VOLONTARIATO Il sostegno concreto di tutti i giorni a quanti, più di altri, soffrono della crisi
presepi Continua la tradizione della mostra dei presepisti presso la Bcc di Treviglio
EURO 2,00
Foto by Tino Belloli
N° 12 - Dicembre 2015 - Mensile di attualità, cultura e storia di Treviglio e Gera d’Adda
Sgarbi: Leonardo venne a Treviglio
Ammirava Zenale e Butinone, venne per studiare il Polittico
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2 - la nuova tribuna - Dicembre 2015
Foto by Enrico Appiani
l’Editoriale
Un fine anno tra il drammatico e il faceto
A
nche il mese di novembre ha fornito alla stampa locale argomenti sfiziosi che mi fanno rammaricare della nostra periodicità mensile, ma tant’è. Penso al sondaggio “segreto” commissionato dal Pd sul gradimento dei suoi candidati che, invece, è apparso sui quotidiani il giorno dopo informando che al primo posto si era classificato Erik Molteni, simpatico ragazzotto ciarliero che conduce il Pd cittadino. Tutto bene, se non fosse che –a differenza di analogo sondaggio a Bergamo per Giorgio Gori – uno dei tre candidati trevigliesi del Pd ha “cantato”. Da ciò i rimbrotti del segretario Gabriele Riva, lo psicodramma scoppiato nella sede del partito e le dimissioni di Alberto Vertova, uno dei tre autocandidati a sindaco. Già perché assieme al sondaggio sui tre - il terzo nome era quello di Laura Rossoni - sono usciti quelli del gradimento molto alto della giunta guidata da Beppe Pezzoni (Sopra il 60%), mentre il capo dell’opposizione Gianluca Pignatelli (Fi) e l’assessore Juri Imeri (Lega) si sono dovuti accontentare di un 5%. L’altra cosa divertente è che Forza Italia, dopo aver visto il sondaggio sfavorevole per Pignatelli e il buon apprezzamento per la maggioranza Pezzoni, avanza l’ipotesi - nell’intimità serale del Ristorante “la Vetrata” di Bignano - di alleanze di centro-destra che vedono candidato sindaco di Treviglio il brignanese Alessandro Sorte. Personaggio visto dal centrodestra di Basilio Mangano, Pinuccia Zoccoli e Andrea Cologno, come i Puffi vedono Gargamella o Topolino vede Gambadilegno. Notizie poco serie come abbiamo visto, ma questo è il prodotto della nuova politica e della Società Civile, quella che non rileva l’altra bomba: il fatto che il 30% dei genitori che portano i loro figli a scuola non pagano la mensa: 439.000 euro in pochi anni. Una vergogna. Perché cifre tanto alte? Perché certa stampa e certa politica spingono gli amministratori a erogare servizi anche ai furbi, quelli che si fanno scudo con i loro bimbi. Infatti, non sembra che gli insolventi siano persone da Assistenza Sociale, perché altrimenti in quegli uffici sarebbero andati a chieder sostegno. È la conseguenza del “politicamente corretto” che diventa vangelo per gli scaltri che rubano risorse ai poveri veri, quelli che non fanno sceneggiate, non falsificano documenti e non alzano la voce e le mani sugli assessori comunali. L’arrivo recente in Municipio di una nuova funzionaria grintosa ed efficiente, sembra però aver dato slancio al recupero dei crediti, istituendo anche un nuovo regolamento: chi ha debiti l’anno prossimo non potrà iscrivere i figli alla mensa scolastica. Il malcostume del “buonismo peloso” imperante
non finisce qui e in via Galileo Galilei vi è un altro esempio: alcuni degli inquilini delle nuove case comunali non pagano nulla, spesso neppure vi alloggiano, ma vivono per mesi nella loro casa di proprietà in qualche Paese dell’Africa settentrionale o del Medio Oriente. Pinuccia Zoccoli e Sabrina Vailati, rispettivamente Assessore ai Servizi Sociali e al Patrimonio, sempre grazie al sostegno di nuova vitalità tra i dirigenti e impiegati comunali, hanno però iniziato a recuperare 172.292 euro e stanno cercando di farne rientrare, con una rateazione in trentasei mesi, altri 206.376 euro. «Va chiarito - dice Sabrina Vailati - che nessun inquilino di via Galilei ha ricevuto addebiti per morosità di altri inquilini». Questo un dettaglio della situazione degli alloggi pubblici in generale, grave perché toglie a veri bisognosi l’alloggio, concedendolo a taluni che non dovevano neppure affacciarsi all’uscio degli uffici comunali, figuriamoci a quello di queste case. Infatti, la legge prevede che questi alloggi ad affitto super agevolato siano affidate a famiglie con un minimo di reddito, poi che non possiedano altro alloggio in Italia o nella nazione di origine. Sembrerebbe, invece, che alcuni questi requisiti non li avessero e –addirittura- al momento dell’assegnazione, nel 2009, né assessori né funzionari abbiano mai preteso la certificazione come prevede la legge 445 del 2000. Non solo, sembra che gli uffici, o l’assessorato, si siano accontentati di semplici autocertificazioni sul reddito, senza appurare se le dichiarazioni fossero vere o mendaci. Ragion per cui, avuto l’alloggio, non si sono preoccupati di pagare l’acqua, la luce e il gas, dichiarandosi improvvisamente disoccupati. Quale è dunque la situazione? I morosi non possono essere sfrattati perché hanno bimbi piccoli e non hanno reddito, fatto che non evita ad alcuni di loro di viaggiare su auto di grossa cilindrata, proibite ai condomini che pagano regolarmente l’affitto e le spese. A questa marcata ingiustizia, l’Assessorato ai Servizi sociali ha risposto applicando le disposizioni della legge 445/2000, quella che obbliga il settore Hosting Sociale a richiedere al cittadino straniero il documento che dichiari le proprietà immobiliari e terreni posseduti nel Paese d’origine; documento rilasciato dalle competenti autorità dello Stato estero, tradotto in italiano e autenticato dall’autorità consolare italiana che ne attesti la conformità. «Norma questa – dice l’Assessore Zoccoli - che è contenuta nello Statuto Comunale di Treviglio e mai prima applicata (art. 45.1). È una questione di equità sociale, dal momento che ai nostri trevigliesi chiediamo un’autocertificazione che attesti di non essere in possesso d’immobili». Alcuni esempi di cronaca, solo per segnalare che non se né può più delle finzioni, delle truffe (magari coperte da certa politica) che emarginano e affamano i poveri veri. Roberto Fabbrucci Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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il Sommario
Autorizzazione Tribunale di Bergamo n° 23 dell’8 Agosto 2003 Anno 1 - n° 12 - Dicembre 2015
06-07 Addormentati sull’oro o su di una bomba? (Roberto Fabbrucci). Treviglio: un presente di grandi opportunità (Cristina Signorelli); 08-09 Artigiani: deboli segnali di ripresa (Cristina Signorelli); 10-11 Un Forum su Piazza Setti e il parcheggio. La proposta del Comitato Pendolari (Chiara Severgnini); 12-13 Sgarbi: il Polittico influenzò Leonardo (Roberto Fabbrucci). Dal Giappone per vedere il Polittico (Primo Casalini); 15 La bella provocazione di Vittorio Sgarbi (Beppe Facchetti); 16 Il Presepe ligneo ritrovato (Cristina Signorelli); 18-19 Dal Caravaggio a Bernardino Galliari (Elio Massimino); 21 Uniti per far bella Treviglio (Daniela Regonesi); 22-23 Arriva il Concerto di Natale (Daniela Invernizzi). Il mio Natale in musica (Hana Budišová). Quel Natale fatto in casa (Ivan Scelsa); 25 Quella cena di Natale con due sconosciuti (Roberto Fabbrucci); 26-27 Volontariato contro il buio della crisi. I numeri della beneficenza (Daniela Regonesi); 28-29 L’arte moderna nella torre campanaria (g. v.); 30-31 Luigi Cassani e il “suo” campanile (Carmen Taborelli); 33 Una casa di qualità, nuova e in centro (Cristina Signorelli); 34-35 Cri: cento anni di gratitudine (Giorgio Vailati). La Grande Guerra cantata e raccontata (Carmen Taborelli). Lettera del soldato… (Dante Protti) 36-37 Teatro baffuto… Sempre piaciuto (Daniela Regonesi); 38-39 Al Tnt la Stagione di Musica. Due
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note sull’Orchestra “I Musici del Teatro” (Daniela Invernizzi); Radio Zeta: una storia che continua (Daniela Invernizzi); Quei fantastici anni ‘90 (Ivan Scelsa); Scarpellini: lavorare per la musica (Silvia Bianchera Martinelli); Manenti Shoes quando la tradizione calzolaia si rinnova (Cristina Signorelli); La rete entra ora nel frigo e non solo (Fabio Erri); La casa della bontà. Trinketto, l’amico dolce dei bambini (Daniela Regonesi); Il portaordini con la Guzzi nel cuore (Ivan Scelsa); Betti Calzari Casirati e i suoi abiti d’epoca (Lucietta Zanda); Quarto capitolo: con Marco Ghilardi (Tienno Pini); Quel cielo è sempre più blu (Marco Galbusera). Zu’ Rino Band (Daniela Regonesi); Guarire con la medicina Integrata (Cristina Signorelli); Per l’eternità ma con ironia (Giorgio Vailati). L’eroe della battaglia di Custoza (Marco Carminati); Le foto che raccontano (Carmen Taborelli); Erminio Leoni: una vita a due ruote (Ezio Zanenga); Mattia Scotti, la promessa del tennis (Silvia Martelli); Lettere al Direttore Gli auguri del Babbo Natale ufficiale (Ennio Dozzi). Un teatro, una piazza, un’idea di Treviglio (Stefano Pini); La vignetta di Iuri Brollini. Questo “Palazzo fantasma” era forse una caserma? (Roberto Fabbrucci).
Editore: “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 Amministratore Marco Daniele Ferri amministrazione@lanuovatribuna.it REDAZIONE Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci direzione@lanuovatribuna.it Redazione Daniela Invernizzi, Daniela Regonesi Ivan Scelsa, Cristina Signorelli, Carmen Taborelli, Lucietta Zanda Caporedattori Daniela Invernizzi, Daniela Regonesi Hanno collaborato Ezio Bordoni, Silvia Bianchera Bettinelli, Hana Budišová, Marco Carminati, Beppe Facchetti, Niall Ferri, Paolo Furia, Gabriella Locatelli Serio, Silvia Martelli, Elio Massimino, Maria Palchetti Mazza, Luciano Pescali, Chiara Severgnini, Stefano Pini, Tienno Pini, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio Vailati, Ezio Zanenga Ufficio commerciale Roberta Mozzali commerciale@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 - Cell. 338.1377858 Fotografie e contributi: Enrico Appiani Foto Attualità, Tino Belloli, Virginio Monzio Compagnoni Altre collaborazioni: Laura Borghi, Giulio Ferri, Ugo Monzio Compagnoni, Paola Picetti, Antonio Solivari, Franca Tarantino, Romano Zacchetti Stampa: Laboratorio Grafico Via dell’ Artigianato 48/50 Pagazzano (BG) 0363 814652
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Treviglio/Necessità di slancio e iniziativa
Addormentati sull’oro o su di una bomba? di Roberto Fabbrucci
Treviglio potrebbe incassare 150/200 milioni dalla vendita di nuovi appartamenti, venti milioni l’anno per l’arrivo di nuove famiglie e, se si potessero riqualificare i vecchi palazzi, lavoro per altri 100 milioni. Ma se non si fa nulla si rischia molto
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chiusura d’anno e a ridosso delle elezioni amministrative trevigliesi della prossima primavera, avremmo voluto parlare dei programmi dei partiti riguardo al quinquennio 20162021, soprattutto perché dovrebbero essere - grazie alle nuove infrastrutture viarie - gli anni della svolta epocale per la capitale della Bassa. Invece a Treviglio, contro ogni logica e ogni suo interesse sia immediato che strategico, la politica è riuscita a estraniarsi totalmente, già come fece per l’arrivo del quadruplicamento ferroviario, del Passante e della BreBeMi. Oggi, infatti, a parte l’Amministrazione Comunale e alcuni politici d’opposizione con una storia politica strutturata alle spalle (per esempio Ezio Bordoni, Luigi Minuti e Beppe Facchetti), non si nota nessun battere di ciglio di altri “politici” riguardo al completamento delle infrastrutture viarie essenziali, come il collegamento autostradale Bergamo-Treviglio. Non se ne interessano oppure, come l’assessore Regionale alle infrastrutture Alessandro Sorte, addirittura si oppongono (vedi nostri interventi su vari numeri de “la nuova tribuna”). Insomma, nonostante la quasi totalità dei partiti siano da oltre vent’anni fantasmi, o meglio spettri impazziti che vagano in un loro mondo grottesco e autoreferenziale, il destino è stato generoso, ma nel modo come
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lo intendeva Otto von Bismarck: «Dio ha una Provvidenza speciale per gli stolti, gli ubriachi e gli Stati Uniti d’America». E noi non siamo americani. In parole povere, e nonostante tutto, la nostra città è diventata tra le più appetibili della Lombardia e d’Europa, trasformandosi nella Porta Est di Milano: il posto ideale dove vivere e/o lavorare, insediare un’azienda a tecnologia avanzata o nuovi e moderni alberghi di grandi dimensioni, perché la metropoli è a portata di mano. Oltre mille appartamenti nuovi invenduti E mentre ciò è avvertito da quanti osservano Treviglio da Milano, Bergamo, Crema e Brescia, i partiti trevigliesi sembrano dei begli addormentati nel bosco che attendono il bacio della principessa per svegliarsi, eppure la principessa c’è e si chiama edilizia. Una principessa messa in freezer dalle banche per mantenerla in vita, ma in attesa di scongelarla perché i debiti, alla fine, si devono pagare. Stiamo parlando degli oltre mille appartamenti nuovi invenduti, molti di qualità, che attendono di essere promossi fuori Treviglio, magari nell’area metropolitana milanese, risolvendo con la loro vendita le sofferenze milionarie delle banche. Sono tra i 150 e 250 milioni di euro che salverebbero le imprese di costru-
Da sinistra: Giovanni Grazioli (Presidente della Bcc di Treviglio) e Marco Carlo Palazzolo (Direttore Territoriale della BPB-Ubi)
zione, le società immobiliari che li hanno in carico e i loro creditori. Problemi loro? No, problemi nostri, non solo perché un default di 150/250 milioni riverberebbe in modo devastante sulla vita di Treviglio e della Gera d’Adda, ma anche perché al contrario, se li risolvessimo, cambieremmo in meglio la vita a tutti noi, e soprattutto alle generazioni che oggi si affacciano alla vita. Mille nuove famiglie significano, oltretutto, 15 milioni di euro di entrate indotte per l’insediamento (trasloco, artigiani, acquisti) e altri 15/20 milioni l’anno di euro messi in circolo per i normali consumi di una famiglia. Le ristrutturazioni dei vecchi condomini Altro tema fondamentale da proporre alla città e alla politica è quello che riguarda le indispensabili manutenzioni - o ristrutturazioni - dei vecchi immobili costruiti tra gli anni ‘70 e ‘90. Certamente saranno molte centinaia di condomini, basti pensare che nella sola Zona Nord esistono migliaia di appartamenti di quell’epoca. Facendo un conto “spannometrico” sulla media di condomini di venti alloggi, e stimando 15 mila euro ad appartamento il costo di una semplice riqualificazione (intonaco e riverniciatura, balconi, grondaie, riassetto tetti, ecc.), arriviamo a cifre di molte decine di milioni di euro, probabilmente cento. Una cifra che farebbe esplodere da sola l’economia locale, aumentando di egual misura il valore degli stessi immobili. Anche in questo caso i partiti non hanno ancora rilevato il problema. Certo è un tema di complicata risoluzione, quello della riqualificazione di un condominio, soprattutto è difficile chiedere ad una famiglia di pensionati di versare 15/20 mila euro e nell’arco di pochi mesi. Ancora più arduo farlo senza sapere se la famiglia solvibile debba garantire - in solido
Otto von Bismarck
Commercio/Incontro pubblico
Treviglio: un presente di grandi opportunità
«Le potenzialità di Treviglio, se sfruttate con intelligenza, potrebbero trasformare la situazione critica in un vantaggio». Queste le conclusioni di un incontro alla presenza dell’Assessore Regionale al Commercio
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- i condòmini che potrebbero non pagare i lavori. Altra difficoltà: come aiutare le famiglie che non hanno la liquidità necessaria a trovare un finanziamento a bassi tassi e rateizzabile a medio termine, nell’arco di trecinque anni? Alcune banche, come la Bcc, stanno studiando il problema, mentre altre l’hanno risolto, come la Bpl-Ubi che si è affidata a Harley & Dikkinson Finance e offre finanziamenti a bassi tassi, rateizzabili fino a cinque anni (vedi intervista al presidente Bcc Giovanni Grazioli e al direttore territoriale della Bpb-Ubi Marco Palazzolo su “la nuova tribuna” n. 4). Oltretutto per il 2016 sono state prorogate le agevolazioni fiscali del 50% e 65% sulle ristrutturazioni edilizie e sugli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. Per portare a conoscenza la cittadinanza di queste opportunità è però indispensabile che le banche si attivino con maggior vigore, magari insieme all’Amministrazione Comunale, alle associazioni d’impresa e a quelle tecniche, al distretto del commercio e ai commercianti, come è emerso in un recente dibattito (vedi box accanto). Insomma è indispensabile organizzarsi e capire come informare la popolazione riguardo agli strumenti disponibili, dandole assistenza, cercando di capire perché gli amministratori condominiali - in particolare quelli di Treviglio - siano così scettici sull’utilizzo di questi finanziamenti, tanto da non voler affrontare seriamente il problema nelle assemblee che riguardano le riqualificazioni. Si può fare, non si può fare? Non sappiamo, certamente è indispensabile rifletterci, perché questi sono problemi di una città che riguardano l’oggi, ma si proiettano per i prossimi decenni. I politici dovrebbero sentirsi tremare i polsi, invece le nuove leve giocano a Monopoli con la nostra vita e quella delle generazioni future. Ovvero siamo seduti sull’oro, ma se non ce ne accorgiamo questa fortuna potrebbe trasformarsi in un disastro, quello che poi attrae il disagio periferico di una metropoli. Zingonia insegna.
l 23 Novembre si è svolto presso l’Auditorium del Centro Civico di Treviglio un interessante comvegno sul tema del commercio: “Un presente pieno di opportunità” moderato dal nostro Direttore, Roberto Fabbrucci. Un incontro è stato organizzato dal Circolo Nuova Italia e coordinato da Max Vavassori. Relatori Mauro Parolini, Assessore allo Sviluppo Economico di Regione Lombardia, Angelo Capelli, Consigliere Regionale, Roberto Ghidotti Funzionario Ascom Bergamo (delegato per i Distretti e Presidente DUC Treviglio) e Filippo Castelli, Vice direttore di Confesercenti Bergamo. Le attività commerciali, segnate da molti anni di crisi economica e dallo sviluppo di nuovi modelli di vendita, la Grande Distribuzione e l’e-commerce, impongono di ripensare il ruolo e le strategie. Da ciò la necessità di rafforzare e ampliare il coordinamento tra gli operatori, sviluppando sinergie tra le categorie, al fine di studiare nuove modalità per attrarre un sempre maggior numero di clienti e sviluppare nuove opportunità di vendita. I Distretti del commercio costituiscono un esempio utile per operare in termini complessivi, sfruttando le potenzialità che il territorio offre per creare attrattività, quindi sviluppo economico. Treviglio, è stato sottolineato più volte, è dotata di attrattive molteplici: infra-
strutture viarie (Passante ferroviario e Brebemi), servizi pubblici di qualità ed estesi, beni storico-culturali, paesaggistici, un centro storico particolarmente interessante e qualità della vita . Tutto ciò con la disponibilità di appartamenti nuovi e usati che, in primis, potrebbero attrarre nuova popolazione, sbloccare la crisi economica e creare il volano per un grande sviluppo. La serata si è conclusa con un invito condiviso da tutti i relatori: mettersi assieme e capire come sfruttare questa potenzialità per attrarre dall’area milanese - e non solo - nuova utenza. In particolare l’assessore Mauro Parolini ha portato esempi concreti e positivi della provincia bresciana, da dove proviene. «Mettersi assieme, capire cosa, facendo l’interesse della comunità, può fare l’interesse dei singoli commercianti o artigiani». Parolini, senza perifrasi, ha ricordato che le istituzioni sono presenti e diponibili, ma chi opera sul territorio deve pensare a sue iniziative e progetti, svilupparli coinvolgendo i colleghi, facendo rete. Indipendentemente dagli aiuti che la Regione o altri enti potrebbero o meno erogare. La grande disponibilità di appartamenti a Treviglio, si è convenuto, è oggi un problema ma potrebbe trasformarsi in risorsa, se si lavorasse per attrarre gente in città. Cristina Signorelli
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Treviglio/Economia e imprese
Artigiani: deboli segnali di ripresa di Cristina Signorelli
Treviglio ha saputo affrontare la crisi nel modo migliore, anche se il suo perdurare ha inciso su tutti i comparti, in particolare in quello immobiliare. Ne parliamo con Remigio Villa, Presidente Nazionale Assoartigiani
L
’anno 2015 sembra aver definitivamente segnato il punto di svolta della terribile crisi economica che ha investito i paesi avanzati negli ultimi anni. È innegabile che l’economia trevigliese abbia sofferto in questo periodo, le attività produttive che sono cessate, i negozi che hanno chiuso, i molti cartelli “vendesi” affissi su case e capannoni industriali che sembravano spuntare di giorno in giorno, eppure oggi qualcosa sembra cambiare. Con la consueta attenzione alla realtà locale abbiamo intervistato Remigio Villa, Presidente nazionale Assoartigiani e Presidente di Unione Artigiani - Confindustria Bergamo, per capire come il contesto produttivo di Treviglio e della Geradadda ha subìto la crisi e, soprattutto, in quale modo sta reagendo ora. Presidente Villa, la crisi economica e finanziaria sembra aver esaurito la sua forza distruttrice, ritiene che sia effettivamente superata? «Dire che la crisi si stia esaurendo è possibile, ma si rende necessario fare una precisazione. Quest’anno si è finalmente riscontrato un rallentamento delle tendenze negative. Questo significa che finalmente si sta cominciando a frenare la caduta, prima di riprendere l’ascesa però c’è ancora del lavoro da fare». Come si evidenziano questi deboli segnali di ripresa? «Entrando più nel concreto, possiamo osservare che il numero di imprese in attività è tuttora in leggero calo così come si era registrato in precedenza, ma in misura minore a quanto è avvenuto tra il 2012 e 2014. Tra le imprese registrate notiamo inoltre un aumento relativo tra le società di capitale, che indica come il panorama stia mutando la propria consistenza verso un’imprenditoria più solida, organizzata e strutturata». Il lungo periodo di crisi quali settori ha principalmente penalizzato e quale quadro produttivo emerge? «Il lungo periodo di sofferenza ha inciso mediamente su tutti i comparti produttivi. Alcuni di essi però sono stati investiti da una congiuntura ancora più marcata. Nell’ottica specifica del comparto artigiani e focalizzandoci sull’area di Treviglio prima della crisi, come anche tuttora, la diffusione
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Remigio Villa, Presidente Nazionale Assoartigiani
di imprese è maggiormente concentrata nel settore dell’edilizia e della manifattura. La crisi, ha generato una diffusa asfissia del comparto immobiliare e questo, per l’area di Treviglio ha significato andare a incidere proprio sul settore produttivo di punta. Nell’intero comparto del commercio il saldo è positivo e aumentano le imprese attive nel settore dei servizi». Il tessuto produttivo trevigliese ha stori-
camente dimostrato capacità di adattarsi alle circostanze, sfruttando appieno le opportunità offerte dalle fasi di crescita economica generale e una buona resistenza durante le fasi congiunturali negative. I vostri studi confermano questa tendenza? «Il mercato di Treviglio e della Gera d’Adda si è rivelato un ecosistema particolare, perché fortunatamente è stato capace di affrontare e sostenere meglio il peso della crisi rispetto al restante panorama provinciale e nazionale. Il risvolto occupazionale ha comunque dovuto pagare lo scotto della drastica contrazione del mercato, ma se andiamo a vedere lo stretto dato fornito dalle Camere di Commercio (vedi grafico), il numero di imprese iscritte che risiedono sullo specifico territorio è riuscito ad avere delle fluttuazioni del tutto trascurabili rispetto ai crolli delle statistiche nazionali. In questo senso possiamo dire senza timore di smentita che il territorio ha comunque sofferto, ma che la progettualità dell’imprenditore ha saputo affrontare e rimodulare l’attività della propria impresa per non farsi sorprendere e trascinare a fondo». Il sistema produttivo locale è caratterizzato da una forte presenza di piccole imprese, sovente poco inclini a costituire sistema, come ritiene si dovrebbe operare per costruire obiettivi comuni? «Sul fronte strategico, maggior sensibilità dovrà essere dedicata alle coalizioni d’impresa per fare sistema e per conseguire maggior massa critica rispetto alle opportunità di espandersi
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anche su mercati allargati ed eventualmente internazionali; un salto culturale per le nostre piccole imprese tradizionalmente molto individualistiche». La crisi economica ha evidenziato la debolezza strutturale delle piccole imprese. Quali fattori della gestione aziendale (organizzazione, gestione del finanziamento, capitalizzazione, ecc) dovranno essere valorizzati ? «La micro impresa oggi, dati anche gli Centro Acustico Bergamasco scenari economici problematici di cui abbiamo detto, ha di fronte a sé la sfida di padroneggiare, in modo sempre più marcato, i pilastri del fare impresa un tempo trascurati. 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Iniziative de “la nuova tribuna”
Un forum su Piazza Setti e il parcheggio
Prima dell’inizio dei lavori, intendiamo organizzare un forum, presenti i progettisti e il presidente della Stu, amministratori e tecnici, per approfondire le tematiche legate all’intervento. Avanzeremo anche una proposta
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ALLEVAMENTO SAN FRANCESCO
a procedura di appalto per la realizzazione dell’intervento di trasformazione urbana di piazza Setti si è conclusa. La Stu (Società di Trasformazione Urbana interamente di proprietà del Comune di Treviglio) Treviglio Futura ha aggiudicato i lavori all’associazione di imprese guidata dall’Impresa Begnis, già realizzatrice dell’intervento ex Upim. Il progetto vincitore (vedi rendering) è stato presentato al Teatro Nuovo dai progettisti rappresentati dall’arch. Gianpaolo Gritti e Marco Bozzola di Bergamo e dall’amministratore unico della Stu Paolo Gatti. Si prevede la realizzazione di due piani interrati destinati le maggior parte a parcheggio pubblico a rotazione ed in parte a box privati, mentre nella parte soprastante prende corpo una nuova piazza variamente articolata in diversi spazi
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di aggregazione. Fino alla fine di dicembre presso il Centro Civico resterà allestita la mostra dei sette progetti partecipanti al bando. In occasione della mostra e prima dell’inizio dei lavori, previsto per i primi mesi del 2016, “la tribuna” intende organizzare un forum, presenti i progettisti e il presidente della Stu Paolo Gatti, amministratori e tecnici, per approfondire le tematiche legate all’intervento. Fin da ora avanziamo la seguente proposta: i lavori vengano programmati in modo da anticipare, rispetto all’intera opera, la messa in esercizio di un piano di parcheggi. Questa accortezza è necessaria per alleggerire il disagio di non disporre di quella dotazione di parcheggi per tutta la durata dell’opera che non sarà inferiore a 12 mesi.
Treviglio/Stazione Ovest
La proposta del Comitato pendolari di Chiara Severgnini
Oltre alla questione della Stazione Ovest si chiedono interventi infrastrutturali per rendere i treni veramente accessibili ai disabili e una riorganizzazione del servizio nelle fasce di punta
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reviglio - «Quattro treni in più a Treviglio Ovest non cambiano le cose. Ma sono un inizio». Il Comitato pendolari della bassa bergamasca (Cpdbb) non si accontenta: per il 2016 punta a un ripristino vero e proprio della fermata in Ovest, con 26 treni da e per Milano in più. Ma c’è di più: il 12 novembre ha presentato un progetto a tutto tondo per ottimizzare il servizio ferroviario della Bassa. L’obiettivo? Migliorare la vita agli oltre 85.000 pendolari che transitano ogni giorno da Treviglio. Oltre alla questione dell’Ovest si chiedono interventi infrastrutturali per rendere i treni veramente accessibili ai disabili e una riorganizzazione del servizio nelle fasce di punta. La proposta è nata dopo mesi di monitoraggio che non ha tralasciato nulla: posti disponibili, puntualità, logistica. E così, grazie ai dati raccolti e a una conoscenza non comune anche degli aspetti più tecnici, il progetto del Cpdbb poggia su basi solide, anzi solidissime. Dopo una fase di consul-
Alcuni membri del Comitato Pendolari, da sinistra: Fabio Lotteri, Angelo Ferrandi, Lorella Bardellotto, Martina Bove, Stefania Potenza, Domenico Bosco, Alberto Alfieri e in primo piano Piero Toti
tazione aperta a cittadini e addetti ai lavori, la proposta è stata indirizzata all’assessore regionale alla mobilità Alessandro Sorte e a Trenord. Il sogno è quello di vederla implementata nell’orario primaverile, ma si è pronti ad accettare anche soluzioni graduali. Perché, come ricorda Piero Toti del Cpdbb, «negli anni abbiamo sempre cercato il compromesso con tutti». La proposta ha già incassato il sostegno di alcune amministrazioni comunali e dei comitati che rappresentano altre realtà, come Morengo-Bariano. I grandi assenti, all’incontro di presentazione, erano i bergamaschi, che già si sono detti contrari al ripristino della fermata Treviglio Ovest: allungherebbe troppo i tempi di percorrenza. Ma il Cpdbb ribatte che in gioco ci sono solo due minuti di viaggio in più. E i posti a sedere? Ci sono: per i 26 treni di cui si chiede la fermata in Ovest la disponibilità varia dal 15 all’85%. All’incontro mancava anche l’assessore Sorte. A lui il Cpdbb riconosce di essere stato il primo a cercare il contatto con i comitati, dopo anni di disinteresse da parte delle istituzioni. In primavera aveva promesso miglioramenti dopo l’Expo. Qualcosa si è mosso, ma non basta. Ora sul tavolo c’è una proposta concreta e praticabile. Resta da vedere chi si batterà per realizzarla.
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Foto by Tino Belloli
Treviglio/Arte, marketing e sviluppo economico
Sgarbi: il Polittico influenzò Leonardo di Roberto Fabbrucci
«Leonardo arrivò più volte a Treviglio per ammirare il Polittico», afferma il critico d’Arte. «Non furono Zenale e Buttinone ad essere influenzati dall’allora giovane genio che conobbero a Milano, ma in qualche modolo lo fu Leonardo»
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’articolo che avevo scritto riguardo all’arte a Treviglio e il Polittico sul primo numero de “la nuova tribuna”, iniziava così: «Entrando nella Basilica di San Martino, oppure nel Santuario, quello che colpisce uno “straniero” è la luce, che non c’è. Eppure appese appena sotto queste grandi volte, lassù in alto, s’intravedono opere pittoriche gigantesche di grandi artisti, ma il buio e forse la necessità di una pulizia ai dipinti, non le rendono evidenti. Persino il Polittico, che pure ha una sua illuminazione a pagamento e a tempo, pochi possono immaginare che in origine spiccava in mezzo all’altare, illuminando con la sua bellezza tutta la chiesa». Questo scrivevo per sollecitare le autorità civili e religiose a pensare ai nostri tesori d’arte come attrazione e il Polittico come brand della città, così come Castelfranco Veneto, ricca di monumenti, fa con la Pala del Giorgione. Per essere rappresentata, per costruire attorno all’opera d’arte il marchio e con ciò promuovere tutta la città, le sue opere, i suoi monumenti e le sue qualità in generale. Non accadde nulla, la richiesta di migliore accessibilità alla Basilica e l’illuminazione non fecero battere un ciglio nell’ambiente parrocchiale, mentre provocarono una semplice pacca sulla spalla negli ambienti
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istituzionali ed economici: “Brao, brao, va innacc”. Così, grazie all’amico Mario Gandolfi, ex sindaco di Fontanella, mi trovai un tardo pomeriggio dell’autunno del 2014 ad incontrare Vittorio Sgarbi a Mantova presso lo stupendo Palazzo Te. L’idea era di parlargli di Treviglio e di creare una campagna per promuoverla coinvolgendolo, ovviamente riguardo all’arte e in particolare il Polittico. L’impresa non fu facile: prima Sgarbi doveva finire una riunione della fondazione di Palazzo Te, poi doveva visitare tutte le sale e tutte le mostre, addirittura con il faretto dei nostri smartphone, questo quando – alle 21,00 - l’automatismo di sicurezza tolse l’elettricità nel palazzo intero. Esperienza straordinaria comunque, oltre che curiosa, perché trovarsi Sgarbi come guida personale, per me, Gandolfi e un paio di collaboratrici del critico, e per oltre due ore, ha indubbiamente emozionato, aperto la mente e aiutato a capire l’arte moderna in quelle sale rappresentata. Finito il giro, parlammo di Treviglio, del Polittico e delle mie idee apparse sul Corriere della Sera e La Repubblica, quelle che parlavano di questo progetto di marketing: lesse gli articoli, mi mise amichevolmente le mani sulle spalle guardandomi negli occhi e mi disse: «L’idea mi piace, appena siete pronti ci sentiamo». Passato oltre un anno, deluso dalla mia città e dall’assenza di sensibilità verso un tema che giudico prioritario per Treviglio e la sua promozione, risento al telefono Vittorio. È a Urbino e la prima cosa che mi chiede riguarda il progetto di marketing. Spiego che sto tentando di rilanciarlo sulla nostra rivista, anche per questo l’avevo cercato, perché avevo bisogno che mi aiutasse rilasciandomi una breve intervista. Sgarbi non si fa pregare, anche
Foto by Tino Belloli
Dal Giappone per vedere il Polittico
E A sinistra dettaglo del Polittico dei trevigliesi Zenale e Butinone, sotto l’intera opera- Accanto Vittorio Sgrabi e sopra un autoritratto giovanile di Leonardo Da Vinci
perché da sempre si domanda come mai Treviglio non faccia nulla per sfruttare un’opera straordinaria come questa. «Zenale e Butinone sono tra coloro che hanno dato una svolta alla pittura nella loro epoca, influenzato il Rinascimento Lombardo, contaminati in qualche modo dall’ambiente e dalla pittura padovano-ferrarese, soprattutto dalle opere del Mantegna». Ne approfitto e chiedo se è vero che nello Zenale sono evidenti influenze della scuola leonardesca. «No, assolutamente. Al contrario, fu Leonardo Da Vinci ad essere influenzato dallo Zenale e dal Butinone. D’altronde era anche più giovane e a quell’epoca trovandosi a Milano e in Lombardia (a Vaprio d’Adda ndr) probabilmente gli artisti si sono incontrati più volte. Comunque Leonardo conosceva il Polittico ed è indubbio che più volte è arrivato a Treviglio, appositamente, ad ammirarlo e studiarlo. Insomma, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che fu Leonardo Da Vinci a essere influenzato da Zenale e Butinone e dal Polittico di Treviglio». Affronto l’argomento della struttura lignea che contiene i dipinti. «In effetti la stessa struttura lignea del Polittico è uno straordinario complesso monumentale, pensato dallo Zenale, che fu, fra l’altro, architetto del Duomo di Milano. Ed anche questa struttura rappresentò una svolta nella storia dell’arte: un grande edificio dal quale si affacciano i Santi». La conversazione telefonica è un po’ disturbata, riesco comunque a fare un’ultima domanda: possiamo incontrarci, quando sei in zona, per parlare di Treviglio, della sua arte e della promozione culturale? «Certamente, magari quando sono a Milano per esempio. Questa settimana sono al Teatro Carcano per una rappresentazione sul Caravaggio, comunque sovente capito, sentiamoci».
cco cosa scriveva André Chastel in “La grande officina” (Feltrinelli 1966): «Riprendendo l’edicola a pilastri della pala di San Zeno del Mantegna e suddividendola in scomparti con griglie ed ornamenti dorati, lo Zenale ed il Butinone sono giunti, nel Polittico di Treviglio, ad una versione trionfale di questo schema: il Polittico sembra esporre la facciata di un edificio immaginario, in un teatro soprannaturale, adorno di Santi e di Sante al balcone». Ma ancora oggi quest’opera è meno nota di quello che dovrebbe, anche in Lombardia. Quando si va a Treviglio per vederla, si sa dov’è qualche chilometro prima: il campanile che s’innalza sopra la città è quello della chiesa di Santa Maria Assunta e di San Martino, dove l’opera è conservata e per cui è stata realizzata. Due piani: a quello superiore la Madonna e il Bambino, affiancata, a sinistra, da Santa Lucia, Santa Caterina di Alessandria e Santa Maria Maddalena, a destra da San Giovanni Battista, Santo Stefano e San Giovanni Evangelista; nel piano inferiore sono San Martino e il povero al centro, a sinistra San Zeno, San Maurizio e San Pietro, a destra San Sebastiano, Sant’ Antonio da Padova, San Paolo. Nella predella Storie di Cristo (Natività, Crocifissione, Resurrezione) alternate ai Santi Girolamo, Gregorio Papa, Ambrogio e Agostino. Nel timpano l’Ecce Homo. Dorature dovunque, ed una grandiosa cornice lignea di tipo bramantesco. I santi, come usava, li scelsero fra quelli più venerati a Treviglio, e la città col campanile compare nel paesaggio di sfondo di un riquadro. Inserisco una immagine completa del polittico, solo per dare l’idea della organizzazione degli spazi (la visione prospettica è unitaria), della distribuzione delle figure e della decorazione. Il polittico è conservato nella navata destra, vicino al presbiterio. Originariamente era al posto d’onore sopra l’altare maggiore, ma fu spostato nella seconda metà del ‘700, per far posto ad una pala più à la page. Oggi è protetto nella parte inferiore da una vetrata che comunque non ne impedisce una buona visione se si utilizza l’impianto di illuminazione, visto che la chiesa è in penombra. I due artisti erano piuttosto noti, non erano soltanto due “enfants du pays”. Butinone, nato attorno al 1450, è all’inizio affascinato dallo stile aspro dei ferraresi, il Tura in particolare, ma anche dalle sottigliezze dei fiamminghi, mentre Zenale, nato circa dieci anni dopo, ha forme più larghe, di tipo bramantesco, e poi anche leonardesco. Di Butinone si hanno notizie sino al 1528, ed è indubbio un suo influsso sul Bramantino, probabilmente suo allievo.
Foto by Tino Belloli
di Primo Casalini
Malgrado queste differenze, Butinone e Zenale fecero ditta insieme per diversi anni, e non solo per il polittico di Treviglio: anche per Santa Maria delle Grazie di Milano (dal 1481) e per gli affreschi della cappella Grifi di San Pietro in Gessate, che è pure a Milano vicino al Palazzo di Giustizia. Zenale poi operò come architetto nel Duomo di Milano dal 1513 al 1526, e nel 1522 fu anche nominato direttore della Fabbrica del Duomo. Credo sia interessante osservare come sono diversi i due artisti quando ognuno dei due opera per conto suo: ecco una Adorazione dei pastori del Butinone (nella National Gallery di Londra) ed una Madonna col bambino ed angeli di Zenale (nel Museo Getty a Malibu), con uno sfondo che si ispira alla Vergine delle Rocce di Leonardo, allora a Milano. Una città ed una committenza generosa e paziente (vent’anni, dovette aspettare), due artisti del luogo che sapevano che quella era l’opera della vita e che quindi si presero tutto il tempo necessario per la pittura ed ancor più per le decorazioni e la doratura, un progetto vicino al gusto lombardo (ancora, alla fine del ‘400, si avverte il fascino del gotico internazionale), ma a suo modo innovativo, come ha bene colto André Chastel: l’insieme di queste condizioni favorevoli ha determinato un’opera unica. Ma va aggiunta anche la capacità e la fortuna dei trevigliesi nel difendere la loro opera-simbolo attraverso i secoli, facendola giungere intatta a noi. Difatti, quando visitiamo un museo, spesso non vediamo le opere d’arte come erano state fatte: i polittici in particolare sono stati smembrati, ancor più quelli ricchi di dorature. L’ignoranza e la venalità hanno operato fino a pochi decenni fa. Inoltre, l’emozione che dà un’opera vista nel luogo per cui è stata realizzata è ben diversa da quella che si prova in un museo. Anche la capacità di concentrazione: tutto aiuta, dal cominciare a vedere il campanile della chiesa a chilometri di distanza al cercare informazioni e documentazione attorno alla chiesa. Ed ho scoperto che a Treviglio, per il polittico di Butinone e Zenale, sono cominciati ad arrivare i giapponesi. È ora che lo facciano anche i lombardi. Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Arte, marketing e sviluppo economico
La bella provocazione di Vittorio Sgarbi di Beppe Facchetti
I giapponesi apposta a Treviglio per vedere il Polittico, lo fece anche Leonardo Da Vinci e più volte. Perchè i trevigliesi non hanno mai colto l’opportunità di sfruttare il capolavoro per promuovere la città e la sua economia?
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ittorio Sgarbi è noto per le sue provocazioni, ma anche per la conoscenza profonda della storia dell’arte. Se oggi ci dice che Zenale e Buttinone sono non gli allievi ma almeno tra i riferimenti di Leonardo da Vinci, la provocazione ci dovrebbe anche piacere, visto che mette il grande toscano sulla scia dei trevigliesi. Fossimo in America, la sola presenza di un Polittico come quello di Zenale e Buttinone, opportunamente presentati come i maestri di Leonardo (il marketing, si sa, un po’ deve esagerare), farebbe muovere fiumi di visitatori, mettendo in moto agenzie di viaggio di tutti gli States. File al botteghino, naturalmente, con valorizzazione concreta di un patrimonio straordinario, e ricadute sul territorio: ristorante del polittico, bar Zenale e Buttinone, prodotti agricoli in vendita al Mate come “Terra di Leonardo”. Ma siamo a Treviglio, e questo è ben lungi dall’accadere. Il Polittico lo lasciamo là al buio, nella navata laterale. Accessibile a tutti, beninteso, e questo è giusto perché in Italia non si mette un botteghino davanti ad un capolavoro, con relativo contorno di fast food, motel e giochi per i bambini. Noi italiani abbiamo del resto gran parte dei nostri tesori a disposizione di chiunque, spesso a cielo aperto, o nascosti solo dal portone di una Chiesa o un Palazzo. E ci va bene così. Ma a Treviglio uno ne abbiamo, e non dobbiamo considerare dei matti i giapponesi che si scomodano per venirlo ad ammirare.
Dovremmo solo trovare il modo innanzitutto di coccolarcelo un po’ innanzitutto noi stessi, poi i ragazzi delle scuole, poi – a cerchi concentrici – i lombardi di cui Zenale e Buttinone sono figli legittimi, poi ancora i circuiti milanesi e nazionali che queste cose le capiscono e le apprezzano. Piccolo contributo molto personale. Negli anni ‘80, chi scrive queste note era Assessore alla cultura del Comune di Treviglio e, profittando di qualche conoscenza, riuscì a convincere l’ENI (di cui poco dopo sarebbe diventato membro della Giunta Esecutiva), a investire una somma non proprio da poco per salvare e recuperare la cappella Gotica che – sede tradizionale della fonte battesimale - sta all’angolo alla nostra Basilica, appena a destra entrando dal portone principale. Oggi c’è solo una piccola targa a ricordare il restauro e lo sponsor. Una testimonianza artistica di grande valore che, senza quell’intervento sarebbe oggi solo un intonaco scrostato. È una delle tre principali ricchezze della nostra Chiesa principale, insieme al millenario campanile e appunto al Polittico. Fin da allora cercammo di convincere la sovraintendenza ad accettare l’idea di collocare all’interno della Cappella il Polittico stesso, studiando bene solo i problemi di prospettiva e di illuminazione, ma sottraendolo al destino un po’ defilato a cui è costretto da quando – per ragioni evidenti di equilibrio complessivo – non poteva certo stare sull’Altare maggiore. Ora che il campanile è stato reso di nuo-
Scatto di Daniele Raimondi . Sotto due dettagli del Polittico custodito nella Basilica
vo accessibile con la bella idea del Museo verticale, ora che Sgarbi ci invita ad aprire i sonnolenti occhi trevigliesi sulla bellezza anche storica ed artistica della nostra città, forse sarebbe il caso di rispolverare quel progetto arenato tra le cautele della Sovraintendenza. Abbiamo un Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, che non si ferma davanti ai blocchi conservatori che hanno tanto spesso rinviato progetti che fanno discutere, ma prima o poi devono quanto meno essere risolti nel bene e nel male. Perché non provare a rilanciare la questione? La nuova Tribuna può lanciare l’appello, e chissà che il nuovo Sindaco (maschio o femmina che sia) ci possa mettere la testa… Il resto potrebbe venire da sé, perché anche un dibattito può muovere e attirare l’attenzione su Treviglio. Città di commerci, di industria, di buona qualità della vita. Ma anche non diciamo città d’arte (perché i nostri avi non volevano guai e non volevano attirare troppo gli invasori che passavano da queste parti, che erano molti, avidi e agguerriti), ma insomma almeno città che ama l’arte che ha in casa, questo si.
Foto by Tino Belloli
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Treviglio/Il Natale e le riscoperte
Il Presepe ligneo ritrovato di Cristina Signorelli
Un’altra opera attrattiva del ‘500 è il presepe ligneo esposto al pubblico ogni Natale nella Basilica di San Martino. Ci accompagna nella visita la dottoresssa Beatrice Resmini, storica dell’arte dell’Ufficio Cultura di Treviglio
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n occasione del Natale anche quest’anno verrà esposto al pubblico un antico presepio ligneo del ‘500, un’opera di pregevole fattura custodita nella Basilica di San Martino. Beatrice Resmini, storica dell’arte attualmente impiegata presso l’Assessorato alla Cultura del Comune di Treviglio, che per l’occasione mi fa da guida e mi conduce, letteralmente, a scoprire nella sagrestia della Basilica lo splendido Presepio, afferma: «La scelta di rendere visibile l’opera solo nel periodo natalizio potrebbe generare perplessità a chi se ne occupa dal punto di vista artistico, ma una diversa soluzione, quale per esempio collocarla in un museo, non terrebbe conto che l’opera ha principalmente una funzione religiosa. Decontestualizzarla, a mio avviso, significherebbe quindi sradicarla e privarla di una parte del suo valore, se non quello artistico, sicuramente quello devozionale. Si tratta quindi di trovare un equilibrio che non sminuisca né l’uno né l’altro».
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Il gruppo ligneo è composto di cinque parti indipendenti – la Madonna, San Giuseppe, il Bambino, due pastori e il fondale ricco di dettagli – che probabilmente erano riuniti all’interno di una cornice, della quale si sono perse le tracce. Un sapiente restauro effettuato nel 1981 ha riportato in luce i preziosi smalti che colorano ogni singola statua, donando vivacità alle figure ed evidenziandone l’umanità dei tratti, che costituisce l’elemento stilistico che rende certa l’attribuzione dell’opera a Giovan Angelo Del Maino. «La tenerezza, lo stupore, la serenità che traspaiono dai volti dei personaggi - spiega Beatrice sono tipici di Giovan Angelo, così come una particolare tecnica nella lavorazione del legno, che rende visibili la diversa ruvidità dei tessuti e della pelle». Seppur oggi ci sia ragionevole certezza circa la paternità dell’opera, da attribuirsi a Gio-
Alcuni scatti del Presepe Ligneo custodito nella Basilica di Treviglio. Foto di Tino Belloli
van Angelo, e la datazione da collocare tra il 1509 e il 1514, rimane da indagare chi l’abbia commissionata e quale destino gli sia toccato nei quattrocento anni che trascorrono tra la creazione e il 1961, anno in cui Don Piero Perego la ritrova nelle cantine del Conventino e la trasferisce definitivamente nella Basilica di San Martino. «A tal riguardo gli studiosi hanno sviluppato due ipotesi - dice Beatrice Resmini - la prima sostenuta prevalentemente da Tullio e Ildebrando Santagiuliana, che suppone la committenza per opera del Convento francescano dell’Annunziata, legando il Presepio a San Francesco. Una seconda tesi, per la quale personalmente propendo, sostiene che la chiesa di San Giuseppe abbia commissionato l’opera a Giovan Angelo. Tra gli altri elementi a sostegno mi pare particolarmente convincente il fatto che il ritrovamento del Presepio sia avvenuto nel Conventino, già Orfanatrofio Femminile fondato da Giacomo Correggio nel 1838, pochi anni dopo la soppressione della chiesa di San Giuseppe nel 1787». Dato il breve lasso temporale che intercorre tra la soppressione della chiesa di San Giuseppe e la fondazione delle Orfanelle, appare plausibile che Giacomo Correggio, la cui famiglia era storicamente legata alla Confraternita di San Giuseppe, abbia avuto un ruolo centrale nel trasferire il Presepio direttamente dal luogo originale a quello del ritrovamento. Al di là di ipotesi e congetture resta ad oggi che il periodo natalizio, riconciliando l’aspetto religioso a quello più prosaicamente artistico, permette a tutti di ammirare l’opera, esposta in una delle cappelle laterali della Basilica di San Martino, senza nulla togliere al carattere evocativo e devozionale per la quale è stata creata.
Treviglio/il Natale e le tradizioni
Presepi alla Cassa Rurale Prosegue la tradizione della mostra dei presepi presso la sala delle esposizioni della Bcc di Treviglio
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nche quest’anno durante il periodo natalizio si terrà, presso la Sala delle Esposizioni della Banca di Credito Cooperativo a Treviglio, la Mostra di Presepi, organizzata dal Gruppo amici del presepio di Treviglio. È un appuntamento annuale giunto alla diciassettesima edizione grazie alla passione e l’impegno di un piccolo gruppo di amici che condividono l’amore per il presepio. E dopo aver per anni preparato la Nascita di Gesù nell’Oratorio di San Zeno, hanno deciso di raccogliere le opere di altri artisti ed esporle al pubblico. Uno degli organizzatori è Vincenzo Spinelli, il quale dice: “Sono stato coinvolto per la prima volta, tanti anni fa, da Alessandro Aresi, perché ero un falegname che poteva aiutare nella creazione di statuine da collocare nel presepio, che veniva allestito nella nostra parrocchia. Alessandro era tremendamente esigente e preciso in ogni dettaglio, ma l’opera finita era davvero bellissima, tanto che per anni abbiamo vinto il premio per il miglior presepio in Lombardia”. Nel 1999 Ferdinando Bresciani propose agli amici del presepio, accomunati da quella che era divenuta una vera passione, di allestire durante le festività natalizie una esposizione nella quale mostrare i loro capolavori. Non impiegarono molto a raccogliere l’adesione di altri appassionati che con orgoglio prestarono i loro lavori. Oggi vengono presentate 35 opere di presepisti principalmente lombardi, il cui soggetto prevalente è la Natività, ma sono ricreate anche l’Adorazione dei Pastori,
la Fuga dall’Egitto e altre scene bibliche. L’allestimento, che richiede parecchi giorni di lavoro, come sottolinea Spinelli, risulterà molto suggestivo poiché nella sala buia verranno illuminati solo i presepi, collocati in appositi espositori, e per alcuni di essi i giochi di luce ricreeranno lo svolgersi del giorno, dall’alba al tramonto. La maggior parte dei presepi viene realizzata in polistirolo, che facilmente si lavora a caldo, per rendere anche i più piccoli particolari della scena, ma anche in cartongesso o in legno, come quelli di Spinelli, che spiega:”Il materiale che lavoro più volentieri è il legno e mi piace recuperare oggetti di buona fattura per trasformarli nei miei presepi. Recentemente ho esposto una Natività realizzata con un’antica lanterna in bronzo, finemente decorata, che ho usato come capanna, un altro presepio l’ho creato da un antico lampadario in legno del ‘500 ”. Altri come Cesare Rozzoni espongono bellissime miniature dove i minuscoli particolari rendo-
Alcune immagini di Enrico Appiani catturate durante una precedente mostra degli stessi presepisti alla Bcc di Treviglio
no la scena ancora più vivida. Una classe della scuola media Cameroni, seguita dal loro insegnante ceramista, porterà un presepio in ceramica realizzato durante l’anno scolastico. La mostra dei Presepi verrà inaugurata il 20 dicembre e durerà fino al 8 gennaio con apertura pomeridiana, eccetto che nel giorno del Santo Natale. Sottolinea Spinelli:” Fin dalla prima apertura noi del Gruppo Amici del Presepe abbiamo avuto il sostegno della Banca di Credito Cooperativo che vogliamo ringraziare perché oltre a fornirci la sala Esposizione, ha sempre contribuito a sostenere in parte le spese. Per il resto la passione e il lavoro di noi amici ha reso in questi anni l’appuntamento irrinunciabile”. c. s.
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Confronto tra due nostri grandi artisti
Dal Caravaggio a Bernardino Galliari di Elio Massimino
Due opere di due grandi concittadini della Gera d’Adda sullo stesso tema, ovvero la “Conversione di San Paolo”. Nelle loro differenze di stile e contenuto si possono riconoscere alcuni insegnamenti della Controriforma
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l giovane caravaggino Michelangelo Merisi giunse da sconosciuto a Roma verso la fine del XVI secolo, ma dopo qualche anno di dura gavetta vide riconosciuto il suo genio. Aveva molto impressionato la sua mano sicura (non aveva bisogno di tracciare prima il disegno sulla tela, passava direttamente al pennello) e l’uso straordinario della luce, che illuminava i personaggi e ne enfatizzava i gesti. Già nella sua prima opera pubblica, la “Vocazione di San Matteo” (1600), si vede un faro di luce spiovere dall’alto a destra colpire un uomo seduto a un tavolo di osteria con altri quattro compagni, persone ordinarie in abiti di fine ‘500. La luce che enfatizza la mano di Gesù con l’indice proteso a indicare il prescelto, simboleggia il rapporto diretto dell’Altissimo con l’Uomo, e viceversa. Tutti questi elementi sono evidenti anche nella sua “Conversione di San Paolo” (1601): il persecutore e futuro Santo è in terra, ha l’aspetto di un qualsiasi cavaliere che il pittore può aver visto transitare per le vie di Roma. Appare presa dalla realtà anche la faccia del personaggio in alto a destra.
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E poi c’è la luce che illustra meglio di un trattato di teologia il mistero della Grazia. Lo stile barocco aveva iniziato a diffondersi già prima della morte del Caravaggio (1610), cioè qualche decennio dopo la conclusione del concilio di Trento (1563), che dette il via alla Controriforma con cui la Chiesa reagì allo scisma protestante. Le arti, in particolare la pittura e la scultura, ma anche l’architettura e persino la musica, vennero mobilitate per offrire l’immagine di una Chiesa ricca e trionfante. I protestanti non accettano il culto dei santi e della Madonna, considerando Gesù l’unico mediatore con Dio, e allora l’arte barocca produce per gli altari grandi quantità di quadri e statue di santi che intercedono, e il dogma di Maria assunta in cielo diviene un tema pittorico ricorrente. E se i protestanti non riconoscono l’esistenza di limbo e purgatorio e quindi l’intercessione per le anime dei defunti, ecco Rubens dipingere Santa Teresa che supplica il Cristo e ottiene la liberazione di un’anima dal purgatorio. È un’arte che vuole suggerire una fede in fondo ingenua, ma da vivere dall’interno di una Chiesa
La “Conversione di San Paolo”, a sinistra di Caravaggio e accanto quella di Bernardino Galliari. Sopra la “Vocazione di San Matteo” del Caravaggio
capace di affascinare con le sue liturgie e, al tempo stesso, incutere soggezione. I protestanti verranno incoraggiati dai loro pastori a leggere la Bibbia, ormai tradotta nelle lingue locali, e questo servirà molto anche alla crescita culturale dei loro paesi. In quelli cattolici il suo studio, di fatto, sarà un’esclusiva degli ecclesiastici, e così le immagini avranno un ruolo importante nell’educazione religiosa del popolo e nel culto. La venuta a Treviglio dei Fratelli Galliari, intorno alla metà del ‘700, coincide con la stagione del tardo barocco, quando alcune chiese della città vennero rinnovate sia all’interno che nelle facciate. Ad esempio nella Basilica di San Martino ancora oggi si possono ammirare, nella volta e nel coro, le pitture murali dei Galliari, mentre si deve all’arch. Giovanni Ruggeri (1740) il rifacimento della facciata. In quegli anni venne rifatta anche quella del Santuario della Madonna delle Lacrime, al cui interno su un altare è esposto un grande quadro di quella stessa epoca, la “Conversione di San Paolo” di Bernardino Galliari. Questi, insieme ai fratelli Fabrizio e Giovanni Antonio, apparteneva alla seconda generazione di una famiglia di pittori, architetti e scenografi (il ‘700 è il secolo del teatro), originaria di Adorno (BL), molto attiva oltre che in Piemonte anche in Lombardia, tanto che finirono con lo stabilirsi a Treviglio. Lasciarono infatti opere non solo nella nostra città, ma anche in comuni vicini come Milano, Grumello, Caravaggio, Crema, Calvenzano, Brignano, Cassano D’Adda. La “ditta”
Galliari produceva di tutto, dall’affresco alle scene di teatro, dagli ornamenti per sale di dimore signorili alle pale d’altare. A Biassono, in Brianza, disegnarono persino la cancellata del giardino di villa Verri. Il loro era spesso un lavoro di squadra in cui non sempre è distinguibile l’apporto dei singoli. Tra loro v’era comunque una certa gerarchia: più spesso gli altri due fratelli curavano i “contorni”, mentre era Bernardino ad occuparsi delle figure. Sembra dunque sicura l’attribuzione a quest’ultimo della nostra “Conversione di San Paolo”, in cui possiamo riconoscere tutti gli ingredienti della Controriforma e del barocco. Paolo non ha l’immagine di un possibile cavaliere di Treviglio. Non sono realistici gli abiti, o la sua espressione tra lo stupefatto e l’estasi, e nemmeno la bardatura del cavallo. La scena è illuminata da una luce che non discende dall’alto ma è tenue e diffusa (Bernardino si è ispirato a Tiziano) e tra il Cielo e Paolo si frappone, simbolicamente, un’ingombrante figura ieratica (un santo che intercede, la Chiesa?), con contorno di putti. È venuto meno il rapporto diretto dell’Uomo con l’Altissimo illustrato da Caravaggio e sostenuto dai protestanti. Nei circa centocinquanta anni che separano le due opere nel Sud Europa si era imposta la Controriforma, e si vede. Sopravvive il barocco nella Chiesa di oggi? Questa domanda è legittima perché la riflessione storica, in fondo, serve a comprendere meglio la realtà contemporanea. Nell’arte e nelle architetture religiose direi proprio di no. Dopo il Concilio credo comunque che sopravviva in parte della dottrina e, soprattutto, nei lussi e nelle trame di palazzo di certi alti prelati, come racconta la cronaca recente. Papa Francesco, infatti, sta facendo i conti con un Vaticano ancora largamente barocco. Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Il Natale e i commercianti
Uniti per far bella Treviglio di Daniela Regonesi
I commercianti e l’amministrazione comunale uniscono le forze e preparano un centro ricco di luci, iniziative e atmosfera. Ne parliamo con Gabriele Anghinoni
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l Natale, al di là del fondamentale aspetto di fede e devozione cristiane, è un periodo amato e atteso, denso di atmosfera e di preparativi. Decorazioni raccolte negli anni, cariche di ricordi e tenerezza, tornano a fare capolino tra i rami di abeti, su mobili appositamente sgomberati, sulla porta di casa, e ad esse si uniscono ninnoli nuovi, a rinnovare la magia. Le città non sono da meno: rosso, oro, verde, argento, e poi cortecce, rami e nastri, e ancora pupazzi, alberi e natività decorano e animano vetrine sfavillanti e invitanti. La caccia al regalo può avere inizio con largo anticipo, o ridursi, per gli appassionati o forzati dell’ultimo minuto, alla sera della Vigilia, ma è certo che i negozi del centro rappresentano un’indubbia attrattiva, per adulti e bambini. Ecco che quest’anno il cuore dello shopping trevigliese risplende di stelle e ghirlande, tra vie e vicoli il cui cielo è trapuntato di tantissime luci. Ci spiega meglio Gabriele Anghinoni, al suo primo Natale nelle vesti di presidente dell’associazione “Commercianti Trevigliesi - professionisti e artigiani”: «Abbiamo rinnovato le luminarie disposte nelle varie vie di Treviglio, e ne abbiamo fatto risplendere di nuove, calibrando il tipo installato a seconda delle ampiezze stradali. Tra piazza Garibaldi e piazza Manara - dove saranno ancora visibili i giochi di luce proiettati sul campanile e sull’ex Upim - per questo Natale accenderemo delle installazioni che richiamano antichi chandelier. La forza di questo e di tutti i nostri progetti sta nell’unitarietà, perché insieme possiamo fare tanto. Ad esempio abbiamo accolto con entusiasmo la risposta positiva dei negozianti di via Terni e di via Crippa all’invito a partecipare all’iniziativa e, con la collaborazione di tutti, siamo riusciti ad addobbare anche queste vie di accesso alla circonvallazione interna. Tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione e alla sinergia instauratesi tra Amministrazione comunale e Distretto Urbano del Commercio di Treviglio ». Una vetrofania renderà riconoscibili gli
COLAZIONI PRANZO Nello scatto di Roberto Carsana una suggestiva immagine delle luminarie, sotto Gabriele Anghinoni
esercizi commerciali che hanno partecipato al progetto, che non si limita ad allietare la vista dei passanti, ma contribuisce sia a soddisfarne la golosità, grazie a gentili “nataline” che distribuiranno caramelle, che a rallegrarne l’atmosfera con - novità di quest’anno - un coro gospel itinerante per le vie del centro. Appuntamento attesissimo dai più piccoli sabato 12, quando, in collaborazione con il Comitato Quartiere Nord, Santa Lucia giungerà nel pomeriggio da piazza Paolo VI a piazza Garibaldi, a bordo di un calesse trainato da pony, e accompagnata dagli zampognari distribuirà ai bambini dolci e palloncini colorati. Gabriele ci tiene a «ringraziare coloro che, all’interno dell’associazione, sono sempre presenti e i molti che rispondono con immancabile entusiasmo. Sono davvero fiero per il clima che si è venuto a creare, per me è una soddisfazione enorme poter contare su chi tiene molto al bene della città». Una città bella e scintillante a cui auguro di brillare sempre, per spirito di collaborazione, saggezza e lungimiranza. Felice Santo Natale a tutti!
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Treviglio/Al PalaFacchetti il 13 Dicembre
Il mio Natale in musica di Hana Budisova
La musica natalizia, Treviglio e le tradizioni musicali della Repubblica Ceca: una riflessione della nostra redattrice e musicista di talento
Arriva il Concerto di Natale di Daniela Invernizzi
Dopo il rischio di sospensione del tradizionale concerto. è arrivato il via alle voci e musiche, dirette da Paolo Belloli, che si uniranno sul palco per augurare buone feste a tutti i trevigliesi
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orna anche quest’anno il tradizionale appuntamento con il concerto di Natale del Corpo Musicale Città di Treviglio, diretto dal maestro Paolo Belloli. Un appuntamento ormai irrinunciabile per molti trevigliesi, che quest’anno però ha rischiato di saltare; l’ok è arrivato infatti a sole quattro settimane dall’evento, costringendo il maestro Belloli a un’organizzazione affrettata e soprattutto a rivedere il suo progetto, ridimensionandolo parecchio. Ma nonostante le difficoltà e grazie alle capacità di Belloli e del suo staff, il concerto ci sarà e siamo sicuri che anche quest’anno il Corpo musicale di Treviglio ci regalerà uno splendido concerto di Natale, all’altezza di quelli cui negli anni siamo stati abituati. Lo spettacolo, che si terrà domenica 13 dicembre al Palafacchetti, con ingresso libero, si presenta con il titolo “Note e voci sotto l’albero”: potremo ascoltare non solo i sempre più bravi componenti dell’orchestra, ma anche le belle voci di Alessia Pintossi, Alice Guadrini, Filomena Musco, mentre le voci maschili sono di Michele Micheli, Marco Gelmi e Fulvio Valenti. Questo nutrito gruppo di cantanti
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talentuosi si esibirà su un programma molto “natalizio” e coinvolgente. La prima parte sarà dedicata alle più belle arie dei musical più famosi, come Cats, Re Leone, Fantasma dell’Opera, Jesus Christ Superstar; e certo molti di voi conoscono canzoni come Santa Lucia, La voce del silenzio, Arrivederci Roma, Nel blu dipinto di blu, ma anche Can’t take my eyes, The show must go on, We are the world. Sono solo alcune delle canzoni che nella seconda parte ci faranno venir voglia di alzarci dalla sedia e raggiungere gli artisti e i musicisti sul palco per cantare insieme a loro. Il concerto di Natale è senza dubbio il più atteso e partecipato fra le manifestazioni natalizie di Treviglio. E proprio per l’alta affluenza (l’anno scorso 3.000 presenze) il concerto si tiene al Palafacchetti, nonostante la presenza del TNT, che avrebbe un’acustica migliore. Un’occasione quindi per stare tutti insieme ad apprezzare ancora una volta il nostro Corpo musicale, nato, secondo un testo di Tullio Santagiuliana, addirittura nel 1820 (e nel 1822 tenne il suo primo concerto per celebrare il miracolo della Madonna delle lacrime). Da allora, di strada se ne è fatta tanta, e tante sono state le soddisfazioni raccolte da questa formazione, che a oggi si compone di settanta elementi, quasi tutti provenienti dal Cesm, la scuola di musica gestita in proprio dal Corpo Musicale sotto la guida di professori diplomati. Il Corpo musicale città di Treviglio è diretto dal 1982 da Paolo Belloli, che in questi anni ci ha regalato indimenticabili concerti in occasione, per esempio, della festa della Madonna delle lacrime, quella del patrono San Martino, la festa della Repubblica e il concerto di Natale, per citare solo le date più significative. Ma non dimentichiamo che “la banda”, come la chiamano i trevigliesi non certo per sminuire ma anzi affettuosamente, è sempre presente sul nostro territorio, per esempio con il Baghèt la notte di Natale (vedi nostro articolo), o alle varie manifestazioni, grandi e piccole, organizzate nella nostra città. Per questo motivo deve essere considerata un patrimonio culturale importante e a cui dare il giusto rilievo.
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reviglio - “I’m dreaming of a white Christmas” dice una famosissima canzone natalizia. Chi di noi non sogna un Natale bianco, con la neve che nasconde le città e che le fa diventare quasi fiabesche! Neve sui tetti, luci ovattate, illuminazione festiva che abbellisce tutto. Ci fa tornare tutti un po’ bambini, sognando un regalo molto speciale, una sorpresa che troveremo misteriosamente sotto l’albero. Purtroppo, spesso, il caos prenatalizio ci fa dimenticare che Natale non è solo regali e un pranzo infinito, ma l’atmosfera che lo circonda, il calore della famiglia e le tradizioni che in ogni casa si dovrebbero coltivare per ricordarsi delle proprie radici. Il Natale è per me una festa molto speciale; ogni anno preparo i dolci tipici del mio paese - la Repubblica Ceca - e preparandoli ascolto la musica natalizia, di tutti i generi, dalla Messa natalizia di J. J. Ryba, uno dei simboli natalizi boemi, fino alla versione jazz di Silent night, non dimenticando naturalmente i canti tradizionali natalizi della mia patria. È molto divertente, soprattutto se, con le mani sporche di farina e uova, devo cambiare la musica che ascolto dal pc. In questi giorni, guardando il calendario che tengo in cucina in bella vista, mi accorgo che tra una manciata di giorni sarà Natale e, pensando alle diverse cose che bisogna organizzare, ho cominciato automaticamente a pensare alle varie canzoni natalizie che, negli anni, ho ascoltato. Così mi sono ricordata della storia di Franz Gruber, autore di “Stille Nacht” (Silent night o Astro del ciel). Quando ero piccola, si diceva che Gruber fosse uno di quei tedeschi o austriaci, nati in territorio boemo dalle famiglie tedesche (come Gustav Mahler, Sigmund Freud e altri). E anche se più tardi c’erano le smentite inconfutabili, a noi piaceva credere che la famosissima canzone di Gruber fosse la nostra canzone natalizia. Pensando a questo articolo mi sono ricordata che intorno a tante canzoni ci sono delle storie spesso sconosciute e molto curiose; quindi eccovi un po’ di gossip musicale natalizio. Astro del ciel scritta nel 1818 durante la vigilia di Natale (quindi in un giorno solo) da Franz Gruber, è stata, negli anni successivi, tradotta in più di 140 lingue. Con il testo
Treviglio/Il Natale e le tradizioni
Quel Natale fatto in casa di Ivan Scelsa
Il “Baghèt”, la tradizione religiosa che si mescola ad usanze locali da riscoprire e vivere, insieme
italiano, scritto dal prete bergamasco Angelo Meli, è stata pubblicata per la prima volta nel 1937 dalle Edizioni Carrara di Bergamo. Un antico canto, Tu scendi dalle stelle, è stato composto nel 1754 a Nola (NA) da Sant’Alfonso Maria dÈLiguori, come derivato di un altro suo canto natalizio napoletano “Quanno nascette ninno”. De ‘Liguori è stato la prima persona a usare il dialetto napoletano per canti religiosi, per renderli comprensibili a tutti. Di Adeste fideles si narra che è stata scritta da sir John Francis Wade intorno a 1740. Solo che Wade è stato solo un copista che l’ha trascritto da un tema irlandese, per l’uso di un coro a nord della Francia. Non si sa, chi è stato il vero autore della famosa canzone. Si sa invece molto di più di Jingle bells che lo statunitense James Pierpont scrisse nel 1857 come canzone per la festa d’indipendenza. Il suo titolo originale era “One Horse Open Sleigh”. Solo in seguito ha cambiato il titolo ed è diventata non solo melodia delle feste natalizie, ma anche una delle canzoni più famose mai scritte. Un’altra famosa canzone è White Christmas, scritta nel 1940 da Irving Berlin. Lui stesso la considerava la miglior canzone che avesse mai scritto. È stata incisa da tantissimi cantanti in tutto il mondo, ma la più famosa interpretazione rimane quella di Bing Crosby. Il suo disco “White Christmas”, che prende nome dalla canzone di Berlin, è ricordato anche per essere il disco più venduto della storia, al punto tale che dalla sua pubblicazione nel 1942 non è mai uscito fuori produzione. O Tannenbaum, in italiano “Albero di Natale”, è una di quelle canzoni, come Jingle bells, che sentiamo regolarmente tutti gli anni in tutti i saggi di Natale. “O albero, o albero, risplendi nella notte…”, uno dei canti più antichi, qualcuno dice che le suoi origini risalgano fino al medioevo. Fa parte dei canti natalizi più famosi di tutti i tempi. Allora Buon Natale a tutti e vi saluto con le parole di una delle canzoni citate: “Astro del ciel, luce dona alle menti, pace infondi nei cuor”.
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he cos’è il Natale? La festa più bella dell’anno, secondo alcuni. Per altri la più attesa, la più desiderata, la più sentita, quella passione delle celebrazioni religiose e di piazza, vissute in un abbraccio corale con la tradizione locale che, seppur diversa per molti aspetti, rende vicini alle altre città, a quanto tramandatoci dai nostri nonni. Pensando a loro non posso fare a meno di ricordare quelle delle mia città natale, Taranto, ricca di tradizione religiosa e culinaria, vissuta intensamente da bambino e a me cara nei ricordi. Ma anche a quelle della mia Treviglio, con il Baghèt, che alla vigilia della Festa viene suonato per le strade della città dal Corpo Musicale Città di Treviglio. Il baghèt è una cornamusa di origini medievali che dal Trecento vive nel lembo di terra tra la bergamasca ed il bresciano; ripresa, tra l’altro, nel quadro “L’albero della vita o di San Bonaventura” posto nella Basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo, così come nel Castello di Malpaga, a Piario e nella Chiesa di Sant’Agostino e in Città Alta. La cornamusa bergamasca è una tradizione sopravvissuta nei secoli e che giunge al Novecento con pochi suonatori, venendo poi definitivamente abbandonata negli anni Cinquanta. I suonatori erano per la maggior parte contadini, e si ritrovavano nelle stalle d’inverno, specialmente nel periodo del Natale. Passata l’Epifania, poco prima del carnevale, lo strumento veniva riposto, per essere ripreso agli inizi dell’inverno successivo. Con il baghèt si suonava l’antica “pastorella”, si accompagna-
va il canto e si eseguiva l’arcaico “bal d’ol mòrt” (ballo del morto), una specie di pantomima in cui due ballerini mimavano una “morte” ed una successiva “resurrezione”. Il termine baghèt era il più usato, ma esistevano anche le denominazioni di la pìa o il pia baghèt. Il suonatore era chiamato bagheter. Lo strumento, pur essendo di produzione assolutamente popolare aveva la tonalità originale attorno al LA. Esso rimaneva quasi sempre all’interno della cerchia dei parenti, ed erano i suonatori stessi che provvedevano alla manutenzione ed alle eventuali riparazioni. Oggi la tradizione sopravvive in pochissimi centri e grazie ai volenterosi musicisti del Corpo Musicale di Treviglio possiamo goderne anche noi trevigliesi durante il periodo più festoso dell’anno. Piccoli gruppi di strumentisti portano nelle case dei cittadini appassionati i suoni, le atmosfere e le tradizioni natalizie della terra Trevigliese e Bergamasca. Durante la settimana precedente il Natale non è difficile incontrarli, specie nelle ore che precedono la buonanotte; e chi fra i trevigliesi non ha, fra i ricordi dell’infanzia, il tipico suono di questo strumento, che piano piano si avvicina alla casa, festoso e benaugurante? E la gioia di grandi e piccini nell’aprire la finestra, la porta,
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Treviglio/Era il Natale del 1960
Quella cena di Natale con due sconosciuti di Roberto Fabbrucci
se fatto due minuti prima: «Sai che quando ci penso, anche se sono passati quasi cinquantasei anni, non riesco a frenare l’emozione?». Tra me e me mi domando quando avrò mai il tempo di rimettere assieme quel libro che sembrava terminato, poi mi rendo conto che la rivista questo mese sarà dedicata proprio al Natale, perché dunque non fare un regalo a Giovanni e probabilmente ai lettori? Ecco così di seguito quel capitoletto che dovrebbe apparire - spero presto - sul libro di famiglia “Papà voleva la Gilera”.
Una storia privatissima Quella fredda sera che solo a Natale può d’inverno con Brollini diventare pubblica, così per e il suo amico fare un regalo a un amico, Non sapevo che Giovanni Brollini fosse stato poliziotto ferroviario e che avesse coGiovanni Brollini, decidiamo nosciuto tutti noi una sera di Natale, mentre sostava infreddolito, e in divisa, davanti a di estendere gli auguri e le casa nostra. Tant’è che fermandoci per far emozioni di quella lontana due chiacchiere davanti alla Basilica, volle sera del 1960 a tutti i lettori rendermi partecipe di quell’incontro da cui
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ncontro a metà novembre Giovanni Brollini (già vigile urbano a Treviglio e poi commerciante di mobili d’antiquariato), così chiacchierando amichevolmente come sempre accade, soprattutto con lui, mi affronta con un certo cipiglio e mi chiede: «Allora il libro sui tuoi non l’hai più fatto?». Già, perché un paio d’anni fa, raccontandogli del lavoro che stavo facendo per ricostruire le storie di famiglia, lui mi aveva raccontato come aveva conosciuto mio papà Bruno e poi tutti noi. Spiego allora che il libro l’avevo quasi finito, che dalla sua “costola”, alla fine, ne era nato un altro, “Una tragica primavera”, pubblicato a fine maggio del 2014, poi però, travolto dagli impegni per l’allestimento mensile de “la nuova tribuna”, il tutto era rimasto sospeso nell’archivio del mio computer. Leggo la sua delusione in volto, poi riprende come se quel racconto me lo aves-
era scaturito l’affetto che nutre per la nostra famiglia e in particolare per papà e mamma, morti da qualche tempo. Così iniziò a raccontarmi, con quella foga di chi ha vissuto sempre con l’entusiasmo e la passione nel sangue: «Premetto che tuo padre è stato un grande galantuomo, ma la cosa che ricorderò fino a quando vivrò è come conobbi lui e la tua famiglia. Era la sera di Natale del 1960, il freddo era pungente, soprattutto per noi due poliziotti meridionali appena arrivati e non abituati a queste temperature. I fili elettrici, le reti metalliche e i pali, erano coperti di ghiaccio, quello che voi chiamate Galaverna e che dirama aghi di ghiaccio sulle reti e sui rami. Io e Orlando Santantonio, il mio collega, battevamo i piedi per terra dal freddo, saltellando in mezzo ai binari tra il Dopolavoro Ferroviario e casa vostra, quella della Montecatini». Brollini si ferma un attimo, comprendo che è un ricordo che lo emoziona intensa-
A sinistra la famiglia Fabbrucci nel 1959: da sinistra Massimo, la mamma Anna Aurori, il papà Bruno, Alfredo, la tata Marisa Manenti, Roberto e Enrico, A destra Giovanni Brollini in una fotografia del 1958
mente, poi prosegue: «Insomma, si moriva dal freddo, avevamo il fucile in spalla e dovevamo passare ancora ore sulla linea ferroviaria a controllare il deposito di carbone. Poco più in là una finestra a piano terreno, quella che dava sul terrazzo di casa tua, luce accesa e oltre le tende intravedevamo una famiglia a tavola. Ad un certo punto, inaspettatamente, si apre il portone dell’ingresso sotto il terrazzo, quello accanto alla finestra, ed esce un uomo che si fa avanti verso la staccionata, verso di noi e ci grida: “Dai ragazzi, venite, c’è un piatto anche per voi”. Non l’avevamo mai visto, e lui non aveva mai visto noi, eravamo senza parole e accettammo l’invito senza dire “beh”, solo sgranando gli occhi e facendo segno di sì con la testa. Entrammo in casa, la tavola era imbandita, voi quattro figli seduti attorno, tua madre Anna si fece incontro - con quel bel sorriso che aveva solo lei - per farci accomodare e cenammo con tutti voi: due grandicelli, tu e Alfredo, Enrico che era un ragazzino e il piccolino di appena due o tre anni, il povero Massimo. Fu un gran bel Natale, non solo per come sapeva cucinare tua madre, ma anche perché ci sembrò di passarlo a casa nostra, in famiglia, giù! Non lo dimenticherò mai». Giovanni si fermò ancora un attimo, mi guardò dritto negli occhi con quell’esplosione di sentimenti che solo i meridionali sanno comunicare: «Vedi, può sembrare un piccolo gesto, ma per noi è stato straordinario scoprire che degli sconosciuti, senza chiedere nulla in cambio, avevano deciso di prendersi a cuore la situazione di solitudine e disagio - in una notte di Natale lontani da casa - di due estranei. Quando mai succede? Ora capisci perché quando ci penso mi prende una cosa qui, proprio qui, dall’emozione?». Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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Treviglio/Due associazioni benemerite
Volontariato contro il buio della crisi di Daniela Regonesi
Operano a Treviglio “Il Germoglio” e “La Quercia di Mamre”: due preziose onlus attive sul territorio per assistere e accompagnare chi non può soddisfare bisogni quali alimentazione, igiene e alloggio
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lcune cose ci appaiono scontate: almeno due pasti al giorno che ci riempiano la pancia, una doccia calda per lavarci via fatica e stanchezza, un letto pulito che ci accolga la sera. Tuttavia la parola “crisi” si è prepotentemente fatta spazio, non solo nel nostro vocabolario quotidiano ma, in troppe vite, ha invaso, assottigliato e, a volte, addirittura eliminato elementi base della quotidianità umana. Ecco allora che l’appagamento di bisogni primari come alimentazione, igiene e alloggio, diventa intermittente, va in cortocircuito, si spegne. Presa consapevolezza di queste situazioni, ci sono persone che non volgono lo sguardo altrove, ma si rimboccano le maniche e tendono una mano. Nasce così a Treviglio, nell’ottobre del 2006, l’associazione di volontariato “Il Germoglio onlus”, per promuovere attività di assistenza e accompagnamento per persone emarginate e in difficoltà. L’iniziativa prende le mosse dalla Caritas del decanato di Treviglio, di cui all’epoca era responsabile Alvaro Cappellini, il quale mi spiega come abbiano constatato che «non esisteva una struttura dedicata a chi non avesse un posto per lavarsi, dormire e mangiare. Nel 2007 abbiamo proposto all’Amministrazione comunale di poter utilizzare a questo scopo una casa abbandonata di via Del Maglio. BCC di Treviglio e Geradadda, Caritas Decanale ed Ambrosiana, preti e laici generosi hanno fornito i fondi necessari a completarne la ristrutturazione. Una convenzione siglata con il comune stabilisce che questi verserà un contributo di 4.000 € annui per compensare i 75.000 € spesi per il restauro dell’immobile, ceduto in comodato gratuito fino al 2019». La “Locanda del Samaritano” ha aperto nel febbraio 2008, cominciando ad accogliere persone in difficoltà ed offrendo loro una mensa per dieci ospiti, un servizio docce con fornitura di biancheria intima di ricambio, e un piccolo dormitorio, con otto posti letto, per persone senza fissa dimora o che si trovano improvvisamente senza abitazione. Tutti i servizi sono gratuiti e l’accesso ha luogo tramite l’Assessorato ai Servizi Sociali e i Centri di Ascolto Caritas decanali. In partenza le attività erano svolte tutte da volontari ma, prosegue Cappellini «dal dicembre del 2008 abbiamo deciso di impiegare due persone con difficoltà lavorative
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che, ancora oggi, si alternano nella sorveglianza notturna (la struttura deve essere presidiata, custodita e vigilata). Per far fronte alle necessità economiche si è affiancata anche l’attività di sgombero di cantine, solai e appartamenti, per la quale si richiede un modesto rimborso spese. Ciò che non è più utilizzabile viene conferito direttamente in discarica, il resto confluisce nel nostro deposito di via Marco Polo e messo in vendita». Ikea di Carugate per tre anni aveva riservato gratuitamente alla onlus un’area per esporre e vendere libri, abiti, mobili, ecc., mentre lo scorso anno il dott. Bindelli ha offerto per alcuni mesi, a titolo gratuito, lo spazio di un negozio in via Galliari. Attività inizialmente svolta da soli volontari, si è poi deciso di impiegarvi gli ospiti della Locanda: oggi vi sono cinque addetti al magazzino e uno alle pulizie, pertanto otto persone sono regolarmente remunerate, mediante i voucher per le prestazioni occasionali. Un altro ramo delle attività dell’associazione sono le “Piccole Case d’Ospitalità”, sei appartamentini ottenuti in comodato gratuito, che accolgono temporaneamente nuclei familiari privi di abitazione, ai quali si chiede di contribuire alle spese vive. Dal 2013, infine, “Il Germoglio” svolge l’attività di recupero delle eccedenze alimentari presso le mense scolastiche fornite da Gemeaz Elior: quest’ultima deve assicurarsi che ogni alunno abbia sufficiente cibo; ciò fa sì che, nei giorni di scuola, ne venga cucinato sempre per tutti gli iscritti al servizio, indipendentemente dalle eventuali assenze. «Passiamo tutti i giorni in quattro scuole trevigliesi e portiamo quanto raccolto alla Locanda, per distribuirlo a famiglie in difficoltà del territorio. Offrivamo anche una mensa per garantire il pranzo a dieci persone; il servizio è stato ridimensionato nel gennaio scorso, ora resta attivo nei giorni di sabato e domenica con pasti acquistati da Gemeaz Elior, per non accavallarsi a quello offerto dal lunedì al venerdì da “La Quercia di Mamre onlus”». Qui a fare gli onori di casa è Luigi Minuti, che mi spiega che l’associazione è nata nel luglio 2013, «da un gruppo di amici che avevano del tempo da dedicare a chi ha bisogno e che avevano presente la gravità della crisi economica, perché tutti già operativi nel sociale. Il nostro presidente onorario è
Padre Gianfranco Finardi, con lui ci sono, oltre a me, suo fratello Graziano, Renzo Perazza e Dario Badoni. Il nostro scopo era predisporre una mensa per i bisognosi, ciò rendeva necessaria la ricerca della sede adatta: dopo mesi abbiamo scelto questa (un capannone in zona PIP 2, ndr) e la scelta si è rivelata buona. Abbiamo riconvertito e ristrutturato l’immobile, battezzato “Casa Clotilde” in onore della signora Finardi, benefattrice e sorella dei fondatori. Consapevoli che la mensa non poteva essere improvvisata, inizialmente siamo partiti con altri due servizi». Il primo ha cadenza settimanale ed è la distribuzione alle famiglie di un sacco contenente beni alimentari a lunga conservazione, non deperibili, acquistati da Cooperativa Famiglie Lavoratori. La distribuzione è garantita ai tesserati - trevigliesi o residenti nei sedici comuni della corona con Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) non superiore ai 5.000 €. «Oggi abbiamo distribuito anche circa un quintale di pane di ieri: riusciamo sempre a donare qualcosa in più, come frutta o verdura, in base alla stagione e alle disponibilità. Ad esempio “Piuma d’oro” spesso ci dona ottimi dolci, settimana scorsa “Autotraspor-
I numeri della beneficenza
A
lla mensa (capienza 140 posti), si servono circa 90 pasti al giorno, a ospiti metà di nazionalità straniera e metà italiana, grazie a 13 volontari che operano a rotazione. 200 (55% italiani e 45% stranieri) gli utenti registrati per la distribuzione dei pacchi-cibo, gestita da 10 volontari ogni martedì mattina tra le 9 alle 10, 160 circa i ritiri effettivi. Il Lions Club Host Treviglio contribuisce finanziando 40 borse al giorno, da destinarsi ad italiani bisognosi. La maggioranza degli utilizzatori del servizio “Progetto Buon Fine” sono italiani.
A sinistra Alvaro Cappellini de “Il Germoglio onlus”, sopra Luigi Minuti de “La Quercia di Mamre onlus”, a destra la fila all’esterno della stessa associazione nel momento della distribuzione settimanale dei pacchi-cibo. Accanto I volontari al lavoro per preparare il pranzo presso “Casa Clotilde”. Sotto la “Locanda del Samaritano” e l’insegna all’ingresso de “La Quercia di Mamre”
ti Colombo” ci ha fatto pervenire 400 litri di latte invenduto», mi dice con soddisfazione Minuti, che prosegue, «abbiamo anche ottimi rapporti con altre organizzazioni di volontariato, con le quali operiamo in una logica di mutuo scambio». Il secondo servizio è il “Progetto Buon Fine”, più impegnativo e di maggior dimensione, implementato grazie alla sensibilità di Coop Lombardia, permette di aiutare circa 800 famiglie alla settimana: l’ipermercato trevigliese si trova, quotidianamente, a dover gestire molte merci prossime alla scadenza o le cui confezioni sono deteriorate e perciò invendibili. Evitando costi di trasporto e smaltimento, l’associazione ne assicura il ritiro e la consegna sul tavolo dei commensali in giornata, eliminando anche eventuali costi di stoccaggio. «Il lunedì, il mercoledì ed il venerdì, alle 15.00, i volontari effettuano
Gli ospiti della “Locanda del Samaritano” sono 70% stranieri e 30% italiani. Questi i numeri relativi al 2014: 2.420 pernottamenti; 4.311 pasti erogati agli ospiti; 536 servizi doccia; 522 capi di biancheria intima distribuita; 4.112 pasti recuperati presso le mense scolastiche. Attualmente, oltre ai lavoratori, sono presenti 14 volontari: 6 nel magazzino e 8 alla Locanda; ne servirebbero altri per il recupero dei pasti eccedenti. d. r.
il ritiro con i nostri camion e, entro un’ora, portano la merce a destinazione. Prima di consegnare gli alimenti, vediamo se ci sono cose utili per la mensa (c’è sempre tanto!) in modo da ridurre anche i nostri costi». A tal proposito, il mio interlocutore mi spiega che la onlus può contare sul contributo di Fondazione Cariplo e su una convenzione stipulata con il comune di Treviglio, pertanto «si regge bene amministrativamente». Infine, il 27 ottobre dello scorso anno, ha aperto le porte la mensa gratuita: anche qui è previsto un tesseramento in base alla presentazione della dichiarazione ISEE e, come per gli altri servizi, una registrazione cartacea e computerizzata di iscritti e presenze. Gli ospiti possono gustare dall’antipasto al dolce, mentre i pasti preparati in più rispetto ai consumati effettivamente sono portati all’associazione “Aga” di Pontirolo Nuovo. Il pane fresco è fornito dai panifici trevigliesi “Maggi” e “Testa”, e da “Antigone” di Pandino. Poiché per motivi igienici non è consentito agli ospiti portare via il cibo servito, i volontari danno loro una busta con pane e frutta, in modo da garantire che possano mettere sotto i denti qualcosa anche a cena. Ma nel refettorio non si placa solo la fame di cibo, è un luogo di socializzazione: «qui sono nate tante storie d’amore e di amicizia, è positivo; gli ospiti fraternizzano, non andrebbero mai via, sebbene il regolamento chieda loro di fermarsi solo il tempo necessario per consumare il pasto»; lo vedo con i miei occhi: si aspettano, si tengono il posto. Ci sono un ragazzo, più che un uomo, con un occhio nero, barbe lunghe e visi curati, un paio di donne, tanti vestiti logori, tante storie... Ciò che colpisce, incontrando chi li aiuta, è il chiarore, la ricchezza del dono: del proprio tempo e delle proprie capacità, di un lam-
padario regalo di nozze dato a chi era al buio, addirittura della propria biancheria tirata fuori dai cassetti di casa. Ma soprattutto la beneficenza del riconoscere la dignità umana, non percependo l’altro come diverso, o come numero: ne conoscono tutti i nomi, il carattere, il fardello che portano. Non nascondono che ci sono i furbi, come chi prova a chiedere un sacco in più perché sostiene che la famiglia è numerosa (però l’Isee parla chiaro). Ma non sono loro di cui vi voglio raccontare. Vorrei condividere con voi il profumo delle pagnotte fragranti e appena sfornate, portate da una sorridente ragazza marocchina; o la profondità e la bellezza degli occhi di una ragazza ospite di Sirio, che serve in mensa e, in questo modo, impara l’italiano; o ancora la malinconia nel ricordo del sorriso sdentato di Fatima, ospite per oltre un anno presso la Locanda e improvvisamente sparita; la semplicità con cui un volontario ha salvato da morte certa un utente della mensa, ospitandolo presso un hotel e portandolo ad effettuare la dialisi... Un sorriso e uno sguardo, rispettoso e riconoscente, sono la moneta di scambio di chi incontrano: nessuna luminaria natalizia è splendente come certe testimonianze di bene disinteressato.
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Treviglio/Mostre
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L’arte moderna nella torre campanaria Il Museo Verticale ospita due installazioni dei vincitori del Premio d’Arte “Città di Treviglio” e Concorso Giovani Talenti
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a novembre la Torre Civica Campanaria, restaurata di recente e da poco sede del Museo Storico Verticale, ospita due interventi site-specific di Christian Fogarolli (Trento 1983) e di Andrea Magaraggia (Valdagno, Vicenza 1984), premiati nella terza edizione del Premio d’arte “Città di Treviglio” e Concorso Giovani Talenti. Le due installazioni completano il progetto espositivo concepito dai due artisti per le rispettive personali, allestite presso gli spazi “menouno” e lo “Sanpaolo Invest “a Treviglio e curate da Sara Fontana. Fogarolli, affascinato dalla verticalità della struttura e dalla presenza dei fori un tempo necessari per le corde delle campane, ha colto l’occasione per trasferire le tematiche a lui care all’interno di nuovi equilibri. Con l’installazione ambientale Tensione 10, l’artista agisce infatti letteralmente nello spazio, accompagnando il visitatore in un viaggio: la scultura lignea di una gamba, incombente nel vuoto all’ingresso, spinge a risalire alle origini mediante un movimento fisico e metaforico. Soltanto salendo ai piani superiori, e inseguendo il cavo in acciaio
teso attraverso i piani dell’edificio, si svelano gradualmente i meccanismi coinvolti, ora allontanando ora avvicinando una possibile evidenza: la consapevolezza di una mancanza, la necessità del tempo per la rigenerazione, la percezione deformata dal gioco delle lenti e, infine, la forza evocativa degli oggetti. Magaraggia ha preferito cercare un dialogo con i muri della torre, depositari di un millennio di storia trevigliese. Al secondo piano dell’edificio ha quindi installato a parete una piccola e misteriosa scultura in poliuretano, sospendendola a un’altezza che la proietta in un altrove. La forma di Polvere è l’esito di un addensamento di materia inaspettato, che ha qualcosa di romantico e di primordiale. Tuttavia, a uno sguardo più attento, essa evoca la forma di un orecchio costantemente teso all’ascolto. L’artista è così riuscito ad attivare lo spazio circostante entro una cornice lucida e rigorosa, secondo una modalità frequente nella sua poetica.
Il Lusso...
Foto by Enrico Appiani
Qualità e innovazione Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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Treviglio/L’arte e le riscoperte
Luigi Cassani e il “suo” campanile di Carmen Taborelli
È il monumento, il simbolo della città. Un tempo ritmava la vita dei trevigliesi. Rivisitiamolo attraverso le parole dell’autore di un volume pubblicato nel 1987
I
l campanile di Treviglio è splendido! Se la giornata è limpida ti permette di vedere parte delle Prealpi, la pianura oltre Milano e, ancora dopo, l’ombra degli Appennini. «L’avevo sempre sotto il naso questo benedetto campanile, a furia di vederlo non mi accorgevo più di lui; ma quando l’Editore Spotti di Cremona mi propose di aggiungere una piccola opera alla sua collana “Torri e Campanili”, mi accorsi che non lo conoscevo». A parlare è Luigi Cassani (Ginetto per gli amici), classe 1932, architetto molto apprezzato. Oltre a incarichi istituzionali in varie Commissioni Edilizie, ha ricoperto il ruolo di Ispettore onorario della Soprintendenza ai Beni Architettonici, Monumentali e Archeologici. Oggi, libero da impegni professionali, partecipa a quasi tutti gli eventi culturali della città; frequenta assiduamente la biblioteca civica, presso cui è conservato l’unico esemplare del suo “Il campanile di Treviglio”, pubblicato dall’editore Turris nel 1987, e impreziosito da molti suoi disegni eseguiti a penna. Cassani ha tra le mani la copia superstite del suo saggio e, con l’appagante soddisfazione di chi ha trovato una cosa preziosa che credeva per sempre perduta, inizia un’incontenibile e appassionata dichiarazione d’amore: «Potrete viaggiare quanto volete, ma un monumento come il Campanile maggiore di Treviglio non lo troverete mai. Non è solamente un imponente e bellissimo edificio, ma è un essere vivente. Ha infatti occhi; antichi storici ricordano che dalla sua sommità le guardie vegliavano giorno e notte, estate e inverno, con sole o nebbia, perché la comunità non incorresse in gravi pericoli, fossero briganti o minacciosi eserciti. Se sullo sfondo di tutte le strade per Treviglio emerge da lontano la sua massa violacea, di converso, dalla sua sommità si possono vedere d’infilata tutte le strade, tutta la pianura e le Prealpi orobiche». Il mitico gigante ha anche una voce? «Sì, ha una voce tonante che scandisce i fatti della cronaca e quelli della storia. Un tempo suonava l’arengo, l’arrivo del temporale, i turni
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d’acqua per i contadini, il fallimento o il funerale, la nascita assieme alle funzioni religiose e agli incendi, con più essenzialità ed efficacia degli odierni mass-media. Ritmava la vita della comunità». È corretto definirlo simbolo della città? «Il campanile - risponde Cassani - si trova sull’unica piazza in Treviglio, ma non è il monumento della piazza, è il monumento di tutta la città. Dimensioni e impegno artistico volevano degnamente e con amore rappresentare la comunità trevigliese, di cui è il simbolo significativo della pacifica libertà del borgo indenne da feudatari: ecco perché non un castello, né una torre, ma un campanile, non strumenti di guerra, ma voce della comunità». È bellissimo il nostro campanile, però quello di Caravaggio è più alto, anche perché, all’inizio del secolo scorso, l’ing. Carlo Bedolini lo sopralzò, portandolo ai 71 metri attuali. «È vero - ammette -, ma poche costruzioni antiche della pianura bergamasca raggiungono l’altezza del nostro campanile, che è quasi di sessantacinque metri. Dice la leggenda che i Trevigliesi, per non perdere il primato, avvelenarono lo sfortunato architetto che stava progettando di costruire un più alto campanile nel borgo di Caravaggio, da sempre loro
avversario». Secondo Cassani la mole del campanile, complessivamente omogenea nello stile gotico, appare originata di getto da un’unica mente e da un’unica cultura. È verosimile che le fondamenta furono gettate nel periodo romanico già con l’intenzione di edificare una gran torre. «Tullio Santagiuliana, con buone argomentazioni, ritiene che fosse più antico della stessa chiesa di San Martino; la sua origine sarebbe nell’anno 1008, perché la chiesa si appoggiò al campanile». Poi, tra lesene, marcapiani, capitelli, archeggiature intrecciate, nicchia a sesto acuto e altro ancora, il racconto si fa troppo tecnico per me. Allora cambio registro e sposto l’attenzione sulle “ferite” subite dal nostro campanile. In primis, quell’orologio, una specie di sveglia dal bianco quadrante e dai numeri arabi, che è stata sovrapposta a quella antica, più intonata per colore e tipologia. E poi lo strappo parziale dell’affresco della Crocifissione, eseguito dal restauratore Antonio Benigni, nel 1971, per conto del Lions Club; l’affresco è ora esposto nella cappella del Miracolo. Un’altra ferita la procurò, nel luglio del 1976, un fulmine, che rovinò alla base la
BONANZA VIAGGI dal 1970
A sinistra e sotto illustrazioni di Luigi Cassani riprodotte da Enrico Appiani. Sopra il “Museo Verticale” e sotto la vecchia meccanica dell’orologio del campanile. Entrambe le fotografie sono state scattate di Tino Belloli
guglia e la balaustra di coronamento. L’Amministrazione comunale finanziò la riparazione, ricostruendo tali e quali le parti mancanti. La proprietà della torre civica e l’uso delle campane, regolato dalle leggi canoniche, hanno creato, nel tempo, qualche frizione tra Comune e Clero. Una diatriba che, nel 1930, si fece più aspra tra il canonico Arturo Giovenzana e il Podestà Luigi Cassani (zio di Ginetto). Il primo scrisse al cardinal Alfredo Ildefonso Schuster per denunciare «un fatto increscioso verificatosi il 23 marzo 1930» compiuto dal Podestà che, autorizzato dall’Autorità Provinciale, aveva ordinato al campanaro di suonare le campane dalle 18 alle 18,30; e di suonarle solennemente per commemorare l’anniversario di fondazione dei Fasci, secondo le disposizioni emanate dal Capo del Governo, Benito Mussolini. Senza il permesso dell’Autorità Ecclesiale, il Comandante del Corpo delle Guardie Civiche fece irruzione nel campanile; incaricò due guardie e due impiegati comunali di suonare le campane, alla presenza di quattro fascisti e del segretario politico Pino Vitali. Alla fine il buon senso prevalse sulla conflittualità.
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Aziende informano/La Residenza Radaelli
Una casa di qualità, nuova e in centro «Un edificio - spiega l’ing. Maurizio Grechi - pensato per realizzare un edificio di qualità globale certificato in classe A+»
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ollocata in una zona centrale di Treviglio, nella tranquilla via Locatelli, svetta oltre le cime degli alberi la nuova Residenza Radaelli, un rigore di forme e colore, il bianco totale, che la notte si illumina attraendo lo sguardo dei passanti. È stata progettata secondo i più avanzati standard tipologico – costruttivi e impiantistici, come ci illustra l’ingegner P. Maurizio Grechi, per conto della società che ha realizzato l’intervento: «L’intero edificio è stato pensato in funzione di ottenere una costruzione di qualità globale, per la quale si è ottenuta la classe A+. Ogni elemento di struttura, di impianto e di finitura deve garantire un alto standard abitativo. Abbiamo adottato soluzioni tecniche all’avanguardia, per esempio, nell’intero edificio non è stata usata neppure una cazzolata di malta perché si è scelto di costruire l’intero involucro edilizio “a secco”, assemblando gli elementi costruttivi». In accordo con il principio che la casa deve migliorare la
vita di chi vi abita, un’impiantistica molto sofisticata assicura la climatizzazione ideale sia d’estate che d’inverno e un ricambio d’aria, indispensabile per rendere al contempo salubri gli ambienti della vita quotidiana e evitare dispersione di calore o di frescura. «Abbiamo ritenuto molto importante installare un sistema di climatizzazione “integrato”, che prevede un impianto sia fotovoltaico che geotermico, per garantire il contenimento dei consumi energetici che vengono in parte autoprodotti. L’intero sistema è servito da pompe di calore; nelle cucine si è previsto l’uso di piastre ad induzione. La scelta si è orientata verso tecnologie d’avanguardia, oltre che per garantire un efficiente risparmio economico e di energia, anche per innalzare il “comfort abitativo”, senza trascurare che il valore dell’immobile così dotato subirà un deprezzamento molto inferiore nel tempo rispetto a edifici similari costruiti nello stesso periodo». Coerentemente con l’involucro, gli interni degli appartamenti hanno finiture di standard elevato e sono tutti dotati di domotica di base, così come le parti comuni sono state curate in ogni minimo dettaglio per garantire ai proprietari di acquistare la casa dei sogni, ma anche con la certezza di aver investito il proprio capitale in un bene che si rivaluterà nel tempo.
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Treviglio/Un libro sulla Croce Rossa
Treviglio/La serata con gli A
Cri: cento anni di gratitudine
La Grande Guerra cantata e raccontata
Sabato 5 Dicembre la Cri presenta il libro di un nostro redattore, Marco Carminati, dedicato alla sua gloriosa storia a Treviglio e pianura negli ultimi cento anni
M
entre va in edicola il numero di dicembre de “la nuova tribuna”, la Croce Rossa Italiana, comitato di Treviglio presenta, presso l’Auditorium della Cassa Rurale Sabato 5 Dic. alle ore 10,00, il libro commemorativo dei suoi cent’anni. Animano l’evento il Direttore del Popolo Cattolico, Amanzio Possenti, l’autore del libro, lo scrittore Marco Carminati, le Autorità del Comune, il Presidente della Cassa Rurale, Giovanni Grazioli, il Presidente della CRI Treviglio, Massimo Gatti e i due coordinatori CRI, Primo Redaelli e Maurizio Boschiroli. Presenti anche il Presidente della CRI di Bergamo, Sabina Liebschner e l’Ispettrice provinciale di Bergamo delle Crocerossine, Sorella Patrizia Arti. Il Presidente Cri di Treviglio, Massimo Gatti sottolinea come cent’anni siano un arco temporale di tutto riguardo, specialmente quando sorregga un’istituzione figlia dei più nobili sentimenti umani. «È il caso della nostra Croce Rossa
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Italiana, Comitato di Treviglio – evidenzia Gatti - che celebra il primo secolo di vita e lo fa in concomitanza con un altro importantissimo centenario, grande ed eroico, centenario di tragedia e di sublime altruismo, quello della Grande Guerra, che vide nascere proprio in quegli stessi giorni di dolore e speranza, nella nostra città, la prima generosa risposta alle drammatiche esigenze della popolazione sofferente, cui darà riscontro attraverso la costituzione del locale sodalizio della Croce Rossa. Non a caso l’autore di questo breve saggio ha scelto di parafrasare il titolo di un capolavoro di Gabriel Garçia Marquez, evidenziando però il maggiore sentimento che la comunità trevigliese possa esprimere verso i propri membri, uomini e donne, che, nei panni di operatori della Croce Rossa Italiana, l’hanno voluta generosamente assistere, soprattutto nei momenti difficili. In questo modo abbiamo inteso lasciare al lettore e alla cittadinanza lo sprone e l’esempio di chi ci ha preceduto. I tempi sono cambiati, è vero, rispetto all’alba del “sogno visionario” dei pionieri della Croce Rossa Italiana e di quella Trevigliese, quando il Sindaco Ing. Carlo Bonomi e l’Ufficiale Sanitario Dr Luigi Vertova, posero le basi del loro lavoro con modestia, abnegazione, coraggio, lungimiranza. Così come sono ulteriormente mutati i costumi, le abitudini, le aspettative, le risposte, rispetto agli anni in cui la CRI di Treviglio consolidò la sua presenza e le sue strutture, grazie all’azione competente e appassionata del Dr. Gianbattista Blini, della Signora Maria Cassani Campana, del Commendator Antonio Taroni, del Senatore Angelo Castelli, di Luigi Villa, di Giuseppe Segalini. Ma la storia della Cri è comunque una sola ed è questa ormai centenaria, che vede uomini e donne della nostra terra, distinguersi per generosità, impegno, capacità di lottare, giorno dopo giorno per dare concretezza al sentimento nobile dell’altruismo, del dono di sé per il bene di chi soffre». g. v. Il Presidente Massimo Gatti durante una manifestazione della Croce Rossa in piazza accanto alla sostenitrice Cri Diana Monzio Compagnoni
di Carmen Taborelli
Teatro affollato per ricordare i nostri Caduti e tutti in piedi a cantare l’Inno Nazionale per ricordare i soldati trevigliesi che hanno combattuto e quanti hanno sacrificato la loro vita
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l TNT (Teatro Nuovo Treviglio) affollato, tutti in piedi a cantare l’Inno Nazionale. Non c’era modo migliore e più coinvolgente per iniziare la serata del 6 novembre scorso, organizzata dal Gruppo Alpini di Treviglio «per ricordare - come precisato dal capogruppo Emilio Gatti - i soldati trevigliesi che hanno vissuto ma soprattutto hanno pagato a caro prezzo i conflitti armati». È il loro sacrificio a meritare rispetto e considerazione perché sono essi ad assurgere ben alto sopra tutte le questioni politiche. Al loro diritto di essere celebrati e onorati, deve corrispondere il nostro dovere, un dovere morale e civico, di ricordarli e di farne memoria. Non però una memoria malinconica e nostalgica, ma attiva, efficace, feconda. Una memoria che educa, che chiede di essere insegnata alle nuove generazioni. L’evento, che si inseriva nelle celebrazioni del Centenario della Grande Guerra, ha visto l’alternarsi ben equilibrato di
Alpini al Tnt
canti e di testimonianze scritte dai soldati trevigliesi, impegnati là dove il conflitto fu aspro e grande fu la sofferenza: il fronte, le trincee, i luoghi di prigionia, gli ospedaletti da campo e gli ospedali militari di riserva. Massimiliano Castellone, nel triplice ruolo di presentatore, di voce narrante e di corista, ha saputo armonizzare il tutto, ricostruendo le fasi di un conflitto che, pur concludendosi, dopo quarantun mesi, con la vittoria del 4 novembre 1918, fu per molti combattenti senza ritorno. 690mila furono gli italiani Caduti, di cui 365 trevigliesi (308 di nascita e 57 di adozione). I cori “Monte Cervino” di Gessate, “Due Valli” di Alzano Lombardo e “Monte Alben” di Lodi, diretti rispettivamente dai maestri Costante Ronchi, Aurelio Monzio Compagnoni e Alberto Cremonesi, hanno raccontato in musica la nostalgia della famiglia, degli affetti, del paese natale, la tragica realtà della guerra, la disfatta di Caporetto, ma anche note più liete e serene, portatrici di speranza. Accompagnati da Marco Arrigoni all’armonica, Luisella Basso Ricci, Pietro Cariboni, Maurizio Chiari, Walter Danelli, Alberto Galli e Bruno Manenti, leggendo le lettere di sei combattenti, hanno fatto riecheggiare in sala la voce della solidarietà trevigliese e, in particolare, la voce dei nostri soldati, che hanno scritto e raccontato per noi, senza intermediari e in modo essenziale, la guerra che loro hanno visto e vissuto. Il racconto di una storia scritta dal basso, da soldati semplici, perlopiù fanti, veri protagonisti della Grande Guerra. Non però una storia minore, non una storia di serie B; bensì una storia importante e nobile quanto quella dei grandi eventi, delle battaglie e delle strategie militari. Infine, ripetendo il gesto d’inizio serata, tutti piedi a cantare all’unisono “Signore delle Cime”, il celebre brano di grande impatto emotivo di Bepi de Marzi, mentre l’ottimo regista della serata, Marino Mariani, recitava “La preghiera dell’Alpino”, scritta, nel 1935, dal bergamasco ufficiale
degli alpini, Gennaro Sora. “Il silenzio fuori ordinanza”, suonato alla tromba da Matteo Ferri, ha concluso la coinvolgente e molto apprezzata manifestazione alla quale ha pure presenziato un’autorevole rappresentanza dell’ANA (Associazione Nazionale Alpini) di Bergamo: il presidente Carlo Macalli, il coordinatore della Bassa Bergamasca Tonino Senese, il vice presidente Giovanni Ferrari e il consigliere Dario Frigeni. Interpretando il pensiero di molte persone presenti al TNT, esprimo un plauso e un ringraziamento agli Alpini. Grazie per aver ricordato un pezzo della nostra storia; grazie soprattutto per la capacità di dare concretezza ai valori in cui credete. Io, poi, ho un motivo in più, un motivo personale, per sentirmi idealmente vicina agli Alpini, appartenenti a uno dei più antichi e gloriosi corpi militari. Plaudo alla
Lettera del soldato Dante Protti
30 marzo 1916 Reverendo don Carlo Rossi In alto i cuori, in alto gli animi! Io posso dire di avere in alto il cuore e l’animo giacché sono a 2600 metri e più. Non ho ragione? Come ho già detto mi trovo a 2600 metri, in mezzo ad una corona di cime e di vette interminabili che si sperdono lontano nell’orizzonte intersecandosi, confondendosi fino a formare una sola linea bianca che taglia il cielo. Le assicuro che è qualche cosa di magnifico, di superbo, di grandioso. In mezzo a queste grandi altezze, in mezzo al luccicante all’abbagliante uniforme bianco delle nevi ci sembra di diventare piccoli piccoli. Sono contentissimo della scelta del corpo e sono entusiasta di questo paesaggio tanto ampio e tanto bello. Il mio entusiasmo cresce ogni qual volta osservo i nostri alpini al lavoro. Le fatiche che essi devono
Momenti dell’incontro al Tnt svoltosi il 6 Novembre scorso (Foto di Vittorio Brambilla)
loro la capacità di gesti solidali, nobili e profondamente umani, come quello, riportato di recente dal mensile “L’Alpino”, di deporre una corona d’alloro sui cippi che ricordano i Caduti. Non i nostri Caduti, ma i Caduti austro-ungarici, che, durante la guerra, furono i nostri nemici. Qual è il significato di questo gesto? Che cosa dice oggi a noi? Dice che, cent’anni dopo la fine della guerra, la consapevolezza di appartenere al comune genere umano ci aiuta a guardare i nostri “nemici” con occhi diversi, più sereni, oserei dire, più pacificati, perché anche gli austro-ungarici furono padri, fratelli, figli esattamente come i nostri. Vittime, perché di vittime si tratta, esattamente come i nostri padri, i nostri fratelli, i nostri figli. sostenere sono enormi, eppure non si lamentano mai e lavorano, lavorano instancabilmente. Io vorrei che li vedesse salire luoghi quasi impraticabili colla tormenta che li stordisce per portare il necessario ai loro compagni che installati sulle vette vigilano il nemico. Creda, sono veramente da lodarsi e ammirarsi. Ora devo parlare del nemico. Non si vede mai, ma nascosto nelle sue tane spara, spara continuamente credendo di intimorirci. Ci vuol altro. I soldati delle Alpi non si intimoriscono per così poco, ma lavorano continuamente a fortificare le posizioni anche sotto il fuoco. L’altra sera abbiamo messo una splendida linea di reticolato. A tale operazione ho preso parte anch’io. Se avesse sentito che bella musica intuonavano le pallottole che ci fischiavano intorno. Come ho già detto io mi trovo benissimo e sono contento di essere qui. Cordiali saluti a Lei. Ossequi alla famiglia Vertova. Protti Dante
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Fara d’Adda/Eccellenze di casa nostra
Teatro baffuto... Sempre piaciuto di Daniela Regonesi
Incontriamo Alberto Fumagalli, direttore artistico della “Compagnia Teatrale Les Moustaches”, giovane e bella realtà di Fara Gera d’Adda di studenti liceali e universitari, uniti dalla passione per il teatro, nata nel 2012
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amaleontica, divertente, poetica, giovane e talentuosa: è la “Compagnia Teatrale Les Moustaches”, nelle parole del suo direttore artistico, Alberto Fumagalli, un «fantastico incontro e coraggioso continuare» di studenti liceali e universitari, uniti dalla passione per il teatro. L’entusiasmo e la determinazione che questi ragazzi di Fara Gera d’Adda trasmettono dal palco, la ritrovo nel loro capo carismatico - regista, attore, paroliere e drammaturgo - che precisa: «Come regista non esisto senza i miei attori, mi sento una sorta di padre di famiglia. La compagnia è nata nel maggio 2012, con la consapevolezza che sul palcoscenico si può sbagliare, ma che l’importante è essere autentici. Ci siamo conosciuti dopo che avevo visto un recita natalizia improvvisata, brutta ma, appunto, autentica. Lì ho incontrato il mio futuro co-sceneggiatore, Enrico Giosué Clavenna, e ho proposto a lui e ai suoi attori l’ambizione di fare della recitazione il nostro lavoro». I baffi del nome della compagnia, che ha esordito con due adattamenti di fiabe (“Le avventure di Hercules” e “La storia di Biancaneve”) sono un omaggio autoironico al viso glabro di Alberto, che con i suoi 25 anni è il più vecchio del gruppo. Ma nel tempo “Les Moustaches” non sono cresciuti solo di numero, arrivando a comprendere venticinque attori, due tecnici audio, un tecnico luci, un corpo di ballo, un coro a quattro voci e musicisti per l’esibizione dal vivo; dall’ama-
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torialità sono passati ad un evidente semiprofessionismo, ottenuto con grande fatica e «imponendoci rigore lavorativo». E poichè le ambizioni sono alte, nel giugno 2013 hanno proposto la loro prima sceneggiatura originale, la tragedia musicale “Azra’el - il mito della Bianca Balena”, ispirata alle opere del cantautore Vinicio Capossela, seguita nel 2014 dalla commedia musicale inedita, “Baciami New York”, vincitrice di cinque premi alla Rassegna del Festival del Teatro Amatoriale di Milano presso il Teatro Nuovo. Sulle ceneri degli errori precedenti, e in coincidenza con l’ingresso di Alberto nell’accademia di teatro e arti performative STAP Teatro Brancaccio di Roma, nasce il musical
A sinistra e sotto il cast de “Il compleanno di nonna”, sopra un esempio dei complessi costumi realizzati per Tyger
“Tyger, la favola della principessa bambina”, progetto complesso che ha coinvolto anche il mondo della scuola: i licei artistici “Simone Weil” di Treviglio e “Giacomo e Pio Manzù” di Bergamo, nonchè giovanissimi studenti del territorio nel ruolo di comparse. Come ha avuto modo di scoprire il pubblico del Cassano Festival (dove erano state rappresentate anche le opere inedite precedenti) e del Teatro Nuovo Treviglio (il 18 ottobre scorso), si tratta di un’opera coinvolgente ed emozionante, capace di catturare il pubblico con canzoni orecchiabili - confluite in un cd - e magnifici costumi, opera dell’attore Giulio Morini e di sua nonna Emilia. Ma poichè, «il teatro deve avere coraggio», la vulcanica e versatile compagnia riesce a cambiare registro e a proporre pochi mesi dopo “Il compleanno di nonna”, commedia dissacrante ed esilarante che ritrae, in maniera grottesca, la famiglia italiana, il mese scorso in due date, entrambe sold out. al Teatro Filodrammatici. Pronti poi a cambiare nuovamente maschera, proporranno, il 12 dicembre prossimo, presso l’Oratorio di Badalasco, lo spettacolo teatrale per ragazzi “Fate la Nanna 2”, traduzione del loro format radiofonico in onda sulla web-radio www.sevenradio.it nella stagione 2013/2014. Il direttore artistico punta l’attenzione
“la nuova tribuna”
Piccolo ritocco al prezzo: + 0,50
Dopo la promozione di un anno a 2,00 euro, a Gennaio il prezzo di copertina de “la nuova tribuna” passerà a 2,50
sull’essere umano: «Siamo un sorta di straordinario centro per la cura sociale, nel quale le diverse caratteristiche di ognuno, gli svariati modi di essere vanno valorizzati. Ho avuto buone insegnanti, da cui ho imparato soprattutto come coltivare il bagaglio di talento delle persone. Lavoro spesso con le scuole: il teatro ha in sé la magia di far acquisire ai ragazzi la conspevolezza di sé». Le loro sceneggiature «nascono da un brainstorming che parte dall’assunto che qualcosa che non esiste non c’è, perché il teatro non è verità, è verosomiglianza, è una sfumatura della realtà: attingi da qualunque esperienza per creare un pensiero tuo autentico. Il nostro obiettivo è continuare ad imparare, con una buona dose di umiltà. Sappiamo che possiamo apprendere da chiunque, il nostro lavoro si basa sulla condivisione di ciò che ci circonda. Un nostro pregio è l’autenticità, che ci permette di veicolare un’emozione. Non lasciare il pubblico indifferente è una nostra necessità». Obiettivo raggiunto, ad esempio, al recente festival torinese di sketch teatrali “Il mio teatro in 8 minuti”, nel quale si sono classificati al secondo posto con “Hospital 36”. Un altro progetto ancora attivo è lo spettacolo di teatro-canzone”Mandarini a colazione”, mentre per il nuovo anno stanno preA sinistra il direttore artistico Alberto Fumagalli (Foto di Giacomo Nuzzo) sotto il cast di Tyger, sopra una scena di “Baciami New York”
parando “La fine del mondo”, concerto/show musicale con la direzione musicale di Paolo Camporesi e la collaborazione di Beppe Bornaghi e Fixforb (cfr. “la nuova tribuna” di ottobre e novembre). Innamorato dell’arte, che per lui ha «in generale un necessario bisogno di parola, di esposizione, di vita», che il teatro, in un bel racconto, può garantire, il capo-compagnia scrive, sul loro profilo Facebook: «Noi Les Moustaches […] vogliamo solo raccontare delle storie, fare emozionare con tutto quello che abbiamo a nostra disposizione. Siamo una grande famiglia, ci detestiamo quel che basta per amarci alla follia e prima di andare a letto ci piace raccontare delle storie. Delle belle storie». Alla buona riuscita di ogni spettacolo contribuiscono diversi genitori - da «ringraziare tantissimo» - e collaboratori in vari ruoli tecnici e di supporto. C’è grande amicizia e condivisione, sebbene Alberto non nasconda che scontino la difficoltà di farsi conoscere: le opportunità sono poche, tanto da farli sentire «coperti da un velo di invisibilità». Non vogliono, nè lo meritano, essere conosciuti solo a Fara Gera d’Adda, sebbene sentire i bambini del paese cantare e giocare “a fare Tyger” li riempia d’orgoglio. Sono convinta che, di belle storie da raccontare, questi ragazzi ne avranno ancora tante, e sono curiosa di scoprirle. Spero lo siate anche voi.
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ubblicando il primo numero de “la nuova tribuna” lo scorso Gennaio, sessantaquattro pagine a colori in carta patinata da 130 grammi, fu subito evidente a tutti che il prezzo di copertina di 2,00 euro non poteva altro che essere un prezzo politico, molto, ma molto lontano dal costo reale. Questo lancio promozionale è stato reso fattibile grazie alla copertura preventiva dei costi di stampa da parte di un mecenate, Fiorenzo Erri, che ha messo a disposizione quanto necessario per la start-up. Non vanno poi trascurati gli “eroismi” e i sacrifici di tutta la redazione, dal redattore, al correttore di bozze – tipografi, fotografi e grafici compresi – per finire a coloro che si sono impegnati di più, il comitato di redazione e l’esecutivo con il suo direttore, che hanno sostenuto un impegno che è sempre andato ben oltre la normalità di una qualsiasi redazione, basti pensare all’allestimento grafico, normalmente l’onere più gravoso per un giornale che non tira 10.000 copie. Immaginate poi per una rivista in carta patinata come la nostra. Persone spinte esclusivamente dalla passione e amore per la propria terra - per il giornalismo libero e di qualità che hanno permesso un miracolo in un mondo che da qualche anno viaggia su internet e vive una crisi economica mai conosciuta dalle generazioni nate dal periodo bellico in poi. Per continuare a far vivere questo sogno è però necessario avvicinare il costo della rivista in edicola al prezzo reale, così il prezzo che apparirà sulla copertina de “la nuova tribuna” da Gennaio sarà quello di 2,50 euro. Grazie per il sostegno e un abbraccio a tutti.
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Treviglio/Appuntamenti musicali
Al Tnt la Stagione di Musica Per la prima volta si svolgerà al Teatro Nuovo di Piazza Garibaldi, permettendo a musicisti di fama internazionale di sperimentare l’acustica straordinaria
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orna anche quest’anno la Stagione di Musica a Treviglio, promossa dall’Assessorato alla cultura e sotto la direzione organizzativa di Treviglio Musica. La XIII° edizione di questo appuntamento si terrà per la prima volta al Tnt, il nuovo teatro di
INFO & PREVENDITE Centro Studi Musicali Treviglio (Piazza Cameroni 3). Lunedì, Mercoledì e Venerdì dalle 16.00 alle 18.00 Accademia Musicale Treviglio (Viale Oriano 17)- Dal Lunedì al Venerdì dalle 14:30 alle 20:00 BIGLIETTO SINGOLO: €15; RIDOTTO (minorenni: €5; Abbonamento 5 Concerti: €50(Posto numerato e riservato) www.trevigliomusica.it Tel. 320 0653087
piazza Garibaldi, che offrirà ai musicisti la possibilità di esibirsi al meglio grazie alle notevoli doti acustiche dei suoi spazi. Sei gli appuntamenti previsti, con artisti e orchestre di fama e di livello internazionale, a conferma della volontà degli organizzatori di mantenere questa manifestazione sempre ad altissimi livelli. La finalità della Stagione di Musica è quella di promuovere sul territorio concerti e progetti che incrementino la cultura musicale e la sensibilizzazione all’ascolto. Un altro lodevole obiettivo è di inserire in cartellone concerti di giovani artisti meritevoli di attenzione, offrendo loro un’oppor-
tunità di crescita e di confronto con artisti più affermati. La cosa pare riuscire bene, se è vero che in tutti questi anni il pubblico è stato sempre in crescita e che la partecipazione è alta anche nelle fasce più giovani, segno della bontà delle scelte operate in questi anni da Treviglio Musica a sostegno dei giovani musicisti. Ad aprire la stagione sarà l’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano, diretta dal maestro Paolo Belloli, che domenica 20 dicembre alle 16 presenterà le “Danze d’autore - aspettando il nuovo anno”, con brani di Brahms, Tchaikovsky, Nicolai, Dvorak, Strauss II, Verdi, Ponchielli. Al termine del concerto, per inaugurare al meglio la stagione, Treviglio Musica offrirà un rinfresco ai presenti. Molto diversi fra loro sono i vari appuntamenti, anche se per l’edizione di quest’anno il maestro Belloli, direttore artistico della rassegna fin dalla sua prima edizione, ha voluto dare parecchio risalto alle orchestre per l’esecuzione di programmi sinfonici. Oltre ad aprire la manifestazione, infatti, l’orchestra sarà la protagonista del concerto di chiusura, che si terrà il 13 marzo sempre alle ore 16, con l’Orchestra Filarmonica Italiana, diretta dal maestro Dejan Savic con musiche di Mozart e Haydn; il concerto del 9 gennaio alle 20.45 con la National Radio
Due note sull’’Orchestra “I Musici del Teatro”
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aolo Belloli ed Elisabetta Magri sono due musicisti ben noti nel territorio in cui operano: dirigono infatti due importanti Istituti Musicali, Il Centro Studi Musicali e l’Accademia Musicale di Treviglio. Queste scuole da anni sono fucine di nuovi talenti, alcuni di loro già avviati ad una promettente carriera. L’Orchestra “I Musici del Teatro” è la sintesi delle esperienze maturate da Belloli e Magri con la finalità di valorizzare giovani musicisti, un vero e proprio laboratorio dove neo diplomandi o diplomati possono affinare le loro capacità e il loro talento, lavorando a fianco di musicisti
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Referente Medico Struttura: Dott. Stanislao Aloisi (Medico Chirurgo) Supervisore discipline non EBM: Dott. Michele Tumiati (Medico Chirurgo) Referente Discipline Integrate: Simona Ardemagni (Tecnico di laboratorio analisi / Naturopata) Convenzione tecnico-scientifica con l’ambulatorio di Medicina di Base: Dott. Armando Pecis
Company of Ukraine Symphony Orchestra. Musiche di Glinka, Mussorgsky e Khachaturian; e l’atteso concerto, amatissimo dai trevigliesi, per la Madonna delle Lacrime, il 12 febbraio alle 20.45, l’unico che si tiene in Basilica a ingresso libero, con l’orchestra I Musici del Teatro (vedi box). Musiche di Mendelsshon (Le Ebridi, Ouverture) e Beethoven (Concerto per violino e orchestra in Re maggiore; Sinfonia n.5 in Do minore). Protagonisti il violino Alessandro Ceravolo e il direttore Paolo Belloli. A completare il cartellone, due concerti di musica da camera, con il duo franco-inglese Arpa e tenore: Sandrine Chatron e Michael Bennet, per l’esecuzione di brani della tradizione musicale inglese, il 24 gennaio alle 16; e il duo DUoUD, violino e pianoforte, Lina Uinskyte e Mauro Dilema, previsto il 21 febbraio alle 16. Una stagione musicale che si annuncia dunque ricca di contenuti e ad altissimi livelli, come ormai da molti anni i trevigliesi, e non solo, si aspettano di trovare. Le modalità per l’acquisto dei biglietti sono le seguenti: biglietto singolo 15 auro, ridotto 5 euro. Abbonamento per i cinque concerti: 50 euro. Il posto è sempre numerato e riservato. Per informazioni www.trevigliomusica.it. Tel. 320.0653087 Daniela Invernizzi affermati. Il nome prende spunto dal Teatro Nuovo Treviglio, da poco inaugurato e destinato a diventare la vera casa dell’orchestra. “I Musici del Teatro” affronta repertori che spaziano dal classico tradizionale alla musica del ‘900. Il concerto d’esordio, tenutosi nella Basilica di San Martino lo scorso 13 febbraio, ha riscosso un grandissimo successo di pubblico e di critica. Paolo Belloli svolge un’intensa attività come direttore d’orchestra, sia in Italia che all’estero, oltre che ideatore e promotore della Stagione di Musica. Elisabetta Magri è docente di violino e svolge importanti attività di promotore musicale. La presidente dell’Associazione che sostiene l’Orchestra è la signora Alda Cologni Sonzogni.
• Medicina Funzionale - Biochimica Clinica Medica • Nutrizione Metabolica Medico Nutrizionistica • Osteo-Fisioterapia - Massoterapia - Taping Neuromuscolare • Naturopatia D.B.N Regione Lombardia • Reflessologia Plantare D.B.N Regione Lombardia • Agopuntura Medica • Riflessologia auricolare funzionale F.A.S.T. Discipline Bio-Naturali • Detossicazione ionica plantare Iscritte ai Registri Ufficiali • Analisi di laboratorio con referto medico: - Mineralogramma / Indagine Gastrointestinale - Analisi dei Metalli Tossici / Tossicosi croniche - Intolleranze alimentari su sangue D.B.N Regione Lombardia - Check up Salute e Prevenzione La Nostra Mission: «Riconoscere il ruolo fondamentale della Medicina Ufficiale nell’ambito della salute, aprendo a nuove interpretazioni e reali possibilità di trattamento fornite dalle Discipline Bio-Naturali indicate nei registri della Regione Lombardia salvaguardando la valenza scientifica attraverso periodici case reports e meta-analisi caso correlate».
Treviglio - Via Sangalli, 17 - Tel. 0363.1760007 Mail: spazio.richieste@virgilio.it Facebook: mater salute e prevenzione primaria Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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Caravaggio/L’Angelotto vola a Cologno Monzese
Radio Zeta: una storia che continua di Daniela Invernizzi
Grandi cambiamenti per l’emittente fondata da Angelo Zibetti nel 1976; non avrà più la sede in terra bergamasca ma a Cologno Monzese presso il colosso radiofonico Rtl. Emittente che ha visto la luce nella nostra terra, ad Arcene
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opo trentanove anni lascia per sempre il nostro territorio l’ultima grande radio nata in terra bergamasca. Radio Zeta, la storica emittente fondata a Treviglio nel 1976, trasloca a Cologno Monzese, dopo il passaggio di proprietà dalla famiglia Zibetti al colosso Rtl, primo network in Italia in fatto di ascolti e anch’essa una delle emittenti di successo che ha visto i natali in provincia di Bergamo, più precisamente ad Arcene. Chiusa cinque anni fa la discoteca Studio Zeta, sede anche dell’emittente radiofonica, con questo trasloco si assiste all’ultimo atto della storia di questa radio, almeno così com’era stata concepita e voluta dal suo patron Angelo Zibetti. Una storia che comincia, come dicevamo, il 6 novembre 1976, agli albori della radiofonia privata italiana. Con la liberalizzazione, che pone fine al monopolio Rai, nascono in quegli anni numerose emittenti libere e, con loro, un nuovo modo di fare radio, che sancisce il passaggio da una forma di comunicazione istituzionale, ingessata, a una più informale, sciolta, a volte irriverente, comunque più libera. Angelo Zibetti, giovane imprenditore, coglie subito l’enorme potenzialità del media e trasforma nel giro di pochi anni una piccola emittente locale, come ce ne sono tante in quel periodo, in una grande radio sovraregionale, che arriva negli ultimi anni a coprire tutto il nord Italia e parte della Toscana. Rispetto
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alle altre emittenti, Radio Zeta ha caratteristiche tutte sue, che la pongono come un cameo in mezzo al panorama radiofonico generale. Nata infatti come emittente generalista, negli anni acquista una più definita identità, sia dal punto di vista musicale che del rapporto con il suo pubblico. Essa infatti trasmette musica da ballo, un genere che nessun’altra emittente propone, ed è subito un enorme successo. Non si tratta solo di quello che i nostri genitori chiamavano “liscio”, ma anche di un’evoluzione dello stesso, che ha portato alla nascita di brani dalle sonorità più complesse, vere e proprie canzoni che hanno avuto in questi anni un ottimo riscontro di pubblico,
A sinistra l’ultima festa allo Studio Zeta prima della chiusura, 2012. Prima festa di Radio Zeta, 1977. A destra Angelotto con Anna Oxa. Sotto gli attuali conduttori di Radio Zeta, da sinistra il programmatore musicale Ambrogio Berna, Angelo Zibetti con la moglie Katia, Alessandro Benericetti, Alex Morelli. Seduti Fabiana Viola, Daniela Invernizzi e Francesco Nava.
affezionatissimo ai suoi beniamini, che siano i cantanti o i conduttori di Radio Zeta. Lo dimostra il fatto che l’emittente ha in media ottocentomila ascolti giornalieri, un dato enorme se si considera che non si sta parlando di un network. Negli anni, l’interazione con gli ascoltatori si fa sempre più stretta grazie anche all’avvento dei social, all’organizzazione di feste in piazza e di viaggi, che cementano sempre di più il rapporto quasi “familiare” tra radio Zeta e i suoi ascoltatori. Non per niente lo slogan è stato, per tutti questi anni, “Radio Zeta, la radio di famiglia”. La prima sede dell’emittente (che, a onor del vero, si chiamava all’inizio Stereo Radio Treviglio Sound) era al settimo piano del “grattacielo” della nostra città, ovvero il palazzo di piazza Insurrezione; in pratica un appartamento, combinato in qualche modo, com’era normale allora per le piccole radio libere; ma lo spirito era così alto, anzi, si stava davvero così in alto che i conduttori avevano fatto propria la frase “Heaven on the seventh floor”, “il paradiso al settimo piano”, dal titolo di una celebre hit di quegli anni di Paul Nicholas. Poi, con la nascita dello Studio Zeta, il 14 febbraio 1985, Radio Zeta trasloca negli uffici ampi e spaziosi sopra la discoteca, dove è ancora ubicata. Lo Studio Zeta, in tutti questi anni, ha avuto un legame indissolubile con la radio, sia per i concerti, che hanno visto passare da lì le migliori voci del panorama
musicale nazionale e internazionale, sia per le serate di ballo, che hanno portato nei suoi locali più generazioni di ballerini e “discotecomani”. Tra le voci storiche che, fin da subito, animavano in quegli anni i programmi di Radio Zeta, ricordiamo le trevigliesi Eugenia, Nadia Bornaghi, rimaste a lungo ai microfoni della radio; Nicoletta De Ponti (oggi voce di Rtl); e moltissimi altri trevigliesi che si sono cimentati nell’etere, come Giancarlo Rossi, Corrado Sonzogni, Gino Catini, Augusto Iannarilli, Ornella Musolino, Silvia Riva, Isa Locatelli, Daniela Gusmini, Walter Ravasi e l’indimenticato Gianni Mecca; e naturalmente, da 40 anni ormai, il caravaggino e proprietario dell’emittente, Angelo Zibetti, in arte Angelotto. Non tutte queste voci hanno poi intrapreso la carriera del conduttore radiofonico; qualcuno ha lasciato subito, altri sono rimasti a lungo, oppure li potete ascoltare ancora oggi su altre emittenti, come la già citata Nicoletta De Ponti, ma anche Dario Desi (Radio Montecarlo) o Walter Pizzulli (Discoradio). Così come numerosi sono stati i cantanti più famosi che sono passati per i suoi studi: praticamente tutti quanti. Oggi Radio Zeta festeggia il suo 39° compleanno con un passaggio di proprietà importante, che non la porterà a sparire, ma ad evolversi in qualcosa di diverso, seppur non meno interessante: sta per nascere Radio Zeta l’italiana, una nuova emittente, che sotto la direzione del nuovo patron, Lorenzo Suraci, si appresta a raccogliere non solo il pubblico di Radio Zeta, ma anche nuove fasce d’ascolto, grazie a una programmazione musicale più articolata e alle enormi potenzialità di cui dispone in questa nuova realtà. Gli studi traslocheranno presto nel moderno palazzo di Cologno Monzese, dove ha sede anche l’ammiraglia Rtl 102.5 (anche perché presto lo stabile di via Treviglio verrà abbattuto per far posto a nuovi insediamenti commerciali). L’avventura continua, anche se resta il rammarico di aver perso un’emittente radiofonica unica e una realtà aziendale che rappresentava un’eccellenza per il nostro territorio e per la città di Caravaggio. Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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Caravaggio/Il cinema e Studio Zeta
Quei fantastici anni ‘90 di Ivan Scelsa
A oltre vent’anni dalla sua presentazione nelle sale cinematografiche, ricordiamo la pellicola girata alla discoteca “Studio Zeta” di Caravaggio
Ambientato in discoteca, è un’iperbole della paura dell’AIDS in cui, in una società nuova, sempre più aperta e comunicativa, la precauzione diviene presto ossessione. Ma quale era la discoteca che più di tutte rappresentava l’icona del divertimento in pianura Padana? La risposta è facile, quasi scontata: lo Studio Zeta. Era un vero must per i giovani degli anni Novanta che nel fine settimana raggiungevano la statale undici tra Treviglio e Caravaggio per vivere una serata di divertimento al ritmo di esaltanti, nuove, sonorità che si facevano strada nelle sale da
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li anni Novanta. Sembra ieri, eppure è già trascorso oltre un ventennio da quel periodo di grande fervore per il cinema italiano, ricco di pellicole che hanno rappresentato un momento importante per il settore, in cui l’Italia, storicamente, ha sempre avuto un ruolo da protagonista, con commedie più o meno impegnate. Parliamo di “Anni 90”, una pellicola del 1992 diretta da Enrico Oldoini per la Filmauro: un film diviso in otto episodi interpretati da Christian De Sica, Ezio Greggio, Andrea Roncato, Massimo Boldi, Nino Frassica, Maurizio Mattioli e Francesco Benigno. Indubbiamente un successo di cassetta, di quella commedia all’italiana che, sulla scia degli ottimi incassi al botteghino, l’anno successivo ebbe anche un sequel: “Anni 90 - Parte II”. Tutti gli episodi fotografano gli stereotipi, le consuetudini, gli usi e costumi della gente di quegli anni. In un quadro sicuramente comico (ma non tanto lontano dalla realtà) il film affrontava argomenti importanti. Tra di essi, particolarmente interessante per il nostro territorio è l’episodio di apertura del film.
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ballo di tutta Italia. La sua forza era quella di puntare ad una diversificazione dell’offerta musicale per adeguarsi a vari tipi di pubblico, con ospiti importanti che ne animavano le serate: da Jovanotti a Laura Pausini passando per Gigi Sabani e Ligabue. Il film è la storia di due giovani amici che raggiungono il piazzale antistante Studio Zeta a bordo di una fiammante Alfa Romeo 75 verde; il loro arrivo è tutt’altro che sobrio, proprio come la livrea della vettura, personalizzata da strisce rosse sulle fiancate, alcuni adesivi raffiguranti fiamme ed una pantera sul cofano motore. Non mancano poi gli accessori after market tanto in voga in quegli anni. Come se non bastasse lo stile di guida lascia poco spazio all’interpretazione: aggressivo, rombante e
dalle ruote fumanti. Perché?!? Semplicemente perché il ragazzo degli anni Novanta ha una sola parola d’ordine: colpire, mostrare i muscoli attraverso la propria vettura che deve essere potente, appariscente. Tra gli anni Ottanta ed i primi anni Novanta, infatti, l’automobile vive uno dei periodi più interessanti dal punto di vista prettamente motoristico (molto lontano dall’odierna interpretazione del mondo dei motori, limitato in tutto da restrittive normative anti-inquinamento e di tutela di occupanti e pedoni); le elaborazioni meccaniche ed estetiche, anche posticce, proprio come quelle del siciliano Salvatore, protagonista dell’episodio, erano all’ordine del giorno, quasi un obbligo morale a cui nessuno può e vuole sfuggire. Parcheggiata l’auto, i due giovani entrano in discoteca e qui, Salvatore (interpretato da un giovanissimo Francesco Benigno), ancor prima di mettere piede nella gremitissima sala da ballo, inizia ad adocchiare le ragazze del posto, cercando quella che potrebbe rispondere ai suoi ammiccamenti. Ed è così che conosce Daniela - che si autodefinisce ‘informata e responsabilÈ- che lo mette di fronte alle sue responsabilità. Dopo averlo costretto alla prova dell’etilometro all’uscita della discoteca e a lasciare così la propria auto nel parcheggio, lo induce ad usufruire di un costoso taxi (anche a causa dell’entrata in vigore delle targhe pari, altra importante problematica degli anni di riferimento in cui la soluzione all’inquinamento sembrava potesse essere data dall’utilizzo a giorni alterni delle vetture, a seconda del numero finale della targa). Il ragazzo la porta a casa sua: una volta arrivati nella sua stanza, lei solleva tali e tante obiezioni di natura sessuale e precauzionale, da costringerlo a bardarsi di teli di plastica dalla testa ai piedi. Sicuramente un’esagerazione in veste comica della problematica - ancora attualissima e carica di significati - soprattutto se pensiamo alla troppa facilità di costumi di una società che da allora, a dirla tutta, è anche peggiorata. Alcuni frame della pellicola “Anni 90” girata nel piazzale antistante la discoteca Studio Zeta. A distanza di 23 anni, un’Alfa Romeo 75 come quella utilizzata nel film, davanti a Studio Zeta.
Treviglio/Negozi per passione
Scarpellini: lavorare per la musica di Silvia Bianchera Martinelli
Dopo la visita presso il negozio “Triade”, è ora la volta di presentarvi un altro negozio di strumenti e musica, nel cuore di Treviglio
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reviglio - «Vede, oggigiorno, purtroppo, si è quasi perso quel particolare tipo di rapporto umano che dovrebbe esistere tra chi vende e chi compra, voglio dire quel rapporto onesto, franco, sano, fatto di reciproca fiducia. Noi, nei nostri negozi, questo rapporto vogliamo mantenerlo in vita, ed è da più di cinquant’anni che lo facciamo!» A parlarmi così e con una certa simpatica enfasi è Roberto Ferrari del negozio di “Scarpellini Strumenti Musicali”, da sempre collaboratore dell’azienda di via Crippa, nel centro di Treviglio. «Ho detto “negozi” perchè questo che vede lei è assai più recente rispetto, diciamo così, a quello”storico” situato a Boltiere, che fu inaugurato nel 1963 dai genitori di Viviana» - e così dicendo mi indica con lo sguardo una bella signora bionda che ci guarda annuendo e sorridendo: «Sono stati proprio papà Domenico e mamma Nora a dar vita alla prima azienda, che ora conduce mio fratello Maurizio a Boltiere, non senza la supervisione, spesso e volentieri ancora oggi, di papà». A raccontare ora è appunto Viviana Scarpellini, figlia dei fondatori dell’azienda, e in ogni accento, in ogni inflessione della voce traspare l’orgoglio di quel che è stato fatto e di quel che si fa tuttora, in termini di lavoro e di sacrificio. «Questo negozio è molto più giovane rispetto a quello sito in Boltiere, ha solo ventiquattro anni!» - Se penso alla celerità con cui vedo aprire e chiudere nel giro
di pochi mesi molte attività commerciali, non posso che stupirmi della solida capacità imprenditoriale di questa famiglia. Ne avrete viste delle belle in questi decenni di rapporto con il pubblico, dico, rivolgendomi a Roberto «Certo,in questi anni abbiamo vissuto come si evolve l’approccio alla musica, così come abbiamo visto la trasformazione “acustica” o “digitale”di molti strumenti tradizionali, e noi abbiamo sentito il dovere e la necessità di essere preparati alle nuove esigenze del mercato». E chi sono soprattutto i vostri clienti? «Beh, a parte i clienti occasionali, ci occupiamo di alcuni istituti a indirizzo musicale per la manutenzione o la sostituzione degli strumenti utilizzati dai ragazzi, serviamo alcune scuole che impiegano il metodo didattico di assoluta avanguardia “LIZAR”, e poi siamo orgogliosi di avere tra i nostri clienti Vanni Comotti, batterista degli Equipe 84 e dei New Trolls, e poi Silver di “X Factor”, ed anche Diego Arrigoni dei Modà, al quale “la nuova tribuna” ha dedicato la copertina del numero di ottobre». «Ma sa qual è il nostro fiore all’occhiello?» - Interviene ora Viviana - «è la vacanzaculturale che ogni anno a primavera trascorriamo a Francoforte, in Germania,con un bel gruppo di nostri clienti in occasione della “Musik-Messe”, la fiera internazionale degli strumenti musicali, che richiama operatori americani e asiatici, oltre che europei naturalmente, e visitatori da tutto il mondo». Più che un negozio mi pare che siate un punto di aggregazione, dico sorridendo «Proprio così. Ma sa che abbiamo scoperto che a volte i nostri clienti si danno appuntamento qui da noi? “Vediamoci da Scarpellini”, dicono. Neanche fossimo un bar della piazza!» «Anzi - aggiunge Viviana con un gran sorriso - qualcuno ci ha rimproverato perché non abbiamo ancora pensato ad isolare un angolo-caffetteria in negozio, pensi un po’». Ora però Roberto e Viviana sono occupati con alcuni clienti: conti da saldare, cataloghi di clarinetti, una nuova corda “cantino” per
Immagini del negozio e in basso i coniugi Roberto Ferrari e Viviana Scarpellini
chitarra classica, uno spartito da ordinare, ma intanto ci si informa anche sullo stato di salute della nipotina e sui suoi progressi nello studio... Mentre ascolto il ricco cicaleccio che si è venuto a formare in pochi minuti, mi guardo intorno: chitarre classiche ed elettriche, attrezzature complete per d.j: «Qui lo spazio è molto limitato, è nell’antico negozio di Boltiere che teniamo pianoforti a coda e tutta la serie degli archi, dai violini ai contrabbassi e comunque gli strumenti più ingombranti e delicati che hanno bisogno di ampio spazio» mi informa Roberto. È ormai giunto il momento di salutare e lasciare Roberto e Viviana tranquilli al lavoro. Esco nel tiepido sole autunnale. È giorno di mercato e Treviglio è particolarmente festosa. Mentre mi muovo tra i banchetti di ciclamini e piante di erica, penso alla simpatica visita di pochi minuti fa, e mi salgono alla mente due considerazioni: innanzitutto che i giovani manager di oggi, oltre a frequentare stages e master, sarebbe bene frequentassero anche qualche negozio trevigliese, sono certa sarebbe cosa utilissima per la loro futura carriera di imprenditori. La seconda considerazione è che, tutto sommato, un angolo-caffetteria nel negozio Scarpellini ci starebbe proprio bene!
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Treviglio/Arti & Mestieri
Manenti Shoes: quando la tradizione calzolaia si rinnova
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manuele Manenti è un giovane ed abile artigiano che ha costruito sulla tradizione di famiglia la sua impresa volta al futuro. Manenti Shoes realizza scarpe artigianali di eccellenza, usando materie prime di alta qualità con estrema attenzione e cura dei particolari. «La scarpa su misura è molto richiesta – ci dice Emanuele – perché oltre a garantire un’altissima qualità del prodotto, coniuga la lavorazione a mano di un capo fatto su misura con la possibilità di personalizzare il manufatto secondo i gusti e le esigenze estetiche del cliente». Per esemplificare quanto dice, Emanuele mi mostra delle scarpe, all’apparenza diversissime tra loro, spiegandomi che sono un unico modello proposto in diversi materiali e personalizzato da dettagli che rendono ogni scarpa unica nel suo genere. Il cliente, con l’aiuto di un configuratore 3D, dopo aver scelto il modello può creare la sua personalissima scarpa scegliendo ogni elemento, dal pellame agli occhielli; nel caso, per esempio, di una sneaker, il colore delle cuciture, ad un prezzo che premia la qualità del manufatto e la ricercatezza dei materiali
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senza essere un lusso impossibile da concedersi. Il progetto di Emanuele prevede di ampliare la sua rete di vendita, oltre che online, anche dotando selezionati negozi in Italia e all’estero del configuratore 3D, attraverso il quale i clienti potranno comodamente scegliere come personalizzare le proprie calzature, vedendo sullo schermo la proiezione fedele dell’opera finita. Già da tempo è consolidato il sodalizio con Cristina d’Avena che fa realizzare i modelli di scarpe della sua collezione moda da Manenti Shoes. Un progetto ancora più ambizioso è quello studiato insieme alla Fondazione Marco Pantani di produrre scarpe da ciclismo, in onore del famoso Pirata, in aggiunta a quelle che già la Fondazione gli commissiona. «Il negozio di Treviglio, offre anche diversi servizi di calzoleria e riparazione, da quelli più comuni come risuolature, tinture, fino a rinnovare integralmente le vostre scarpe e borse». Cristina Signorelli
Treviglio/Il futuro prossimo
La rete entra ora nel frigo e non solo di Fabio Erri
Internet of Things è l’evoluzione che rappresenta un salto nella capacità della rete telematica di raccogliere e coordinare informazioni, quindi manovrare in automatico qualunque apparecchiatura,piuttosto che inviare dati medici
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reviglio - «Fabio Erri, penna della fantascienza del presente de “la nuova tribuna”, affronta l’evoluzione che sta causando “Internet of Things”, il sistema di interconnessione che permetterà di comandare, o meglio tenere sotto controllo, qualsiasi “oggetto” sia attrezzato per collegarsi alla rete, dal frigorifero al termostato di casa o dell’officina, dal contatore del gas a quello della luce o ai singoli caloriferi;dall’orologio da polso all’automobile o la barca, piuttosto che le apparecchiature sanitarie di controllo sulla persona o nelle attrezzature mobili. Cose che in parte già succedono ma che con il potenziamento della rete e della sua capacità, cosa che è recentemente avvenuta a Treviglio, ci cambierà la vita. Vale dunque la pena affrontare questa lettura, che apparentemente a qualche lettore potrà sembrare tecnica, ma in realtà semplice se ci si guarda attorno e si osservano gli oggetti che ci circondano».
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r. f.
e tematiche IoT (Intenet of Things, che tradotto in italiano è “Internet delle Cose” o meglio ancora “Internet Nelle Cose”), insieme ai Big Data, stanno occupando in modo pervasivo i dibattiti sull’evoluzione del mondo delle comunicazioni e telecomunicazioni. Secondo questo paradigma gli oggetti diventano intelligenti, e acquisiscono oppure trasmettono dati attraverso connessioni ad internet sia fisse che mobili. Ne sono un esempio i contatori del gas di nuova generazione, che grazie ad una connessione ad internet scambiano dati, in primis quelli del consumo, con il gestore della rete; oppure lo sono le stazioni di monitoraggio meteorologico che raccolgono una mole di dati così elevata (Big Data) da essere utilizzata per la ricerca scientifica in ambito di protezione idrogeologica e difesa del suolo; lo sono anche i cosiddetti wearable devices, cioè indumenti che contengono dei computer in grado di rendere intelligente, connesso e trasformabile
anche quello che eravamo abituati a considerare un semplice pezzo di stoffa e plastica. Con lo IoT diamo il benvenuto anche ad una nuova relazione dell’accesso ad internet: non solo H2M (Human to Machine, da un fruitore umano ad un computer) ma anche M2M, Machine to Machine, con internet che mette in comunicazione due computer senza sollecitazione dell’uomo. Anche questa volta, dalle colonne de “la nuova tribuna”, non vi parliamo di tecnologie che fanno parte della fantascienza o semplicemente futuribili. IoT è già arrivato, è già utilizzato ed è sempre più in espansione persino nella nostra arretrata (digitalmente) Italia. Il nostro tentativo di descrivere in poche parole un fenomeno innovativo e pervasivo come lo IoT può sembrare semplicistico, ma consente quantomeno di intuire la portata immensa del cambiamento che queste tecnologie stanno portando alle aziende ed alle persone.
I dati del fenomeno IoT
Già oggi il numero di dispositivi IoT è pari a quello di smartphone, tablet e pc messi insieme. Ma nel 2020 si prevede che a fronte di 2,5 miliardi di smartphone, tablet e PC ci saranno 25 miliardi di dispositivi IoT. Tra tutti i dispositivi IoT ben il 62% sarà dedicato al settore Utilities: gas, energia, acqua e ri-
Nelle foto: sopra un contatore del gas intelligente, accanto un wearable device, bracciale che colleziona dati medicali, sotto il pannello di un frigorifero LG connesso ad internet per la gestione degli alimenti
fiuti trarranno grandi vantaggi dal monitorare in tempo reale gli utilizzi dei loro clienti. I tre dispositivi connessi che ogni italiano oggi possiede, diventeranno sette nel 2020: a PC, telefono e tablet si sommeranno quasi certamente la TV, l’automobile, l’orologio e il frigorifero. La sindrome da “Gr ande Fratello” non deve spaventare, soprattutto dopo aver considerato che i dati “medicali” provenienti dagli wearable device consentiranno una vita più sana e consapevole (oltre al fatto, non trascurabile, che l’ambulanza possa partire in vostro soccorso senza bisogno di telefonare al 118). Infine, per chi si aspetta che dalla tecnologia arrivino strumenti per lavorare di meno e passare più tempo con la propria famiglia, gli “oggetti connessi” presenti all’interno dei processi consentiranno di aumentare anche la capacità di produzione industriale. Aumentata fino al 30% secondo alcuni ma, sebbene chi vi scrive sia un inguaribile sostenitore delle capacità di internet di migliorare la vita, ritengo improbabile che sarà il 2020 l’anno in cui ci verrà regalata dalla tecnologia la “settimana corta”.
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Le aziende d’eccellenza
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La casa della bontà di Daniela Regonesi
Andiamo a Fara Gera d’Adda a scoprire la “Casa del Dolce”, da due generazioni al servizio dei golosi di tutto il mondo
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anta Lucia, Babbo Natale, la Befana e tutti i loro collaboratori lo sanno: a Fara Gera d’Adda c’è chi lavora per loro, confezionando i classici vassoi, le calze, il carbone dolce. Non si tratta di elfi dalle orecchie a punta, né di folletti barbuti, ma della “Casa del Dolce”, dal 1950 a servizio dei golosi e della bontà. A fare gli onori di casa è Piergianni Castellazzi, che con il fratello Tullio ed il nipote Marco prosegue il cammino iniziato dal padre Enrico, fondatore del laboratorio artigianale. Mi accoglie nella loro modernissima sede, inaugurata un paio di anni fa, dandomi il ben-
Trinketto, l’amico dolce dei bambini
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i deve a Enrico Castellazzi l’invenzione del “Trinketto”, la bevanda analcolica aromatizzata venduta nella bottiglietta con il ciuccio che, quando è nata negli anni ‘60, si chiamava Dolcetto. L’amico dolce di tutti i bambini inizialmente aveva il contenitore di vetro, negli anni ‘70 la bottiglietta diventa di pvc e assume la tipica forma a “3 palle”, mentre dagli anni 2000 il contenitore è in PET e quindi riciclabile. Trinketto fa il suo esordio negli anni ‘90, con l’omonima mascotte antropomorfa,
venuto in quello che giustamente definisce «il regno dei balocchi» dove, ordinatamente disposti nei loro espositori, piccoli giocattoli e dolciumi di ogni colore, dimensione e fattezza ci tengono profumata compagnia. L’azienda familiare, che agli inizi produceva anche uova di Pasqua e i “graffioni”, sorta di boeri, oggi ha una duplice attività: di produzione del Trinketto (vedi box) e dei ciuccietti, nello stabilimento che ha conseguito le certificazioni BRC e IFS, e di importazione/ distribuzione di prodotti del mondo dei dolci per bambini, con alcune esclusive per l’Italia, quali chewing-gum e gommose “Fini”, liquirizie frizzanti “Fascini”, liquirizie “Panda”, caramelle “O’lei” e “Cerdán”, bustine frizzanti “frizzy pazzy”. Mi racconta Castellazzi: «Siamo nati con un prodotto locale, bergamasco, venduto poi in Veneto e da lì in tutta Italia. Nel ‘90 abbiamo cominciato a lavorare con l’estero, raggiungendo tutta Europa, oggi siamo operativi anche in Medio Oriente (Qatar, Emirati Arabi Uniti, Yemen, Bahrein) e, da quattro anni, in Cina (recentemente abbiamo presenziato ad una fiera di Shanghai). Siamo in piena espansione; non abbiamo risentito della crisi perché proponiamo un prodotto povero e per i bambini. Chiuderemo l’anno con 25 milioni di fatturato, che si traducono in una quantità enorme di caramelle, considerato che vendiamo prodotti che, quando al subisce poi un primo grande restyling nel 2007, divenendo tridimensionale, con grandi occhi aperti e sorriso smagliante. Segue nel 2014 la versione 3D, protagonista nel corrente anno di spot pubblicitari sui canali televisivi Boing e Cartoonito: «Trinketto è diventato un personaggio, ha un suo sito www.trinketto.it e progettiamo di trasformarlo in un cartoon. Il segreto del suo successo è l’assenza di coloranti, la pastorizzazione (che rende minima la presenza di conservanti) e la sua semplicità: è un’acqua dolce. Un prodotto povero ma che piace i bambini. In questo sta il nostro successo, e nel fatto di credere fermamente in ciò che facciamo». d.r.
pubblico costano un euro al pezzo, per noi sono considerati di prezzo alto». Casa del Dolce è fornitore di tutta la grande distribuzione in Italia, è presente con dei corner in tutti i Toys Center, e rifornisce gli ambulanti di fiere e mercati, ma i suoi clientitipo sono i grossisti e i negozi di dolci. Presso la sede non è presente uno spaccio aperto al pubblico, ma non si esclude di proporlo in futuro. La società conta circa 45 dipendenti tra impiegati, magazzinieri e addetti alla produzione, prevalentemente del paese: «C’è un signora che ancor oggi lavora con noi, è prossima alla pensione ed è entrata in ditta all’età di 14 anni». Il senso di “impresa familiare” lo avverto visitando l’unità produttiva ed il reparto stoccaggio/logistica, che si estendono su una superficie complessiva di 3.000 mq: Piergianni conosce tutti per nome, per ognuno c’è una battuta ed un’attenzione particolari, come l’aver predisposto semplici accorgimenti per salvaguardare la salute dei lavoratori, o l’aver allestito una piccola mensa a disposizione degli addetti al magazzino. È proprio da questo reparto che comincia la mia visita guidata, in depositi ordinati dalle altezze enormi, dove sono schierati gli scaffali colmi di golosità profumate di dolcezza, e dove gli addetti si orientano e destreggiano grazie a mini-computer e lettori ottici installati su muletti. Ci spostiamo quindi nel reparto produzione, preceduto dal laboratorio qualità, con tutta la relativa strumentazione di controllo. Anche qui tutto è informatizzato, ma non pensiate che ne perda in fascino o magia. È come se ci fossero tre produzioni distinte: lo stampaggio delle materie plastiche, il riempimento e l’inscatolamento, perché il Trinketto è realizzato interamente qui, a partire dal granulo di PET del contenitore. Ne vengono prodotti più di 400.000 pezzi al giorno, 24 ore su 24, sei giorni su sette (sette su sette in estate). Niente folletti, dunque, ma il rumore tollerabile dei macchinari a ciclo continuo, tanto profumo di fragola e il prodigio della tecnologia: la zona di produzione del rosolio è regolamentata da un software che preleva la giusta dose degli ingredienti, li miscela e li pastorizza. Una volta realizzate mediante la soffiatura,
A sinistra la sede a Fara Gera d’Adda, due fasi della produzione, quella del Trinchetto e dei ciuccetti. Sotto una confezione di Trinketti
le bottigliette vengono lavate, riempite, sigillate, etichettate, marchiate con data di confezionamento e di scadenza, passate al metal detector e ai raggi x. Confezionati, pesati ed imballati, i prodotti successivamente riempiono un bancale, che viene pesato e stoccato. Le spedizioni, corredate da etichette personalizzate, attendono di prendere il via verso le loro destinazioni: in quindici minuti un camion è caricato di 33 bancali. Tutto è sistematizzato. Oltre ai Trinketti, c’è la zona di confezionamento dei ciucci dolci, dove viene stampata la componente plastica e assemblata alla caramella, in modo automatizzato. Anche qui particolare attenzione è posta sulla sicurezza: la confezione è priva di punti metallici, e si è studiato a lungo come realizzare il supporto plastico, la dimensione della caramella per evitare soffocamenti, la forma del disco e la rigidità. L’azienda sta realizzando una nuova linea di produzione ad elevato livello tecnologico, perfezionando così quantità e qualità produttiva, perché, come mi spiega Piergianni, «investire permette di riuscire a lavorare restando a produrre in Italia» mantenendo, come recita lo slogan della Casa del Dolce, “bontà e fantasia sotto lo stesso tetto”.
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Treviglio/Personaggi e aziende storiche
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Il portaordini con la Guzzi nel cuore di Ivan Scelsa
Emilio Vailati, il porta ordini che amava la Moto Guzzi e la sua officina del “Motoriparatore” che nasce subito dopo la guerra, nel 1945. Attraverso vari ampliamenti, nel 1975 arriva in Piazza insurrezione con il “suo” marchio
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entro la storia di Treviglio c’è quella della sua gente, operosa, spesso indaffarata e ricca di idee. Sono piccole storie nella Storia, che in essa si innestano e tracciano sentieri. Nel 1941 il poco più che ventenne Emilio Vailati lascia la città, richiamato alle armi dal secondo conflitto mondiale all’apice della sua recrudescenza. La sua destinazione è Napoli, dove, in qualità di porta ordini, gli viene assegnata una nuovissima Moto Guzzi Alce, una motocicletta che per molti giovani - soprattutto quelli del sud Italia - è presso-
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ché sconosciuta, troppo costosa per potersela permettere. Sotto gli occhi ammirevoli dei suoi commilitoni, cura il mezzo assegnatogli con dedizione e scrupolosità, quasi fosse una figlia, in attesa di imbarcarsi dal capoluogo partenopeo alla volta del deserto della Libia. Alla fine della Guerra, rientrato a Treviglio, apre la sua officina di ‘motoriparatorÈ in via Portaluppi: è il 18 agosto 1945. Qui vi rimane fino ai primi anni Cinquanta in attesa di trasferirsi in viale Ortigara, nella ‘Corte del Melli’, alle spalle dell’attuale distributo-
Sopra: Emilio Vailati nella sua officina (1978), a sinistra Paola e Carlo Vailati in uno scatto al Passo del Gottardo (1985. Sotto da sinistra: l’amico di Emilio Vailati, Nino, con la moto Guzzi dell’Esercito; Vailati ed alcuni commilitoni in uno scatto a Ruvo di Puglia (1941); Emilio e Carlo Vailati con l’amico Corda su Moto Guzzi 250.
re di carburanti. La motocicletta non è solo un lavoro ma anche puro divertimento, che Vailati vive nel motoclub trevigliese dedicato a Ercole Frigerio partecipando a gare amatoriali di regolarità e gincane. Concessionario ufficiale per la Mondial, rimane in quella sede fino al 1975, e dall’anno seguente sposta la sua attività nell’odierna posizione di piazzale Insurrezione, sempre con l’omonima officina di motoriparatore, una qualifica a cui tiene e che non ha mai abbandonato. Proprio in concomitanza con l’apertura della nuova, più grande sede, diviene concessionario ufficiale Moto Guzzi e dal 1990 anche Aprilia. A coadiuvarlo nella sua attività tanti validi collaboratori che, con il passare degli anni, vivono la cessione dell’attività al figlio di Emilio, Carlo, e a sua moglie Paola che dal 1983 seguono l’attività con scrupolosa professionalità e dedizione ai loro clienti, attualmente anche come Centro Assistenza per tutti i Marchi del Gruppo Piaggio.
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Treviglio/Personaggi
Betti Calzari Casirati e i suoi abiti d’epoca di Lucietta Zanda
Le case e i loro arredi a volte - più di altri dettagli - ci raccontano delle persone che vi abitano, essendone il riflesso della personalità e del loro calore umano.
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e case e i loro arredi a volte - più di altri dettagli - ci raccontano delle persone che vi abitano, essendone il riflesso della personalità e del loro calore umano. Questa, di Cristoforo e Betty Casirati, è una casa così fortemente improntata dalla loro presenza, da far pensare che il tempo in qualche modo lì dentro si è fermato. Betty Calzari mi accoglie sorridente all’ingresso della sua spaziosa villetta. Guardandola, mi accorgo subito che è anche lei una donna senza tempo. Minuta ma non fragile, giovanile con quel suo spiccio carré biondo e il viso luminoso ancora fresco, disinvolta ed energica ma affabile nei modi e capace di metterti subito a tuo agio. E un fascino sfuggente e brioso... Che ti porta a ricordare certi ritratti di donna di Klimt. Veste un abitino longuette a piccoli disegni, molto semplice ma di squisita fattura, arricciato in vita e alle spalle, che precisa essere americano degli anni ’30-40; il che mi introduce immediatamente al motivo per cui sono da lei, cioè la sua passione per gli abiti d’epoca dalla fine dell’Ottocento ai nostri anni sessanta. Mi accompagna in questa casa così straordinaria. Ed ecco un sottile divanetto con una collezione di bambole antiche, una teca ricolma di borsettine da sera di tutte le fogge, una scrivania dal cassetto pieno di multicolori piume da capelli, e decine di oggetti e ninnoli d’epoca di ogni materiale e dimensione, disseminati ovunque e disposti con precisione sui bei mobili di lucido legno. Tutto è immerso in un incalzante variopinto rincorrersi, lungo le pareti in boiserie dell’immenso salone, di quadri, stampe, vecchie fotografie di famiglia, piatti e candidi merletti incorniciati, frutto del lavoro di pazienza delle sue bisnonne. Alcuni vecchi orologi a pendolo stanno a ricordare il mestiere del marito Cristoforo, che da oltre cinquant’anni vende e ripara gli orologi nel suo negozio in Centro. Quarantadue anni in Via Fratelli Galliari e poco più di sette in Via dei Buttinoni. Mi porta in una cameretta a pianterreno e
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mi spalanca l’armadio, uno dei sei di casa contenenti l’incredibile collezione di ben duecentocinquanta abiti di alta sartoria, antichi e tutti originali, di provenienza varia ma soprattutto americana - da giorno, da cocktail e da sera - che Betty ha cominciato a raccogliere da quando aveva quindici anni. Nella parte superiore vetrata dell’armadio spiccano, appoggiati su invisibili supporti di metallo, più di un centinaio di cappellini d’epoca di ogni forma e materiale; uno più grazioso ed incredibile dell’altro: cloche, baschi e velette a completare i vestiti. Poi mi mostra subito gli abiti togliendoli perfettamente in ordine dal cellophane. Non
so cosa guardare tanto sono stupita dai meravigliosi materiali di cui è fatto ognuno di essi, dallo splendore fluorescente di certi rasi, alla madreperlacea delicatezza delle sete, alla morbidezza e all’irraggiungibile colorazione di certi velluti, introvabili oggi. Per non parlare della mirabile fattura e dettagli di ciascuno. Un abito a bauletto di raso rosso, un altro di seta chantilly con un delicato ricamo d’argento e sottoveste con frange d’oro, una mise da sera di chiffon rosa cipria tempestato al corpetto di cristalli e corallini in tinta. Un vestito soleil di chiffon verde bandiera, ma, no... È un verde indescrivibile e radioso; un altro di velluto danzante e colorato come un bicchiere di vino, e un altro ancora tutto d’oro con una cappa dello stesso tessuto, che sembra appena uscito dal set di un film con Marilyn Monroe. Abiti le cui decorazioni ornamentali fanno sì che la donna appaia incastonata come in un gioiello prezioso. Impossibile descriverli tutti e per quanto essi siano spesso coloratissimi e tempestati di pietre e applicazioni fantasmagoriche, tuttavia non ce n’è uno che non denoti lo straordinario buon gusto e la raffinatezza di Betty che li ha collezionati. E ci tiene a precisare che «sono tutti abiti che io stessa porto ancor oggi nelle occasioni più disparate, per uscire la sera ma anche per andare a fare la spesa. Portarli infatti è l’unico scopo della mia raccolta; ma, per quanto eccentrici essi possano essere, faccio in modo che siano sempre consoni all’ambiente, al buon gusto e all’occasione». Mentre mi mostra i cassetti pieni di meravigliosa lingerie antica, appartenenti ad una collezione parallela ai vestiti, mi spiega nel frattempo come ha iniziato a nutrire interesse per quella che sarebbe divenuta la passione della sua vita. A quindici anni Betty prova già il primo impulso di indossare qualcosa di diverso dalle sue coetanee: lo spunto le viene dato dalla sorella sposata, maggiore di lei di nove anni, la
A sinistra la signora Betty Casirati con il marito Cristoforo, poi in altri scatti mentre mostra alcune sue creazioni alla nostra redattrice. Sopra una sfilata con abiti realizzati della stessa Betty
quale ha un’amica che spesso va avanti e indietro da Parigi indossando le splendide toilettes di moda in quegli anni tra le donne francesi. Betty ne rimane incantata. Inoltre ha una cognata napoletana molto briosa e intraprendente che, non avendo molti soldi a disposizione, ma essendo ambiziosa e in contatto con una zia d’America, fa arrivare da là per indossarli parecchi capi di abbigliamento, alcuni molto particolari ed insoliti; a Betty viene così la voglia di iniziare a sua volta a vestire nello stesso modo eccentrico e un po’ sofisticato. E parte col cercare nelle cose di famiglia. La sua era gente benestante e le signore si facevano confezionare bei vestiti e accessori di ogni tipo per i pomeriggi e le serate mondane di allora. Abiti talmente pregiati che per fortuna non venivano regalati o buttati dalle proprietarie, ma riposti e conservati per anni in solaio in qualche baule. Betty li recupera tutti. Altri se li fa regalare da parenti e conoscenti. La muove un’idea ispiratrice che è un po’ il motore del suo interesse: cioè quella di far rivivere questi capi ormai in disuso prolungandone la vita con l’indossarli a sua volta. Le cattura la mente questa voglia di portare un abito precedentemente progettato da un’altra donna attraverso una sorta di interpretazione, come un’attrice calata in una parte. Lo sguardo degli altri su di sé le consente di far rivivere quell’abito attraverso un processo di trasposizione. A diciannove anni, trova lavoro a Milano in uno show-room di arredamento in Via Montenapoleone. Sempre aggiornatissima, segue la moda di quegli anni e con i primi stipendi riesce a comprarsi pure qualche capo firmato,
ma il gusto se lo affina durante le pause pranzo, quando si mette alla vetrina guardando passare tutte le splendide donne della Milano “bene”. Andavano a fare shopping nei lussuosi negozi della via o a prendersi un the nel vicino ed elegante Caffè Cova. Donne molto raffinate che lei ammira discreta nei loro frequenti cambi d’abito, con lo spontaneo spirito di emulazione della ragazza di provincia che vuole migliorare. A Milano scopre alcuni mercatini e negozi in cui acquistare i capi per ampliare ulteriormente la sua collezione, che continuerà a crescere anche quando, sposatasi con Cristoforo nel ‘64, lascerà il lavoro dopo cinque anni, per dedicarsi alla famiglia e alla nascita
dei suoi tre figli. Continuerà infatti ad andare spesso a Milano per curiosare nei negozi, mantenendo vivo e stimolante l’interesse per la sua attività, dandosi continui spunti per organizzare mostre, sfilate ed eventi anche a titolo di raccolta fondi per associazioni benefiche. Cristoforo sarà il suo compagno meraviglioso e primo suo sostenitore in tutti questi anni e, sottolinea Betty, «è proprio grazie a lui se ho sempre potuto continuare a seguire le mie attrattive, nonostante i notevoli sacrifici da affrontare per la famiglia e l’educazione dei figli, tutti laureati». Tanti sono gli eventi cui Betty ha partecipato con la sua splendida collezione, nella bergamasca e addirittura alla trasmissione domenicale del pomeriggio “Buona domenica” con serata al Maurizio Costanzo show. Recentemente la Cassa Rurale, il Comune di Treviglio e la Pro Loco le hanno aperto per tre settimane i saloni del nostro Museo Civico, evento che ha riscosso un grande successo di pubblico e che l’ha spinta a desiderare in futuro «la creazione di un museo permanente con la mia raccolta di abiti, che sia una testimonianza di ciò che la moda dalla fine dell’Ottocento agli anni sessanta ha rappresentato come fenomeno sociale nel mondo. A tal fine sono disposta a regalare al Museo duecento capi della mia collezione e altri accessori di pregio». A questa donna luminosa che mi ha aperto con tanta disponibilità la sua casa e anche il cuore, dandomi la possibilità di conoscerla e intervistarla, a Betty un po’ sognatrice ma così autentica nel suo modo di essere, una vera Lady del terzo millennio, auguro vivamente di poter realizzare quanto prima il suo sogno. In questa casa senza tempo dove Betty è riuscita a fermarlo anche su di sé, tuttavia, paradossalmente un tempo c’è, quello preciso e matematico scandito dagli orologi del suo caro Cristoforo. Che questo tempo le stia lontano e non la sfiori mai! Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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Coro Icat/una storia trevigliese
Quarto capitolo: con Marco Ghilardi di Tienno Pini
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a primavera del 1986 vede per la terza volta (ed ancora non sarà l’ultima) il Coro senza Direttore, mentre si riapre la discussione tra i coristi sul nuovo conduttore artistico. Succede così a Franco Forloni un giovanissimo pupillo della “bassa” di Mino Bordignon Ecco che ad un giovane (Franco Forloni) ne succede un altro altrettanto giovane, Marco Ghilardi (“pupillo”di Mino Bordignon), artista vero e musicista a tutto tondo, di raffinata sensibilità, grandissimo ed instancabile ricercatore (a dispetto del suo diploma tecnico). La sua ferma determinazione e le grandi capacità, unite alla carica dei coristi mai venuta meno nei momenti topici, fanno sì che, a meno di due mesi dalle dimissioni di Franco Forloni, con sole due settimane di prove, la quarta edizione del Coro, per l’ultima volta a sole voci maschili, il 17 maggio 1986 raccolga unanimi consensi agli Incontri Corali di Chiavenna, presente anche Daniela (Traina), da pochissimi giorni neosposa di Marco e nuova colonna tra i soprani.
Inizia la quarta via
Immediatamente dopo l’uscita di Chiavenna, con Ghilardi direttore, il Coro, ormai definitivamente ed esclusivamente a voci miste, è protagonista di una rifondazione musicale, resa possibile dal pregresso di esperienze, in cui tutti (ma in particolare le voci femminili,
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entrate a far parte a pieno titolo del complesso) si sentono interpreti di un’avventura che, da subito, si avverte essere pressoché unica ed irripetibile. Il Coro avvicina ed interpreta i grandi autori, per citarne solo alcuni, dapprima quali Josquin des Près, Claudio Monteverdi, Scarlatti, J. S. Bach, Brahms, Goffredo Petrassi, per poi comprendere anche Igor Strawinsky, Olivier Messiaen, Francis Poulenc, Goffredo Petrassi, Bruno Bettinelli, Karlheinz Stockhausen, Krzysztof Penderecki. Ma, in particolare, il Coro tutto viene chiamato ad un impegno, in primo luogo d’approccio e mentale, che poco ha a che fare con tutto quanto sia amatoriale, giungendo allo studio, sia pure libero, della storia dei più grandi autori musicali. La preparazione diviene sempre più serrata e impegnativa, si susseguono le “sedute” di ascolto di corali straniere, in particolare del centro e del nord Europa, nuova frontiera del canto corale internazionale, ma, nel contempo, la “vita” del gruppo trae nuova linfa da piacevoli riunioni conviviali e riuscitissime feste in maschera in sede. Contemporaneamente, l’ICAT mantiene ben salde le radici con le proprie origini: ecco allora che il 28 febbraio 1987 partecipa, tra gli altri, all’inaugurazione del Teatro
Filodrammatici completamente ristrutturato (così come il 16 novembre 1985 la X Rassegna segnò la definitiva chiusura dei battenti del “vecchio” Cinema Teatro Ariston).
Il ventennale di fondazione ed il Concorso Nazionale Corale di Vittorio Veneto
Nell’autunno del 1987 ricorre il ventennale di fondazione del Coro, circostanza che certo nessuno dei fondatori aveva mai contemplato tra le possibili evoluzioni. La ricorrenza è importante e altrettanto lo sono i festeggiamenti: in sede viene allestita una mostra fotografica, viene editato un bellissimo volumetto che riassume vent’anni vissuti intensamente “Cento voci per un Coro - ICAT 1967 1987” curato da Amilcare Borghi e Stefano Travi, viene stampata una linoleumgrafia commemorativa in serie numerata e limitata di Gabriele Bellagente, si tiene un concerto riservato ai soli famigliari ed a tutti gli ex coristi; ma, soprattutto, viene ospite a Treviglio il grandissimo Maestro Goffredo Petrassi, il più grande compositore di musica corale italiana del novecento, che per ben tre giorni vive per e con il Coro, presenzia all’esecuzione, in una Basilica gremita, di alcune sue
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A sinistra la XIIa Rassegna – prima uscita di Marco Ghilardi con il nuovo coro ICAT. Sopra da sinistra: i Maestri Petrassi, Gavazzeni e Bordignon. Sotto, Petrassi nella sede dell’ICAT con i coristi
composizioni eseguite dal Coro da Camera della Civica Scuola di Milano, diretto dal Maestro Mino Bordignon, spezza il pane della sua musica in un apposito convegno al Teatro Filodrammatici, cui, con massima deferenza ed amicizia verso l’illustre ospite, partecipa senza preavviso alcuno, onorando il Coro della propria presenza, anche un altro grandissimo musicista il Maestro Gianandrea Gavazzeni. In estrema sintesi: tre giornate indimenticabili! Ma il 1987 ha in serbo un altro grandissimo successo per il Coro, dopo la ormai consueta Rassegna corale trevigliese giunta ormai alla dodicesima edizione. Nei giorni 5 e 6 dicembre Icat, a soli quindici mesi dalla nuova impostazione, partecipa al “22° Concorso Nazionale Corale di Vittorio Veneto” da sempre considerato uno dei più importanti a livello nazionale e, con grandissima sorpresa di tutti, si aggiudica il secondo posto assoluto nella sezione polifonia sacra e profana! All’annuncio dal gruppo in attesa, stretto in un unico abbraccio a Marco, si è levato un urlo, tanta era la gioia e la commozione accumulata. Era la conferma di un premio a chi aveva osato forse oltre misura, ma soprattutto premiava e dava una risposta a tre mesi passati quasi interamente a rifinire, ritoccare, risentire, reinterpretare i brani scelti. Era soprattutto una risposta che fugava gli ultimi dubbi, se ancora ve ne fossero stati, e che confermava quanto la strada intrapresa, pur faticosa, fosse quella giusta. I disegni di Marco, pur altamente impegnativi ed ambiziosi, sembrano ora più raggiungibili, sostenuti da un raro credo e da una profonda conoscenza del Direttore e da una gran voglia di ben fare dell’intero gruppo, unito e determinato come non mai. Il futuro è già presente e l’orizzonte si tinge d’ottimismo: il Coro vive uno dei suoi momenti migliori, il gruppo è compatto dietro il suo Direttore e nessun traguardo sembra precluso. (11 – continua)
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Cassano d’Adda/Musica, storie e personaggi
Quel cielo è sempre più blu di Marco Galbusera
Omaggio a Rino Gaetano, il cantante che spopolò alla fine degli anni ’60 e che, si è recentemente scoperto, frequentava spesso la cittadina che confina con Treviglio per visitare i parenti
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hissà se il “cielo sempre più blu”, protagonista di uno dei più noti ritornelli della musica leggera italiana, può aver trovato la sua ispirazione - almeno in parte - in quello di Cassano d’Adda? Non si tratta di una semplice fantasia: Rino Gaetano, il cantante che spopolò alla fine degli anni Settanta con canzoni originalissime - e per l’epoca assai dissacranti - ha infatti avuto un rapporto strettissimo e finora sconosciuto con la cittadina milanese. A rivelarlo, non senza una buona dose di genuina sorpresa, è il cassanese Enzo Fagnani, cugino acquisito di Gaetano. «Mio padre sposò in seconde nozze Maria Gaetano, sorella del padre di Rino - racconta con entusiasmo Fagnani - Rino veniva quindi spesso a Cassano per trovare la zia che ancora oggi vive e risiede qui. Io e lui, abbiamo condiviso la stanza e le avventure estive di due ragazzi coetanei. Aveva la musica nel sangue fin da giovane - prosegue - ed era inseparabile dalla sua chitarra; appena diciottenne aveva già composto molte delle canzoni che lo resero poi celebre». Molti sono i luoghi
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cassanesi, oggi in gran parte scomparsi o trasformati, che Rino Gaetano viveva con famigliarità. «Si frequentava il bar che si trovava nella attuale via Manzoni e si andava a alla discoteca del Castello: Rino però non ballava, era un timido. Si passavano serate impegnati in interminabili discussioni - continua ancora Enzo - si parlava di politica e società: Rino, a differenza mia, vedeva molto chiare le sfumature. Per lui non esistevano solo il bianco e il nero. Aveva poi la capacità di interpretare la realtà con gli occhi della satira. L’ultima volta che venne a Cassano d’Adda fu nel gennaio del 1981 - si concludono i ricordi - era già un personaggio famoso ed era ormai un’altra persona, entrata a pieno titolo nel mondo dello spettacolo. Per ironia della sorte era venuto a Milano per registrare in Rai una serata dedicata a Fred Buscaglione, il cantante perito tragicamente in un incidente automobilistico; lo stesso destino che toccò a lui pochi mesi più tardi». Rino Gaetano morì, infatti, il 2 giugno 1981 a Roma, finendo fuori carreggiata lungo via Nomentana. S’interrompeva prematuramente la carriera di uno dei più geniali cantautori contemporanei. Il 29 ottobre Rino Gaetano avrebbe compiuto 65 anni. Per ricordare tale anniversario, l’Amministrazione comunale cassanese gli ha voluto dedicare un applauditissimo concerto tenutosi presso l’auditorium del Liceo scientifico, e curato da Rino Scortichini, figlio di Anna, la sorella di Rino Gaetano. L’Assessore alla cultura Simona Merisi ha evidenziato il positivo stupore di essere venuti a conoscenza “degli stretti legami tra questo grande protagonista della musica italiana e la nostra città”. Il concerto, animatissimo e assai piacevole, si è snodato attraverso i pezzi più celebri del repertorio di Gaetano. Immancabile la conclusione con “Il cielo è sempre più blu”, un inno all’ottimismo e alla gioia di vivere, nonostante le difficoltà e gli affanni della quotidianità.
Zu’ Rino Band di Daniela Regonesi
Facciamo conoscenza con una band tributo a Rino Gaetano, il cantante calabrese che ha ancora un grande seguito
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ebbene la sua sede ufficiale sia Crema, per residenza ed origini dei suoi componenti, la “Zu’ Rino Band” è anche un po’ bergamasca: me ne parla il trevigliese Massimiliano Scabeni bassista del gruppo. Il tributo a “zio” (zu’ in calabrese) Rino Gaetano è un progetto nato una decina di anni fa, nel quale si sono succedute diverse formazioni, acustiche o meno, che operano in modo molto “fluido”: ad esempio chitarrista e bassista possono scambiarsi ruolo, e a volte anche il cantante imbraccia la chitarra. Quest’ultimo è Alessandro Pellicori, fondatore e promotore della band: residente a Crema ma con origini calabresi, porta avanti la passione dei suoi genitori per il cantante. Scabeni suona con loro da cinque anni circa, e la formazione attuale è completata da Alessandro Zaniboni alla chitarra, Emanuele Zambelli alla batteria e, per esibizioni particolari, Alessia Gusmini (voce e flauto). «Suoniamo poco qui in provincia perché c’è un tacito patto di non concorrenza con la tribute band “CapoFortuna”, con sede a Bergamo, perciò concentriamo le nostre date, una decina all’anno, nelle zone di Crema, Cremona e Piacenza, ma non manchiamo di esibirci in certi eventi particolari, come il il “Rino Gaetano Day” che si celebra il 2 giugno (giorno della sua scomparsa) in tutta Italia, o i “Venerdì Vicentini”, nei
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quali le strade del centro storico della città veneta sono trasformati in palcoscenici per varie esibizioni». Nel 2011 hanno suonato al centro sociale autogestito “Pacì Paciana”, presente Anna Gaetano, sorella del cantautore: «È stata una serata bellissima, abbiamo ricevuto i suoi complimenti per la nostra passione». Perché di questo si tratta, pura passione: «per nessuno di noi rappresenta un lavoro. È un progetto che ci permette di unire l’amore per la musica con quello per Rino Gaetano: io stesso prima di entrare nel gruppo ne ricordavo solo quattro canzoni. Poi ho conosciuto la sua storia, il senso dei suoi testi dedicati agli emarginati, agli ultimi, a chi non ce l’ha fatta, ai rinnegati dalla società. Mi si è aperto un mondo merviglioso e sconosciuto». Presentano cover, canzoni rivisitate, adattate con creatività alle loro possibilità ed alla formazione; non hanno pubblicato un cd, né pensano di farlo: non sarebbe sostenibile economicamente e preferiscono lavorare con i live. Per chi vuole saperne di più la loro pagina facebook è Zu’ Rino Band - Tributo a Rino Gaetano.
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Professionisti informano/Mater, Medicina Funzionale
Guarire con la medicina Integrata di Cristina Signorelli
«Sfruttare le specificità e le peculiarità della medicina allopatica e non convenzionale offre nuove possibilità di prevenzione e cura a vantaggio del paziente»
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ntro nello Studio Mater senza aspettarmi niente di diverso da quello che ormai da anni è la moda delle tante discipline naturali, spesso importate da culture orientali, ed invece capisco che qui sono prima di tutto in un ambiente medico dove, Simona Ardemagni (tecnico di laboratorio analisi e naturopata, titolare nonché ideatrice della formula) mi spiega: «Il mio obiettivo è creare un polo di medicina integrata, dove i medici interagiscano tra loro e con operatori specializzati -iscritti ai registri D.B.N. ufficiali della Regione Lombardiadelle discipline bio-naturali. La figura del medico è centrale e con un ruolo di guida nell’esame del paziente, che viene trattato integrando tecniche diverse». Una caratteristica particolare che rende lo Studio Mater unico nel suo genere, è aver sviluppato e applicato il concetto di medicina funzionale. Il dottor Stanislao Aloisi, medico nutrizionista, dietologo e nefrologo, uno dei massimi esperti in materia collabora con Mater e ci spiega: «La medicina funzionale studia le disfunzioni e poiché le disfunzioni precedono sempre le lesioni possiamo dire che è un tipo di medicina che si occupa prevalentemente, ma non solo, di medicina preventiva cioè studia la malattia ancor prima che i segni si manifestino clinicamente. In altre parole si può avere un problema che ancora non si evince da analisi del sangue o esame di altro genere, eppure il paziente lamenta malessere, in tal caso si procede a fare esami, detti funzionali, che studiano le disfunzioni, o le cattive funzioni, che procurano disagio al paziente, pur senza essere ancora sintomi clinicamente rilevabili. Trattandosi di pre-clinica è anche chiamata medicina predittiva o del giorno prima. È chiaro che il medico funzionalista si occupa anche di problemi di tipo lesionale, non solo di disfunzioni, per cui la medicina funzionale integrata fornisce risposte e terapie d’avanguardia anche nell’ambito delle patologie cronico-degenerative con successi notevoli». Presso lo Studio Mater si effettua uno studio del paziente anche attraverso diversi tipi d’indagini di tipo funzionale, che supportano poi il dott. Aloisi e gli altri professionisti nella cura del paziente. «Una delle indagini usata primariamente in medicina preventiva – prosegue il dottor Aloisi - è il check up metabolico sui minerali, che
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rivestono un ruolo fondamentale nel corpo umano perché intervengono a diversi livelli, sia in quanto adiuvanti di alcune reazioni enzimatiche, sia nella formazione strutturale come per esempio il calcio, il magnesio, e moltissimi altri. Attraverso un mineralogramma effettuato su una ciocca di capelli del paziente possiamo testare elettivamente la presenza di minerali, siano essi nutrienti o tossici indipendentemente da qualsiasi altro fattore di stress, e, conseguentemente, fare una diagnosi di eventuali disfunzioni. Questo è l’esame principale ma non è l’unico, infatti altre indagini effettuate sono esami classici di immunologia, di endocrinologia, il profilo degli acidi grassi , ecc. Anche il test delle intolleranze alimentari e il test di sensibilità al glutine o celiachia si rivelano utilissimi». Indagate le cause che producono lo stato di malessere nel paziente, si procede a correggere le disfunzioni avvalendosi di tecniche di medicina integrata abbinando le tecniche convenzionali a quelle Bio-Naturali. Il dottor Aloisi, in qualità di presidente del gruppo studio di medicina integrata in Italia, chiarisce: «Metabolismo, struttura e psiche costituiscono il famoso triangolo della salute che postula che nel momento in cui uno di questi tre lati si altera si attivano complessi meccanismi a livello metabolico–ormonalestrutturale- emozionale. Poiché ognuno di noi ha una debolezza costituzionale, specifica, un problema di natura emozionale, per esempio,
A sinistra il dott. Stanislao Aloisi con Simona Ardemagni. Sotto lo stesso Aloisi con il dott. Michele Tumiati
si manifesterà colpendo specificatamente l’organo costituzionalmente più debole del soggetto». Aggiunge Simona Ardemagni:«Molti soggetti non riescono più a gestire lo stress, non riuscendo ad adattarsi a tutte le richieste che provengono dall’esterno o dall’interno. Per noi di Mater questo significa indagare a fondo il metabolismo Psico-Neuro-Immuno-Endocrinologico del paziente e come scompensa influenzando altri organi o apparati, per supplire alle carenze reattive. Infatti, tendiamo a compensare perché siamo nati per stare bene e quando il nostro organismo non ce la fa più, incomincia a manifestare dolore e altri sintomi. Pensare sempre la salute in termini di psiche, struttura e metabolismo significa interpretare la salute nel vero e proprio senso della parola, ecco perché ci serviamo di una o più tecniche complementari integrative, quali per esempio, tra le altre, le riflessologie, l’Auricolo stimolazione funzionale e l’agopuntura medica, discipline riconosciute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità». «Anche l’alimento va inteso come farmaco – chiarisce il dottor Aloisi - non solo a scopi energetici ma anche a scopi terapeutici. Non c’è prescrizione fatta ai nostri pazienti che non preveda dei suggerimenti nutrizionali perché spesso si può ridurre l’assunzione di farmaci nutrendosi di alimenti ricchi di sostanze compensative o di aiuto ad un miglior assorbimento dei farmaci stessi». In sintesi presso lo Studio Mater si analizzano patologie in atto o a divenire attraverso la conoscenza dei segnali complessi che il nostro organismo invia prima ancora di aver sviluppato la malattia o durante una patologia in atto attraverso un approccio medico classico adiuvato da terapie complementari che hanno rivelato essere, secondo la letteratura scientifica e l’esperienza medica, un’efficace possibilità terapeutica.
Gera d’Adda/Libri
Personaggi/Stefano Messaggi
Per l’eternità ma con ironia di Giorgio Vailati
Il secondo romanzo del nostro redattore cassanese Marco Galbusera
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assano d’Adda - “Per l’eternità e oltre” è il titolo dell’ultima fatica letteraria di Marco Galbusera, giornalista e scrittore per diletto, nonchè collaboratore del nostro mensile. La trama di questo nuovo romanzo, edito già da qualche mese, si dipana in uno scenario di provincia, con personaggi ritagliati dalla quotidianità. «La programmata esumazione della salma di un vecchio arciprete, presso il locale cimitero, porta molto scompiglio in un piccolo paese della pianura padana - anticipa l’autore - Qualcosa infatti non funziona per il verso giusto e il ritrovamento di un cadavere femminile, anziché dei resti del prelato, dà il via ad una serie di equivoci, avventure e sorprese fino al colpo di scena finale». Il tutto sul filo dell’ironia e con il condimento di un sorriso. La narrazione riprende gran parte di scenari e personaggi del precedente romanzo “Il cielo sta sopra”, vincitore nel 2013 del premio letteratura dello “Spoleto Festival Art”. «Si tratta però di una storia tutta nuova - precisa Galbusera - in cui rivivono comunque alcuni dei protagonisti che tanto erano piaciuti nella precedente avventura: l’avvocato Giorgio Pistone, il parroco don Dino Pezzotta, la professoressa-perpetua Margherita Fiocchi, il Capitano dei Carabinieri Sabatino Spinotti e la tabaccaia Marisa». Immutata è anche la miscela tra giallo e umorismo, in grado di offrire una lettura piacevole e rilassata che, a tratti, richiama le atmosfere provinciali di Piero Chiara o Andrea Vitali. «Vi sono poi dei personaggi tutti nuovi come il Comandante Galbiati e il Sindaco Maugeri - conclude - nati dalla rielaborazione di personalità e caratteri tratti dall’osservazione della vita di tutti i giorni». Il libro direttamente presso la casa editrice (www.kimerik.it) e attraverso le numerose librerie, anche on line.(ibs, amazon, feltrinelli...) anche in formato e-book.
L’eroe della battaglia di Custoza di Marco Carminati
Quella lapide posta il 22 dicembre di centotre anni fa dal Comune di Treviglio, in memoria del Sottotenente Stefano Messaggi.
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na lapide, posta dal Comune della nostra città il 22 dicembre 1912, commemora, così come l’epigrafe sulla sua tomba, in un loculo dell’Ossario di Custoza: “Stefano Messaggi di Treviglio, Sottotenente nel 4.o Granatieri, già dei Mille di Marsala per coraggio e amor di Patria, a nessuno secondo per lealtà e gentilezza di modi. A tutti caro, ferito il 27 maggio 1860 a Palermo, qui cadde gloriosamente, di anni 26, dopo avere con grande energia combattuto, il giorno 24 giugno 1866”. Ovvero a Custoza presso la Cascina Cavalchino, vedi dipinto. Anche sulla Rocca di Bergamo una lapide lo ricorda, fra i Caduti orobici della Campagna risorgimentale 1866. A Messaggi, premiato con parecchie medaglie, Treviglio ha dedicata una via. Nato a Milano il 21 maggio 1840 da genitori trevigliesi, trascorre infanzia e adolescenza nel nostro paese, presso lo zio paterno don Stefano, Curato della Parrocchia San Martino. A 19 anni abbandona l’impiego nella Direzione delle Strade Ferrate Lombardo-Venete, a Verona, per correre a Treviglio, intanto liberata dalle armi alleate, e decide di arruolarsi nell’Esercito Piemontese. Ma la pace di Villafranca ne frena l’impeto. Si
unisce a Garibaldi, salpando per la Sicilia sul ‘Lombardo’, come Volontario nella 1.a squadra della 1.a Compagnia, comandata da Nino Bixio. L’11 maggio si batte a Calatafimi e a Palermo; il 27 maggio 1860, mentre corre all’assalto di un quartiere di Palermo tenuto dai Borboni, è colpito da una palla nemica, che gli fa rischiare l’amputazione del braccio; a settembre dello stesso anno è promosso Sottotenente garibaldino e il 13 settembre 1860 si arruola nel Corpo Volontari Italiani; il 22 dicembre è assegnato al 4° Reggimento Granatieri, Brigata Granatieri di Lombardia. Nel giugno del 1866 combatte a Custoza e qui, essendo rimasto a corto di munizioni il manipolo di Ufficiali e soldati riparati alla Cascina Cavalchino, riceve l’incarico di esplorare la via più breve per ripiegare. Ma, uscendo allo scoperto, è raggiunto da una pallottola nemica, che lo ucciderà in pochi minuti. Ci piace riproporlo al lettore con rispettosa ammirazione, evitando da un lato l’apologia trionfalistica immediatamente post-risorgimentale e recuperando per contro il doveroso ricordo di tanti personaggi che hanno costruito la nostra storia, locale e nazionale, come peraltro già fatto nel volume “Cento Pagine d’eroi”, sui Bergamaschi arruolati fra i Mille, edito nel 2011, per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia.
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Personaggi/Quelli del treno per Milano
Le foto che raccontano di Carmen Taborelli
Uno scatto del 1956: “Eravamo quelli del treno”. Il ricordo di due ex universitari: Arnaldo Bellini e Duccio Bencetti
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i sono fatti, pezzi di storia, momenti della nostra e della vita altrui che esistono solo perché c’è una fotografia che li racconta. Una fotografia che all’improvviso riporta alla mente emozioni, esperienze, accadimenti a volte piacevoli, a volte dolorosi: tutti importanti tasselli legati al nostro vissuto. Nella foto qui proposta sono immortalati undici giovani trevigliesi che, alla fine degli anni Cinquanta, frequentavano le facoltà scientifiche. Sono pronti per disputare un incontro di calcio contro… non si sa chi. Due di loro, entrambi della classe 1935, raccontano la storia sottesa alla foto, aggiungendo qualche amabile pennellata di colore.
Arnaldo Bellini, detto Cecca per via del nonno materno che si chiamava Cecco, osserva la data in cui venne scattata la foto, e, come prima considerazione, dice: «Proprio l’anno prima, nel 1955, avevo conosciuto, a una festa in casa di Dario Castellano, Afra Wender, diventata in seguito mia moglie». Poi ricorda a uno a uno tutti i suoi amici: (in piedi, da sinistra): Gianni Frecchiami, Carlo Corna, Duccio Bencetti, Carlo Magni, Arnaldo Bellini, Franco Pellaschiar, Eros Bottinelli, e (accovacciati, da sinistra): Ezio Strepparola, Andrea Erba, Angelo Agazzi, Giosuè Rovati. «“Eravamo quelli del treno”; di buon mattino prendevamo il treno alla stazione Ovest, per andare a Milano-Lambrate, per poi raggiungere Città degli Studi, sede delle facoltà scientifiche. Io, per assecondare il desiderio di mia mamma, allora frequentavo Economia e Commercio; poi sono passato a Geologia». Prendevano il treno anche le fanciulle iscritte alle facoltà umanistiche. E poiché anche l’occhio vuole la sua parte, erano tutti d’accordo, gli universitari trevigliesi, nel definire Ivonne Passoni, una “gran bèla scèta”: la migliore in assoluto. «La foto ci ritrae poco prima di un incontro amatoriale; il campo era quello di via Milano, lo stesso sul quale giocava la Trevigliese. Non tutti avevamo le scarpette chiodate. Ezio, ad esempio, preferiva quelle da ginnastica perché più leggere. Il migliore era Frec-
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chiami, un vero atleta; è stato anche primatista di salto in alto. Io giocavo da mediano, unico ruolo a me congeniale. A dire il vero, ero un po’ scarso. Negli anni successivi, quando ho incominciato a lavorare alla Same, ho fatto parte della squadra aziendale dell’Ufficio Tecnico. In tutta la mia carriera sportiva ho segnato soltanto un gol!». Arnaldo aveva imparato a giocare a calcio all’oratorio “San Carlo”. Faceva parte di una bella squadretta: l’Acos: Associazione Cattolica Oratorio Salesiano, da lui stesso fondata in collaborazione col cugino Renzo Bellini. Una squadretta obbligata in seguito a lasciare l’oratorio perché i tre migliori giocatori, Giuseppe Carboni, Gianfranco Villa e Lacchini detto mütì, avevano poca affinità con lo stile “don Bosco”. Pur continuando ad allenarsi nella palestra dei Salesiani, la squadra lasciò di fatto l’oratorio per “incompatibilità ambientale”, e si iscrisse autonomamente a un torneo federale, mantenendo il nome di Acos, acronimo però di Associazione Cattolica Operai e Studenti. Il suo modo di raccontare è garbato. Andare indietro negli anni lo appaga. Nessun rimpianto, nessuna nostalgia particolare. È come se stesse piacevolmente sfogliando un diario che da tempo non prendeva più in mano. Poi, guarda l’orologio. «È quasi l’una; devo andare. Oggi è lunedì; vengono a pranzo Anna, Francesco e Lorenzo: i miei tre nipoti». Ai quali nonno Arnaldo ha preparato un sughetto di serie “A”, fatto con lonza, salsiccia, pomodori, spezie e noce moscata. Un’antica ricetta di suo padre Enrico. Ora a ricordare è l’architetto Duccio Bencetti: «La foto mi fa rivivere momenti di gioventù spensierata e felice, condivisa, nel caso specifico, con altri studenti trevigliesi, d’età compresa tra i 22 e i 23 anni. Erano partite che si giocavano tra noi universitari e amici, tutti gli anni. A dirigerle era un arbitro effettivo della F.G.C.
del campionato dilettanti; il suo nome (alla data della foto) era Natale Beretta, trasformatosi poi, dopo il riconoscimento da parte del padre effettivo, in Natale Goisis: vive tuttora ed è ultraottantenne. È stato massaggiatore e infermiere. Poiché sono stato anch’io arbitro effettivo della F.G.C. (ero arrivato alle categorie Nazionale-professionisti e Semi professionisti serie A,B,C), ho avuto modo di conoscerlo bene: era un tipo simpatico, generoso, che non disprezzava il vino. Ricordo la sera che mi accompagnò a Cremona dove dovevo arbitrare la partita tra la Cremonese e il Milan; arrivati al campo sportivo (aveva voluto portare a tutti i costi la mia valigia) si presentò, tra lo stupore e l’imbarazzo dei dirigenti e mio, quale “massaggiatore personale dell’arbitro Bencetti”. Durante l’intervallo della partita, quando solitamente viene offerto il thè alle squadre, all’arbitro e ai segnalinee, il suddetto Beretta disse: “A me ma purtì mia ‘l thè, ma an stáfu de i”. In genere si giocava sul campo di calcio della Trevigliese, dove la società, oltre al campo, grazie alla mia qualifica di arbitro F.G.C., gentilmente ci prestava anche la divisa e il pallone e forse anche le scarpe. Il ruolo di ciascun giocatore era un po’ improvvisato e scelto da ognuno in base alle proprie presunte qualità: portiere era Andrea Erba, terzini e mediani erano i più robusti e meno veloci (il sottoscritto, Magni, Corna, Pellaschiar, Bottinelli) e attaccanti gli altri. Non c’era nessun regista e nemmeno il capitano; si giocava tutti, e tutti un po’ alla “spera in Dio”; si giocava una o due volte all’anno, con molto impegno e molto agonismo. Non si vinceva nulla! L’unico premio era la soddisfazione della vittoria. Non ricordo particolari infortuni; tutte le eventuali discussioni nate in campo cessavano al fischio dell’arbitro. Il calcio era un modo per consolidare la nostra amicizia anche nella vita di tutti i giorni. Ai bordi del campo v’erano amici tifosi e anche qualche ragazza… appassionata e interessata non solo al calcio».
Aziende informano/Centro della Vista
Gli occhiali non sono frivoli accessori «Un miope dotato di eleganza non deve considerare i suoi occhiali come una protesi, ma come un accessorio. Deve avere degli occhiali assortiti per i suoi molteplici bisogni e uno stile adatto alle circostanze, per lo sport, le passeggiate, la sera». (Maurice Denuzière)
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roppo spesso si considerano gli occhiali un accessorio frivolo, superfluo. Di fatto però, per una persona affetta da difetto visivo, dalla sua scelta può dipendere un sostanziale miglioramento della qualità della vita. Il Centro della vista nasce nel 1992 a Treviglio, in via Verga, grazie all’intraprendenza di un giovane volenteroso che, col tempo, conquista la fiducia dei suoi clienti con la qualità delle sue scelte e migliorando la struttura rendendola uno store luminoso e moderno. Leonardo, con la moglie Enrica, opera scelte di innovazione il cui punto focale è la qualità che caratterizza ogni fase operativa del lavoro: dalle visite optometriche - proponendo oltre ai classici test visivi la possibilità di controlli più approfonditi con strumenti innovativi e d’avanguardia - al suggerimento di lenti di prima scelta e montature che siano un connubio tra design, moda e tecnologia. L’ambiente confortevole e famigliare in cui hanno luogo le visite e dove Enrica ed Ambra – la nipote entrata più recentemente a far parte dello Staff - accolgono e seguono il cliente nella scelta della montatura e delle lenti più adatte, vanta strumenti di alta tecnologia in grado di offrire visite specialistiche approfondite. Tra di esse la retinografia, un esame svolto con il retinografo
che consente di ispezionare il fondo dell’occhio in maniera dettagliata e con immagini ad alta risoluzione. La topografia corneale effettuata con il mappatore, che permette di avere una visione della superficie corneale in tutte le sue conformità e di valutare gli astigmatismi nei minimi particolari. E ancora, la tonometria a soffio, per misurare la pressione dell’occhio, senza instillare colliri anestetici e midriatici. In sala visite, poi, è presente un’area specifica per la contattologia, dove oltre a mostrarne l’utilizzo, vengono proposte lenti specifiche per ogni patologia visiva tra cui le lenti terapeutiche per il cheratocono. E ancora: l’ortocheratologia, una tecnica innovativa che, grazie all’applicazione di lenti a contatto notturne, permette al paziente di non peggiorare la propria vista migliorando così anche la qualità visiva diurna: un’ottima alternativa all’intervento chirurgico refrattivo. Le lenti oftalmiche scelte sono frutto di costanti investimenti in ricerca e sviluppo che hanno dato vita a innovazioni tecnologiche senza eguali, correggendo ogni difetto visivo: ametropia, presbiopia, miopia, astigmatismo. Ultima, ma non meno importante, la scelta della montatura. In negozio potrete trovare tutte le novità, senza mai rinunciare alla qualità che da sempre contraddistingue l’attività. Il lavoro di Leonardo, Enrica ed Ambra - ma anche la loro passione più grande - è quella di riuscire a soddisfare ogni esigenza del cliente. E questo anche grazie a costanti corsi di aggiornamento che permettono di essere sempre all’avanguardia, sia nella ricerca continua di prodotti esclusivi che nel design. È questo che fa la differenza.
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Storia/Pedalando nel tempo
Erminio Leoni: una vita a due ruote di Ezio Zanenga
Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. Erminio Leoni è stato l’unico ciclista professionista nato a Treviglio. Un personaggio quasi dimenticato del periodo d’oro del ciclismo italiano. Pistard, poi organizzatore, Commissario Tecnico nazionale della pista.
E
rminio Leoni, lineamenti delicati, longilineo, portamento signorile. Pochi a Treviglio se lo ricordano, ma era un trevigliese doc. E ci teneva a sottolinearlo ogni qualvolta lo incontravo a qualche evento ciclistico. Nato a Treviglio, in frazione Geromina il 2 luglio 1922, ci abita sino a 18 anni, quando tutta la famiglia si trasferisce a Milano. Incomincia a gareggiare in bicicletta a 17 anni, da allievo, e dalla Geromina viene spesso ad inanellare giri su giri sulla circonvallazione interna di Treviglio perché unica strada asfaltata. Negli anni della guerra il ciclismo rallenta ma non si ferma; Erminio Leoni, a Milano, impara presto la strada per il Velodromo Vigorelli e appena può ci sale sopra: si classifica terzo al Campionato Italiano ed è l’inizio del suo futuro da pistard. Domenica 8 luglio 1945, ancora dilettante, disputa il Circuito degli Assi di Milano con Bartali, Coppi, Conte, Seghezzi, Zanazzi ed altri, prima gara ciclistica professionistica post bellica dell’Italia settentrionale (vinse Coppi). Una vita a due ruote: corridore, poi organizzatore, direttore sportivo, allenatore (anche della nazionale Colombiana), Commissario Tecnico nazionale della pista (epoca Maspes, Gaiardoni, Beghetto, Bianchetto), componente e presidente di Commissioni FCI. Professionista dal 1947 al 1956 con Atala, Benotto, Lowenthal, Girardengo, Legnano.
Centinaia le partecipazioni a riunioni su pista in Italia, in Europa, persino a Tripoli, Tunisi ed Algeri. Nel 1950 vince la “Sei Giorni di Vienna” in coppia con Scheider, mentre a Buenos Aires in coppia con Luigi Casola arriva secondo. Numerosi i suoi Giri d’Italia… Ma su pista, tra i partecipanti alle riunioni nelle città d’arrivo del Giro e ai successivi circuiti post Grandi Giri. Significati-
A sinistra Erminio Leoni in fuga con Terruzzi alla Milano-Sanremo del 1949. Poi la notizia della ‘fuga’ alla MI-San Remo sul ‘Il Popolo Cattolico’. Sopra Erminio Leoni impegnato su pista in terra battuta e in basso ritratto in maglia ‘Benotto’
vo l’episodio raccontato dallo stesso Erminio Leoni, pubblicato su ‘Gli angeli di Coppi’ di Marco Pastonesi, che qui riportiamo: “Riunione su pista a La Spezia, su terra battuta, con tutti i migliori: Coppi, Carrea, Milano, Martini. Io ero in coppia con Nino Recalcati. Quel giorno volevo arrivare almeno secondo, dietro a Coppi naturalmente. Le cose si erano messe bene, vinsi l’ultima volata, ma non avevo fatto bene i conti: nell’ultima volata il punteggio era doppio e così arrivammo primi. ‘Adesso vai tu da Coppi’ mi urlò Recalcati’.-‘Scusami Fausto, giuro che non l’ho fatto apposta’.-‘Va bene, va benÈ mi disse. E mi andò bene. Perché Coppi decideva lui chi doveva vincere…” Tempi dei Bartali e dei Coppi, del periodo d’oro del ciclismo italiano. Nel 1949 Erminio Leoni, insieme a Nando Terruzzi pianifica uno show alla Milano-Sanremo. Partono a tutta birra pochi metri dopo il via e sono subito in fuga, una strategia per poter vincere e dividersi tutti i premi di traguardo dei primi 40/50 chilometri (le cronache riportano che Terruzzi era in sella ad una bici da pista!). Dopo meno di 40 chilometri di pancia a terra i due sono raggiunti e... Si ritirano. Missione compiuta. A Sanremo vince Coppi. Da buon trevigliese è determinante nell’ottenere la presenza dei vari Coppi, Bartali e Magni al Circuito degli Assi di Treviglio nell’aprile del 1949, nel quale gareggia lui stesso. Senza clamore, con la passione e l’umiltà che lo contraddistinguevano, ha portato in giro per il mondo il nome di Treviglio. Si è spento a Milano, il 17 agosto del 2007, aveva 85 anni. Sino a poco prima di morire non disdegnava inforcare ancora la bicicletta da corsa. Lo avevo incontrato un anno prima a Sesto San Giovanni alla presentazione di una biografia sul suo amico e compagno di tanti giri di pista Nando Terruzzi. Mi aveva raccomandato di salutare la ‘sua’ Treviglio… Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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Sport/Eccellenze trevigliesi
Mattia Scotti, la promessa del tennis di Silvia Martelli
Avvicinatosi al mondo del tennis quasi quindici anni fa, il ventenne Mattia Scotti è una giovane promessa italiana, nonché l’orgoglio del Tennis Club di Treviglio
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attia Scotti aveva solo cinque anni quando, su suggerimento dello zio Massimo, maestro di tennis, ha impugnato una racchetta per la prima volta. Allora, per lui, il tennis non era altro che un gioco, un passatempo così come lo era il calcio. È all’età di dodici anni che, stanco di fare “la vitaccia”, così come la definisce lui con un sorriso, decide di abbandonare gli allenamenti di calcio e di dedicarsi esclusivamente a quelli del tennis. Nato e cresciuto al Tennis Club di Treviglio, Mattia ne è tutt’ora membro; inoltre, da settembre 2015 vi insegna, questo in seguito al recente conseguimento del titolo di maestro di primo grado. Mattia, qual è la tua giornata tipo? «Si comincia alle 9.30, dedicando la mattinata solo agli allenamenti, fino all’una circa. Nel pomeriggio alterno allenamento ed insegnamento fino alle sette. A volte è davvero faticoso, ma se avessi un’altra vita la rivorrei così». Quali sono i ricordi della tua prima partita? «Tremenda! - dice ridendo - Giocavo
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contro Matteo Donati, attualmente 150esimo nella classifica mondiale. Non ho fatto un game, abbiamo continuato 6-0 - 6-0 per lui. Tornato a casa, ho detto a mia mamma ‘Mamma, meglio tornare al calcio se questo è il tennis!”». E quelli della partita peggiore? «Non ricordo una partita particolarmente brutta, ma un periodo: avevo sedici anni e mi sembrava di far troppo, senza ottenere alcun risultato. Stavo perdendo colpi, ho avuto una serie di partite storte, ma ho deciso di non mollare e alla fine mi sono ripreso!”. Arriviamo ai trionfi: qual è il risultato personale di cui vai più fiero? «All’età di dodici anni ho vinto il campionato italiano sponsorizzato dalla Nike; l’anno scorso invece ho vinto due OPEL di seconda categoria. Ormai gioco contro atleti di qualunque età non essendo più negli under 18, ci vuole sempre più duro lavoro, applicazione e infinita tenacia!». Credi che il concetto di squadra sia importante nel tennis? O lo ritieni esclusivamente uno sport individuale? «Il tennis nasce indubbiamente come sport individuale: sei tu e soltanto tu in campo. Le vittorie saranno soltanto per merito tuo, come d’altronde le sconfitte per colpa tua, io gioco per me stesso. La squadra entra in gioco in competizioni a parte».
L’idolo con cui sei cresciuto: di chi era il poster più sacro appeso in camera tua? «Federer - dice con un sorriso raggiante - è sempre stato fortissimo, attualmente il secondo al mondo. Lo considero una leggenda vivente, un po’ come Rossi nella MotoGP!». La pratica sportiva, collettiva così come individuale, viene comunemente considerata un elemento fondamentale per la crescita della persona. Cosa ha lasciato lo sport nella tua personalità? «La voglia nella vita di non mollare mai... di non mollare mai», ribadisce. Sport come professione: un sogno da bambini o una scelta in cui credere? «Tutte e due: era un sogno da bambino, quando tutto sembrava (più) facile ed ero tra i 3/4 più forti d’Italia. Più cresci e più si fa dura, eppure non riesco a immaginarmi una professione che non sia relativa al tennis». L’abbandono della scuola, un rimpianto oppure una scelta giusta? «Ero a metà della quarta quando ho mollato: già da due anni frequentavo il serale all’Oberdan, dalle sei alle undici cinque giorni a settimana. Ero il più piccolo della classe e non trovavo comprensione da parte dei prof e spesso dovevo saltare le lezioni per i tornei e me lo facevano pesare sempre più. Alla fine mi sono semplicemente stufato. Per ora non me ne pento, ma voglio impegnarmi per finirla per poter diventare maestro nazionale». Se ti chiedessi di descrivermi un Mattia tra 20 anni, cosa mi diresti? «Decisamente su un campo da tennis a insegnare, con una famiglia da cui tornare la sera». ll ruolo dei genitori: spesso li vediamo
o assenti o troppo agguerriti a “bordo campo”. Cosa mi dici dei tuoi? Cosa consiglieresti loro? «Non ho nulla da ridire sui miei: non si sono mai permessi di invadere il lavoro del maestro, eppure sono sempre riusciti ad incitarmi e darmi il loro pieno supporto. Sono felice di come mi hanno cresciuto». Cosa deve fare un allenatore per conquistarsi la tua fiducia? «Conoscermi alla perfezione perché non è nei momenti di gioia e di vittoria che si costruisce un giocatore, ma nei momenti di sconforto e di sconfitta che ne si forma il carattere». Ansia da prestazione: ne risenti? «Nel modo giusto: sento l’adrenalina prima delle partite, ma non mi agito. Ho raggiunto una maturità che mi permette di capire quando è il momento di essere teso e quando peggiora solo la situazione». Cosa fai prima di qualunque partita durante i tornei? «Le stesse identiche cose del giorno prima: se ho vinto, riprendo la stessa panchina, riascolto le stesse canzoni, faccio lo stesso riscaldamento. E poi risparmio più che posso le energie!». Ricordi la prima volta che ti hanno chiesto di fare un autografo? Ride: «Ero in Spagna, uno stadio da mille persone sulla spiaggia. Alla fine della partita, mi si sono avvicinati dei signori chiedendomi un autografo. Ero davvero in imbarazzo, non avevo una firma!». Buoni propositi per il 2016? «Passare alla categoria 2.2, diventare maestro di secondo grado, portare la squadra del Tennis Club di Treviglio in A2». Se potessi vivere ovunque, dove sarebbe? «In Florida, dove c’è un’ accademia di tennis fondata da Nick Bollettieri. Ci sono cresciuti tantissimi campioni, la vera cultura del tennis è lì». Se potessi assistere a qualunque match, quale sarebbe? «Federer-Nadal a Wimbledon 2011: una finale durata cinque ore! Pazzesco!». Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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Lettere al direttore Quei ragazzotti che bivaccano al Tnt
Beppe Pezzoni? La bellezza sta nell’imperfezione Caro direttore, le scrivo a proposito delle polemiche sulla falsa laurea del sindaco Beppe Pezzoni, per chiedere più cautela nei giudizi. Nessuno è perfetto, ma ognuno è unico: questo rende prezioso il dono della nostra esistenza, perché nessuno potrà donare al mondo quello che portiamo noi. Io penso che la verità non stia ne da una parte e da un’altra... Tanto meno nel mezzo ! Io penso che la verità sia dentro ai nostri cuori Mi piacciono le persone vere ed imperfette. Quelle forti interiormente, che non hanno paura di mostrare le loro fragilità, che rimangono sempre semplici ed umili. Mi piacciono le persone che sanno stare da sole ma amano anche stare con gli altri. Sono quelle che hanno sbagliato e da ogni errore hanno saputo imparare, che non hanno mai difficoltà ad ammettere i loro errori. Quelle che hanno sofferto ed hanno il cuore segnato dalle cicatrici. Mi piacciono le persone che hanno sempre voglia di conoscere cose nuove ed hanno mantenuto la curiosità e la capacità di meravigliarsi che avevano da bambini. Quelle che non si limitano a sentire gli altri che parlano, perché sanno veramente ascoltare e pensano di avere sempre da imparare dagli altri. Mi piacciono le persone semplici e gentili con la vita, che non hanno mai la necessità di alzare la voce. Sono le persone che scelgono e non amano stare con tutti. Mi piacciono le persone imperfette ed uniche. La Bellezza sta nell’imperfezione Non so esattamente cosa sia la perfezione, ma a mio avviso la bellezza è nella personalità, nell’unicità, nel gioco dei contrasti, in ciò che rimane oltre l’apparenza. È il cogliere, nella fugacità di un attimo, l’eterno ed immanente. Una ruga, un difetto, un’espressione, un’anomalia, sono come impronte digitali, il marchio esclusivo della nostra individualità. Noi umani, nella nostra imperfezione, abbiamo questo di bello: abbiamo rivolto lo sguardo al cielo, dato un nome alle stelle, ci siamo sforzati di ricercare un senso, abbiamo osato sfidare i nostri limiti. In questo senso l’imperfezione è decisamente un dono. Se fossimo perfetti non avremmo motivi per cambiare né tantomeno stimoli per evolverci. Insomma trovo l’imperfezione una nuova frontiera del gusto, una forma sublime di libertà d’espressione. E come tale non posso farne a meno! Adele Tirinzoni
Quando Pozzetto visitò la Same
Gentilissimo direttore, ho letto con piacere, sull’ultimo numero de “la nuova tribuna”, l’articolo dedicato a Museo e Archivio Storico Same, e desidero condividere con Lei ed i suoi lettori il ricordo di mio marito Pierluigi Tallia. Dopo aver lavorato nell’ufficio marketing dell’azienda fondata da Luigi Cassani, raggiunta la pensione Pierluigi ha continuato a collaborarvi come consulente, in veste di accompagnatore e “cicerone” per privati e delegazioni in visita all’impianto e all’area museale. Amava soprattutto guidare le scolaresche, rispondere ai loro quesiti e soddisfarne le curiosità. Tra gli ospiti, però, capitava che arrivasse qualche personaggio famoso, come Renato Pozzetto. Contrariamente all’immagine leggera legata alla sua professione di comico, l’attore si rivelò molto serio, competente e interessatissimo alla materia-trattori, del cui campo era gran conoscitore, possedendo lui stesso alcuni mezzi impiegati in una sua azienda agricola. A testimonianza di questa visita particolare, allego un paio di fotografie che ritraggono mio marito e l’attore durante il loro incontro nell’impianto Same. Grazie per l’ospitalità Flora D’Intino
Errata corrige A pagina 24 del numero di novembre scorso, nell’articolo “Bianchi, tradizione e innovazione” è stato indicato - in una delle citazioni - il nome del Direttore Amministrativo e Finanziario dell’azienda in modo erroneo, Fabrizio Castellato anziché Casellato. Ce ne scusiamo con l’interessato e i lettori.
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Caro direttore, vorrei sapere se il piano interrato adiacente il nuovo teatro (TNT per intenderci) è da considerare terra di nessuno. Ragazzotti che bivaccano sulle sedie o che li usano per lanciarsele tra urla e epiteti vari. La scaletta usata come pista per skyboard o biciclette, bottiglie e resti di bivacchi un po’ ovunque... Temevo che sarebbe diventata una tentazione troppo forte per questa marmaglia. Chiedo, anzi i cittadini di Treviglio chiedono troppo se ci fosse un po’ di controllo? Luciano Pescali
Un saluto all’amico Mario Majolo
Mario Majolo l’ho conosciuto che avevo solo 16 anni nel negozio di Alessandro Zanda, radio e tv. Ogni tanto arrivava e discuteva animatamente di politica con l’amico, mentre io ascoltavo e cercavo di capire, parteggiando però per Zanda. Ed è forse da quei colloqui tra Mario (socialista) e Sandro (liberale), che verso i vent’anni ha preso forma la mia visione politica e poi la formazione liberal-socialista che ancora permane dopo cinquant’anni. Mario era un entusiasta, appassionato e gioviale, con lui si stava bene sempre e comunque. Fu militante del Psi, consigliere comunale, amico dei ragazzi che facevano cultura nel Circolo Artistico Trevigliese, aiutandoli nelle iniziative tramite il figlio Dario, quando chiamato a farlo. Per me è stato un grande amico, uno dei pochi ai quali non ho mai trovato un difetto. Non era solo una bella persona, era qualcosa di più, era la vita con tutta la sua gioia e le passioni. Se ne è andato dopo aver trascorso una vita piena, in famiglia, nel lavoro, in politica e anche nel tempo libero, un miracolo vivente. Ciao Mario, ti ho voluto bene.
Roberto Fabbrucci
Controcanto
Gli auguri del Babbo Natale ufficiale Abbiamo chiesto a Ennio Dozzi, collaboratore occasionale de “la tribuna”, nonchè Babbo Natale di Treviglio, di parlare di questo suo “ruolo ufficiale”.
A volte le persone non vedono le cose come sono, ma come i loro sensi (e i sentimenti) gliele fanno vedere. In questi giorni poi, con l’aria natalizia che si respira, il nostro stato d’animo scoppia d’amore e ci sentiamo tutti più buoni. Un’improvvisa nevicata, un’insegna luminosa, la nenia di una zampogna, un albero luccicante, un presepio casalingo bastano a predisporci alla serena gioia del Natale come “l’ago a la stella” (Divina Commedia Par. XII vv 27-30). Una stato d’animo che ci rende ancor felici se riusciamo a tornare e sentirci un po’ bambini. Non si tratta di fare assurdi viaggi nel tempo o nella memoria ma di liberarci, per qualche giorno, da tutte quelle incrostazioni che la vita ci appiccica addosso. Intravedere la magia del Natale riflessa nello sguardo incantato dei bambini è sempre una grande soddisfazione. Ho incominciato ad interpretare Babbo Natale durante le scuole materne dei miei nipoti. Avendo imparato bene il copione (rispondere alle insidiose domande dei bambini è sempre divertente) e vedendo apprezzata la mia “siluette” (barba bianca vera e peso corporeo superiore ai cento chilogrammi) ho incominciato a provarci gusto. Imparare a guardare la realtà con gli occhi dei bambini non è solo la risposta giusta allo stress giornaliero ma può aiutarci anche a trovare la verità. Quest’anno Babbo Natale a Treviglio arriverà al Teatro Filodrammatici durante lo spettacolo di mercoledì 23 dicembre. Che la “luce” sia sempre con tutti noi! Ennio Dozzi
Un teatro, una piazza, un’idea di Treviglio
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rganizzarsi, ripensarsi, promuoversi, per affrontare un lustro più decisivo di altri nella storia recente della città. Questo uno dei diktat che Treviglio dovrebbe darsi per i prossimi mesi, in attesa della tornata elettorale che deciderà il nome e il partito di chi guiderà il palazzo comunale fino alla fine del decennio. A Treviglio serve un progetto, una visione di sviluppo urbano, sociale, culturale che vada oltre il battito di ciglia, la polemica da giornale, la battuta da bar. I nodi da sciogliere sono cruciali: innanzitutto, e in questo numero del giornale qualcuno ha già dato la sua opinione, c’è l’annosa questione delle abitazioni, che in una cittadina come la nostra significa utlizzo assennato delle risorse, del territorio, delle case già disponibili: si è costruito tanto, negli ultimi anni, a dispetto di una crisi economica che ha toccato in primo luogo proprio il settore immobiliare. Cantieri dalla gestazione a volte lunga, appartamenti sfitti o invenduti: svalutare oltre modo questo patrimonio è un rischio per i cittadini che nell’acquisto di un’abitazione hanno investito risparmi e una fetta di futuro, ma anche per coloro che una casa la cercano, senza potersela permettere, e vedono degradarsi intere file di palazzi, inabitati. Con un’adeguata organizzazione (un sistema di edilizia sostenibile, magari con una quota ‘socialÈ e una strategia di promozione che richiami nuovi cittadini dall’area metropolitana di Milano e dai dintorni di Bergamo, si raggiungerebbero due scopi: sfruttare al meglio i tetti disponibili, valorizzandoli, e rinnovare la linfa sociale di Treviglio, così da trovare
nuovi entusiasmi. Serve anche questo, all’ombra del campanile, una commistione di identità storica e nuove (co) esistenze. L’occasione è ghiotta, il panorama liquido: con Milano al centro di un rilancio mediatico e (forse) economico, Treviglio si riscopre campo utile, strategico per la posizione e i collegamenti con la metropoli, senza aver ancora perso le sue peculiarità di provincia, con una popolazione che proprio nell’ultimo periodo ha ritrovato spunti vitali. Come si è letto su queste colonne nei numeri precedenti, buzzo buono e voglia di fare non bastano: serve l’apporto delle istituzioni, perché no della politica, con un progetto di città futura che comprenda le necessità urbanistiche già accennate (e con esse un piano sensato del traffico e per la preservazione dell’ambiente), quelle sociali (con spazi collettivi fruibili, servizi di welfare cittadino, una visione meno restrittiva nei confronti dei locali pubblici) e culturali. I luoghi non mancano, serve un’idea che ci aiuti a stimolare la contemporaneità, una sua narrazione non didascalica, che ci chiami in causa: teatri, piazze, gallerie ci sono, bisogna riempirli con prospettive che vadano oltre la stagnazione di questi anni. Le voci non mancano, bisogna scovarle e farle emergere, si tratti di arti figurative, performative, letterarie, ignorando i peggiori provincialismi e sciogliendo le briglie di chi è capace di visioni espressive, di un linguaggio nuovo. A ben vedere, queste potrebbero essere le basi per un programma elettorale. Ma a parole, e con molte parentesi, tutto sembra semplice. Stefano Pini Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
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la Vignetta di Juri Brollini
In collaborazione con i lettori
Questo “Palazzo fantasma” era forse una caserma?
Alessandro Oggionni, visitando la mostra “La Grande Guerra - Trevigliesi in trincea” (allestita presso la Sala Crociera del Centro Civico Culturale dal 23 ottobre al 15 novembre scorsi), ha desunto che il palazzo da filanda fu adibito provvisoriamente a caserma tra il 1915 e 1918
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ier Alessandro Oggionni, il “segugio” che più di altri ci aveva aiutato a scoprire la funzione del “palazzo fantasma” che si trovava tra l’attuale Piazza Insurrezione e via Moroni, ha approfondito la ricerca aggiungendo notizie. Ricordiamo intanto ai lettori cui fosse sfuggito il numero di Novembre, che parte della base di questo palazzo, in parte demolito, è ancora esistente, inglobata nell’edificio del supermercato Unes, nell’Officina Vailati Guzzi e negli appartamenti sovrastanti. Oggionni ricorda che «la filanda era dei Paladini, proprietari di filande a Calvenzano, a Casirate (mio nonno ne fu il direttore per decenni), a Cassano d’Adda e appunto a Treviglio. Ho saputo dell’esistenza della filanda Paladini visitando la mostra sulla Grande Guerra e i Trevigliesi in trincea. Lì ho letto un articolo del giornale trevigliese dell’epoca “La sveglia” che racconta del 42° Reggimento Fanteria, accasermato
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provvisoriamente a Treviglio, in attesa di partire per il fronte, nella “Caserma Paladini”. Ora, il ragionamento è questo: visto che a Treviglio non è mai esistita (almeno che io sappia) una “caserma” Paladini e visto che a Treviglio non c’erano strutture in grado di ospitare 1300 uomini in armi (o meglio, quelle che avrebbero potuto farlo erano già occupate dai vari ospedali di guerra), è evidente che la “caserma” non era altro che la “Filanda” riadattata. Ma se nel periodo della Grande Guerra la filanda era svuotata dai fusi e da tutti i macchinari per far posto ai soldati, molto probabilmente, dopo la guerra, i Paladini, considerando troppo costosa la sua riattivazione, la dismisero, la vendettero e chi la acquistò decise poi di demolirne una buona porzione dei piani superiori». Per chiudere, se ne deduce che la demolizione avvenne con tutta probabilità negli anni successivi al 1918, ma quando esattamente? Continuiamo ad indagare. r. f.
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mq
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gh
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ICO TR ET B: CA 00 M DI X 13 0 Kg 00 70 13 A: n°9 AT 0 E: RT 21 ON PO no RS à va PE dit on prof
EL
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Una casa di qualità in una zona di pregio 0 24 0 24
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lcon
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• Disponibilità di trilocali - quadrilocali - attici - negozi boxes • Prezzi a partire da €/m2 2.850,00 • Qualità globale (Arch/Involucro/Tecnologico) • Domotica • Climatizzazione integrale • Ventilazione ricambio d’aria (VMC) • Geotermia e fotovoltaico • Finiture di elevato pregio parap
o in ett
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& Dicembre 2015 - la nuova tribuna -
67
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68 - la nuova tribuna - Dicembre 2015