ph Appiani
Mensile di approfondimento di Treviglio e Gera d’Adda
Anno 1 - n. 6 – Novembre 2016
Euro 2,50
Treviglio: acque agitate nel PD Cassano: storia di un flop chiamato tangenziale Violenza sulle donne: “Il silenzio aiuta il carnefice” (E.Wiesel)
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Da fare 2 • tribuna magazine • Novembre 2016
ph Appiani
Le streghe di ieri e di oggi
T
remate, le streghe son tornate: e non soltanto per la notte di Halloween. Le potete incontrare nella vita di tutti i giorni, oppure leggerle sulle pagine dei giornali. Sono quelle come Malala Yousafzai, che a 11 anni apre un blog per denunciare il regime talebano e ribadire il diritto delle donne all’istruzione; quelle come Carmelina Prisco o Lea Garofalo, che non hanno paura della mafia; quelle come Hillary Clinton, che hanno la sfacciataggine di proporsi a presidente degli Stati Uniti; quelle come Lucia Annibali, che va in televisione con la faccia sfigurata dall’acido; quelle che denunciano il loro aguzzino, anche se costui spesso dorme dall’altra parte del letto. Il 25 novembre ricorre la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Una ricorrenza odiosa ma necessaria, in un mondo dove le donne, per un verso o per l’altro, spesso pagano il prezzo più alto. E non vogliamo fare l’errore di attribuire questo male alla società moderna, priva di valori e bla bla bla, perché, diciamocelo, è sempre stato così. Siamo streghe, oggi come ieri. Solo che ieri le streghe si potevano anche bruciare, come Vanina la zoppa, o sacrificare al Maligno, come racconta lo spettacolo teatrale di Melzi: trovate le loro storie in questo numero. Quelle di oggi, invece, almeno nel mondo libero, denunciano,
alzano la voce, si ribellano. Non sempre finisce bene, ma a volte sì. Sempre più spesso sì, perché oggi, per fortuna, si può chiedere aiuto. Per questo abbiamo voluto dedicare un ampio servizio alle testimonianze di chi lavora sul campo, per arrivare a cancellare, un giorno, la ricorrenza del 25 novembre. In quest’ultimo periodo, la comunità trevigliese ha perso alcune figure apprezzate e conosciute da tutti: Fausto Ferrari, fondatore e anima della CFL, premiato proprio l’anno scorso con il San Martino d’oro; Domenico Durante, calabrese d’origine ma trevigliese d’adozione, impegnato su diversi fronti, dalla politica, al sociale, al giornalismo sportivo; e infine un amico di tutti, che ha dedicato la vita al lavoro e alla famiglia: Pino Conti, scomparso improvvisamente il 16 ottobre scorso. Se ne è andato nel momento in cui già avevamo deciso di dedicargli la vignetta di Bruno Manenti per festeggiare la meritata pensione. Ci dispiace molto che non la possa vedere, siamo sicuri che l’avrebbe apprezzata e commentata con un sorriso. Questo è il nostro modo di salutarlo e di ringraziarlo per tutta la cordialità che ha regalato ai trevigliesi in cinquant’anni di attività. Non solo cose tristi sono accadute a Treviglio; per esempio c’è stato il primo matrimonio civile fra persone dello stesso sesso, con qualche strascico polemico
per la mancata celebrazione da parte del sindaco. Non abbiamo motivo di dubitare della giustificazione addotta dal primo cittadino per questa sua assenza: avendo davanti cinque anni per governare, siamo sicuri che avrà l’occasione di dimostrare di essere davvero il sindaco di tutti, aldilà delle legittime opinioni personali. E poi c’è stata la proclamazione a miglior bar d’Italia da parte del Gambero Rosso al Marelet di Treviglio: un’altra conferma delle tante eccellenze del nostro territorio, cui questa rivista ama dare il giusto risalto. C’è anche una novità: allarghiamo l’orizzonte al comune di Cassano d’Adda. Pur essendo in un’altra provincia, dista solo quattro chilometri da Treviglio e soprattutto fa parte geograficamente di quel territorio che noi chiamiamo Gera d’Adda. Cercheremo di focalizzare l’attenzione anche su questo splendido paese, meta di tante estati di “quando non si poteva andare in vacanza” e ricco di bellezze architettoniche. Infine un grazie, ancora una volta, a tutti i collaboratori, vecchi e nuovi di questa rivista, che abbiamo avuto modo di incontrare recentemente durante un simpatico aperitivo: senza il vostro contributo questa rivista sarebbe davvero più povera. Il direttore Dimenticavo! Grazie a tutte le streghette che hanno fornito le loro scarpette rosse per le foto che vedete. Novembre 2016 •
tribuna magazine • 3
Pasticceria
Da fare 4 • tribuna magazine • Novembre 2016
Sommario Mensile di approfondimento di Treviglio e Gera d’Adda
1
6 Acque agitate nel PD trevigliese
ph Appiani
Euro 2,50
Anno 1 - n. 6 – Novembre 2016
copertina bozza
(Ivan Scelsa)
8 Dal rosso al rosa: contro la violenza ph Appiani
(Cristina Signorelli)
Treviglio: acque agitate nel PD Cassano: storia di un flop chiamato tangenziale Violenza sulle donne: “Il silenzio aiuta il carnefice” (E.Wiesel)
9 I numeri che descrivono il fenomeno Il centro antiviolenza più vicino (Cristina Signorelli)
www.tribunatv.tv
10 Una storia come tante (Cristina Signorelli)
11 Tornare a sorridere (Daniela Regonesi)
magazine Autorizzazione Tribunale di Bergamo n. 6/16 del 19/04/2016 Anno 1° N. 6 - Novembre 2016 Editore Tribuna srl Viale del Partigiano, 14 - Treviglio (BG) www.tribuna.srl info@tribuna.srl Contatti di redazione tel. 0363.1971553 redazione@tribuna.srl Amministratore Unico Marco Daniele Ferri REDAZIONE Direttore Responsabile Daniela Invernizzi Coordinamento Daniela Regonesi Redazione Daria Locatelli, Daniela Regonesi, Ivan Scelsa, Cristina Signorelli Fotografie e contributi Enrico Appiani Hanno collaborato a questo numero Maria Gabriella Bassi, Stefano Bona, Juri Brollini, Luca Cesni, Pinuccia D’Agostino, Stefano Dati, Diego Defendini, Marco Falchetti, Franco Galli, Stefano Gatti, Umberto Lepore, Gabriele Lingiardi, Bruno Manenti, Silvia Martelli, Barbara Oggionni, Francesca Possenti, Lucia Profumo, Maria Angela Ravasi, Erika Resmini, Lino Ronchi, Paolo Tinnirello, Alfredo Venturini Impaginazione e Grafica Pubblicitaria Antonio Solivari UFFICIO COMMERCIALE Roberta Mozzali tel. 0363.1971553 - cell. 338.1377858 commerciale@tribuna.srl Altre collaborazioni Giulio Ferri Stampa Laboratorio Grafico via dell’Artigianato, 48 - Pagazzano (BG) Tel. 0363 814652 www.tribunatv.tv - facebook: Tribunatv
12 Chiesa di San Maurizio, chissenefrega? (Daniela Invernizzi)
13 Testimone del passato (Barbara Oggionni)
15 L’ex Tribunale: quale sarà la sua funzione? (Ivan Scelsa)
16 La lunga storia della tangenziale di Cassano (Stefano Dati)
18 Riusciremo a liberarci del debito pubblico? (Cristina Signorelli)
45 Streghe in Gera d’Adda Povera, ma libera! (Pinuccia D’Agostino)
46 I matti (storia quasi vera) (Maria Gabriella Bassi)
47 Animali Onirici Dal parricidio al banchetto eucaristico (a cura di Zephyro Edizioni)
49 Britannici: vicini ma così lontani (Silvia Martelli)
50 Appunti di Lavoro (Francesca Possenti)
21 La completa liberalizzazione dell’energia
52 La “Società Telefonica Trevigliese” e i primi telefoni a Treviglio
22 Fausto e la CFL: una passione lunga una vita
54 Carminati Srl: una tradizione che sa innovarsi
24 Una lunga storia di bontà: la Latteria Sociale di Calvenzano 25 MatitaLibera di Bruno Manenti 26 Antico in via
55 Com’era Com’è
(Cristina Signorelli)
(Lucia Profumo)
(Daniela Regonesi)
29 Rock per la ricerca
(Marco Falchetti e Lino Ronchi)
(Daria Locatelli)
(a cura di Diego Defendini e Stefano Gatti)
56 Guida ai film di novembre Il cinema che cambia: il teatro in sala (Gabriele Lingiardi)
Cure di qualità
58 Playstation VR, arriva la realtà virtuale
30 L’uomo dal cappello (e dalle tante idee) Il parco con lo sponsor
59 Speed Queen: non solo bucato 60 Caravaggino il CT della nazionale di Trial bike
32 Dopo il congedo, la solidarietà
62 Le ricette di Erika Resmini 63 La Kinesiologia
(Daria Locatelli) (Stefano Bona)
(Daniela Regonesi) (Ivan Scelsa)
35 I moderni ciceroni di Caravaggio (Maria Angela Ravasi)
36 Il compleanno di “Malala” (Alfredo Venturini)
38 Il palazzo di Misano, un gioiellino sconosciuto (Diego Defendini)
41 L’eterna lotta fra il Bene e il Male (Daniela Invernizzi)
43 La Banda di Calvenzano: una storia di musica (Daria Locatelli)
(Diego Defendini)
(Franco Galli)
(a cura della Cooperativa Sociale 9Coop)
64 Area euro: si riaffaccia l’inflazione e la Bce potrebbe fermarsi (a cura di Fineco Bank)
In ricordo di Domenico Durante (Daria Locatelli)
Premio
(Daniela Invernizzi)
65 Spese di rappresentanza e di vitto alloggio: differenze (a cura di Giovanni Ferrari)
67 La vignetta di Juri Brollini Novembre 2016 •
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Politica
Acque agitate nel PD trevigliese di Ivan Scelsa
Al culmine di un anno decisamente intenso per la politica trevigliese, sono in arrivo le dimissioni del Segretario Erik Molteni, preludio al Congresso del partito
L
e liti intestine, le frasi pungenti det- Arancio, rea di una poco parsimoniosa congresso ormai prossimo: il culmine di un te o asserite come tali. Le smentite campagna, svolta per lo più attraverso la duello iniziato tra le pareti del circolo ed e le conferme. Diciamolo: il clima fornitura di servizi anziché con un appor- approdato tra i banchi dell’aula consigliare, all’interno del PD trevigliese non è to di denaro contante. La stessa notizia, la cui eco ha inevitabilmente varcato i conaffatto sereno. Non lo è già da tempo: già però, era stata smentita alcuni giorni dopo fini provinciali. E come se non bastasse, a gettar benzina dalla presentazione della squadra candida- dallo stesso segretario Molteni, durante tasi a guidare la Città la scorsa primavera. una seduta in cui aveva avuto da eccepire sul fuoco, erano sopraggiunte le voci sul E a contribuire al suo inasprimento ci si è su alcune iniziative della capogruppo PD provvedimento preso a carico dello stesso messa spesso anche la stampa locale, con Rossoni e del compagno di partito Sonzo- Molteni e di Dario Aralla, coordinatore del ricostruzioni più o meno fantasiose dei fat- gni. Nella stessa circostanza, era arrivato circolo cittadino, da parte della Commissioti. Già la scelta iniziale del candidato sin- anche il comunicato di Daniela Ciocca – ne provinciale di Garanzia, che aveva sandaco Erik Molteni di puntare su Cristina tesoriere della Lista Arancio – che aveva zionato i due per la non corretta conoscenza Ronchi piuttosto che su Laura Rossoni, riferito circa l’apporto di 2.300 euro auto- dell’istituto e dei regolamenti disciplinanti aveva palesato malumori e rumors che era- finanziati e rendicontati già dal mese di la funzione e la composizione degli organi no giunti non solo agli addetti ai lavori, ma giugno e spesi, tra l’altro, proprio a soste- del partito: un ulteriore motivo di censura da parte dello stesso segretario locale, ovavevano anche animato discussioni e dia- gno della coalizione. Per ciò che concerneva i ritardi nella ren- viamente irritato dalla divulgazione di una tribe sulla scia di quanto pubblicato sulle dicontazione delle spese, secondo il Segre- comunicazione ritenuta privata. pagine dei giornali o sul web. Ne erano scaturite altre dichiarazioni delIl giorno dopo la sconfitta elettorale, in- tario locale, le cause erano da ricercare nelfatti, erano cominciate a volare reciproche la momentanea assenza di alcuni esponenti la capogruppo Laura Rossoni e del Segreaccuse tra le correnti interne al partito, in un di coalizione che avrebbero dovuto firmare tario Provinciale Gabriele Riva (all’oscuro periodo scomodo che avrebbe dovuto porta- la relazione e non ad anomalie gestionali della convocazione della conferenza), prosre alla nomina del capogruppo in Consiglio. o asseriti buchi di bilancio. A tal proposi- simo a ricevere i tre consiglieri per un inE come se non bastasse, un susseguirsi di to, neanche troppo velatamente, Molteni contro chiarificatore, dalla connotazione di voci aveva insinuato un possibile commis- aveva fatto riferimento “all’uso sistemati- “ultimo atto”. co della stampa locale” tanto quanto alle Ed è così che la riunione sembra aver sariamento del circolo. Di fatto erano contrapposti da un lato i “soffiate arrivate dall’interno”. Pungenti, riportato i toni della diatriba sui binari di renziani, con la Rossoni e Stefano Sonzogni poi, le ipotesi espresse circa logiche di tes- una “non belligeranza” conveniente a tutti, (dal responso dell’urna risultati i più votati seramento e strategie in previsione di un soprattutto in previsione del quesito refedella lista e che avevano chiesto il rispetto dei regolamenti e l’autonomia del gruppo in derlo, mi ha visto fortemente critico, ed infatti i aula), dall’altra, l’ala nodi sono venuti al pettine al ballottaggio, quando più sinistra, quella che uanto avvenuto nel corso dell’ultimo anno, siamo apparsi troppo in continuità con l’ultima puntava su una scelta dal tortuoso ed opaco procedimento di scelta esperienza di governo del centrosinistra che era dettata dal partito, fadel candidato sindaco del PD, alla difficile costruzio- stata congedata dagli elettori nel 2011. vorevole alla nomina ne della coalizione di centrosinistra, all’incompiuta Il dopo elezioni di fatto non c’è ancora stato. Non dello stesso Molteni. riflessione sulle ragioni della sconfitta, ha certamen- è questione di resa dei conti, ma di aver il coraggio Con la pausa estite rappresentato una delle fasi più critiche e complidi cambiare per davvero, di accantonare i personaliva la tensione semcate della storia del centrosinistra trevigliese. smi e le posizioni preconcette. Un esempio su tutto: brava essersi allenAspirazioni personali sovrapposte alle dinamideterminate decisioni del Coordinamento e positata. Ma a rianimare che di partito, gelosie, vecchi rancori non del tutto zioni assunte in aula dal candidato sindaco sono la lotta fratricida sopiti, hanno condizionato la scelta del candidato parse più dettate dal fine di mettere in difficoltà i sarebbe poi stata la sindaco, che, col senno di poi (e prendo la mia quota due consiglieri eletti nelle liste del PD, anziché di notizia di un presundi responsabilità), avremmo dovuto selezionare in organizzare un’efficace opposizione che si ponga to buco di bilancio maniera autenticamente democratica, mobilitando i l’obiettivo di agire per il bene della Città e, naturalnelle spese elettorali nostri elettori, con le primarie. Decidemmo di evimente, di tornare a vincere, alle prossime elezioni. della coalizione pretarle nel timore di spaccare il partito, ma paradossalConfido che il referendum (per il quale invito sentatasi alla recenmente forse l’avrebbero maggiormente unito, poiché tutti ad informarsi e, quindi, a votare sì, perché la te tornata di voto, il vincitore, quale che sarebbe stato, avrebbe potuto riforma indubbiamente migliora la Costituzione) che avrebbe messo vantare l’autorevolezza data dal consenso popolare. ed il congresso cittadino portino unità d’intenti e sul fuoco, questa La costruzione della coalizione, inutile nasconnuovo slancio». volta, l’alleata Lista
Stefano Sonzogni
«Q
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ph Cesni A sinistra i candidati della lista PD alle scorse elezioni; qui sopra Erik Molteni e Laura Rossoni
rendario (argomento questo su cui il Partito Democratico punta molto per il prosieguo dell’attività di Governo alla guida del Paese, ndr) e, nel contempo, volto ad evitare che in sede congressuale il ricorso alla conta dei voti. Una scelta condivisa, dunque. Sembra così fissato l’epilogo di questa avventurosa quanto burrascosa storia: quasi come in un accordo prematrimoniale dove le parti stabiliscono le regole per il futuro, qualcosa di nuovo in un rapporto di convivenza che, sin dall’inizio, è stato quasi da separati in casa. Dopo la riunione, a caldo, è lo stesso Segretario provinciale a commentare l’esito dell’incontro, paventando la possibilità che si possa arrivare ad una scelta condivisa per un nome gradito ad entrambe le anime del partito. E questo per scongiurare il rischio di una conta dei voti, un’ipotesi non gradita anche a Laura Rossoni che, dopo la riunione, sembra aver riposto l’ascia di guerra in attesa degli eventi. Lo stesso Riva riferisce di aver seguito con attenzione le vicende di Treviglio, non solo come Segretario Provinciale, ma an-
Erik Molteni
«Q
uando il 27 ottobre del 2013 fui rieletto al mio secondo mandato come Segretario del Circolo PD di Treviglio a capo di una lista unica in un congresso unitario, la prima dichiarazione che rilasciai fu: “Questo mio secondo mandato sarà anche l’ultimo da Segretario del Circolo. È giusto che ci sia un ricambio ai vertici del Partito e che la ruota giri per tutti, dando spazio a volti nuovi. Comunque vadano le prossime elezioni amministrative nel 2016, io mi dimetterò dopo di esse. Ritengo che il mandato di un Segretario politico debba coincidere con il mandato amministrativo di una città”. Dichiarazioni che ho ripetuto spesso dal giugno scorso, dopo le elezioni che hanno sancito la vittoria di Juri Imeri. Ora, come dichiarato più
che come “uomo della Bassa” che guarda alla Città come al più importante centro ed evidenziando la necessità di rimettere l’attenzione alla politica proprio grazie all’opportunità rappresentata dal congresso. «Perdere al ballottaggio per seicento voti - dice Riva - non è di per sé una tragedia, ma bisogna prenderne atto per uno spunto di riflessione. Ora pancia a terra per l’obiettivo del 4 dicembre, visto che in quel giorno ci sarà il referendum che, comunque la si voglia guardare, segnerà in maniera evidente “un prima e un dopo”, che vinca il SI o che vinca il NO. Chiaramente noi siamo impegnati con tutte le nostre forze affinché vinca il SI e dal primo circolo della nostra provincia per numero di iscritti ci aspettiamo un lavoro forte in questa direzione. Nessun grillo per la testa ma lavoro politico vero fino al 4; dopo tale data credo si debba aprire questa nuova stagione congressuale. Il tema del 5, apro e chiudo parentesi, lo hanno rilanciato i giornali, ma di fatto il nostro regolamento parla di un congresso da convocare massimo 30 giorni dopo le dimissioni del Segretario. Vuol dire quindi che il 4 dicembre ci sarà il referendum, da lì in poi tutti i giorni sono utili perché Erik Molteni possa dare le dimissioni; non devono essere per forza il 5, ma anche il 10, il 15. Chiaro che ci siamo dati come orizzonte fine gennaio/ primi di febbraio, viste anche le festività natalizie ed i tempi che una discussione congressuale merita. Abbiamo fissato la data del 12 febbraio e quindi lavoriamo in questa direzione per un congresso che, non sta a me dirlo come Segretario Provinciale, deve discutere di questi temi: del rapporto tra partito e gruppo consiliare, del rapporto tra gruppo consiliare, partito e le altre liste civiche che hanno sostenuto il centrosinistra alle ultime elezioni e di tutti quei temi per cui oggi la discussione rischia di spostarsi più su un piano personale che politico».
volte, essendoci di mezzo un appuntamento cruciale per il Paese e per il PD, quale è il referendum sulla riforma costituzionale, con senso di responsabilità e non venendo meno alle mie parole, mi dimetterò dopo di esso come concordato con il Segretario Provinciale Gabriele Riva. Che sia il 05 o il 12 dicembre poco cambia. Mi dispiace invece che qualcuno abbia strumentalizzato e cavalcato la vicenda, preferendo la ribalta dei giornali al confronto schietto e trasparente all’interno del Partito, cercando la polemica sterile e gratuita. Ho la coscienza a posto, consapevole di aver fatto sino in fondo il mio dovere in maniera corretta e di aver cresciuto un fantastico gruppo di giovani. Ora mi dedicherò interamente all’attività amministrativa in consiglio comunale e a quella di Responsabile Provinciale Scuola del PD».
Francesco Lingiardi
«S
icuramente nel PD pesano questioni irrisolte che vengono dal passato cui nessuno ha messo mano. Per poter ricostruire insieme un partito uscito malconcio dal confronto elettorale, nel 2013, si era proposta una lista di coordinamento unitaria, con lo scopo di ripartire a fare politica tutti assieme. Opportunità che non è stata colta nei cinque anni trascorsi. Oggi vedo un PD fermo, che pare privato della capacità di elaborazione politica a partire dai suoi valori costitutivi. Nel PD trevigliese da troppo tempo non c’è più discussione sui temi politici e amministrativi. Un esempio? La mancata presa di posizione corale, unitaria, di tutto il gruppo consiliare PD contro l’interporto sul territorio di Treviglio. Temo che ci si stia adagiando su proposte generiche dimenticandosi certi valori su cui non ritengo possibile cedere il passo, penso ad esempio ai problemi nell’ambito del sociale, del lavoro, la questione etica, e che il PD, oggi, deve ancora ribadire con forza. Vedo però una speranza: il prossimo Congresso cittadino potrebbe garantire un rinnovamento di forze e idee. Spero si possa tornare a confrontarsi e trovare una sintesi, a parlare ancora della città e tornare così ad entusiasmarsi per una politica a fianco della comunità trevigliese».
Laura Rossoni
«C
ome capogruppo PD sento la responsabilità di rappresentare al meglio chi ci ha votati. Non possiamo continuare a comportarci come se le elezioni non ci fossero state. I cittadini hanno scelto a chi affidare il governo della città e chi ha perso deve riconoscerlo e guardare avanti, ricavando dalla sconfitta le indicazioni per un’opposizione seria e non pregiudiziale. Noi consiglieri comunali abbiamo solo bisogno di avere alle nostre spalle un PD con un gruppo dirigente positivo e propositivo. Le contrapposizioni personali non hanno mai senso, sono utili solo le differenze di opinione, per poi decidere al meglio».
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Società
Dal rosso al rosa: contro la violenza di Cristina Signorelli
Percorso Rosa è un servizio sanitario rivolto alle donne vittime di violenza messo a punto dall’ASST BG Ovest, in collaborazione con le strutture del territorio
L
e scarpe rosse raffigurate sopra queste righe rappresentano un simbolo: essere donna e non vittima. Vittima della violenza del maschio, padre, marito, amante, ex marito, ex amante… Tante declinazioni diverse per un ruolo solo: io, maschio, sono più forte fisicamente e faccio quello che voglio al tuo corpo, alla tua mente, al tuo spirito. Naturalmente la maggioranza degli uomini rispetta la DONNA, ciononostante i numeri che descrivono il fenomeno fanno inorridire. Secondo una recente indagine Istat circa 7 milioni di donne hanno subito violenza nel corso della loro vita. I femminicidi da gennaio 2015 ad oggi sono stati oltre 150, quasi 9.000 donne hanno subito violenza nello stesso periodo. E questa, a detta di tutti gli operatori, non è che la punta dell’iceberg, perché ancora molte subiscono senza trovare il coraggio di denunciare l’accaduto per paura, per il senso di colpa, per disinformazione. Si tratta di una vera piaga sociale che richiede lo sforzo di tutti per essere debellata, ma in particolare da parte degli operatori sanitari, che spesso sono i primi, a volte anche gli unici, a prestare soccorso alla maltrattata. L’Azienda Ospedaliera di Treviglio-Caravaggio (oggi ASST Bg Ovest) da anni tratta con particolare cura ed attenzione i casi di violenza con il Percorso rosa, del quale mi parla diffusamente la dottoressa Daniela Corti, anatomopatologa, direttore del reparto di citologia, insieme alla
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dottoressa Barbara Mangiacavalli, direttore socio-sanitario. «Questo progetto – dice Corti – nasce nel 2014 per volontà, oltre che mia, del dottor Franco Forloni, allora primario del Pronto Soccorso, e si tratta di una procedura sanitaria per i medici, il personale infermieristico e tecnico. Allora avevamo percezione che il fenomeno fosse enorme ma stentasse ad emergere, perché gli operatori non sempre erano preparati a individuarlo. Abbiamo quindi formalizzato un percorso che aiuta i sanitari a riconoscere la vittima della violenza anche quando non è espressamente dichiarata, la accoglie e la protegge in tutto l’iter ospedaliero». Uno degli obiettivi di Percorso rosa è fornire strumenti per la misurazione del fenomeno, “conoscere per curare” potremmo sintetizzare. «L’accoglienza al Triage di una presunta, o dichiarata, vittima di violenza – prosegue Corti – viene fatta con la massima discrezione e gentilezza per mettere la donna a proprio agio. Contestualmente viene attivato il flag SV (Soccorso Violenza) che serve anche a fini statistici per misurare l’entità del problema». I dati presentati qui accanto confermano che, nei tre anni di attività del Percorso rosa, gli operatori sono riusciti ad individuare con maggior precisione gli abusi fatti a danno delle donne. La formazione degli operatori – ad oggi sono oltre cento presso l’azienda ospedaliera – è un secondo aspetto di grande rilievo. Infatti, nei casi in cui la donna
riferisce di traumi avvenuti accidentalmente, per paura, per vergogna, per senso di inadeguatezza, il sanitario che la accoglie deve essere formato per capire la situazione e comportarsi di conseguenza, nel completo rispetto della maltrattata, la quale viene presa in carico ed accompagnata in una sorta di percorso ambulatoriale protetto. «L’arrivo in ospedale è un momento delicato per la vittima, ed ancora di più è quello della raccolta delle prove tangibili della violenza subita. Abbiamo predisposto un kit di repertazione da usare per ottenere e conservare nei sei mesi successivi, come dal disposto di legge, i reperti (vestiti, materiale organico, ecc). Anche il kit comfort è stato studiato per alleviare il disagio della donna e le fornisce dei nuovi indumenti con i quali rivestirsi». La valutazione del grado di recidiva, la possibilità che l’evento accada di nuovo, e la collaborazione con le strutture esterne che sul territorio si occupano di questi problemi, in particolare il Centro antiviolenza (vedi box), costituiscono gli elementi fondamentali del Percorso rosa. Da gennaio 2016 la riorganizzazione dell’assetto sanitario ha portato alla creazione della ASST BG Ovest con un’area di competenza che comprende anche i consultori di Dalmine e dell’Isola Bergamasca, oltre a tutte le strutture socio-sanitarie del territorio. Barbara Mangiacavalli precisa: «La legge 23/2015 della Regione Lombardia prevede l’integrazione tra tutte le strutture sanitarie e psico-sociali
Il centro antiviolenza più vicino
ph Appiani
S
presenti sul territorio di competenza, così da intercettare più facilmente le problematiche che si presentano nei diversi casi. Nell’attuare questi disposti di legge abbiamo deciso di partire proprio dal percorso rosa che è ormai una consolidata realtà». «A seguito del riassetto – chiarisce Daniela Corti – abbiamo approntato il Percorso rosa integrato che prevede di coordinare le procedure del nostro iter con quelle già attivate dalle altre strutture socio-sanitarie, col fine di affrontare
in modo coordinato e coerente i casi di violenza, proteggendo la donna maltrattata e, dove possibile, intervenendo sul maltrattante». Un approccio unico e condiviso da tutti gli operatori coinvolti, che implica quindi una mappatura dei servizi disponibili sul territorio e modalità di intervento omogenee. «Alla fine del percorso – conclude Daniela Corti – la donna dovrà essere informata e consapevole che esiste una struttura assistenziale a cui fare riferimento». Insomma, non dovrà più sentirsi sola.
I numeri che descrivono il fenomeno Rilevazione dati Azienda Ospedaliera Treviglio-Caravaggio, Romano di Lombardia Casi di maltrattamenti e violenza sessuale negli anni 2013-2015=179 donne 171 maltrattamenti fisici, 8 violenze sessuali. 88 donne (49%) straniere, 91 donne (51%) italiane. Nel 74% (132 casi) il luogo della violenza sono le mura di casa. Nell’86% dei casi (154) l’autore della violenza è conosciuto (marito, compagno, fidanzato o ex).
Rilevazione dati ASST BG OVEST Per quanto riguarda il primo semestre del 2016 i casi sono stati 70. Nel 61% (43 casi) donne italiane Nel 39% (27 casi) donne straniere La casa è il luogo dove avviene la violenza nella maggioranza dei casi 67% (47 casi). L’autore della violenza è sempre persona conosciuta nel 77% (54 casi). Fonte ASST BG OVEST
irio CSF Cooperativa sociale onlus opera a Treviglio da più di vent’anni. Nata nel 1996 per aiutare le donne in difficoltà, si è sempre più focalizzata sul maltrattamento, causa principale che spinge le donne a chiedere aiuto. Oggi gestisce il Centro Antiviolenza Treviglio-Rivolta d’Adda – con sportelli in entrambe le aree – accreditato come primo referente per il numero nazionale di pubblica utilità, 1522, più conosciuto come telefono rosa. Sirio CSF ha lavorato, fin dall’inizio, in collaborazione con le istituzioni presenti sul territorio, con lo scopo di offrire a ogni donna che lo chiede aiuto e supporto. Nel 2013 è stata istituita la rete interistituzionale antiviolenza, che accorpa 18 Comuni, con Treviglio capofila, allargata l’anno successivo anche a Romano di Lombardia e ai 17 Comuni afferenti. Essa comprende tutte le strutture che operano sul campo e trattano, in veste diversa e con differenti modalità, la violenza sulle donne. Insieme a Sirio CSF sono coinvolti l’ASST Bg Ovest, la Procura, la Prefettura, gli Uffici scolastici, i consultori ecc., insomma tutte quelle realtà alle quali la donna può rivolgersi quando subisce violenza fisica e psicologica. La cooperativa sociale assicura alle donne maltrattate l’ascolto delle loro problematiche e la possibilità, quando sono pronte, di affrontare il percorso di risoluzione dei problemi. Psicologi, assistenti sociali ed educatori, con il supporto di altri operatori, tra cui alcuni legali, gestiscono, oltre al centro antiviolenza, una casa comunità nella quale possono ospitare le adolescenti vittime di abusi, e l’annessa casa Giorgia, piccolo appartamento nel quale le giovani, prossime alla maggiore età, possono sperimentare una quasi autonomia. Le case protette sono appartamenti ad indirizzo segreto nelle quali le donne in situazione di pericolosità, e gli eventuali figli, possono ritrovare un po’ di sicurezza fisica e psicologica, indispensabile per guarire dei traumi subìti e ricominciare a vivere una vita normale. C.S.
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ph Appiani
Società
Una storia come tante
Non una vera testimonianza ma frammenti di vita nei ricordi di un’amica
I
ncontro Giulia (non è il suo vero nome ma come le piaceva essere chiamata durante i nostri giochi di bambine) in un pomeriggio piovoso e freddo, l’atmosfera calda e confortevole della sua bella casa fa da contrasto con l’esterno, e ci predispone subito a quelle confidenze che le ho chiesto di raccontarmi di nuovo. Io e Giulia ci siamo conosciute tanti anni fa, eravamo amiche del mare, vivevamo in città diverse ma trascorrevamo i lunghi periodi estivi nello stesso luogo di villeggiatura. Amiche inseparabili nelle lunghe giornate estive, durante l’inverno ci tenevamo aggiornate con tante lettere piene di cuoricini, poi il tempo e tanti altri interessi, l’università, i viaggi all’estero, gli amori, ci hanno diviso, giusto qualche biglietto d’auguri per Natale e i compleanni. Ci siamo ritrovate quasi per caso tanti anni dopo a Milano, città dove entrambe siamo approdate per iniziare le nostre brillanti, almeno così sembravano un tempo, carriere: io in una grande casa editrice, Giulia in una importante società di consulenza. Eravamo già sposate, io avevo già il mio primogenito e Giulia era incinta. È stato proprio durante gli ultimi mesi della sua gravidanza che ho incominciato a
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cogliere i piccoli segnali di qualcosa che non andava. Appuntamenti rimandati, a volte un trucco troppo professionale perché non nascondesse qualcosa di brutto e poi il corpo sempre coperto, anche durante una torrida estate. Fino ad allora ci eravamo frequentate poco come coppie, l’amicizia era nostra e poco condivisa dai nostri mariti, non era facile quindi capire se i dubbi che mi stavano sorgendo corrispondessero a qualcosa di reale. Suo marito era uno stimato chirurgo sempre affabile e galante, non certo il tipo di persona che pensi possa massacrare di botte la moglie, per giunta incinta. Invece era proprio quello che accadeva, ma nessuno l’ha saputo fino a quando Giulia non ha deciso che la colpa di quanto succedeva non era sua, ma di quel mostro che tra le pareti domestiche sfogava rabbia, risentimento, frustrazione. Perché si era arrivati a tanto? Che cosa poteva mancare ad una coppia splendida e apparentemente ben assortita, di alto livello culturale, agiata economicamente, con carriere di grande soddisfazione? Ricordo quando Giulia mi ha telefonato, quel mattino di vent’anni fa: «Ciao sono io, sono in ospedale con la piccola, per favore vieni a prendermi?». Non una parola di più né una di
meno. Quando sono arrivata ho stentato a riconoscerla, un braccio ingessato, il volto parzialmente tumefatto e quella denuncia che stava tra lei e la psicologa. Poi è stata un fiume in piena di pianti e parole: erano mesi che aveva incominciato a picchiarla, dapprima per piccoli litigi poi senza neanche più quei pretesti. La sera precedente era accaduto davanti alla bambina. «Ho visto gli occhi di mia figlia – mi ha detto – non c’era paura né stupore, ma quasi accettazione. Credo che questo mi abbia dato la forza di andarmene e denunciarlo. Non posso permettere che lei cresca abituandosi a questa violenza». Gli anni a seguire sono stati difficili, a volte tremendi, a volte segnati da piccole sconfitte, più spesso da vittorie. È passato tanto tempo da allora, sua figlia è diventata una splendida giovane donna e Giulia è riuscita a superare quell’esperienza terribile. È un periodo del suo passato, doloroso anche nel ricordo, ma che lei non rinnega perché dice: «Quello che sono oggi è anche dato dall’aver visto il buio e aver deciso che volevo vivere la mia vita nella luce». «Il regalo più bello che ho fatto a mia figlia – conclude – penso sia stato dimostrare che cambiare si può, si può vincere il male di chi ti ama nel modo sbagliato, si può tornare a credere in se stessi anche quando hanno cercato di spezzarti». Brava amica mia, nessuno ti ha spezzato. C.S.
Società
Tornare a sorridere di Daniela Regonesi
La violenza fa giustamente rumore, ma il libro di Daniela Invernizzi dà voce alla silenziosa rinascita delle vittime
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’è un “prato” che racconta cinque storie belle e terribili, fatte di fatica e dolore, ma soprattutto di rinascita. “Dove nascono i fiori”, scritto dal nostro direttore Daniela Invernizzi, è un libro positivo, scritto dalle donne per le donne, perché nonostante la cronaca ci consegni epiloghi tragici quasi quotidiani, anche gli esempi positivi, silenziosi come corolle che sbocciano, meritano voce. «Sono stata contattata dalla Cooperativa Sociale onlus Sirio CSF – spiega l’autrice – perché, ascoltando tante storie, avevano deciso che alcune potevano essere raccontate, per sensibilizzare le donne a farsi avanti, ad aver coraggio. Sono tutte
vicende positive, raccontano la forza di rivolgersi a qualcuno per chiedere aiuto e grazie a questo riuscire a rifarsi una vita. Da qui il titolo, che ha una valenza duplice: dovendo mantenere l’anonimato delle protagoniste, molte delle quali vivono in città, ho pensato di dar loro il nome di un fiore, e al tempo stesso volevo richiamare il concetto di rinascita, parafrasando anche il verso della canzone di De Andrè che dice “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”».
Le storie di Iris, Mimosa, Margherita, Viola e Rosa sono tutte risolte bene, e nonostante l’indiscutibile dolore di rivivere certi argomenti, le protagoniste hanno avuto la forza psicologica per parlarne e affrontare l’intervista. Anzi, hanno accolto volentieri l’idea di poter far conoscere le loro vicende, tutte diverse ma per certi aspetti tutte uguali. Per questo l’autrice ha voluto renderne la particolare connotazione e, per distinguerle e restituirne l’unicità, ha utilizzato stili diversi: il diario, lo scrivere in prima o in terza persona. Non è l’esposizione di un fatto di cronaca, ma un vero e proprio racconto: «Fare le interviste è stato abbastanza complesso, perché ho dovuto confrontarmi con le loro difficoltà. Sono storie brutte, è imbarazzante scrivere di dolore, e per loro ricostruire l’ordine degli episodi. Ma è un libro in positivo, con un lieto fine: è bello poter parlare al passato di certe cose». Il volume – i cui proventi andranno interamente a favore dei Centri Antiviolenza gestiti dalla cooperativa – è completato da un’introduzione degli psicologi, che spiega il percorso che ha permesso di arrivare alla sua stesura, e dall’illustrazione dei servizi che Sirio offre. Appuntamento il 26 novembre a Treviglio presso il ristorante Matè, in piazza Garibaldi, dalle 10 alle 12.30: alla presentazione del libro, con il sostegno di Soroptimist e Associazione Clementina Borghi, sono previsti un buon aperitivo, la lettura di alcuni brani e l’intervento di Pinuccia D’Agostino, che ha curato l’editing del volume. Novembre 2016 •
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Patrimonio storico artistico
Chiesa di San Maurizio, chissenefrega? di Daniela Invernizzi
Dieci anni fa si è costituito un comitato per salvare l’ultima testimonianza di Trevillium. Poi più nulla
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he fine ha fatto il recupero di San Maurizio, la chiesa più antica di Treviglio, testimonianza dell’antico borgo Trevillium? Dove è finito il movimento di interesse diffuso che aveva portato alla costituzione di un comitato, con il compito di salvare l’antico manufatto e restituirlo ai giusti onori e al godimento dei cittadini e dei turisti? Sembra che tutto ormai sia fermo da anni, e che l’opinione pubblica ne sia completamente disinteressata, mentre le erbacce infestano l’edificio e l’usura del tempo continua senza tregua. Per cercare di capirci qualcosa, ne abbiamo parlato con una delle fondatrici del suddetto comitato, Barbara Oggionni, architetto, ricercatrice e docente di Storia dell’Arte. «Siamo rimasti solo in tre – conferma – Stefano Gatti, Roberto Fabbrucci ed io. Ma effettivamente è tutto fermo da un bel po’». Le motivazioni di questo stallo sono molteplici e non promettono niente di buono. Mancanza di contatti effettivi con i proprietari dell’area e scarso interesse dei soggetti coinvolti in passato hanno portato alla situazione attuale. Per uscire da questa situazione di impasse, occorre ridestare l’interesse per San Maurizio: «Perché se non lo facciamo ora – spiega Oggionni – presto sarà troppo tardi. Il tetto sta implodendo, ed è grave, perché dentro ci sono ancora le strutture origi-
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narie; l’area è completamente abbandonata, e quello che era stato fatto in passato rischia di essere vanificato». Facciamo un passo indietro, per capire come e perché si è arrivati a questo sconfortante risultato. Nel 2005 Stefano Gatti lancia un appello: l’edificio di San Maurizio, pregevole testimonianza della nostra memoria storica, sta per scomparire. Lasciato in quelle condizioni rischia di crollare da un momento all’altro. Si costituisce dunque un comitato di persone interessate al suo salvataggio, più un team di studiosi con il compito di verificarne la valenza storica. Il comitato riesce a coinvolgere la famiglia Minini, proprietaria dell’area, l’amministrazione comunale di allora e la Cassa Rurale, per un sostegno anche economico. Il gruppo di studiosi intanto comincia la ricerca storica. Partecipa a questa prima fase del progetto di salvataggio anche la ditta Ferri Nardi di Castel Rozzone, con un importante intervento di ripristino del manufatto originario, andando a demolire le sovrastrutture, costruite fra l’’800 e il ‘900, che avevano inglobato la chiesa e che rischiavano di farla crollare. Nel frattempo il proprietario dell’area si dice pronto a stipulare un accordo con l’amministrazione comunale per la cessione del terreno. Una volta divenuta l’area di proprietà pubblica, si sarebbe potuto pro-
cedere alla realizzazione di un progetto, che prevedeva, in una sua prima ipotesi, la creazione di un parco tematico intorno alla chiesetta, che collegasse con il centro di Treviglio e magari con l’area del Roccolo, sfruttando la pista ciclabile e valorizzando tutta l’area. Un progetto ancora in fieri, tutto da studiare e verificare, rimasto sulla carta se non addirittura nel cuore e nella mente di chi ci aveva creduto. Perché nel frattempo, mentre gli studi proseguivano ed andavano sempre più confermando l’importanza storica del luogo, il patriarca dei Minini muore e gli eredi non sembrano interessati a continuare un dialogo con il Comitato. Tutto si ferma. «Con la morte di Luigi Minini viene meno una serie di relazioni e conoscenze che avevano messo in moto il salvataggio della chiesa – prosegue Oggionni – nel frattempo cambia anche l’amministrazione comunale (che però si è sempre detta pronta a collaborare); e arriva pure la crisi economica, che mette in discussione alcune premesse a proposito del finanziamento… Insomma si crea uno stallo che ancora oggi non siamo riusciti a sbloccare». Si concludono anche le ricerche storiche, confluite in un libro “San Maurizio in porto”, pubblicato dalla Cassa Rurale; un libro probabilmente rimasto un po’ in sordina, quando invece una divulgazione più massiccia avrebbe reso noto a un numero più vasto di persone l’importanza storica del manufatto e la rilevanza archeologica dell’intera area, confermata in anni più recenti anche dagli scavi per la Bre.Be.Mi. Pare di capire, insomma, che la prospettiva non sia delle migliori, e occorrerebbe un rinnovato entusiasmo di tutti, amministratori e cittadini, per il recupero dell’ultima testimonianza di quel borgo originario che fu Trevillium. A meno che non decidiamo che in realtà non ce ne importi poi tanto; e allora basta togliere il punto di domanda al titolo del nostro articolo.
Testimone del passato di Barbara Oggionni
L’
importanza storica dell’ex chiesa di San Maurizio è stata messa in luce grazie alle indagini sia archivistiche che dirette in loco nel corso degli ultimi 10 anni: tale importanza è testimoniata, oltre che dal manufatto in sé, chiaramente riconoscibile nella funzione originaria di luogo di culto, anche dalle notizie bibliografiche, documentarie e archeologiche rinvenute. Il primo scrittore di storia trevigliese, Emanuele Lodi, ci trasmette informazioni precise riguardanti la data di erezione dell’edificio, che fa risalire all’anno 725, attribuendone la costruzione agli abitanti dell’antica villa romana denominata Portoli. La notizia del Lodi assume un particolare significato se collegata al rinvenimento di numerosi reperti archeologici in località San Maurizio, così come riportato nelle schede tecniche redatte dalla Sovrintendenza Archeologica della Lombardia, aggiornate a seguito dei recenti scavi effettuati per la realizzazione delle grandi opere nella zona sud del territorio trevigliese; alcuni dei reperti descritti nelle schede sono conservati presso il Museo Archeologico di Treviglio, dove si trovano altre testimonianze riferibili alla presenza romana o preromana nei territori circostanti il Centro Storico della città. I rinvenimenti, uniti alla permanenza della traccia della Centuriazione Romana, confermano l’antropizzazione dei luoghi già in epoca pre-romana, e quindi romana, non smentendo così l’ipotesi del Lodi, secondo cui furono i discendenti degli abitanti di una delle antiche ville romane, nel frattempo riunitisi intorno al CastrumVetus, nucleo fortificato posto nel Centro Storico di Treviglio, ad edificare la chiesa di San Maurizio nei pressi dell’insediamento denominato “Portoli”. Allo stato attuale degli studi non è possibile sapere se la data 725 sia effettivamente corrispondente alla fondazio-
ne della chiesa, che appare comunque citata in documenti del secolo XII, come riportato nello studio di Federico Gallo nel volume San Maurizio in Portoli. Da un punto di vista della consistenza architettonica è possibile avere un’idea di come si presentasse l’edificio nei secoli XVI e XVII grazie alle relazioni delle visite pastorali, nelle quali spesso si lamenta che le chiese campestri di Treviglio (e quindi anche San Maurizio) vengono utilizzate sia come ricovero di animali che come rifugio per “ladri e assassini”. Di particolare interesse la relazione della visita del cardinale Federico Borromeo, che ci informa che nel 1605 la chiesa ha un unico altare, spoglio e disadorno, che l’edificio misura 28 cubiti di lunghezza e 12 di larghezza, che il pavimento è di ghiaia e cemento e che il tetto minaccia di cadere. Lo stato di degrado della chiesa nel secolo XVII viene confermato anche da Emanuele Lodi, che lo definisce “maltrattato”. Anche se non è stata rinvenuta documentazione specifica, l’attuale struttura dell’edificio unita ai dettagli architettonici permetterebbe di ipotizzare un rifacimento intervenuto tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII. Per quanto attiene il secolo XVIII abbiamo la documentazione del Catasto Teresiano, importantissima perché nelle tavole l’edificio risulta ancora adibito a luogo di culto: la chiesa è rappresentata con la croce, simbolo cultuale, ed è censita in coerenza con il numero 2288, di proprietà del Signor Luchini Ambrogio fu Martino. Nel Catasto Lombardo Veneto, levato nel 1864, l’edificio è descritto come “casa colonica” ed appare incorporata al n.1278 passato in proprietà di Cameroni Carlo, fu Giovanni Battista. La trasformazione da chiesa a casa colonica avviene dunque tra il 1726 ed il 1864:
documenti citati da Santagiuliana-Perego riportano il 1772 come data in cui le chiese sono state vendute dal Comune di Treviglio; la data non contrasta con l’indagine storica catastale effettuata presso l’Archivio di Stato di Bergamo, pertanto si può dedurre che la chiesa venne venduta e quindi sconsacrata alla fine del secolo XVIII, mentre le strutture aggiunte siano state realizzate nel corso della prima metà del secolo XIX. Attualmente l’edificio, che è stato liberato dalle strutture esterne rurali aggiunte nel corso dell’’800, si presenta con le caratteristiche architettoniche tipiche del luogo di culto. In corrispondenza della facciata sono riconoscibili i segni di alcune aperture; il portale principale era sormontato da un’ampia finestra circondata da elementi decorativi tipicamente settecenteschi, di cui è ben visibile la traccia sinopiale. Le tracce di affresco in facciata indicano che nel XVIII secolo la chiesa era ancora frequentata ed oggetto di rifacimenti ed abbellimenti. Un più approfondito esame delle tracce sinopiali potrebbe permettere anche un’attribuzione dei dipinti, che ad una sommaria visione appaiono di mano galliaresca.
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L’ex Tribunale: quale sarà la sua funzione? di Ivan Scelsa
Il palazzo di piazza Insurrezione dovrebbe essere adibito a sede del Comando di Polizia Locale. Un progetto di riqualificazione che darà spazio anche ad attività commerciali
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iazza Insurrezione: uno degli snodi strategici per l’accesso al centro storico della città e per anni importante biglietto da visita per Treviglio, grazie alla presenza della sezione distaccata del Tribunale di Bergamo (inattivo ormai da settembre 2013) tanto quanto dell’adiacente, storico Caffè Rimembranza, anch’esso ormai chiuso. La riqualificazione ed il recupero funzionale dell’edificio parte proprio da qui: dall’idea di ridare vita ed importanza allo storico edificio, sfruttandone gli spazi e l’ubicazione, confermandone l’importanza istituzionale mediante un piano derivante dalla necessità di dotare il Comando di Polizia Locale di nuovi, più ampi ed adeguati uffici rispondenti alle molteplici necessità del Corpo, attualmente dislocato in via Cesare Battisti. Gli interventi consistono nella sostituzione delle finiture edili esterne ed interne, nel rifacimento dell’impianto elettrico e di riscaldamento, nell’inserimento di un nuovo impianto di raffrescamento, nel rinforzo strutturale, nella collocazione di un ascensore e nella coibentazione dell’involucro esterno. Così ammodernato, l’edificio dovrebbe ospitare al piano terra due esercizi commerciali con ingressi indipendenti e, nei piani superiori, gli uffici della Polizia Locale o eventuali altri servizi pubblici. Dalla pubblicazione del bando di gara del mese di luglio 2015 all’affidamento
del contratto avvenuto il seguente mese di novembre, si è giunti – a seguito di adeguamento del progetto definitivo ad integrazione richieste da A.C. e Soprintendenza dello scorso aprile – alla sottoscrizione del contratto di maggio e al conseguente inizio lavori dopo un mese, proprio in concomitanza con l’inizio del periodo estivo. Attualmente lo stato dei lavori rispetta i tempi previsti e porterà, presumibilmente, alla conclusione degli stessi per la prossima primavera con un costo di opere preventivato in 1.312.960 euro. Facendo un balzo indietro nella storia, ricordiamo le origini del palazzo che sorge sulle ceneri della Chiesa di San Francesco, che venne edificata in memoria della visita che il Santo fece a Treviglio nel 1215 e poi consacrata nel 1417. L’edificio era composto da un’unica aula della lunghezza di circa dieci metri e, nel tempo, venne abitato sia da San Bernardino da Siena che da San Giovanni da Capestrano. Dopo un periodo di abbandono conseguente ad una serie di restauri, nel 1820 venne sconsacrato e divenne dapprima a caserma austriaca, poi la sede del Comando dei Carabinieri e quindi una Scuola Tecnica, assumendo una collocazione istituzionale che oggi non conserva più alcuna traccia di culto. Divenuto sede della Pretura – poi sezione distaccata del Tribunale di Bergamo a seguito della riorganizzazione del settore giustizia – presto potrebbe diventare la nuova sede del Comando di
Il palazzo durante le fasi di dismissione da sezione distaccata del Tribunale nel 2013 ed oggi, durante i lavori di riqualificazione
Polizia Locale della Città, riassumendo un ruolo primario non solo per l’immagine della piazza e dello stabile stesso, quanto per l’importante funzione a cui sarà votato. A tal proposito va sottolineato come fosse ormai necessario ricollocare gli uffici dell’organo di polizia che, nel tempo, ha visto l’ampliamento delle competenze per il mutamento stesso della funzione del “vigile urbano” che, con il passare degli anni, ha assunto sempre più la figura dell’agente di polizia con compiti e dotazioni più qualificate. La giunta comunale ha appena revocato il contratto d’affitto con la scuola “Carlo Carcano” per la struttura che attualmente ospita il Comando in viale Cesare Battisti. Se venisse confermata l’assegnazione, bisognerà quindi tener conto della necessità di poter disporre per il pronto impiego degli automezzi in dotazione al Reparto, tanto quanto, magari, del cane antidroga recentemente introdotto in ausilio all’attività degli uomini quotidianamente impegnati nella vigilanza del territorio, così come al controllo alla circolazione stradale. «La riqualificazione degli immobili comunali – precisa a proposito il Sindaco Juri Imeri – è uno dei nostri obiettivi. Sul patrimonio abbiamo avviato con la precedente amministrazione un percorso molto concreto, e stiamo continuando in questa direzione. Recuperare l’immobile di piazza Insurrezione, riqualificandolo anche energeticamente e adeguandolo alle normative di sicurezza, è un valore aggiunto per la città sotto tanti aspetti: estetico, funzionale, energetico ed economico. Con questo spazio potremo infatti rivedere anche il contratto di affitto che attualmente abbiamo per gli uffici presso la struttura dell’asilo Carcano, e avremo anche maggiori entrate dalla locazione degli spazi commerciali al pian terreno. I lavori procedono bene e senza particolari intoppi, e penso che entro fine 2017 saranno completati. Concretezza e buona amministrazione si confermano anche in questo intervento». Novembre 2016 •
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Infrastrutture
La lunga storia della tangenziale di Cassano di Stefano Dati
Anche la provincia di Milano a quanto pare avrà la sua “Salerno-Reggio Calabria”: 2,6 chilometri di strada da realizzare con cantieri aperti nel 2010, ma senza una data certa di fine lavori
A
nche la provincia di Milano rischia di avere la sua “Salerno Reggio Calabria”: 2,6 chilometri di strada con i cantieri aperti dal 2010 per un’opera stradale che fatica a trovare il traguardo finale. Correvano gli anni Sessanta quando, nella lungimiranza legata alla crescita del territorio cassanese, Andrea Giudici, sindaco di Cassano d’Adda, proponeva una variante alla statale 11 che attraversa il centro città, delineando anche il primo tragitto del manto stradale di quella che doveva diventare la futura tangenziale. Da allora la decisione per realizzare la nuova strada veniva rimandata di anno in anno fino ad arrivare agli anni ’90. Il primo cittadino Sergio Bestetti (Lega Nord, sindaco per due mandati dal 1991 al 2001) era deciso a dare una spinta maggiore per l’inizio dei lavori, ridisegnando inoltre anche il tragitto della tangenziale da realizzarsi. Nessun impatto 2015, l’asfaltatura della strada terminata in zona cascina Pietrasanta
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ambientale nell’idea di Bestetti; il nuovo tracciato della variante ex SS 11 doveva diventare un lungo tunnel che attraversava il centro città fino a giungere ai margini dei corsi fluviali del canale Muzza e del fiume Adda, dove era poi necessario costruire i due ponti per l’attraversamento del traffico. L’idea innovativa non venne però presa in considerazione da Regione Lombardia e Provincia di Milano. Nel 2001 a guidare la città arrivò il sindaco Rosa Casati e nella sua giunta di Centro Sinistra figurava Roberto Maviglia (l’attuale sindaco) come Assessore ai lavori pubblici. Per sbloccare lo stallo sulla tangenziale cassanese, Maviglia mise in atto un piano per il blocco totale del passaggio dei mezzi pesanti sulla via centrale; complice la collaborazione dei sindaci delle città limitrofe, riuscì a paralizzare il passaggio dei tir su tutto il territorio della Martesana. Il caos del traffico e le proteste dei camionisti convinsero l’Ente Pubblico Regionale e Provinciale a prendere in esame il progetto, che prevedeva un nuovo tragitto della variante ex SS 11. Tre i partners che affiancavano la ex Provincia di Milano, Ente appaltante dei lavori per la futura tangenziale cassanese: Regione Lombardia, Provincia di Bergamo e comune di Cassano d’Adda. Nel gennaio del 2010 grande festa per l’apertura dei cantieri in via Rivolta; ad inaugurare l’inizio dei lavori però non fu la giunta di Rosa Casati con Roberto Maviglia Assessore, ma quella del Centro Destra con sindaco Edoardo Sala. Alla presenza del Governatore della Lombardia di allora Roberto Formigoni, del presidente della Provincia di Milano, quello di Bergamo ed il sindaco di Cassano d’Adda
Sopra, da sinistra a destra: Gennaio 2010, apertura del cantiere (al centro Roberto Formigoni, Governatore di Regione Lombardia) 2010, apertura del cantiere: il sindaco Sala con la giunta (al centro i presidenti delle province di Milano e Bergamo: Luigi Penati e Matteo Rossi) Aprile 2014, posizionamento del ponte sul Canale Muzza
Edoardo Sala, i discorsi rivolti ai numerosi cittadini presenti in quella storica giornata parlarono di un’opera stradale necessaria, da realizzarsi in tempi brevi. Ma gli anni trascorsi ci raccontano un’altra realtà dei fatti. I lavori dovevano terminare 22 mesi dopo l’apertura dei cantieri del 2010. Le difficoltà non tardarono però ad arrivare, mettendo in discussione tutto quanto era stato detto. La ditta appaltatrice dei lavori, la Socostramo di Roma, dovette fare i conti con problematiche inaspettate sin da subito. Per i lavori da effettuare sul fiume Adda mancavano infatti il parere dell’Aipo e quello del Parco Adda Nord per il disboscamento; ma soprattutto si dovette attendere tre anni per la consegna delle aree su cui lavorare. Non andava meglio nemmeno sulle aree già consegnate: sul tracciato della tangenziale da realizzare lontano dai corsi fluviali, le ruspe, una volta giunte a Cascina Pietrasanta, furono costrette a fermarsi, per essersi imbattute lungo il tragitto in una discarica comunale, cimitero di rifiuti da verificare e quindi da bonificare. Una discarica nota a tutti, evidenziata da un cartello, ma a quanto pare nessuno in Comune aveva provveduto a segnalarla per evitarne il coinvolgimento nel progetto stradale. Una “svista” che costò il fermo cantiere per molti mesi ed un costo aggiuntivo di circa un milione di euro per la bonifica. Considerate le problematiche legate ai lavori da portare a termine, nel 2013 la Socostramo annunciò all’Ente appaltante la volontà di rescindere il contratto per inadempienze, da attribuire a Città Metropolitana. Si corse immediatamente ai ripari per evitare una simile decisione, dall’Ente pubblico vennero quindi riconosciuti 2.500.000 euro di penale per la mancata consegna delle aree; ed inoltre, per liberare la zona d’intervento, alla stazione ferroviaria, con una modifica al progetto, venne deciso di stralciare dal tragitto la struttura del vecchio bar della stazione, causa dei ritardi
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nella consegna di quel terreno da adibire a cantiere di lavoro. Tutto sembrava fosse ritornato alla normalità, i lavori ricominciarono a pieno ritmo; vennero posizionati i ponti per l’attraversamento del canale Muzza e del Fiume Adda e si poteva procedere anche nella zona sud, vale a dire nell’area dove era stata effettuata la bonifica. Tutto regolare dunque, nessun ostacolo sembrava potesse più fermare la marcia verso la conclusione finale della tanto sospirata tangenziale cassanese. Il magico momento si arenò però nei primi mesi del 2015; non è dato sapere il perché ma ancora una volta tutto si bloccò. A quel punto fu Città Metropolitana a mettere sul tavolo una possibile rescissione contrattuale per inadempienze della ditta appaltatrice; azione che nell’estate del 2015 ebbe l’effetto sperato e dalla Socostramo arrivò un primo cronoprogramma, con il quale si annunciava la ripresa dei lavori, con possibile conclusione nel giugno del 2016. Programma non rispettato e lavori fermi dai primi mesi del 2016. Ultimi atti: interviene il sindaco di Cassano d’Adda, chiedendo a Città Metropolitana di interrompere le trattative con la ditta romana e rescindere immediatamente il contratto. L’Ente pubblico però cerca di gettare acqua sul fuoco, concedendo ancora fiducia alla Socostramo, che annuncia a sua volta un secondo cronoprogramma e poi ancora un terzo, mantenendo il cantiere aperto ma con i lavori fermi. E qui si ferma, per ora, questa storia infinita, che mette in discussione la reale volontà di portare a termine il progetto dell’opera stradale. L’attuale abbandono nella zona del fiume
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Economia
Riusciremo a liberarci del debito pubblico? di Cristina Signorelli
Carlo Cottarelli, ex Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, presenta il suo nuovo libro che tratta dell’enorme debito pubblico italiano
S
iamo schiavi del debito pubblico? Come fare per liberarsi di un tale macigno? Carlo Cottarelli, in occasione della presentazione del suo libro “Il macigno”, appunto, edito da Feltrinelli, ha fornito risposte chiare ed esaurienti a un numeroso pubblico intervenuto presso l’Auditorium del Centro Civico a Treviglio. L’incontro è stato organizzato dall’associazione culturale Malala, il cui presidente, Elio Massimino, insieme all’editorialista dell’Eco di Bergamo, Franco Cattaneo, hanno rivolto una serie di domande attinenti alla sfera economica italiana ed internazionale all’illustre ospite. Carlo Cottarelli è un brillante economista che, dopo aver ricoperto prestigiosi incarichi presso il Fondo Monetario Internazionale, ha ottenuto grande popolarità in Italia quando è stato nominato dal governo Letta Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, la famosa spending review di cui tanto si sentiva parlare negli scorsi anni, e della quale i cittadini hanno avvertito, ad oggi, ben pochi benefici. Al cambio di guida del governo – da Enrico Letta a Matteo Renzi – è corrisposta in breve tempo anche la sostituzione del Commissario (episodio circa il quale
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egli stesso smorza ogni qualunque polemica), dandogli l’opportunità di tornare a Washington D.C. dove ha sede il FMI, presso il quale ricopre attualmente il ruolo di Direttore esecutivo. «Ho deciso di scrivere questo libro – dice – con l’obiettivo di fornire uno strumento chiaro e super partes per comprendere i pericoli che sono insiti nell’enorme debito pubblico italiano. In Italia non esiste un organismo indipendente, quale per esempio il Congressional budget office negli Stati Uniti, che fornisce un parere neutrale sugli effetti reali che producono le scelte in tema di politica economica e fiscale, ciò fa spesso emergere nel confronto pubblico più la natura politica delle scelte, che non il reale impatto sull’economia». Chiariamo che il debito pubblico si forma nel momento in cui lo Stato emette titoli per coprire il fabbisogno generato dalla spesa corrente, nonché dalla somma dei passati deficit di bilancio. Le obbligazioni emesse vengono acquistate da grandi investitori pubblici e privati e dai cittadini, i quali in tal modo finanziano il debito pubblico. L’attuale debito italiano – oltre 2.300 miliardi di euro – è quello più alto registrato in tutta la storia d’Italia, dalla unificazione ad oggi, e purtroppo si classifica
Da sinistra: Franco Cattaneo, Carlo Cottarelli, Elio Massimino
anche tra i più elevati nel mondo. Ciò evidentemente comporta un elevato grado di incertezza per la tenuta dello Stato: tutti ricordiamo i momenti di grave tensione sui mercati azionari nel 2011 e il conseguente rischio di default che abbiamo corso. «Non pensiamo troppo a questo rischio al momento – sottolinea Cottarelli – perché navighiamo in acque tranquille: i tassi di interesse sono bassi e i mercati sono anestetizzati dall’iniezione di liquidità da parte della Banca Centrale Europea. Non durerà per sempre». Infatti, lo scadere del mandato fra tre anni di Mario Draghi, attuale governatore della BCE, e il mutare dell’umore dei mercati finanziari, sono due tra le tante variabili che po-
ph Tinnirello
trebbero agitare lo scenario internazionale e conseguentemente mettere a rischio la tenuta del nostro sistema economico, con un inevitabile aumento delle tasse e taglio della spesa pubblica. Il fardello del debito frena anche la crescita economica della nazione, poiché drena risorse sia private che pubbliche che altrimenti potrebbero essere investite in settori produttivi. In questo momento storico in cui i populismi si rafforzano e chiedono che vengano adottate le soluzioni più semplici e comode, alcuni movimenti e gruppi politici invocano l’uscita dall’euro o la bancarotta per liberarci, definitivamente e pagando un basso costo, del debito pubblico. «Considero entrambe – specifica Cottarelli – scorciatoie che non risolverebbero assolutamente il problema, anzi. Adottare soluzioni di questo tipo minerebbe pesantemente la nostra credibilità all’estero; inoltre si pone una questione anche di carattere morale nel far crescere a dismisura un debito e poi non onorarlo. Non è sufficiente annullare il debito pubblico o abbandonare l’euro per recuperare il terreno perduto». In Italia la crescita si è arrestata nei primi anni 2000, quando è stato introdotto l’euro, ma ciò non significa che l’adozione della nuova moneta sia stata artefice del rallentamento. I problemi che hanno generato il fenomeno sono da ricercarsi nel sistema economico italiano e nella bassa produttività di alcuni settori. Certo, l’entrata nell’euro ha vincolato tutti i Paesi ad un confronto paritetico, eliminando la possibilità di svalutare la moneta per recuperare in competitività, della quale oggi scontiamo un differenziale importante rispetto al resto d’Europa. Che cosa fare allora? L’economista avanza una proposta molto ragionevole e facilmente perseguibile: adottare un moderato grado di austerità. Come argomenta in modo molto convincente nel suo libro, si tratta di congelare la spesa stata-
le, al netto degli interessi e dell’inflazione, per qualche anno, in ipotesi 3 o 4. In questo periodo si potrebbe raggiungere il pareggio di bilancio, mantenendo la spesa costante in termini reali, riducendo quindi al minimo l’impatto sociale dei tagli dei servizi forniti ai cittadini e senza penalizzare la crescita potenziale dell’economia. “Quello che serve è avviare un circolo virtuoso – Cottarelli conclude nel suo libro – in cui la riduzione del debito, e la
fiducia che ne deriva, faciliti la crescita, quest’ultima aumenti le entrate dello Stato, accelerando il processo di riduzione del debito stesso, anche attraverso il minore pagamento di interessi”. Insomma ridurre il debito pubblico è possibile, speriamo che questi suggerimenti vengano messi in opera, ce ne sarebbero grati in primis i nostri figli che oggi nascono con quasi 40.000 euro di debito a testa.
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Da fare
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NEGOZIO ENERCOM NEGOZIO ENERCOM Via Verga 11/A - Treviglio
Economia
La completa liberalizzazione dell’energia di Cristina Signorelli
Dal 2017, scomparirà la maggior tutela e il mercato dell’energia sarà definitivamente libero. Enercom, azienda leader, che aprirà a breve a Treviglio, ci aiuta a capire cosa cambierà per i consumatori
L
a liberalizzazione del mercato dell’energia in Italia, avviata per adeguarsi alle direttive comunitarie, ha portato a una piccola grande rivoluzione del settore. Nel 1999 il decreto Bersani (n. 79/1999) ha stabilito che sono completamente libere le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita dell’energia elettrica, mentre le attività di trasmissione e dispacciamento sono riservate allo Stato. Il processo di liberalizzazione si è completato nel 2007, quando anche i clienti domestici hanno potuto esercitare il diritto di scelta del fornitore. Per quanto concerne il gas, nel 2000 il decreto Letta (n.164/2000) ha definito che sono completamente libere le attività di importazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita del gas naturale. Trascorsa una prima fase, in cui l’accesso al libero mercato era subordinato al superamento di una soglia minima di consumo, dal 2003 tutti i clienti finali sono in grado di acquistare il gas naturale da qualunque fornitore operante in Italia e all’estero. I benefici dati dall’apertura del mercato per il consumatore finale si traducono immediatamente in maggiore qualità ed efficienza del servizio e contenimento dei prezzi. A livello di sistema si determina una maggiore integrazione delle reti energeti-
che, maggiore sicurezza degli approvvigionamenti, maggior sviluppo tecnologico e più attenta tutela dell’ambiente. Enercom è uno dei protagonisti dell’evoluzione del settore. Società concessionaria, che nasce a Crema nel 1950 con la posa dei primi tubi per il gas metano, negli anni estende la sua rete di distribuzione e vendita in oltre 90 comuni del Nord Italia, in Piemonte, Veneto e Lombardia. «Il 2002 rappresenta una data importante per la nostra azienda – ci spiega Roberto Bianchessi, Direttore sviluppo e marketing – infatti, la separazione tra le attività di distribuzione e vendita, come previsto dal decreto Letta, hanno portato alla creazione dell’attuale Enercom srl, che raccoglie l’esperienza di oltre 60 di attività maturata nel settore da società concessionarie che si sono unite per affrontare meglio le nuove sfide del mercato libero, mantenendo forte il radicamento con il territorio». Infatti una delle caratteristiche più apprezzate dall’utente finale è la presenza fisica sul territorio, con negozi e uffici presso i quali recarsi per avere un rapporto diretto con il venditore. «Proprio nell’ottica di estendere la nostra presenza sui territori mantenendo forte il legame con il consumatore finale stiamo aprendo un nuovo punto vendita a Treviglio, in via Verga, dove i nostri clienti potranno recarsi personalmente. La recen-
te riorganizzazione aziendale è finalizzata a supportare la futura crescita che ci vedrà sempre più estesi sul territorio, oggi contiamo la copertura di oltre 245 comuni in Italia, e competitivi sui servizi. Infatti, storicamente il core business di Enercom è l’attività di vendita del gas, ma dal 2007 siamo presenti anche sul mercato dell’energia elettrica». Il processo di liberalizzazione del mercato dell’energia, avviatosi oltre 15 anni fa, ad oggi non è ancora compiuto. Infatti attualmente vige un Servizio di maggior tutela, che consiste in un regime tariffario stabilito dall’Autorità per l’Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI), ciò significa che il prezzo di gas e luce è controllato dall’Autorità per l’Energia. A causa di questa anomalia del libero mercato, ancora oggi la maggior parte dei cittadini italiani ha un contratto di fornitura di gas e luce in regime di maggior tutela. «Nel 2018 cesserà definitivamente il sistema di tutela – aggiunge Bianchessi – ed ogni consumatore dovrà compiere una scelta tra gli operatori presenti sul mercato libero. Abbiamo dotato la nostra azienda di tutti quei requisiti indispensabili a operare bene su di un mercato di beni primari, qual è oggi l’energia. Coniughiamo i valori di correttezza e trasparenza con la solida presenza sul territorio, un servizio sempre efficiente e puntuale e tariffe giustamente competitive». Il passaggio dai prezzi amministrati dell’energia al libero mercato riguarderà un pubblico molto vasto di utenti, che dovranno scegliere il nuovo fornitore. L’AEEGSI ha annunciato l’avvio del progetto Tutela Simile che sarà adottato per tutto il 2017. Si tratta di un vero e proprio contratto, in regime simile al mercato libero, della durata annuale dedicato alle famiglie e alle piccole imprese, per accompagnarle in modo guidato alle nuove caratteristiche del mercato libero previste per il 2018. «Ritengo – conclude Bianchessi – la tutela simile uno strumento efficace per i clienti che possono avvicinarsi al nuovo mercato in totale tranquillità. Enercom garantisce, per dimensioni e legame con il territorio, la soluzione giusta per quanti dovranno scegliere il nuovo fornitore di energia». Novembre 2016 •
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ph Cesni
Personaggi
Fausto e la CFL: una passione lunga una vita di Lucia Profumo
Un ritratto di Fausto Ferrari all’indomani della sua scomparsa
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o scorso 6 ottobre Treviglio ha dato l’ultimo saluto a Fausto Ferrari, figura storica della cooperazione bergamasca, fra i fondatori della Cooperativa Famiglie Lavoratori e per molti anni colonna della cooperativa stessa, sua anima e guida. Per una singolare coincidenza qualche giorno prima era scomparso a 97 anni anche Bernardo Caprotti, fondatore della catena di supermercati Esselunga. In apparenza due storie diversissime, due persone agli antipodi per idee ed estrazione sociale, tuttavia curiosamente legate dall’amore viscerale per la propria creatura: un piccolo punto vendita a Treviglio per Fausto e una super catena di supermercati per il dottor Caprotti. La storia di quest’ultimo è la storia del genio, delle capacità e dell’intuizione di un uomo, che sarà in sella da solo fino alla fine. Per Fausto invece, era inconcepibile
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un progetto che non fosse anche un cammino condiviso con gli altri. Fausto Ferrari era più giovane di Caprotti, e la sua avventura ha inizio negli anni ’70; insieme ad altre famiglie trevigliesi aderisce ad una cooperativa per la costruzione della sua casa. E proprio lavorando al giardino del condominio di Via Papa Giovanni in Zona Nord nasce l’idea di fondare una cooperativa di consumo. Ed ecco l’intuizione: attraverso la cooperazione si possono approvvigionare beni di prima necessità a prezzi convenienti, ma contemporaneamente promuovere il miglioramento della società, perché l’atto di acquisto ha una valenza politica e, se direzionato in modo critico, può portare alla crescita civile, sociale ed economica di una comunità. Siamo di fronte alla nascita inconsapevole di quello che oggi chiameremmo un GAS: un gruppo di acquisto solidale. Con l’adesione di numerose famiglie a Treviglio e nei paesi vicini il gruppo cresce velocemente, basandosi all’inizio esclusivamente sull’apporto volontario degli aderenti. Le famiglie scelgono insieme i beni da acquistare, selezionano i fornitori sulla base di criteri etici condivisi, provvedono all’ordine e alla distribuzione dei prodotti. Negli anni il
Qui sopra Fausto Ferrari alla consegna del San Martino d’oro 2016, sotto durante una diretta di Radio Popolare
gruppo informale diventa prima un emporio ospitato nei locali dell’ex Distretto militare (ora sede dei Servizi Sociali), con l’introduzione della possibilità di acquisto anche direttamente in negozio e non solamente su ordine periodico; si struttura in società cooperativa nel ’72 e nel 1998 si trasferisce in Viale Piave, dove si completa la transizione da gruppo di acquisto a cooperativa di consumo, ma senza mai tradire i valori iniziali. Di questa esperienza straordinaria, che prosegue ancora oggi, Fausto è stato ispiratore, testimone, simbolo e lavoratore instancabile. Ma mai solo per sé, perché, come ripeteva sempre, la ragion d’essere e il vero patrimonio della CFL sono i soci. L’ho conosciuto appena trasferita a Treviglio; aveva un’aria mite che poteva facilmente ingannare lo sprovveduto: dietro l’aspetto pacifico infatti c’era una capacità infallibile di adocchiare l’aspirante (a sua insaputa) volontario, e di incastrarlo con un compito, un servizio, una necessità. È toccato anche a me, ed è stato amore a prima vista per lui e per la CFL. Gli anni trascorsi al suo fianco sono stati un’occasione unica per esplorare i valori della cooperazione e l’unicità dell’esperienza trevigliese. CFL è stato il primo punto vendita in Italia a distribuire ai suoi soci libri, scolastici e non, scontati; ha educato la comunità al consumo di prodotti a basso impatto ambientale, a partire dal biologico, ha organizzato per i soci – e lo fa ancora – corsi e momenti di informazione e confronto, pubblica tuttora gratuitamente lo storico giornale “Gente che coopera”, una lettera sulla vita in cooperativa e non solo. Qui ho capito cosa significa essere socio: la tessera di chi coopera non è segno dell’appartenenza ideologica come quella dei partiti, né il mero strumento di servizio che ci propina la Grande Distribuzione tradizionale per farci consumare. Avere lo status di socio significa possedere una quota di un progetto la cui riuscita dipende anche dal nostro impegno. È segno di
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un diritto a partecipare e decidere, cui corrisponde una responsabilità. La cooperazione risignifica i termini dell’economia classica: il commercio non è solo scambio di merci, ma il luogo di incontro di soggetti diversi. È uno spazio di relazione e resistenza contro l’individualismo imperante. Anche il concetto di profitto è innovativo: non la semplice differenza fra costi e ricavi, ma un’utilità che può essere condivisa con altri e differita nel tempo e nello spazio a tutela di soggetti terzi e generazioni future. Fausto è stato per buona parte della sua vita al servizio di questo progetto, da perseguirsi innanzitutto attraverso il rapporto personale con il socio. Per lui la comunicazione non poteva prescindere dalla relazione e dal contatto umano. Era un gran lavoratore, ma mai con fretta; amava prendere gli appunti a mano e poi passare ore a ruminare i suoi scritti. Le ore trascorse a riscrivere i verbali di riunioni o assemblee con Maria, moglie, amica e compagna di una vita, erano per lui il piacere più grande. Era molto duro sui principi, ma riconosceva a chiunque il diritto di avere un’idea diversa, di esprimerla e di farla pesare nella decisione finale. Ricuciva sempre un contrasto e non serbava rancore; lo scopo ultimo dello stare insieme doveva prevalere sugli interessi e i limiti di ciascuno. Credeva nei giovani, e nella necessità di indirizzarli ad obiettivi e valori alti. Viveva una fede profonda, che non aveva bisogno di ostentare; era un uomo di visione ed era convinto della possibilità di realizzare il cambiamento a partire da sé stessi. Ha combattuto una battaglia senza quartiere con la malattia; non si è opposto al suo destino ma non si è arreso, dando prova, se ce ne fosse bisogno, che ci sono dignità e senso anche nella sofferenza. Proprio per questo mi piace pensare che, da qualche parte, in questo momento Fausto stia convincendo il dottor Caprotti a cambiare quella riga del suo testamento in cui si dice che Esselunga non dovrà mai trasformarsi in una cooperativa, facendolo diventare un convinto sostenitore del principio “una testa un voto”.
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Le Aziende informano
Una lunga storia di bontà: la Latteria Sociale di Calvenzano
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a Latteria Sociale di Calvenzano è una realtà associativa che tutti conoscono soprattutto per le bontà che propone, ma ha anche una lunga storia alle spalle. Fondata nel 1922, è a tutt’oggi una testimonianza importante della tradizione cooperativistica della comunità di Calvenzano. Qui il concetto di “chilometro zero” non è mai stato una semplice parola di moda, ma l’essenza stessa della cooperativa e la filosofia che l’ha spinta in tutti questi anni a crederci e a crescere. Dal mais per l’alimentazione dei bovini, agli animali stessi, fino al prodotto finale, insaccati e formaggi, tutti i prodotti della Latteria Sociale sono rigorosamente fatti in loco. Il latte, conferito dai soci, si trasforma in formaggi tipici della tradizione bergamasca e lombarda che ben conosciamo: il quartirolo, per esempio, e il tanto amato taleggio, prodotti DOP della nostra terra; ma anche le formaggelle come la saporita, l’italico, la caciotta, la
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torta orobica, lo strechì-vert. Invece, nell’ampio e accogliente spaccio, attivo dal 1966, e rinnovato recentemente, è possibile trovare anche prodotti come mozzarelle, filoni per pizza, scamorza, yogurt sia naturale che alla frutta, quest’ultima proveniente da un’azienda agricola locale; ma anche altre tipologie come vino, olio, confetture, tutte rigorosamente selezionate. Questo perché la Latteria fa parte del progetto “Qui da noi”, iniziativa di Confcooperative che mette in rete gli spacci agricoli cooperativi a livello nazionale, favorendo così l’interscambio dei prodotti. Grazie a questa rete è dunque possibile proporre anche altri prodotti non del territorio ma senza dubbio interessanti, come il prosciutto di Parma, le confetture, le mostarde, o la pasta di Gragnano della cooperativa “Pastai Gragnanesi”, che ancora lavora nel centro del paese, nella fabbrica storica dove tutto è cominciato. E poi ancora olio extravergine della coopera-
tiva San Zeferino di Ortona; i vini, specie delle cooperative bergamasche, ma non solo; e i prodotti della cooperativa agricola di Calvenzano, con i meloni in primis e i prodotti derivati (ad esempio il ricercatissimo liquore di Melone). Insomma, prodotti che hanno una storia da raccontare, quella dei luoghi nei quali sono nati. Non mancano le carni, suine e bovine. La macellazione e la preparazione delle carni suine, provenienti da un’azienda associata con sede a Vailate (Cr), avviene ogni settimana. Dallo spaccio escono a ritmo sostenuto salami, salamini da griglia, salametto nostrano, una salsiccia particolare “condita” con il Grana Padano, molto gustosa, che si presta per i migliori ragù e ripieni, ma gustabile anche a crudo; e ancora vari tipi di insaccati come cotechini e zamponi, più una apprezzabile produzione di bresaola, pancetta, coppa e culatello. Tutte queste leccornie, belle anche da vedere, si prestano ad essere confezionate in bellissimi cesti che la Latteria prepara soprattutto in occasione del Natale, per un regalo davvero goloso e sicuramente gradito. Già da questo mese è possibile trovare i cesti natalizi, oppure prenotarli con anticipo per le Festività, assicurandosi così il meglio della produzione. Lo spaccio è aperto tutti i giorni feriali dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 15,30 alle 19.00 e si trova in Largo XXV Aprile 6 a Calvenzano.
MatitaLibera di Bruno Manenti
Ciao Pino...
Avevamo decisodopo di rendergli omaggio in occasione della meritata pensione, tanti anni di lavoro nella sua bottega, all’insegna della cordialita’ e professionalita’. La notizia della sua scomparsa ci ha colti di sorpresa, e questo e’ il nostro modo per ringraziarlo e salutarlo . Novembre 2016 •
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Iniziative
Antico in via di Daniela Regonesi
Evoluzione e successi del mercatino dell’antiquariato a Treviglio, un appuntamento con la qualità
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i sono strade che raccontano una storia, profumano di passato e di un tempo che non c’è più, ma rivive nelle passioni dei collezionisti, nella pazienza dei restauratori e nella perseveranza di chi sa cercare. Da vent’anni la terza domenica del mese (ad esclusione di agosto) vede il centro storico di Treviglio fare da cornice alla mostra-mercato di oggetti antichi, esposti in alcune vie della città. Pierluigi Giuliani e Nadia Invernizzi – rispettivamente responsabile e operatore del SUAP, Sportello Unico delle Attività Produttive – ci aiutano a ripercorrere l’evoluzione della manifestazione: «Antico in Via – ricorda Giuliani – nasce con delibera del Consiglio Comunale il 10/06/1996. Viene proposto non solo per assecondare la moda del momento, ma con l’obiettivo di rivitalizzare il centro storico e stabilirvi un mercato dell’antico, concorrenziale e alla stessa altezza di realtà forti, come ad esempio Castelleone. Vengono individuate alcune aree: via Verga, via Sangalli, via San Martino e via Cavour, in modo da formare un anello e attrarre e far vivere zone meno frequentate del centro storico». Prosegue Invernizzi: «Il comune era il soggetto organizzatore, si occupava della gestione delle richieste e dell’assegnazione dei posteggi. È stata un’esperienza formativa e utile, nonostante la sveglia all’alba e i controlli che cominciavano alle 6.30: comportava non solo la conoscenza di pratiche amministrative, ma anche la messa in campo di competenze organizzative. Ad esempio, alcuni problemi logistici da affrontare,
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soprattutto nelle vie strette, erano il garantire visibilità delle vetrine e accesso ai passi carrai, e il mantenimento di un corridoio di emergenza di circa 3 metri (per ragioni di sicurezza). Comunque il mercatino è il primo solco di un’evoluzione per la città, in cui è cresciuta l’offerta di eventi che hanno convinto e soddisfatto i commercianti, perché queste iniziative hanno un ritorno per i negozi, i ristoranti, i bar e le gelaterie, e danno respiro anche in una situazione di sofferenza». Tuttavia, nel corso degli anni, la qualità complessiva delle collezioni è andata calando, soprattutto a causa del fatto che le regole comunali permettevano «poca flessibilità dal punto di vista organizzativo. Un suo limite – spiega Giuliani – era la mancanza di uno strumento per incidere sull’organizzazione, in modo da consentire il ricambio degli espositori, con l’obiettivo di aumentare lo standard qualitativo. Non c’era un controllo della qualità, pertanto, grazie alla sensibilità dell’amministrazione, abbiamo cercato degli operatori esperti a cui affidarci, stipulando una convenzione triennale». Nel 2010 «l’amministrazione, in difficoltà a coordinare la manifestazione – conferma Gualtiero Cattaneo, presidente dell’Associazione Promo Art – ha indetto una gara d’appalto per la gestione del mercatino, che all’epoca aveva circa 50 banchi. Li ha presi in carico l’associazione di cui sono presidente, con l’intenzione di ampliarlo, per farlo diventare il migliore della provincia di Bergamo per qualità e numero di banchi (oggi ne conta quasi 200).
Possiamo dirci molto soddisfatti, perché c’è risposta sia da parte del pubblico che degli espositori: questi ultimi arrivano da Piemonte, Lombardia, Veneto. Ognuno di loro versa una quota associativa annua, che garantisce il posto assegnato; esiste poi una lista di “spuntisti”, cioè associati non fissi a Treviglio, che quando manca un banco vengono contattati per rimpiazzare chi non c’è. Se abbiamo un problema è che nessun espositore si ritira, non riusciamo ad avere posti che si liberano, anzi tanti sono quelli che ci dicono: “se rinuncia qualcuno tienimi presente”. Ad esempio, a novembre 2015 abbiamo aperto le iscrizioni per piazza Garibaldi e via Matteotti, e a gennaio 2016 erano piene entrambe. Viene scelta la qualità». Antico in via ha infatti allargato la zona espositiva, come spiega Giuliani: «I commercianti hanno accolto l’iniziativa con un’iniziale diffidenza, superata quando si è compreso che non porta solo disagi ma anche benefici, tra cui sicuramente un grande afflusso di gente. Tant’è vero che loro stessi ne hanno richiesto l’ampliamento”. Le zone al coperto – viale Oriano e via Matteotti – sono quelle dove sono concentrati i prodotti più delicati e di maggior pregio, ma, nell’organizzazione del mercatino, ogni banco ha la sua importanza, come spiega Cattaneo: «Ci vuole di tutto, merce che costa da 1 a 1000 euro, perché altrimenti si perderebbero delle fette di mercato. Abbiamo limitato l’abbigliamento, l’elettronica, le biciclette e l’usato non antico, e vietato gli oggetti in oro, per non far perdere credito al mercato in sé.
ph Appiani
Piuttosto proponiamo meno banchi ma più qualità, per mantenere uno standard elevato». Sono scelte che si sono rivelate vincenti, tant’è vero che si crea un rapporto di feeling e fiducia tra espositore e cliente: ci si dà appuntamento di mese in mese, scovando piccole e grandi rarità e avanzando richieste di tutti i tipi. Alcuni banchi possono sembrare bizzarri o di poco conto, ma nascondono tesori, soprattutto per i restauratori, come ad esempio chiavi, pomoli o pezzi particolari. Non manca un’area dedicata alla creatività, voluta-
mente riservata dal Comune agli hobbisti e alle loro creazioni manuali in pasta di sale, maglia, uncinetto, riciclo, punto a croce, ecc. Sono circa una dozzina e aspettano curiosi e acquirenti in piazza Garibaldi. L’eco della manifestazione, anche grazie alla promozione sulle riviste di settore da parte di Promo Art – la cui convenzione è in vigore fino al 2018 – giunge in tutta la regione, e la sua qualità è apprezzata. Perché, anche se i mercatini dell’antiquariato hanno le loro regole non scritte, che vedono, ad esempio il primo matti-
no “riservato” agli intenditori, e la tarda mattinata ed il pomeriggio affollati da chi curiosa e gironzola senza impegno, non si può rimanere indifferenti di fronte alla varietà di oggetti dalle forme, età, dimensioni, utilizzi e preziosità più disparate. Passeggiando sul porfido trevigliese, tra una sedia Thonet e un vaso da notte, una specchiera e un grammofono, antiche monete e bijoux anni ’20, non si può non concordare con Cattaneo, quando dice che «il centro storico è bello, è una cornice di pregio che premia sia gli espositori che i visitatori».
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Da fare 28 • tribuna magazine • Novembre 2016
Evento
Rock per la ricerca di Daria Locatelli
Appuntamento per il 25 novembre presso il TNT di Treviglio per una serata benefica a favore della ricerca: quando la musica fa bene all’anima
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l senso della vita: non mollare mai”: è questo il motto che verrà fatto risuonare dagli artisti che il prossimo 25 novembre si esibiranno presso il Teatro Nuovo Treviglio, in un evento che vedrà la musica come veicolo di sensibilizzazione sulle attività di ricerca condotte dalla sezione di Chirurgia Generale e Day Surgery – diretta dal Dott. Stefano Bona – di Humanitas Research Hospital. Un monito prezioso sul significato del vivere che ci è stato lasciato, come un dono prezioso, dalle parole e dall’esempio di Alex Scarpellini, che ha lottato fino alla fine con-
tro un male incurabile. Ed è proprio per fare in modo che chi, come Alex, incontra ahimè sul suo cammino la malattia possa invece avere la speranza che la vita finalmente vinca, che la madre, la sig.ra Angela Villa, crea da anni occasioni per aiutare coloro che ogni giorno si mettono a servizio della ricerca. «Alex amava molto la musica e lo sport e ho voluto ripercorrere, negli eventi organizzati sia in passato che in quelli futuri, le sue passioni, quello che sarebbe stato il suo essere, con l’intento di aiutare gli altri. Grazie a Gabriele Anghinoni e a coloro che hanno abbracciato questa causa, come Mar-
Cure di qualità
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l Dr. Stefano Bona, Responsabile della sezione di Chirurgia Generale e Day Surgery presso Humanitas e coordinatore nazionale del progetto ERAS Italy per la chirurgia colorettale, ci fornisce una panoramica delle attività di ricerca in campo oncologico e dell’approccio sistematico alle problematiche che interessano i pazienti affetti da cancro del colon-retto, un modello di qualità di cura a tutto tondo integrato nel percorso diagnostico-terapeutico. «Nei pazienti sottoposti a chirurgia per tumore del colon-retto le degenze sono prolungate e la morbidità non trascurabile. La chemioterapia postoperatoria, frequentemente indicata, viene perciò spesso ritardata. Una rapida ripresa dopo tali interventi possiede quindi un grande valore in termini di costi per la salute, sociali, psicologici, lavorativi. È stato a tale fine disegnato un percorso di cura che integra i provvedimenti tesi a minimizzare lo stress
chirurgico e l’impatto sulla funzione d’organo, in modo da permettere al paziente di affrontare le cure eventualmente necessarie nelle condizioni migliori. Si tratta del cosiddetto protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery, che significa miglior recupero dopo intervento chirurgico) – già applicato da molti anni in Humanitas – che in associazione all’impiego delle tecniche chirurgiche più innovative (come la chirurgia laparoscopica o robotica) consente in breve tempo il recupero delle funzioni fisiologiche e dell’autosufficienza nelle attività quotidiane, permettendo quindi ai pazienti di affrontare prima ed in condizioni migliori la chemioterapia, ove indicata.
co Daniele Ferri, abbiamo già realizzato delle manifestazioni benefiche, ad esempio la partita amichevole “Remer Blu Basket Vanoli Cremona” e le “Serate dello Sport”, in cui sport e musica hanno fatto da cornice al contributo per la ricerca». “Rock per la ricerca” è il primo di una serie di appuntamenti annuali che avranno l’obiettivo di supportare l’impegno dei ricercatori: «ho avuto occasione di conoscere il Dott. Bona e lo staff della “Humanitas Fondazione per la ricerca” – aggiunge Angela – e si è instaurato un rapporto di collaborazione tra chi, come me, ha vissuto la lotta di un ammalato e chi, come loro, ogni giorno lavora per la scienza. Coloro che incontrano la malattia devono affidarsi totalmente a questi medici che aiutano ad affrontare, anche con supporti psicologici, questa cruda realtà. L’aiuto è sempre necessario, anche per chi, all’apparenza, non lo dimostra». S.O.S. Save Our Souls, Daniele Ronda e Gabriele Scaratti saliranno sul palco del TNT per far risuonare con le loro musiche il motto di Alex, perché la vita è una lotta e tutti insieme si può non mollare.
Negli ultimi anni, molti studi hanno evidenziato che le tradizionali modalità di gestione del paziente sottoposto a intervento chirurgico non sempre danno risultati ottimali. Protocolli diversi e innovativi la cui efficacia è stata ampiamente dimostrata, possono migliorare sensibilmente i risultati e i tempi di recupero. Il concetto di base è ridurre al minimo l’impatto di tutte le procedure pre e post operatorie sulla regolare funzione degli organi del paziente, con la conseguente riduzione della degenza post-operatoria. Il paziente arriva in ospedale il giorno stesso dell’intervento (che dura in media 3-4 ore) e già la sera è in grado di consumare una cena leggera, seduto a tavola. Le novità rispetto alle procedure tradizionali sono circa una ventina. Alcune delle più importanti riguardano l’abolizione del prolungato digiuno pre e post operatorio e il controllo del dolore. Per ampliare tale esperienza ed adottarla su larga scala è necessaria formazione specifica di pazienti, medici ospedalieri e di base, infermieri». Novembre 2016 •
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ph Appiani
Personaggi
di Daniela Regonesi
Conosciamo meglio il promotore di tante iniziative a favore del decoro e della fruizione della città
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osa lega il pianoforte in piazza Garibaldi con i murales alla stazione centrale e al parcheggio Turro? Il parco di viale Piave e lo “Spritz nell’alto dei cieli”? Marco Guerini, promotore di tante iniziative diverse. Cerchiamo di conoscerlo. Chi è Marco Guerini? «Sono un trevigliese di adozione, che vive qui da più di 40 anni: sono originario di Piacenza». Perché questa attenzione alla città? «Perché ho goduto di tutti i suoi servizi, e quindi mi sento in obbligo di restituire quello che posso. Conduco una vita che mi lascia tempo libero, e nel mio tempo libero mi piace portare avanti iniziative legate ad opere di decoro urbano, e amo farlo coinvolgendo i ragazzi giovani, perché c’è sempre da imparare. “A tempo perso” lavoro a Londra». La capitale inglese è fonte di ispirazione? «Assolutamente sì. Ad esempio lo “Spritz nell’alto dei cieli” mi è stato ispirato dall’aperitivo che i soci della Tate Modern possono gustare, con vista sul Tamigi, all’ultimo piano della galleria. È un modo per avvicinare le persone all’arte e arrotondare le entrate, perché l’arte ha i suoi costi». Come nascono le tue iniziative? «Tutto è nato circa un anno e mezzo fa, perché molte persone si lamentavano per una bestemmia scritta sul muro di una scuola: ho fatto un paio di telefonate e ho contattato l’ufficio del sindaco, che nel frattempo si era già mosso ma doveva seguire gli iter istituzionali ed i relativi tempi. Con 8 euro e 95 ho comprato la vernice e l’ho cancellata. Il mio gesto fece scalpore,
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e questo mi stupì, come mi stupisco che la gente aspetti. Se tutti aspettiamo non succede niente». Gli interventi di questo tipo sono risolutivi? «È un modo di agire parziale, perché bisogna dare spazi a chi cerca di esprimere la sua personalità con i graffiti. Per questo è stato realizzato un progetto con il Comune per dare palestre ai giovani. La prima, lunga 25 m, e dipinta con fondo nero, atten-
Il parco con lo sponsor
L’
ultima idea estratta dal cilindro di Marco Guerini ha come oggetto il parco di viale Piave, che «necessita di una minima manutenzione straordinaria e di tanta manutenzione ordinaria. Questo intervento nasce ad agosto, quando noto una bestemmia su un tavolino. Propongo al Comune di ridipingerlo, ma sbaglio il colore: troppo scuro. Decido allora di non limitarmi a quello, ma di ridipingere gli altri tavoli, le panchine e le panche, e di raccogliere i sassolini smussati sparsi per l’area. Il tutto è finanziato da uno sponsor, con il quale abbiamo anche proposto la chiusura notturna del parco il divieto di fumo al suo interno – per rispetto della salute di tutti
ph Appiani
L’uomo dal cappello (e dalle tante idee)
de in viale Piave i ragazzi che vi andranno a cadenza periodica: i writers contatteranno lo sponsor, che avviserà il sindaco ed il comandante Nocera, questi informerà dell’“autorizzazione” le altre Forze dell’Ordine». Oltre a questa, ci ricordi le altre tue iniziative legate al decoro urbano? «In Stazione Centrale è stato decorato il corridoio centrale con visi di personaggi storici, mentre nella rampa sono stati realizzati graffiti dedicati ad Expo 2015; altri, a tema ferroviario, campeggiano sulle capottine in plexiglas tra il binario 8 e 9. Se si realizza un graffito, per la forma di rispetto esistente tra writers, secondo la quale non si scrive sopra l’opera di un altro, si crea una forma quasi perenne di manutenzione del muro. E in questo modo essa non è più a carico del pubblico, perché dal momento in cui le proposte vengono approvate faccio una sorta di crowdfinding da una serie di finanziatori (il mio notaio, il mio avvocato, il mio commercia-
e dei bambini in primis – e al quale ho proposto di introdurre un “gioco inclusivo”, come ad esempio un’altalena per i disabili, il cui costo sarà coperto per metà dal Comune e per metà da privati. È il primo esperimento in città di assegnazione di un parco in gestione ad un privato, a cui invece già da tempo vengono offerte le aree verdi all’interno delle rotatorie. Sono esclusi dalla gestione i giochi perché soggetti a specifico contratto di manutenzione con una ditta specializzata». D.R.
lista, ecc.) che contribuiscono, con quote più o meno consistenti, a coprire la spesa». Hai un buon rapporto con l’amministrazione pubblica? «Ho trovato terreno fertile, sia con l’amministrazione precedente che con quella attuale. Per questo ho avanzato un’ulteriore proposta: l’istituzione di un credito d’imposta per chi investe in queste iniziative. Si potrebbe creare un plafond annuale – che sarebbe comunque altrimenti speso dal Comune per la manutenzione ordinaria – a cui attingere per scontare i tributi dovuti all’Ente (ad esempio l’Imu), nella misura del 100% per le persone fisiche, e di una quota percentuale per le persone giuridiche. Il tutto verrebbe inserito nella gestione comunale (approvazione delle opere, ecc.): in questo modo sarebbe riconosciuto alle persone, in modo tangibile, lo sforzo fatto. Ad esempio in via Crivelli abbiamo un progetto per il muro del mercato, per creare senso di partecipazione in una cosa che durerà nel tempo». È più passione per la street art o disgusto per il degrado? «Parte è fastidio per l’inerzia con cui tante persone affrontano degrado, vandalismo e noncuranza delle cose degli altri, il pensare “se è gratis non è mio”. Parte è invidia, perché disegno come quando avevo 6 anni, e sono invidioso di chi possiede quest’arte. Poi ho una naturale avversione per quanto è soggettivamente brutto». Come nasce l’aperitivo sul campanile? «Nasce come battuta, durante una salita organizzata: “Qui è fantastico, dobbiamo farci l’aperitivo!”. È diventata realtà grazie a tanti volontari che si sono resi disponibili a collaborare, ed è stato un modo per avvicinare la gente al museo verticale, che è straordinario, oltre che per fare del bene. Ringrazio il sindaco Juri Imeri e il play della Remer Blu Basket Tommaso Marino per essersi prestati a fare da barmen, accogliendo i visitatori al termine della salita guidata. Abbiamo così raccolto 3.392 euro, che i rappresentanti del Distretto del Commercio di Treviglio devolveranno in parti uguali a favore della raccolta fondi del COM per le vittime del terremoto del centro Italia e delle opere di decoro urbano di cui necessita la città». La prossima iniziativa? «Il 17 dicembre Paolo Oreni e Patrizia Salvini in concerto sul campanile: per renderlo possibile vi porteremo là un pianoforte, che vi resterà per sempre, a disposizione di chiunque vorrà suonarlo, previa autorizzazione. Nell’occasione sarà microfonato per diffondere la musica nella piazza». La Bassa è bella? «Ho abitato tanto all’estero, sempre accolto bene ovunque, ma l’Italia è fantastica e realtà come Treviglio sono dei gioiellini. C’è bisogno di fare uno scatto di mentalità, prendersi cura di ciò che è di tutti: a me hanno insegnato che quando trovi una cartaccia per terra prima la raccogli, poi ti chiedi chi l’ha buttata. Rispettando ciò che è di tutti si vivrebbe meglio». Novembre 2016 •
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Associazioni
Dopo il congedo, la solidarietà di Ivan Scelsa
L
a sottosezione dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Mozzanica, un esempio di attaccamento al dovere e alla comunità, pronta all’autonomia da Caravaggio. Tutto ebbe inizio il 6 gennaio 2008 quando, sotto una fitta nevicata, alcuni appartenenti all’Associazione Nazionale Carabinieri residenti a Mozzanica, prima di prendere servizio in piazza Locatelli per la rappresentazione del “presepe vivente”, manifestarono all’allora Sindaco Massimo Alloni, l’intenzione di realizzare un cippo commemorativo per le vittime cadute nell’attentato di Nassiriya il 12 novembre 2003.
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A nome di tutto il gruppo fu Ivan Giupponi a formalizzare la richiesta e, con i soci dell’ANC, iniziò a gettare le basi per plasmare il progetto. L’area individuata e proposta all’Amministrazione comunale fu quella esterna alla sede dell’Istituto Comprensivo di via Circonvallazione, ritenuta la più idonea per la vicinanza dello stesso plesso scolastico e in quanto luogo assiduamente frequentato dai giovani del paese. Il tutto si concretizzò il 4 ottobre 2009 dove, dopo fervidi preparativi, una bella e partecipata cerimonia fece da cornice all’inaugurazione del cippo in pietra con affissa una piastra di bronzo raffigurante un
In senso orario: Alcuni membri dell’ANC di Mozzanica in parata L’incontro promosso da Foxpol con le Autorità ed i membri della Sottosezione Un volontario dell’ANC accompagna i bambini delle scuole Una riunione dell’ANC nella sede di Mozzanica
carabiniere in uniforme storica, la bandiera ed il fregio sullo sfondo ed alla base la scritta “Nei secoli fedele”. Su una seconda piastra, invece, venne scritta una poesia dal titolo “Eroi” dedicata ai caduti della strage. Nell’occasione, oltre al cippo, venne anche inaugurata una piccola area verde che, posta nei pressi dello stesso, prese il nome di “Giardini Caduti di Nassiriya” e che oggi viene costantemente curata dagli stessi iscritti che si adoperano per mantenere il giusto decoro dei luoghi. Dopo circa un anno dalle celebrazioni, venne istituita la Sottosezione ANC di Mozzanica, dipendente dalla Sezione di Caravaggio e retta da un Fiduciario, l’ex Carabiniere Ausiliario Cristian Chiappetti. Alla stessa aderiscono quaranta iscritti, tra Carabinieri in congedo, soci familiari
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Da fare 34 • tribuna magazine • Novembre 2016
Associazioni
I moderni ciceroni di Caravaggio di Maria Angela Ravasi
Scopri Caravaggio: giovani volontari fanno conoscere le bellezze poco conosciute della città
S
ono sempre più numerose le occasioni capaci di avvicinare le persone, anche i più giovani, alle bellezze nascoste della Bassa Bergamasca. È oramai un appuntamento ricorrente quello di fare conoscere castelli, palazzi e borghi medievali della nostra pianura attraverso volontari, studenti, gente comune che decide di improvvisarsi Cicerone, con il piglio moderno, forsanche garibaldino, ma che tanto successo ha raccolto. Si pensi a Scopri Caravaggio, che ha registrato il tutto esaurito, in queste ultime domeniche. Ne parliamo con Juri Cattelani responsabile del progetto. Come nasce Scopri Caravaggio? «Il nome nasce dal desiderio di far conoscere e far appassionare alla storia e al patrimonio artistico della città di Caravaggio, quante più persone possibili. Del Palazzo Gallavresi in particolare, all’interno del quale stiamo gestendo le visite guidate in questo
momento, pochissimi conoscono i particolari che cerchiamo di trasmettere, e molti caravaggini rimangono sorpresi da quello che imparano a proposito dell’edificio e della Pinacoteca Civica. Già in passato erano state proposte sporadicamente visite del Palazzo, in varie occasioni. Noi abbiamo raccolto quell’eredità cercando di riproporla in modo continuativo con una cadenza mensile, così da rendere più semplice per i visitatori partecipare. L’occasione per iniziare ci è stata data dall’iniziativa “Giornata dei Castelli aperti” dello IAT di Martinengo, manifestazione che coinvolge nove comuni della bergamasca e di cui da quest’anno, per decisione dell’Amministrazione Comunale, fa parte anche Caravaggio. Abbiamo quindi preso in mano il progetto e, con il sostegno dell’associazione “Caravaggio Contemporanea”, abbiamo avviato questa serie di iniziative riguardanti il Palazzo Gallavresi». Quante persone ha coinvolto? «Dall’inizio di settembre, quando l’iniziativa ha preso il via, siamo arrivati a superare largamente i 300 visitatori. È un risultato che ci rende molto soddisfatti, specialmente perché rende chiaro che c’è un interesse per questi edifici storici e per le opere d’arte che contengono. Sono stati molti i caravaggini che hanno partecipato, ed altrettanti i visitatori da tutta la Provincia di Bergamo e di Cremona». Chi sono i protagonisti di questa iniziativa? «Scopri Caravaggio è composta da volontari, ragazzi e ragazze, di un’età compresa tra i venti ed i trent’anni. Tutti noi cerchiamo di far coesistere la nostra vita privata, tra lavoro e studio, con questa iniziativa a cui teniamo molto. Il gruppo è affiatato, collaborativo ed in
continua espansione, e cerchiamo ancora persone che possano darci una mano, meglio se giovani e con tanta voglia di fare». Quali sono i vostri obiettivi futuri? «Nell’immediato futuro, dopo la visita mensile di domenica 6 novembre, probabilmente ci sarà una pausa per la stagione invernale. Questo non vuol dire, però, che non possano esserci aperture speciali dovute a determinati eventi. Comunicheremo qualsiasi variazione tramite la nostra pagina Facebook e la nostra newsletter. Più in là nel tempo, invece, ci piacerebbe espandere le nostre visite guidate ad altri edifici e luoghi storici o culturali. Si potrebbe pensare addirittura ad un tour della città da proporre ai turisti, magari coinvolgendo anche altri enti. È il nostro modo di contribuire a rilanciare Caravaggio, un paese che, per le preziosità che ospita, merita di avere un proprio palcoscenico. Stiamo procedendo poi in direzione delle scuole, non solo caravaggine, per proporre visite adatte ai più piccoli che possano aggiungersi alle lezioni in classe, in modo da vivere la cultura in maniera diversa. Abbiamo già avuto modo di sperimentare la cosa con risultati molto positivi ed un grande apprezzamento sia da parte delle maestre che dei bambini. Il nostro, insomma, è un progetto culturale a 360 gradi, che non esclude nessuna possibilità a priori. La manodopera non ci manca, ma siamo aperti a chiunque voglia prendere parte all’iniziativa, purché pronto a lavorare in modo serio. Non escludo che in futuro si possano avviare progetti anche paralleli a quello culturale, ma di questo si parlerà in seguito. Per qualsiasi informazione potete visitare la nostra pagina Facebook “Scopri Caravaggio”, oppure scrivere alla nostra mail scopricaravaggio@gmail.com. Noi vi aspettiamo nelle giornate di apertura e vi assicuriamo che non ne rimarrete delusi». Varrebbe la pena inserire nelle guide alla scoperta del nostro territorio, le “rutilanti” avventure di questi giovani Ciceroni capaci di divertire e di non annoiare mai il pubblico, che sempre numeroso si avvicina. Novembre 2016 •
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ph Lepore
Associazioni
Il compleanno di “Malala” di Alfredo Venturini
L’Associazione Culturale festeggia il quarto anno di attività ospitando Aldo Cazzullo
I
ncontriamo, in occasione del quarto compleanno dell’Associazione Culturale Malala, il suo presidente, Elio Massimino, che fa un bilancio delle attività proposte e, soprattutto, ci svela quelle in programma per il futuro. «Il caso vuole – ci spiega – che il quarto compleanno della nostra associazione coincida con la venuta a Treviglio dell’editorialista del Corriere della Sera Aldo Cazzullo, per la presentazione del suo ultimo libro “Le donne erediteranno la terra”». Complimenti ma, in fondo, ci avete “abituato” agli ospiti illustri. «Però Cazzullo parla e scrive delle qualità delle donne e delle difficoltà che devono affrontare e noi, che abbiamo fondato un’associazione culturale intitolandola a una giovane pachistana che ha voluto rompere le catene di una società ottusa e maschilista, siamo felici che il giornalista abbia accettato il nostro invito». Ma oltre ad organizzare conferenze, vi occupate anche di altro. «Infatti, abbiamo altri fiori all’occhiello. Uno è sicuramente il Concorso piani-
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stico Bruno Bettinelli. Ne parlo con un certo orgoglio perché l’idea ha cominciato a frullarmi in testa qualche anno fa, quando ero presidente della Pro loco. Allora, tra varie nuove iniziative, ideai “i Concerti della Pro loco”, con protagonisti giovani musicisti in gran parte trevigliesi. Durante quelle manifestazioni, che purtroppo sono state abbandonate, ho cominciato a pensare che la città avesse abbastanza cultura musicale per ospitare un concorso pianistico, ma poi la mia presidenza si interruppe e non ho fatto in tempo nemmeno a proporlo». La prossima sarà la quarta edizione. «Il merito è soprattutto del direttore artistico del Concorso, il Maestro Silvia Bianchera Bettinelli, docente di canto e compositrice, vedova del Maestro a cui è intitolata la competizione. Devo aggiungere che le sono grato anche perché quando ho deciso di fondare la nuova associazione, si erano già svolte due edizioni sotto un altro logo, ma lei ha accolto il mio invito che per il seguito fossimo ancora noi due ad occuparcene ma come “Malala”, e così è stato».
Carla Fracci a Treviglio con Silvia Bianchera Un momento della premiazione del III Concorso pianistico internazionale Bruno Bettinelli
Il secondo fiore all’’occhiello immagino sia il Concorso letterario. Ma non ce ne sono già tanti? «Sì, ma parafrasando un vecchio slogan pubblicitario, direi che “il nostro è diverso”. Intanto abbiamo scelto un profilo internazionale, a dispetto di qualche giudizio di sufficienza di cui ci è giunta l’eco, ma noi che leggiamo e qualche viaggio nel mondo lo abbiamo fatto, sapevamo benissimo quello che ha scritto il 9 ottobre scorso il Corriere della Sera, nel supplemento “Il bello dell’Italia”: “Il mondo ha fame di italiano, in 250 milioni sono i suoi fan”. Inoltre, ogni anno proponiamo un tema diverso e a nostro giudizio stimolante, anche per evitare – co e accade nei concorsi “generalisti” – che i partecipanti possano tirare fuori dal cassetto dei vecchi lavori, magari già mandati ad altri concorsi. Il tema della prossima edizione è Incontri, con la possibilità quindi di scegliere tra luoghi, persone, idee, libri, opere d’arte, ecc. Senza enfasi, vorrei anche segnalare che (immagino dopo opportune verifiche) la Presidenza nazionale della Società Dante Alighieri ci ha concesso il suo patrocinio. Una “certificazione di qualità” che pochi in Italia possono vantare». Nelle locandine in giro per Treviglio ho letto di un corso di greco antico e di un convegno. «Il corso di greco antico è nato da un’idea di una nostra amica, la prof.ssa Ester Maria Neri, che lo terrà anche in questa seconda edizione appena iniziata. Altro fiore all’occhiello per noi è il convegno intitolato “Zenale e Butinone, tra arte e storia”. Vogliamo coinvolgere gli studenti delle scuole superiori, come abbiamo fatto l’anno scorso nel convegno su “Tommaso Grossi e il suo tempo”. Allora hanno potuto trattare l’argomento a seconda del loro indirizzo e così abbiamo avuto interessanti riflessioni su temi
spalla grande istituzionale
2016-11 bozza 1
letterari, economici, agrari, storici e artistici da rappresentanti di Istituto Cantoni, Istituto Oberdan e Liceo Weil, oltre ad un’applaudita esibizione musicale di studenti dell’I.C. Grossi. Anche il tema di quest’anno ci sembra molto intrigante e quindi confidiamo che tutte le scuole di Treviglio (abbiamo invitato di nuovo anche le private) partecipino con le loro eccellenze». C’è altro? «Le idee nel cassetto ci sono, contiamo di realizzarle man mano che la squadra si rafforza, sperando anche di ricevere sostegni economici. Il Comune l’anno scorso non ci ha dato alcun contributo e per quest’anno mi era stata promessa una risposta entro lo scorso settembre... Bah! Ma una cosa concreta posso ancora segnalarla. Il prossimo 3 dicembre alle ore 16, nell’Auditorium della Biblioteca di Treviglio, avremo il piacere di presentare Fabio Conti con il suo bel libro “Lago Gerundo tra storia e leggenda”, che ha già avuto una bella recensione su questo giornale». Cosa aggiungere? Buon compleanno Associazione Culturale Malala!
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Arte
IIl palazzo di Misano, un gioiellino sconosciuto di Diego Defendini
Il recente restauro permette di scoprire le bellezze del Municipio misanese
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l territorio della Gera d’Adda è da sempre ricco di luoghi storici e di grande fascino, alcuni celebrati e famosi in tutta la regione, e non solo; essicustodiscono una tradizione artistica e culturale secolare, apprezzata ovunque per la sua bellezza e stile. Molti sono i luoghi d’interesse che si possono visitare, alcuni dei quali purtrop-
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po poco conosciuti. È il caso questo di un meraviglioso palazzo, oggi sede del comune di Misano di Gera d’Adda, che è da considerarsi come una vera e propria perla della Bassa. Nato attorno al 1700, Palazzo Guida-Fugazzola, questo l’attuale nome dell’edificio, venne commissionato dalla famiglia Visconti e rimase proprietà della nobile casata fino a quando fu ceduto a
nobili locali, che a loro volta lo trasferirononegli anni ad altri facoltosi,finchétornò nelle mani dei discendenti della dinastia del biscione nel 1814. Questo periodo fu però breve, infatti solo pochi anni dopo lo stabile fu ceduto a Carlo Maria Gamberini, e successivamente al genero Pietro Guida. I figli ne ereditarono la proprietà, che venne gestita da Carlo fino alla sua morte. Non essendoci altri eredi, l’immobile venne acquisito dalla sorella nubile, che la donò alla “Opera Pia Guida di Soresina”. Nel 1910 lo stabile passò alla Società di Colture Agrarie di Milano, la quale sfortunatamente fallì anni dopo, e l’immobile venne ritirato da Arcangelo Fugazzola, ricco fattore della zona. Dopo tutto questo susseguirsi di proprietari ecco che l’ultimo, in ordine di tempo, è il Comune di Misano di Gera d’Adda, che ne è venuto in possesso da circa 50 anni, ad eccezione di una piccola porzione che rimane della famiglia
Fugazzola. In questi anni le mura hanno ospitato al loro interno uffici e ambulatori medici, e oggi è ufficialmente eletto a sede del Municipio. Lo stabile si presenta molto elegante, ha un’entrata signorile e scenografica che porta nel cortile interno, dove è ospitato un bellissimo giardino finemente piantumato. Alla sinistra, invece, è collocata un busto di Giuseppe Garibaldi, probabilmente lascito del Guida, eroe garibaldino. L’affresco della scalinata principale, che oggi conduce agli uffici del Sindaco e alla sala consiliare è il fiore all’occhiello della struttura, sia per la sua conservazione, sia per la sua grandezza: esso infatti occupa tutto il soffitto. Sempre nella stessa porzione di stabile, ma al piano terra, sono presenti altri due bellissimi affreschi, di dimensioni minori ma altrettanto suggestivi e affascinanti. Segnaliamo lapresenza anche di altre decorazioni pittoriche sulle travi di legno delle ampie e alte sale
del secondo e terzo piano, purtroppo resi irriconoscibili dall’umidità e dal tempo. Una piccola curiosità è quella legata al camino presente negli uffici: esso presenta una copertura in metallo – collocata lì per puro vezzo estetico e senza richiami politici, molti anni prima della nascita della Lega Nord – raffigurante il sole delle Alpi, simbolo distintivo oggi utilizzato dal partito del Carroccio. Affascinante
anche il portone, fatto restaurare recentemente dal Sindaco Daisy Pirovano, autentica cultrice della “misanità” e sempre attenta a tutto ciò che riguarda il suo paese, la quale in questi anni ha dato il via ad una serie di opere di restauro atte a riportare al suo antico splendore questo piccola gemma della Bassa, sfortunatamente ancora poco conosciuta, ma che meriterebbe sicuramente ben più attenzione.
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Teatro
L’eterna lotta fra il Bene e il Male di Daniela Invernizzi
In uno spettacolo teatrale la storia della medaglia di San Benedetto e della battaglia contro il Demonio
L’
eterna lotta fra Bene e Male è il filo conduttore dello spettacolo teatrale Lo scudo – la medaglia di San Benedetto, in scena per la prima volta a Fara Gera d’Adda presso il cinema Teatro Oratorio San Luigi il prossimo 1 dicembre alle 21. Scritto da Riccardo Melzi, consulente finanziario con la passione per la scrittura e il teatro, lo spettacolo vedrà in scena il giovane Alessandro Soldani, in una serie di monologhi e diversi personaggi, in un viaggio multimediale attraverso i secoli. Perché in effetti non si tratta di una semplice rappresentazione teatrale, quanto di una performance a diversi
livelli, dove musica, voce, gestualità e rappresentazioni visive si amalgamano perfettamente intorno alla storia, o meglio, alle storie che si vanno raccontando. Alessandro Soldani ha 29 anni, lavora in un istituto di credito, ma fin da piccolo si diletta nel canto (trovate su Youtube molte sue performances). Da poco ha scoperto, grazie all’amicizia con Riccardo Melzi, la sua capacità recitativa, che ha già esibito nello spettacolo La radice dell’angelo, sempre a sua firma. Si alterneranno con lui sul palco altri due giovani promettenti della danza, Simone Paris, diplomando all’Accademia dei Kataklò (danzatori atle-
ti) e Marta Marangoni, allieva della stessa accademia. Le loro evoluzioni saranno accompagnate da immagini e video proiettati sul grande schermo che fa da sfondo al teatro. Un coinvolgimento a 360°, tipico degli spettacoli di Melzi, capaci di portare lo spettatore in un’altra dimensione. Le storie che vengono raccontate girano intorno alla medaglia di San Benedetto, oggetto sacramentale riconosciuto dalla Chiesa, strumento di lotta contro il Male, le malattie e le tentazioni, che lega la vita di tre donne vissute in epoche diverse, ma che hanno dovuto lottare contro il demonio per salvare i propri figli. Metafora della lotta fra Bene e Male, che non muore mai, lo spettacolo vuole lasciare un messaggio: la Speranza è il filo conduttore della nostra esistenza e il destino stesso dell’uomo. Senza la speranza si cade nella spirale del demonio, che ogni giorno tenta di penetrare questo scudo e farci suoi. “Questi semi di speranza, per germogliare nel cuore di ogni uomo, hanno bisogno di forza esattamente come l’hanno avuta Sara, Elena, San Benedetto e tutti quei Francesco che nel corso dei secoli non si sono arresi alle tentazioni del mondo, ma hanno creduto all’esistenza di un bene più grande, oltre lo spazio e il tempo, che fa battere il cuore per qualcosa in cui vale la pena lottare” (Atto V). In un’epoca in cui il Male sembra prendere le sembianze più diverse, perdendo i contorni tipici delle epoche passate e nascondendosi spesso dietro aspirazioni di libero arbitrio, occorre uno scudo capace di preservarci dalle sue accattivanti tentazioni. In questo spettacolo lo scudo è la medaglia di San Benedetto, che racchiude una preghiera: “Non mi persuaderai di cose vane, sono mali le cose che mi offri, bevi tu stesso il tuo veleno”. Temi forti, imponenti scenografie e coreografie coinvolgenti: sono questi gli ingredienti degli spettacoli di Melzi, mai banali e capaci di lasciare sempre il segno. I biglietti (12 euro) sono acquistabili sul sito loscudo.eventbrite.com, ove è possibile scegliere e prenotare il posto; oppure anche la sera stessa a teatro. Novembre 2016 •
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Musica
La Banda di Calvenzano: una storia di musica di Daria Locatelli
Con note e pentagrammi, il Corpo Musicale calvenzanese accompagna da quasi due secoli i cittadini con la propria musica facendo risuonare strade, animi e condivisione
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isale al lontano 1823 l’anno di nascita della Banda di Calvenzano, una delle prime Società Cooperative sorte nel nord Italia, emblema dell’amore per la musica degli abitanti della Gera d’Adda e che, da quasi due secoli, con le proprie note accompagna le manifestazioni religiose, civili e gli eventi di svago. Il Regolamento-Statuto del Corpo Musicale, risalente al 1862, così descrive l’istituzione della Banda: “In questo comune fino dall’anno 1823 fu fondata a titolo di oneste ricreazioni ed anche per corredare le funzioni sacre di qui e di altri paesi una società filarmonica”. La storia narra che l’idea di costituire il gruppo sia nata da alcuni giovani calvenzanesi tornati dal servizio militare prestato nei reggimenti austriaci, occasione nella quale erano stati istruiti alla musica e al suono di strumenti. Numerose vicissitudini hanno caratterizzato la lunga tradizione bandistica che, grazie alla passione viscerale per la musica, ha saputo superare i
vari ostacoli e mantenere salda la propria presenza sul territorio. Ne è un esempio la co-presenza di due corpi musicali dal 1899 al 1920: la Banda Madre di orientamento cattolico, ed una intitolata a “Gaetano Donizetti” legata e finanziata dalla Cooperativa Agricola, di orientamento laico socialista, nata dal distacco della prima di un gruppo di elementi. Tale scissione rientrò dopo la prima guerra mondiale e le due bande tornarono a fondersi in una sola che, oggi, è una compagna indiscussa di tutti i momenti importanti degli abitanti di Calvenzano e non solo, quasi ad esserne un elemento naturale del paesaggio. Proprio di fronte all’Auditorium in Largo XXV Aprile, sede dell’associazione, un monumento simboleggia l’importanza che il comune e la cittadinanza riconosce loro: una statua raffigurante Euterpe, la dea della Musica. «La Banda – descrive il Presidente Mario Pietro Colombo – è una presenza indiscussa di tutti i servizi civili e religiosi di Calvenzano e Casirate. Le note
del Corpo Musicale accompagnano le maggiori ricorrenze del nostro territorio e, grazie alla sinergia con il gruppo di Brignano Gera d’Adda, possiamo oggi assicurare la magia della musica in concerti anche più corposi». Sono circa trenta gli elementi che, diretti dal Maestro Massimo Blini, con percussioni, clarinetto, flauto, corno, tromba, bassotuba, saxofono, trombone e flicorno fanno risuonare le strade e portano la musica a braccetto dei cittadini. «Quello che muove tutti i membri della Banda è la passione per quest’arte – prosegue il Presidente – ed è quello che i nostri insegnanti trasmettono ai giovani che si avvicinano alla nostra realtà e che si occupano di formare i ragazzi allo studio della musica. Durante i nostri corsi di orientamento, i nuovi arrivati vengono guidati verso lo strumento che meglio si confà alle loro attitudini e, dopo un anno di solfeggio generale, vengono, poi, supportati dai maestri sulla base dello specifico indirizzo scelto. La musica è sì passione, ma richiede anche molto studio e costanza e, collaborando con le scuole, vorremmo che questo messaggio fosse trasmesso anche ai più piccoli». Le ricorrenze civili e religiose sono tutte accomunate dalla musica della Banda (appartenente all’Associazione Bergamasca Bande Musicali) che non solo ritma con i pentagrammi suonati i momenti commemorativi e di svago dei cittadini, ma pensa anche ai più deboli. Gli anziani ospiti della Casa Albergo Maria Immacolata di Calvenzano, infatti, in occasione della Festa dell’Immacolata Concezione e del Natale, vengono allietati dalle note suonate nei vari piani e nelle hall, facendo risplendere nei propri occhi la magia e il potere della musica. Mario Pietro Colombo conclude: «Ringrazio tutti coloro che mettono a disposizione il proprio tempo per questo progetto, le amministrazioni comunali di Calvenzano e di Casirate d’Adda che ci sostengono, il Maestro Massimo Blini e il Vice Presidente Francesco Tripepi che danno anima e corpo alla Banda. Vogliamo portare avanti, con lo stesso spirito di dedizione che ha caratterizzato tutta la storia del gruppo, questa tradizione musicale che è un bene per l’umanità: evviva la tradizione, evviva la banda!». Novembre 2016 •
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Libri
Streghe in Gera d’Adda di Pinuccia D’Agostino
Un romanzo storico narra la vicenda di Vanina da Pontirolo, accusata e condannata per stregoneria
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e ci fu un Medio Evo in Gera d’Adda, quello fu nel primo ventennio del 1500. Medio Evo nel senso di guerra (tra Francesi e Spagnoli), assedi, povertà, miseria, peste ed anche oscurantismo, ribellione, coercizione. È in questo ventennio che si colloca l’unico processo per stregoneria verificatosi nella nostra zona. L’unico di cui si ha notizia, dal momento che anche su questo qualcuno volle fare silenzio, strappando le pagine relative agli atti del processo. Ma a testimoniare che il dibattimento ci fu e con conseguente pena capitale, resta una lapide oggi seminascosta nell’antica chiesa di Groppello, una lapide che cita, ricorda, ma non fa molta chiarezza su questo episodio. Chi, invece, ha raccontato la storia con dovizia di particolari e con ricerca minuziosa di fatti e testimonianze, è Emanuela Vacca che ha da poco pubblicato per la Casa Editrice Meravigli la storia di Vanina La Zoppa, l’unica ad essere bru-
ciata viva sulla piazza antistante l’imponente castello di Cassano, dopo una caccia serrata ed un processo fatto a quattro streghe: Vanina detta la Zoppa di Pontirolo, Leonarda di Inzago, Petrina de Terreni e Caterina de Cirballi di Pontirolo. Il libro tiene conto delle fonti storiche, ma è stato narrato come un romanzo: Emanuela ha così creato un romanzo storico che tiene conto dei fatti ma ne inserisce altri di pura fantasia. Il ritratto della protagonista emerge così in tutta la sua drammaticità: Vanina, come le altre tre, non era una strega nel vero senso della parola, ovvero non si nascondeva nei boschi, non intrecciava rapporti con il diavolo, non adescava gli uomini per poi mandare la loro anima all’inferno, non faceva malefizi. Non si ha notizia di tutto questo in Gera d’Adda, anche se qualcuno indica il bosco della Berluna, sito in un avvallamento del terreno nei pressi di Fara d’Adda, come un luogo di danze lunari, messe nere ed altro
Povera, ma libera!
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uesta signora è Giuseppina. Cacciata da casa sua, ha dormito per notti e notti sul pianerottolo rifiutando di andare nella casa albergo che le era stata destinata dal Comune di Milano. Fotografata da Emanuela Vacca, come testimonianza di una vecchiezza di stenti e di miseria, ma anche di una persona che non perde la propria dignità, è sull’angolo di una strada e conta i pochi spiccioli per vedere come può arrivare a sera. La donna, vestita di povertà ma pulita e ben pettinata, ha colpito Emanuela che l’ha fotografata e posta sul suo blog, “Perle di strega”. Poco dopo la storia di Giuseppina è stata pubblicata dal Corriere della Sera come esempio di una donna che non si arrende. Alla fine, Giuseppina è sparita, sottrattasi alla Casa Albergo, oggi è introvabile. Non sappiamo se dorme al coperto o se mangia, ma è assolutamente libera! P.D.
nelle notti di luna piena. Vanina era piuttosto una povera donna, una herbana, ovvero una popolana che conosceva l’uso delle erbe e che, con decotti e tisane, forniva un qualche sollievo o una guarigione a chi non poteva permettersi le cure del medico. Siamo nel ‘500, la medicina ufficiale seguiva gli insegnamenti di Ippocrate filtrati dalla Bibbia, le partorienti non venivano toccate e la vita di un nobile valeva molto di più di quella di un contadino. Vanina, che per un gioco del destino sapeva leggere e possedeva due libri di anatomia umana, curava donne e uomini, contadini e soldati. Ma un giorno le venne richiesto di curare una bambina e fu l’inizio di una storia che la condusse al patibolo, dopo un processo sommario dettato più dall’ignoranza e dalla superstizione che dalla giustizia e dai fatti. Un brutto episodio che per lungo tempo si è voluto dimenticare, forse perché Vanina e le sue compagne erano più l’espressione della povertà di una zona martoriata dalla guerra e dalle epidemie che creature del diavolo. Ma le pagine del libro scritto da Emanuela Vacca restituiscono dignità a queste donne che, a scapito della propria vita sono arrivate là dove la scienza ufficiale non voleva giungere, queste donne che hanno saputo mantenere la tradizione e la cultura dei poveri in epoche in cui i poveri non contavano nulla. Il libro rende giustizia e commuove nello stesso tempo: si capisce che l’autrice ha amato questo personaggio, come ama, lei donna, tutte le donne che nel mondo ancora oggi soffrono. Emanuela, scrittrice e fotografa, ha nel cuore il destino delle donne: come scrittrice ha già vinto alcuni premi nazionali e come fotografa ha già pubblicato e lavorato per il comune di Cassano d’Adda e per la Martesana. Una sua preziosa fotografia scattata per strada a Milano è finita sulle pagine del Corriere della Sera, assieme alla storia della protagonista, un’emarginata dalla vita, ma libera, come la cinquecentesca Vanina la Zoppa. Novembre 2016 •
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Racconti
I matti (storia quasi vera) di Maria Gabriella Bassi
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ra cominciato così, con una battuta. Un nome tedesco: Gewürztraminer, lungo e ridicolo per chi, come me, non ha troppa dimestichezza con la lingua tedesca. Era apparso su Facebook e il mio commento aveva suscitato l’ilarità di Michela, amica sul social e ex alunna nella vita. Per colmare la mia ignoranza mi invita in una vineria in centro a Treviglio. Al che comprendo che non si doveva trattare di una imprecazione contro i minatori, ma di un qualche vino. Di cui sono ancor meno esperta che della lingua tedesca. Michela è stata una delle mie alunne migliori, di quelle che non si dimenticano. Positiva, intelligente, defilata, ma sempre attenta. Un musetto da cerbiatta, sempre sorridente. Ci incontriamo davanti al locale, lei è seduta su una panchina proprio davanti ai tavolini all’esterno. Mi sorride e mi si avvicina: “Prof!” Uno spintone quasi me la spinge in braccio. “Fatemi posto, qui mi metto io”. È un ometto, barbuto, arrogante, vestito di nero con una bandana in testa. Lo riconosco, lo chiamano il Pirata proprio per il suo aspetto da corsaro, malandato e prepotente. Una specie di scemo del villaggio che gira in città, matto e barbone, ma fondamentalmente innocuo. La vineria è semivuota, un solo avven-
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tore che consuma il suo calice, in piedi al bancone conversando con il barista. “Due bicchieri di Gewürztraminer” chiede Michela, mentre ci sediamo ad un tavolo. Niente da fare, quel vino non c’è. Finito. Ridiamo divertite per il contrattempo. Il signore in piedi si avvicina, gentile e curioso, ed inizia una conversazione sui vini sudtirolesi, su altri particolari personali che non ricordo. Ancora ridendo ordiniamo un altro vino. Ma il signore continua nell’attaccare bottone, avvicinandosi al tavolo su cui appoggia un borsone nero da viaggio. Fra sorrisi imbarazzati di Michela e occhiatacce scoraggianti mie, finalmente il tipo torna a ciarlare con il barista. Cominciamo con un brindisi, pensando ai bei tempi (il tempo passato è sempre bello) ai prof, agli ex alunni, di cui entrambe abbiamo perso traccia. “Si ricorda di Lasagna?”. Fu il presidente di commissione della maturità di Michela. “Come no? Uno sporcaccione!”. Dopo tanti anni anche ciò che era riservato e taciuto per ovvi motivi, diviene motivo di confidenza e ilarità. “Era un incompetente, il provveditorato lo spostava da un istituto all’altro perché dava noia alle ragazze. Pensa tu che lo tolsero dall’ITIS per metterlo in un magistrale!”. Ridiamo. “Ti ricordi che chiedevo alla Andreini
Edward Hopper, “Nighthawks”, 1942
(una bella ragazza avvenente) di assistere sempre agli orali?” “Già, mi ricordo”. “Ecco, così lui faceva il cascamorto con lei e non interferiva con gli altri candidati. Era pure una carogna!”. E giù risate. Un po’ di vino, due olive e ci godiamo quel momento di strana intimità. Ormai fuori dal ruolo docente-studente, libere di pensare e raccontare a voce alta. Dalla porta sul lato vedo entrare l’uomo barbone, goffo e irritante. Ordina un calice di rosso mugugnando e si siede al nostro tavolo, interrompendo i nostri amarcord. Mi guarda con occhi di sfida e subito mi attacca, sproloquiando di non so quale ingiustizia subita. Beve il vino e con l’indice dell’altra mano diritto sotto il mio naso farfuglia su sue eroiche reazioni contro il potere costituito, contro i padroni di non so cosa, millanta e straparla. Patetico e triste, un misto fra Vladimiro ed Estragone che esterna, fra lamenti e nonsensi, fra luoghi Vermeer, “Il bicchiere di vino” (particolare), 1659-1660 ca.
Le Aziende informano comuni e banalità, tutta la tristezza e la inutilità della sua vita. Non lo interrompiamo e lui, finito il vino e lo sproloquio, si alza e velocemente esce dal davanti della vineria. Michela ed io non commentiamo. Sulla stessa lunghezza d’onda basta uno sguardo per condividere la pena. Ma riprendiamo il discorso, il nostro discorso. Ora mi parla dei suoi progetti futuri, di come la sua laurea in storia non l’abbia per ora portata a niente di concreto. Qualche incarico all’università, più sfruttata che valorizzata, la voglia di andare in Germania, magari un Master. E il bambino, il compagno... L’ascolto e non do consigli. Penso a come dobbiamo essere pazzi noi italiani se una donna così, giovane, intelligente, preparata, che concilia studio, lavoro e famiglia, viene lasciata in balìa di un mare senza futuro. Neanche l’assurdo più assurdo di Beckett potrebbe essere comparato a questo assurdo mondo. Questa volta l’ometto rientra dal davanti, non si rivolge a noi, sedute poco distanti, ma comincia ad importunare l’avventore, ancora intento a consumare il suo vino e a socializzare con il barista che, distrattamente asciuga bicchieri. Non ci facciamo molto caso, noi due. Continuiamo i nostri discorsi. Mi parla di Edoardo, il suo bimbo, le sue prodezze, le sue scoperte. Gli occhi brillanti e l’aria da mamma. Me la rivedo sui banchi, alla lavagna, illustrare le mappe concettuali, o proiettare le ricerche in Power Point, con un inglese fluente e corretto. Solo chi ha passato metà della sua vita fra gli studenti può capire come sia forte l’emozione di questi ricordi. Il senso di un percorso pur breve ma insieme. Un volto ritrovato e mille perduti, vite uscite dall’aula e chissà dove, forse, sporadicamente, ritrovarsi il nome della vecchia lontana prof. sulle labbra. Chissà. Dal bancone si alzano i toni, il barbone grida le sue ossessioni all’avventore che non comprende, non tollera. Il barista asciuga un bicchiere, defilato. Provo ad apostrofare il cliente con tono pacato: “Ma via, lasci stare. Ma non vede...?”. Alludo allo stato confusionale del povero squilibrato. Ma il signore molla il calice sul bancone e si fionda sul borsone appoggiato al nostro tavolo, ne estrae un coltello a serramanico, fa scattare la lunga lama e la punta alla gola del malcapitato rompiscatole, gridando minaccioso. Di scatto mi tiro Michela a me, temendo una reazione incontrollata dello squilibrato. Che tanto squilibrato non è, perché se la dà a gambe levate. “Andiamo” “Sì, sarà meglio”. Mentre l’avventore richiude il coltello e lo rimette nel borsone, gli sibilo “Ma lei va sempre a giro con quella limetta da unghie?”. Incrociando il mio sguardo smorza un tentativo di sorrisetto idiota: “Sa, con tutti i matti che ci sono a giro...”.
I libri di Zephyro
Ottorina Romano
Animali onirici Pag. 182 - Euro 15
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uesto libro si interroga sul perché l’uomo abbia “necessità” di sognare gli animali, soprattutto in momenti della vita molto critici: una grave malattia, la prospettiva della morte, l’invecchiamento o la fine di una relazione importante. L’ipotesi che il testo cerca di avvalorare è che gli animali onirici siano molto più che simboli del corpo, degli istinti, della libido o altro ancora, ma che vengano in sogno per rivitalizzare la nostra animalità obliata da migliaia di anni; tale oblio ci è servito per poter nascere come “soggetti culturali” e gli animali là fuori ci sono serviti come ricettacolo per la proiezione di tutto ciò che di negativo noi sentivamo nella nostra animalità, scissa, dentro di noi. Gli animali onirici ci sono d’aiuto non solo perché recuperando l’animalità perduta ci aiutano a superare un’antica scissione, ma soprattutto perché venendo in soccorso ad un Io ormai sconfitto e arreso ci aiutano a ritrovare
un atteggiamento più autentico ed integro verso noi stessi e verso la vita. Infine il sogno, attraverso le immagini, cerca di creare un ponte non solo fra la nostra soggettività e la nostra animalità, ma anche fra mondo interno e mondo esterno, mondo immaginale notturno e mondo “reale” diurno.
Marco Ghezzi
Dal parricidio al banchetto eucaristico Pag. 380 - Euro 20
L’
uccisione del padre primigenio è ampiamente attestata nelle immagini dipinte, varie migliaia di anni fa, sulle pareti e sulle volte delle grotte presenti nel territorio franco cantabrico. Questa tragedia è stata evocata inoltre nei miti giunti sino a noi dopo l’invenzione della scrittura, racconti elaborati e trasmessi in precedenza solo per via orale, grazie a fabulatori, irrequieti e creativi, appartenenti alle popolazioni mesopotamiche e a quelle greche di epoche assai remote. È stato di certo un misfatto orrendo il parricidio delle origini, crimine di immane ferocia e crudeltà, il cui ricordo ancora oggi si può ridestare nella psiche profonda di tutti gli esseri umani; si può infatti rianimare nelle sequenze simboliche dei sogni perturbati della notte,
può essere inoltre rappresentato, sempre in forme traslate, nelle numerose opere allegoriche della grande arte universale e in varie rappresentazioni metaforiche – folclore, leggende, tradizioni, religioni, riti – un regno nel quale si insedia sovrano l’inconscio, in grado di fare emergere le tracce di oscure lontananze temporali.
Brignano, 3 febbraio 2016 Novembre 2016 •
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Farmacie comunali, servizi alla persona e alla collettività Da più di 50 anni al servizio della comunità
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Uk-in
Britannici: vicini ma così lontani di Silvia Martelli
La partenza dall’Italia, l’arrivo con tanti dubbi e qualche paura, la conoscenza dei nuovi amici che scopriamo essere così diversi dagli italiani
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eno di un mese fa, a metà settembre, la stagione dei nuovi inizi per noi studenti, ero in pieno fermento da preparazione bagagli (una sorta di mission impos-
SPEED QUEEN. WORLD NO.1 IN COMMERCIAL LAUNDRY
sible), la mia camera trasformata in un negozio di abbigliamento dopo una giornata di saldi, ma soprattutto ero preda di domande senza risposta: insomma, mi sentivo in piena crisi esistenziale. Per quanto felice di partire, era inevitabile essere spaventata ed intimorita (“to put it easy”), e chiedermi se questa era stata la scelta giusta. Pervasa da mille dubbi, mi sono così imbarcata sul volo per il Galles, che mi ha accolta con nuvole, vento e pioggerellina: una combinazione letale per un animo già agitato come il mio. Lasciato l’aeroporto di Cardiff, mi sono diretta verso il mio dormitorio (sbagliando strada almeno cinque volte), dove è avvenuto il fatidico, e tanto atteso, primo incontro con le mie coinquiline, cinque ragazze britanniche, studentesse di svariate materie scientifiche, da medicina a bioscienze. Inu-
tile dire che devo essere apparsa loro come un alieno, nella mia veste di fiera straniera frequentante “Journalism, Communications and Politics”, una delle lauree più umanistiche dell’università. I primi minuti con le mie future compagne di casa, oltre che di vita, sono stati estremamente imbarazzanti, tra abbracci trasformatisi in strette di mano e mancate strette di mano mutate in impacciate pacche sulla spalla; i loro accenti inglesi, gallesi e scozzesi (ebbene sì, le mie coinquiline, o flatmates, come si dice qui, rappresentano al completo la Gran Bretagna) hanno inoltre messo a dura prova il mio inglese, o meglio le mie capacità di comprendonio, peggiorando la mia già quasi conclamata condizione di alieno. Tuttavia, le chiacchiere che sono seguite hanno dimostrato che non ero l’unica a sentirmi spaesata ed impreparata per l’inizio di quell’apparentemente mostruoso percorso di studi chiamato “università”: i dubbi erano condivisi, le paure moltiplicate e la nostalgia di casa già ampiamente diffusa. Magra consolazione. È così che ho iniziato a scrivere le prime pagine di un nuovo capitolo della mia vita, correndo da una lezione all’altra in questi immensi edifici universitari, che sembrano risucchiare noi studenti per poi restituirci al mondo più consapevoli e coraggiosi di prima. Trovarsi in una nuova città, sola, ma circondata da migliaia di altri ragazzi nella mia stessa situazione, mi ha insegnato che l’unione fa la forza. Giorno dopo giorno, ogni nuovo incontro, ogni nome nuovo miracolosamente ricordato, ogni sorriso ricevuto hanno costituito la base per affrontare serenamente i prossimi tre anni, fiduciosa che la comunità di Cardiff sarà fonte di grande ispirazione e di supporto. La città ha iniziato a diventare un po’ la mia nuova Treviglio (beh, vagamente più grande) e l’università il mio nuovo liceo (beh, vagamente più impegnativo). La nostalgia dell’Italia rimane tanta e viva, soprattutto nel fatidico momento della spesa, quando la metà degli scomparti è di surgelati e l’altra metà di prodotti precotti. Tuttavia, sto imparando a conoscere la cultura britannica e ad apprezzarne l’unicità, a partire dal suo black humour (a volte fin troppo unico...) fino al modo pacato di approcciarsi dei cosiddetti “Brits”, i britannici, che si svelano poco per volta. Novembre 2016 •
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Arte
Appunti di Lavoro di Francesca Possenti
Ripercorriamo la mostra collettiva recentemente proposta presso il Centro Civico Culturale trevigliese
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ella Sala Crociera del Centro Civico Culturale di Treviglio si è svolta, dal 7 al 23 ottobre scorso, la Mostra Collettiva di Pittura “Appunti di Lavoro”. Sette gli artisti presenti che hanno esposto sviluppi ed esiti delle loro ricerche artistiche, da cui il nome della collettiva: Paola Leone Morettini, Enrico d’Adda, Franco Monzio Compagnoni, Ermanno Bussini, Gabriele Bellagente, Giampiero Violi e Lino Cosattini. Lino Cosattini ha proposto al pubblico alcuni dipinti realizzati con pigmenti ed acrilico, nei quali le immagini astratte, delicate
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e raffinate, generano accostamenti armoniosi di spazi e di campiture di colore. Nessun tono sovrasta gli altri, il colore infatti si distende come un velo leggero sulla superficie dell’opera. In alcuni dipinti prevalgono le tonalità chiare, in altri quelle più forti, ma mai un colore domina sugli altri. Dal centro dei suoi quadri si dipana una forza che sembra dilatarne lo spazio per fuoriuscire dalla cornice. Paola Leone Morettini ha esposto una serie di acrilici dedicati alle “onde” gravitazionali, nei quali il tratto curvo e continuo del pennello genera l’effetto di un vortice in movimento su se stesso. Ne nasce un moto
Sopra, da sinistra a destra, le opere di Paola Leone Morettini, Ermanno Bussini, Giampiero Violi, Lino Cosattini, Giacomo Bellagente ed Enrico D’Adda
planetario che corrisponde ad un movimento interiore. I colori puri e primari colpiscono lo spettatore che viene trascinato in un mondo astratto e poetico. Franco Monzio Compagnoni ha scelto di esporre una serie di paesaggi marini dipinti con colori accesi che trasportano il visitatore in un ambiente ricco di spazi e di ariosità. La presenza dominante del colore azzurro spinge lo sguardo a spaziare lontano, in un mondo dove l’aria è leggera e respirabile. L’ambiente della periferia è il soggetto proposto da Ermanno Bussini: nelle sue opere, realizzate con diverse tecniche che contemplano la fotografia, il collage, la tempera e l’olio, compaiono i manifesti strappati, le scritte e i disegni che tutti possiaSotto, da sinistra gli artisti Franco Monzio Compagnoni, Ermanno Bussini, Paola Leone Morettini e Lino Cosattini e le opere di Franco Monzio Compagnoni
ph Appiani
mo vedere sui muri delle nostre città. Sono immagini che ritraggono e documentano il nostro tempo, testimonianza della vita delle città e delle relative periferie, spesso divenute luogo di contraddizioni, disagio e degrado. L’artista si fa portavoce di un nuovo linguaggio, espresso pubblicamente sui muri urbani, prodotto della cultura popolare. La condizione angosciante dell’esistenza emerge con prepotenza dai dipinti di Giampiero Violi. L’uomo è raffigurato solo, abbandonato in uno spazio che non lo mette suo agio, i colori sono a volte violenti ed accesi, a volte cupi e spenti, la figura umana è deformata e perde forza e volume. Ne deriva un forte impatto emotivo nello spettatore, che ha quasi la sensazione di precipitare nello stesso vortice dove è già caduto il soggetto del dipinto. La pittura stesa di getto richiama le caratteristiche dell’Espressionismo. Nei dipinti di Enrico D’Adda, realizzati ad acrilico e pigmenti stesi in modo da ricordare la tecnica dell’encausto, dominano macchie di colore che si allargano sulla superficie così da creare un effetto di imme-
diatezza ed improvvisazione. I colori utilizzati sono soprattutto il rosso ed il giallo, due primari che provocano forti vibrazioni in chi li percepisce. Ne nasce un’arte astratta che richiama l’Espressionismo astratto americano, caratterizzato dalla forte presenza del “gesto” che emerge nella stesura del colore. Macchie, graffi e segni sulla superficie pittorica rimandano alla complessità del mondo interiore ma anche alle contraddizioni del mondo esteriore dove niente è più riconoscibile e definito. Giacomo Bellagente, che di alcuni degli artisti presenti è stato maestro di pittura, ha scelto di proporre opere realizzate in un preciso arco di tempo: negli anni tra il ‘70 e l’’80. I suoi dipinti si rifanno all’astrazione ed alla geometria, in essi dominano la purezza delle linee geometriche, i colori spenti, il rigore, la severità. La pittura si carica di significati, di simboli, di semplicità ed essenzialità ottenute con una sapiente scelta dei colori e con l’utilizzo di materiali semplici e poveri; emergono riferimenti al Cubismo, all’Astrattismo e al Surrealismo.
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Amarcord
La “Società Telefonica Trevigliese” e i primi telefoni a Treviglio di Marco Falchetti e Lino Ronchi
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ell’anno di grazia 1871, negli Stati Uniti dove era emigrato, il fiorentino Antonio Meucci dimostrò il funzionamento di un apparecchio per la comunicazione a distanza, che chiamò “telettrofono”. Nello stesso anno presentò un brevetto provvisorio rinnovabile annualmente, al costo di 10 dollari. Non potendosi permettere la cifra di 200 dollari per il brevetto finale, lo rinnovò fino al 1873. Nel frattempo, l’americano Graham Bell depositò il brevetto definitivo: dopo un estenuante processo, l’invenzione venne accreditata a quest’ultimo. Solo nel 2010 il congresso degli Stati Uniti riconobbe la vera paternità del telefono, rendendo giustizia a Meucci dopo oltre un secolo di polemiche. Questa straordinaria invenzione si propagò presto in tutto il mondo: in Italia arrivò nel 1881, sancita da un Regio Decreto, con il quale il Ministero dei Lavori Pubblici dava la facoltà alla Direzione Generale dei Telegrafi di accordare concessioni per l’impianto e l’esercizio delle nascenti linee telefoniche, all’interno delle città, affidando l’incarico a Società Concessionarie locali. Nel 1884 veniva realizzato il primo collegamento telefonico nella provincia di Bergamo. La prima linea fu a supporto delle industrie manifatturiere tessili, molto presenti nella
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media Val Seriana: nacque così la linea Gazzaniga-Bergamo-Milano che, passando per Dalmine, serviva la Società Anonima Tubi Mannesmann, poi Dalmine, ora Tenaris. Le linee telefoniche viaggiavano per via aerea, con fili di rame su pali di legno che correvano ai lati delle maggiori strade di collegamento fra i vari comuni. Solo diversi anni dopo venne istituita a terza linea telefonica bergamasca e cioè la Bergamo-Treviglio- Milano, tutto ciò perché Treviglio non rientrava nei primi progetti, prevalentemente a causa della sua struttura economica. La sua estesa agricoltura, costituita prevalentemente da piccole aziende, aveva sbocco commerciale nelle vicine provincie di Brescia, Cremona e Milano e il debole, ma presente, sistema industriale dell’area trevigliese rappresentava più un’estensione dell’economia milanese che una componente bergamasca. Da qui l’impostazione data anche al problema telefonico, che per molti anni restò limitato all’impianto di una sola linea che collegava Treviglio con Milano. Col rogito del Notaio Tosetti, il 5 aprile 1900, si costituì una società per l’impianto e l’esercizio di linee telefoniche, con un capitale di Lire 30.000, denominata: Società Telefonica Trevigliese, i cui Soci fondatori furono 12 e più precisamente: - Banca Bergamasca - Succursale di Treviglio;
Cartolina viaggiata nel 1916, dove sono visibili i cavi, considerati antiestetici, che attraversavano la piazza Garibaldi Cartolina degli anni ’50: sulla destra la sede della Stipel
- Grossi Emilio - Treviglio; - Dott. Bellotti, avvocato - Treviglio; - Perego & Ausenda, commercio vini - Treviglio; - Lazzaroni Ausano, filatura serica - Treviglio; - Fratelli Paladini, setificio - Casirate D’Adda; - Zerbi David, tessitura serica - Treviglio; - Graffelder & Ferrari, setificio - Treviglio; - Sig. Mira, industriale - Treviglio; - Zanconti Augusto, drogheria e coloniali Treviglio; - Curletti Angelo, concimi artificiali - Treviglio; - Siro Colombo - Brignano Gera D’Adda. Nel mese di agosto del 1901, partirono i lavori per la posa dei cavi dall’ufficio di Piazza Garibaldi fino a Milano. Vennero avvisati ufficialmente i proprietari delle case, sulla facciata delle quali la Società Telefonica Trevigliese intendeva porre i sostegni dei fili e, dopo alcuni anni e varie vicissitudini, si trovò anche il modo di non guastare sia la facciata del Teatro Sociale che quella del palazzo Bacchetta, riportando i cavi, considerati antiestetici, a ridosso della sede della società. Il primo gennaio 1902 la linea telefonica Treviglio-Milano divenne operativa. La sede era ubicata nella casa degli eredi Crippa in piazza Garibaldi, e fu nominata la signorina Erminia Cantini come addetta al servizio. Annesso all’ufficio telefonico si trovava un piccolo ma grazioso ritrovo, il “Caffè del Telefono”, condotto dalla signora Giulietta Bianchi. Il locale confinava con il negozio del parrucchiere Bianchi e la sede della Banca Abduana. La Società in seguito iniziò la realizzazione di una rete telefonica anche con i paesi vicini, e operò per molti anni in forte coordinamento con la Società Telefonica Berga-
masca, della quale la Società Telefonica Trevigliese diventerà una sorta di sede staccata, col solo compito di gestire il servizio nella zona e di realizzare piccoli interventi, ideati e progettati sempre nella sede di Bergamo. Infatti si trasformò in “Società Anonima” (le vecchie S.p.A.), con sede in Bergamo, in via Torquato Tasso, con un capitale sociale di lire 59.500 e con i seguenti amministratori: Ghezzi rag. Antonio (Amministratore delegato); Caffi rag. Lodovico, Costa avv. Camillo, Valsecchi Alberto (sindaci effettivi);
Ausenda rag. Adolfo, Brescianino Mario (sindaci supplenti). La rete urbana oltre Treviglio comprendeva anche i comuni limitrofi di Calvenzano, Casirate, Caravaggio, Martinengo, Mozzanica, Romano e Vailate. Il canone di abbonamento era di lire 120 annue nel raggio di 2 km dall’ufficio centrale di Treviglio, posto in piazza Garibaldi; oltre detto raggio, lire 6 ogni 200 metri. La società istituì nei comuni di sua competenza dei posti di telefonia pubblica (P.T.P.): in città ce n’erano due: nell’atrio della stazione centrale e in piazza Garibaldi, presso la sede degli uffici. Ai posti di telefonia pubblica ci si poteva collegare, oltre che con gli abbonati locali anche con quasi tutte le città lombarde e perfino con Parigi! Fu nominato responsabile del servizio il signor Giuseppe Marta. Ogni tanto non ci si poteva collegare con questo o quel comune, perché di notte ladri, rubavano i cavi di collegamento. Sono note le interruzioni del febbraio 1904 con Brignano, e del gennaio 1905 con Milano: a distanza di un secolo le cose non sono cambiate! Sfogliando l’unico elenco telefonico trevigliese conosciuto, datato 1912, notiamo che gli abbonati in quell’anno erano 63: il telefono con il n. 1 apparteneva alla Tipografia Sociale di via Sangalli, il n. 2 all’Oleificio Fratelli Ferri di via Cavallotti e il n. 3 ai Fratelli Paladini di Casirate. Altre curiosità: la Stazione dei Regi Ca-
rabinieri aveva il n. 43, il Municipio il 34, il Collegio Degli Angeli il 45, il Collegio Facchetti il 35; Cologni Fabbrica Ghiaccio località Ferrandino il n. 18. Erano collegati col telefono anche la sottoprefettura, la stazione ferroviaria, le scuole comunali, il santuario di Caravaggio e le quattro banche esistenti allora in città. La Cassa Rurale, con a fianco il nome del suo presidente Don Ambrogio Portaluppi, unico sacerdote allora collegato al telefono, aveva il n. 28. Ogni 6 mesi si stampava un bollettino con l’elenco degli abbonati nuovi, cessati, o trasferiti. Le conversazioni tra Treviglio e Milano già dai primi anni erano oltre mille al mese, e il servizio fu subito notevolmente apprezzato. Nel 1914 la Società Telefonica Bergamasca, e con essa quella Trevigliese, si trasformarono in Società Telefonica Cisalpina. Dal 1923 il servizio nazionale fu assegnato a sole cinque concessionarie: la Lombardia e il Piemonte e la valle d’Aosta spettarono alla concessionaria STIPEL; scomparvero così 64 piccole società tra cui anche la Società Telefonica Cisalpina. In questi ultimi anni, alcuni appassionati del telefono hanno costituito in città l’Associazione “Gruppo Meucci”, con lo scopo di far conoscere questa rivoluzionaria invenzione, organizzando mostre e convegni, mostrando con apparecchi originali a scolaresche e alle persone interessate l’evoluzione del telefono, anche con simpatiche dimostrazioni di connessione.
Novembre 2016 •
tribuna magazine • 53
Le Aziende informano
Carminati Srl: una tradizione che sa innovarsi di Daria Locatelli
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ono sessanta i compleanni festeggiati quest’anno da Carminati Srl (www.carminatitubi.it), l’azienda trevigliese guidata dalla terza generazione familiare. La lunga esperienza nel settore meccanico della famiglia inizia nel 1956 come Carminati Francesco, officina di revisione di motori diesel. Sono gli anni del Dopoguerra, contraddistinti da quella rapida evoluzione tecnologica che caratterizza anche il bagaglio di competenze sviluppate via via dall’impresa, che, proprio in quel periodo, instaura un rapporto di collaborazione, in essere tuttora, con SAME, seguendo la qualità dei motori dei trattori. È durante gli anni ’70 che il fondatore, Francesco Carminati, passa il testimone al figlio Antonio, sotto la cui guida non solo vengono consolidate le collaborazioni con le realtà imprenditoriali del territorio, allargando la fornitura a tutta la gamma di macchine agricole e garantendo l’attività di riparazione di pompe a iniezione diesel, ma l’azienda diviene, inoltre, officina autorizzata Bosch, strutturando così, in modo indipendente, i propri servizi. Vengono perciò ampliati sia il comparto produttivo che l’officina, e avviene il trasferimento in Via Aldo Moro 32 a Treviglio, sede attuale della società che, nel 1994, vede l’ingresso della terza generazione della famiglia. Diletta e Stefano Carminati
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Stefano Carminati, punta fin da subito su un’organizzazione industriale della produzione, senza, però, far venir meno le radici e i valori sui quali il nonno e il padre hanno fondato e caratterizzato l’azienda: «Eravamo degli artigiani e nel corso degli anni ci siamo trasformati in una piccola impresa – descrive Stefano che, insieme alla moglie Viviana Bonacina, ne è alla guida – senza mai perdere le peculiarità della nostra tradizione». Carminati Srl, che ad oggi conta undici lavoratori, si avvale di macchinari all’avanguardia a controllo numerico e di alti standard in termini di qualità e innovazione, non rinunciando a quella flessibilità e vicinanza al cliente che sono emblematiche della natura artigianale, trasmessa di generazione in generazione. Il core business dell’azienda è, oltre alla riparazione di pompe e iniettori per i motori diesel – Carminati Srl è Bosch Diesel Center – la sagomatura di tubi utilizzati nel settore automotive, specie per la costruzione di sistemi frenanti, impianti sterzanti e linee di carburazione. L’impresa trevigliese offre un servizio diretto di vendita di tubi a singola e doppia parete, “Bundy” e gli innovativi “PVF o PA” (dotati di un ulteriore rivestimento per una maggiore protezione dalla corrosione) garantendo un’altissima qualità dei materiali e ottime performance in termini di risposte
a pressioni e vibrazioni di qualsiasi genere. L’azienda conta sulla professionalità di tecnici e operai specializzati, sull’intervento di saldatori con grande esperienza e su una struttura snella, che permette di gestire al meglio i flussi di produzione e di rispondere in modo rapido a specifiche esigenze. La produzione dei tubi, infatti, comprende, oltre alle lunghezze commerciali standard e fino a 8 mm di diametro, realizzazioni ad hoc a partire dai disegni e dalle necessità particolari dei clienti. Nel corso degli anni, inoltre, le storiche partnership con realtà radicate sul nostro territorio si sono rafforzate ulteriormente, e sono state intessute importanti collaborazioni con imprese oltre i confini nazionali, come in Germania e Turchia. «Il nostro obiettivo è quello di sviluppare ulteriormente questo mercato – conclude Stefano – restando al passo con i tempi in termini di innovazione e tecnologie all’avanguardia, guidati sempre dai principi che mio padre e mio nonno mi hanno trasmesso: onestà e massimo impegno nel soddisfare chi si affida alla nostra esperienza». A partire dal 1956, Carminati Srl ha saputo, pertanto, rispondere alle continue evoluzioni del mercato e della tecnologia, mantenendo, però, ben saldi quei valori familiari che sono stati lasciati in eredità da Francesco e Antonio e che, oggi, Stefano mostra nel lavoro quotidiano alla figlia Diletta. Una tradizione, quindi, che sa innovarsi, uno sguardo al futuro, forte del proprio passato.
a cura di Diego Defendini e Stefano Gatti
Com’era - Com’è
Scorcio di Piazza Manara a Treviglio. Pur con la sua forma molto particolare e atipica si tratta della “Piazza” e il luogo di incontri per eccellenza dei trevigliesi. Un tempo vi faceva capolino un’e dicola storica che ogni giorno teneva informati i cittadini con i giornali freschi di stampa. Ora dell’e dicola è rimasta solo la struttura ma la sua funzione di “dispensatrice” di informazioni esiste ancora, grazie alle bacheche sulle quali vengono quotidianamente affissi avvisi e locandine.
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tribuna magazine • 55
Cinema
Il cinema che cambia: il teatro in sala
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Guida ai film di novembre di Gabriele Lingiardi
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iciamolo subito, tanto ormai la rubrica la conoscete e non devo stare a spiegarvi che in questo spazio prendiamo in esame i film in uscita e proviamo a indovinare se meritino una visione, questo mese abbiamo un bel po’ di film antitetici tra di loro e… Un capolavoro. Spero di avervi incuriositi, ma non aspettatevi che sveli il titolo prima della fine di questo pezzo. Partiamo con la prima coppia di opposti: il film d’animazione che potete fare vedere ai vostri figli, nipoti, fratelli e quello che non potete mostrargli fino a quando non avranno almeno 14 anni. Kubo e la spada magica è il titolo da ricordare. Il film racconta la storia di Kubo, un ragazzo che vive nell’antico Giappone. Quando un giorno, per errore, egli evocherà uno spirito assetato di vendetta, dovrà intraprendere un viaggio alla ricerca dell’armatura del padre. La casa di produzione, la Laika, è la stessa che ha portato sullo schermo quel gioiellino di Coraline e la porta magica. La tecnica utilizzata per fare muovere i personaggi è lo stop motion, questo significa che sono state costruite delle riproduzioni in scala dei protagonisti, e che sono state spostate di poco ad ogni fotogramma, per ricreare l’effetto di movimento a 24 fotogrammi al secondo. Un lavoro sempre affascinante che non tramonterà mai. L’altro film d’animazione del mese, che invece vi sconsiglio di vedere a cuor leggero, è Sausage Party. La storia di una salsiccia in crisi esistenziale, assieme ad altre cibarie, è infatti anche un film irriverente già dal trailer in cui, grazie a questo particolare punto di vista, anche sbucciare una patata può diventare una terribile tortura. Dietro all’operazione c’è il comico Seth Rogen, salito agli albori della cronaca grazie a The Interview. La ragazza del treno, trasposizione filmica dell’omonimo bestseller, se la dovrà vedere invece con l’attesissimo Animali
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fantastici e dove trovarli. Difficile che non siate ancora venuti a conoscenza dell’esistenza del film ma, nel caso fosse così, voglio essere il primo ad annunciarvi che: J.K.Rowling e il magico mondo di Harry Potter sono tornati! Questa volta siamo nel 1926, a New York, con un nuovo mago: Newt Scamander. Mettetevi comodi perché, dopo questo, ci aspettano ancora ben 4 altri seguiti (ne avremo fino ad oltre il 2020). L’ultima coppia di film che voglio segnalarvi per questo mese è legata al fatto che entrambi sono stati presentati alla Mostra del Cinema di Venezia. Ho avuto la fortuna di poterli vedere, per cui il consiglio sarà più pertinente che mai: Animali Notturni è il nuovo film di Tom Ford. Sì, lo stilista. La verità è che, oltre ad avere uno stile impeccabile, Ford è anche un bravissimo racconta storie. Il film è un thriller tesissimo, a tratti disturbante, recitato da un cast di grandi attori. Fosse per me, gli darei il premio per l’incipit più spiazzante dell’anno. Ma arriviamo all’ultimo film; anche questo è stato presentato a Venezia e credo sia una delle migliori opere di fantascienza dell’ultimo decennio. Direi proprio che questo è il mese di Arrival! Con Denis Villeneuve alla regia (è l’autore di Prisoners e colui che girerà il sequel di Blade Runner) c’era da aspettarsi un bel risultato, ma il film va oltre tutto questo: è una storia sublime sull’importanza della parola e del comunicare, un’ode appassionata all’amore di una madre, un film sulla vita che rinasce e che permane nei ricordi. La trama? Amy Adams interpreta Louise, una linguista che deve trovare un modo di parlare con degli esseri venuti dallo spazio, che fluttuano su 12 punti della terra, in un’astronave a forma di guscio. Non c’è nulla della fantascienza più rumorosa in Arrival. Vedrete in sala invece un film intimo, capace di inventare un linguaggio plausibile e di rendere credibile l’irreale. Non perdetelo! Per questo mese è tutto e, come sempre, ci vediamo in sala!
on è semplice accorgersene, è un cambiamento che sta avvenendo da qualche anno in secondo piano, scandito da eventi speciali e proiezioni limitate. Sto parlando di una radicale trasformazione della sala cinematografica. Seduti sulle poltrone di un multisala si possono guardare film, ma anche assistere a concerti, vedere incredibili mostre d’arte, o assistere a performance teatrali. C’è stato, in passato, anche il tentativo di portare la serie A calcistica in sala, anche se l’esperimento sembra non avere avuto un grande successo. Penso soprattutto a causa dell’impossibilità di “tifare forte” la propria squadra o per il fatto di sedere vicino al proprio avversario. Fatto sta che il cinema, per sopravvivere al cambiamento dei tempi, sì è aperto a nuove funzioni. Tecnicamente potremmo dire che abbiamo scoperto una funzione multimediale del grande schermo, in cui uno stesso luogo modifica la propria funzione per ospitare forme comunicative diverse. Il teatro lo fa da tempo: il palcoscenico può essere sì luogo di rappresentazioni teatrali, ma anche di conferenze, di balletti o di concerti. Il cinema l’ha scoperto di recente. I più attenti avranno certamente notato che, a scadenze piuttosto irregolari, vengono proposti al cinema alcuni eventi speciali, spesso con una finestra di tempo limitata. Spiccano in particolare documentari sulle mostre d’arte, sui grandi musei o monografie sugli artisti, in cui è possibile osservare nei minimi dettagli le opere e approfondire la storia di pittori e illustri personalità del passato. A fianco di questa rassegna ci sono inoltre i grandi eventi live: concerti ripresi e trasmessi in contemporanea in più luoghi del mondo. Una dislocazione spazio-temporale, impossibile prima dell’arrivo della digitalizzazione del segnale video. Questa nuova tecnologia ha permesso di proporre in altissima definizione (alcune addirittura in 4K, che significa una precisione di immagine incredibile) anche alcuni spettacoli teatrali. Gran parte del merito di questa evoluzione va alla Nexo Digital, azienda leader nella distribuzione nazionale ed internazionale di eventi cinematografici. Con l’entrare nel vivo della nuova stagione cinematografica si apre anche una nuova rassegna sul teatro internazionale al cinema. Probabilmente guidata dal successo dell’Amleto,
COME LAVORIAMO interpretato da Benedict Cumberbatch, la Nexo ha deciso di dedicare una serie di eventi speciali al teatro di Kenneth Branagh. La rassegna è già iniziata: ad ottobre abbiamo potuto assistere a Racconto di inverno, co diretto da Rob Ashford e Kenneth Branagh. Il 29 novembre la rassegna continuerà con Romeo e Giulietta, con Derek Jacobi, Lili James, Richard Madden e Meera Syal. Il 10 gennaio potremmo assistere invece a The entertainer di John Osborne. Gli spettacoli saranno sempre in lingua inglese, sottotitolati in italiano. Una grande occasione per apprezzare la finezza della recitazione di Branagh, in un’esperienza immersiva che cerca di fare sentire lo spettatore proprio come se fosse all’interno del Garrick Theatre di Londra. Certo, la fisicità, il senso della prossimità, che è tipico del teatro, non potranno mai essere sostituiti. Per quanto le dirette streaming possano essere fedeli, non ci sarà mai il “brivido” della messa in scena live, il rischio di un’esecuzione non perfetta, in balia degli eventi. Il punto di vista obbligato dalle scelte registiche, legate alle inquadrature e al montaggio, che comunque è presente in questo tipo di trasposizioni, allontanano quel profumo di teatro che tanto si può amare. Detto questo, l’altro lato della medaglia è l’occasione imperdibile di assistere a delle rappresentazioni sul palcoscenico a cui, difficilmente, si potrà mai assistere dal vivo (per lo meno senza impoverire eccessivamente il portafoglio). Queste esperienze cinematografiche non vogliono essere esaustive ma possono diventare un’occasione per alimentare la propria curiosità, per approcciarsi da lontano a delle opere d’arte, quali dipinti, balletti, rappresentazioni sceniche, che difficilmente potremmo vedere in un altro modo. Il cinema sta cambiando per farci assaporare il profumo di un mondo artistico vastissimo ed estremamente stimolante. Forse, due ore in sala potranno essere l’inizio di un’infinita curiosità. G.L.
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Novità tecnologiche
Playstation VR, arriva la realtà virtuale di Diego Defendini
Buon rapporto qualità-prezzo e qualche incognita per gli occhiali per la realtà virtuale di Sony
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e nelle prossime settimane vedrete i vostri nipoti, i vostri figli o i vostri amici indossare strani occhialoni e, seduti su una sedia, muoversi come ossessi, state tranquilli, non stanno impazzendo e non sono indemoniati, ma hanno semplicemente acquistato i nuovi Playstation VR, gli occhiali per la realtà virtuale da collegare alla console Playstation 4, lanciati ufficialmente sul mercato lo scorso 13 ottobre. Ma cosa sono gli occhiali per la realtà virtuale, chiederete voi? Si tratta di un visore da indossare, a metà strada tra un copricapo e un occhiale, con due lenti speciali all’interno. Tramite queste lenti vengono proiettate immagini ad alta definizione, che danno a chi le indossa la sensazione di trovarsi proprio lì, nel bel mezzo della scena, che cambierà di volta
in volta in base al videogame con cui si sta giocando. Grazie alla presenza di giroscopio e altri vari sensori, le immagini proiettate si spostano col movimento della testa facendo assecondando la visuale ai propri movimenti, dando ancor più la sensazione di essere proiettati all’interno dell’ambientazione di gioco. I PS VR non sono gli unici visori di questo tipo ovviamente, ve ne sono in commercio altri anche più potenti e decisamente più costosi, ma in questo Sony è stata veramente imbattibile; ha infatti presentato un prodotto dal rapporto qualità-prezzo ad oggi insuperabile. Al costo di 399 euro, meno della metà dei device della concorrenza, propone ai giocatori un prodotto di qualità molto alta a un prezzo competitivo. Ovviamente non è tutto rose e fiori per questi occhialoni, che presentano diverse
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incognite. Prima tra tutte la qualità e la quantità dei videogames che li supporterà, cosa essenziale per poterli tenere in “vita” senza mandarli subito nel limbo dei gadget elettronici che hanno fatto flop. Inoltre, cosa ancora più importante, resta da scoprire se il visore saprà non essere solo un “gingillo” per pochi appassionati, che verrà accantonato dal videogiocatore medio dopo qualche sessione di gioco, in favore del meno spettacolare ma più semplice e pratico controller, che non necessita di tutti i vari movimenti del corpo necessari per utilizzare il PS VR. Da appassionato di videogames ammet-
Le Aziende informano
Speed Queen: non solo bucato
S to di essere molto incuriosito da questo prodotto anche se, ad oggi, non lo reputo fondamentale per poter giocare, e bene, coi i nostri amati giochi. Certo, Natale non è cosi lontano e sicuramente molti nipoti e figli, di tutte le età, sarebbero entusiasti di ricevere un regalo simile. Sempre che 400 euro rientrino nel vostro budget, altrimenti, se il vostro portafoglio non permette un tale esborso, meglio virare su altro, che sai un videogame o altro, e rimandare il regalo degli occhialoni a data da destinarsi, quando saranno usciti molti altri giochi che siano in grado di sfruttarli e magari il prezzo si sarà abbassato un poco.
peed Queen è la scelta numero uno per gli operatori di lavanderie commerciali negli Stati Uniti ed il suo concept, ora esportato in tutto il mondo, è di casa anche nella Gera d’Adda. Da sei mesi, infatti, a Treviglio, via Pontirolo n. 18 è l’indirizzo per chi non si accontenta di fare un semplice bucato. Producendo apparecchiature per lavanderia da più di 100 anni, Speed Queen oggi è il numero 1 al mondo nell’attività self service. Le sue lavatrici e asciugabiancheria hanno superato le prestazioni e la durata dei prodotti concorrenti, offrendo, carico dopo carico, risultati eccezionali. All’avanguardia nella tecnologia, Speed Queen offre funzionalità interattive e innovative che rendono l’utilizzo delle macchine più semplice e intuitivo. Anche l’ergonomia e il design sono studiati accuratamente per ottimizzare l’utilizzo quotidiano dell’intera gamma di prodotti. Essi si suddividono in due tipologie, entrambe professionali: asciugatrici (14 kg di carico) e lavatrici (da 8 o 14 kg di carico). Le prime sono particolarmente comode non solo in inverno, o in caso di maltempo, ma ogniqualvolta si abbia necessità di contenere i propri tempi ed avere il bucato asciutto in brevissimo tempo; le seconde, dotate di detergenti inseriti automaticamente dalla macchina,
garantiscono un risultato migliore rispetto al lavaggio casalingo. Anche le esigenze di sicurezza non sono disattese, poiché ogni ciclo di lavaggio comprende un processo di igienizzazione grazie al quale vengono disinfettati sia i capi che la macchina. L’uso dei macchinari è intuitivo, basato su quattro semplici passaggi, e assolutamente alla portata di tutti. Inoltre il personale è spesso presente e disponibile, sia in caso di bisogno di aiuto o di un semplice consiglio. Alta capacità di carico e strumentazione all’avanguardia permettono, inoltre, di risparmiare tempo e ridurre i consumi di acqua ed energia elettrica, alleggerendo le bollette di casa. Un’ora e mezzo, al massimo, per lavare ed asciugare il proprio bucato, sia che si rientri dalle vacanze, sia che si abbia a che fare con i lavaggi quotidiani, specialmente quando occorrerebbe fare numerose lavatrici per smaltire tutto o riempirsi la casa di stendini per far asciugare la biancheria. Speed Queen non permette solo fare il bucato, ma in un ambiente confortevole offre tutta una serie di prodotti in più, quali la connessione wi-fi gratuita e distributori di bevande, affinché ci si possa sentire a proprio agio nel tempo che si trascorre in lavanderia. Speed Queen: risultato professionale in un ambiente dove ci si sente a casa.
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Sport
Caravaggino il CT della nazionale di Trial bike di Franco Galli
Il Commissario Tecnico della Nazionale di trial bike ci guida alla conoscenza di questo sport
“O
h cavolo, non lo sapevo!”: è questa la risposta più comune che sento quando spiego che a Caravaggio ci sono un bike park e una scuola di ciclismo fuoristrada: mountain bike, BMX e trial; ed è appunto su quest’ultima che ci intratteniamo con il caravaggino Angelo Rocchetti, già Maestro di ciclismo negli attuali 3 livelli formativi, e Commissario Tecnico della Nazionale di trial bike. Ci puoi spiegare cosa è il trial e quali sono le sue origini? «È una specialità del ciclismo fuoristrada tra le più giovani e moderne, riconosciuta dall’UCI (Unione Ciclistica Internazionale). Si svolge su percorsi naturali (rocce, tronchi sassi) e artificiali (tubi, cementi, prefabbricati). Salti, evoluzioni e spettacolarità sono gli elementi predominanti: nelle gare, su più zone, vengono individuati dei tracciati obbligati che devono essere percorsi dagli atleti senza mai appoggiare i piedi a terra, vince chi totalizza meno penalità. Originata dalla disciplina motociclistica, ha subito avuto un enorme sviluppo specialmente nelle nazioni trainanti: Spagna, Francia e Germania». Ad oggi com’è lo stato di salute del trial? «A livello internazionale molto buono, anche se non equamente distribuito in tutti i continenti. L’Europa la fa da padrone, ma risulta praticato ormai in tutto il mondo. In Italia, pur non avendo grandi numeri, abbiamo raggiunto un buon livello. Nell’ultimo campionato del Mondo abbiamo confermato la 5ª posizione come team nazionale, ed abbiamo raggiunto dei buoni risultati a livello individuale con due atleti in 7ª posizione. Nei campionati euro-
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pei di due anni fa abbiamo guadagnato un argento, quest’anno un 4° e un 6° posto: il trend è in crescita». Come vedi il suo futuro? «Visto lo sviluppo del BMX, approdato alle Olimpiadi di Pechino, mi auguro che diventi presto disciplina olimpica: è da diversi anni che se ne parla. Il trial, dopo una prima fase di assestamento, si sta dimostrando sempre più completo e performante. Anche gli atleti e le Federazioni nazionali ci credono e vi investono, nella consapevolezza che le capacità tecniche acquisite possano giovare alle qualità in generale dei ciclisti, specialmente in ambito fuoristrada. La multidisciplinarietà trova in questi sport, specie nel settore giovanile, la massima espressione e concretezza: le abilità di guida in ambito ciclistico vanno sviluppate e allenate sin dalla giovane età». Sembra uno sport affascinante, a volte anche facile, invece... «Non credo che esistano sport più o meno facili, ma delle opportunità che possiamo offrire ai nostri ragazzi. Il trial è sicuramente una di queste. Inoltre ha un grande vantaggio: è particolarmente spettacolare e coinvolgente». Bisogna essere super eroi? «Occorre fare le giuste tappe nei momenti e con i tempi giusti. Purtroppo, molti ragazzi credono di poter imparare velocemente per poter subito eseguire le evoluzioni che vedono fare dai più esperti. Dobbiamo invece insegnare loro ad avere pazienza e seguirli nelle tappe obbligatorie. Le capacità tecniche, nella fase iniziale, sono predominanti, per cui occorre avere molta costanza, passione e dedizione. Solo dopo si vedranno veramente i primi miglio-
Da sinistra: La squadra italiana ai mondiali in Val di Sole: alle spalle degli atleti il CT Angelo Rocchetti Diego Bani, atleta tesserato con la Società Caravaggio Off Road e facente parte della squadra Nazionale, in CDM in Francia Jack Carthy al Camp del Mondo in Val di Sole
ramenti che, applicati ad una corretta preparazione fisico-atletica, permetteranno di raggiungere i primi veri risultati anche in ambito agonistico. La causa della difficoltà di espansione di questa disciplina, che è anche parte di un attuale e diffuso modo di pensare, è il volere tutto, facile e subito». Il trial appare più statico rispetto al ciclismo, eppure la fatica c’è: è più fisica o mentale? «Entrambe. Servono coordinazione ed equilibrio, tecnica, forza esplosiva e tanta concentrazione. La difficoltà è appunto mantenere sempre alto il livello di tutte queste capacità che risultano indissolubilmente collegate. Non a caso, gli atleti di altissimo livello hanno grandi doti tecniche, atletiche e tanta tanta esperienza». Agli ultimi mondiali in Val di Sole c’è stata una buona affluenza di pubblico, variegato e corretto negli incitamenti. «Questo aspetto ci fa onore. A partire dal Giro d’Italia, fino alle gare amatoriali ho sempre riconosciuto una correttezza nel pubblico, che spesso è da esempio in un mondo sportivo che ci ha abituato a ben altre situazioni. Gli appassionati del trial, proprio per la sua spettacolarità, sono soliti applaudire i gesti di tutti gli atleti, al di sopra di ogni preferenza. In Val di sole ho trovato un pubblico particolarmente spontaneo, entusiasta e imparziale». Si dice sport per tutti: vale anche per la tua disciplina? «Sicuramente sì: è uno sport per tutti, senza rischi e pericoli. Chiaramente tutto è relativo e deve essere proporzionato al livello, all’età e alle capacità. Si può praticare già dai sei anni, appena si riesce a stare in bicicletta, misurando le proprie capacità con facili esercizi singoli o di gruppo, molto divertenti». Serve una bicicletta speciale? «Sì, le biciclette da trial sono molto particolari: piccole, con un manubrio molto largo, ruote da 20 o 26 pollici con copertoni molto larghi e artigliati. Non hanno cambi, non hanno la sella, ma freni molto
potenti che permettono di rimanere statici sugli ostacoli». Il CT è più selezionatore o più allenatore? «Entrambe le cose. Quando mi hanno affidato questo incarico, quattro anni fa, sapevo di dover lavorare anche per migliorare la consapevolezza dei trialisti italiani sia in ambito tecnico che atletico. Dopo qualche diffidenza iniziale i ragazzi della nazionale hanno condiviso questa convinzione e hanno lavorato a 360 gradi». Qual è la nazione più forte? «La Spagna, la Francia e in generale le nazioni Europee, con grande tradizione, numeri e esperienza. Oltre a queste, e specialmente a livello giovanile, il Giappone sta emergendo molto bene, a dimostrazione di aver compreso la necessità di partire dai più piccoli. Esistono poi delle eccezioni individuali come l’attuale campione del mondo nella categoria 26’, il giovane britannico Jack Carthy, che ha dimostrato di essere un grandissimo fuoriclasse». La Federazione ti supporta? «Si può sempre fare di meglio». Tre cose che vorresti se avessi una bacchetta magica... «I numeri: nelle nazioni in cui c’è più competizione è automatico e conseguente che si alzi il livello. Per una disciplina così tecnica questa condizione è determinante. La seconda cosa: più strutture in cui praticare questo sport. La terza: un Jack Carthy italiano». Si raggiungono livelli alti di popolarità più come show men che come atleti? «Purtroppo il trial non è molto conosciuto e spesso lo è solo nella sua veste meno agonistica. Anche se Vittorio Brumotti ha contribuito a portarlo al grande pubblico non sempre quello che è emerso è il vero spirito della disciplina. Comunque tutto può servire, basta farne un buon uso». Nella Società sportiva in cui alleni esiste anche uno spettacolo di trial show… «Lo show che il gruppo “Evolution Team” della società Caravaggio Off Road propone ha una particolarità: è fatto da ragazzi giovani a dimostrazione che è uno sport per tutti e questo lo rende assolutamente unico nel suo genere. Per questo vorrei dare un suggerimento a tutti i genitori: fate provare ai vostri figli questa splendida disciplina, non c’è nulla da perdere, solo da guadagnare Provare per credere». Novembre 2016 •
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Le ricette di Erika Resmini
Gnocchi di zucca Ingredienti (per 4 persone): • 1 zucca di circa 1 kg • 1 patata • 1 uovo • farina di riso q. b.
Per il condimento: • 50 gr di taleggio • salvia • acqua
Carpaccio di zucca Ingredienti (per 1 persona): • 2 fette di zucca
Per la salsa: • 1/2 cipolla • 1 cucchiaino senape • 1 cucchiaio abbondante maionese • 1 cucchiaio di aceto di vino bianco • 1 cucchiaio di olio di semi • erba cipollina • sale
Cubotti miele zucca e zenzero Ingredienti: • polpa di una zucca (700 gr circa) • 100 gr miele • 1 uovo • 2 cucchiai farina 0 • 1 cucchiaio zenzero fresco grattugiato
Al prossimo numero, con tante idee per le feste! 62 • tribuna magazine • Novembre 2016
Le Aziende informano
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agliare la zucca grossolanamente, senza sbucciarla, ed immergerla in acqua bollente insieme alla patata. Lessare, lasciare raffreddare, togliere la polpa della zucca con un cucchiaio (è un modo veloce visto che la zucca è dura da tagliare). Unirvi, in una ciotola, la patata, schiacciando con una forchetta. Aggiungere l’uovo, il sale e la farina, fino a raggiungere un impasto consistente, dal quale ricavare gli gnocchi. In una pentola a parte far sciogliere il taleggio con la salvia e diluire a piacimento, mescolando per evitare grumi. Immergere gli gnocchi in abbondante acqua salata; quando vengono a galla raccoglierli con una schiumarola. Unire alla crema di taleggio, mantecare, impiattare. Buon appetito!
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agliare la zucca a fettine sottili e adagiarla su un piatto. Nel frattempo preparare il condimento nel bicchiere del frullatore ad immersione: mettere la cipolla a pezzi, la maionese, un pizzico di senape, l’aceto, l’olio. Salare e frullare il tutto, riducendolo in crema. Posare la crema sulla zucca e cospargere di erba cipollina. A voi l’assaggio!
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essare la zucca, ricavandone la polpa. Passare al mixer, aggiungendo: zenzero, miele, uovo, farina e zucchero. Foderare una teglia con carta forno, versare l’impasto battendo la teglia su di un piano per uniformare il tutto. Infornare a 180°C per 30 minuti circa. Tagliare il dolce a cubetti o a vostro piacimento ed ecco pronto un dolce sano (la combinazione zenzero-miele si dice anche che sia afrodisiaca).
La Kinesiologia L a mission del poliambulatorio specialistico è quella di assicurare che l’alta qualità dei professionisti e delle tecnologie presenti siano sempre tese a realizzare un servizio di eccellenza, nel campo della medicina specialistica orientata verso l’utente e rispettosa di tutti i suoi bisogni. La kinesiologia è solo una delle specialità offerte, e tramite questa lettura è possibile compiere un’attenta indagine di ogni problema e individuare le cause che ne stanno alla base. La kinesiologia specializzata rileva e corregge squilibri di tutto il sistema e non si focalizza solo sui sintomi specifici. È un metodo con cui il terapeuta riceve informazioni sugli squilibri energetici dell’individuo attraverso test muscolari, individua la tecnica appropriata da mettere in atto e verifica successivamente se la correzione è avvenuta. Il test muscolare consiste in una pressione variabile sui muscoli e nell’analisi della qualità di risposta dei muscoli stessi. Poiché i muscoli registrano variazioni della fisiologia del corpo, manifestandole con maggiore o minore tensione, attraverso i test muscolari e l’analisi della variazione nella risposta, il terapeuta riesce ad individuare con precisione la presenza di uno squilibrio e dove questo è localizzato, cioè se proviene dalla sfera emotiva, nutrizionale o strutturale. Al termine del trattamento la stessa tipologia di test muscolare permette al terapeuta di verificare se la tecnica di intervento applicata ha ottenuto gli scopi previsti attuando il riequilibrio necessario.
Cooperativa Sociale
Le correzioni kinesiologiche messe in atto dal terapeuta stimolano il corpo e la mente ad una guarigione autonoma, per qualsiasi tipo di sintomatologia, questo è il motivo per cui i sintomi spariscono senza interventi diretti. Inoltre, poiché le malattie sono il risultato di un accumulo di stress fisicoemotivo che sfocia in sintomi fisici, ricevere trattamenti di kinesiologia è un ottimo modo per prevenire questo accumulo, con benefici notevoli a tutti i livelli.
Alcuni disturbi che hanno trovato beneficio con i riequilibri kinesiologici: - problemi posturali - problemi di peso - squilibri alimentari - problemi intestinali - mal di stomaco, esofagite, colite - cefalea - dolori articolari - difficoltà psicomotorie - miglioramento performance sportiva - stiramenti, strappi e contusioni - disturbi mestruali, candidosi, cistiti. Per info/prenotazioni, contattare il nostro centro dove verrete seguiti da personale altamente qualificato. CENTRO INFERMIERISTICO e POLISPECIALISTICO Via Balilla, 66 - Romano di Lombardia Tel. Fax 0363 222249 www.9coop.it - prenotazioni@9coop
Novembre 2016 •
tribuna magazine • 63
Le Aziende informano
Area euro: si riaffaccia l’inflazione e la Bce potrebbe fermarsi
I
prezzi al consumo nell’Eurozona, secondo la stima diffusa da Eurostat, sono cresciuti dello 0,4% dal +0,2% precedente. A livello core l’inflazione risulta stabile a +0,8%. A livello europeo si osserva un aumento dell’inflazione, con una accelerazione delle pressioni sui prezzi in Germania e l’uscita dalla deflazione della Spagna, per la prima volta dal 2014. Se l’Opec taglierà effettivamente la produzione, favorendo un aumento dei prezzi del petrolio, ci si aspetta che l’inflazione possa proseguire la sua graduale accelerazione. Anche se le pressioni sui prezzi nell’Area euro rimangono ridotte, la direzione intrapresa è certamente positiva e costituisce, a nostro avviso, una notizia incoraggiante per la Banca Centrale Europea. In un contesto di crescita e inflazione in costante, seppur lento, aumento, potrebbe infatti non esserci la necessità di ulteriori significativi interventi da parte della Bce, al di fuori dell’estensione dell’attuale programma di Quantitative
di Daria Locatelli
Easing oltre marzo 2017. Al contempo, in considerazione della fitta agenda di appuntamenti elettorali dei prossimi mesi, la Bce resterà vigile e pronta ad intervenire in caso di necessità. Il segno più è tornato anche sull’inflazione italiana: a settembre, secondo le stime preliminari diffuse dall’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo registra un aumento dello 0,1% rispetto a settembre 2015, da -0,1% ad agosto. Si tratta del primo segno positivo su base annua dopo sette mesi consecutivi con diminuzioni tendenziali. team.advisor.3v@gmail.com
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In ricordo di Domenico Durante
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a recente scomparsa di Domenico Durante, nato a Reggio Calabria e trasferitosi molto giovane nella nostra città, porta con sé quella scia di ricordi e parole che è propria di chi si è speso con passione in tutte le attività che lo hanno visto protagonista: un reggino innamorato di Treviglio e che ha saputo donare molto alla sua seconda patria. Domenico è riuscito a contraddistinguere, con il suo carattere e la sua vitalità, tutti gli impegni che ha onorato fino al 9 ottobre scorso, quando si è spento a 68 anni a causa di una malattia incurabile. Un uomo dalle molteplici sfaccettature: laureato in Giurisprudenza all’Università di Milano, dirigente di Assolombarda (Associazione lombarda degli imprenditori), presidente dell’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti), candidato alle ultime elezioni amministrative in una lista civica, nonché appassionato di giornalismo, specie in materia sportiva. In qualità di dirigente accompagnatore, aveva portato in finale la squadra di volley femminile di Cassano d’Adda ed era, inoltre, esperto di
Premio
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l Marelet è il miglior bar d’Italia: lo dice la guida “Bar d’Italia del Gambero Rosso 2017”. L’ambìto riconoscimento, premio Illy Bar dell’anno, è arrivato nella mattinata di venerdì 14 ottobre al Macro Museo di arte contemporanea a Roma, dove una rappresentanza dell’equipe dei Colleoni ha allestito un tavolo con le proprie proposte di bar-pasticceria. “Il Marelet di Treviglio è il locale che meglio interpreta il bar del terzo millennio, accogliente e moderno, con un’offerta gastronomica di alto profilo, modulata sulle esigenze più diverse”, ha detto la curatrice della pubblicazione, Laura Mantovano. Il premio, giunto alla sua 15° edizione, è stato assegnato da una giuria di giornalisti, e consiste in un viaggio a New York, in occasione del Premio Internazionale sul caffè Ernesto Illy. Il connubio fra tradizione, esperienza e tecniche della ristorazione gastronomica applicate a un format
i professionisti informano
Il tributarista in pillole
ph Appiani
Spese di rappresentanza e di vitto alloggio: differenze
basket: un amore per lo sport che traspariva negli articoli e nelle interviste, alcune delle quali realizzate anche in collaborazione con Tribuna Srl, portando alla memoria personaggi e storie delle varie discipline con il suo indiscusso stile di qualità. Anche il volontariato faceva parte del caleidoscopio del suo vissuto, come testimonia il suo impegno nell’associazione Amici di Gabry, il gruppo che si spende per la sensibilizzazione sulla tematica del cancro e per la vicinanza a coloro che incontrano la malattia sul loro percorso. Una figura che ha lasciato il segno quella di Domenico: lo fanno le sue parole, i suoi articoli, i ricordi delle persone che hanno trascorso del tempo insieme a lui e, ne siamo certi, lo fa tutto quello che egli ha donato alla sua seconda città, che ha saputo farlo innamorare della nostra terra e che, da lui, ha ricevuto molto.
diverso, quello del bar-pasticceria-trattoria, è stata l’arma vincente di questo locale aperto da poco più di un anno, e che rappresenta il passaggio dalla Trattoria con alloggio tradizionale che era il vecchio Marelet del 1890, da cui ha preso il nome, all’osteria-alloggio del Terzo millennio (18 le camere a disposizione). «Siamo felicissimi, non ce l’aspettavamo – ha dichiarato Paolo Colleoni – perché abbiamo cominciato da poco... Ma lavoreremo sodo per continuare a meritarci questo riconoscimento e portare alto il nome di Treviglio nel mondo!». D.I.
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rattiamo, in sintesi, un argomento caro a tutti gli imprenditori, che siano essi Ditte Individuali, Società di Persone, Società di Capitali, Professionisti. La differenza tra le spese di rappresentanza e quelle alberghiere, o di vitto e alloggio, si sintetizza in modo chiaro ed è di comprensione immediata. In taluni casi può sorgere qualche dubbio circa il confine (spesso frainteso) tra spese per alberghi e ristoranti da un lato e spese di rappresentanza dall’altro. Innanzitutto è indispensabile e necessario distinguere tra: spese sostenute per alberghi e ristoranti non qualificabili come spese di rappresentanza; spese per alberghi e ristoranti assimilabili alle spese di rappresentanza e altre spese di rappresentanza. A tal proposito, il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 19 novembre 2008 ha individuato i criteri di definizione di tali spese, specificando quali non costituiscono spese di rappresentanza qualificandole come spese per vitto e alloggio: le spese di vitto, alloggio e viaggio, sostenute da tutte le partite iva (che siano imprenditori individuali o società) per ospitare clienti, anche potenziali, in occasione di mostre, fiere, esposizioni o eventi in cui sono esposti beni o servizi prodotti o erogati dall’impresa; sostenute da imprese che si occupano dell’organizzazione di manifestazioni fieristiche ed eventi simili, per ospitare clienti, anche potenziali, se le spese sono finalizzate alla promozione di specifiche manifestazioni espositive ed eventi simili; infine sostenute da imprenditori individuali per partecipare a fiere, mostre, eventi simili in cui sono esposte o promossi beni/servizi dell’impresa o comunque attinenti all’attività caratteristica dell’impresa. Tutto quello che non sono spese di vitto, alloggio, viaggio o alberghi descritte sopra, sono da considerarsi spese di rappresentanza. La distinzione tra spese di rappresentanza da un lato e spese di vitto alloggio dall’altro è molto importante, in quanto da essa conseguono trattamenti fiscali differenziati, sia ai fini IVA che ai fini delle imposte sui redditi. Infatti in linea generale le spese di rappresentanza si caratterizzano per l’indetraibilità dell’IVA e la deducibilità del costo secondo regole particolari (limite in
percentuale a scaglioni da applicarsi sul volume di ricavi caratteristici), fatta salva l’ipotesi di beni di valore unitario non superiori ad euro 50 (che sono deducibili completamente); le spese di vitto e alloggio, ovvero spese di albergo, di viaggio, di somministrazione di alimenti e bevande, permettono la totale detraibilità dell’IVA e, ai fini delle imposte sui redditi, sono deducibili nella misure del 75%. Nella dichiarazione dei redditi sono previsti specifici campi finalizzati alla verifica e applicazione delle differenti limitazioni stabilite dal TUIR. Lascio l’analisi specifica delle suddette spese a tutti voi con i vostri professionisti e la giusta collocazione nei relativi quadri delle dichiarazioni dei redditi. In breve, hanno un trattamento particolare tutte quelle spese di vitto e alloggio sostenute dalle aziende per trasferte dei lavoratori dipendenti e assimilati; il DL 112/2008 ha modificato, in parte, la disciplina fiscale prevista in ordine alla deducibilità delle spese di vitto e alloggio per trasferte dei lavoratori dipendenti ed assimilati, distinguendo tra trasferte operate fuori dal comune (sede dell’azienda) o all’interno dello stesso. Giovanni Ferrari Tributarista Novembre 2016 •
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La Vignetta di Juri Brollini
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