green tax
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primopiano
Per Al Gore va tassato «ciò che bruciamo, non i salari». In attesa di un’ecotassa mondiale serve un mix di misure per incentivare la transizione verso un’economia a basso impatto. Intanto sulla “taxe carbone” Sarkozy fa dietrofront di Elisa Cozzarini
L’
ultima ecotassa di cui abbiamo notizia è quella annunciata dalla Casa Bianca dopo il disastro ambientale che ha colpito la Lousiana (vedi la nostra inchiesta a pag. 24). Obama ha stabilito l’aumento di un centesimo di dollaro a barile della tassa che le compagnie pagano per il fondo di responsabilità sugli sversamenti di petrolio: entro il 2010 si passerà da 8 a 9 cent, per arrivare a 10 nel 2017. Sciagure a parte, il cuore della questione è come passare dalla tassazione sul lavoro a un sistema in cui sia chi inquina a pagare. Per dirla con Al Gore «dobbiamo tassare ciò che bruciamo, non i salari». Quello che serve, sostiene il Nobel,
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La nuova ecologia / GIUGNO 2010
è un mix di misure che incentivino la transizione verso un’economia a basso impatto ambientale, come la carbon tax e i meccanismi di cap and trade. Il dibattito è acceso in tutto il mondo, dall’Europa alla Cina, all’Australia. Ma chi sembrava lanciato su questa strada, il presidente francese Sarkozy, ha tirato improvvisamente il freno: niente taxe carbone finché non sarà adottata una simile tassa anche alle frontiere dell’Unione Europea. Sarkò e Berlusconi, in veste di paladini dell’ambiente, lo scorso aprile hanno pure scritto una lettera al commissario europeo Barroso, chiedendo l’introduzione di un ecodazio per le importazioni dai paesi che non adottano misure per ridurre le emissioni di CO2.