Guardaroba / Estratto

Page 1

Silvia Turato è nata a Vicenza e si occupa di editoria da una decina d’anni, collaborando con diverse case editrici. Ha ricoperto quasi tutte le figure del libro, ma dal 2016 ha scelto di dedicarsi alla traduzione letteraria e lo fa con gusto.

B

auli di famiglia, vecchi armadi, cesti di vestiti, ognuno dei quali è custode di ricordi, del susseguirsi delle mode e delle stagioni. Vestiti odiati, amati, usurati o più semplicemente passati di moda che come una seconda pelle ci appartengono e ci definiscono, che sopravvivranno al nostro corpo, continuando a raccontare la nostra vita anche dopo di noi. Crêpe de Chine e taffetà cangiante, colori sgargianti o sobri, tra la trama e l’ordito si depositano scampoli di una storia, personale e collettiva, che raccontano i momenti che più ci hanno segnato: i primi amori, l’impegno politico, i viaggi. Con un’ironia arguta e una profonda sensibilità cosmopolita Jane Sautière apre le ante del suo guardaroba per regalarci un memoir raffinato e originalissimo e ripercorrere le tappe di una vita in bilico tra Occidente e Oriente, dove convivono i ricordi lontani di una fattoria bretone, l’infanzia – a piedi nudi – in Iran, lo spaesamento e la spensieratezza della giovinezza in Cambogia, il fascino fugace di un vestito rosso per le strade di Parigi.

Sautière | Guardaroba

Jane Sautière è nata a Teheran nel 1952. Dopo aver passato l’infanzia e l’adolescenza in Cambogia è tornata in Francia dove ha lavorato come educatrice penitenziaria. Esordisce nel 1998 firmando con Jean-Marie Dutey un romanzo noir Zones d’ombres. Seguono, a partire dal 2003, altri cinque libri tutti pubblicati per i tipi di Verticales: Fragmentation d’un lieu commun, Nullipare (2008), Guardaroba (2013), Stations (2015) e Mort d’un cheval dans les bras de sa mère (2018).

Jane Sautière

Un inventario sentimentale sul senso e sulla magia dei vestiti. – Les Inrockuptibles Tra leggerezza e nostalgia, un breviario del tempo perduto. – Transfuge

memoir

ISBN 978-88-8373-335-2

ISBN 978-88-8373-335-2

€ 15,50

9 788883 733352

www.lanuovafrontiera.it

“Aprire un libro come si apre un armadio. Meglio: aprire un armadio come si apre un libro. Scrivere un vestito perduto, dimenticato, farlo uscire da quel guardaroba così oscuro, guardare ciò che è stato nel suo ordinario e nel suo straordinario.”



Jane Sautière

Guardaroba Traduzione dal francese di Silvia Turato


Titolo originale: Dressing © Editions Gallimard, Paris, 2013 © La Nuova Frontiera, Roma, 2018 via Pietro Giannone, 10 - 00195 Roma Opera pubblicata con il sostegno dei Programmi di aiuto alla pubblicazione Casanova dell’Institut Français Italia. Progetto grafico di Flavio Dionisi Illustrazioni di copertina e interne di Giulia Neri Isbn 978-88-8373-335-2 www.lanuovafrontiera.it


Cammino sulla spiaggia. Mi muovo senza difficoltà, arrivo vicino a una caverna o a una grotta, addobbata come la bottega di un suq, e trovo una borsetta di cuoio rosso molto carina. Un bel rosso, vivace, deciso, la pelle ha un buon odore. Mi sveglio priva della conquista notturna, un po’ delusa. La notte successiva torno alla grotta per prendere delle scarpe abbinate, sempre in cuoio rosso, con il tacco a rocchetto. Fascino dell’insistenza del desiderio, che penetra nel sogno, fascino del ritrovamento stesso, che persiste al risveglio. Mi succede spesso di sognare vecchi vestiti, di andare e venire in quelle storie un po’ incoerenti con abiti che credevo dimenticati. Li sento parte di me come la mia pelle, i miei capelli, le mie unghie. Poi finiscono nell’oblio e nella spazzatura, smessi o rovinati, così come si gettano via le unghie tagliate o il gomitolo di capelli strappati dalla spazzola. Apro questo guardaroba su un tempo gettato alla rinfusa, ieri o oggi. Stranamente non c’è un futuro, non Guardaroba

5


penso al prossimo vestito, a quello che deve arrivare, che verrĂ a cercarmi. Nessun bisogno, nĂŠ desiderio.

6

Jane Sautière


Bauli di famiglia



Mia zia del Bigouden, la sorella di mia madre, ha indossato gli abiti tradizionali fino al giorno della sua morte. Con me che non capivo una parola di bretone si sforzava, non senza difficoltà, di parlare francese. Non l’ho mai vista senza la corta giacca di panno chiusa dagli spilloni, con le maniche a tre quarti svasate all’altezza dei polsi, la gonna ad ampie falde protetta dal grembiule color ardesia a righe grigio-azzurro, e i capelli raccolti nella bustina nera. Il copricapo alto lo metteva solo per andare in città. I vestiti erano pesanti, spessi. Aveva pochi cambi, tra cui sicuramente un abito ornato di seta gialla e rosso fuoco realizzato dalle ricamatrici di Pont-l’Abbé. Portava pantofole di feltro infilate in zoccoli di legno laccato. Ovviamente niente profumo, e men che meno trucco. Mi ricordo ancora la zangola e il burro che sbatteva coagulandosi contro le pareti di legno, l’odore del latticello che impregnava la fattoria. Non è poi così lontana quell’epoca, imprigionata nella sua immobilità, come se tutto si fosse cristallizzato, il grano che cresceva nel tempo del grano, e la vacca che sgravava nel tempo della vacca, e solo raramente il trattore concedeva un giorno di libertà dall’aratro a Gitane, una cavalla da tiro grande, forte e bella, la quale, Guardaroba

9


sciolta, partiva al galoppo maestosa come una caravella. La fattoria era piccola come tutte quelle della zona e i contadini poveri. Ora tutto ciò fa parte del folklore, di ciò che è definitivamente scomparso. Perché le serate rievocative si fanno senza guance bruciate e arrossate dal vento e dal fuoco, mani gonfie per il lavoro manuale, corpi anchilosati dall’umidità delle fattorie buie e dal duro lavoro. Non riuscivo a figurarmi mia madre vestita, anche lei, così. Mi parlava con repulsione di quel periodo. Menzionava solo la sua difficoltà a portare la cuffia gialla, segno di lutto, che la designava come orfana di guerra, senza padre, caduto nelle trincee della Prima guerra mondiale. Facevo fatica a credere che quello fosse il colore del lutto, e lei ci ha messo un bel po’ a fornirmi la lista delle occorrenze del giallo, la lunga lista di morti, suo padre in guerra prima ancora che lei nascesse, una sorellina di malattia, poi la madre proprio mentre lei metteva al mondo la figlia del primo matrimonio, poi quella stessa figlia, il figlio e il primo marito di tubercolosi, infine il fratello, suicidatosi in un ospedale psichiatrico. Mi rimane, strappato alla cantina, un armadio bretone con i chiodi d’ottone. È l’armadio di nozze di mio nonno, costruito da lui per la sua sposa. Da molto tempo serratura e chiave sono andate perse, il fondo è stato divorato dai tarli e bisognerebbe trovare qualcosa di meglio per i cardini di quelle vecchie cerniere di legno. Sui ferramenti sono incisi uccelli dalla grande cresta e un cuore sormontato da una corona, intrecciata a un’ànco10

Jane Sautière


ra marina. Un po’ più su, il profilo di un uomo e di una donna. Mi sembra che la donna sorrida. Prendersi cura di questa raffigurazione dell’unione, dove non manca niente, né il Cristo in croce tra due angeli in preghiera, né la piccola pera colta insieme al suo ramo e a due minuscole foglie, curioso in quel paese di meli. Sono le mie cose quelle che ora contiene e mio è il lieve sorriso di Gioconda bretone.

Guardaroba

11


Ogni tanto, quando vivevo in Francia, andavo con i miei genitori a trovare la mia zia paterna, che era modellista. Sua madre, mia nonna, era ricamatrice. Mia cugina è stata merciaia. Si è molto cucito in quella famiglia. I viaggi di mio padre mi hanno portato lontana da quelle donne d’ago e filo. Mi piaceva vedere, sui grandi tavoli di legno, il numero a volte impressionante di capi tagliati nella carta velina, le grandi forbici elettriche, l’atelier e soprattutto il vestito disarticolato, impossibile allora da immaginare cucito. Mio zio faceva le buste dei cartamodelli, disegnava le sagome, passava i colori sullo stencil. Erano spesso figure in piedi, slanciate, la gamba destra in avanti, il braccio sinistro piegato, leggermente di profilo, la posa classica delle indossatrici dell’epoca. Noi arrivavamo dal nostro quartiere di periferia alla Gare Saint-Lazare, quasi deserta di domenica, e mi sembrava che l’odore di Parigi contenesse già una certa futilità, una sorta di profumo di cipria un po’ vizza, un po’ inacidita, mischiato a quello della metro (ferro surriscaldato, polvere, gomma bruciata).

12

Jane Sautière


Nella mia famiglia, solo due asciugamani per tutti. Uno per il corpo, uno per le mani. Eravamo un unico individuo. La sorpresa e di sicuro il dolore inflitto a mio padre il giorno in cui, ormai adulta e tornata da lui che era da poco rimasto vedovo, avevo richiesto un asciugamano tutto per me. Mio padre si vestiva per coprirsi. I vestiti gli piacevano solo in virtù del servizio che gli rendevano, quindi li portava fino a completa usura, chiaramente disinteressato alla moda, se la cintura dava forfait era capace di tenere su i pantaloni con dello spago e non avrebbe mai infilato i piedi in un paio di mocassini, preferiva delle buone scarpe robuste, parlava a mia madre di andare a comprare delle “galosce” e un “paltò” alla bimba (io), cosa che la infastidiva in modo incredibile. Gli ho regalato molti vestiti. Era facile, era sempre felice della fortuna di non doversi scegliere da solo il guardaroba. Poteva tutt’al più, in merito alle sue preferenze, specificare che preferiva il blu. Camminavamo spesso insieme quando ero piccola, con le nostre scarpacce grosse, in un’epoca in cui non badavo molto a ciò che indossavo. Dal cavalcavia di boulevard de la Chapelle guardavo passare i treni sul delta dei binari della Gare du Nord, ecco la passeggiata di quel figlio di ferroviere, con gli occhi sempre rivolti a una partenza. Il gusto di vestirmi è venuto ben più tardi, senza dubbio con la voglia di piacere, ma non solo, penso per il bisogno di avere dei vestiti tutti miei che mi identificassero, mi dessero corpo. Guardaroba

13


È raro che io adesso scelga un vestito per la sua utilità. È diventato (per me e di conseguenza anche per i miei armadi) un problema, un mezzo attraverso cui mi sono allontanata da mio padre e dal suo abbigliamento frugale.

14

Jane Sautière



Silvia Turato è nata a Vicenza e si occupa di editoria da una decina d’anni, collaborando con diverse case editrici. Ha ricoperto quasi tutte le figure del libro, ma dal 2016 ha scelto di dedicarsi alla traduzione letteraria e lo fa con gusto.

B

auli di famiglia, vecchi armadi, cesti di vestiti, ognuno dei quali è custode di ricordi, del susseguirsi delle mode e delle stagioni. Vestiti odiati, amati, usurati o più semplicemente passati di moda che come una seconda pelle ci appartengono e ci definiscono, che sopravvivranno al nostro corpo, continuando a raccontare la nostra vita anche dopo di noi. Crêpe de Chine e taffetà cangiante, colori sgargianti o sobri, tra la trama e l’ordito si depositano scampoli di una storia, personale e collettiva, che raccontano i momenti che più ci hanno segnato: i primi amori, l’impegno politico, i viaggi. Con un’ironia arguta e una profonda sensibilità cosmopolita Jane Sautière apre le ante del suo guardaroba per regalarci un memoir raffinato e originalissimo e ripercorrere le tappe di una vita in bilico tra Occidente e Oriente, dove convivono i ricordi lontani di una fattoria bretone, l’infanzia – a piedi nudi – in Iran, lo spaesamento e la spensieratezza della giovinezza in Cambogia, il fascino fugace di un vestito rosso per le strade di Parigi.

Sautière | Guardaroba

Jane Sautière è nata a Teheran nel 1952. Dopo aver passato l’infanzia e l’adolescenza in Cambogia è tornata in Francia dove ha lavorato come educatrice penitenziaria. Esordisce nel 1998 firmando con Jean-Marie Dutey un romanzo noir Zones d’ombres. Seguono, a partire dal 2003, altri cinque libri tutti pubblicati per i tipi di Verticales: Fragmentation d’un lieu commun, Nullipare (2008), Guardaroba (2013), Stations (2015) e Mort d’un cheval dans les bras de sa mère (2018).

Jane Sautière

Un inventario sentimentale sul senso e sulla magia dei vestiti. – Les Inrockuptibles Tra leggerezza e nostalgia, un breviario del tempo perduto. – Transfuge

memoir

ISBN 978-88-8373-335-2

ISBN 978-88-8373-335-2

€ 15,50

9 788883 733352

www.lanuovafrontiera.it

“Aprire un libro come si apre un armadio. Meglio: aprire un armadio come si apre un libro. Scrivere un vestito perduto, dimenticato, farlo uscire da quel guardaroba così oscuro, guardare ciò che è stato nel suo ordinario e nel suo straordinario.”


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.