Davanti alla macchina da scrivere di Alessandro Leogrande
Per Rodolfo Walsh il violento mestiere di scrivere è sempre coinciso con la capacità di dire immediatamente ciò che si vuole dire, e nel modo migliore. È importante lo sguardo con cui si osservano le cose, i conflitti sociali, i grandi e piccoli sommovimenti, l’arbitrio del potere, le reazioni delle vittime o dei dissidenti. Ma, allo stesso tempo, è altrettanto importante il modo in cui tutto ciò viene narrato, spiegato, illuminato, dissezionato. L’esattezza della scrittura, costantemente esercitata e perfezionata, con la stessa precisione con cui uno scultore leviga la propria pietra e vi sottrae tutto ciò che è superfluo, conta quanto la prospettiva con cui si guarda alle persone di cui si parla. Da che parte stai, per cosa o per chi in fondo stai scrivendo, e – soprattutto – che cosa fai, come agisci, dopo aver scritto: sono queste le domande che sembrano assillarlo, costantemente. Walsh era perfettamente consapevole che a pochi metri di distanza, in certi momenti, si può aprire il 7
baratro della Storia, così come esso si è aperto effettivamente in Argentina nella seconda metà degli anni settanta del secolo scorso. Anzi, per certi versi, tutta la sua biografia umana e intellettuale, almeno in età adulta, si è svolta all’interno di quel baratro, seguendo le fasi che hanno preceduto le sue manifestazioni più acute. Rimanere in equilibrio in simili frangenti, come scrittore e come essere umano, è un’esperienza totalizzante che sovente coincide con il prezzo della solitudine. Detto in altre parole, e cioè le stesse parole adoperate una volta da Rodolfo Walsh: “Per un uomo rigoroso, ogni anno diventa più difficile decidere qualunque cosa senza destare il sospetto di stare mentendo o di sbagliarsi.” *** Il 25 marzo del 1977 Rodolfo Walsh viene sequestrato e ucciso da uno squadrone militare guidato dal boia Alfredo Astiz per le strade di Buenos Aires. Il corpo viene portato all’Esma, la Scuola superiore di meccanica della Marina militare, ridotta a un campo di sterminio all’interno del quale hanno trovato la morte circa cinquemila delle oltre trentamila vittime del regime, e lì sparisce nel nulla insieme ad altri corpi. Da tempo Walsh è ricercato, vive sotto falsa identità. Il giorno prima, il 24 marzo, ha ultimato la Lettera aperta di uno scrittore alla Giunta militare, rivolta 8
a quei militari golpisti che si sono insediati al potere esattamente un anno prima, rovesciando il governo in carica. Benché nessun organo di stampa argentino decida di pubblicarla, la mattina dell’agguato Walsh riesce a mettere in salvo alcune copie del suo scritto, considerato oggi un classico della lettura civile sudamericana. E del classico, la lettera mantiene ogni rigo, ogni singola frase, a cominciare dal suo incipit: “La censura della stampa”, scriveva Walsh, “la persecuzione degli intellettuali, la demolizione della mia casa a Tigre, l’omicidio di amici cari e la perdita di una figlia che è morta mentre vi combatteva, sono alcuni dei fatti che mi costringono a questa forma di espressione clandestina dopo che per quasi trent’anni mi sono pronunciato liberamente come scrittore e come giornalista.” In poche e densissime pagine, Walsh descrive con estrema cura la natura totalitaria del regime di Jorge Videla e di Emilio Massera. Descrive il funzionamento del suo apparato poliziesco, il modo in cui vengono rielaborate forme di oppressione e tortura che sembrano provenire dai secoli bui del Medioevo europeo. Ma, allo stesso tempo, delinea le fondamenta socio-economiche della dittatura: nella Lettera aperta l’analisi della degenerazione totalitaria e della sospensione dei diritti civili si affianca all’analisi delle sperequazioni di classe. Sullo sfondo di quanto accade, Walsh intravede la sempiterna paura di una vera 9
democrazia non solo da parte dei settori più retrivi della forze armate, che praticano l’eliminazione sistematica del dissenso e degli oppositori, ma anche delle classi alte, che da tempo immemore hanno intravisto nel peronismo l’inaccettabile tentativo di allargare le basi sociali delle strutture politiche del paese. La lettera è un concentrato del pensiero di Walsh in quel frangente storico in cui l’Argentina piomba nel terrore più fitto. Ma è allo stesso tempo un saggio insuperabile del suo stile, e del suo lavoro certosino sulla scrittura – sulle parole, su ogni singolo periodo. Anche nell’atto finale, la sua è una scrittura che va dalla letteratura al giornalismo, per poi tornare alla letteratura, e sperimentare forme ibride, di mezzo, in cui il racconto del reale viene sviscerato in tutte le sue forme. In Walsh, lo scrittore e il giornalista sono due facce della stessa medaglia. Si alternano, si accompagnano, sembrano quasi affinarsi a vicenda. È il taglio costitutivo di tutta la sua opera, fin dai primi passi. *** Rodolfo Walsh nasce a Choele-Choel, nella provincia del Rio Negro, nel 1927. La sua famiglia ha origini irlandesi, e a quegli anni della propria esistenza, gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, dello studio in una scuola private di suore, dedicherà poi alcuni racconti scritti negli anni settanta. Negli anni quaranta 10
si trasferisce a Buenos Aires e inizia subito a lavorare nel mondo dell’editoria. Fa il correttore di bozze nella casa editrice Hachette, scrive i suoi primi articoli su riviste e giornali. Il suo interesse iniziale si rivolge alla letteratura e al giornalismo culturale più che a quello politico. Nel 1953 esce la sua prima antologia di racconti, Variazioni in rosso*, e sempre nel ’53 cura Dieci racconti polizieschi argentini, una raccolta dei migliori esempi di polar argentino, quel singolare impasto di noir, racconto del paese e indagine poliziesca, che influenzerà in maniera determinante il suo modo di scrivere, sia in ambito strettamente letterario, sia in ambito extraletterario. Poi la Storia si mette in moto, e la vita di Walsh viene irrimediabilmente segnata. Nel 1955 un colpo di stato rovescia il governo del presidente Juan Domingo Perón, che aveva avviato negli anni precedenti una serie di riforme sociali, e si insedia, con il generale Aramburu e l’ammiraglio Rojas, una delle prime giunte militari che funesteranno l’Argentina dagli anni cinquanta fino all’inizio degli anni ottanta. Nel giugno del ’56, un anno dopo l’insediamento della giunta, che aveva battezzato il nuovo corso politico come Revolución Libertadora, alcuni settori peronisti delle stesse forze armate provano a sollevar* Rodolfo Walsh, Variazioni in rosso, Sur, 2015 11
si. Ma la rivolta fallisce, la repressione scatta feroce e, prima ancora della precipitosa instaurazione della legge marziale, vengono fucilati senza alcun processo anche dei civili che con quell’abbozzo di insurrezione non c’entrano niente. Walsh apprende casualmente la notizia, nel dicembre dello stesso anno, mentre è in un caffè a giocare a scacchi. Intuisce che un gruppo di civili è stato fucilato a José León Suárez, un sobborgo anonimo della provincia di Buenos Aires. In quella notte di giugno della sollevazione, sono stati sequestrati e uccisi dai militari, ma alcuni sono miracolosamente sopravvissuti al massacro. Walsh decide di indagare. Lo fa con rigore e precisione, e come tutti i grandi reporter intuisce che la cosa fondamentale è stabilire un contatto autonomo con i sopravvissuti. Incontrarli, ascoltare la loro versione dei fatti, capire cosa è realmente accaduto, ma allo stesso tempo proteggerli – proteggere le proprie fonti – dalla repressione. Detto in parole crude: non solo appurare ciò che è accaduto, ma anche evitare che i militari portino a termine il loro lavoro di cancellazione dei testimoni, divenendone complice involontario. Così, con l’aiuto di Enriqueta Muñiz, Walsh riesce a conoscere Juan Carlos Ivraga, incredibilmente scampato alla fucilazione. La sua storia viene ricostruita in un lungo articolo, Anch’io sono stato fucilato, 12
apparso sulla rivista “Revolución Nacional” alla metà di gennaio del 1957. È l’articolo che apre questa raccolta di alcuni dei migliori reportage scritti da Walsh nell’arco di un ventennio. A quel primo articolo ne seguiranno altri, apparsi anche sulla rivista “Mayoría”. In seguito Walsh incontra anche gli altri scampati al massacro, e parlando con loro, raccogliendo una gran mole di dati, giunge a ricostruire pienamente quel che è successo quella notte. Nel corso dello stesso anno, l’inchiesta pubblicata in più puntate verrà rielaborata nel romanzo di non-fiction Operazione massacro*. Walsh intuisce immediatamente che questa storia – la storia, cioè, della fucilazione di un gruppo di civili inermi da parte di militari che in quel momento stanno esercitando, benché la legge marziale non sia stata ancora formalmente instaurata, delle operazioni di polizia senza alcun vincolo giudiziario – può essere raccontata al meglio non all’interno del canone della denuncia giornalistica, bensì all’interno di un romanzo-verità, di un romanzo-inchiesta, che unisca al rigore dei dati e alla descrizione letteraria di un pugno di uomini concretamente travolti dalla violenza politica, la struttura, il montaggio e soprattutto il ritmo del poliziesco argentino. In ogni momento Walsh ha chiaro nella propria testa che l’oggetto da narrare non è la violenza in quanto tale, come se questa fosse un even* Rodolfo Walsh, Operazione massacro, La Nuova Frontiera, 2011 13
to naturale, ma la violenza politica nel suo dipanarsi, con tutte le sue responsabilità. Più precisamente, la pratica della strage e la sua legittimazione da parte dei vertici e delle strutture di uno Stato degenerato. Operazione massacro non è solo il capolavoro letterario di Walsh, è anche uno dei grandi libri della letteratura sudamericana del Novecento, un caposaldo del periodismo narrativo che avrà, proprio a partire dalle sue pagine, una lunga e prolifica storia tanto quanto quella del new journalism nordamericano. Il libro, che ha numerose ristampe fino al ’72, diventa subito un testo capitale nella formazione politica, umana, intellettuale, di almeno due generazioni di argentini. Tuttavia, in questa sede, per capire l’officina di Rodolfo Walsh, è interessante confrontare il romanzo-inchiesta con il reportage che l’ha originato. Chiunque legga Anch’io sono stato fucilato può cogliere immediatamente come quella attenzione alla strutturazione del reportage narrativo, al ritmo e a una piena dimensione letteraria (seppure costantemente unita al rigore e alle precauzioni dell’inchiesta sul campo) sia presente già allora. Operazione massacro costituisce probabilmente un ulteriore salto in avanti, ma i reportage sono fatti della medesima pasta, tanto che possono definirsi veri e propri “racconti della realtà”. Ciò è evidente nel lungo articolo su Livraga, come in tutti quelli che, accumulatisi negli anni successivi, costituiscono il corpus dell’opera giornalistica walshiana. In questo libro 14
sono raccolti alcuni degli esempi più belli, scritti tra il lavoro di ricerca sul massacro di José León Suárez e la Lettera aperta di uno scrittore alla Giunta militare. Sono reportage molto vari. Il confronto con la Storia e i suoi personaggi si alterna costantemente alla narrazione di storie minute, o meglio di controstorie, spesso pescate negli anfratti della società argentina. Sono straordinari, ad esempio, il reportage L’isola dei resuscitati, su dei malati di lebbra confinati in mezzo alla foresta, e l’inchiesta Il clan della picana, sull’uso sistematico della tortura a base di scosse elettriche da parte della polizia di Buenos Aires già molto prima che la dittatura militare prendesse il potere alla metà degli anni settanta, e la trasformasse in una pratica standard di tortura dei dissidenti. Si può capire appieno la natura di questo corpus non solo ponendolo in relazione a Operazione massacro e agli altri esempi successivi di inchiesta giornalistico-letteraria (Quien mató a Rosendo?, storia di un dirigente di base del sindacalismo peronista ucciso in circostanze misteriose, e El Caso Satanowsky, sulla morte altrettanto misteriosa di un importante avvocato di Buenos Aires), ma anche con il corpus di racconti walshiani più strettamente letterari (si pensi a quelli raccolti non solo in Variazioni in rosso, ma anche in Fotografie*, in particolare a Questa donna**, sulle incre* Rodolfo Walsh, Fotografie, La Nuova Frontiera, 2014 ** ibid 15
dibili peripezie che ha dovuto subire dopo il golpe del 1955 la salma imbalsamata di Evita Perón, attraverso il racconto ossessivo del militare che l’aveva a lungo custodita). Giornalismo e letteratura dunque non sono due universi separati. Sono piuttosto in un costante rapporto osmotico, si alimentano a vicenda, nel tentativo – ogni volta rinnovato – di scorticare la realtà e renderla oggetto di narrazione. Pertanto i long-form giornalistici di Walsh si collocano sulla stessa lunghezza d’onda dei suoi racconti di fiction. Come se proprio in quella dimensione (più lunga di un articolo, più breve di un libro), e negli infiniti modi in cui è possibile praticarla, Walsh raggiungesse le vette più alte, accanto a Operazione massacro, del suo corpo a corpo con il mondo. *** C’è poi un altro evento che segna la vita di Rodolfo Walsh in maniera altrettanto determinante, ed è la rivoluzione cubana. Nel 1959, dopo la vittoria della rivoluzione che più di tutte ha infiammato gli animi nella seconda metà del Novecento, quella stessa rivoluzione cui aveva preso parte un altro argentino quasi suo coetaneo, Ernesto Guevara de la Serna, Walsh si trasferisce all’Avana per partecipare alla fondazione di “Prensa Latina”. Guidati da Jorge Masetti, un grup16
po di intellettuali e giornalisti sudamericani, molti dei quali argentini, dà vita a un singolare esempio di agenzia di stampa dalla forte connotazione anti-imperialista, con l’intento di contrastare la feroce campagna di stampa internazionale contro Cuba. Tra loro c’è anche Gabriel García Marquez. È proprio Walsh, nel 1961, a decrittare un cablogramma proveniente dal Guatemala e indirizzato negli Stati Uniti, che annuncia l’imminente invasione della Baia dei Porci (l’intera vicenda è rievocata nell’articolo Guatemala, una diplomazia in ginocchio). Il messaggio decodificato viene dato subito a Castro, e quella che sembra un’ipotesi assurda si dimostra in realtà tremendamente vera. Gli anni cubani saranno poi ricordati in uno dei pezzi più belli di questo libro, Guevara, scritto nel ’67 subito dopo la morte del Che in Bolivia, quando Walsh è ormai tornato da tempo in Argentina. Non si tratta di un semplice necrologio. Walsh ricorda l’atmosfera di Prensa Latina, le visite e le chiacchiere del Che davanti a un mate, la vita nell’isola durante i primi anni della rivoluzione. Ma soprattutto si interroga sulla “spiazzante” statura morale del Che e sul senso di vergogna davanti alla sua morte che ora lo attanaglia, la vergogna di stare seduto davanti a una macchina da scrivere. Non si tratta solo di provare rimorso per la solitudine del Che o per il fatto che sia stato ammazzato 17
come un cane. Tra le righe, come in molti altri luoghi di questo libro, si apre un tormento. Il tormento del giornalista militante davanti all’efficacia, o all’impotenza, della propria azione. Non si scrive mai solo per scrivere, benché poi ogni scritto possa vivere di vita autonoma. Nel momento in cui il mondo non appare più come un campo inerte, lo scontro tra dominanti e dominati, morte e rivolta si fa più crudo. Prima ancora che con categorie ideologiche, le proprie scelte hanno a che fare con considerazioni di natura immediatamente morale. La possibilità o meno di continuare a guardarsi davanti a uno specchio porta sempre a considerare la propria scrittura sotto una nuova luce. *** Nel 1972 Operazione massacro diventa un film con la regia di Jorge Cedrón. Più o meno negli stessi anni Walsh intensifica la propria attività politica al fianco della sinistra peronista rivoluzionaria e del gruppo dei Montoneros. Nel 1973, dopo una fase molto turbolenta della storia nazionale, il ritorno di Juan Domingo Perón in Argentina dopo un lungo esilio all’estero è visto – almeno da parte della sinistra peronista – come il possibile punto di partenza per una trasformazione socialista del paese. Come aveva detto più volte lo 18
stesso Walsh, senza girarci tanto intorno, nella storia del paese il conflitto peronismo-antiperonismo è sempre coinciso con il conflitto oppressi-oppressori. Ma, nel gran caos, la destra peronista la pensa diversamente, intravedendo nel ritorno in patria di Perón né più né meno che la possibilità di mantenere lo status quo e garantire una maggiore tranquillità a un paese in preda a cicliche convulsioni. Lo stesso anziano leader, tornato alla guida del governo dopo la breve fase di Hector Campora, non ha una posizione tanto dissimile. La contraddizione si acuisce mese dopo mese e diviene insanabile dopo la morte di Perón nel luglio 1974. Meno di due anni dopo, il 24 marzo del 1976, si insedia la giunta militare guidata da Videla. In quegli anni Walsh svolge un lavoro di intelligence al fianco del gruppo guerrigliero dei Montoneros, di cui comunque non condivide fino in fondo la svolta eccessivamente militarista. Dopo il golpe, apre una agenzia di stampa clandestina, “Ancla”, con il preciso compito di avviare una campagna di controinformazione che denunci i crimini del regime militare. I comunicati di Cadena informativa, alcuni dei quali appaiono anche in questa raccolta, sono decisamente più scarni rispetto ai reportage letterari scritti negli anni precedenti. E tuttavia, pur nella clandestinità, e con il costante pericolo di essere ucciso, Walsh svolge il proprio lavoro solitario con la precisione e il rigore 19
di sempre. Da mesi vive sotto falso nome, insieme alla compagna Lilia Ferreyra. Il 1976 è un anno molto duro. La primogenita, Vicki, anche lei militante montonera, muore in un conflitto a fuoco con l’esercito. Uno dei suoi migliori amici, Paco Urondo, si suicida per il terrore di essere sequestrato dai militari. Il 24 marzo del 1977, a un anno esatto dall’insediamento della Giunta militare, Walsh decide di rendere pubblica la Lettera aperta a cui lavorava da tempo. Così, con uno dei testi fondamentali della letteratura politica argentina del Novecento si conclude una parabola umana e intellettuale iniziata oltre vent’anni prima sulle tracce di un uomo miracolosamente scampato a una fucilazione. In fondo, i militari di José León Suárez non sono così diversi dagli aguzzini del commando GT 332 che l’indomani lo accoppano in un angolo di Buenos Aires. *** Sono passati quarant’anni dal golpe, trentanove dalla Lettera aperta e altrettanti dalla morte del suo autore, ed è impossibile non chiedersi che cosa rimanga di tutto questo. Quali sentimenti, quali riflessioni evoca oggi il nome di Rodolfo Walsh in Argentina e in tutto il continente latinoamericano? Innanzitutto c’è l’eredità del grande scrittore. 20
Walsh è ormai considerato parte integrante del canone argentino, e tutto il periodismo narrativo latinoamericano contemporaneo discende dall’intreccio tra letteratura e giornalismo che ha proprio in Operazione massacro e nei reportage contenuti in questo libro il suo terreno di coltura. Non solo, allargando il campo, si potrebbe dire che il “modello Walsh” è importante tanto quanto il “modello Wolfe” o il “modello Kapuscinski” o il “modello Aleksievic” nel definire una delle possibili strade della letteratura di non-fiction, anche nel XXI secolo. Tuttavia c’è anche un’eredità politica, e più specificamente giudiziaria. Alla metà degli anni ottanta, subito dopo il ritorno della democrazia, in Argentina vengono promulgati due provvedimenti, la Legge del Punto finale e la Legge dell’Obbedienza dovuta, che di fatto garantiscono un’ampia amnistia per chi sotto il precedente regime si è macchiato di crimini contro l’umanità. C’è chi ritiene che una democrazia così fragile, con alle spalle un terrore totalitario talmente esteso, possa andare avanti e non ricadere sotto una nuova dittatura, solo se non verrà avviata una spirale giudiziaria. Il bivio davanti al quale il paese è posto è quello tipico delle situazioni post-totalitarie. Tuttavia il colpo di spugna ha la conseguenza di generare un rapporto schizofrenico con la verità. Con la pressoché unica eccezione della condan21
na del generale Camps e di alcuni altri ufficiali per le torture inflitte a un gruppo di studenti delle scuole superiori (la vicenda è ricostruita in La notte dei lapis di María Seoane e Héctor Ruiz Núñez), non è stato possibile accertare le responsabilità penali dei crimini politici degli anni settanta e dei primi ottanta. La campana di vetro viene rotta solo nel XXI secolo, sotto le presidenze di Nestor e Cristina Kirchner. Definite incostituzionali entrambe le leggi che regolavano il rapporto con il passato, nel 2005 possono finalmente iniziare i processi contro gli aguzzini. Il processo più importante riguarda proprio il campo di sterminio dell’Esma. La sentenza viene pronunciata il 26 ottobre del 2011: vengono condannati al carcere a vita dodici torturatori dell’esercito e della marina. In particolare, vengono condannati gli ufficiali Jorge Acosta, detto “El Tigre”, e Alfredo Astiz, soprannominato “l’angelo della morte”. I due principali casi su cui si fonda la sentenza sono l’uccisione di un gruppo di suore e di madri di Plaza de Mayo (con cui lo stesso Astiz era entrato in contatto, facendosi passare per il fratello di una desaparecida) e il sequestro di Rodolfo Walsh. La morte di Walsh, la soppressione cioè della penna più acuta e libera nel momento in cui la dittatura scatenava tutta la sua furia, è diventata – udienza dopo udienza – la pietra di paragone di tutti gli altri crimini perpetrati tra le mura del lager della Marina 22
militare, di tutte le urla rimaste inascoltate, di tutti i corpi percossi, seviziati, dilaniati nel silenzio degli scantinati. Il giorno della sentenza, davanti al tribunale federale, si è radunata una folla che alzava tra le mani una foto riprodotta in decine di copie. Quella foto a colori, su sfondo celeste, ritraeva il volto di Rodolfo Walsh: gli occhiali neri dalla montatura spessa, lo sguardo vigile sopra un sorriso lieve, appena accennato. C’erano anche molti ragazzi. “Rodolfo vive!”, ha gridato qualcuno. Già, Rodolfo vive.
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