Moda sostenibile. L'eco boutique fa tendenza

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viveremeglio di Valeria Buzi

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assare al bancomat prima di entrare nel negozio di abbigliamento? Roba da ventesimo secolo. A Caserta, grazie all’idea di due giovani e dinamiche amiche, per fare shopping basta portare con sé quell’abito comprato o mai indossato o quello usato pochissimo e poi dimenticato in fondo al guardaroba. «Ciascuno di noi ha fatto un acquisto sbagliato o ha ricevuto un regalo poco gradito. Ora questi capi possono trovare una seconda vita scambiandoli con altri che le clienti troveranno nel nostro negozio» ci spiega Enza Vinciguerra, addetta al marketing in una grande azienda che ricicla plastica, che con Magda Raimondo (che fa lo stesso lavoro in un’azienda di moda) ha fondato “Swap me ecoshopping”, la boutique del baratto di abiti, accessori e scarpe da donna a due passi dai negozi delle grandi firme del centro di Caserta. «Siamo amiche da quindici anni e viaggiamo molto per piacere e per curiosità – racconta Enza – Dai nostri viaggi abbiamo riportato a casa tante cose da “swappare” e per farlo ci siamo ispirate agli esempi dell’Atelier del riciclo a Milano e del negozio Barattiamo di Roma. Qualcuno ci aveva anche proposto delle formule di franchising, ma volevamo realizzare un progetto che ci somigliasse

moda sostenibile

Scambio di abiti e luogo di ritrovo L’eco boutique fa tendenza il più possibile, e poi lasciare alle nostre clienti una modalità di fruizione molto libera, slegata dal pagamento di tessere associative o quote mensili». Così è nata la cooperativa sociale che da fine giugno gestisce questa graziosa boutique aperta tutti i giorni nelle ore serali (dalle 18 alle 22). Le clienti trovano innanzitutto un luogo accogliente dove possono anche semplicemente sedersi a chiacchierare. Non a caso nel negozio si trovano anche sedie e tavolino. «Ci stiamo chiedendo come faremo il giorno che Magda e io vorremmo fare una vacanza insieme – scherza l’econegoziante – Dopo pochi mesi il rapporto con molte clienti è già così stretto e personale che difficilmente si creerebbe lo stesso feeling con una commessa. E poi teniamo a ragionare con chi arriva qui del significato etico e ambientale di questa modalità di fruizione dei beni». Oltre agli abiti portati dalle aspiranti “barattatrici” c’è il vasto assortimento 42

La nuova ecologia / ottobre 2012

di capi e accessori selezionati da Enza e Magda. «Sia quando andiamo dai fornitori sia quando arrivano avventrici con abiti del loro guardaroba, la prima cosa che verifichiamo è lo stato di usura e la qualità. I capi devono essere “come nuovi”. Dopo di che, valutiamo la marca e la stagionalità e ci aiutiamo con internet per individuare il giusto valore». Sarà poi una serie di stelle, da una a cinque, a determinare tale valore e a consentire lo scambio con capi che hanno lo stesso numero di stelle. In tal caso le clienti devono solo aggiungere un “costo di scambio” (prezzo swap), pochi euro calcolati in proporzione al tipo di capo preso,

che servono tra l’altro a coprire le spese di sanificazione, perché il vestiario che arriva sugli espositori di “Swap me” viene preventivamente sottoposto a un processo che ne garantisca l’igienicità. Le scarpe invece devono essere rigorosamente nuove. Ma come si fa se una cliente porta un capo di valore più elevato o più basso di quello che vuole acquistare? «Generalmente lo scambio avviene alla pari – chiarisce Enza – Ci sono però delle eccezioni. Quando la cliente ci porta un capo il cui valore in termini di stelle è superiore, verrà applicato uno sconto sul prezzo swap (che è indicato sul talloncino accanto al prezzo “retail”) tale da eguagliare


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