ATLANTIC GIOCATTOLI
viaggi INCREDIBILI
I mitici soldatini prodotti a Treviglio in mostra dal 12 Settembre al 4 Ottobre
Due fratelli ripercorrono a piedi oltre 1000 km per ricordare il ritorno dal lager del padre
EURO 2,00
N° 9 - Settembre 2015 - Mensile di attualità, cultura e storia di Treviglio e Gera d’Adda
Dossier:
Treviglio
graffiti
Foto di Enrico Appiani
Vandalismo, decoro e sicurezza
incontro tra sindaci
I sindaci di Cassano e Treviglio si sono incontrati per fare il punto riguardo alla “ricucitura” tra i due comuni dopo i lavori Brebemi e Tav Un ponte in Via del Bosco? Si sta pensando di ricollegare le cascine Bornaghetta, Costanza e Pompa con un ponte ciclo-pedonale
ETTI R A G N O L O TRENT TURA E LA SUA PIT
Una tangenziale Sud Tra la SS11 nella zona dell’ Ospedale e via Redipuglia per deviare il traffico verso il Pip e Cassano d’Adda Settembre 2015 - la nuova tribuna -
1
2 - la nuova tribuna - Settembre 2015
l’Editoriale
Il decoro è una cosa molto seria
R
itorniamo in edicola dopo un mese di assenza, non certo di pausa. Abbiamo continuato a lavorare, studiare, osservare ciò che abbiamo fatto da novembre quando iniziammo a preparare l’uscita del primo numero, quello di Gennaio. Sono dieci mesi durante i quali la redazione si è impegnata a investire le proprie risorse intellettuali e fisiche in un progetto che potesse mettere a disposizione dei lettori uno strumento di riflessione e approfondimento, anche come stimolo perché la politica locale sia sempre meno gioco del Monopoli e più Spirito di Servizio: quella che si misura sui risultati veri, non sugli incarichi conquistati e la quantità di titoli e fotografie sui giornali. Certo il mestiere del giornalista lo si può fare in vari modi, magari accodandosi a chi è al timone, oppure solleticando la pancia agli istinti meno nobili, prendendo parte a battaglie ideologiche, oppure decidendo di comportarsi da professionisti, ovvero come quegli avvocati o medici che, mantenendo indipendenza di giudizio, suggeriscono la scelta più onesta, non quella pretesa dal cliente o dal paziente. Perché professionalità non significa parcella o compenso, ma intelligenza, preparazione, esperienza e onestà intellettuale, le stesse qualità che occorrono ad un politico, a un pubblico amministratore o a chiunque abbia a che fare con gli “altri”. Un ragionamento impopolare, perché per le menti semplici la politica, come la musica, la letteratura, la pittura, il giornalismo, sono “roba” divertente, per gente che non dà valore al denaro, gente che non lavora veramente, dei “cücümer” come si suol dire. Mi aiuta un aneddoto dell’amico Tiziano Incani, popolarissimo cantante rock bergamasco, noto come “il Bepi”, con il quale occasionalmente ci si trova a pranzo raccontando storie, preparando progetti, spettacoli. Con lui mi lamentavo del fatto che spesso, nonostante un giornalista lavori giorno e notte, difficilmente gli viene riconosciuto l’impegno e la competenza professionale che spende. Così il Bepi mi ha raccontato, nel dialetto della Val Seriana, ciò che accade anche a lui troppo spesso. «Teh Bepi, ma té ‘n da éta fét doma chèsto (e per “questo” si intende tutte quelle cose spassose che fa uno che canta, suona, presenta ecc.) o laùret anche?». Oppure: «I ria lé e i ma fa: “Té Bepi, fét cusè té ‘n da éta?”. Ga responde ca fó ‘l cantautore. E ‘l sét lur cos’i ta respónt? “Sé, sé, ma de laurà fét cusè?”». Traduco: l’interlocutore chiede al Bepi cosa faccia nella vita, risponde che fa il cantautore, ma questi insoddisfatto replica: “Sì, sì... ma di lavoro cosa fai?”. In questa percezione del lavoro astratto tutta la miseria di una provincia, ma anche della nostra città, che si evolve a fatica perché il valore lo misura troppo spesso sull’oggetto che puoi toccare, il servizio che puoi vedere, non il lavoro intellettuale. In parole povere, la creatività, quella che fa nascere idee, arte, cultura, imprese,
oggetti, servizi e ricchezza, “l’è roba che la cüntà nigòt!”. Non vale niente. E se si vuole, il Dossier sui writers evidenzia questa debolezza intellettuale, l’incapacità della collettività e di alcune istituzioni di valutare il fenomeno nella sua gravità e quindi fare uno studio, mettere a confronto competenze, decidere come organizzarsi per porvi rimedio. Manca forse il tempo, perché troppo spesso all’interno della politica la speculazione intellettuale, il ragionamento in prospettiva e d’insieme non trova spazio, troppi i problemi quotidiani, le emergenze. L’inchiesta sui graffitari mostra, infatti, che non è un problema di teppistelli, è un’emergenza, è il segnale che il territorio inizia ad essere meno tutelato, quindi terreno fertile per chi deve operare fuori dal controllo degli occhi vigili della legge. Un fenomeno che per essere combattuto necessita di impegno e professionalità, da cui i politici possono trarne spunto per costruire un progetto e individuare delle sinergie con le forze dell’ordine e chi per professione può affrontare questi fenomeni. E se pure le iniziative del bravo Marco Guerini in pochi mesi hanno permesso di ripulire sottopassi, alcuni muri e di ridipingerli con graffiti (vedi pag. 30), è evidente che la buona volontà e la generosità del singolo non possono bastare, neppure se l’Amministrazione Comunale le supporta moralmente. Benissimo l’iniziativa, ma è il Comune che deve dirigerla, usando lo Spirito di Servizio dei cittadini generosi e volonterosi, ma con un’idea d’insieme meditata. I murales diventano per forza di cose arredo urbano e questo non può -e non deve- essere lasciato alla scelta dell’artista o presunto tale, oppure commissionato in base a gusti personali di qualche autorità o alla disponibilità di volontari che si dilettano con i colori. Insomma, non c’è nulla da insegnare, nel nostro caso basta l’esempio dell’ex sindaco del comune di Calcio, Nicola Mercandelli, che ha fatto selezionare artisti, chiesto proposte, analizzato bozzetti e poi commissionato le opere. Non ci vogliono Pico della Mirandola o Francesco Chiari per capire che un’iniziativa organizzata si connette poi alla sicurezza, al controllo del territorio e crea sentimenti di legame più solidi con la città. E se non si ha tempo, perché non si ha mai tempo in politica, si inizi a fidarsi di qualcuno, magari delegando un gruppo di lavoro che - dopo un’analisi - consenta di avere tra le mani elementi seri per decidere senza basarsi sulle simpatie o le valutazione dei singoli amministratori. Una volta i problemi si discutevano nelle sezioni di partito, lì si elaboravano progetti che diventavano poi dei fatti concreti. Un modo per sbagliare meno, aver consenso e costruire una cultura della pubblica amministrazione che potesse poi preparare quella successiva, il ricambio. Ora sembra che nascano tutti “imparati”, qualcuno li nomina affidando la nostra vita nelle mani di volonterosi scelti in base alla pura fedeltà al leader. Come se gli amministratori pubblici fossero meno importanti di un’equipe chirurgica. Forse sarebbe necessario un ritorno al passato. Roberto Fabbrucci Settembre 2015 - la nuova tribuna -
3
Foto di Enrico Appiani
il Sommario
Cacina Bornaghetta: un ponte per riunire via del Bosco 06-07 Incontro tra i sindaci di Cassano e Treviglio: “È essenziale la tangenziale sud” a cura di Ezio Bordoni e Ivan Scelsa; 08-09 “Nuovo parco, una stazione e un ponte” a cura di Daniela Invernizzi, “L’interruzione di via del bosco” di Roberto Fabbrucci; 10-10 Caravaggio: “L’interporto, ovvero la grande sceneggiata” di Angelo Sghirlanzoni; 11-13 Treviglio: Lavori Socialmente Utili, “Manodopera gratuita ma poco sfruttata”, “La Società Maschile di Mutuo Soccorso” di Carmen Taborelli; 14-15 “Treviglio Libri alla sua terza edizione”, “Lo sguardo della Sciamana” di Daniela Invernizzi; 16-17 Dossier: “Graffiti: arte, degrado e senso della legalità”, “L’origine del fenomeno” di Daniela Regonesi; 18-19 Dossier: “Gli imbrattatori sono sempre molto giovani” di Daniela Regonesi, “Non tutti sanno che le bombolette...”, “L’esempio del comune di Varese” di Daniela Invernizzi; 20-21 Dossier: “Trenord: danni per un milione di euro” di Ivan Scelsa, “Con il degrado arriva la malavita organizzata” di Roberto Fabbrucci; 22-23 Dossier: “Catalogare i segni, identificare i vandali” di Cristina Signorelli, “C’è un confine tra vandalo e artista” di Chiara Severgnini; 24-25 Dossier: “Il caso dei sei writers trevigliesi processati”, “Graffitismo: ora le leggi sono più chiare...” di Daniela Invernizzi; 25-27 Dossier: “Trento Longaretti, pennellate di poesia”, “Dalla Scuola d’arte e Mestieri alla Carrara” di Daniela Regonesi; 27-29 Dossier: “Esempi positivi: Calcio: muri d’artista”, “Caravaggio: dipinti sul Merisi” di Cristina Signorelli, “Mombrini e quei primi murales del 1972” di Roberto Fabbrucci, “Il logo diventa graffito” di Cristina Signorelli, (“Aziende informano”, incidente stradale e danno psichico” di Studio Blu); 30-31 Dossier: “Treviglio: sottopasso di cibi colorati”, “A tu per tu con i wri-
4 - la nuova tribuna - Settembre 2015
ters all’opera alla Stazione Fs” di Daniela Invernizzi; 32-33 Dossier: “L’opinione dei trevigliesi” di Daniela Invernizzi e Lucietta Zanda, “Quel murales della Remer in viale Oriano” di Lucietta Zanda; 34-35 Uomini & Motori “L’Alfa 6 Michetti, l’ammiraglia!“ di Ivan Scelsa; 36-37 Treviglio - “Ospedale: l‘importante presenza dei volontari” di Carmen Taborelli, “Impianti dentali meno invasivi e meno costosi” a cura dello Studio Azzola; 38-41 “Per ricordare il papà, a piedi da Mauthausen”, “Bertola e la scatola della memoria” a cura di Daniela Regonesi, “Canne di bambù nascono al Roccolo” di Cristina Signorelli; 42-42 Droni “Se la passione cambia la vita” di Lucietta Zanda; 44-49 Trevi due “Marco Ferri: anche pulire è un’arte” di Ilaria Ferrini e Daniela Leidi, Treviglio Eventi “Benessere e salute in vetrina al PalaFacchetti” di Cristina Signorelli, eventi “Il mito Atlantic in mostra a Treviglio” di Silvia Martelli; 50-52 ‘L verticàl della premiata ditta Pozzi”, “Catturarono un pianoforte Pozzi agli austriaci” di Carmen Taborelli; 53-56 Icat “Secondo capitolo: con Toni Galuppo”, “In preparazione di un sogno” di Tienno Pini, “Grossi, pendolare tra Treviglio e Milano” a cura di Elio Massimino, “Il soprano Gabriella Locatelli Serio” di Silvia Bianchera Bettinelli; 56-57 “Parco del Roccolo, un’oasi naturalistica” a cura di Daniela Regonesi; 58-59 Pedalando nel tempo “Marino Morettini: un super campione” a cura di Ezio Zanenga, “Francesca Fangio e le sue ventinove medaglie” di Daniela Invernizzi; 60-62 Rimembranze: “Personaggi trevigliesi da ricordare” di Roberto Fabbrucci, Caravaggio “Il ricordo di Madaschi” di Angelo Sghirlanzoni, la rubrica delle “Lettere”, “Controcanto: Si fa presto a dire writer” di Stefano Pini
Autorizzazione Tribunale di Bergamo n. 23 dell’8/8/2003
Anno 1 - n° 9 - Settembre 2015
Editore: “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 Direttore Amministrativo Fiorenzo Erri amministrazione@lanuovatribuna.it REDAZIONE Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci direzione@lanuovatribuna.it Comitato redazione Coordinatrice: Daniela Invernizzi Laura Borghi, Daniela Regonesi, Ivan Scelsa, Cristina Signorelli, Carmen Taborelli Hanno collaborato a questo numero Ezio Bordoni, Silvia Bianchera Bettinelli, Laura Borghi, Ilaria Ferrini, Daniela Leidi, Daria Locatelli, Silvia Martelli, Elio Massimino, Luciano Pescali, Stefano Pini, Tienno Pini, Chiara Severgnini, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio Vailati, Lucietta Zanda, Ezio Zanenga Ufficio commerciale Roberta Mozzali commerciale@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 - Cell. 338.1377858 Fotografie e contributi: Enrico Appiani Foto Attualità, Tino Belloli, Virginio Monzio Compagnoni Altre collaborazioni: Ilaria Ferrini, Daniela Leidi,Giulio Ferri, Ugo Monzio Compagnoni, Sacha Parimbelli, Paola Picetti, Matteo Preziuso, Franca Tarantino, Romano Zacchetti Stampa Laboratorio Grafico Via dell’ Artigianato 48/50 Pagazzano (BG) Cercaci su Facebook e sfoglia i vecchi numeri dal sito lanuovatribuna.it
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
5
Incontro tra i sindaci di Cassano e Treviglio
È essenziale la tangenziale sud a cura di Ezio Bordoni e Ivan Scelsa
Un nuovo e brevissimo tratto di strada tra via Redipuglia e l’Ospedale (vedi punti 4 e 5) risolverebbe buona parte dei problemi di viabilità che opprimono Treviglio trasformando così i nostri viali in percorsi pienamente vivibili
C
Foto di Enrico Appiani
assano chiude il suo ponte al traffico pesante, Vaprio e Rivolta lo limitano ad un solo senso. La soluzione del problema non è però la guerra dei ponti ma la realizzazione di una rete in grado di sostenere i flussi di traffico ed escluderli dai centri urbani. Nel caso di Cassano e Treviglio si era partiti bene... Era il 2002 quando da un accordo quadro con la Regione Lombardia nasceva il progetto per sostenere la viabilità delle aree di Cassano e Treviglio: progetti integrati che negli anni a seguire avrebbero portato alla realizzazione di un sistema di tangenziali (sud di Cassano ed ovest di Treviglio fino a Dalmine) il cui piano preliminare venne approvato dalla Regione e dalle Province di Milano e Bergamo. Mentre la parte milanese è proseguita con l’appalto dei lavori oggi in corso, quella bergamasca è rientrata in programmi più vasti e complessi (Interconnessione Pedemontana-Brebemi) e qui si è arenata. La Provincia di Bergamo ha fatto rientrare la sua voce di spesa pensando di scaricarla completamente su Brebemi, ma quest’ultima deve ora rivedere i propri conti che non le consentono ulteriori immediati investimenti. Risultato: la tangenziale di Cassano è in fase di ultimazione e si appresta a scaricare una nuova mole di traffico sulla SS11 che
6 - la nuova tribuna - Settembre 2015
attraverserà Treviglio in direzione Bergamo e Brescia, o verso i servizi che la stessa città offre al territorio: plesso scolastico, ospedale, stazione, fiera, zona industriale, ecc. A distanza di oltre 10 anni da quell’importante accordo interprovinciale vogliamo riprendere il discorso -purtroppo interrotto- interpellando Beppe Pezzoni e Roberto Maviglia, Sindaci dei due Comuni, sollecitati da alcuni rappresentanti del Comitato Città dell’Adda. Il problema della ricucitura del territorio tra i due Comuni non è mai stato strategico come in questo momento, così come quello della realizzazione delle infrastrutture necessarie per porre rimedio a questioni da tempo irrisolte o mai affrontate concretamente sul territorio trevigliese. E di questo “la nuova tribuna” ha voluto discuterne con i sindaci e “Città dell’Adda”. La tangenziale ovest di Treviglio e il suo prolungamento sino a Capriate con l’innesto in Pedemontana e fino a Bergamo è ormai una priorità per Treviglio su cui il Sindaco Pezzoni si è impegnato a tenere sollecitata la Provincia e l’Assessorato Regionale alle infrastrutture. La tangenziale sud è un’opera che deve essere riprogettata tenendo conto dello scenario del tutto rinnovato a sud di Treviglio. La sua importanza è vitale per togliere il traffico dai viali alberati e per servire da sud tutti i
Nell’istantanea da sinistra Beppe Pezzoni (Sindaco di Treviglio) Daniela Invernizzi (la tribuna), Ugo Monzio Compagnoni e Ezio Bordoni (Città dell’Adda), quindi Ivan Scelsa (la tribuna). Sopra la tavola elaborata da “la tribuna” in collaborazione con “Città dell’Adda” dove si evidenziano le infrastrutture viarie esistenti e -tatteggiatequelle da realizzare. Sotto a destra la tangenziale che scavalcherà l’Adda a sud di Cassano tra la Stazione Fs e la Centrale termoelettrica
servizi di importanza sovracomunale: Ospedale, PIP, scuole, Stazione, ecc. L’opera è impegnativa ma ha costi sopportabili, tenendo conto che il 70% del tracciato è già realizzato. Seguiamolo sul disegno. Si parte dalla rotonda (punto 1) che porta
1
Rotonda Rotonda frazione frazione Pezzoli Pezzoli AA nord nord si si collegherà collegherà alla alla A4 A4 ee alla alla Pedemontana, Pedemontana, aa sud sud porporta ta alla alla rotonda rotonda Brebemi. Brebemi.
2
Rotonda Rotonda Brebemi Brebemi AA sud sud si si collegherà collegherà alla alla RiRivoltana. voltana. Ad Ad est est si si innesta innesta al al vialone vialone del del Pip Pip 11
3
Rotonda Rotonda Pip Pip 11 per per casirate casirate Già Già oggi oggi consente consente aa chi chi proproviene viene da da sud sud di di scavalcare scavalcare Treviglio Treviglio per per arrivare arrivare aa CasCassano sano d’Adda d’Adda
a Cassano d’Adda (in direzione nord collegherà l’A4 e la Pedemontana), mentre verso sud conduce al casello Brebemi e alla rotonda d’accesso al viale che raggiunge il PIP 1 (punto 2), da lì prosegue fino alla rotonda che congiunge i due Pip a ridosso del Cavalcavia di via Lodi (punto 3), quindi alla zona SNAM e via Redipuglia (punto 4). Qui abbiamo ipotizzato la partenza della tangenziale per congiungere la rotonda della SS11 (punto 5), punto dal quale partirà il tratto di strada -già programmato- che arriverà al nuovo cavalcavia ferroviario in sostituzione dell’attuale.
4
Rotonda Rotonda per per calvenzano calvenzano Oggi Oggi bivio bivio di di via via Redipuglia Redipuglia per per Calvenzano. Calvanzano. Collegherà Collegherà la la tangenziale tangenziale sud sud alla alla SS11 SS11
5
Rotonda Rotonda ospedale ospedale Collegherà Collegherà la la tangenziale tangenziale sud sud all’Ospedale, all’Ospedale, la la SS11 SS11 ee Foro Foro Boario Boario
6
Rotonda Rotonda Padri Padri Bianchi Bianchi Collega Collega la la SS11 SS11 ee via via MeriMerisio, sio, prossimamente prossimamente la la brebretella tella che che porterà porterà al al nuovo nuovo cavalcavia cavalcavia FS FS
Sono programmi impegnativi, ma necessari per rendere più vivibili le nostre Città e non più costosi di altri interventi - assai meno necessari - che vediamo realizzati nei Comuni vicini. Bisogna riprendere la strada della concertazione tra le diverse Amministrazioni locali e Provinciali ed impegnare la Regione. Come ha affermato il Sindaco di Cassano «...bisogna far emergere idee dialogando su programmi comuni, progettando un masterplan che individui i soggetti interessati al piano di sviluppo ed ai possibili piani di finanziamento, anche sfruttando le oppor-
tunità provenienti dalla Comunità Europea». Analogo interesse ed auspicio vengono espressi dal sindaco Beppe Pezzoni. L’area che affaccia sull’Adda rappresenta una opportunità da non perdere, un’area che nella storia fu confine tra Ducato di Milano e Repubblica di Venezia, poi tra le Province di Milano e Bergamo, ma unita dalla medesima necessità di dialogo che potrebbe intensificarsi grazie alla soppressione delle Province. Perché non pensare ad un neonato collegio elettorale autonomo dalle vecchie Province che riunisca finalmente il territorio della Gera d’Adda?
Tangenziale Cassano d’Adda
Partirà Partirà dalla dalla rotonda rotonda per per Rivolta, Rivolta, prima prima del del sottosottopasso passo ferroviario, ferroviario, quindi quindi scavalcherà scavalcherà l’Adda l’Adda ee paspasserà serà aa nord nord della della staziostazione ne ferroviaria. ferroviaria. Poi Poi dalla dalla rotonda rotonda nei nei pressi pressi della della Centrale, Centrale, svolterà svolterà verso verso nord nord fino fino aa congiungersi congiungersi alla alla grande grande rotonda rotonda sulla sulla SS11, SS11, quella quella tra tra la la zona zona artigianale artigianale ee l’Agorà l’Agorà
Brebemi
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
7
Foto di Enrico Appiani
Foto di Enrico Appiani
Primo Piano/Treviglio e Cassano, progetti in comune
Nuovo parco, una stazione e un ponte a cura di Daniela Invernizzi
Incontro tra i sindaci di Cassano e Treviglio con Città dell’Adda per discutere dei collegamenti stradali e della riqualificazione dell’area tra la Brebemi e la frazione Pezzoli. Sorgerà un parco attorno alla grande cava appena realizzata
S
e l’arrivo della Brebemi e della Tav nel nostro territorio ha portato, da un lato, vantaggi in termini di collegamenti viari e di attrattiva economica per gli investitori, dall’altro ha segnato una profonda ferita sul volto di una vasta area, quella della Gera d’Adda, che oggi molti stentano a riconoscere. E se queste opere hanno il merito di avvicinare realtà importanti come Milano e Bergamo e non solo, hanno altresì interrotto alcune strade campestri, antichi collegamenti fra una cittadina e l’altra, creando una sorta di scollamento che rende invivibile e ostile il territorio stesso. Per parlare di alcuni di questi aspetti, che riguardano il futuro, in termini di sostenibilità e di valorizzazione, dei nostri luoghi, abbiamo riunito alcuni rappresentanti di Città dell’Adda (sodalizio da alcuni anni in prima linea su queste tematiche) e i sindaci di Treviglio e Cassano d’Adda, Giuseppe Pezzoni e Roberto Maviglia. In particolare si è parlato della necessaria ricucitura fra i due paesi, dopo il taglio inferto dalla Brebemi e dalla Tav, sia dal punto di vista della grandi opere viarie (vedi articolo di Ezio Bordoni e Ivan Scelsa), sia dal punto di vista della riqualificazione paesaggistica di tutta la Gera d’Adda. Perché proprio Cassano-Treviglio? Perché la nostra città può offrire a Cassano i suoi servizi (trasporti, scuole, ospedale, polo fie-
8 - la nuova tribuna - Settembre 2015
ristico); mentre l’interesse di Treviglio verso la cittadina milanese è soprattutto quello di poter godere delle qualità ambientali che essa offre, con il fiume, il castello, le sue piste ciclabili, insomma il parco dell’Adda, luogo per eccellenza del nostro (ma non solo nostro) tempo libero e delle attività ricreative e sportive. Il principale ostacolo alla ricucitura dell’area territoriale del Parco è via del bosco a Treviglio (quella che porta al parco del
Nell’istantanea da sinistra Ezio Bordoni (città dell’Adda), Ivan Scelsa (Tribuna), Roberto Maviglia (Sindaco Cassano d’Adda), Roberto Fabbrucci e Beppe Pezzoni (Sindaco di Treviglio). Sopra la cava di prestito realizzata dalla Brebemi e ora piantumata e restituita al comune di Cassano.
Roccolo), un tempo collegamento “per via campagna” con Casirate e Cassano e oggi interrotta dal passaggio della superstrada che porta alla Brebemi. Attualmente il ciclista che intraprende la via del Roccolo è costretto, in prossimità del laghetto Treviza, a tornare sulla statale per arrivare a Cassano, oppure a un tortuoso giro che porta in prossimità dei sottopassi della Brebemi e della Tav, girare a destra e proseguire fino alla zona della Cascina Pezzoli; da lì la stradina riporta verso la statale in località Taranta. Già due anni or sono, anche su proposta di “Città dell’Adda”, si era tentato di far realizzare a Brebemi un sovrappasso ciclabile in prossimità dell’interruzione di via del Bosco, ma per mancanza di risorse il manufatto non è stato realizzato. Oggi, ad autostrada terminata, lo strappo fra le due aree verdi di Treviglio e di Cassano appare in tutta la sua evidenza, e gli stessi due primi cittadini hanno ammesso che si tratta di un lavoro che va assolutamente realizzato. Come, con quali risorse e strumenti, è ancora tutto da vedere, ma sembra che almeno ci sia il riconoscimen-
L’interruzione di via del bosco di Roberto Fabbrucci
L
’incontro che abbiamo organizzato con il sindaci di Cassano d’Adda, Treviglio e con Città dell’Adda, ci ha permesso di verificare con mano i progressi dei rapporti tra le due amministrazioni. Infatti già nella primavera del 2012 il comitato aveva organizzato un incontro analogo sul futuro dell’area tra i due comuni. Più precisamente allora si cercò di capire se alcune delle ferite inferte dalle grandi opere avevano la possibilità di essere sanate, riqualificando un’area sfregiata per trasformar-
la in opportunità. In quella sede il sindaco di Cassano d’Adda prospettò l’ipotesi di chiedere alle ferrovie il trasferimento della stazione ferroviaria del
to del problema e la volontà politica di superarlo. Inoltre, nel territorio a sud di Cassano, proprio in prossimità della Cascina Pezzoli, Brebemi ha lasciato una cava di 240.000 mq che diventerà di proprietà del Comune; una ferita al territorio che però, sottolinea il sindaco Maviglia, può essere un’opportunità di sviluppo del Parco dell’Adda. La cava infatti diventerà un lago, probabilmente balneabile e circondato da piste ciclabili (che realizzerà Brebemi a breve, avendo da poco conclusa l’escavazione e la messa a dimora di nuove piante). Accantonando per un momento il problema (per il comune di Cassano) della gestione di un’area così importante, e della necessità di trovare investitori che abbiano voglia e risorse per realizzare qualcosa di bello e di attrattivo, è chiaro che superare lo “scoglio via del bosco” vuol dire per i trevigliesi (ma anche per i paesi limitrofi, già collegati a Treviglio da percorsi ciclabili) arrivare alla nuova area del lago di Cassano direttamente dalla strada del Roccolo, senza vedere un auto passare; e andare, senza soluzione di continuità, nell’area del parco Adda, con tutte le sue ciclabili, fino al traghetto di Leonardo, a Villa D’Adda, e persino, percorrendo la Martesana, fino allo storico Zelig di Milano, ed oltre! suo comune tra la Brebemi e la nuova grande cava vicino alla Pezzoli, quindi riqualificare la stessa cava di ghiaia creata per le necessità edilizie dell’autostrada. Il tutto agevolato dal fatto che la nuova tangenziale sull’Adda tra la Stazione Fs di Cassano e la Centrale Termoelettrica, avrebbe permesso un facile accesso a quella zona, oltre che ai comuni a sud-est del fiume. A distanza di tre anni la Brebemi è in funzione, la Tav lo sarà tra poco più di un anno, alcuni errori sono stati sanati e le trascuratezze del passato oggi sono pienamente evidenti. Così il compito delle attuali
Ma non è finita. Il comune di Cassano, con la stazione ferroviaria in perenne sofferenza data l’ubicazione attuale, vorrebbe chiederne lo spostamento in un’area, ancora da localizzare, ma vicina al “nuovo lago” in questione. In questo modo la nuova stazione intercetterebbe tutta l’utenza proveniente dall’area sud (da Mozzanica a Rivolta d’Adda), per la quale sarebbe più comodo raggiungere il treno, piuttosto che attraverso la vecchia stazione oltre l’Adda o quella di Treviglio. Inoltre, dal punto di vista dello sfruttamento dell’area per il tempo libero, sarebbe un’ulteriore attrattiva, per la comodità con cui i turisti provenienti da tutto il milanese (e non solo) potrebbero raggiungerci. Un sogno? Non tanto. Gli stessi sindaci, durante l’incontro, hanno ammesso che si può fare, nonostante le difficoltà. Che sono: il reperimento delle risorse in primis (e qui si apre tutto un capitolo sulla possibilità di usufruire dei fondi Europei: «Serve un’idea forte che sblocchi le risorse dall’Europa» dice il sindaco di Cassano, Roberto Maviglia); la capacità di spesa dei comuni coinvolti (nel caso di un progetto a largo raggio, che coinvolga più amministrazioni); la necessità di superare lo scoglio dell’appartenenza a due province diverse (e i cui enti, troppo spesso, sono sordi a qualsiasi richiesta di sinergie); i soggetti da coinvolgere (che non sempre rispondono repentinamente, vedi per esempio le Ferrovie dello Stato); lo strumento prescelto. Tutti ostacoli non facilissimi da superare, ma entrambi i sindaci si sono detti ottimisti e soprattutto interessati a provarci, almeno. «Con un accordo Treviglio-Cassano dimostreremmo a tutti che andare oltre il problema Provincia si può -dice il sindaco di Treviglio, Giuseppe Pezzoni- Già lo stiamo facendo a livello culturale, con Ecoismi (vedi box). Altri progetti, sempre in ambito culturale, stanno nascendo, a dimostrazione che la volontà politica di fare supera le differenze partitiche e territoriali». Ben vengano queste iniziative; anche se un accordo che finalmente restituisca alla gente le nostre campagne, le nostre vecchie stradine, anzi regali nuovi scorci al territorio, belli e da vivere appieno, sarebbe ancora più gradito. amministrazioni, che intervengono a cose fatte, è di ricucire un territorio strappato per la sciatteria di quanti non hanno saputo capire l’impatto epocale delle infrastrutture. Quindi mentre ritengo che ai due sindaci vada riconosciuta la capacità e la buona volontà nell’affrontare i problemi di un’area martoriata (prospettando l’idea di ricollegarla con un ponte, trasformarla in un’oasi naturalistica, di svago e di servizio), nel contempo non si può dimenticare di sottolineare, tra i tanti errori delle passate amministrazioni, la disattenzione e la pigrizia per non essere intervenuti con forza per salvare via del Bosco. Via interrotta e sostituita con una via di collegamento con la frazione Pezzoli e la SS11 (vedi foto), probabilmente più costosa di un semplice sottopasso.
Due parole su Ecoismi
E
coismi, evento internazionale di arte contemporanea nello spazio pubblico, è quest’anno alla sua quarta edizione. Nato a Cassano d’Adda, è cresciuto e diventato un grande evento diffuso in cinque comuni dell’area Martesana, come Cassina de’ Pecchi, Melzo, Pioltello e Treviglio, unico paese bergamasco. L’evento si propone di porre il territorio dell’Adda Martesana in dialogo con i linguaggi dell’arte e della creatività, con lo scopo di valorizzare le risorse locali e di favorire la promozione dei giovani artisti italiani e internazionali. Il filo conduttore dell’edizione ECOISMI 2015 è “L’uomo e le vie della natura”, che prende spunto da una serie di molteplici input, dalle tematiche dell’EXPO 2015, ai concetti Leonardeschi, passando per argomenti chiave come l’ambiente e la relazione con la specificità territoriale. La rassegna performativa “Habitat – Scenari possibili” completa Ecoismi con interventi che sono creati da artisti di differenti discipline – musica, danza, recitazione, light design, perfomance – che lavorano a stretto contatto con le opere d’arte realizzate. A Cassano d’Adda una giuria di esperti ha selezionato tramite bando i 12 progetti di giovani artisti under 35, provenienti da tutto il mondo, che hanno realizzato le loro opere nel Parco Naturale dell’isola Borromeo. A Treviglio, una sola opera in Largo Marinai d’Italia: un acer negundo centenario è stato circondato da una struttura che consente di “immergersi nell’albero”, poiché nel gioco di riflessi fra chioma e pavimento, oltre che tra le pareti verticali, si aprono scenari inediti di riflessione ed ascolto interiore. Tutto ciò grazie a Matteo Rota, l’artista casiratese che ha ideato questa installazione. Fino al 27 settembre. (d. i.)
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
9
Commenti/Un’area grande quanto l’Expo
L’interporto, ovvero la grande sceneggiata di Angelo Sghirlanzoni
«Nessuno si era accorto di questa necessità, come probabilmente nessuno pensa seriamente di fare questo benedetto interporto. Perché si tratta di fare un poco di “ammuina”, come dicono i napoletani, e guadagnare spazio sulla stampa»
L
e merci che dall’Europa del nord piovono sull’Italia trovano la Svizzera che fa da ombrello. La Svizzera, a ragione, non permette il libero transito dei TIR nel suo territorio. Quindi i camion devono essere messi sui treni per proseguire verso sud. Arrivati in Italia, dove gran parte dei trasporti avviene su gomma tramite i collegamenti autostradali, le merci devono di nuovo essere messe su camion per raggiungere le loro destinazioni. A ovest verso Genova, Novara, Torino o la Francia; a est verso Venezia, Trieste la Jugoslavia e viceversa. Gli interporti sono appunto le strutture in cui avviene questo passaggio treno-camion o camion-treno. Per questo un eventuale interporto, se necessario, dovrebbe essere collocato sulla linea Milano-Brescia-Venezia. La possibile costruzione di un interporto Caravaggio-Treviglio è stata prevista fin dal 2002 dalla Provincia di Bergamo (Presidente Valerio Bettoni), su una superficie di un milione e 65 mila metri quadri (800 mila per Caravaggio, 265 mila per Treviglio) nella zona tra Brebemi e la linea ferroviaria Milano-Venezia, tra la frazione di Vidalengo e Treviglio. Sono numeri mostruosi, per farci un’idea l’Expo copre un’area simile: 1.100.000 mq. Un milione di metri quadri corrisponde alla superficie di circa 80-90 campi di calcio. Piazza del Duomo a Milano ha una superficie di 17.000 metri. Piazza San Pietro a Roma è 23.000 metri quadrati. L’idea dell’interporto è rimasta poi in qualche modo latente per il grande pubblico. È stata di nuovo rispolverata in questi ultimi mesi da una delibera della giunta comunale di Caravaggio (11 giugno 2015) in cui si chiede alla Provincia che “…nel più breve tempo possibile siano avviate le procedure per attivare l’accordo di programma…”, ossia per realizzare l’interporto. Nella stessa delibera si specifica che è caduta l’ipotesi di allestire l’interporto a Montello (a est di Bergamo, subito dopo Seriate). Infatti, il 30 dicembre 2013 è stata sciolta la “Società promotrice” Sibem che prevedeva di investire in questo interporto un centinaio di milioni di euro, ma che è fallita mandando in fumo investimenti pubblici e privati per oltre 10 milioni. Ora si vorrebbe riaprire il capitolo per Caravaggio-Treviglio. Stupisce ma, in realtà, è il modo solito di procedere: non c’è un documen-
10 - la nuova tribuna - Settembre 2015
Facite ammuina
Fare rumore con l’obiettivo strumentale di ottenere un beneficio, «facimm ammuina così ci tocca qualcosa». È in questo senso che va letto questo detto napoletano, presente in una disposizione del Regolamento del 1841 della Marina Militare borbonica. «Marinai, “facite ammuina”, così facciamo credere che siamo attivi ed operosi!» to, nessuno studio, nessuna previsione delle quantità delle merci che dovrebbero passare dall’interporto per giustificare questa devastazione territoriale. Anzi, i detrattori della realizzazione dell’interporto a Caravaggio-Treviglio rilanciano sulla possibilità di una sede alternativa a Cortenuova, sui 500.000 metri quadri delle ex Acciaierie, il centro commerciale di 175 negozi, inaugurato nel 2005 e presto fallito. In questo caso si tratterebbe di un terreno ormai sottratto all’agricoltura; quindi i danni ambientali sarebbero perlomeno ridotti. Ma quali sono i documenti su cui si decide che 500.000 mq andrebbero meglio di un milione? Quali gli studi, le previsioni di scambio di merce, le prospettive e le dimostrazioni che indicano a che cosa serve davvero un nuovo interporto? Un documento dell’OTI Nord-Ovest (Osservatorio Territoriale Infrastrutture di Assolombarda – Unione industriali di Torino – Confindustria Genova), del dicembre 2014, riguardante gli “Interporti logistici del NordOvest”, specifica che la capacità complessiva dei terminal dell’area italiana di Nord-Ovest è superiore del 20% circa rispetto al livello della domanda. Per Milano-Smistamento è in corso uno studio di impatto ambientale per un progetto di potenziamento dello scalo per un’area di circa 400.000 metri quadri. Peraltro, specifica sempre lo stesso documento, che “…oggi, una adeguata programmazione infrastrutturale impone un approccio macro regionale a scala europea…”. Sia i sostenitori di Caravaggio-Treviglio, che quelli di Cortenuova trascurano anche il fatto che sulla linea Milano-Venezia, a meno
Sopra l’ex Presidente della Provincia Ettore Pirovano
di 20 km da Treviglio, è operante il terminal interportuale di Melzo, una struttura che dagli iniziali 160.000 è stata recentemente ampliata a 250.000 metri quadri. Il senatore Ettore Pirovano, già Presidente della provincia di Bergamo, rispondendo alle domande di Patrick Pozzi (L’Eco di Bergamo - 7 agosto 2015) pare non vedere l’antitesi tra questo documento e la realizzazione di due altri interporti perché l’attuazione di quello di Caravaggio: “…promuoverà sul territorio uno sviluppo tale da portare la formazione di… servizi satelliti, fra cui uno potrà sicuramente trovare spazio sull’area delle ex Acciaierie di Cortenuova…”. Molto semplice! Scacco matto alle politiche di programmazione e al risparmio di suolo. No? Non serve studiare i problemi e programmare gli interventi. Tanto si conta sempre sul fatto, vedi Brebemi, che gli eventuali profitti saranno privati e le perdite pubbliche. Del resto, all’inizio del 2012 il senatore Pirovano aveva proposto di costruire un nuovo ospedale che sostituisse quello di Treviglio. Nessuno si era accorto di questa necessità, come probabilmente nessuno pensa seriamente di fare questo benedetto interporto. Perché si tratta di fare un poco di “ammuina”, di guadagnare spazio sulla stampa. Alla peggio, dopo qualche manifestazione tipo: Convegni di Studio, Piani di fattibilità, Prove di compatibilità ambientale, Progetti di massima e, magari, Revisioni dei Progetti di massima e dell’Assetto urbanistico della zona; chissà, forse ci scapperà qualche Incarico pubblico o privato per studiare i Problemi collegati alla nuova realizzazione. Al minimo, ci sarà qualche invito dei Propugnatori della Nuova Opera e di coloro che sono contrari a Convegni organizzati nei vari Comuni della Bassa. In questo modo ci sarà modo di parlare di Sviluppo e Progresso; perlomeno fino alle nuove elezioni. Poi, come accade per il Ponte sullo Stretto di Messina, piano piano l’argomento cadrà, per esaurimento o perché sostituito da una nuova visione, ancora più nuova e originale. Oppure, dando tempo al tempo, si riparlerà di interporto.
Treviglio/Una legge disattesa fino al 2014 Lavoratori socialmente utili all’opera. sotto Juri Fabio Imeri, vicesindaco e assessore all’Ambiente, all’Agricoltura e allo Sport, dà l’esempio
Manodopera gratuita ma poco sfruttata di Carmen Taborelli
Nonostante lo strumento dei Lavori Socialmente Utili sia in vigore dal 1993, le amministrazioni comunali non l’hanno mai utilizzato. Invece dal 2014 sono sei lavoratori in mobilità che hanno pulito e spazzato le nostre strade
N
onostante lo strumento dei Lavori Socialmente Utili (LSU) sia in vigore dal 1993, il Comune di Treviglio lo sta utilizzando, per la prima volta, soltanto dallo scorso anno. Eppure la convenienza era ed è abbastanza evidente se si tiene conto che, immettendo negli organici personale aggiuntivo, anche se con carattere di temporaneità e senza vincoli contrattuali, si raggiungono due obiettivi: quello di valorizzare chi è rimasto senza lavoro ma che percepisce l’assegno di mobilità e l’opportunità di avvalersi, per uno o al massimo due semestri, di manodopera a costo zero, a supporto e a sostegno dei servizi comunali. Non sono ben note le ragioni per le quali le Amministrazioni succedutesi dal 1993 al 2011, guidate rispettivamente da Luigi Minuti (dal 1993 al 2001), da Giorgio Zordan (dal 2001 al 2006) e da Ariella Borghi (dal 2006 al 2011), non ricordino di aver fruito o non abbiano fruito di tale opportunità. È noto, invece, che l’attuale Giunta Municipale, il 2 luglio 2014, ha deciso di richiedere al Centro per l’Impiego (ex Ufficio di Collocamento) dieci lavoratori in mobilità, di cui due da impiegare presso la Direzione Servizi al Cittadino «per attività di manutenzioni ordinarie agli immobili adibiti ad asili nido comunali e per l’attività di supporto nell’ambito della raccolta delle domande
per la partecipazione al bando degli Alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica». I restanti otto da destinare alla Direzione Servizi Tecnici «per il controllo delle attività di spazzamento stradale, per il recupero di rifiuti abbandonati, nonché per il potenziamento operativo delle attività di pulizia delle vie
del centro storico e per le operazioni di spollonatura e di potatura di piccoli arbusti ed eliminazione dai marciapiedi della crescita spontanea di erba ed arbusti; per le attività di inserimento dei dati aggiornamento anagrafe degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ed aggiornamento degli inventari dei beni immobili comunali; per l’attività di riordino dell’archivio e per l’inserimento dei dati nel geoportale». Si tratta di mansioni abbastanza semplici, che non richiedono il possesso di titoli specifici; mansioni del resto previste dal Decreto Legislativo n. 468 dell’1 dicembre 1997, che vieta espressamente di affidare a questi lavoratori incarichi comportanti l’accesso a dati sensibili o riservati. La Commissione comunale, dopo aver sottoposto i dieci candidati segnalati dal Centro per l’Impiego al colloquio di valutazione, ha riconosciuto idonei a svolgere i servizi previsti soltanto sei lavoratori, obbligando così la Giunta Municipale a ridimensionare in parte il progetto inizialmente deliberato. «Delle dieci persone previste nella delibera n. 96 del 2 luglio 2014 ne sono state effettivamente impiegate sei - dichiara Juri Fabio Imeri, vice sindaco e assessore all’Ambiente, all’Agricoltura e allo Sport - di cui una presso il Nido Comunale con mansioni prevalenti di addetto alle pulizie, tre come operatori ecologici per lo spazzamento manuale delle strade e due presso l’Ufficio Patrimonio per attività amministrativa di tipo meramente esecutivo». E, fatto assai raro e singolare, degno per questo di essere citato, uno dei tre operatori ecologici, dopo aver concluso il semestre di lavoro obbligatorio, ha continuato volontariamente, per un breve periodo, a spazzare le nostre strade, a titolo gratuito. Il Vice sindaco ci tiene, infine, a precisare che la scelta di avvalersi dei lavoratori in mobilità ha in primo luogo una valenza sociale e di promozione di chi è rimasto senza lavoro, prima di avere una connotazione redditizia, che pure è presente: «È la risposta a una esigenza sociale e di dignità della persona, e poi di tipo economico, in quanto il Comune può avvalersi di prestazioni lavorative senza sostenere alcuna spesa», eccezion fatta della quota assicurativa contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). Anche lo strumento dei LSU ha però la sua debolezza. La maggiore criticità sta, infatti, nella difficoltà di reclutamento, perché le persone iscritte nelle liste dei Centri per l’Impiego spesso rinunciano o non sono idonee a svolgere le mansioni richieste dall’Ente pubblico. Nonostante ciò e per quanto riguarda il futuro, il Comune di Treviglio intende indire nuove selezioni perché, attraverso i LSU, viene data alle persone in mobilità l’occasione di rimettersi in gioco e di contribuire a migliorare la qualità dei servizi della comunità di appartenenza, compiendo una funzione sociale che aggiunge senso e dignità al lavoro, molte volte considerato soltanto come mero mezzo di sostentamento. Settembre 2015 - la nuova tribuna -
11
Lavori Socialmente Utili
Manodopera a costo zero di Carmen Taborelli
I lavoratori in mobilità impiegati nei Lavori Socialmente Utili nel 2014 in provincia di Bergamo sono stati 1.660, solo 139 nel trevigliese
Cos’è la mobilità?
S
Lo Stato offre, a determinate condizioni, un sostegno economico ai lavoratori licenziati e attiva i meccanismi necessari per favorirne la rioccupazione
L
a mobilità è uno degli strumenti previsti dalla legge (i cosiddetti ammortizzatori sociali) per rendere meno drammatiche le conseguenze della perdita del lavoro. A differenza della Cassa integrazione guadagni, infatti, la mobilità non è alternativa al licenziamento, ma lo presuppone. In particolare, con la procedura di mobilità lo Stato offre, a determinate condizioni, un sostegno economico ai lavoratori licenziati e attiva i meccanismi necessari per favorirne la rioccupazione. Essa, quindi, non consiste semplicemente in un aiuto economico, ma consente, in certi casi, il passaggio dei lavoratori licenziati da aziende in crisi ad altre che hanno bisogno di manodopera. La mobilità è finanziata dallo Stato con il concorso delle imprese. Per ogni lavoratore posto in mobilità, le imprese generalmente devono versare all’Inps un contributo calcolato in proporzione all’indennità mensile di mobilità spettante al lavoratore. La Riforma Fornero prevede una modifica della normativa: dal 2016, l’istituto della mobilità sarà sostituito dall’Assicurazione Sociale per l’Impiego (Aspi), che tenta di appianare tutte le distinzioni fra i vari livelli di tutela sul lavoro. (c. t.)
12 - la nuova tribuna - Settembre 2015
ono Lavori Socialmente Utili (LSU) tutte le attività che hanno per oggetto “la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva”, mediante l’utilizzo di impiegati e di operai in mobilità, ai quali l’INPS eroga mensilmente un’indennità, nonostante siano inattivi. Si tratta, in buona sostanza, di far lavorare persone che, rimaste senza occupazione per cause non attribuibili direttamente a loro (ad esempio, l’azienda ha cessato o trasformato l’attività, ha ridotto il numero dei dipendenti, ecc.), percepiscono la cosiddetta “indennità di mobilità” per bilanciare lo stato di disoccupazione. Se questi lavoratori si rifiutano di svolgere un servizio di pubblica utilità senza giustificazione plausibile, vengono sanzionati dall’INPS, che revoca immediatamente il trattamento economico in godimento e li cancella dalle liste di mobilità, fatto salvo il loro diritto di ricorrere contro il provvedimento di cancellazione. Chi può fruire dei LSU? Tutte le amministrazioni dello Stato, in particolare gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative, le aziende e le amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, le aziende e gli enti del Servizio Sanitario nazionale. L’utilizzo deve però essere limitato a un periodo massimo di sei mesi, prorogabili di altri sei, e per non meno di venti ore settimanali. L’ente, che intende avvalersi dei LSU, deve fare richiesta ai Centri per l’Impiego, eredi questi ultimi dei vecchi Uffici di Collocamento soppressi nel 1997, dei quali Treviglio vanta la primogenitura, avendone, nel gennaio 1907, anticipato ruolo e funzioni, grazie all’iniziativa della locale Società Maschile di Mutuo Soccorso. Secondo la disciplina in vigore, meglio regolamentata dal Decreto Legislativo 468/1997, alla domanda di avvalersi dei LSU, le Amministrazioni pubbliche sono tenute ad allegare una delibera espressamente adottata e un progetto contenente le notizie dettagliate relative all’ambito, alle qualifiche e alle mansioni da assegnare ai lavoratori.
Va precisato che l’impiego di questi lavoratori non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro con gli enti che li utilizzano e nemmeno comporta la sospensione degli stessi dalle liste di collocamento o di mobilità stilate dai Centri per l’Impiego, che, per quanto riguarda la Provincia di Bergamo, fanno capo al dr. Silvano Gherardi, dirigente del settore Istruzione, Formazione, Lavoro e Politiche sociali della Provincia di Bergamo. E, proprio nella nostra provincia, nel 2014, si è registrato un significativo incremento delle richieste da parte delle Amministrazioni pubbliche (perlopiù Comuni e Scuole) per avvalersi dei lavoratori in mobilità. «Abbiamo ricevuto n. 1.005 richieste per la copertura di n. 1.843 mansioni, che hanno dato luogo alla segnalazione a Comuni e Scuole di n. 3.373 candidati e l’assegnazione definitiva di 1.660 lavoratori, che hanno contribuito a garantire l’erogazione di servizi ed attività di pubblica utilità». A dirlo è Elisabetta Donati, che, oltre ad essere responsabile dei Centri per l’Impiego di Treviglio (con sede in viale Cavour 4) e di Romano di Lombardia (con sede in via Rinaldo Pigola 1), è coordinatrice dei restanti otto Centri provinciali, funzionanti ad Albino, Bergamo, Clusone, Grumello del Monte, Lovere, Ponte San Pietro, Trescore Balneario e Zogno. Sempre nel 2014, al Centro per l’Impiego di Treviglio, alla cui gestione collabora pure Immacolata Panza, sono pervenute n. 70 richieste per la copertura di 180 mansioni. Dei 409 candidati, che hanno sostenuto il colloquio di valutazione, soltanto 139 (pari al 34%) sono stati dichiarati idonei a svolgere i LSU.
Quando funzionava Gli albori dell’Ufficio di Collocamento, oggi Centro per l’Impiego. Nel 1907, la Società trevigliese di Mutuo Soccorso ne anticipò ruolo e funzione
I
n altri servizi pubblicati nei mesi scorsi da “la nuova tribuna”, mi è già capitato di citare la Società di Mutuo Soccorso (SMS), esaltandone la politica sociale e assistenziale svolta per novant’anni, dal maggio 1862 al dicembre 1952, a vantaggio dei propri soci e dell’intera comunità trevigliese. Pur rischiando di essere ripetitiva, aggiungo un ulteriore tassello alla storia della SMS che, nel gennaio 1907, anticipò ruolo e funzioni dell’Ufficio di Collocamento statale (oggi Centro per l’Impiego), che, a Treviglio, inizierà a operare soltanto ventitré anni dopo, nel giugno 1930. Alla benemerita associazione va, infatti, riconosciuta l’intelligenza di aver intuito, con apprezzabile lungimiranza, l’utilità e l’importanza di mettere in comunicazione domanda e offerta di lavoro, e di avere di conseguenza favorito quelle classi sociali che, per scarsa scolarità o per carenza di informazione, faticavano a inserirsi nel mercato del lavoro, che già allora iniziava a manifestarsi in tutta la sua complessità. Mutuando il modello avviato con successo dalla Società Umanitaria di Milano, la SMS organizzò così, nel proprio ufficio di via Carlo Carcano (oggi sede della Cassa Rurale),
un servizio per trovare lavoro a quanti cercavano una prima occupazione in Italia o all’estero, oppure erano alla ricerca di proposte migliorative o alternative. L’ufficio, al quale si accedeva gratuitamente, era in grado, il più delle volte, di dare immediatamente risposte alle domande di occupazione, attingendo all’elenco dei posti disponibili segnalati dai datori di lavoro, facenti anch’essi capo all’Ufficio di via Carcano. Nell’impossibilità di soddisfare localmente tutte le richieste di occupazione, la SMS cercava soluzioni collegandosi alla vasta rete di uffici analoghi, funzionanti nelle principali città del nord e del centro Italia. Inoltre, per divulgare maggiormente le opportunità disponibili, l’Ufficio pubblicava con periodicità settimanale, sul giornale locale “Il Campanile”, un Bollettino con l’elenco delle domande e delle offerte di occupazione e il compenso corrispondente. La prima uscita del Bollettino fu di questo tenore: «Si cercano 4 calzolai, 6 fabbri pro-
La Società Maschile di Mutuo Soccorso
B
enessere economico dei soci per mezzo della Previdenza e del Mutuo Soccorso: così si può sintetizzare la missione della Società Maschile di Mutuo Soccorso (SMS), che operò a Treviglio dal 1862 al 1952, anticipando le politiche sociali del Governo. Ben 274 furono i soci fondatori, perlopiù falegnami (n. 26), possidenti (n. 25), negozianti (n. 20), calzolai, sarti, osti, fabbri, muratori, regi impiegati, zoccolai, legatori di libri ecc. Il simbolo della SMS, due mani strettamente congiunte, fu scelto per indicare un’intesa, un accordo fraterno, solidale, forte. Tale simbolo diverrà, nel 1939, inviso al Partito Fascista, che ne ordinerà l’eliminazione perché “espressione di un mondo sorpassato”. Oltre alla tassa d’ingresso, i soci erano
tenuti a versare mensilmente una quota variabile a seconda della loro età. La Società, come contropartita, erogava sussidi giornalieri ai soci impotenti al lavoro per malattia temporanea, per cronicità e per vecchiaia. Li aiutava anche a sostenere spese straordinarie concedendo, a tassi molto agevolati, dei prestiti: i cosiddetti “Prestiti sull’Onore”. Nel 1871, battè moneta, emettendo i “Boni” da 50 cent. e da 1 lira. Per mettere a frutto il capitale sociale concesse mutui al Comune di Calvenzano per costruire l’asilo infantile e a quello di Treviglio per ampliare il cimitero. Nel
vetti per quadrature e serramenti (salario da 40 cent. l’ora), 2 bottai per la Svizzera, 6 orlatrici in calzature per Milano e provincia, 4 nichelatori in metallo per Milano e Svizzera, 1 intarsiatore in legno per la provincia di Milano. Si offrono: cuochi, camerieri, commessi e fattorini». La settimana successiva risultavano disponibili «Quattro posti per orlatrici in calzature per Milano, minatori per Galleria del Canton Ticino, scalpellini in pietra dura per la Francia, 5 fonditori in ghisa per la Valle Seriana, 6 ricamatrici trinaie per Milano, 4 orefici per Milano». Cercavano, invece, lavoro aiutanti meccanici aggiustatori, camerieri, cuochi e cappellai. Il servizio della SMS, nel giro di pochi mesi, si ampliò notevolmente, tanto che il Bollettino, pubblicato il 15.6.1907, presentava uno scenario più articolato delle offerte di lavoro: «20 cucitrici in biancheria fina per la Svizzera (salario da £.2 a £ 4 per le provette), 40 lattonieri per Milano (salario minimo cent. 35 l’ora), 60 manovali terrazzieri per la provincia di Milano, per la Svizzera e la Germania (salario minimo cent. 30 l’ora per Milano, cent. 38 per la Svizzera e cent. 41 per la Germania), 12 fabbri per Milano (salario minimo cent. 40 l’ora), 30 aiutanti calderai per Milano (salario da £. 2,50 a £. 3 al giorno), 30 donne o ragazze per uno stabilimento per la tagliatura dei diamanti e delle pietre dure nella Francia orientale (salario minimo £. 2,50 al giorno; massimo £.4; spese di viaggio pagate anticipatamente), orlatrici, calzolai, ramieri idraulici, domestiche, bambinaie». Quando ormai il servizio di “Cerca e trova” lavoro risultò essere ben conosciuto e largamente utilizzato, la SMS sospese, nell’estate 1908, la pubblicazione del Bollettino, che in ogni caso era consultabile presso l’ufficio di segreteria della Società stessa, dalle 9 alle 14 di ogni giorno. Carmen Taborelli 1880, fondò la versione femminile della Società, garantendo alle socie sussidi in caso di malattia, parto, invalidità e vecchiaia. Nel 1881, per calmierare il prezzo del pane, realizzò un forno per fare e distribuire il pane all’intera cittadinanza. Nello stesso anno aprì al pubblico la “Cucina Economica” per lo spaccio della minestra, cui aggiunse, in seguito, quello del brodo e della carne. S’impegnò anche sul fronte della salute dei bambini, promuovendo le colonie di Varazze e di Piazzatorre. Nel 1913, per celebrare il 50° di fondazione, istituì la scuola serale di disegno per i giovani. Operò instancabilmente fino al 1952, anno in cui concluse l’utilissima attività socio-assistenziale. La benefica istituzione rappresentò, nella sua autonomia, il carattere indipendente dei trevigliesi, e, nella sua amministrazione, lo spirito previdente e benefico degli stessi. c. t. Settembre 2015 - la nuova tribuna -
13
Primo Piano/Treviglio Libri
Treviglio Libri alla sua terza edizione di Daniela Invernizzi
La fortunata manifestazione ideata da una piccola casa editrice con sede a Treviglio, Zephiro Edizioni, che chiama a raccolta i piccoli editori da tutt’Italia, torna in una due giorni ricca di appuntamenti sotto i portici di via Matteotti
T
reviglio Libri si appresta a vivere la sua terza edizione con numeri di tutto rispetto e l’entusiasmo di sempre, confortato anche dal successo delle edizioni precedenti. Ventisette editori indipendenti, provenienti da ogni parte d’Italia, animeranno il 12 e 13 settembre i portici di via Matteotti. “Quest’anno abbiamo avuto una risposta molto positiva e il sostegno concreto dei commercianti di Treviglio e di alcune grandi aziende, come la Bonaldi- ci racconta Marialuisa Mastrantoni, responsabile dell’evento, curato dalla Zephiro Edizioni, piccola casa editrice con sede a Treviglio- Ciò ci conforta, perché vuol dire che abbiamo lavorato bene nelle edizioni precedenti”. Qualcosa, in effetti, si sta muovendo a Treviglio. Non è una “rinascita” dovuta a un miglioramento della situazione economica, che potrebbe pure esserci ma che non è ancora così palpabile: è la voglia di fare meglio che sta animando soprattutto i cittadini e i nostri commercianti, desiderosi di fare della nostra città un polo attrattivo sempre più allargato. Ecco dunque che una manifestazione culturale nata un po’ in sordina si appresta ora a diventare, ogni anno di più, il festival dei piccoli editori.
14 - la nuova tribuna - Settembre 2015
Sotto i portici di via Matteotti si potranno consultare e acquistare libri dei più svariati generi, ma soprattutto sarà possibile partecipare a numerosi “incontri con l’autore”. Fra questi spicca l’incontro con la giornalista Silvana Giacobini che al TNT, sabato 12 alle 17, presenta il suo ultimo libro “Questo sole ti proteggerà”. Moderatore Elio Massimino, presidente dell’associazione culturale Malala, che presenterà anche il libro di Claudia Reghenzi, domenica 13 alle 17, edito da Zephiro (vedi accanto). “Vorrei in questa sede ringraziare tutti coloro che hanno contribuito: il vivaio Finardi e Angolo Verde per gli allestimenti floreali, le pasticcerie Paolo Riva e Panarari per i buffet, che saranno offerti ai presenti in più occasioni, il sabato pomeriggio e la domenica mattina e pomeriggio” ci dice ancora la signora Mastrantoni. Tra le novità di quest’anno, la Pulce Curiosa, libreria creativa in piazza Garibaldi, proporrà all’interno del negozio una serie di presentazioni di libri per bambini e ragazzi, mentre la classe quinta della scuola di formazione falegnami di Treviglio si esibirà nella creazione di un manufatto di legno proprio sotto i portici. L’inaugurazione è sabato alle 17 alla presenza del sindaco di Treviglio Giuseppe Pezzoni.
Lo sguardo della Sciamana Scritto da Claudia Reghenzi per Zephiro Edizioni, è un libro avventura/fantasy e anche un pochino storico. Ambientato tra il New Mexico e l’Arizona, costituisce una metafora sullo sfruttamento di una zona desertica
G
enere avventura/fantasy (perché ambientato nel futuro), “Lo sguardo della sciamana” è anche un pochino storico, perché ci fa conoscere gli Anasazi, antica popolazione del New Mexico, scomparsa misteriosamente nel 1200. Pochissimo si sa di questo popolo, se non che fosse composto da agricoltori con una profonda conoscenza astronomica; ancora meno si sa della sua repentina scomparsa, probabilmente per una catastrofe naturale, dovuta all’eccessivo sfruttamento di una zona desertica e inospitale come il New Mexico e l’Arizona. In pratica sarebbero tutti morti di fame: la stranezza sta nel fatto che non ci sono discendenti, come se fossero scomparsi tutti insieme all’improvviso. Sulle orme di questa affascinante storia, l’autrice costruisce una teoria tutta sua, e lo fa partendo dal futuro, dal 2150, anno in cui si verifica un’altra catastrofe naturale che lascia solo un lembo di terra vivibile, ma governato da un dittatore, in una situazione di pace solo apparente. Attraverso lo sguardo della sciamana, figura misteriosa capace, andando in trance, di viaggiare nel tempo, il protagonista troverà la chiave per risolvere i problemi del suo
tempo grazie all’aiuto e ai segreti dell’antico popolo degli Anasazi. “La storia è la metafora dello sfruttamento della Natura da parte dell’uomo e delle sue conseguenze nefaste -ci racconta l’autrice- un tema a me caro perché sempre attuale. La lotta per il controllo delle risorse naturali è una lotta per il potere, che ha senso oggi come lo aveva nel passato e ancora di più lo avrà nel futuro, quando la popolazione mondiale sarà aumentata a dismisura e le risorse saranno sempre più scarse”. Claudia Reghenzi nasce a Brescia il 6 agosto 1954, si laurea in Scienze Politiche alla Statale di Milano. Scrive occasionalmente per riviste specialistiche e giornali di settore ma solo a cinquant’anni riesce a dar voce alla creatività con continuità e decisione pubblicando il suo primo romanzo. Alla scrittura unisce una grande passione per i viaggi che si rivelano sempre più come scoperta e le esperienze vissute si trasformano in ricchezza per la mente, per l’anima e nutrimento per la sua opera. Con la Zephyro ha pubblicato Il ponte su due mondi nel 2006 per il quale vince il premio Loredana Cappellazzo al “Concorso Letterario Internazionale Locanda del Doge” Rovigo 2013; Giallo all’ombra del vescovado nel 2009, Opera III classificata al Premio Letterario Nazionale “Autrice dell’Estate” I Edizione 2009 Livorno; La sincronicità come manifestazione angelica, contributo al saggio Angelicamente nel 2010; Un anno con Don Giovanni nel 2012 e Lo sguardo della sciamana nel 2015. (d. i.)
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
15
Dossier/Writers a Treviglio
Graffiti: arte, degrado e senso della legalità di Daniela Regonesi
Viaggio attraverso atteggiamenti antitetici e paralleli all’interno del mondo del writing: arte o reato, bellezza o deturpazione? Uno sguardo sul mondo giovanile spesso inconsapevole di commettere reati penali
D
alla rete: «Sono tre anni che graffito, l’unico consiglio che ti posso dare è quello di trovarti un nome che ti rappresenti, che dica quello che sei, perché quel nome rimarrà per sempre! Poi una volta trovato il nome comincia a fare le prime tag, prova a inventare e/o modificare stili già esistenti per crearne altri! Ma soprattutto: 1) non taggare mai su un pezzo di un altro; 2) non imbrattare muri con cavolate: il writing è una forma d’arte...», così scrive Viziomortale su Yahoo Answers! (sito internet, appendice del famoso motore di ricerca, il cui motto è “Fai una domanda, di solito la risposta ti verrà fornita in pochi minuti!”) a Matteo, neofita dei graffiti e desideroso di trovarsi un nome d’arte adatto. Sullo stesso portale Seco, della SG crew, invece, è alla ricerca quasi disperata di negozi dove acquistare le bombolette a Milano; in suo aiuto interviene Zen, della Hng, consigliandogli dettagliatamente a chi rivolgersi e, anzi, invitandolo a «beccarsi in giro per fare un pezzo». A far da controcanto interviene “Massimo 2mila2”, chiedendo ironicamente: «Ma se invece io venissi a casa vostra? Potrei farvi un bel disegnino sul muro del soggiorno! Oppure lasciarvi la mia firma sulla portiera della macchina! Sapete, sono molto artistico nelle mie creazioni, io mi esprimo così e se qualcuno
16 - la nuova tribuna - Settembre 2015
non gradisce gli dico che è retrogrado. Non importa che gli imbratto le sue cose! Che sarà mai!». Cosa si sente rispondere l’ultimo intervenuto? Di essere “un babbo”, cioè un vecchio, perché la loro è arte... Viaggia su questi due atteggiamenti antitetici e paralleli il giudizio sul mondo del writing: arte o reato, bellezza o deturpazione e, sebbene Treviglio sia una realtà in scala minore rispetto a Milano, anche qui nella Bassa alcuni episodi hanno creato particolare allarme, sono stati vissuti come deturpazione della città. Si tratta di un fenomeno che incide sulla sicurezza perché strettamente connesso alla
percezione di un luogo come sicuro o meno: un treno pulito e con l’aria condizionata che funziona dà una certa sensazione, mentre una carrozza sporca e con le scritte dà l’idea che non ci siano regole, e ciò rende più difficile il compito dei capitreno di mantenere ordine e sicurezza; allo stesso modo una zona invasa dai graffiti è percepita come meno sicura. Per quanto attiene la sicurezza, mi spiega il segretario generale regionale del Sindacato Lavoratori di Polizia CGIL Daniele Bena, si può operare su tre ambiti: la denuncia e la querela sporte dai proprietari, il cogliere in flagrante i colpevoli da parte delle forze dell’ordine, e l’educazione, perché si tratta sempre di opere di ragazzi. I margini di intervento delle forze di polizia si differenziano a seconda che sia danneggiato un muro privato o un edificio pubblico; nel primo caso è indispensabile la denuncia da parte del proprietario e, comunque sia, è fondamentale la tempestività con cui si chiamano le forze dell’ordine qualora si osservi un writer all’opera: più si aspetta e più è difficile intervenire. Perché ciò che Viziomortale, Matteo, Zen e Seco non hanno chiaro è che quando esprimono la loro arte stanno commettendo un reato. Ma chi sono i writers? Ci si potrebbe immaginare giovani sbandati o che abbiano necessità di dare forma e colore al proprio disagio sui muri, ma in realtà, sebbene tra le scritte ci siano anche quelle politiche e di protesta, in generale nei graffitari e/o nelle
Foto di Enrico Appiani
Foto di Enrico Appiani
L’origine del fenomeno
loro famiglie non si riscontrano particolari disagi, anzi, spesso di problemi non ce ne sono proprio. Si scrive sui muri innanzitutto per mettere in atto una sorta di sfida, in secondo luogo è considerato un modo per lasciare la propria firma (detta in gergo tecnico tag), per mettersi in evidenza rispetto agli altri writers, e infine si ignorano i diritti dei danneggiati. Anche chi è colto con le mani sulla bomboletta, mi fa capire Bena, non tradisce il proprio mondo chiuso, la cosiddetta crew: i denunciati difficilmente collaborano, pertanto l’identificazione non è semplice. È certamente anche un problema educativo, laddove gli stessi genitori danno l’impressione alle forze dell’ordine di considerare tali denunce una cosa minore e, spesso, solo il dover metter mano al portafogli per far fronte ad una richiesta di risarcimento danni riesce a risvegliare le coscienze sopite di chi considera bravate, ragazzate e comportamenti giustificati, anche consumare stupefacenti o andare in giro con un coltellino. Il sostituto commissario afferma che è il sintomo che i livelli di guardia dei genitori sono colpevolmente abbassati: il loro primo approccio è la difesa dei figli, manca un adeguato ruolo educativo dei genitori. Nel caso dei writers, poi, si tratta anche di una questione di rispetto della proprietà, ossia i beni degli altri e la fatica fatta per ottenerli. La lotta al degrado urbano, comunque, resta materia del comune: lo Stato dovrebbe garantire sì pattuglie per gli interventi, ma
spetta all’amministrazione locale intervenire per risanare ambienti non idonei, cancellare le scritte e dare disponibilità di spazi ad hoc per i graffiti. Perché, ferma restando la distinzione tra espressioni artistiche, che quindi meriterebbero spazi dedicati, e meri atti di vandalismo, non mancano, in Italia e nel mondo, esempi positivi di valorizzazione dei murales come forma d’arte: a Bergamo, sotto il cavalcavia di Boccaleone, l’area del parcheggio inutilizzato versava da anni in condizioni di estremo degrado, ma nel luglio dello scorso anno l’iniziativa “Boccaleone Open Space” ha dato spazio alla creatività e all’arte con diverse iniziative tra le quali la realizzazione, in tempo reale, di un murales a più mani; l’evento ha riscosso talmente successo che è stato riproposto nel luglio scorso. A Lisbona, invece, un’associazione noprofit ha addirittura insegnato la street art ad un centinaio di pensionati, affinché colorassero i quartieri più trascurati della città. Ovviamente si tratta di una richiesta che non può essere mossa ad un privato, ma fa riflettere il fatto che nello scorso mese di giugno il comune di Milano ha destinato ai writers cento muri da istoriare, affinché le loro opere contribuiscano a valorizzare la città. Quindi il degrado non va accettato, e ognuno deve fare la propria parte, sia il privato danneggiato o testimone di un reato, sia il comune che lasci spazio all’arte di strada. Forse semplicemente la verità sta nel mezzo: ma come far intersecare due linee parallele?
Keith Haring, e l’arte pop
N
ew York - «Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi. L’arte è per tutti, e questo è il fine a cui voglio lavorare»: ecco la prima facciata del biglietto da visita con cui si presenta lo statunitense Keith Haring, classe 1958; l’altro lato è necessariamente occupato da una delle sue iconiche immagini di omini stilizzati in movimento, talmente famose in tutto il mondo da essere familiari anche a chi non sa niente di lui, il writer divenuto con l’amico Andy Warhol simbolo della cultura e dell’arte pop degli anni ‘80. Haring a diciannove anni si trasferisce a New York per studiare alla School of Visual Arts, inizia a realizzare graffiti, soprattutto nelle stazioni della metropolitana, e la popolarità della sua arte esplode: i suoi lavori, rappresentativi della cultura di strada della Grande Mela di quei decenni, sono talmente apprezzati da venire spesso rubati dalla loro collocazione originaria e venduti ai musei, nonostante l’artista venga più volte arrestato per la sua attività illegale di graffitaro. Da metà degli anni Ottanta per Haring inizia il riconoscimento a livello internazionale, con opere realizzate sia nel Nuovo che nel Vecchio Mondo (anche sul muro di Berlino è presente un suo murales nei pressi della Porta di Brandeburgo), nonché in Australia. A SoHo - Lower Manhattan - Haring apre un negozio per vendere magliette, poster e altri gadget con le riproduzioni delle sue opere d’arte, e persino Swatch gli commissiona alcuni modelli di orologio: l’idea del writer è quella di rendere i suoi disegni accessibili a tutti. Muore nel febbraio nel 1990, ma la Keith Haring Foundation, da lui creata per supportare le organizzazioni a favore dei bambini e della lotta contro l’AIDS, continua a raccogliere fondi e risorse a favore dell’assistenza alle persone affette dal suo stesso virus, quello dell’HIV. (d. r.)
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
17
Dossier/Treviglio e il decoro urbano
Gli imbrattatori sono sempre molto giovani di Daniela Regonesi
PITTURE DECORATIVE RIFINITURE D’INTERNI
L’aumento delle dimensioni della città e della sua importanza nel territorio implica difficoltà nel controllarla. Sentiamo il punto di vista della Polizia Locale attraverso le parole del suo dirigente dottor Antonio Nocera
P di Lazzarini Luigi & C. s.a.s. Via Milano 69/D 24047 TREVIGLIO (BG) Tel. e fax 0363 419406 Cell. 3356259152 email: 2llazzarinisas@libero.it
18 - la nuova tribuna - Settembre 2015
oiché il mantenimento del decoro urbano è materia di intervento e sorveglianza da parte dell’amministrazione comunale, incontro il dottor Antonio Nocera, dirigente della Polizia Locale di Treviglio, per sapere da chi ne ha il polso come sia la situazione writers a Treviglio e nel circondario. Il capo della polizia locale mi racconta come Treviglio stia diventando sempre più una città: ha dimensioni non trascurabili, non è né piccola né grandissima, ed è punto di riferimento della Bassa bergamasca (comprendendo il bacino di Cassano d’Adda ed escludendo l’area di Romano di Lombardia), ossia di un territorio vasto. Ciò fa sì che, se da un lato vi è l’aspetto positivo dato dalla presenza di un maggior numero di servizi, d’altro canto si registrano problematiche di tipo cittadino, tra le quali la riduzione del controllo sociale, a differenza del piccolo paesino dove invece “si sa subito cosa è successo e chi è stato”. Pertanto i fenomeni vanno gestiti nell’ottica della città e, tra questi, anche quello dei graffiti. È una realtà che coinvolge ragazzi sia di Treviglio che di fuori, ma che gravitano sulla cittadina per la scuola, il divertimento, l’incontro degli amici, le attività ludiche e sportive, i locali, il cinema, ecc. Tuttavia, prosegue Nocera, «il fenomeno writers in Treviglio non è, a percezione nostra, molto accentuato. Il problema è che il graffito, una volta fatto, se non viene ripulito, resta lì: ce ne sono alcuni presenti da anni e anni, pertanto la percezione dei muri sporchi aumenta la sensazione del fenomeno, facendolo sembrare più accentuato di quanto in realtà non sia». Il dirigente della polizia locale mi spiega che si tratta di un’espressione prettamente legata agli ambiti giovanili: «difficile trovare writers con più di vent’anni, sono ragazzi con famiglie normali, non sono delinquenti, “marcano” il territorio con i loro graffiti. Ciò non significa che i danni che fanno vadano sottovalutati, come invece fanno alcuni genitori. Ad esempio ci è capitato di convocare quelli di una ragazza colta sul fatto grazie ai filmati delle telecamere: sono arrivati presso il comando molto preoccupati, ma si sono sentiti sollevati quando hanno scoperto di cosa si trattasse e hanno escla-
mato “meno male, pensavamo peggio!”. Ma se uno immagina di avere la propria casa imbrattata... Il fenomeno va condannato in maniera corretta: crea danni, è un reato». Prosegue quindi chiarendomi che si può combattere in due modi, con un’azione prettamente repressiva e con una corretta gestio-
Non tutti sanno che le bombolette...
N
on tutti sanno che dall’8 agosto 2009 è vietato vendere bombolette spray non biodegradabili ai minori. La norma è contenuta nell’art. 3 comma 4 della legge 15 luglio 2009 n. 94 in materia di sicurezza pubblica. Le categorie maggiormente interessate sono i colorifici, le ferramenta e tutta la grande distribuzione. Chi viene colto nell’atto di vendere le suddette bombolette ai minori di 18 anni è punito con sanzione amministrativa fino a 1.000 euro. Non sappiamo quanto questa legge (peraltro sconosciuta ai più) abbia avuto reale applicazione, sia per la facilità nell’aggirarla (mando l’amico diciottenne a comprarla), sia perché non risolve affatto il problema, dato che il popolo dei writers supera in larga misura la fatidica età. Da una
ne. Per quanto riguarda la parte repressiva essa fa capo ai reati di danneggiamento e imbrattamento di edifici pubblici o privati. Se i colpevoli hanno un’età superiore ai diciotto anni sono rimessi al giudizio del tribunale ordinario, se sono minorenni sono deferiti a quello dei minori, affidati ai servizi sociali per un percorso di rieducazione che, se compiuto con impegno e serietà, sfocia nel perdono giudiziale. La denuncia è obbligatoria, e dà seguito alla perquisizione nelle case e all’uso dei filmati delle telecamere sia pubbliche -segnalate per obbligo di leggeche private. In questo senso, asserisce con convinzione Nocera, la collaborazione e la vigilanza dei cittadini dovrebbero crescere: «non si chiede al privato di intervenire direttamente, basta fare un colpo di telefono in centrale. Può anche essere utile, per una volta, entrare in un’ottica egoistica, pensando “se io vedo che viene compiuto un reato e denuncio, un domani l’altro tutelerà me”. Non bisogna avere paura, la paura dà a chi delinque più potere, basta una telefonata». Per quanto riguarda la gestione, prosegue,
rapida ricerca in Internet abbiamo trovato un solo fatto di cronaca, che risale al febbraio di quest’anno, che riguarda un commerciante del centro storico di Firenze, beccato dai vigili a vendere 12 bombolette spray a due quattordicenni. No comment invece su politici e giornalisti che, sempre sul web, invocano da vari siti il divieto di vendita per i minorenni ancora nel 2013, quando la legge era entrata in vigore ben quattro anni prima. Ma questo è un altro discorso. Daniele Invernizzi
è invece necessario riconoscere le esigenze dei ragazzi, incanalare il fenomeno in modo regolamentato, trovare dei muri sui quali possano esprimersi. Può essere una modalità operativa valida, fermo restando che, se non autorizzati, creano un danno che va sanzionato. Chiedo quindi al mio interlocutore, in base alla sua esperienza, chi siano i writers e quali motivazioni si celino dietro alle loro opere: questi mi risponde che il profilo del graffitaro non rimanda ad un particolare disagio: «abbiamo denunciato figli di operai, di commercianti e di professionisti». I writers agiscono in gruppo e vogliono rendersi visibili sia come singoli che come “banda”, per questo usano le “tag”, le loro firme, per darsi visibilità con i passanti, e postano le immagini delle loro opere sui social network: per uscire dall’anonimato e non essere semplicemente un numero tra tanti. Non scrivono per lasciare messaggi particolari, non è una forma di protesta, sono incensurati e sia maschi che femmine, sebbene quest’ultime fungano soprattutto da appoggio o “palo”. Sicuramente sottovalutano molto il reato, non lo considerano un diritto ma nemmeno lo ritengono grave. «È di qualche anno fa l’esempio positivo di un gruppo numeroso di writers che, una volta ottenuto il perdono giudiziale, ha proposto di tenere una serie di incontri nelle scuole medie per formare ed informare gli altri ragazzi, affinché capissero che legalità non è solo rispettare alcune norme, ma anche il prossimo. Potessero tornare indietro non rifarebbero ciò che hanno fatto. Hanno imparato anche a dare più valore alle cose, loro e altrui» (vedi pag. 24). Mi chiedo allora se da parte del Pubblico sia possibile, in qualche modo, prevenire l’imbrattamento, ad esempio con trattamenti specifici delle superfici degli edifici, ma il capo della polizia locale ribatte che sia le vernici protettive che la pulizia hanno alti costi, tant’è che i casi riscontrati in cui i privati siano intervenuti autonomamente per ripulire il danno subìto sono rarissimi. In tema di prevenzione, per così dire economica, è invece fondamentale il ruolo dei genitori, che non possono delegare ad altri enti o alle istituzioni il controllo che spetta loro: «se mio figlio porta a casa delle bombolette devo farmi venire il dubbio che le possa utilizzare in modo scorretto! Padri e madri devono mantenere la loro funzione educativa, incanalare la vena artistica dei propri figli in una crescita culturale e sicura. Il nostro corpo e gli altri enti possono esercitare solo una funzione repressiva, siamo obbligati alla denuncia». Per concludere, in tema di percezione del degrado chiedo se un muro con dei graffiti in qualche modo legittimi altri writers ad apporre la propria tag, ma Nocera mi assicura che non c’è spirito di emulazione, semplicemente certe aree sono più utilizzate perché è più facile operarvi (ad esempio sotto un cavalcavia), ma per distinguersi ogni gruppo sceglie un posto diverso dagli altri. In tema di percezione della sicurezza, invece, mi conferma che «un muro con dei graffiti aumenta il senso di insicurezza».
L’esempio del comune di Varese Obbligo di ripulitura dei muri imbrattati da parte dei proprietari
U
n’interessante indagine, a cura della Polizia Locale, sul mondo del graffitismo, si è da poco conclusa a Varese. «L’indagine si è resa necessaria alla luce del recente regolamento sul decoro, che prevede l’obbligo di ripulitura dei muri imbrattati da parte dei proprietari» ricorda l’assessore Carlo Piatti. «Per questo motivo ci è sembrato giusto potenziare al massimo i controlli per prevenire gli imbrattamenti e individuare gli autori dei più presenti tag sul territorio». Si tratta di una delle più grandi indagini sul mondo del graffitismo in tutta Italia, svoltasi con la collaborazione del nucleo antiwriters della polizia locale di Milano. I numeri sono di tutto rispetto: 33 soggetti indagati (età massima 25 anni) di cui cinque minorenni, 150 tags individuate, oltre 5.000 graffiti catalogati, 10 crews (bande) individuate. Le indagini sono state svolte con i sistemi comunali di videosorveglianza e attraverso il controllo dei principali social network. (d. i.) Sopra l’assessore Carlo Piatti con il commissario Matteo Ferrario. Sotto Polizia Locale all’opera
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
19
Dossier/L’arte che devasta
Trenord: danni per un milione di euro di Ivan Scelsa
I danneggiamenti colpiscono pesantemente anche il sistema ferroviario, ne parliamo con il dott. Andrea Galletta, Responsabile Funzione Security di Trenord e ciò che emerge dai dati ufficiali è tutt’altro che scontato
A
ffrontare il fenomeno dei danneggiamenti perpetrati a danno di Enti o strutture di pubblica utilità,è argomento complesso e da sviscerare con molta attenzione. Per farlo abbiamo incontrato il Responsabile della Security di Trenord, il Dott. Andrea Galletta, al quale abbiamo posto domande mirate a capire di più su questo “mondo” in parte sommerso. Dottor Galletta, qual è la zona più colpita dal fenomeno writers in Lombardia, e in questo contesto l’area di Treviglio come si colloca? «Non vi sono zone particolarmente ascrivibili al fenomeno writers. Purtroppo sui treni, così come sugli altri mezzi di trasporto e in particolare la Metropolitana Milanese, le azioni di questi “artisti” sono variegate, discontinue e disomogenee. Da un esame, talvolta quotidiano degli eventi, abbiamo certamente aree più colpite rispetto ad altre. Tra queste vi sono Treviglio, Voghera, Varese, Cremona, Sondrio e Tirano, Lecco, Saronno. Queste quelle maggiormente colpite, nel senso che in rapporto al numero di treni che vi sostano sono certamente luoghi ove i danneggiamenti in questo ultimo anno sono stati più frequenti». Qual è l’incidenza, in termini di costi, dei danneggiamenti ai treni e alle strutture di Trenord? Quanto costa ripulire una
20 - la nuova tribuna - Settembre 2015
motrice o un vagone imbrattati? «I costi per il ripristino delle carrozze graffitate per l’anno 2014 ammontano alla considerevole cifra di circa 1 milione di Euro. Recentemente sono state anche prese in esame modalità tecniche d’intervento grazie all’impiego di prodotti di nuova generazione che consentono una più celere azione di “pulizia” e conseguente salvaguardia delle componenti strutturali delle vetture». Come contrastate il fenomeno? Avete una mappatura che possa aiutare a prevenire i danneggiamenti? «L’imprevedibilità delle azioni non consente un agevole contrasto del fenomeno, né per comprensibili ragioni di spesa è ipotizzabile una vigilanza costante e continua di tutte le sedi ferroviarie, soprattutto quelle che per vastità d’area o ubicazione sono facilmente accessibili. Si tenta di contrasta-
re il fenomeno con mirate azioni ispettive e di vigilanza nelle aree di stazione e siti ove sostano i vagoni ferroviari. Viene inoltre mantenuto un costante aggiornamento sulle località ove dette azioni avvengono». Il rapporto con le Forze dell’Ordine? C’è sinergia di intenti nel contrastare il fenomeno? «Il rapporto tra Trenord e la componente Istituzionale, con particolare riferimento agli Organi di Polizia, è assolutamente qualificato, sinergico e improntato a quotidiana e fattiva collaborazione. Trenord esercita suddette relazioni attraverso la propria struttura di “Security” che, oltre a svolgere anche adeguata attività infooperativa, gestisce nel loro complesso le attività di vigilanza eseguite da Società esterne. Il tema dei writers è costantemente posto in evidenza con dedicata attenzione sia con operatori preposti che con gli Organi di Polizia». Chi sono i writers? Come si muovono? «Definire i writers è abbastanza arduo, nel senso che per lo più si tratta di persone prevalentemente giovani, con una grande volontà di affermare, attraverso i disegni e scritte di vario genere, il proprio ego. Molti di loro esprimono queste peculiarità artistiche sui muri e fra di essi a volte si trovano soggetti che non hanno volontà negative, cioè non improntano la loro azione al danneggiamento bensì al raccontare agli altri la loro “bravura pittorica” nelle varie forme.
Dossier/Polizia e controllo del territorio
A sinistra il dott. Andrea Galletta, sopra un sottopasso ferroviario a Treviglio (Foto di Enrico Appiani). Sotto pensilina stazione Morengo (Foto di Ivan Scelsa)
Diversamente, coloro che agiscono sui treni e sui mezzi di trasporto in generale sono ben coscienti di porre in essere un vero e proprio atto vandalico. Prova ne è lo spregio di alcuni “dipinti” che non solo non hanno alcun “retrogusto artistico” ma sono pervicacemente alla ricerca del treno nuovo, pulito, efficiente su cui riversare sconnesse macchie di colore o incomprensibili intrecci grafici che, anche all’occhio più benevolo, è difficile accomunare a qualcosa di “artistico”. I writers non hanno una stanzialità e sovente si incontrano senza preventive pianificazioni e con immediata diretta comunicazione». Alle parole del dott. Galletta fanno eco i dati statistici forniti dalla stessa Trenord e che riepilogano, per diversa tipologia di reato, l’andamento dell’anno 2014 e dei primi cinque mesi dell’anno corrente. Attenzione: i dati forniti si riferiscono alla sola area di Treviglio. Il fatto è particolarmente grave se, al fenomeno “graffiti” (prima tipologia di “reato” per numero di episodi scoperti) si sommano anche gli altri atti vandalici e le rotture vetri che portano il computo dei danneggiamenti ad essere il doppio rispetto ai reati di tipo predatorio per i quali è da fare un discorso a parte che, per il momento, non prenderemo in considerazione.
Con il degrado arriva la malavita organizzata
Paolo Parise, Responsabile Provinciale per la Sicurezza di Forza Italia, ex responsabile delle Volanti di Treviglio, sollecita un rafforzamento e un miglior uso delle forze di Polizia in città, soprattutto nell’area della Stazione Fs
P
aolo Parise, pensionato della Polizia di Stato e oggi responsabile provinciale per la sicurezza di Forza Italia, conosce bene Treviglio, dove ha lavorato per anni come responsabile delle volanti del Commissariato. Una sua visita a Treviglio è l’occasione per una breve intervista sul tema della sicurezza e sul rapporto tra qualità ambientale e malavita. Introduciamo la chiacchierata ricordando l’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani che applicò la Tolleranza Zero nei confronti delle trasgressioni minori, dal mancato pagamento del biglietto della metropolitana, ai graffiti, producendo un’immediata contrazione del numero di crimini, anche gravi. «I muri imbrattati, la possibilità di non pagare il biglietto del treno o della metro, i vetri rotti negli stabili, sono il segnale di un territorio non controllato, quindi favorevole alla piccola e grande criminalità - spiega Parise - da ciò la necessità di combattere questi fenomeni senza indugio. Più la città è sporca e trascurata, più la sicurezza è a rischio». Le forze dell’ordine non sembrano sempre in grado di combattere questi fenomeni... «Non c’è abbastanza personale da garantire una presenza costante, si dovrebbe rafforzare con almeno venti unità. Poi si dovrebbe aumentare sensibilmente la Polfer, infatti la gran parte dei reati si com-
piono sull’area della Stazione Ferroviaria e dei convogli: borseggi, furti di biciclette, scippi, spaccio, violenze. Con il personale attuale, attorno ai nove addetti, e considerando i tre turni, le ferie e le malattie, il controllo è ben oltre l’insufficienza». Mi sta dicendo che c’è anche la necessità di razionalizzare meglio l’uso del personale? «È una domanda da porsi, ma non tanto e solo a Treviglio, ma in termini generali. Certo, rafforzare la presenza della polizia, ma anche distribuirla meglio; per esempio, la Polizia Provinciale, ora che la Provincia ha perso funzione, quale impegni ha, dove viene impiegata? Forse un’analisi più approfondita delle risorse umane disponibili aiuterebbe». Roberto Fabbrucci Settembre 2015 - la nuova tribuna -
21
Foto di Enrico Appiani
Dossier/L’analisi del detective
Catalogare i segni, identificare i vandali di Cristina Signorelli
Francesco Finanzon, investigatore e autore di libri legati alla sua professione, ha studiato a lungo i writers nell’area metropolitana milanese, al fine di catalogare i segni e determinare i gruppi di appartenenza dei vandali
I
muri delle nostre case sono oggi sempre più spesso gli inconsapevoli testimoni di una tradizione di sfregio e disprezzo che ha origini lontane e viene riproposta anche nelle nostre città da quelli che sono, idealmente, i figli e i nipoti dei primi graffitari in azione a partire dagli anni Settanta a Filadelfia e poi a New York. Giovani e giovanissimi dei sobborghi più poveri che, attraverso un’espressione visiva, per taluni quasi artistica, cercavano una forte autoaffermazione personale in rottura con le regole e disattendendo spesso le leggi. I writers di allora svilupparono ben presto la necessità di definire e quindi incanalare i loro graffiti, sostanzialmente abbozzi delle loro firme, in stili e manifestazioni più compiute di un’arte di strada che richiedeva studi preliminari e bozzetti da realizzare in spazi appositamente dedicati dalle amministrazioni comunali, con il fine di preservare centri storici e zone residenziali, o in contesti urbani perlopiù degradati dove i graffiti apportavano paradossalmente quasi una nota di pregio. Diversamente da questa evoluzione, che vorrebbe nobilitata l’arte dei graffiti contemporanei, quelli che oggi sono i segni che spesso appaiono a deturpare i muri, i monumenti, i cancelli e le vetrine delle strade cittadine, costituiscono, oltre a dei gravi illeciti puniti dalla legge, la manifestazione più o
22 - la nuova tribuna - Settembre 2015
meno esplicita di balordi che durante la notte si aggirano nelle vie, ma a volte sottintendono il ben più grave segnale che la zona è occupata da bande criminali. Francesco Finanzon, investigatore dell’Agenzia Investigativa Octopus di Milano, autore di molti libri di successo che descrivono alcuni aspetti della sua particolare professione, ha studiato a lungo i writers nella zona di Milano e paesi limitrofi, al fine di catalogare i segni e determinare i gruppi di appartenenza, contribuendo a definire uno strumento di indagine utile a contrastare il fenomeno nell’area. «Dall’esame dei segni -dice Finanzon- appare subito chiaro se la crew, cioè il gruppo, è di appartenenza criminale o invece esprime un gruppo politico o più semplicemente si tratta di ragazzini annoiati e maleducati in tutti i sensi, che firmano gli spazi pubblici e privati per dare prova di sé attraverso queste bravate, che
purtroppo costano molto sia alle amministrazioni pubbliche che ai privati cittadini. Di carattere più circoscritto ma anche molto più pericoloso sono invece le bande di delinquenti, tra le quali particolarmente attive sono oggi quelle dei latino americani, che marcano il territorio con simboli ispanici, tra cui le frequenti corone stilizzate». Sono ormai piuttosto diffuse, in grandi città come Milano, le bande di ragazzini sudamericani, le cosiddette pandilla, veri e propri criminali che attraverso i graffiti comunicano tra loro e con le bande rivali, celebrano particolari eventi, ma soprattutto marcano il territorio nel quale detengono il massimo potere. Ad oggi Treviglio non è interessata da questo tipo di criminalità, come ci conferma lo stesso Finanzon, invece troviamo sempre più spazi deturpati da graffitari che appongono per noncuranza, ignoranza e noia le loro firme, senza alcun rispetto per la proprietà altrui e per quella pubblica, alla quale sempre troppo spesso non si attribuisce il corretto significato di appartenere a tutti i cittadini. «Le scritte autoreferenziali e i tag che riguardano i muri cittadini sono riconducibili - continua Finanzon - a studenti o giovani annoiati che, saltuariamente, attraverso i segni e gli scarabocchi fatti sui muri cercano un affermazione personale che altrimenti non sono in grado di conquistarsi». In questi casi l’indagine investigativa non ha grande utilità, così come gli appostamenti non possono essere particolarmente efficaci, a meno di presidiare ventiquattrore al giorno l’intero territorio; invece, così come conferma lo stesso Finanzon, se si tratta di gruppi di sfaccendati che magari trascorrono buona parte del loro tempo presso i parchi o determinate zone di ritrovo, le forze dell’ordine hanno maggior successo nel controllare l’area e identificare gli autori degli illeciti. «Le classificazioni dei gruppi di writers effettuate partendo dalla catalogazione dei simboli e dei segni si rivelano efficaci -prosegue Finanzon- anche per contrastare il fenomeno doloso originato da quei gruppi che si definiscono politici e usano imbrattare, in totale disprezzo della legge vigente, la proprietà altrui per manifestare il proprio dissenso».
Dossier/Volontari in prima linea
C’è un confine tra vandalo e artista di Chiara Severgnini
Raramente l’attività dei writers è riconducibile al fenomeno dei murales. Molto più spesso si riscontra l’imbrattamento puro e semplice. Ecco come l’Associazione Nazionale antigraffiti combatte il fenomeno e pulisce muri
M
ilano - «Non abbiamo nulla contro la street art. E neppure contro chi vuole manifestare le proprie idee e la propria creatività con graffiti e murales. Noi ci battiamo contro chi vuole farlo abusivamente, senza autorizzazioni e disinteressandosi delle regole, del patrimonio collettivo e della proprietà privata». Parola di Andrea Amato, giornalista e da due anni presidente dell’Associazione nazionale antigraffiti di Milano. L’obiettivo dell’associazione, fondata nel 2006, è chiaro, ma tutt’altro che semplice: promuovere il rispetto del decoro urbano. Ma il graffitismo abusivo è diffuso su tutto il territorio nazionale ed è difficile da combattere. Per questo i volontari dell’Associazione antigraffiti agiscono su diversi fronti: studiano il fenomeno, propongono alle istituzioni misure concrete per combatterlo e lo contrastano attivamente organizzando giornate di pulizia collettiva dei muri imbrattati e corsi di educazione civica incentrati sul tema per gli studenti delle scuole medie e superiori. I graffiti abusivi sono davanti agli occhi di tutti, e non certo solo a Milano. Anche in provincia, per un writer (dall’inglese to write, scrivere) ogni muro, edificio, serranda o portone è una tela potenziale su cui realizzare la propria opera o lasciare la propria firma, detta in gergo “tag”. Se il graffitaro non ha il permesso del proprietario del bene, però, con la sua bomboletta spray commette un reato che può portare a multe salate e, nei casi più gravi, anche al carcere. «Il discrimine tra street art vera e propria e atto vandalico -precisa Amato- è uno solo: l’autorizzazione di chi dispone del bene. Non è una questione di estetica, che è un fattore soggettivo, ma di rispetto delle regole del vivere comune. Per esempio, un murales di eccezionale bellezza realizzato abusivamente sul muro di una cattedrale gotica è contro la legge, e chi l’ha realizzato ha commesso un reato. Al contrario, se qualcuno autorizza un writer a realizzare un graffito sul muro della propria casa e rispetta tutte le norme, il murales in questione sarà legittimo e nessuno potrà tacciarlo di essere abusivo solo perché lo trova brutto». La legge italiana è quindi chiara e le multe sono tutt’altro che trascurabili (vedi art. pag. 24), ma questo non è sufficiente a impedire
«Noi puntiamo sulla prevenzione, cercando di insegnare ai ragazzi che l’espressione artistica individuale non può andare a discapito del bene comune» ai writers di realizzare i murales non autorizzati: punire i graffitari che non rispettano le regole non basta, bisogna agire prima. Per questo l’Associazione antigraffiti punta sulla sensibilizzazione e sull’educazione civica, con risultati non da poco. «Ad aprile -racconta Amato- la nostra associazione ha ricevuto un importante riconoscimento: l’organizzazione americana Zero Graffiti ci ha conferito il suo premio annuale, riservato a chi ha riportato più risultati nella lotta contro il graffitismo abusivo grazie a soluzioni innovative. Noi puntiamo sulla prevenzione, cercando di insegnare ai ragazzi che l’espressione artistica individuale non può andare a discapito del bene comune». A chi difende il fenomeno dei graffiti selvaggi invocando lo slogan «muri puliti, popoli muti” – molto amato dai writers – Amato risponde così: «è una bella frase, con un bel significato, ma se giustifica l’imbrattamento noi non ci stiamo: le regole servono a difendere il patrimonio collettivo e privato, non a silenziare la voce popolare. I danni causati
Irma Surico, presidente dell’Associazione antidegrado di Milano“4Tunnel”, accanto al presidente della Associazione Nazionale Antigraffiti Andrea Amato. A sinistra una delle centinaia di operazioni di pulizia antigraffiti del comitato
da murales e tag abusivi sono difficili da quantificare, ma in tutta Italia sono di svariati milioni. Ed è un costo che ricade sulla collettività». L’educazione prima di tutto, quindi. Ma quando il danno è fatto? Ci sono i cosiddetti cleaning days: giornate in cui l’associazione coinvolge i cittadini in una grande opera di pulizia collettiva, per cancellare scritte, disegni e murales non autorizzati. L’Associazione antigraffiti promuove cleaning days locali e nazionali sin dalla sua creazione, ma sempre più spesso sono i cittadini stessi a organizzarsi autonomamente per ripulire i muri della loro via o del loro quartiere. E questa, per Amato, è una grande soddisfazione: «Per noi è importante vedere la cittadinanza prendere coscienza di quello che può fare in prima persona per contrastare il fenomeno. Le amministrazioni comunali, da sole, non possono risolvere il problema del graffitismo: le segnalazioni dei cittadini sono fondamentali, così come l’educazione dei più giovani, che non si fa solo a scuola ma anche e soprattutto a casa. Insomma, per contrastare chi imbratta ci vuole sinergia, collaborazione tra i Comuni e i loro abitanti».
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
23
Dossier/Intervista a Laura Rossoni
La giurisprudenza
Il caso dei sei writers trevigliesi processati di Daniela Invernizzi
Cinque dei sei minorenni colti a imbrattare i muri scelsero un percorso di ravvedimento che si concluse con una lezione nelle scuole. Una rieducazione che sospende il procedimento penale e si chiama “messa in prova”
I
n una precedente intervista con l’avv. Laura Rossoni, proprio sulle pagine del n. 5 de “la tribuna” (La cultura delle regole e dei doveri) era emerso come spesso gli adolescenti non abbiamo la minima percezione di star compiendo un reato, specie per alcune tipologie di essi, come il bullismo, le minacce sui social network o i graffiti sui muri, caso che a noi qui interessa. In quell’intervista si parlò di una nuova forma di rieducazione per il minore colto a delinquere, che si chiama della “messa in prova”. In poche parole, il giudice, accertato il fatto commesso, propone al reo di sospendere il processo penale in cambio della sua adesione alla “messa in prova”; ovvero un periodo che va dai sei mesi all’anno, seguito dai servizi sociali, durante il quale il ragazzo prende coscienza del reato commesso e si riabilita, salvo poi comparire di nuovo davanti al giudice che decide, sentiti tutti i soggetti coinvolti, se la messa in prova ha avuto esito positivo. Il caso riguardava sei graffitari trevigliesi, colti a sporcare i muri cittadini, finiti davanti al giudice del Tribunale per i minorenni. nche in quella occasione alcuni di loro ammisero di non aver percepito che il gesto commesso fosse un reato: per loro scrivere sui muri equivaleva a una forma d’arte, una sorta di modalità espressiva a colpi di bomboletta. Uno di loro decise di continuare con il processo, gli altri cinque scelsero la messa in prova. Dopo un periodo, diciamo così, di studio e conoscenza, volto a capire meglio i confini fra espressione artistica e imbrattamento di cose altrui, i ragazzi si riabilitarono con un’esperienza diretta, andando cioè nelle scuole a raccontare la loro esperienza e cosa avevano imparato. «Di fatto avevamo costruito un questionario da sottoporre ad alcune classi delle
A
24 - la nuova tribuna - Settembre 2015
terze medie locali (Casirate, Castel Rozzone e Treviglio) con a tema i graffiti ed in generale il concetto di “arte” -racconta l’avv. Rossoni- Sulla base delle risposte ricevute, i coimputati avevano costruito una lezione, raccontando alcune forme di arte postmoderna, come i graffiti e i tatuaggi, e i limiti imposti dalla legge. Avevano poi continuato la lezione raccontando quanto accaduto loro e mettendo in guardia i ragazzi dal ripetere i loro
Graffitismo: ora le leggi sono più chiare... Sino a pochi anni fa il fenomeno era oggetto di giurisprudenza incerta, perché non ben chiaro come catalogarlo; oggi è regolamentato da leggi precise che possono sostenere le indagini
stessi errori. Dopo tutto ciò, la messa in prova si era conclusa positivamente». Ne dà conferma anche uno dei protagonisti, oggi maggiorenne, che siamo riusciti a interpellare: «L’esperienza vissuta mi ha fatto crescere, soprattutto mi ha fatto capire che le mie azioni hanno delle conseguenze e che bisogna pensare, prima di agire -ci racconta- e non è corretto dire che non sapevamo di fare qualcosa di illegale; solo non ne comprendevamo la gravità». Ma perché lo facevate? «Solitamente si tratta di una forma di ribellione dal proprio stato di vita, i ragazzi che realizzano queste opere sono spinti da una voglia di sfogo e da un bisogno di esprimere la propria arte; sono convinto anche che se i paesi dessero a disposizione dei ragazzi spazi maggiori per realizzare tali opere, probabilmente molti eviterebbero di andare a creare murales su luoghi privati altrui».
I
l fenomeno del “graffitismo” o “writing” si è affermato negli ultimi trent’anni e ha dato origine a molte discussioni su vari fronti, causando non pochi quesiti anche in termini giuridici. Il writing, infatti, ha diviso da un lato chi vede in esso una nuova forma di moderna espressione artistica e chi dall’altro lo considera un mero imbrattamento o danneggiamento di proprietà altrui. E anche da una prospettiva legale il fenomeno è stato oggetto di una giurisprudenza incerta, fino a pochi anni fa, circa la tipologia di reato al quale ricollegarlo. Ne parliamo con l’avvocato Laura Rossoni: «Il problema consisteva nel decidere se qualificarlo come reato di danneggiamento ex art. 635 codice penale, oppure quale deturpamento e imbrattamento di cose altrui, secondo quanto dispone l’art. 639 del codice penale». Sulla questione è intervenuta definitivamente la Corte d’Appello di Torino nel 2010, che ne ha ravvisato la differenza sotto il profilo del deterioramento del bene: «perché, mentre il primo reato (art. 635) produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o
Dossier/L’opinione dell’artista Sopra via Municipio, sotto a sinistra via Mulazzani verso via Verga, a destra via Beltrame Buttinone verso la piazzetta del Centro Civico Culturale
ne impedisce anche parzialmente l’uso, così dando luogo alla necessità di un intervento ripristinatorio dell’essenza e della funzionalità della cosa stessa, il secondo (art. 639) produce solo un’alterazione temporanea e superficiale della cosa, il cui aspetto originario, quale che sia la spesa da affrontare, è comunque facilmente reintegrabile” (Corte d’Appello di Torino, sez. II, 31/03/2010)». Quindi il writing in quale casistica rientra? «Nella maggior parte dei casi il fenomeno rientra nella fattispecie dell’art. 639 -dice l’avv. Rossoni- per il quale imbrattare cose mobili, immobili, o mezzi di trasporto pubblici o privati costituisce reato punibile con una multa che va sino a 1.000 euro e la reclusione fino a sei mesi. Insomma, deve essere chiaro che il graffito non è un’opera d’arte, ma rappresenta una lesione all’estetica delle nostre città ed obbliga l’incolpevole proprietario dei muri ad un esborso di centinaia o migliaia di euro». La qualità artistica di un graffito, per esempio un disegno ben definito e apprezzabile dal punto di vista estetico, può escludere l’applicabilità del reato penale? «No. Sul punto si è pronunciata proprio un anno fa la VI sezione penale del Tribunale di Milano. La vicenda vedeva imputato un noto writer milanese, Daniele Nicolosi, in arte Bros, uno dei principali esponenti della street art in Italia. Gli episodi a lui contestati riguardavano l’imbrattamento del muro del carcere di San Vittore, di un edificio privato e di una pensilina della metropolitana. La difesa aveva posto l’attenzione sulle qualità artistiche del writer e, a dimostrazione di ciò, portava il fatto che il giovane fosse stato protagonista di importanti esposizioni (di cui una a Palazzo Reale di Milano), che fosse stato a lui dedicato addirittura un catalogo (Bros +20e20 ed. Skira) e che fosse spesso oggetto di apprezzamenti dai più noti critici d’arte; da qui la conseguenza che le sue performances fossero da considerarsi espressioni artistiche e non imbrattamento, pertanto non perseguibili». Ma alla fine la sentenza è stata chiara: «L’esistenza del reato non può avere come parametro un’eventuale natura artistica dell’opera [...] Ciò che invece rileva sul reato di imbrattamento è, piuttosto, il supporto su cui ricade la condotta del writer, prevalendo la fisionomia estetica e la nettezza attribuite al bene da chi ne ha legittimamente la disponibilità, per quanto magari opinabili come del resto opinabile è lo stesso valore estetico dei graffiti realizzati». Tradotto: se il mio muro è dipinto di fucsia e non piace a nessuno, non vuol dire che tu, writer, sia autorizzato a “migliorarlo” secondo il tuo personalissimo gusto. Insomma, non ci piove. Il writing su cose altrui, senza l’autorizzazione necessaria, è sempre reato, ed è più o meno grave a seconda che il danno sia permanente o meno. (d. i.)
Trento Longaretti, pennellate di poesia di Daniela Regonesi
Il grande pittore trevigliese, quasi centenario ma sempre brillante e attivo, illustra la sua opinione riguardo i writers, distinguendo tra decorazioni, arte e scarabocchi: «il confine tra decorazione e deturpazione è sottile».
È
un’emozione intensa varcare il portone dello studio del pittore Trento Longaretti, abbandonando la bellezza di Città Alta per incontrarne un’altra: cambia la scala di riferimento - fuori la città vecchia, raccolta tra le sue mura ma aperta ad abbracciare con lo sguardo la nuova e con essa la pianura sottostante - e dentro i dipinti, ma il fascino e la suggestione non perdono intensità. Affabile e disponibile il professore mi accoglie nel suo atelier, dove il profumo di vernice ora fresco ora antico, poiché i suoi lavori in fìeri tengono compagnia ad opere completate e ad una serie di altrettanto magnifici quadri di altri autori (Bruno Cassinari, Francesco Mezio, Aldo Carpi, Achille Funi, Ambrogio Alciati, Roger Edgar Gillet, Gabriel Biessy, per citarne alcuni) e, forse un po’ impertinentemente, accenno al tema cardine di questo numero. Ora, mi si potrebbe obiettare di peccare di sfacciataggine, o ipotizzare che un uomo di tale spessore, la cui lunga vita si è nutrita e plasmata intorno all’arte, si possa scandalizzare: tutt’altro, egli pacatamente inizia a spiegarmi che «le opinioni al riguardo sono diverse: per Vittorio Sgarbi, ad esempio, sono opere d’arte. Ma bisogna distinguere, perché ci sono muri con decorazioni che si possono ritenere espressioni artistiche, mentre quando
sono scarabocchi e scritte illeggibili è puro vandalismo». E prosegue citando l’esempio positivo del muro di un oratorio presente a Bergamo in via Broseta. Longaretti ci tiene però a precisare che non può dire che gli piacciano, lui che è abituato ad affreschi del 1300-1400, come la Cappella Sistina, e mi spiega che quella dei writers è un’espressione nata in America con la rappresentazione di figure ed immagini nelle stazioni della metropolitana, ad opera di Keith Haring (vedi box pag. 17). L’artista sostiene innanzitutto che sia necessario effettuare un distinguo tra ciò che è fatto da persone dotate rispetto alle mere sigle ed alle parole incomprensibili; e che si tratta di opere presenti soprattutto in periferia, su recinzioni e muriccioli, con disegni molto primitivi, di autodidatti, che hanno piacere nell’esprimersi in questo modo; «il confine tra decorazione e deturpazione conclude - è sottile». Chiedo quindi se ci sia un messaggio che si sente di rivolgere ai giovani, magari proprio a quelli che desiderano “armarsi” di bomboletta: il professore ribatte che senza dubbio consiglia loro di non diventare vandali, di non rovinare le opere d’arte, quanto piuttosto di «affiancarsi ad un pittore (a Treviglio ci sono Cesare Calvi, Stefano Travi, Battista Mombrini, Giuliano Ottaviani) e
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
25
Dossier/L’opinione dell’artista
Dalla “Scuola d’arte e Mestieri” alla Carrara
A
Treviglio entrate alla Sala Crociera del Centro Civico e lasciate perdere il vostro sguardo sulla dolcezza della maternità appesa alla parete, oppure varcate la porta della chiesa di San Pietro e fatevi abbracciare dal mosaico della chiamata dell’apostolo, o ancora perdetevi nei colori delle vetrate della chiesa di San Zeno... Ecco solo tre esempi, tra i tanti, della poesia che Trento Longaretti ha disseminato nella sua città natale. Qui vede la luce nel 1916 (e in tempo di guerra il nome di battesimo ricevuto non è certamente casuale) e da qui il suo talento muove i primi passi. La formazione milanese al liceo artistico e all’Accademia di Belle Arti di Brera -fondamentale l’insegnamento di Aldo Carpi, docente ma anche amico legato da stima ed affetto profondi- e la partecipazione al gruppo “Corrente” (rivista fondata da Ernesto Treccani e cenacolo che riunisce artisti quali Sassu, Guttuso, Birolli) cedono poi il passo ai fronti sloveno, siciliano e albanese: il secondo conflitto mondiale lo vede impegnato nel ruolo di sottufficiale, senza tuttavia interrompere la sua produzione ma, anzi, influenzandola profondamente. Si dedica quindi all’insegnamento: prima a Treviglio -dirigendo la scuola Dell’Era, “Corso libero serale di istruzione tecnica per l’insegnamento del disegno professionale” fino al 1967- poi a Bergamo, sua città d’adozione, dove è professore di pittura e direttore dell’Accademia Carrara dal 1953 al 1978, anno in cui lascia l’incarico per dedicarsi esclusivamente all’arte del dipingere.
26 - la nuova tribuna - Settembre 2015
Le sue opere si trovano alla Pinacoteca Carrara di Bergamo, a Milano (nel Duomo, nella Basilica di Sant’Ambrogio, nella galleria d’Arte Moderna e nel Museo della Permanente), ai Musei Vaticani, alla Galleria Ricci-Oddi di Piacenza, alla Civica Galleria di Gallarate, nel Museo di Arte Moderna di Basilea, nei musei di Aacken e di Hamilton. É inoltre presente in un esteso elenco di mostre collettive e personali sia in Italia che all’estero per le quali, non ce ne vogliate, vi rimandiamo alla bibliografia ufficiale, limitandoci a citare la Biennale di Venezia degli anni 1942, ‘48, ‘50, ‘56 e 2011. Preferiamo che a parlare siano i suoi viandanti, i vecchi, i musicisti, le madri, i mendicanti e le famiglie: Trento Longaretti è stato definito “poeta degli umili, dei poveri, dei diseredati”, che rappresenta con sensibilità, sentimento e poesia unici. Daniela Regonesi
di seguirne le direttive per il loro lavoro; non siano completamente autodidatti, ma diano un minimo di carattere culturale alle loro opere, affinché non siano solo decorazioni, ma abbiano un contenuto leggibile, perché i graffiti, quando c’è un certo gusto del colore e della forma possono anche essere gradevoli, possono rendere belle delle recinzioni qualunque». A questo punto, mi chiedo se potrebbe essere efficace affidare la valutazione dei progetti dei writers ad una sorta di giuria, affinché la loro “arte” possa essere messa al servizio dell’arredo urbano e della lotta al degrado, ma il maestro mi chiarisce che non è necessario il pronunciamento di alcuna giuria, in quanto nei regolamenti urbanistici è prevista già l’approvazione di eventuali interventi da parte della commissione edilizia, previa presentazione del bozzetto. «Tutto, comunque, dipende dal risultato. È necessario stabilire un certo grado di piacevolezza delle opere, parlare di bellezza, in questi casi, non è corretto». Ma in un luogo nel quale il fascino dell’arte ti avvolge e cattura, non posso non chiedere a Longaretti di parlarmi della bellezza della Gera d’Adda, di quanto, a suo parere, c’è di bello nel nostro territorio della Bassa: «Un vecchio sindaco di Bergamo, mio amico, detestava la Bassa, piatta e nebbiosa. Il poeta di Vailate Alberico Sala, invece, esaltava la bellezza della solitudine nella nebbia. La nostra terra, quando non è deturpata dai capannoni, è bellissima, con la sua varietà di colori, e le rogge che qui a Bergamo non ci sono. I filari di alberi hanno una loro bellezza, specialmente andando verso Lodi, dove vi è ancora la presenza dominante dell’agricoltura e si può seguire un bellissimo percorso». Questo è quanto l’artista mi dipinge con le sue parole, mescolate ad autentico amore filiale, per illustrarmi il fascino naturale della sua terra. Continua poi guidandomi tra le bellezze antropiche, tra le quali cita il bel centro storico di Treviglio con i suoi vicoli che, anche se a differenza di altre città non possiede palazzi grandiosi del Rinascimento, ha due cose straordinarie: il campanile ed il Polittico. Ha i suoi artisti:
Dossier/Esempi positivi
Calcio: muri d’artista di Cristina Signorelli
Su iniziativa di Nicolò Mercandelli una serie di opere vennero commissionate per arredare il comune della Bassa orientale
A sinistra Trento Longaretti all’opera nella sua casa di Bergamo Alta. Sopra Nicola Mercandelli davanti al mosaico dell’artista trevigliese raffigurante la festa del Santo Patrono di Calcio
Zenale e Butinone, Dell’Era, i Montalto, decoratori di chiese. E conclude accorato: «È un peccato che non sia abbastanza diffusa la bellezza della pala d’oro del Polittico, opera di Bernardo Zenale e Bernardino Butinone. Io ho conservato il manifesto di una mostra di Zurigo del Secondo Dopoguerra sull’arte Rinascimentale Italiana. Il centro del manifesto è occupato dal centro del Polittico!». Come non essere d’accordo con lui, proprio noi che sul nostro primo numero dedicavamo all’opera un articolo intitolato: “Questo è il ‘brand’ nascosto di Treviglio”? E prima di congedarmi da lui, mi permetto di chiedere quali festeggiamenti siano in programma per il prossimo anno, quando compirà cento anni: «pittori anziani come me non ne conosco, so che il filosofo e pittore, Gillo Dorfles, milanese, ha centocinque anni. Per quanto mi riguarda l’Accademia Carrara probabilmente allestirà una mostra con una selezione di un centinaio di mie opere, e forse il Credito Bergamasco realizzerà una monografia». Su Treviglio silenzio... Di fronte ad un tale traguardo, da riconoscergli come uomo e come artista, si presenta dunque per la nostra città una nuova occasione da cogliere, perché ambasciatori di poesia e bellezza quali il professor Longaretti sono vanti preziosi. Nel frattempo, a nome di tutta “La tribuna” gli formulo i più sentiti auguri per i novantanove anni che compie proprio il 27 di questo mese: continui a dipingere le sue poesie ancora a lungo, perché la bellezza non annoia, mai. (d. r.)
N
el percorrere le strade della Bassa Bergamasca potrebbe capitarvi di attraversare un comune nel quale gli occhi si posano su murales di varie dimensioni e stili dipinti sulle facciate delle case: siete a Calcio, dove Nicola Mercandelli, che ne è stato il sindaco per molti anni fino all’aprile 2004, ha promosso e realizzato questo particolare progetto di arte pubblica. «L’idea del murales - dice Mercandelli – era parte di un progetto più ampio, che si proponeva di portare l’arte a Calcio, anche attraverso la creazione di un museo di arte contemporanea, per il quale avevamo ricevuto importantissimi contributi da collezioni private, che garantivano l’esposizione di opere dei più grandi artisti del ‘900, quali tra gli altri Picasso, Chagall e Modigliani, e l’allestimento di un museo della fotografia. L’ambiziosa realizzazione del programma, sviluppato anche in collaborazione con l’Accademia Carrara di Bergamo, costituiva il punto di arrivo di un’iniziativa culturale iniziata anni fa, ma era anche il punto di partenza per vivacizzare e far conoscere Calcio alla luce del fatto che con le future infrastrutture del paese, quali circonvallazione e autostrada, il centro si sarebbe liberato del traffico consentendo maggiore vivibilità. Purtroppo le amministrazioni che si sono susseguite alla mia hanno lasciato morire le iniziative dei musei, e languire a lungo quella dei murales che però da qualche tempo ha ripreso vivacità e interesse». Nel 1995 si era istituita un’apposita commissione comunale composta da un direttore artistico, il critico d’arte Mauro Corradini, da un direttore tecnico, l’architetto Tullio Lazzaroni e da alcuni rappresentanti dell’allora Amministrazione Comunale, che aveva suggerito agli artisti chiamati a collaborare gli argomenti da sviluppare nei murales, tutti inerenti momenti significativi della storia di Calcio. Tra i soggetti raffigurati ancora domina la Signora di Calcio, tal Regina della Scala alla quale il marito Bernabò Visconti, Duca di Milano, aveva concesso in feudo la terra della Calciana, così come il passaggio attraverso il paese delle truppe di Napoleone III; e tra gli episodi più recenti l’arrivo del primo treno con fermata a Calcio sulla direttrice Milano-Venezia. Non mancano inoltre riferimenti alla vita agreste del borgo, come
il raccolto del grano, e rappresentazioni del fiume Oglio e della campagna circostante caratterizzata da rogge e campi coltivati. «Oltre ad artisti noti – dice Mercandelli - quale tra gli altri Trento Longaretti, che ha realizzato uno splendido mosaico raffigurante la festa del Santo Patrono, avevamo coinvolto anche i giovani talenti, richiedendo la collaborazione di Accademie di Belle Arti italiane, come quella di Brera, e straniere, quali quelle di Barcellona e Birmingham. Ad oggi i murales che coprono muri e pareti in origine malandati e anonimi sono 47, dei quali 9 realizzati da privati, e ritengo che il successo dell’idea di abbellire con disegni le vie del paese è certamente da ricondurre anche all’entusiastica partecipazione dei cittadini che avevano concesso le facciate delle loro case affinché potessero essere decorate». Nicola Mercandelli, curatore del libro “I Murales” di recente pubblicazione che attraverso quarantasette schede tecniche descrive le opere di Calcio, seppur soddisfatto dell’opera intrapresa molti anni fa, ritiene fondamentale proseguire il lavoro di divulgazione e sensibilizzazione per questa grande e suggestiva mostra d’arte realizzata a cielo aperto, dipinti e mosaici che raccontano la storia di questo tranquillo borgo.
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
27
Dipinti sul Quei primi cinema Merisi murales
C
aravaggio - «Avevo il bar proprio lì davanti, ed ero stufa di vedere tutto il giorno quel muro grigio e pieno di scritte oscene. Così ne ho parlato con Giancarlo Maretta dell’Adda Viaggi e abbiamo iniziato un percorso che sembrava impossibile e che invece si è realizzato». A parlare è Elena Macchi, una dei volontari che si sono spesi per la realizzazione dei murales sul muro dell’ex cinema di Caravaggio, in via Gallavresi. Ottenuto il nulla osta del proprietario, un gruppetto di volenterosi ha contattato artisti e writers di Caravaggio e dintorni, predisposto il progetto con il disegno di massima (da un’idea di Rossano Allevi) e presentato il progetto al Comune. Le risorse necessarie sono state raccolte fra i commercianti e i cittadini, che hanno risposto entusiasti. Detto, fatto: nel giro di quattro week end, e nonostante Caronte che imperversava nell’estate 2013, i ragazzi hanno pulito e preparato il muro, e poi realizzato un omaggio alla Natura, con queste braccia che alzano, simbolicamente, il velo grigio sotto il quale si nasconde un mondo di colori e allegri animali. «È stato bellissimo - ricorda ancora Elena Macchi - vedere, i primi tempi, la processione di cittadini, soprattutto nonni con i nipotini, per ammirare il disegno». Da allora, nessuno ha più pasticciato il muro. (d. i.)
28 - la nuova tribuna - Settembre 2015
B
attista Mombrini, pittore trevigliese, la vena dell’organizzatore l’ha avuta sin da ragazzo, prima con il Circolo Artistico e poi autonomamente in molteplici iniziative. Una delle più emblematiche e “vistose” è datata 1972, quando gli venne l’idea di coinvolgere pittori professionisti e non in un progetto d’arredamento urbano, insomma un precursore di Nicola Mercandelli, sindaco di Calcio e promotore di un’iniziativa che ha fatto del suo comune una galleria d’arte a cielo aperto. Più fortunato dei trevigliesi perché i murales di Calcio, commissionati ad artisti locali e non, sono ancora lì da vedere, quelli di Mombrini e compagni non lo sono più, ma solo per il fatto che quegli edifici sono stati abbattuti a fine secolo. Il periodo era quello dei cambiamenti urbanistici, infatti l’Ospedale era appena stato traslocato nella nuova struttura e si stava pensando ad un recupero dell’edificio del vecchio nosocomio e della adiacente piazza Mentana. Battista aveva notato quelle grandi pareti vuote tra i due edifici che delimitano ancor oggi la piazza, così interpellò Luisa Galimberti, Loredano Gaeni che aderirono all’iniziativa, «...interpellammo anche Gabriele Bellagente e Cesare Calvi, che per vari motivi non poterono partecipare al progetto» ricorda Battista Mombrini.
«I fratelli Carioli utensileria, proprietari degli edifici, furono entusiasti dell’idea che proposi, così, essendo l’opera imponente ed esposta in un luogo pubblico, ne parlai con il sindaco Ermanno Riganti per chiedere il suo placet». Non ci furono problemi, così il trio si mise al lavoro in quell’agosto del 1972 montando in proprio l’impalcatura e dividendo in tre parti le grandi superfici, poi lavorandoci per venti giorni. «Lella Galimberti dipinse le sue figure “in dissoluzione”, io una maternità e Gaeni i due amanti». I trevigliesi così al ritorno dalle ferie ferragostane trovarono la sorpresa, infatti la notizia non era trapelata nemmeno a lavori iniziati, poiché sia il settimanale Popolo Cattolico che il mensile di Tullio Santagiuliana “i Giorni di Treviglio” erano chiusi per ferie della tipografia. Battista Mombrini sorride ancora nel ricordare quelle giornate: «Sì, una grande sorpresa, gente che passava e ritornava, che discuteva, molti apprezzarono i murales, qualcuno polemizzò, ma alla fine tutti accettarono di buon grado l’iniziativa che rimase argomento di commento per mesi». Murales che arredarono piazza Mentana per poco più di quindici o sedici anni, poi la demolizione. Roberto Fabbrucci
Battista Mombrini - Foto di Enrico Appiani
Dossier/Esempi positivi
Aziende informano/Studio Blu
Incidente stradale e danno psichico Foto di Enrico Appiani
Il “disturbo post traumatico da stress” è tra i postumi da incidente stradale che nei casi più gravi investe in modo drammatico anche i familiari . Presso Studio Blu tutta l’assistenza necessaria per il risarcimento dei danni
Il logo diventa un graffito
I
l murales di via Calvenzano costituisce un ottimo esempio di come coniugare esigenze estetiche e commerciali attraverso la pittura su muri. Infatti la superficie vivacemente colorata attrae lo sguardo dell’automobilista che transita lungo la strada dando visibilità al marchio e contemporaneamente maschera il grigiore insipiente della cabina elettrica, brutta ma indispensabile. A questa soluzione, così antica e nel contempo innovativa, è giunto Gian Maria Bergamini, gestore indipendente della nuova stazione di servizio B-B Carburanti di via Calvenzano a Treviglio, il quale racconta che all’avvio della sua attività ha ritenuto opportuno giocare sui colori accesi e in forte contrasto con il genere di prodotti che vende, i carburanti, normalmente associati per loro stessa natura alle tinte scure, adottando il rosa molto carico per il logo pubblicitario. Bergamini ha quindi commissionato a Christian Sana della SIES GRAPHIC DESIGN l’incarico di dipingere un murales che esprimesse attraverso la forza del colore la presenza del nuovo distributore di benzina. Sana dopo un attento studio e l’elaborazione di diversi bozzetti ha realizzato l’opera, che ha come risultato una riuscita fusione tra lo stile dei murales e il genere dei graffiti, rielaborando la firma BergaBenza con segni forti e chiaramente leggibili. (c. s.)
Q
uando si è vittima di un incidente stradale ed il nostro corpo viene, più o meno gravemente, violato, le conseguenze che ci portiamo appresso per il resto della vita (il c.d. danno biologico) sono molto spesso, oltre che fisiche, anche di carattere psichico. La nostra mente esce anch’essa “ferita” dal sinistro e può riportare danni che, seppur lievi, sono a volte irreparabili: basta per questo pensare a quante persone conosciamo che, quando rivivono situazioni che per qualsiasi motivo li riportano all’incidente subito, soffrono crisi di ansia o di panico, anche ad anni di distanza dall’evento. Per questo, oltre a prendersi cura del proprio fisico, la vittima di un incidente stradale dovrebbe, qualora ne sentisse la necessità, preoccuparsi di curare e guarire anche la propria mente attraverso un percorso psicoterapeutico. Il “disturbo post traumatico da stress” (questa la definizione medica del danno psichico più frequente tra i postumi da incidente stradale), pur essendo ampiamente documentato nella letteratura medica, è difficilmente riconosciuto dalle Compagnie Assicurative. Per ottenere la liquidazione del danno psichico, che molto spesso è ben più grave delle lesioni fisiche riportate, è necessario documentarlo in maniera approfondita ed esauriente in tutte le sue fasi, avvalendosi di professionisti preparati non solo dal punto di vista clinico ma anche da quello medico legale. Nei casi poi di sinistri mortali, i famigliari che perdono un loro congiunto, oltre ad aver diritto al risarcimento per la perdita subita (il c.d. danno parentale), devono affrontare ed elaborare il
dolore che ne scaturisce e dovrebbero essere accompagnati in questo lungo e difficile percorso. I costi delle terapie psicologiche sono piuttosto rilevanti ed ancor di più lo sono quelli delle perizie redatte a conclusione del percorso psicoterapeutico, che attestano il danno psichico e che sono necessarie per poter chiedere ed ottenere il relativo risarcimento. Questo è il motivo per cui abbiamo ritenuto indispensabile offrire, tra i servizi a disposizione dei nostri clienti, anche il supporto psicoterapeutico
per affrontare e trattare il disagio conseguente ad un incidente e per la gestione del lutto dei famigliari, così come la consulenza tecnica di parte necessaria per la valutazione (e quindi il riconoscimento) del danno psichico. Dal più comune (ma non per questo da sottovalutare) tamponamento e relativo “colpo di frusta” fino ai sinistri dalle conseguenze più gravi, i clienti che si affidano a Studio Blu trovano tutta l’assistenza necessaria, oltre che da un punto di vista burocratico-assicurativo, anche nei professionisti in grado di affrontare e risolvere con successo qualsiasi genere di conseguenza. Non perdiamo mai di vista che chi si rivolge al nostro studio è sempre una vittima.
Viale De Gasperi 12 Treviglio (BG)
0363/305060 devizi@infortunisticablu.com
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
29
Foto di Enrico Appiani
Dossier/Esempi positivi
Treviglio: sottopasso di cibi colorati di Daniela Invernizzi
Un gruppo di writers si è sfidato a colpi di bomboletta per abbellire il sottopasso della Stazione Centrale. Promotore Marco Guerini, ispirato da un articolo sulla stampa locale, preoccupato per l’immagine che Treviglio offre ai visitatori
A
nche Treviglio non è esente da tentativi ben riusciti di incanalare il fenomeno writing su percorsi autorizzati e che possono anche andare oltre, arrivando ad un abbellimento della città. Ci ha pensato l’infaticabile Marco Guerini, già ideatore del murales della Remer in viale Oriano, che è riuscito nell’intento di rendere più bello il sottopasso della Stazione Centrale e soprattutto la rampa di accesso al PIP 2, teatro di numerosi imbrattamenti per la mancanza di telecamere, oltre che di episodi poco gradevoli come aggressioni e furti. Guerini, come è nato questo progetto? «In seguito di una lamentela di Roberto Fabbrucci sui giornali locali lo scorso autunno, proprio in merito al degrado del sot-
30 - la nuova tribuna - Settembre 2015
topasso e della rampa. Così, fin dal mese di gennaio, mi sono interessato per i permessi, e grazie all’amministrazione comunale, in particolare all’assessore Basilio Mangano e all’architetto Valentino Rondelli, ho trovato l’aggancio giusto presso le Ferrovie dello Stato. Purtroppo i permessi sono arrivati solo ora (mese di luglio, ndr) e quindi abbiamo reso omaggio all’Expo un po’ in ritardo. Ma meglio tardi che mai». I murales infatti celebrano il tema di fondo dell’Esposizione Universale in corso a Milano, e cioè il cibo, energia per la vita. Sui circa trenta metri della rampa di accesso al parcheggio, ventuno writers si sono sbizzarriti sul tema, partecipando a una Jam di due giorni (18-19 luglio) durante la quale si sono
Ripulito dalle scritte e dagli scarabocchi, il sottopasso della Stazione Centrale è stato dipinto da un gruppo di writer che si sono messi n competizione. A destra Marco Guerini, organizzatore della manifestazione
sfidati a colpi di bomboletta. Poi, una giuria, composta dal sindaco Giuseppe Pezzoni, dal nostro direttore Roberto Fabbrucci, dal disegnatore Yuri Brollini e dal titolare del negozio Limited Edition, Dario Lonati, ha premiato i disegni più significativi (vedi box). Nel sottopasso, invece, lo scenografo Ezio Pelosi della Queendesign ha disegnato le facce di Einstein, Leonardo, Dante e Galilei; con la speranza che, data la presenza delle telecamere, nessuno si senta invogliato a porre la propria “firma”. Il tutto grazie alla collaborazione e alla disponibilità di risorse da parte dei commercianti trevigliesi, che hanno risposto con entusiasmo a questa iniziativa. «Li voglio ringraziare pubblicamente -dice Guerini- perché senza il loro aiuto tutto ciò non sarebbe stato possibile. Anche il Sindaco ha risposto subito positivamente, ponendo come unica condizione quella di coinvolgere anche writers trevigliesi, che gli avevano chiesto la concessione di spazi. Tutta l’amministrazione, in realtà, è stata collaborativa: per esempio è grazie all’assessore Pinuccia Prandina se abbiamo individuato il luogo per il murales della Remer. E anche se a qualcuno non piace, il preesistente era talmente in cattive condizioni che sfido Sotto una parte del murales di piazza Setti realizzato all’inizio degli anni ‘90 nell’ambito del “Progetto Giovani”. A sinistra i quattro giurati del concorso: il sindaco Giuseppe Pezzoni e a destra Roberto Fabbrucci, Juri Brollini e Dario Lonati
Dossier/Per passione o per protesta
chiunque a dire che prima fosse meglio». In realtà questa esperienza vuole essere l’inizio di una serie che vorrebbe portare il writing ad abbellire altri muri di Treviglio. Secondo Guerini, il sindaco Pezzoni avrebbe già in mente di cercare un muro in città che facesse da palestra per i writers, una sorta di lavagna per esercitarsi. «Si è pensato al muro del retro dello stadio di via Milano -dice Guerini- ma è ancora tutto da decidere. Stiamo comunque facendo uno studio sui muri in degrado di Treviglio che potrebbero prestarsi a questo progetto, che dovrà passare al vaglio del consiglio comunale e ovviamente previa autorizzazione dei privati interessati. È comunque l’unico modo per risolvere il problema”. Il murales può evitare il tag o il pasticcio, secondo lei? “Sì, perché fra i writers esiste un codice non scritto per cui non si pasticcia sul lavoro di un altro writer. Quindi non dovrebbe succedere, anche se non si può escludere a priori. Non è comunque un buon motivo per non farlo. L’approccio repressivo, secondo me, non funziona. Mentre se si cerca di incanalare il fenomeno su spazi ad hoc, lo puoi arginare e controllare. Ricorda il murales che fece realizzare Luigi Minuti sul muro del parcheggio di piazza Setti, negli anni 91-92? Fu un’operazione innovativa e lungimirante, a quell’epoca. Ora è diventato brutto e sarebbe inutile ritoccarlo, visti i progetti sulla suddetta piazza; ma quello costituisce un ottimo precedente, che dimostra che abbiamo ragione: non è mai stato pasticciato e son passati venticinque anni».
A tu per tu con i writers all’opera alla Stazione Fs
I
l primo che vado a intervistare, mentre sta lavorando, è il vincitore, ma in quel momento ancora non lo so. Si chiama Andrea, è di Bergamo, e disegna impassibile sotto la canicola, sporco di vernice e sudore. La sua sirena esce fluttuante da un sushi con gamberetto, proprio sulla curva del lungo passaggio pedonale che collega la stazione al parcheggio. «È un omaggio all’Expo, che ha come tema il cibo - mi spiega - e ho disegnato il mio cibo preferito, il sushi». Alla mia domanda se ha mai fatto graffiti illegali, risponde imperturbabile: «Sì, certo, anche se adesso faccio solo quelli legali, perché sono diventato bravo, bravo nel senso che mi chiamano per farli». Rispondono così anche gli altri, Steven di Vignate e Ivan di Treviglio, per esempio, ragazzotti sorridenti che fanno scuole come Grafica o Artistico. Oppure già lavorano, come Mattia, 22 anni, della provincia di Milano, che però vorrebbe realizzare il sogno di studiare disegno e pittura. Alla domanda “Perché lo fate?” rispondono tutti con la convinzione che si tratti di un’espressione artistica, o quantomeno di un modo per comunicare. Anche Michele, 27 anni, secondo classificato con un enorme toro che campeggia sopra una scritta (in gergo lettering), conferma che il graffito illegale nasce dall’esigenza di esprimere qualcosa, fosse anche solo disobbedienza, o di andare in cerca di qualcosa, come la botta di adrenalina. «Poi si evolve -dice- e certe stupidate non si fanno più. Allora si cercano spazi autorizzati». Ti hanno mai beccato? «No, mai». Quindi non mi dirai dove li hai fatti… «Eh, certo! -scoppia la risata- Anche se è già andato tutto in prescrizione, meglio di no».
Non capisco perché abbiano regole non scritte, come il non andare sul graffito di un altro, non pasticciare edifici religiosi, cimiteri, monumenti, mentre è concesso pasticciare i muri privati. Esprimo questa mia perplessità: «I privati sì» rispondono unanimi. Ma il perché non me lo sanno spiegare. Infine arriva lui, che non mi vuole dire il nome perché non si fida di me, dice che i graffiti vandalici sono un’espressione della cultura contemporanea; esistono, semplicemente, e bisogna accettarli. Sono la voce dei ragazzi di strada, che cercano un modo per emergere, per dire “Io ci sono”. Si inizia sempre così e si è molto stupidi (parole sue) e solo successivamente si evolve in qualcosa di più creativo. «E comunque è giusto che VOI siate CONTRO -mi dice provocatoriamente- perché questa modalità espressiva si alimenta proprio di questo scontro, di questa antitesi. È una forma di ribellione. È un crimine, lo so. Ma lo so adesso. A quattordici anni lo facevo senza sapere bene cosa stavo facendo. Ma è naturale che all’inizio sia così, il 99,9% dei writers ha cominciato facendo graffiti illegali. Poi si cresce e va bene farsi incanalare in queste iniziative». Tutti gli altri annuiscono; prendo atto della cosa e, anche se rimango della mia opinione (non mi piacerebbe vedere il muro bianco della mia casa ridisegnato da voi, e glielo dico) devo ammettere che mi sono simpatici. Ma perché non mi dici il tuo nome?, chiedo ancora al mio interlocutore misterioso. «Perché ho paura». E di chi? «Di lei. Perché lei scrive sui giornali e dunque ha in mano il potere». (d. i.)
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
31
Dossier/Che ne pensa la gente
L’opinione dei trevigliesi di Daniela Invernizzi e Lucietta Zanda
I commenti anonimi degli studenti e quelli di alcuni commercianti del centro storico di Treviglio
A
nche i trevigliesi sono stati interpellati sull’argomento writers. Senza aver nessuna pretesa statistica, abbiamo rivolto alcune domande ai negozianti e agli studenti, o ex studenti, del liceo Artistico, per avere le loro reazioni “di pancia” e il loro pensiero su una tematica che tocca il senso estetico, e civico, di tutti noi. Ai ragazzi, studenti di materie artistiche e quindi in qualche modo più vicini al mondo dei writers, abbiamo posto una serie di domande alle quali hanno risposto in maniera coscienziosa (più le ragazze, in verità). Alla prima, generica domanda, Cosa ne pensi dei writers?, tutti hanno fatto una precisa distinzione fra i «pastrocchiatori di muri» (Bea) e i writers che «sanno cosa stanno facendo» (Sara). Solo Vanessa prende posizioni più estreme, sottolineando che proprio l’illegalità rende più intrigante questo tipo di arte; la quale non andrebbe contenuta, ma «fatta esplodere nelle vie di città e paesi». Tutti d’accordo sul fatto che sia una forma d’arte, la cosiddetta “arte di strada”, attraverso la quale si esprime «un pensiero o un sentimento» (Fra). Idee non chiarissime per tutti sul fatto che si tratti di reato o meno. Alla domanda: Secondo te è reato?, Gabriele risponde: «Solo quando marchiano i muri con firme e scarabocchi», mentre la risposta immediata di Sabrina è: «Se si imbrattano monumenti, sì». Salvo poi rifletterci un attimo e decidere che non sa in effetti come si sentirebbe se colorassero casa sua. Vanessa è più categorica: «Imbrattare muri con stupidaggini non ha senso, ma tutt’altra cosa è un treno con il disegno di un polipo gigante splendido. L’Italia, paese dell’arte, dovrebbe
32 - la nuova tribuna - Settembre 2015
adattarsi all’arte moderna e, prima di preoccuparsi di un treno colorato, dovrebbe occuparsi ad esempio del Colosseo pieno di scritte». Solo Fra, Sara e Bea rispondono che «Sì, è sempre reato se non viene autorizzato». La scuola non affronta in maniera sistematica l’argomento sotto i suoi vari aspetti, il tutto è lasciato alla buona volontà del singolo professore: «Alcuni la vedono come forma d’arte, a patto che sia autorizzata, per altri è sempre e solo un reato», dicono Sara e Vanessa, mentre gli altri non ricordano di aver mai affrontato l’argomento a scuola: «Solo per i pasticci sui muri della scuola, per dire che non si fa» racconta Gabriele, oppure se ne parla solo grazie al prof. di religione (Bea). Abbiamo poi chiesto se siano mai passati all’azione, e il campione preso in esame si è rivelato particolarmente virtuoso: mai fatto una firma, o un tag che dir si voglia, su un muro. Ma, essendo degli artisti in erba, non disdegnerebbero di provare a fare un murales (ovviamente autorizzato) perché «È una forma d’arte moderna da provare», «Potrei esprimere qualcosa di mio» o anche, sempli-
Da sinistra Giuglo Bagnali, Silvia Cesni, Lorenza Medici, Gabriele Anghinoni con la moglie Stefania Casirati. Nella pagina accanto Stefano Recanati, il murales della Remer, quindi Caterina Salvi e Alessandro Frecchiami
cemente, perché «Sembra divertente». Le domande che abbiamo rivolto ai negozianti hanno riguardato il loro pensiero sui writers in generale e se ritengono la Street Art una forma artistica. Hanno sortito risposte, proposte curiose e anche intelligenti, che di seguito riportiamo.. Giulio Bagnali titolare del “Cafè de Treì”, perspicace, ha un carattere allegro e aperto. La sua solarità e la tenacia lo hanno portato a soli ventitré anni ad aprire il suo locale e soprattutto a riuscire a farlo ancora funzionare bene dopo nove anni di attività e in tempi così duri. È un sostenitore ed appassionato del Writing, inteso come forma di impegno sociale, creativo al pari della musica. Secondo lui è la Street Art la vera forma artistica, più che il graffito fine a sé stesso, perché libera; può essere usata per propagare contenuti sociali in modo molto più eloquente di qualsiasi mass media. Il messaggio così espresso può arrivare ad essere filosofia applicata al
Quel murales della Remer in viale Oriano
A
ll’inizio di questa indagine il murales della Remer in viale Oriano era appena stato fatto, mentre l’esperimento nel sottopasso della Stazione Centrale doveva ancora essere realizzato. Così si era pensato di chiedere ai commercianti (alcuni dei quali avevano contribuito all’iniziativa) che cosa ne pensassero. Pareri discordanti che qui vi riportiamo. Giulio Bagnali: «Il murales di Viale Oriano è da intendersi esclusivamente come forma celebrativa e omaggio all’impegno sportivo della Blu Basket di quest’anno. Nient’altro. Non è artistico, non è di impatto, è qualcosa che certamente non si ricorderà in futuro. Suggerisco un sito su Internet, per chi desiderasse approfondire, con foto artistiche molto
belle sui murales: “Street art in Germany”». Stefano Recanati: «Il murales di Viale Oriano, secondo il mio gusto, è poco consono con l’ambiente. È un’opera celebrativa e quindi andava espressa con delle tinte più calde, in accordo con uno stato d’animo dell’artista più partecipativo. Sembra invece trasferita sul muro coi trasferelli, il colore è piatto e asettico, sgradevole». Silvia Cesni: «Meglio del muro scrostato che c’era prima. Si parla di una squadra di basket della nostra città che ha ottenuto dei meriti in classifica, e quindi è d’accordo sull’averle reso omaggio». Lorenza Medici: «Pur nascendo da un’idea originariamente buona di reintegro di un muro scrostato, ha sortito però
tratto. Stefano Recanati hair stylist. Giovane di grande verve, gestisce con simpatica ironia e professionalità il suo negozio con l’aiuto di uno staff allegro, attento e aggiornatissimo. E ha l’umorale ciuffo di neri capelli più sconvolto della Lombardia. Pensa che, pur rispettando la forma artistica della Street Art, tuttavia ogni artista deve saper contestualizzare la sua opera nell’ambiente circostante, attenendosi sempre a una certa armonia d’insieme. Anche secondo lui, proprio per questo suo potenziale sociale, la street art nasce come filosofia e forma di ribellione al sistema. Quando però il graffito va a ledere il patrimonio di tutti, come l’imbrattare i muri, diventa deprecabile e condannabile. Silvia Cesni da sempre, assieme ai fratelli, accoglie i clienti nel fornitissimo negozio di fotografia di Piazza Setti. Gioiosa e vivace, sa stare con grande garbo e gentilezza con la clientela. Forse è anche per questo che tutti ci andiamo volentieri. Ritiene che l’arte sia qualsiasi forma creativa espressa col cuore e l’armonia, e quindi anche il Writing. Purché fatto in maniera ordinata, in appositi spazi
consentiti e non pasticciato come spesso accade. Deve inoltre avere un senso a livello di contenuti. Chi non si attiene a questi canoni, ma imbratta i muri, deve essere punito e obbligato alla restituzione dello spazio a proprie spese nella sua integrità. Lorenza Medici titolare insieme alla mamma Lucia dell’elegante gioielleria omonima in Centro. Entrambe dotate di grande gusto e di forte preparazione artistica, hanno un talento particolare nel disegnare realizzare gioielli insoliti e personalizzati. Lory è d’accordo sull’impiego dei murales solo quando consentono di recuperare al meglio spazi irrisolti, degenerati e che non si prestano ad altre forme di utilizzo. Quando invece costituiscono atti vandalici di egocentrismo, sfruttando superfici in perfetto ordine col solo proposito di danneggiare la proprietà privata, i responsabili andrebbero perseguiti e obbligati al ripristino del muro pulito. Propone un corso di educazione artistica nelle scuole per insegnare ai giovani il recupero delle superfici imbrattate, nel rispetto del bene comune. un effetto deludente. È banale, cromaticamente fastidioso e soprattutto dedicato solo ad una parte della cittadinanza, escludendo l’altra che non sempre ne percepisce lo spirito, né i contenuti». Alessandro Frecchiami: «Quello spazio, pur celebrativo della squadra, non ha un senso all’interno di un progetto di Street art per una città. Un progetto che sia non solo culturale ma di arredo e di abbellimento, e soprattutto di contenuto sociale universale. Lo trovo insomma esteticamente brutto». Caterina Salvi: «Non ho percepito né il significato della scritta in dialetto bergamasco, né tanto meno ho apprezzato lo sgradevole tratto grafico e la noiosa colorazione». Stefania Casirati: È certamente meglio del muro scrostato che c’era prima. Faccio notare che si è sempre pronti a criticare l’operato altrui, ma l’importante, alla fine, è realizzare qualcosa che resti. Lucietta Zanda
Alessandro Frecchiami manda avanti il suo negozio di tendenza in cui vende cornici e tele di prestigio in Via Sangalli. Apparentemente ombroso, è invece molto aperto e dotato di un estro particolare che gli consente di realizzare cornici con materiali spesso inusuali che sono una vera opera d’arte. Ha idee molto chiare sui writers, che sostiene ritenendoli artisti come chiunque altro sappia esprimere la propria creatività. Anzi ribadisce che, come accade nel Veneto, anche da noi dovrebbe essere dato più risalto a questa forma espressiva. Per esempio dedicando uno o più quartieri cittadini ai graffiti, riconoscendogli appositi spazi che diano loro la connotazione tipica di quel genere. Mettendo d’accordo tra loro i residenti con l’assessore alla cultura e gli artisti incaricati della realizzazione, si potrebbe così facendo recuperare zone in cattivo stato attraverso un’azione intelligente di educazione artistica e di gradevole impatto visivo. Caterina Salvi proprietaria – col figlio Marcello - del negozio di manutenzione e vendita ricambi per elettrodomestici di Viale Oriano. È vivace, energica e molto comunicativa. È contraria in genere al Writing. Accetta questa forma espressiva solo se contenuta in rigorosi canoni estetici e il meno invasiva possibile. Secondo lei i muri o le zone in disuso dovrebbero essere restituite alla loro integrità in accordo con la loro struttura originale e non con un graffito. E assolutamente non nei centri storici che dovrebbero essere rispettati nella loro antica forma senza altri orpelli aggiuntivi. Per quanto riguarda gli eventuali contenuti sociali dei murales ritiene che essi siano troppo statici per dare messaggi che obblighino davvero ad una riflessione i passanti distratti. Le idee per passare attraverso le menti e lavorare in senso sociale hanno bisogno di dinamismo. Stefania Casirati titolare -con il marito Gabriele- del negozio di fiori in Viale Oriano “Angolo Verde”. Come commerciante è molto favorevole al Writing, infatti come esponente delle Botteghe di Treviglio, sostiene attivamente questi lavori, tra gli altri anche quelli recentemente inaugurati alla Stazione Centrale. Li apprezza però solo quando vengono realizzati in modo artistico per recuperare muri o spazi decadenti o inutilizzati. Agli imbrattatori si dovrebbe comminare una multa salata e l’obbligo di ripristinare a proprie spese il muro pulito. Settembre 2015 - la nuova tribuna -
33
Uomini & Motori
L’Alfa 6 Michetti, l’ammiraglia! di Ivan Scelsa
Un pezzo d’arte, non più un’automobile, opera di Giorgio Michetti che arricchisce il panorama motoristico bergamasco grazie ai suoi nuovi proprietari, Domenico e Giovanni Pepe, che l’hanno riportata allo splendore originale
U
n’automobile è di per sé figlia del design e di ricerca stilistica. Alcune più di altre, partorite dall’intuito di matite prestigiose, entrano con forza nella leggenda, divenendo vere icone di stile. Per Filippo Tommaso Marinetti ed i futuristi la velocità dell’automobile in corsa è il simbolo dell’originalità, dell’irrazionale inteso come esaltazione dell’ebbrezza di vivere e della tecnologia in momenti di fugace appagamento. Ma se l’automobile in questione è la spigolosa ammiraglia un po’ da “cummenda milanese” simbolo degli anni ’80? Come avrebbe detto l’ormai compianto commendator Zampetti (all’anagrafe Guido Nicheli, protagonista milanese del telefilm “I ragazzi della terza C” tanto in voga qualche anno fa sul piccolo schermo): “taac, il gioco è fatto”. L’Alfa 6, dal maestro degli affreschi Giorgio Michetti, racchiude l’incontro tra la concezione futuristica dell’automobile e il senso dell’arte del suo proprietario che l’ha voluta mitizzare con tinte vivaci, rendendola unica attraverso la rivisitazione di antiche figure mitologiche che pervadono, ben amalgamate, tutta la superficie. Una sensazione di forza mista ad eleganza concettualmente trasmessa dal modello e visceralmente legati all’energia del tratto e del colore. Una coppia, i
34 - la nuova tribuna - Settembre 2015
centauri, le nuvole, tutti indissolubilmente legati in un unico racconto sotto un cielo terso. Michetti, viareggino classe 1912, una vita dedicata alla pittura con opere esposte nelle più famose gallerie nazionali, dopo aver condiviso l’adolescenza con altri concittadini destinati al successo (primo tra tutti il regista Mario Monicelli), da subito manifesta interesse per la pittura, convincendo i genitori ad
Scatti a Treviglio e Caravaggio del’Alfa 6, sopra il maestro Giorgio Michetti
iscriverlo al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti, allestendo già nel 1929 la sua prima mostra. Poi la guerra di Etiopia ed il secondo conflitto mondiale, periodo in cui si occupa d’illustrazione e di grafica pubblicitaria continuando a dipingere e frequentare, però, gli ambienti artistici di Viareggio. Trasferitosi a Milano nel 1962, decide di dedicarsi interamente alla pittura con un linguaggio basato sulla riscoperta della tecnica dell’affresco, che lo porta presto ad eseguire importanti opere pubbliche, con una prima esposizione di successo a Lugano, presso la Galleria Dante (1966) a cui ne seguiranno molte altre, in Italia e all’estero. LA VETTURA. Dipinta nel 1996 (esattamente dieci anni dopo essere stata acquistata) nel tentativo di dare colore alle città sempre più ingrigite e standardizzate, viene decorata in tutte le sue parti, valorizzata nella “livrea” con soggetti vari, con colori acrilici protetti da tre mani di vernice trasparente e con un risultato derivante dal flusso cromatico davvero sorprendente. Sbalordisce la scelta di un modello così “aristocratico” per la realizzazione di un’opera d’arte. Quando il modello Alfa 6 vede la luce nel 1979, le linee denunciano già nel design una gestazione troppo lunga del progetto: i legami con l’Alfetta sono fin troppo evidenti, e le sue proporzioni sono anacronistiche, con un corpo vettura lungo e stretto ed una carrozzeria ancora squadrata e con superfici non raccordate. Ma nel 1983 il modello subisce un leggero restyling ad opera di Bertone (il fregio del montante posteriore riprende la B stilizzata, marchio dello stilista) con un intervento comunque leggero e tardivo per cambiarne il destino. La versione 2.0 di cui è equipaggiata l’opera d’arte di Michetti è dotata di un motore 6 cilindri a carburatori (1996 cc, 135 CV a 5600 giri/min. per 185 Km/h di velocità massima, trazione posteriore) viene prodotta fino al 1987 per un totale di 12.288 esem-
clessidra87.it
ContoMelograno
plari, lasciando il testimone all’innovativa 164 a trazione anteriore. IL RESTAURO. Quest’auto torna alla luce dopo esser stata nascosta per più di un decennio; acquistata nell’estate del 2014 da Domenico e Giovanni Pepe, titolari della carrozzeria e dell’omonima Squadra Corse di Calvenzano (BG), specializzata nel restauro di autovetture d’epoca e da corsa, l’auto è appena stata oggetto di un leggero restauro conservativo, necessario per preservarne l’antico splendore. In particolare, l’attenzione di Domenico e Giovanni si è rivolta alla salvaguardia della tripla mano di vernice trasparente apposta sul dipinto e sulla necessità di conservare alcuni importanti dettagli dell’auto che, a causa del tempo, bisognava riprendere. La meccanica, invece, non ha avuto bisogno di particolari interventi se non di un ottima messa a punto da loro stessi curata grazie alla preziosa collaborazione di mani esperte, un punto di forza della loro carrozzeria. Lo scorso mese di marzo, tra l’altro, l’Alfa 6 “Michetti” è stata tra le protagoniste di un’importantissima manifestazione automobilistica, Milano AutoClassica, grazie all’interesse che ha suscitato nel Direttivo di Associazione CinemAlfa, sodalizio trevigliese che si occupa proprio di tutelare il ruolo dell’automobile (in particolare proprio delle vetture Alfa Romeo) nel mondo della cinematografia e della cultura. Per l’occasione l’opera d’arte ha attirato non solo lo sguardo dei visitatori e dei curiosi, ma anche degli addetti stampa del settore (tra cui è d’obbligo citare la recensione della nota rivista di settore Ruoteclassiche) proprio perché da molti anni se ne erano perse le tracce. Ora, orgogliosamente, arricchisce il nostro territorio ed è per questo che per presentarvela in esclusiva l’abbiamo portata in due luoghi simbolo della Gera d’Adda: il Santuario di Caravaggio ed il Teatro Filodrammatici di Treviglio dove, proprio come nelle intenzioni del suo pittore, i soggetti raffigurati e la vivacità cromatica hanno rappresentato una nota colore in un grigio pomeriggio di fine inverno sulle strade della bassa bergamasca.
zero
spese fino al
31.12.2015 PER TUTTI I NUOVI CLIENTI IL CONTO CORRENTE CHE METTE A FRUTTO I TUOI DESIDERI. CONVENIENTE, TRASPARENTE, FLESSIBILE, FIDATO Canone trimestrale* Operazioni illimitate Carta Bancomat BCC Cash Relax Banking (Home Banking)
0 euro 0 euro 0 euro 0 euro
TI ASPETTIAMO IN FILIALE
www.cassaruraletreviglio.it
* Zero spese fino al 31 dicembre 2015. Poi, a trimestre, 18,00 euro per i Soci - 22,00 euro per i Clienti La presente comunicazione ha natura di messaggio pubblicitario con finalità promozionali. Per il dettaglio delle condizioni si rimanda ai fogli informativi presenti presso tutti gli sportelli e sul sito internet della banca.
LA MIA BANCA È DIFFERENTE
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
35
Associazioni/Sanità
Ospedale: l‘importante presenza dei volontari di Carmen Taborelli
Sulla spinta di don Piero Perego, cappellano dell’ospedale, il volontariato è presente nel nostro nosocomio e opera in simbiosi con i reparti. Un esempio: l’associazione “Volontariato Istituzionale in Ospedale”, che opera da oltre un decennio
N
ato da un’intuizione dell’allora cappellano don Piero Perego, il volontariato è presente nell’Ospedale Treviglio-Caravaggio da oltre un decennio. Si tratta di un’importante risorsa, di un’azione solidale e gratuita a servizio delle persone e, in senso lato, delle comunità del nostro territorio. Questa intervista, oltre a entrare nello specifico del volontariato che opera nella struttura ospedaliera, intende offrire alcuni spunti generali di riflessione sull’essenza costitutiva del volontariato stesso, prescindendo dall’ambito in cui esso opera. A rispondere, in modo congiunto, sono la psicologa dott. ssa M. Luisa Bonetti e la segretaria del “Volontariato Istituzionale in Ospedale”, Patrizia Vertova. Qual’è l’obiettivo primario del volontario in ospedale? «L’obiettivo primario è mettere a disposizione degli altri il proprio tempo e le proprie capacità. È desiderio di aiutare la persona nel momento difficile della malattia e, molte volte, della solitudine». Quanti sono i volontari in servizio? In quali ambiti e con quali funzioni specifiche operano? «I volontari del Gruppo “Volontariato Istituzionale in Ospedale” sono circa venticinque, per la maggioranza donne. Sono un buon numero, ma sicuramente insufficienti
36 - la nuova tribuna - Settembre 2015
per i tanti ruoli che si possono svolgere da volontari in un ospedale. Sono suddivisi in tre gruppi: le persone che sono presenti in Ufficio ad accogliere le richieste che arrivano dai reparti o dai parenti dei ricoverati e organizzano l’assistenza. Ci sono i Volontari del Gruppo “Pasti” che aiutano i degenti durante il pranzo o la cena. Per ultimo quelli
Sotto il compianto Don Piero Perego, cappellano dell’Ospedale di Treviglio. Sopra il volontario e coordinatore Aldo Galli con Maria Fontana, “volontaria storica” presente e attiva fin dall’inizio. A sinistra alcuni volontari con la psicologa dottoressa Maria Luisa Bonetti (la seconda da sinistra in piedi)
che danno la loro disponibilità per un po’ di compagnia e di ascolto». Svolgono il servizio in modo autonomo o sono coordinati? «Il Volontariato in Ospedale è organizzato in tutti i suoi aspetti. C’è un coordinatore, Aldo Galli, che quotidianamente pianifica l’attività dei volontari in base alle richieste pervenute». I gruppi sono sottoposti periodicamente al vaglio critico così da adeguarli al mutare delle esigenze? «I volontari sono formati da periodici incontri di aggiornamento con figure professionali molteplici: infermieri, medici e psicologi». Nella struttura ospedaliera di Treviglio operano altre associazioni di volontariato? «Oltre al nostro gruppo ci sono altre Associazioni del Territorio che prestano attività anche in Ospedale. L’Associazione Amici di Gabry assicura la presenza quotidiana in Oncologia con quattro volontari e un segretario per tre mattine la settimana. L’AILAR ha tre volontari che tengono il collegamento tra la loro associazione e il reparto di ORL. I volontari dell’Associazione Cuore e Vita prestano servizio quotidianamente all’ambulatorio di Cardiologia. L’ABIO collabora nel reparto di Pediatria con volontari preparati in modo specifico». Oltre a svolgere un servizio di assistenza alle persone, il volontario o chi lo rappresenta riesce a interloquire con la Direzione dell’Azienda ospedaliera così da rappresentare le esigenze, i bisogni, i
Professionisti informano problemi che emergono? «Ogni qual volta emergono situazioni di particolare bisogno il volontario può rivolgersi alla Capo Sala del Reparto o all’Ufficio Infermieristico competente. Anche la Direzione Aziendale, nella figura del Direttore Generale dr. Cesare Ercole, è sempre disponibile all’ascolto delle necessità dei volontari». Il ruolo del volontariato è integrativo o sostitutivo, nel senso che copre i “buchi” istituzionali? «Il ruolo del volontario non è sostitutivo ma d’integrazione e collaborazione con il personale di reparto che ha una funzione professionale ben diversa da quella del volontario. Il personale sanitario svolge una professione, il volontario opera in forma gratuita per essere presente in modo efficace al fianco del malato. Spontaneamente non cresce nulla e l’improvvisazione molto spesso non paga. Anche in questo ambito occorre essere preparati, credibili e rispettosi. Da qui la necessità di formare e, prima ancora, di ponderare le attitudini e le motivazioni di chi intende candidarsi a “fare” il volontario». È prevista una griglia di accesso? Vi è capitato di dire “No. Grazie!”? «Ogni qual volta si presenta un aspirante volontario, gli viene proposto un colloquio con la Psicologa che valuta le reali motivazioni e gli interessi per svolgere il volontariato nei diversi ambiti ospedalieri. Qualora non si ritenga ci sia una seria motivazione non si accetta la candidatura. Quando un nuovo volontario viene arruolato è invitato a seguire, se non l’ha già fatto, il prossimo corso di preparazione». L’espressione “volontari a tempo perso” contiene una connotazione negativa. Meglio allora essere “volontari nel tempo libero”, libero da impegni che gerarchicamente sono prioritari e vengono prima anche del volontariato? È così? «Fare il volontario, soprattutto in Ospedale, a fianco del malato e di chi soffre, non è un modo di “passare il tempo”, ma deve essere una scelta motivata e consapevole». Il volontariato toccherà il suo apice quando diverrà superfluo perché la solidarietà sarà diventata costume diffuso. È pura utopia? «Il volontario avrà sempre modo di dedicare il suo tempo agli altri». La comunità/città ha consapevolezza del vostro importante e delicato servizio? Lo apprezza e soprattutto lo sostiene? «Il volontariato in Ospedale, attivo ormai da più di dieci anni, è conosciuto dal Territorio e periodicamente anche la stampa locale dà risalto a questo importante servizio. L’apprezzamento migliore ci arriva dai malati stessi che hanno ricevuto l’aiuto nel momento del bisogno. I volontari sono inoltre visibili nelle manifestazioni e nelle iniziative territoriali». Per avere ulteriori informazioni basta rivolgersi alla sede del Volontariato, Piano zero del percorso giallo dell’Ospedale. La sede è aperta dal lunedì al venerdì, dalle ore 14.30 alle ore 16.30.
Impianti dentali meno invasivi e meno costosi
L’innovazione scientifica ha introdotto nuove tecniche che migliorano i risultati diminuendo i disagi, così anche i pazienti con gravi atrofie ossee possono essere riabilitati senza ricorrere a complesse chirurgie ricostruttive
L
’implantologia orale moderna nacque nel 1977 grazie agli studi dello svedese Branemrak; prima di allora le uniche alternative per sostituire i denti mancanti erano i ponti, che comportavano la necessità di rimpicciolire e ricoprire i denti vicini, o utilizzare le protesi mobili con tutti i disagi ad esse legati. Inizialmente solo i pazienti con molto osso residuo venivano considerati idonei all’implantologia, gli interventi si svolgevano in sala operatoria ed erano molto invasivi, i tempi di guarigione erano lunghi e l’unico obiettivo era quello di sostituire i denti mancanti senza grandi pretese riguardo al risultato estetico. L’innovazione scientifica riguardo le superfici implantari, le tecniche chirurgiche e la radiologia tridimensionale, ha permesso di migliorare i risultati diminuendo i disagi: infatti anche i pazienti con gravi atrofie ossee possono essere riabilitati senza ricorrere a complesse chirurgie ricostruttive. Ora gli interventi richiedono incisioni ridotte, addirittura in alcuni casi l’intero intervento può essere svolto senza incisioni né punti di sutura. Tutto questo in generale permette di ridurre
tempi di guarigione e costi. Prendiamo ad esempio il classico caso di un paziente con un mascellare privo di denti, il cui osso sia andato incontro ad atrofia: una volta avrebbe dovuto sottoporsi a due interventi complessi, uno per ricostruire l’osso, l’altro per l’inserimento di 8 o 10 impianti, poi attendere almeno 12 mesi prima di avere dei denti fissi; oggi, con un solo intervento ambulatoriale e un numero di impianti mediamente dimezzato, può ricevere i denti fissi già dopo poche ore; e tutto a un costo nettamente inferiore.
Via Giacomo Matteotti, 11 Treviglio (BG) - 0363/49846 info@studioazzola.it www.studioazzola.it
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
37
Imprese straordinarie/Cammino per la pace
Per ricordare il papà, a piedi da Mauthausen di Daniela Regonesi
I figli di Giuseppe Bertola hanno voluto ripercorrere la strada che il padre fece per tornare a casa dopo essere stato prigioniero dei nazisti. Tutta Arcene ha voluto partecipare all’evento seguendoli passo passo con affetto
C
hissà se Giuseppe Bertola, per Arcene semplicemente “Pepi del Cicì”, classe 1924, quando seguiva i primi passi traballanti dei suoi figli Battista e Nori, con quel misto di orgoglio ed apprensione che in quei momenti riempie gli sguardi dei papà, avrebbe mai potuto immaginare che i suoi “ragazzi” un giorno avrebbero percorso 1.111 km, per onorare la memoria sua e di chi come lui è stato deportato in campo di concentramento? Doveva essere un’iniziativa privata, ristretta alla famiglia e al gruppo podistico di Arcene, ma l’idea di Nori, in progetto già da una dozzina di anni e divenuta ipotesi concreta nel maggio del 2014, ha raccolto via via sempre maggior entusiasmo e consensi a tal punto che, durante la celebrazione del settantesimo anniversario della Liberazione d’Italia del 25 aprile scorso, l’Amministrazione Comunale ha distribuito a tutti i cittadini un opuscolo a ricordo della prigionia del signor Bertola e, prima della loro partenza, ha definito l’impresa dei suoi figli “cammino di pace”. Uomini abituati alle corse (la Cento Chilometri del Passatore di maggio è solo l’ultima gara che hanno nelle gambe) sanno bene che «la preparazione era indispensabile, non si può improvvisare, ed è stata sia fisica che mentale, perché sai che sarai là solo. Poi è necessario programmare il periodo e sistemare tutte le cose di casa, sapendo che per almeno un mese non ci sarai, il che non è semplice, soprattutto se sei un nonno babysitter come me», mi spiega Battista, mentre Nori ammette che «c’è da dire che siamo fortunati perché la natura è dalla nostra parte:
38 - la nuova tribuna - Settembre 2015
abbiamo gambe, cartilagini e apparati circolatori che ci hanno permesso di affrontare quest’impresa. Abbiamo una buona eredità ricevuta dai nostri genitori». Sono due sessantenni abituati alle corse, è vero, ma l’allenamento è stato fatto ad hoc, perché «camminare con lo zaino in spalla è totalmente diverso dal correre: cambiano gli appoggi del piede, la postura. Per questo Battista ha sofferto per le “fiacche” fin dall’inizio. Nei primi dieci giorni abbiamo percorso 400 km, ossia 40 km netti al giorno, che si traducono in dieci/dodici ore di cammino quotidiano». Anche la scelta del periodo non è stata casuale: era necessario prestare attenzione al passaggio delle Alpi, a quota 2500/3000 metri, perciò la prima metà di luglio era il momento più adatto e con meno rischio di trovare bufere. In realtà la scelta non è stata delle più felici, poiché un handicap che li ha accompagnati per tutto il percorso è stato proprio il caldo esagerato. Ma l’aspetto forse più singolare della loro preparazione sta nel crescendo di curiosità, affetto e partecipazione che hanno saputo suscitare in tante persone, conosciute o meno: «vedendoci allenare tantissimi ci hanno avvicinato e/o accompagnato, curiosi e desiderosi di incitarci e condividere analoghe esperienze vissute dai loro famigliari; molti ci hanno confidato “anche mio fratello ritornò a piedi dalla Russia”, “anche mio padre era in campo di concentramento”... Hanno compreso la nostra volontà di onorare la memoria di tanti, non solo del nostro papà, ed è una cosa che ci riempie di orgoglio, come il fatto che molti altri si siano aperti e ci abbiano fatti partecipi dei loro ricordi». I due fratelli sono dunque partiti in treno - come i tanti innocenti che dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano hanno raggiunto la prigionia o la morte - e sono arrivati a Mauthausen il 20 giugno. Lì sono stati accolti dalla pioggia e dai responsabili del memoriale che, avvisati via email dell’impresa che stavano per cominciare, hanno riservato loro onori e gratitudine: mai nessuno prima di allora aveva intrapreso un’impresa simile. Consegnati i doni e letti i pensieri affidati loro dai compaesani (vedi box), Nori e Battista si sono trovati catapultati nell’orrore nazista vissuto dal loro padre appena ventenne: «è stata
un’emozione forte, innanzitutto perché ci è passato il papà, e con lui tante altre persone. Il primo pensiero che ti sfiora è “speriamo che queste cose non accadano più”. Vedi e immagini tutti quegli orrori e ti commuovi: la sofferenza è ancora nell’aria. Vedi le baracche, le lapidi, il muro, ma te li immagini “vivi”. La mente corre avanti e già è difficile digerire il fatto che lì ci sia stato il tuo papà...» confida il primo, mentre Battista sottolinea come prima della visita sia opportuno documentarsi, essere preparati e, una volta là, uscire dalla propria mente ed immaginarsi l’orrore, perché «ti sembra persino di sentire i suoni orrendi di allora»; comunque concordano che, indipendentemente dalle vicende dei propri famigliari, la visita al campo di concentramento è un’esperienza che va fatta. L’indomani hanno quindi iniziato il cammino di ritorno, cercando di intraprenderlo nel modo più fedele possibile a quello seguito dal proprio padre, sebbene questi non parlasse né spesso né volentieri della propria esperienza: «aveva accennato al fatto di essere rientrato in Italia senza passare dall’Austria, ma non conosciamo l’itinerario preciso. Non sappiamo nemmeno se abbia potuto approfittare di qualche aiuto o passaggio». Comunque sia, equipaggiati con soldi, abiti adatti e telefono per le emergenze (senza però connessione internet), un passo dopo l’altro sono ritornati in patria attraversando Germania, Austria e Svizzera, incontrando principalmente tre difficoltà: alimentazione, acqua e orientamento, poiché non sempre trovavano dove acquistare o chiedere cibo, il sole ed il caldo li disidratavano, ed il gps non era ag-
Bertola e la scatola della memoria
Sopravvissuto miracolosamente alla prigionia, ora uno scrigno lo ricorda a Mauthausen
L A sinistra i fratelli Bertola in partenza da Mauthausen, sopra il traguardo dei 1000 km percorsi, a destra l’arrivo ad Arcene.
giornato. Avevano preparato delle mappe con tappe di 25 km, ma la scala era troppo grande e rendeva pressoché impossibile orientarsi tra il punto di partenza e quello di arrivo, quindi hanno sbagliato strada tante volte, godendo così della bellezza del paesaggio, ma anche finendo in campi di ortiche alte più di loro, o in foreste piene di zanzare che li hanno quasi dissanguati. O ancora in campi di grano estesi a perdita d’occhio, dai quali spuntavano solo i tricolori attaccati ai loro zaini, e per uscire dai quali hanno seguito le orme lasciate dal trattore sul suolo. A volte hanno scorto la salvezza di un campanile da lontano, impiegandoci però due ore per raggiungerlo... A Ruthi, in Svizzera, si sono smarriti sulle colline, ma mai si sono persi d’animo: «siamo stati pionieri della strada, non sapevamo mai cosa c’era dietro ad una curva, e questo era anche un po’ il bello del cammino». Sono consapevoli che, in esperienze simili, avere il compagno giusto al proprio fianco fa la differenza perché si combatte insieme, e lo sconforto ha rischiato di avere la meglio su di loro non tanto quando sbagliavano strada e dovevano tornare indietro per chilometri, piuttosto alla sera quando cercavano un posto dove lavarsi e dormire e dovevano allungare ulteriormente il percorso; però si dicevano “saremo un po’ più fortunati più avanti”, oppure “devo farcela, perché se sopporto queste cose sopporto tutto”, persino il cenare semplicemente con un bicchiere di birra perché il bar dell’albergo non ha alcunché da mangiare... Non mancano gli aneddoti divertenti, nel racconto dei fratelli Bertola, come quando in Germania, sfiniti dal sole e dalla monotonia del percorso rettilineo di 36 km lungo l’argine del fiume Inn, hanno bussato alla porta di un convento di suore, chiedendo a gesti ristoro ed ospitalità per la notte: si sono visti offrire la “stanza del pellegrino”, nella quale sono A sinistra Nori Bertola all’interno del lager legge i pensieri che sono stati affidati a lui e suo fratello dagli arcenesi, poi sotto sole cocente in mezzo a distese di mais. A destra una foto ricordo con la famiglia che li ha ospitati generosamente. Nel box a destra la scatola creata per custodire i doni portati al memoriale
stati chiusi dentro a chiave. Una volta lavati e cambiati hanno atteso trepidanti il momento di mangiare che, come era stato indicato loro sempre gesticolando, sarebbe stato alle 8. Purtroppo le religiose intendevano le 8 del mattino, pertanto il pranzo e la cena della giornata si sono ridotti al contenuto dei loro zaini: due barrette di cioccolato, tre pesche noci ed un panino. Il cammino ha fatto apprezzare loro anche il paesaggio, constatando anche come i nostri vicini europei sappiano preservarlo, goderlo e rispettarlo molto più di noi: «abbiamo percorso 1111 km, ma in 950 km percorsi tra Austria, Germania e Svizzera non abbiamo trovato lo sporco che c’è tra Pontirolo e Arcene!» Battista e Nori non hanno mai accettato passaggi, ma portano con loro tante facce, tanti ricordi di gente che li ha aiutati, come ad esempio Albert il pittore, una coppia di pensionati e il veterinario Andrea. Quest’ultimo li ha aspettati fuori dal supermarket dopo averli sentiti chiedere indicazioni alla commessa e li ha ospitati a casa sua, e tanti tanti altri hanno fatto lo stesso: «quando sapevano cosa stavamo facendo erano onorati di poterci offrire qualcosa, donavano con il cuore e noi abbiamo sempre cercato di ricambiare con un contributo simbolico, o almeno con un sorriso»; Nori ha infatti deciso di ribattezzare la loro impresa “il cammino della pace, del sorriso e della simpatia” che hanno permesso loro di ricevere tanto affetto, aiuto e ospitalità. E così, ripensando a ciò che ha accompagnato tutti i loro passi, dal grigio ricordo
e truppe alleate entrarono nel campo austriaco di Mauthausen il 5 maggio 1945, trovandovi cataste di morti e 16.000 deportati ancora vivi. Tra questi Giuseppe Bertola, 21 anni e 29 kg di peso: fu arrestato nel maggio del ‘44 come prigioniero politico mentre si trovava in piazza Duomo a Milano, trasferito al carcere di Brescia per un mese e poi destinato ad Auschwitz; ma finì a Mauthausen perché, per sua fortuna, possedeva qualche nozione di meccanica: conoscere tornio e calibro gli permise di essere impiegato nel montaggio delle ali degli aerei. Nel campo di concentramento nazista, l’ultimo dei principali a essere liberato, lo sterminio era attuato appositamente e scientificamente mediante il lavoro stesso. Il 16 maggio 1945, in occasione del rimpatrio del primo contingente di deportati, si tenne sul piazzale dell’appello una grande manifestazione anti nazista, al termine della quale fu approvato il testo del “Giuramento di Mauthausen”. Esso fa parte dei doni lasciati dai fratelli Bertola al memoriale, insieme alla bandiera italiana, il volantino distribuito il 25 aprile scorso dal comune di Arcene, una copia del manifesto attestante la prigionia del loro papà, i pensieri degli arcenesi (raccolti nelle urne messe a disposizione per un mese presso la sede comunale, l’oratorio, la biblioteca ed il polo scolastico), un libro su Arcene, la Costituzione Italiana, due medaglie ed una pergamena dell’Amministrazione Comunale. Essi sono custoditi in una scatola in metallo appositamente creata, sulla quale sono state riprodotte alcune immagini evocative - tra le quali il viso del signor Bertola e il suo libretto di identificazione come civile internato a Mauthausen - e avvolta dal filo spinato, come era ed è tutt’ora il campo. Tutti questi oggetti saranno catalogati dalla direzione del memoriale e poi esposti tra gli altri reperti. (d. r.)
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
39
Ascoltare Cercare Sorprendere Viviamo in stretto legame con il mercato immobiliare e siamo un consolidato riferimento per il mercato locale. Preferiamo contatti diretti, immediati ed informali con l'obiettivo di costruire servizi su misura facendo incontrare, con forte capacità, la richiesta e l'offerta. La nostra struttura organizzativa è collaudata ed efficace, vanta esperienza e competenza nel settore sin dagli inizi degli anni '80. Il nostro punto di forza è l'attenzione riservata ai clienti creando un rapporto di fiducia costante e duratura. La Fumagalli immobili di Giancarlo Fumagalli è iscritta alla CCIAA ed alla FIAIP di Bergamo.
TREVIGLIO – QUADRILOCALE CON TERRAZZO DI 180 MQ – RIF. Q11 Prestigioso appartamento di circa 190mq con 180mq di terrazzo. L'immobile si trova al piano primo di una palazzina appena fuori dalla zona pedonale del centro storico. La casa è composta ingresso, ampissimo soggiorno con uscita sul terrazzo, cucina abitabile, disimpegno, doppi servizi, due ampissime camere oltre a camera matrimoniale con cabina armadio doppia. Ottime finiture di pregio. Box e cantina. Trattative riservate (Classe D – I.P.E. 103,95kWh/mqa)
PAGAZZANO – BILOCALE CON BOX B05 Bellissimo bilocale posto al secondo ed ultimo piano con ascensore. L'appartamento è composto da ingresso, soggiorno con angolo cottura e balcone, disimpegno, bagno, camera matrimoniale con balcone e ripostiglio. Buone finiture, tutto completamente e finemente arredato. Termoautonomo, ascensore, aria condizionata. Box compreso nel prezzo! (classe D – 106,82 kWh/mqa)
€ 94.000,00
40 - la nuova tribuna - Settembre 2015
TREVIGLIO – BILOCALE CON BOX B26 Grazioso bilocale al piano terra in una recente palazzina. L'appartamento è composto da ingresso, soggiorno con angolo cottura ed uscita sul giardino privato, disimpegno, bagno e camera matrimoniale. Buone finiture, parquet in camera matrimoniale, aria condizionata, arredato completamente. Giardino su due lati tutto piantumato. L'immobile viene venduto abbinato ad un box.
CALVENZANO – TRILOCALE DUPLEX In recentissimo intervento proponiamo nuovo appartamento in villa su due livelli. L'appartamento al piano primo è composto soggiorno con terrazzino, cucina a vista e bagno. Al piano secondo è presente una mansarda con due camere da letto, un ampio disimpegno ed un bagno. Ottime finiture, parquet in mansarda, predisposizione aria condizionata, riscaldamento autonomo. Box e cantina al piano interrato.
€ 140.000,00
€ 205.000,00
(classe D – 93,59 kWh/mqa)
(classe D – 99,39 kWh/mqa)
Cammino per la pace
Imprese/Giovani intraprendenti
Canne di bambù nascono al Roccolo di Cristina Signorelli
Un bambuseto sta per nascere nelle nostre campagne grazie a due intraprendenti sorelle, Marianna e Cinzia Ziliati, che hanno intrapreso questa nuova attività imprenditoriale stimolate dalla mamma Carmen Ferri
Nori Bertola consegna la pergamena al vice direttore del memoriale
dell’orrore di Mauthausen fino al calore dell’accoglienza di tutta Arcene, radunata in piazza ad attenderli il 21 luglio scorso, con famigliari, amministrazione comunale, alpini e podistica ad accompagnare nell’ultimo tratto questi due fratelli, non possono non riconoscere di aver imparato moltissime cose: innanzitutto l’importanza di ritornare alla terra, di recuperare il contatto con la natura per saper vivere di ciò che essa dona. Poi faranno tesoro della grandissima e bellissima sorpresa che è stata l’accoglienza della gente, che ha fatto comprendere loro la necessità di imparare ad osare, a chiedere aiuto, perché a volte si ricevono rifiuti, ma il più delle volte la disponibilità delle persone va al di là delle proprie aspettative. Infine, mi spiega Nori, «questo viaggio ha cambiato il mio modo di pensare e di valutare le cose; ad esempio il non mangiare ti fa riconsiderare il valore del cibo: avevo i soldi in tasca, ma se non c’era dove acquistare un pasto, non potevo certo mangiarmeli». Suo fratello concorda, convinto che quando si vuole ottenere qualcosa bisogna fare sacrifici e assumersi le proprie responsabilità. C’è un miscuglio di soddisfazione, orgoglio, emozione e riconoscenza nelle parole dei due fratelli, definiti scherzosamente “vecchietti” in uno dei tanti striscioni appesi in paese per dar loro il benvenuto, ma che con il loro cammino sono in qualche modo tornati indietro, nello spazio e nel tempo, ad ammirare le stelle come insegnava loro da bambini il papà, ad una vita più dura ma genuina, consapevoli che a compiere il viaggio non erano solo in due. Sicuramente lungo la strada i Bertola erano in tre, perché chi li ha preceduti li ha accompagnati con il suo sguardo, talvolta apprensivo, sempre orgoglioso.
«In 950 km percorsi tra Austria, Germania e Svizzera non abbiamo trovato lo sporco che c’è tra Pontirolo e Arcene!»
S
e avete sempre pensato che per ammirare le slanciate forme della pianta di bambù avreste dovuto percorre migliaia di chilometri e arrivare in Asia, bene, vi siete sbagliati, perché è sufficiente imboccare la strada del Roccolo e troverete un vero e proprio bambuseto alle porte di Treviglio. Infatti, due giovani donne trevigliesi, Marianna e Cinzia Ziliati, insieme alla loro mamma, hanno deciso mesi addietro di avviare questa insolita coltivazione. Marianna racconta che è stata proprio la mamma, Carmen Ferri, che ha lanciato l’idea di piantare il bambù quando, del tutto per caso, ne ha conosciuto i pregi, in particolare l’uso alimentare dei germogli. Mamma e figlie hanno approfondito il tema scoprendo che la varietà del bambù gigante è un sempreverde che raggiunge i 20/25 metri di altezza con un diametro di circa 15 centimetri e produce germogli delle dimensioni di una patata che sono assolutamente commestibili. Marianna, giovane chef, si entusiasma descrivendo le qualità del tubero: «Il germoglio di bambù ha un sapore molto delicato, in qualche modo simile alla nostra zucchina, e può essere consumato in moltissimi modi, sia crudo che cotto. Dato il gusto leggero può essere interpretato a proprio piacere, abbinandolo anche a sapori molto decisi per stemperarne la forza o, come ho sperimentato personalmente, per farne deliziosi dessert». Il progetto, approvato dalla Regione Lombardia, è stato avviato l’anno scorso. Dopo aver identificato il terreno ideale, sono state acquistate circa tremila piantine di bambù; ma solo all’inizio di quest’anno, dopo diversi ritardi dovuti sostanzialmente al cattivo tempo che costituiva un forte rischio per la sopravvivenza degli arboscelli, è stato effettuato il trapianto nel terreno delle pianticelle. «Le quali - rileva Marianna - poste al riparo dopo la pacciamatura che abbiamo realizzato con compost, ovvero composta organica per rispettare appieno il risultato di coltivazione biologica, si svilupperanno dapprima molto velocemente, arrivando poi a completa maturazione tra circa un paio d’anni. Sarà dopo di allora che finalmente potremo cogliere i frutti del nostro lavoro. Da quando si svilupperanno i primi germo-
gli, la coltivazione ne produrrà oltre una decina di tonnellate tra aprile e maggio, dipendendo il raccolto dalle condizioni atmosferiche». Attualmente il germoglio di bambù è quasi esclusivo appannaggio della cucina vegetariana e vegana in particolare, molto quotato sia per la scarsità di offerta del prodotto fresco, non esistendo quasi produzione in Italia, che per il segmento di mercato fortemente di nicchia nel quale è collocato; ma, date le caratteristiche organiche (è ricco di vitamine e sali minerali, oltre che di molti nutrienti fondamentali per l’alimentazione umana), le possibilità di sviluppo sul mercato italiano sono molteplici. Nei progetti di Marianna, Cinzia e Carmen vi è anche l’ipotesi di poter creare in un prossimo futuro, quando finalmente la coltivazione di bambù avrà raggiunto il massimo fulgore, un parco didattico a tema dedicato a grandi e piccini. Nel frattempo non resta che aspettare e assecondare il corso della natura, per cogliere fra non molto i primi germogli di bambù.
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
41
Imprese/Giovani di successo
Se la passione cambia la vita di Lucietta Zanda
Dopo aver parlato delle loro stupende immagini che hanno arredato l’Expo, ecco un viaggio appassionante nel magico mondo dei droni, oggetti volanti, ancorché identificati, che vediamo sempre più spesso sulle nostre teste
Angela 38 anni, tipica bellezza mediterranea, mora, alta, ama i tatuaggi e le serate in discoteca.
A
Zlatka è una bella ragazza bulgara di 37 anni, estetista, ama la moda, il giardinaggio, lo sport e la letteratura. Biljana ha 50 anni, istruttrice di yoga. Ama la natura e i viaggi. Cerca la sua anima gemella. Giuliana, 32 anni mora occhi da cerbiatta, estetista. Ama la musica e le serate con gli amici.
42 - la nuova tribuna - Settembre 2015
vevamo già incontrato i giovani trentasettenni Paolo Majolo di Treviglio e Loris Coniglio di Settala nel numero di giugno de “la nuova tribuna”, quando li avevo citati quali autori dell’installazione del Padiglione Italia all’EXPO 2015. Unici responsabili tecnici della realizzazione di tutte le fantasmagoriche immagini artistiche del nostro Paese che molti visitatori avranno ormai visto sfilare e moltiplicarsi sugli innumerevoli specchi di quell’ambientazione. Tanti avranno ammirato, emozionati di fronte a tanta bellezza, quel capolavoro; e gran parte di essi si sarà certamente chiesta come quelle riprese talmente spettacolari e perfette siano effettivamente state ottenute. Mi ero riproposta dunque in quell’articolo di approfondire ulteriormente l’argomento, ritenendolo molto attuale e sorprendente proprio per la singolarità tecnica ed applicativa del materiale impiegato per ottenere tali risultati, cioè i Droni. Loris e Paolo sono infatti i titolari della società “ACTION DRONE” -con sede a Caravaggio- che costruisce, vende e affitta droni da ripresa cinematografica. Ci faccio due chiacchiere nella loro nuova sede -dove si sono da poco trasferiti- così ampia e logisticamente comoda, vicina com’è all’uscita del casello della Bre-BeMi. Entrandovi, mi aspettavo esattamente quello che vedo: apparecchiature di preci-
sione, strumenti e contenitori pieni di tutto e… droni e dronetti sparsi un po’ ovunque. Persino una stampante tridimensionale con la quale -attraverso un filo di plastica che segue il disegno guidato dal computer- costruisce pezzi di droni. È la prima volta che ne vedo una e mi pare di sentire il rumore dei miei globi oculari roteare mentre la osservo basita. Paolo, togliendolo come per caso dal fondo impolverato di uno scaffale e tenendolo per le eliche che somigliano più alle zampe di un grosso insetto, mi mostra ciò che resta del numero uno, ovvero il drone originale da cui sono partiti. Ha l’aspetto un po’ stupido e disastrato proprio del drone sul viale del tramonto. «Ma come…?!» gli dico «questo mitico esemplare dovreste tenerlo esposto in una teca di vetro resistente e a prova di tutto,
Nella prima foto da sinistra Loris Coniglio e Paolo Majolo al comando di un drone. Di fianco Loris con altri membri della troupe cinematografica e Oscar Giannino. Sotto con Rocco Papaleo e a destra Terence Hill
appoggiato su un cuscino di velluto rosso come la “numero uno” di Paperone De’ Paperoni, o il microchip originario di Terminator e invece… che disastro!». «Ma figuriamoci» Paolo mi guarda come se avessi parlato armeno e con dissacrante praticità «lo abbiamo subito “cannibalizzato” perché ci servivano i pezzi per farne droni più recenti!». Mi spiegano che i primi tentativi di fabbricare gli apparecchi, ottenendo tra l’altro ottimi risultati e riconoscimenti, erano già stati effettuati a Treviglio. Persino il Corriere della Sera vi aveva dedicato qualche pagina centrale nel 2013 e già all’epoca avevano girato le prime riprese pubblicitarie con TIM, MERCURY, alcuni servizi sullo stato di avanzamento dei lavori per la Bre-Be-Mi e per la Protezione civile, e anche riprese di avanscoperta su piste per i piloti di formula 1, insomma cose già grosse. Ma, nonostante le sollecitazioni da parte degli interessati a prenderne atto, nessuno degli zelanti collaboratori dei nostri massmedia locali, aveva voluto dare importanza a questa rilevante novità in campo tecnologico. Una grossa opportunità e così a portata di mano per essere divulgata anche con una certa fierezza campanilistica… Che originali noi trevigliesi, costruiamo droni come nessuno qui in Italia e, tutto sommato, chissenefrega! I nostri due approdano a questa esperienza prendendo l’avvio entrambi dal modellismo. Paolo, che aveva avuto il “dono” da papà Dario, grande modellista di plastici ferroviari, era però partito come impostazione da un modellismo dinamico rispetto quello più statico del suo predecessore. I due giovani si incontrano per caso a quindici anni in una compagnia i cui membri erano tutti uniti dalla stessa passione: far volare aeroplani telecomandati. E la domenica si andava tutti quanti in un campo di volo a lanciare per aria i propri modellini. Alcuni cadevano e si rompevano e Loris e Paolo, che fin da piccoli erano abituati a massacrare i propri giocattoli per vedere com’erano costruiti, si offrivano da bravi tecnici di ripararli. Nel frattempo studiano, si diplomano, trovano lavoro come agenti di commercio
e anche le rispettive compagne per mettere su famiglia. Continuano però a tenere vivo l’interesse per la loro passione, fino a che decidono di aprire insieme un negozio di modellismo a Treviglio in via Zara, per costruire e vendere radio-modelli di elicotteri, macchine da corsa e aeroplani. La loro voglia di sperimentare continuamente però è grande e li spinge a curiosare oltre. Sarà Loris, che dei due è il più tecnico e ricercatore, a scoprire su Internet nel 2007, l’universo e l’impiego su vasta scala dei droni. E ne parla con Paolo. Si lanciano entusiasti in questa direzione scoprendone le infinite capacità d’impiego sul mercato. Ne costruiscono subito uno utilizzando come laboratorio il garage di Paolo: è rudimentale ma vola e fa riprese con una risoluzione molto buona. Annusano la forte possibilità di fare marketing e puntano tutto su questi micro-elicotteri, certi di poterli ancora perfezionare. Evvaiiii!!! Nasce così la “Action Drone”. Ma insomma, alla fine, cos’è poi questo drone? È un mini elicottero a otto eliche a pilotaggio remoto in grado di scattare foto e fare riprese, da trenta a duemila metri di altitudine. È composto da due parti distinte, e cioè il “Gymbal” che gestisce in modo autonomo la telecamera posta al di sotto, muovendola radiocomandata dall’operatore, nel nostro caso Paolo. E il “drone” vero e proprio, cioè la macchina da volo pilotata separatamente da Loris. Con un abile passaggio di mano dovuto al loro molto limitato tempo, i due giovani mi affidano per le spiegazioni di carattere tecnico all’onnipresente Dario Majolo, la cui dialettica è almeno pari al suo genio malefico. Gli chiedo subito quali sono i vantaggi di impiego rispetto ai mezzi tradizionali di ripresa. Mi risponde che innanzitutto riduce i costi e ha dei punti di inquadrature, per esempio quando si tratta di filmare in interno dall’alto, che diversamente non si potrebbero ottenere. E poi è in grado di controllare di volta in volta la qualità dell’immagine sempre altissima, anche in velocità secondo le indicazioni della regia. Tenendo conto dell’altezza e che vi sono delle eliche in rotazione continua, il fermo immagine risultante è sbalorditivo! La “Action Drone”, mi spiega, sta avendo molto successo e il suo intervento è molto richiesto in vari settori. In campo cinematografico: chi ha visto il film “La scuola più bella del mondo”, con Angela Finocchiaro e Christian De Sica, ricorderà certamente la ripresa iniziale dall’alto dell’autobus che si inerpica sulla collina. Per non parlare di “Un passo dal cielo 3” le cui riprese girate sul lago di Braies, vicino a Dobbiaco, sono state girate interamente da Loris e Paolo, e pare che a settembre verranno richiamati anche per il sequel. In questi casi i droni sono molto sofisticati, in grado di poter gestire immagini molto stabili e garantire la sicurezza in volo di telecamere tecnologicamente avanzate, pesanti e super costose.
Nel campo inoltre della Protezione Civile possono servire per gestire problematiche riguardanti la sicurezza o potrebbero rivelarsi utili in fatto di riprese di carattere paesaggistico, culturale o di semplice verifica e manutenzione di ogni singola parte di un monumento, di una chiesa o di un campanile molto alto come quello di Treviglio. Evitando così costi elevati di impalcature e tecnici. Hanno da poco finito di girare l’ultimo spot per Vodafone con l’attore Bruce Willis. E un altro per la grossa 500 x Fiat. Un altro ancora per la “Gran Fondo Bianchi”, oltre a filmati aziendali per la Noberasco e per la Mercury, per la Telecom alla Expo. Non hanno ancora avuto il tempo di promuovere la loro attività perché sono sempre molto presi; del resto il lavoro per fortuna, finora -mi spiegano- è arrivato spontaneamente basandosi sul passaparola. I punti di forza dei titolari sono molteplici: conoscono molto bene il mondo dei prodotti tecnologici disponibili sul mercato internazionale e quindi per ogni richiesta hanno sempre la soluzione ottimale. Offrono una qualità alta di realizzazione costruttiva, oltre a verifiche e collaudi estenuanti, come pure l’eventuale formazione dell’acquirente sull’uso del drone. Inoltre sono in grado di garantire assistenza tecnica per qualsiasi problema e reperibilità 24 ore al giorno. Chiedo infine a Loris e a Paolo quali difficoltà incontrano nel loro lavoro e mi spiegano che l’innovazione repentina in campo tecnologico li costringe a un aggiornamento continuo e a investimenti, per essere sempre all’avanguardia sul mercato e pronti a dare sempre il top al cliente. Sperano inoltre che la continua ricerca tecnologica, frutto della passione e del lavoro risultante dal loro fortunato connubio, possa continuare a mantenere loro l’attuale posizione primaria nel settore, facendo crescere e rafforzare negli anni la Action Drone. In un momento di grave difficoltà come quello che sta attraversando la nostra Italia oggi, lo sforzo di Loris e Paolo che sono riusciti a trasformare un semplice hobby in un lavoro così singolare e apprezzato, rappresenta ancora una volta lo spunto per tanti altri giovani a perseguire. Settembre 2015 - la nuova tribuna -
43
44 - la nuova tribuna - Settembre 2015
Storie di imprenditori/Trevi due
Marco Ferri: anche pulire è un’arte di Ilaria Ferrini e Daniela Leidi
Erede de “La Trevigliese”, la Trevi Due, meglio conosciuta con il logo “3v2”, è cresciuta negli anni ampliando sempre di più la sua presenza nel territorio. “La scelta di diventare cooperativa è stato un punto di forza e orgoglio” dice Ferri
L
a Trevi Due, nota impresa cooperativa operante nel settore delle pulizie civili e industriali, festeggerà nel 2016 il primo decennio di attività. Con orgoglio. 3v2 nasce infatti nel 2006 dalla sinergia tra nuove e giovani leve ed addetti storici, uniti dallo scopo di affrontare e cogliere le nuove sfide del mercato del pulito, con il desiderio di valorizzare e rilanciare l’esperienza dell’impresa di pulizie madre, “La Trevigliese”, fondata da Giulio Ferri e Silvana Inama (genitori dell’attuale Presidente Marco Daniele Ferri). Impresa che ha operato per oltre trent’anni nella Gera d’Adda. «Sono fiero di poter far crescere quanto avviato con successo dai miei genitori, che comunque ho inizialmente coinvolto nella fase di riorganizzazione e rimodernamento della nuova gestione - racconta Marco Ferri – ma fondamentale in questo passaggio è stato anche il coinvolgimento di giovani esperti e capaci, che hanno portato idee innovative e freschezza. Tra questi sicuramente va citato il nostro responsabile Ettore Bornaghi, professionista qualificato sia del pulito che del restauro». La prima decisione presa, che poi ha rappresentato il cambiamento, ha riguardato la nuova forma societaria scelta, optando per un’impresa cooperativa incentrata sul valore dei soci e del capitale umano di quanti hanno scelto di lavorarvi. È con questo spirito che dagli iniziali nove fondatori 3v2 è arrivata ai circa sessanta tra soci e lavoratori, di oggi. “Essere una cooperativa - spiega Ferri - è per noi motivo di orgoglio, le nostre assemblee sono momenti importanti di confronto e di condivisione di obiettivi. Siamo disgustati dal fenomeno delle finte cooperative o di quelle cosiddette mordi e fuggi che molte volte rappresentano anche per noi concorrenza sleale, ma siamo convinti che il problema vada cercato nelle persone e nella mancanza di controlli, non nella cooperativa in sé come società. La nostra, così come molte altre cooperative che ho avuto modo di conoscere in questi anni, dimostrano che questo tipo di modello d’impresa è un punto di forza». La chiacchierata prosegue ed emerge che nonostante l’avvio in un decennio contraddistinto dalla crisi economica, l’attività promos-
sa dagli stessi soci ha permesso di fidelizzare i clienti esistenti e di accrescere il numero di commesse, raggiungendo così le province limitrofe di Lodi, Crema, Brescia e Milano.
Tutto ciò è sicuramente stato reso possibile anche grazie al supporto e alla stretta collaborazione con Conast e Prometeo, consorzi di servizi presenti sul territorio lombardo. Grande importanza viene riservata alla formazione continua dei soci e dei dipendenti. Annualmente vengono tenuti corsi di aggiornamento che permettono di essere al passo con le migliori tecniche di pulizia. Effettuare una corretta manutenzione igienica è difficile, soprattutto se non si utilizzano le procedure corrette e i prodotti adeguati; ogni tipo di superficie necessita di un particolaretrattamento e di uno o più specifici prodotti dosati nella quantità corretta. A questo proposito la 3V2 si avvale della consulenza di operatori che si occupano della progettazione di nuovi prodotti per l’igiene ambientale. «In un periodo in cui è fondamentale il rapporto qualità prezzo - prosegue Ferri - la massima attenzione alla sicurezza e alla formazione sono tra gli elementi che ci permettono di garantire ai clienti la miglior resa possibile a qualunque loro richiesta. Siamo anche consapevoli dell’importanza dell’utilizzo di prodotti a impatto zero a livello ambientale. A tal proposito siamo costantemente alla ricerca di prodotti nuovi e innovativi che mirino al risparmio nell’utilizzo dell’acqua, bene prezioso che troppo spesso viene inutilmente sprecato». Marco Ferri spiega anche che l’utilizzo del “sistema ad osmosi inversa” per la pulizia di vetri in altezza e pannelli solari-fotovoltaici (vedi foto) «…è un esempio concreto di ricerca di innovazione ed attenzione alla sicurezza dei propri addetti». Chiediamo a Marco Ferri di sintetizzare in una frase la missione dell’azienda: «La trevi Due cerca di raggiungere ogni giorno l’obiettivo primario di rendere puliti e salubri gli ambienti nei quali siamo chiamati ad operare, ovvero di far vivere al meglio le persone che ci vivono e lavorano. Insomma, anche la pulizia può essere una passione, può essere arte».
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
45
46 - la nuova tribuna - Settembre 2015
Treviglio/Eventi
Benessere e salute in vetrina al PalaFacchetti di Cristina Signorelli
Anche la terza edizione si svolgerà presso il Palazzetto dello sport, dal 19 al 20 Settembre. Gli ottanta espositori presenteranno prodotti naturali per la salute, la cosmesi, cibi e persino di artigianato, non mancheranno le attività sportive
A
l PalaFacchetti il 19 e 20 settembre si presenta di nuovo l’occasione di conoscere ed approfondire temi legati alla salute sia fisica che mentale, entrambe strettamente correlate all’alimentazione e all’attività fisica, questo visitando la terza edizione del “Salone Salute, Benessere ed Alimentazione” promosso dall’Associazione “La grande Età”. Francesco Capurri, presidente dell’Associazione, ricorda che il nome è un omaggio a sua madre «Attrice e modella, organizzatrice di importanti rappresentazioni nei teatri milanesi e in molte città del Nord Italia, tra cui Treviglio nel 2000. Spettacoli dedicati agli anziani. Iniziative alle quali collaborai». Come ha cominciato ad occuparsi di benessere? «Quando l’Ufficio Cultura del Comune di Treviglio mi propose nel 2012 l’allestimento di una “due giorni” dedicata “All’invecchiamento attivo e solidarietà tra le generazioni”, come indicato dall’Unione Europea per quell’anno. Poi dall’idea iniziale una serie di riflessioni mi hanno portato all’attuale forma di evento, più esteso coinvolgente». Quindi siamo alla terza edizione, l’argomento offre diverse letture dello stare bene, in cosa consiste la sua proposta? «Il progetto, che avevo esposto anche al Sindaco, Prof. Giuseppe Pezzoni, consisteva nel creare con il Salone un punto di riferimento che avesse come finalità l’incontro con le molteplici realtà che ruotano attorno alla Salute e al Benessere, tema estremamente sentito. Infatti c’è un grande desiderio di
“riprendersi il proprio corpo” di metterlo in simbiosi con la propria mente, cosi che le due realtà possano interagire con il fine ultimo “dello stare bene con se stessi”. Circa ottanta espositori presenteranno molti dei rimedi che la natura ci fornisce per il benessere fisico, oltre ai prodotti di cosmesi naturale e di cura del corpo, cibi e prodotti di artigianato». Questo vale per il corpo, per la mente cosa avete predisposto? «Nei due giorni di apertura si terranno molte conferenze e incontri che amiamo chiamare “integratori per la mente”, si tratteranno temi diversi, spaziando dall’importanza del luogo in cui dormiamo a come imparare a leggere gli ingredienti chimici nei prodotti che acquistiamo, poi l’alimento come farmaco e molto altro ancora. Sarà all’interno della tensostruttura anche uno spazio olistico, dove si potranno sperimentare diverse tecniche di meditazione. Tecniche che forniscono un vero e proprio cibo per la mente, oltre che salutare esercizio fisico». Tra le novità di quest’anno vi sarà uno speciale spazio riservato ai bambini... «Alcuni incontri saranno momenti istruttivi per le mamme, per esempio spiegando le tecniche per favorire l’ascolto tra mamma e bambino, quelle di movimento, danza, yoga. Poi altri incontri di puro intrattenimento e gioco, cosi da permettere ai genitori una tranquilla visita al Salone. Voglio anche ricordare lo Showcooking, la scuola di cucina naturale dove si forniranno dimostrazioni pratiche. e nella parte finale, degustazioni gratuite dei piatti preparati».
Possiamo dedurre che il successo delle precedenti edizioni conferma l’interesse della popolazione al tema trattato? «Treviglio è un riferimento importante nella Bergamasca ed è sembrato il luogo ideale per dare risonanza e visibilità ad un progetto sano ed intelligente che chiunque potrà apprezzare venendoci a trovare. Mi preme poi sottolineare che gli spettatori troveranno durante l’evento molte importanti Società Sportive del territorio, cosi come iniziative sportivo-musicali per i giovani”. Le società sportive, a tal proposito, saranno protagoniste delle attività che si terranno all’esterno della struttura, cimentandosi in dimostrazioni ed esibizioni: basket, pallavolo, tennis, arti marziali ed altro ancora». Programma nutritissimo... «E non è tutto: domenica pomeriggio proporremo importanti intrattenimenti come la Danza del Ventre e lo Zumba Fitness, attività artistico-sportiva, accompagnata dai ritmi di musica latina, ottima per allenare tutte le parti del corpo». Manca un dettaglio, il prezzo d’ingresso è abbordabile? «Certamente, prezzi popolari. Adulti 3,00 euro, bambini fino a 12 anni gratuito, Studenti e Over 65 euro 1,50. Poi chi desidera entrare più volte, grazie ad una speciale tessera, avrà libero accesso durante tutto il week end al costo di 5,00 euro».
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
47
48 - la nuova tribuna - Settembre 2015
Aziende storiche e collezionismo
Il mito Atlantic in mostra a Treviglio di Silvia Martelli
“Ragazzo, hai 100 lire?”. Ecco lo slogan pubblicitario che lanciò l’azienda trevigliese, ancora un mito nonostante sia scomparsa da decenni, che rivivrà nella mostra “Treviglio in Gioco 2015” dal 12 Settembre al 4 Ottobre
D
opo la chiusura dell’Azienda i giocattoli Atlantic rimasero nel dimenticatoio per poco tempo: già agli inizi degli anni ’90, numerosi appassionati di collezionismo riscoprirono i pezzi Atlantic, attribuendo ad essi un valore del tutto nuovo, che andava ben oltre le famose “100 lire” dello slogan pubblicitario. È proprio grazie ai collezionisti, e per amore loro, se sabato 12 settembre Treviglio vedrà l’inaugurazione di una mostra dedicata esclusivamente ai giocattoli Atlantic. La mostra, che prende il nome di ‘AtlanticA’ si svolgerà in concomitanza alla manifestazione ludica “Treviglio in Gioco 2015”, rimanendo accessibile per tre settimane. È un’assoluta novità, un’esclusiva pensata appositamente per Treviglio in Gioco, così come dice Antonio Ciocca, l’ideatore di questa mostra che, da grande appassionato di giocattoli vintage e di giochi da tavolo, voleva affiancare a ‘Treviglio in Gioco’ uno spazio culturale strettamente legato al territorio. Ciocca racconta, inoltre, come, da ragazzo timido e introverso quale era, abbia usato il gioco come mezzo per relazionarsi con gli altri, “ricevendo molto e sperando di aver dato altrettanto”. L’obiettivo di questa mostra è riattribuire al termine gioco il suo vero significato, ormai snaturato dall’istintiva associazione con “la ludopatia, le slot machine e i gratta e vinci: la piaga dei nostri giorni”. L’Ufficio Cultura di Treviglio ha supportato da subito l’iniziativa, un vero tuffo nel passato per le generazioni degli anni ’60 e
’70, mettendo subito a disposizione la grande Sala Crociera della Biblioteca. La mostra ha trovato sostegno anche presso l’Associazione Commercianti Trevigliesi. «Tuttavia -afferma Ciocca- dopo un primo entusiasmo iniziale io e Mauro Menghini, l’altro curatore della mostra, ci siamo accorti che gli spazi erano enormi e che i costi di allestimento necessitavano di sponsor che ancora non avevamo. Abbiamo deciso dunque di lanciare una raccolta fondi attraverso la piattaforma digitale https://www.produzionidalbasso.com/project/treviglio-in-gioco2015-e-atlantica/». Mauro Menghini, massimo esperto dei prodotti Atlantic, ci spiega
Immagini dedicate all’Atlantic Giocattoli e in basso Antonio Ciocca, l’ideatore e curatore della mostra assieme Mauro Menghini, il più importante collezionista Atlantic e autore di preziosi cataloghi e volumi dedicati a questi giocattoli e alla storia dell’azienda
che sono ormai vent’anni che colleziona “i giocattoli della sua memoria” e sarà uno dei principali fornitori di pezzi per AtlanticA. Egli è inoltre autore di quattro volumi intitolati Viaggio nell’Atlantic, che definisce come «un progetto con la finalità di scoprire storie imprenditoriali della ditta, andando ben oltre la produzione vera e propria». La mostra, il cui ingresso sarà gratuito, esporrà centinaia di pezzi, alcuni dei quali talmente rari da necessitare di una polizza assicurativa. Questi comprenderanno non solo soldatini, ma anche scatole, plastici, manifesti pubblicitari, e perfino pezzi della linea di prodotti alimentari in plastica utilizzati dai bambini per il “gioco della spesa”. Tutti i prodotti Atlantic esposti alla mostra verranno forniti da collezionisti privati, che li metteranno a disposizione del pubblico per qualche settimana per la solo visione, non prevedendo dunque la modalità di vendita. Il 12 ed il 13 Settembre sarà possibile partecipare a visite guidate (gli orari verranno pubblicati sul sito www.treviglioingioco. wordpress.com) a cura degli organizzatori della mostra, che racconteranno la storia dell’Atlantic a partire dagli anni ’60 nonché aneddoti riguardanti i singoli pezzi. Nel contempo il numero di adesioni ricevute è andato aumentando giorno dopo giorno, sino a decuplicare le aspettative iniziali. Verranno quindi allestiti un centinaio di tavoli, compresi alcuni presso i quali il pubblico potrà cimentarsi nei vari giochi, con l’accompagnamento e l’attenta supervisione delle associazioni di gioco partecipanti. Durante il periodo di apertura della mostra sarà inoltre possibile acquistare un catalogo a tiratura limitata raffigurante i pezzi esposti, il cui ricavato contribuirà alla copertura dei costi dell’iniziativa. Verranno stampati anche manifesti con la storia della ditta trevigliese e dei prodotti in essa fabbricati. La mostra, che sarà preceduta da una conferenza stampa il 3 Settembre alle ore 19.30 presso l’Auditorium della Cassa Rurale, sembra un’occasione più unica che rara, una grande manifestazione i cui protagonisti saranno i giochi da tavolo. Settembre 2015 - la nuova tribuna -
49
Treviglio/Aziende del ‘900
“Catturarono” un pianoforte Pozzi agli austriaci
Z
ona di guerra 19 luglio 1916 Molto rev. Don Carlo Rossi (direttore del settimanale “La Sveglia”, ndr). «Nella vittoriosa nostra avanzata nei pressi di Asiago, abbiamo pescato, in una trincea abbandonata dagli austriaci in fuga, un piano verticale della ditta f.lli Pozzi di codesta città, che si vede divertiva, nelle poche ore di quiete, il soggiorno dei non troppo graditi ospiti. Hanno avuto per altro il buon senso di non guastarlo, talché oggi rallegra con le sue note gaie e sonore le ore del nostro riposo ben meritato. Anzi il fascino che si sprigiona da quei tasti, riempiendoci il cuore di nostalgici affetti, ci ricorda i bei tempi in cui la vita ci arrideva tranquilla e spensierata nell’indimenticabile Treviglio. Ringraziamo vivamente la ditta Pozzi del graditissimo strumento che rompe la monotonia di questi luoghi usi al rombo dei 305 e al miagolio dei ta-pum. La preghiamo di esprimere i nostri saluti alle nostre famiglie, amici e conoscenti, auspicando di vederci in tempi più prosperi e felici. Gradisca i nostri rispettosi ossequi e ci abboni al pregiatissimo suo giornale per il prossimo mese».
Obbligatissimi De Agostini Ernesto, Ravasi Alberto e Belloni Andrea
50 - la nuova tribuna - Settembre 2015
‘L verticàl della premiata ditta Pozzi di Carmen Taborelli
Ricostruiamo la storia “Della premiata fabbrica di pianoforti Giuseppe Pozzi e figli” con sede sociale in via Zanda. Ne parliamo con la nipote Augusta Milesi, che spiega come il nonno fosse apprezzato a livello internazionale
T
ra le ditte locali costruttrici di strumenti musicali, la più apprezzata e rinomata in assoluto fu la “Premiata fabbrica di pianoforti Giuseppe Pozzi e figli”, fondata nella prima metà dell’Ottocento. Con sede sociale e operativa in via Zanda, con possibile altro accesso in via circonvallazione Zeduro n. 12, nell’immobile tuttora esistente al civico 28 di viale del Partigiano, la ditta aveva un laboratorio anche nella patria del liutaio Antonio Stradivari, in via Felice Geromini 11. Fu proprio la città di Cremona a mettere in mostra e a pubblicizzare, sulla stampa del 1897, un piano a cilindro della ditta Pozzi, definendolo uno «splendido saggio dell’odierna produttività. È bello, elegante e con le vedute mobili illuminate da due grossi fanali. Lo strumento non è soltanto bello dal lato estetico, ma segna un progresso artistico per l’intonazione perfetta, la varietà dei pezzi e dei ballabili. È fabbricato con legno di noce; è dipinto in nero con fregi d’oro ed ha, nella cornice superiore, un piccolo abbozzo dovuto al pittore Brocardi. Si monta e si smonta con facilità». A differenza di altri strumenti similari, il capolavoro dei Pozzi aveva i quadri movibili collocati nella parte posteriore: un’innovazione questa che dava più espansione alle
Augusta Pozzi, discendente diretta dei geni del “Vertical” Scatto di Enrico Appiani
vibrazioni. Altra novità erano i campanelli, azionati da un meccanismo capace di conferire maggior vivacità ai motivi ballabili. La ditta trevigliese ottenne numerosi consensi e apprezzamenti. Due esempi, fra i tanti, furono quelli espressi dal maestro di musica Giuseppe Valente di Schio e da Invernizzi & Devalle, titolari di uno stabilimento musicale a Savona. Questi ultimi, nell’autunno del 1897, ordinando alla ditta Pozzi un altro piano a cilindro a sessantaquattro martelli, espressero viva soddisfazione per la qualità
Personaggi trevigliesi dei suoi prodotti: «Il vostro piano a cilindro è il migliore di tutti per solidità di costruzione, per eleganza e per modicità di prezzo. La sua voce è stupenda e precisa è la musica. Gli strumenti di vostra fabbricazione sono insuperabili». Tra le molte onorificenze ottenute dalla ditta Pozzi spicca il diploma con medaglia d’oro al merito ottenuto, alla fine del 1905, all’Esposizione Campionaria, Agricola, Industriale e di Belle Arti Siculo-calabrese. «La famiglia di mio nonno Battista – spiega Augusta Milesi - ha fabbricato pianoforti e piani a cilindro, automatici e a trazione elettrica per tre generazioni. Li ha venduti un po’ ovunque: in Italia, Spagna, Ungheria e in altri Paesi d’Europa. Ha ottenuto importanti premi e riconoscimenti a Treviglio, a Bergamo e a Milano. Era una grande ditta che garantiva anche il noleggio e la riparazione degli strumenti. Molti pianoforti finivano nelle case private, ma i più erano destinati a balere, osterie e a spettacoli viaggianti. Io ricordo in particolare il modello comunemente chiamato “verticàl”, con la carica a manovella o a moneta. Era un piccolo piano verticale, che, sistemato su un carretto trainato dal cavallo, girava per la città, paesi e mercati, diffondendo allegri motivi ballabili». Fu una famiglia dotata di ingegno, creatività e di senso civico, dimostrato soprattutto durante la Grande Guerra. Guido e Giovanni, infatti, fecero parte della generosa schiera di volontari impegnati nella gestione della Casa del Soldato, istituita per accogliere e intrattenere, con proposte ricreative e culturali, i militari di stanza a Treviglio. Per i Pozzi, la Guerra fu anche sinonimo di dolore e di lutto; si portò via due figli di Francesco: Benedetto (classe 1891) morto sul Carso nel 1916 e Alfredo (classe 1897) morto, nel 1918, sul Grappa. C’è poi, sempre legato alla Prima Guerra Mondiale, un episodio abbastanza curioso e singolare. Un episodio documentato dalla lettera riportata nel box, scritta il 19 luglio 1916 dai soldati trevigliesi Ernesto De Agostini, Alberto Ravasi e Andrea Belloni. I tre combattenti, scrivendo al direttore del settimanale “La Sveglia”, raccontano di aver trovato in una trincea un piano verticale della ditta Pozzi. Evidentemente si trattava di un piccolo modello smontabile. A portarlo in trincea furono gli austriaci che, prima dei nostri, vi avevano trovato rifugio e protezione. «Il fascino che si sprigiona da quei tasti -scrivono i tre soldati- riempiendoci il cuore di nostalgici affetti, ci ricorda i bei tempi in cui la vita ci arrideva tranquilla e spensierata nell’indimenticabile Treviglio». Purtroppo agli eredi Pozzi non è rimasto alcun esemplare degli strumenti realizzati dai loro antenati. Alla signora Augusta sono rimaste soltanto alcune locandine e la foto di nonno Battista a ricordo di un’intensa attività conclusasi nel 1935. Quando la ditta chiuse i battenti mandò alla demolizione un centinaio di pianoforti. L’operazione, che mirava al recupero del materiale riciclabile (soprattutto la ghisa), avvenne nel capannone “Maiolica” di via Casnida.
Il giornalista Alpheo Pagin Padovano di nascita, trevigliese di adozione, è stato redattore de “Il Giornale di Bergamo”, collaboratore de “La Domenica del Corriere”, del settimanale “il Popolo Cattolico” e autore di due libri: “Mussolini’s Boys’” e “Okay, okay New York”
A
lpheo Pagin, novantatré anni compiuti nel giugno scorso, giornalista e scrittore, padovano di nascita, trevigliese di adozione. È stato redattore de “Il Giornale di Bergamo”, collaboratore de “La Domenica del Corriere”, del settimanale “il Popolo Cattolico” e autore di due libri: “Mussolini’s Boys’” e “Okay, okay New York”. Giornalista fine e arguto. Persona riservata, che non ha perso la capacità di stupirsi e di meravigliarsi, perché perdere questa capacità è un po’ come spegnersi, come inaridirsi. Prima di fare il giornalista ha svolto diversi mestieri, convinto che la dignità e la nobiltà di un lavoro non stanno nella tipologia del lavoro stesso, ma nel modo di farlo, di svolgerlo. Di recente gli ho scritto e poi l’ho incontrato per aggiornare un’intervista rilasciatami trent’anni fa. Ha confermato quanto mi disse nel 1985, aggiungendo che ha trascorso questi ultimi anni leggendo, riposando e accompagnando la moglie, signora Maria, al supermercato per gli acquisti settimanali. Chi è Alpheo Pagin e perché un nome così insolito? «Sono originario di Padova, risiedo a Treviglio dal 1939. Per più di trent’anni ho fatto il giornalista; prima di arrivare a questa professione ho fatto un po’ tutti i mestie-
Nella foto di Alpheo Pagin, con la moglie signora Maria Gatti, è stata scattata da Adi Zeni.
ri: dal marcatempo stradale al commesso viaggiatore, dall’assicuratore d’assalto al setacciaio, dal produttore di pubblicità all’operaio tessile, dal venditore di rosolio al soffiatore di vetro. Se trovo singolare chiamarmi Alpheo? Ho un nome, quindi esisto: mi accontento. D’altra parte, ortograficamente, il nome l’ho cambiato, per via di un cavillo legale. Ma non per questo sono migliorato». Com’è diventato giornalista? “Ero ancora ragazzo e già la gente sosteneva che possedevo un certo modo di scrivere, di esporre fatti e pensieri. Ma col talento non campi, se non ti capita l’occasione. Durante le ferie, mi capitò di sostituire Renato Possenti nelle corrispondenze di cronaca. La storia di un asino, che aveva salvato un bimbo nell’Adda, fece il giro del mondo, portandomi fortuna. Nel 1953 entrai nella redazione del “Giornale di Bergamo”, chiamato dal direttore dottor Cuesta, che mi offrì un regolare stipendio. Prima lavoravo come operaio alla Spica (MTE) e alla mia famiglia era prezioso il salario di 22 mila lire che percepivo, scaricando camion e colorando pezze. Sono autodidatta. La mia università l’ho trovata Settembre 2015 - la nuova tribuna -
51
Personaggi
PALINSESTO 2015
New Day
Tutti l giorni alle 6:00
‘90 on air
Tutti i giorni alle 8:00 e alte 15:30
Discoteque Evergreen
Women in Music
Dal lunedì al sabato alle 8:00, 12:15, 17:30, 19:30, 22:00
The hits of the years
Fuorigioco
Totalmente in lingua inglese, la domenica alle ore 20:00
Al lunedì alle ore 21:00
Evergreen Richieste
Storie e persone
Tutti giorni alle 9:00 e alle 17:00
Dal lun. al sab. 20:00 alle 21:00; giov. 20:00 alle 22:00. Alle 00:00 in diretta
Evergreen Jukebox ‘80
Rock Connections
Tutti i giorni alle ore 18:00 e alle 19:30
Evergreen Mix
Domenica alle 08:00 e alle 14:30
Quotidiano Tv
In onda tutti ì giorni alle 13:30
Al mercoledì alle 22:15
Vox Populi
Il venerdì alle ore 21:00
Tutti i venerdì alle 21:30, in replica il mercoledì alle 7:30
Rock the night
Proposte d’Arte
Lunedi, mercoledì, giovedì, venerdì e domenica alle ore 22.30
Il martedì e sabato alle 22:30
TRS EVERGREEN Via I° Maggio 26/28 Vailate (CR)
redazione@trstv.it
Neverending classics Tutti I giorni alle 12:30
Metal Morphosis
Martedì e sabato dalle 23:30
Per la tua pubblicità Tv Tel. 0363 340500 commerciale@trstv.it Seguici anche su...
DIGITALE TERRESTRE - 93 - 274 - 693 - 634
52 - la nuova tribuna - Settembre 2015
nella passione per le letture, nelle buche al fronte in Africa, tra i reticolati della prigionia. In pratica, durante l’intera mia vita, non ho fatto altro che imparare da chicchessia, in qualsiasi parte del mondo mi capitasse di ascoltare qualcuno». Che cosa deve fare un giornalista per essere veramente tale? «In primo luogo essere se stesso. Essere una donna o un uomo, preferibilmente onesto, che sa rendersi perfettamente conto delle difficoltà e delle incomprensioni in cui si dibatte il suo prossimo, attraverso i momenti del chi, quando, dove, come e perché». In questi giorni ho riletto alcune puntate della rubrica “Osservatorio trevigliese” che curava per “Il Popolo Cattolico” negli anni Ottanta, da cui traspare l’attenzione per le piccole cose, per gli eventi semplici; traspare la capacità di stupirsi dinanzi a un fiore, a un insetto. Lo stupore, oltre a essere uno squisito atto di intelligenza, può essere anche un modo per lodare Dio? «Lo stupore è essenzialmente umano, guai rinunciarvi, specie di fronte alle piccole cose della vita, la quale è pur sempre un miracolo. Soltanto gli umili e i semplici, i Principi della terra, come San Francesco, sanno lodare il Signore senza chiedere nulla in cambio». Professionalmente, che cosa l’ha maggiormente interessato? «La gente». Qual è il riconoscimento giornalistico più importante avuto? «Una denuncia per diffamazione sporta contro di me da un’intera Giunta Provinciale (Presidente e nove Assessori). Avevo scritto che non facevano le cose per bene. Il processo, durato sette anni, mi diede ragione». Ha mai vinto un concorso giornalistico? «Non per un articolo, bensì per una mia commedia: “Piedi storti”; fu premiata a un concorso nazionale per un testo di prosa. Erano presenti in sala molti celebri attori e persino un famoso drammaturgo; ma il premio mi venne consegnato, ignoro il perché, dal Ministro della Marina Mercantile il quale, tra l’altro, era un alpino dell’Alto Adige. Di positivo ci fu che la mia commedia non venne mai rappresentata». Ha scritto libri? «Sì, confesso di aver scritto un paio di libri. Il primo, “Mussolini’s Boys”, edizioni Intergest, Milano 1976; è una specie di diario dei giorni di guerra. Vi racconto di come siano sempre i giovani i primi a pagare, perché non riescono mai, sotto qualsiasi regime, a rimanere estranei alle tragedie che colpiscono il mondo. Questo primo lavoro ha creato le condizioni a che la Garzanti si interessasse successivamente di “Okay, okay New York”: un romanzo sull’ambiente degli immigrati illegali negli Stati Uniti. È un’esortazione a non rinunciare mai alle nostre legittime aspirazioni». Carmen Taborelli
Coro Icat/Una storia trevigliese
Secondo capitolo: con Toni Galuppo di Tienno Pini
Il 1976 si chiude senza Direttore innescando il consueto dibattito tra i coristi sul nome di chi invitare a sedersi sulla scomoda poltrona della Direzione. Dopo una attenta valutazione l’ICAT apre le braccia a Toni Galuppo
I
l nuovo direttore, Toni Galuppo - L’inizio del 1977 è il momento della svolta, la prima che anche a posteriori si rivelerà quanto mai decisiva e felice per il futuro del Gruppo Corale: dopo una attenta valutazione dei possibili Direttori, l’ICAT apre le braccia a Toni Galuppo, un trevigliese residente nel varesotto, reduce da precedenti grandi direzioni corali (tra cui il Val del Domm di Milano, grande protagonista della prima rassegna trevigliese) che, con l’amata Lilla (Caterina Di Rico) dalla splendida voce e tre devoti instancabili coristi/discepoli (Enzo Rizzo, Firmino Corio, Renato Locatelli), prende a frequentare bi/tri settimanalmente le lande nebbiose della bassa, instancabile ed insensibile a qualsiasi problematica metereologica, oraria o di quant’altro. LA SECONDA VITA - Inizia quindi un periodo di ricostruzione e di studio severissimo in “cantina” (la sede) in cui il Coro viene riplasmato per repertorio e per impostazione vocale, con preferenze più decisamente polifoniche, un uso delicato del basso e del contralto; ma anche per mentalità, con grande attenzione a qualsiasi particolare, anche non musicale, possa influire sulla prestazione corale. La presenza della voce femminile, ancorché unica, segna un altro punto di novità e di discontinuità con il passato, facendo del “nuovo” sodalizio trevigliese un complesso in cui si fondono grazia interpretativa, originalità, raffinatezza. Così riprende nuova forza l’intero discorso programmatico e, pur nella proverbiale e sempiterna latente insoddisfazione del suo direttore, sempre teso ad una inarrivabile perfezione, il nuovo ICAT si riaffaccia alla ribalta nazionale dove viene accolto con ampi consensi, talvolta addirittura entusiastici. Torna quindi nuovamente nel “giro” di manifestazioni che contano (Volterra, Gavardo, Cremona, Seregno), oltre la consueta Rassegna Corale cittadina, che la stampa locale ricorda così: “…l’avvio dello spettacolo è stato dato dal Nostro (coro) che ogni spettatore s’aspettava alla vecchia maniera, ma che si è rivelato ben più sottile, sofisticato, raffinato e, lasciatecelo dire, il più signore…”. Per quanto riguarda le trasferte è d’obbligo ricordare in particolare la partecipazione alla 10a edizione del Festival Nazionale Gruppi
trevigliese, mostrò notevole gradimento per l’inusuale impostazione ed un repertorio completamente nuovo. Qualche giorno più tardi il quotidiano locale “La Provincia”, definì l’ICAT “…la grossa sorpresa della serata, un complesso per così dire leggero, quasi un’orchestra da camera…” utilizzando poi termini come “flautate armonie”, “splendida voce femminile”, “magnifici brani”. Contemporaneamente a questi grandi successi il Coro sembra però avvilupparsi in una spirale di alta preparazione, talvolta forse persino controproducente per le tensioni che ne conseguono. Dopo qualche anno di connubio intenso e travagliato con Toni, segnato anche da parte sua dalla percorrenza di molte decine di migliaia di chilometri, il suo carattere rude - ma sempre sincero - e la stanchezza logorano il rapporto corale, non quello di amicizia. L’ICAT, nel giugno del 1981 si trova quindi di nuovo senza Direttore, ma con una grande preparazione e tanta voglia di continuare. (8 – continua)
Corali di Volterra, al teatro Persio Flacco, con la partecipazione di otto cori, di cui due stranieri, quello dell’Università di Varsavia e la Corale Joza Vlahovic di Zagabria. Ebbene proprio i rappresentanti di quest’ultimo coro della grande tradizione slava, a fine esibizione, si avvicinarono a Toni per esprimergli il loro apprezzamento per l’unico coro italiano - tra quelli esibitisi - che si allontanava dal consueto stereotipo, cercando di avvicinarsi alla grande coralità europea! Non da meno fu il successo di Cremona, al Palazzo Cittanova, splendida costruzione medioevale, in cui il pubblico in primis, pur sorpreso dalla diversa vocalità del coro
In preparazione di un sogno Meno spazio per i prossimi numeri all’Icat, ma con l’idea di pubblicare un libro in occasione del 70° della corale nel 2017
D
al primo numero de “la nuova tribuna”, per volere del Direttore, alla storia (bella) dell’ICAT è sempre stato dedicato ampio spazio, con conseguente notevole dovizia di particolari, fino a giungere alla conclusione della prima delle sei Direzioni musicali del coro, quella di Paolo Bittante.
Oggi, in accordo con il Direttore e per esigenza di spazio da parte della rivista, si è ritenuto necessario ridimensionare la rubrica, sintetizzandola e tralasciando dettagli, anche in funzione degli obiettivi che ci vorremmo dare in occasione dell’ormai prossimo 50° anniversario della fondazione del Gruppo Corale, nell’autunno 2017. Ricorrenza in occasione della quale vorremmo prendesse corpo un grande progetto, per il momento solo allo stato embrionale e che richiederebbe la collaborazione piena e disinteressata di tutti i protagonisti vecchi e nuovi: la pubblicazione di un libro dei primi cinquant’anni di storia dell’ICAT, con tutti i dettagli ed i particolari possibili, Da ciò l’idea di non bruciare anzitempo quanto potrà diffusamente trovare spazio nel libro. Da qui lo spazio ridotto per Toni Galuppo, e per quelli successivi. (t. p.)
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
53
Treviglio/Personaggi storici
Grossi, pendolare tra Treviglio e Milano a cura di Elio Massimino
L
a vicenda umana di Tommaso Grossi, che si è svolta tra Treviglio e Milano, ci consente di osservare la vita sociale e politica lombarda della prima metà dell’800 e incontrare personaggi di primissimo piano che gli furono amici come Carlo Porta, Alessandro Manzoni e Massimo D’Azeglio. Sappiamo che il futuro letterato, rimasto presto orfano, è stato allevato da uno zio prete trevigliese, che si chiamava Tommaso Grossi come lui. Nel ritratto di Carlo Gerosa, conservato nel Museo di Treviglio ha un’aria burbera, ma attraverso la corrispondenza con il nipote si capisce che in realtà era un uomo buono, oltre che colto e nemmeno tanto conformista, visto che in quella Lombardia in cui si respirava ancora aria di Controriforma, era di orientamento giansenista. È comprensibile che il canonico abbia sperato che il nipote si facesse prete e così dopo i primi anni di scuola presso l’abate trevigliese Giovanni Battista Crippa, lo iscrisse al seminario arcivescovile di Lecco. Il piccolo Grossi doveva essere una specie di Gianburrasca: burle a compagni e maestri, quindi punizioni e persino una fuga che si concluderà dopo una settimana a Gallarate. Lo zio comprese che il nipote non avrebbe mai detto messa e così Tommaso continuò i suoi studi a Milano frequentando il ginnasio di Brera. Tommaso Grossi cresce nella Milano napoleonica. Nato infatti nel 1790 ha potuto vivere il rinnovamento portato dai francesi: i nuovi codici, i valori della rivoluzione, la laicità dello stato, i fermenti letterari contro il classicismo delle accademie, la nascita del Regno d’Italia con tanto di tricolore. Tommaso ha ormai superato i venti anni quando ha luogo la disastrosa campagna di Russia e ne ha ormai venticinque nel 1815, quando si svolge il congresso di Vienna che segna la restaurazione in Europa e legittima il ritorno degli austriaci a Milano. Tommaso in mezzo a questi sconvolgimenti non si lascia però contagiare dalla passione di patria e, tra molte goliardate, si laurea a Pavia in giurisprudenza per poi iniziare svogliatamente a fare praticantato a Milano per diventare avvocato. Ma il suo vero interesse è la letteratura, più precisamente la poesia in dialetto milanese e aderisce,
54 - la nuova tribuna - Settembre 2015
Foto di Tino Belloli
Ripercorriamo con Tommaso Grossi la prima metà del XIX secolo che in Lombardia ha visto l’ascesa e il declino dell’impero napoleonico, la restaurazione, i primi moti risorgimentali, l’inizio della rivoluzione industriale e altro ancora Due ritratti olio su tela eseguiti da Carlo Gerosa (Museo Civico Treviglio). Sopra Tommaso Grossi, a sinistra l’omonimo zio, il canonico Tommaso Grossi
come tutti i giovani letterati dell’epoca, al romanticismo ma, come detto, senza sentirne la declinazione politico/patriottica. È vero che si metterà nei guai con la Prineide, un’opera tutto sommato modesta in versi meneghini, che però conteneva qualche ironia sul governo della Lombardia. Gli austriaci per sua fortuna non erano stupidi, e presto si resero conto che non era un cospiratore e lo rilasciarono alquanto spaventato dopo due giorni di interrogatori. Per un po’ smise pure di scrivere al suo amico Cherubini e in una lettera diceva «Non domandarmi notizie della Musa che ella è morta di paura nelle fasce». Solo più tardi, nella maturità, Tommaso Grossi diventerà un vero patriota, sia pure “alla Grossi”, cioè con discrezione e gentilezza. Intanto negli anni venti scoppiavano i primi moti risorgimentali, presto soffocati. Silvio Pellico, Pietro Maroncelli e il conte Federico Confalonieri finivano allo Spielberg e Ugo Foscolo prendeva la via dell’esilio. La passione per la poesia dialettale lo mette in contatto con il circolo letterario detto “la Cameretta”, costituito da un gruppetto di amici poeti come lui, che si riunivano due volte a settimana a casa dell’ormai famoso Carlo Porta. Grossi ha ormai
più di 25 anni quando riesce a pubblicare con un certo successo le sue prime novelle, la “Pioggia d’oro” e “La Fuggitiva”, troppo poco comunque per mantenersi, senza lo zio prete non avrebbe certo potuto fare spensieratamente il poeta a Milano. La poesia di quegli autori dialettali spesso era modesta ma sapeva anche raggiungere buoni livelli, soprattutto con il Porta. In ogni caso i poeti della Cameretta erano politically correct, come diremmo oggi e quindi «la polizia lasciò fare perché non si trattava che di un’accademia paesana, la cui fronda non andava al di là di qualche bonaria scurrilità vernacola» (Indro Montanelli/Storia d’Italia). Ben altri erano gli intellettuali davvero pericolosi per l’Austria, come il Di Brieme, il Gioia, il Borsieri, il Berchet, il conte Lambertenghi e, come detto, Silvio Pellico e il conte Confalonieri. Costoro fondarono anche un giornale di opposizione liberale “Il Conciliatore”, che venne soppresso dalla censura dopo pochi mesi di vita. Il carteggio di Tommaso Grossi ci racconta che veniva spesso a Treviglio ospite dello zio in via Carcano e di solito si tratteneva per settimane. Lo faceva volentieri ma subito sentiva la nostalgia degli amici milanesi. Ecco cosa scriveva al Porta nel 1817 da Treviglio: «Tutte le volte che mi parli della Cameretta mi fai correre l’acquolina in bocca: oh se potessi volare a Milano tutti i mercoledì e tutti i sabati!». Un’altra volta deve aver confidato al Porta un suo problema di cuore ed ecco la risposta di tenore alquanto maschilista: «Oh vergogna! Vergogna! Ona persona/ del tò ingègn del tò coeur, de la toa fatta/ andass à incojonì innanz à ona donna/ Natta, fatta, creatta/ come dis don Giocond curato del Domm/ per stà dessott all’omm». Alla fine lo zio capisce che invece del praticantato a Milano il nipote fa il poeta, per di più “in meneghin” ed ecco come il
Personaggi della Gera d’Adda giovane racconta al Porta il cazziatone che si è beccato dal canonico: «m’è rivaa in sto moment on bel regalo/ d’onagran strapazzada de mè Zio/ che rabbios e danaa pesg che n’è in scin/ El me scriv che sono on fioeu pers/ perché l’ha senti a dì che foo di vers/ e vers, Jesus Maria, in meneghin». Allo zio prometterà di cambiare vita. «Se qualcuno le venisse a parlare ancora di mie poesie si assicuri che o saranno cose vecchie, o cose non mie, perché non iscrivo più», ma don Grossi era uomo troppo intelligente e affezionato al nipote per pretendere un tale sacrificio e non solo Tommaso riprenderà a scrivere, ma comincerà anche a leggergli i suoi lavori e quelli dei suoi amici. Ecco la cronaca, indirizzata al Porta, di una serata a casa del canonico a base di poesie umoristiche e anticlericali dello stesso Porta: «Tutte le sere leggo a questi nostri preti che si riuniscono in casa di mio Zio qualcuna delle tue poesie (...). Mi mancano propriamente le parole per descriverti le smanie che fanno questi miei uditori; chi si sdraia colla pancia contro il tavolo, chi si rovescia su di una sedia, chi si tien stretti i fianchi colle mani per non pisciarsi addosso (...) Bisogna poi che sappi che mio Zio, come mi par d’avertelo già detto, è Giansenista e quelli che frequentano la sua casa non sono nel modo risoluto e deciso con cui lo dichiara egli, vi pizzicano però tutti un poco, e così accolgono collo zelo cristiano d’un fedele che cerca di riformare gli abusi della Chiesa tutte le tue satire contro i preti ed i frati, e v’ha chi ti paragona al grande Erasmo da Rotterdam» . Alla fine gli amici della “Cameretta” devono essere venuti a Treviglio a conoscere il canonico e sicuramente simpatizzarono perché da un certo momento in poi nella corrispondenza da Treviglio il Grossi manda spesso i saluti dello zio ai suoi amici e quando questi gli scrivono da Milano a loro volta lo pregano di ricambiare. La morte prematura di Carlo Porta nel 1821 è un duro colpo per l’ormai trentenne Tommaso Grossi. Viene meno il suo punto di riferimento poetico oltre che umano e scriverà dopo pochi mesi la sua ultima commossa poesia in milanese “in morte di Carlo Porta”, che rimane uno dei più altri esempi in assoluto della produzione letteraria in milanese. La sua vena dialettale si esaurisce quindi con la scomparsa dell’amico ma poi, scrivendo in lingua, il Grossi esprimerà una evidente crescita letteraria oltre che umana e si guadagnerà un posto nella storia della letteratura italiana. Nella prossima puntata seguiremo questa seconda fase della sua vita, i suoi rapporti con il Manzoni, i salotti della Milano risorgimentale, i suoi soggiorni a Treviglio, fino al matrimonio e ai moti del ‘48. (1-continua) Un ringraziamento alla dott. ssa Sara Albergoni e al personale della Biblioteca, per la cortese collaborazione nelle ricerche bibliografiche.
Il soprano Gabriella Locatelli Serio
G
di Silvia Bianchera Bettinelli
abriella Locatelli Serio mi riceve nel suo bell’appartamento di Brignano, le pareti zeppe di libri e spartiti musicali. A fianco del pianoforte un grande paesaggio ad olio di Mario Bettinelli illumina il soggiorno-studio. Una bella fotografia la ritrae con Barenboim. Da una finestra si intravede il Castello dell’Innominato e proprio dal Manzoni inizia la nostra intervista. «Quando racconto ai colleghi delle tournées che abito presso il Castello citato nei “Promessi sposi” tutti mi guardano strabuzzando gli occhi. Pochi conoscono la storia del nostro splendido territorio, cominciando dalla provata presenza di Leonardo da Vinci!». Beh, diciamo che grazie anche a te, il nome di questi luoghi viene ricordato. A proposito, in quante nazioni hai lavorato? «Diciamo che l’Europa l’ho percorsa in lungo e in largo, ma le recite che ricordo più volentieri all’estero sono quelle in Giappone a fianco di Mariella Devia nel ruolo di Annina in Traviata». Ma, come protagonista, in quanti ruoli hai cantato? «Nel “Barbiere di Siviglia”, “Scala di seta”, per Rossini, “Favorite” qui a Bergamo diretta da Marco Zambelli, regista Lamberto Puggelli, “Elisir d’amore”, “La Rita” di Donizetti, “Nozze di figaro”, “Così fan tutte” di Mozart. A proposito: con lo spettacolo “Wolfy bambino prodigio” ho cantato in teatri importanti ed abbiamo ricevuto premi prestigiosi, e ancora: “La serva padrona” e “Il maestro di musica” di Pergolesi, scelta personalmente dal maestro Paolo Vaglieri,”La vedova allegra”, diretta da Massimo De Bernard, Oscar nel “Ballo in maschera”, Musetta in “Bohème” ma anche molte opere poco note di Simone Mayer e di autori contemporanei come Chailly o il bergamasco Stefano Gervasoni» Perché non racconti ai lettori de “la tribuna” la tua avventura ungherese con l’opera “Rita? «Sì - ride di gusto - è successo quando siamo stati invitati col “Bmf Ensamble” per una tournée in Svezia, Romania e Ungheria con alcune pagine dall’opera “Rita”. Si tratta di un’opera breve ambientata in una locanda di paese dove la protagonista dimostra di avere un caratterino ben pepato. Donizetti ha previsto, ovviamente, pagine cantate ma anche recitate. Mi pareva piuttosto inopportuno che
Due scatti di Gabriella Locatelli Serio, in basso nella parte di Fiammetta in “Amor ingegnoso” di J. S. Mayr
il pubblico ungherese dovesse seguire i dialoghi parlati nella nostra lingua. Così decisi, d’accordo col direttore, il sempre bravissimo maestro Pierangelo Pelucchi, di recitarli in ungherese, che, come si sa, è la lingua europea più lontana dalla nostra. Attraverso una musicista di Budapest che vive in Italia e che è stata bravissima a mantenere nella traduzione il tono furbesco e malandrino di Rita, ho potuto essere credibile anche in ungherese!». Parliamo sempre di opere liriche, ma ri-
cordo, quando eri in Conservatorio a Bergamo amavi anche il Lied tedesco. «Eh sí, galeotto fu quel CD che mi prestò con le voci della Elisabeth Schwarzkopf e Fischer Diskau. Fu amore a prima vista ricorda?», Certo che lo ricordo, rispondo, perché dovevamo pensare al programma del diploma e tu ti intestardivi con i Lieder di Schumann. «Sono stati belli gli anni in Conservatorio con lei, Sacchiero, Borgonovo, Breda...». Nostalgia, Gabriella? Non può rispondermi perché squilla il cellulare; è Maria Grazia Gazzola, la bravissima pianista bergamasca con cui lavora in duo, che le propone un concerto liederistico a Novara. Settembre 2015 - la nuova tribuna -
55
Volontariato e territorio
«Ha visto prof? Stavamo giusto parlando del Lied tedesco!». Non abbiamo ancora accennato al periodo più avvincete della tua carriera, quando hai lavorato alla Scala con i Maestri Daniel Barenbomin, Bruno Casoni, Alfonso Caiani e poi a Toulouse... «Diciamo che la Scala è un teatro speciale con persone speciali e sapere che certi grandi Maestri ti stimano e tengono a te significa molto per tua autostima e per incoraggiarti a dare sempre il meglio. Da loro ho imparato proprio questo». Torniamo ai tuoi inizi, quando eri fresca di studi. «Avevo appena concluso il Diploma di Canto quando ho vinto il Concorso della Comunità Europea, ed è stato in quell’occasione che sono stata sentita da Maestri che hanno avuto fiducia in me». Elencami cosa ci vuole per diventare un buon cantante lirico, in poche parole. «Dunque vediamo: una tecnica impeccabile, gradevole presenza scenica, essere sempre perfettamente preparati, una salute di ferro, avere il coraggio di dire di no a ingaggi magari ben pagati, ma poco gratificanti sul piano generale della qualità ed infine, ascoltare solo i grandi, grandissimi cantanti». Prossimi impegni? «Riprendo ad ottobre un Concerto con l’Orchestra Filarmonica ”G. Donizetti” già realizzato nel luglio scorso, all’Aprica, diretto dal maestro Pelucchi. Visto che abbiamo iniziato la nostra chiacchierata partendo da Brignano non posso non citare i due concerti con musiche di Pergolesi e, Mozart, realizzati col maestro Paolo Belloli, trevigliese». Così giovane e pur con una carriera così importante... «Diciamo che non mi piace perdere tempo ed amo il mio lavoro» mi dice sorridendo. Un ultima domanda: un sogno nel cassetto? Gabriella diviene improvvisamente pensosa. «Continuare a cantare affinando sempre più la mia arte e riuscire ad emozionare il pubblico facendo così avvicinare il maggior numero di persone alla grande musica».
Parco del Roccolo, un’oasi naturalistica
Gabriella Locatelli Serio nella parte di “Nella” in “Gianni Schicchi “ di Giacomo Puccini
Personaggi
56 - la nuova tribuna - Settembre 2015
a cura di Daniela Regonesi
Grazie al contributo di diversi professionisti, del Rotary locale e degli alpini, cresce sempre più una realtà ricreativa e didattico-culturale di ricerca scientifica. Ne parliamo con uno dei protagonisti principali, il dott. Franco Pellaschiar
I
l Parco del Roccolo, apprezzata area naturalistica e ricreativa trevigliese, si qualifica da tempo come “Oasi Naturalistica”: per saperne di più al riguardo incontro Franco Pellaschiar –che ha progettato e coordinato il volume “Il Roccolo e il suo parco- Una tradizione, un progetto, una sfida- Dagli Alpini di Treviglio un’oasi naturalistica per la città”, edito a cura del Rotary Club cittadino nell’ambito dei suoi programmi di attenzione al volontariato e agli ambienti di vita e di aggregazione sociale. Egli mi spiega che iniziative e competenze del gruppo di lavoro sono state affiancate da contatti con università, enti scientifici e orti botanici per acquisire supporti scientifici e collaborare in programmi di ricerca, grazie alle ampie opportunità offerte da configurazione e strutture naturali dell’oasi. Poiché lo scopo prefissato è quello di potenziare e valorizzare l’area promuovendone la conoscenza, la fruizione ed il godimento delle generazioni attuali e future, è necessario da un lato mantenerne e potenziarne il patrimonio naturalistico botanico, biologico e ambientale, dall’altro incentivare progetti di educazione scientifico-naturalistica attrezzando e disciplinando, a scopi didattici, le visite di scuole, associazioni e privati. Ma cerchiamo di capire, allora, cos’è “un’oasi naturalistica”: si tratta di un’area naturale protetta, chiamata anche riserva, caratterizzata da paesaggi eterogenei e abi-
tata da diverse specie di animali e vegetali; viene istituita con lo scopo di mantenere l’equilibrio ambientale locale, aumentando la molteplicità di organismi viventi presenti (biodiversità). Per quanto attiene il Roccolo «con questo nome è stata battezzata l’area cintata situata oltre gli spazi propriamente ricreativi del parco. Si tratta di una fascia di terreno, a
ridosso della “costa”, che comprende il fontanile e che si caratterizza sia per una significativa presenza di specie arboree ed arbustive tipiche dell’areale della bassa bergamasca, sia per alcune interessanti connotazioni idrogeologiche». Essa è caratterizzata dalla “costa”, vale a dire il terreno in pendenza, e le zone a bosco: la cartellonistica presente permette di riconoscere il querco carpineto con farnie, carpini, frassini, aceri campestri, olmi, noccioli, evonimi, biancospini, ligustri, sanguinelli, l’ontaneto, i salici bianchi, i saliconi, i sambuchi, il pioppeto con pioppi bianchi e pioppi neri (tra questi ultimi vi è un esemplare, dell’età di circa 130 anni, che con il suo diametro di 135 cm è ufficialmente codificato come monumentale). Ma l’aspetto didattico non afferisce esclusivamente alla flora, ma anche a fauna, pedologia e geologia, storia e cultura passate. Passeggiando per il parco si osservano mucchi di sassi, strutture di pietre a secco, cataste di legna: come mi spiega Pellaschiar, sono strutture realizzate con una funzione precisa, e cioè a vantaggio degli animali a sangue freddo, quali rettili, bisce, lucertole e ramarri, e inoltre attirano insetti e ragni, e con essi i loro predatori, come averle, gheppi,
picchi e volpi. «Un’autentica “chicca” del Parco del Roccolo» - sottolinea il mio interlocutore – è costituita dal fontanile, l’unico rimasto nel territorio di Treviglio»; si precisa che attualmente ha un’attività intermittente e, dato che l’assenza dell’acqua durante il periodo invernale impedisce ai pesci di insediarsi con popolazioni stabili, questo permette agli anfibi di conquistare tale habitat. Pertanto nel nostro fontanile sono presenti alcune specie minacciate di estinzione nella nostra zona: il Tritone crestato italiano ed il Tritone punteggiato, oggetto di studio in ricerche e tesi universitarie. Oltre alle specie già citate, altre varietà faunistiche che caratterizzano il nostro territorio sono quelle tipiche del bosco e del prato: lepri e conigli selvatici, roditori, galliformi e passeriformi. «Meritano un cenno anche le farfalle alle quali abbiamo dedicato attenzione in ragione della loro rara presenza nei nostri abituali ambienti di vita: una struttura sopraelevata sormontata da fiori ed essenze specificatamente dedicate costituisce un gradito punto di riferimento dove i lepidotteri possono corteggiarsi». Sono diverse le iniziative attuate in favore
A sinistra il fontanile del parco naturalistico; al centro, in uno scatto di Carlo Cefis, la struttura posta a ricordo degli alpini. Sopra un angolo dedicato all’accoglienza. Sotto il dott. Franco Pellaschiar e il pannello sonoro per ascoltare i vari canti degli uccelli presenti nell’oasi naturalistica
degli animali, ad esempio «affinché l’avifauna possa trovare asilo e ambiente favorevole a insediamento e riproduzione abbiamo posizionato molte cassette nido artificiali, mangiatoie per uccelli e “Bat houses” per pipistrelli. Ormai nella nostra pianura i boschi sono spesso generalmente giovani (età media di circa 30-40 anni), mentre più favorevoli per la nidificazione sono quelli maturi (ben strutturati e con un’età di almeno 100 anni), in cui le cavità naturali che vi si formano sono scelte come nido da molte specie; le cassette nido hanno quindi lo scopo di imitare tali cavità che nel nostro territorio oggigiorno scarseggiano». Ringraziando Pellaschiar per la sua disponibilità vi ricordo che tra i prossimi appuntamenti all’Oasi, di cui trovate tutti i dettagli sul sito http://www.parcoroccolotreviglio. it- spicca domenica 8 Novembre, giornata di apertura dei nidi, in cui l’Oasi sarà aperta al pubblico al mattino con visite guidate: il ritrovo è alle ore 10 e quindi... Tutti al Roccolo!
Il Roccolo, il volume e l’associazione
F
ranco Pellaschiar chiarisce che le note storiche sono state redatte da don Piero Perego, Barbara Oggionni e da egli stesso; gli aspetti faunistici, geologici e vegetazionali sono stati invece illustrati da Livio Leoni, Claudia Bencetti, Chiara Longaretti, Angela Bencetti, Enrico Antignati, Ida Santagata, Matteo Manenti e Marco Carminati. Questo gruppo di lavoro, costituito da biologi, naturalisti, architetti, urbanisti, geologi e storici, germinò l’idea di dar vita ad un’associazione finalizzata al potenziamento ed
alla valorizzazione del patrimonio del Parco del Roccolo. L’associazione fu costituita da questo team nel 2007 con il nome “Amici del Parco del Roccolo”, avviando l’ampliamento dell’area con la realizzazione delle strutture di supporto e impostando il Progetto Educativo per le scuole e i programmi per le Visite Guidate. Settembre 2015 - la nuova tribuna -
57
Storia/Pedalando nel tempo
Marino Morettini: un super campione a cura di Ezio Zanenga
Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. È la volta di un atleta ‘super’ che Treviglio ciclistica scoprì e lanciò nel 1948, sino ai vertici mondiali, primo bergamasco a vincere l’Oro Olimpico e protagonista di un ‘giallo’ clamoroso a Parigi
T
reviglio - «… quando gli parlarono di pista, arricciò il naso e dondolò la testa. Quello strano catino e quelle curve sospese cacciate così in alto gli pesavano addosso come macigni. Poi, come tutti i ragazzi curiosi provò a pedalarci sopra. Divenne il gigante del ciclismo italiano e via via, vestì il tricolore, l’azzurro, i cerchi olimpici, i colori dell’iride…». È una poetica sintesi della carriera sportiva di Marino Morettini, parole dettate nientemeno che da Gianni Brera il 14 novembre 1969 al ristorante Paredes y Cereda di Spino d’Adda, gestito dallo stesso Marino e dalla moglie Paola, che il celebre giornalista scrittore spesso frequentava. Ma andiamo con ordine. Marino Morettini nasce a Vertova (BG) il 2 gennaio 1931, papà Vincenzo lavora presso l’Orobia e si trasferisce con la famiglia a Caravaggio in vicolo Bastone nel 1935. Ottiene la prima vittoria con i colori della U.S. Veltro di Caravaggio nell’agosto del 1948 ed è subito ‘catturato’ dal Pedale Sportivo Trevigliese pochi giorni dopo la sua fondazione. Diciotto anni, 80 chilogrammi di muscoli distribuiti sui 185 centimetri di altezza, esplode in tutta la sua vitalità atletica. Vince su pista, su strada, per distacco. È generosissimo, attacca da lontano, è protagonista di assolo spettacolari e in volata ‘toglie di ruota’ gli avversari. È Campione Regionale e poi Italiano nell’inseguimento su pista Allievi e su strada mette tutti in fila nel Campionato Regionale disputatosi a Mantova sotto gli occhi attenti di un certo Learco Guerra … Nel 1950, a 19 anni, dilettante, su pista è incontenibile: Campione Italiano nel km da fermo (lo sarà per quattro anni consecutivi!); a ottobre, al Vigorelli è un uragano scatenato: stabilisce il primato mondiale, dicasi mondiale, sui mille metri. Al Velodromo d’Hiver di Parigi vince Il Gran Premio Medaglia, la manifestazione più prestigiosa riservata ai giovani sprinter d’Europa: è la consacrazione del suo valore. A soli vent’anni Marino è Azzurro ai Mondiali di Milano: arriva terzo con una condotta di gara determinante per la vittoria di Enzo Sacchi. Non sarà così nei suoi confronti l’anno successivo. Tra i fatti più salienti e incredibili della
58 - la nuova tribuna - Settembre 2015
carriera di Marino c’è infatti quello del Mondiale di velocità del 1952 svoltosi a Parigi, un episodio rimasto inspiegabile. I giudici d’arrivo vedono primo Sacchi, ma Morettini … è davanti! Il responso fotografico conferma l’errore dei giudici, ma sorprendentemente i dirigenti italiani non presentano reclamo e così il verdetto non può cambiare. ‘Ha pur vinto un italiano, il titolo rimane in famiglia. E poi Enzo Sacchi è il Campione in carica … e Morettini è giovane …” e così via. In pratica si è defraudato un atleta di una vittoria sacrosanta. E Marino? Circuito, plagiato, convinto, obbligato? Mai c’è stata una versione chiara e univoca. Un giallo che rimane tale. Il 1952 è anche l’anno delle Olimpiadi a Helsinki e «chi vince a Olimpia godrà per tutta la vita di una bonaccia dolce come il miele», scriveva Pindaro. Marino Morettini vince due medaglie: l’Argento nel Km e l’Oro nel quartetto inseguimento, primo bergamasco in assoluto, in tutti gli sport, a vincere una prova olimpica. Al riguardo mi tolgo un sassolino: sulla poderosa pubblicazione (674
pagine) “Tutti gli azzurri bergamaschi” edita nel 1996 e aggiornata nel 2004, non è presente Marino Morettini, non solo Azzurro, ma Iridato, Olimpico, recordman mondiale … incredibile, anzi scandaloso. Nel 1953, si conferma il più forte di tutti vincendo il Mondiale di velocità a Zurigo, passa quindi professionista e sino al 1961 gareggia in tutti i velodromi del mondo. Tornei di velocità, omnium, Sei Giorni, a New York, Chicago, Madrid, Parigi, Manchester. L’Australia e la Nuova Zelanda sono meta di tre tournée. I tifosi lo battezzano ‘The Elbow’ per la sua caratterista di allargare i gomiti in volata. Sino a una decina di anni fa (è purtroppo stato demolito) era possibile osservare lo stemma dell’Olympic Park Velodrome di Melbourne, posto all’ingresso dell’impianto, raffigurante il globo terrestre nel quale era stilizzato Marino Morettini, con i gomiti protesi. L’8 settembre 1956 si sposa con Paola Leoni, trevigliese della Geromina, nel Santuario della Madonna delle Lacrime di Treviglio. Testimoni Antonio Maspes (il più grande sprinter italiano) e Italo Caspani (il ‘Nata’) Direttore Sportivo di Marino nei primi suoi due anni al Pedale Sportivo trevigliese. I due vanno ad abitare in via De Gasperi. Si congeda dal ciclismo nel 1961
Accanto al titolo Marino Morettini con la maglia di Campione Olimpico (1953). Qui a sinistra “The elbow” (il gomito), così era chiamato in Australia. Sopra la copertina del settimanale Sport Illustrato del 27 agosto 1953 dedicata a Marino Morettini. Qui accanto Marino con Gianni Brera (1990).
Nuoto/Campionissima
con un primato mondiale al Vigorelli sul chilometro lanciato, primato che resterà imbattuto per oltre 10 anni, ed inizia l’attività di ristoratore. Prima a Iseo, poi a Ponte San Pietro e nel 1966 a Spino d’Adda. Il ristorante ‘Paredes y Ceresa” diventa presto un ritrovo sportivo-artistico-letterario, un autentico ‘cenacolo’ per gli appassionati di ciclismo, di sport e… di gastronomia. Gianni Brera ne scrisse spesso nella rubrica ‘l’accademia di Brera’ di Repubblica: «Fu uno dei più forti atleti da me conosciuti. Riusciva a stringere un tappo di spumante fra le dita di una mano e a rimetterlo nella bottiglia!». Marino Morettini si è spento il 10 dicembre 1990 all’Ospedale San Raffaele di Milano, stroncato da un tumore al fegato. Riposa nel cimitero di Caravaggio che gli ha dedicato un monumento e l’intestazione di una piazza.
Francesca Fangio e le sue ventinove medaglie
Ha vent’anni, è di Livorno, ora vive a Treviglio e se ne è innamorata. Studia psicologia ed è una campionessa di nuoto che dal 2012 gareggia con la SMGM Team Lombardia ed è allenata da Renzo Bonora
F
rancesca Fangio, studentessa di psicologia, ha vinto 29 medaglie ai campionati italiani giovanili; due bronzi e un argento nei 200 rana ai campionati italiani assoluti; 5° posto agli Europei juniores nei 200 rana nel 2011; 5° posto alle Universiadi nei 200 rana nel 2015. Dal 2012 vive a Treviglio per gareggiare con la società SMGM Team Lombardia ed essere allenata da Renzo Bonora. Le chiedo se questo non sia un sacrificio. «Per raggiungere certi livelli ho dovuto lasciare genitori, amici e la mia città. A diciassette anni sono andata via di casa per inseguire il mio sogno, ovvero diventare una nuotatrice professionista. Mi sono trasferita a Treviglio con un nuovo allenatore, una nuova società e in una città a me completamente sconosciuta. È stato come fare un salto nel buio, ma adesso posso dire che è stata la decisione migliore che potessi prendere». Come ti trovi a Treviglio? «È una città tranquilla e mi trovo molto bene, tanto che spesso dico a mia madre che quando smetterò di nuotare difficilmente tornerò a vivere a Livorno». A che età ti sei avvicinata al nuoto? «Sono praticamente nata nell’ambito sportivo del nuoto, perché mia sorella, più grande di me, nuotava e io la seguivo in piscina. Ho cominciato piccolissima con i corsi e poi sono passata all’agonistica quando avevo solo cinque anni».
Cosa provi quando sei in acqua? «In acqua mi sento a casa. È un luogo dove trovano sfogo tutte le mie emozioni. Nuotare è naturale per me, mi sento a mio agio, rilassata, non c’è cosa più bella. Il nuoto è uno sport di silenzi e l’acqua è il luogo perfetto per stare in silenzio e riflettere. Sono molto grata a questo sport, che mi ha dato modo di crescere come sportiva e come persona, perché mi ha insegnato i valori della vita». Qual è stata la tua vittoria più bella? «La medaglia d’argento agli scorsi Campionati Italiani assoluti. Inaspettata e a dir poco emozionante». La tua ambizione più grande? «Sicuramente poter partecipare alle Olimpiadi, ma per adesso mi concentro sulla qualificazione ai Campionati Europei che si terranno in Israele a dicembre». (d. i.)
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
59
Treviglio/Rimembranze
Personaggi trevigliesi da ricordare Ettorina Gorreri, Mino Galli, Carlo Gaiardelli ci hanno lasciato da pochi mesi
D
opo la morte di Mino Galli, parrucchiere a Treviglio ma soprattutto personaggio indimenticabile, avevo deciso di ricordarlo dedicandogli un ampio spazio
in queste pagine. Non solo per dovere giornalistico di lasciare una traccia in più su di lui, ma perché “Galì” è stato un po’ la colonna sonora della mia vita lavorativa. Infatti, fu il primo amico che mi feci arrivando a lavorare in via Roma nel settembre del 1960, è per questo che posso testimoniare quanto la sua presenza abbia inciso sulla qualità della vita di molti di noi un po’ in tutta la città. Nel frattempo però altre due figure care a molti di noi trevigliesi sono venute a mancare all’inizio dell’estate, Carlo Gaiardelli e Ettorina Gorreri. Ho così pensato di unire in un saluto tutti e tre questi personaggi, per poi raccontare di loro in uno spazio più ampio di mese in mese, perché c’è molto da dire. Di Carlo che conobbi a metà anni ’60 in una stanzetta dietro la panetteria Pasinetti di via Verga, allora sede del Psdi di cui lui, quarantaduenne, era leader
locale, oltre ad essere assessore comunale e direttore delle Industrie Baslini, fu anche forse l’unico partigiano trevigliese a sfilare per le vie di Milano il 25 Aprile 1945 in prima fila con i leader della Resistenza. Con Carlo bisticciai parecchio quando la Tribuna rivoluzionò la politica ecologica di Treviglio e della bassa tra il 1975 e il 1987, imponendo controlli più rigidi sulle aziende chimiche, ma mai venne meno l’amicizia e la stima. Che dire poi della mitica Ettorina Gorreri, docente, scrittrice e poetessa, scomparsa a ottantasei anni dopo aver animato la città e partecipato per tutta la vita a costruire l’epopea della commedia dialettale trevigliese e che ritroviamo qui in uno scatto del 1956 da lei donato al “Marito di palcoscenico Pescali”, a destra con baffi posticci. Insomma, c’è molto da raccontare. (r. f.)
re fosse un bisogno psicologico, non una necessità fisica. Mario era il perfetto barista che non ascolta mai e, soprattutto, non dice a nessuno quello che gli capita di sentire nel
suo bar. Mario, è stato persino capace di liberarsi dalla banda di Vallanzasca, proprio lui, il bandito della Comasina, che aveva cominciato a frequentare il suo locale. Lo ha fatto semplicemente chiudendo il bar per due mesi. Ho proprio sempre stimato il signor Madaschi, Mario per tutti, e l’ho sempre considerato così bravo nel suo lavoro che un giorno in cui ho trascinato Andrea, il mio primogenito, allora di 12 anni, in giro per Caravaggio per fargli vedere i posti e le persone notevoli del nostro paese (anche se dicono sia una Città), l’ho portato anche al suo bar perché vedesse un vero professionista e per dire che la grande competenza è una condizione del singolo uomo e non del mestiere che fa. E anche quando ci siamo poi visti solo raramente, in occasione di incontri casuali per le vie di Caravaggio, ci siamo sempre salutati, direi con affetto, perché tutti e due avevamo capito la stima che gli portavo e che gli dovevo. Ora anche Mario è morto, come tanti altri, insostituibili, con i quali ho avuto rapporti di amicizia e simpatia. E voglio ricordarlo e augurargli “ti sia lieve la terra”. Angelo Sghirlanzoni
Ricordo di Mario Madaschi
C
aravaggio - “E allora, che cosa hai fatto dopo, in tutti questi anni?”, “Sono andato a letto presto!” Da quando Mario ha lasciato il Bar Sombrero, in piazza Castello a Caravaggio, sulla destra, proprio all’inizio di via Polidoro Caldara ed è passato al bar Centrale in piazza del Municipio, sempre a Caravaggio, mi è mancato il posto in cui tirare le ore piccole. Erano gli anni ‘70/’80, quelli in cui le interminabili riunioni politiche alle quali partecipavo come capo-gruppo del vecchio PCI nel Consiglio Comunale di Caravaggio finivano nel suo bar. E Mario era una presenza assidua, discreta quando ci fermavamo da lui a mangiare un panino e a bere una birra per rilassarci e per fare in modo che il mattino successivo ci trovasse pieni di sonno e “arrabbiati” perché non avevamo dormito a sufficienza. Del resto, allora sostenevo che dormi-
60 - la nuova tribuna - Settembre 2015
Lettere Ma all’Asl come ragionano?
G
ent. mo Direttore, presso la Regione Lombardia, la Commissione competente discute il tema della riforma sanitaria, con ciò credo utile rendere nota la mia esperienza vissuta da più di un anno, nell’assistere mio marito di ottantuno anni, affetto da una malattia cronica e invalidante, allettato e portatore di gastrostomia. Ebbene, l’ASL Provinciale di Bergamo ha bandito l’appalto per la sonda della PEG (l’ausilio che permette la nutrizione): l’azienda che si è aggiudicata la fornitura è stata ritenuta la più economica. Ma contrariamente alla precedente sonda che non presentava alcun problema al paziente perché di materiale leggero e morbido, di facile gestione e sostituibile ogni sei mesi, questa è rigida, spesso fuoriesce dalla sede, i tappi si aprono con fuoriuscita del nutrimento e deve essere sostituita ogni tre mesi. Come prevede la prassi, lo specialista ospedaliero ha inoltrato richiesta per ottenere la sonda che non avesse tali criticità, la risposta di una non ben identificata commissione ha negato la fornitura perché non sufficientemente motivata. È facile immaginare il disagio del paziente e il non trascurabile impegno da parte dei famigliari. Al fine di evitare simili situazioni forse sarebbe possibile verificare prima di decidere quale sia l’articolo migliore per il paziente e non fare scelte basate solo sull’economicità. Non si può ignorare anche il problema dei sollevatori: l’Azienda Sanitaria ha in dotazione un unico modello, simile a quello in uso negli ospedali, incurante del fatto che gli spazi abitativi sono notevolmente ridotti rispetto alle dimensioni delle stanze e dei corridoi ospedalieri. Ma il funzionario competente è informato che sul mercato esistono sollevatori, in grado di sollevare fino a novanta chili, idonei a spazi ridotti? E nel caso fosse carente di questa informazione, di quale competenza stiamo parlando? Tutto ciò’ è stato segnalato mesi or sono al Distretto Sanitario di Treviglio senza alcun esito, con risposte che ritengo un rimbalzo di responsabilità. In tempi di crisi, con i problemi economici e le difficoltà che toccano molti aspetti della vita sociale, emerge in modo sempre più evidente l’incapacità dei funzionari non solo
Allevamento San Francesco
Allevamento - Pensione cani aperta tutto l’anno - Toelettatura Addestramento: corso base cuccioli, corso avanzato cani adulti
Golden Retriever
Bolognese
Cocker Spaniel Inglese
Labrador Retriever
Pensione completa per cani a soli € 22,00
Comprende: vitto, alloggio, passeggiata quotidiana di un’ora fuori dal box e lavaggio del cane a fine soggiorno
Nei periodi invernali possibilità di box riscaldati con aggiunta di € 4,00
CARAVAGGIO Via Cascina Fontanello, 11
Cell. 334.9296838
allevamentosanfrancesco.it info@allevamentosanfrancesco.it
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
61
Si fa presto a dire writer di Stefano Pini
Treviglio, l’invasione (pacifica) dei graffiti e la città che cambia
L
a Treviglio d’estate, anno domini 2015, sonnecchia in attesa che il caldo svapori, che qualche nuvola torni a visitare la Bassa e magari bagni quel che resta dei campi. Nel frattempo, tra una sessione di ferie e l’altra, la città ha preso a colorarsi. “Murales”, dice qualcuno; “graffiti”, azzardano i più americaneggianti; “pastróc”, tagliano corto i meno propensi alle forme contemporanee dell’espressione (eufemismo). Treviglio in questi mesi si sta ricoprendo di dipinti murali, più o meno belli, più o meno interessanti, in aree a volte degradate, come quella nei pressi della Stazione Centrale il cui sottopasso ha ripreso vita grazie alle invenzioni di qualche prodigo, ma anche nelle vie più vicine al centro. Non si inventa niente da queste parti, ma si prova a mettere a frutto una cultura metropolitana che dagli Stati Uniti ha da tempo contaminato l’Europa e l’Italia, insegnando anche ai più ritrosi come si più rivitalizzare e riappropriarsi (sissignore) di un territorio urbano che sempre più sembra appartenere a immobiliaristi e investitori, sempre meno ai cittadini che tutti i giorni lo animano, volenti o nolenti. La cronistoria del graffito è così ricca e variegata da non poter essere trattata qui, ma scorrendo gli opportuni bigini dell’internet non è difficile scoprire che l’arte del colorare le mura cittadine con scritte, disegni, articolate storie dipinte, sbocciò definitivamente negli anni ’30 dello scorso secolo, nella terra di Colombo. Erano anni di Grande Depressione, milioni di persone erano state disarcionate dal publicizzatissimo sogno americano, le città impoverite languivano in stato di torpore: i murales fiorirono sulle pareti esterne dei palazzi, sulle pensiline degli autobus, su cartelloni pubblicitari lasciati vuoti. Dopo una pausa di riflessione durata tre decenni, tra guerra mondiale e boom economico, l’arte da vicolo riprese quota nei ’60, di nuovo nelle metropoli simbolo d’America, per poi approdare anche nella Londra cangiante del periodo, nella Parigi scossa dai fatti d’Algeria, nella Berlino appena divisa dal Muro. Che si tratti di una tag, ovvero di uno pseudonimo identificativo di un writer ripetuto ossessivamente in vari punti della città, o di un più articolato disegno, invadere artisticamente i muri significa riorganizzare uno spazio visivo comunitario, cambiare la percezione di quello
62 - la nuova tribuna - Settembre 2015
spazio, renderlo vitale laddove prima non lo era. Il valore artistico dell’opera di per sé viene dopo. Jean Michel Basquiat e Keith Haring, santi patroni del genere, vengono dopo la massa di ‘scrittori urbani’ sconosciuti che hanno disegnato treni, ponti, balconi, palazzi, in un continuo mutamento di paesaggio, personalizzando gli angoli urbani per poterli sentire propri, facendo delle città una tela sempre in divenire: i murales, stranamente, sono fatti per sparire, essere rimpiazzati da altri murales, che spesso nascono nelle parti scrostate di un dipinto precedente. La storia fluida, insomma. Cosa c’entra questo furoreggiare di colori e cultura metropolitana con la capitale del pòta è presto detto: Treviglio è cambiata, sta cambiando e cambierà ancora, molto più velocemente di quanto dicano i censimenti decennali: immigrazione, rielaborazione dei tessuti sociali, economici, stradali. Questo periodo di stagnazione – per non dire crisi – racchiude in sé una serie di forze potenziali nemmeno troppo nascoste. Tensioni positive e negative che fanno evolvere la città e chi la abita verso direzioni altre, difficili da immaginare con certezza. Un’arte di strada, che colora quanto di più comunitario ancora esiste a Treviglio, la strada appunto, è naturale e addirittura necessaria: per raccontare in diretta come muta la nostra identità, la percezione degli spazi e della realtà trevigliese (e non solo). Per trovare una nuova lingua e incanalare le forze positive e negative in una creatività critica, che porta immaginazione, colore, racconti. Questo processo complesso passa anche attraverso graffiti, murales o pasticci che dir si vogliano. E, per quanto possa essere difficile da digerire, poco importa il valore artistico del risultato: più importanti sono i suoi significati. Se poi le istituzioni (Comune in testa) si prodigano per organizzare – per quanto possibile – questa forza creativa, trovando spazi da ridisegnare, tanto meglio. L’antico esperimento di Piazza Setti, regalata ai graffiti ormai vent’anni fa, va riproposto. Quanto a noi, a questa prima persona plurale che continua a mutare anche quando la si vorrebbe solida, inviolabile, identica negli anni, sarà meglio che impariamo a leggere i muri: la storia, collettiva e privata, si fa anche lì, nelle loro crepe.
Lettere a gestire l’ordinaria amministrazione ma anche ad agire per provvedere in favore del bene dei cittadini sofferenti ed indifesi. Ai politici chiedo di dare risposta agli aspetti problematici del servizio che, in situazioni già di per sé precarie, aggravano e compromettono l’assistenza domiciliare degli ammalati. È necessario valorizzare la vocazione di chi opera in un settore così importante che auspico un giorno poter appellare “civil servante”. Posso invece testimoniare che l’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) ha come fiore all’occhiello un personale infermieristico professionalmente qualificato, animato da abnegazione e profonda umanità che considero un valore aggiunto. Un apprezzamento devo anche al responsabile dell’Ufficio Ausili, il sig. Giuseppe Sincinelli, sollecito e disponibile a risolvere eventuali problematiche di sua competenza. Mi auguro che questo mio appello non rimanga inascoltato da parte degli operatori. Bruna Vitali
Foto di Enrico Appiani
Controcanto
Per favore, un po’ di informazioni per chi visita la nostra città!
N
oi trevigliesi diamo spesso l’impressione di non gradire molto che i turisti visitino la nostra città. Certo, non abbiamo molto da offrire, ma quel poco facciamo di tutto per nasconderlo. Potrei citare il Museo Della Torre che ha orari e giorni di visita semi clandestini; non parliamo poi del Museo archeologico, sempre lì per essere allestito ed aperto al pubblico ma fino ad ora ridotto a magazzeno o utilizzato per sala riunioni. Questa volta però voglio richiamare l’attenzione sull’assoluta mancanza di fogli esplicativi per le nostre chiese principali: Basilica e Santuario. Avete notato che non esiste uno straccio di locandina all’ingresso, sui portoni che descriva sommariamente la storia di questi edifici o che ne elenchi le opere principali contenute? In altri posti, in altre cittadine pari alla nostra lo fanno. Non mi si venga a dire che è una questione di soldi: la verità è che da noi manca la volontà di fare per attirare l’attenzione per il forestiero. Luciano Pescali
Settembre 2015 - la nuova tribuna -
63
Barbara Premoli con la sua squadra di professionisti accreditati, presenta il nuovo Spaziobenessere: una giovane realtà, nel J\VYL KP ;YL]PNSPV JOL VɈYL \U»H[TVZMLYH \UPJH ed indimenticabile. Prestigiosi trattamenti ed esclusivi percorsi mirati al totale benessere. Dai una nuova dimensione di spazio al tuo benessere. Vieni a trovarci, contattaci per un appuntamento. Treviglio (BG) Via Locatelli, 5C spaziobenesseretreviglio.it +39 0363 302396
TRATTAMENTI VISO&CORPO / MEDICINA ESTETICA / IDROCOLONTERAPIA / EPILAZIONE / PANTHERMAL / NUTRIZIONE / PODOLOGIA / MASSAGGI.
64 - la nuova tribuna - Settembre 2015