Per costruire insieme un’Europa plurale IDEE FEDERALISTE
Un Federalismo integrale per una cittadinanza delle differenze / Lanfranco Nosi
L’Europa oggi ha bisogno di nuove idee e nuove prospettive.
DIBATTITO SULL’EUROPA
Proposta per l’Europa / Umberto Allegretti
Il processo di integrazione, così come lo si è conosciuto, ha esaurito la sua spinta propulsiva e la sua capacità di mobilitare il cuore e la mente dei
FEDERALISMO E ANARCHIA/1
Il Federalismo Anarchico in Italia dal Risorgimento alla Repubblica / Luigi Di Lembo Per un programma di azione comunalista / Camillo Berneri Sviluppo dell’idea di federazione / Pierre-Joseph Proudhon
DOCUMENTI
Il controllo dal basso e la democrazia diretta / Aldo Capitini
cittadini europei.
Europa Plurale – Movimento per un Federalismo Globale, partendo dal patrimonio morale ed ideale
del Federalismo Integrale, vuole essere non solo un laboratorio di idee nuove, ma un soggetto in grado di porre sul campo proposte realmente alternative per la costruzione dell’Europa del futuro.
OSSERVATORIO
Nuovi Lavori e Nuovo Welfare: tra libertà e insicurezza, tra privilegi e diritti / Francesco Lauria Romania, così lontana, così vicina / Giampiero Granchelli
NOTE E SEGNALAZIONI
Democrazia Diretta / Murray Bookchin
Renditi protagonista di questo progetto: partecipa alla costruzione dell’Europa plurale! Per informazioni europa@europaplurale.org
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
dibattito sul futuro delle forme della convivenza politica deve muovere da una dimensione
Idee Federaliste UN FEDERALISMO INTEGRALE PER UNA CITTADINANZA DELLE DIFFERENZE
antropologica per giungere, dopo una serie di passaggi, alla dimensione istituzionale”3.
Per questo, definire le caratteristiche di una cittadinanza secondo le linee guida di un federalismo che si vuole integrale significa assumere la persona al centro della riflessione,
intendendo con il termine un individuo connotato da una identità definita anche in
Da ciò è chiaro chi si debba considerare come cittadino: tale è quello che ha la possibilità di adire alle cariche deliberative e giudiziarie Aristotele, Politica, Libro III
relazione a legami di carattere personale ed ascrittivi, legami intensi, ma che mantenga
costantemente la sua autonomia .
Lanfranco Nosi
Così infatti ce lo descrive Denis De Rougemont:
Coordinatore Nazionale Europa Plurale Movimento per un Federalismo Globale
“L'uomo è al tempo stesso libero e impegnato, autonomo e solidale. Egli vive nella tensione tra questi due poli: il particolare e il generale; tra queste due
responsabilità: la propria vocazione e la città; tra questi due amori: quello che
Per poter inquadrare il problema della “cittadinanza” all’interno di una prospettiva
deve a se stesso e quello che deve al prossimo - indissolubili. Quest'uomo che
citazione di Aristotele, della natura eminentemente politica del concetto di “cittadino”. In
persona.”4
vive nella tensione, nel dibattito creatore e nel dialogo permanente, è la
federalista in senso proprio è necessario partire dall’assunto, ben evidenziato dalla
altri termini, il cittadino è tale in quanto a) titolare di diritti politici, quei diritti che gli consentono di esercitare la libertà/dovere di partecipare attivamente al governo della
polis, quindi di prendere decisioni collettivamente vincolanti; b) la titolarità di tali diritti è il risultato di un atto politico di definizione dei requisiti; c)
Per poter inquadrare il problema della “cittadinanza” all’interno di una prospettiva federalista è necessario partire dall’assunto della natura eminentemente politica del concetto di “cittadino”
la definizione di tali requisiti è a sua volta legata “all’atto
politico costitutivo della sfera dell’appartenenza, cioè dei confini tra inclusione ed esclusione”1.
Per quanto quindi possa sembrare all’apparenza banale, affrontare il problema della cittadinanza significa innanzi tutto porsi il problema di individuare le caratteristiche, e
soprattutto i presupposti, dell’atto politico che porta alla
costituzione
della
comunità
o
della
collettività
di
riferimento. Di fatto, nell’analisi della storia e dei mutamenti del concetto di cittadinanza, spesso non facciamo altro che esaminare i mutamenti delle comunità politiche in quanto tali, e quindi della ridefinizione costante di quei “confini”
Questo significa assumere la diversità dei legami sociali e culturali entro i quali l’uomo si esprime e si realizza non
solo come un dato di fatto (eventualmente da neutralizzare), ma come un elemento essenziale e costitutivo nel processo
di articolazione di una comunità politica complessa, una comunità di comunità. E’ una scelta eminentemente politica: si assumono come valori la diversità e la differenza dei
soggetti
individuali
e
dei
soggetti
collettivi5,
che
acquisiscono in tale prospettiva piena legittimazione e
dignità in quanto soggetti autonomi. Si assume che il conflitto sia una dimensione irriducibile del vivere umano, e quindi tra soggetti diversi (siano essi individuali o collettivi),
ma che, attraverso la cooperazione e la partecipazione alle
decisioni collettive (secondo il principio di sussidiarietà, per il quale la presunzione di competenza agisce “a favore del
che le determinano. Il punto è decisivo, in quanto dietro questo “atto politico
costitutivo” risiede inevitabilmente una certa idea dell’uomo
e delle relazioni umane2, e conseguentemente che “ogni 1
Assumere la diversità dei legami sociali e culturali entro i quali l’uomo si esprime e si realizza come un elemento essenziale e costitutivo nel processo di articolazione di una comunità politica complessa
Virgilio Mura, Sulla nozione di cittadinanza, in Virgilio Mura (a cura di ) Il cittadino e lo Stato, Milano,
Franco Angeli, 2002
Rougemont, L'attitude fédéraliste, relazione tenuta nel 1947 a Montreux in occasione del Congresso
dell'Union Européenne des Fédéralistes, in Ibidem, L'Europe en jeu, Neuchâtel, La Baconnière, 1948 3
Marco Tarchi, Una risposta alla crisi? – postfazione a Alain de Benoist, Democrazia: il problema,
Firenze, Arnaud Editore, 1985
Denis De Rougemont, L'attitude fédéraliste, Cit. “Il federalismo poggia sull'amore della complessità, per contrasto con il semplicismo brutale che
4 5
“Penso che sia vano parlare di problemi politici se non ci si è prima soffermati su qualche idea
caratterizza lo spirito totalitario. Dico proprio l'amore, e non il rispetto o la tolleranza. L'amore delle
dell'uomo; e questo perché ogni politica implica una certa idea dell'essere umano e contribuisce a
complessità culturali, psicologiche e anche economiche, questa è la santità del regime federalista.”
2
promuovere una qualche idea di umanità (che lo si voglia o no, che piaccia o no).”, Denis De
3
Denis De Rougemont, L'attitude fédéraliste, Cit.
4
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
livello più vicino agli interessati”6) si crei una rete di obblighi politici reciproci7 e
in senso lato comunità10. Tale approccio implica il superamento, ma non la negazione
Le collettività politiche di riferimento si costituiscono quindi attraverso “l’atto politico”
integra, in quanto è implicita la possibilità, per la persona, di essere cittadino di una
conseguentemente si possa rendere l’antagonismo fecondo8.
della federalizzazione di soggetti liberi ed autonomi, che porta alla costruzione di
assoluta, dei modelli di cittadinanza legati ai tradizionali jus sanguinis e jus soli11: li
comunità sia per “effetto automatico di circostanze”12 sia per scelta consapevole, e li
comunità sempre più ampie e comprensive, che non implica affatto la scomparsa dei
supera in quanto la cittadinanza assume caratteristiche e forme diverse a seconda dello
aperta e una articolazione dialogica.
Quest’ultimo aspetto è forse il più rilevante, e merita di essere ulteriormente specificato.
“confini” e delle appartenenze dei soggetti che vanno a federarsi, ma una loro definizione
spazio politico nel quale si esprime.
In tale prospettiva, i criteri che determinano inclusione/esclusione dal patto federativo
Assumendo che la cittadinanza si espliciti nella capacità di concorrere nella deliberazione
(quindi dalla cittadinanza della specifica unità politica che tale patto costituisce) sono:
di decisioni vincolanti per una data collettività o comunità, ed assumendo che, sulla base
-
la condivisione dello stesso “spazio vitale”, inteso come “luogo ove la propria esistenza quotidiana forma il mondo”9;
-
il riconoscimento reciproco;
-
la volontà di affrontare insieme problemi comuni, attraverso
responsabile.
una
partecipazione
attiva
e
Si configura quindi, in un contesto di federalismo “diffuso”, una cittadinanza delle differenze, in quanto gli attributi
propri della cittadinanza così come si sono definiti precedentemente individuali,
le
non
persone,
afferiscono ma
anche,
solo
ed
ai
è
soggetti
il
punto
fondamentale, ai soggetti collettivi, che potremmo definire
Le collettività politiche di riferimento si costituiscono quindi attraverso “l’atto politico” della federalizzazione di soggetti liberi ed autonomi
del principio di sussidiarietà, le decisioni devono essere prese per quanto possibile al
livello più vicino agli interessati, risulta evidente come possano presentarsi forme diverse di “cittadinanza”, e soprattutto “cittadini” di diversa natura (intendendo qui la natura di soggetto collettivo o individuale), a seconda del livello al quale si collocano i problemi oggetto della deliberazione, e quindi della “comunità politica” chiamata a risolverli. In altri
termini, potenzialmente si posso strutturare tante unità federali quanti sono i patti che
vengono stabiliti tra i vari soggetti.
Questo implica la possibilità dell’esistenza di comunità politiche diverse per dimensioni ed “intensità”: a partire dalle piccole e piccolissime comunità locali, dove più “intensa”,
perché più diretta, è la partecipazione e più intenso è il sentimento di appartenenza (potremmo dire che sono “più umane”13), fino a comunità continentali strutturate come
10
Adottiamo qui una definizione “minima” di comunità mutuandola da Carl Friedrich: “Una comunità è,
Alain de Benoist, Giacobinismo o Federalismo? In Ibid., Le sfide della postmodernità, Bologna, Arianna
potremmo suggerire ipoteticamente, composta da persone che sono unite da uno o più dei seguenti
potere è distribuito tra la federazione e gli stati membri, almeno teoricamente, secondo il principio di
simboli, ed infine, la religione e i suoi rituali”, Carl J. Friedrich, Le dimensioni della comunità politica, in
6
Editrice, 2003. Sul tema, interessante anche la sintesi di Ferdinand Kinsky: “Nello stato federale, il
esatto adeguamento: il potere deve situarsi là dove i problemi si pongono. Inoltre, il potere federale deve rispettare l’autonomia dei poteri componenti. Esso interviene, come potere sussidiario solo nel caso in cui un problema sorpassi il grado di competenza dei piani inferiori.[…] L’applicazione integrale del principio dell’esatto adeguamento porta una ripartizione dei poteri politici, economici, sociali e
culturali, secondo i bisogni e le esigenze reali.” – F. Kinsky, Le Fédéralisme et Alexandre Marc, Losanna,
Centre de Recherches Europeénnes, 1974 7
In questo senso fondamentale risulta l’analisi del “federalismo in quanto struttura per partecipare” in
Giuseppe Gangemi, Federalismo come struttura per partecipare e valorizzare le identità locali, nella
versione pubblicata su Europa Plurale – Rivista per un Federalismo Globale, n° 4/2005 8
aspetti della personalità: valori – ivi inclusi scopi, interessi, idee, ideologie -, miti, utopie ed i loro Ibidem, L’uomo, la comunità, l’ordine politico, Bologna, Il Mulino, 2002
11
civitatis sia di norma un effetto automatico di circostanze (nascita, filiazione, adozione, etc.) che
prescindono totalmente dalla volontà del soggetto interessato. L’unica eccezione in materia è rappresentata dall’istituto dell’acquisizione per opzione peraltro limitato, ove ammesso, a pochi casi rigidamente circoscritti.” Virgilio Mura, Sulla nozione di cittadinanza, cit.
12 13
“Considerare l’uomo in quanto persona e fondare su questa persona tutte le istituzioni significa
riconoscere la natura concreta dell’uomo, che comporta il conflitto. Le istituzioni che tengono conto
“La combinazione dei principi dello jus soli e dello jus sanguinis, che continua ad ispirare la maggior
parte delle legislazioni nazionali in tema di cittadinanza, prevede che l’acquisizione dello status
Vedi Supra
“La misura umana di una Comunità è definita dalla limitata possibilità che è a disposizione di ogni
persona per contatti sociali. Un organismo è armonico ed efficiente soltanto quando gli uomini preposti a determinati compiti possono esplicarli mediante contatti diretti”, Adriano Olivetti, L’idea di
dell’uomo concreto, tengono anche conto del principio di ogni conflitto, e hanno come scopo quello di
una Comunità concreta, in Ibid., Società, Stato, Comunità.
Persone, 1934
assolutamente delle piccole comunità. […] Siamo fatti per vivere nella nostra famiglia, prima, poi nel
rendere gli antagonismi fecondi per l’insieme del corpo sociale.” Denis de Rougemont, Politique de la 9
Parafrasiamo qui Ivan Illich quando ci ricorda “In numerose lingue “vivere” è sinonimo di abitare.
Chiedere “dove” vivi significa chiedere qual è il luogo dove la tua esistenza quotidiana forma il mondo”
5
“Per servire le finalità supreme dell’uomo, libero e responsabile e amato in modo attivo, bisogna avere
nostro comune, nella nostra piccola regione.” Denis de Rougemont, Libertà, responsabilità e amore, Bellinzona, Jaka Book, 1990
6
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
matrici di autonomie cooperanti14, dove la partecipazione e il senso di appartenenza sono
solidale”17: qui possiamo trovare quei soggetti, quelle individualità e collettività che
L’adozione
prospettive, costituire la base per realizzare un’Europa delle differenze e della pluralità.
“mediati” dalle collettività federate15. di
una
tale
prospettiva
ha
svariate
implicazioni,
ma
alcune
sono
possono, in uno sforzo comune di “rimessa in gioco” e di rielaborazione delle proprie
particolarmente rilevanti: in un contesto come quello delle società contemporanee, ove la multiculturalità non è una possibile opzione ma un dato di fatto ineludibile, potrebbe aprire nuove strade per una reale integrazione (e non assimilazione) di comunità ed
identità culturali forti in un processo di definizione di nuove regole di convivenza. Questa
dimensione inclusiva, unita alla dimensione fortemente partecipativa consentirebbe la ricreazione di strutture ed istituzioni democratiche nel senso più “pieno” del termine,
attraverso una azione “dal basso verso l’alto” della molteplicità dei corpi sociali e delle persone.
Non possiamo comunque sostenere che una teoria del genere, seppur qui esposta in maniera forse troppo generica, sia priva di aporie e di criticità, ma questo vale per tutti i “costrutti” teorici: in questo contesto, quindi, è forse più utile individuare due aspetti, legati fra loro, che forse più di altri, anche se non il solo, risultano determinanti per poter pensare come realizzabile una tale proposta. Da una parte, a fronte della centralità teorica del momento partecipativo (dall’atto federativo alla “vita” della collettività politica così formata), non possiamo esimerci dal
porre, seppur brevemente, l’attenzione su un “vecchio” tema da sempre connesso
all’analisi della democrazia e del suo sviluppo, quale è quello delle condizioni necessarie affinché i soggetti siano in grado di partecipare: una riforma così radicale della cittadinanza non può prescindere dall’elaborazione di prospettive e politiche in grado di “recuperare” tempo e spazio necessari,ad una partecipazione attiva e responsabile16.
Conseguentemente, dobbiamo porre assolutamente l’attenzione sull’importanza che può
rivestire il processo di unificazione europea: abbiamo infatti di fronte la possibilità di creare il primo grande spazio politico continentale in grado, per le risorse presenti, di
porsi come alternativa di convivenza e di civiltà possibile, ma questo solo a condizione di
rilanciare il processo secondo coordinate diverse, rilanciandolo dal basso attraverso quel processo di costruzione attiva delle comunità politiche che abbiamo sinteticamente
enunciato. E non è un percorso “folle”, ma è già “in potenza” nella nostra quotidianità, dalle “reti di associazioni” agli “esperimenti” di “democrazia partecipativa” e di “economia
14
Sulla natura e sul concetto di “matrice” riferita al federalismo è d’obbligo il rimando al lavoro di
Daniel J. Elazar, in particolare Idee e forme del federalismo 15
Tale “mediazione” non significa però una totale assenza del soggetto individuale: si tratta di una
forma della cittadinanza che deve necessariamente articolarsi attraverso modalità diverse rispetto a quelle utilizzate in un contesto di prossimità, quale quello delle comunità locali. 16
In questo senso va letta l’attenzione che il federalismo integrale ha da sempre dedicato ai
meccanismi e alle dinamiche economiche e sociali (da Adriano Olivetti ad Alexandre Marc, solo per citare due nomi), ma che in questo contesto non possiamo adeguatamente illustrare, così come
17
7
8
l’interesse verso il variegato e fertile (dal punto di vista teorico) arcipelago “altermondialista”.
Si vedano, sul tema, anche le riflessioni di Mauro Bonaiuti sul n° 4/2005 di Carta Etc., Ma in pratica
che cos’è un’altra economia?
DIBATTITO SULL’EUROPA
Europa Plurale – 2/2006
Dibattito sull’Europa
situazione.
PROPOSTA PER L’EUROPA*
Qui concentreremo lo sguardo sui problemi della ripresa del discorso costituzionale, nella convinzione che esso rappresenti, secondo che si riavvii una forma positiva o che ristagni,
Questo articolo avanza una proposta per la ripresa del
dialogo sulla questione del Trattato costituzionale dell’Unione europea, condivisa nei suoi intenti dal
Umberto Allegretti
Centro Riforma dello Stato
sovranazionale. È vero che entrambi questi principi sono presenti, in concorrenza tra loro,
nella costruzione europea, ma ogni spostamento a favore della sovranità degli stati e a
Il quadro delle prospettive
Che proposte si possono fare per il futuro dell’Europa, dopo le gravissime difficoltà del
Trattato
costituzionale
e
alla
fine
di
un’estate
drammaticamente dominata dagli attentati terroristici, che ha visto ulteriormente complicarsi le condizioni generali del contesto mondiale? Si vorrebbe sperare che da molte parti si sia avviata una riflessione feconda, ma poiché, se essa vi è, i risultati tardano a uscire allo scoperto, si ritiene utile avanzare una proposta, frutto di assidua meditazione e di impegno partecipe e legata a quanto si è potuto osservare non solo con lo studio delle informazioni ap-parse sui mezzi di comunicazione e della documentazione disponibile sui siti ufficiali di Internet, ma anche durante un non breve soggiorno a Bruxelles che ha consentito rapporti a diversi livelli delle istituzioni e in diversi ambienti e che ha offerto la
possibilità di dar conto qui del quadro generale delle posizioni e delle prospettive che sembrano affacciarsi.
È evidente che al momento tutto il cammino dell’Europa si rivela estremamente fragile e che per una rimessa in movimento si rendono necessarie idee forti *
«vita buona» dei popoli europei e anche per un valido contributo all’equilibrio del mondo
non direttamente teorico sul «principio sovranista» rispetto alla concezione comunitaria e
contributo per aiutare l’Europa a uscire dalla. pericolosa stasi in cui è caduta.
ratifica
di un’Europa ormai estremamente allargata – che è assolutamente necessario per una
Lo sbandamento degli stati membri è il frutto, si avverte, di un ripiegamento effettivo se
studi e iniziative per la riforma dello stato come
nella
un elemento essenziale anche per quel funzionamento normale dell’Europa – e tanto più
intero.
collettivo della rivista e dai responsabili del Centro di
incontrate
Europa Plurale – 2/2006
parte scomposte, non sono che i più sensazionali e i più noti fra i segnali di questa
È evidente che al momento tutto il cammino dell’Europa si rivela estremamente fragile e che per una rimessa in movimento si rendono necessarie idee forti. La crisi dichiaratasi con l’esito negativo dei referendum francese e olandese non sta determinando unicamente incertezze e silenzi sulla ripresa del processo di approvazione del trattato costituzionale e sul corso futuro dell’integrazione, ma anche uno sbandamento dei paesi membri e un disagio
delle istituzioni comuni estesi alle decisioni concrete e alla vita quotidiana dell’Unione. Le questioni apertesi sul bilancio comunitario, con le liti che hanno provocato, e quelle sui provvedimenti nei confronti del terrorismo, affrontato dai diversi stati con reazioni differenziate e in
L’articolo è apparso sul numero 3/2005 di Democrazia e Diritto. Si ringrazia per la gentile
concessione l’autore e il Centro per la Riforma dello Stato.
11
detrimento dell’integrazione comunitaria, soprattutto se si verifica su terreni nei quali già l’integrazione era progredita, rappresenta una sconfitta e un pregiudizio per il futuro. Tutto ciò si avverte nelle espressioni di ogni paese e della rispettiva dirigenza: nulla di più evidente, per prenderne atto, che evocare le acute difficoltà della vita politica francese e l’esito, che appare al momento attuale paralizzante, delle elezioni tedesche, per non parlare della disarticolazione e degli aspetti ormai drammaticamente pagliacceschi della situazione della sfera di governo italiana, fenomeni interni ma che si collegano direttamente, e quanto acutamente, al problema europeo. A sua volta il disagio che si vive nelle istituzioni le riguarda tutte quante. Secondo alcuni il Consiglio – cioè l’organo che rappresenta più degli altri il principio nazionale ma costituisce in pari tempo la sede più elevata e decisiva per dare impulso all’Unione – è caduto dopo i referendum in «qualcosa come un panico», in uno «stato di choc» ed è tuttora «completamente senza speranza», «è paralizzato» . E la presidenza inglese
Lo sbandamento degli stati membri è il frutto, si avverte, di un ripiegamento effettivo se non direttamente teorico sul «principio sovranista» rispetto alla concezione comunitaria e sovranazionale 12
certamente non aiuta nella direzione di imprimere slancio al lavoro comune né men che meno in quella di approfondire
l’unificazione sul piano istituzionale e costituzionale, perché la concezione britannica dell’unità europea – pur nei momenti in cui ha avuto accenti sinceri e forti e anche nella versione blairiana – è da sempre quella di un semplice coordinamento per via consensuale delle politiche nazionali e non del trasferimento di parti della sovranità per il loro esercizio in comune. Infatti questa presidenza – e non pare giustificazione sufficiente il dramma degli attentati di Londra, che anzi avrebbero potuto dar luogo a un comportamento contrario – ha mancato finora, malgrado il
tono baldanzoso dell’iniziale discorso di Blair davanti al par-lamento europeo, all’opera di tonificazione e di impulso che sarebbe stata necessaria. Non suscita speranze, in
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
questa direzione, la convocazione per fine ottobre di un Consiglio informale che dovrebbe
innovativi. Alcune proposte, poco note fuori dalla Francia, sono state formulate nella
mancava ancora a fine settembre un’agenda precisa e un documento preparatorio,
un’iniziativa dalla presidenza austriaca, che succederà a quella britannica e che sembra
peraltro usuale nella prassi europea.
stia già preparando il suo programma.
essenzialmente, secondo gli an-nunci, vertere sul modello sociale, ma per il quale
Nelle rappresentanze degli stati non sembra stia maturando nulla che sopperisca all’inerzia della presidenza. La Commissione, a sua volta, non appare decisa a prendersi il compito di offrire un preciso contributo per tentare di sbloccare l’impasse costituzionale:
preparazione o alla conclusione del referendum in quel paese. Più d’uno si attende
La necessità di Europa
In presenza di questa situazione ufficiale, è importante che da molte parti, comprese le
anche se qualche previsione di tappe procedurali compare nel testo scritto della
sedi culturali e associative, il discorso sul futuro dell’Europa ritrovi slancio. Può spingervi
conferenza stampa del presidente Barroso citata nella nota 2 – che ha inteso portare
anche la storia dell’integrazione. Nel cammino europeo ci so-no sempre state alternanze
all’esterno i risultati di un così denominato brain storm a porte chiuse tenuto il giorno
di fasi, spinte in direzioni opposte, alti e bassi. Ma la constatazione essenziale è che
quello che fa fede), a detta di chi vi ha assistito, Barroso si è così significativamente
pensare
espresso: «Noi non avremo una costituzione in un avvenire vicino, nei due o tre anni
l’integrazione è stata messa in maggior crisi dal fallimento di un’ipotesi di avanzamento –
prossimi»; nel frattempo la Commissione intende «lavorare» senza perdersi in infinite
qui il ricordo più pungen-te è quello del rigetto da parte del parlamento francese della
«discussioni trascendentali sull’avvenire dell’Europa»; e bisogna «evitare ad ogni prezzo
Comunità europea di difesa e con essa del progetto di dar vita a una costituzione
l’idea di un vuoto, di una impasse o di una paralisi» poiché «si può lavorare più
propriamente politica – le ragioni della ripresa della marcia hanno prevalso sullo
attivamente sulla base dei trattati esistenti» . Non si tratta evidentemente, sulla bocca del
scoraggiamento e sull’inerzia e, colte da uomini lungimiranti e da forze collettive
responsabile dell’esecutivo comunitario, di mere constatazioni di fatto, in quanto tali
consapevoli, si sono aperte la strada verso obiettivi realizzabili.
la scelta di una decisa separazione tra la vita comune delle
bastano considerazioni puramente pragmatiche anche se le circostanze spingono; occorre
precedente dall’organo collegiale –, nell’intervento orale (che per formale indicazione è
parzialmente attendibili e parzialmente giustificate ma anche questionabili; esse indicano istituzioni e della gestione europea e la preparazione del futuro
d’Europa,
che
corrisponde
a
un
programma
gestionale minimo, quale del re-sto è sempre stato quello della attuale Commissione. Infine, il parlamento. Qui i segnali sembrano più positivi. In seno alla Commissione affari costituzionali, sono già previsti per le settimane autunnali una riflessione e un dibattito sulla ripresa del processo costituzionale, destinati
– forse in gennaio – a sboccare in una discussione nel plenario che potrebbe essere una fonte di proposte e di reinnesco di fiducia. Il quadro non è sicuramente tale da infondere ottimismo né coraggio. Se ci si fa a guardare sotto la superficie, è però vero che qualche segno meno visibile inviterebbe a maggiore fiducia. Sembra che qua e là studi e riflessioni siano avviate, per esempio ad opera dell’antico commissario portoghese Vitorino, persona di
buon livello anche se ormai fuori dell’istituzione. Altri vorrebbero sperare nel presidente del governo spagnolo Zapatero, che su altri piani – per esempio su quello della politica
globale
–
ha
mostrato
fantasia
e
propositi
Nelle rappresentanze degli stati non sembra stia maturando nulla che sopperisca all’inerzia della presidenza. La Commissione, a sua volta, non appare decisa a prendersi il compito di offrire un preciso contributo per tentare di sbloccare l’impasse costituzionale 13
l’attaccamento all’idea di unità è rimasto vivo anche nelle stagioni più difficoltose (basti ai
lunghi
anni
dominati
dal
nazionalismo
gollista).
E
proprio
quando
Da che cosa uomini e forze di questo tipo potrebbero oggi partire per una ripresa? Non una riflessione di fondo, la rimessa a punto rigorosa di una filosofia dell’Europa. Perché fare unita l’Europa? Questo bisogna tornare a chiedersi. È solo la chiarezza di un
Non bastano considerazioni puramente pragmatiche anche se le circostanze spingono; occorre una riflessione di fondo, la rimessa a punto rigorosa di una filosofia dell’Europa. Perché fare unita l’Europa? Questo bisogna tornare a chiedersi 14
interrogativo sulle ragioni dell’unità e sulla necessità del suo
approfondimento
che
può
portare
a
un’azione
conforme. Lo ha visto bene Habermas, come pure altri lo hanno segnalato. Habermas sintetizza in tre motivazioni fondamentali la
costruzione di un’identità europea: dopo l’allargamento a est occorre all’Europa una base unitaria democratica per l’accettazione di politiche che comportano una distribuzione disuguale di vantaggi e svantaggi tra i vari paesi; cresce il bisogno di ar-monizzazione delle legislazioni nazionali per affrontare le difficoltà economiche e sociali; incombe la necessità di una ridefinizione del ruolo globale dell’Europa, specialmente nel suo rapporto con gli Stati Uniti. È bene sottolineare che le due prime ragioni da sole non sono sufficienti; anche perché, poten-do esse assumere un senso
puramente egoistico, mancherebbe all’unità europea una giustificazione generale dal punto di vista della storia del mondo.
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
L’argomentazione dello stesso Habermas lo mette in risalto . L’Europa è necessaria al
responsabilità precise sul piano della pace e delle relazioni economiche, sociali e culturali
all’unilateralismo egemonico degli Stati Uniti»: cioè come antidoto alla possibilità che gli
europeo degli affari esteri, sedi deliberative collegiali, servizi di rappresentanza europei –
Usa vadano avanti in un atteggiamento imperiale, in una sfida al terrorismo, agli stati
funzionanti nelle forme dell’integrazione.
«fuorilegge» e ad altri, mondialmente dilatata e affidata essenzialmente all’uso della forza
Vorremmo precisare – non perché gli altri siano meno importanti – uno di questi punti,
(che si vorrebbe giustificare in nome della democratizzazione universale) e così
quello dei diritti e delle politiche sociali, che non è stato affrontato a sufficienza nel
istituiscano un confronto unilaterale con tutto il mondo che fa a meno delle istituzioni
dibattito che si è svolto alla Convenzione né attorno e dopo di essa. È possibile pensare a
internazionali e che inasprisce il conflitto tra aree diverse del pianeta (manifestazione
una diversa sistematica delle competenze dell’Unione in campo sociale, così da tentare di
recente è stato il ravvicinamento in campo militare tra Russia e Cina).
risolvere il problema che è stato sicuramente alla base delle preoccupazioni che hanno
Si ripresenta così in condizioni mutate quello che è chiaramente indicato dal massimo
mosso contro il Trattato una porzione consistente degli elettori francesi e olandesi di
visione, l’unificazione europea fu avviata, col Piano Schuman del 1950, non solamente per
stesse della contrarietà alla costituzione europea di considerevoli forze della sinistra e del
assicurare la pace intraeuropea rimovendo l’ostilità tra Francia e Germania, ma per
movimento italiani, e che rispondono in realtà a un’ansia dei cittadini europei diffusa in
superare lo «squilibrio» – è la parola usata da Monnet – generato nelle relazioni mondiali
tutti i paesi, almeno quelli dell’Europa occidentale?
mondo come – per usare un’efficace espressione di quell’autore – «contrappeso politico
ideatore dell’integrazione, Jean Monnet, nei suoi coinvolgenti Mémoires. In quella lucida
mondiali, da assolvere nel quadro di istituzioni multilaterali e affidate a organi – ministro
sinistra, delle spinte che spiegano i risultati delle elezioni tedesche e delle motivazioni
dallo scatenarsi del conflitto tra Stati Uniti e Urss, nel cui contesto l’Europa, colmando il
Come si sa, l’Unione – la Comunità – dispone di competenze decisive, sostanzialmente
vuoto tra le due superpotenze, avrebbe potuto portare moderazione e bilanciamento.
esclusive, in tema di moneta; impone agli stati impegnativi vincoli finanziari e di bilancio,
In realtà le distinte motivazioni, gli scopi interni ed esterni dell’unità, si saldano tra loro,
per quanto di recente interpretati in maniera un po’ più flessibile con le modifiche
nella linea di un’identità storica europea tanto diversa, malgrado la parentela, da quella degli Stati Uniti. L’Europa contribuirebbe all’equilibrio mondiale perseguendo al suo interno una democrazia non limitata agli istituti di rappresentanza e alle elezioni e un modello sociale basato su un rapporto bilanciato tra politica e mercato; fondandosi su una cultura
tendente
alla
complementarità
tra
impianto
individualistico e solidarietà sociale e consapevole delle ambiguità
della
modernizzazione
e
della
tecnica;
conservando memoria dei guasti provocati dall’uso della forza e della sua propria «esperienza del declino» .
Gli elementi essenziali della costituzione europea
Queste riflessioni potrebbero suggerire quali siano gli elementi
essenziali
della
costituzione
europea.
Essi
andrebbero visti in un’enunciazione dei diritti degli europei e dei non-europei attenta ai diritti sociali non meno che a quelli individuali e ai nuovi traguardi e ai vincoli relativi nel campo della vita, dell’ambiente e delle tecnologie; in un incremento della democrazia in tutte le sue forme; in un’assegnazione di compiti all’Unione per le decisioni sui livelli essenziali dei diritti, incluse le politiche sociali e della
vita, tali da armonizzare le legislazioni degli stati e prima ancora da guidare dall’interno le politiche economiche, monetarie e finanziarie dell’Unione; in un’indicazione di
L’Europa contribuirebbe all’equilibrio mondiale perseguendo al suo interno una democrazia non limitata agli istituti di rappresentanza e alle elezioni e un modello sociale basato su un rapporto bilanciato tra politica e mercato 15
È possibile pensare a una diversa sistematica delle competenze dell’Unione in campo sociale, così da tentare di risolvere il problema che è stato sicuramente alla base delle preoccupazioni che hanno mosso contro il Trattato una porzione consistente degli elettori francesi e olandesi di sinistra? 16
apportate al patto di stabilità; possiede alcune competenze,
peraltro tutt’altro che adeguate al peso della politica tributaria, sul terreno fiscale; ha finalità e compiti in materia di politica economica, pur se qui si tratta di un vago coordinamento
delle
politiche
statali
più
che
di
un’autonoma capacità decisionale; in tema di lavoro assolve a compiti circoscritti, gran parte delle funzioni relative rimanendo agli stati, nell’ambito, anche qui come nella politica economica, del metodo di coordinamento aperto; svolge quasi solo interventi complementari a quelli degli
stati nelle altre politiche sociali, dalla salute all’istruzione, alla
previdenza
–
per
non
parlare
dell’assistenza,
dell’abitazione e di altri diritti –: tutti campi nei quali le norme dei trattati stanno ben attente a ripetere in maniera incalzante il divieto di armonizzazione da parte della legge europea delle legislazioni nazionali. La Carta di Nizza conferma che i diritti sociali, che essa pur proclama e nei cui confronti predica il rispetto da parte dell’Unione, sono lasciati per la loro realizzazione agli
ordinamenti degli stati; e neppure il trattato costituzionale intende
sostanzialmente
variare
quest’ordine
delle
competenze, avendo di massima scartato con la sua parte terza la linea dell’innovazione rispetto all’ordinamento
Europa Plurale – 2/2006
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precedente.
propri interventi, mantenendo così le peculiarità dei rispettivi modelli sociali. E non è forse
tra le politiche economiche e finanziarie e le politiche sui diritti, lasci la possibilità di
altro delicato terreno di intervento dell’Unione – con la proposta di decisione quadro
soddisfare adeguatamente le esigenze di socialità in una situazione in cui le decisioni
avanzata dalla Commissione al Consiglio (proposta 2004/0113 del 28 aprile 2004, ancora
economiche spettano in prevalenza al livello dell’Unione mentre essa è priva di
non approvata) in tema di diritti processuali nei procedimenti penali, che – sia pure per
competenze sufficienti sulle politiche sociali e queste restano compito degli stati? O
ora limitatamente a un numero piuttosto ristretto di diritti di difesa identificati come quelli
l’Unione, focalizzata tutta sui temi finanziari e monetari e d’altronde non abbastanza
il cui rispetto nel processo è il più imprescindibile per rendere accettabile il reciproco
dotata di poteri in materia economica e tributaria, non sarà condotta inevitabilmente a
riconoscimento delle decisioni penali – prevede per essi dei minimi di trattamento da
non considerare con la dovuta responsabilità gli effetti delle sue politiche sulle condizioni
osservarsi da tutte le legislazioni degli stati.
sociali dei cittadini? E dal canto loro gli stati, che beninteso traggono già dalle dinamiche
Certamente vi sono in questa possibile tecnica dei rischi. Come quello che la fissazione
europee – nell’assicurare ai soggetti livelli di diritti adeguati al bisogno di solidarietà e di
sotto la spinta delle condizioni e dell’orientamento politico dei nuovi membri dell’est, che
uguaglianza, non troveranno nella distribuzione delle competenze tra essi e l’Unione
non si sentono di muoversi verso traguardi sociali elevati ma si contentano di una politica
condizionamenti tali da impedire loro ulteriormente di soddisfare quei diritti? È la
che assicuri l’occupazione e in re-altà in questa fase hanno interesse a praticare un vero
Ora, è pensabile che la stretta simbiosi che nella realtà esiste tra l’economia e il sociale,
dell’economia globalizzata tante difficoltà – non certo imputabili senz’altro alle politiche
diversa da quella che comincia ad ispirare il campo della giustizia e degli affari interni –
dei parametri dei diritti li collochi a livelli assolutamente minimi, il che potrebbe avvenire
padronanza del terreno economico, infatti, affidato a un livello superiore e coercitivo,
dumping sociale. Ma bisogna tener presente che, qualora avvenisse che la legge europea
quella che condiziona in radice le esigenze sociali, e il contrario non può avvenire.
si attestasse all’inizio su valori davvero minimi, inaccettabili per le società più avanzate,
Queste
una
gli stati potrebbero sempre superarli fissando valori più alti – questo infatti è garantito
riunificazione delle sedi delle decisioni economiche e di quelle in campo sociale, non certo
considerazioni
fanno
vedere
che
occorre
ritrovare,
nell’essenziale,
dalla proposta di decisione quadro per i procedimenti penali . E che, quanto agli stati più
determinazione dei parametri sociali essenziali, il cui effettivo soddisfacimento sarà poi
situazione attuale, che porterebbe poi ad accet-tare livelli più alti di protezione in nuove
lasciato, in base al principio di sussidiarietà, agli stati. Dal punto di vista delle tecniche
leggi europee .
assorbendo tutti questi compiti a livello di Unione ma ponendo a quel livello la
giuridiche e istituzionali questo risultato è conseguibile affidandosi
a
formule
del
tipo
di
quelle
che
nella
costituzione italiana (nel testo modificato con la riforma del titolo V) regolano l’analogo problema del riparto di competenze
tra
stato
e
regioni
in
tema
di
diritti,
devolvendo allo stato la fissazione dei livelli essenziali di
questi e lasciando al sistema locale – anche qui in nome del principio di sussidiarietà – l’organizzazione concreta dei relativi servizi. Perché una tecnica di questo tipo non sarebbe utilizzabile per ripartire le competenze tra Unione europea e stati membri? La formula che si suggerisce supera quella del «mutuo riconoscimento», che sostanzialmente prevale oggi sul terreno sociale, ma non coincide con quella della «armonizzazione»,
perché
si
tratterebbe
non
di
armonizzare le intere legislazioni nazionali, ma solo di fissare i parametri generali di soddisfacimento dei diritti a cui dovrebbero obbedire, fermo restando che poi ciascuna di esse continui a disciplinare e organizzare come crede i
Occorre ritrovare, nell’essenziale, una riunificazione delle sedi delle decisioni economiche e di quelle in campo sociale, non certo assorbendo tutti questi compiti a livello di Unione ma ponendo a quel livello la determinazione dei parametri sociali essenziali 17
arretrati, essi sarebbero pur sempre spinti a realizzare un progresso graduale rispetto alla
Quali saranno le conseguenze dell’ordine di idee qui proposto sulla sorte dell’attuale Trattato? Si presentano a questo proposito molte e diverse opzioni, tra le quali occorre scegliere per un corso di cose coerente con le esigenze e praticabile 18
La discussione sugli strumenti
Ciò precisato, quali saranno le conseguenze dell’ordine di idee qui proposto sulla sorte dell’attuale Trattato? Il problema aleggia in Europa, nonostante la fase di profonda inerzia che si è sopra documentata.Si presentano a questo
proposito molte e diverse opzioni, tra le quali occorre scegliere per un corso di cose coerente con le esigenze e praticabile . La strada che si è presentata per prima, nelle reazioni immediate ai falliti referendum, e che non è ancora uscita di scena
(forse
è
quella
che
raccoglierebbe
ancora
la
maggioranza delle speranze), consiste nell’insistere per un’approvazione del Trattato di Roma. Esso verrebbe approvato almeno dai quattro quinti degli stati (al momento si è a circa tre quarti di questo cammino) e si addiverrebbe
poi, secondo quanto previsto da un’apposita dichiarazione ad esso allegata, ad una riunione del Consiglio europeo che dovrebbe indicare quale possa essere l’ulteriore itinerario.
Europa Plurale – 2/2006
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Perché questo si concluda senza l’estromissione degli stati dissenzienti – che ovviamente
appare l’opzione intellettualmente e politicamente più stimolante. Consiste in una
potrebbe, sull’esempio dei precedenti casi dei Trattati di Maastricht e di Nizza accettati
che del resto contiene riconoscibili progressi –, nella duplice linea di rivederne i contenuti,
per tal via dalla Danimarca e dall’Irlanda, adottare una dichiarazione che dia qualche
puntando per quanto ci riguarda su quelli sopra ipotizzati, e di innovarne la formalità.
soddisfazione alle istanze dei membri dissenzienti, dando loro occasione di tornare a
Questo secondo aspetto sarebbe raggiunto limitando il trattato costituzionale alla prima,
votare in nuovi referendum che potrebbero avere questa volta esito positivo. Tuttavia,
alla seconda e alla quarta parte dell’attuale – che sono le vere parti «costituzionali» – e
dalle opinioni diffuse, e particolarmente ferme quando si tratta di voci francesi, si suol
separandole dalla terza, che tale non è perché si esaurisce nella determinazione di
desumere l’impraticabilità, nell’ipotesi attuale, di questo percorso, reso difficile dalla
politiche attuative ordinarie, oltreché puramente riproduttive dei trattati precedenti; parte
radicalità delle obiezioni di alcuni elettorati e dalla forza politica che hanno gli stati
che verrebbe versata in un protocollo allegato al trattato. Secondo un’altra versione,
dissenzienti .
questa parte potrebbe essere tenuta in vita mantenendo in vigore i trattati che finora la
uno strumento del tutto nuovo che legherebbe in una nuova istituzione europea
dovrebbe essere risolto in via interpretativa e tendenzialmente riconoscendo la
democratica e socialmente avanzata un cosiddetto nucleo duro di paesi, che così
preminenza di quest’ultima su ogni altra fonte, salvo a successivamente modificarli per
aprirebbero in futuro la strada ad un’unione federale più stretta estesa alla parte d’Europa
armonizzarli con essa.
che ci vuol stare . Ma si tratta di un’ipotesi tanto più astratta in quanto i popoli che hanno
L’opzione tra le due varianti dovrebbe essere oggetto di ulteriore discussione. Comunque,
finora detto no sono proprio alcuni appartenenti agli iniziatori d’Europa, che dovrebbero
osserva più d’uno, un rilevante vantaggio di quest’innovazione formale, al di là della
essere parte (e che parte!) del nucleo duro.
miglior comunicabilità della costituzione di fronte all’opinione pubblica e quindi agli
Un’ipotesi di tutt’altra natura sarebbe quella di dichiarare che si può fare a meno di una
elettorati, consisterebbe nel rendere possibile diversificare la forza giuridica dei due
Barroso e presumendo che questa possa essere la posizione del governo inglese (ma al
revisioni. Queste sarebbero infatti sicuramente necessarie per le politiche, ma anche con
momento è forse illegittimo forzarle in questo senso), si penserebbe in questo caso di
tutta probabilità per la costituzione (dato che nei suoi contenuti saranno sicuramente
abbandonare il Trattato e andare avanti, come in passato, con modifiche successive ai
presenti in prima battuta, per esigenze di compromesso tra i vari stati e i loro governi,
trattati esistenti, per adeguarli via via a nuovi contenuti ritenuti necessari e di cui oggi si
delle parti inadeguate). La costituzione manterrebbe, quanto meno in una prima fase, la
richiederebbe un nuova ratifica da parte di tutti e non sarebbe certo una strada facile – si
È ancora accolta, da parte di persone o ambienti lontani dalla pratica politica, l’utopia di
costituzione europea. Estremizzando la posizione adombrata nella conferenza stampa di
può senza dubbio ri-conoscere l’esigenza (anche se poi non è facile l’accordo su quali esattamente essi siano). La critica a questa posizione è quella che è stata alla base di tutto il processo costituzionale da Laeken in poi: un’Europa a venticinque stati, ormai sulla soglia di divenire ventisette con l’ingresso, previsto per il 2007 o al massimo rinviabile al
2008, della Romania e della Bulgaria, e per di più disposta ad aprire la strada ancora ad altri membri, non può vivere con i trattati esistenti o con ritocchi a questi ultimi della stessa natura dei precedenti; né lo può comunque se si vuole assicurare un funzionamento più adeguato dell’attuale e far fronte alle nuove sfide mondiali . È per questo che quella negativa è un’ipotesi che trova nell’ambiente di Bruxelles e in chi è legato alla vita dell’Unione un diffuso e forse condiviso rifiuto.
L’impraticabilità di queste vie o la loro mancata rispondenza alle esigenze di fondo che si pongono inducono più d’uno a proporre la rinegoziazione di un trattato costituzionale. Essa
L’impraticabilità di molte vie o la loro mancata rispondenza alle esigenze di fondo che si pongono inducono più d’uno a proporre la rinegoziazione di un trattato costituzionale 19
rielaborazione del trattato, anche partendo realisticamente dal trattato firmato a Roma –
contengono, per i quali si porrebbe poi il problema del rapporto con la costituzione, che
diversi strumenti – la costituzione e il protocollo o i trattati – nei confronti delle future
Una rielaborazione del trattato, anche partendo realisticamente dal trattato firmato a Roma nella duplice linea di rivederne i contenuti, puntando per quanto ci riguarda su quelli sopra ipotizzati, e di innovarne la formalità 20
rigidità attuale delle procedure di modifica, mentre si potrebbe conferire al protocollo o trattato una maggiore flessibilità, nel senso che per modificarlo basterebbero maggioranze qualificate sia in sede di stipulazione che in
sede di ratifica. Se non si fosse subito d’accordo per questo declassamento della forza giuridica del protocollo o del trattato sulle politiche, la separazione dalla costituzione, si osserva, ne faciliterebbe l’adozione in futuro. L’opzione di distinzione del valore formale delle varie norme,
che
si
era
già
presentata
nei
lavori
della
Convenzione, è tecnicamente giustificabile e comporta solo la complicazione di render necessario che si rielabori la terza parte attuale scorporandone quelle disposizioni – qualcuno le ha già calcolate in circa quindici pagine di testo
– che, avendo natura costituzionale perché precisano il funzionamento delle
istituzioni e le procedure, sono
destinate a confluire nel trattato costituzionale.
Europa Plurale – 2/2006
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giuridicamente decisionale ma politicamente efficace, di tutti i popoli europei .
Il reinnesco della ripresa
Quella qui accolta è un’opzione praticabile o va incontro ad obiezioni preclusive? Certamente nel clima attuale essa non appare facile da portare avanti. Ma il passato
Il rapporto con gli allargamenti
Ma i problemi d’Europa non finiscono qui, si estendono al particolare peso della questione
d’Europa sembra insegnare che a un grave scacco è possibile reagire con successo con
britannica e di quella degli ulteriori allargamenti. Si tratta di problemi sui quali, ancora
proposte innovative, che tengano conto, interpretandole creativamente, delle volontà
una volta, sono sul tappeto diverse opzioni che possono lasciare indecisi.
coagulatesi nel rigetto dei progetti precedenti. In questo senso l’interpretare il voto
Solo la scelta a priori, del tutto «americana», dell’attuale governo italiano può ispirare la
francese e olandese, come pure le perplessità di altri paesi – per variegate che ne siano le
linea, testimoniata a Bruxelles, di considerare – vorremmo dire, irresponsabilmente –
motivazioni –, come fondamentalmente ispirate alle preoccupazioni dei danni al modello
quelle due questioni come separate dai problemi della costituzione e della stessa gestione
sociale europeo che conseguirebbero, in presenza dell’attuale quadro di poteri e di
corrente dell’Unione. E in particolare di ritenere la politica degli allargamenti,
procedere in quella direzione, unitamente al farsi carico della drammaticità della
quindi da portare avanti indiscriminatamente e con l’obiettivo di condurre il negoziato a
situazione mondiale.
un esito senz’altro positivo. Infatti le posizioni dell’Inghilterra hanno creato sempre seri
Chi e come potrebbe prendere l’iniziativa e chi portarla avanti? Occorre, come si è visto
problemi nel cammino di avanzamento dell’integrazione europea. È poi notorio che
nella storia, un uomo, un gruppo di uomini, acuti, lungimiranti e appassionati che, agendo
l’esigenza di affrontare in maniera pertinente l’allargamento dell’Unione oltre i quindici
con decisione, sappiano coagulare attorno ad essa forze politiche, culturali e sociali (per
membri precedenti è stato tra i motivi base del processo di costituzionalizzazione e si
esempio i sindacati) adeguate all’opera.
pone come un’ovvia necessità perché un’Europa così vasta come quella nata dall’entrata
Vi sono nelle istituzioni e nelle loro retrovie, come ai tempi di Monnet, di Schuman, di
nel 2004 di nuovi dieci paesi e, tanto di più, destinata ad ampliarsi ancora non potrebbe
e dei centri associativi capaci di tanto? Vi sono stati in cui possono maturare condizioni
sicuro che la questione allargamento – già nei termini attuali e con le prospettive ulteriori
più vivaci? In Italia, mentre è scontata la sfiducia nella destra,
– ha influito in misura assai alta sul rigetto del Trattato di Roma da parte di due elettorati
politiche, alla crisi dell’economia e all’allargamento dell’Unione, fornisce una chiave per
Adeanuer, di De Gasperi, di Spinelli, dello stesso Delors, questi uomini? Vi sono dei partiti
fondamentalmente antieuropea e troppo «americana», si può giustificatamente chiedere all’attuale opposizione, anche prima che diventi governo e in vista del governo, e in particolare al suo capo e agli uomini migliori, di farsi carico di una riflessione e di una proposta. Le idee sopra abbozzate potranno forse essere un terreno di lavoro. Tecnicamente,
le
stesse
soluzioni
procedurali
sono
abbastanza chiare e sembrano politicamente accreditabili. Su impulso del parlamento europeo, la cui sessione di lavoro va chiesta e sostenuta con vigore, si potrebbe convocare la Convenzione,
nella
quale
le
istanze
ora
proponibili
dovrebbero trovare migliore accoglienza che in passato. Come si propone, la Convenzione non dovrebbe sciogliersi dopo redatto il suo progetto, ma restare in vita per un dialogo continuo che le renderebbe possibile difendere il nuovo
progetto e porsi con la Conferenza in una sorta di processo di codecisione. Si potrebbe poi pervenire a un voto consultivo di tutti i paesi alle elezioni europee del 2009, con i vantaggi di un’espressione
contemporanea,
non
avente
valore
Chi e come potrebbe prendere l’iniziativa e chi portarla avanti? Occorre, come si è visto nella storia, un uomo, un gruppo di uomini, acuti, lungimiranti e appassionati che, agendo con decisione, sappiano coagulare attorno ad essa forze politiche, culturali e sociali adeguate all’opera 21
segnatamente quella verso la Turchia, come «parallela» alla questione istituzionale e
operare normalmente senza un quadro ordinamentale più saldo e completo. È altrettanto
e desta in altri importanti casi preoccupazioni che bisogna fronteggiare. Il problema dell’Inghilterra resta acuto. La sua dirigenza (non si saprebbe dire con
La Convenzione non dovrebbe sciogliersi dopo redatto il suo progetto, ma restare in vita per un dialogo continuo che le renderebbe possibile difendere il nuovo progetto e porsi con la Conferenza in una sorta di processo di codecisione 22
certezza se anche davvero la sua opinione diffusa), come la presidenza
Blair
nonostante
la
sua
affermazione
di
europeismo attesta, sta al polo opposto delle cose fin qui proposte. Il comportamento quotidiano degli inglesi in seno
alle istituzioni europee, dove essi sono presenti con capacità professionali e organizzative elevate e con la determinazione che è ben nota, è costante-mente ispirato (si potrebbe dire però che non sono i soli) a un grande rigore nella difesa del loro sistema nazionale e dei caratteri del loro ordinamento. Essi non hanno mostrato alcuna particolare sensibilità nei confronti della costituzione, se non per moderarne l’impatto, e non ne hanno nostalgia; le loro posizioni formali e di metodo, del resto, si sposano bene alle loro idee in campo economico e sociale.
Per tutto questo, il Regno Unito è stato il vero, e risolutore, convitato di pietra, se mai uno ve n’è stato, nel processo di costituzionalizzazione, e del resto è ben noto che il paese
Europa Plurale – 2/2006
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da cui si attendevano le maggiori diffi-coltà nella ratifica, e in vista delle quali (a fianco di
maggiormente diffuso in seno all’Unione ma non è l’unica presente a livello più profondo.
dopo la scadenza di due anni dalla firma del Trattato di Roma (e dunque dopo il 30
immaginare diverse soluzioni per il futuro. Si tratterebbe di tramutare in orientamento
ottobre 2006) per il caso di mancata ratifica di qualche membro, era appunto l’Inghilterra.
politico una linea che, tecnicamente, è abbastanza definita (anche se la sua esecuzione va
Non è dunque sorprendente che il suo governo abbia immediatamente rinviato, dopo
attentamente calibrata)
l’esito francese, il referendum sulla ratifica prima programmato da Blair e che si presenti
Il legame con nuovi paesi alle frontiere dell’Europa attuale può essere, anziché
oggi come una pietra d’inciampo nella ripresa dell’itinerario verso una ripresa del
l’inserimento nell’Unione, quello di una stretta associazione o partenariato: un legame
processo.Il paradosso è che, malgrado tutto, l’Europa non può fare a meno dell’Inghilterra
avente maggiore intensità rispetto a quello esistente con essi o con altri stati, ma che
né essa dell’Europa. Forse, allora, la soluzione starebbe nel tener conto del prezioso
risulterebbe meno coinvolgente dell’inserimento diretto e sarebbe capace di raggiungere
insegnamento che viene dai Mémoires di Monnet, ottimo conoscitore, collaboratore
effetti analoghi in forma più controllabile e senza provocare i problemi di un allargamento
europea non bisogna star dietro alle ritrosie britanniche poiché, se noi altri andremo
È l’ipotesi prefigurata dalla politica di vicinato, che riguarda «l’anello degli amici» cioè dei
avanti, l’Inghliterra, realista com’è, finirà col seguire (e questo è stato in molte fasi un
paesi contigui all’Unione, dall’Ucraina e domani dalla Bielorussia giù giù lungo le sponde
buon consiglio) .
orientale e meridionale del Mediterraneo fino al Marocco. Una politica di ascendenza
Ci si può, oggi, attenere a quest’insegnamento? Probabilmente sì, e mai la situazione lo
Delors e condivisa da Prodi e dalla sua Commissione, che avrebbe potuto essere adottata
meriterebbe tanto quanto di fronte alle sfide costituzionali, economiche e sociali che si
per molti dei paesi dell’Europa dell’est ora entrati, e che potrebbe forse esserlo per i
pongono all’Unione. Invece l’atteggiamento corrente – già praticato in seno alla
Balcani occidentali – che tuttavia vi è bisogno di unire all’Europa per superare
Convenzione e alla Conferenza intergovernativa – è proprio quello contrario: appiattirsi su
definitivamente i tristi effetti della divisione jugoslava. Per la stessa Turchia la proposta è
quelle danesi) era stata redatta la dichiarazione sulla riunione del Consiglio da tenersi
storico e amico degli inglesi, quando egli ripetutamente si dice sicuro che sulla questione
un realismo modesto che suggerisce di considerare insuperabili le difficoltà frapposte dall’Inghilterra e quindi abbassare il livello dell’integrazione a quello accettabile dai britannici. Quanto all’altro problema – l’inserimento nell’Unione di altri stati – sembra diffusa la percezione che quello già intervenuto di dieci nuovi paesi, e specialmente di otto dell’Est ex sovietico a cui si somma la già stipulata adesione della Romania e della Bulgaria, è stato il risultato di un processo troppo precipitato. Chi già lo pensava, come per esempio
nell’ambiente sindacale, oggi lo dice chiaramente almeno in privato, di fronte alla difficoltà di mantenere il modello sociale degli stati dell’Occidente e di estenderlo a quei paesi, creata non tanto dall’esercito industriale di riserva (per dirlo marxianamente) in essi presente, quanto soprattutto dalle scelte ideologicamente condivise dalle loro dirigenze. Di fronte a questa situazione, due sono le linee che si prefigurano. La prima consiste nel continuare a preparare i nuovi allargamenti, magari rallentandone l’iter – anche in considerazione
delle
innegabili
difficoltà
poste
dalle
condizioni di alcuni paesi –, come si è previsto per la Turchia, il cui processo di adesione dovrebbe durare una decina di anni.
Essa
corrisponde
all’atteggiamento
esplicito
L’inserimento nell’Unione di altri stati – sembra diffusa la percezione che quello già intervenuto di dieci nuovi paesi, e specialmente di otto dell’Est ex sovietico a cui si somma la già stipulata adesione della Romania e della Bulgaria, è stato il risultato di un processo troppo precipitato 23
La seconda linea è quella che potrebbe trarre dalle difficoltà sperimentate un invito a
eccessivo del quadro istituzionale.
Il legame con nuovi paesi alle frontiere dell’Europa attuale può essere quello di una stretta associazione o partenariato: un legame avente maggiore intensità rispetto a quello esistente con essi o con altri stati, ma che risulterebbe meno coinvolgente dell’inserimento diretto
24
possibile ed è stata prospettata, pur nella consapevolezza
dei molti motivi, tanto discussi in questi giorni, che spingerebbero alla sua inclusione piena nell’Unione (e che si contrappongono ad altri in senso opposto, dando luogo a valutazioni per ora estremamente problematiche), a cui si aggiunge la difficoltà politica di uscire verso di essa dallo stato di avanzata compromissione comprensibilmente ma forse prematuramente adottata. È difficile pronunciarsi nettamente per l’una o l’altra di queste
opzioni;
ma
sembra
che
il
metterle
più
esplicitamente e motivatamente l’una dinanzi all’altra sia saggio nella situazione di incertezza attuale. In ogni caso, questa discussione non può essere scissa da quella sulla ripresa del processo di costituzionalizzazione. E non è azzardato il dire che essa potrebbe portare a includere la definizione dell’atteggiamento da tenere in ordine alla questione allargamento e la stessa definizione dei confini dell’Unione nel futuro quadro costituzionale, affrontando così di petto la questione, mai definita nella tradizione storica e letteraria, di quale sia la dimensione geografica dell’Europa e quali i suoi confini.
Federalismo ed Anarchismo - 1
IL FEDERALISMO ANARCHICO IN ITALIA DAL RISORGIMENTO ALLA REPUBBLICA* Le
idee
libertarie
ed
anarchiche
hanno
molte
Luigi Di Lembo
componenti ma almeno due ne sono i cardini: l’Autogestione e l’Individuo.
Università degli Studi di Firenze
L’autogestione comporta un concetto astatale e quindi libertario. Implica infatti che gli unici enti autarchici originari siano le varie realtà sociali, produttive,
etniche, linguistiche che si amministrano senza mediazione di burocrazie o di autorità a loro esterne. L’Individuo è il fine ultimo ma la sua realizzazione viene vista da questa appartenenza alla realtà autogestionaria. L’autogestione dunque malgrado la sua connotazione astatale, non esclude al uo interno forse decisionali di tipo democratico (maggioranza/minoranza)o di ampia delega. E’ su questa radice che si basa il federalismo “libertario” connaturato all’autogestione perchè riconosciuto insito nelle mutevoli ma parmanenti necessità consociative delle varie realtà consociative.Allo stesso modo che l’autogestione non esclude forme di ampia delega, il federalismo libertario non esclude forme di organizzazione statale ridotta alle funzioni essenziali e configura una costruzione
FEDERALISMO ED ANARCHISMO
dalla
periferia
Il federalismo anarchico è antistatale perchè pone come non ulteriore ma primario elemento autarchico l’individuo, che trova il legame con gli altri e le altre realtà non nel “bene comune” ma nella solidarietà volontaria *
al
centro.
Il
federalismo
anarchico
parte
anch’esso
dall’autogestione e del resto è l’anarchismo a porne il concetto, ma non si limita ad essere astatale. Il federalismo anarchico è antistatale perchè pone come non ulteriore ma primario elemento autarchico l’individuo, che trova il legame con gli altri e le altre realtà non nel “bene comune” ma nella solidarietà volontaria. Rifiutà così non solo il concetto di governo dall’alto ma anche quello della democrazia e della delega. Il federalismo anarchico non riconosce maggioranze o minoranze ma solo l’oggettivo prevalere di una soluzione “tecnica” su altre ed il diritto per chi non condivide quella prevalente di provare la propria. Il concetto di autogestione e di federalismo diventa talmente peculiare
nell’anarchismo
da
renderlo
difficilmente
compatibile con qualsiasi costruzione di tipo statico e assolutamente incompatibile con quella di tipo tatale. Il suo federalismo non è una costruzione dal bassa all’alto ma nemmeno dalla periferia al centro, è tendenzialmente una
Riproduciamo in questo numero la prima parte del saggio. La seconda parte sarà pubblicata sul
prossimo numero
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
costruzione orizzontale. Questo opuscolo è una ricostruzione del farsi storico di questo
Regioni che gia’ prefigurava in 12. In pratica un macchinoso decentramento a tavolino
impatto nella cultura della sinistra italiana prima che la seconda guerra mondiale e poi la
federalismo. Per quanto riguarda Garibaldi, il suo federalismo rispondeva all’anelito di
guerra fredda rendessero per lungo tempo quasi inascoltate le ipotesi autogestionarie.
liberta’ che questi porto’ in tutta la sua azione politica e militare ma non ebbe mai
aspetto delle idee libertarie e anarchiche, dei loro incontro e dei loro scontri, del loro
sulla falsa riga delle esperenzie dei giacobini francesi che nulla lasciava ad un genuino
spessore teorico e, come vedremo, fu comunque subalterno al suo pragmatismo
Premessa
operativo. Con Carlo Cattaneo entriamo nell’area culturale e politica che elabora con ben altra articolazione l’idea dell’autonomismo e diventa vero e proprio federalismo.
Le idee federaliste nel primo risorgimento: da Carlo Cattaneo a Carlo Pisacane L’idea
Federalismo non solo come strumento di buon governo ma come pietra angolare
federalista fu ben presente nel movimento per l’unita’ d’Italia. Non e’ un caso che le prime
dell’unificazione ed anzi come vero movente di questa. Cosi’ all’indomani delle “cinque
proposte in tal senso vengono, nel trentennio postnapoleonico, dagli ambienti cattolici
giornate di Milano” Cattaneo non esita ad attaccare Mazzini e dargli di venduto perche’
all’avanguardia delle inquietudini dell’Europa della “restaurazione”, erano stati i cattolici
mitici primati della nazione italiana ma su solide analisi scientifiche , sull’altrettanto solido
Niccolo’ Tommaseo e Vincenzo Gioberti a proporre una Federazione tra gli esistenti stati
buon senso lombardo e sullo studio della tradizione amministrativa austriaca. Elementi
italiani, sotto il patronato pontificio,in funzione antiaustriaca ma assieme rassicurante per
sostenuti da un profondo ideale di vita civile. In sostanza partiva dalla unicita’ nella
Vienna, liberaleggiante ma assieme moderata per le varie dinastie della penisola. In
diversita’ del mondo sia sul piano culturale che economico: “I popoli devono farsi continuo
pratica era una soluzione diplomatica , tra stato e stato, atta a dare lo sbocco piu’
specchio fra loro perche’ gli interessi della civilta’ sono solidari e comuni; perche’ la
indolore possibile alle richieste di partecipazione al potere della borghesia (richiesta di
scienza e’ un arte, l’arte e’ una, la gloria e’ una. La nazione degli uomini studiosi e’ una
una Costituzione). Una borghesia che vedeva giustamente i maggiori ostacoli alla propria
sola, e’ la nazione di Omero e di Dante, di Galileo e di Bacone, di Volta e di Linneo. ...E’ la
piu’ “avanzati”. Di fronte alle continue insorgenze liberali che ponevano l’Italia
ascesa nell’Austria e nel Vaticano,in quanto tutori dell’assolutismo teocratico monarchico (richiesta dell’unita’). In questo quadro la soluzione federalista alla Gioberti non aveva veramente senso e venne nei fatti travolta dalle insurrezioni del 1848, di fronte alle quali i regnanti italiani, Papa compreso, dopo aver giurato costituzioni liberali e guerra all’Austria, chiamarono quest’ultima a ristabilire l’ordine assoluto. Il ’48 fu il momento delle insurrezioni in nome della repubblica da Palermo a Milano, da Venezia a Roma e se qui’ ci fu la repubblica unitaria di Mazzini, a Milano ci fu quella federalista di Cattaneo e Ferrari. Del resto tra i difensori di
Roma, Garibaldi era tendenzialmente federalista e Pisacane ne sarebbe diventato l’esponente piu’ radicale. Il federalismo di questi
esponenti
era
accomunato
da
una
visione
rivoluzionaria e non diplomatica del problema. Un fattore che lo distingueva nettamente dal federalismo cattolico ma non per questo era omogeneo al suo interno,anzi. Abbiamo accennato a Mazzini come unitario. Mazzini in verita’ articola la futura sistemazione istituzionale del paese in un Governo centrale, rappresentante la Nazione e direi
quasi il concetto di Nazione, ma controbilanciato da una ampia liberta’ dei Comuni urbani. Questi avrebbero dovuto inglobare anche i distretti rurali, visti come passivi ed arretrati. Tra i due poli, governo centrale e comune urbano, le
Da Carlo Cattaneo a Carlo Pisacane L’idea federalista fu ben presente nel movimento per l’unita’ d’Italia. Non e’ un caso che le prime proposte in tal senso vengono, nel trentennio postnapoleonico, dagli ambienti cattolici piu’ “avanzati” 27
chiedeva l’intervento sabaudo. La posizione di Cattaneo non si basava su concezioni di
Con Carlo Cattaneo entriamo nell’area culturale e politica che elabora con ben altra articolazione l’idea dell’autonomismo e diventa vero e proprio federalismo. Federalismo non solo come strumento di buon governo ma come pietra angolare dell’unificazione ed anzi come vero movente di questa 28
nazione delle intelligenze che abitano tutti i climi e parla
tutte le lingue.” Di qui la critica ad ogni pretesa di “primato italiano” tanto caro a Mazzini. “Noi abbiamo per fermo che l’Italia debba tenersi soprattutto all’unisono coll’Europa e non accarezzare altro nazional sentimento che quello di serbare
un
nobil
posto
nell’associazione
scientifica
dell’Europa e del mondo”. Sul piano economico poi per Cattaneo era ancor piu’ evidente l’interdipendenza dello sviluppo. Era da queste premesse che Cattaneo arrivava al
federalismo piu’ radicale in campo repubblicano. “Ogni stato italiano istituisca il proprio regime rappresentativo, i singoli stati si confederino con un patto di solidarieta’ perpetua contro ogni pericolo esterno. Ciascuno stato proceda alla Federazione Italiana quel tanto di sovranita’ locale che sia necessario per assicurare solidita’ al nodo nazionale”. Sovranita’ rappresentata da un Parlamento Nazionale che Cattaneo configura, piu’ che altro, come una Alta Corte di Cassazione delle norme locali palesemente contrarie agli interessi nazionali. Parlo di “locale” e di norme
“locali” perche’ nel pensiero di Cattaneo i soggetti non erano tanto gli stati territoriali cosi’ come si erano andati configurando nella penisola, ma le “patrie locali”: ”Chi
Europa Plurale – 2/2006
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prescinde da questo amore delle patrie locali seminera’ sempre sulla rena”. Di qui’ la
locali. I comuni non solo come espressione di autonomie politiche ma forme di
piccolo comune a mantenere il modo d’essere che gli era proprio “anche se odioso ai suoi
nazionale ma che per essere pienamente tali devono ineluttabilmente federarsi dal basso.
vicini”. Questa la sua idea centrale che spiega appieno la limitazione delle funzioni del
Su questo solco si pone Carlo Pisacane che porta alle estreme conseguenze
parlamento nazionale: La costruzione di Cattaneo del futuro stato federale italiano non
l’interpretazione sociale del problema e lo rielabora con altri elementi fino a congiungersi
prescindeva dalla organizzazione democratica della sua funzione essenziale: la difesa.
in pieno con la nuove correnti rivoluzionarie che stavano appunto sorgendo in tutta
Uno stato veramente federale non poteva avere un esercito stanziale a tipo francese o
Europa: quelle del socialismo.
difesa di Cattaneo, ancora una volta in polemica con Mazzini, del diritto anche del piu’
piemontese, che allora costringeva una parte minima della popolazione a lunghe ferme sotto gerarchie di carriera. Gerarchie che divenivano ben presto caste chiuse e reazionarie. Un esercito molto costoso ed inoltre al momento decisivo,quello dello scontro, inadatto a
autorganizzazioni sociali ed economiche. Anzi sono essi la muscolatura del corpo
II - Carlo Pisacane:verso il federalismo anarchico
suscitare la partecipazione viva di tutte le forze nazionali.
Pisacane dopo il ’48 comincia a riflettere appassionatamente sulle cause del fallimento di
Lo stato federale poteva poggiare solo sulla “nazione armata” sul modello elvetico. In
quella rivoluzione che aveva investito non solo l’Italia ma l’intero continente. E’ esule, a
Cattaneo non e’ assente la preoccupazione verso le disuguaglianze sociali, anzi, ma
contatto con Ferrari, con Proudhon, come lo era stato con Cattaneo. Si allontana da
queste sono viste gia’ risolvibili nella sua impostazione politico democratica fondata sul
Mazzini e si avvicina a Owen e agli scritti di altri precursori del socialismo come Fourier.
policentrismo. Chi introduce il fattore della eliminazione delle diseguaglianze sociali come
Pisacane sulla base di quegli studi e delle sue personali esperienze elabora allora per
motivo necessario alla unificazione federale e’ Giuseppe Ferrari. Ferrari vive a lungo a
primo una interpretazione classista dei fatti d’Italia, ed assieme a questa teorizza
Parigi dove stringe amicizia con Proudhon. Come noto quest’ultimo fu uno dei primi a
l’assoluto valore operativo e non solo etico della liberta’ e della volonta’ individuale. Infine
delineare un Federalismo che prescinde dallo Stato e che sposta il soggetto dalle
espone l’inconsistenza ai fini liberatori della propaganda se non “per fatti”. Per Pisacane
accompagnato ad una critica radicale della Proprieta’. In altri termini il federalismo con
per impadronirsi della cosa pubblica, ma certo la propaganda dei liberali e l’odio contro lo
Proudhon passa da repubblicano statale a libertario. Ferrari non si pone automaticamente
straniero avevano preso a penetrare anche nelle masse “le quali forse non comprendevano
su quella linea. Rimane nell’ambito repubblicano non negatore dello stato o della
quello che dalli agitatori si voleva ma cominciavano a sentire il bisogno di migliorare” ed
proprieta’ in assoluto, ma certo elabora teorie simili e sotto certi aspetti, a mio avviso,
erano ormai pronte alla rivoluzione. Ma quale rivoluzione? “Che sia un Re, un Presidente,
piu’ articolate e concrete: “La missione della rivoluzione non e’ di combattere l’interesse
Per Pisacane quella in atto in Italia non era una lotta di popolo ma della borghesia contro l’assolutismo per impadronirsi della cosa pubblica, ma certo la propaganda dei liberali e l’odio contro lo straniero avevano preso a penetrare anche nelle masse
organizzazioni politiche alle libere associazioni sociali o produttive in quanto tali. Questo
del denaro o l’affitto dei campi e delle case, ma bensi’ di combattere direttamente l’ineguaglianza primitiva dei beni, il riparto attuale delle fortune sociali, la distribuzione vigente delle ricchezze”. Di qui’ l’attacco al principio della
ereditarieta’ come “vera fonte di ineguaglianza” perche’e’ questa a generare un ricco di nascita condannato ad avere una possibilita’ di istruzione, di ricchezza e di comando,tale da renderlo incapace di confrontarsi con la gran parte dei cittadini della sua comunita’ fino a renderlo malefico a se’ e agli altri. “Il vero problema sociale non cade sul principio di proprieta’ ma sui limiti suoi, i quali si determinano come tutti i diritti e cioe’ colla misura dell’utile sancita dal sentimento”. In altri termini, per Ferrari “il diritto di proprieta’ cessa
laddove nuoce all’interesse generale e sociale”. In Ferrari il nesso con il Federalismo e’ dato appunto anche da questo concetto
dell’”utile
sancito
dal
sentimento”
la
cui
determinazione puo’ essere valutata solo dalle comunita’
Proudhon fu uno dei primi a delineare un Federalismo che prescinde dallo Stato e che sposta il soggetto dalle organizzazioni politiche alle libere associazioni sociali o produttive in quanto tali 29
quella in atto in Italia non era una lotta di popolo ma della borghesia contro l’assolutismo
30
un Triunvirato a capo del governo, la schiavitu’ del popolo non cessa se non cambia la costituzione sociale”. Questo non avevano capito i mazziniani nel ’48 quando si erano limitati alla rivoluzione “formale” ( cioe’ politico - borghese). Non appellarsi ai bisogni del popolo aveva isolato da
quest’ultimo la rivoluzione nazionale. Bisognava agitare gli interessi materiali delle classi popolari e seminarvi il germe del socialismo. Questo era in Italia il compito di un vero partito rivoluzionario quale non era stato in grado di essere quello mazziniano. “Io son convinto che le strade di ferro, i telegrafi elettrici, le macchine, i miglioramenti dell’industria, tutto cio’ finalmente che sviluppa e facilita il commercio e’ a una legge fatale destinato ad impoverare le masse fino a
che il riparto dei benefizi sia fatto dalla concorrenza. Tutti quei mezzi aumentano i prodotti ma li accumulano in un piccolo numero di mani, dal che deriva che il tanto vantato progresso termina per non essere altro che decadenza. Se
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tali pretesi miglioramenti si considerano come progresso, questo sara’ nel senso di
destinati a compiere una speciale missione, hanno il diritto di distribuirsi eglino
quale cambiando l’ordine sociale mettera’ a profitto di tutti cio’ che ora riesce a profitto di
Nel 1857 e’con queste idee che si muove per sollevare Napoli e di li’ il mezzogiorno che
alcuni. Il frutto del proprio lavoro garentito, tutt’altra proprieta’ non solo abolita, ma dalle
vedeva, non solo da una angolatura militare, come il punto piu’ esplosivo del paese. Alla
leggi fulminata come furto, dovra’ essere la chiave del nuovo edifizio sociale...” Un nuovo
vigilia di imbarcarsi a Genova per Sapri scriveva nel suo Testamento politico: “Io son
“edifizio sociale” che, secondo Pisacane,quando fosse costituito, “nei suoi reali e necessari
convinto che i rimedi temperati, come il regime costituzionale del Piemonte e le migliorie
rapporti, esclude ogni idea di governo e, come ben equilibrato edifizio, regge da se’,
progressive accordate alla Lombardia, ben lungi da far avanzare il risorgimento d’Italia,
senza bisogno di fasciature e di rinfianchi”. Queste idee Pisacane le puntualizza in un
non possono che ritardarlo. Per quanto mi riguarda, io non farei il piu’ piccolo sacrifizio
Programma per la rivoluzione in Italia che vede prossima e che intende in tutti i modi
per cambiare un ministero o per ottenere una costituzione... Io credo fermamente che se il
accellerare. A quel programma pone come preambolo i seguenti principi: “ Ogni individuo
Piemonte fosse stato governato nello stesso modo che lo furono gli altri Stati italiani, la
sviluppo alle sue facolta’ fisiche e morali. Oggetto principale del patto sociale, il garentire
deriva in me dalla profonda mia convinzione di essere la propagazione dell’idea una
ad ognuno la liberta’ assoluta. Indipendenza assoluta di vita, ovvero completa proprieta’
chimera e l’istruzione popolare una assurdita’. Le Idee nascono dai fatti e non questi da
del proprio essere, eppero’: a) l’usufruttazione dell’uomo per l’uomo abolita. b)
quelle, e il popolo non sara’ libero perche’ istrutto ma sara’ ben tosto istrutto quando
Abolizione di ogni contratto ove non siavi pieno consenso delle parti contraenti. c)
sara’ libero... L’intervento della baionetta a Milano ha prodotto una propaganda piu’
Godimento de’ mezzi materiali, indispensabili al lavoro con cui deve provvedersi alla
efficace che mille volumi scritti dai dottrinari, che sono la vera peste del nostro paese e
propria esistenza. d) Il frutto dei propri lavori sacro ed inviolabile [punto 3]. Sul piano
del mondo intiero. Vi sono persone che dicono: la rivoluzione deve essere fatta dal paese.
politico premetteva: “I bisogni sono i limiti della LIBERTA’ e della INDIPENDENZA. Questa
Cio’ e’ incontestabile. Ma il paese e’ composto da individui, e se attendessero
aumentare la miseria del povero per spingerlo infallibilmente a una terribile rivoluzione, la
ha il diritto di godere di tutti i mezzi materiali di cui dispone la societa’ onde dar pieno
legge e’ innegabile ed universalmente sentita. Ogni altra legge o principio non sentito ma predicato...e la gerarchia che
viola direttamente liberta’ ed indipendenza, e’ contro natura.”. ed arrivava corentemente alle conseguenze:” Le gerarchie, l’ autorita’, violazione manifesta delle leggi di Natura, vanno abolite. La piramide: Dio, il re, i migliori, la plebe, adeguata alla base .” Sul piano istituzionale non era meno coerente: ”Come
ogni
italiano
non
puo’
essere
che
libero
ed
indipendente, del pari dovra’ esserlo ogni Comune. Come e’ assurda la gerarchia tra gli individui, lo e’ fra i Comuni. Ogni Comune
non
puo’essere
che
una
libera
associazione
d’individui e la Nazione una libera associazione dei Comuni... L’imporsi per un dato tempo un governo o un assemblea e’ un assurdo, come lo e’ per un individuo il costringersi da un voto.
E’
lo
stesso
che
dichiarare
la
volonta’
e
la
determinazione di un momento, arbitra e tiranna della volonta’ che progressivamente puo’ manifestarsi in avvenire. Di quinci i principi che seguono: - le leggi non possono imporsi ma proporsi alla Nazione. - I mandatari sono sempre
revocabili dai mandanti. - Ogni funzionario non potra’ che essere eletto dal popolo e sa ra’ sempre dal popolo revocabile. - Qualunque nucleo di cittadini, dalla societa’
”Come ogni italiano non puo’ essere che libero ed indipendente, del pari dovra’ esserlo ogni Comune. Come e’ assurda la gerarchia tra gli individui, lo e’ fra i Comuni. Ogni Comune non puo’essere che una libera associazione d’individui e la Nazione una libera associazione dei Comuni” 31
medesimi le varie funzioni ed eleggersi i propri capi...“
rivoluzione d’Italia sarebbe a quest’ora compiuta. Questa opinione pronunciatissima
tranquillamente il giorno della rivoluzione senza prepararla colla cospirazione, la rivoluzione non scoppierebbe mai... Io non ho la pretesa, come molti oziosi me ne accusano per giustificare se stessi, di essere il salvatore della patria. No. Ma io sono convinto che nel mezzogiorno d’Italia, la rivoluzione morale esiste: che un impulso energico puo’ spingere la popolazione a tentare un movimento decisivo ed e’ percio’ che i miei sforzi si sono diretti al compimento di una cospirazione che deve dare questo impulso... Semplice individuo, quantunque sia sostenuto da un numero assai grande di uomini generosi , io non posso che cio’ fare e lo faccio. Il resto dipende dal paese e non da me. Io non ho che la vita mia da sacrificare per quello scopo ed in questo sacrifizio non
esito punto... A quelli che diranno [in caso di fallimento] che l’impresa era d’impossibile
Pisacane per certo, aveva delineato nella sua essenza non solo il federalismo anarchico ma l’anarchismo stesso almeno nella sua formulazione italiana 32
riuscita, io rispondo che se prima di combinare di tali imprese si dovesse ottenere l’approvazione del mondo bisognerebbe rinunziarvi”. Non so fino a che punto Pisacane ne fosse cosciente ma, per certo, aveva delineato nella sua essenza non solo il federalismo anarchico ma l’anarchismo stesso almeno nella sua formulazione italiana. L’impresa di Pisacane fu stroncata a Sapri dalla mancata insurrezione di Napoli, dove i cospiratori non erano stati all’altezza della situazione. Quel fallimento fu la pietra tombale di una soluzione non solo federale
e
libertaria,
ma
anche
democratica del risorgimento italiano.
realmente
liberal
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piu’ vite, e soprattutto innocenti, di tutte le guerre del “Risorgimento”. Una guerra
III- Unificazione e post-unificazione
condotta da ambo i lati con tale barbarie da seccare letteralmente l’anelito liberatorio che
Cavour, al governo dell’ unico stato che aveva mantenuto la costituzione giurata nel 1848
era stato il motore primo del movimento unitario. Su quelle basi lo stato italiano nacque
e che aveva ceduto agli austriaci solo dopo dure sconfitte, di fronte al tingersi di
estremamente accentratore e diffidente verso ogni istanza sociale.
socialismo antistatale del movimento rivoluzionario, ebbe buon gioco a piegare alla
Questa fu vista pericolosa non solo verso il concetto di proprieta’ ma anche verso quello
soluzione sabauada anche chi, come Mazzini, era repubblicano ma fieramente unitario e
di unita’ nazionale, ormai identificata nella soluzione sabauda. Basti pensare alle fobie
anticlassista,e chi come Garibaldi, era un movimentista nato ma assillato dai problemi
dell’ultimo Crispi che, a piu’ di venti anni dall’unificazione, vedeva nei moti della fame,
strategici di una guerra contro l’Austria che rimaneva la piu’ grande potenza continentale.
nati nella sua terra, una manovra francese per smembrare l’Italia. Rimase comunque, ed
Sui ceti possidenti la sua opera di persuasione non fu difficile. Questi avevano intuito dai
anzi si accentuo’, il problema di dare un equilibrio stabile ad uno stato in cui erano
fatti del ’48 quali sconvolgimenti anche sociali potevano attendersi da una vera e propria
confluite tradizioni amministrative, legislative, culturali e linguistiche, profondamente
rassicurante monarchia dei Savoia. Valga per tutti l’esempio di Bettino Ricasoli,
e dopo di lui, meno Giolitti, quasi tutti gli altri presidenti del consiglio; in particolare
rappresentante della piu’ antica ed orgogliosa nobilta’ imprenditoriale toscana. Dove fu
Minghetti e lo stesso Crispi prima maniera. Ma furono tutti progetti di “decentramento”
veramente abile fu in campo internazionale, riuscendo a convincere Francia ed Inghilterra
visto in senso amministrativo e mai come le basi per un generale riassetto del paese.
che l’Italia, se non unita sotto i Savoia, poteva diventare la culla di un pericoloso focolaio
Comunque le lobby parlamentari ebbero sempre buon gioco ad affossare anche quei
rivoluzionario non solo nazionale ma sociale. Cosi’ strappo’ un alleanza alla Francia, che
progetti, gelose delle proprie prerogative e timorose della carica sociale che andavano
dette al Piemonte la Lombardia, e a Londra un appoggio che coprì l’impresa dei mille.
sempre piu’ assumendo i concetti autonomisti. In realta’ in Italia gia’ il primo periodo
Pisacane aveva visto giusto considerando il meridione maturo per la rivoluzione. Ai mille
Molti i progetti di “decentramento” visto in senso amministrativo, ma mai come basi per un generale riassetto del paese, e le lobby parlamentari ebbero sempre buon gioco ad affossare anche quei progetti, gelose delle proprie prerogative e timorose della carica sociale che andavano sempre piu’ assumendo i concetti autonomisti
rivoluzione, ed erano ormai in gran parte disponibili ad una unificazione sotto la
di Garibaldi che, tre anni dopo, risalirono il mezzogiorno, fecero da avanguardia e rotroguardia le rivoluzioni contadine che tagliavano l’erba sotto i piedi all’”antico” regime. Ma Garibaldi non era Pisacane e molti dei suoi ufficiali, anche se erano stati con Pisacane o ne avevano apprezzate le idee, erano ancora ipnotizzati dall’unità a tutti i costi, dal prestigio di Mazzini e soprattutto di Garibaldi, allora logicamente alle stelle. L’ultima parola tocco’ in sostanza proprio a lui. A Napoli liberata arrivarono sia Cattaneo che gli inviati di Mazzini. L’uno perorando l’idea federalista, gli altri quella di proclamare subito una repubblica da cui partire per scalzare i Savoia. Garibaldi si
trovava
di
fronte
ad
una
complessa
situazione
internazionale che poteva trasformarsi da un momento all’altro da favorevole a sfavorevole. Preferì consolidare quanto fatto in attesa di tempi migliori, rigettando i suggerimenti degli uni e degli altri. Ma al fondo la scelta l’aveva gia’ fatta quando, invece di mettersi alla testa della rivoluzione contadina, aveva ordinato ai suoi comandanti di sparare sulla gente. E la gente del sud, in nome di quella stessa rivoluzione tradita da Garibaldi, non aveva messo molto tempo a schierarsi su posizioni di rinnovata lealtà a Franceschiello che, messo alle strette, tutto prometteva al popolo contro la nobilta’ che lo aveva tradito. Quando Garibaldi’ entrò a Napoli, era gia’ iniziata quella guerra
A Napoli liberata arrivarono sia Cattaneo che gli inviati di Mazzini. L’uno perorando l’idea federalista, gli altri quella di proclamare subito una repubblica da cui partire per scalzare i Savoia.
sociale chiamata “brigantaggio”, che in quattro anni costo’ 33
diverse. Non per nulla il primo a pensare in termini di decentramento fu lo stesso Cavour,
34
postunitario fu caratterizzato dalla nascita della cosiddetta
“questione sociale”. A Napoli un gruppo di elementi di primo piano del movimento garibaldino e conoscitori di Pisacane, come Giuseppe Fanelli e Saverio Friscia, si pongono il problema di quanto fino allora fatto. Hanno partecipato alla repressione
del
brigantaggio
ma
proprio
per
questo
conoscono bene la miserabile condizione contadina e l’asfissiante burocrazia piemontese. Pur republicani non rinnegano l’edificio nazionale che hanno contribuito a costruire, ma proprio per questo vogliono dargli un nuovo
contenuto. Un contenuto che non piu’ essere la sola formula mazziniana di repubblica e cooperazione. Fondano una rivista: “Liberta’ e Giustizia”, dove per giustizia non si intende piu’ quella formale ma quella sociale, e per liberta’ quella delle concrete autonomie. Stendono un programma che al punto XII chiede: “ Il riordinamento delle liberta’ comunali e provinciali sulle basi di una completa autonomia amministrativa, derivante dal suffragio universale, con pochi funzionari eletti e ben pagati, ma pero’ soggetti alla piu’ seria responsabilita’ nell’esercizio delle loro funzioni. Il discentramento alleggerirebbe assai sensibilbmente i bilanci passavi e darebbe ai Comuni e alle Provincie il piu’ largo sviluppo
locale
e
si
avrebbe
cosi’
nel
Comune,
il
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compimento dei bisogni ed interessi di tutti i suoi abitanti, nella Provincia, l’espressione
Dall’Europa alle Americhe e poi fino in Cina e Giappone ma seppure con un respiro
bisogni e degli interessi di tutte le provincie. Costituirebbe cosi’ libera e vivente
di pensiero di Pisacane. In particolare,dal punto di vista della nostra analisi, il federalismo
l’unita’della Nazione, non gia’ questa unita’ centralistica e burorocratica, bancaria e
ne è coessenziale. Oltre che nel nostro paese, dove a Napoli gia’ nel ’69 Bakunin puo’
militare, nel di cui nome ed interesse siam tutti come fummo, oppressi e rovinati:
fondare una sezione dell’AIT, la sua impostazione attecchisce in Spagna, nella Svizzera, e
realizzerebessi cosi’ l’abolizione di quella grande enormita’ che si chiama Gendarmeria o
fin nella lontana Svezia. Soprattutto si afferma, accanto e spesso in aspro confronto, con
Polizia di Stato, attribuendosi ai Comuni e alle Provincie, le competenze della publica
quella di Proudhon, in Francia. A rendere prorompente l’anarchismo saranno proprio gli
sicurezza.” Forse siamo piu’ vicini al pensiero di Cattaneo che all’audacia di Pisacane
avvenimenti di Francia, o meglio di Parigi, con la proclamazione de “la Commune” ed il
eppure la via intrapresa dai napoletani avrebbe trovato sbocco su quest’ultimo. A fare da
durissimo dibattito che ne segui’ nella sinistra europea. Il 18 marzo 1871, l’insorgere, in
lievito, fino alle estreme conseguenze, di quelle prime riflessioni nell’Italia ormai unita, fu
nome dell’autogestione dei lavoratori e del federalismo, del Comune di Parigi contro la
ed il compimento di tutti i Comuni, nella Nazione la espressione e il compimento dei
Michael Bakunin
universale e con altri spessori, l’anarchismo nasce con Bakunin in Italia sulle stesse linee
repubblica borghese, autoelettasi il 2 settembre per meglio capitolare ai prussiani,vincitori
su Napoleone III, sommuove il mondo delle sinistre. La terribile determinatezza del popolo
IV- Bakunin in Italia e la Comune di Parigi
di Parigi nella resistenza,alla quale partecipano molti italiani tra cui il Cipriani, e la feroce repressione della soldataglia “repubblicana” fecero il resto. Si creo’ allora un mito che
Bakunin arriva in Italia a meta’ degli anni ’60, evaso dalla Siberia. E’ condotto nel nostro
trovera’ uguali solo mezzo secolo dopo con la rivoluzione bolscevica, e ne venne ucciso
paese dal mito delle imprese di Garibaldi. Un mito che aveva conquistato tutta la sinistra
un altro: quello della Repubblica come portatrice di liberta’. Kropotkin osservera’,anni
europea e non. Nel frattempo (settembre 1864) gli animatori di quel socialismo coi quali
dopo: “Con il nome di Comune di Parigi nacque un idea nuova chiamata a diventare il
era stato in contatto anche Pisacane, si erano dati una vera e propria organizzazione con
punto di partenza delle rivoluzioni future”. Questa idea era quella federalista, che, come
un nome ambizioso e che in effetti di li a poco divenne l’incubo dei governi borghesi:
sosteneva Berneri, per Kropotkin era sinonimo di idea libertaria. I “comunardi” furono
“Association Internationale des Travailleurs: AIT”, in italiano L’Internazionale. Era nata piu’
accusati di essere stati mossi dall’Internazionale e questo fece un mito, tra le sinistre e nel
che altro per iniziativa di varie organizzazioni di lavoratori, inglesi, francesi e tedesche ma anche con l’appoggio dei rivoluzionari di tutta europa. Marx e Engels, tra i tedeschi, Lassalle e Proudhon tra i francesi. Fra gli italiani Mazzini e Amilcare Cipriani e non manco’ la benedizione di Garibaldi. Appena riuscito a raggiungere l’occidente Bakunin aderisce a quella nuova organizzazione. Comunque anche Bakunin e’ in un momento di riflessione sulle esperienze fatte nelle rivoluzioni e nelle galere di mezza Europa, una riflessione,
non per nulla, soprattutto sui limiti dei movimenti nazionali e repubblicani. I contatti con le disillusioni ed i fermenti della ultrasinistra italiana di allora, ed in particolare con quella di Napoli, dove si stabilisce dopo avere saggiato Firenze, funzionano da catalizzatori per il suo pensiero che si definisce in modo definitivamente anarchico. A sua volta il pensiero di quel rivoluzionario russo ed il suo carisma funzionano da detonatore per le disullusioni della “vecchia” guardia garibaldina e repubblicana, come per le irrequietezze
della nuova che va cercando obiettivi piu’ concreti del mazzinianesimo. Il pensiero che allora Bakunin distillo’ in Italia e’ la pietra angolare dell’anarchismo come storicamente venne inteso in tutto il mondo avviato all’industrializzazione.
Bakunin e’ in un momento di riflessione sulle esperienze fatte nelle rivoluzioni e nelle galere di mezza Europa, una riflessione, non per nulla, soprattutto sui limiti dei movimenti nazionali e repubblicani 35
Kropotkin osserverà, anni dopo: “Con il nome di Comune di Parigi nacque un idea nuova chiamata a diventare il punto di partenza delle rivoluzioni future”. Questa idea era quella federalista, che, come sosteneva Berneri, per Kropotkin era sinonimo di idea libertaria 36
popolo, dell’AIT e di tutte le idee libertarie e federaliste contro il concetto di stato nazionale ed accentrato, fosse monarchico o repubblicano. Questo intui’ subito Mazzini che si schiero’ duramente contro i comunardi, come all’opposto Garibaldi che, forse memore dell’esperienza italiana e comunque partecipe di quella francese del momento, prese decisamente le parti dei parigini. In quella
frattura, che colpiva in modo particolare la sinistra italiana, Bakunin si mosse come un ariete per scalzare dalle fondamenta l’egemonia immobilista del “predicato”, per dirla alla Pisacane, mazzinano. E Bakunin colpi’ sopratutto, al
pari
di
Pisacane,
sulla
concezione
formale
della
rivoluzione e sulla concezione dello stato cosi’ come Mazzini
l’aveva
sviluppata
risorgimento.
Bakunin
sull’inconsistenza pretende
che
per
del
e
cristallizzata
durante
picchio’
soprattutto
comunalismo
controbilanciare
di
Mazzini.
l’onnipotenza
il
“Egli
della
Repubblica, fortemente costituita, bastera’ l’autonomia dei Comuni. Mazzini sbaglia. Nessun comune isolato sarebbe capace di resistere alla potenza di quella formidabile
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centralizzazione. Tra il federalismo rigorosamente conseguente e il regime burocratico
nuovi tipi di produzione, connessi alla presa del potere del proletariato. Lo scontro tra le
burocratico, per cio’ stesso militare, fondato non piu’ in vista della giustizia internazionale
Italiana,
o della liberta’ interna, ma unicamente in vista della potenza esterna. Nel 1793, sotto il
dell’Internazionale. La reazione di Marx non si fece attendere e fu emblematica per il
regime del terrore, i comuni di Francia furono riconosciuti autonomi, cio’ che non pote’
metodo usato. Il 2 settembre 1872, riuni’ all’Aja, il Consiglio Generale dell’AIT per
impedire che venissero schiacciati dal despotismo rivoluzionario della Convenzione di
formalizzare l’espulsione di Bakunin e dei suoi. Non ebbe problemi perche’ non trovo’
Parigi di cui Napoleone fu il naturale erede.”
interlocutori. Le uniche federazioni realmente vive e non solo sulla carta, dopo la
Alla fine di quel 1871 dell’egemonia di Mazzini sulla sinistra italiana rimaneva ben poco.
distruzione di quella francese in seguito alla Comune, erano la Svizzera, l’Italiana e la
La sinistra si avviava a porre come problema centrale la rivoluzione sociale al posto di
Spagnola. Queste avevano deciso di ignorare il Consiglio Generale per trovarsi a
quella politico-nazionale, l’autogestione federalista al posto dello stato centrale.
Congresso in Svizzera, a Saint Imier. Fu qui’ che i libertari presero in mano
V- La Federazione Italiana della AIT
dove divenne uno stato maggiore senza eserciti. Era cominciata la grande stagione
non c’e’ via di mezzo. Ne consegue che la Repubblica voluta da Mazzini sarebbe uno stato
due impostazioni era inevitabile e a guidarlo fu proprio la giovanissima Federazione che
rivendico’
il
principio
federalista
in
primis
proprio
all’interno
l’Internazionale. A Marx non rimase che spostare il suo Consiglio Generale a New York, dell’Internazionale libertaria. Otto mesi dopo Saint Imier, in Spagna Amedeo di Savoia
A maggio del 1872 Fanelli ed il giovane Carlo Cafiero, anch’egli esponente della
dovette rinunciare al trono e venne proclamata la repubblica. Una repubblica che, sotto la
intellighenzia meridionale e da tempo legato alla AIT, incontrano a Locarno, Bakunin per
spinta del proudhoniano Pi y Mirgall e della consistente tendenza internazionalista al Sud,
gettare le basi della Federazione Italiana dell’AIT. La Federazione nasce due mesi dopo a
si organizzo’ prima in Federale e poi in Cantonale, mentre espropriava il clero e i
Rimini e si da una organizzazione altamente policentrica che vuole prefigurare anche in
latifondisti. Presto dovette affrontare la reazione carlista del nord e soccombere. Per gli
se’, i nuovi assetti istituzionali e sociali. E’ aperta ai gruppi e societa’ di mestiere e di
internazionalisti comunque era stata una grande scintilla che molto prometteva, e ancora
lavoratori, federati secondo le affinita’ regionali. Suoi unici organi “centrali”: una
una volta gli avvenimenti di Spagna ebbero ripercussioni in Italia. L’anno dopo infatti e’ la
Commissione di Corrispondenza ed una Commissione di Statistica, delegate di volta in
volta degli italiani che cercano di organizzare un’insurrezione che vada dalle Romagne alla
volta al gruppo piu’ idoneo al momento per svolgerne i
Toscana fino alla Puglia. Infine, nella primavera del 1877, la cosiddetta “banda del
compiti. Tutte le scelte generali demandate esclusivamente ai Congressi, ai cui deliberati sono comunque tenute solo quelle sezioni che li abbiano votati. Questa volta, per i libertari, il nemico da battere non e’ piu’ Mazzini ma Marx e l’impostazione che sta cercando di dare all’Internazionale dopo la repressione della Comune. I libertari si ponevano
sul piano della lotta di classe ma con l’obiettivo di eliminare la divisione di classi. Secondo loro porre, come Marx, l’obiettivo di mettere il proletariato nelle condizioni di impadronirsi
del
potere
politico,
senza
una
critica
demolitrice di quest’ultimo, voleva dire fare del proletariato una nuova classe dominante e sfruttatrice. Per i libertari l’unica
possibilita’
di
rovesciare
e
rinnovare
dalle
fondamenta i rapporti di forza nella societa’ dell’epoca era di disgregare lo stato e far nascere, dallo sfascio di quello,
una societa’ fondata sull’autogestione individuale e di gruppo. Di contro per Marx l’Internazionale doveva entrare nel gioco politico e tendere a conquistare lo Stato. Il problema del suo deperimento sarebbe stato risolto dai
Per i libertari l’unica possibilita’ di rovesciare e rinnovare dalle fondamenta i rapporti di forza nella societa’ dell’epoca era di disgregare lo stato e far nascere, dallo sfascio di quello, una societa’ fondata sull’autogestione individuale e di gruppo. 37
matese”, guidata da Cafiero e dalla nuova recluta Errico Malatesta, ripropone l’attacco allo
Il dato di fatto è che in tutta Europa si era andato affermando un modello, culturale e politico, antitetico a quello libertario. Questo modello proveniva dall’Impero Germanico, ormai potenza egemone nel continente
stato dal Sud contadino. Tutti questi tentativi vengono stroncati
e
l’Internazionale
fuori
legge
come
associazione a delinquere. In questa gia’ pesantissima situazione
repressiva,
in
dell’ormai
imminente
allargamento
Italia
si
aggiunse, del
in
vista
suffragio,
il
passaggio di Andrea Costa, che era uno dei piu’ amati leader della Federazione Italiana, a posizioni favorevoli anche ad una lotta politica interna alle istituzioni. Siamo
nel
1880
ed
inizia
l’eclissi
dell’Internazionale
libertaria, malgrado il tenace sforzo di Malatesta di ridarle consistenza. I fautori del programma dell’Internazionale ed i loro eredi si manterranno come una componente ormai ben precisa del movimento operaio: quella anarchica, ma saranno solo una corrente che va man mano diventando
minoritaria. Con il diminuire del suo peso specifico nel movimento operaio va di pari passo l’affievolirsi delle istanze federative.
38
messa
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
VI- L’eclissi dell’idea federalista negli anni a cavallo del secolo
Ognuno al fondo e’ figlio del suo tempo e quello fu il tempo della interpretazione
Il Partito Socialista Rivoluzionario, fondato nel 1881 da Costa, mantiene al suo interno la
marxismo ma anche l’anarchismo. Il maggior teorico, in campo anarchico, di quel
struttura federativa, ed anche il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, poi Partito
momento
Socialista Italiano, che nasce a Genova dieci anni piu’ tardi, fara’ omaggio, nei primi tempi,
profondamente, nella sua Russia quella degli Zar, la incompetenza e la cialtroneria
a questa radicata tradizione. Il dato di fatto e’ pero’ che in tutta Europa si era andato
connaturata ad ogni amministrazione burocratica.Allo stesso modo aveva potuto
affermando un modello, culturale e politico, antitetico a quello libertario. Questo modello
apprezzare le potenzialita’ dei comuni contadini: i “mir”. Praticamente tutti i suoi molti
proveniva dall’Impero Germanico, ormai potenza egemone nel continente. L’apparente
studi,che ebbero una influenza profonda sulla cultura libertaria, vertono sui vari modi di
positivista, evoluzionista del mondo, ed in questa chiave venne compreso non solo il fu
Pietro
Kropotkin.
Nobile
russo,
come
Bakunin,
aveva
conosciuto
struttura federale che si era dato era, al fondo, solo un appannaggio per le varie feudalita’
essere state, di essere, e sulle potenzialita’ future delle tendenze associative e produttive
locali spogliate dei loro poteri al momento della unificazione. Quel federalismo
astatali. Come osservo’ Berneri: “Kropotkin vide che il problema federalista e’ un problema
questa struttura la socialdemocrazia tedesca aveva scelto per il marxismo e quella scelta
sara’ costretto a trovare nuove forme di organizzazione per le funzioni sociali che lo Stato
aveva sancito la rinnovata e duratura fortuna di quella tendenza. A questo modello si
esplica attraverso la burocrazia e che finche’ questo non vi sara’, nulla sara’ fatto, ma non
rifaceva esplicitamente il PSI che era voluto nascere proprio per sancire traumaticamente
pote’,
la separazione dalla cultura libertaria ancora prevalente
sistematicamente la sua concezione federalistica.” Berneri aggiungeva poi, cogliendo
nascondeva il piu’ deciso e decisionista centralismo dai tempi di Napoleone. All’interno di
nelmovimento operaio italiano ,al di la’ della consistenza dell’anarchismo organizzato. Cosi’ la II Internazionale ,che era stata fondata a Parigi dai socialisti marxisti o comunque parlamentaristi, nel luglio 1889, fu federalista ma solo suo malgrado, e cioe’ perche’ impossibilitata a centralzzare l’azione di partiti ormai completamente immersi nei problemi elettorali e nelle logiche delle proprie politiche nazionali. Su questa mancanza di centralizzazione si appunteranno le critiche di Lenin. Per quanto riguarda il PSI, dopo essersi dato una struttura interna tendenzialmente centralistica, si limito’ a chiedere a livello istituzionale decentramenti amministrativi e sempre in coda alle varie proposte governative, financo di
Sonnino. Del resto il momento dell’egemonia socialista sul movimento operaio italiano corrisponde alla cosiddetta eta’ di Giolitti. E questi aveva fatto dei Prefetti, strumenti statali di controllo sulle poche autonomie riconosciute, i suoi agenti elettorali. Non e’ un caso che nell’area socialista, solo l’antigiolittiano e meridionalista Gaetano Salvemini porra’, accanto alla richiesta del suffragio universale, quella di una rifondazione federalistica dello stato. Anche nel campo internazionalista,
anzi
ormai
anarchico,
comunque,
evidente un impallidire delle tematiche federalistiche.
e’
Non certo sul piano organizzativo -quest’ultimo era ormai connaturato a quelle- ne’ sul piano culturale ma su quello squisitamente politico della scelta degli obiettivi da proporre.
Come osservo’ Berneri: “Kropotkin vide che il problema federalista e’ un problema tecnico, ed egli afferma infatti nel suo libro “La Scienza moderna e l’Anarchia” che l’uomo sara’ costretto a trovare nuove forme di organizzazione per le funzioni sociali che lo Stato esplica attraverso la burocrazia e che finche’ questo non vi sara’, nulla sara’ fatto” 39
tecnico, ed egli afferma infatti nel suo libro “La Scienza moderna e l’Anarchia” che l’uomo
per
la
sua
vita
ora
avventurosa
ora
strettamente
scientifica,
sviluppare
veramente i limiti di Kropotkin: ”e a tale sviluppo si opponeva, per la parte progettistica, la sua stessa concezione anarchica, nella quale l’”elan vital” popolare costituisce l’anima dell’evoluzione nelle sue parziali realizzazioni, varianti all’infinito nello spazio e nel tempo
della storia” In altri termini una visione che rimandava alla evoluzione naturale il compito
La lotta che proponeva Pellouttier era tutta da reinventare per la ricomposizione dell’unita’ dei lavoratori, su basi di affinita’ territoriali, sulla base dei bisogni reali, una lotta che poteva trovare organismi unificanti nelle strutture orizzontali delle Camere del Lavoro 40
di riassestare la nuova societa’ oggettivamente incamminata verso il mutuo appoggio una volta rotti,come inevitabile,i lacci dello Stato. Pur partendo da altri presupposti e mirando ad altri obiettivi, fini’ per partecipare a questa filosofia di fondo anche l’anarcosindacalismo, che fu l’altra grande corrente teorica e concreta che il mondo libertario sviluppo’ in quegli anni. Nel 1895 l’operaio francese Fernard Pellouttier pubblicava un articolo essenziale: “L’anarchismo ed i sindacati operai”,dove richiamava gli anarchici non solo
alla presenza nel movimento operaio, nel cui solco erano sempre rimasti, ma anche a quello nella lotta sindacale vera e propria. Una lotta non come quella sostenuta dai sindacati marxisti,
verticali,corporativi
e
funzionali
agli
accordi
settoriali. La lotta che proponeva Pellouttier era tutta da reinventare per la ricomposizione dell’unita’ dei lavoratori, su basi di affinita’ territoriali, sulla base dei bisogni reali, una lotta che poteva trovare organismi unificanti nelle
strutture orizzontali delle Camere del Lavoro, viste come veri e propri centri di autogestione culturale, sindacale e di resistenza. Una impostazione altamente federalista che fece presto breccia in Francia, dove si costitui’ la CGT, in Spagna,
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ove si costitui’ la formidabile CNT, e poi nei paesi latino americani con la COB brasiliana,
elemento che da il grado dei cambiamenti in atto: il ritorno alla vita politica dei cattolici e
piede questa corrente che nel 1911 assieme ai sindacalisti rivoluzionari, si organizzo’ in
risorgimentale, anzi erano stati i nemici primi dello stato liberale. L’avevano accettato solo
vero e proprio sindacato: l’USI. L’esclusiva centralita’ operaia e direi la “completezza” degli
con la guerra di Libia. Ormai l’avevano fatto proprio ma portandoci le loro convinzioni ben
organismi anarcosindacalisti finirono pero’ per porre in secondo piano il problema di
lontane da quelle dell’estabilishment postunitario. Da una parte, data la loro impostazione
coagulare su un disegno piu’generale le forze tendenzialmente federaliste di altri gruppi
gerarchica, apprezzano il centralismo statale ma dall’altra,dai primi del ‘900 in poi,
sociali ed intellettuali magari affini ma difficilmente “sindacabilizzabili”. Anche in questo
avevano costruito la loro forza con una capillare presenza nelle amministrazioni locali.
caso la generalizzazione del modello federalista veniva rimandato a dopo il crollo
Una volta organizzatisi in partito nazionale intendono valorizzare appieno questo
inevitabile del sistema capitalista e dei suoi stati di cui sarebbero state eredi le
strumento. Don Sturzo, il segretario e l’animatore del Partito Popolare Italiano, prende a
organizzazioni
rivoluzionario
simbolo della nuova formazione lo scudo crociato dei comuni medioevali e fa una
limiti di Kropotkin e dell’anarcosindacalismo e le sue critiche,almeno in Italia, non caddero
decentramento,come tenne a precisare lui stesso al Congresso di Venezia. “ In pratica
del tutto nel vuoto. Cio’ non toglie che in quel periodo le realta’ operanti nel mondo
gia’allora il PPI si pose come l’erede del filone decentratore del liberalismo postunitario.
libertario rimasero quelle legate al kropotkinismo e all’anarcosindacalismo. Cosi’,in
Un erede credibile essendo un vero partito di massa. E’ in questo clima che si riapre il
sostanza, la concezione federalista autonomista fu per un quarto di secolo quasi esclusivo
dibattito su autonomia e federalismo.
patrimonio interno ed implicito del mondo libertario e non oggetto di un dibattito politico
Il federalismo, in quanto tale, riprende infatti vigore in certi settori dell’interventismo
generale.
rivoluzionario e di quello democratico. Alceste De Ambris nella Carta del Carnaro, che stila
la FORA argentina, negli Stati Uniti con la IWW. Anche in Italia, ai primi del secolo, prese
anarcosindacaliste.
Malatesta,
definito
ancora
oggi
romantico per eccellenza, era in realta’un “politico” di razza, individuo’ con precisione i
in Italia, dal cataclisma della guerra mondiale. Questa da una parte era stata vinta e cio’ dimostrava che nel paese, che aveva retto sul Piave, la coscienza nazionale era ben radicata. Dall’altra pero’ il prezzo in vite umane era stato mostruoso mentre l’assetto civile, i rapporti tra la societa’ ed i suoi organi di governo e di amministrazione erano andati in pezzi. Lo stesso modo con cui il Regio Governo aveva portato il paese al conflitto (una decisione della Corona e di due suoi ministri, imposta al Parlamento con il ricatto istituzionale e con le agitazioni di piazza) aveva delegittimato l’equilibrio istituzionale dell’Italia post-unitaria e rotto quel patto tra il paese e il Sovrano, implicito a Teano e sancito dai plebisciti. Nell’immediato
dopoguerra
la
sensazione
che
quelle
istituzioni siano tutte da rivedere e rifondare e’generalizzata. Ne e’ un sintomo uno dei piu’ dinamici riformisti socialisti,il livornese Emanuele Modigliani che si batte,con l’appoggio dei vertici della Confederazione Generale del Lavoro, per arrivare ad una “Costituente” che getti ex-novo le basi di quella Italia,uscita da una bufera che tutto aveva mutato. Un altro
bandiera della campagna autonomista. Un atonomismo, ben inteso, nel senso del
a Fiume,occupata da D’Annunzio con un colpo militar-rivoluzionario, riprende molti temi
VII- Il riaprirsi del dibattito sul federalismo dopo la “grande guerra” La situazione delineata venne profondamente mutata, almeno
con un partito secondo solo a quello socialista! I cattolici non sono legati alla tradizione
dell’autonomismo anarcosindacalista che sviluppera’ in senso prettamente federalista in
Francia, durante l’esilio antifascista. Nel 1921 Salvemini toglie dalla ovatta delle
Don Sturzo, il segretario e l’animatore del Partito Popolare Italiano, prende a simbolo della nuova formazione lo scudo crociato dei comuni medioevali e fa una bandiera della campagna autonomista. Un atonomismo, ben inteso, nel senso del decentramento 41
biblioteche alcuni scritti di Cattaneo che pubblica con una brillante introduzione: “Le piu’ belle pagine di Carlo Cattaneo”. Nello stesso anno Felice Momigliano pubblica “Carlo Cattaneo e gli Stati Uniti d’Europa” ed Augusto Monti “L’idea federalista nel risorgimento italiano”. Anche una parte del Partito Repubblicano, fino ad allora rimasto sostanzialmente
“La centralizzazione che ci fu’ coll’unita’ imposta...ha negato semplicemente l’Italia, demolendola senza ricostruire, paralizzando ogni attivita’, stroncando ogni iniziativa, imponendo la uniformita’ la’ dove era la varieta’... “ 42
sulle posizioni mazziniane, si pone su questa linea. Il promotore di questa “rivoluzione” politico-culturale e’ Oliviero Zuccarini. Gia’ negli anni prebellici si era mosso per
una rivalutazione politica di Cattaneo ma allora senza trovare consensi, in quel dopoguerra puo’ trovare ben altro ascolto. Alla fine del 1920 fonda la rivista di “Critica Politica” che nel giro di breve tempo assume notevole prestigio. Vi collaborano
Salvemini
e
Luigi
Einaudi
e
molti
degli
intellettuali che non si appiattiscono di fronte alla crisi del paese. L’editoriale di presentazione della rivista sosteneva testualmente: “Se in tutti i paesi, presso tutti i popoli, l’accentramento ha dati risultati disastrosi, in nessuno
certamente ne dette quanti in Italia. Se infatti c’e’ un paese al mondo che abbia una lunga e bella tradizione di liberta’ e di autonomie locali e ove ogni regione abbia avuto una vita propria, questo e’ appunto il nostro. La centralizzazione che
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ci fu’ coll’unita’ imposta...ha negato semplicemente l’Italia, demolendola senza ricostruire,
pressati da una massa imponente che, costretta a fare la guerra, nel corso di questa, si e’
era la varieta’... Per cio’ la necessita’ di un cambiamento radicale, quasi diremmo un
gruppi che da sempre avevano lottato nel movimento operaio. Accanto e conseguente al
capovolgimento nella idea di stato quale venne accettata e tradotta nel fatto fin qui.
cataclisma della guerra mondiale, infatti, c’era stato quello della prima rivoluzione
Solamente un nuovo e diverso ordinamento in cui le autonomie, le liberta’, le stesse
proletaria dopo la Comune, e, soprattutto, la prima rivoluzione vittoriosa. Al di la’ dei
indipendenze economiche sieno ben garantite e l’intervento statale non riesca a turbare e
fatti, quella rivoluzione creo’ un mito che è durato fino ai nostri giorni. Figuriamoci a
a deviare le tendenze, le attivita’ e le iniziative spontanee puo’ liberare la nazione dagli
quell’epoca,
interessi parassitari che l’anemizzano... Una soluzione come quella che abbiamo
combattendola ferocemente, contribuirono non poco a che ognuno se la sognasse a suo
prospettato non puo’ aversi che su basi regionali e federali in uno stato ridotto al minimo
modo. Il mito della rivoluzione russa e dell’efficacia della sua “dittatura del proletariato” fu
indispensabile degli organi, delle funzioni e delle attribuzioni... Che la parola
galvanizzante per le masse proletarie italiane e paralizzante per le sue elite,
ed opinioni verso le autonomie non e’ evidentemente per caso ma e’ il risultato diretto
realta’ diviso come mai tra riformisti e “rivoluzionari”. La minoranza riformista non
delle condizioni di disagio e d’insopportabilita’ in cui tutta la vita della Nazione si svolge
chiederebbe di meglio che partecipare finalmente ad un governo liberalprogressista. La
grazie all’accentramento e all’intervenzionismo statale. A tali condizioni non si puo’ porre
sua forza sta nella burocrazia sindacale che pensa in termini di compartecipazione.
sollievo ne’ tanto meno rimedio aumentando il numero delle competemze o suddividendo
L’unico nella loro area a proporre qualche cosa di innovativo, come accennato, è
fra tanti poteri locali le funzioni che lo stato si e’ assegnato... Il decentramento non puo’
Modigliani, ma anch’egli in un ambito sostanzialmente parlamentaristico.
cosi’ trovare altra soluzione che nel passaggio dall’attuale stato, accentrato e di molte e
Questa corrente e’ comunque quasi ridotta al silenzio dalla grande maggioranza che si
complesse funzioni, ad uno Stato di poche ed essenziali funzioni al centro. Il nostro
dice rivoluzionaria ed aderente alla nuova Internazionale fondata a Mosca da Lenin. In
riforma, un ritocco all’attuale ordinamento.”
quali la divide la sola differenza,anche se non piccola, che al governo vuole andare
paralizzando ogni attivita’, stroncando ogni iniziativa, imponendo la uniformita’ la’ dove
decentramento incontri oggi particolare favore, che da varie parti si manifestino tendenze
decentramento, l’unico possibile... s’inquadra in un sistema, non puo’ costituire una
Zuccarini non riusci’ a portare la maggioranza dei repubblicani sulle sue posizioni ma certo catalizzo’ al loro interno, in modo duraturo, una tendenza sicuramente federalista e tendenzialmente libertaria. Queste tendenze comunque si esprimevano troppo tardi per avere validi interlocutori nelle forze d’urto del momento, le componenti storiche del movimento operaio. Nel 1921 quando esce “Critica Politica” il movimento anarchico era semidistrutto e quello socialista si andava disgregando. E del resto anche nel momento della loro maggiore espansione(1919-1920), presi come erano dalla linea esclusivamente
classista, ben poco spazio avevano dato all’impostazione federalista. Un fatto logico per i socialisti, meno scontato per gli anarchici.
VIII- La sinistra di classe marxista e quella rivoluzionaria anarchica dopo la Rivoluzione in Russia. Nel periodo giolittiano le sezioni socialiste erano state poco piu’di circoli elettorali, le Leghe, le sezioni sindacali avevano avuto come interlocutori il governo ed i padroni. Dal canto
loro i gruppi anarchici avevano dovuto rispondere, ”settimana rossa” a parte, solo a se stessi mentre gli anarcosindacalisti piu’ che altro avevano tenuto d’occhio i sindacati socialisti. Ora improvvisamente tutti quegli organismi si erano trovati
Unici in campo socialista a porsi il problema dell’autonomismo come fattore della rivoluzione furono i futuri comunisti del gruppo di “Ordine Nuovo” 43
a modo suo politicizzata. Questa massa vuole fare come in Russia e questo chiede ai
quando
gli
stessi
governi
occidentali,
impedendo
ogni
notizia
e
impossibilitate a trasmettere articolazioni proprie. Il PSI, ancora ufficialmente unito, è in
realta’ quest’ultima, la maggioranza, di rivoluzione ne sa ancora meno dei riformisti dai
Gli anarchici, a differenza dei socialisti e dei comunisti in erba, si danno subito ed organizzano una vera e propria strategia insurrezionale: “un vero programma di assalto alla societa’ borghese”, come osservo’ preoccupata la Kuliscioff 44
anch’essa nello stesso stesso quadro istituzionale e per via elettorale, ma non per fare un governo liberalprogressista, ma per instaurare da padroni la “dittatura del proletariato”! In altri termini, seppure con ottiche diverse, ambedue vivono all’interno del sistema cosi’ come l’hanno conosciuto da sempre. Unici in campo socialista a porsi il problema dell’autonomismo come fattore della rivoluzione furono i futuri comunisti del gruppo di “Ordine Nuovo”, che traevano dal mito dei soviet e dal fermento operaio della Torino industriale,
gli
stimoli
per
elaborare
la
teoria
dell’autorganizzazione proletaria, fondata sui “Consigli”. Una
teoria
pero’
che,per
quanto
riguarda
l’autorganizzazione, o l’autodemocrazia come la chiamo’ allora
Berneri,
rimase
prigioneria
del
contraddittorio
rapporto con il concetto del “Partito guida” leninista. In campo anarchico la situazione è per molti versi ben diversa. Gli anarchici, a differenza dei socialisti e dei comunisti in
erba, si danno subito ed organizzano una vera e propria strategia insurrezionale: “un vero programma di assalto alla societa’ borghese”, come osservo’ preoccupata la Kuliscioff.
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Gia’ nell’aprile del 1919 si danno un organizzazione nazionale: l’Unione Anarchica Italiana
hanno i libertari. E in realta’, durante il “biennio rosso”, l’USI, ormai completamente in
devono affrontare, al pari dei socialisti, gli effetti della rivoluzione russa nelle aspettative
guida di Armando Borghi agisce in modo audace e fin troppo generoso ma porta in se’ le
del proletariato e nelle loro stesse fila. Nel luglio del 1919 Malatesta scrive da Londra,dove
contraddizioni di una struttura di classe che si muove con obiettivi politici ma deve tenere
e’ ancora esiliato,parole molto prudenti a Luigi Fabbri che era estremamente preoccupato
conto della sua composizione sindacale ed infine che e’ tutt’altro che insensibile agli
per la infatuazione generale in Italia, movimento anarchico compreso, per la dittatura del
appelli della III Internazionale di Mosca. D’altra parte non c’e’ tempo per sottilizzare
proletariato: “Carissimo Fabbri, Sulla questione che tanto ti preoccupa, quella della
almeno in campo libertario su chi e’ piu’ vicino o distante. Gli elementi di punta del
“dittatura del proletariato”, mi pare che siamo fondamentalmente d’accordo. A me sembra
movimento anarchico, in primo Malatesta - ma anche Fabbri e Gigi Damiani, che appena
che su questa questione l’opinione degli anarchici non potrebbe essere dubbia... Ma
rispedito dal Brasile, diventa il geniale redattore del quotidiano “Umanita’ Nova” - sono gli
quando e’ scoppiata la rivoluzione bolscevica parecchi nostri amici hanno confuso cio’ che
unici nella sinistra italiana ad intuire che la controrivoluzione puo’ concretizzarsi da un
sovrapporsi alla rivoluzione per frenarala e dirigerla ai fini particolari di un partito - e
Addirittura secondo Sforza fu l’unico politico italiano a prevedere il fascismo. Certo e’ che
quasi si sono dichiarati bolscevichi essi stessi... Il “proletariato” naturalmente c’entra come
Malatesta spinge il movimento anarchico a trasformare ogni scintilla in una rivoluzione
c’entra il “popolo” nei regimi democratici, cioe’semplicemente per nascondere l’essenza
prima che la reazione abbia il tempo di organizzarsi. L’attivita’ degli anarchici fu allora
reale della cosa. In realta’ si tratta della dittatura di un partito, o piuttosto dei capi di un
frenetica ma lascio’ ben poco spazio alle rielaborazioni. Intendiamoci: queste non
partito; ed e’dittatura vera e propria, coi suoi decreti, colle sue sanzioni penali, coi suoi
mancarono, anzi. Gigi Damiani ha il coraggio di proporre un alleanza con gli elementi
agenti esecutivi, e soprattutto colla sua forza armata, che serve oggi a difendere la
federalisti del Partito Repubblicano, guidati da Zuccarini. Fabbri lascia ogni remora ed
rivoluzione dai suoi nemici esterni, ma che servira’ domani
articola la prima critica da sinistra del concetto e della pratica della “dittatura del
(UAI), fondata sui principi autonomisti e federativi della I Internazionale, ma anch’essi
era rivoluzione contro il governo presistente, e cio’che era nuovo governo che veniva a
per imporre ai lavoratori la volonta’ dei dittatori, arrestare la
rivoluzione, consolidare i nuovi interessi che si vanno costituendo e difendere contro la massa la nuova classe privilegiata... Queste sono le mie idee generali sulle cose di Russia. In quanto ai particolari le notizie che abbiamo sono ancora troppo varie e contraddittorie per poter arrischiare un giudizio. E’ meglio aspettare, tanto piu’ che quello che noi diremmo non puo’ aver nessuna influenza sullo svolgimento dei fatti in Russia, e potrebbe in Italia essere male interpretato e darci l’aria di far eco alle calunnie interessate della reazione.
L’importante e’ quello che dobbiamo fare noi - ma siamo sempre li, io sto lontano ed impossibilitato a fare la parte mia..” Alla fine di quell’anno pero’ Malatesta puo’ finalmente raggiungere, in modo inaspettato e rocambolesco, l’Italia. Accolto nel paese come il Lenin italiano, appellativo al quale subito rinuncia, vi porta comunque, al pari di Lenin,tutta la sua carica di attivismo, il carisma e la consumata esperienza politica
accumulata
in
cinquanta
anni
di
esperienze
rivoluzionarie. Per prima cosa ,al congresso di Bologna, riesce a
non
far
appiattire
l’UAI
sulla
organizzazione
anarcosindacalista dell’USI. Rimane il fatto che quest’ultima e’ al momento l’unica organizzazione concreta e capillare che
Nell’aprile del 1919 gli anarchici si danno un organizzazione nazionale: l’Unione Anarchica Italiana (UAI), fondata sui principi autonomisti e federativi della I Internazionale, ma anch’essi devono affrontare, al pari dei socialisti, gli effetti della rivoluzione russa nelle aspettative del proletariato e nelle loro stesse fila 45
mano agli anarchici,si rivela la vera struttura operativa del movimento libertario. Sotto la
momento all’altro.
proletariato”. E poi Malatesta che batte in continuazione nei comizi, negli scritti quotidiani, sulla necessita’ dell’autorganizzazione in tutti i campi, a cominciare da quello dei servizi. Non mancano le elaborazioni, manca pero’il tempo perche’ queste si sedimentino e abbiano il sopravvento su anni e anni di operaismo anarcosindacalista, sul
Damiani ha il coraggio di proporre un alleanza con gli elementi federalisti del Partito Repubblicano, guidati da Zuccarini. Fabbri lascia ogni remora ed articola la prima critica da sinistra del concetto e della pratica della “dittatura del proletariato” 46
quale
ben
attecchisce
ora
il
mito
bolscevico
e
di
millenarismo kropotkiniano. Un esempio di quest’ultimo, ben diffuso nel movimento, e’ espresso dall’esponente milanese Molaschi, che attacca Damiani e le sue proposte di collegarsi a Zuccarini. Molaschi nega che esistano istanze
federaliste e potenzialita’ libertarie nei repubblicani e si
appella alla fedelta’ al federalismo bakuniniano e al “buon anarchismo di cinquant’anni or sono che e’ sempre giovane, gagliardo, pieno di promesse per il vicino domani”. Gli fa da rincalzo Renato Siglich, allora direttore de “Il Libertario” di La Spezia che, con grande irritazione di Malatesta, era solito terminare i comizi con la fatidica parola d’ordine: “La Rivoluzione sara’ Anarchica o non sara’”. Se questo e’un attegiamento largamente diffuso in un movimento di elite e
altamente politicizzato come quello anarchico figuriamoci nella massa dei lavoratori appena accostatasi alla lotta politica. Di questo si rende conto Malatesta che come strategia punta, dovunque sia possibile, ad una rivoluzione
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autogestionaria e quindi,immediatamente dopo, federativa, ma come tattica, adotta quella
dalla truppa, allora GUAI A VOI!... Entrate in relazione tra fabbrica e fabbrica, e coi
termini Malatesta, stretto ta alcuni che, loro malgrado, dietro un atteggiamente
pubblico. Vendete e scambiate i vostri prodotti senza tener alcun conto di coloro che
ideologicamente intransigente rimandano tutto al dopo di una rivoluzione taumatugica e
furono i padroni. Padroni non ve ne debbono essere piu’ e non ve ne saranno se voi
taumaturgicamente avvenuta, e la massa che si muove nei termini piu’ elementari di
vorrete.” E ancora:“Ora urge che i lavoratori delle altre categorie entrino in lotta.
di spingere e coinvolgere i socialisti nella rivoluzione in nome dell’unita’ proletaria. In altri
ferrovieri per il rifornimento delle materie prime, intendetevi colle Cooperative e col
classe se non di populismo, sceglie di adottare una linea prevalemente classista e di
Qualunque ritardo potrebbe essere fatale. I metallurgici non possono sussistere
immettervi tutta una carica autogestionaria e federalistica. Ma così facendo, questa rimane
indefinitivamente se non si fornisce loro almeno gli alimenti. E per poterlo fare bisogna
ancora una volta interna al solo mondo dei lavoratori e non si fa appello e programma per
pigliar possesso di tutte le fabbriche, di tutti i depositi di merci, specialmente alimentari,
altre forze in nome di un nuovo assetto “ nazionale”, e solo poi internazionale, come la
delle ferrovie, dei bastimenti, di tutta quanta la ricchezza sociale.” Luigi Fabbri testimonia
situazione italiana allora avrebbe richiesto. L’unico momento in cui la questione venne
che Malatesta “sosteneva in pubblico e in privato...non potersi presentare mai piu’ un
Malatesta, e Serrati, allora a capo del PSI, con gli emissari di D’Annunzio per una marcia
occupazioni delle fabbriche metallurgiche a tutte le altre industrie, alle terre. Dove non
rivoluzionaria che da Fiume puntasse su Roma. Quelle trattative vennero bloccate dall’
c’erano industrie, scendere in piazza con scioperi e sommosse locali che distogliessero le
“ottusita’” socialista. C’ e’ da dire che il solco tra l’interventismo, sia pure democratico o
forze armate dello stato dai grandi centri. Dalle localita’ piu’ piccole, dove non vi fosse
rivoluzionario,e gli antinterventisti era allora veramente profondo, dopo che questi ultimi
proprio nulla da fare, accorrere in quelle maggiori piu’vicine. Scesa in campo di gruppi
avevano subito il macello della guerra e conosciuta la fiducia
d’azione di fiancheggiamento, armarsi nel piu’ gran numero possibile ed intensificare la
concretamente affrontata in questi termini, fu’ nel gennaio del 1920 nelle trattative tra
nella rivincita rivoluzionaria di classe. Solo con il suo immenso carisma Malatesta avrebbe potuto farlo superare agli
anarchici, ma Serrati, ammesso che il suo schematismo ideologico glie lo permettesse, non avrebbe potuto contare su un ugual prestigio fra i suoi. Del resto di fronte alla negativa di Serrati anche Malatesta preferi’declinare le proposte dei fiumani. L’inconciliabilita’ di fondo, tra le impostazioni anarchiche e quelle socialiste, mascherata da una parte e dall’ altra in nome dell’unita’ operaia venne pero’ a galla nel modo piu’ drammatico di li’ all’autunno, con l’occupazione delle fabbriche nel triangolo industriale. Fu quello un movimento
spontaneo, tutto operaio, sostanzialmente autogestionario e con potenzialita’ federaliste, o almeno cosi’ l’interpretarono gli anarchici. Cosi’ “Umanita’ Nova” di quei giorni: “Lavoratori! Voi vi siete impossessati delle fabbriche. Voi avete fatto con questo il primo passo importante verso l’espropriazione della borghesia e la messa a disposizione dei lavoratori dei mezzi di produzione. Il vostro atto puo’essere, DEVE ESSERE, il principio della trasformazione sociale. Il momento e’ propizio come non fu mai. Oggi e’ questione di tutto per tutto: per voi
come per i padroni. Per far fallire il vostro movimento i padroni
sono
capaci
di
concedere
tutto
quello
che
domandate, poi, quando voi avrete rinunciato al possesso delle fabbriche e queste saranno presidiate dalla polizia e
L’inconciliabilita’ di fondo, tra le impostazioni anarchiche e quelle socialiste venne pero’ con l’occupazione delle fabbriche nel triangolo industriale. Fu quello un movimento spontaneo, tutto operaio, sostanzialmente autogestionario e con potenzialita’ federaliste, o almeno cosi’ l’interpretarono gli anarchici 47
occasione migliore per vincere quasi senza spargimento di sangue. Estendere le
raccolta delle armi. E cosi’ via” . Ed in verita’ l’intero movimento anarchico si mosse per potenziare e generalizzare il movimento delle occupazioni, ma ognuno a modo suo. Gli anarchici dell’UAI si dettero da fare, e come, per armarsi, lo si vedra’ nella primavera
successiva, e per appoggiare le occupazioni locali ma,a differnza delle esortazioni di Malatesta, tutto nell’ottica di aspettare la rivoluzione in casa propria. L’autonomismo venne vissuto come localismo. L’USI dal canto suo si lancio’ subito all’attacco ma, risentendo della sua essenza sindacale, rimase impaniata nel problema di non rompere con le consorelle organizzazioni socialiste. Il 7 settembre a Sampierdarena l‘USI convoca i metallurgici, i ferrovieri, i marittimi,gli alimentari, decisi a creare il fatto compiuto dell’occupazione generale, cominciando dal porto di Genova. Al Convegno interviene anche, fatto inaudito, il segretario generale dei metallurgici della CGdL, Colombino, che chiede ed ottiene una settimana di tempo per
Se i socialisti faranno finta di non vedere quando Giolitti colpira’ gli anarchici, Giolitti fara’ finta di non vedere quando i fascisti colpiranno i socialisti 48
organizzare tutti assieme il via alla espropriazione generale. Ma Colombino ed i suoi compagni,coerentemente colla loro impostazione, sfruttano il tempo loro concesso per trattare con successo una soluzione interna alla logica statale. Gli operai rimangono completamente disorientati,non hanno alcuna preparazione “ culturale” per muoversi da se’ e per gli altri. Seppure a malincuore e spesso con rabbia, lasciano le
fabbriche,
in
cambio
accettano
una
cogestione
burocratica strappata dai vertici sindacali ai padroni tramite
Giolitti. Gli anarchici scontano cosi’ gli anni di mancata azione
e
propaganda
concretamente
autonomista
e
autogestionaria al loro interno e nel movimento operaio. E’
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
l’inizio del crollo della spinta a sinistra e con essa quello dell’assetto dell’Italia
volontarista ed una critica alla stessa ideologia, considerata,nello stesso tempo
sono riusciti a trascinare i socialisti alla rivoluzione ma sono da questi abbandonati alla
ad ipotizzare una “democrazia dei lavoratori”di tipo formale. In campo liberale ad aprire il
repressione di Giolitti. Una repressione che scavalca lo stesso Giolitti ed apre la via alla
dibattito e’ Piero Gobetti con la sua rivista “Rivoluzione Liberale”. La rivista e’ben lontana
controffensiva reazionaria guidata dal fascismo. E se i socialisti faranno finta di non
dalla rassicurante interpretazione di Croce, nel quale pure Gobetti riconosce il suo
vedere quando Giolitti colpira’ gli anarchici, Giolitti fara’ finta di non vedere quando i
maestro di pensiero e di vita. Per Croce lo stato liberal/parlamentare rimane un organismo
fascisti colpiranno i socialisti. La reazione in Italia, con il fascismo, non si presento’con le
sano anche se al momento attaccato dalla malattia fascista portata dalla guerra. Di contro
caratteristiche “classiche” alla Crispi, tanto che sbocco’ nel primo regime totalitario del
“Rivoluzione liberale” individua nel costruirsi stesso dello stato unitario e sabaudo il primo
mondo occidentale. Ma anche quando tutte quelle implicazioni non erano e non potevano
tradimento dello spirito liberale, quale garante delle autonomie non solo economiche ma
essere ancora chiare, il fascismo si presento’ non solo come antiproletario ma come
politiche e sociali. La rivista esprime una tale carica di rinnovamento istituzionale che
espressioni organizzate delle autonomie dei lavoratori e
complessivo, comunque interpretato, lo stato perdeva la caratteristica, che aveva avuto
postunitaria. Alla fine del 1920, la linea di Malatesta e’ fallita: gli anarchici non solo non
antiautonomista e anticomunalista. Non a caso i primi obiettivi dei suoi attacchi sono le dei cittadini: dalle Case del popolo alle Cooperative, alle Camere dellavoro, ai Comuni “rossi”. Un impostazione che il fascismo portera’alle estreme conseguenze nel 1926, quando soppresse tutte le autonomie amministrative locali.
IX- Mussolini al potere La vittoria di Mussolini sia sulle piazze che in parlamento, impose non solo alle sinistre ma agli stessi liberali, un ripensamento sul ruolo delle istituzioni e delle liberta’ civili in quanto tali, e su come storicamente erano andate configurandosi nel nostro paese. Un ripensamento che dette nuovo spessore alle tematiche autonomistiche e federalistiche. Il periodo che va dalla “marcia su Roma” (ottobre ’22) alle “leggi eccezionali” (1926) vede le aree
intellettuali non fascistizzate e soprattutto quelle giovani, prendere
coscienza
che
l’Italia
post’unitaria
si
era
cristallizzata attorno ad una democrazia esclusivamente formale e parlamentaristica. Nell’inadeguatezza di quel sistema per una reale vita non solo democratica ma liberale del paese venne individuata la causa profonda che al momento aveva il fascismo. Di qui la ricerca di nuovi modelli. Una ricerca che sbocca nella riscoperta di una liberta’
“reale”,
frutto
del
dialettico
rapporto
tra
le
autonomie individuali, sociali, economiche e politiche. In
campo socialista Carlo Rosselli e Pietro Nenni danno origine alla rivista “Quarto Stato”. Ambedue di origine mazziniana portano nel socialismo marxista italiano, la componente
La vittoria di Mussolini sia sulle piazze che in parlamento, impose non solo alle sinistre ma agli stessi liberali, un ripensamento sul ruolo delle istituzioni e delle liberta’ civili in quanto tali, e su come storicamente erano andate configurandosi nel nostro paese. Un ripensamento che dette nuovo spessore alle tematiche autonomistiche e federalistiche 49
sterilmente “intransigente” ed “economicistica”, che nel migliore dei casi era solo arrivata
valuta positivo e da sviluppare il tema gramsciano dei consigli. In quel quadro fino ad allora per larghi settori culturali e sociali, di unico e indispensabile garante della nazione e della liberta’ dei cittadini. Del resto il dibattito su una concreta riorganizzazione autonomistica del paese riemergeva con vigore nel movimento anarchico. Nascono allora due riviste di alto livello: “Pensiero e Volonta’” diretto da Malatesta, e “Fede!”, diretto da Damiani.
I repubblicani federalisti hanno, bisogna riconoscerlo, fatto molto piu’ di noi nel campo teorico. Noi siamo ancora al federalismo di Bakunin, che a Molaschi pare a quanto sembra, non plus ultra. E questo e’ un grave segno. Dimostra che non abbiamo fatto che pochi passi piu’ in la’ dei maestri...
La prima e’ di taglio teorico, con lo “sguardo rivolto al futuro” ma sostanzialmente legata alle esperienze di un anarchismo che aveva avuto come suo unico interlocutore lo stato liberale. La seconda e’ piu’ agile e molto piu’ scettica sui contenuti democratici delle esperienze liberali. Ambedue riaprirono il dibattito sulle concrete possibilita’ di un organizzazione della vita sociale che dall’autonomismo, implicito in tante esperienze ed esplicito nelle dichiarazioni di
principio,
tornasse
a
farsi
federalismo
libertario
operante,in primo luogo nel modo di pensare politico degli anarchici. A porre il problema come centrale era soprattutto
un esponente della nuova leva libertaria: Camillo Berneri. Questi era uscito allo scoperto, alla fine del 1922, con una critica impietosa dell’attacco di Molaschi a Damiani, un attacco che porta a simbolo di una diffusa mentalita’ immobilistica. “Quello che dice Molaschi e’ vero ma solo in parte. -scrive Berneri- Che la generalita’ dei repubblicani abbia seguito e segua tutt’ora Mazzini invece di Ferrari e di Cattaneo, e’ vero ma e’ anche vero che vi e’ un forte gruppo di repubblicani che continuano la tradizione federalista,
arricchendola ed elaborandola ... I repubblicani federalisti hanno, bisogna riconoscerlo, fatto molto piu’ di noi nel campo teorico. Noi siamo ancora al federalismo di Bakunin,
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Europa Plurale – 2/2006
che a Molaschi pare a quanto sembra, non plus ultra. E questo e’ un grave segno. Dimostra che non abbiamo fatto che pochi passi piu’ in la’ dei maestri...[con il risultato
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delle ultime liberta’, sia pure formali, ma fu un dato di fatto che veniva da lontano.
che allo stato delle cose] siamo avveniristi e basta. Federalismo e’una parola. E’ una formula senza contenuto positivo. Che cosa ci danno i maestri? Il presupposto del federalismo: La concezione antistale, concezione politica e non impostazione tecnica, paura dell’accentramento e non progetti di decentramento... Il nemico e’la: e’lo Stato. Ma lo Stato non e’ solo un organismo politico, strumento di conservazione delle ineguaglianze sociali; e’ anche un organismo amministrativo. Come impalcatura amministrativa lo stato non si puo’abbattere. Si puo’ cioe’ smontare e rimontare ma non negarlo poiche’ cio’ arresterebbe il ritmo della vita della nazione che batte nelle arterie
ferroviarie, nei capillari telefonici ecc... Bisogna ritornare al federalismo. Non per adagiarsi sul divano della parola dei maestri ma per creare il federalismo rinnovato ed irrobustito dallo sforzo di tutti i buoni, di tutti i capaci... Bisogna cercare le soluzioni affrontando i problemi. Bisogna che ci formiamo un nuovo abito mentale”. Non credo pura coincidenza che Carlo Molaschi, l’anno dopo, pubblicasse una serie di saggi per “Pensiero e Volonta’” di notevole spessore per approfondire ed anche correggere il suo pensiero in materia di “Federalismo e liberta’”,come storicamente si era configurato in Italia. Questa stagione di fermento intellettuale venne stroncata dalla definitiva vittoria di Mussolini sulle
opposizioni dopo l’assassinio di Matteotti, ma spiega molto di quella vittoria. Le opposizioni istituzionali, socialisti compresi, in quella delicatissima crisi avevano scelto la formula dell’”Aventino”, cioe’di seguire l’appello di Turati, immediatamente fatto proprio dal liberale Amendola e dalla sinistra dei popolari, per la difesa
ad
oltranza
di
quella
democrazia
formale
e
parlamentaristica nella quale non solo non credevano gli strati proletari ma ormai nemmeno gli elementi piu’ dinamici del mondo intellettuale di qualsiasi estrazione fosse. Quella democrazia rimase nuda ed impotente di fronte a Mussolini che l’aveva sempre disprezzata, e che
ora poteva distruggere,non solo perche’ appoggiato da Monarchia e Vaticano, ma perche’ era quella democrazia stessa gia’ morta nella coscienza dei piu’ e sopratutto in quella del popolo. Un popolo che dal 1914 si era battuto per la rivoluzione antimonarchica, si era poi opposto alla guerra. La “ grande” guerra che era stato costretto suo malgrado a fare ma che aveva vinto. All’ indomani aveva cercato la rivoluzione
proletaria. Era stato battuto ma aveva allora affrontato la guerra civile. Dopo dieci anni di sangue quel popolo non era piu’ disponibile a battersi per un semplice ritorno allo statuto. Fu un fatto tragico che porto’ alla scomparsa anche
Non credo pura coincidenza che Carlo Molaschi, pubblicasse una serie di saggi per “Pensiero e Volonta’” di notevole spessore per approfondire ed anche correggere il suo pensiero in materia di “Federalismo e liberta’”,come storicamente si era configurato in Italia 51
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Europa Plurale – 2/2006
Federalismo ed Anarchismo - 2
PER UN PROGRAMMA DI AZIONE COMUNALISTA* Il Sindacato, la Corporazione, il Comune, lo Stato sono società. E società sono i compagni di lavoro che non
Camillo Berneri
qualche lira al padrone e nella corporazione che un organismo che tiene lontani i concorrenti; i cittadini
della mia città che votano e voteranno per i socialisti perché abbassano le tasse; i miei connazionali che pensano allo Stato come ad una specie di enorme vacca dalla quale attingere il più possibile, attraverso i deputati. Società è il bottegaio di faccia che è contro la rivoluzione perché ha paura che gli portino via, come al tempo del moto per il caroviveri, i prosciutti e i fiaschi d'olio; è il mio vicino di casa, povero più di me, ma che dice che «i ricchi ci fanno lavorare»; è il mio vicino di officina che sogna il giorno in cui il partito comunista sarà padrone del governo e comanderà su tutti; è il mio amico socialista che darà il voto al deputato perché ha fatto avere un sussidio governativo alle cooperative. Di fronte a me sta la società, con le sue idee fisse, con i suoi pregiudizi, con le sue meschinerie, con le sue brutalità. Operaio, riconosco che il sindacato è un'arma di lotta e di formazione, e mi organizzo. Lotto per qualche centesimo in più di salario, per un'ora di meno di lavoro, pur di contribuire a smuovere la massa operaia. So che ben pochi operai hanno una chiara coscienza classista. Se parlassi di espropriazione e di socializzazione i più ne sarebbero impauriti e, dubbiosi, si ritrarrebbero dalla lotta. Quindi parlo di miglioramenti di salari, di orari, di disciplina. Vedo che il voto per sezione di sindacato assicura la maggioranza ai socialisti, ai funzionari attaccati alla propria poltrona come il bottegaio al proprio banco, ma, se critico il sistema antidemocratico, temporeggio, ché la
maggioranza non sente la questione. Minatore in una cava di lignite so che l'escavazione costituisce un passivo nell'economia nazionale e che una forte percentuale di minatori potrebbe tornare ai campi dai quali viene e dove possiede qualcosa, ma non posso mettermi a richiedere licenziamenti, ché mi metterei contro quasi tutti i minatori, il
*
Parigi, 1926
comunisti o ai repubblicani formare la propria guarda nazionale per via dell'idea «una guardia ci vuole». Gli anarchici danno l'assalto al municipio? Ammazzano tutte le guardie?
vedono nel sindacato che un organismo per strappare
Di fronte a me sta la società, con le sue idee fisse, con i suoi pregiudizi, con le sue meschinerie, con le sue brutalità
L'enorme maggioranza della popolazione di un Comune lascerebbe ai socialisti o ai
deputato socialista che, d'accordo con i padroni, strappa sussidi allo Stato, nonché i suoi satelliti. Eppure il problema si riaffaccerà domani, non essendo necessariamente legato
al capitalismo. Domani sarà il sindacato dei minatori della lignite il parassita di un nuovo ordine economico. Sul terreno economico, gli anarchici sono possibilisti. Sono proletari evoluti e coscienti, ma proletari. Sul terreno politico e genericamente sociale sono intransigenti al 100%.
Ammazzano i consiglieri comunali? No, perché questa esuberante combattività, quando il popolo non li segue o non li trascina, non l'hanno mostrata quando era il caso di mostrarla. Gli anarchici brontolerebbero contro la guardia civica e il Comune autoritario. Io dico: gli anarchici debbono sostenere la formazione elettiva della guardia civica e proporre altri sistemi di controllo, per impedire che quella diventi un organo di dominio politico e di privilegio sociale. E molti anarchici mi danno del legalitario! Ma soluzioni diverse non ne danno.
Il problema della nostra tattica rivoluzionaria e post-rivoluzionaria è male basato e peggio sviluppato. Socialmente siamo imprigionati nel dualismo proletariato-borghesia, mentre il proletariato tipico è minoranza ed è fiacco e disorientato, e vi sono vari ceti intermedi, ben più importanti e combattivi. Non ne abbiamo tenuto conto, noi rivoluzionari, ed abbiamo avuto il fascismo. Se non ne terremo conto, avremo altri fascismi.
Il nostro comunalismo è autonomista e federalista. Ritornando a Proudhon, a Bakunin e a Pisacane, come fonti, ma aggiornando il loro pensiero al lume delle enormi esperienze di questi anni di delusioni e di sconfitte, potremo adattarlo alle situazioni sociali e politiche di domani 54
Il calcolo di ogni strategia è un calcolo di forze. E' triste che molti dei nostri continuino a vedere soltanto il popolo insorgere
all'attacco
della
cassaforte,
dell'officina,
del
campo; mentre quella dell'espropriazione non sarà che una piccola parte della rivoluzione italiana. A meno che non vogliamo che i rivoluzionari ed i lavoratori non ne buschino di nuovo ed ancora più sode. Di paradisi comunisti se ne parlerà fra qualche secolo. Ora è
roba da far ridere e far pietà insieme. L'anarchismo non ha,
al di fuori di quello sindacale, che un terreno sul quale battersi
proficuamente
comunalismo.
Terreno:
nella
rivoluzione
politico.
italiana:
Funzione:
il
liberale
democratica. Scopo: la libertà dei singoli e la solidità degli enti amministrativi locali. Mezzo: l'agitazione su basi realistiche, con l'enunciazione di programmi minimi. Il
nostro
comunalismo
è
autonomista
e
federalista.
Ritornando a Proudhon, a Bakunin e a Pisacane, come fonti,
ma aggiornando il loro pensiero al lume delle enormi esperienze di questi anni di delusioni e di sconfitte, potremo adattarlo alle situazioni sociali e politiche di
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
domani, quali possiamo prevederle possibili, se sapremo dare alla rivoluzione italiana un
siano politiche. La politica è calcolo e creazione di forze realizzanti un'approssimarsi della
volgo, difficile a fare orecchio nuovo a musica nuova, che ad impostazioni di problemi e a
sistemazione, atte ad essere agitanti, polarizzanti e sistematizzanti in un dato momento
soluzioni oppone vaghi disegni utopistici e grossolane invettive demagogiche. Ché quelle
sociale e politico.
indirizzo autonomista, sul terreno sindacale e su quello comunale. Anche fra noi vi è il
realtà al sistema ideale, mediante formule di agitazione, di polarizzazione e di
quattro ideuzze, racimolate in opuscoletti didascalici o in grossi libri incompresi, nel cervelluccio inoperoso si sono accucciate e se ne stan lì, al calduccio di una facile retorica che pretende essere forza solare di una fede intera, mentre non è che focherello fumoso. Non temiamo quella parola revisionismo, che ci viene gettata contro dalla scandalizzata ortodossia, ché il verbo dei maestri è da conoscersi e da intendersi. Ma troppo rispettiamo i nostri maggiori, per porre costoro a Cerberi ringhiosi delle proprie teorie, quasi come ad
arche sante, quasi come ai dogmi. L'autoritarismo ideologico dell' ipse dixit non lo riconosciamo che come canovaccio di comuni motivi ideali, non come schema da svilupparsi in pure e semplici volgarizzazioni. Respinto da Bakunin il Rousseau arcadico e contrattualista, l'ideologia kropotkiniana ci ha riportati
all'ottimismo
antropologico,
e
all'evoluzionismo
l'individualismo
ha
solidarista.
perpetuato
il
Sul
processo
terreno
dell'ottimismo
negativo
dell'ideologia
anarchica, conciliando arbitrariamente la libertà del singolo con le necessità sociali, confondendo l'associazione con la società, romanticizzando il
dualismo libertà ed autorità in uno statico ed assoluto antagonismo. Il solidarismo kropotkiniano, sviluppatosi sul terreno naturalistico ed etnografico, confuse l'armonia di necessità biologica delle api con quella discordia discors e quella concordia concors propria dell'aggregato sociale, e forme primitive di società-associazioni ebbe troppo presenti per capire l'ubi societas, ibi jus insito alle forme politiche che non siano preistoriche. La negazione a priori dell'autorità si risolve in un angelicarsi degli uomini ed in uno sviluppo irrompente di un genio collettivo, quasi immanente alla rivoluzione, che si chiama iniziativa popolare. Il popolo, in questo sistema, è omogeneo, per natura e per impulsi. Tende a unificare i propri sforzi in lineare
tendenza
comunista.
Il
problema
delle
rappresentanze, il problema dei rapporti intercomunali, il problema della surrogazione dello Stato: tutto questo ha soluzioni o strettamente parziali o del tutto insufficienti perché ottimistiche o anacronistiche. Kropotkin non ci basta. Ed i nostri migliori, da Malatesta a Fabbri, non riescono a risolvere i quesiti che ci poniamo, offrendo soluzioni che
Non temiamo quella parola revisionismo, che ci viene gettata contro dalla scandalizzata ortodossia, ché il verbo dei maestri è da conoscersi e da intendersi. Ma troppo rispettiamo i nostri maggiori, per porre costoro a Cerberi ringhiosi delle proprie teorie, quasi come ad arche sante, quasi come ai dogmi 55
Un anarchismo attualista, consapevole delle proprie forze di combattività e di costruzione
La politica è calcolo e creazione di forze realizzanti un'approssimarsi della realtà al sistema ideale, mediante formule di agitazione, di polarizzazione e di sistemazione
56
e delle forze avverse, romantico col cuore e realista col cervello, pieno di entusiasmo e capace di temporeggiare, generoso e abile nel condizionare il proprio appoggio, capace, insomma, di un'economia delle proprie forze: ecco il mio sogno. E spero di non essere solo.
Se l'anarchismo non imbocca questa via, se chiuderà gli occhi per sognare i giardini in fiore dell'avvenire, se indugerà nella ripetizione di dottrinari luoghi comuni che lo isolano nel nostro tempo, la gioventù si ritrarrà da lui, come da un romanticismo sterile, come da un dottrinarismo cristallizzato. La crisi dell'anarchismo è evidente. O la botte
vecchia resisterà al vino nuovo, o il vino nuovo cercherà una botte nuova.
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Federalismo ed Anarchismo - 3
Secondo la natura delle cose di cui si tratta, dello scopo che ci si propone, i contratti sono domestici, civili, commerciali o politici.
SVILUPPO DELL' IDEA DI FEDERAZIONE*
E' di quest'ultima specie di contratto, il contratto politico, di cui ci occuperemo ora. La nozione di contratto, non è completamente estranea al regime monarchico, come non
Poiché nella teoria e nella pratica, l'Autorità e la Libertà,
si
succedono
come
una
sorta
di
Pierre-Joseph Proudhon
polarizzazione; Che la prima diminuisce impercettibilmente e si ritira, mentre la seconda cresce e si afferma; Che risulta da questo duplice procedere una sorta di subordinazione in virtù della quale l'Autorità si rimette via via alle regole della Libertà; Poiché in altri termini il regime liberale o contrattuale, prevale di giorno in giorno sul
regime autoritario, è all'idea di contratto che noi dobbiamo legarci come all'idea dominante della politica.
Il contratto, dice l'art. 1101 del Codice civile, è una convenzione per cui una o più persone si obbligano verso una o più, a fare o a non fa re qualcosa. Art.1102.- Esso è sinallagmatico o bilaterale quando i contraenti si obbligano reciprocamente gli uni verso gli altri. Art. 1103.- E' unilaterale quando una o più persone sono obbligate verso una o molte altre senza che da parte di queste ultime ci sia alcun obbligo.
Art 1104.- E' commutativo quando ognuna delle parti si impegna a dare o a fare una cosa che è considerata come l'equivalente a lui dovuto o di ciò che si fa per essa. - Quando l'equivalente consiste nella possibilità di guadagno o di perdita per ognuna delle parti in conseguenza di un avvenimento incerto, il contratto è aleatorio. Art. 1105.- Il contratto di beneficenza è quello in cui una parte procura all'altra un vantaggio puramente gratuito.
Art. 1106.- Il contratto a titolo oneroso è quello che obbliga ciascuna delle parti a dare o a fare qualcosa. Art. 1371.- Si chiamano quasi contratto i fatti volontari dell'uomo da cui risulta un impegno qualsiasi verso un terzo , e qualche volta un impegno reciproco delle parti. A queste distinzioni e definizioni del Codice, relative alle forme ed alle condizioni dei contratti, ne aggiungerò un'ultima, che riguarda il loro oggetto.
*
e di libertà e sul loro ruolo nella formazione dei governi, si comprende che questi princìpi non intervengono nello stesso modo nella formazione del contratto politico; cosi quindi l'obbligazione che unisce il monarca ai suoi sudditi, obbligo spontaneo, non scritto, risultante dallo spirito familiare e dalla qualità delle persone, è una obbligazione unilaterale, poiché in virtù del principio di obbedienza il suddito è più obbligato verso il
principe di quanto questo non lo sia verso il suddito. La teoria del diritto divino dice espressamente che il monarca non è responsabile che verso Dio. Può anche accadere che il contratto del principe col suddito degeneri in un contratto di pura beneficenza, allorché, per l'inettitudine e l'idolatria dei cittadini, il principe è sollecitato ad impossessarsi dell'autorità ed a farsi carico dei suoi sudditi, incapaci di governarsi e di difendersi, come
Cosa si intende, anzitutto, per contratto?
Poiché in altri termini il regime liberale o contrattuale, prevale di giorno in giorno sul regime autoritario, è all'idea di contratto che noi dobbiamo legarci come all'idea dominante della politica
lo è alla paternità ed alla famiglia. Ma, dopo ciò che abbiamo detto sui princìpi di autorità
Capitolo VII da Del Principio Federativo, 1863
un pastore del suo gregge. Peggio ancora là dove è ammesso il principio di ereditarietà. Un cospiratore come il duca di Orléans, più tardi Luigi XII, un parricida come Luigi XI, un'adultera come Maria Stuarda, conservano, malgrado i loro crimini, il loro eventuale diritto alla corona. Poiché la nascita li rende inviolabili, si può dire che esiste fra di loro ed
i fedeli sudditi del principe al quale essi dovranno succedere, un quasi-contratto. In due parole per lo stesso fatto che l'autorità è preponderante nel sistema monarchico, il contratto non è paritario. Il contratto politico invece, non acquista la sua dignità ed il suo senso, che alla condizione
Il contratto politico invece, non acquista la sua dignità ed il suo senso, che alla condizione 1° di essere sinallagmatico e commutativo; 2° di essere contenuto quanto al suo oggetto, entro certi limiti 58
1° di essere sinallagmatico e commutativo; 2° di essere contenuto quanto al suo oggetto, entro certi limiti: due condizioni che si suppongono esistere sotto il regime
democratico, ma che anche in esso, non sono spesso nient'altro che pura finzione. Si può allora dire in una democrazia
rappresentativa
e
centralizzatrice,
in
una
monarchia costituzionale e censitaria, a maggior ragione in una repubblica comunista., come concepita da Platone, che il contratto politico che lega il cittadino allo Stato sia uguale e reciproco? Si può forse dire che questo contratto, che sottrae ai cittadini la metà o i due terzi della loro sovranità, ed il quarto del loro prodotto, sia contenuto entro giusti
limiti? Sarebbe più esatto dire, ciò che l'esperienza conferma troppo spesso e cioè che il contratto, in quasi tutti i sistemi, è esorbitante, oneroso, poiché esso è per una parte più o meno considerevole di cittadini senza contropartita; è
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Europa Plurale – 2/2006
aleatorio, poiché il vantaggio promesso, già insufficiente, non è neppure assicurato.
Colui che si impegna con una associazione di questo genere, soprattutto se perpetua, si
Affinché il contratto politico, rispetti la condizione sinallagmatica e commutativa che
conserva. Ma è questo ciò che rende raro questo contratto, e che ha reso in tutti i tempi
postula l'idea di democrazia; per, esprimendosi entro limiti accettabili, essere vantaggioso
insopportabile la vita austera. Ogni obbligo, sia reciproco che commutativo, che, esigendo
ed utile per tutti, bisogna che il cittadino entrando nell'associazione, 1° abbia tanto da
dagli associati la totalità dei loro sforzi, non lascia niente alla loro indipendenza e li voti
ricevere dallo Stato, quanto a lui sacrifica; 2° che conservi tutta la propria libertà, la sua
tutti interamente all'associazione, è un impegno eccessivo, che ripugna ugualmente al
sovranità e la sua iniziativa, meno ciò che è la parte relativa all'oggetto speciale per il
cittadino ed all'individuo.
trova ad essere oppresso da legami, sottomesso ad oneri maggiori dell'iniziativa che
quale il contratto è formato e per la quale si chiede la garanzia allo Stato. Così regolato ed inteso, il contratto politico è ciò che io chiamo una federazione.
Secondo questi princìpi, avendo il contratto di federazione per oggetto, in via di massima,
“FEDERAZIONE, dal latino foedus, genitivo foederis, cioè patto, contratto, trattato, convenzione, alleanza ecc., è una convenzione per la quale uno o più capi di famiglia, uno o più comuni, uno o più gruppi di comuni o Stati, si obbligano reciprocamente e su un piano di eguaglianza gli uni verso gli altri, per uno o più oggetti particolari, la cui responsabilità grava da quel momento specialmente
ed
esclusivamente
sui
delegati
della
federazione.”1 Torniamo su questa definizione. Ciò che costituisce l'essenza ed il carattere del contratto federale, su cui desideravo richiamare l'attenzione del lettore, è che in questo sistema, i contraenti, i capi di famiglia, comuni, cantoni, province o Stati, non solo si obbligano bilateralmente e commutativamente gli uni verso gli altri, ma si riservano individualmente, nel dar vita al patto, più diritti, libertà e proprietà, di quanta ne cedono. Non è così per esempio nella società universale dei beni e dei profitti,
autorizzata
dal
Codice
civile
altrimenti
detta
comunità, immagine in miniatura di tutti gli Stati assoluti.
Ciò che costituisce l'essenza ed il carattere del contratto federale è che i contraenti non solo si obbligano bilateralmente e commutativamente gli uni verso gli altri, ma si riservano individualmente, nel dar vita al patto, più diritti, libertà e proprietà, di quanta ne cedono
di garantire agli Stati confederati la loro sovranità, il loro territorio, la libertà dei loro
cittadini; di regolare le loro diversità; di provvedere per mezzo di misure a carattere generale a tutto quanto interessi la sicurezza e la prosperità comune; questo contratto, dico io, malgrado la vastità degli interessi coinvolti, è essenzialmente limitato. L'Autorità incaricata delle sue esecuzioni, non può mai prevalere sulle parti costituenti, voglio dire che le attribuzioni federali non possono mai essere superiori in numero ed in realtà a quelle delle autorità comunali o provinciali, nello stesso modo in cui queste non possono eccedere i diritti e le prerogative dell'uomo e del cittadino. Se così non fosse, il comune sarebbe una comunità; la federazione tornerebbe ad essere una centralizzazione
monarchica; l'autorità federale, da semplice mandataria e subordinata quale deve essere, sarebbe considerata come preponderante; invece di essere limitata ad un servizio speciale, tenderebbe ad abbracciare ogni attività ed ogni iniziativa; gli Stati confederati sarebbero convertiti in prefetture, intendenze, succursali o regie. Il corpo politico, così trasformato, potrebbe chiamarsi repubblica, democrazia o tutto ciò che vi piacerà : non sarebbe più uno Stato costituito nella pienezza delle sue autonomie, non sarebbe più una federazione. La stessa cosa si verificherebbe, a maggior ragione, se, per un falso calcolo di economia o per deferenza o per tutt'altra causa, i comuni, i cantoni o gli Stati confederati attribuissero ad uno di loro l'amministrazione ed il governo degli altri. La repubblica, da federativa diventerebbe unitaria; sarebbe sulla via del dispotismo2.
2
1
Nella teoria di J.J. Rousseau, che è quella di Robespierre e dei Giacobini, il Contratto sociale è una
finzione di legista, immaginata per rendere conto, senza ricorrere al diritto divino, all'autorità paterna
o alla necessità sociale, della formazione dello Stato e dei rapporti fra il governo e gli individui. Questa
La Confederazione elvetica, si compone di venticinque Stati sovrani (diciannove cantoni e sei semi
cantoni) per una popolazione di due milioni quattrocentomila abitanti. Essa è dunque retta da venticinque costituzioni, analoghe alle nostre carte o costituzioni del 1791, 1793, 1795, 1799, 1814,1830, 1848, 1852, più una costituzione federale, di cui naturalmente noi non abbiamo, in
Francia, l'equivalente. Lo spirito di questa costituzione, conforme ai principi sopra esposti, risulta dagli
teoria mutuata dai Calvinisti, costituiva nel 1764 un progresso, poiché aveva per scopo di ricondurre
articoli seguenti"
natura e della religione. Nel sistema federativo, il contratto sociale, è più che una finzione; è un patto
mantenere la tranquillità e l'ordine interno, di proteggere la libertà ed i diritti dei confederati, di
ad una legge razionale, ciò che fino allora era stato considerato come un appannaggio della legge di positivo, effettivo, che è stato realmente proposto, discusso, votato, adottato, e che si modifica regolarmente secondo la volontà dei contraenti. Fra il contratto federativo e quello di Rousseau e del 93, c'è tutta la distanza che passa fra la realtà e l'ipotesi.
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Art.2 - La confederazione ha per scopo: di sostenere l'indipendenza della Patria contro lo straniero, di promuovere la loro comune prosperità.
Art. 3 - I cantoni sono sovrani fin dove la loro sovranità non è limitata dalla costituzione federale, e, come tali, esercitano tutti i diritti che non sono devoluti all'autorità federale.
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Europa Plurale – 2/2006
Riassumendo, il sistema federativo è l'opposto della gerarchia o centralizzazione
Europa Plurale – 2/2006
almeno per certi casi, un arbitro. La loro natura è di comandare, non di transigere o di
obbedire. I principi che, nel 1813, sostenuti dall'insurrezione delle masse, combattevano
amministrativa e governativa, per la quale si distinguono ex aequo, le democrazie
per la libertà dell'Europa contro Napoleone, e più tardi formarono la Santa Alleanza non
imperiali,
erano dei confederati: l'assolutismo del loro potere non consentiva loro di assumerne il
le
monarchie
costituzionali,
e
le
repubbliche
unitarie.
La
sua
legge
fondamentale, caratteristica è questa: nella federazione le attribuzioni dell'autorità
titolo.
centrale si precisano e si riconoscono, diminuiscono di numero, di immediatezza, ed oso anche dire, d'intensità a misura che la confederazione si sviluppa per l'adesione dei nuovi
Erano come nel 92, dei coalizzati; e la storia non gli darà altro nome. La stessa cosa non si
Stati. Nei governi centralizzati, al contrario, le attribuzioni del potere supremo si
può dire della Confederazione germanica, attualmente impegnata in un programma di
moltiplicano, si ampliano, si fanno più immediate, assorbono nella sfera di competenza
riforme ed in cui l'affermarsi della libertà e della nazionalità minaccia di far sparire un
del principe gli affari delle province, dei comuni, delle corporazioni, dei singoli, in ragione
giorno le dinastie che gli sono d'ostacolo3.
sotto la quale sparisce ogni libertà, non solamente comunale e provinciale, ma anche
3
individuale e nazionale.
la schiavitù può fare parte di una confederazione? Sembra di no, come non lo può uno Stato
diretta della superficie territoriale e del numero degli abitanti. Di qui deriva l'oppressione
assolutista: la schiavitù di una parte della nazione essendo la negazione stessa del principio federativo.
Una conseguenza di questo fatto, con la quale terminerò il capitolo, è che, essendo il sistema unitario l'inverso del sistema
federativo,
Il diritto pubblico federativo solleva parecchie questioni difficili. Per esempio, uno Stato che ammette
una
confederazione
fra
grandi
monarchie, ed ancor più fra democrazie imperialiste, è impossibile. Stati come la Francia, l'Austria, l'Inghilterra, la Russia, la Prussia, possono stipulare fra di loro trattati di alleanza o di commercio; ma ripugna che si federino, anzitutto perché il principio su cui si basano è contrario a ciò, e quindi li metterebbe in opposizione con il patto federale; inoltre di conseguenza dovrebbero rinunciare a qualcosa della loro sovranità e riconoscere sopra di se,
Essendo il sistema unitario l'inverso del sistema federativo, una confederazione fra grandi monarchie, ed ancor più fra democrazie imperialiste, è impossibile
Art. 5 - La Confederazione garantisce ai cantoni il loro territorio, la loro sovranità entro i limiti stabiliti dall'articolo 3, le loro costituzioni, la libertà ed i diritti del popolo, i diritti costituzionali dei cittadini, cosi come i diritti e le attribuzioni che il popolo ha conferito alle autorità."
Così una confederazione non è propriamente uno Stato: è un insieme di Stati sovrani ed indipendenti legati da un patto di mutua garanzia. Una costituzione federale non è ciò che si intende in Francia per carta o costituzione, e che è il compendio del diritto pubblico del paese; è il patto che contiene le
condizioni della lega, cioè i diritti ed i doveri reciproci degli Stati. Ciò che si definisce Autorità federale,
infine, non è un vero governo; è un'agenzia creata dagli Stati, per esplicare in comune certi servizi, a cui ogni Stato rinuncia e che diventano così attribuzioni federali.
In Svizzera, l'Autorità federale si compone di un'Assemblea deliberante, eletta dal popolo dei ventidue cantoni , e di un Consiglio esecutivo composto da sette membri nominati dall'Assemblea. I membri
dell'Assemblea e del Consiglio federale sono nominati per tre anni: poiché la costituzione federale può essere revisionata in ogni momento, le loro attribuzioni sono, come le persone, revocabili.
Cosicché il potere federale è, in tutto il significato del termine, un mandatario messo nelle mani dei suoi committenti, ed il cui potere varia secondo la loro volontà.
Da questo punto di vista, gli Stati uniti del Sud avrebbero tanto più ragione a chiedere la separazione in quanto non rientra nell'intenzione di quelli del Nord di accordare, almeno per qualche tempo, ai Negri
emancipati, il godimento dei diritti politici. Tuttavia noi sappiamo che Washington, Madison e gli altri
fondatori dell' Unione non sono stati di questo parere ed hanno ammesso al patto federale gli Stati schiavisti. E' anche vero che noi vediamo attualmente questo patto contro natura in crisi e gli Stati del
Sud, per conservare il loro sfruttamento, tendere ad una costituzione unitaria, mentre quelli del Nord, per mantenere l'unione, decretano la deportazione degli schiavi. La
costituzione federale
Svizzera,
riformata
nel
1848,
ha
risolto
la
questione
nel
senso
dell'eguaglianza; il suo articolo 4 dice: " Tutti gli svizzeri sono uguali innanzi alla legge. Nella Svizzera non vi ha sudditanza di sorta, né privilegio di luogo, di nascita, di famiglia o di persona"; dalla promulgazione di quest'articolo, che ha purgato la Svizzera di ogni elemento aristocratico, data la vera
costituzione federale elvetica. In caso di contrasto di interessi, la maggioranza confederata può opporre alla minoranza separatista l'indissolubilità del patto? Il no è stato sostenuto nel 1846 dal
Sunderbund contro la maggioranza elvetica; ed oggi lo sostengono gli Stati del Sud dell'Unione americana contro i federalisti del Nord. Quanto a me, ritengo che rientri nel pieno diritto chiedere la
separazione, se si tratta di una questione di sovranità cantonale non prevista nel patto federale. Così
non è dimostrato che la maggioranza abbia ricavato il suo diritto contro il Sunderbund dal patto: la
prova è che nel 1848 la costituzione federale è stata riformata, proprio in vista dei litigi a cui aveva
portato la formazione del Sunderbund. Ma può verificarsi, per delle considerazioni di comodo ed
incomodo, che le pretese della minoranza siano incompatibili con i bisogni della maggioranza, che
inoltre la scissione comprometta la libertà degli Stati: in questo caso la questione si risolve col diritto di
guerra, ciò che significa che la parte più considerevole, quella in cui la rovina comporterebbe il più
grande danno, deve prevalere sulla più debole. E' ciò che ha luogo in Svizzera e che potrebbe
ugualmente praticarsi negli Stati Uniti, se, negli Stati Uniti come in Svizzera, non si trattasse che di un'
interpretazione o di una applicazione migliore dei principi del patto, come di elevare progressivamente la condizione dei Negri a livello dei Bianchi. Disgraziatamente il messaggio di M. Lincoln non lascia alcun dubbio a questo proposito. Il Nord, come il Sud, non intende parlare di una vera emancipazione, ciò che rende la difficoltà insolubile, anche con la guerra, e minaccia di annientare la confederazione.
Nella monarchia, tutta la giustizia emana dal re: in una confederazione, essa emana, per ogni Stato,
esclusivamente dai suoi cittadini. L'istituzione di un'alta corte federale, sarebbe dunque, in via di
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principio, una deroga al patto. Sarebbe come una Corte di cassazione, poiché, essendo ogni Stato
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Europa Plurale – 2/2006
Documenti
IL CONTROLLO DAL BASSO E LA DEMOCRAZIA DIRETTA* L'impegno assunto dal nostro modesto periodico di
Aldo Capitini
battersi per la realizzazione di un potere veramente democratico, del potere di tutti, ci ha fatto confondere presso alcuni lettori come sostenitori della democrazia diretta, di quel tipo di potere, per cui ogni cittadino
partecipa direttamente alla discussione e alla decisione di tutti i problemi dello Stato. Norberto Bobbio, professore di Filosofia del Diritto nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Torino, ci scrive per esempio: " Un po' perplesso sono sulla vecchia idea del " potere a tutti ". La democrazia diretta è sempre stata una illusione. Lo è a maggior ragione in una civiltà altamente tecnicizzata come la nostra, in cui ciò che l'uomo produce è l'effetto di una organizzazione mastodontica, sempre piú complicata, difficile da dominare, che riesce a funzionare soltanto se affidata a pochi esperti. Si immagini una fabbrica di 100.000 operai dove tutti siano chiamati a discutere i metodi, i tempi, il
Che la democrazia diretta sia stata finora un'illusione siamo anche noi d'accordo. Non possiamo però accettare che, con questo pretesto e con il pretesto delle esigenze tecniche nella civiltà industriale, si rifiuti un discorso serio sulle esigenze reali e diffuse di una nuova strutturazione del potere sovrano e legislatore, le legislazioni non sono uniformi. Tuttavia, siccome esistono degli interessi
processo di produzione. Dopo dieci giorni sarebbe chiusa ".
Che la democrazia diretta sia stata finora un'illusione siamo anche noi d'accordo, anche se non ci sentiamo di affermare che lo rimarrà per sempre. Non possiamo però accettare che, con questo pretesto e con il pretesto delle esigenze tecniche nella civiltà industriale, si rifiuti un discorso serio sulle esigenze reali e diffuse di una nuova strutturazione del potere, sul passaggio cioè del potere dalle mani dei pochi, che oggi lo detengono, alle mani dei molti che oggi ne sono privi.
Ci rendiamo conto anche noi di vivere in una civiltà altamente tecnicizzata, anzi crediamo e speriamo che lo diventi sempre di piú, per permettere all'umanità un godimento
sempre
piú
intenso
delle
sue
conquiste
economiche. Quello che noi sosteniamo è la necessità che anche le conquiste politiche e sociali progrediscano come quelle
tecniche
ed
economiche,
che
venga
superato
nell'interesse dell'umanità il contrasto oggi esistente tra una
civiltà che permette un maggior benessere, una migliore vita per tutti e le forme di governo di questa società che sono ancora le stesse di prima, della società preesistente. Noi pensiamo che sia questo il nodo dei problemi per il
federali e degli affari federali; siccome possono essere commessi dei delitti e dei crimini contro la confederazione, ci sono, per questi casi particolari, dei tribunali federali ed una giustizia federale.
*
63
Estratto da Il Potere è di tutti, anno I, n° 4 – Aprile 1964 (raccolto in Aldo Capitini, Il potere di tutti, La
Nuova Italia, Firenze, 1969)
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
controllo del potere in tutti i paesi industrializzati. E' logico infatti supporre che le stesse
salvaguardare ad ogni operaio nel luogo del suo lavoro i diritti e i doveri di uomo libero e
godimento dei beni materiali, a un elevamento della cultura, si pongano prima o poi anche
Il controllo dal basso deve impedire che le soluzioni tecniche dei metodi, dei tempi, del
il problema di una maggiore partecipazione alla direzione di quella vita pubblica alla quale
processo di lavorazione vadano, come oggi, a scapito della loro salute, della loro dignità,
vengono attirate.
del loro diritto di avere un lavoro meno faticoso, piú tempo libero. più possibilità e
Questo pericolo è stato finora allontanato dalle classi dirigenti, sia capitalistiche che
capacità di utilizzare il tempo libero per migliorare la loro condizione umana.
burocratico-staliniste, con colossali sopraffazioni e mistificazioni ideologiche, culturali e
Non è sufficiente a questo compito l'azione dei sindacati, almeno finché non cambieranno
sociali, diffuse nelle masse con la strapotenza dei mezzi tecnici moderni.
la loro politica basata prevalentemente sugli aumenti salariali. Nella moderna società, i
Quando, malgrado tutto, il problema del potere si ripropone, le soluzioni in paesi come il
monopoli hanno la possibiliLà di far pagare ai consumatori, cioè a tutti, gli aumenti sui
masse, sollecitate per ragioni economiche a una maggiore eguaglianza, a un maggior
nostro non possono essere che due:
Prima soluzione : Il gruppetto dei pochi esperti, che dirigono la fabbrica immaginata dal prof. Bobbio, si mettono d'accordo con i proprietari e si impadroniscono anche del potere formalmente politico, creando una dittatura o una repubblica presidenziale, come si ama dire, in cui la democrazia è ridotta alla funzione di vernice. Questa è la soluzione che viene ad esempio invocata oggi nei giornali della nostra classe dirigente e che viene attuata anche in una certa misura da una fabbrica molto simile a quella immaginata dal prof.Bobbio, la FIAT: basti ricordare come è stato imposto al governo di ridurre la tassa sulle automobili.
Seconda soluzione: I 100.000 operai e impiegati della fabbrica immaginata dal prof. Bobbio conquistano effettivamente il diritto di discutere i metodi, i tempi, il processo di produzione. Per esercitare questo diritto creano e fanno vivere in tutti i reparti della fabbrica i loro comitati liberamente eletti, fino al consiglio di gestione, che insieme agli esperti dirige la fabbrica. Occorre a questo punto chiarire due equivoci, sui quali poggiano le riserve di molti. E' un equivoco credere che gli esperti della grande industria moderna non abbiano possibilità di scelta tra un piano di
produzione e un altro. In realtà essi preparano il piano che piú si avvicina agli interessi dei proprietari, dei cosiddetti "consigli di amministrazione". Non vediamo perché gli stessi esperti non debbano o non sappiano fare un piano che più si avvicini agli interessi dei lavoratori. Un altro equivoco è rappresentato dalla opinione che il controllo dei lavoratori debba o possa interferire con le scelte tecniche della produzione. Per esempio, nel caso di una fabbrica di automobili, si teme che tutti i lavoratori debbano
dire la loro snlla scelta di un nuovo tipo di motore o di carrozzeria. Ciò è impossibile e inutile. Il controllo dal basso non può
E' un equivoco credere che gli esperti della grande industria moderna non abbiano possibilità di scelta tra un piano di produzione e un altro. In realtà essi preparano il piano che piú si avvicina agli interessi dei proprietari
di cittadino.
Il controllo dal basso deve impedire che le soluzioni tecniche dei metodi, dei tempi, del processo di lavorazione vadano, come oggi, a scapito della loro salute, della loro dignità, del loro diritto di avere un lavoro meno faticoso, piú tempo libero. più possibilità e capacità di utilizzare il tempo libero per migliorare la loro condizione umana
servire a trasformare gli operai in ingegneri, ma deve servire a 65
66
salari e sugli stipendi. Per questo il controllo dal basso deve
restituire ai lavoratori il potere di discutere non soltanto i salari,
ma
anche
i
programmi
di
produzione,
gli
investimenti, i prezzi, permettendo loro di attuare un controllo democratico anche sulle influenze economiche e politiche della loro industria sulla vita nazionale. Anche per questo sono insufficienti gli attuali sindacati con la loro attuale struttura, le loro divisioni, la loro azione al di fuori della fabbrica. Il controllo dal basso può essere
esercitato solo da organismi democratici eletti da tutti i lavoratori e funzionanti all'interno della fabbrica. A chi ci parlasse di inconcludenti riunioni in cui uno dice bianco e uno dice nero, per cui in capo a dieci giorni la fabbrica si fermerebbe, risponderemo: 1. che tutti noi abbiamo altre esperienze di riunioni popolari costruttive e intelligenti; 2. che proprio alla FIAT sia nel '21 che nel '45 hanno funzionato consigli di fabbrica e consigli di gestione, senza che la produzione si arrestasse; 3. che nell'àmbito dei loro reparti, gli operai e i tecnici della fabbrica sono altrettanto produzione;
esperti del gruppetto 4.
che
i
che
lavoratori,
fa il piano così
di
organizzati,
conquistano anche la forza politica necessaria a convincere il gruppetto dei pochi esperti, che dirigono la fabbrica, a lavorare per i consigli di gestione dei lavoratori invece che per i consigli di amministrazione dei proprietari.
Osservatorio - 1
NUOVI LAVORI E NUOVO WELFARE: TRA LIBERTÀ E INSICUREZZA, TRA PRIVILEGI E DIRITTI.* 1.1. Gli elementi “deflagratori” del sistema
Francesco Lauria
Presidente Europa Plurale – Movimento per un Federalismo Globale
I cambiamenti importanti che avvengono intorno a noi nel campo dei problemi sociali e del lavoro necessitano di una riflessione profonda poiché è dalle risposte che la politica e la società sapranno dare nei prossimi anni
sotto forma sia di politiche pubbliche sia, più in generale, di
sistemi di welfare, ai rischi ed ai bisogni che investono la vita dei cittadini ed in particolare dei giovani, che si gioca una buona fetta del futuro di più generazioni.
Il rapporto dialettico che stato sociale e mercato hanno vissuto nel corso di numerosi decenni se non di un intero secolo si è arricchito, in particolare a partire dagli anni
OSSERVATORIO
Il rapporto dialettico che stato sociale e mercato hanno vissuto nel corso di numerosi decenni se non di un intero secolo si è arricchito, in particolare a partire dagli anni ottanta, di due elementi deflagratori: la globalizzazione dei mercati e la flessibilizzazione delle strutture produttive *
ottanta, di due elementi deflagratori: la globalizzazione dei mercati e la flessibilizzazione delle strutture produttive. Elementi deflagratori che sono all’origine dei cambiamenti che hanno interessato il mondo del lavoro e la diffusione del lavoro atipico e precario che hanno contraddistinto in
maniera marcata l’ultimo decennio in gran parte del cosiddetto “mondo occidentale”, ed in particolare i paesi dell’Unione Europea. Mondializzazione
degli
scambi,
applicazione
alla
produzione delle nuove tecnologie, flessibilizzazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro, delocalizzazioni e ristrutturazioni
produttive,
disoccupazione,
prepensionamenti, riduzione delle entrate contributive,
indebolimento dell’offerta di prestazioni sociali pubbliche sono i tasselli di un quadro che non può non destare seria preoccupazione. In questo quadro appaiono gravi alcune tendenze, già anticipate ai tempi del governo della Sig.ra Thatcher in Gran Bretagna, che sembrano ad esempio addirittura prospettare una totale cancellazione delle pensioni pubbliche come proposto, ancora agli inizi del 2005, dall’amministrazione Bush, negli Stati Uniti.
Parma, 14 marzo 2006. Intervento pronunciato all’Incontro Nuovi Lavori/Nuovo Welfare: cittadinanza
attiva e coesione sociale: Declinate al Futuro.
Europa Plurale – 2/2006
Europa Plurale – 2/2006
Al di là di questi estremismi, che difficilmente potranno comunque essere proposti
realizzati tenendo in conto il solo lavoro “tipico” e cioè a tempo pieno e indeterminato
di una riforma del lavoro e del welfare che sappia prevenirne uno smantellamento e al
cui: famiglia, fabbrica e stato sociale tradizionali sono entrati in crisi.
nell’Europa continentale, è necessario porci di fronte in particolare in Italia alla necessità
senza cioè considerare il processo di progressiva “individualizzazione” di una società in
tempo stesso sappia gettare forte la propria impronta verso il futuro. Come sostengono l’italiano Massimo Paci (2005) ed il tedesco Ulrich Beck (2000): è necessario “sviluppare un’analisi visionaria, ma non fittizia, in cui la visione della società che si immagina per il futuro non è una semplice estensione del passato, cioè un
1.3 Uscire dalla crisi attraversandola: verso una società “pluriattiva”. La crisi del welfare state e del modello di lavoro tradizionale a tempo pieno ed
prolungamento della società industriale e del lavoro salariato.”
indeterminato ha lasciato dei vuoti.
1.2 La crisi del welfare fordista: famiglia nucleare, grande azienda, stato sociale assicurativo e processo di individualizzazione della società. La famiglia nucleare moderna, arroccata sul modello del male breadwinner nel quale
La flessibilità dell’orario di lavoro, i congedi, il lavoro part-time, le politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro , il pensionamento graduale e l’alternanza tra lavoro ed altre attività nell’arco della vita potrebbero creare le condizioni per un aumento dei margini di autonomia e di libertà della persona se inserita in una società “pluriattiva” in cui queste nuove, ed in parte obbligate, libertà non affoghino nel mare tempestoso
donne (mogli e madri) e figli non erano completamente padroni della proprie vite; la
dell’insicurezza.
grande azienda industriale che forniva una (relativa) stabilità dal punto di vista economico
La società pluriattiva non può essere quindi abbandonata al solo mercato, ma deve essere
e lavorativo al prezzo però di uno schiacciamento delle attitudini e delle capacità personali
regolamentata ed inserita in un sistema di giustizia sociale redistributiva, quasi
del lavoratore ed infine il welfare state delle grandi assicurazioni sociali obbligatorie (nate
generazionale.
copertura dei “rischi standard” ma da forti elementi di centralizzazione burocratica e di
Il sentimento di incertezza verso il futuro appare un elemento quasi immutabile dei nostri tempi e forse per uscire da esso maggior attenzione va riposta nei termini di integrazione e non di banale sostituzione delle tradizionali tutele dello stato sociale tradizionale
sulle ceneri dell’autorganizzato mutualismo operaio) caratterizzato da una buona particolarismo delle varie categorie, sono entrate in profonda crisi. A seguito di questo processo nel mondo ed in Italia abbiamo assistito ad un sempre maggiore incremento dei cosiddetti “lavori atipici”. Il lavoratore si trova quindi stretto in un bivio: in cui trova certamente maggiore libertà, al prezzo però, di una forte, a tratti fortissima condizione di insicurezza permanente. Il nodo è ormai ampiamente noto: gran parte dei lavori atipici, insieme ad altre attività, come ad esempio il lavoro
familiare di cura, sono tuttora esclusi dal sistema attuale di protezione sociale e di tutela del lavoro. A ciò vanno aggiunte le difficoltà di bilancio affrontate da molte amministrazioni pubbliche (non solo statali, ma anche locali e regionali) che hanno portato il settore dei servizi
(e
quindi
non
solo
quello
della
produzione
industriale) ad essere un luogo di proliferazione delle forme atipiche e temporanee del lavoro. Più in generale stiamo superando una struttura sociale in cui esisteva una netta separazione tra lavoro e “attività altre” della popolazione. Tutto questo pone una sfida davvero centrale agli attuali sistemi di tutela del lavoro che sono stati in gran parte
Il lavoratore si trova quindi stretto in un bivio: in cui trova certamente maggiore libertà, al prezzo però, di una forte, a tratti fortissima condizione di insicurezza permanente 69
Un maggiore riconoscimento regolamentativo e giuridico del lavoro atipico e misure di
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sostegno diretto da parte dello stato come “il salario sociale”, necessario anche a stabilizzare un minimo di base contributiva in una prospettiva previdenziale, sono due delle numerose proposte che sono state prospettate in questi anni anche da importanti intellettuali come Jeremy Rifkin (1995). La società pluriattiva si pone anche come argine ai nuovi rischi sociali.
Il sentimento di incertezza verso il futuro appare un elemento quasi immutabile dei nostri tempi e forse per uscire da esso maggior attenzione va riposta nei termini di integrazione e non di banale sostituzione delle tradizionali tutele dello stato sociale tradizionale. Non
dobbiamo
quindi
arretrare
nelle
tutele,
facendo
regredire il livello generale delle protezioni: ma rimodellare le tutele rispetto ai nuovi rischi sociali: tutele passive, come i trasferimenti assistenziali e previdenziali ed insieme il grande tema degli ammortizzatori sociali rispetto al lavoro atipico e ai diritti di cittadinanza, ma al tempo stesso politiche attive del lavoro con i nuovi servizi di attivazione e inserimento sociale e lavorativo che, tipico è l’esempio della
Europa Plurale – 2/2006
Rete dei Centri per l’Impiego, in Italia stentano ad affermare un proprio ruolo.
I lavoratori atipici in Italia non godono di quasi nessuna delle garanzie (in caso di disoccupazione e vecchiaia) degli altri lavoratori: vi è un assenza pressoché totale di protezione del reddito, nonché una molto più limitata tutela nei casi di malattia e infortunio. Tutto questo non può certamente significare la criminalizzazione tout court della flessibilità e del processo che la resa così diffusa; Zygmunt Baumann sottolinea infatti:
ROMANIA, COSI’ VICINA, COSI’ LONTANA Mancano ormai pochi mesi all’ingresso della Romania in Europa; insieme alla Bulgaria, salvo sorprese, il 1
Giampiero Granchelli
Gennaio 2007 raggiungerà gli altri membri della comunità europea. A meno di dieci mesi dalla fatidica data come si presenta il paese? E soprattutto come
“Noi abitanti del mondo tardomoderno siamo liberi quanto i nostri antenati potevano solo sognare di essere (…) Ciò che essi non erano in grado di
viene vissuto dalla popolazione locale? Gli ultimi mesi dell’anno precedente sono stati
attaccato, ed è un prezzo salato. Il prezzo di cui parlo è l’insicurezza.”
dell’esistenza di carceri segrete denunciati da Human Rights Wacth hanno dato vita ad una
molto burrascosi per la politica estera rumena. Lo scandalo dei voli della Cia e
prevedere era che la libertà sarebbe arrivata con il cartellino del prezzo
forte scossa politica. I diversi rappresentanti rumeni si sono lanciati in rocambolesche
Libertà ed insicurezza sono quindi due sentimenti contradditori, ma solo in parte complementari. Il nostro compito è fare sì che il nostro paese non prosegua nella sua frantumazione come direbbe il sociologo Luciano Gallino.
Frammentazione dei rapporti di lavoro e irresponsabilità nella
globalizzazione non sono processi inevitabili, così come non è inevitabile il declino ed il disagio sociale che attanaglia le giovani generazioni e non solo. Proprio per questo la crisi va attraversata. Senza chiudersi verso un conservatorismo egoistico di tutela dei
Osservatorio - 2
privilegi,
senza
dimenticare
l’obiettivo
di
una
estensione/integrazione dei diritti e di una nuova stagione di coesione sociale anche generazionale declinata al futuro, senza la quale la crisi sarà inevitabile e la cittadinanza attiva una irrealizzata illusione.
Non è inevitabile il declino ed il disagio sociale che attanaglia le giovani generazioni e non solointegrazione e non di banale sostituzione delle tradizionali tutele dello stato sociale tradizionale
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azioni di difesa affermando che sia stata soprattutto una gran montatura mediatica; dall’altra parte i politici europei hanno fatto capire che se dovessero essere provate le accuse fatte, la Romania troverebbe dinanzi a sé diversi ostacoli nel cammino verso l’Europa ( se non un vero divieto). Al momento i media locali e internazionali non insistono molto su questo argomento anche se non si può certo definire un affare concluso: le accuse restano molto forti e il governo rumeno non ha portato valide tesi capaci di smontare il tutto. A questo si aggiunge la visita da parte del segretario di stato americano in Romania lo scorso dicembre e la firma del trattato che prevede l’istallazione di basi americane permanenti nei pressi del Mar Nero. Fiera del suo ingresso nella Nato, la Romania continua a
porsi come uno dei più validi sostenitori della politica estera
americana, rimane storica l’affermazione dell’anno scorso del presidente romeno, Traian Basescu, di voler costituire “un’asse Bucarest-Londra-Washington”. Bisogna ricordare che
L’ingresso nella comunità europea rimane un obiettivo fondamentale per il paese; in tutti gli uffici pubblici la bandiera europea già sventola (insieme a quella della Nato!) e in tutte le entità governative sono presenti uffici per l’integrazione
alcune truppe dell’esercito rumeno sono in Iraq e proprio
nel mese di febbraio il presidente ha affermato che questa presenza sarà mantenuta fino a quando “il governo di Baghdad dirà che essa non è più necessaria”. Dall’altra parte l’ingresso nella comunità europea rimane un obiettivo fondamentale per il paese; in tutti gli uffici pubblici la bandiera europea già sventola (insieme a quella della Nato!) e in tutte le entità governative sono presenti uffici per l’integrazione. La data del 1 Gennaio del 2007
resta
irrevocabile, anche se non si capisce quanti sforzi vengano fatti da parte del potere politico affinchè tutte le condizioni siano rispettate. La recente visita del vice-presidente della Commissione Europea
Franco Frattini del 13 Marzo,
trasmessa in diretta televisiva da diversi canali, se da una parte ha dato spinta e ottimismo a tutti gli attori politici riguardo al rispetto della data dell’ingresso, dall’altro ha ricordato come il problema della corruzione all’interno
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dell’amministrazione pubblica è ben lungi dall’essere risolto e che bisogna lavorare con maggior intensità. Partendo da queste considerazioni e analisi politiche il problema è
cercare di capire quale è la situazione reale del paese e come viene visto dalla popolazione locale l’ingresso in Europa. La Romania si presenta un paese molto povero, nonostante le sue tante risorse. La sussistenza quotidiana resta uno dei più grandi
Note e Segnalazioni Murray Bookchin. Democrazia Diretta – Milano,
Eleuthera, 2005.
problemi per molti, l’Europa in questa prospettiva fa paura, l’aumento dei prezzi è l’incubo che si nasconde dietro l’angolo. Un salario medio si aggira tra i 100 e i 150 euro netti menisli, molte realtà produttive inoltre risentono della crisi e si teme anche una diminuzione dell’occupazione. I prezzi non rispettano affatto il valore dei salari, l’inflazione in questi anni ha portato prezzi non di molto inferiori a quello dei paesi
membri della UE, gli affitti delle case spesso sono ben più alti di uno stipendio medio. Con l’ingresso nella comunità europea si teme un maggior aumento dei prezzi, in molti si chiedono se questo processo sia più per interesse “nazionale” o per interessi “stranieri”. Dunque, nonostante i politici pongono come il massimo obiettivo il rispetto della data dell’ingresso, la maggior parte della popolazione resta distante e anche in questo paese si rafforzano le tendenze antieuropeiste. La dimensione politica della comunità europea non è minimamente percepita, l’unica dimensione che viene percepita, e quindi temuta,
è
quella economica. Come in molti paesi “in transizione” anche qui si assiste al fenomeno della “globalizzazione”. Durante gli ultimi anni sono sorti moltissimi centri commerciali, nella sola Bucarest se ne contano a decine con un incremento costante delle vendite. Passeggiando per questi centri la prima cosa che colpisce è come quasi tutto si vende a rate, c’è una rateizzazione di qualsiasi genere per permettere l’acquisto, spesso le rate mensili hanno il costo di un semplice caffè e passano anni prima di finire di pagare un telefonino.
Dall’altra appare inoltre con tutta evidenza la forza che in questo paese
continua ad avere l’economia informale; la grandissima diffusione e in particolar modo la presenza di tantissimi clienti fa capire che ci sono risorse economiche altre. La corruzione sembra fortemente diffusa, dall’ alta amministrazione
ai tanti servizi e uffici pubblici
sono moltissimi i casi che vengono segnalati e denunciati. Come riportano diversi analisti internazionali il problema maggiore però sembra essere il radicamento di questa pratica nella popolazione e nell’opinione pubblica, è difficile che ci si scandalizzi in quanto molte “richieste economiche” sono considerate delle vere e proprie tasse. Per alcuni versi sembra enorme la distanza che separa questo paese dal continente europeo, per altri invece non si può non riconoscere quanto sia vicina a noi; il passato regime di Ceacescu e la selvagaggia privatizzatione hanno reso anche questo paese come un buco nero deregolamentato, funzionale alla nuova economia globale. Una diversa prospettiva europea, non solamente basata sulla dimensione economica ma capace di “rispolverare” il suo significato politico e con esso il rispetto della “diversità” e “dell’uguaglianza” oltre ad essere
percepita
diversamente
dall’opinione
pubblica
locale
potrebbe
veramente
contribuire ad un cambiamento della Romania.
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La Casa Editrice Libertaria Eleuthera ha appena ristampato l’interessante
testo di Murray Bookchin
“Democrazia
Diretta”. Bookchin è fin dagli anni ’60 una delle voci principali della
New Left e della controcultura americana ed è considerato uno
degli
antesignani
del
movimento
ecologico.
Attualmente è director emeritus dell’Institute for Social Ecology del Vermont. Fra i suoi testi tradottiin italiano: Per una società ecologica (1989) e L’ecologia delle libertà (1995). In “Democrazia Diretta”, scritto nel 1993 e ora ristampato, Bookchin affronta alcuni dei principali problemi che attraversano la nostra società: la crisi della democrazia rappresentativa, la rinascita dei nazionalismi, il disastro della civiltà urbana, la perdita del concetto di cittadinanza.
L’analisi e la proposta di Bookchin si concentrano sulla riscoperta di una democrazia diretta federalista e libertaria in cui la “comunità municipale” torna ad esprimersi come nuovo e decisivo corpo politico. Il corpo politico può così opporsi al processo devastante di urbanizzazione in atto attraverso un processo che Bookchin definisce di “civicizzazione” e cioè la rivincita della Polis e del Demos sui partiti e sullo stato nazionale ormai svuotati di ogni significato positivo. (Francesco Lauria)
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