Assedio al Piave

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inchiesta

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Ruspe, cemento, canalizzazioni. Disboscamenti lungo le sponde. Il fiume “sacro alla Patria” è l’emblema dell’incuria in cui versano i nostri corsi d’acqua di Elisa Cozzarini

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La nuova ecologia / ottobre 2012

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ntubati, canalizzati, cementificati, inquinati. Si presentano così i fiumi italiani nella gran parte del loro corso, con rare eccezioni, preziosi scorci naturali in cui le acque scorrono ancora liberamente. Per capire e mostrare i problemi di cui soffrono i nostri corsi d’acqua, abbiamo fatto un viaggio lungo il Piave, il fiume “sacro alla patria” è un caso emblematico di come in Italia i corpi idrici siano artificializzati dalla sorgente alla foce. L’obiettivo è il massimo sfruttamento, proprio il contrario di ciò che stabilisce la direttiva europea 60 del 2000 sulle acque, cioè il recupero della qualità ecologica e il mantenimento della naturalità degli ecosistemi fluviali.


prelievi alla fonte

reportage in corso

Il Piave nasce tra le Dolomiti bellunesi, patrimonio dell’Unesco. «Qui il 90% delle acque è già captato a fini idroelettrici o irrigui - dice Valter Bonan, del comitato Acqua bene comune - eppure sono spuntate 150 nuove domande di concessione per costruire piccoli impianti, negli ultimi torrenti alpini ancora liberi». A fronte di un impatto ambientale che localmente è forte, il contributo alla produzione di energia di queste minicentrali, è trascurabile. «La convenienza - sottolinea Andrea Goltara, direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) - è data solo dagli incentivi per le rinnovabili». Tutto ciò in un contesto che Bonan descrive di «precarietà istituzionale, in assenza di una pianificazione regionale e di un bilancio idrico certo».

Dalle sorgenti alla foce lo stato di salute del Piave. Online il reportage di Elisa e Valeria Cozzarini (http://tinyurl.com/cosa-resta-del-Piave).

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www.lanuovaecologia.it

n Nei pressi di Longarone, provincia di Belluno: dentro il tubo scorre l’acqua del Boite e di altri torrenti alpini affluenti del Piave

n Da Salettuol a San Michele (Tv) le escavazioni hanno causato un abbassamento del letto. C’è erosione sulle sponde di entrambi i rami

Basti pensare che le concessioni irrigue risalgono a cinquant’anni fa e tengono ancora conto, per esempio, del bacino del Vajont. Il Piano di distretto delle Alpi orientali, in cui è compreso il Piave, è stato adottato nel 2010, ma non è ancora approvato. Con simili gravi carenze sono stati adottati tutti i Piani di distretto in Italia. Nel vuoto politico e istituzionale, il comitato Acqua bene comune di Belluno, fatto di pescatori e

Fausto Pozzobon, assessore all’Ambiente di Feltre (Bi)

n Poco distante dalla foce del Piave, alle spalle dell’area protetta della Laguna del Mort, è in progetto la megaoperazione edilizia di Valle Ossi

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inchiesta fiumi rubati

bacini feriti I nostri fiumi soffrono per cause diverse.

DEVEGETAZIONE

Alcuni esempi lungo lo Stivale

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1. Val Rosandra, Trieste Il taglio a raso della vegetazione ha compromesso l’ecosistema della riserva naturale e Sic della Val Rosandra. Ci vorranno decenni per il ripristino degli habitat distrutti. 2. Magra, Liguria A inizio 2012 sulle sponde del Magra e del Vara si è assistito a una deforestazione scellerata, con la scusa della messa in sicurezza delle aree alluvionate nell’autunno 2011. Non è stata risparmiata nemmeno l’oasi Lipu di Arcola. SBARRAMENTI 3. Torrente Mis, Veneto In aprile sono iniziati i lavori per una centrale idroelettrica nell’alta

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Fonte: Cirf / Legambiente

ambientalisti, cattolici e attivisti, giovani e anziani, ha contribuito a fermare, per ora, il megaprogetto di captazione idroelettrica Camolino-Busche. «Un’opera ciclopica - spiega Bruno Boz del Cirf - che farebbe passare quasi l’intera portata dei torrenti Cordevole, il maggiore affluente del Piave, e Mis in un tubo di cinque metri di diametro, allontanandola dagli alvei naturali per ben 15 chilome32

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tri complessivi». Ma un risultato altrettanto importante raggiunto dal Comitato «è aver aumentato la consapevolezza e la capacità di reazione della popolazione rispetto alla difesa dell’ecosistema del Piave», commenta Valter Bonan. Maurizio Billotto, circolo Legambiente San Donà di Piave (Ve)

ruspe al lavoro

Più a sud, in provincia di Treviso, il medio corso del fiume resta senz’acqua per periodi sempre più

valle del Mis, all’interno del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi e Patrimonio Unesco. Il caso mette a nudo la mancanza di una corretta regolamentazione. 4. Tevere, Lazio È prevista la realizzazione di quattro sbarramenti e centrali idroelettriche fra le province di Viterbo e Terni. I progetti hanno ottenuto la Via nonostante siano state presentate procedure separate, che non permetteranno quindi di valutare gli impatti complessivi. 5. Brenta, Veneto Il tratto montano è sfruttato da decenni. Oggi le norme della Regione Veneto semplificano l’iter delle domande di derivazione e permettono di richiedere una concessione presso San Nazario senza la Via. PRELIEVO DI GHIAIA 6. Secchia, Emilia Romagna e Lombardia Nel 1930 le sue ghiaie, all’altezza di Castellarano (Mo), coprivano una fascia larga 600 metri, oggi sono quasi inesistenti, con l’incisione del fondo tra 10 e 15 m. 7. Panaro, Emilia Romagna A inizio Novecento scorreva a canali intrecciati, largo dai 500 ai 200 metri, colmo di ghiaie. Ora scorre in molti tratti a canale singolo, e con fondo inciso di 5-10 metri. CAPTAZIONE D’ACQUA 8. Alto Po, Piemonte La presa tra Martiniana Po e Revello sottrae l’acqua al Po da luglio all’autunno, a volte anche in inverno. Per l’alto Po si sta discutendo di un contratto di fiume, come previsto dalla direttiva europea sulle acque, che dovrà tenere conto di queste derivazioni.

lunghi dell’anno, con forte squilibrio per gli ecosistemi, a causa del forte prelievo a monte. Ma qui il fiume è minacciato soprattutto dalle continue escavazioni, come denuncia il comitato Qui Piave libera!. «Abbiamo chiesto al Genio civile di rendere pubblica la quantità di sedimenti, ghiaia e sabbia, prelevata negli ultimi dieci anni - racconta Fausto Pozzobon, del circolo Legambiente di Masera-


GRANDI OPERE 12. Tagliamento, Friuli Venezia Giulia Il medio corso, studiato in Europa perché è l’unico fiume alpino che qui conserva la sua naturalità, è minacciato dal progetto di costruzione dell’Autostrada Cimpello-Gemona. CEMENTIFICAZIONE 13. Sarno, Campania Il Commissariato per l’emergenza idrogeologica sta realizzando “Lavori di sistemazione del Fiume Sarno e Solofrana tra la foce e la confluenza con l’Alveo Comune Nocerino”. Interventi che compromettendo la funzionalità del fiume e l’interconnessione falda-fiume. 14. Seveso, Lombardia I comuni metropolitani del bacino del Seveso interessano una superficie di 13.731 ettari e su ben 9.500 di questi sono stati costruiti edifici.

da sul Piave e da poco assessore all’Ambiente del Comune di Feltre - perché secondo noi i continui interventi, giustificati per la messa in sicurezza, hanno invece provocato uno squilibrio idrogeologico. Ci hanno negato le informazioni, un grave deficit di democrazia». Se le escavazioni possono avere, nell’immediato, un effetto positivo per le esondazioni in loco, il comitato chiede però come mai si

«RESTITUIRE spazio alla natura» La ricetta di Giulio Conte, curatore del rapporto Ambiente Italia

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eno della metà dei corsi d’acqua in Italia è in buono stato, il 35% è sufficiente e il 19% è di qualità scadente o pessima. Questi dati, contenuti nell’ultimo rapporto Ambiente Italia, allontanano il nostro paese dall’obiettivo del buono stato richiesto dalla direttiva Ue sulle acque entro il 2015. Giulio Conte, biologo e curatore del rapporto spiega perché. Quali sono le principali minacce per i fiumi italiani? L’inquinamento è ancora grave, a più di trent’anni dalla prima legge di tutela delle risorse idriche, la Merli del 1976. Il sistema complessivo della depurazione è inefficiente, anche perché l’eccessivo prelievo di acqua non permette ai fiumi di smaltire il carico inquinante. Un altro problema sono le trasformazioni fisiche, come l’alterazione e la cementificazione degli alvei e delle sponde, aspetti di cui si inizia a parlare solo di recente, in attuazione della direttiva europea. Come sono cambiati i nostri fiumi? A monte ci sono invasi per catturare l’acqua a scopi idroelettrici, agricoli o, soprattutto al sud, per l’acqua potabile. Ciò riduce la quantità di sedimenti trasportati dal fiume, perché restano bloccati nelle dighe e la conseguenza è l’erosione dell’alveo a valle. La corrente scava, fa abbassare il letto del fiume e le falde acquifere sottostanti, provocando anche danni economici alle infrastrutture, come lo scalzamento dei piloni dei ponti. Nel loro tratto terminale, invece, i fiumi sono stati costretti dentro canali rettilinei, protetti da argini trapezoidali. Spesso lungo i corsi d’acqua si rade al suolo la vegetazione per motivi di sicurezza. È proprio necessario? No, anzi. Sono pratiche da evitare, prima di tutto perché questi interventi possono prevenire il rischio solo se c’è una manutenzione continua, che è costosa e di solito manca. Gli effetti sull’ambiente sono devastanti, le sponde cambiano completamente aspetto e spesso dopo il taglio nasce il canneto, che comporta un aumento del rischio idraulico. Perché si fanno questo tipo di interventi? Per vari motivi, il primo è che i tecnici operano ancora secondo un modello radicato da cent’anni sulla difesa del suolo, difficile da

FOTO: © CESARIELLO/ SINTESI

INQUINAMENTO 9. Basento, Basilicata I monitoraggi di Goletta Verde evidenziano valori buoni solo in una stazione analizzata. Le altre sono fuori dagli obiettivi di qualità che la legge impone di raggiungere entro il 2015. 10. Nocella, Sicilia Il letto e la foce hanno un colore rossastro, la fauna inizia a riprendersi dopo la drastica riduzione subìta negli anni ’80 e ’90 a causa degli scarichi delle distillerie. 11. Arno, Toscana Nel bacino dell’Arno ai monitoraggi Arpat, su un totale di 54 punti, solo dieci sono risultati non a rischio, cinque con qualità elevata, due buona e tre appena sufficiente.

L’inquinamento, trent’anni dopo la Legge Merli, è ancora grave. Anche perché la depurazione resta inefficiente cambiare. La seconda ragione è politica: la popolazione, quando è esposta a un rischio, vuol vedere un intervento pubblico, non ha imparato a convivere con la possibilità di una piena che avviene ogni cento, duecento anni. Nella Val di Magra, per esempio, dopo l’alluvione dello scorso autunno in Liguria e Toscana, tutti i sindaci hanno provveduto alla devegetazione. Ultimo motivo è che i lavori fanno girare soldi, mentre gli interventi di riqualificazione non sono tanto costosi. Si tratta piuttosto di limitare le azioni, per riportare il fiume nella sua condizione più naturale. Come si opera allora per la riqualificazione? Prendiamo il Reno, che scorre nella bassa pianura padana: è un fiume pensile, cioè scorre più alto del piano di campagna circostante, con argini che lo tengono lì. Riqualificarlo comporta spostare gli argini e dare più spazio alla natura, ai boschi di pianura, anche con l’esproprio di terre agricole. Non è impossibile, in Austria lo hanno fatto per la Drava, perché la prevenzione del rischio di erosione delle sponde implicava costi troppo alti. Ciò dimostra che spesso è più conveniente e sicuro restituire al fiume una parte del territorio.

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inchiesta fiumi rubati

continui a scavare anche nel ramo di magra del fiume, all’altezza dell’isola di Papadopoli, dove c’è una vera propria «cava camuffata». Oggi le conseguenze di decenni di prelievi di inerti sono evidenti: erosione delle sponde, abbassamento dell’alveo e della falda sottostante, progressiva scomparsa della fascia delle risorgive. Eppure la Regione potrebbe inserire nel nuovo “Piano regionale per l’attività di cava” il programma di asportare dall’alveo del Piave altri 25 milioni di metri cubi di ghiaia. «La maggior parte dei corsi d’acqua in Italia è stata fortemente incisa negli ultimi cinquant’anni: si tolgono sedimenti localmente, quasi sempre senza una visione di bacino e a lungo termine – riprende Goltara - e non si considera che questi interventi, facendo perdere i naturali volumi di laminazione, provocano l’aumento del rischio per le popolazioni a valle, con l’arrivo di picchi di piena più elevati, la destabilizzazione delle infrastrutture, il crollo di opere, lo scalzamento di ponti, oltre all’abbassamento della falda e in molti casi anche l’arretramento della linea di costa».

La linearità degli spazi, dovuta agli interventi umani, su un’area del Delta del Po

POPOLO FLUVIALE

Il comitato Qui Piave libera! è nato per informare e denunciare, ma anche per proporre e unire associazioni e cittadini che a monte e a valle si battono per la salvaguardia del fiume. «Non ci aspettavamo tanta partecipazione alle assemblee - dice il portavoce Riccardo Gatti - Le persone, una volta informate, guardano il Piave con occhi diversi, ci mandano foto, fanno segnalazioni. Nel vuoto della politica, insomma, i cittadini si attivano per il loro fiume». Scendendo verso la foce, il Piave è sempre più stretto in un canalone. Come per molti altri corsi d’acqua italiani, le sue aree golenali sono per lo più proprietà privata e vengono occupate da costruzioni, tra cui persino un cinema a San Donà, in provincia di Venezia. Cinque anni fa la Regio34

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ne aveva avviato un intervento di disboscamento totale delle sponde, facendolo passare come necessario per aumentare la sicurezza in caso di piena. «I cittadini hanno risposto subito agli abbattimenti degli alberi, creando un comitato, che noi abbiamo appoggiato - ricorda Maurizio Billotto del circolo Legambiente di San Donà di Piave - è intervenuta la Provincia e il

parliamone a BOLZANO

La riqualificazione dei fiumi, in molti paesi europei, è uno strumento consolidato per la pianificazione e la gestione del territorio, in linea con gli obiettivi della direttiva quadro sulle acque. Se ne parlerà il 6 e 7 novembre a Bolzano, al secondo Convegno italiano organizzato dal Cirf (Centro italiano per la riqualificazione fluviale), dalla Provincia Autonoma di Bolzano e dalla Libera Università. Saranno presentate le più rilevanti esperienze internazionali di miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua, legate a una pianificazione e gestione di bacino più sostenibili. Riqualificare significa riportare gli ecosistemi fluviali allo stato più naturale possibile, aumentandone il valore ambientale e cercando di soddisfare anche obiettivi socio-economici.

i www.cirf.org

conflitto si è risolto con una soluzione di compromesso che prevede la manutenzione delle sponde e tagli selettivi, a garanzia della sicurezza, ma non l’abbattimento di tutti gli alberi, che anzi sono una risorsa».

CEMENTO ovunque

Le costruzioni realizzate lungo gli argini portano rischi, mentre la presenza della vegetazione, secondo gli esperti del Cirf, ha l’effetto, in molti casi positivo, di rallentare le acque nelle aree ai margini del fiume. «Quando avevo vent’anni ricorda Felice Gazzelli, uno degli ultimi pescatori d’acqua dolce di professione a Ceggia - vedevi il maltempo in montagna e calcolavi che ci volevano due giorni prima che arrivasse la piena. Oggi invece bastano poche ore, perché è tutto incanalato e cementificato, l’acqua arriva veloce giù da noi». Cosa fare per evitare tutto ciò? «È necessario restituire al fiume spazi naturali, dove possa muoversi ed esondare senza danni, anche rimuovendo argini e difese esistenti, se possibile - rammenta Goltara del Cirf - Il taglio della vegetazione andrebbe fatto solo dove è comprovato che possa


La prevenzione non può attendere

campagna d’autunno

Quest’anno Operazione fiumi, la campagna autunnale che Legambiente organizza con il Dipartimento della protezione civile, giunge alla decima edizione. In dieci anni sono state organizzate iniziative lungo tutta la penisola per sensibilizzare cittadini e amministratori locali sul tema del rischio idrogeologico, sulla necessità di una seria ed efficace politica di mitigazione. Abbiamo segnalato le particolari condizioni di criticità e degrado in cui versano i nostri fiumi, anche grazie a iniziative che hanno coinvolto migliaia di cittadini e studenti. Anche quest’anno con Operazione fiumi nelle zone a più alto rischio d’Italia saranno organizzati eventi dedicati al rischio idrogeologico, alle attività di mitigazione e a far crescere i piani di protezione civile locali. INFO www.legambiente.it, 0686268407

di Francesca Ottaviani *

Legambiente si è sempre ispirata alla convinzione che la tutela e il rispetto del nostro patrimonio idrografico, dei grandi corsi d’acqua così come di torrenti, ruscelli e fiumare, sia elemento imprescindibile per limitare il rischio idrogeologico e per ridurre il pericolo a cui sono quotidianamente esposti i cittadini e i beni della comunità. Il rispetto dei corsi d’acqua non è solo una questione ambientale, ma anche di sicurezza, o, per dirla più chiaramente, in questi anni siamo riusciti a porre all’attenzione pubblica come tema prioritario il rispetto e la tutela ambientale per la salvaguardia dei territori e per la mitigazione di rischi naturali. Le scelte a danno dei nostri fiumi,

FOTO: © narici/ agf

FOTO: © meneghetti/ SINTESI

provocare l’allagamento di centri abitati. Oppure, nel caso di alberi, dove c’è un effettivo pericolo di occlusione dei ponti. L’eliminazione indiscriminata della vegetazione invece - aggiunge Andrea Goltara - non solo ha un enorme impatto ambientale, ma rischia anche di peggiorare seriamente il rischio d’inondazione, l’esatto contrario degli obiettivi dichiarati».

MARE IN FOCE

I pescatori sono testimoni anche di un altro fenomeno con gravi conseguenze sugli habitat e per l’agricoltura, la risalita del cuneo salino. «Oggi a 25 km dalla foce del Piave peschiamo i branzini e sotto la barca troviamo molluschi tipici dell’acqua marina», riprende Felice Gazzelli. «D’altronde se alla foce arriva una portata estrema-

mente ridotta per l’eccessivo uso dell’acqua e ancor più se la falda si è abbassata - chiosa il direttore del Cirf Andrea Goltara - la salinità risale molto più a monte». Il nostro viaggio termina dove il Piave un tempo si tuffava nel mar Adriatico, la laguna del Mort. Qui nel 1935 una piena ha deviato il corso del fiume e ha creato una zona umida sfuggita al cemento, un’area protetta che Legambiente e il comune di Eraclea vorrebbero rilanciare come parco. Ma alle spalle la minaccia è il megaprogetto di Valle Ossi, ville e posti barca per un valore di mezzo miliardo di euro su 250 ettari, a una distanza di soli 200 metri dalla pineta del Mort, un’operazione immobiliare senza uguali nel litorale adriatico. L’ultimo colpo al fiume sacro alla patria. n

quanto meno poco attente, fatte in passato e purtroppo in molti casi ancora oggi, hanno spesso accresciuto il pericolo di esondazioni. Intubazioni, Ogni cementificazioni, giorno restringimento degli alvei e in Italia ogni pratica di alterazione 5 milioni delle dinamiche naturali di persone dei corsi d’acqua hanno vivono o aggravato e amplificato il lavorano in rischio idrogeologico nel aree esposte nostro Paese. Nel corso a pericolo dei decenni si è ridotto di frane e lo spazio naturale dei alluvioni fiumi, sono state costruite case, strade, scuole, fin nel letto di torrenti e fiumare. In troppi casi addirittura la costruzione e il potenziamento delle arginature e la realizzazione d’interventi di messa in sicurezza si è trasformata in un’occasione per continuare a costruire e a cementificare le aree a ridosso dei corsi d’acqua. Per avere una chiara consapevolezza

di quanto il rischio idrogeologico debba essere considerato con urgenza è sufficiente citare i dati dell’ultimo dossier Ecosistema rischio, l’indagine realizzata ogni anno in occasione di Operazione fiumi, secondo cui si stima che ogni giorno in Italia 5 milioni di persone vivono o lavorano in aree esposte a pericolo di frane e alluvioni. Per questo motivo, partire dalla considerazione che è necessario rivedere il modo in cui sono stati trattati i nostri fiumi e in cui abbiamo gestito il nostro territorio è il primo passo per poter parlare di una seria ed efficace politica di mitigazione e prevenzione del rischio idrogeologico. *Coordinatrice nazionale Legambiente Protezione Civile

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