Ultramondi
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Sara Guarracino vive a Parma da sempre. Ha una casa, un marito, un gatto, una bicicletta, qualche amico, un po’ di oggetti, due lavori e un sito internet: www.infraordinario.it
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osa sono gli Ultramondi? Sono quelli che si incontrano nei sogni, che si immaginano a occhi aperti. Realtà parallele in cui tutto diventa possibile, dove ogni cosa è diversa da come ce la saremmo aspettata. Ma in fondo li viviamo anche tutti i giorni, nei piccoli gesti quotidiani, nelle abitudini e nelle passioni: come la letteratura. Scrivere è qualcosa di reale, fisico, ma nello stesso tempo accende la luce su infiniti angoli nascosti agli occhi degli altri, racchiusi nell’intimo gesto di una lettura o di un pensiero messo su carta. Per questo nuovo numero “La Luna di Traverso” ha deciso di lanciarsi nell’esplorazione di questi Ultramondi, mutando forma ed evolvendo anche in funzione di essi. La capacità di una rivista letteraria di rimanere in vita nel tempo è anche legata al sapersi rinnovare, esplorando nuove dimensioni e varcando i confini di realtà diverse da quelle del passato. È per questo che con il numero 30 anche “La Luna di Traverso” svela i suoi Ultramondi: non solo quelli degli autori che hanno partecipato al bando, ma anche quelli della nostra Associazione Culturale Lunatici, che da questo viaggio esce arricchita, aperta a tante novità e nuove scoperte. Per prima cosa la partecipazione a una bellissima manifestazione come ParmaFantasy, per testimoniare come la letteratura, la fotografia e la narrazione si nutrano di tutto quello che è il fantastico e l’immaginario, alimentandolo sin dall’inizio dei tempi con storie che avvincono e continuano ad appassionare. Proprio per questa occasione, con una uscita speciale e un tema così ricco di sfumature, “La Luna di Traverso” continua la sua esplorazione nel mondo del colore a 360 gradi, affiancando al classico bianco e nero tutte le tinte della fantasia a colori. Un restyling che presto coinvolgerà anche il nostro sito internet, www.lalunaditraverso.com, sempre aggiornato con recensioni e notizie delle nostre iniziative. L’evento ParmaFantasy ci ha offerto la possibilità di allargare il nostro mondo anche al fumetto, che si è affiancato alle illustrazioni grazie alla preziosa collaborazione della Scuola Internazionale di Comics. Infine, come coronamento di questo nuovo progetto, al posto del classico racconto d’autore abbiamo una copertina d’autore, realizzata appositamente per la rivista dedicata agli Ultramondi da Elia Bonetti e Alessandro Vitti con il loro Lateral Studio, giovani promesse del panorama fumettistico, con importanti collaborazioni alle spalle tra cui l’importantissima Marvel. E sempre rimanendo in tema di grandi firme del fumetto, tra le pagine della Luna di Traverso potrete trovare un’intervista a Moreno Burattini, sceneggiatore di Zagor, uno dei più grandi e importanti protagonisti dei fumetti della Bonelli Editore che proprio al ParmaFantasy celebrerà il 50esimo anniversario di nascita. Piccoli grandi segnali che dimostrano la nostra voglia di crescere, di ricercare, di evolverci. In questo numero abbiamo viaggiato in nuove dimensioni e siamo tornati più forti, più ricchi, più nuovi. Siamo tornati per raccontare i vostri e i nostri Ultramondi. Ma il viaggio è appena cominciato.
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Incipit d’autore Il signore degli anelli di J. R. R. Tolkien
illustrazione di Marta Farina
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bbene, osserva attentamente!», e lo stregone lo lanciò all’improvviso nel mezzo dei tizzoni incandescenti del camino, con sommo stupore e rammarico di Frodo, che con un grido si slanciò per afferrare le molle; ma Gandalf lo trattenne. «Fermo!», ordinò con timbro severo, lanciando una rapida occhiata a Frodo da sotto le setolose sopracciglia. L’anello non subì alcuna apparente trasformazione. Dopo un po’ Gandalf si alzò, chiuse le imposte e tirò le tende. La stanza diventò scura e silenziosa, benché il rumore delle forbici di Sam, ora più vicino alle finestre, giungesse ancora attutito dal giardino. Per un attimo lo stregone rimase in piedi fissando il fuoco, quindi dopo essersi chinato per prendere l’anello con le molle e posarlo per terra davanti al camino, lo raccolse subito. Frodo lanciò un grido. «È perfettamente freddo», lo rassicurò Gandalf. «Prendilo». Frodo tese una mano riluttante: l’anello sembrava più spesso e pesante che mai. «Tienilo tra il pollice e l’indice e guardalo da vicino!», disse Gandalf. Frodo fece come diceva lo stregone, e vide delle linee finissime, più fini di quella della più esile penna d’oca, tutto intorno all’anello, sia all’interno che all’esterno: linee di fuoco che parevano formare le lettere di un flusso di parole. Brillavano estremamente luminose ed incandescenti, eppur remote, come se scolpite in abissali profondità.
«Non riesco a leggere questa scrittura di fuoco», confessò Frodo con voce malferma. «No», disse Gandalf, «ma io sì. Le lettere sono elfiche, scritte alla maniera arcaica, ma la lingua è quella di Mordor, che non voglio però pronunziare qui. Ti dirò semplicemente cosa vuol dire più o meno nella Lingua Corrente: Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli, Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.
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«Sono solo due versi di un antichissimo poema della tradizione elfica: Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende, Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra, Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende, Uno per l’Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra nera scende. Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli, Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli, Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra cupa scende».
Marta Farina è nata nel 1979 a Belluno, dove ancora oggi vive. Consegue la maturità presso il Liceo Artistico Leonardo Da Vinci nel 1997, nel 1999 frequenta l’Ecole Estienne di Parigi approfondendo alcune tecniche (incisione e litografia). Nel 2002 si diploma in pittura all’Accademia delle Belle Arti di Venezia e nel 2003 segue un corso di perfezionamento della tecnica dell’acquerello presso la Scuola Internazionale di Illustrazione per l’infanzia di Sarmede (TV) con il Maestro Jindra Capek. Fra le sue più recenti partecipazioni a mostre e lavori: nel 2008 partecipa alla XXVI Mostra Internazionale dell’Illustrazione di Sarmede (TV) e presenta la sua prima personale, Fantasticando (Auditorium, Belluno); nel 2009 è selezionata per la mostra internazionale I colori del sacro (Padova); nel 2010 è tra gli illustratori pubblicati nell’Annual 2010 dell’Associazione Illustratori Italiani e ottiene una menzione speciale nella selezione alla mostra di illustrazione al Lucca Comics & Games; nel 2011 viene selezionata per la prima edizione della mostra Illustrateatro (Teatro Comunale, Vicenza). Organizza corsi di tecniche pittoriche, illustrazione per l’infanzia, disegno o affresco per adulti, ragazzi e bambini e realizza affreschi, murales o decorazioni di pareti e immagini ed illustrazioni: continua a dipingere frammenti di storie e testi letterari che ama, vivendo della sua passione più grande.
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Another World
S’interruppe qualche secondo e poi disse con voce lenta e grave: «Questo è l’Anello Sovrano, quello che serve a dominarli tutti. È quell’Unico Anello che egli perse molto tempo fa, affievolendo di parecchio la propria potenza. Lo desidera più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma non deve mai più riaverlo». Frodo rimase muto ed immobile. Il terrore, giganteggiante come una nuvola nera sorta da est per inghiottirlo, sembrava stringerlo in una morsa. «Quest’anello!», balbettò. «Ma com’è possibile che l’abbia io?» «Ah!», esclamò Gandalf. «E’ una lunga storia. » […]
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Incipit d’autore La Macchina della Realtà di William Gibson & Bruce Sterling
fotografia di Marco Losito
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o speso un capitale per questa roba» disse. «Settimane di lavoro dei migliori esperti chino di Manchester. Esclusivamente su mio progetto, vorrei aggiungere. È qualcosa di speciale, ragazza mia. Piuttosto artistico, a suo modo. Vedrai presto». Chiudendo la valigia, si alzò. Infilò cautamente il mazzo di cartellini nella tasca della giacca, poi si chinò su una cassa e ne estrasse un tubo di vetro spesso. Soffiò la polvere dal tubo, poi ne afferrò un’estremità con un paio speciale di pinze. Il vetro si spezzò con uno schiocco, come se fosse stato sotto vuoto. Nel tubo c’era un blocco di calce fresca. Mick la staccò dalle pareti, fischiettando fra sé. Fece scivolare delicatamente la calce nella cavità del bruciatore di un riflettore lenticolare, una grande cosa a forma di disco, fatta di ferro nero e di lamiera lucida. Poi girò un tappo, annusò un momento, annuì, girò un secondo tappo e avvicinò la candela. Sybil lanciò un grido quando un lampo accecante le bruciò gli occhi. Mick ridacchiò, fra il sibilo del gas infiammato, macchie azzurre che le danzavano davanti agli occhi. «Così va meglio» disse. Diresse accuratamente il riflettore verso lo specchio, poi cominciò a regolare le manovelle. Sybil si guardò intorno, sbattendo le palpebre. Era umido, infestato dai topi, sporco sotto il palcoscenico Garrick; il tipo di posto in cui un cane o un barbone potevano andare a morire, con manifesti strappati e ingialliti di farse scollacciate come Jack la canaglia e I furfanti di Londra. Un paio di indumenti intimi femminili erano appallottolati in un angolo. In base ai suoi brevi e infelici giorni come cantante di palcoscenico, aveva qualche idea di come potessero esserci arrivati. Seguì con gli occhi i tubi del vapore e i fili tesi, fino alla luccicante Macchina di Babbage, piuttosto piccola, un modello per chinotropio, non più alta di Sybil stessa. A differenza di tutto il resto nel Garrick, la Macchina sembrava in ottime condizioni, montata su quattro blocchi di mogano. Il pavimento e il soffitto sotto e sopra erano stati accuratamente lavati e imbiancati. I calcolatori a vapore erano oggetti delicati, temperamentali, così aveva sentito dire; meglio non possederne uno, che non trattarlo bene. Nel riflesso del riflettore di Mick, scintillavano dozzine di colonnine di ottone fornite di sporgenze, inserite in alto e in basso in sedi praticate all’interno di piastre lucide, con leve scintillanti, denti di arresto, e mille ingranaggi di acciaio splendente. Odorava di olio di lino.
Marco Losito nasce il 23 Gennaio di un anno imprecisato degli anni ‘80. Come fotografo, invece, rinasce circa 12 anni dopo, iniziando ad utilizzare la reflex meccanica del padre. Solo recentemente però, lavorando, può permettersi un corredo fotografico suo e iniziare quindi ad affrontare la Fotografia con la dovuta serietà.
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Solcando i mari del tempo
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GilmoreWorld racconto di Enrico Elvis Crotti
illustrazione di Federico Musetti
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rlate bambole! è il mio incipit. Sono AlanVegaTwentyTwo, quarta incarnazione genetica di un artista del vecchio Impero. Partecipo, come concorrente, al nuovo round di HotWriting organizzato da GilmoreRace. Siamo rimasti un centinaio, i writers senza contratto, nella galassia. Viviamo tutti su Scarlet. Io e JamesBrownSeventyOne stiamo al nono piano del Palazzo, Avenue 10, Distretto Z-12. I nostri vicini e rivali, transgender votati alla castità, tatuatori di epidermidi ottiche, automi ibridi emozionali, vecchie dolls dall’anima liquida, samurai contaminati che tracciano ideogrammi sulla sabbia, sono concorrenti come noi. Chi vincerà vedrà, per un giorno, le parole del proprio racconto illuminare le facciate dei templi del vecchio Impero, riflettersi sugli anelli gassosi di Violet, specchiarsi nelle lenti degli occhiali protettivi dei guardiani, sgranarsi e ricomporsi nelle capsule depurative, sulle confezioni di cibo fluid-mac, confondersi con i raggi emessi dal sole artificiale che illumina questa parte oscura della galassia, risplendere e rincorrersi sul profili montagnosi e aridi di Lola. Chi vincerà: potrà abbandonare questo pianeta, raggiungere l’olimpo dei writers, viaggiare nella galassia con una doll bionda al guinzaglio, abbandonare il Palazzo, accedere al GilmoreStorage, leggere romanzi vittoriani, gli scrittori russi, racconti erotici scritti nei primi anni del Novecento. Chi vincerà: entrerà alla GilmoreCreative, definirà i nuovi desideri dei servi, immaginerà nuove terapie sessuali basate sul masochismo, strutturerà nuovi scenari di felicità artificiale, sceglierà cosa tatuare sull’areola dei capezzoli delle dolls di nuova generazione. Chi perderà: dovrà controllare sul totalizzatore la propria posizione, accumulare punti salvezza, calcolare quanti round potrà ancora disputare prima di essere costretto ad abbandonare il pianeta, fluttuando per sempre, nell’oscurità della galassia. Devi decidere cosa raccontare, devi camminare per le aerostazioni, percorrere nel buio rotaie di scorrimento dello shinkanzen, osservare i gesti fuori controllo degli automi, decifrare gli sguardi impallati delle dolls prima del loro balletto, immaginare i suoni e tradurli in sequenze di parole deflagranti per trafiggere gli ologrammi pubblicitari che illuminano la notte del pianeta. MariLu ce l’ha fatta, due round fa, con il racconto di una donna bambina, un uomo crudele, una vasca da bagno e una spugna. Ha vinto descrivendo il rumore della spugna contro il pube della donna bambina. La GilmoreCreative l’ha scritturata immediatamente. La GilmoreFactory procede per passi successivi, anticipa i sogni sessuali della galassia, produce toys consolatori. Le parole non bastano mai, le storie compassionevoli a sfondo umanoide salvaguardano e fortificano la GilmoreDemocracy. Nessuno vuole rivivere le atrocità del vecchio Impero. Nessuno vuole conoscere l’estetica decadente, il senso della morte, l’abbandono, il trascorrere del tempo nei corpi carnali, la fine dell’amore. Prima dell’inizio del nuovo round, la GilmoreRace illumina le nebulose che velano l’atmosfera con film pornografici del vecchio Impero: donne e uomini dai corpi glabri e sudati che si accoppiano senza pace. Una doll calva di prima generazione stretta in una guaina di latex e swarosky, ci sta inquadrando con una telecamera portatile.
Enrico Elvis Crotti abita a Sulbiate. Lavora con i computer. Non possiede animali domestici. Federico Musetti è nato a Parma nel 1982 e fin da bambino ha manifestato una grande passione per il disegno e l’illustrazione. Proprio per questo ha frequentato l’Istituto d’Arte “P. Toschi” e un corso di Fumetto Professionale a Bologna, presso la Scuola Noetica. Dal 2007 ha cominciato a lavorare come grafico pubblicitario e illustratore. Disegna a matita, china e utilizza software digitali (Photoshop, Painter, Illustrator e Sketch up). Nelle sue illustrazioni sono rintracciabili influenze che spaziano dal fumetto italiano a quello francese e americano, dal genere fantasy, al gotico e al cyberpunk. Tra gli artisti che ammira e che lo ispirano: H. R. Giger, Frank Frazetta, James Gurney, Ryan Church, Craig Mullins, Justin Sweet, Stephan Martiniere, Paolo Barbieri. Ultimamente alla passione per l’illustrazione ha affiancato quella per la fotografia, in particolare paesaggistica.
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Abbiamo pochi secondi per essere scelti, mentre la telecamera inquadra i corpi emaciati di tutti i writers allineati intorno al Palazzo. Per un solo istante, l’inizio delle nostre storie viaggeranno nella galassia, rimbalzando da un pianeta all’altro, prendendo forma e sostanza al cospetto di tutta la Gilmore. Mi accorgo di essere inquadrato soltanto quando avverto il tepore delle luci di scena in avvicinamento. Urlate bambole! s’illumina sul mio petto perforato da led gelidi intermittenti. JamesBrownSeventyOne si è tatuato sul ventre in verde glitter il suo incipit: Ti ricordi il suono dei miei baci? La luce c’illumina e un attimo dopo ci lascia al cospetto del buio. In sequenza i corpi dei writers immobili, sulla linea immaginaria di un patibolo, circondano il perimetro del Palazzo. La doll calva si muove con costante perseveranza sulla resina cobalto che copre le strade, concedendo a ogni concorrente la stessa visibilità. Poi, tutto ritorna buio, ologrammi pubblicitari mostrano pianeti distanti, isole perdute nel mare salato, dolls seminude programmate soltanto per amare. Rimaniamo svegli, in attesa del verdetto, circondati dall’atroce pienezza di nuovi orgasmi proiettati sulle nebulose con le facce degli attori sfigurate dal piacere, la meccanica primitiva dell’amplesso e un senso immenso di vuoto che ci mortifica. Il verdetto arriva con le stesse modalità di sempre. L’incipit vincitore si compone sillaba dopo sillaba sulla facciata del Palazzo. Ti Sempre e solo adesso dopo che la prima sillaba frantuma i miei sogni di vittoria, capisco che cosa non funziona nelle mie storie. ri cor di il suo no dei miei ba ci? Sulla parete compare l’incipit di JamesBrownSeventyOne. Lui è incredulo, trema, sulla sua pancia tesa risplendono le stesse parole che ora illuminano la notte. Mi stringe, mima con un gesto la sua sorpresa. Sono contento per lui, potrà incontrare MariLu, lavorare alla GilmoreCreative, utilizzare il suo estro per migliorare la vita degli abitanti della galassia. Verifico sul totalizzatore, il numero di tentativi che mi rimangono per salvarmi dal buio eterno. Meno di una decina. Mi sfioro le orecchie in un gesto automatico e innaturale, mi concentro su quale storia potrei raccontare. So che devo scrivere di un suono, il suono più dolce e più lieve che si sia mai potuto udire in tutto l’universo e che nessuno finora ha mai potuto udire. Chiudo gli occhi chiedendomi come sarebbe bello poter sentire, anche per un solo giorno, tutti i suoni, i rumori, la voce emozionata di JamesBrownSeventyOne, le voci degli altri writers, la musica di Bach, questi scrosci di pioggia primaverile che bagnano l’erba sintetica che copre i giardini di Scarlet.
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Ultramondi 12 Arrivo a Draschade, pittura digitale (Painter, Photoshop)
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I grigi racconto di Alberto Vacca
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illustrazione di Laura Berni
on si era mai accorto che sulla Luna ci fosse una lettera: tutto aveva visto, sinora, ma questo mai. Rimase assorto un attimo, cercando di imprimere nella memoria i contorni di quella visione. «Cosa guardi?» Luisa lo fissava con occhi incantati. Quello sguardo, però, non allontanò la sua mente dalla scoperta. Continuando a guardare l’astro le rispose: «La Luna. Non mi ero mai accorto di poterci vedere una G.» Lei la guardò a sua volta; rimasero a fissare il cielo per qualche tempo. La notte era scesa da un po’ su Cagliari; il panorama era una costellazione di lampioni arancioni. Camminavano nel Bastione di San Remy e senza quasi accorgersene si ritrovarono nelle vie di Castello. «Guardare il cielo mi agita, non riesco a non pensare. Chissà quanti mondi ci sono là, chissà se li potremo mai vedere e se sono abitati… E se fossero loro a visitarci? Avrebbero conoscenze più progredite delle nostre. Ci pensi? Cosa ci potrebbero svelare?» Poco più avanti passò un Grigio. Era come nelle immagini dei film: la testa enorme, gli occhi grandi e neri. Stava vicino a una porta, arrivava a malapena alla maniglia. Paolo distolse lo sguardo e vide Luisa con un’espressione sognante: lei non poteva vederlo, come tutti… a parte lui. Durava da un po’. Aveva una tuta e un berretto blu e al suo fianco c’era un secchio di colla di pesce. Attaccava qualcosa a un’insegna che non si era mai vista lì prima di allora: per quanto questa fosse enorme, non oscurava i palazzi intorno. Il Grigio aveva finito ormai: mentre ammirava il suo lavoro, si grattò il cavallo dei pantaloni. Paolo non poteva smettere di fissarlo. Il visitatore se Ultramondi ne accorse, si girò a guardarlo: Paolo sentì una voce nella sua testa. «Che cazzo vuoi?» L’alieno prese il secchio e il rullo ancora grondante e si incamminò, lasciando dietro di sé una traccia di gocce di colla; sparì in una via laterale. Nel cartellone un rappresentante della sua stessa razza, in maglietta bianca, massaggiava una donna su un lettino immersi in un bucolico paesaggio alieno: Zeta Reticuli: relax stellare. «Io non credo che siano crudeli, qualcuno lo pensa. Ma io invece penso che, siccome potrebbero fare quello che vogliono grazie alla loro tecnologia, non avrebbero certo bisogno di opprimere, di imbrogliare, di fare del male… no? Magari poi, studiandoci un po’, potrebbero pure scoprire nuove cure per le nostre malattie. Potremmo vivere meglio, scegliere se morire o no.» Luisa non si era accorta dell’insegna. Il quartiere medievale appariva diverso agli occhi di Paolo mentre lo attraversava: lo avevano riempito di pubblicità, visibile solo a lui. Quelle vie erano nate strette, con case sottili che si reggevano le une con le altre, lasciando al cielo solo piccole feritoie di luce: i Grigi avevano usato le loro capacità per infilare in quegli angoli i loro cartelloni, le loro reclame senza coprire con questi gli elementi della città. Aprivano porzioni di spazio, tagliavano ciò che c’era già e cucivano negli strappi i loro messaggi: due finestre,
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un tempo affiancate, ora apparivano distanziate di metri, a separarle un cartellone che reclamizzava una ditta di assicurazioni aliena. La cosa più strana è che queste aggiunte non sembravano alterare le geometrie della città: le strade avevano la stessa lunghezza, ma ciò che poteva essere visto aumentava, occupando anche lo spazio che non ci sarebbe dovuto essere. Castello appariva ora come un patchwork di case e messaggi alieni nel quale, ogni tanto, si notavano i nuovi abitanti saltare tra i tetti, indaffarati a cambiare qualcosa: due di loro camminavano portando una lastra di alluminio, di sicuro un nuovo spazio pubblicitario; procedevano sui muri come se questi fossero pavimenti, avevano creato uno dei loro strappi e sistemato l’oggetto metallico. Finito il lavoro si erano aperti una lattina di birra a testa, svuotandola con incredibile velocità. La loro passeggiata li aveva portati alla torre di San Pancrazio: al suo fianco stava, silenzioso, un disco volante. L’astronave era di metallo lucido, il suo raggio era pari all’altezza della torre e sui fianchi c’era una scritta verde – Fast Food CIGAM, solo carne terghiana – accompagnata dall’immagine di un hamburger. «E poi chissà, avranno milioni di anni: pensa il senso di verità, la saggezza, non lo so, che possono avere? potrebbero...» «Si: darci le risposte fondamentali, spiegarci il senso della vita, mostrarci il vero metro della giustizia. Ma non credo vivremo tanto a lungo da vedere tutto questo.» Luisa era allibita. «Scusami, non volevo essere acido. Ma è che parlare di ciò che non potrò mai avere mi deprime, pensare alla perfezione mi ricorda i difetti che vedo intorno. Non ci devo rimuginare, meglio pensare a ciò che di bello già ho…» Luisa si era abituata a queste sue stranezze. Gli si strinse al braccio, gli poggiò la testa sulla spalla, sussurrò: «Parliamo d’altro allora; a volte mi scordo che sei proprio matto.» Aveva sentito il sorriso in quella voce. Senza rendersene conto si era ritrovato a guardare di nuovo la Luna, bella e libera. Sì, ci vedeva una G sempre più chiaramente. E non solo quello, intorno cominciavano ad apparire altre scritte. Lentamente l’astro stava diventando parte di un nuovo messaggio pubblicitario: si sentì stanco. Le lettere erano come luci al neon. PROFILATTICI G La sicurezza dei vostri momenti più belli Controllati con scansione ai neutroni non attivanti
Laura Berni ha studiato presso l’Istituto Statale d’Arte di Firenze, poi ha frequentato la scuola per la formazione di educatori professionali diplomandosi nel1986 e, nel 2007, si è laureata in Scienze dell’educazione presso la Facoltà di medicina e chirurgia. Dal 1997 a oggi ha partecipato a numerosi corsi di illustrazione organizzati dalla Scuola Internazionale di Illustrazione per l’infanzia di Sarmede e durante questi anni è stata selezionata in alcuni concorsi di illustrazione. Nel 2002 ha partecipato all’illustrazione collettiva del libro 123 tocca a te (Fondazione Mostra Internazionale di Illustrazione per l’Infanzia, Sarmede - TV). Nel 2003 la sua illustrazione “Cenerentola”, pubblicata nel XXI catalogo Le Immagini della Fantasia di Sarmede, è diventata il manifesto della mostra. Nel 2006 ha pubblicato l’illustrazione della fiaba africana La lucertola nel latte all’interno del volume Le voci dei tam tam (Franco Panini Ragazzi). Nel 2010 pubblica l’illustrazione di una fiaba brasiliana, La nascita delle stelle, all’interno del catalogo Le immagini della fantasia di Sarmede.
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Alberto Vacca è nato il 18 marzo del 1989 ed è vissuto sempre a Nuraminis (CA). Ha studiato al Liceo Scientifico Michelangelo di Cagliari e attualmente segue il corso di Fisica nell’Università della stessa città.
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La chiesa del Diametro racconto di Roberto Guarnieri
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fotografia di Marta Santacatterina
a collina, una macchia verde pallido persa nella pianura grigia e fangosa, sporgeva appena sul panorama piatto. Il cerchio di pietre, antico e corroso dai millenni, la cingeva come una corona. Nur-Mer emise un grugnito di soddisfazione, valutò con il sole l’ora del giorno e arrancò verso la sua meta. Il risucchio degli stivali nella melma e il suo ansito affannato erano gli unici suoni che rompevano il silenzio. Il Concilio era stato convocato al termine del mese T’Dar, per l’osservazione decennale degli indici delle Antiche Pietre. La Luna era prossima al suo ingresso nell’orbita del pianeta. Salutati dalle benedizioni degli abitanti e con indosso nuovi vestiti tessuti per l’occasione dalle giovani dei villaggi, i Vescovi del Diametro avevano viaggiato per giorni nelle sterminate pianure, controllando i flussi di marea e i segni premonitori dell’arrivo improvviso delle acque. Nur-Mer, Vescovo del distretto di Fandor, scorse le piccole tende montate attorno alla collina, distinguendo i colori e le insegne dei vari monasteri come fiori nel marrone del fango. Riconobbe le bandiere triangolari nere dei Cancelli del Sud, le rigide mani aperte rosso sangue dei sacerdoti di Tiron e le lance appuntite poste a croce dei Villaggi Controllori. Sorrise tra sé pensando agli amici che avrebbe rivisto. Il Concilio si riunì prima del tramonto ai piedi della piccola altura. Dopo il complicato Rito di Apertura e le orazioni di ringraziamento, i Vescovi, seduti su tappeti di lana color terra bruciata, ascoltarono in silenzio l’omelia del Primo Sacerdote. Archeon batté il bastone a terra con violenza e parlò con voce roca: «Il tempo della verifica è di nuovo giunto. Tra poco sapremo se le nostre preghiere e i nostri comportamenti sono stati corretti e giusti, o se la nostra empietà ci ha condannato alla distruzione. Dopo dieci lunghi cicli la Luna sta per sorgere di nuovo e solo a noi spetta il compito della valutazione del Diametro.» «Gli Antichi, al termine dell’Era Meccanica, costruirono il Cerchio per misurare l’ampiezza dell’astro e la sua distanza dalla Terra.» Nur-Mer, impaludato in una tonaca gialla a bande nere trasversali, con dei lunghi rami intrecciati nella massa di capelli neri e impastati, parlò in virtù del suo grado di Primo Diacono. «L’uomo è nulla di fronte alla volontà di Dio, ma la nostra fede ci sosterrà e il Sacro Limite del Diametro non sarà mai sorpassato.» Un mormorio di approvazione si alzò dai presenti. «Preghiamo dunque sino al tramonto», concluse indicando il Primo Sacerdote, «invocando la benedizione di Archeon e ribadendo il potere della Chiesa sul nostro mondo.» Il sole morì scivolando sotto il paesaggio piatto, con gli ultimi raggi rossastri che allungavano a dismisura le ombre delle rare sporgenze. Il profilo del Cerchio di Pietre venne proiettato sulla pianura, allungandosi in maniera innaturale si fuse con l’oscurità crescente. Tutti i sacerdoti erano rivolti verso l’antica costruzione, bardati nelle loro vesti cerimoniali. Il silenzio era assoluto, l’aria immobile e carica di umidità. Il fumo dell’incenso, sprigionato da vecchi fornelli d’ argento macchiati e corrosi, saliva dritto verso il cielo in sottili colonne. Il tramonto si era da poco spento, ma il cielo rimaneva pervaso da una diversa luminosità: una luce fredda gettava i cuori nell’angoscia. Sorse di colpo, annunciata da una minuscola mezzaluna che si affacciò sulla pianura inondandola di luminescenza bianca. La Luna.
Roberto Guarnieri ha 47 anni ed è nato e vive a Civitanova Marche (MC) dove svolge la professione di ingegnere civile. Da sempre appassionato di letteratura fantascientifica, fantastica e fantasy, scrive per hobby ma di recente ha iniziato a proporre i suoi racconti a vari concorsi e siti web, ottenendo un buon riscontro. Suoi racconti sono stati selezionati e sono apparsi o appariranno su “Delos Magazine”, (Delos Books), “La Zona Morta Magazine”, (Edizioni Scudo). Si è classificato secondo al concorso “Microscifiction” della Associazione Centuria. Marta Santacatterina è una storico dell’arte, editor e giornalista, ha collaborato per anni con “Exibart” e ora con “Artribune”, ma quando può ama divertirsi con la macchina fotografica. Per un lungo periodo il divertimento è stato soprattutto nello scoprire la pellicola stampata in camera oscura, nell’andare agli estremi degli ISO con rullini 3.200 sviluppati a 6.400, e nell’osservare la grana d’argento che pian piano si annerisce sulla carta sensibile. Il mezzo ideale per fotografare l’arte contemporanea, i contesti delle Biennali di Venezia, delle grandi mostre, le altre sue passioni che vanno di pari passo con la sua vita e con il suo lavoro.
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Pensa con i sensi. Senti con la mente, 2007
La Luna di Traverso
In pochi minuti riempì metà dell’orizzonte. Ormai da millenni non era più l’astro gentile della notte che strappava sospiri ai poeti innamorati. A ogni ritorno appariva sempre più vicina, gigantesca e minacciosa. Salì lenta, mentre la terra vibrava leggermente. Nur-Mer immaginò il mare lontano che si gonfiava inondando le spiagge e i campi con lunghe onde fangose. I crateri, occhi dalle orbite cieche bordati da rughe di vecchiaia, scrutavano la minuscola collina da ogni direzione, mentre il suo profilo lento scorreva lungo il bordo delle Antiche Pietre. La Chiesa, profetizzando la caduta del satellite a ogni passaggio decennale, alimentava la paura e il terrore religioso in tutti i popoli, mantenendo così il suo potere. Nessuno, tra gli eruditi e i Vescovi, riteneva però possibile una tale eventualità. Sino a quella notte. Il salmodiare delle preghiere era lento e cantilenante, in omaggio all’astro notturno. Ma man mano che il satellite ingrandiva nel cielo l’uniforme voce si incrinò sino a spezzarsi in mille frammenti confusi. La Luna si staccò dall’orizzonte come una bolla d’aria mostrandosi in tutta la sua potenza. Tutti i sacerdoti la videro inglobare, nel bianco accecante, l’intera costruzione; il Sacro Diametro era ormai solo una linea al centro dell’astro. L’urlo di terrore risuonò nella pianura desolata, subito soffocato dagli schiocchi secchi delle giovani crepe sul terreno e dal rombo vicino della grande massa d’acqua che rotolava incontrollata verso di loro. La Vecchia Terra morì sussultando nell’abbraccio mortale del suo satellite, le false preghiere non l’avevano protetta.
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Madre racconto di Adriano Marchetti
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fotografia di Ascanio Kurkumelis
adre era un pianeta unico. Una meraviglia della galassia, dicevano alcuni. Un miracolo della vita, dicevano altri. Un baluardo contro l’entropia, dicevano gli scienziati. Per l’ambasciatore terrestre, in carica da tre anni, Madre era l’inferno. Si sistemò sulla sedia, aspettando il suo Ospite, se così lo poteva chiamare. Si sentiva a disagio. Rosa e caldo, caldo e rosa: non c’era altro, da quando l’avevano spedito in quel buco. E quella non era neppure la parte peggiore. L’orifizio di fronte a lui si dilatò, in silenzio, ed uscì qualcosa che peggiorò l’ambiente, già poco confortevole. L’Ospite era come la caricatura di un umano disegnata da un bambino. Era quasi la verità. Madre aveva scoperto gli umani solo una ventina di anni prima e ancora doveva perfezionarne la “produzione”. Il che riportava alla mente dell’ambasciatore il motivo della visita. «Si accomodi pure», disse accennando ad una struttura di ossa e carne che fungeva da sedia. Identica alla sedia che usava lui stesso e parente stretta della scrivania che aveva di fronte. Tutto era carne viva, su quel mondo. L’Ospite si sedette, nudo, come era nuda ogni altra parte di Madre. Comprensibile, se solo si pensa che lì si viveva sempre al chiuso e che la temperatura non scendeva mai al di sotto di trentasei gradi. Per decenza l’ambasciatore indossava un paio di mutande: la sua uniforme. «Immagino che lei sia qui per la prossima quota», disse l’ambasciatore. «Esattamente», rispose l’Ospite. «Madre dice che è importante. Servono più modelli e più geni.» L’ambasciatore sospirò. «Non c’era già un accordo per il mese prossimo?» «Madre dice che servono adesso. Deve terminare il progetto.» L’ambasciatore tamburellò le dita sulla scrivania, ma la carne calda e cedevole non era la superficie adatta. Tolse la mano, disgustato. «E non è proprio possibile attendere il mese prossimo?» «Madre dice di no. Il progetto non può ritardare.» «Il “progetto”, già…» L’ambasciatore chiuse gli occhi. Da qualche parte, nella carne delle pareti, sentiva il battito lieve di un cuore, uno dei milioni di cuori che pompavano sangue all’intero pianeta. Da qualche parte c’erano anche le ovaie, migliaia e migliaia di ovaie, che portavano avanti il progetto. Sperava di non doverle vedere mai. «Inoltrerò il messaggio alla Terra. Dovremmo avere qualche squadra disponibile, nelle vicinanze, ma capite bene anche voi che, così all’improvviso...» «Madre sa che farete il possibile», concluse l’Ospite e se ne andò da dove era arrivato. Di nuovo solo, l’ambasciatore spedì il messaggio, usando uno dei pochi strumenti che non fossero vivi e fatti di carne ma portati dalla Terra e custoditi nell’ambasciata, l’unico contatto rimasto con la “galassia degli oggetti costruiti”: la galassia sana, quella normale. Madre era invece la follia, un abominio dove ogni cosa spuntava dal pianeta, come strane escrescenze di carne, cartilagine e ossa; tutto era collegato a Madre, tutto governato dal suo immenso cervello, nucleo stesso del pianeta, e tutto alimentato dalle sue vene. Questo era Madre: una massa di milioni di tonnellate di carne, annidata come un tumore nelle viscere di un pianeta roccioso. Milioni e milioni di tonnellate di carne che, chissà come, avevano eroso la roccia dall’interno, crescendo e ingrassando nel cuore del pianeta. Ormai restavano poche centinaia di chilometri di crosta che separavano il nucleo vivo dalla superficie morta. E non era la cosa peggiore. Non ancora. Annidati al suo interno, come parassiti, vivevano le creature che Madre stessa generava. Abitavano den-
Adriano Marchetti è nato a Fidenza (PR) nel 1979, si è laureato in Lingue e Civiltà Orientali a Venezia, con una tesi che sarebbe troppo lunga da spiegare. Appassionato di lettura, scrittura, computer, camminate, giochi di ruolo e varie altre cose, passa liberamente da autori come Verga a William Gibson, con molte tappe intermedie. Ogni tanto, qualche suo racconto è anche pubblicato su riviste o raccolte. Ascanio Kurkumelis di origini greche, è nato a Parma nel 1985. Finito il liceo, si iscrive al corso di laurea in Beni Artistici all’Università di Parma dove, nel 2009, si laurea con una tesi sul periodo informale del fotografo Nino Migliori, ormai un caro amico da cui assorbire preziosi consigli. Nel 2008 tiene la sua prima personale in una galleria nell’isola di Cefalonia, Valente Voltera, sotto il castello veneziano di S. Giorgio, esponendo disegni e fotografie. Nel 2009 inaugura a Parma una personale nella galleria “Atelier Trentaquattro”. Nel 2010 uno dei suoi lavori viene scelto, premiato ed esposto in occasione della Biennale d’arte di Roncaglia a S. Felice. Iscritto al corso di laurea magistrale in Storia, critica e organizzazione delle arti e dello spettacolo, vive e studia a Parma.
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tro la carne, in stanze e gallerie sorrette dalle ossa, percorse dalle vene e ricoperte di pelle e peluria sulle superfici. Tutto viveva, tutto era permeato dai pensieri di Madre: le creature erano Madre, nascevano da Madre, vivevano in Madre, si nutrivano di Madre e si dissolvevano in Madre. Gli umani erano stati la novità: quando l’uomo aveva scoperto Madre e Madre aveva scoperto l’uomo, Essa ne aveva esaminato alcuni esemplari per poi introdurli nel suo ciclo di “produzione”, valutandoli come un possibile arricchimento. Così era cominciato il progetto di collaborazione con la Terra: Madre aveva bisogno di più elementi da studiare e geni da assimilare nel proprio calderone di vita e la Terra aveva intravisto le possibilità che il pianeta le offriva ossia un infinito generatore di esseri viventi, da produrre su misura e su richiesta. Bastava solo fornire la materia prima e aspettare che il processo venisse perfezionato e poi la razza umana avrebbe avuto possibilità di miglioramento inimmaginabili. Ecco il progetto: usare Madre come incubatrice per l’umanità futura. Per questo, era necessario “il sacrificio”. L’ambasciatore non approvava, ma ubbidiva. Era l’unico modo per sperare, un giorno, di tornare su un pianeta vero e fuggire da quell’incubo. E non averci mai più niente a che fare, né con Madre, né Quarti di macchina coi suoi “prodotti”. Presto sarebbero arrivati i due carichi di umani che Madre aveva richiesto. Sulla carta erano coloni selezionati per terraformare un nuovo mondo, in realtà erano le cavie per Madre, da studiare e scomporre, per accrescere la sua riserva genica. L’ambasciatore si augurò che fosse indolore. L’umanità si era incamminata lungo una via ignota, della quale nessuno conosceva la vera natura. La conosceva forse il cervello di Madre, giù, nei suoi profondi abissi, dove produceva e progettava. Ma quel cervello non parlava mai, non con l’uomo. L’ambasciatore sospirò.
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Ricordi i bastioni? racconto di Lorenzo Carbone
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illustrazione di Anna Francesca Schiraldi
icordi, amore, il nostro fumare e guardarci e parlare ai Bastioni di Orione? Soffiavi come una bambina sulla schiuma del Fermentato di Malthus, la notte infiammata nei cieli viola dai riflettori del Tempio dei Polli. La cupola, più grande che mai, emergeva dall’agglomerato informe bella, minacciosa e brillante come un razzo in partenza, mentre Orione, scorbutico, passava tra i tavoli con la gran panza di frittelle di Gryghs e i tentacoli oberati di bicchieri vuoti.Tarda notte, ubriachi, la faticosa discesa verso casa tua. Ci conoscevamo appena, incontrati pochi giorni prima alla Locanda dei Brandy (categoria cinque Nane Bianche lusso) in quella cazzo di cucina, ridicoli nelle nostre divise, ma il tuo mistero bruciava sotto quei panni, ne sentivo il profumo, e in così poco tempo salivamo abbracciati verso il tuo letto, barcollando sulle scale antiche di casa tua, crollando sul letto distrutti dal sonno prima ancora di fare l’amore. Indugiavi nel sonno pesante e ti stringevi con forza a me, abbandonata mentre spiazzato mi guardavo intorno, occhio pallato, chiedendomi se fosse tutto vero. Eri lì, semplicemente bella e desiderabile, caduta dal cielo di un altro pianeta in una stanza incasinata di videoscritture buttate alla rinfusa, cerchi musicali sotto il letto, bottiglie Fermentato e calze, mutande, vestiti per terra. Osservavo alla luce fioca di Fomalhaut le linee aggraziate del tuo corpo seminudo senza fiatare, fin quasi a raggiungere il grazioso colorito blu dell’ipossia e l’anchilosi della spalla sulla quale appoggiavi la testa da ore, optando infine per un bacio al sapore di Anidride Solforosa del Mattino per svegliarti dolcemente. «Vaffanculo», sibilasti con l’accento morbido della tua lingua, «ho mal di testa.» Al tuo risveglio, nel tardo pomeriggio, facemmo l’amore.Tu stavi sopra, perché la spalla era ormai completamente anchilosata, ma era bello guardare i tuoi tre seni piccoli e sodi muoversi e il tuo volto rapito. Decisi che sarei andato al pronto soccorso più tardi e mi abbandonai al piacere. Tutto cominciò così. E ora dimmi perché sono qui come un rettile dei deserti di Sved ad aspettarti chiuso nella vettura a trazione automatica, al caldo disarmante del sedicesimo mese dell’anno, neanche un Fermentato fresco che dia sollievo al corpo, mentre per lo spirito basteresti tu, che ti neghi: hai messo da parte il giocattolo vecchio, signorina viziatella dei miei tre coglioni. Il tuo sistema di chiamata olografica è spento. Aspetto ancora. Il tempo con te è stato troppo breve. Non riuscirò mai a comprendere. Vivere un momento in maniera lucida. Per quale motivo finire ad attendere immagini improbabili, fumando, qui sotto? La mia prospettiva è purtroppo limitata, il mio sentire piccolo, la comprensione dei massimi sistemi: nulla. Devo dunque idealizzare il niente o poco più. Come un volto. Come un qualcosa che manca, manca, manca perché inappagato. Come un desiderio di conquista atavico di una dimensione sconosciuta. Oh santo Cielo Viola del Pesce Australe, quante boiate! E quanto Elisir di Druif bianco, sulla spiaggia notturna! Eri diafana. Incomprensibile. Attraente, perciò, e in fondo una causa persa. Un’immagine. Una cretina isterica estatica estetica, ma suggestione d’immagine era il momento: la figura chiara e snella nuda nell’acqua bassissima calma, oleosa e nera di quiete e benzene (non si può aver tutto). Elisir di Druif e freddo, neanche un fuoco, e chiappe bagnate appoggiate sui sedili di una vettura a trazione automatica, baci su quella schiena nuda per sentirne la pelle e il sale, un venticello caldo appena radioattivo a darci sollievo. Nulla intorno: incuranti degli ingorghi di razzi al semaforo, degli altri umanoidi, poveri complessati stressati, del fegato grosso per troppi elisir, delle storie sulla Bomba e sugli Antichi… Lontani da tutto. Ti ricordi di noi, amore mio, che siamo già finiti? La stagione calda avanza, le strade del centro echeggiano di risate e i cocci delle bottiglie di Fermentato scricchiolano sotto le suole. Le nostre strade, i nostri ponti sul Fiume Verde e perfino le fronde carnivore degli alberi chiedono di te. Sei sparita da un giorno all’altro. Sono spaesato, cammino cercando di lasciarmi sotto i piedi ‘sta specie di lutto, e sono anche
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incazzato, lurida figlia di un Lutka di Bosco, mentre cerco di nascondere gli occhi gonfi e mi dirigo verso il primo negozio di elisir. Passerai anche tu, a poco a poco, perché tutto passa, in questo planetoide di provincia. Passano gli eroi e chi li acclama, passa chi invidia e passa chi ama. Passa chi comanda e passa il Tal dei Tali, come passa chi scappa dalle guerre spaziali, dai razzi, e dai bombardamenti fatti a caso per svuotare gli arsenali, che sembra fantascienza ma così non è. Ohimè.
Lorenzo Carbone: 26 anni, romano. Precario professionista, bassista in una band così emergente che è ancora sotto il pelo dell’acqua, in apnea. Anna Francesca Schiraldi è nata a Bitonto (BA). Fin da piccola ha mostrato grande interesse per il disegno; disegnava ovunque e in qualunque momento. A scuola era l’addetta ai cartelloni didattici e al liceo partecipava a tutti i concorsi che prevedevano una sezione di arti visive. Ha seguito un corso di fumetto della durata di 4 anni presso la libreria-fumetteria Hamelin, nella sua città. Ha continuato gli studi liceali all’Università, scegliendo Scienze dei Beni Culturali, ma ha sempre coltivato la sua passione per il disegno, partecipando a vari concorsi. Nel 2011 si è classificata al II posto al concorso Cometa durante il Levantecon, manifestazione dedicata alle scienze e alla fantascienza indetta dall’Associazione Culturale “Giulio Verne” di Bari.
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Unità Leviatano 051 chiama base, aggiornamento - rotta: finalmente Terra!, multi-liner, china, acrilico e rifiniture digitali, 21x29,7 cm
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The Club racconto di Claudia Ceci
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illustrazione di Yugin Maffioli
trisciò, scivolò, si infilò in quella porta. Puzzava. Di notti insonni. Di coperte attorcigliate. Del tempo passato a guardare nel vuoto. Il bavero alzato del cappotto rosso le copriva il collo e le nascondeva i capelli ormai lunghi. Soffriva un po’ meno il freddo così, visto che di sciarpe non voleva sentir parlare. Per tutti era The Club. Forse un omaggio a quel posto dal sapore onirico. Nessuno aveva avuto il coraggio di sostituire l’articolo inglese. Era una trasformazione cui non erano pronti. Aveva già visto quei quadri. Rossi, dai contorni indistinti. Ma non era in grado di ricordarsi dove e quando. Forse qualcuno aveva premuto il famoso pulsante. Se era andata davvero così, probabilmente non l’avrebbe scoperto mai. Ricoprivano la parete sinistra del locale. Si avvicinò per passarci i polpastrelli, e come sospettava la tela non era liscia. Sentiva sotto le dita i grumi di colore addensato. Come fossero coaguli di sangue venoso. A pochi centimetri dai suoi occhi le figure non erano solo indistinte. Si fondevano con il suo corpo, con la nuvola di fumo che avvolgeva The Club, con le luci che non sapevano essere soffuse. Il posto era pieno, e tutti sembravano copie di altri. Cloni. Abiti scuri. Nero, grigio. In pochi accennavano un timido argento. Si chiese cosa fosse successo a questi manichini, e ai colori. Prima di varcare la soglia le era sembrato di essere circondata da un’infinita possibilità di tinte e sfumature. Chi erano quelle persone? Perché le sembrava di non riconoscerne i volti? Eppure poco prima − era passato così poco? − la schiena era appoggiata alla corteccia dell’albero di Giuda e la testa in un movimento innaturale tendeva ai fiori viola che riempivano il campo visivo. Lì non c’era altro. Il bancone era dall’altra parte, ma quei pochi metri sembravano segmenti microscopici. Una pinta, lesse. Doveva essere quella, la birra. Ne scelse una che il venditore di incoscienza chiamò bionda doppio malto. L’alcool non le aveva mai creato problemi, questo lo sapeva, non si era smarrito nel database dei suoi ricordi. Allora la prese, e la bevve come se stesse facendo una gara contro il tempo. Ne arrivò un’altra subito dopo. E poi la terza, che non aveva chiesto. Offerta da quell’uomo che la fissava ammiccando. Ci provava, era evidente, ma non era capace di sorrisi veri, osservò. E l’incapacità di quella maschera triste e sola la fece ridere. Com’era ovvio, l’uomo cominciò ad avvicinarsi lentamente. Si trovò a pensare che i piccoli passi gli servissero a preparare la brillante battuta d’esordio. E andò così… Ma questa piccola figura grottesca non riusciva a sentire che lei “puzzava”? O cercava proprio quell’odore? Che domanda stupida si stava facendo… Lui non era in grado di capire i termini della questione e cosa ci fosse in ballo. Lo liquidò alla quarta birra, quando tentò di accarezzarle il collo con le mani sudate. Erano centimetri che dovevano restare privati. Di proposito non lo guardò in faccia, e lui non fece niente per seguirla. Non uscì. Non voleva. Non poteva. Non doveva. C’era una piccola scala di legno scuro, con la ringhiera di ferro battuto. Pochi gradini. Scese. Era una saletta arredata in maniera spartana. Qui ai quadri avevano preferito le stampe. Quelle se le ricordava. Figure. Toulouse-Lautrec. Le sembrava quasi di aver conosciuto l’autore. Chissà. E comunque le piacevano, provava una sensazione simile alla calma. Possibile? C’erano tavoli pieni con tre, quattro sedie per uno. Bevevano tutti, qualcuno accompagnava i bicchieri con salatini e olive. Ma questo accadde dopo. Perché l’aria divenne rarefatta. Non riusciva più a prendere la sua razione. I corpi erano troppo vicini, una corda che stringeva. Cominciò a sentire gli odori, tutti. Un’ingestibile amplificazione dell’olfatto. Li avrebbe riconosciuti uno per uno, a occhi chiusi. Poteva scartare profumi, talchi, naftalina, tabacco e arrivare senza esitazione al grado di acidità della pelle. Come quella notte in collina in cui l’umanità intera guardò il cielo… Un brivido freddo salì lungo la schiena. Stava sudando. Chi l’aveva fatta entrare e perché? Buio, prima della scala. Vertigo.
Claudia Ceci ha 29 anni e vive in Puglia. Giornalista professionista in cerca della sua strada, per ora collabora con la testata giornalistica e web tv pugliese www.bipress.tv e con l’agenzia di comunicazione Comunicare Tresessanta in qualità di copywriter. Ha lavorato nella redazione milanese di “Sky Sport 24” e collaborato in questi anni con i quotidiani “Il Sole 24 Ore”, “La Repubblica” e “Il Corriere del Mezzogiorno”. Laureata in Editoria Media e Giornalismo all’Università di Urbino, è da sempre appassionata di libri e letteratura e ha studiato a fondo la figura del vampiro, analizzandola nella tesi di laurea Il vampiro è ancora in vena – da creatura del buio a merce del nostro immaginario. Ha cominciato a scrivere favole a sette anni perché credeva alla magia. Scrive perché ci crede ancora… Yugin Maffioli è nato nel 1982 a Parma, dove ha frequentato l’Istituto d’Arte “P. Toschi”. Da dieci anni svolge l’attività di tatuatore e disegnatore presso lo studio “Franck Tattoo e Piercing “ (Parma). È appassionato di fumetti, games e, soprattutto, di illustrazioni: cyberpunk, biomeck, gothic e dark sono sicuramente gli stili che preferisce. Artisti come Brom, Kuang Hong, Rochelle Green, Greg Staples, Kieran Yanner e altri ancora sono per lui un’enorme fonte di ispirazione.
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Era l’unico tavolino libero. Si sedette e vide il suo specchio. La sola differenza tra loro era il sesso. Fu in quel momento che tutto ebbe inizio. O tornò all’inizio. Non volle tendergli la mano. Gliele porse entrambe. Con una sola, l’altra sarebbe stata libera di colpire. Lo specchio sarebbe stato in grado di difendersi. Si toccarono, si strinsero. Era una scarica elettrica, ecco. L’aveva attraversata tutta. Come aveva fatto a non pensarci prima! Un inspiegabile blackout per una maestra di circuiti e cortocircuiti… Imprevisti? Equilibri? Le mani accarezzarono il cappotto rosso, per capire se l’avvolgeva ancora. Alla fine si alzò. Il tavolo era di nuovo vuoto. Cancellò l’immagine. Era circondata da strani personaggi che sbucavano dappertutto, s’incrociavano, salutaFlamenco steampunk vano, ridevano, bevevano. Ma non erano cloni? Sembrava che i pochi metri quadri di The club fossero diventati all’improvviso uno spazio aperto, una piazza. Poi, la luce. Quella che non lascia scampo.
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Ultramondi racconto di Muriel Benassi
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fotografia di Gianfranco De Simone
crutai la pista metallica senza pronunciare una parola. L’emozione del salto mi era calata nelle vene, gelida, irruenta, faticavo a respirare e quasi non mancarono di tremarmi le mani dal tanto che mi sentii mordere il petto. Assomigliava al rimpianto, era una strana sensazione. Avevo passato una vita intera tra calcoli, esperimenti, laboratori, eppure, ora che sapevo quanto poco tempo avremmo vissuto, l’occasione di entrare in contatto con una dimensione totalmente sconosciuta non mi destava più alcun interesse. L’unica cosa che desideravo era di baciare la donna che amavo, fino a notte fonda, sulla pelle abbronzata che sapeva di salsedine, sulla spiaggia dove ci piaceva ammirare il riverbero della luna, la marea che danzava sul bagnasciuga come un fruscio d’estate. Immaginai la sua carnagione bruna, la chioma che guarniva la bellezza del suo volto, e mi perdetti nel ricordo di quella dolcezza mentre un nugolo di mani si affaccendava per attivare il circuito elettronico della mia attrezzatura. La tensione del corpo, ricalcata dalla rigidità dei muscoli, si affievolì per un momento. Fu come sognare a occhi aperti. Non feci il minimo movimento e rimasi cosi immobile che l’uomo nascosto sotto ai tre strati sintetici della tuta dovette sembrare morto. I tecnici colpirono un paio di volte contro il casco per avere la mia attenzione. Fui scosso da un brivido e alzai le palpebre, di colpo. Stavano cercando di dirmi qualcosa, urlavano, ma non potevo capirli. L’isolamento acustico del casco trasformava tutte le parole in un rimbombo ovattato e sordo. I tecnici fecero quindi dei segnali con la mano. Alzarono due dita, più o meno dove immaginavano che fosse il mio sguardo, nascosto dalla visiera a specchio, e scandirono lentamente il movimento delle labbra: ancora due minuti e sarei stato operativo. Digrignai i denti, sapendo che non potevano vedermi. La verità è che ero troppo fragile, o realista, per immergermi senza rancore in quella cieca illusione, e i loro occhi pieni di speranze, che avrebbero riempito d’orgoglio chiunque fosse stato al mio posto, mi gettarono in uno stato di enorme inquietudine. Credevano davvero che da qualche parte, lì nell’altra dimensione, nell’ultra-mondo, si celasse la chiave della nostra salvezza. Sollevai lievemente la mano. I tecnici videro il mio guanto bianco accennare un gesto di consenso. Furono impartiti degli ordini, sulla visiera comparirono dati digitali. Aspettai che venissero scollegati i cavi di sostegno e quando fui libero iniziai a muovermi. La lunga piattaforma sospesa nell’aria, che era infissa di cablaggi, conduttori elettrici e led che ne illuminavano le grate in ferro, pareva essere un percorso di scintille affacciato su un orizzonte più tetro e scuro della notte ai margini del cosmo. La fonte dei nostri guai era laggiù, sul fondo. La osservai inibito, spaventato, come se mi fossi trovato in corpo la pura sensazione del nulla. Un nero, nerissimo abisso si ergeva a pochi chilometri di distanza, ricoprendo il panorama intero. In verità non era niente che potessi vedere, o descrivere, ma solo un puro concentrato di massa, da cui nemmeno la luce riusciva a sfuggire, che cresceva e divorava e risucchiava tutto quanto in un groviglio di assoluta gravità senza colore. Era terribile sapere che in pochi giorni anche la stazione scientifica sarebbe stata raggiunta. Quando arrivai a destinazione, l’agitazione divenne insopportabile. Ancora una volta, mi chiesi che cosa mi avesse spinto sul ciglio di quell’orrore. Il portale si trovava al termine della rampa. Come un ponte interrotto, il tragitto si fendeva nel vuoto, al limite di una bassa ringhiera e di due antenne che oscillavano alle estremità di una balaustra. Mi avvicinai. Improvvisamente sulle due antenne si accese qualcosa. Luci iridescenti. Segmenti di fulmine. I dati che monitoravano l’atmosfera esterna, proiettati con precisione sulla mia visiera, furono disturbati da strane interferenze. Al posto delle informazioni numeriche, sulla teca di vetro, aleggiarono confuse spazzolate di colore, più simili al risultato di un sismografo impazzito che al prodotto di una catena di sensori avanzati. Allungai il braccio, in preda alla confusione. Oltre la rampa, crollando a velocità pazzesche per ricordami la violenza da cui mi riparava la tuta, un tempestoso gioco di nubi saettava nel cielo.
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Ma la mia mano, appena superata la linea delle antenne, anziché librarsi nel buio, scomparve dietro uno strano cerchio luminoso. Non l’avevo persa, potevo ancora sentire le dita muoversi, agitarsi, ma in modo diverso, come se si fossero immerse in qualcosa di soffice. Cercai qualcosa da afferrare, ma non trovai nulla, sembrava esserci un sacco di spazio libero. Allora avanzai, lentamente, un passo alla volta, oltre le antenne. Il cerchio aumentò d’ampiezza. Sulla superficie luminescente, forse per la spinta del mio corpo, si formarono lievi increspature, come capita certe volte quando si immerge qualcosa negli stagni. Chiusi gli occhi e smisi di pensare. Dicono che dall’altra parte sia diverso per ognuno, chi trova colori, chi idee, chi numeri, forse non si viaggia in alcun luogo, forse si svolge tutto nella nostra mente; chissà che lei non potesse essere laggiù, in qualche modo. L’aria terrestre mi scivolò dietro le spalle, un addio a cavallo di due universi. Le gambe mi sprofondarono su un terreno dalla consistenza gelatinosa. La superficie del casco emise una piccola, brillante scintilla che era l’ultimo riflesso di particelle emesso dal portale. Dietro di me, dalla stazione di controllo, i tecnici videro la mia sagoma affievolire nel bianco, in languidi contorni, e infine sparire del tutto.
Muriel Benassi studia a Parma, città in cui nasce. Quando l’Università gli lascia un po’ di tempo libero o quando non c’è nessun lavoretto part-time in vista, gli piace dedicare un po’ di tempo alla scrittura di storie e racconti. Gianfranco De Simone vive a Vallo Scalo (SA). Attualmente sta effettuando col mezzo fotografico una ricerca “astratta pura”, ossia senza l’ausilio di tecniche digitali. L’autore sta adottando tecniche creative utilizzando materiali di uso comune (carta, plastica, nastro adesivo) e materiali di scarto da “scartocciamento” di confezioni. Questi oggetti, usati e gestiti con luci appropriate, donano un risultato estetico di particolare effetto.
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Buco nero
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Uno stato racconto di Domenico Sivilli
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apparente illustrazione di Fabiana Bocchi
hi vende Bibbie non può mentire, non credete? Quel sorriso condiscendente, le mani grassocce che mi stringevano la spalla in segno di conforto… e poi tutte le informazioni che sembrava possedere. Così pacato, così persuasivo. La vendetta è l’unica medicina efficace contro la disperazione, sacrosanta verità. Era in gioco la vita di mia figlia. La sua seconda esistenza, per essere precisi. Il maniaco che l’aveva rapita era solito violentare e seviziare le giovani vittime, prima di ammazzarle. Se fossi riuscito a trovarlo entro dodici ore dalla morte della mia primogenita, avrei avuto buone speranze di porre rimedio a quel fatto inaccettabile. Ciò che avrei dovuto compiere era quanto mai chiaro: beccare lo psicopatico; ucciderlo prima che qualcuno rinvenisse il corpo esanime della mia Maddalena e riportarla a casa sana e salva. Già, sana e salva. Così mi aveva imbonito Beckert. Misero venditore di Bibbie porta a porta. Gli aprii solo perché credevo che fossero gli uomini della Scientifica. Mi prese in contropiede e stranamente non cercai di fermarlo quando varcò la soglia. Mi guardò con quegli occhi sporgenti e le palpebre semichiuse e mi annunciò d’acchito che avrei potuto dare una seconda chance a una giovane fanciulla. Le parole magiche, accompagnate da un sogghigno che la sapeva lunga. Le mie orecchie furono tutte per lui. Mi fece scorrere un passo della Bibbia in cui si descrive la legge del taglione. Affascinante in sé. Ma lo fu ancor di più nel momento in cui mi venne rivelato un piccolo segreto. Il motivo per cui il “taglione” era stato abolito da centinaia di anni, perlomeno in alcune zone del pianeta. I defunti resuscitano, se la legge viene applicata entro dodici ore dal decesso. Se io avessi vendicato Maddalena subito dopo che il suo cuore avesse smesso di palpitare, le avrei infuso nuova vita. Come potevano mentire gli occhi di Beckert? Oh, sì, un uomo di religione, a contatto con la grazia divina, con la giustizia eterna… perché mai la mia piccola doveva cadere vittima di un pazzo psicopatico? Perché la polizia doveva proteggere il folle da chi ne aveva subito le violenze oscene? Il decesso per omicidio è uno stato apparente. Un Limbo, una zona di passaggio dalla quale è possibile tornare indietro. Ma cosa sarebbe accaduto se un altro vindice avesse ucciso me, nell’arco di mezza giornata dal linciaggio che avevo in progetto per il maniaco? Quale effetto domino si sarebbe potuto innescare? Non me ne importava un accidenti perché Maddalena continuava a essere oltraggiata, massacrata centimetro per centimetro. E io che la conoscevo non avevo difficoltà a focalizzare, con gli stupidi proiettori della mente, le contrazioni del suo volto mentre ciò avveniva, o i suoni striduli emessi dalla sua bocca: gorgogliare, squittire, urlare a squarciagola. Per ogni pressione insopportabile patita dal suo corpicino, per ogni goccia di sangue stillato, per ogni escoriazione intima. Beckert affermò che una volta rinata avrebbe dimenticato quelle sofferenze. Ma che ne sapeva lui di Maddalena? Ma chi era costui che sgattaiolava come un ladro nei miei pensieri torbidi? Quando riaprii la porta di casa all’arrivo della polizia, del venditore erano rimasti un vago profumo d’acqua di colonia e una Bibbia posata sul pavimento. Agli inquirenti non dissi nulla della visita “speciale” che avevo ricevuto. Era giusto: il rapitore doveva essere mio! Infatti ho seguito il consiglio dello sconosciuto. Ho ammazzato l’assassino di adolescenti. Mi sono divertito, ho sfogato la mia ira, ho assecondato l’intrinseco desiderio di osservare con fierezza i brandelli del suo cranio e le mie mani bagnate di quel sangue caldo e rassicurante. Oh, mia figlia è arrivata a casa più viva che mai. Un miracolo! Dissero dubbiosi gli investigatori. Bizzarro che fossi riuscito a scovare il killer per pura combinazione e a fermarlo appena in tempo… Bizzarro?
Domenico Sivilli, pugliese, vive e lavora nelle Marche. Dottore di ricerca in sociologia, collabora con l’Università di Urbino e con società di ricerca nazionali. I suoi interessi in ambito socio-antropologico si rivolgono ai processi di costruzione identitaria; alle dinamiche e forme della violenza sociale; ai fenomeni creativi. Tali tematiche sono al centro della sua tesi di dottorato. All’attività di studioso affianca quella di scrittore. Tra le sue pubblicazioni i romanzi La congiura dei Simili (Iacobelli, 2009) e I seguaci di Prometeo (Albatros, 2011); il racconto Quid pro quo (in “La Luna di traverso”, n° 27, 2010); mentre tra le opere sociologiche si possono citare La società oltre il conflitto (Studi Urbinati, 2005), Il trionfo della tribù (Studi Urbinati, in uscita) e Anatomia del Mostro (Italian Society of Law and Literature, in uscita). Fabiana Bocchi è nata il 25 Maggio 1962 a Parma, dove vive tuttora. È illustratrice, ha frequentato l’Istituto d’Arte P. Toschi di Parma, la St. Martin School, scuola di illustrazione di Londra, e diversi corsi di in differenti sedi: Sarmede con Arcadio Lobato, workshop di illustrazione con Alessandra Scandella a Milano presso l’Associazione Illustratori, corso di illustrazione con Maurizio Quarello presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Attualmente sta frequentando un corso di pittura a olio col maestro Stefano Magnani di Parma. Collabora e ha collaborato con numerose agenzie di comunicazione e con Mondadori.
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Nella Bibbia c’era un biglietto di Beckert che m’indicava il luogo esatto in cui avrei pescato il fresco cadavere di Maddalena e il suo ignobile aguzzino a banchettare beato. Ovviamente sono stato assolto. E chi avrebbe avuto il coraggio di condannare un eroe, considerando che questo eroe aveva agito per salvare la vita di sua figlia nonché la propria? Legittima difesa, ed ero pulito come un angioletto. Maddalena è quella di sempre. Non ricorda nulla del rapimento, né delle violenze subite, né della sua stessa morte. Sono trascorsi sei mesi. Oggi è rientrata da scuola con un gatto randagio. Poverino, era inerte, forse investito da un automobilista. Mi ha detto che lo avrebbe messo in camera sua, in grembo alla bambola sistemata accanto all’armadio. Che ragazza amorevole. Da quando è tornata ha cominciato a collezionare bambole. Alcune sono molto grandi, sapete? Dice che le raccatta per strada, come fossero smarrite. Hanno lo sguardo fisso e la pelle che sembra vera, così liscia. L’espressione immota, i lineamenti distesi. Peccato per le macchie brune e certe lacerazioni che ne segnano membra e vesti. Evidentemente gli infami che le hanno abbandonate non se ne prendevano cura come si Madia conviene a giocattoli tanto preziosi. A proposito, pare che in città circoli un nuovo maniaco assassino. Spero solo che qualcuno riesca a farsi giustizia come il sottoscritto. In fondo, la rigidità esangue delle vittime potrebbe risultare un inganno, nient’altro che uno stato apparente.
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I Fumetti
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Giacomo Agnetti è nato nel 1978 e ha studiato presso la Scuola di Cinema Televisione e Nuovi Media di Milano come montatore cinematografico. Dopo essersi innamorato dell’animazione in stop-motion ha fondato la Magicmindcorporation, una piccola casa di produzione specializzata in animazioni e documentari. Le sue opere hanno ricevuto numerosi premi in diversi festival. Il suo primo cortometraggio Tramondo (2008), è stato nominato in cinquina al David di Donatello dalla prestigiosa Accademia del Cinema Italiano. Il suo interesse principale è divertirsi e mettere insieme persone per lanciarsi in imprese a volte improbabili, più spesso impossibili. Attualmente vive e lavora a Berceto, un microscopico paese sull’Appennino Tosco-Emiliano, assembla storie. Mario del Pennino nasce a Modena nel 1985 e dimostra subito una grande passione per il disegno. Passione che lo accompagna durante tutto il periodo scolastico quando comincia a frequentare i primi corsi di disegno. Si laurea in Design della Comunicazione al Politecnico di Milano e segue un corso di fumetto alla Nuova Eloisa (Bologna). È nel 2009 che inizia, a Reggio Emilia, la Scuola Internazionale di Comics. Durante gli anni delle superiori collabora a diversi numeri di “Sottosopra”, una fanzine modenese, cominciando a collezionare le prime esperienze fumettistiche, lavorando su sceneggiature altrui e proprie. Un primo “contatto con l’esterno” lo prova nel 2008, con la Cagliostro, per un episodio di un webcomic. Nel 2010, dopo vari colloqui con editor di diverse case editrici, trova finalmente il suo primo contratto di lavoro. Luca Giorgi nasce a Rimini nel 1986. Dopo essersi diplomato presso il Liceo Artistico di Rimini, si laurea presso l’Accademia di Belle Arti a Urbino. Nel 2011 vince il Premio di fumetto “Il tratto noir” – Seconda edizione. Appassionato da sempre di fumetto e illustrazione, prende parte a fanzine autoprodotte e collabora, freelance, con studi grafici. Hélène Taiocchi nasce a Parigi nel 1975, vive a Parma con Zoe e Gianluca. Disegna e dipinge da sempre.Ama il mare e le poesie di Neruda. Ha studiato fumetto presso la Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia.
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testi e disegni di Giacomo Agnetti
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disegni di HÊlène Taiocchi
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L’intervista Moreno Burattini di Alfredo Goffredi
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ra i tanti modi possibili di definire il fumetto, quello che continuo a preferire passa per le parole di Gianni Rodari. Tra tante definizioni che si concentrano sul target, le modalità e la struttura, Rodari puntava l’accento sulla sua finalità. «Un modo come un altro», diceva, «per raccontare una storia.» Ma come si scrive una storia a fumetti? Al di là di ciò che è evidente (la sceneggiatura, il duplice linguaggio, la sequenzialità), in cosa differisce lo scrivere fumetti dallo scrivere narrativa? Ne abbiamo parlato con Moreno Burattini, sceneggiatore e curatore di Zagor, celebre testata targata Sergio Bonelli Editore. Classe 1962, inizia la sua carriera nel mondo del fumetto dalla parte del lettore, come del resto molti, per poi imboccare la strada delle fanzine e delle riviste. Nel giro di pochi anni debutta come autore, un cammino in ascesa che lo porterà a firmare sceneggiature per importanti testate come Intrepido, Il Giornale dei Misteri, Cattivik, Lupo Alberto, Zagor e Il Comandante Mark. Uomo di penna decisamente versatile, con un background scrittorio che coinvolge non solo la sceneggiatura per il fumetto ma anche la narrativa, la saggistica critica e una passata attività di autore teatrale, in questa intervista Moreno Burattini squarcerà il velo che si interpone tra autore e lettore, permettendoci di osservare genesi, aspetti principali e potenzialità dello scrivere per il fumetto. Puoi spiegare ai nostri lettori in cosa differiscono ritmi, toni e stili dello “scrivere fumetti” rispetto allo “scrivere narrativa”? Sull’argomento ho scritto, ormai molti anni fa, una intera tesi di laurea di trecento pagine che trovo difficile riassumere in poche parole. Tuttavia, il fu-
metto è un medium, ovvero una forma di comunicazione, dotato di un codice proprio, al pari del cinema, della pittura, della poesia o della musica. Come per tutti i medium, per veicolare contenuti (idee, emozioni, storie), agli autori occorre una certa padronanza di questi codici, che bisogna saper utilizzare. Nel caso della letteratura, lo scrittore deve saper usare le parole (scelte con cura e nella giusta misura) per suscitare echi, brividi, divertimento e interesse in chi legge. Nel caso del fumetto, lo sceneggiatore e il disegnatore insieme devono saper ben calibrare le immagini e i balloon per raggiungere lo stesso risultato. In particolare, a chi sceneggia, serve la capacità di visualizzare ciò sarà disegnato in modo da capire quante vignette esattamente servono e che tipo di inquadrature devono avere, per raccontare nel modo migliore quel che serve. Così come unicamente chi ha visto e amato tanti film può pensare di sceneggiarne uno, allo stesso modo soltanto chi ha letto e amato tan-
Quali sono le letture fondamentali che hanno segnato il tuo percorso come persona e come autore? Credo che ciò che si legge (e si ama) da bambini, da ragazzi e da adolescenti sia ciò che forma e che segna davvero. Tutto il resto, le letture fatte da adulti intendo, ci arricchiscono ma non ci modellano. Io ho avuto la fortuna di aver sempre letto moltissimo. Però, sono stati soprattutto tre gli scrittori che hanno riempito i miei © Sergio Bonelli Edi tore scaffali negli anni delle elementari, medie e superiori: Emilio Salgari, Jules Verne e Isaac Asimov. Immagino che se oggi sono ciò che sono, lo devo anche a loro. In seguito sono venuti altri autori di tutti i generi, alcuni dei quali Meglio un linguaggio pulito ed elaborato o un linguagda me assolutamente adorati, talmente tanti che gio più secco, diretto, realistico? Il linguaggio è uno strumento che va utilizzato in non mi cimento in nessun tipo di elenco. funzione dell’effetto che si vuole suscitare. Se lo La problematica del dialogo è una problematica re- scopo è descrivere un personaggio come Branale per tanti scrittori di narrativa: come deve essere caleone che parla in modo ampolloso e magniun dialogo per sentirlo efficace? Quanto è importante loquente, non lo si può far parlare a monosillabi. Viceversa, se siamo in una situazione noir o nel contestualizzare il registro del parlato di un dialogo? È, o dovrebbe essere, sempre di fondamentale bel mezzo di una scena d’azione non è il caso di importanza che la scrittura di un dialogo sia fun- usare arabeschi di parole e sono più appropriate zionale alla storia. Lo sceneggiatore è chiamato a le frasi taglienti. Molto dipende anche dal pubblico scrivere dialoghi non solo interessanti e divertenti a cui ci si rivolge, dato che lo scopo di chi scrivere in grado di catturare l’attenzione del lettore e por- è comunicare con chi legge. tare avanti la vicenda, ma anche a caratterizzare i personaggi proprio grazie al loro modo di parlare, Al di là delle ovvie differenze di genere, cosa cambia tenendo appunto ben presente che di parlare si a livello creativo e mentale tra lo scrivere una storia
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Quanto è importante la narrativa classica (ma anche moderna e contemporanea) per uno sceneggiatore? Tutto è importante perché ogni autore è una ricetrasmittente che capta segnali, li elabora e li trasmette di nuovo. Siamo tutti antenne tese a intercettare onde nell’aria. Non si può scrivere senza aver letto. E dopo cinquemila anni di letteratura e cinquecentomila di storie raccontate a voce, alla fine, le trame sono sempre quelle elencate nella Poetica di Aristotele. Tutti gli eroi sono un po’ Achille, Ulisse ed Enea. Gli scrittori moderni sono nani sulle spalle dei giganti. Però hanno la capacità di saper parlare ai contemporanei, raccontando in modo diverso le stesse storie.
tratta: da qui l’esigenza di dialoghi quanto più vicini possibili al linguaggio parlato piuttosto che a quello scritto. Tuttavia, quando ci si mette al servizio di personaggi che hanno alle spalle una tradizione ultradecennale (come nel caso di Zagor) bisogna anche considerare quali sono i canoni da rispettare. Se un personaggio non dice parolacce da cinquant’anni, non sta bene che uno sceneggiatore di punto in bianco gliene metta in bocca una. Topolino non bestemmia, Diabolik ammazza ma non lancia epiteti coloriti contro Ginko, e via dicendo.
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ti fumetti può avere dentro di sé la visione chiara sul da farsi. Uno solo è il dono dell’affabulazione ma diversi sono i modi di affabulare e gli strumenti da usare per chi scrive cinema, romanzi o comics.
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di ambientazione realistica e una in cui si innestino, su una base realistica, elementi fantastici? Rispondo partendo con il dire che c’è qualcosa che non cambia, o non dovrebbe cambiare, sia in un caso sia nell’altro: la coerenza del racconto e la logica consequenzialità delle azioni. Purtroppo spesso si crede che in una storia fantastica © Bira Dantos - texwillerblog.com ci sia la libertà di fare qualunque cosa, anche a discapito del buon senso: ne derivano buchi narrativi che invece andrebbero sempre evitati. Personalmente, cerco sempre di costruire storie coerenti, con un inizio e una fine, in cui i personaggi non si comportino in modo illogico. Il fatto che il protagonista di una storia sia un mago o un cavaliere che lotta contro gli orchi non autorizza a propinare al lettore un racconto senza né capo né coda e una trama che non sta in piedi. Ciò detto, le storie con la pretesa di essere realistiche hanno il dovere di essere documentate e quelle fantastiche hanno il dovere di spiegare le regole del gioco, ovvero i limiti entro i quali l’autore si riserva il diritto di modificare la realtà. In tutti e due i casi, si tratta comunque di convincere il lettore a sospendere la sua incredulità, di raggiungere la famosa suspension of disbelief, croce e delizia di tutti i narratori. Questa sospensione non è più facile da ottenere in un racconto realistico piuttosto che in uno fantastico: il lettore è più disposto a credere che Peter Pan sappia volare piuttosto che Zagor non muoia cadendo dalle Cascate del Niagara. Scrivere narrativa, poi sceneggiature, poi giornalismo… e infine anche teatro! Come gestisci stili, modalità, tempi diversi l’uno dall’altro? Come scegli le “armi”
del Capitan scrittore, ogni volta? La mia attività di autore teatrale risale, ahimè, a diversi anni fa. Dico ahimè perché ho sempre trovato divertente scrivere commedie e testi di cabaret, e chi ha messo in scena i miei lavori mi chiede spesso di tornare a firmare qualcos’altro. Purtroppo, Zagor assorbe quasi completamente il mio tempo. Come giornalista sono molto specializzato e scrivo soltanto di fumetti e zone limitrofe: lo faccio da trent’anni, essendo nato come “fanzinaro”. Pubblico libri e articoli assecondando i miei gusti e le mie passioni.Tra le mie ultime cose: tre saggi dedicati a Gallieno Ferri, Giovanni Ticci e Guido Nolitta scritti con Graziano Romani, un rocker grande esperto di comics. Per la Mondadori sta curando da quasi due anni tutti i testi di approfondimento critico della collana Alan Ford Story. La narrativa è un hobby che coltivo fin da bambino, avendo sempre scritto racconti: da quando pubblico quasi mille pagine di fumetti all’anno, e cioè da vent’anni, tutti i romanzi che ho nel cassetto stanno coprendosi di polvere. Tutti tranne uno, dato che è appena uscito, Le mura di Jericho, pubblicato da Cartoon Club: una dime novel dal secco linguaggio western, con Zagor protagonista. Riesco a gestire le varie attività, cambiando gli strumenti di lavoro, semplicemente perché si tratta di cose comunque nelle mie corde. Una volta mi è stato chiesto di scrivere una trama per un videogioco e ho rifiutato perché, appunto, a ciascuno il suo mestiere. Sempre restando nell’ambito delle diversità tra generi, è interessante considerare uno degli elementi principali di una narrazione: i personaggi. Quali differenze intercorrono tra creare e sviluppare un personaggio per un romanzo, per un fumetto e per il palco?
Con oltre cento anni di storia sulle spalle, quale credi che debba essere la caratteristica principale del fumetto? Quali, invece, le sue esigenze? Il fumetto è, come il teatro, in grado di raccontare tutto e, come il teatro, non morirà mai. Cito il teatro perché di anni sulle spalle ne ha non cento ma, probabilmente, diecimila. La caratteristica principale del fumetto è la capacità di raccontare qualcosa di complesso con pochi elementi funzionali ed evocativi: le icone dei computer sono dei fumetti e non lo sanno. Nei fumetti, un segno evoca più significati, diversi per ogni fruitore quanto a
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intensità o profondità dei piani di lettura. Un videogioco è molto più univoco nella sua decifrazione. Le esigenze del fumetto, sono, di contro, una disponibilità del lettore alla lettura, che è sempre più difficile da ottenere. Zagor ha compiuto 50 anni. Se dovessi guardare indietro quale credi sia stato il momento più alto della sua storia editoriale? Cosa vedi invece per il suo futuro? Ogni zagoriano DOC, e io mi ritengo tale, risponderebbe dicendo che mai niente supererà le storie del periodo d’oro di Nolitta & Ferri. Per il futuro vedo racconti che cercheranno costantemente di tenere vivo il sense of wonder che caratterizzava le avventure di questi due grandi autori. Se potessi dare un consiglio che ritieni fondamentale a un aspirante scrittore quale sarebbe? E per un aspirante sceneggiatore di fumetti? Agli scrittori consiglio di non perdere mai di vista la solidità di una trama in favore di uno sfoggio di bella scrittura. Agli sceneggiatori di fumetti suggerisco di non credere che si tratti di un mestiere facile: bisogna averne la vocazione. Non si scrivono fumetti pensando che “tanto” sono fumetti. A tutti e due ricordo che non si diventa ricchi scrivendo, se non in rarissimi casi (ma allora si può vincere anche alla lotteria). Una domanda da lettore, in conclusione… è più forte Zagor o il Comandante Mark? ;) A pugni e con la scure, Zagor. Con la spada e con la pistola, Mark.
Moreno Burattini, sceneggiatore di fumetti, scrittore e autore teatrale, nasce il 7 settembre 1962 a San Marcello Pistoiese. Da sempre appassionato di fumetti, oggetto anche della sua tesi di laurea, dà vita nel 1985 alla fanzine Collezionare e nel 1992 è tra i fondatori della rivista “Dime Press”. Esordisce come autore nel 1990 sulle pagine di Mostri. Seguono poi sceneggiature per Intrepido, Cattivik e Lupo Alberto. Nel 1991 esce la sua prima storia di Zagor, personaggio di cui è oggi anche il curatore. Sempre per la Bonelli, Burattini ha scritto anche storie del Comandante Mark. Nel 1995 gli sono stati attribuiti il Premio ANAFI come miglior soggettista e il Premio Fumo di China come miglior autore umoristico. Durante l’edizione 2003 di Lucca Comics si aggiudica il prestigioso Gran Guinigi e, sempre per le sue sceneggiature, nel 2006 vince il premio Cartoomics. Alfredo Goffredi è nato a Londra il 3 marzo 1982 e cresciuto a Piacenza. Fa cose che fanno tutti tranne alcune che fa solo lui. Gli piacciono molte cose che piacciono a tutti e altre che piacciono solo a lui. Pensa ad alcune cose a cui pensano tutti, ma a molte altre pensa solo lui. Scrive racconti per edonismo e necessità, per nessuno in particolare; scrive di fumetti per “Comicus” e “Comics&co”.
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Le grandi storie sono sempre quelle con grandi personaggi. Ciò detto, è ovvio che su un palcoscenico il personaggio ha bisogno di una voce mentre in un romanzo può anche soltanto pensare, mentre in un fumetto ciò che gli serve è agire. Fondamentalmente un autore deve immedesimarsi nello spettatore e proporre quello che a lui, come fruitore, darebbe emozione: ogni medium ha poi i suoi codici e i suoi strumenti per veicolare i “brividi”. In teatro un personaggio, interpretato da un grande attore, può fare un monologo di un’ora fermo sulla scena, illuminato da un solo faretto, facendo commuovere tutti; in un fumetto la stessa cosa non reggerebbe per più di una tavola. Viceversa, i dialoghi dei balloon, scritti per interagire con dei disegni, non sarebbero altrettanto efficaci trascritti in un libro o recitati su un palcoscenico così come sono. Se c’è un personaggio da raccontare, ogni autore troverà il modo di mostrarne le luci e le ombre usando gli strumenti del medium prescelto.
COMUNE di PARMA Assessorato al Benessere e alla Creatività Giovanile
La rivista letteraria “La Luna di Traverso”, edita dalla Casa editrice Monte Università Parma e dall’Associazione Culturale “Lunatici”, condivisa e supportata dall’Archivio Giovani Artisti di Parma e Provincia, struttura dell’Assessorato al Benessere e alla Creatività Giovanile del Comune di Parma, bandisce un NUOVO CONCORSO PER NARRATORI, FOTOGRAFI, ILLUSTRATORI e FUMETTISTI. REGOLAMENTO Art. 1 - TEMA DEL CONCORSO Il nuovo tema dell’edizione n°31 de “La Luna di Traverso” è NOIR: noir come colore, del mondo o dell’anima, ma anche come genere letterario a tutti gli effetti. Crimini (ir)risolti, donne che uccidono non meno delle pistole, notti e giorni scuri come la pece e, sopra ogni cosa, l’antico fato greco, o il destino, a muovere i fili di tanti burattini dalle vite segnate, eroi e antieroi colti nel tentativo di indagare la metà oscura che esiste in ognuno di noi, e quella verità che pochi vogliono o possono affrontare. Questa, in estrema e imprecisa sintesi, la “scuola”. A voi decidere se conformarvi o se dare un altro originale significato a questo vero e proprio genere, ma sempre nel salto (questa volta mortale) delle 5400 battute. Buona scrittura. Art. 2 – REQUISITI PER LA PARTECIPAZIONE Il bando è rivolto a giovani autori operanti nei settori della Narrativa, della Fotografia, dell’Illustrazione e del Fumetto residenti, domiciliati, studenti o lavoratori nel territorio nazionale. Si richiede materiale inedito, in lingua italiana, che non sia stato premiato in altri concorsi o già pubblicato, anche parzialmente, oppure presente in Internet. La partecipazione al bando è totalmente gratuita. Art. 3 – MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE e INVIO DEI MATERIALI Opere narrative: si ammettono racconti originali ed inediti per una lunghezza massima di 5400 battute, spazi inclusi. Fotografie: si ammettono per ogni autore da 1 a 5 fotografie, originali e inedite, in bianco e nero o a colori, formato 10x15 cm. È preferibile scansionare ed inviare il materiale via mail o tramite posta su cd rom, con risoluzione minima 300 dpi. Illustrazioni: si ammettono per ogni autore da 1 a 5 tavole, originali e inedite, in bianco e nero o a colori, del formato massimo di un foglio A4 (21x29.7 cm). È preferibile scansionare ed inviare il materiale via mail o tramite posta su cd rom, con risoluzione minima 300 dpi. Fumetti: si ammettono un massimo di 2 tavole in bianco e nero o a colori, in cui sviluppare un racconto e realizzarlo con tecnica a libera scelta, del formato di un foglio A4 (21x29.7 cm). È preferibile scansionare ed inviare il materiale via mail o tramite posta su cd rom, con risoluzione minima 300 dpi. Per una maggiore valorizzazione, fruizione e aderenza agli intenti artistici e comunicativi di ogni fotografo o illustratore o fumettista si richiede, ove lo stesso autore lo ritenga utile e necessario, di indicare il titolo della propria opera, le dimensioni e la tecnica utilizzata. Questi dati verranno indicati come didascalia di accompagnamento alle fotografie o illustrazioni che verranno scelte per la pubblicazione. Le opere di tutti i partecipanti (Narrativa, Fotografia, Illustrazione, Fumetto) dovranno essere obbligatoriamente accompagnate da: una breve biografia dell’autore (massimo 800 battute, per evitarne tagli arbitrati) corredata dai dati personali (nome, cognome, indirizzo, recapiti telefonici, indirizzo e-mail). Farà fede il timbro postale. Eventuali attestati di partecipazione al concorso saranno assegnati agli artisti che ne faranno richiesta solo qualora i loro lavori vengano selezionati. I materiali dovranno essere inviati via mail a: lalunaditraverso@gmail.com Chi volesse, può comunque inviare le proprie opere per posta tradizionale, facendole pervenire al seguente indirizzo: MUP Editore,Vicolo al Leon d’Oro, 6 43121 Parma. Art. 4 – TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI e RESPONSABILITÀ In relazione alla previsione che il materiale possa essere pubblicato e utilizzato dalla redazione per letture e reading, in esecuzione del Decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), il partecipante fornisce il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali. Ogni autore partecipante sarà responsabile per i contenuti della propria opera. Inoltre i candidati si faranno garanti che l’opera presentata è originale, che non è mai stata premiata né presentata in altri concorsi, né mai pubblicata, nemmeno parzialmente, né immessa nella rete Internet. Art. 5 - CRITERI DI SELEZIONE e PREMIO Per la valutazione delle opere si terrà conto della qualità, dei percorsi di ricerca formale e dell’originalità dei testi e delle immagini. Il premio del concorso consiste nella pubblicazione dell’opera sulla rivista “La Luna di Traverso”, in formato cartaceo e digitale. Solo i vincitori saranno contattati dalla redazione e riceveranno al proprio domicilio due copie omaggio. Non si accettano racconti e materiali già editi o che hanno partecipato a bandi precedenti. Le decisioni della Commissione redazionale saranno inappellabili e il materiale non verrà restituito. Partecipando all’eventuale selezione, si concede il diritto, a titolo gratuito, di prima edizione delle opere inviate senza avere nulla a pretendere come Diritto d’Autore. Art. 6 – SCADENZA Le opere devono essere consegnate entro e non oltre le ore 12.00 del 31 ottobre 2011. INFORMAZIONI Per ulteriori informazioni, rivolgersi ai seguenti indirizzi email: lalunaditraverso@gmail.com - info@lunatici.net - redazione@lunaditraverso.it www.lalunaditraverso.it
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Giovanni Curi vive a Pescara. Si è diplomato presso l’Accademia di Belle Arti (Corso di Pittura) dell’Aquila con una tesi dal titolo Il Fumetto come mezzo di espressione dalle origini alla Pop Art. Subito dopo il diploma, ha frequentato un Corso di Grafica Pubblicitaria presso l’Università Europea del Design di Pescara, città in cui ha frequentato anche un Corso triennale presso la Scuola del Fumetto. Ha partecipato a numerosi concorsi: Omaggio a Tex, Oscar Comix, 2003, Chieti; Una fiaba per crescere, 2003, Associazione CaraSan, Sesto Calende (VA) (I classificato); La bicicletta d’oro, 2007, a cura del Centro Antartide; Il soffio divino negli animali, 2007, Arca 2000 Onlus; Il mio mare, 2007, IV Edizione, Casa Editrice Mandragora e Associazione Cultura e Risorse Onlus; Il viaggio, 2007, Edizioni Farnedi; Marco Pantani, 2008, Edizioni Farnedi (II classificato); Il fuoco, 2009, Proloco Gallarate (VA).
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