Piccoli grandi filosofi • Estratto

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Giusi Capizzi

Nata a Roma, ma siciliana ormai da sempre, ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Catania dove vive e lavora. Illustra libri per bambini e come molti ha iniziato per allietarne solo uno: il suo! Ma nel frattempo è cresciuto e così ha pensato di allietarne tanti altri. Ha collaborato con alcune riviste specializzate per l’infanzia e ha pubblicato con diverse case editrici italiane ed estere. La verità? È che forse si diverte un mondo anche lei.

Rousseau, Kant, Marx, Wittgenstein: quattro colossi della filosofia studiati, commentati, spesso fraintesi, comunque ricordati in tutto il mondo, e qui raccontati dalla penna arguta e originale di Emiliano Di Marco che – aiutato dalle illustrazioni di Giusi Capizzi – riesce a condurci nell’ultimo tratto di storia della filosofia, facendoci appassionare alle loro idee, dandoci l’opportunità di conoscerli in tutta la loro umanità e persino di porci le loro stesse domande.

ISBN Dai 9978-88-98519-23-1 anni € 17,00 ISBN 978-88-98519-23-1

9 788898 519231 www.lanuovafrontierajunior.it

Piccoli grandi filosofi

Toscano d’origine e d’accento, esperto di filosofia, storia e bistecca alla fiorentina. Da piccolo scriveva storie per grandi, ora che è diventato grande ha deciso di scrivere storie per piccoli. Si è laureato in filosofia a Firenze, ma vive e lavora a Roma. Con la casa editrice La Nuova Frontiera ha pubblicato, oltre alla serie “Piccoli storici”, la collana “Storie per piccoli filosofi”, “Il mio primo libro di filosofia”, “Quattro passi nella filosofia” e “Attivamente”. Insieme ad Armando Massarenti è autore di un manuale di filosofia per le scuole dal titolo “Filosofia: sapere di non sapere. Le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del pensiero”.

Emiliano Di Marco

Emiliano Di Marco

Emiliano Di Marco illustrazioni di Giusi Capizzi

«Beh, tutti i filosofi sono stati bambini. E tutti i bambini sono stati filosofi: hai presente quelle domande strane che fai e a cui nessuno sa risponderti? Quella è la filosofia.»


Nella stessa collana Il mio primo libro di filosofia Quattro passi nella filosofia

A Nicola, il mio piccolo grande filosofo preferito, e a Cindy, per avermi aspettato quando ero lontano.

Š laNuovafrontiera 2015 Via Pietro Giannone, 10 - 00195 Roma www.lanuovafrontierajunior.it info@lanuovafrontierajunior.it ISBN 978-88-98519-23-1


Emiliano Di Marco illustrazioni di Giusi Capizzi



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uesta storia parla di un ragazzo che rimase chiuso fuori di casa, ma in realtà parla anche di molto altro. Inizia una sera di mar-

zo di tanti anni fa, anche se forse inizia molto prima. Comunque sia, non è facile essere certi di quando inizi, di sicuro si può dire che, quasi trecento anni dopo, non è ancora finita. Ma andiamo con ordine. C’era una volta, e c’è ancora, una bellissima città che si chiama Ginevra. Sorge sulle sponde di un lago che si chiama Lemano, nelle cui acque sfocia il grande fiume Rodano che scende giù dai ghiacciai delle Alpi e nel suo percorso verso il caldo Mediterraneo passa per la Svizzera. Trecento anni fa, Ginevra era chiusa da alte mura per difendersi dai nemici e circondata da colline coperte da folti boschi che cingevano il lago.


Il 14 marzo 1728, un ragazzo si aggirava sotto quegli alberi maestosi, girovagando con le tasche vuote, lo stomaco che brontolava e la testa confusa. Era un bel ragazzo ed era molto intelligente, ma la sua fortuna finiva più o meno lì. Era nato quasi sedici anni prima, il 28 giugno del 1712, in quella città che adesso si stendeva ai suoi piedi, immobile e sonnacchiosa come un grasso gatto sdraiato su una poltrona. La sua mamma, che si chiamava Susanne, era morta nove giorni dopo a causa di ciò che all’epoca si chiamava “febbre puerperale”, che altro non era che un modo molto difficile per dire che a quei tempi mettere al mondo un bambino era davvero pericoloso e tantissime donne morivano proprio per questo motivo. Il ragazzo fu allevato insieme al fratello maggiore François dal padre e da una zia. Il papà si chiamava Isaac e, come tanti svizzeri allora e come tanti ancora oggi, faceva l’orologiaio. Papà Isaac non era molto ricco, ma sapeva leggere e scrivere; per di più, Ginevra a quei tempi era l’unica città al mondo dove i bambini dovevano andare a scuola proprio come oggi. Appena il bambino imparò a leggere, passavano insieme intere nottate con i libri che gli aveva lasciato la mamma e che parlavano d’amore; quando li finirono, iniziarono a prenderne in prestito altri che il piccolo leggeva ad alta voce mentre il papà lavorava tra ingranaggi e lancette. Fu così che il nostro ragazzo crebbe senza molti soldi ma con tante letture: oltre alla Bibbia che gli facevano leggere a scuola, il papà la sera gli faceva leggere le

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commedie di un grande autore chiamato Molière e soprattutto le opere di uno scrittore greco chiamato Plutarco, che nel libro Le vite parallele raccontava le avventure di grandi personaggi greci e romani. Il ragazzo rimase stregato da tutti quei racconti meravigliosi, soprattutto dalle narrazioni degli Spartani, che abitavano in una città governata dal consiglio degli anziani proprio come era Ginevra a quei tempi. A lui piaceva soprattutto che quegli uomini vissuti tanti secoli prima fossero diventati famosi lottando per il bene della propria patria, difendendola a tutti i costi e contro tutti i nemici: come gli diceva il suo papà , erano diventati immortali morendo per difendere ciò che amavano e non avevano mai piegato la testa di fronte a nessuno. Ed era cosÏ che il ragazzo voleva vivere: a testa alta davanti a tutti i ne-

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mici, proprio come gli Spartani. Ma anche il suo papà gli sembrava un grande eroe, quando gli raccontava storie come quella di re Leonida che aveva fermato milioni di nemici con solo trecento soldati o come Muzio Scevola che si era bruciato una mano tenendola sopra il fuoco senza versare nemmeno una lacrima per salvare Roma, la sua città. Il papà poi gli raccontava spesso della mamma, di come si erano incontrati e di quanto si erano voluti bene, di come i nonni non volessero che si sposassero perché pensavano che papà Isaac non fosse abbastanza ricco per la loro adorata figlioletta. E per dimenticarla, lui era andato addirittura dall’altra parte del mondo, in una città tanto grande e strana che aveva due nomi: Istanbul, come la chiamava chi ci abitava, o Costantinopoli come diceva il papà. Lì aveva fatto l’oro-

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logiaio per un re molto potente, che si chiamava Sultano, aveva un grande impero, parlava una lingua stranissima e non credeva nemmeno nel loro stesso Dio (anche se secondo papà Isaac, alla fine non c’era tutta questa differenza). E lì aveva visto animali stranissimi che a Ginevra non c’erano, aveva mangiato piatti piccanti da bruciare la lingua, e aveva fatto mille altre cose incredibili; ma siccome era troppo innamorato della mamma, alla fine nonostante gli avessero offerto tanti soldi lui aveva deciso di tornare a Ginevra. La mamma nel frattempo, anche se aveva tante persone che le facevano la corte, lo aveva aspettato continuando sempre a pensare a lui, e i nonni alla fine dovettero cedere di fronte a tanto amore e acconsentire alle nozze. Era una favola bellissima, peccato che non finisse con “vissero tutti felici e contenti”, perché la mamma non era più con loro. Mentre raccontava queste storie il papà a volte rideva perché si ricordava tutte quelle avventure, e a volte piangeva perché la donna che aveva amato così tanto non era più con loro. Tante volte dopo essersi asciugato le lacrime papà Isaac diceva una cosa, che rimase sempre nella testa del suo figlioletto: «E tutte queste storie, sia quelle dei Greci e dei Romani sia la mia, ti insegnino una cosa: tutto l’oro del mondo non può comprare né un po’ di coraggio, né un briciolo di bontà e meno che mai un grammo di amore di quello vero come c’era tra me e la mamma. L’amore e la tua parola sono le cose più preziose del mondo, non l’oro. Un sacco di

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persone ti racconteranno fandonie su quanto i soldi siano importanti, ma tu non dargli mai retta.» Era come un’altra favola, che padre e figlio scrivevano ogni giorno insieme, con la mamma che era sempre tra loro come se fosse un’invisibile fata buona. Purtroppo però, anche quella fiaba non era destinata a un lieto fine. Successe infatti che un brutto giorno papà Isaac litigò con un signore molto antipatico ma molto ricco, e gli tirò un pugno. L’altro allora lo accusò di aver estratto una spada, anche se non era vero, perché per un gesto simile sarebbe finito in galera. Il papà, pur di non dover chiedere scusa ingiustamente per far ritirare la denuncia, decise che avrebbe abbandonato la città e affidò il figlio agli zii. Era forse quello che avrebbe fatto Leonida o Muzio Scevola, ma tutto questo non faceva sentire meglio il bambino. Il suo papà, che era il più grande eroe della terra, se ne andava via e non ci sarebbero state nottate piene di libri e racconti meravigliosi. E poi andando via era come se portasse con sé tutti i ricordi della sua mamma. Mentre il fratello François, che era più grandicello, si mise a lavorare come apprendista senza molto successo, e qualche tempo dopo lasciò la città, il nostro piccolo e sfortunato eroe alla fine fu affidato a un pastore protestante che si chiamava signor Lambercier e che viveva in campagna. Qui visse felice assieme a suo cugino Bernard, che divenne un suo

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grande amico. Ma – cosa ancora più importante – fece la conoscenza di Jean, che era molto buono, anche se un po’ ingenuo, ed era sempre allegro. Jean adorava la natura, e la fece amare anche al nostro eroe: era incredibile come tutto fosse pieno di bellezza, dai tramonti ai fiori, persino le cose che agli altri sembravano schifose come gli insetti e i topi. Jean poi sembrava il compagno perfetto: essere buono gli veniva semplice e spontaneo, proprio come correre e respirare. Era come se non ci fosse mai bisogno di chiedergli di fare qualcosa, perché lui l’avrebbe fatta lo stesso e senza nemmeno pensarci. «Ma come fai?» gli chiedeva a volte.

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Giusi Capizzi

Nata a Roma, ma siciliana ormai da sempre, ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Catania dove vive e lavora. Illustra libri per bambini e come molti ha iniziato per allietarne solo uno: il suo! Ma nel frattempo è cresciuto e così ha pensato di allietarne tanti altri. Ha collaborato con alcune riviste specializzate per l’infanzia e ha pubblicato con diverse case editrici italiane ed estere. La verità? È che forse si diverte un mondo anche lei.

Rousseau, Kant, Marx, Wittgenstein: quattro colossi della filosofia studiati, commentati, spesso fraintesi, comunque ricordati in tutto il mondo, e qui raccontati dalla penna arguta e originale di Emiliano Di Marco che – aiutato dalle illustrazioni di Giusi Capizzi – riesce a condurci nell’ultimo tratto di storia della filosofia, facendoci appassionare alle loro idee, dandoci l’opportunità di conoscerli in tutta la loro umanità e persino di porci le loro stesse domande.

ISBN Dai 9978-88-98519-23-1 anni € 17,00 ISBN 978-88-98519-23-1

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Toscano d’origine e d’accento, esperto di filosofia, storia e bistecca alla fiorentina. Da piccolo scriveva storie per grandi, ora che è diventato grande ha deciso di scrivere storie per piccoli. Si è laureato in filosofia a Firenze, ma vive e lavora a Roma. Con la casa editrice La Nuova Frontiera ha pubblicato, oltre alla serie “Piccoli storici”, la collana “Storie per piccoli filosofi”, “Il mio primo libro di filosofia”, “Quattro passi nella filosofia” e “Attivamente”. Insieme ad Armando Massarenti è autore di un manuale di filosofia per le scuole dal titolo “Filosofia: sapere di non sapere. Le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del pensiero”.

Emiliano Di Marco

Emiliano Di Marco

Emiliano Di Marco illustrazioni di Giusi Capizzi

«Beh, tutti i filosofi sono stati bambini. E tutti i bambini sono stati filosofi: hai presente quelle domande strane che fai e a cui nessuno sa risponderti? Quella è la filosofia.»


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