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Foto by Enrico Appiani
N° 1 - Gennaio 2016 - Mensile di attualità, cultura e storia di Treviglio e Gera d’Adda
Dalla ciclabile non esci senza rischiare
Giovani cervelli che non fuggono
La tangenziale Sud è indispensabile
Viale Piave super congestionato ISLAMISMO Dopo le polemiche, uno sguardo più ampio sui vari aspetti della mancata integrazione musulmana
Basket: ecco Adriano Vertemati
ISLAMICI Per contro, testimonianze di giovani che si sono integrate e vivono la loro vita in Italia con serenità Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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2 - la nuova tribuna - Gennaio 2016
&
l’Editoriale
Un commissario e una manager
Pezzoni si dimette e arriva Alfredo Nappi, il Pd tra le polemiche, mentre Cesare Ercole lascia a Elisabetta Fabbrini la direzione dell’Azienda Ospedaliera di Treviglio e pianura
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l 2015 è stato un anno politicamente esplosivo per Treviglio, terminato il 22 Dicembre con le dimissioni del sindaco Beppe Pezzoni e in anticipo di sei mesi sulla data prevista. Evento causato da una “congiura di palazzo” nata all’interno del centro-destra che, alla ricerca di un punto debole, ha portato a scoprire uno scheletro nell’armadio di Pezzoni, una falsa laurea. Uno scontro interno nato dopo la candidatura del Sindaco di Treviglio alla presidenza della Provincia, in contrapposizione a quella di Matteo Rossi, esponente del Pd in trattativa con mezzani di successo riconducibili all’area neo-berlusconiana. Scheletro rimasto nel frigorifero delle redazioni dei giornali per un paio di mesi, tempo necessario per allestire una storia che giustificasse lo scoop, servito in realtà attraverso una lettera anonima. Una bomba che ha prostrato l’intera città, noi per primi che Pezzoni l’abbiamo conosciuto adolescente, dividendo Treviglio tra sconcertati, indignati e tricoteuses giacobine compiaciute e urlanti. Vicende che hanno innescato reazioni sconcertanti, amplificando le ambizioni di molti, fino all’esagerazione e al grottesco, tanto da ottenere una reazione popolare dall’effetto opposto. Questa situazione, teoricamente vincente per il Pd trevigliese, ha provocato contrapposizioni che in queste settimane stanno spingendo i vetero sessantottini nelle vicinanze di Erik Molteni, personaggio anti Renzi costruito in laboratorio, tra pozioni e veleni, dal gruppo del Cerchio Magico di Ariella Borghi e Daniela Ciocca. Fatto che oggi va a discapito di Laura Rossoni, moderata, quindi più vicina all’elettorato di Giorgio Gori e Matteo Renzi. Sullo sfondo dei fuochi artificiali del Pd sparati in pieno sole, l’incognita del Movimento Cinque Stelle e del suo candidato sindaco Emanuele Calvi (già Rifondazione Comunista), così come la candidatura di Gianluca Pignatelli, Forza Italia, che guida con toni
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Da sinistra l’ex sindaco Beppe Pezzoni, il Commissario Alfredo Nappi, il Direttore Generale dell’AO uscente Cesare Ercole, la sostituta Elisabetta Fabbrini, l’ex Direttore Generale dell’AO Andrea Mentasti
ben più grevi dei grillini l’opposizione agli amministratori uscenti suoi ex alleati. Questi ultimi, invece, rasserenati dal sondaggio “segreto” del Pd che li vede favoriti con un 65/70%, si sono messi sulla riva del fiume in attesa, consegnando l’Amministrazione Comunale nelle mani del commissario prefettizio Alfredo Nappi, che, trascorse alcune ore dall’insediamento il 24 Dicembre, ha rilasciato una dichiarazione a Treviglio.Tv: «Ad una prima analisi è apparsa, almeno a grandi linee, una bella realtà amministrativa, complessa ma avanzata, anche sotto l’aspetto tecnologico». L’altra novità di rilievo nella Bassa Bergamasca è rappresentata dal cambiamento dei vertici dell’Azienda Ospedaliera, dove il direttore generale Cesare Ercole ha dovuto passare la mano a Elisabetta Fabbrini, fiorentina, laureata in economia e commercio all’Università di Firenze, master in management delle aziende sanitarie e socioassistenziali all’Università Bocconi, già Direttore Amministrativo dell’Azienda Ospedaliera di Gallarate (2008/2011) e dell’ospedale di Busto Arsizio dall’inizio del 2011. Insomma, curriculum di tutto rispetto e un’eco positiva sul suo operato che ci ricorda un po’ quella che precedette Andrea Mentasti, ruvido e tutt’altro che il simpaticone che è Cesare Ercole, ma che ha lasciato a Treviglio dei risultati eclatanti e una sofferente nostalgia nella totalità del personale ospedaliero e dell’utenza. D’altronde il Diavolo si trova nei dettagli: Andrea Mentasti arrivava da Varese al lunedì mattina e se ne tornava dalla moglie e dal figlioletto il venerdì sera, trascorrendo la notte in una cameretta destinata al cappellano. Cesare Ercole, quotidianamente, arrivava e tornava a Broni (Pavia) in Mercedes e con l’autista, non certo in orari complicati. Altra nota, la Fabbrini, come Mentasti, non viene dalla politica dell’immaginifica Seconda Repubblica ma dalla vita vera, …e questo è un dettaglio che ci fa ben sperare, anche se l’anno è bisestile. Insomma, tutto sommato la nebbia sembra si stia alzando e l’angelo custode che protegge Treviglio dalla fondazione della Gera d’Adda sembra vivo, vegeto e attento. Lunga vita dunque al cherubino nostro custode, auguri di ogni bene ai nostri preziosi lettori e ai fantastici redattori, anima pulsante e pensante de “la tribuna”. il Direttore Da sinistra i candidati sindaci: Emanuele Calvi (M5S), Erik Molteni e Laura Rossoni (Pd), la “sponsor” di Molteni, Ariella Borghi e il presidente della Provincia Matteo Rossi (Pd)
Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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il Sommario
Foto by Enrico Appiani
Autorizzazione Tribunale di Bergamo n° 23 dell’8 Agosto 2003 Anno 2 - n° 1 - 1 Gennaio 2016
06-07 Enea Bagini, sindaco in prima linea. Il rischio degli euro solidali (Ivan Scelsa); 09
Esempi di Islam integrabile (Ivan Scelsa);
10
Benefici più grandi se l’A35 fosse gratis (Daniela Regonesi);
11
Il 2016 l’anno giusto per la superstrada? (Città dell’Adda);
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Perché la tangenziale sud è urgente (Città dell’Adda). Come si è costruita l’idea di proporre questa arteria (Roberto Fabbrucci);
13
Sottopasso e ciclabile che non servono (Ezio Bordoni);
14-15 Dalla ciclabile non esci senza rischiare (Lucietta Zanda). Il ponticello della discordia (Diego Defendini);
32-33 Giovanni Maria Bicetti de Buttinoni (Elio Massimino); 34-35 Muore Verdi, è il gennaio del 1901 (Hana Budišová). I legami della lirica verdiana con Treviglio (Roberto Fabbrucci). La storia di un sogno (Maria Palchetti Mazza); 37
Grechi: “la musica barocca che rivive” (Cristina Signorelli);
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Ecco lo “Spazio Benessere” (Cristina Signorelli);
41-41 Il vizio dell’Arte (Federico Fumagalli); 42-43 Museo: le opere nascoste in mostra (Cristina Signorelli). Ritratto di Miss Grace Henshaw (Gli Amici del Chiostro); 44-45 Gli anni di Valerio, zio Gianni e Carlo (Daniela Invernizzi);
La Casa di Alti formaggi (Cristina Signorelli);
46-48 Facheris: tappezziere per 40 anni (Carmen Taborelli);
17-19 Una spesa consapevole (Daniela Invernizzi);
48-49 La sanità nel dopoguerra (Roberto Fabbrucci);
20-21 Olio e pistoni: storia dell’officina Terzi. (Ivan Scelsa);
50-51 Il tram del bel tempo che fu… (Marco Carminati);
22-23 Cervello tutt’altro che in fuga (Daniela Regonesi);
52-53 Il Tango Argentino: “Andare a milongar”(Cristina Signorelli);
24-25 L’albero del mandarino parla cinese (Ivan Scelsa). Nds: il Made in Italy a Shanghai (Daria Locatelli);
54-55 Sempre più in alto, anche oltre confine (Tienno Pini);
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26-27 Insegnando a salvare una vita. Tante attività per farci stare bene (Daniela Regonesi). Diabete: un bicchiere di vino, se buono, fa bene (Angelo Sghirlanzoni); 29
Cambio della guardia al Soroptimist (Maria Palchetti Mazza);
30-31 Il trevigliese Verga visitò Manzoni. Come Andrea Verga conobbe Manzoni (Angelo Sghirlanzoni). Carlo Pizzetti fondatore dell’Avis di Treviglio (Giorgio Vailati);
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56-57 Amare gli animali e farne un mestiere (Lucietta Zanda); 58-59 Adriano Vertemati, fatti non parole (Domenico Durante);
Editore: “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 Amministratore Marco Daniele Ferri amministrazione@lanuovatribuna.it REDAZIONE Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci direzione@lanuovatribuna.it Coordinamento Daniela Invernizzi, Daniela Regonesi Redazione Daniela Invernizzi, Daniela Regonesi Ivan Scelsa, Cristina Signorelli, Carmen Taborelli, Lucietta Zanda Collaborano Ezio Bordoni, Silvia Bianchera Bettinelli, Hana Budišová, Marco Carminati, Diego Defendini, Domenico Durante, Fabio Erri, Beppe Facchetti, Niall Ferri, Federico Fumagalli, Paolo Furia, Daria Locatelli, Gabriella Locatelli Serio, Silvia Martelli, Elio Massimino, Maria Palchetti Mazza, Luciano Pescali, Chiara Severgnini, Stefano Pini, Tienno Pini, Leonardo Ravazzi, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio Vailati, Ezio Zanenga Ufficio commerciale Roberta Mozzali commerciale@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 - Cell. 338.1377858 Fotografie e contributi: Enrico Appiani Foto Attualità, Tino Belloli, Virginio Monzio Compagnoni
60-61 I mitici eroi bianco celesti (Leonardo Ravazzi);
Altre collaborazioni: Laura Borghi, Giulio Ferri, Ugo Monzio Compagnoni, Paola Picetti, Antonio Solivari, Franca Tarantino, Romano Zacchetti
62-63 Coppi: un fenomeno sportivo, sociale… (Ezio Zanenga);
Stampa: Laboratorio Grafico - Via dell’Artigianato 48 Pagazzano (BG) - 0363 814652
64-65 Lettere al Direttore – Controcanto: L’inverno in sospeso (Stefano Pini); 66
La vignetta di Juri Brollini.
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Zingonia/L’accoglienza e il degrado
Enea Bagini, sindaco in prima linea di Ivan Scelsa
Dal progetto visionario dell’architetto Renzo Zingone, al degrado inarrestabile degli ultimi lustri. Il costante impegno del Sindaco di Ciserano per la rinascita. La drammatica gestione dei condomini Anna e Athena
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ingonia, una terra di nessuno divisa tra i comuni di Boltiere, Ciserano, Verdello, Verdellino e Osio Sotto. Un’area oggi profondamente degradata, il cui presidio è particolarmente difficile per la rete viaria che intorno ad essa si è sviluppata e per le opportunità offerte dal territorio in cui è nata. Del progetto avveniristico nato nel 1963 dall’intuito dell’architetto romano Renzo Zingone, dopo cinquant’anni, quasi nulla resta se non le macerie. Il progetto di Zingonia ipotizzava circa 50 mila abitanti: doveva essere dotata di un eliporto ed essere un porto franco capace di congiungere il naviglio milanese a Bergamo, guardando agli scambi commerciali sull’asse Venezia-Trieste. Lo è stato solo in parte. Nata per sconfiggere il pendolarismo, infatti, prestissimo divenne meta dell’emigrazione meridionale che, col tempo, ha lasciato il posto alla popolazione straniera, spesso clandestina. Il suo aspetto da area metropolitana è di fatto la concretizzazione di una periferia senza un centro, classico esempio di quell’utopia razionalista che fu degli anni Sessanta. Per lo più protagonista delle cronache per i suoi traffici illeciti - dallo spaccio di sostanze stupefacenti alla prostituzione - oggi è contornata da attività commerciali gestite da cittadini extracomunitari che si mescolano alle piccole realtà artigiane ancora operanti ai suoi margini.
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All’importante attività di controllo e contrasto posta in essere in quest’area dai Carabinieri della Compagnia di Treviglio e dal personale della locale Stazione di Zingonia, si somma quella dell’amministrazione comunale di Ciserano e del suo Sindaco Enea Bagini, da sempre, instancabilmente, impegnato per il rilancio dell’area. E la gestione delle problematiche connesse ai condomini Anna e Athena (208 appartamenti, 40 box e 17 attività commerciali) rappresenta al meglio l’impegno fattivo e possibile dell’amministrazione pubblica. Signor Sindaco, come procedono le ope-
A sinistra e sotto immagini del degrado di Zingonia, sopra il sindaco di Ciserano Enea Bagini
razioni per gli espropri nell’area di sua competenza? «Ottenuto il riconoscimento di pubblica utilità dell’opera di esproprio per i due complessi, prosegue l’impegno per l’acquisizione di spazi residenziali e commerciali (attualmente 68 appartamenti, 11 garage ed il 25% delle attività) con ulteriori 33 aste fissate tra lo scorso dicembre e la metà di questo mese. A ben 7 di queste aste, poi, concorre anche l’istituto Aler Bergamo, interessato alle acquisizioni dei lotti, e che si occuperà della futura ricollocazione delle famiglie aventi diritto in nuovi appartamenti offerti a canone sociale. L’impegno è quello di ricollocare ben 183 residenti (ulteriori 64 residenti sono già stati cancellati dall’anagrafe per irreperibilità) ed eliminare oltre un centinaio di abusivi tuttora persistenti in precarie condizioni sanitarie». Parliamo dell’’iter amministrativo, come avviene? «Il Consiglio Comunale ha deliberato la dichiarazione di pubblica utilità dell’ambito di riqualificazione denominato ‘ARU01’. Attualmente sono state spedite circa 200 raccomandate con ricevuta di ritorno ai proprietari degli immobili per comunicare la decisione. L’iter di notificazione terminerà a fine mese e a febbraio procederemo con l’emissione dei decreti di esproprio con la relativa indennità provvisoria». Quale il nuovo progetto per il recupero di Zingonia? «Come da progetto iniziale dell’area, al posto delle unità abitative esistenti, sorgeranno nuovi spazi commerciali, direzionali e destinati al settore terziario a cui l’area è per sua conformazione orientata. L’amministrazione segue con particolare attenzione la problematica dei condomini Anna e Athena e ci auguriamo che gli spazi recuperati possano tornare fruibili e sicuri per la collettività e le aziende del territorio da sempre votato all’eccellenza e all’offerta di nuovi posti di lavoro».
Treviglio/Terroristi italiani indigenti
Il rischio degli euro solidali di Ivan Scelsa
La politica dei contributi ai nuclei familiari indigenti ed il rischio di aiutare chi non ha diritto, o addirittura...
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alla strage di ‘Charlie Hebdo’ in poi, il problema delle migliaia di foreign fighters partiti da tutta Europa alla volta del califfato per arruolarsi tra le file dell’Isis ha sempre più monopolizzato le prime pagine dei giornali. E la capacità dei vertici dell’organizzazione di reclutare e ridistribuire i volontari è ormai parte integrante del quadro emerso anche da un’indagine della Procura di Milano, al centro della quale ruota la contraddittoria figura di Maria Giulia - Fatima - Sergio, la prima donna italiana che, con il marito Aldo Kobuzi, ha abbracciato la
causa dei terroristi islamici partendo alla volta della Siria. Uno scenario, questo, che per l’Autorità Giudiziaria delinea inequivocabilmente il ruolo assunto dalla donna ed i suoi fiancheggiatori. Ma questa vicenda ha dei risvolti anche in ambito locale. Come è noto, l’unione dei coniugi ribelli era stata celebrata nella moschea di Treviglio il 17 settembre 2014 e ad essa avevano partecipato anche invitati e parenti residenti in Città, tra cui i coniugi Dritan e Lubjana Gjecaj. Senza entrare nel merito della vicenda giudiziaria, dobbiamo sottolineare come i due - che sembrerebbe avessero dato ospitalità ad alcuni parenti giunti per le celebrazioni - pur avendo avuto un ruolo marginale, erano stati oggetto di attenzione delle autorità tanto quanto dell’opinione pubblica, che si era a lungo interrogata su vari aspetti della vicenda. Ne era scoppiata anche una vibrante polemica politica, poiché a quel nucleo familiare il Comune aveva versato dei contributi per un importo totale di 3.165 euro. Divenne quasi d’obbligo, quindi, chiedersi quali fossero state le verifiche effettuate sugli effettivi stati di indigenza prima di assegnare il sostegno economico. Il sindaco Giuseppe Pezzoni aveva replicato precisando come i contributi erogati a favore della signora Gjecaj - residente a Treviglio dal novembre 2010 - erano stati dati nel 2011 per
Maria Giulia - Fatima - Sergio, la prima donna italiana che, con il marito Aldo Kobuzi, ha abbracciato la causa dei terroristi islamici partendo alla volta della Siria
il pagamento delle bollette del gas (365,33 euro) e nell’agosto 2011 (1.200 euro) per il pagamento del canone d’affitto. Il mese successivo la signora era diventata madre di un secondo figlio, mentre il marito aveva acquisito la residenza solo dal mese di agosto 2013. Nel 2014, poi, il Comune, per evitare uno sfratto incombente, aveva versato un ulteriore contributo quale sostegno alle spese d’affitto per un importo di 1.600 euro con quietanza diretta ai creditori. Oggi più che mai, con la crescente richiesta di alloggi, interrogarsi sulle logiche dell’erogazione di questi contributi è sempre più una priorità. Cosa dovranno valutare i Sindaci? Quali criteri dovranno regolare l’assegnazione degli immobili a canone agevolato? Sarà sufficiente prendere in esame un’autocertificazione o si dovranno attivare una serie di effettivi controlli, magari tramite autorità dei paesi d’origine, circa il possesso dei requisiti essenziali per l’erogazione del benefit? E magari chiedersi come evitare di assegnarli anche a chi non ha diritto, soprattutto se abituale conducente di una poco parsimoniosa vettura tedesca.
Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Islam/Testimonianze nella Gera d’Adda
Esempi di Islam integrabile
A sinistra Samah Saati, libanese nata e cresciuta in Italia, sotto Fatima El Ftouhi, ha invece lasciato il Marocco all’età di 13 anni
di Ivan Scelsa
Samah e Fatima, giovani esempi al femminile di una cultura integrata nella società aperta al futuro
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i sono esempi di integrazione che vanno ben oltre la semplice apparenza. Abbandonato lo stereotipo del musulmano cui siamo abituati a pensare, c’è un mondo da scoprire e valutare con cognizione di causa. Una realtà di cui poco si parla, fatta di uomini e di donne perfettamente integrate nel nostro tessuto sociale, rivestono ruoli e posizioni guadagnati con fiducia e competenza. La storia di Samah Saati è una di queste. Una ragazza nata e cresciuta in Italia da genitori libanesi trasferitisi a Roma, dopo che il padre aveva vinto una borsa di studio in medicina all’Università La Sapienza e alla scelta della madre di raggiungerlo per creare qui una famiglia. «Entrambi - dice Samah - hanno imparato la lingua, le usanze del nostro paese e la nuova cultura, senza mai dimenticare le loro origini, cercando di far integrare il tutto e mantenendo gli aspetti che credevano migliori. Ora si sentono di appartenere a due Paesi e i legami che si sono creati sono autentici in entrambe i posti». Samah, seguendo i loro insegnamenti, si è laureata in scienze politiche, sempre a Roma, e lavora da quasi 10 anni in aeroporto per conto di una multinazionale operante nel campo della cosmetica. Parla correttamente quattro lingue, tra cui l’arabo, e dalle sue parole capiamo quanto apprezzi il confronto, soprattutto culturale. «Dove lavoro - prosegue - una minima parte del personale è italiano, ma le religioni professate sono diverse. Sono idee e usanze diverse ma non esiste religione che dica di uccidere, non esiste Dio che giustifichi un omicidio e soprattutto è da stolti voler giustificare la follia con una religione». Cosa pensi dei recenti attentati che hanno colpito l’Occidente? «Di persone esaltate ne esistono tante, e al di là di quello in cui credono vanno fermate. Sia dove vivo che dove lavoro tutti conoscono la mia estrazione culturale ed il mio credo. E il mio modo di comportarmi davanti ad una situazione presa in analisi è lo stesso di quello di qualsiasi altra persona di diversa religione. L’integrazione dovrebbe essere quel “più” che ci si porta con sé e che ci rende completi. Dovrebbe
aprire le menti e dare la possibilità a chi è di un determinato territorio di poter arricchire la propria cultura. Integrare non è pretendere, non è dover aver tutti la stessa idea. Integrare vuol dire scoprire qualcosa di diverso colmando le proprie lacune e raccogliendo il meglio dal diverso». Cosa ci avvicinerà ad una vera integrazione? «Di fondamentale importanza credo sarà la capacità di non “ghettizzare” le persone in un solo territorio. Se persone di stessa estrazione culturale vengono localizzate e confinate, non hanno alcuna possibilità di interagire e di confrontare le proprie diversità con la popolazione autoctona e rimarranno convinte di avere una giusta percezione della realtà anche quando non è così. Non si può fare di tutta l’erba un fascio e possono esistere persone
giuste o meno. Ma questo va al di là della religione e della provenienza». Affrontiamo lo stesso argomento con Fatima El Ftouhi, classe 1986, che invece ha lasciato il Marocco all’età di 13 anni. La sua famiglia ha sempre vissuto a Vaprio d’Adda, cittadina a cui è molto legata e dove ha proseguito gli studi e coltivato amicizie. Dopo aver lavorato per alcune piccole attività commerciali locali per dare sostegno all’economia familiare, nel 2010 entra a far parte di una nota catena di negozi di erboristeria come addetta ai punti vendita dei centri commerciali di Bellinzago, Busnago e, più recentemente, di Treviglio. Fatima è una ragazza diretta, schietta e grintosa. Parlandole capisci come la vita le abbia insegnato ciò che è giusto e ciò che non lo è. E dalle sue parole traspare una saggezza ed una determinazione che va ben oltre le aspettative. Fatima, tu sei musulmana, vero? «Lo sono. Non credo nell’integralismo religioso e non sono praticante. Per intenderci, non frequento le moschee e non indosso il burqa. Conosco il Corano ma vesto all’occidentale. Sono cresciuta e diventata donna in Italia, seguendo la cultura locale. Ho studiato la lingua italiana anche grazie alla tecnologia, all’uso del telefono cellulare e della sua funzione T9 tanto in voga negli apparecchi di vecchia generazione. E questo mi ha consentito di apprenderne la grammatica e la sintassi». Perché ci tieni a sottolineare di non essere integralista? «Le vicissitudini della vita mi hanno insegnato molte cose. Ho capito da sola ciò che è giusto o sbagliato, contando sempre e solo sulle mie forze, con sacrificio e costanza. Sono appassionata di scienze e, come sappiamo tutti, scienza e religione non vanno molto d’accordo. Al contrario la mia famiglia, e soprattutto quella di mio marito, sono molto più conservatrici. Non gliene faccio una colpa, sia chiaro, non sono nati e cresciuti in Italia ma ci sono arrivati ad età adulta. E questo è un limite. La famiglia patriarcale, come viene concepita nelle comunità islamiche, non fa per me: saremo sempre io e mio marito Soufiane a decidere del nostro futuro e della nostra famiglia». Appunto. Noto che sei in dolce attesa. «A breve nascerà Nora, nostra figlia. Le insegnerò la differenza tra bene e male. Le parlerò delle nostre tradizioni e della nostra religione. Ma sarà lei a scegliere e decidere. Frequenterà l’asilo ed interagirà con gli altri bambini secondo la cultura e le usanze locali. Solo così sarà davvero integrata». Sul prossimo numero la storia di Ivan Cela, tra i primi albanesi sbarcati con un gommone, oggi marito e padre felice, cuoco di punta del Cavallino di via Torquato Tasso
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Infrastrutture/Opinioni & Commenti
Benefici più grandi se l’A35 fosse gratis a cura di Daniela Regonesi
Nonostante i modesti livelli di traffico e i costi di realizzazione superiori a quelli preventivati, la nuova autostrada Milano- Brescia genera benefici netti alla collettività. Parola di Marco Ponti
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i proponiamo una sintesi dell’analisi proposta da “lavoce.info”, rivista on-line nata nel luglio 2002 per informare e offrire uno strumento di approfondimento, la cui ambizione è “essere competenti nella critica, provocatori nei contenuti ed equilibrati nelle proposte”. A scriverla è l’architetto Marco Ponti, classe 1941, un curriculum di consulente per la Banca Mondiale nei trasporti, docente di economia al Politecnico di Milano, consulente di ministri dei trasporti e economici, imprenditore, responsabile di un gruppo di ricerca internazionale sulla regolazione economica dei trasporti e collaboratore della Commissione Europea. Il suo scritto, pubblicato il 3 novembre 2015, ha l’obiettivo di «verificare gli aspetti economici dell’opera, una volta realizzata con costi finanziari assai superiori a quelli previsti all’inizio –circa 1,6 miliardi (2,4 miliardi compresi gli oneri finanziari) contro gli iniziali 0,7 degli studi di fattibilità, diventati 1,2 nel 2005 a valle delle procedure di valutazione e approvazione del progetto definitivo– e traffici assai inferiori (15mila veicoli al giorno circa nel 2015) rispetto ai 40mila dichiarati fino a poco tempo fa sul sito web della Brebemi)». Il docente ha proposto un’analisi costi-benefici ex-post, basata su un collaudato modello di traffico per la Lombardia e su parametri e assunzioni usate
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sulla manualistica della Commissione europea. Due sono i criteri di giudizio a cui si ricorre per valutare la fattibilità di un progetto. Il primo è il Valore attuale netto (Van), pari alla differenza attualizzata tra benefici e costi. Il secondo è il Saggio di rendimento interno economico (Srie), che costituisce una stima della redditività del progetto; quindi, tanto maggiore è lo scarto tra Srie e saggio di attualizzazione utilizzato per il calcolo del Van, tanto maggiore è la redditività del progetto. Nonostante prudentemente si sia assunto che il traffico attuale cresca molto poco nel tempo (+0,25% per i veicoli leggeri e +1% medio annuo per quelli pesanti), il Van è risultato pari a 159 milioni di euro, vale a dire che l’investimento è conveniente dal punto di vista economico e finanziario. Inoltre l’analisi proposta ha calcolato uno Srie pari al 4 per cento, superiore alla soglia raccomandata dalla Commissione europea. «L’analisi ci dice che pur con costi molto più elevati di quelli previsti all’inizio e traffici inferiori alle previsioni, anche a causa della sopravvenuta crisi, il risultato dell’investimento è positivo, cioè si tratta di un investimento che genera benefici netti alla collettività», scrive l’autore. Ma quali sono questi benefici? Innanzitutto la riduzione, per quanto modesta, della congestione sull’autostrada A4 ma soprattutto il miglioramento,
L’arch. Marco Ponti sostiene che «L’attuale sistema tariffario per le autostrade non ha alcun senso economico perché il decongestionamento del traffico, oltre ad abbatte i costi ambientali e sociali, crea risorse economiche»
compreso nei costi finanziari della Brebemi, della viabilità di accesso a Milano e Brescia. Poiché la congestione è una funzione esponenziale, è sufficiente una modesta riduzione del traffico per conseguire grandi riduzioni di costi, soprattutto in termini di tempo. Ponti non nasconde che il risultato, pur positivo, è marginale, e che ovviamente migliora nettamente assumendo i costi economici previsti inizialmente (il Srie passa all’8,7 per cento). Un ultimo elemento preso in considerazione prevede uno scenario teorico, nel quale la tariffazione venga calcolata “ai costi marginali”, cioè senza che i costi di investimento siano recuperati rivalendosi sull’utenza. In altre parole, Ponti si chiede cosa accadrebbe se la A35 fosse proposta senza pedaggio e ne ricava «ovvi migliori risultati in termini di traffico, e di benefici netti per la collettività (Srie 6,7 per cento), che non fanno [che] confermare la teoria economica sulla tariffazione dei monopoli naturali, che dovrebbe essere limitata ai costi marginali» (ossia la variazione nei costi totali di produzione che si verifica quando si varia di un’unità la quantità prodotta, ndr). L’analisi conduce a tre risultati provvisori: «1) I costi di congestione, anche ambientali, sono così elevati che abbatterli genera benefici straordinari […]; 2) L’attuale sistema tariffario per le autostrade non ha alcun senso economico. È tutto mirato alle logiche finanziarie per le singole opere e mai alla minimizzazione dei costi per la collettività, cioè ad allocare i traffici sulla rete - a pedaggio e non - nel modo più efficiente. 3) È sempre opportuno fare analisi costibenefici terze, comparative e trasparenti, prima di preoccuparsi della “bancabilità” delle opere. Soprattutto per determinare gerarchie di priorità prima di dire “sì” o “no”».
Il 2016 l’anno giusto per la superstrada? Decisioni studiate e ristudiate da decenni, approvate in modo “definitivo”, oggi subiscono nuove mediazioni, ritocchi e cambiamenti, ma che potrebbero trovare una soluzione. Nulla di fatto per la Pedemontana e quindi l’accesso rapido per Malpensa
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ì, nel 2016 potrebbe essere finalmente definito e deciso il percorso della modalità esecutiva e di finanziamento del nuovo collegamento tra Treviglio e Bergamo. È grosso modo lo stesso percorso individuato nei primi anni ‘80 da un gruppo di architetti (tra cui due trevigliesi che non citiamo per scaramanzia) come alternativa alla SS42 (Treviglio -Bergamo) e alla SS525 (BergamoDalmine-Canonica-Milano) già allora intasate. Infatti il tracciato è intermedio alle due statali citate, offre la possibilità di accesso alla A4 a Dalmine, scavalca Zingonia e proseguendo a sud fa da tangenziale ovest a Treviglio, si collega con Brebemi e più oltre alla Rivoltana con un tratto nuovo già appaltato. Nei primi anni 2000 questo tracciato è entrato nei vari Piani Regolatori comunali, nel Piano Territoriale della Provincia di Bergamo e la sua realizzazione è stata prevista a lungo nei bilanci della stessa. Ma con la nascita del progetto Brebemi questo tracciato è diventato IPB (Interconnessione Pedemontana Brebemi), assumendo una connotazione autostradale con una valenza interregionale, quindi maggiori costi, maggior impatto ambientale e anche maggiori resistenze da parte dei territori attraversati. Proprio la diatriba “autostrada contro riqualificazione dell’esistente”, pur mettendo in luce le diverse e molteplici valenze del tracciato, ha motivato una discussione che ha dilatato i tempi della decisione, fino a mettere in dubbio la realizzazione di un percorso di cui si sente la
L’ingorgo perenne di Verdello che si somma a quelli di Arcene e Stezzano. Sotto la tavola che illustra il nuovo progetto. Entrambe le immagini sono estratte dall’Eco di Bergamo, la cui redazione ringraziamo
necessità da oltre 30 anni. Ora pare che la soluzione sia vicina: una superstrada di 15,6 km. con altre opere complementari, con costi ed impatto inferiori al progetto autostradale, in grado di attirare 24/25.000 veicoli al giorno togliendoli in gran parte dalla sofferente viabilità ordinaria. Il sistema di pagamento utilizzerà sistemi innovativi già in essere sulla Pedemontana e prevederà un tratto intermedio gratuito come sulla tangenziale nord-Milano. Noi riteniamo che i vantaggi per la mobilità ordinaria saranno notevoli, così come per i centri tuttora attraversati dalle Strade Statali (Dalmine Boltiere Canonica Verdello ecc.), vantaggi che non si hanno con la pratica costosa e fallimentare delle circonvallazioni di paese. Tutto bene? Non ancora, perché per ora sembra rinviato l’aggancio alla Pedemontana tra Capriate ed Osio Sotto, in attesa della realizzazione del tratto D della Pedemontana, previsto per il 2021. Attenzione, l’esperienza ci insegna che queste opere si progettano con sguardo lungo. Se abbiamo aspettato 30 anni per definire nel dettaglio la nuova Treviglio-Bergamo, ne possiamo attendere 5 per l’aggancio alla Pedemontana, ma intanto definiamo il progetto! Questo aggancio è fondamentale non solo per Treviglio, ma anche per Romano, per Crema e per tutta una vasta area che potrebbe finalmente andare nel nord-ovest del Paese, in Svizzera, a Malpensa senza l’incubo del nodo di Milano. Città dell’Adda Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Proposte & Commenti
Perché la tangenziale sud è urgente L’infrastruttura terrebbe fuori città il traffico diretto ad ospedale, scuole, aree artigianali, parcheggi a sud della stazione, nonché quello di attraversamento est-ovest
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l 2015 è stato un anno di sofferenza per la mobilità nella zona sud di Treviglio, con viale Piave messo costantemente in emergenza e sovraffollamento. Prima i lavori per il sottopasso di via Redipuglia, poi la chiusura del parcheggio Turro, quindi l’interruzione del cavalcavia per
Caravaggio: tutti eventi che sommati all’aumento di traffico, indotto dall’apertura delle due porte autostradali, hanno mandato in tilt un sistema già delicato e carente per assenza di alternative, ma non c’è da stupirsi. Le nuove infrastrutture a sud di Treviglio hanno portato traffico e barriere ambientali, anche l’Expo e l’aumentato utilizzo del “passante” ha portato nuova utenza che approda alla stazione centrale. Tutto ciò produce un carico che nelle ore di punta (in particolare il sabato con il mercato), porta alla congestione. Allora basta poco, un incidente o un lavoro straordinario, perché tutto si blocchi. In questo scenario la programmata costruzione di un nuovo centro commerciale sull’area dell’ex Foro Boario, proietta a breve termine un vero incubo. Dai progetti depositati ed approvati dalla Giunta (nel tempo record di sette giorni e senza sentire la commissione edilizia) si rileva che non si tratta del solo Brico, che avrebbe meno afflusso di utenti, ma sono previsti negozi di ogni tipo, persino alimentari. Non può rassicurare il fatto che la società proponente, Ossidiana srl, abbia depositato uno studio in cui sostie-
ne che il nuovo centro commerciale provocherebbe su viale Piave solo due auto in più in coda: ma chi ci può credere? Di fronte a questo quadro generale che fare? È urgente e prioritaria la realizzazione della tangenziale a sud della ferrovia, con il compito di tenere fuori città tutto il traffico diretto ad ospedale, scuole, PIP1, PIP2, ai parcheggi a sud della stazione, nonché il traffico di attraversamento est-ovest. Treviglio ha perso l’occasione di far costruire questo collegamento fondamentale da BreBeMi e Tav come compensazione ambientale, fatto incredibile, viste le opere non indispensabili che si sono fatti costruire altri Comuni: basta fare un giro da Caravaggio a Bariano, Calcio, ecc. Per risolvere il problema, basterebbe comunque una “tangenzialina” che colleghi la rotonda tra via Redipuglia e Via Calvenzano con la zona Ospedale. È poco più di un chilometro, costerebbe circa 3/4 milioni di euro, e potrebbe arricchire l’urbanizzazione ed i servizi del plesso scolastico ed ospedaliero. È un investimento non proibitivo ma fondamentale per la vivibilità di Treviglio. Città dell’Adda
Come si è costruita l’idea di
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proporre questa arteria
a mappa satellitare riporta un tracciato abbozzato di Tangenziale sud. Un lavoro frutto di una serie di riflessioni, incontri e sopralluoghi, di singoli cittadini che - indipendentemente dalla posizione politica - si sono trovati a convergere nella ricerca di soluzioni concrete per la città e il territorio. In questo caso “Città dell’Adda” e il “Circolo Nuova Italia” sono arrivati a convergere su questa idea finale che “la tribuna” propone ai politici e ai futuri amministratori. Si tratta di una soluzione “economica” che permette di collegare l’ex SS11 all’altezza della salita del cavalcavia ferroviario (quindi scavalcando la Casa Albergo) con il congiungimento tra via Redipuglia e via Calvenzano. Infatti tra i due punti
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viabili il tratto è distante poco più di un km e necessita solo di un modesto sottopasso ferroviario sulla Treviglio-Cremona. Nella foto il punto a nord della Casa Albergo, e parallelo al cavalcavia, dove sarebbe possibile costruire il collegamento con la tangenziale. il direttore
Foto by Enrico Appiani
Uscendo dal sottopasso che porta all’ospedale e osservando a sinistra, scopriamo il sottopasso della ciclabile, costruita non si sa per chi e per andare dove
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ia Don Minzoni... Ma dov’è? Tutti si sono chiesti cosa e dove fosse, quando la chiusura del cavalcavia ferroviario tra Treviglio e Caravaggio ha creato disagi e disorientamenti mai verificatisi in passato, neppure in 15 anni di lavori pesanti per Brebemi, Tav, raddoppio e quadruplicamento ferroviario. La chiusura del sovrapasso è stata funzionale alla realizzazione, sotto lo stesso, di un passaggio (v. foto) per una “variante ciclopedonale” alla via Don Minzoni. Si, solo una variante ciclopedonale. Perché la via Don Minzoni continua ad essere una carrale agricola asfaltata che, partendo tra Trony e cavalcavia (vedi planimetria), fa un giro in campagna servendo poche abitazioni ed utenze agricole. L’utilità di quest’opera è difficile da intravedere, perché i pochi cicli o pedoni che la percorreranno risparmieranno alcune decine di metri di percorso, mentre le auto continueranno sul tracciato esistente. Valeva la pena di spendere circa 90.000 euro,
più un dispiegamento di vigili e personale come non si era mai visto? Per non dire del disagio enorme arrecato, della coincidenza con la chiusura del sottopasso di via Redipuglia, del periodo dell’anno poco felice... Ciò che ci preme dire qui è che questo percorso, che pur collega alla lunga Treviglio con la zona tra Vidalengo e Caravaggio, non può e non deve essere ritenuto alternativo alla ciclabile a raso - quella storica - interrotta da Brebemi e Tav. Da anni quel percorso è il più frequentato, non solo per l’attività sportiva dei runners e dei ciclisti, ma anche per la presenza delle scuole e dell’ospedale. Vista la difficile praticabilità del nuovo cavalcavia dovuta alla sua pendenza, si era individuata l’alternativa di un percorso a raso con passaggio in tunnel sotto la Tav. Su questo problema l’Associazione Città dell’Adda si è impegnata in segnalazioni proposte e riunioni, ottenendo infine un impegno da parte degli Enti coinvolti. A tutt’oggi l’opera non è stata completata e dovremo ormai attendere l’esito delle elezioni amministrative previste in primavera
A sinistra il tratto giallo nella mappa mostra la ciclabile che porta al sottopasso e strade campestri. Sopra i lavori per la costruzione del sottopasso, sotto via Minzoni, terminale della ciclabile
in entrambe le Città. Questi episodi mettono i riflettori su un problema strategico: il rapporto tra Treviglio e Caravaggio. É un rapporto fondamentale per il miglioramento dei servizi, del territorio, della vivibilità del comprensorio. Tante cose sono in comune: plesso scolastico, ospedaliero ed assistenziale, una strada che ormai attira tutte le funzioni terziarie, per non dire delle aree ex-polisportiva di proprietà comune e ben piazzate all’uscita della Brebemi. Treviglio e Caravaggio non sono mai state così coinvolte l’una nell’altra, così vicine ma così lontane nel fare delle due amministrazioni. Lo stimolo della nostra associazione, alla partenza della campagna elettorale e dei suoi programmi, è ad individuare un rapporto più stretto, più collaborativo, più denso di progetti ambiziosi come ormai il territorio richiede. Ezio Bordoni
Foto by Enrico Appiani
Sottopasso e ciclabile che non servono
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Barriere/Treviglio e Caravaggio servizio fotografico di Enrico Appiani
Dalla ciclabile non esci senza rischiare di Lucietta Zanda
«In quale stato di alterazione mentale si trovava chi ha progettato una pista che sembra fatta apposta per punire i ciclisti?», si chiede la nostra redattrice dopo aver percorso più volte la ciclabile per arrivare al Centroverde
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on il susseguirsi delle belle giornate, viene voglia di stare all’aria aperta e farsi un bel giro in bici per le strade basse della bergamasca. Così decido invece di andare al Centro Verde, non in macchina come sempre, ma proprio in bicicletta con l’intento di comprare un bel vaso di margherite per il cimitero che possa entrare nel cestone dietro. Prendo la ciclabile comodissima che dal provinciale porta direttamente al secondo cavalcavia, quello nuovo, ma quando arrivo lì ho già cambiato idea sul vaso. La salita non è proprio da peso dietro che ti trascina giù. Comincio ad inerpicarmi con questa bici senza cambio - che non mi aiuta lungo una china che mi sembra interminabile, cercando proditoriamente una comoda via di fuga verso il basso, verso l’altra comodissima e pianeggiante ciclabile che c’era prima – ormai chiusa - e che mi vedo scorrere sotto. Ma non vedo sbocchi. Mi chiedo chi e in quale stato di alterazione mentale possa aver progettato una pista in questo modo, sembra fatta apposta per punire i ciclisti, o forse per rendergli l’andata a Caravaggio come una sorta di pellegrinaggio sofferente verso il Santuario della Madonna facendogli acquisire meriti lassù. Chissà. E intanto arrivo in alto e dal ponte - sotto di me - osservo il desolante paesaggio, simile ad una landa bruciata. Il verde della nostra campagna di prima, affogato in una serie di strade ancora incompiute e che saranno purtroppo
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realizzate a breve fagocitando anche l’ultima radice di pianta. Dopo la discesa liberatoria in picchiata, arrivo in fondo al sovrappasso e giro cercando l’uscita per il Centro Verde. Scordatevelo, non ce n’è una. Nicht! Ma come, sarebbe stato così semplice, alla fine del cavalcavia progettarne una comoda e sicura! Il Centro Verde con la nuova riprogettazione era già stato ingiustamente penalizzato tagliando fuori le macchine dalla rimpianta e pratica statale di prima, senza tenere conto dell’afflusso di gente da cui è sempre stato frequentato, unico punto di riferimento in zona per gli amanti degli articoli da giardinaggio e per la casa. Ma alme-
A sinistra ciclisti che faticano causa la pendenza eccessiva, sopra due scatti che dimostrano che ostacoli - pericolosi - si devono superare per giungere al Centroverde
no per i ciclisti, avrebbero potuto trovare una soluzione. Sto persino pensando di scavalcare il guard-rail con la bici infilandomi in perlustrazione nel dedalo di tutte quelle stradine sterrate che vedo profilarsi al di là della ciclabile sulla destra, ma ci rinuncio, è troppo alto. Vado avanti decisamente contrariata e arrivo finalmente alla rotonda per l’autostrada, che però vedo ancora una volta sfuggirmi, perché anche da lì non ci sono sbocchi verso la strada che porta al Centro Verde. Proseguo ancora sulla ciclabile fino ad arrivare ad una specie di viottolino sulla sinistra che mi invita ad attraversare subito il provinciale prima di cambiare idea, ormai sconfortata, tornando indietro, oppure ad arrivare “obtorto collo” fino al viale del Santuario. Opto per l’attraversamento del provinciale, denso di traffico essendo le tre del pomeriggio, e cerco le strisce pedonali. Non ce n’è! Mi guardo attorno meglio, ma non ne vedo proprio. Assurdo. Come me vi sono altri due ciclisti nella stessa condizione; ci guardiamo, un po’ vittime della stessa fregatura, scuotendo la testa e allargando le braccia, aspettando che Sotto il Centroverde e delle “piste ciclabili” che si disperdono tra cantieri e campagna
Castel Cerreto/Contenziosi
Il ponticello della discordia di Diego Defendini
le macchine che senza dubbio ci scorgono, ci lascino passare. Dopo qualche minuto di inutile attesa uno dei miei compagni sventola, in segno di resa, un fazzoletto bianco e finalmente un camionista si arresta con una spaventosa strombazzata che ha l’effetto di trasformarmi immediatamente in un gatto finito per sbaglio in una vasca di acqua gelata. Una volta districatami, con una certa angoscia, dal traffico di Tir, macchine e furgoni della rotonda verso il Centro Verde, arrivo finalmente a destinazione lungo una strada priva di qualsiasi ciclabile o almeno di un margine di protezione sicuro per chi in bicicletta vuole spingersi fin là. Faccio il mio giro e più o meno di fronte all’uscita scorgo, con mio grande stupore, una serie di cartelli con l’insegna della ciclabile che mi invogliano speranzosa a seguirli, nel tentativo di evitare la rotonda micidiale, il provinciale e il cavalcavia. Non fatevi fuorviare. Dopo mezz’ora di stradine che iniziano subdolamente con l’asfalto ma finiscono tutte in uno sterrato da montagna, tornerete indietro ad affrontare di nuovo -coatti- l’odiato soprappasso; senza neppure la possibilità di sfogarvi contro i responsabili di un progetto che non ha dotato tutti i tratti di strada di un giusto riparo per chi va in bici. Ah, e non ho neppure comprato la pianta, tanto - penso - era più facile che al cimitero ci arrivassi io …che lei!
Il ponte provvisorio permette ai pontirolesi di evitare chilometri per raggiungere la grotta della “Madonna del bosco”, ma i cerretani vorrebbero qualcosa di meno pericoloso
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a frazione di Castel Cerreto è da sempre meta di passeggiate e rilassanti camminate; una delle tappe principali è senza dubbio la “Grotta di Lourdes”, meglio conosciuta come “Madonna del bosco”. Una copia della grotta francese fu realizzata nel 1858 dai Conti Piazzoni - allora proprietari dei poderi di Castel Cerreto e Battaglie - in onore delle apparizioni di Lourdes avvenute nell’omonima cittadina. Il luogo è poi meta di pellegrinaggio durante il mese di Maggio, appunto dedicato alla Beata Vergine. La grotta, facilmente raggiungibile a piedi da Castel Cerreto, diventa problematica per i cittadini di Pontirolo Nuovo, comune che con il Cerreto confina. Infatti, per raggiungere la madonnina si dovrebbe fare un percorso notevolmente più lungo e ostico tra i campi, oppure attraverso le normali strade asfaltate. E la differenza si misura in km anziché in centinaia di metri, per la presenza di una roggia proprio a ridosso della grotta. Vedendosi di fronte questo ostacolo alcuni pontirolesi hanno eretto un ponticello, utilizzando ponteggi per cantieri edili, posti sulla roggia che si trova dietro la “Madonna del bosco”, in modo da collegare la sponda nord, sul territorio del comune di Pontirolo, raggiungibile da un sentiero agricolo. Il ponteggio, inizialmente montato nei
Due immagini del ponticello della diatriba e quella della grotta eretta in onore delle apparizioni di Lourdes
mesi di Maggio per una quindicina di giorni, era poi smontato al termine del pellegrinaggio, mentre dalla scorsa primavera è posto in pianta stabile sulla roggia, rimosso per solo per poche ore durante i lavori di pulizia del fosso. I pareri su questo manufatto stanno dividendo l’opinione pubblica; da una parte lo si vede come un’opera utile, mentre alcuni cerretesi sono preoccupati del fatto che non sia conforme alle norme sulla sicurezza. Soprattutto per i bimbi che lo frequentano per giocare in quella zona, ma anche per i ciclisti che non sanno di essere di fronte ad un’opera che alcuni ritengono precaria perché dei passanti sono caduti mentre transitavano sul ponte in sella alla bicicletta. Piccoli incidenti che preoccupano i cerretani che chiedono l’intervento dei comuni di Treviglio e Pontirolo per realizzare un collegamento sicuro. Lo stesso vice-sindaco di Pontirolo Pierangelo Bertocchi - assessori ai Lavori Pubblici - rammenta che nei progetti dei percorsi del Plis (Parco locale di Interesse Sovracomunale) era previsto di creare collegamenti nelle zone campestri di particolare rilevanza ambientale, ma è rimasto sulla carta perché lo sesso Plis è in una fase di stallo.
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Treviglio/Aziende & Agroalimentare
La Casa di Alti formaggi
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di Cristina Signorelli a Casa di Alti Formaggi è un’associazione che raggruppa oggi i Consorzi di Tutela dei formaggi Provolone Valpadana, Salva Cremasco e Taleggio. In una pubblicità televisiva di Alti formaggi si declama: “tradizione, territorio, identità”, valori che raramente come in questo caso vengono declinati in senso moderno ed innovativo. Si tratta di un progetto di comunicazione, unico nel suo genere, nato per divulgare la conoscenza e promuovere il consumo di alcuni formaggi di qualità, dando al contempo spazio e valore al patrimonio geografico e culturale del territorio di provenienza. «Abbiamo scelto di porre la sede a Treviglio – ci spiega il direttore Vittorio Pisani – perché adatto geograficamente, trovandosi all’incrocio dei territori di produzione, e logisticamente adeguato. Inoltre, poiché nostro scopo è attrarre ed informare il consumatore, ci è parso naturale avvicinarci ai luoghi di maggior consumo del prodotto». Nella sede di Treviglio, dove vi è anche un piccolo spazio di vendita, l’Associazione organizza un calendario ricco di eventi enogastronomici che sempre hanno per protagonisti i formaggi dei Consorzi. Ho personalmente sperimentato l’efficacia comunicativa degli incontri, quando sono stata invitata alla serata “Pane, pizza e dolci” durante la quale il maestro panificatore Vincenzo Mascio ha dato dimostrazione pratica ad un pubblico particolarmente entusiasta, anche dei molti assaggi, di molte fantasiose ricette dolci e salate, così semplici da poter essere riproposte comunemente nella cucina di casa, nelle quali i formaggi si sono trasformati in gusti e forme inusuali.
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«La nostra attività è finalizzata – prosegue Pisani – a portare il consumatore ad assaggiare il prodotto e sperimentare diversi modi di utilizzo, così da renderlo un ingrediente base dell’alimentazione quotidiana. Inoltre, riteniamo che approfondire la conoscenza dei formaggi oltre a garantire i piaceri del palato, offra una forma di crescita personale legata ai valori del territorio. In questo senso la collaborazione con l’ente Movimento Turismo del vino lombardo ci fornisce sempre nuovi spunti per iniziative ed abbinamenti di due eccellenze italiane quali sono i formaggi e i vini». Nella realtà italiana, ricca di un grande patrimonio geografico e culturale, i prodotti gastronomici sono spesso il frutto di una tradizione secolare che merita un riconoscimento anche di tipo turistico, in quanto opportunità di scoprire i luoghi e la storia del nostro Paese. «In questo senso ci siamo mossi fin da subito a Treviglio – afferma Pisani – sperando in un riscontro da parte di organismi pubblici e privati che operano sul territorio. In realtà questo si è manifestato molto scarsamente e ha reso sostanzialmente vana la capacità di fare sistema nei diversi ambiti di competenza turistica e territoriale». Si parla di cifre importanti: nel 2014 è stato realizzato un fatturato complessivo pari a oltre 80 milioni di euro, gran parte dei quali, oltre 50 milioni, dati dal Taleggio, circa 30 milioni dal Provolone Valpadana e poco oltre 1 milione dal Salva Cremasco, che si conferma un prodotto di nicchia. Il settore agroalimentare costituisce una parte trainante per le esportazioni, eppure prodotti quali i formaggi locali di qualità si orientano ad un consumo territoriale, premiando una filiera breve che garantisce freschezza e origine della materia prima. In tal senso la Casa degli Alti Formaggi promuove e tutela la qualità dei prodotti dei Consorzi del Taleggio, del Provolone Valpadana e del Salva Cremasco e nello stesso tempo propone un’esperienza ricca di suggestioni “un viaggio nel gusto che permette di scoprire e riscoprire, vivere i colori delle stagioni, sentire i profumi, assaporare la vita”.
Una spesa consapevole Terra Madre Day - al MaTe di Treviglio presenta la nuova guida “Fare la spesa con Slow Food”, segnalando 25 eccellenze agro alimentari locali
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low Food Bassa bergamasca ha presentato nei giorni scorsi al ristorante Mate di piazza Garibaldi a Treviglio una nuova Guida “Fare la spesa con Slow Food – 2872 indirizzi per il cibo quotidiano”, una guida studiata per promuovere un cibo quotidiano eccellente e alla portata di tutti. Costruita mediante la fitta rete associativa di Slow Food presente in ogni territorio, Fare la spesa con Slow Food vuole essere un compendio fedele, completo e attento che segnala in ogni parte del Paese i migliori indirizzi dove fare la spesa diventa un piacere, concorrendo a trasformare il consumatore in coproduttore, cioè un soggetto attivo, capace di scegliere, conscio che acquistare una determinata verdura, un certo pane, un taglio di carne anziché un altro, un pesce azzurro di piccola pesca, può aiutare a cambiare le sorti delle economie agro alimentari, migliorare la sostenibilità delle filiere, rendere i nostri acquisti più gratificanti e la nostra vita più sana e felice. Il libro è stato presentato in occasione del Terra Madre Day, che si celebra ogni 10 dicembre in Italia e nel mondo, per festeggiare il cibo locale “buono, pulito e giusto”, per promuovere la biodiversità alimentare, le produzioni e i metodi di consumo sostenibili. Venticinque le indicazioni che riguardano le eccellenze della bassa pianura bergamasca che Slow Food ha selezionato: sono aziende di produttori di piccola Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Agroalimentare
scala, “artigiani del cibo”, mercati, botteghe ed esercizi, i cui prodotti sono stati testati e che Slow Food intende promuovere, per la loro qualità e serietà. Tra i produttori segnalati più vicini a noi, ricordiamo la Pasticceria Paolo Riva di Treviglio per il cioccolato, la Gelateria Oasi di Fara per il gelato; per i formaggi, la Via lattea di Brignano, l’Azienda agricola Ciocca di Treviglio, l’Azienda agricola Casarotti di Casirate, l’Azienda agricola Al Casot di Bolchini di Fara, il Caseificio Taddei a Fornovo, solo per citarne alcuni. Per il miele Apicoltura Fortini di Arzago; per la frutta e verdura Cascina Pelesa di Treviglio; per il pane, Ferrandi a Treviglio e Stuani a Caravaggio; per la pasta fresca Mani in pasta di Fornovo; per i mercati, il mercato degli agricoltori del mercoledì a Treviglio in piazza Cameroni; per la categoria “negozi e botteghe”, la Latteria sociale di Calvenzano e Podere Montizzolo a Caravaggio;per i salumi e gli insaccati, l’azienda La Balocchetta di Brignano; per la carne c’è la salumeria di Elio Cazzaniga a Canonica d’Adda; per prodotti da forni e pasticceria, Caffè Milano a Treviglio; e in fine per il caffè la Torrefazione Stramoka di Treviglio. Queste sono solo alcune delle 64 segnalazioni relative alla Bassa pianura su un totale di 2.872 indirizzi presso i quali acquistare e consumare ottimo cibo. Daniela Invernizzi
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Treviglio/Uomini & Motori
Olio e pistoni: storia dell’officina Terzi di Ivan Scelsa
Il mondo dei motori al di là delle competizioni motoristiche più blasonate d’Italia. Tra il profumo di olio ed allori, la provincia riserva inattese sorprese nell’officina trevigliese di Gabriele Terzi
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reviglio terra di piloti, corse e motori? Non c’è da meravigliarsene, la provincia è da sempre viva e pulsante nel mondo dei motori. Ed è lì che spesso si trovano i più grandi talenti. Da sempre l’immaginario collettivo dei ricordi motoristici legati alla Lombardia sono prevalentemente quelli dei territori di Milano e Brescia con la Milano-Taranto - una competizione oggi riservata alle moto d’epoca - e la Mille Miglia che prende il via da Brescia, città dei motori per antonomasia. Ma non tutti gli appassionati di gare automobilistiche ricordano che anche Bergamo è stata il palcoscenico di una delle imprese che resero leggendario il grande pilota Tazio Nuvolari, su Alfa Romeo P3 nel 1935. Forse anche per ricordarlo ai più giovani, ma certamente per passione, Simone Tacconi - ex pilota bergamasco di Formula 3 - da alcuni anni organizza la riedizione della celebre corsa sul circuito delle Mura, in Città Alta. In tanti ogni anno accorrono a godersi questa manifestazione che non ha il sapore della sfilata bensì della vera rievocazione storica del gran premio. Era l’Italia in cui circolavano soltanto duecentoquarantamila auto: un quinto di quelle presenti nei più quotati paesi europei. Era il Paese delle Alfa Romeo della Scuderia Ferrari, delle Maserati e delle Bugatti, tutte impegnate in competizioni su strade polverose
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in cui si assiepavano i curiosi. Ad esse sono legate storie da narrare che partono da lontano, storie di uomini d’altri tempi, la cui abilità ha fatto grandi queste vetture e piloti. Storie di persone semplici, sconosciute ai più ma non a chi, ancora oggi, affida nelle loro mani il proprio gioiello per renderlo unico, per farlo “andare di più” o per ricostruirne le ormai introvabili parti meccaniche. Sono le giornate di sapienti artigiani che scorrono tra lubrificanti, pistoni e col profumo acre dei carburatori di vecchie protagoni-
ste delle gare del passato, e che oggi rivivono e fanno sognare sui più famosi circuiti del mondo nelle mani di amorevoli collezionisti. Queste auto sono gemme preziose, preservabili solo da mani esperte e sapienti, dalla perizia e dalla dedizione assoluta nella ricerca della perfezione profuse per renderle uniche. Ed è questo il motivo per cui, oggi come ieri, Gabriele Terzi è l’uomo cui ogni gentleman driver e pilota d’altri tempi vorrebbe affidare la propria automobile. Entrando nella sua officina di viale Col di Lana di Treviglio è possibile rivivere l’atmosfera delle corse d’altri tempi, assaporarne le vittorie di cui gli allori e le immagini alle pareti ne sono la testimonianza. Pareti che profumano di una storia motoristica che da oltre dieci lustri accompagna, lontano dai riflettori, gli equipaggi nelle gare internazionali a cui partecipano. Si respira aria di meccanica, i vani motore delle old cars sono sgombri da centraline elettroniche, solo corone e pignoni spesso ricostruiti con sapiente e certosina maestria artigiana. L’avventura di Terzi inizia negli anni Sessanta, quando, poco più che diciottenne, comincia la sua avventura di pilota e preparatore di Fiat 500 e poi Abarth 850 e 1000. Dopo gli esordi a Monza nelle gare di categoria, costruisce una vettura con cui partecipare
alle gare di Formula 875 ‘Monza’ e con cui corre nell’omonimo Autodromo. La carriera agonistica prosegue con le numerose gare in salita tra cui le prestigiose partecipazioni alla Trento-Bondone e alla Castione della Presolana. Dal 1967 inizia la preparazione delle vittoriose Alfa Romeo GTA con cui vince per alcuni anni svariati campionati nazionali con le scuderie Jolly Club, Bergamo Corse, Città dei Mille e Madonnina di Milano. Ma la sua attività agonistica non si ferma e, tra il 1974 ed il 1976, gareggia nel Campionato Europeo di Granturismo con la Ford Escort ottenendo anche un secondo posto in classifica generale. È il momento, poi, delle categorie Formula 3, Formula Sport e Prototipi con cui, oltre alla preparazione della vettura, ne segue l’assistenza nei maggiori autodromi europei e persino alla Daytona, con una Porsche 935 Turbo. Seguiranno le preparazioni alla BMW 3000 CS con cui parteciperà, sul finire degli anni Settanta, all’Europeo di Granturismo. La Targa Florio, la London-Sydney Marathon, le 14 Mille Miglia e i rally di Francia e Germania sono solo alcune delle più importanti manifestazioni a cui ha preso parte al fianco degli equipaggi che le hanno corse; un lavoro silenzioso, duro e lontano dai riflettori che queste manifestazioni inevitabilmente attirano. Fare un elenco delle prestigiose scuderie ed equipaggi a cui Gabriele Terzi ed il suo staff hanno dato assistenza è impresa ardua. Le centinaia di fotografie, ricordi, ritagli di giornale, targhe e trofei esposti nella sua officina sono la testimonianza del legame dell’uomo ai motori, raccontata fugacemente tra una preparazione e l’altra delle tante vetture che affollano la sua officina, pronte ad accendersi sulle più importanti piste del mondo. Quando si passa a trovarlo Gabriele ha poco tempo per i convenevoli: sa che le sue auto lo aspettano e che un pilota impaziente freme per riavere la sua auto, pronto a sfidare l’avversario nella certezza di avere dalla sua l’esperienza di un uomo che ha le corse nel sangue. Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Giovani eccellenze all’estero
Cervello tutt’altro che in fuga di Daniela Regonesi
A tu per tu con Maria Vittoria Dozzi, brillante ricercatrice trevigliese dell’Università Statale di Milano che, tra il Giappone e l’Italia, ha deciso di regalare pazienza e dedizione al proprio Paese studiando come migliorare l’ambiente
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i sente spesso parlare dei cosiddetti “cervelli in fuga”, brillanti ricercatori, scienziati e docenti che abbandonano la patria natia alla volta di maggiori opportunità e stipendi migliori. Ma c’è anche chi decide di non prendere il largo e di investire sul proprio Paese: è il caso di Maria Vittoria Dozzi. Trentaduenne trevigliese, è assegnista di ricerca al quarto anno, dopo aver conseguito la laurea in Scienze Chimiche ed un dottorato di tre anni, presso l’Università Statale di Milano; lì si occupa dello studio dei materiali foto-catalizzatori, ossia di quelle sostanze che, mediante l’uso dell’energia solare, trasformano e degradano gli inquinanti, presenti in aria e acqua, in sostanze meno tossiche. Questa ricerca trova impiego nell’edilizia e nell’industria energetica, dove ad esempio si utilizza il solare per trasformare gli inquinanti in altri combustibili green, come l’idrogeno. Nello specifico Maria Vittoria - MaVi - si occupa della preparazione, modifica e caratterizzazione dei composti chimici, ed esegue test per valutare performance e attività, allo scopo di arrivare a sfruttare tutto il range del sole. Mi spiega che la fotocatalisi nasce in Giappone negli anni ‘70, proprio lì dove, nei laboratori della Okkaido University di Sapporo, l’ha portata la passione per gli studi del professor Bunsho Ohtani: «il docente alimenta scambi culturali ed intercontinentali. Gli ho presen-
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tato parte del mio progetto e lui l’ha accolto, ospitandomi come “visiting PhD student” per un semestre nel 2010, quattro mesi nel 2011 e un mese nel 2014. In questi brevi periodi ho realizzato ciò che qui avrei fatto in anni, grazie ad attrezzature all’avanguardia e a gruppi di ricerca più allargati e strutturati (vi sono infatti almeno 3 figure di professori ordinari per ogni gruppo, più 4/5 dottorandi e 10 studenti, si arriva quindi a gruppi anche di 20 o 30 elementi)». La collaborazione con il professor Ohtani ha portato a tre pubblicazioni, alle quali è previsto
che faranno seguito altre. Tra l’altro il docente nipponico è venuto a Milano a tenere alcune lezioni e conferenze. La ricercatrice non nasconde l’entusiasmo per quanto vissuto: «È un’esperienza che mi ha aperto gli occhi. Mi sono trovata molto bene, anche se i ritmi di lavoro erano pazzeschi, anche per ottimizzare il tempo trascorso là», ma nemmeno cela le ombre incontrate nel Paese del Sol levante, come il poco lusinghiero trattamento riservato alle donne: «non sono tante quelle che lavorano, dopo il matrimonio rinunciano alla loro occupazione, quindi in ambito accademico è difficile trovarne; è una società maschilista. È difficile programmarsi in una vita là, non sarei considerata al pari dell’uomo. Ma nonostante ciò mi hanno accolta bene, lo straniero è comunque ben voluto, anche se sono molto rigidi, e certe loro impostazioni sono fin troppo autoritarie». Non bisogna però credere che la sua sia stata una rinuncia o una sorta di arresa. Su questo MaVi è chiara: «Sono rimasta qui anche perché ho avuto la fortuna di poter scegliere; avevo diverse possibilità di fronte a me, c’era un concorso, un bando aperto. La chimica è ovunque, per cui il bacino è ampio (formulazioni, farmaceutica, test di qualità). Avevo la possibilità di tornare in Giappone, e ce l’ho ancora, ma resto qui perché prima di tutto ho
COLAZIONI PRANZO Nella pagina accanto Maria Vittoria Dozzi con i colleghi della Okkaido University di Sapporo, sopra nel laboratorio universitario e a destra durante un’escursione. Sotto a sinistra con il professor Bunsho Ohtani, poi con amici giapponesi, al centro uno scatto dopo il ritorno a casa
visto crescere il mio gruppo in Italia, e non voglio lasciare il lavoro a metà; in secondo luogo non sono solo cervello, qui ho anche vincoli di affetto e la mia famiglia». Lo Stato orientale -ma non solo- ha capito che vale la pena investire in ricerca, mentre in Italia è difficile reperire i fondi, «ci vuole tanta pazienza, e non sempre è positivo: qui ci sono più lotte per ottenere quello che vuoi». Gli ostacoli da combattere sono sostanzialmente due, la burocrazia e la raccolta dei fondi necessari; perché se infatti lo stipendio è pagato, non si può dire altrettanto della ricerca. Ed ecco allora che le nostre menti più brillanti si vedono costrette a sottrarre tempo ai loro studi per seguire i progetti presentati a bandi privati, fondi UE, Fondazione Cariplo, Regione Lombardia, ecc.: uno spreco. Non solo, perché «all’estero chi fa ricerca è alleggerito dal ruolo didattico, mentre qui abbiamo lezioni da sostenere e laureandi da formare e accompagnare, siamo gravati da una sorta di responsabilità nei loro confronti». Ma la solarità di Maria Vittoria ha la meglio: «È comunque gratificante, fa par-
te del gioco ed è un’esperienza positiva, sono stata co-relatrice di circa venti tesi di laurea». Un altro aspetto negativo riscontrato nel nostro Paese è la mancanza di ritorno economico, che all’estero è doppio o triplo, «là si investe perché si è lungimiranti, si sa che quanto si spende nella ricerca tornerà indietro, prima o poi. Qui no». MaVi precisa che non è rimasta in Italia per campanilismo, la sua «comunità scientifica va oltre i confini nazionali, ma l’Italia non può svuotarsi, qualcosa deve restare. Basti pensare che ogni quattro docenti che vanno in pensione vi è un solo nuovo assunto, vale a dire che l’università non riassorbe le menti formate. Il sistema accademico va ripensato. Resta chi ha possibilità di scelta ed una riserva di pazienza e dedizione da regalare al proprio Paese». Passando invece alla scala del paese-Treviglio, le chiedo, in battuta, com’è la vita del pendolare. Mi risponde ridendo che «per chi si ferma a Treviglio va ancora bene. È difficile e sempre più pesante, ma in dieci anni ci sono stati momenti peggiori! I ritardi, di almeno 20 minuti, sono all’ordine del giorno, e non dover timbrare il cartellino in laboratorio è una fortuna». Chissà che un “cervello” giapponese non decida di fuggire in Italia e di porvi rimedio.
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Treviglio/L’Albero del mandarino
A Treviglio nuovo ponte con la Cina di Ivan Scelsa
Il nuovo millennio ha aperto le porte a mercati emergenti e la Cina rappresenta un’opportunità per i giovani. Occorre però conoscere la lingua, così Giampaolo Adiletta e sua moglie Lu WenJun hanno fondato una scuola
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n una società sempre più multietnica, ricca di interscambi economici, turistici e culturali, l’apprendimento delle lingue rappresenta una necessità. In alcuni casi, però, la difficoltà maggiore sta nella difficoltà di apprendere i componenti del linguaggio e della grafia di alcune lingue. È il caso del russo e del cinese. La scuola dell’obbligo ha da sempre rivolto la propria attenzione all’inglese, al francese, solo in alcuni casi allo spagnolo ed al tedesco. Null’altro. Tutte lingue continentali la cui conoscenza, sia chiaro, è importantissima. Ma questo non basta più. La Cina, ad esempio, rappresenta una porta aperta ad oriente per scambi commerciali importanti che sempre più saranno una necessità imprescindibile stante la crescente economia che essa rappresenta. È naturale pensare che coloro i quali abbiano conoscenze linguistiche appropriate assumano una posizione privilegiata nel mondo del lavoro che, inevitabilmente, a tale richiesta dovrà dare esaustiva risposta. Ed è così, che sullo slancio di un’analoga iniziativa intrapresa nel milanese, anche a Treviglio nasce la prima scuola di cinese: L’albero del Mandarino. Fondata da Giampaolo Adiletta e da sua moglie Lu WenJun, la scuola riprende l’insegnamento della lingua secondo il metodo Ding DiMeng, docente di ‘Metodica Didattica del Cinese’
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all’Università di Shanghai. Proprio con lei, infatti, Adiletta e Lu WenJun hanno pubblicato nel 2014 un importante testo divenuto poi il supporto per lo studio della lingua secondo il sistema dell’alfabeto Pinyin, ovvero translitterazione delle parole cinesi in carat-
teri alfabetici completi d’intonazione. Sulla scorta dell’esperienza lavorativa maturata con la sua precedente attività commerciale che si rivolgeva prevalentemente al mercato orientale, Adiletta e la moglie -laureata in Management settore Turismo all’Università di Shanghai e specializzata nell’insegnamento della lingua a cittadini stranieri- perfezionano la metodologia, realizzando il testo ‘Io imparo il cinese - volume 1 basic’ e proponendo un corso base di 50 ore di lezione (per la durata di 13 settimane) in cui, oltre alla lingua, viene dato spazio anche alla storia ed alla cultura del Paese. Il corso consente di capire e studiare la struttura, la pronuncia e la costruzione delle parole cinesi, senza la necessità di leggerle o scriverle, con tecniche di insegnamento innovative capaci di rendere l’apprendimento piacevole, naturale e progressivo. Unito all’insegnamento delle regole di scrittura e all’uso del dizionario, poi, il metodo utilizzato consente di utilizzare semplici strutture grammaticali che, in poco più di
NDS: il Made in Italy a Shanghai La valigia del ritorno carica di nuove idee e progetti per la cooperativa trevigliese
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endere il Made in Italy protagonista sia in manifattura che nella musica: ecco uno degli obiettivi che la squadra di NDS Music si è posta in vista della partenza per Shanghai, ove ha esposto - per il secondo anno consecutivo - a Music China, la più importante fiera internazionale dedicata alla musica. NDS Music è la divisione della cooperativa trevigliese dedicata all’import-export, la produzione e la vendita online (www.
ndsmusic.com) di strumenti e accessori musicali. Nello stand di NDS Music, che ha avuto la gradita visita di un’eccellenza italiana della chitarra, Massimo Varini, e di alcuni connazionali residenti in Cina, erano esposti prodotti di altissima qualità che il team ha
cinquecento vocaboli e semplici frasi di uso comune, consentiranno di relazionarsi ed acquisire una capacità di scrittura e lettura di circa cento ideogrammi. «Abbiamo scelto Treviglio come sede del progetto per la sua posizione strategica al centro tra grandi centri come Milano, Brescia, Bergamo, Lodi. Non solo –prosegue Adiletta- anche per l’elevata qualità del tessuto sociale. In futuro la scuola potrebbe cercare patrocini di enti ed associazioni per creare una borsa di studio per giovani volenterosi e desiderosi di apprendere una lingua affascinante ed utile. Il ‘business Cina’ andrà avanti per anni ed è essenziale che i ragazzi capiscano la possibilità offerta da un mercato in costante crescita. Tra l’altro, tra un anno, la scuola avrà una sede anche in Cina dove, con la stessa metodologia, insegneremo l’italiano», Nelle foto l’aula della prima scuola di cinese che sorge a Treviglio, “L’albero del Mandarino” e i suoi fondatori, Giampaolo Adiletta e sua moglie Lu WenJun
messo a disposizione degli operatori internazionali: amplificatori, devices e il pedale Ice Orchestra (ideato dal trevigliese Luca Boschiroli e di cui NDS cura la produzione). Nella quattro giorni di Music China NDS ha fatto risuonare il Made in Italy, mediante le esibizioni della propria band endorser: S.O.S. Save Our Souls. Il “Rock Made in Italy” è stato protagonista di live nello stand, sui palchi della fiera e nel club CJW di Shanghai. La musica e la manifattura italiana hanno conquistato larghissimo consenso di pubblico, mostrando come l’alta qualità, applicata alla produzione artistica e non solo, sia un valore fortemente riconosciuto e da promuovere in tutto il mondo. NDS Music è rientrata in Italia con una determinazione sempre più forte di proseguire nel cammino intrapreso. Il viaggio prosegue ...sul prossimo numero de “la tribuna”. Daria Locatelli Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Associazioni
Insegnando a salvare una vita di Daniela Regonesi
L’associazione “Cuore e Vita onlus” diffonde la cultura della prevenzione e del primo soccorso in ambito cardiovascolare, con particolare attenzione alla formazione di giovani soccorritori
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i sono situazioni nelle quali il tempo fa realmente e drasticamente la differenza, e la formazione, l’imparare come intervenire, diviene, letteralmente, questione di vita o di morte. Più di 60.000 all’anno, infatti, sono le vittime di morte improvvisa per arresto cardiopolmonare in Italia ma, fortunatamente, c’è qualcuno che si impegna con grande grinta e disponibilità per ridurre questa cifra. Sono i volontari dell’associazione “Cuore e vita onlus”, impegnata a diffondere la cultura della prevenzione e del primo soccorso in ambito cardiovascolare. L’attività della onlus è molto articolata (vedi accanto), e negli ultimi anni ha convogliato la propria attenzione verso un “pubblico” giovane, mettendo a disposizione del mondo della scuola le proprie competenze e risorse per educare alla salute, con il coordinamento del vice presidente Battista Regonesi. A inizio anno le scuole del bacino di Treviglio ricevono in dono coloratissimi calendari, unici nel loro genere, nei quali le illustrazioni del vignettista Ugo Furlan invitano a stili di vita corretti e alimentazione sana. Con più di 500 almanacchi appesi alle pareti delle classi, messaggi immediati veicolati da una grafica chiara e divertente fanno breccia negli studenti di tutte le età. A quelli delle classi terze e quarte delle scuole superiori, invece, si rivolgono le lezioni di rianimazione cardio-polmonare, nelle quali viene insegnata la pratica del massaggio cardiaco utilizzando il manichino “Mini Anne”. L’obiettivo è quello di sensibilizzare
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un gran numero di ragazzi a prendere coscienza e saper affrontare il problema, anche in considerazione del fatto che l’età media dei deceduti per arresto cardiaco si è notevolmente abbassata. Ecco allora che, sotto la guida di medici esperti e con un tutorial video consultabile anche a casa, i ragazzi hanno la possibilità di esercitarsi ed apprendere le manovre della rianimazione. Ciò permette di avere sul territorio tanti potenziali soccorritori capaci di intervenire in quello che è il secondo anello della cosiddetta “catena della sopravvivenza”: dopo aver chiamato il 118, primo step, è fondamentale effettuare la rianimazione cardio-polmonare. Il terzo anello è la defibrillazione elettrica, e “Cuore e Vita” dà il suo contributo anche in questo ambito. Lo scorso anno, infatti, ha donato agli istituti scolastici, oltre che alle Forze dell’ordine e a varie associazioni 12 Dae - Defibrillatore Automatico Esterno - ed i relativi corsi di formazione - tenuti da esperti medici cardiologi, infermieri professionali e ausiliari della Croce Rossa Italiana - per conseguire il diploma di Operatori Blsd (rianimazione cardio-polmonare e defibrillazione precoce). Ma non si tratta di un impegno assolto una tantum: tra novembre e dicembre scorsi i volontari ed i loro collaboratori hanno tenuto altre lezioni teoriche e pratiche, per aggiornare chi è già e formato ed istruire nuovi soccorritori. I ragazzi seguono ed accolgono la proposta con interesse ed entusiasmo, facendosi coinvolgere volentieri nella cultura del Primo Soccorso. Del resto sanno bene come sono convinti a “Cuore e Vita” - che tutto gira intorno al cuore.
Tante attività per farci stare bene
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el 2010 il dottor Antonino Pitì, allora primario di Cardiologia dell’ospedale di Treviglio e Caravaggio, ha avuto l’idea di creare anche a Treviglio un’associazione votata alla lotta alle malattie cardiovascolari. Il cardiologo ha trovato in Giuseppe Scaravaggi l’architetto che ha realizzato questo suo progetto, ed è proprio quest’ultimo - socio fondatore con don Piero Perego, Rosetta Finardi, Editta Villa, Mario Dalmiglio, Ilario Amboni, Salvatore Ingenito - ad illustrarmi il ventaglio di fronti su cui “Cuore e Vita” si adopera. Il presidente della onlus mi spiega che il loro «compito è la lotta alla malattie cardiovascolari, non teorica, ma applicata sul territorio», che si traduce innanzitutto nella disponibilità data dai suoi volontari sia per fornire informazioni presso la sede operativa di via XXV aprile, sia nel presidio istituito presso il poliambulatorio di cardiologia dell’ospedale: qui, dal lunedì al venerdì tra le 9 e le 12, forniscono accoglienza ed indirizzo ai pazienti, mentre in reparto una volontaria fa visita ai pazienti sostenendoli moralmente. L’associazione offre la possibilità, due volte a Treviglio e a Caravaggio, di testare gratuitamente il rischio cardiovascolare e i parametri vitali (pressione, colesterolo, glicemia). In occasione della Giornata Mondiale per il cuore, la onlus partecipa attivamente - in coordinamento con il direttore generale dell’ospedale ed il direttore di reparto - per l’esecuzione gratuita di elettrocardiogrammi. L’attenzione all’alimentazione si sposa con la necessità di finanziare le proprie attività: “Cuore e Vita” propone l’acquisto di tavolette di cioccolato fondente, ottimo antiossidante, e da anni partecipa alla campagna
Rubriche/Notizie per la salute
Diabete: un bicchiere di vino, se buono, fa bene Il dottor Antonio Bossi conferma che un buon bicchiere di vino fa bene nel diabete ben controllato
I “Noci del cuore”. I fondi raccolti restano in toto all’associazione, che li impiega per l’acquisto di attrezzature, tra cui i “Mini Anne” e i defibrillatori. In questi quindici anni di attività sono diversi gli ambiti nei quali è intervenuta: «abbiamo fornito al reparto di cardiologia il sistema di allarme di emergenza per l’unità coronarica, ed un sistema di telemetria e refertazione da ecografo, ad integrazione delle strutture presenti; abbiamo inoltre contribuito, con altri 27 partner, alla fornitura di un ecografo di ultima generazione». L’attività sociale è poi completata dal sostegno alla formazione del personale medico, attraverso l’istituzione di borse di studio per corsi di specializzazione. «È in programma la consegna di un elettrocardiografo da installare su un’ambulanza della Croce Rossa Italiana di Treviglio: in questo modo i dati del paziente verranno trasmessi in tempo reale al reparto, che sarà così preparato ad accoglierlo abbattendo i tempi di attesa e garantendo un intervento tempestivo. Per quanto riguarda il futuro intendiamo continuare la strada intrapresa, perché le malattie cardiovascolari sono quelle della società evoluta, nella quale trionfano televisione, alimentazione scorretta e scarsa attività fisica, facendo crescere colesterolo e trigliceridi, fattori di rischio per l’infarto». d. r.
l signor Mario ha 73 anni, è diabetico del cosiddetto 2º tipo, cioè non dipendente da mancanza di insulina e tipico dell’adulto sovrappeso. Chiede: “Scusi dottore, mangiando posso prendere un po’ di vino?” - «No, proprio no, fa male!». Questa proibizione se la becca normalmente dalla moglie o da una figlia perché le donne sono sempre virtuose e sono loro che vegliano e ci impediscono di rovinarci la salute. Proprio come nella barzelletta. Dal medico: “Bevi? – No! - Fumi? –No! - Ti piacciono le patate? – Sì? - Allora non mangiarne più!” Perché il dottore è tanto più bravo quanto più proibisce. In questo caso però i timori di mogli, figlie e medici sono mal riposti; almeno così si direbbe in base a recenti indagini scientifiche pubblicate su importanti riviste internazionali. Sembra infatti che un bicchiere di vino (150 ml) bevuto durante il pasto principale, in particolare se aggiunto alla dieta mediterranea, riduca il livello della colesterolemia, aumenti il colesterolo “buono” (HDL) e la quantità di una proteina che aiuta a rimuovere dal sangue il colesterolo “cattivo” LDL. Così non è, invece, per gli astemi. Inoltre, il vino bianco diminuisce la glicemia a digiuno. Sia il vino bianco che il vino rosso abbassano la quantità di trigliceridi. [Ann Intern Med. 2015;163:569] Tutto questo è stato dimostrato esaminando 224 diabetici per 2 anni. In particolare, i bevitori di vino rosso ottengono una più netta riduzione della colesterolemia nei confronti delle persone che continuavano a bere solo acqua. Mentre il vino bianco riduce la glicemia a digiuno, quella che si misura normalmente il mattino prima di colazione. Altri studi hanno poi provato che quantità moderate di alcol abbassano il rischio di mortalità per malattie cardiovascolari. Alla fine, se un diabetico in buon controllo glicemico beve moderatamente, è ragionevole possa continuare a farlo. Da valutare se sia giusto consigliare ai diabetici astemi di iniziare a bere. Questi studi sembrano proprio dire di sì. Se l’assunzione di moderate quantità di alcol, riduce il rischio di ischemia cardiovascolare e di mortalità, esattamen-
te il contrario accade ai forti bevitori. Lo conferma un’indagine che ha coinvolto 11.140 persone con diabete di tipo 2º. Gli effetti dell’alcol dipendono grandemente dalla sua quantità. Se bere moderatamente può essere di beneficio; bere troppo aumenta il rischio di malattie del cuore e del fegato, provoca dipendenza (incapacità di smettere e necessità di prenderne sempre di più), va spesso di pari passo con il troppo fumo con le conseguenze individuali e sociali note a tutti. [Diabetes Care 2014; 1353]. Concorda con i risultati di questi studi il dottor Antonio Bossi (nella foto), primario di diabetologia dell’Azienda Ospedaliera di Treviglio: «È tutto giusto, ma che il vino sia buono! Per la verità, se questo è certo per i maschi, lo è meno per le signore che, comunque, ne devono bere di meno». È una vendetta? Brindiamo! Angelo Sghirlanzoni
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Associazioni/L’impegno nel sociale
Cambio della guardia al Soroptimist di Maria Palchetti Mazza
Nell’avvicendamento annuale, la prof. Stella Gatto, già Dirigente scolastico del Liceo “S. Weil”, subentra ad un’altra insegnante, la prof. Maria Gabriella Bassi. In questa intervista la presidente illustra il suo programma
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el club “Soroptimist” di Treviglio c’è un nuovo Presidente, Stella Gatto, già Dirigente scolastico del Liceo “S. Weil”. Subentra alla Gabriella Bassi per il naturale avvicendamento ad una carica densa di impegni e di progetti, quali quelli fino ad oggi portati a termine e che tali si prospettano anche per il futuro. Il sodalizio fa parte dell’omonima organizzazione internazionale che riunisce donne di elevata caratura professionale ed opera in diversi progetti mirati all’affermazione delle pari opportunità tra i due sessi. È proprio “il meglio per le donne” che il Club persegue dal lontano 1921, anno di fondazione ad Oakland, in California, per poi approdare nel 1924 in Europa e nel 1928 a Milano. Oggi il “Soroptimist International” d’Italia conta 140 Club e circa 6.000 socie. La sezione trevigliese, fondata nel 2009, ha promosso convegni su tematiche afferenti gli alti obiettivi che si propone. Ha un proprio premio letterario e collabora con altre Associazioni culturali del territorio, maglia di una rete che coinvolge realtà diverse ma accomunate da identità di scopi. Stella Gatto ha assunto l’incarico l’1 ottobre 2015, facendo parte da tempo del Soroptimist. L’attuazione del programma da lei presentato si avvarrà del sostegno e del contributo di tutte le iscritte, con le quali da tempo condivide l’attenzione e la disponibilità verso i meno fortunati, in prospettiva sia culturale che economica. Le chiediamo di parlarci di un progetto che le sta particolarmente a cuore. «La concretezza dei risultati – ci spiega - è una delle
costanti dei nostri interventi: è con questo spirito che è nato il “Progetto per l’Uganda”, proprio per portare aiuto, non solo materiale, a donne e bambini di quelle terre. Un progetto alla cui realizzazione ha contribuito un nutrito gruppo di colleghe disponibili, oltre al prezioso intervento di Gabriella Bassi». Si può, quindi, definire Soroptimist un insieme di persone attive che ama la concretezza dei risultati derivanti dalla realizzazione di progetti realistici? «Mi pare una buona definizione. Operare con stile, al di là di ogni forma di autocompiacimento. È il nostro paradigma comune, anche per obiettivi di minor respiro come il “Concorso delle ricette”, mirato a recuperare la tradizione culinaria locale. L’utilizzo della
Al centro Stella Gatto con Lia Bergamini (a destra) e Andreina Pasini durante la manifestazione “L’Ospedale in Piazza”. Sopra Stella Gatto e Gabriella Bassi, presidente uscente. Sotto Stella Gatto e delle volontaria presso l’Ipercoop durante la raccolta di fondi per bimbi africani denutriti
zucca, per esemplificare, oltre ad offrire una vasta gamma di utilizzi in virtù dell’apporto di sali minerali e di calcio - ottimi per le diete ipocaloriche - porta ad un passato lontano, dal sapore antico». Quali attualmente gli obiettivi che si propone di conseguire? «Arricchire, sebbene non sia in realtà esigenza derivante da carenze di qualunque natura, le risorse professionali del club, partecipare a progetti di solidarietà, consolidare la nostra immagine in una fitta rete di collaborazioni». Più nello specifico? «Un gemellaggio con il Senegal, con il quale Gabriella Bassi ha già preso contatti nell’intento di portare avanti un progetto culturale e musicale, anche grazie all’aiuto di soci a livello internazionale». Qual è un evento che ricorda con piacere? «Il Convegno contro la violenza sulle donne: Mariolina Coppola ha lanciato una App a livello nazionale, “SHAW”, grazie alla quale le donne in difficoltà possono contattare telefonicamente il “Centro antiviolenza”. Il Club di Treviglio ha al suo attivo anche due pubblicazioni: “Problematiche degli adolescenti” e “Scritto e mangiato”, sull’uso consapevole del cibo». Quali sono le sue speranze? «Mi auguro di conseguire gli obiettivi che ci siamo proposte e, in tal senso, mi danno speranza sia lo spirito di appartenenza che anima il club sia gli alti ideali cui si ispira». Le Sorores Optimae possono ancora una volta contare sulla forza dei sentimenti e sulla determinazione, anima della loro progettualità. Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Personaggi celebri
Il trevigliese Verga visitò Manzoni a cura di Angelo Sghirlanzoni
Alessandro Manzoni è morto per una caduta apparentemente banale. Il trevigliese Andrea Verga fu uno dei medici consultati dai familiari, un episodio dal quale emerge la grandezza dello scienziato
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lessandro Manzoni è nato il 7 marzo 1785. Aveva 88 anni quando, il 22 maggio 1873, un ematoma subdurale (una raccolta di sangue all’interno del cranio che schiaccia il cervello) pose fine ai suoi giorni. Ancora in vita ha goduto di grande fama e di straordinari riconoscimenti. La sua tarda età “sollevata dalle angustie economiche, ricreata dagli applausi universali” non è stata però “un adeguato compenso alla perdita di tutti i suoi amici, di tutti i suoi figli, meno due; e della prima e della seconda moglie”. Stridente il contrasto tra il suo destino e la morte prematura, le difficoltà economiche, l’infelicità e l’inesorabile anonimato di molti dei suoi nove figli. La descrizione degli ultimi mesi della sua vita, eccezionale per precisione e partecipazione emotiva, è stata pubblicata nel 1874 su “Il Rosmini” da un amico “ammesso, alla sua ristrettissima conversazione “ …Don Alessandro aveva quasi 88 anni; ma non era diventato vecchio che da pochi mesi, quando la sera del 6 gennaio 1873, essendo io andato, com’era mio costume, lo trovai che stava, secondo il solito, leggendo; ma con la testa bendata. Nella mattina, andando alla Messa a San Fedele, era caduto sulla gradinata e aveva battuto la fronte sugli scalini; per cui dovette tornare immediatamente a casa, ove giunse grondante sangue dalla piccola, ma pur troppo fatale ferita… Qualche giorno dopo quel funesto 6 gennaio, egli disse a don Natale Ceroli: - Non si accorge Lei di un decadimento in me? Tutte le idee mi si confondono; non sono più io-. Trascorso ancor poco tempo, il suo decadimento intellettuale divenne pur troppo evidente; … ebbe a confessare che faticava assai a tenere dietro vari discorsi che si facevano … Il tracollo di quella mente sovrana fu al giungere della quaresima (inizio marzo)… Egli sentiva sfuggirgli non solo quella sua portentosa memoria, ma la memoria anche delle cose più recenti e più ovvie; sentiva confondersi quella folla enorme di idee le più disparate, che la sua immensa erudizione aveva messo insieme; e ne soffriva moltissimo…” Alla morte del “…diletto figlio Pietro (il primogenito) che lo precedette di ventiquattro giorni nel sepolcro... successe in quell’intelligenza portentosa una miserabile confusione delle tre idee le più diverse, che vi
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predominavano da alquanti giorni: la malattia di Don Pietro, il lavoro che stava facendo sull’epoca del Terrore in Francia, e i giorni d’olio che erano prescritti nella quaresima… e per tutta quella quaresima fu in un ansioso timore di mancare al precetto, sbagliando, per la perduta memoria, i giorni di stretto magro…eppure sopra questo guazzabuglio di pensieri, non so se più deforme o più straziante, era rimasta, e rimase fino all’ultimo la cultura, la eleganza della forma… Da principio quella mente era un mosaico meraviglioso a cui, per una scossa potente, fosse andata fuori di posto una quantità di pezzi; poi la si poteva paragonare a una città … sconquassata ogni giorno da terremoto… E questo sentimento in lui predominante era il pentimento degli errori della sua prima giovinezza, innanzi alla sua conversione avvenuta nell’anno ventesimoquinto della sua età… - Temo, egli ci diceva, di fare una morte empia; temo che, in punizione della mia antica miscredenza, mi venga qualche pensiero contro la rivelazione; e l’ultimo pensiero volontario. Don Alessandro precipitava in uno stato assai più somigliante alla follia che all’imbecillità… … Furono consultati i medici più rinomati della città, specialmente il chiarissimo psichiatra Dottor Verga, che però non diede alcuna speranza ne usò intraprendere alcuna cura, per l’età gravissima dell’ammalato. Alla fine di aprile morì Don Pietro, senza che il padre riuscisse a comprenderlo: si era invece fissato in testa che suo figlio fosse andato a Bergamo: e quantunque si fosse costretti a tentare di fargli capire almeno che il suo figlio stava male, questa idea non faceva che scivolare sulla sua intelligenza… La sera della domenica 11 maggio fu l’ultima che egli passò alzato… La notte fu preso da una violenta agitazione nervosa… Ricominciò il delirio, accompagnato da eccessi nervosi, e continuò fino al mercoledì 21 maggio... Il seguente giovedì, 22 maggio, festa dell’Ascensione, cominciarono le gravi sofferenze della difficoltà del respiro. Alle ore sei gli fu data l’estrema unzione… e quasi immediatamente chinato il capo, senza agonia, il gran credente rese la grande anima a Dio.” Questa cronaca anonima è un’accurata descrizione della morte di un paziente dovuta
Sopra un busto di Andrea Verga a Milano, a destra un’immagine di Alessandro Manzoni in tarda età
a un ematoma subdurale cronico. Nella seconda metà del diciannovesimo secolo non c’erano strumenti per diagnosticarlo. All’epoca, era di frequente trovato nelle autopsie degli alcolisti. I sintomi erano però già noti. All’inizio si hanno disturbi vaghi come cefalea, stanchezza, perdita di memoria e, come è descritto in un trattato del 1896: “…difficoltà nel trovare le parole corrette, e cammino esitante”. Alla fine “Ci possono essere paralisi, contratture e convulsioni”. Ai tempi del Manzoni il trattamento chirurgico non era possibile. Fu consultato “l’illustre dottor Verga”, dal 1865 “professore straordinario di dottrina e di clinica delle alienazioni mentali” che adottò il principio del “primo, non nuocere” e quindi non applicò il trattamento basato sulla “rimozione di sangue con salassi e somministrazione di revulsivi…–allora in uso- per quei casi”.
Come Andrea Verga conobbe Manzoni
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l medico conobbe Alessandro Manzoni in modo superficiale ma curioso, infatti realizzano insieme alcuni esperimenti sul magnetismo animale Andrea Verga nasce a Treviglio il 30 maggio 1811, proprio nella via che porta tutt’ora il suo nome. Frequenta le scuole elementari, poi si reca a Milano per studiare in seminario, infine si iscrive all’università di Pavia laureandosi in medicina e chirurgia. Pratica il proprio lavoro con passione e riceve, col passare degli anni, una serie di riconoscimenti in Lombardia. Entra in contatto col Manzoni a causa della curiosità che quest’ultimo nutriva nei confronti del magnetismo animale. Inizialmente incre-
Rimembranze trevigliesi
Carlo Pizzetti, fondatore dell’Avis di Treviglio
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La grandezza del dottor Andrea Verga è testimoniata dalla letteratura specialistica del diciannovesimo secolo; qui colpisce però la saggezza con la quale si astenne dal trattare l’eminente paziente perché è molto più facile ordinare cure inutili, se non dannose, che astenersi dal farlo. Come molti uomini del suo tempo, Alessandro Manzoni è stato assistito durante l’agonia da tanti che “gli erano cari”. Nella sua stanza vegliavano “… la nuora, le nipoti, il signor Brambilla, fidanzato ad una di queste, il suo fido cameriere Clemente, il medico Todeschini, e i suoi due parroci, quello di Milano e quello di Brusuglio” (dove aveva la casa di campagna). Per nessuno di noi sarà così! La morte è ormai spesso tecnologica, relegata in ospedale, nella alienazione di un ambiente estraneo, negata, come nelle storie miracolistiche dei serial televisivi, o vissuta come errore medico. Ad Alessandro Manzoni è andata meglio! Da © Ital J Neurol Sci (Springer-Verlag Italia)
dulo, poi scettico, lo scrittore vuole infine constatare l’efficacia di questa pratica che si basava sul presupposto che in organismo vivente vi è un fluido magnetico che sprigiona energia. La curiosità era nata dalla frequentazione di Stefano Stampa nel 1848, che gli aveva narrato alcuni fatti a cui aveva assistito e che potevano far pensare al magnetismo animale. Il Manzoni compie degli esperimenti su una contadina che, addormentata, sceglie per tre volte consecutive una moneta che era stata precedentemente magnetizzata. Gli esperimenti proseguono poi a Milano con l’intervento di Andrea Verga. Nonostante alcune esperienze scientifiche realizzate insieme, l’amicizia che si crea tra il medico trevigliese e Manzoni è piuttosto superficiale. Verga muore a Milano nel novembre 1895 ed è sepolto nel cimitero monumentale.
ll’età di novantatrè anni se ne è andato il dott. Carlo Pizzetti, fondatore dell’Avis di Treviglio e suo presidente per quarant’anni. Bravo professionista, disponibile e affabile, è stato tra i personaggi più amati del dopoguerra. Ad un mese dalla sua scomparsa lo vogliamo raccontare raccogliendo alcune informazioni dalla sue memorie. Pizzetti, che ancora ricordiamo nella sua 600 Fiat curata come fosse nuova, anziché d’antiquariato, nasce da una famiglia contadina di Seniga, comune di 800 abitanti sulla sponda destra dell’Oglio in provincia di Cremona, unito poi a Gabbioneta nel 1928. Gracile, Carlo quando finisce le elementari non pare pronto per i lavori dei campi, così i genitori decidono di fargli ripetere la quinta non essendoci a Seniga altra scuola da frequentare. Il nuovo insegnante, Bertolo Maggi, è però decisivo riguardo al futuro del piccolo. Fortuna che il dott. Pizzetti riassume così nel suo diario: «Non si usavano allora i colloqui dei genitori con gli insegnanti, ma accadde che papà incontrò il maestro al funerale del sig. Tonghini Sebastiano di Binanuova, per cui ci fu l’occasione per parlare di me. Il maestro lo convinse a farmi sostenere gli esami di ammissione per continuare gli studi». Dopo le magistrali inferiori (frequentate a Cremona) Pizzetti decide di cambiare scuola e frequentare il liceo scientifico Gaspare Aselli di Cremona, questo per poi poter intraprendere gli studi universitari. Doveva però recuperare l’anno perso in quinta elementare, così sostiene con un anno di anticipo la maturità a Parma. «A differenza della maggior parte di studenti cremonesi che optavano per l’Università a Parma – racconta la figlia Elena, giornalista - mio padre decide di andare a Milano». Si laurea nel 1949 e inizia l’attività medica all’Ospedale di Niguarda, divisione Medicina, come assistente volontario. Non potendo sostenere le spese necessarie alla carriera universitaria, come sperava di fare, intraprende la strada del Medico Condotto (medico del territorio). «Nel gennaio 1950 – prosegue Elena - viene a sapere che all’ospedale Santa Maria di Treviglio cercano un assistente. I candidati erano due, il primario scelse mio padre, che non essendo di Milano, dava maggiori garanzie di restare a Treviglio più lungo. Il 7 febbraio 1950 lascia Milano con profondo rammarico e raggiunge Treviglio». Il trattamento economico era composto
da vitto, alloggio e 17.000 lire al mese, equivalenti a circa 500 euro di oggi. «Rimase in Ospedale per cinque anni, poi a causa dell’esiguità del compenso – prosegue la figlia - si convenzionò con la Cassa Mutua dell’Inam che a lui assegnò circa 130 assistiti che rapidamente diventarono 3.000». La libera professione diventa unica attività di Carlo Pizzetti dal primo marzo 1956. Il 4 agosto 1960 si sposa con Carolina De Lucchi (ventitreenne neo laureata in lingue all’Università Cattolica di Milano), dalla quale avrà tre figli, Gabriella, oggi insegnante di scienze naturali, Giuseppe, primario di cardiologia, Elena, giornali-
sta professionista che iniziò i primi passi proprio presso “la tribuna”. Carlo Pizzetti va in pensione nel 1992 all’età di 70 anni, continuando la sua attività di presidente dell’Avis fino all’anno successivo, venendo quindi nominato Presidente Onorario. Nel 1994 il Presidente del Consiglio dei Ministri gli conferisce l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica. «Terminato di scrivere le sue memorie – ci racconta Elena Pizzetti - e descrivendo la celebrazione per il novantesimo compleanno, scrisse: “La speranza è ora quella del centenario. Ci arriverò? Ne varrebbe la pena purché riesca a conservare la lucidità che tuttora mi sorregge”. E mercoledì 2 dicembre, seduto a letto con i suoi soliti tre quotidiani (Il Giornale, La Provincia di Cremona e Libero), tranquillo con in mano proprio le sue memorie, diceva a mia madre che erano venute bene… Lucidissimo fino alla fine». Giorgio Vailati Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Personaggi storici
Giovanni Maria Bicetti de Buttinoni di Elio Massimino
Coraggioso pioniere della medicina e bravo medico condotto, nel 1765 durante una grave epidemia di vaiolo a Treviglio, fu tra i primi in Italia a sperimentare il vaccino per debellarla. Fu anche Poeta dilettante, ma soprattutto uomo colto
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iovanni Maria Bicetti de Buttinoni, nato a Treviglio nel 1708, dopo la laurea in medicina a Pavia, iniziò a risiedere ed esercitare a Milano. Poeta dilettante, ma soprattutto uomo colto, amava frequentare i circoli letterari e i migliori salotti della città. La sua vera vocazione però erano la medicina e la ricerca scientifica ed alla fine, forse su pressioni della moglie Francesca de Federici, anche lei trevigliese, nel 1747 si trasferì a Treviglio dove gli fu affidato l’incarico di “secondo medico della comunità”, cioè di medico condotto. Un medico di inizio ‘700 in fondo aveva pochi strumenti in più di un suo collega dell’anno mille. Nel secolo precedente gli studi anatomici di Andrea Vesalio, quelli sulla circolazione del sangue di William Harvey e i primi rudimentali microscopi, avevano cominciato a incrinare convinzioni vecchie di secoli, ma la scoperta di batteri e virus era di là da venire e quindi la medicina era del tutto impotente di fronte alle ricorrenti epidemie di peste (quella “Manzoniana” è del 1630), tifo petecchiale e vaiolo. Quest’ultima epidemia accentuò le sue comparse nel ‘700, divenendone il principale problema sanitario, mentre la peste in quel secolo diminuì le sue apparizioni. In realtà da tempo immemorabile in Cina, India e in certe aree caucasiche veniva praticata l’inoculazione, introdotta poi in Turchia nel ‘600. In occidente per prima ne aveva scritto nel 1721 lady Walterly Montague, moglie dell’ambasciatore inglese in Turchia, che l’aveva vista praticare in quel paese. La tecnica era questa: si metteva un po’ di pus preso da pustole di una persona malata di vaiolo in forma blanda su una incisione fatta nella pelle di un soggetto sano che così avrebbe sviluppato la malattia in forma leggera e dopo la guarigione sarebbe diventato immune. Si può immaginare che questo metodo sia stato molto avversato da gran parte della medicina ufficiale. Antonio Vallisnieri, grande medico e biologo patavino settecentesco, a proposito dell’inoculazione scriveva che nonostante imperversasse il vaiolo «Padova era troppo nimica di cose nuove». Ecco che nel 1765 arriva a Treviglio una nuova epidemia di vaiolo. Bicetti de Buttinone è quasi un sessantenne ma ha il coraggio di un giovane ricercatore è così, da autentico illuminista, superando convenzioni antiquate e rischiando non solo la reputazione ma anche
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di venire contagiato, decide di sperimentare l’inoculazione sui bambini. È uno scienziato moderno che si basa sull’osservazione e vuole condividere i risultati con la comunità scientifica, così descriverà a dodici dei più illustri clinici del tempo le sedici inoculazioni praticate, partendo dalle reazioni dei soggetti fino alla guarigione. Queste relazioni e le risposte dei destinatari le pubblicherà nello stesso 1765 in un prezioso volumetto intitolato “Osservazioni sopra alcuni innesti di Vajolo con l’aggiunta di varie lettere di uomini illustri”. Bicetti de Buttinoni vorrebbe anche diffondere l’inoculazione nella sua Lombardia Austriaca e quindi si rivolge al «Sig. Conte Carlo Firmian, ministro plenipotenziario di S. M. Imperiale”, (...) poiché per indurre nella Lombardia austriaca l’innesto del Vajuolo è necessaria l’assistenza di un personaggio grande per nascita, eminente per dottrina» - e siccome è consapevole dei rischi che corre conclude - «insieme all’inoculazione si degni l’E.V. di proteggere anche l’inoculatore (...) Trevì 10 Giugno 1765». Le dodici “relazioni” hanno grande valore scientifico, ma esprimono anche la sua trepidazione e poi un’autentica gioia alla guarigione dei bambini inoculati. È preoccupato il nostro medico per il «bambino figlio del sig. Giovanni Tavecchia mercante in Trevì di mesi ventuno già spoppato a cui ho praticato inoculazione di marcia vajolosa». L’innesto era avvenuto il 4 febbraio, però dopo una reazione con febbre e piaga purulenta finalmente «si corrugarono le pustolette, avendo io veduto il bambino, con
mio singolare piacere, perfettamente sano e allegro». Medico di se stesso è il titolo di un suo almanacco pubblicato in quattro edizioni (dal 1770 al 1773) per incoraggiare le persone a mantenersi in salute attraverso quella che lui chiama medicina conservatrice (oggi diremmo preventiva). Molti consigli sono validi ancora oggi: «siami lecito richiamare alla memoria l’arte chiamasi ginnastica, ossia degli esercizi come il corso, il disco il salto», che non è poco in un secolo di uomini imparruccati e dame svenevoli, e prosegue contestando le purghe come rimedio universale «a questi esercizi che la mollezza dei tempi e la noncuranza de’ Medici ha posto in dimenticanza, si è creduto forse di supplire, sostituendo le Purghe Primaverili, dalle quali si ottiene appunto tutto il contrario». È contrario alla pratica indiscriminata dei salassi: «i deboli, i cattarrosi, gli scorbutici, chi abbonda di cattivi umori, chi è soggetto ai vermi, le fanciulle pallide e scolorite, ne sentono gran detrimento». Raccomanda anche l’igiene personale, in particolare alle puerpere «non si può finalmen-
Edward Jenner nel 1798 inoculò il vaiolo vaccino, dimostratosi sicuro e efficace (Olio su tela di Gaston Melingue)
te abbastanza raccomandare la pulitezza. La donna di parto può cangiare quante volte a lei piace le camicie e le lenzuola, purché queste non è abbiano servito ad altre persone». Si pensi che circa 80 anni dopo, nella clinica ostetrica di Vienna si sarebbe verificata una grave moria di puerpere per infezioni dovute alla scarsa igiene dei medici. Fülöp Semmelweis, medico interno che aveva intuito la causa, boicottato dai colleghi finì in manicomio dove morì. Molto moderna per quel tempo era la sua contrarietà alla fasciatura dei neonati: «quindi non è maraviglia se la maggior parte de’ fanciulli in tanti lacci crescono così poco». Bicetti de Buttinone morì nel 1778 e quindi non fece in tempo a vedere la scoperta del medico inglese Edward Jenner, il quale nel 1798 iniziò a utilizzare nelle inoculazioni il vaiolo vaccino (delle vacche), dimostratosi più sicuro e efficace. Di qui il termine “vaccino” usato per tutte le successive scoperte secondo lo stesso principio dell’inoculazione. Giuseppe Parini gli dedicò un’ode, non al poeta (che non valeva molto) ma allo scienziato, che paragonò addirittura a Cristoforo Colombo: «O genovese ove ne vai? Qual raggio brilla di speme sulle audaci antenne?». Anche il conte Pietro Verri volle celebrare le sue “Osservazioni” con un articolo ne “il Caffè”, il giornale degli illuministi. Ma credo che le migliori soddisfazioni le abbia ricevute dalla gratitudine dei trevigliesi, che continuò ad assistere anche dopo la pensione. Nel 1888, finalmente, la città gli dedicò una targa che tutt’ora appare nella facciata della sua casa al numero 6 di via Roma. In quello stesso anno il Regno d’Italia rese obbligatoria la vaccinazione contro il vaiolo. Giovanni Maria Bicetti de Buttinone era in anticipo di oltre un secolo. Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Anniversari/La morte del padre della lirica
Muore Verdi, è il Gennaio del 1901 di Hana Budišová
Il 27 gennaio ricorderemo i 115 anni dalla scomparsa di uno dei più grandi personaggi della storia della musica, il massimo rappresentante dell’opera romantica italiana e dell’italianità stessa, Giuseppe Verdi
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ato a Roncole nel 1813 da una famiglia di rivenditori alimentari, Giuseppe Verdi si è avvicinato alla musica molto presto studiando dapprima l’organo e più tardi il pianoforte dal maestro del paese, diventando alla sua morte l’organista della chiesa. Nel periodo degli studi presso il ginnasio di Busseto, seguì le lezioni di Ferdinando Provesi, maestro dei filarmonici di quel comune, che gli insegnò i principi della composizione e della pratica strumentale. In seguito, dopo esser stato rifiutato al Conservatorio di Milano per “scorretta posizione della mano nel suonare e per raggiunti limiti di età” (aveva 18 anni), studiò privatamente dal clavicembalista milanese Vincenzo Lavigna grazie al quale iniziò a frequentare il mondo della musica milanese. Nel 1839 fu rappresentata al Teatro alla Scala la sua prima opera, Oberto Conte di San Bonifacio, che riscosse un discreto successo, anche se si sarebbero dovuti attendere
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ancora tre anni prima che Verdi riscuotesse successo trionfale con l’opera Nabucodonosor (Nabucco). L’opera, nel solo anno della prima esecuzione, ebbe ben sessantaquattro repliche e negli anni successivi fu rappresentata a Vienna, Lisbona, Barcellona, Berlino, Parigi, Amburgo, New York e Buenos Aires; da qui il maestro iniziò una folgorante carriera. Per quasi dieci anni scrisse in media un’opera all’anno; componimenti di successo rappresentati in molti teatri italiani ed europei, composto spesso su commissione con ritmi di lavoro talmente massacranti dove l’ispirazione, spesso, non aveva molta importanza: “Sono felice, non importa che riscontro arriverà, io sono completamente indifferente a tutto ciò. Non vedo l’ora che questi prossimi tre anni passino. Devo scrivere altre sei opere, poi addio a tutto” (1845, dopo “I due Foscari”). Verdi, noto anche come “il Cigno di Busseto”, nella sua lunga vita, scrisse 28 opere,
più cinque rivisitazioni. Tra le più importanti da ricordare Rigoletto (1851), il Trovatore (1853), La Traviata (1853) e le ultime due, Otello (1887) e Falstaf (1893). In giovane età Verdi scrisse tanta musica non operistica (musica sacra, marce, cantata e altro) ma per il resto della sua vita si dedicò quasi esclusivamente all’opera (da ricordare la memorabile Messa da Requiem in memoria di Alessandro Manzoni del 1874). Intorno al 1840 iniziò ad interessarsi di politica; su richiesta di Giuseppe Mazzini scrisse un Inno patriottico, fu poi eletto membro del nuovo consiglio provinciale e nel 1861 eletto al Parlamento del Regno di Sardegna; nel 1874 fu nominato membro del Senato italiano, ma non parteciperò mai alle sue attività. Intorno a 1859 si diffuse in tutta Italia lo slogan VivaVerdi utilizzato come un acronimo di “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”. Dopo l’unificazione d’Italia molte delle prime opere di Verdi furono re-interpretate
I legami della lirica verdiana con Treviglio
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reviglio nell’ottocento era molto più milanese di oggi, lo divenne meno con l’Unità d’Italia e la sua ghettizzazione sotto provincia di Bergamo. Una storia antica quella del legame con Milano, vecchia di oltre ottocento anni, ovvero quando Federico Barbarossa il 28 Maggio del 1186 donò il territorio tra Vaprio d’Adda a Lodi - Treviglio e Crema incluse- a Milano. Epoca feconda di rapporti, quando la simbiosi tra la metropoli e la nostra cittadina era totale, sia per gli scambi commerciali che per quelli intellettuali e artistici. Da quelli tra Zenale e Butinone con Leonardo
Da Vinci del Rinascimento, fino ad arrivare ad Alessandro Manzoni e la sua sposa casiratese, Enrichetta Blondel, poi l’amicizia con il trevigliese Tommaso Grossi. Oppure la frequentazione “turistica” dei milanesi a Treviglio a metà ‘800 grazie alle ferrovie costruite dagli austriaci che la collegarono con Milano. Uno dei frequentatori di Treviglio era proprio Giuseppe Verdi.
Teatro/L’8 Gennaio al Tnt
Sopra in ritratto a matita di Giuseppe Verdi, a sinistra fotografato sul letto di morte e a sinistra sul letto di morte e il funerale. Sotto il Teatro Sociale
per dimostrare la presenza di messaggi rivoluzionari che molto probabilmente non erano stati voluti né dal compositore né dai librettisti. Giuseppe Verdi morì a Milano all’età di novant’anni lasciando un’impronta indelebile nel mondo musicale; le sue opere sono ancora oggi estremamente popolari e rappresentate nei teatri di tutto il mondo. Lo spirito risorgimentale percepito in alcune di esse, le sue melodie, vengono ancora usate per esprimere il sentimento nazionale (nel 2011 durante una rappresentazione del Nabucco presso il Teatro di Roma, il direttore d’orchestra Riccardo Muti in una pausa seguita dopo il “Va, pensiero” si rivolse al pubblico, ove sedeva anche l’allora ministro del consiglio italiano, per lamentarsi dei tagli ai finanziamenti statali della cultura). E la musica lirica fu un emblema di questo legame che vide protagonista il Teatro Sociale, abbattuto nel ventennio fascista per erigere il Teatro Comunale, quindi un’altro regime, quello edilizio, che lo abbatté per costruire l’Upim nel 1971. Edificio oggi “rimediato” alla meglio e che ospita il Teatro Nuovo. Fatta eccezione per i trent’anni dell’Upim, quel luogo della piazza ha scaldato cuori e passioni, soprattutto per la lirica e in particolare per Giuseppe Verdi. Non va dimenticato che il Teatro Sociale, vedi foto del 1902, era uno dei rari in Lombardia che possedeva la “fossa” per l’orchestra, quindi perfetto per la rappresentazione lirica quale quella del Verdi. Fossa che in qualche modo esiste anche nel Tnt e che è data dal livellamento delle varie pedane del palco che consentono all’orchestra di esibirsi senza coprire la visione del palco al pubblico. Roberto Fabbrucci
La storia di un sogno
Una pièce contemporanea al Teatro Nuovo: Maneki Dream di Riccardo Baudino
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’8 gennaio 2016, alle ore 21, presso il Teatro Nuovo di Treviglio, troveremo l’ex-alunno del liceo Simone Weil, Riccardo Baudino (nella foto), oggi ventottenne, in veste di autore, con una produzione Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera. “Maneki dream” è la storia di un sogno, protagonisti tre uomini di origini diverse nel caos del mondo odierno, alla ricerca di una identità primordiale, di un posto in cui “sentirsi finalmente a casa”. Dietro lo spazio assolutamente impersonale del bar dove trascorrono le ore, sta la magia del passato, radice vitale che rinasce nel presente. Sullo sfondo la metamorfosi di Milano, da sette giorni sommersa da una pioggia irreale. La città respira con altri personaggi, racchiudendo in sé creature fantastiche, come il tragicomico Piccione Bipolare. Sulle acque del bar semi sommerso, l’uccello immaginario, ucciso dai tre uomini, lascerà spazio all’apparizione di fantasmi, quelli dei loro cari scomparsi. Per la narrazione dei fatti la regista, Francesca Merli, ha scelto Maneki Neko (“gatto che chiama”), il gatto di plastica dorata che troneggia sul bancone di molti bar sino-meneghini. Le sue parole, antiche e modernissime a un tempo, raccontano l’amicizia di tre uomini piccoli e perduti. Nel bar si realizza la magia che trasforma un luogo banale nel punto di congiunzione tra la vita e la morte. La musica, creata appositamente per lo spettacolo da Federica Furlani, popola di
immagini la scena, accompagnando la fioritura della magia, che esploderà nel finale di questa parabola contemporanea, la cui morale potrebbe essere riassunta con due famosi versi: “Dai diamanti non nasce niente, / dal letame nascono i fior”. Con questo spettacolo, che ha debuttato al Teatro ATIR Ringhiera di Milano, Baudino ritorna felicemente a Treviglio. Dopo anni di studio, dal Weil alla facoltà di Lettere Moderne, alla “Civica Scuola di Teatro” Paolo Grassi, alle esperienze del festival “Franco Agostino” di Crema, ai laboratori del TAE Teatro, al festival Treviglio Poesia, e al lavoro con il regista Antonio Latella all’interno del progetto Santa Estasi, Maneki dream appare come il frutto concreto di un amore, quello che forse è nato dalle esperienze di teatro vissute al Weil molti anni fa. L’Associazione Culturale Clementina Borghi, con gli altri sponsor, è lieta di aiutare Baudino a rendere realtà i suoi sogni. Maria Palchetti Mazza
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Treviglio/Concerti
Grechi: “La musica barocca che rivive” di Cristina Signorelli
In vista dell’appuntamento del 31 gennaio alle 21.00 presso la chiesa di San Pietro di Treviglio, abbiamo incontrato Massimo Grechi, fondatore e direttore della formazione Ensemble Magnificat, composta da coristi e strumentisti
U
n concerto di musica barocca potrebbe sembrare quanto di più ostico si possa immaginare, invece l’Ensemble Magnificat da ormai otto anni si presenta a Treviglio all’appuntamento annuale di gennaio raccogliendo sempre maggior favore di pubblico e critica; così l’incontro con Massimo Grechi è l’occasione per conoscere meglio la formazione della quale è fondatore e direttore. Definirlo coro mi pare riduttivo, vuole spiegarci più approfonditamente di cosa si tratta? «Sì, l’Ensemble è una formazione di coristi e strumentisti accomunati dalla passione per la musica antica che, svolgendo per lo più altre attività professionali, vivono questa esperienza come hobby, o meglio, come un secondo lavoro. Infatti, l’impegno di tempo ed energia che impiegano è importante, dovendo spaziare in un repertorio di composizioni musicali che vanno dalla polifonia sacra tardo rinascimentale all’oratorio barocco. Io sono architetto e mi dedico alla professione per dovere, ma la mia passione, il mio tempo libero e in qualche modo il mio cuore da sempre sono rivolti alla musica». A questo proposito a quando fa risalire il primo incontro con la musica barocca, piuttosto impegnativo? «La prima volta che ho provato curiosità per questo genere musicale ero davvero molto piccolo, avevo circa dieci anni, ma fin da allora l’ascolto casuale di un Bach diverso da quello che conoscevo e suonavo mi ha impressionato e appassionato».
È così che il giovane Massimo, parallelamente agli studi classici e poi a quelli universitari, dapprima intraprende lo studio del pianoforte e in seguito frequenta la classe di Composizione del Maestro Ferrero presso il Conservatorio G. Verdi di Milano. Allo studio affianca un’intensa attività, tenendo concerti, partecipando a gruppi corali, dal primo coro polifonico scolastico - fondato durante il periodo del liceo - a diverse esperienze, fino alla creazione di Ensemble Magnificat. Dal 2000 al 2005, periodo durante il quale Grechi era direttore della Schola Cantorum “S. Cecilia” di Brignano Gera d’Adda, con passione davvero contagiosa ha coinvolto alcuni giovani coristi e strumentisti locali e con loro ha organizzato - in occasione delle festività religiose - numerose elevazioni musicali presso la chiesa di San Bernardino a Caravaggio, avendo un grande riscontro di pubblico. «Insperato sottolinea Massimo - ma così gratificante che nel 2005 abbiamo deciso di dare una forma permanente al gruppo dando vita all’Ensemble Magnificat, al fine di proporre momenti musicali di alto livello durante le principali festività liturgiche, ma anche organizzando concerti e partecipando ad eventi musicali». Uno dei primi progetti è stato la creazione della Rassegna di musica vocale “I venerdì di maggio” che si svolge presso il Santuario della Madonna dei Campi a Brignano, durante la quale si esibiscono diverse formazioni vocali con un repertorio comune: la musica antica, di prevalente tema mariano. Dal 2005 ad oggi la Rassegna è cresciuta, sia per il livello qualitativo dei gruppi ospitati sia per il pubblico che
Il direttore Massimo Grechi e in basso il precedente concerto presso la chiesa di San Pietro
accoglie con sempre maggior interesse questa raffinata proposta culturale. «Il nostro appuntamento annuale più importante riguarda il concerto di gennaio nella chiesa di San Pietro a Treviglio – continua Grechi – per il quale il lavoro organizzativo ci impegna moltissimo, così come lo studio e l’allestimento delle opere. Il Magnificat di Kuhnau, presentato l’anno scorso, ha richiesto quasi due anni di lavoro, soprattutto perché si trattava di opera inedita. Le ricerche le abbiamo fatte assieme a Carlo Centemeri, anche attraverso un importante studio filologico in collaborazione con la Biblioteca Nazionale di Berlino e la Biblioteca Civica di Lipsia, luoghi nei quali sono custodite le partiture originali manoscritte. Quest’anno eseguiremo il grandioso Messiah di Handel, opera corale e strumentale tra le più famose del repertorio barocco. Un concerto che, oltre al patrocinio dell’Amministrazione pubblica, ha il supporto di sponsor privati, e vedrà impegnati oltre 50 elementi; infatti con l’Ensemble Magnificat si esibiranno solisti di fama internazionale: il soprano Francesca Lombardi Mazzulli, il contralto Elena Carzaniga, il tenore Alessio Tosi e il basso Salvo Vitale. Insieme all’orchestra e utilizzando strumenti antichi o fedeli copie degli originali del periodo di composizione, riproporremo i suoni e gli effetti originali tipici dell’epoca». Massimo Grechi, che oltre a dirigere suonerà il clavicembalo, prosegue: «Il rigore filologico che applichiamo alla riscoperta delle opere musicali, è supportato anche dall’uso di strumenti ricostruiti esattamente come quelli antichi, che richiedono una grande abilità tecnica nell’esecuzione, ma assicurano il miglior risultato d’ascolto. Durante la prova aperta che si svolgerà qualche giorno prima del concerto, oltre alla storia dell’opera e una breve biografia dell’autore, eseguiremo dei brani con strumenti antichi e poi li raffronteremo con quelli moderni, mostrando le marcate differenze che si producono nell’effetto finale». Il Concerto si terrà il 31 gennaio alle 21.00 presso la chiesa di San Pietro, con ingresso gratuito. Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Arti & Professioni
Ecco lo «Spazio Benessere» di Cristina Signorelli
Un grande spazio al servizio del benessere fisico e psichico, imprescindibile presupposto per arrivare ad esaltare la bellezza, è in sintesi ciò che offre Spazio Benessere a Treviglio
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gni dettaglio di questo centro estetico contribuisce a formare un’armonia unica finalizzata a mettere a proprio agio la cliente, circondandola con mille piccole attenzioni durante il momento di relax che si concede per farsi bella. «Lo spazio a disposizione – spiega la titolare Barbara Premoli – è grande per scelta poiché, dato il mio trascorso professionale di organizzatrice di eventi e wedding planner, ho diviso idealmente la struttura in pubblica e privata, intendendo che la parte d’ingresso può essere adattata facilmente ad accogliere eventi e corsi durante l’anno, quella retrostante è invece esclusivamente adibita ai trattamenti medici ed estetici. La combinazione dei due momenti genera nuovi eventi, du-
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rante i quali le nostre clienti sono le protagoniste. Per esempio abbiamo organizzato una giornata a porte aperte per proporre nuovi trattamenti durante la quale chi lo desiderava poteva provare anche un nuovo make-up e poi posare per diversi scatti fotografici». A Spazio Benessere la medicina estetica è proposta da medici specialisti che garantiscono il meglio delle attuali procedure in tema di salute e benessere, così lo screening computerizzato costituisce un importante ausilio per il dermatologo e quindi per il consulente estetico. «Abbiamo scelto di collocarci – prosegue Barbara – in un percorso di estetica avanzata per fornire alle nostre clienti un servizio di alta qualità in ogni ambito proposto, sia di medicina così come di estetica, per la quale garantiamo anche molte soluzioni di tipo naturale. Le cure estetiche che proponiamo ci appagano nei risultati e nella soddisfazione delle clienti, ponendoci sempre all’avanguardia e selezionando con estrema cura i fornitori di prodotti che abbiamo in esclusiva sul territorio». Infatti la qualità dei prodotti utilizzati insieme alla capacità professionale dell’operatore esalta ed amplifica il risultato di benessere e bellezza. A Spazio Benessere trova posto anche una linea di prodotti per la cura del corpo dei più piccoli, rigorosamente vegana, che assicura massima efficacia e totale rispetto della pelle dei nostri bambini. Fin dall’ingresso dove è a disposizione uno spogliatoio nel quale cambiarsi per lasciarsi poi coccolare nelle diverse fasi del trattamento scelto, ci si trova avvolti da un clima piacevolmente accogliente, sempre accompagnato da piccole attenzioni come le tisane servite durante le pause o la possibilità di consumare il pranzo nei locali annessi, tutto studiato per garantire un momento di totale relax.
Concerti al Tnt
20 dicembre, ore 16:00
Orchestra “I Pomeriggi Musicali” Direttore, Paolo BELLOLI Programma: Aspettando il nuovo anno DANZE D’AUTORE - Brahms, Tchaikovsky, Nicolai, Dvorak, Strauss II, Verdi, Ponchielli
9 gennaio, ore 20:45
National Radio Company of Ukraine Symphony Orchestra - Violoncello, Alberto CASADEI, Direttore, Volodymyr SHEIKO Programma: M.I. Glinka, Ruslan e Ludmilla – Ouverture; M. Mussorgsky, Una notte sul Monte Calvo – Poema Sinfonico. A. Khachaturian, Concerto-Rapsodia per violoncello e orchestra M. Mussorgsky, Quadri di un’esposizione
24 gennaio, ore 16:00
Duo Arpa e Tenore, Sandrine CHATRON, Michael BENNET. Un viaggio nella musica Inglese, Purcell, R. V. Williams, C. Scott, R. Johnson, J, Clifton
12 febbraio, ore 20:45
Concerto per la Madonna delle Lacrime, Basilica di San Martino (Ingresso Libero). Orchestra “I MUSICI del TEATRO“, Violino, Alessandro CERAVOLO, direttore, Paolo BELLOLI. F. Mendelssohn, Le Ebridi, op. 26 “La grotta di Fingal” – Ouverture. L. van Beethoven, Concerto per violino e orchestra in Re maggiore, op. 61. L. van Beethoven, Sinfonia n° 5 in Do minore, op. 67
21 febbraio, ore 16:00
DUoUD - Violino, Lina UINSKYTE, Pianoforte, Mauro DILEMA Programma: Attraverso il Classico, il Tango, il Jazz (musiche di C. Saint-Saëns, A. Piazzolla, N. Kapustin). C. Saint-Saëns, Sonata op. 75 n° 1, Allegro agitato – Adagio, Allegro moderato – Allegro Molto. A. Piazzolla, Oblivion, Escualo, Tango Preparense, Fuga y mistério. N. Kapustin, Sonata per Violino e Pianoforte op. 70, Allegro, Andantino, Con moto
13 marzo, ore 16:00
Orchestra Filarmonica Italiana, Direttore, Dejan SAVIC. Flauto, Marco ZONI (Primo flauto Orchestra del Teatro alla Scala di Milano)
Programma: W. A. Mozart, Divertimento per archi n. 1 in Re maggiore, K1 136 (K6 125a), W. A. Mozart, Concerto per flauto e orchestra n. 2 in RE maggiore K 314, F. J. Haydn, Sinfonia n. 45 in Fa# minore “Sinfonia degli addii”.
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Treviglio/Nuovi mecenati
Il vizio dell’Arte di Federici Fumagalli
A Treviglio, una Banca, un Premio e un moderno spazio espositivo per promuovere l’Arte contemporanea e i suoi giovani interpreti. Ma non chiamatelo mecenatismo
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’è meno di un cognome che accomuna Ermanno Tassi, a Torquato, poeta di La Gerusalemme liberata. “Il Tasso” che s’insegna a scuola. Anche i rispettivi punti di vista sull’annosa questione di cosa sia bello in fatto di produzione artistica, sono molto distanti. Forse più dei quattro secoli di storia (dell’Arte) che li dividono. Seminascosto ma centralissimo, a pochi passi dall’arteria cittadina di Via Roma, in una delle strade storiche di Treviglio, in un edificio liberty ci sono gli uffici di consulenza di una importante banca italiana. Ermanno Tassi è l’artefice di questo progetto che sviluppa con competenza e lungimiranza. E ha fatto della sede di Via Felice Cavallotti 31, uno spazio espositivo d’arte contemporanea di ampio respiro. Una camera con vista Europa, da dove si guarda ben oltre il campanile di Piazza Manara. «Da quasi trent’anni lavoro per un gruppo bancario che utilizza l’arte per comunicare. - dice Ermanno Tassi - Una tradizione che è tanto radicata nel modo di operare della Banca, da avere forse accelerato in me la passione per questo mondo: così stimolante, così affascinante. Oggi l’Arte, specie quella visiva, è un modo per relazionarsi
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con il cliente e con la gente». Già da piccoli, per obbligo scolastico o familiare, visitiamo mostre e musei, monumenti e chiese (“parlando inglese”, per citare Mogol – Battisti). Crescendo, c’è chi si è spinto molto più in là: «ho iniziato a frequentare gallerie, ad interessarmi agli artisti. Provando a capire cosa c’è dietro le loro creazioni». Domande di rito, quasi retoriche. Perché «una tela tagliata» o «invasa di colori sparsi in modo casuale» è diventata un’icona dell’arte contemporanea? Secondo quale logica autori come Lucio Fontana o Jackson Pollock, capri espiatori del “lo potevo fare anch’io”, vengono quotati a cifre astronomiche sui mercati internazionali? «Dietro c’è il pensiero di un artista che, prima di chiunque altro, in un particolare momento storico, ha fatto un taglio su una superficie monocroma, che poi ha appeso alla parete», risponde Tassi. Una tesi interessante, anche se non facile da condividere. Ma le migliori convinzioni teoriche hanno, come in questo caso, uno sbocco pratico. «Il 2010 è stato un anno importante. Abbiamo aperto lo spazio di Via Cavallotti a tanti giovani e promettenti artisti, che possono venire qui a esporre le loro opere». Poi la collaborazione con il “Premio Città di Treviglio” «una manifestazione storica, nata nel 1953 e recuperata con entusiasmo cinque anni fa, dopo essersi persa
«Chi dipinger desia/ il bel con sue parole e i suoi colori/ se può dipinga il sol». (Torquato Tasso) «L’arte non deve essere bella. Non mi avvicinerei mai a un’opera d’arte solo perché è bella». (Ermanno Tassi)
lungo la sua ambiziosa strada». La kermesse ha cadenza biennale (il 2016 è l’anno buono). Per natura, prevede che autori consolidati affianchino giovani con meno di 35 anni. Un format efficace da talent tv, ma senza i riflettori. Tutti hanno da guadagnarci. «Gli emergenti che si sono meglio distinti al Premio vengono ospitati da Treviglio con mostre dedicate. Una deontologia non scritta, prevede che donino una loro opera al Comune». La città così accumula un patrimonio culturale, materiale «anche economico. L’arte contemporanea, diversamente da quella antica, ha ampi margini di crescita sul mercato. In un arco di tempo variabile, l’investimento fortunato e oculato può dare ogni sorta di soddisfazione». L’ambizione, grande, è quella di dare visibilità a giovani «di talento ma poco considerati. È una priorità per il mio gruppo, una gioia per me». Ma non chiamatelo moderno mecenatismo, «non sarebbe corretto» commenta Tassi. «La tendenza dei grandi inve-
Da sinistra: Christian Fogarolli e una sua installazione, “Tensione 10”, l’esoscheletro di un treppiede. Sipra Ermanno Tassi. Sotto a sinistra, “Atto d’accusa”. quindi “Scultura e Filosofia” di Andrea Magaraggia
stitori, come gli istituti di credito o le case di moda, è di investire su nomi affermati». Il pubblico medio segue a ruota, «accorre per De Chirico, in mostra a Ferrara, o il russo Malevič» molto visitato alla GAMeC di Bergamo, mentre «snobba gli emergenti. Capita che a vedere i nostri artisti vengano, in media, non più di un paio di persone al giorno». L’Arte «porta ottimismo, rende felici e non reca danno a nessuno. È un dispiacere non conoscerla perché è un peccato non amarla». L’aggettivo “bello” (o “brutto”) oggi si può spendere senza esitazione «solo per le illustrazioni, i poster o la tappezzeria». Oggettistica nobilissima, spesso funzionale ma, continua Tassi, «vuota di contenuto. Che certo è impossibile definire Arte. L’Arte non deve essere bella. Deve provocare, fare riflettere. Dove possibile, addirittura stimolare cambiamenti. Non mi avvicinerei mai a un’opera d’arte solo perché è bella» conclude Ermanno Tassi. Manca il contraddittorio. Torquato Tasso se ne è andato un giorno di aprile del 1595. Ha scritto pagine e versi bellissimi. Veri capolavori, opere d’arte. Vale la pena leggerlo.
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Treviglio/Al Museo Della Torre servizio fotografico di Enrico Appiani
Museo: le opere nascoste in mostra di Cristina Signorelli
Beatrice Resmini, curatrice del progetto “A turno”, illustra il progetto che consiste nel recuperare opere d’arte non presenti abitualmente nel museo, mostrandole a rotazione e per due mesi, con un occhio attento ai più giovani
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reviglio - “A turno” è una nuova iniziativa dell’Ufficio Cultura del Comune di Treviglio finalizzata ad esporre al pubblico nel museo civico “Ernesto e Teresa Della Torre” opere altrimenti precluse alla visione perché collocate in altri edifici comunali. “Ci siamo prefissi un duplice obiettivo - dice Beatrice Resmini, curatrice del progetto – innanzitutto mostrare opere che dato l’esiguo spazio del museo non possono essere esposte stabilmente e contemporaneamente movimentare l’e-
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sposizione, altrimenti piuttosto statica, così da incentivare il pubblico a visite più frequenti”. Il progetto, avviato nello scorso mese di ottobre si concluderà a maggio del prossimo anno, prevede che l’opera venga esposta all’interno del museo per due mesi, durante i quali i visitatori potranno ammirarla consultando la scheda esplicativa appositamente predisposta e anche avvalendosi della guida di personale qualificato. In particolare l’Associazione Amici del Chiostro assicura una costante presenza durante gli orari di apertura
per accompagnare la visita arricchendola di spiegazioni culturali e tecniche. “Pensando soprattutto ai bambini- aggiunge Beatrice - ma anche gli adulti vi possono accedere, abbiamo collocato tavoli, che chiamiamo atelier, forniti di materiali diversi e di una scheda guida perché ogni visitatore si senta libero al termine della visita di lasciare un commento o creare un proprio personalissimo contributo”. Durante il periodo di esposizione delle opere vengono proposti dei momenti di approfondimento, il primo mese dedicato ai bambini tra i sei e i dieci anni, mentre nel secondo mese l’attenzione è rivolta agli adulti. “Il laboratorio per i bambini è di tipo pratico – continua Beatrice – si inizia prendendo spunto dalla tecnica o dal soggetto dell’opera, quindi dapprima si valorizza la visione e la comprensione della stessa, a volte anche attraverso il raffronto con altre opere presenti se vi sono collegamenti interessanti, ed in seguito i bambini si dedicano ad una fase pratica di realizzazione manuale di un disegno piuttosto che una scultura o altro che in qualche modo esprima ciò che hanno percepito. Il laboratorio per gli adulti è un momento di approfondimento più teorico, durante il quale si esamina
Museo/Un quadro al mese
Ritratto di Miss Grace Henshaw
L
a cura dell’Assoc. Amici del Chiostro
la tecnica, l’excursus storico dell’opera ed eventuali altri rilievi culturali che la riguardano ed infine si conclude l’incontro con una realizzazione pratica di quanto appreso”. L’attuale allestimento del Museo Civico, ricco di lasciti e donazioni, è di tipo classico al fine di valorizzare al meglio le opere esposte che spaziano dal ‘400 al ‘900, la rotazione prevista da “A turno” riguarda invece opere di arte contemporanea, offrendo un ulteriore spunto di novità e movimento. In particolare vengono esposti a rotazione i lavori vincitori del premio d’arte “Città di Treviglio” dedicato ai giovani artisti. Anche questo progetto si propone di ampliare le proposte di fruizione del museo, pensato non solo come spazio espositivo, ma anche un momento culturale di divertimento e coinvolgimento del pubblico. “Il nostro scopo – sottolinea Beatrice Resmini – è fornire input agli adulti, soprattutto attraverso i bambini che sono quasi quotidianamente presenti accompagnati in visita dalle scuole. Abbiamo osservato che i nostri piccoli visitatori si lasciano coinvolgere con entusiasmo, quello che desideriamo è vederli di nuovo ospiti insieme alle famiglie per far vivere il nostro museo civico”.
’opera dipinta nel 1756 da Joshua Reynolds, è un delicato ritratto di Miss Grace Henshaw, un’opera giovanile del ritrattista inglese, olio su tela di cm 66x51 appartenente al lascito Della Torre Il ritratto di Joshua Reynolds (Plympton, Devon 1723-Londra 1792), restaurato nel 1992, porta sul retro della tela scritte e sul telaio etichette che certificano della sua autenticità, stabilendone la data di esecuzione nel 1756 e l’identità del soggetto: la giovanissima moglie di Sir Samuel Ibbetson di Bissons, della Contea di Essex, qui ritratta ancora adolescente, probabilmente per un dono di nozze al futuro marito. Si tratta di un ritratto ufficiale: la figura è rappresentata in atteggiamento semplice, espressivo ma contenuto, con armonia di tratti e di colori. La fresca fisionomia di Miss Grace, ispira ingenuità e dolcezza. Tutto, dalle vesti tipiche della moda inglese della seconda metà del ‘700 alla semplice capigliatura, alla mano delicatamente adagiata sul braccio, riporta allo stile di Reynolds, che nelle proprie opere cercava di cogliere e valorizzare la personalità dell’effigiato nell’immediatezza di una rappresentazione sobria e priva di orpelli. Nato nel Devonshire, avviato agli studi per divenire farmacista, Reynolds giovanissimo si dilettò di disegno a penna, a inchiostro, poi a olio, producendo piccoli ritratti. Seguì vari corsi, a bottega dai pittori del tempo, si appassionò alla pittura del Rinascimento italiano, ammirò Raffaello, Michelangelo, Guido Reni, che furono per lui modelli cui ispirarsi. Fu a Roma per un periodo, nel 1750, poi a Venezia, a Firenze. Tornato in Inghilterra sperimentò le tecniche dei grandi coloristi veneti.
Le stampe, ricavate dai suoi dipinti per opera di famosi incisori, si diffusero sul mercato europeo e riscossero enorme successo. Negli anni ’80 del secolo, dopo essere stato nominato “primo pittore del Re”, cambiò tecnica del colore ispirandosi all’arte fiamminga e olandese. Morì nel 1792 e fu sepolto nella Cattedrale di St Paul a Londra.
La curiosità
Alcuni anni fa Nicholas Ibbetson, bis bis bis bis bisnipote di miss Grace Henshaw, ha contattato il museo civico di Treviglio perché, navigando su Internet, aveva scoperto che nel nostro museo si trovava il ritratto della sua ava. Grazie a questo contatto abbiamo potuto conoscere alcuni dettagli della vita della dolce Grace: era figlia di un eminente avvocato che fu designato come Commissario di Bancarotta. L’ironia della sorte volle, però, che proprio l’uomo che Grace sposò il 12 Giugno 1777, Samuel Ibbeston, finì sul lastrico. Nonostante questo, Grace e Samuel ebbero un matrimonio felice, da cui nacquero ben 6 figli (Samuel, Robert, Eliza, Annie, Grace e Mary). Morì il 27 Dicembre 1824 a Ilford, nell’Essex. Durante i festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario del museo civico “Ernesto e Teresa Della Torre” i volontari dell’associazione Amici del Chiostro avevano indetto un piccolo sondaggio tra i visitatori del museo: il “Ritratto di Miss Grace Henshaw” è stato votato come l’opera più bella della sala espositiva. Le immagini del museo sono di Enrico Appiani, il ritratto è stato fotografato da Tino Belloli
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Treviglio/Stanato Valerio Chiaromonte
Gli anni di Valerio, zio Gianni e Carlo di Daniela Invernizzi
Fare politica o solo parlarne è la sostanziale differenza fra i politici di ieri e quelli di oggi. Valerio Chiaromonte, entrato in Consiglio Comunale nel 1960, spinto anche dalla notorietà del padre prefetto, ripercorre quegli anni, appassionanti e divertenti
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reviglio - “Vi prego che nelle vostre lettere, quando riferirete questi tristi fatti, li presentiate come sono, senza attenuare o aggravare nulla per malanimo”. È con queste parole, citando L’Otello di Shakespeare, che Valerio Chiaromonte ci congeda, dopo la lunga chiacchierata/intervista svoltasi qualche giorno fa nella cucina della sua casa. Scendendo le scale riflettiamo su questa cosa, su come sia difficile riportare fatti, ma anche emozioni, che la storia di una vita può dare, senza metterci un po’ anche del nostro. Ci abbiamo provato. Quello che segue è il risultato di un pomeriggio passato a scavare nella memoria. Personaggio di spicco della politica trevigliese nel periodo fra gli anni Sessanta e Ottanta, noto avvocato civilista ora in pensione e ritiratosi a vita privata ormai da lungo tempo, Chiaromonte accetta di buon grado la nostra visita e di fare un salto indietro nel tempo, alla ricerca di ricordi e storie di un periodo ricco di fermenti politici. Classe 1931, figlio di Michele Chiaromonte, a quell’epoca prefetto di Nuoro, Valerio nasce a Treviglio per volere della mamma, la trevigliese Ida Carmela Bonfichi. Tanti sono gli episodi della sua infanzia di cui ci rende partecipi («Ero a Roma il 10 giugno 1940, passeggia-
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vo con mio padre, quando gli altoparlanti ci chiamarono all’adunata in piazza Venezia: lì Benito Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia»), ma arriviamo presto a parlare del suo esordio nella politica trevigliese, quando diventa consigliere comunale per il Partito Liberale. «Subito dopo la Liberazione, al Partito Liberale di Treviglio venne assegnata una
Sopra il prefetto Michele Chiaromonte nel suo ufficio, a sinistra con la moglie (la trevigliese Ida Carmela Bonfichi) e il figlio Valerio. Sotto uno schizzo di Tullio Santagiuliana che ritrae un giovane Alpheo Pagin con la scritta “isè bel amò!”
stanzetta; eravamo in tredici o quattordici a fondare il partito nella nostra città. A capo di tutti c’era allora il notaio Carlo Pansera. Io mi resi disponibile, anche se a quel tempo ero solo un giovinetto - avevo anche altro per la testa - e stavo ancora studiando. Ma comunque, alle prime elezioni diedi il mio contributo, andando ad attaccare i manifesti. Fu in quella occasione che conobbi Alpheo Pagin, quando ancora non aveva il ph!». Ridiamo. Chiaromonte racconta di quel giorno, quando i due si incontrano per svolgere il loro lavoro di attacchini «Ci demmo appuntamento dietro l’ospedale vecchio, davanti all’attuale sede dei Vigili Urbani, quando c’era ancora il muro di cinta e quella parte dell’antico ospedale che i trevigliesi chiamavano “la brùgna” (camera mortuaria, ndr)». Valerio si dilunga nel raccontare l’episodio, ma c’è un motivo. Infatti, racconta di essere passato dalla sede del partito, il Pli, di aver prelevato un manifesto arrotolato accanto ad altri, infilato sotto braccio e di aver raggiunto l’amico Alpheo. Questi era con diversi di manifesti, quelli della sua lista di destra vicina al Pli. Così Chiaromonte inizia a dare una mano ad Alpheo nell’attacchinaggio sul muro della “Brugna”; finiti quelli, Valerio si mette a pennellare il muro con la colla, mentre Pagin, che aveva srotolato il manifesto del Pli, lo guarda allibito. «Se ghè?» chiede all’amico. C’era una sola enorme lettera che, capirono poi, faceva parte di una lunga scritta fatta di quindici lettere-manifesto: “Blocco Nazionale”. Da quell’episodio nasce una lunga amicizia, che dura ancora oggi. Dopo quelle prime elezioni, il giovane Chiaromonte continua a frequentare la sezione, ma senza grossi impegni; fino a quando, tornato dal servizio militare, l’allora decano Ernesto Primo gli chiede di mettersi in lista per le elezioni del 1960. Viene eletto.
Sopra un giovane Valerio Chiaromonte nel suo ufficio, a destra la tessera del Pli e “Zio Gianni” Ossani. Sotto una vignetta di Carmelo Silva per “la tribuna” che ritrae Carlo Venturati e Gianni Ossani dal Paradiso mentre discutono riguardo l’elezione del sindaco. Fine anni ‘80.
«Ero talmente stupito che pensai che avessero sbagliato; o meglio, ero convinto che mi avessero eletto pensando di eleggere mio padre, che era stato commissario prefettizio. Ma tant’è: diventai consigliere comunale, l’unico del partito liberale, e contestualmente entrai nella direzione provinciale. Da lì iniziò la mia carriera politica». Alle elezioni successive, Chiaromonte viene eletto di nuovo, e questa volta con lui c’è anche l’ingegnere Giovanni Ossani. I ricordi, qui, si rincorrono. «Eravamo uno spasso - racconta - durante le sedute, io volevo sempre intervenire; lui mi diceva “Tas!”, io annuivo ma poi mi alzavo, replicavo sempre, e quando mi sedevo, lui commentava: “Brao, te fai bé a dighel!”. Ogni volta era così». «In quel periodo - ricorda Roberto Fabbrucci - Zio Gianni (Ossani) tirava tardi con qualche collega del consiglio comunale,
Giovanni Rossi (Pci poi Manifesto), forse con Carlo Venturati, certamente con amici burloni come Asdrubale Giuliani, poi saltuariamente con Gabriele Bellagente e con me. Sono episodi che meriterebbero un articolo, come quando istigavano il socialdemocratico Pasqualotto (Pasquale Gusmini, il tipografo) a fare i comizi in piedi sulla sedia di qualche bar». «Vero, Ossani era proprio un bel tipo, mi faceva fare sempre tardi la sera - racconta ancora Chiaromonte - Ricordo quella volta (lui non era ancora consigliere), quando mi autorizzò a dire in consiglio comunale che gli espropriassero pure la terra (era l’epoca della legge 167/62, che permetteva ai Comuni di espropriare terreni ai privati per l’edilizia economica popolare, ndr), ma che lui poi gli avrebbe tagliato “i canèi” in piazza (la gola - n.d.r)». «È vero, Ossani era un po’ una macchietta - interviene Fabbrucci - ma aveva anche la capacità di vedere oltre; c’era da fare l’ospedale e già allora lui cercava di spiegare che non prevedere una circonvallazione oltre la ferrovia, un’arteria che convogliasse lì il traffico che, inevitabilmente, negli anni sarebbe arrivato, era da pazzi… e aveva ragione». Il nostro incontro prosegue raccontando episodi esilaranti. Di un certo Giovanni Ravasi del Psiup (Partito Socialista italiano di unità proletaria) che volle andare a Berlino per visitare l’allora Germania est, ma riuscì a vedere solo una rampa di scale e il ritratto di Walter Ulbricht (storico leader della Ddr) e allora se ne andò a folleggiare in Costa Azzurra; oppure dell’anarchico Marco Airoldi (detto Santagiuliana dal cognome della mamma), che girava con il tabarro nero, il cappello a larghe falde e il fazzoletto rosso al collo. L’episodio lo ricorda Fabbrucci: «Allora i tavoli del consiglio erano a ferro di cavallo e Carlo Venturati dava le spalle alla piazza e poteva osserva-
re la portina d’ingresso del pubblico in sala consiglio. Così, mentre questi parlava forbito e un po’ ottocentesco come normalmente faceva, entrò improvvisamente e teatralmente il “Santagiuliana”. Carlo, colpito da ciò che sembrava un camuffamento, allungò il braccio indicando l’anarchico e, come se fosse parte del discorso che stava facendo, aggiunse “…e questi giovani che ci hanno abbandonato per il nero drappo dell’utopia violènta”. Con la è aperta come si usa a Bergamo. Marco Airoldi lo guardò fisso negli occhi e poi si girò facendo ruotare il mantello, prese la porta e uscendo gridò “Va a cagà”». -A parte questi episodi pittoreschi… la politica le ha dato più soddisfazioni o più delusioni? «È stata una grande sorpresa, e quindi anche una soddisfazione, quando mi hanno eletto per la prima volta e poi sono diventato anche segretario provinciale, perché ero il primo eletto non di Bergamo, il primo della “Bassa”, e questo era praticamente inconcepibile allora (e forse anche adesso…). Non era ammissibile che uno che non risiedesse a Bergamo fosse eletto segretario provinciale! Nel ’70 sono stato anche consigliere nazionale del partito, fin verso la fine del decennio. Ho conosciuto tantissimi nomi illustri (Egidio Sterpa, Manlio Brosio, solo per citarne un paio) e questa è stata un’altra cosa bella che mi ha regalato la politica. Poi, negli anni Ottanta, è cambiata l’aria; sono entrato nel collegio dei Probiviri, da dove vedi anche tutta la schifezza della politica. Ha cominciato a farsi strada una categoria di persone che, usando il partito, voleva solo fare carriera, avere un poltrona, guadagnarci dei soldi. Io, che con la politica ci ho sempre rimesso (in fatto di soldi, intendo) non me la sono sentita più. Ho preferito lasciare e dedicarmi solo alla mia professione. Insomma, quello che mi ha allontanato è stato proprio il passaggio dalla politica come aspirazione alla politica come mestiere». Un argomento che “la nuova tribuna” sottolinea da quando è tornata in edicola. Ha collaborato Roberto Fabbrucci
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Treviglio/Rimembranze
di Carmen Taborelli LA MIA BANCA È DIFFERENTE.
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Facheris: tappezziere per 40 anni Una vita di impegno, di difficoltà e di affetti con la guerra a condizionare le scelte, infine il mestiere di tapezziere-materassaio
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e n’è andato Peppino Facheris. Se n’è andato, portando con sé i segreti di un mestiere antico, quello di tappezziere-materassaio. Iniziò a lavorare nel 1934, a Milano, in piazza Lavater, come garzone nel negozio di tappezzeria della famiglia Pancani, originaria di Piombino, a Porta Venezia. Aveva soltanto dodici anni; prendeva cinque lire al giorno. Trenta lire alla settimana! Dodici se ne andavano via subito per l’abbonamento del treno. Due lire al giorno per il pane e la mortadella. Ne restavano sei, che consegnava in casa, a sua madre, che di figli ne aveva altri sette, tutti più piccoli di lui. A diciotto anni Peppino cambia mestiere. Suo zio Pietro di Bonate gli trova un posto di fattorino, sempre a Milano, all’Istituto Vaccinogeno Antitubercolare, diretto dai professori Nelda e Ascoli, entrambi ebrei. Poi, scoppia la seconda guerra mondiale, i due medici riescono a mettersi in salvo, fuggendo in America. Per Peppino, giovane recluta, si aprono le porte dell’8° Corpo di Fanteria d’istanza a Milano, in piazza sant’Ambrogio. Siamo agli inizi del ‘41: è il momento di partire per il fronte. Lui però non parte. Di costituzione gracile (pesava soltanto quarantotto chili), viene assegnato al distretto militare di Monza, addetto ai servizi sedentari.
Faceva i “piastrini” di riconoscimento, quelli metallici, di latta, che i soldati portavano al collo con stampati i loro dati anagrafici, il corpo di appartenenza e la zona di guerra cui erano destinati. In seguito, passa al Comando di Tappa di Vipiteno, con l’incarico di accogliere i soldati reduci dalla Russia. Tra i reduci riconosce tre trevigliesi: Alfredo Aresi, il dottor Luigi Blini e un tale piccolo e biondo: un certo Magni. A loro riserva qualche attenzione in più, ma non privilegi o vantaggi speciali. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43, le truppe italiane vanno allo sbando. Fuggono in molti, Peppino compreso. Si nasconde a Caravaggio. Con molta circospezione e prudenza, di giorno lavora nel negozio del mobiliere-tappezziere Ferrario. Di notte, dorme nell’abbaino, sopra il laboratorio. Nell’aprile 1945, lascia il nascondiglio di Caravaggio, reso poco sicuro dai rastrellamenti tedeschi. Si trasferisce a Treviglio, ed è ospitato, in gran segreto, dalla famiglia di Mariuccia, la sua fidanzata. A questo punto decide di dare una svolta alla propria vita. Cerca un lavoro sicuro, escludendo a priori quello di tappezziere. Fare il ferroviere era, invece, il massimo delle sue aspirazioni. Dopo una lunga trafila e una serie di documenti che gli costarono tra l’altro un bel po’ di quattrini, riceve la convocazione per sostenere un test attitudinale presso l’ufficio del personale della Stazione Centrale di Milano. L’assunzione sfuma. Di fronte ad una serie di matassine di refe colorato, lui, parzialmente daltonico, sceglie il colore sbagliato, non quello richiesto dalla commissione giudicatrice. L’idea di poter lavorare a Milano continua però rodergli dentro. La metropoli è ricca di opportunità e rappresenta, specie per chi vive in provincia, un punto di arrivo e la sintesi di ambizioni e speranze. Purtroppo fallisce anche il tentativo di entrare in una trafileria in zona Lambrate. Vengono assunti due suoi amici: Aresi e Manzoni. Lui no, perché «troppo debole e gracile». Deluso, rinuncia a cercare lavoro a Milano e si rassegna a fare quello che proprio non avrebbe voluto fare: il tappezziere. E lo farà per quarant’anni, a Treviglio. Infatti, dopo un breve periodo di apprendistato presso il laboratorio di Moro, si mette in proprio, in via Portaluppi, aiutato da Mariuccia, diventata sua moglie nel 1946. È convinto che, accanto al tappezziere, debba esserci una donna, perché ha mani piccole, più adatte a confezionare gli orli dei tendaggi e a fare altri mestieri più delicati. Insomma, un lavoro d’équipe! Il marito taglia e la moglie cuce, usando prima una macchina a pedale e poi la mitica Necchi a motore che, per molti anni, ha continuato a funzionare, in un angolo della vecchia cucina di via Portaluppi. Con Peppino è andata, invece, in pensione la cardatrice elettrica acquistata, nel 1964, alla Fiera Campionaria di Milano, e costata segue pagina 48
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Il tapezziere
Treviglio/Storie minime del ‘900
una fortuna: 250 mila lire! Gli permetteva di realizzare fino a quattro materassi al giorno. Mentre prima, con lo scardasso a mano, ne faceva al massimo due, aiutato dai caratteristici lunghi aghi, con la punta leggermente flessa e la cruna larga adatta allo spago. Su ordinazione faceva anche gli “elastici”, precursori delle reti metalliche. Realizzarli era piuttosto complesso e laborioso. Occorreva assemblare una serie di elementi: il telaio di legno, le molle comperate in quel di Lecco, i cascami per l’imbottitura, il saccone di iuta e altro ancora. Indispensabili erano le “sumensìne”: dei piccolissimi chiodi che Peppino, per comodità, teneva in bocca. Una manciata prima di iniziare l’inchiodatura. Facendole scivolare sotto la lingua, riusciva persino a parlare. Non parlò, anzi, restò ammutolito e sorpreso quella volta che, svuotando un materasso frusto e sdrucito, trovò dentro un rotolino di garza nel quale c’erano ben tremila lire. Un gruzzoletto non da poco, che, alla fine degli anni Quaranta, avrebbe fatto gola e molto comodo a tanti. Lui, al contrario, restituì quel denaro per coerenza e per essere d’esempio ai suoi quattro figli. Gli stessi che, una volta andato in pensione, gli regalarono un lungo ago d’oro: simbolo e compendio del suo lavoro.
La sanità nel dopo guerra
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di Roberto Fabbrucci
L’Ospedale Santa Maria, la Mutua, il Patronato scolastico e l’orribile olio di fegato di merluzzo fatto ingoiare agli scolari
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rima dell’inaugurazione dell’ospedale consorziale Treviglio-Caravaggio nel 1971, presso l’antico monastero di San Pietro nel centro di Treviglio era situato l’Ospedale Santa Maria e al suo interno i reparti, ricavati nella grande chiesa del monastero. Tutti i letti erano allineati contro le pareti, ogni tanto divisi da paraventi, le infermiere erano le suore “cappellone” - le Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli - così soprannominate per il copricapo bianco con le due ali svolazzanti, derivante dall’abbigliamento delle contadine francesi nell’epoca della fondazione della congregazione. Mamma mi partorì in uno di questi letti, con un grande ritardo poiché era in corso un bombardamento e nessuno poté sentire i suoi richiami per ore: erano le sei del mattino del 7 dicembre 1944, un giovedì, quando qualcuno alle sei del mattino aiutò mamma a farmi uscire. Non avendo mai avuto necessità di ricovero, non frequentai mai come malato quell’ospedale, bensì gli ambulatori della Mutua di Via Matteotti, un bell’edificio degli anni ‘30 rimasto ancora intatto e dove fino al 2013 si facevano prelievi, vaccinazioni e iniezioni. Allora c’era anche un ambulatorio dentistico al primo piano, dove andavamo senza nessun timore accompagnati da mamma. Erano gli anni ’50 e la ricerca medica non
aveva ancora stabilito in modo approfondito come le infezioni si propagassero, per cui le siringhe, e i ferri venivano “sterilizzati” con delle semplici delle bolliture, addirittura gli aghi venivano semplicemente “puliti”. Infatti, ricordo “iniezioni comunitarie” dove l’ago della siringa era disinfettato ripassando semplicemente un batuffolo d’alcol, certamente non veniva tolto ogni volta da una bustina sigillata, da un pentolino dopo essere stato bollito per un’ora, tantomeno da uno sterilizzatore per uso medico. Fatto che, secondo ricerche recenti, fu causa di diffusione di epatite C, precedentemente imputate all’abuso dell’alcol o a pratiche dentistiche in ambulatori dalla pulizia approssimativa, come ancora taluni sono oggi. Allora l’igiene, proprio per mancanza di conoscenza scientifica più che per sciatteria, non teneva conto di alcuni accorgimenti minimi, sia nell’uso degli strumenti chirurgici che nel semplice “arredo” sanitario. Per esempio alla Mutua, così come in ambienti ospedalieri o sanitari, ma in generale in ambienti pubblici, forse causa l’abitudine di masticare il tabacco fino al primo dopoguerra, erano poste le sputacchiere in luoghi “strategici”, di solito all’ingresso. Quelle alla Mutua o all’Ospedale erano molto belle, una sorta di calici giganti di vetro smerigliato alti un metro e montati su di un supporto metallico verniciato di bianco o cromato. Eleganza non sufficiente a fermare il disgusto e il concentrarsi di batteri. Alle elementari, invece, dell’impegno sanitaria era protagonista l’olio di fegato di merluzzo, una medicina tanto stomachevole che le inservienti spremevano mescolando nel cucchiaio un po’ di limone per alleviare il disgusto. L’operazione avveniva nella mensa situata nelle cantine sotto la scuola Cameroni quando, verso mezzogiorno, noi scolari entravamo per il pasto. Un paio d’inservienti ci fermavano all’ingresso e, mentre con una mano una di loro premeva le narici, con l’altra ci infilava un cucchiaio di alluminio in bocca saturo di olio di fegato di merluzzo. Tutti, indistintamente, facevamo un sonoro verso di
A sinistra le suore dell’Ospedale di Treviglio e dei “vecchioni”. La seconda da sinistra è la popolare suor Angelica. Sopra la “Mutua”
ribrezzo, quindi inghiottita l’orrenda mistura guadagnavamo il nostro posto a tavola su una delle panche. I tavoli erano costituiti da apposite assi montate su cavalletti e coperti con tovaglie a fiorellini di tela gommata, ognuno di noi aveva a disposizione due piccoli piatti di alluminio (fondina e piatto piano), posate ugualmente di alluminio, così il bicchiere. Le cuoche, in camice bianco o azzurro, con un fazzolettone che copriva i capelli di egual colore, passavano tra i tavoli con un carrello ed enormi pentoloni di alluminio; con un grande mestolo prelevavano la brodaglia (minestrina a stelline, filini, risoni, farfalline o tempestina), piuttosto che risotto allo zafferano, a volte anche pasta al sugo. La seconda portata consisteva in patate lesse o purè, accompagnate da formaggio o pollo, oppure bistecche un po’ legnose. A volte servivano delle patate dolci, mi pare le chiamassero “americane”, anche del formaggio giallo polenta, forse proveniente dagli aiuti del Piano Marshall, piano strategico di aiuti economici ed alimentari a favore delle nazioni occidentali d’Europa, dal nome del segretario di Stato statunitense George Marshall. E in quel luogo vidi per la prima volta Carlo Gaiardelli, forse neppure trentenne, ma già assessore alla pubblica istruzione, leader dei socialdemocratici locali e direttore delle Industrie Baslini. Fu grazie a lui, ma soprattutto a Bianca Bianchi (la mia maestra), che nacque il “Patronato scolastico”, un’istituzione benefica che raccoglieva fondi per finanziare questa mensa. Nata completamente gratuita per i poveri, poi allargata a tutti in cambio di una piccola quota a pasto. Una fantastica operazione di solidarietà per quella mensa, fu istituita coinvolgendo i cittadini attraverso la “Festa del fiore”, che consisteva nel acquistare un fiore in cambio di un contributo a piacere. Una raccolta di fondi che nacque per risolvere problemi di grave disagio sociale non potendo contare sulle poche risorse dell’ente pubblico. Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Treviglio Amarcord ci trovate anche su Facebook
Il tram del bel tempo che fu... di Marco Carminati
Lo chiamavano “Gamba de legn” o il Tramwais, come sul muro che vediamo nella vecchia cartolina di Piazza del Popolo di inizio ‘900
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è ancora qualcuno che ricorda il vecchio tram. Dalla stazione del Revellino, oggi Piazza del Popolo, partivano le linee per Caravaggio, per Bergamo, per Villa Fornaci, Lodi. Benché il convoglio procedesse lentissimo per le vie cittadine, qualche trevigliese riusciva sempre a farsi investire, sicché si era pensato di far procedere le vetture da un uomo che camminasse scampanellando a tutto spiano per smuovere dai binari il solito che vi indu-
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giava trasognato. Sferragliava poi il vecchio tram lungo le strade polverose di campagna, sfiorando le siepi di more e le robinie, incrociando qualche sonnolento carro agricolo o rare carrozze, un crocchio di mucche attonite, un paio di viandanti... Sferragliava senza fretta (ecco perché “Gamba de legn”), senza grinta e intorno il mondo girava tranquillo, il tempo scorreva senza uno scricchiolio e alla sera tutti “i nàia so col cui”, andavano giù col sole, che è un modo di dire, chi lo capisce, lo capisce, gli altri abbiano pazienza. Scrivevamo su “la tribuna” tent’anni fa: «Sta per sparire la vecchia rimessa “tranvai” di Treviglio ed un cittadino, particolarmente sensibile ai cambiamenti (soprattutto ai cambiamenti che peggiorano la fisionomia della città) ci ha già scritto una lettera. Non a caso abbiamo aperto l’articolo con quella simpatica nota che Tullio Santagiuliana ha pubblicato nella sua agenda “Toc i de ga n’è una” qualche anno fa. I giovani non lo ricordano neppure, ma Treviglio una volta aveva una linea tranviaria, costruita e gestita dalla Società delle Ferrovie Economiche. Nel 1879 due anni dopo l’inaugurazione dell’acquedotto, Treviglio fece un altro passo in avanti, ma non a piedi né a cavallo,
Sopra e in basso a immagini e di quattro prospettive diverse che inquadrano Piazza del Popolo e Viale Filagno. Sotto nella pagina accanto il deposito dei Tram di via Tasso, demolito negli anni ‘80
ma in tram». Scriveva, invece, nel 1915 Giuseppe Facchetti (nonno di Beppe) nella pubblicazione “Treviglio che passa - Ricordi e visioni degli ultimi quarant’anni” un fascicolo che presenta una conferenza stampa tenuta al Teatro sociale nel lontano 1915 e ripubblicato da “la tribuna” ottant’anni dopo. Facchetti poi continua: “Prima la linea faceva capo solo a Treviglio, poi si diramò a Lodi, Bergamo e Caravaggio. Essa era di proprietà della famiglia Pistorio e in seguito fu ceduta alla società Belga che la gestì nel modo in cui tutti sanno, in modo barbaro al punto che poi il popolo trevigliese adottò il termine “tranvai” per indicare tutto ciò che non va bene, che non funziona come sinonimo di disutile, disordinato, ecc.”. Il primo tratto era stato dunque realizzato nel 1879 tra Bergamo, Treviglio e Lodi; il secondo tra Treviglio e Villa Fornaci, il tranvai che percorre il cavalcavia per Lodi terzo tra Treviglio e la vicina Caravaggio. La stazione principale era nell’allora denominata Piazza Revellino (oggi Piazza del Popolo) nel fabbricato oggi occupato dal “Cin cin
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bar”. La linea Milano Bergamo compiva il tragitto lungo la circonvallazione interna fino al Collegio degli Angeli e proseguiva per la via Bergamo (oggi via Tasso). Lì, a sinistra andando verso la periferia c’era la rimessa in un cortile occupato fino agli anni ‘80 da una azienda artigiana che costruiva cofani mortuari. La linea per Lodi partiva da Piazza Revellino e proseguiva per gli odierni viali Filagno, De Gasperi, Vittorio Veneto. La terza linea, quella per Caravaggio venne realizzata dopo il cavalcavia e percorreva viale Filagno, viale Oriano e via Abate Crippa. Questa linea era molto importante per Caravaggio, quasi sempre esclusa dalla linea ferroviaria per Brescia. Tuttavia dopo l’inizio del ‘900 la linea ebbe breve durata: finì l’attività prima della Grande Guerra, anche se nel 1916 esisteva ancora il tratto per Caravaggio. L’interruzione della linea fu un epilogo di un progetto partito con idee abbastanza grandiose: infatti nel 1789, prima che la linea assumesse la configurazione sopraddetta, era destinata ad un progetto ambizioso, collegarla con la Stazione Centrale di Milano con terminale a Treviglio, da realizzarsi nell’attuale Piazza Garibaldi. Realizzare questo progetto implicava però uno sventramento del centro della città, per cui venne subito abbandonato.
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Treviglio/Ballerini d’eccellenza
Il Tango Argentino: «Andare a milongar» di Cristina Signorelli
Parlare di Tango significa evocare atmosfere struggenti e profumi di terre lontane, eppure siamo a Treviglio presso la sede dell’Associazione culturale TangoPasiòn per incontrare la coppia artistica di ballerini professionisti pluripremiati in Italia e all’estero
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er Stefania Sonzogni e Andrea Possenti, l’incontro con il tango è avvenuto in modo abbastanza casuale come ci racconta Andrea: «Da sempre sono ballerino competitore e durante una gara, che ha avuto luogo circa una ventina d’anni fa a Follonica, sono rimasto folgorato da questo ballo. In particolare mi ha entusiasmato osservare come i movimenti dei ballerini si sviluppino fluidamente seguendo una musica priva della batteria, lo strumento che di solito segna il ritmo. Da allora decisi che mi sarei dedicato a studiare il Tango argentino per arrivare a competere proprio dove è nato: Buenos Aires». «Anche per me – interviene Stefania – il primo elemento di fascino e richiamo del
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tango argentino è stata la musica. Il mio percorso musicale è iniziato molto presto con lo studio del pianoforte per il quale mi sono diplomata al Conservatorio G. Verdi, nel frattempo cresceva la mia passione per il ballo, seppur sempre relegato a hobby, fino a quando ho potuto apprezzare questa meravigliosa danza d’ascolto che è il tango. In seguito è avvenuto l’incontro con Andrea che ha completamente stravolto la mia vita professionale». L’incontro, mi raccontano, è da attribuirsi a una ripetuta e fortuita coincidenza verificatasi nel momento in cui Andrea cercava una compagna di ballo con la quale studiare ed affiatarsi per poi esibirsi nelle competizioni più prestigiose. La partenza per Buenos Aires dove hanno soggiornato per diversi periodi è stato il primo passo per affinare la conoscenza professionale del ballo e soprattutto per respirare e lasciarsi permeare della cultura del popolo argentino che trova una delle sue massime espressioni nel tango. Il tango argentino è improntato ad un galateo molto rispettoso dei ruoli, così l’invito a milongar – ballare - si compone di due semplici gesti - la mirada e il cabaceo - del tutto naturali. Nella milonga (sala dove si balla il tango ndr) solitamente il ballerino, ma nulla vieta che sia la donna a prendere l’iniziativa, guarda insistentemente la prescelta – mirada - che se accetta asserisce con il capo – cabaceo -. «Le regole cavalleresche del tango argentino – prosegue Stefania – implicano un grande rispetto dell’uomo per la donna, che viene invitata - non con finalità di incontro bensì solo per ballare, tanto più che durante il ballo è vietato parlare per poter godere appieno dell’ascolto della musica. Un codice così rigoroso permette di muoversi all’unisono con il proprio compagno di ballo, si diventa un unico corpo con una sola testa e quattro gambe, pur senza fraintendimenti o imbarazzo alcuno. L’ascolto si trasmette al cuore, inteso come sede delle nostre emozioni, e poi ai piedi che reinventano la camminata per spostarsi armoniosamente nello spazio”.
Aggiunge Andrea: «Si tratta di un ballo in continua evoluzione, che reinventa gli otto passi di base in un’interpretazione sempre diversa. I tanti mesi trascorsi a Buenos Aires per studiare il tango con i più grandi maestri, oltre ad averci preparato alle competizioni più prestigiose in giro per il mondo (prima tra tutte il Mondiale di tango che ha luogo ogni anno proprio a Buenos Aires), ci hanno aiutato a cogliere la filosofia di vita che si esprime attraverso questo ballo». Tra i tanti riconoscimenti ricevuti da Andrea e Stefania vi è il premio del CONI come migliori ballerini internazionali, nonché il riconoscimento di membri del Cid- Unesco (Consiglio internazionale della Danza), infatti il tango argentino è stato riconosciuto da parte dell’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 2009. Periodicamente la coppia si reca in Argentina, all’Academia Nacional del Tango di Buenos Aires, per approfondire lo studio del ballo e poter riconfermare il loro status di Maestri del tango argentino, disciplina che insegnano presso la loro scuola a Treviglio “TangoPasiòn”, oltre a dedicarsi a molte al-
Associazione Culturale MensCorpore
tre iniziative. «Da un paio di anni – spiega Stefania - abbiamo sperimentato l’utilità della tango-terapia, un’esperienza umanamente molto ricca che si è svolta nella sezione femminile delle Carceri di Bergamo dove abbiamo insegnato il tango alle detenute con risultati davvero molto soddisfacenti». «Anche il lavoro che stiamo facendo con i malati di Parkinson – aggiunge Andrea – sta ottenendo incredibili risultati nel migliorare il senso di equilibrio di questi malati». L’esperienza che entrambi ricordano con maggiore vividezza è senza dubbio l’incontro a Roma con il Santo Padre per il quale hanno ballato in udienza ricevendo calorosi complimenti da Papa Francesco, che come argentino ha potuto apprezzarne appieno la bravura. Andrea e Stefania, entusiasti maestri oltre che grandi interpreti, hanno deciso di dedicare lunedì 18 gennaio alle ore 21.00, presso i locali di via Filzi 9 a Treviglio, il loro tempo per una lezione gratuita aperta a tutti coloro che sono attratti da questo coinvolgente movimento dell’anima che è il tango argentino.
Il ben-essere passa dalla prevenzione
Prendersi cura di Sé significa per prima cosa occuparsi quotidianamente della salute personale
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ire che la salute è il nostro bene più prezioso sembra superfluo, quasi scontato. Talmente scontato che spesso ce ne dimentichiamo, finendo per abusare della resistenza del nostro sistema Corpo-Mente, fino a quando qualcosa si “rompe” in modo più o meno grave. Ecco allora che corriamo ai ripari cercando sollievo nei medicinali o affidandoci a specialisti di vario tipo. Tutto purché ci aggiustino il più velocemente possibile, così da poter ricominciare la nostra vita e archiviare la brutta esperienza. E via da capo fino al prossimo guasto. Inutile dire che questo atteggiamento, sul lungo periodo, non si dimostra particolarmente saggio. Ma non è facile scalzarlo: ci sentiamo spinti verso la ricerca ossessiva di un benessere “materiale esterno”, fatto di oggetti o esperienze eccezionali che ci diano un qualche tipo di piacere temporaneo, dimenticando che ben più fondamentale è il ben-essere che passa dalla cura quotidiana di Corpo e Mente. Questo è un tratto culturale molto radicato nella nostra società, che ci espone a dei rischi elevati di cui siamo poco consapevoli. Le patologie più diffuse nel nostro Paese (malattie legate al fumo, problemi cardiovascolari e tumori) potrebbero essere ridotte drasticamente se semplicemente si consolidassero stili di vita più salutari.
È quindi con l’intenzione di promuovere una cultura differente che è nata poco più di un anno fa l’Associazione MensCorpore, che fa della prevenzione e della responsabilizzazione i suoi pilastri fondanti. Il centro propone molteplici attività orientate all’educazione, formazione, informazione e sensibilizzazione su temi legati alla salute e al ben-essere. Laboratori, seminari e conferenze che offrono a chiunque sia interessato opportunità per imparare ed integrare nella propria vita piccole pratiche per la cura di Sé. Dal punto di vista fisico, emotivo, mentale e spirituale, perché nessuna di queste quattro dimensioni può essere considerata più importante o svincolata dalle altre. Laboratori di Qi-Gong, Feldenkrais, Yoga, Bioenergetica, Ginnastica Calistenica, Pilates, Ginnastica per Gestanti, Meditazione. Percorsi di Riflessologia Plantare, Nature Connection, Voce-Tamburo-Benessere. Seminari di Educazione Alimentare, Gastronomia Dietetica, Meditazione. Conferenze su Medicina Funzionale Integrata, Ecopsicologia, Alchimia. MensCorpore mira a diventare un punto di riferimento sul territorio ed è aperta a richieste, suggerimenti e collaborazioni. Per saperne di più sulle attività è sufficiente visitare il sito, scrivere una email o cercarci su Facebook.
Associazione Culturale MensCorpore Via Sangalli 8, Treviglio - Mobile 340/6048816 www.menscorpore.org - info@menscorpore.org Apertura pubblico: Lunedì-Giovedì 9.00-12.00 Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Coro Icat/Una storia trevigliese
Sempre più in alto, anche oltre confine di Tienno Pini
Si completa il repertorio con importanti consensi che arrivano anche da trasferte all’estero, come quella di Montreaux
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a grande ed inattesa affermazione al Concorso Nazionale di Vittorio Veneto, a fine 1987, funge da ulteriore carburante per il proposito del Coro di giungere, nel breve, ad un repertorio da concerto completamente rinnovato, frutto della ricerca e delle convinzioni del suo Direttore. L’impegno di Marco Ghilardi, peraltro, non consiste solo nell’individuare i brani più idonei e nel fare in modo che il Gruppo sia all’altezza di autori tanto impegnativi, quanto anche, per non dire soprattutto, nel pungolare ed incentivare i coristi nel prefiggersi nuovi traguardi musicali, sempre più prestigiosi quanto impegnativi. In poche parole, in primo luogo è richiesto a tutti un grande impegno mentale nell’approcciarsi ai vari autori, tutti universalmente riconosciuti, ed una maturità in precedenza pressoché sconosciuta, per giungere ad una consapevolezza quasi intima dell’interpretazione richiesta. Tutto l’anno 1988 trascorre essenzialmente in sede, nello studio serrato ed appassionato dei nuovi brani. Le poche uscite, per brevi esibizioni, hanno essenzialmente lo scopo di
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saggiare le capacità del Coro ad assimilare quanto il Direttore infonde nel corso delle prove e, nel contempo, a far riassaporare all’intero ensemble il piacere di esibirsi e di mostrare al pubblico quanto molto faticosamente appreso tra le quattro mura della sede. Tutto procede per il meglio, l’entusiasmo non accenna a diminuire, così come l’impegno, e nessun traguardo sembra precluso al pur giovanissimo Coro (misto). Les 25es rencountres chorales internationals de Montreaux Ecco allora farsi strada l’idea di un ulteriore probante banco di prova, per saggiare la preparazione del Gruppo. Tra i tanti concorsi internazionali la scelta cade, anche per questioni logistiche, su uno dei più prestigiosi: i Rencontres Chorales Internationales de Montreux, sul Lago di Ginevra. Quando ai primi di gennaio del 1989 arriva la conferma dell’avvenuta accettazione dell’iscrizione alla 25ma edizione, tutto il Coro è pervaso da grande entusiasmo e le prove settimanali salgono immediatamente da 2 a 3, divenendo, se possibile, ancora più puntigliose ed impegnative. Al concorso parteciperanno sedici Cori in rappresentanza di dodici Paesi, tra cui Filippine, Giap-
pone, Sud Africa oltre ai principali Paesi europei. Il regolamento prevede un’esecuzione della durata massima di venti minuti: oltre al pezzo d’obbligo, il “Credo” di Igor Strawinsky, il Coro sceglie di eseguire “La déploration sur la mort de J. Ockeghem”di Josquin des Près, “Darà la notte il sol” di Claudio Monteverdi e“Choral”di Karlheinz Stockhausen, quest’ultimo brano di grandissimo pathos e di altissimo coefficiente di difficoltà. A completamento del grande appuntamento, il Coro disporrà di una nuova divisa: un abito nero con farfallino per gli uomini, mentre le donne daranno una nota di elegante colore. Il concorso si svolge in quattro serate, dal 18 al 21 marzo, e subito dopo l’esibizione l’Icat fa immediatamente parlare di sé per interpretazione e musicalità e, come spesso avvenuto anche in passato, divide i cultori per la sua originalità, in particolare per l’esecuzione del brano d’obbligo. L’indomani il quotidiano locale “L’Est vaudois”, reperito di prima mattina, facendo riferimento all’Icat, titola a quattro colonne “Le enormi possibilità dei coristi italiani” per poi proseguire nel testo «... è il Coro Icat,
Sopra in partenza dalla Stazione Centrale di Milano: riconoscibili in primo piano da sx Graziella Frigerio, Osanna Pellacani, M. Teresa Buttinoni, Silvana Cremonesi. A sinistra foto di gruppo sul Lago Lemano, sullo sfondo il castello di Chillon. Sotto il Coro al Palazzo dei Congressi di Montreux
di Treviglio (Italia), che ha aperto la seconda serata. Coro misto dal programma elegante, che ci ha progressivamente convinti delle enormi possibilità di questi coristi dalle voci rotonde, morbide, dal degno fraseggio e dalle infinite sfumature. Il primo pezzo nasce come da un sussurro, con un’apertura generosa e morbida insieme, il suono si sviluppa senza contraccolpi, in modo spontaneo e raccolto, L’omogeneità è assoluta, senza errori; la dizione limpida ha accompagnato tutta la loro interpretazione, con un “Credo” d’una vivacità ed espressività che ha cancellato totalmente la versione del coro polacco della sera precedente. Soltanto i passaggi forti suonano talvolta duri e l’intonazione guadagnerebbe nell’essere spinta ancora più avanti (Stockhausen)...». Qualora non basti, lo stesso critico musicale, Hélène Trub, nel trafiletto in prima pagina definisce l’Icat «...superbo gruppo italiano, che si colloca facilmente tra i possibili vincitori del Premio dell’Ufficio del Turismo per il brano obbligatorio (Credo...)». I risultati ufficiali non rispecchieranno poi l’opinione del critico, peraltro senza nulla togliere alla grande soddisfazione dei coristi e del loro Direttore pur velata da qualche tristezza, ma nessuno potrà mai cancellare la gioia e l’entusiasmo per una delle prime colazioni più “dolci, appaganti e sognanti” che il Coro abbia mai conosciuto, unitamente al fantastico ricordo di una tre giorni di vita corale intensamente e felicemente vissuta sulle sponde del lago Lemano. Il viaggio di ritorno è quindi foriero di propositi per un impegno ancora maggiore nella preparazione: i grandi traguardi, anche internazionali, sono lì, a portata di mano... (12 – continua) Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Cani, gatti e dintorni
Amare gli animali e farne un mestiere di Lucietta Zanda
Adriana Carminati e Donatella Ronchi, da decenni sono un punto di riferimento per quanti amano gli animali domestici. Collaborano con i volontari dei canili e gattili della zona, anche salvando creaturine in pericolo
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eluche è uno di quei negozi che esistono da sempre o quasi, ed è praticamente irrinunciabile. Soprattutto se hai degli animali che almeno due volte al giorno reclamano la pappa, e mica una pappa così come tante, eh no... Sono esigenti e Peluche è il classico negozio in cui, se i nostri quattrozampe fossero in grado di farlo, si organizzerebbero tutti in un pullman per andarci a fare shopping almeno una volta la settimana! Entri e sei accolta da una gran confusione di colori di scatole e sacchetti, sonaglini, guinzagli e altre attrazioni. Oltre il bancone ci sono Adriana, Donatella, Tiziana e la fedele asburgica collaboratrice Ulrike pronte a soddisfare ogni tua richiesta in fatto di animali domestici. E, dimenticavo, i cagnolini delle titolari a farti subito l’annuso sulle gambe! Questo simpatico negozio ha origine nel lontano 1979. Adriana Carminati - nativa di Cassano - una delle titolari, in quel periodo lavorava come impiegata in un ufficio di Albignano, ma si era stancata della solita routine da scrivania. Lei che da sempre amava gli animali, aveva come sogno l’aprire un negozio per i loro fabbisogni specifici. Le capita l’occasione di rilevare il negozio di caccia e pesca situato a metà di via Fratelli Galliari; in quel periodo che pare già preistoria, non esistevano infatti specifici negozi di prodotti per uso veterinario essendo essi inseriti solo nel contesto di caccia e pesca. Conosce tra la clientela Donatella Ronchi appassionata soprattutto di cani. Hanno le stesse vedute ma convengono entrambe che l’amore per gli animali, inserito nel contesto antitetico di caccia e pesca, proprio non ci stava e meditano il da farsi. Come primo passo, di comune accordo aprono nel 1982 un negozio di toelettatura in Via Abate Crippa, mentre Adriana prosegue con quello in centro. Donatella è strafelice, e si lancia con entusiasmo nella nuova attività che prende piede in breve tempo. Gli animali della clientela, soddisfatti, avevano imparato a reclamare il loro bagno settimanale con erogazione - compresa nel prezzo - di affettuose igieniche strigliate e massaggi anche ajurvedici! È del 1984 la vendita definitiva del negozio in via Galliari che riaprono nell’87 in via Carcano, vicino alla Cassa Rurale, un
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A sinistra Adriana Carminati e Donatella Ronchi nel loro negozio
esercizio comprendente solo articoli per animali con toelettatura, ma questa volta con l’indispensabile supporto medico di Tiziana Facchetti. L’avevano conosciuta precedentemente quando - neo laureata - lavorava come tirocinante nello studio veterinario annesso al negozio di via Crippa. Il nuovo sodalizio è completo e in netta professionale evoluzione. Nel 1989 il Comune decide di costituire l’isola pedonale, cosa che nuocerà commercialmente a molte attività, e quindi il trio si trasferisce nello storico negozio del ciclista Moriggi in Piazza del Popolo, che in quell’anno aveva cessato il mestiere. Ed è ancora lì che si trovano tutt’oggi. Le difficoltà nell’aprire un negozio di que-
sto genere a Treviglio, pur avendo coinvolto le tre titolari a livello di grande impegno ed entusiasmo, sono state parecchie, mi dicono. Era necessario farsi non solo un giro di clientela, ma soprattutto, in un’epoca come quella in cui si sapeva poco di animali, cambiare anche la mentalità della gente, perché potesse considerarli come membri della famiglia e quindi accuditi e rispettati come tali. Anche a livello igienico. E questa loro capillare opera di persuasione le ha portate a crescere negli anni dando loro molte soddisfazioni perché alla fine chi ha animali e anche chi non ne ha, si è dovuto convincere che essi, come diceva Giovanni XXIII, il nostro grandissimo Papa bergamasco, sono davvero i nostri compagni di viaggio. Tutti quanti. E a pensarci bene, cosa nutre veramente l’uomo a livello profondo se non il rapporto con gli esseri umani e con la natura? Lo sforzo unito e collaborativo delle tre amiche spesso si rivela fondamentale per salvare la vita dei nostri amici pelosi. Questo interesse sovrasta spesso altri problemi contingenti, dovuti alla difficoltà commerciale del momento di crisi che stiamo vivendo. Infatti aiutano spesso a titolo gratuito chi non si può permettere certe cure costose, perché l’animale in difficoltà viene prima di tutto. Collaborano con canili e gattili della zona, con volontari disposti sempre a prendersi in carico qualche creaturina sfuggita alla morte. E sono contente perché si sono rese conto che il cambiamento e l’avvicinarsi alla comprensione anche sul piano etico nei confronti dell’animale, è molto migliorato negli ultimi dieci anni. Grazie al contributo dei mass-media e di certe associazioni animalistiche come LIPU o WWF. Donatella oltre al suo mestiere di toelet-
tatrice, che la rende allegra come un cucciolo di labrador, ha come hobby amatoriale l’addestramento vero e proprio del cane e l’attività cinofilo-sportiva. Quest’ultima va dall’educazione di base all’“Agility-dog” ossia un percorso ad ostacoli in collaborazione con l’istruttore, simile a quello che si fa con i cavalli. In via Pagazzano c’è appunto la sede della “Ciquita Agility Team”,una delle prime in Italia, dove da vent’anni si svolgono le attività. Altro sogno: avviare un allevamento di cocker e Jack Russell - che già alleva - con pensione. La storia dell’indissolubile amicizia e collaborazione tra le tre amiche è basata sul rispetto delle idee e dell’autonomia di ciascuna di loro. Ma sono la passione ed il comune intento per il benessere dell’animale a tenerle unite e a spingerle avanti. Continueremo così a portare i nostri amici affettuosi e scondinzolanti - pelosi o pennuti che siano - da Peluche, grati, fiduciosi e certi che l’amore e l’impegno per essi di Adriana, Tiziana e Donatella li aiuteranno a stare sempre meglio.
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Treviglio/Eccellenze del basket
Adriano Vertemati, fatti non parole di Domenico Durante
Il giovane allenatore che ha portato Blu Basket ai grandi traguardi straordinari di oggi, sbarcò a Treviglio dopo le belle e formative esperienze alla “Forti e Liberi” di Monza e di Treviso.
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el ranking sportivo, la nostra città, pur ricca di campioni affermati, deve tantissimo ad un uomo di non molte parole ma di grande concretezza: Adriano Vertemati che, con oculatezza, valorizzando sempre gruppi con tanti giovani, ha portato Treviglio al secondo gradino della scala nazionale del Basket. Mai un club della nostra città era salito così in alto. Treviglio tra le prime trentadue elette d’Italia, in una serie, la lega 2, che ospita squadre dal passato tricolore o da prime stelle della A1 (Siena, Treviso, Bologna, Roma e Reggio Calabria su tutte). Allora diamo a Cesare quel che è di Cesare e presentiamo, tramite “la nuova tribuna”, Adriano Vertemati, al grande pubblico dei lettori non specializzati del basket. Insomma una sorta di ingresso in Società. Intanto una curiosità: quando Vertemati nasce è il 1981, un anno dopo Treviglio nel basket sale per la prima volta in B. In sostanza, mentre Adriano faceva i suoi primi passi in
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autonomia, Treviglio faceva i primi passi verso grandi risultati. Chi avrebbe mai pensato che i due percorsi ed i due destini si sarebbero incrociati. Vertemati nasce a Milano nel 1981 e a 17 anni inizia ad allenare. Solo 17 anni è già pensa da allenatore? Ebbene si! Tanti ragazzi a quell’età pensano solo a giocare, sognando “la California della NBA” che Adriano continua a sognare - ma lui si sente attratto dalla possibilità di dare una mano per insegnare Basket ai giovanissimi di Cornaredo. Non è una meteora. Nelle piccole società succede spesso che i ragazzi con maggiore personalità, incomincino a fare da assistente, magari ad un giocatore della prima squadra, per occuparsi dei giovanissimi di 13/14 anni. Sono questi i primi passi di Adriano, ancora senza tessera e, quindi, “studente” di palla spicchi. Si deve seguire il corso e Adriano inizia a stare sui banchi. Proprio alla fine del corso per allenatore viene segnalato a Massimo Meneguzzo, per il settore giovanile della Forti e Liberi Monza. Adriano, per un attimo, pensa di essere approdato alla Nba. A Monza resta per quasi 7 anni. Si forma un nuovo allenatore e intanto cresce l’uomo, conosciamo anche questo suo lato. «Sono ed ero – ci dice – capace di aggregare, un piccolo leader, fatto che non corrisponde, almeno in me, poco espansivo, divento empatico solo quando conosco bene una persona». Se oggi frequentate il coach, vi accorgete che è proprio così, all’inizio non gli date esattamente del simpaticone. Ma torniamo a Monza. Il buon rendimento dei suoi giovani, con partecipazione a finali nazionali, lo lancia verso la B2, la prima squadra del team monzese Forti e Liberi, a soli 24 anni. Praticamente è più giovane di tutti i suoi giocatori meno Matteo Da Ros. Avendo competenza sulla squadra junior di Monza, incrocia Fabio Corbani che volendo potenziare a Treviso il già buon settore giovanile, lo chiama alla squadra veneta. Sembra un passo indietro, il ritorno al settore giovanile da primo allenatore in B2 ma non
sarà così, sia per la conquista di uno scudetto di categoria, che per essere stato ancora una volta un settore giovanile a fungere da rampa di lancio, questa volta arriva il posto tra gli assistenti di Jasmin Repesa, un guru, gran maestro di panchina. Ma la Benetton gruppo industriale decide di non investire più nel basket, per Adriano è il momento di cambiare panchina e città. Il suo agente gli parla di una piazza di qualità che da anni fa buon basket, con orgoglio e con grande passione: Treviglio, che Vertemati conosceva poco, …per la verità molto poco. Per esempio conosceva solo per pochi cenni del grande ed efficace amore che negli anni ‘80 era esploso per l’americano Bob Lienhard, nonostante questi fosse stato una grande bandiera della squadra della nostra città. Euclide Insogna lo segue nelle finali nazionali, si informa tramite Lino Frattin e Massimo Meneguzzo e poi celebra le nozze tra il Vertemati (padre di Bernareggio e madre di Trani), ed il basket a Treviglio con ancora in società il “mangiallenator” Alberto Mattioli. «Conoscevo Mattioli - mi dice - e credo che sia stato tra i miei sostenitori». Mattioli estimatore di un allenatore non lo dicono in molti. Nella mia conversazione con il coach scatta subito la voglia di inserire un’icona: dai una immagine della tua esperienza trevigliese? non passano che pochi secondi: «Treviglio è la storia di una impresa dietro l’altra, ogni anno siamo andati oltre ogni aspettativa». Forse una immagine che sintetizza tutto il lavoro del coach, delle difficoltà e dell’accettazione delle compatibilità di bilancio. Squadre sempre piene di giovani, vincerà anche il premio under per il miglior minutaggio di utilizzo degli under, una cifra che porta grande ossigeno alle casse trevigliesi. E pensare che lui è un allenatore giovane con bisogno di crescere in esperienza. Ma l’uomo che stiamo facendo entrare nel giusto posto della storia della città, accetta le sfide, forse è una delle cose che gli riesce meglio. In sfide da play off elimina squadre favorite come Torino, lotta ad armi pari con
squadre reduci dalla vecchia A2 come Biella, inanella serie consecutive di vittorie (il suo record è 7) e, come dice lui, porta la squadra in Paradiso. Poi, al termine della scorsa stagione, quella che lui definisce la ciliegina sulla torta: porta i colori della nostra città dove nessuno era mai arrivato in uno sport di squadra, cioè sul secondo gradino del ranking nazionale. Ma questo momento lasciamolo direttamente al suo ricordo: «Nella stagione 2015-2016 puntiamo sul gruppo, con squadra lunga e giovane che gioca bene, che crea grande feeling con il pubblico. Per il piazzamento nella regular season, ricorda, siamo già in Paradiso ma quando arrivo ai play off contro Biella, ecco la ciliegina sulla torta, vinciamo una partita dei play off che valgono l’accesso alla serie A. Siamo al punto più alto della storia del basket bergamasco». Voi non avete visto gli occhi gonfi di orgoglio mentre parlava, io sì, erano quelli del guerriero che aveva stanato la sua preda. Vi ricordate che Vertemati conosceva poco dell’americano importante che aveva vestito la canotta trevigliese, Lienhard? Quando ne ha avuto uno nel suo “roster”, le cose non sono andate molto bene. Di Novar Gadson, così si chiamava il tesserato, ricorda i grandi problemi di ambientamento, con ripercussioni negative su tutta la squadra che Vertemati aveva reso gruppo intenso e coeso. Ci fa capire che, alla fine, averlo perso non sia stato un grande problema. Forse ora sapete abbastanza dell’uomo il cui nome, assieme a quello della sua squadra, è entrato a pieno diritto nella HALL of FAME del nostro basket. Il nostro obiettivo era quello di dare un volto ad un grande successo sportivo della nostra città. Ci siamo riusciti? spero! Cosa è già successo di importante in questa stagione? Una cosa bellissima. Adriano è diventato papà, è nata Alessandra.
Sul numero de “la tribuna” di Febbraio, più spazio al basket trevigliese Gennaio 2016 - la nuova tribuna -
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Tnt/Serata memorabile con i vecchi campioni servizio fotografico di Gigi Di Cio
I mitici eroi bianco celesti di Leonardo Ravazzi
Una nostra proposta pubblicata sul numero di ottobre si è trasformata in una serata straordinaria nella quale le emozioni hanno sopraffatto tutti
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a un’idea nata su queste pagine, una Bellissima serata dal risvolto sportivo (forse da tempo immemorabile la più toccante ed empatica mai svoltasi a Treviglio) quella che si è tenuta al Teatro Nuovo (ex Upim), a partire dalle ore 18 del 14 Dicembre scorso, per gli auguri di “Natale 2015” del Circolo Sportivo Trevigliese. Bene augurando, oltre a festeggiare le squa-
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dre del CST, militanti nei vari campionati giovanili (dai pulcini e su su, fino alla prima squadra piazzatasi, per ora, al 3° posto in classifica alla fine del turno di andata del campionato di Promozione girone E, grazie anche al proficuo lavoro del mister Lucchetti e del D.S. Leo), i dirigenti e lo staff della Trevigliese hanno voluto raccogliere l’invito del nostro periodico contenuto in un ampio commento del numero di ottobre e riguardante la celebrazione del “50° dalla promozione del CST in serie C al termine del campionato ’64/‘65 ed hanno festeggiato a dovere quelli che l’eclettico animatore della serata (Paolo Taddeo) ha definito a ragione: «I mitici eroi bianco celesti di allora». Grazie al lavoro paziente e certosino dei fratelli Cariboni (di Pietro in particolare), è stato possibile riunire quasi tutti gli autori di quell’impresa così come i parenti dei giocatori, dei dirigenti e dei tecnici di allora che purtroppo non sono più fra di noi. Altresì anche alcuni dei giocatori che militarono poi nella squadra che disputò i campionati di C a partire appunto dal settembre del ’65. Un bel gruppo di emozionatissimi quanto attempati protagonisti di quell’epoca e decisamente in imbarazzo, oltre che piacevolmente
intimiditi, quanto ben disposti a raccontare al microfono il loro grande piacere di essere lì a ricordare e festeggiare fra di loro - con tutti noi (vecchi tifosi e giornalisti che abbiamo avuto la fortuna di vivere quei momenti indimenticabili con loro) - nonché con i dirigenti, i collaboratori e i giocatori dell’attuale CST. Così, fra gli altri, anche il presidente Bruno Brulli e il suo vice Pinuccio Radaelli si sono alternati nel commemorare quell’impresa, mentre sullo schermo alle loro spalle si succedevano le immagini (un po’ sfocate e rigorosamente in bianco e nero) raccolte da Bruno Frigerio, riguardanti quel mitico campionato vittorioso ’64-‘65. Il DVD del filmato, oltre ad una particolarmente ampia e circostanziata raccolta grafica e fotografica di quel periodo, nonché la riproduzione in cristallo dello stemma del CST e una copia del “la nuova tribuna” del mese di ottobre, sono stati il dono del C.S. Trevigliese a tutti i festeggiati più volte oggetto di lunghissimi e sentiti applausi. Ciliegina sulla torta, dopo gli auguri dell’Assessore Comunale e Vice Sindaco Juri Imeri, l’intervento finale che Taddeo è riuscito a strappare ad un ospite molto particolare: Domenico Casati. Casati, che da Treviglio approdò alla serie
Da sinistra alcuni fra gli ospiti festeggiatissimi sul palco del Tnt, fra cui da: Donadelli, Alberido, Maestroni, Foresti, Ravasi, Rigamonti, i Passera, Testa, Valsecchi ed altri. Poi la platea affollatissima, nelle due prime fila alcuni fra gli ospiti festeggiati per il cinquantenario della promozione in C.
A dove militò a lungo (dalla Juventus all’Atalanta) e che poi, finita la carriera di calciatore, divenne un apprezzato allenatore toccando il vertice di tale carriera negli anni ottanta, ha voluto rievocare il periodo in cui (come secondo di Ottavio Bianchi) vinse il Campionato ’86-’87 di serie A col Napoli di Diego Armando Maradona, del quale era il preparatore tecnico particolare e del quale ha voluto regalare ai presenti una serie di ricordi e di immagini aneddotiche particolarmente positive e gradevoli. Poi, tutti al ristorante per chiudere in bellezza una magica serata che si è rivelata alfine altrettanto mitica quanto il motivo commemorativo per cui era stata da noi auspicata. A sx Taddeo intervista Donadelli che mostra la sua maglia del campionato vittorioso ‘64’65. Accanto il Presidente Brulli consegna lo scudetto ricordo del CST per il 50° a Rigamonti, terzino destro e vice capitano della Trevigliese ‘64-’65
LA SCOMPARSA DI ROBERTO CARIBONI Roberto Cariboni era dei nostri la sera del 14 Dicembre con il CST, con la telecamera per documentare la serata, generosamente come sempre. La direzione e la redazione de “la tribuna” si uniscono al dolore del fratello Pietro e della famiglia. Sarà nostro impegno ricordarlo presto più degnamente.
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Storia / Pedalando nel tempo
Coppi: un fenomeno sportivo, sociale... a cura di Ezio Zanenga
Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. Il mito di Fausto Coppi è presente anche a Treviglio più di quanto si pensi. Un ‘Club di amici’ a lui dedicato. Una pubblicazione ‘trevigliese’ sul Campionissimo presentata recentemente a Milano Expo
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oprattutto nello sport c’è abuso di aggettivi, di titoli, di esaltazione, di enfatizzazione. Tutti campioni, fuoriclasse, fenomeni. Il tempo è però galantuomo, come si suol dire, e solo pochi miti si confermano. Una leggenda che sicuramente si è consolidata e che costituisce un vero e proprio fenomeno sociale è quella di Fausto Coppi, le cui gesta sportive e le vicende umane, risalgono agli anni ‘40/’50 del secolo scorso. Periodo storico irripetibile quando l’Italia, tra le macerie della guerra, vedeva nelle imprese di Coppi sentimenti di riscatto e di orgoglio. “…la memoria non è un merito: è un patrimonio che ci viene portato in regalo dal fardello degli anni. Diventiamo vecchie ostriche e la memoria è la nostra perla” Così Orio Vergani, il ‘cantore’ delle imprese ciclistiche di Fausto Coppi, che calza a pennello con il nostro voler ricordare personaggi e vicende preziose. «Era un figlio, un fratello, un alunno, un garzone. Un ragazzino magro, scarno,
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indifeso, come gli alberi d’inverno. Erano maglioni ereditati, pantaloni lunghi o corti, comunque mai giusti, scarpe consumate dal camminare. Era una bicicletta come un sogno e miraggio, come traguardo e destino, come conquista e fatica… Era voglia, fame, determinazione. Era grinta, volontà, tenacia…Era ormai un capitano, un leader, un campione. Era poi, improvvisamente, un soldato, un prigioniero… Ma quando si ricominciò a vivere, era di nuovo un corridore, non
più campione ma Campionissimo. Una stella, un firmamento, un fenomeno. Era un uomo, un marito, un padre. Era anche un amante, un adultero, un ricercato, un colpevole. Finché, strappato, svuotato, sfinito, è diventato eroe, mito, leggenda». È il ritratto sintetico e realistico di Fausto Coppi scritto da Marco Pastonesi come presentazione sulla recente pubblicazione “Il libro dei libri“, censimento bibliografico sul Campionissimo a cura di chi scrive e presentato alla recente Expo di Milano.
Fausto Coppi effigiato da artisti trevigliesi, da sinistra in senso orario: Marinella Mandelli, Carmelo Silva, Gabriele Bellagente e Battista Mombrini. Sotto la copertina del ‘Libro dei libri’
Centinaia di finestrelle sulla irripetibile storia sportiva e umana dell’uomo di Castellania. E ad ogni finestra, un libro, un opuscolo, un fascicolo, e centinaia di foto che in una sorta di cascata bibliografica colloca, sulla cima più alta, la leggenda di Fausto Coppi. Ben 250 titoli di foggia italica, 30 stranieri e 100 profili di autori dal 1942 al 2015. È la più feconda bibliografia, in assoluto, serbata ad un atleta italiano. Già questo non è un ‘fenomeno’ editoriale, letterario? Perché un ricordo ancora così vivo a distanza di 56 dalla morte? In Italia 50 città hanno dedicato vie o piazze a Fausto Coppi. Centinaia i monumenti, i cippi, gli steli. Scrittori, sociologi hanno scritto e scrivono di lui, concorsi letterari, mostre, rappresentazione teatrali, tesi di laurea, biografie, saggi, raccolte di poesie, spartiti musicali, pittori, scultori… Così come numerosissime sono le manifestazioni sportive legate al suo nome, sodalizi, associazioni, club…. Club? Eccone uno, a Treviglio, certo! “Club Amici di Fausto Coppi di Treviglio”, referente Angelo Assanelli, coppiano e coppologo. Sono una ventina, si riuniscono ogni 2 gennaio, ricorrenza della morte del Campionissimo, e si recano a Castellania dove ogni anno ne trovano altri mille provenienti da tutta Italia. Un vero e proprio ‘pellegrinaggio’, non c’è freddo, nebbia o neve che tenga. Pesco nelle mie caselle mentali e non mi lascio sfuggire l’occasione per presentare quattro artisti trevigliesi che in tempi e in modi diversi hanno disegnato o dipinto Fausto Coppi. Carmelo Silva, ovvero ‘una matita in campo’ come lo definì la Gazzetta dello Sport, Battista Mombrini, Gabriele Bellagente e Mariella Mandelli. Quattro stili diversi, non poteva essere diversamente, ma è Coppi, il Coppi trevigliese, il ‘nostro Coppi’, una curiosità, un enigma, un mistero, è profumo di storia che conduce alle due ruote. Sotto Faustino e Marina Coppi, figli di Fausto, ricevono la tessera del club trevigliese. Con loro Luigi Tasca e Angelo Assanelli. Accanto il gruppo trevigliese a Castellania dove il 2 gennaio di ogni anno si reca per ricordare Fausto Coppi.
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Professionisti informano
Lettere al direttore L’arte sacra trevigliese al buio
Le recessioni gengivali
Perché avvengono e come risolverle, ma prima di intraprendere qualsiasi terapia è necessario cambiare le abitudini che sono state all’origine del problema
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volte i pazienti si rivolgono al dentista riferendo che le gengive “si sono ritirate” oppure che i denti appaiono “allungati”. In alcuni casi si tratta di una condizione associata alla malattia parodontale ed è accompagnata da altri segni come gengive arrossate, sanguinamento allo spazzolamento, presenza di placca e tartaro. Altre volte però si riscontrano recessioni in pazienti con un alto grado d’igiene orale e gengive sane; in questi casi la causa più frequente sta proprio nell’uso spazzolino che, se manovrato in maniera troppo energica o se dotato di setole troppo dure, è in grado di irritare le gengive e causarne la recessione. Oltre allo spazzolamento ci sono altre possibili concause come la presenza di piercing sulle labbra e abitudini viziate come lo sfregamento sulla gengiva di matite o altri oggetti. Come rimediare alle recessioni gengivali?
Prima di intraprendere qualsiasi terapia è necessario interrompere le manovre che hanno provocato la recessione, solo quando il paziente sarà in grado di pulirsi i denti senza traumatizzare le proprie gengive si potrà correggere la morfologia gengivale. La terapia della consiste nello spostare i tessuti per “coprire” letteralmente la recessione, si tratta di una vera chirurgia plastica gengivale. L’intervento si svolge sulla normale poltrone del dentista, in anestesia locale, richiede uno strumentario adatto alla microchirugia e il dentista, che naturalmente deve avere una preparazione specifica, utilizza un sistema d’ingrandimento. Il tutto ha una durata compresa fra i 45 e i 90 minuti a seconda del numero di recessioni da trattare; infatti, se le condizioni anatomiche e cliniche lo permettono, più recessioni possono essere trattate con successo in un unico intervento.
Prima
Dopo Via Giacomo Matteotti, 11 Treviglio (Bg) - 0363 - 49846 info@studioazzola.it www.studioazzola.it
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Gent. direttore, seguo la tribuna dal primo numero del 2015, così quando ho visto Vittorio Sgarbi sulla copertina di dicembre non ho potuto fare a meno di ricordare che da un anno sul Polittico - lei e la redazione - “ci battete”, ovvero cercate di far capire l’importanza di quest’opera e la possibilità di espandere la sua valenza religiosa e artistica, anche con ricadute economiche. Così, visto che “repetita iuvant”, mi lasci riportare una frase apparsa esattamente un anno fa sul suo mensile, ma assolutamente d’attualità considerato l’assenza totale alcuna risposta rispetto ai vostri inviti «Entrando nella Basilica di San Martino, oppure nel Santuario, quello che colpisce uno “straniero” è la luce, ...che non c’è! Eppure appese appena sotto queste grandi volte, lassù in alto, si intravedono opere pittoriche gigantesche di grandi artisti, ma il buio e forse la necessità di una pulizia ai dipinti, non le rendono evidenti. Persino il Polittico, che pure ha una sua illuminazione a pagamento, pochi possono immaginare che un tempo spiccava in mezzo all’altare, illuminando con la sua bellezza tutta la chiesa. Così un passante casuale, ignaro delle opere straordinarie contenute in queste chiese, non può neppure andarle a scoprire, non sono evidenti. Così si perde l’occasione di gustare il Polittico, una delle opere pittoriche più importanti d’Italia, ovvero “un esempio mirabile del passaggio dal Medio Evo al Rinascimento” dicono gli esperti». Lauretta Mazza
All’Expo Milano 2015, io c’ero!
Caro direttore, forse tra qualche decennio l’uomo riscriverà la sua storia grazie all‘iperbolico progresso tecnologico digitale. Super computer e mostruosi database ci permetteranno di trovare il bandolo della matassa di tutta la nostra conoscenza codificata e forse ne vedremo (meglio dire ne vedranno) delle belle. È questa la mia personale lettura del didattico Padiglione Zero. Per ora atteniamoci alla storia come l’abbiamo imparata a scuola: una scansione temporale dei flussi e influssi politici, economici, militari, religiosi, artistici e scientifici. L’idea di grandezza e di unione che trasmette il decumano sta proprio a significare che i popoli-padiglioni riusciranno a sopravvivere solo se cresceranno in pace. Del resto il tema dell’Expo 2015 “Nutrire il
Controcanto
pianeta–Energia per la vita” è molto chiaro e non ammette errori in futuro. L’area espositiva mi ha richiamato alla mente un pezzo di paradiso terrestre: ogni padiglione nella sua forma e struttura rappresenta un tassello nella storia dell’alimentazione umana. Anche quello più piccolo (la Corea del Nord) contribuisce nella sua semplicità a dare un particolare valore a tutto l’insieme espositivo. Non voglio quindi lasciarmi andare a giudizi personali sulle singole esperienze proposte dalle varie nazioni presenti ma tutte quelle che ho visitato (69 timbri sul passaporto Expo) non hanno deluso le mie aspettative di visitatore e di ‘visionario’. Dall’Iran all’Estonia, da Israele alla Polonia, dalla Turchia alla Svizzera, dal Kazakistan alla Francia, dal Nepal alla Germania passando dal Kenya alla Russia, dal Mozambico alla Cina, da San Marino agli USA e dal Marocco ad Israele: impariamo che madre terra e la nostra intelligenza hanno tutte le potenzialità per sfamare l’intera popolazione terrestre. La sofferenza di cibo e d’acqua va solo ricercata nella nostra incapacità di vivere in pace come fratelli. Peccato non esserci andati! Ennio Dozzi
Politica, elezioni, ambizioni e fatti
Caro direttore, a sei mesi dalla tornata elettorale che vedrà chiamata la cittadinanza ad esprimere il proprio voto, poco si sa delle liste civiche che vivacizzeranno la campagna politica locale. Ancor meno delle proposte per la Città di Treviglio. Non so se sia da interpretarsi come “improvvisazione politica” o un preciso piano volto a non svelare i programmi agli avversari, ma tant’è. Ad oggi si parla di primarie interne ad alcuni schieramenti (con l’impressione sempre più forte che l’attenzione venga rivolta più ai personalismi che al bene comune...), a bagarre per lo più scandalistiche volte a screditare gli avversari più che a promuovere programmi di governo. Praticamente una replica in scala di quanto accade a livello nazionale. La domanda che un po tutti ci poniamo è: i trevigliesi sapranno riconoscere la forza dei fatti e dei programmi dalle parole al vento degli incantatori di serpenti? Dobbiamo ancora attendere, dato che non ci è dato conoscere ne i candidati in corsa ne le loro proposte. Giovanni Colombo
L’inverno in sospeso
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Treviglio in attesa di politica e infrastrutture reviglio sta vivendo una strana stagione di limbo, in attesa del baillame elettorale e con i progetti sul futuro procrastinati per un po’, dopo i tanti lavori infrastrutturali degli ultimi mesi, le polemiche in Comune, le schermaglie etiche e le discussioni pratiche. La città attende di conoscere chi la guiderà nei prossimi anni e, mai come in questo periodo di rinnovato entusiasmo popolare - magari non per le sue sorti amministrative, ma almeno per le sue attività sociali -, occorre prestare attenzione a non dilapidare il potenziale di una cittadinanza tornata fibrillante. Le luci di Natale sono ancora accese in molte vie del centro, il museo verticale del campanile ha ridato vita al simbolo più evidente di Treviglio (non foss’altro per lo spunto verticale), i commercianti hanno ripreso a lavorare in sincrono e le strade storiche della città contano su un evento alla settimana o quasi. Ma non è tutto qui. Serve decidere le sorti di alcune questioni nodali, problematiche che forse non possono aspettare una nuova giunta e magari venire sviate dagli strepiti delle settimane pre e post voto. Il problema del traffico, ad esempio, che incide sulla viabilità e l’inquinamento: una viabilità migliore porterebbe vantaggi a cittadini, lavoratori in transito e a chiunque voglia godersi i servizi e le attrattive di Treviglio senza attendere (molti) minuti in coda o in attesa di trovare un parcheggio utile. Il nuovo polo fieristico in costruzione e la riorganizzazione del vecchio daranno una forma nuova alla città, che va definita al meglio per evitare sprechi e occasioni mancate: un riassetto ben studiato oggi eviterà disfunzioni (traffico non organizzato,
speculazioni a domino, utilizzi infruttuosi) domani. Tutto questo senza dimenticare i limiti di un bilancio facile allo stress, le necessarie politiche sociali e magari provare a inseguire la chimera di una politica culturale cittadina strutturata. C’è molto in sospeso in questo inverno forse più cruciale di altri per Treviglio che, dopo gli slanci e gli inciampi degli ultimi anni, prova a mettere le fondamenta per un futuro meno incerto e garantirsi solidità in attesa dei nuovi inizi del prossimo giugno. L’anno, dunque, comincia con un dedalo di auspici. Stefano Pini
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la Vignetta di Juri Brollini
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