Tribuna magazine 2017 07 08 web

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Mensile di approfondimento di Treviglio e Gera d’Adda

Anno 2 - n. 7 – Luglio/Agosto 2017

Euro 3,00

ph Appiani

Da fare Longaretti, un ricordo L’album di Ovest: in viaggio tra le polemiche Luglio/Agosto 2017 • tribuna magazine • 1


Da fare 2 • tribuna magazine • Luglio/Agosto 2017


ph Appiani

Editoriale

T

reviglio perde uno dei suoi più illustri rappresentanti, il professor Trento Longaretti, uomo d’arte. Dopo essere stato a lungo festeggiato per il raggiungimento del centesimo anno di vita, passato anche quest’ultimo a lavorare, il Maestro (anche se lui non amava essere chiamato così) ci ha lasciati. Moltissime le testimonianze di chi l’ha conosciuto, degli esperti d’arte, della stampa locale e nazionale, che hanno raccontato il grande affetto e la stima che tutti avevano per lui. Non poteva mancare l’omaggio di Tribuna Magazine, non solo con una doverosa copertina realizzata dal nostro Enrico Appiani, splendida simbiosi fra l’uomo e la sua opera, dove l’artista trevigliese quasi diventa uno dei suoi personaggi; ma anche con la testimonianza della nostra giornalista Daniela Regonesi, che un paio d’anni fa varcava con curiosità e ammirazione la soglia dello studio di Longaretti a Bergamo. E intanto anche la nostra città si prepara ad affrontare l’estate nel migliore dei modi. Si è appena conclusa la quarta edizione del Treviglio Vintage, e per tale motivo questo numero è in edicola eccezionalmente il 15 del mese. Un bagno di folla, di colori e di musica che ha ripagato gli sforzi di chi ci ha sempre creduto e lavorato fin dagli inizi. Tantissimi i visitatori, felici i trevigliesi che hanno apprezzato il clima festaiolo di tutta la città per l’intero weekend. Trovate in questo numero un bel reportage fotografico dei momenti più belli della tre giorni di full immersion nel vintage. L’estate è il tempo del viaggio, dello svago, degli spostamenti: per questo abbiamo voluto declinare il tema “turismo” in tutte le maniere possibili, da quelle più “serie”, come l’approfondimento tematico sul rapporto Annuale dell’Osservatorio Turistico della Provincia di Berga-

mo, per capire lo stato di salute del turismo nella nostra provincia; a quelle più “ludiche”, con un giretto sulle rive dell’Adda, tra amarcord e attualità, o al parco del Roccolo per le anticipazioni sulla festa di Ferragosto; o quelle “virtuali” e più intimistiche, con una riflessione sul significato che i viaggi in alcuni luoghi rilevanti del mondo, come la Terrasanta, possono assumere. A proposito di amarcord: è stato un piacere per noi scoprire il mondo delle majorettes, che per tanti anni hanno dato lustro alla nostra città portando la loro abilità e bellezza in giro per l’Italia: siamo andate a scovarle e loro non si sono tirate indietro, raccontandoci un’epoca, ormai conclusa, con tanto affetto e nostalgia. Non manca però l’attualità, con i risultati delle amministrative a Fornovo ed Arzago, il servizio sulla mobilità a Caravaggio e soprattutto la questione “pendolari”, che a inizio estate ha creato non pochi attriti fra la nostra città e il capoluogo Bergamo, a causa di presunte rimostranze dei pendolari bergamaschi sulle nuove fermate alla stazione Ovest (tali fermate rallenterebbero il loro viaggio verso Milano). Non possiamo credere che ci siano pendolari da considerare “più pendolari” di altri, e che i politici si debbano veder costretti a difendere gli uni contro gli altri; qualcuno ci legge strategie politiche, noi, che siamo buoni, confidiamo nel fatto che sia stato tutto un grande fraintendimento e che le cose andranno a posto in breve tempo, nell’interesse di tutti (specie i poveri pendolari, cui va la nostra sconfinata solidarietà). Il nostro giornale torna a settembre, con tanti approfondimenti sulla realtà del nostro territorio. Nel frattempo, buona lettura e... buon viaggio! D.I.

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4 • tribuna magazine • Luglio/Agosto 2017

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Sommario 8 IN COPERTINA

44 MUSICA

Calycanthus: il coro che fa fiorire le voci

100 volte grazie Professore

di Daniela Regonesi

Maestro e Gentiluomo

47 LIBRI

di Maria Gabriella Bassi

Teologia e poesia

10 TERRITORIO

Turismo, sì ma come? Una struttura al servizio del turismo

Libro, moschetto e cazzuola

di Cristina Signorelli ph Appiani

di Cristina Signorelli

26 AMBIENTE

In viaggio, tra le polemiche Estate a Cassano, Essere pendolari città delle acque

di Ivan Scelsa

16 Quartiere Ovest più vicino di Daria Locatelli

Caravaggio cerca la sua mobilità di Daniela Invernizzi

I risultati del voto

di Daria Locatelli

Elisa Marti, attrice a New York

di Daniela Regonesi

di Marco Falchetti

di Daniela Invernizzi

Un cavallo per amico di Cristina Signorelli

56 A Cardiff,

con lo Juventus Club

57 RICORDO

di Franco Galli e Milva Facchetti

Ferragosto al Roccolo

Housing sociale “Il cortile”: abitazioni a misura d’uomo

di Daniela Regonesi

36 INTERVISTA DOPPIA

Un messaggio forte e chiaro: go vote Mantenere i contatti online

Partire, viaggiare, scoprire Check-in e Check point

Sfilano le Majorettes

24 SOCIETÀ

52 AMARCORD

Non-posso-vivere-senza Il regno dei gadget

Gli Alpini di Caravaggio: una realtà consolidata

di Silvia Martelli

a cura di Marco Falchetti

54 SPORT

38 ASSOCIAZIONI

di Daniela Invernizzi

34 MODE

di Daniela Invernizzi

22 UK-IN

di Francesca Possenti

La parola alle Majorettes

Marte vs. Venere

20 PERSONAGGI

Ah le estati al traversino!

18 POLITICA

di Stefano Dati

30 COSTUME

17 URBANISTICA

I “Nidi” di Gianni Villa 51 COM’ERA - COM’È

14 TRASPORTI

di Elio Massimino

50 ARTE

una meta importante

di Pinuccia D’Agostino

48 ARCHITETTURA

13 Il Santuario di Caravaggio:

di Daria Locatelli

di Ingrid Alloni

di Daria Locatelli

41 ABITARE

di Angela Cinelli

Spadon, un vero galantuomo

Il social network della TV

di Gabriele Ghilardi

Clue, il promemoria per il ciclo

Inserto: l’album di

di Erika Resmini

60 LE APP DEL MESE

di Valentina Simone

di Daniela Invernizzi

58 LE RICETTE

42 CULTURA

Adotta il museo

di Ivan Scelsa

di Sara Nisoli

62 LA VIGNETTA di Juri Brollini

2017 Luglio/Agosto 2017 • tribuna magazine • 5


Da fare

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6 • tribuna magazine • Luglio/Agosto 2017

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Anno 2 - n. 7 – Luglio/Agosto 2017

Mensile di approfondimento di Treviglio e Gera d’Adda

Longaretti, un ricordo

ph Appiani

Euro 3,00

L’album di Ovest: in viaggio tra le polemiche

magazine Autorizzazione Tribunale di Bergamo n. 6/16 del 19/04/2016 Anno 2° N. 7 - Luglio/Agosto 2017 Editore Tribuna srl Viale del Partigiano, 14 - Treviglio (BG) www.tribuna.srl - info@tribuna.srl Contatti di redazione tel. 0363.1971553 redazione@tribuna.srl Amministratore Unico Marco Daniele Ferri

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REDAZIONE Direttore Responsabile Daniela Invernizzi Coordinamento Daniela Regonesi Redazione Daria Locatelli, Daniela Regonesi, Ivan Scelsa, Cristina Signorelli Fotografie e contributi Enrico Appiani, Duilio Bellomo, Archivio Cesni, Angelo Comotti, Stefano Dati, Samuele Minetti, Archivio Ronchi, Domenico Vailati Canta, Alessia Zucchelli Hanno collaborato a questo numero Ingrid Alloni, Maria Gabriella Bassi, Juri Brollini, Angela Cinelli, Pinuccia D’Agostino, Stefano Dati, Milva Facchetti, Marco Falchetti, Franco Galli, Gabriele Ghilardi, Bruno Manenti, Silvia Martelli, Elio Massimino, Sara Nisoli, Francesca Possenti, Erika Resmini, Valentina Simone Impaginazione e Grafica Pubblicitaria Antonio Solivari

UFFICIO COMMERCIALE Roberta Mozzali tel. 0363.1971553 - cell. 338.1377858 commerciale@tribuna.srl Stampa Laboratorio Grafico via dell’Artigianato, 48 - Pagazzano (BG) Tel. 0363 814652 www.tribunatv.tv - facebook: Tribunatv

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In copertina

100 volte grazie Professore Trento Longaretti lascia una preziosa eredità di poesia e bellezza di Daniela Regonesi

C

on affetto sincero e onesta tristezza Treviglio ha accolto la notizia della scomparsa di Trento Longaretti, la mattina del 7 giugno scorso. Un cordoglio della Bassa ma non solo: ci siamo risvegliati un po’ più poveri e abbiamo accettato, nostro malgrado, che a 100 anni era fissato il traguardo del suo straordinario cammino. Ma perché questo senso di appartenenza, quasi il sentirlo come un “patrimonio” comune? Sicuramente il Professore è uno dei figli più illustri della nostra terra, ma non è un divo tout court, è un uomo d’arte che l’arte l’ha vissuta, insegnata e praticata – con dedizione e meticolosità – fino all’ultimo. Una persona brillante, disponibile e garbata, di cui chi l’ha incontrato non può non serbare un ricordo positivo. Non è la banale “santificazione” post mortem, è il dispiacere di dover constatare che l’autore di tanti sprazzi di bellezza, che fanno capolino in differenti edifici – sacri, amministrativi, economici, museali – ci ha lasciato. Il talento di Longaretti è giustamente riconosciuto e apprezzato a livello mondiale, ma per “noi” è parte del quotidiano, è scenografia di cerimonie laiche e religiose, di conferenze o appuntamenti. Ed è una nostra grande fortuna. All’artista va riconosciuto il merito di aver contribuito a farci sentire parte di una comunità e, addirittura, di averci “avvicinato” un po’ a Bergamo: se anche aveva scelto il capoluogo di provincia come sua residenza, dai tempi della direzione dell’Accademia Carrara (dal 1953 al 1978), Treviglio era pur sempre orgogliosamente la sua città natale, e volentieri vi tornava o riceveva visite da lì provenienti.

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Le reciproche testimonianze di affetto e gratitudine, tra il professore e la sua «patria», si sono rinnovate soprattutto nel corso del 2016, dedicato ai festeggiamenti per il compimento del secolo di un uomo che sapeva far emozionare e si emozionava; segno questo di sensibilità e timidezza, delicatamente in bilico col riconoscersi un talento oggettivo, che però quasi non rivendicava per sé, considerandolo un «dono divino». È proprio la fede ad averlo accompagnato sia sul lato umano che professionale, portandolo a dare forma e colore ai Vangeli e al loro messaggio di misericordia. Non è solo per la bellezza, che dobbiamo essergli grati, ma anche per il suo porre sotto i riflettori gli ultimi: «Non ho ancora dipinto i barconi», afferma in Memento Homo, il docufilm di Teresa Sala che lo vede protagonista, ma l’attenzione al suo tempo non è mai mancata. Non viveva in una torre dorata a dipingere sogni e ricordi, aveva i suoi punti cardinali, e su di essi orientava la propria produzione artistica: la pietas, la famiglia, l’amore materno e la fede. Ci ha ricordato gli ultimi, raffigurati nei suoi caratteristici personaggi curvi, inquieti, in ricerca, così che non avessimo a dimenticare “i poveri diavoli”, chi sta peggio di noi. Ha celebrato la famiglia – con le sue gioie e le sue difficoltà – ha decantato, con colori ora vividi ora cupi, l’«amore sacro», più profondo e totale, quello materno, e in tante opere ha reso gloria a Dio che gli aveva fatto un regalo così grande. Li ha declinati con disciplina, alzandosi al mattino pronto per esercitare con meticolosità e passione il suo mestiere, e vi ha dato forma con olii, mosaici, vetrate e acquerelli densi di sensibilità, sentimento e poesia.


Trento Longaretti nasce a Treviglio, il 27 settembre 1916, nono di tredici figli. I genitori, con lungimiranza, decidono di coltivarne il talento manifestato già alle elementari, e gli permettono di studiare a Milano, al Liceo Artistico prima e all’Accademia di Belle Arti di Brera poi. Qui saranno fondamentali l’incontro con Aldo Carpi, “maestro di vita ancor prima che di pittura”, e la partecipazione al gruppo “Corrente”, rivista fondata da Ernesto Treccani e cenacolo che riunisce artisti quali Guttuso, Sassu e Birolli. È quindi inviato a combattere al fronte, in Slovenia, Sicilia e Albania. Nel ’42 espone alla Biennale di Venezia, vi ritornerà nel ’48, nel ’50 e nel ’56; la prima personale è dell’anno seguente alla “Galleria La Rotonda” di Bergamo. Comincerà ad insegnare, dirigendo fino al ’67 la Scuola dell’Era a Treviglio (“Corso libero serale di istruzione tecnica per l’insegnamento del disegno professionale”, fondato nel 1940) e nel 1953 vince il concorso nazionale per la direzione dell’Accademia Carrara di Bergamo, nonché la Cattedra di Pittura, divenendo il successore di Achille Funi. Lascerà l’incarico nel 1978 per dedicarsi esclusivamente alla pittura, in un’intensa attività espositiva con personali e collettive in Italia e all’estero. Muore a Bergamo il 7 giugno 2017. Ne “La ricerca del tempo perduto” Vinteuil (il musicista) ed Elstir (il pittore), sono tra i personaggi che rappresentano l’arte, e di essi Marcel Proust scrive: “L’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi

che ciascuno vede, che ciascuno è. Questo noi lo possiamo fare con un Elstir, con un Vinteuil: con i loro simili, noi voliamo veramente di astro in astro”. Questo noi lo possiamo fare anche con Trento Longaretti. Ci mancherà, ma ci ha lasciato in compagnia di tanta bellezza e di altrettanti spunti di riflessione.

Maestro e Gentiluomo Il primo incontro che ebbi sulla pittura bergamasca fu un quadro di Tomaso Pizio che mi folgorò. Il secondo fu un magnifico quadro di Trento Longaretti. Rimasi senza fiato. Abituata ai nostri paesaggi marini, ai nostri contrasti, alle macchie di colore alla Fattori – frequentavo allora l’Accademia “Trossi” di Livorno – ricordo che rimasi a lungo ad osservare le calde tonalità e le pennellate coraggiose e sapienti. Ero con mia madre, in giro per negozi a Bergamo. Il gallerista che notò il nostro interesse ci fece entrare, premuroso, e ci mostrò altri bellissimi quadri. Ignoravo chi fosse questo pittore, ma il gallerista gentile mi informò che era il direttore della prestigiosa Accademia Carrara. Poi l’istinto da commerciante prevalse e ci sussurrò... “E’ molto malato, poveretto, non avrà molti anni da vivere...”. Trucco da vecchio marpione che non portò certo sfortuna al Longaretti, visto che sarebbero passati quasi cinquant’anni prima dell’avverarsi della ferale profezia. Ma fu utile, perché seppi della esistenza dell’Accademia Carrara e mi iscrissi. Trento Longaretti, in camice bianco e papillon, passava silenzioso fra i nostri cavalletti. Non esprimeva mai giudizi tranchant, si limitava a impugnare il carboncino o il pennello e mitigare o correggere le imperfezioni. Chi voleva capire, capiva. Aveva un carisma che non suscitava soggezione o senso di inferiorità, ma affetto. Era come se sentissimo che gli eravamo cari. Un Maestro a cui veniva spontaneo rivolgersi e al contempo dava la sensazione di essere unici.

Ognuno di noi, chi piccolo chi già grande, con la precisa sensazione di crescere creativi e liberi sotto la sua guida. Mai invadente, mai indifferente. La tua figura giganteggerà per sempre nella storia dell’arte bergamasca, italiana e internazionale, ma ancor di più nel cuore di tutte le persone che, come me e come i tuoi allievi più cari, ti hanno stimato come Maestro, e amato come persona. Grazie Trento Maria Gabriella Bassi

Luglio/Agosto 2017 • tribuna magazine • 9


Territorio

Treviglio - residenza in via Galliari

Turismo, sì ma come? di Cristina Signorelli

I

l turismo sta diventando una componente importante dell’economia bergamasca? A giudicare dai risultati delle recenti indagini, forniti dall’Osservatorio Turistico della Provincia di Bergamo (vedi pagina a lato, ndr), la risposta non può che essere positiva. Infatti nel Rapporto Annuale 2016 (Analisi e monitoraggio dei flussi e dell’evoluzione turistica sul territorio bergamasco) sono state registrate in tutta la provincia oltre due milioni di presenze durante l’anno scorso. Ovviamente la parte del leone la fa Bergamo Città che ha saputo in questi ultimi anni ampliare e rafforzare l’offerta, accogliendo i molti turisti attratti da quel piccolo gioiello medioevale che è Città Alta. Più di 550.000 visitatori nel 2016, circa il 27% del totale, che uniti ai quasi 500.000 registrati nella Grande Bergamo, la cintura di paesi che circonda la città, costituiscono oltre la metà di tutti i visitatori approdati in provincia. Viene naturale chiedersi quali capacità attrattive ed organizzative abbia Treviglio di agganciare questi importanti flussi turistici, che i Rapporti annuali indicano in aumento soprattutto di presenze internazionali. I dati di-

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saggregati si riferiscono ad un’area – Bassa Bergamasca Occidentale – che è formata da Treviglio e il comprensorio dei 23 comuni limitrofi (Arcene, Arzago d’Adda, Bariano, Boltiere, Brignano Gera d’Adda, Calvenzano, Canonica d’Adda, Caravaggio, Casirate d’Adda, Castel Rozzone, Ciserano, Cologno al Serio, Fara Gera d’Adda, Fornovo San Giovanni, Lurano, Misano Gera d’Adda, Morengo, Mozzanica, Pagazzano, Pognano, Pontirolo Nuovo, Spirano, Urgnano). Il primo indicatore utile è fornito dal numero di presenze del 2016: quasi centomila turisti (aumentati del 2% sull’anno precedente) di cui il 40% circa composto da stranieri (più 12% rispetto al 2015). Un dato sicuramente positivo che potrebbe far ben sperare sulla volontà imprenditoriale ed istituzionale di fare rete e incrementare l’economia locale anche alla voce turismo. Ma quali sono i punti di forza sui quali lavorare per richiamare forestieri? Vent’anni fa sarebbe parsa una domanda molto astratta, ma oggi che le persone si muovono più facilmente, spinte a visitare luoghi non solo di rilevanza storica, architettonica


e culturale, ma anche naturalistica ed enogastronomica, possiamo invece individuare diversi aspetti di interesse per i turisti. Chi ha consuetudine con viaggi all’estero avrà sperimentato come spesso una buona attività di promozione turistica e di marketing serva ad attrarre grandi numeri di visitatori. Non di rado capita che il viaggiatore affidandosi alle indicazioni delle guide turistiche arrivi alla destinazione tanto decantata, magari avendo fatto una deviazione ad hoc, e si chieda, un po’ costernato, in cosa consiste la bellezza o particolarità del luogo. Non è solo un luogo comune che in Italia siamo abituati bene, i tesori naturali e storici di cui siamo ricchi, seppur troppo spesso sottovalutati, tendono a farci credere che solo un’offerta particolarmente pregevole meriti attenzione e promozione. A ben guardare invece quel che più importa è saper presentare in modo attrattivo e organizzato le peculiarità del territorio, che certamente anche in questa area non mancano. Verso che tipo di turismo può puntare, allora, la Bassa Bergamasca? Poiché la permanenza media è in generale su tutta la provincia molto bassa (circa 2 giorni), possiamo parlare di un turismo mordi e fuggi che si concentra prevalentemente nei weekend e, in conseguenza alla vicinanza dell’aeroporto di Orio al Serio, terzo scalo italiano per traffico passeggeri, visita velocemente la zona nelle brevi soste tra un volo e l’altro. Questo in particolare pare essere vero per il turismo internazionale che nell’ultimo anno ha registrato quasi 40.000 ospiti stranieri nell’area di Treviglio. A questo proposito osserviamo un fenomeno abbastanza insolito: il paese di provenienza del maggior numero di turisti stranieri è stato la Corea del Sud (9.000 presenze) prima di Romania, Germania e Francia. Un fruitore del viaggio così veloce va quindi accompagnato e sedotto con proposte a 360 gradi che gli facciano scoprire le peculiarità del territorio. Appare estremamente importante che l’intera struttura provinciale lavori in sinergia per coordinare un’offerta turistica adeguata alle diverse esigenze, e comunque sempre capace di attrarre nuovo pubblico, come sottolineato alla presentazione del Rapporto annuale dell’Osservatorio dal Presidente della Provincia, Matteo Rossi: «La Bergamasca sta sempre più assumendo un respiro internazionale, e se questo risulta essere un dato ormai consolidato, la sfida oggi diventa quella di lavorare per aumentare il periodo di permanenza sul nostro territorio. È un obiettivo che va assunto a tutto tondo, lavorando sull’accessibilità, sulle infrastrutture, sulla qualità dell’offerta e sulla capacità di fare rete tra pub-

Una struttura al servizio del turismo L’ Osservatorio Turistico della Provincia di Bergamo è stato costituito dalla Provincia, circa una decina di anni fa, come struttura al servizio del sistema imprenditoriale ed istituzionale con il preciso scopo di analizzare l’evoluzione turistica del territorio e, quindi, stimolare il settore ad adeguarsi ai cambiamenti richiesti dai nuovi flussi turistici. A tal fine raccoglie, avvalendosi della collaborazione dei vari soggetti che operano nel settore, tutte le informazioni utili a definire le strategie per favorire lo sviluppo del turismo nella bergamasca. Poiché la provincia di Bergamo è caratterizzata da aree morfologicamente differenti tra loro, che richiamano un pubblico con esigenze diverse, l’analisi dei dati viene realizzata sia a carattere generale che distinta per i singoli ambiti territoriali (città e pianura, laghi, montagna), al fine di predisporre strumenti di programmazione sufficientemente adeguati ad interpretare i fenomeni sia a livello territoriale che in relazione alle diverse tipologie di mercato. L’Osservatorio Turistico, che annualmente presenta il rapporto “Analisi e monitoraggio dei flussi e dell’evoluzione turistica sul territorio bergamasco”, elaborato sull’esame dei fenomeni significativi del mercato turistico, stimola l’adeguamento dell’offerta ai cambiamenti più rilevanti e accompagna alcuni processi di rinnovamento dell’imprenditoria provinciale attraverso supporti formativi o di trasferimento di know-how. C.S.

ph Appiani

L’esame del Rapporto Annuale sui flussi turistici della provincia di Bergamo evidenzia punti di forza e debolezza dell’offerta dell’area

Pagazzano - Castello

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ph Appiani

blico e privato nelle diverse zone della nostra provincia». La casa gotica, giusto per fare l’esempio di una testimonianza storica importante ma nel complesso molto snobbata (provate a cercare indicazioni su internet e non otterrete quasi informazioni), costituirebbe da sola meta di pellegrinaggi se fosse negli Stati Uniti, integrata in qualche pacchetto turistico che porterebbe il visitatore a “usare” al massimo la permanenza in zona, magari organizzando la giornata della pedalata per rogge e fonti, con sosta culinaria in qualche agriturismo locale per assaggiare i prodotti del territorio, quindi una breve visita alle belle residenze di via Galliari, per finire la giornata con la vista del tramonto dall’alto del campanile che ospita il Museo Verticale. Tutto ciò per intrattenere l’ospite in quel di Treviglio, ma un’organizzazione efficiente e coordinata potrebbe integrare i percorsi culturali e naturalistici in tutta la provincia, offrendo al turista uno sguardo più ampio e variegato dei nostri tesori nascosti.

Treviglio - Casa gotica

La ricettività nella Bassa Bergamasca Occidentale: numero strutture 2016-2015 (fonte: Osservatorio turistico della Provincia di Bergamo)

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Come vengono accolti i turisti? Se la programmazione istituzionale è necessaria ad indirizzare tutti i soggetti coinvolti ad un’azione comune, è anche indispensabile avere un’imprenditoria privata pronta ad offrire servizi integrati e completi al turista. Il Rapporto 2016 evidenzia come in questi anni si sia evoluta la capacità ricettiva (vedi grafico) nella Bassa Bergamasca Occidentale: dal 2009 ad oggi ha incominciato a svilupparsi una offerta extra alberghiera sempre più decisa, in linea anche con le nuove richieste dei turisti. In particolare sono stati aperti in questi anni numerosi agriturismi e B&B, in numero tale (17) da eguagliare quello degli alberghi, che, ciononostante, continuano ad offrire un numero di posti letto nettamente superiore. Anche nella provincia di Bergamo sta prendendo sempre più piede una nuova formula di accoglienza turistica: l’affitto della propria casa per brevi periodi. L’ormai famosa sharing economy ha generato un nuovo modo di viaggiare e nuove proposte e soluzioni che rispondono alle esigenze dei viaggiatori. Cresce l’offerta di persone pronte a condividere gli spazi della propria abitazione con degli sconosciuti, così da poter arrotondare lo stipendio, oppure ad affittare il proprio appartamento come


Il Santuario di Caravaggio: una meta importante una meta importante di pellegrinaggi, come dichiara il Rettore, Don Antonio Mascaretti: «Purtroppo non abbiamo la possibilità di verificare in modo oggettivo il numero dei pellegrini che transitano

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Un turismo sui generis, date le profonde motivazioni di fede che lo generano, è quello religioso che ogni anno muove un gran numero di pellegrini. Il Santuario di Caravaggio è da sempre

in Santuario. L’unico dato che possiamo utilizzare è il numero di particole consumate nelle celebrazioni eucaristiche! In questi ultimi anni il numero è costante, e si aggira sui 300mila. È quindi verosimile pensare che i pellegrini possano essere circa mezzo milione ogni anno, concentrati nei mesi da aprile a ottobre». Si tratta di flussi turistici caratterizzati da una permanenza giornaliera, provenienti prevalentemente dalla diocesi di Milano. Ma non mancano i pellegrini stranieri, in particolare brasiliani. Don Antonio aggiunge che è rilevante la presenza dei gruppi di fedeli originari delle Filippine, circa due/tre mila presenze, che la prima domenica di ogni mese si ritrovano per partecipare alla Messa della mattina, in genere all’aperto, con il loro assistente spirituale. I bei giardini che circondano il Santuario vengono affollati nelle domeniche primaverili ed estive da gruppi familiari che, dopo aver partecipato all’Eucarestia, si trattengono per consumare un picnic, o per fare una breve gita. C.S.

casa vacanze mentre si è in giro per il mondo. La diffusione di internet che permette a tutti di entrare in contatto con ogni parte del globo stando comodamente seduti sul proprio divano e diverse piattaforme online specializzate, tra le quali la più famosa è certamente “AirBnB”, che facilitano l’incontro tra domanda e offerta di case per i brevi periodi di vacanza, hanno incrementato anche nella Bassa Bergamasca la proposta di soluzioni per il pernottamento del tutto innovative. Due anni fa la vetrina mondiale di Expo 2015 svoltasi a Milano – davvero troppo vicino a noi per non approfittarne – alla fine si è rivelata una occasione non sfruttata appieno, come indicano i numeri: l’incremento di presenze tra il 2014 e il 2015 è stato del 9%, non certo un grande exploit, seppur va dato merito che quella maggiore affluenza è stata mantenuta e consolidata nel 2016. Il 2018 è stato dichiarato l’Anno Europeo della Cultura, sarebbe bello vedere che, con un gran colpo di reni, anche la provincia di Bergamo saprà dare importanza al patrimonio locale fatto di storia, arte, cultura e buon cibo diffondendo in Italia e all’estero un ’immagine attrattiva di questa terra ricca e varia.

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Trasporti

In viaggio, tra le polemiche Il pendolarismo locale: Treviglio al centro della Regione, anche nella diatriba politica di Ivan Scelsa

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uella che doveva essere una mera questione di pendolarismo locale, si è rivelata un vero e proprio scontro politico che, nato a distanza tra il Sindaco di Bergamo, Giorgio Gori (PD) e quello di Treviglio, Juri Imeri (Lega Nord), ha poi raccolto l’intervento di molti esponenti politici. L’iniziativa di Regione Lombardia di ripristinare quattro fermate giornaliere alla Stazione Ovest di Treviglio (sui treni in transito nelle fasce orarie tra le 06:32 e le 08:32 e le 17.22 e le 18.22) aveva dato il via a due conferenze stampa dei sindaci, ciascuno a supporto del proprio pendolarismo locale. Già, perché a sentire le parti, di problematiche ed utenti ben distinti si starebbe parlando, con Gori ad imputare ritardi nella percorrenza della tratta a causa del ripristino della fermata ed Imeri a replicare e smentire le dichiarazioni del collega orobico con una conferenza indetta solo quattro ore dopo, affiancato dall’assessore Basilio Mangano, il vicesindaco Pinuccia Prandina, Piero Toti e Martina Bove del “Comitato Pendolari Bassa”.

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“Mi ha lasciato basito il contenuto della conferenza stampa di Gori – aveva detto Imeri – visto che si chiede alla Regione di non introdurre le fermate (cosa che ritengo molto scorretta nei confronti di tutto il territorio) nonché si sia sottolineato che il 70% dei pendolari transitano su Bergamo e Verdello e solo il 30% su Treviglio, dimenticandosi che la nostra città abbraccia anche altre province: dal cremasco, al lodigiano, al milanese. Senza dimenticare che il problema è anche trovare posto su questi treni, vista la centralità della fermata sulla tratta. Come Amministrazione abbiamo sempre ritenuto opportuno di non proporre azioni eclatanti per evitare che diventasse la battaglia di Treviglio contro Bergamo. Chiaro che la dichiarazione di Gori rappresenti una fuga in avanti con una chiara colorazione di parte e politica”. A fargli eco le parole di Piero Toti: “Nonostante le richieste di incontro il Sindaco di Bergamo ha sempre rifiutato di incontrarci; visto che ho lavorato nelle Ferrovie per 39 anni, rispondo a Gori con dati di fatto. Indipendentemente


Il Report

Essere pendolari di Ivan Scelsa

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l di là delle posizioni e dichiarazioni politiche, la problematica resta di estrema attualità, con treni che, nelle fasce orarie maggiormente interessate dal pendolarismo, sopraggiungono alla Stazione Ferroviaria Centrale di Treviglio con un numero di utenti tale da non consentire – se non con qualche difficoltà – di trovare un posto a sedere. La voce dei pendolari è pressoché unanime, sia che si parli di Stazione Centrale che della Ovest, evidenziando come le esigenze siano le medesime e la questione da valutare nel suo insieme. Il nostro lettore Angelo Comotti, ad esempio, proprio in quei primi giorni di polemiche, aveva preso il treno delle 08:05 proveniente da Verona Porta Nuova e diretto a Milano Centrale. «Il treno era come sempre pieno – dice il nostro interlocutore – ed ho dovuto viaggiare nell’atrio di due metri quadrati in condizioni incredibili: dodici persone, un cane di piccola taglia, una bicicletta, un trolley e quattro borse morbide da viaggio. La prossima volta che si recherà a Milano, mi piacerebbe riservare al Sindaco di Bergamo un posto nell’atrio, così avremo modo di discutere del motivo per cui sia necessario fermare i treni da e per Bergamo a Treviglio». Temendo che il caso non fosse isolato, un po’ come avrebbe fatto San Tommaso, senza indugiare (vista l’imminente chiusura degli Istituti Scolastici che avrebbe sicuramente variato le condizioni di viaggio), abbiamo voluto verificare necessità e criticità del viaggiatore che, per gran parte dell’anno, deve affidare i propri spostamenti alla rete ferroviaria. Così, il 30 maggio, anche noi abbiamo preso il treno delle 07:27 proveniente da Brescia e diretto a Milano Lambrate. Causa un malfunzionamento tra le stazioni di Romano di Lombardia e Treviglio, il convoglio ha già accumulato 10 minuti di ritardo; al suo arrivo in Stazione la situazione è analoga a quella descritta da Comotti, con area d’accesso ph Comotti

da quanti viaggiatori salgono sui treni, questi devono fermare a Treviglio perché è un punto di diramazione delle linee: i treni devono fermarsi perché è un punto di corrispondenza tra le linee. Ci muoviamo con proposte affinché Treviglio Ovest funzioni al meglio, anche perché non essendoci risorse, occorre sfruttare al meglio la capacità dei treni e delle strutture esistenti. Contestiamo l’esempio del treno preso in considerazione: il ritardo asserito non è provocato dalla fermata (che non vale 7 minuti, ma 2-3 circa) ma dal fatto che poi l’instradamento dei treni vada sulla linea lenta che da Brescia va verso i passanti per Milano”. Dallo schieramento opposto, anche Erik Molteni e Francesco Lingiardi – facendo trapelare tutto l’imbarazzo del PD – erano intervenuti sulla vicenda lasciando ai social network i primi commenti sulla vicenda: il primo contattando subito il collega di partito Gori per programmare un incontro chiarificatore e di fatto appoggiando la battaglia dei pendolari trevigliesi, il secondo, criticando apertamente l’iniziativa dei consiglieri Laura Rossoni e Stefano Sonzogni che, durante il consiglio comunale del 30 maggio, avevano lasciato l’aula. Il tutto, ovviamente, seguito da velenose dichiarazioni. Il consigliere Rossoni, sentita in merito, ha precisato: “Siamo dalla parte dei pendolari e abbiamo accolto con favore le nuove fermate alla Stazione Ovest. Riteniamo indispensabile potenziare il trasporto ferroviario non solo sulla linea Treviglio-Bergamo ma anche sulla linea Milano-Treviglio-Brescia. Questo però non basta: occorre dotare le stazioni di servizi. È inutile che il treno risparmi un minuto nel viaggio verso Milano se ne impieghiamo 15 a trovare parcheggio e poi terminiamo la giornata con una multa sotto il tergicristallo. In Consiglio Comunale abbiamo tentato in ogni modo di discutere di proposte migliorative come queste. Abbiamo presentato un documento e un emendamento alla mozione del centrodestra nei quali era fermo il nostro impegno per il mantenimento delle quattro fermate alla Stazione Ovest. Quando abbiamo visto che il centrodestra rifiutava ogni dialogo solo perché intendeva buttarla sulla contrapposizione politica, ci siamo alzati e siamo usciti dall’Aula. Non ci interessa strumentalizzare politicamente i problemi di lavoratori e studenti che meritano invece serietà e attenzione”. Poi, un po’ a sorpresa, il 12 giugno, il Sindaco Imeri, convoca per un incontro chiarificatore sia Gori che Sorte: nulla di fatto, il rappresentante della Città dei Mille snobba l’invito lasciando così davvero poco spazio al dialogo e la parola all’Assessore regionale: “Erano otto anni – dice Sorte – che si parlava di questa fermata senza ottenerla. Non possiamo non condividere il fatto che questo provvedimento non impatta sui pendolari di Bergamo ed è equilibrato. Non ci fermiamo qui, servono altri provvedimenti per la nostra città. Serve molta collaborazione, molta intelligenza. La grande Bergamo – di cui parla sempre Gori – sparisce con queste 4 fermate? Mi sono reso disponibile ad andare a parlare in consiglio comunale, ma non mi hanno invitato. Peccato, oggi eravamo qui per fare il punto, ma di fatto lui non si presenta. Si è fatta una tempesta in un bicchiere d’acqua. Oggi ci sono state le prime fermate, non mi sembra ci siano stati problemi fra i pendolari. Siamo convinti che la prossima volta Gori ci sarà, ci dicono sia stato un problema di protocollo, anche se l’incontro era stato chiesto dieci giorni fa. Non si ferma la volontà di chiedere a RFI di approvare provvedimenti per accorciare i tempi del collegamento Bergamo-Milano, incrementando i viaggi e riducendo così il traffico su strada”.

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– nelle immediate adiacenze delle porte – occupata da una dozzina di persone (soprattutto studenti con zaini). Il treno delle 07:33 diretto a Milano Centrale non ha nulla di diverso: vagoni vecchi e maltenuti, senza aria condizionata, posti a sedere tutti occupati ed atrio d’ingresso con molti passeggeri in piedi, spesso con valigia o trolley (un dettaglio rilevante vista la destinazione finale che collega il capoluogo lombardo a molte capitali italiane ed europee). Una situazione pressoché uguale in tutte le carrozze, ripetuta nel tempo: alle 07:40 di mercoledì 7 giugno, sul passante ferroviario Treviglio-Varese, la situazione è la medesima. E in Stazione Ovest? La problematica, qui è diversa. Il flusso di viaggiatori espresso negli anni passati è solo un ricordo. E questo non perché non se ne avverta la necessità, sia chiaro. L’assenza di fermate in Stazione Ovest incide anche sulla viabilità stradale per il Capoluogo. A confermarcelo è Battista Madini, titolare del bar ubicato in Stazione: «prima alla Ovest fermavano treni che consentivano di collegare la bassa bergamasca a molti capoluoghi di Regione. Bergamo, pur essendo capoluogo di provincia, non ha la

stessa centralità dell’asse trevigliese. La scelta attuata alcuni anni fa – che finalmente qualcuno sta ripensando – aiuterà non solo i pendolari, ma anche il traffico automobilistico sulla tratta di Bergamo. E come giustamente detto da Piero Toti, non hanno fondamenta gli asseriti minuti di ritardo che accumulerebbe un treno che effettuasse la fermata». Il Comitato Bacino Nodo di Treviglio, dopo un’attenta valutazione delle fasce orarie di maggior interesse per ciascuna tratta, tra le proposte, chiede il potenziamento della capacità di trasporto per superare le criticità sull’asse Milano-Brescia-Verona ed il potenziamento della linea Bergamo-Treviglio. Proposte che, aventi un costo per l’Ente, potrebbero momentaneamente essere sostituite “a costo zero” dal ripristino delle fermate in Stazione Ovest e con la permanenza di alcune fermate (Verdello, Pioltello e Lambrate, ad esempio) che rappresentano elementi imprescindibili per ripensare alla viabilità. E pensare che, forse con poca lungimiranza, alla Ovest era stata anche creata una “bicistazione”… che i pendolari debbano riprendere la bicicletta per raggiungere il capoluogo di Provincia?!?

Un’opera infrastrutturale di cui si parlava da anni sta per diventare realtà, il collegamento tra la zona Ovest e il centro di Treviglio: pressoché ultimati i lavori di completamento della bretella tra via Peschiera (zona Ovest) e via del Bosco (nei pressi del Palafacchetti). Il bel tempo di questi ultimi mesi ha consentito di procedere a grande velocità con la realizzazione, oltre che della strada, di una nuova pista ciclabile, di un ampio parcheggio, di una rotatoria e di un’area verde. La bretella è lunga circa 800 metri e comprende anche il sottopasso ferroviario. Il progetto, approvato nel 2015, ha previsto una spesa complessiva di 830mila euro (finanziati con un mutuo alla Cassa Depositi e Prestiti), di cui 528mila per opere in appalto da affidare a ditta specializzata e 302mila come somma a disposizione dell’Amministrazione. Le opere includono anche diversi sottoservizi, come le reti di acqua, luce, gas e fibra ottica, che andranno a potenziare il quartiere Ovest, migliorando la qualità degli impianti attuali ormai obsoleti (lungo la via Milano). Dichiara l’assessore alla Qualità della Città Basilio Mangano: «L’area ha completamente cambiato volto. Era una richiesta avanzata da molti cittadini che siamo riusciti a realizzare anticipando i tempi. Secondo l’accordo di programma con le Ferrovie, l’opera ci

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Quartiere Ovest più vicino

sarebbe stata consegnata a rustico e con il sottopasso tombinato. Noi invece abbiamo preferito portare a termine i lavori, compresa la rotatoria, con risorse del Comune per circa 900mila euro. Quest’ultima rientra, infatti, nella convenzione con “Habita” per la bonifica della ex Baslini, ma anche in questo caso abbiamo anticipato i tempi». E aggiunge: «È un tassello importante per il collegamento tra centro e periferia, un punto focale del programma di mandato dell’Amministrazione Pezzoni prima, e dell’Amministrazione Imeri,

ora. Va anche detto che a beneficiarne, oltre ovviamente al quartiere Ovest, è l’area antistante il Palafacchetti che con la rotatoria, i nuovi parcheggi e l’area verde è diventata ancor più bella e funzionale». Il cantiere è ormai giunto alla sua fase conclusiva, con la strada e la pista ciclopedonale già ultimate. Per l’illuminazione, che è già stata predisposta, bisognerà attendere il bando di gara e la successiva posa. Daria Locatelli


Urbanistica

Caravaggio cerca la sua mobilità ph Appiani

Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile per la soluzione ai problemi della città di Daniela Invernizzi

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l Comune di Caravaggio cerca una risposta ai problemi di viabilità e vivibilità. E per trovarla ha cominciato, già nei primi mesi di quest’anno, una serie di attività conoscitive volte a capire a fondo le reali esigenze dei cittadini. Lo strumento è il PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile), che dà la possibilità di rivedere a 360 gradi l’identità della città sul piano del traffico, della mobilità sostenibile e della fruizione del centro storico. L’assessore al Territorio, Ambiente e Viabilità Federica Banfi lo ha recentemente illustrato in un’assemblea pubblica, durante la quale è stato raccontato il primo step, effettuato all’inizio dell’anno con la collaborazione di una classe del Liceo Scientifico Galilei. I ragazzi, con la collaborazione della polizia locale, hanno distribuito questionari alla popolazione volti a capire i flussi di traffico e le problematiche relative a parcheggi, uso di mezzi alternativi, incidenti. La risposta dei cittadini è stata massiccia e i dati sono stati poi elaborati da uno studio di ingegneria. Questa prima fase ha evidenziato alcune criticità ben precise. Se, in base ai risultati, si arriverà a istituire la zona a traffico limitato (ZTL) nel centro cittadino, come qualcuno ha già ipotizzato, è ancora tutto da decidere, come sottolineato dallo stesso assessore Banfi: «Forse non tutti hanno capito che ancora non sono state espresse reali intenzioni. Abbiamo voluto procedere per gradi, attraverso un piano di studi serio, che comporta diversi passaggi, proprio per non prendere decisioni affrettate e non condivise con i cittadini di Caravaggio». Il prossimo passo sarà quello dei tavoli tecnici di confronto con le associazioni di categoria, in primis i commercianti, con i quali occorre dialogare per arrivare a un’idea comune di città. Quali sono i problemi emersi dall’indagine conoscitiva? C’è stato un calo dell’uso della bicicletta sul cordone esterno della città e addirittura un crollo nel cordone interno; ma poiché, tra le problematiche segnalate dai cittadini al primo posto c’è la richiesta di ciclopiste e la sicurezza dei pedoni, ne deriva che il calo è dovuto proprio alla mancanza di sicurezza e non a un disinteresse all’uso del

mezzo. Perciò dobbiamo porre attenzione a questo aspetto, non per sfizio nostro, perché ci piace la bici, ma perché è un problema sentito dai cittadini. In questo modo beneficeremo anche di minor inquinamento acustico e atmosferico, altra problematica segnalata. Un secondo dato emerso, molto importante, è l’elevata incidentalità, che si è ridotta solo del 5% negli ultimi dieci anni, quando invece l’Unione Europea dà indicazioni volte alla riduzione degli incidenti su strada del 40 % entro il 2020. Su questo punto, ci sono zone particolarmente critiche: l’ex statale 11, il viale del Santuario e due incroci in prossimità del polo scolastico. La soluzione di questo problema sarà sicuramente una delle priorità. E il problema parcheggi? La situazione è drammatica, c’è una richiesta doppia rispetto all’offerta (491 i parcheggi disponibili in centro). La situazione va ripensata in toto, magari anche con la ZTL, ma dovrà essere una decisione concordata con chi ci abita e con i commercianti. Al momento non sappiamo dire quale sarà la risposta, per questo chiediamo ai cittadini ancora un po’ di pazienza. Qual è la volontà politica alla base della decisione di adottare uno strumento come il PUMS? È quella di lavorare insieme a un’idea di città. Avremmo potuto fare un piano del traffico normale e invece questo strumento ha una particolarità: mette al centro dell’interesse non solo la viabilità, il traffico automobilistico, ma la mobilità in generale, con una panoramica globale su tutte le persone che devono spostarsi all’interno della città; quindi il pedone, il ciclista, l’automobilista, i residenti e i non residenti. Mobilità che dev’essere sostenibile, quindi con riferimento alla qualità della vita, salute, sicurezza, aria meno inquinata, meno rumore, insomma tutti livelli di attenzione che caratterizzano un piano come questo rispetto a un piano normale del traffico. Entro la fine dell’anno, dopo i tavoli tecnici, è prevista l’elaborazione e l’approvazione del progetto definitivo, i cui costi, in questa fase ancora conoscitiva, non sono al momento quantificabili.

“L’elevata incidentalità di alcuni tratti cittadini sarà una delle priorità da risolvere”

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Politica

I risultati del voto di Daria Locatelli

Arzago: terzo mandato consecutivo per Gabriele Riva

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onfermato per la terza volta alla guida di Arzago il 37enne Gabriele Riva, il quale ha vinto le elezioni dell’11 giugno scorso con il 77,61% dei voti espressi dai 1.246 elettori – sui 2.158 aventi diritto – che si sono recati alle urne (con un calo di affluenza di oltre 12 punti rispetto alle amministrative del 2012). Con 929 preferenze la lista civica “Paese Nuovo” del segretario provinciale del PD che da dieci anni amministra il Comune ha sconfitto “Centrodestra per Arzago”, guidata dallo sfidante Stefano De Caro (65 anni, ex bancario in pensione e politico di lungo corso nelle fila di Forza Italia) che si è fermato a 268 voti (22,39%). Arzago, a grande maggioranza, ha quindi scelto la continuità rappresentata dal Sindaco uscente, che si appresta ad amministrare per un altro lustro il Paese, con al proprio fianco Mirko Garibaldi (ex assessore a Urbanistica, Edilizia e Lavori pubblici, risultato il più votato con 44 preferenze) e volti nuovi in Sala Consiliare, come Alessia Salvatori, Angelo Agazzi, Pierluigi Ferrari, Cinzia Morano, Giuseppe Uberti e Ugo Rivabene. Una tripletta vinta a gran voce da Gabriele Riva, che dichiara: «Sono passati dieci anni dalla mia prima elezione a Sindaco ma non cambiano le emozioni: continuo a consi-

Gian Carlo Piana è il nuovo Sindaco di Fornovo

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ornovo ha vinto la sfida contro quell’assenteismo che nel 2016 aveva portato il Comune al commissariamento a causa del mancato raggiungimento del quorum. L’11 giugno scorso la popolazione ha raccolto l’invito espresso da tutti i candidati a non disertare le urne e ad esprimere il proprio voto, portando in questa tornata l’affluenza ad un valore addirittura superiore rispetto alla media provinciale: 63,81% rispetto al 58,16%. I fornovesi hanno nominato a netta maggioranza Primo Cittadino Gian Carlo Piana, già vicesindaco della precedente giunta De Vita, che con la lista “Insieme per Fornovo” ha raccolto il 56,11% delle preferenze. Netto distacco per gli sfidanti Giandomenico Vallimberti con “Nuova Fornovo” (31,80%) e per Oscar Rizzini di “Forza Nuova” (9,09%), che hanno contribuito a rendere dinamica la corsa elettorale. Non più una Sala Consiliare vuota, dunque, a Fornovo; in essa siederanno Fabio Carminati, Massimo Parati, Alessandro Sassi, Vincenzo Mautone, Alfonso D’Alesio, Marco Monzio Compagnoni, Dario Finatti ed Emilio Moleri. Ecco la squadra che amministrerà per i prossimi cinque anni Fornovo, guidata dal neo Sindaco, che afferma: «Sono nato in questa piccola comunità di Fornovo San

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Arzago sceglie la continuità, Fornovo finalmente ha un sindaco

Un solo luogo, infinite derare un privilegio potere rappresentare istituzionalmente il mio paese e i miei cittadini e continuerò a farlo con determinazione, impegno, passione ma soprattutto gratitudine. Voglio ringraziare i candidati dell’altra lista per una campagna elettorale vivace ma condotta con correttezza, e voglio ringraziare uno per uno i candidati della mia lista che hanno dimostrato subito grande unità e passione per il paese. Con questo spirito di squadra ci metteremo subito al lavoro perché credo che un risultato così largo nei numeri e nelle percentuali faccia piacere ma responsabilizzi ancora di più e alzi il livello delle aspettative: in questi anni abbiamo sempre cercato di promettere solo quanto potevamo realizzare e questo vuole continuare ad essere il nostro modo di fare amministrazione in paese anche per i prossimi cinque anni».

Giovanni da ormai 54 anni, una realtà prettamente agricola che nel tempo è cresciuta per dare spazio alle attività artigianali e produttive che ne hanno determinato lo sviluppo sia demografico sia urbanistico. Personalmente mi è rimasta nel cuore quella tradizione, tutta contadina, che puntava all’aiuto reciproco a una vita essenziale ma ricca di valori come il rispetto reciproco e l’onestà, una vita densa di emozioni di gioie e anche di dolori, che mi ha sempre trasmesso un senso di pace e serenità interiore. Ritengo importante ripartire dall’idea che, al centro delle istituzioni, ci sono persone che vivono la politica come vivono la famiglia, la vita sociale e la fede, che coltivano valori come l’associazionismo, il volontariato, l’inclusione e la solidarietà. In poche parole... “Tutti insieme per Fornovo”».

esperienze

Summer Camp 2017 alla “Casa di Elisa” A fine estate, dal 28 agosto all’8 settembre, due settimane di interessanti attività: recitazione, gioco, movimento, didattica alternativa attente alla valorizzazione dei ragazzi! Gruppo di attori londinesi per due settimane di inglese con madrelingua. Gruppo formato da n° 25 bambini/ragazzi differenziati per età rimangono pochi posti disponibili. Per info scrivete a: info@lacasadielisa.it

Fine estate da favola! Come due settimane all’estero vissute alla “Casa di Elisa”

Riprendono da settembre laboratori di lingue straniere, acquerello e musica

Corso di danza per bambine e fanciulle

Tre giorni intensivi durante le vacanze invernali (sempre a numero limitato)

Treviglio - Via Casirate Vecchia, 13 www.lacasadielisa.it info@lacasadielisa.it Luglio/Agosto 2017 • tribuna magazine • 19


Personaggi

Elisa Marti, attrice a New York A tu per tu con l’attrice Elisa Marti, trevigliese d’adozione, che ci racconta se stessa alla prese con il suo sogno di Daniela Invernizzi

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asciare tutto, famiglia, amici, il proprio Paese, per andare a 21 anni in Australia, senza sapere l’inglese e senza alcuna prospettiva concreta: è quello che ha fatto Elisa Marti, attrice, il fuoco sacro nelle vene fin da piccola e una buona dose di incoscienza. Oggi, tornata da poco in Italia e in particolare a Treviglio dove la madre lavora, ripensa a quei momenti con tenerezza e nostalgia: «Dopo il Dams volevo andarmene per sempre dall’Italia. Ho puntato il dito sul mappamondo e mi è uscita l’Australia. Ci sono andata, completamente sola e a digiuno d’inglese. Non è stato facile all’inizio ma ce l’ho fatta. Grazie al Working Holiday Visa (il programma che consente ai giovani fino a 30 anni di andare e restare per un anno in Australia per lavoro e studio) ho potuto trovare lavoro nelle scuole materne (ho un diploma psicopedagogico); nel frattempo, avrei voluto iscrivermi alla scuola di regia fondata da Jane Campion (regista neozelandese, ndr), ma ho scoperto che è solo per australiani. Così ho ripiegato sulla Sidney University, dove ho studiato sceneggiatura. Lì però ho capito che quella non era la mia strada e che la mia vocazione era – ed è – fare l’attrice». Finita l’Università di Sidney la nostra pioniera torna in Italia ma vi rimane per poco, giusto il tempo di organizzare – questa volta in maniera più articolata – la sua partenza per gli Stati Uniti. Si iscrive alla New York Film Academy e trova casa a Coney Island, davanti al mare. Sembra davvero l’incipit di una commedia romantica hollywoodiana, o meglio ancora, di Broadway, dove la nostra protagonista sogna di recitare un giorno. Ma la strada per diventare un’attrice è difficile e irta di ostacoli, specie per una giovane italiana che deve levarsi l’accento straniero: «La questione dell’accento mi perseguita. Prima in America,

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dove ho dovuto prendere una “vocal speech” per migliorare la pronuncia; e ora in Italia, dove alle audizioni mi liquidano dicendo che sembro americana!». Perché sei ritornata? Ho dovuto lasciare la mia meravigliosa casa di Coney Island, quindi per un po’ di tempo starò qui in Italia. Ma conto di tornare presto, dopo il matrimonio con il mio ragazzo americano, che avverrà a breve. Ho deciso di sposarmi a Treviglio, città che mi piace molto, la trovo fantastica, si trova in una posizione privilegiata rispetto alle grandi città, raggiungibili facilmente. È una città molto viva culturalmente e questo mi piace, e poi è tutto così… vicino! Ma sei riuscita a diventare un’attrice? Certo, ho preso parte a fiction tv, ho fatto teatro, doppiaggio e tanta pubblicità. La più importante, quella organizzata dallo Stato di New York per la lotta contro il cancro. La mia agente americana sta premendo perché ritorni “a casa”, ma intanto io non sto con le mani in mano nemmeno qui in Italia. Ho trovato un’agente molto brava che mi ha procurato molti casting, ma purtroppo ancora nulla. È difficile, sia perché non conosco nessuno, sia per la questione dell’accento, come dicevo. La scorsa settimana, per esempio, ho fatto un’audizione con Marco Tullio Giordana per il suo nuovo film “Nome di donna”, ma serve un’attrice con l’accento milanese, sigh! Com’è recitare in inglese? Mi piace di più. L’inglese è una lingua molto diretta, si “dice meno” e si va subito al punto. Mi piace la sua immediatezza. Però non ho ancora una padronanza tale della lingua da riuscire a improvvisare con una grammatica e una pronuncia perfette. Sei molto determinata, da dove ti arriva questo “sacro fuoco”?


“New York è una città cosmopolita, lì c’è la vera integrazione, lì si respira cultura ad ogni angolo” Eli in una fiction per Travel Channel

Non lo so, so solo che non potrei fare nient’altro, e questa è anche una condanna. Questo lavoro richiede tanti sacrifici, ricevi tante porte in faccia, ma nonostante ciò non riesco a fare altro. Ho provato ad andare in ufficio, ma niente… Mi dicevano “sei molto carina, piena di buona volontà, ma non vai bene” e io gli davo ragione, perché me ne rendevo conto da sola. Con quale regista ti piacerebbe lavorare? Mi piacerebbe fare un film intenso, drammatico. E lavorare con Tim Burton o Paolo Sorrentino. Adoro il genere un po’ dark, un po’ fantasy. E amo le serie tv come Orange is the new black, o Breaking Bad. Quanto ti manca New York?

Tantissimo, perché è una città cosmopolita. C’è una vera integrazione, tutte le lingue del mondo e tanta libertà. Non ho mai avuto problemi ad esprimere me stessa, vado in giro vestita come voglio e nessuno mi ha mai presa in giro perché volevo fare l’attrice. In Italia sì? Sì, ti fanno la classica domanda: “ma di lavoro vero che fai?”. Là, al contrario, sono tutti artisti e ti guardano con estremo interesse se dici che fai il medico o l’ingegnere, ma a nessuno verrebbe in mente di dire che fare l’attore non è un lavoro. E poi mi mancano i miei amici e il mio ragazzo, mangiare tutti i cibi del mondo, l’andare a teatro tutte le settimane, sentire il respiro della cultura ad ogni angolo… Questa è New York.

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UK-in

Un messaggio forte e chiaro: go vote Brexit elezioni generali e l’indignazione dei giovani di Silvia Martelli

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l Regno Unito è ormai un paese spaccato per censo, regioni, e soprattutto età. In seguito al referendum del 2016, quando il piano Brexit fu approvato dal 51.9% dei votanti, i giovani hanno infatti mostrato sempre più la loro indignazione verso una nazione che si avvia alla totale indipendenza – oppure al progressivo isolamento, in base ai punti di vista. Le General Elections dell’8 giugno sono state dunque l’occasione per i giovani anti-Brexit di mostrare il loro disprezzo verso coloro che li hanno allontanati dall’Europa. Il risultato dell’elezioni, per quanto sbalorditivo, non è stato altro che la naturale concretizzazione di questo sentimento. Le due settimane precedenti il fatidico giorno che avrebbe dato qualche indicazione sul futuro del patto anti-UE – soprattutto se sarebbe stato “hard” (come suggerito dal Primo Ministro Theresa May) o meno – Cardiff University ha dato il via ad un bombardamento di campagne di marketing che incitavano al voto. Da quella concepita come suggerimento #govote (vai a votare), alla rumorosa #makeyourvoiceheard (fai sentire la tua voce), all’incombente #youarethefuture (tu sei il futuro), il messaggio è stato chiaro: in un momento così critico, mentre il Regno Unito si prepara a definire il trattato più delicato della sua storia dalla Seconda Guerra

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Mondiale, era fondamentale che ognuno avesse il coraggio di esprimere la propria opinione politica. È così che è stato messo in atto ogni possibile metodo di sensibilizzazione, dai volantini appesi perfino dietro le porte dei bagni (non c’è mai pace) ai gelati offerti gratuitamente in cambio della registrazione al voto (il cibo funziona sempre con noi studenti). Uno dei caratteri distintivi di questa propaganda al voto era proprio l’indipendenza da qualunque partito, e piuttosto lo scopo di motivare gli studenti, o meglio il futuro del Paese, ad andare a votare. Proprio a Cardiff, dove l’anno scorso “Remain”, chi ha scelto di rimanere in Europa nel famigerato referendum su Brexit, aveva ottenuto il 60% dei voti, il partito laburista ha visto una grande vittoria. Nella capitale gallese, con il suo terzo di abitanti costituito da studenti, il sentimento pro-Europa è infatti tangibile e, ormai, anche quello di opposizione a Theresa May. D’altronde, dopo che il Primo Ministro si è chiusa in un guscio, spesso rifiutando i confronti e le domande, il divario tra il suo ruolo di leader della nazione e i cittadini si è fortemente accentuato. E il popolo, ma soprattutto i giovani carichi di speranze per un futuro senza frontiere, non perdonano.


Mantenere i contatti online In seguito al risultato del Referendum sulla Brexit nel 2016, nel Regno Unito si sono diffusi dubbi e confusione sulla situazione attuale e futura. Al fine di fronteggiare questo clima di incertezza e nel tentativo di fare luce sul panorama politico post Brexit, numerosi blog sono nati sul web. Tra questi, ad esempio, Europe Street News e Monckton Chambers Brexit Blog. Europe Street News, fondato dalla giornalista freelance Claudia Delpero, è un sito di news per “Europei nel Regno Unito, Britannici che vivono in altri paesi dell’UE e chiunque interessato ad una prospettiva europea sulle nuove relazioni UK-UE. È, quindi, un luogo dove incontrarsi, avere discussioni costruttive, e condividere informazioni ed opinioni”. Il blog, suddiviso nelle quattro sezioni Cittadinanza, Società, Politica ed Economia, affronta dunque multipli aspetti di cosa la Brexit significa e di che cosa comporta. C’è spazio dunque sia per articoli più ‘leggeri’, come quello sullo approccio alla immigrazione – così centrale nel dibattito Brexit – tramite i dati che considerano l’effetto di essa sulla felicità della popolazione, che per articoli più ‘impegnati’, come quello sulle richieste di residenza permanente nel Regno Unito. Monckton Chambers Brexit Blog è invece una sezione del sito Monckton Chambers, una famosa agenzia di avvocati di Londra. La sezione Brexit offre dunque un’accurata ed esperta analisi delle decisioni Brexit dal punto di vista legale. Così come Europe Street News e Monckton Chambers Brexit Blog ci sono tante altre fonti – e nella maggioranza dei casi non partigiane – di informazione sulla Brexit. Come per esempio “The Brexit Blog”, un forum indipendente per analisi, commenti e dibattiti, o anche “Benvenuto a bordo” gestito da giovani volontari della chiesa italiana di St. Peter a Londra. S.M.

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Società

Partire, viaggiare, scoprire

La meta di un viaggio può essere il punto di partenza di una ricerca, nel mondo e in se stessi di Daniela Regonesi

È

innegabile che certe mete possiedano la capacità di aprire la mente, soprattutto se il viaggio viene intrapreso con la consapevolezza dell’importanza di toccare con mano, in prima persona, luoghi e situazioni di cui spesso sentiamo parlare dai media. Ogni viaggio, comunque, presuppone una meta, ma se questa fosse semplicemente un punto di partenza? E qual è il suo vero significato? Incontriamo Alessia Zucchelli – neoquarantenne pedagogista trevigliese, tornata recentemente dalla sua prima visita in Terrasanta – per riflettere sul significato che i viaggi possono assumere nella vita di chi li intraprende. Nel caso di Alessia, l’idea di partire nasce da interrogativi scaturiti nell’incontro di persone sconosciute: «Non ho immaginato che il viaggio potesse dare delle risposte. Poteva essere utile per avvicinarmi di più a queste domande. Faccio parte della sezione ANPI di Mapello e mi interrogo su cosa significhi fare memoria e perché è fondamentale rendere vive le azioni di persone che hanno fatto cose importanti per tutti, è una cosa che mi risuona dentro. A ciò si è aggiunta una ricerca sia spirituale che sulla realtà

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ebraica oggi, per entrare nel vivo di una società con risvolti molti complessi: non basta assolutamente un viaggio per venirne a capo, può essere l’inizio». Certi itinerari andrebbero affrontati con una socratica consapevolezza di non sapere, preparando non soltanto i bagagli ma il proprio essere: «Prima di partire ho chiesto di essere accompagnata, erano previsti degli incontri preparatori, in modo da avere una sorta di canovaccio, dei punti su cui poi imbastire il viaggio, che non significa andare là per avere conferma delle cose che ti sono state dette o che ti sei immaginato, ma avere modo di orientarsi, perché è vero che c’è solo un fuso orario di differenza, ma è completamente un altro mondo». Visitare un luogo con una base di informazioni sulle persone che ci vivono, sulla situazione amministrativa e politica, sulla storia, è sicuramente una bussola importante. A questo punto si potrebbe obiettare che la faccenda diventa piuttosto impegnativa, quasi faticosa, ma anche il pigro abbandonarsi sui lettini di un villaggio turistico può essere interrotto per mettere in naso “fuori” dalla gabbia dorata dell’all-inclusive, cercare un incon-

tro, con le persone ma anche semplicemente con il quotidiano del posto ove si è ospiti. Ci sono luoghi che si svelano anche semplicemente nel tragitto aeroporto-resort, quando ci è permesso di “spiare” gesti, spazi e azioni che compongono il tran tran di ogni giorno: «Ovunque tu vada, vicino o lontano, l’importante è avere uno sguardo nuovo, non condizionato. Questa modalità di fare viaggi credo debba essere accompagnata dal provare ad entrare nel quotidiano. La vacanza implica il relax, il tenermi addosso il mio bagaglio, mentre il viaggio presuppone una valigia vuota. Devi essere pronto a raccogliere ed è importante avere persone vicine che ti aiutano a vivere, ad entrare a far parte del quotidiano, diventare una sorta di attore nella scena, non solo osservatore». Alessia sottolinea particolarmente l’importanza e la bellezza di entrare nelle cose per riuscire a viverle con la propria pelle, con la propria mente, con la consapevolezza che saper trovare “buona” informazione – che abbia solo l’obiettivo di informare, non altri interessi – non è facile. Ad essa si lega anche il tema della testimonianza e della memoria, di cui la Terrasanta


Viviamo in tempi fortunati, dove svariati mezzi di trasporto ci consentono di raggiungere pressoché tutti gli angoli del pianeta, check-in online e partenze all’ultimo minuto accorciano ancor più le distanze, ma vi sono luoghi – come la Terrasanta – densi di spiritualità e al contempo di barriere e filtri di difesa, nei quali la libertà di spostamento non è così scontata, specialmente per alcuni cittadini. Nella primavera del 2002 è cominciata in Cisgiordania la costruzione della “chiusura di sicurezza israeliana”, il sistema di barriere fisiche lungo 700 km, che dovrebbe impedire l’intrusione dei terroristi palestinesi nel territorio nazionale. «Il muro è invasivo – spiega Alessia – taglia le case e le balconate, spezza le vie longitudinalmente, impedendo gli accessi, facendo morire il commercio. Su quella terra qualcuno sta facendo una via crucis tanto faticosa e dolorosa come un tempo la fece Gesù: essere palestinese sicuramente comporta avere meno diritti, come quello di accesso all’acqua o la possibilità si spostarsi liberamente (le targhe bianche identificano le auto palestinesi: queste non possono spostarsi sulle grandi e veloci arterie che attraversano non solo Israele ma anche la Cisgiordania, dove invece hanno libero accesso le auto degli israeliani ebrei, con le targhe gialle). Finché non sei lì non ti rendi conto di cosa significhi trovarti di fronte militari giovani, con il mitra spianato, che domandano “Di che religione sei?”, non “Da dove vieni?”». Per lo stato di Israele il muro è una difesa imprescindibile, così come doveva esserlo la Grande Muraglia per le dinastie imperiali cinesi, o lo è il muro di Tijuana agli occhi del governo USA.

ph Zucchelli

Check-in e Check point

Personalmente la parola check point riporta alla mente il numero 43 di FriedrichStrasse, a Berlino: vi sorge un museo che racconta la storia di un muro la cui costruzione iniziò una notte d’estate di 56 anni fa. Tagliava strade e linee dei mezzi pubblici, divideva famiglie ed amicizie. È stato abbattuto, dal vento del cambiamento. D.R.

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è intrisa: «Il viaggio mi ha fatto capire che forse dobbiamo trovare il modo di attualizzare certe tematiche e far memoria in senso storico, non usarla come sorta di giustificazione del presente. Dovremmo far entrare la nostra memoria nella storia, in modo da avere degli elementi per non ripetere errori. Quando si è testimoni oculari di soprusi non comunicati dai media, da qualsiasi parte siano operati, è importante denunciarli, se si è cittadini responsabili. È proprio una richiesta che ci è stata rivolta, quella di raccontare una volta rientrati in Italia». Il viaggio ha superato le aspettative, e al rientro le valige erano piene «di domande e di energie per andare avanti, di interesse ad approfondire di più e di incontrare Israele. Quello che mi interessa è avere sempre domande guida che orientino il mio agire, più che delle risposte definite. La ricerca è appena cominciata». Bagagli a mano in cui stipare lo stretto indispensabile, oppure trolley traboccanti di valige modello “trasloco in corso”, menti da svuotare e corpi da rilassare, in quiete o in movimento: è estate, con il suo carico di promesse, propositi e speranze. Approfittiamone.

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Ambiente

Estate a Cassano, città delle acque Molti i luoghi lungo le rive del fiume Adda per cercare refrigerio dalla calura estiva di Stefano Dati

C

assano “città delle acque”, con numerosi corsi fluviali che attraversano ambienti circondati dal verde della natura: posta quasi al centro della Lombardia nell’alta pianura Padana, a metà strada fra Milano e Bergamo, la città è stata da sempre punto di riferimento per molti fruitori che giungono da diversi

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paesi della provincia milanese e bergamasca per vivere momenti di relax, sulle rive del fiume Adda e del canale Muzza, spesso suggeriti dalle temperature elevate dell’estate. Molti i luoghi cassanesi diventati teatro di aggregazione nei weekend e durante tutti i giorni della settimana nei mesi dedicati alle vacanze, quando

il sole non dà scampo con il suo caldo torrido e le persone si muovono alla ricerca di un po’ di frescura. Traversino, Pignone, Punta del Pecc, Isola Borromeo, Rutura, Retorto, Lido e naviglio Martesana: tutte località che sono state, nell’arco del tempo, testimoni di incontri fra gli appassionati della tintarella, che lì hanno allacciato nuove amicizie; e, in alcuni casi, cornice in cui le frecce di Cupido hanno fatto la loro parte nel trasformare semplici conoscenze del momento in unioni famigliari. Fino agli anni ’80 -’90 nei corsi fluviali cassanesi era possibile esibirsi in tuffi e lunghe nuotate di gruppo, lasciandosi trasportare dalla corrente del fiume e del canale. In seguito, i problemi legati all’inquinamento delle acque hanno cambiato lo scenario della balneazione, divenuta off-limits. Nostalgie del passato: molti racconti narrano di avventure sulle acque del fiume, come quella di un gruppo di amici che, negli anni ’50, aveva costruito una zattera per raggiungere Venezia attraverso il percorso dell’Adda. Oggi non è più possibile raggiungere le rive con la propria auto, l’unico mezzo con cui accedere ai luoghi di “villeggiatura locale” sono le biciclet-


ph Dati

Task force lungo il fiume Voluta dall’amministrazione comunale, la task force a presidio del fiume svolge un ruolo di controllo lungo i cinque chilometri di fascia fluviale che rientra nella competenza del comune di Cassano d’Adda. Grazie alla collaborazione fra diversi soggetti, è composta da quattro agenti della Polizia Municipale, che coordina il gruppo, e da altri operatori appartenenti alla Protezione civile, all’Anc, ai Sommozzatori di Treviglio, per un totale di quindici persone. La task force opera per tutto il periodo estivo, quando l’affluenza di turisti, bagnanti e sportivi aumenta notevolmente, tanto che si parla di migliaia di persone che si riversano lungo le rive dell’Adda durante il weekend. L’attività di controllo, che a volte si avvale anche di unità cinofile, mira essenzialmente al rispetto delle norme volte a garantire la sicurezza dei bagnanti e dei cittadini. Tra gli obblighi da rispettare vi sono il divieto di accendere fuochi, il divieto di balneazione (dovuto non alla qualità dell’acqua, che è migliorata notevolmente, ma alla sua pericolosità) e infine il divieto, introdotto quest’anno, di portare vetro (principalmente bottiglie) lungo le sponde del fiume.

te, che si uniscono alle lunghe code di chi sceglie di raggiungere quei luoghi camminando. Purtroppo però alle bellezze ambientali della natura regalata al territorio cassanese non fa seguito

un’adeguata attenzione a quei servizi necessari per affrontare le esigenze dei numerosi fruitori che affollano i luoghi intorno ai corsi d’acqua. Tuttavia, la task force costituita da Polizia Locale, Anc,

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I.P.

Un luogo incantato sul fiume

B

leggende sono legate a questo posto fantastico, ubicato su un’isola fra il fiume Adda e il canale Muzza, a pochi passi dal centro di Cassano d’Adda. «Io la chiamo “l’isola che non c’è” per la sua dimensione da favola – ci racconta il titolare Cristian Colombo – invece c’è davvero, anche se a me a volte pare di viaggiare in un sogno». Un bel viaggio iniziato ormai una decina di anni or sono, quando Cristian, con l’aiuto dei familiari e della moglie, inizia una vera

Storia e natura insieme per la cultura dell’ospitalità

ph Biasi

asta entrare nella porzione di parco adibito a parcheggio e capite subito di essere arrivati in un’altra dimensione: Villa Maggi Ponti-Julia hotel e restaurant mantiene quello che promette nel sito internet (www.hoteljulia.info) e regala qualche ora di autentica magia. Non è inusuale scendere dall’auto e trovarsi davanti uno splendido pavone che ti guarda con i suoi occhi gialli. Se sei fortunato ti regala anche una meravigliosa ruota a mo’ di benvenuto. Il parco che ti si apre alla vista è curatissimo, pieno di alberi secolari e di fiori. Merito, per questi ultimi, di Pierfranco Maggi, che nella prima metà del secolo scorso si dilettava di florovivaismo, e che in quest’oasi di verde ha impiantato una decina di varietà di orchidee, una più bella dell’altra, battezzandole con il nome delle sue amanti o dei suoi cani. Una storia che già ci fa capire quanti aneddoti, fatti di vita vissuta, storie e

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e propria opera di restauro dell’ottocentesca villa Maggi Ponti, danneggiata seriamente dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, per riportarla all’antico splendore. Anni di ristrutturazione, con la collaborazione di professionisti dell’Accademia Carrara di Bergamo, di sapienti artigiani e di tanta buona volontà e pazienza. «Molte preoccupazioni, tanti problemi, ma io continuo a crederci – racconta Cristian – è uno spazio favoloso dedicato all’accoglienza e all’ospitalità, pieno di storia, cultura, natura». Un ristorante pizzeria con un ottimo rapporto qualità prezzo, l’hotel nelle camere sapientemente ristrutturate, la villa, con le sue sale affrescate, per ricevimenti e feste, un parco maestoso da vivere ed ammirare: tutto ciò a due passi dal centro storico di Cassano d’Adda, il che rende questo luogo assolutamente unico. «Da qualche tempo abbiamo stipulato una convenzione con l’amministrazione comunale per la celebrazione dei matrimoni civili all’interno del parco – dice Cristian, mostrandoci alcune foto davvero da favola – e stiamo avendo un’ottima risposta. Si celebra il matrimonio nel verde, poi via al banchetto e pernottamento degli sposi nella splendida torretta medievale della villa». Parlare con Cristian e Tiziana vi fa capire che questo, per loro, è davvero un posto speciale: non solo perché legato alla storia della loro famiglia (fu il


Un contesto storico del

XIX secolo IN STILE ECLETTICO, ARMONIOSO CONNUBIO TRA LIBERTY E NEOGOTICO

padre, l’Ing. Giancarlo Colombo, ad innamorarsi di questo luogo e a decidere di comprarlo), ma anche vedendo con quanta cura ed estro Tiziana allestisce la location per i matrimoni, rendendo originale ogni singolo ricevimento; o quanto orgoglio sprigiona Cristian mentre racconta di tutto quello che è riuscito a fare in questi anni, trasformando un posto, prima un po’ decadente, in un luogo veramente unico e incantato.

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Costume

Ah, le estati al traversino! di Daniela Invernizzi

S

ei della Bassa se sai cos’è il traversino, a meno che tu non sia un Millennial (la generazione nata a cavallo degli anni 2000, ndr): in questo caso sei autorizzato a sgranare gli occhi e dire “Cioèèè???”. Tutti gli altri annuiscono e sorridono, tutt’al più scuotono la testa… Ah, le estati al traversino! Per la cronaca, comunque, il traversino ha rappresentato (e forse ancora rappresenta) per noi della Gera d’Adda quello che l’Idroscalo è per i milanesi: il mare che non abbiamo. Più prosaicamente, si tratta di quel lastrone di cemento che divide il canale Muzza dal letto del fiume Adda, e si può ammirare in tutta la sua bellezza passando sopra il ponte di Cassano: da una parte il fiume, poi il traversino, il canale Muzza e infine in alto, maestoso, il Castello. La stagione estiva, per noi della Bassa, comincia nel momento in cui, passando sopra il ponte, guardi giù e vedi la Rimini dei tempi migliori. Devo essere sincera: credevo che ormai fosse frequentato soltanto da stranieri in cerca di un po’ di refrigerio a costo zero, ma mi sbagliavo. Esistono degli irriducibili che lo frequentano ancora, alcuni da

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decenni. C’è pure una pagina Facebook, che testimonia la presenza di “locali” sul posto! Negli anni Ottanta, quando chi vi scrive frequentava il liceo, al primo sole di maggio si prendeva la bici (o il motorino, i più fortunati; ma anche altri mezzi poco ortodossi, come l’autostop) e si andava a studiare (!) al traversino. Cosa c’azzeccasse Dante con i lastroni roventi, il sole a picco e distrazioni di varia natura potete bene immaginare. L’acqua puzzava di cipolla, mi ricordano le amiche, e in effetti possiamo dire che il fiume – per fortuna – è più pulito oggi di allora. Infido, invece, lo è sempre stato, e la lunga stagione estiva al suo cospetto era costellata da tragedie che ogni anno purtroppo si ripetevano. C’era sempre qualcuno che, incurante del divieto di balneazione, ci lasciava le penne. I cassanesi si vantavano del fatto che non fosse mai uno di loro, poiché essi conoscevano il fiume a menadito e sapevano come uscire dai mulinelli, attraversare le sue correnti, lanciarsi addirittura dal ponte. Se tutto ciò sia vero non lo so, a me l’hanno sempre venduta così. Insomma, si arrivava, si stendeva il classico telo da spiaggia sul cemen-


ph Dati

Il traversino è per noi della “Bassa” quello che l’Idroscalo è per i milanesi: il mare che non abbiamo

to bello caldo, e via con la tintarella, ovviamente senza protezione solare. In tal modo, dato l’effetto riverbero del cemento bianco, si raggiungevano livelli di abbronzatura che neanche l’alta montagna. Il refrigerio, per noi donzelle che non ci buttavamo in acqua, non tanto per paura quanto appunto per la puzza, era dato dagli spruzzini che ci portavamo da casa, pieni di acqua pulita, unico modo per sopportare il caldo opprimente che già in primavera (sempre colpa dei lastroni!) si faceva sentire. Qualcuno potrebbe chiedere perché non andassimo sull’erba, in altri luoghi più freschi vicino al fiume… Ma perché lì c’era la Movida, che domande! Stare al traversino era come fare un giro in centro, si incontravano gli amici e, soprattutto, si aveva modo di conoscere gente nuova. Magari davanti a una bibita fresca al baracchino vicino, altro luogo “cult” del tra-

versino, l’unica zona d’ombra, alla quale possiamo senza dubbio attribuire la salvezza di molte vite umane: senza quell’oasi di refrigerio molti di noi non ce l’avrebbero fatta. Il ghiacciolo era, per il mio gruppo, l’unico acquisto possibile, date le nostre croniche ristrettezze economiche (ricordo ancora bene il sacchetto di “zebrette” – patatine aromatizzate al bacon – diviso in cinque). Ma come si passavano le ore sul traversino (oltre a studiare, naturalmente)? Be’, nonostante la pendenza (sì, perché i lastroni, per chi non lo sapesse, sono inclinati per far defluire l’acqua durante le piene) si giocava a racchettoni, a carte, si facevano foto artistiche (avrei pure la testimonianza di una pericolosa piramide stile Famiglia Bradford, ma ve la risparmio per pudore), si guardavano i canoisti biondi sul fiume, insomma si faceva lavorare la fantasia, inventando storie sulle vite dei personaggi che sfilavano sulla “spiaggia”: un ottimo esercizio per aspiranti scrittori (pensa un po’, manco lo sapevamo, che stavamo facendo scuola!). D’altra parte, senza smartphone, in qualche modo si doveva occupare il tempo. Gli unici giorni in cui non si andava al traversino erano quando le piene del fiume coprivano la “spiaggia” e nelle giornate di pioggia: in tutti gli altri casi, salvo diktat genitoriali, non si poteva mancare. Se quei lastroni potessero parlare, racconterebbero di storie d’amore nate e finite sul cemento, di scottature demenziali, di corse con il motorino lungo il crinale con le gambe sollevate. Ma non dirò, a questo punto, «che bei tempi!», perché ogni epoca della vita porta con sé cose belle e nuove (e va bene, ho un rimpianto: la prova costume mi faceva un baffo!). Dirò però che sono contenta di esserci stata, e soprattutto, di essere sopravvissuta.

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Speciale 2017

DA FARE

Tutta un'altra musica! U a cura di Ivan Scelsa

Speciale

raduni automobilistici. La città ha espresso la sua capacità di accogliere e racchiudere in sé quanto di più bello e propositivo riuscisse a proporre, con mostre, concerti ed esposizioni ad animare le vie del centro. Un duro lavoro, complesso ed articolato, quello portato avanti in questi mesi dal comitato organizzatore, Enti ed Associazioni del territorio, supportato dalla disponibilità di molti volontari e sinceramente apprezzato da tutti i visitatori.

ph Vailati Canta

n successo che non ha precedenti per Treviglio, senza ombra di dubbio o rischio di sembrare eccessivi, la manifestazione più partecipata della sua storia. Più di 50mila persone in piazza dal venerdì sera alla domenica, con decine di concerti, quasi 500 veicoli d’epoca ed allestimenti a colorare le vie. Tutta un’altra musica, insomma. Il leitmotiv di questa quarta edizione di Treviglio Vintage ci sembra davvero appropriato per l’evento appena concluso, sia per la qualità espositiva che per l’organizzazione espresse durante la kermesse. E se al termine dell’estate 2016 la città tutta si era risvegliata contando quasi trentamila visitatori nel weekend del Vintage, i risultati ottenuti pochi giorni fa hanno letteralmente spazzato via quel successo, dandole un’immagine che ormai varca i confini provinciali, con partecipanti giunti da tutta Lombardia e persino dal Veneto, dal Lazio e dalla Calabria. Non è un caso: a fare da richiamo la eco di un evento “diverso”, concettualmente lontano dalle notti bianche, dai festival musicali e nel contempo – pur essendo stata la parte più attrattiva, insieme alla musica – anche dai

Riconfermato l’affetto per il Circo Sterza (anche da coloro la cui carta di identità fa trasparire la fanciullezza come un ricordo) e l’apprezzamento per lo stand della Bianchi (che per l’occasione ha esposto la bicicletta di Fausto Coppi e quella con cui Marco Pantani vinse il mondiale nel 1998), va sicuramente sottolineato l’interesse per la mostra dei telefoni d’epoca allestita nel Campanile di piazza Manara, la stazione di radio Liberty, così come la sfilata domenicale delle pin up su autovetture cabriolet e sidecar d’epoca. Con la musica diffusa dei concerti in strada le giornate si sono colorate di atmosfere dei ruggenti anni Cinquanta e del boom economico. Ma non solo: un perfetto mix di italianità e sogno americano che, tra mito del rock, del jukebox e del poliziottesco anni Settanta (riproposto dalla romana “Original Magliana Band” sotto i portici di via Matteotti) ha affiancato il naturale riempirsi di vie, piazze, cortili e negozi, tutte partecipi sull’onda dell’entusiasmo di quella che è diventata la manifestazione trainante della rinascita trevigliese che, in questi scatti d’autore, trasmette tutta la sua essenza.

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Prossimo evento a Treviglio!

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Erremare: qualità e versatilità

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al filo elastico a due collezioni originali all’anno. La storia di Erremare, azienda che produce costumi da bagno con sede a Fornovo San Giovanni, è il classico esempio dell’operosità e dell’ingegno della manifattura italiana, che dagli anni Sessanta costituisce l’ossatura del nostro Paese ed è motivo di vanto nel mondo. Ce la racconta Luigi Rondelli, ormai unico rappresentante della famiglia che ha fondato l’azienda, grazie alla geniale intuizione del padre Giovanni, detto Nino, nel 1966. In quegli anni ci fu infatti l’esplosione dei prodotti che necessitavano di filo elastico, come le calze, e il signor Nino colse la palla al balzo, costituendo, con l’aiuto di fratelli e sorelle (erano in dodici!) un piccolo laboratorio a Caravaggio per la produzione di collant e biancheria intima. Dopo due anni, con il trasferimento a Fornovo, cominciò la produzione di costumi da bagno. Con l’avvento del bikini, che ormai impazzava anche sulle spiagge italiane, la produzione aumentò vertiginosamente, tanto che l’azienda arrivò ad impiegare fino a 120 persone. «All’epoca tutto il prodotto veniva gestito internamente, dalla fase creativa fino alla realizzazione e alla commercializzazione, generando anche

un indotto importante nel territorio» racconta Luigi. Oggi l’azienda ha una struttura più snella, con quattordici dipendenti, «alcuni davvero preziosi e insostituibili, come la signora Carla, con noi da 50 anni». All’interno dell’azienda viene sviluppata la parte creativa, la scelta dei materiali, la strategia di marketing, mentre la produzione vera e propria viene delegata a laboratori esterni. Pur progettando e confezionando vere e proprie linee di costumi da bagno per altri operatori del settore, che poi provvedono ad applicare il loro marchio, oggi Erremare fonda il suo business principale sulla vendita al dettaglio, producendo una linea di costumi (Acqua&Sale) e di abiti mare (missmatisse) che vanno a fornire ben 560 negozi solo in Italia, principalmente concentrati lungo le coste. La rete vendita è affidata a un team di 22 agenti che vendono anche in Francia, Svizzera, Germania, Grecia, isole Canarie. Come nasce un costume da bagno? Nasce innanzitutto da un confronto quasi quotidiano con la rete vendita che raccoglie le impressioni dei clienti e dei negozianti, dopodiché insieme a Fabrizio (responsabile commerciale) prepariamo le tabelle con le tendenze di moda, avvalendoci, per la collezione di abiti, della consulenza esterna di una stilista, mentre per i costumi da bagno l’esperienza del nostro team interno fa sì che ogni anno scaturiscano nuove idee e collezioni sempre fresche. A quale tipologia di donna vi rivolgete? Puntiamo principalmente a una donna moderna. Le nostre collezioni nascono dall’amore per il mare e dalla ricerca dei dettagli e formano una collezione che comprende le linee Lady, Fashion e Young, all’interno delle quali vestiamo con armonia e vivacità anche le forme più generose. Molto importante la linea dress (missmatisse) che completa l’offerta con l’abbigliamento estivo. Di certo la nostra donna di riferimento appartiene a un target più alto, una donna che cerca l’artigianalità e la vestibilità del prodotto, cosa che negli ultimi anni, con le grandi catene che si rivolgono a un consumo giovane e di massa, si sta un po’ perdendo. Troppa attenzione al fashion esasperato e poca alla vestibilità. I nostri costumi, invece, donano immediatamente comfort e qualità, senza incidere troppo sui costi. Negli ultimi anni abbiamo aperto con successo un piccolo punto vendita aziendale, proprio presso la sede di Fornovo S.G. (da maggio fino a fine luglio) che rappresenta un ottimo punto di contatto con gli utenti finali. Non siamo un marchio famoso, ma i nostri clienti sono sempre in aumento, le donne provano i nostri costumi e trovano quello che le fa stare bene. Non abbiamo bisogno di personaggi famosi per pubblicizzare i nostri prodotti: la nostra migliore immagine è il prodotto stesso una volta indossato.

DA FARE

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Mode

Non-posso-vivere-senza Dalle mille declinazioni dei braccialetti fino all’odierno spinner: tormentoni easy and cheap si avvicendano e accompagnano la bella stagione di Daniela Regonesi

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l trimestre compreso tra metà giugno e metà settembre ha alcune certezze: le zanzare, la chiusura delle scuole, le lamentele legate al meteo e i tormentoni. Quelli radiofonici, sì, ma non solo, perché se ci pensiamo bene, se osserviamo i ragazzini – i Millennials come quelli cresciuti negli anni ’80 e ’90 – c’è una cosa che arriva puntuale ad ogni suono di campanella: il non-posso-vivere-senza. Trattasi di un oggetto di piccole dimensioni e dal prezzo generalmente contenuto – easy and cheap – la cui rapidità di diffusione fa invidia alle invernali epidemie influenzali. Perché? Perché in quel piccolo coso, da indossare o maneggiare, si condensano moda, senso di appartenenza e popolarità. Alzi la mano chi non ha un parente, un vicino o semplicemente un conoscente che non fa roteare sui propri polpastrelli un Fidget spinner. Trattasi di quella piccola trottola colorata che campeggia in qualunque negozio – sì, persino in quelli di abbigliamento – appassiona i ragazzi ed è stata oggetto di numerosi ritiri da parte dei docenti, sebbene sia stata ideata per alleviare lo stress e favorire la concentrazione mentale. Queste almeno le intenzioni della sua creatrice, la statunitense Catherine Hettinger, che oltre vent’anni fa ideò la trottola a cuscinetti a sfera allo scopo di mantenere un sufficiente livello di attenzione volontaria: il metterla in rotazione dovrebbe agire come meccanismo di rilascio per l’energia nervosa. Immaginate il suo, di nervoso: non avendo i fondi necessari al rinnovo del brevetto, l’ha lasciato scadere nel 2005 e le case produttrici, che avevano

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inizialmente rifiutato la sua invenzione, l’hanno migliorata e modificata cominciando a produrla su larga scala. Ci sono gadget che hanno superato grandiosamente i boom stagionali e addirittura i decenni, come i mitici Yo-yo degli anni ’60, e altri dal successo più temporalmente limitato: è il caso delle Palline Knockers, o Click Clacks, due pesanti piccole sfere unite da un filo resistente; scopo del gioco era farle sbattere l’una contro l’altra il più velocemente possibile, con comprensibili spiacevoli conseguenze per mani e suppellettili, tanto che vennero vietate nel 1985.Anche i coloratissimi ciondoli in plastica rigida a forma di ciucci e le collane-collare di sottilissimo filo di plastica nero – che dovevano simulare un tatuaggio – sono durati solo una stagione. Fortunatamente. Alcuni non-posso-vivere-senza si ripropongono ciclicamente, come Slinky, le molle metalliche giocattolo create negli anni ’40 dall’ingegnere navale Richard Thompson James: allora erano di metallo, oggi sono in plastica arcobaleno. Altri evolvono come l’alieno virtuale da accudire, il Tamagotchi, che oltre che nelle sue 37 versioni portatili proposte tra il 1996 e il 2007, ha conosciuto diverse vite nei manga e nei giochi proposti per varie console Nintendo.


Il regno dei gadget “Emme il regalo” è stato un vero e proprio punto di riferimento per mode e tormentoni e con la sua apertura in via Verga, nell’ottobre 1984, ha segnato un’innovazione nel panorama commerciale trevigliese: «Ho deciso di chiamare così il mio negozio – spiega Mauro, il titolare – perché le persone potessero dire “entro lì perché devo fare un regalo”. A quei tempi il centro di Treviglio era un vero centro commerciale, c’era una diversa velocità nel conoscere le cose, la provincia non era la metropoli. Non esisteva un negozio di gadget: io sono sempre stato appassionato di Rimini e affascinato dai negozi di souvenir, poi andavo a Milano per osservare i ragazzi fuori dalle scuole e le loro mode. Ho comprato la licenza e ho aperto il negozio, con l’idea di vendere un po’ di tutto. Ho fatto un anno di lavoro “certosino” per cercare i gadget, i primi erano portafoto e piccoli vassoi con una coppia di tazzine. Il passaparola della gente mi ha aiutato e poi

erano i fornitori stessi che si presentavano da me, come una ragazza di Buccinasco che aveva creato il marchio Camomilla Milano: una volta divenuto di successo (nel 2015 ha fatturato circa 4,5 milioni di euro, ndr) è stato distribuito attraverso i rappresentanti, ma io e lei abbiamo mangiato la pizza insieme! I responsabili di Naj-Oleari (top brand degli anni ’80 e tra i simboli dei paninari, ndr), dopo che li avevo contattati per propormi come rivenditore vennero nel negozio a sorpresa, lo trovarono pieno e osservarono il mio modo di trattare i ragazzi: potevano entrare senza obbligo d’acquisto, guardare, toccare; sono sempre stato diretto, senza filtro nel mio modo di vendere, e la mia passione li impressionò favorevolmente. Mi proposero di rivendere i loro prodotti, ma dovevo affrontare un investimento di 30 milioni: ero un ventenne, passai una notte insonne ma decisi di buttarmi. Fu una cosa esagerata, un vero e proprio boom di vendita delle borse e degli accessori, durata

I tormentoni sono sicuramente progrediti e possono persino raccontarci i cambiamenti generazionali: qualche decennio fa ci si industriava con ago, filo e minuscoli corallini per confezionare monili casalinghi, dopodiché si è passati all’intreccio degli Scoubidou – chi non possiede almeno un portachiavi ottenuto dalla continua ripetizione di un nodo tra fili colorati? – e la “scuola” era nel cortile condominiale, all’oratorio o al campetto. Le nuove generazioni, invece, pare preferiscano affidarsi ai tutorial web, come nel 2014, che passerà alla storia per i Rainbow Loom, piccoli anellini in lattice intrecciati in bijoux, avvistati persino indosso a Kate Middleton e Julia Roberts; peccato che il passatempo e la sfida di manualità siano stati bruscamente interrotti da sospetti di tossicità dei materiali. Lo scorso anno a farla da padrone è stato un tormentone immateriale e virtuale, quale Pokémon Go, videogioco basato su realtà aumentata geolocalizzata con GPS: con la sua caccia alle creature immaginarie è stata l’applicazione mobile più scaricata dell’App Store nella settimana di lancio, superando i precedenti record di download.

quasi cinque anni. Oggi c’è la crisi e la concorrenza dei supermercati, ma allora ero in competizione con Fiorucci». D.R.

Tuttavia i non-posso-vivere-senza il più delle volte sono approdati ai nostri polsi, sotto forma di braccialetti: siamo passati dai famosissimi bracciali della fortuna brasiliani (la cui rottura avrebbe avuto il potere di far avverare il desiderio espresso allacciandolo), a quelli dell’amicizia; abbiamo voltato le spalle ai filati per la plastica, in versione fluorescente al buio, a molla o in fili sottilissimi multicolore (vietato non averne gli avambracci pieni), optato per il cuoio, virato per quelli a forma di animale, abbandonato velocemente quelli pericolosi a scatto, apprezzato la delicatezza del macramè proposto da Cruciani e puntualmente imitato in innumerevoli falsi. Questo successo sarà probabilmente legato alla libertà del poter stare finalmente a braccia nude, e magari contemplerà un pizzico di scaramanzia, se pensiamo che, proprio in virtù della sua forma a cerchio, il bracciale ha assunto un significato magico ed è usato come amuleto. Oppure sarà semplicemente la voglia di novità, mixata al gusto per il collezionismo e il gioco dello scambio, il desiderio di portare “l’estate addosso […] pensando ai cieli infuocati, ai brevi amori finiti, respira[ndo] questa libertà, l’estate e la libertà”.

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Intervista doppia

Marte vs. Venere? Pensieri e parole da un altro mondo di Franco Galli e Milva Facchetti

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n’intervista doppia con risposte quadruple – la prima seria, la seconda, in corsivo, più “leggera” – per avere una visione da due esseri alieni: uno che viene da Marte e una che viene da Venere. Senza necessità di dare risposte ma solo stimoli, di risata o di pensiero. Che le risposte vi piacciano oppure no poco importa, tanto sono dette da esseri di un altro mondo! Oppure no? Buona lettura.

Franco

Milva

Donna e uomo: due universi uguali o paralleli? Sono due mondi paralleli ma che spesso si incrociano, a volte con scintille a volte con completezza. Ritengo che ognuno debba mantenere le sue peculiarità che devono essere dall’altro conosciute, comprese e apprezzate.

Non direi né distanti né paralleli, utilizzando la metafora della geometria preferisco utilizzare il termine di complementari. Uomo e Donna per me sono a questo mondo complementari.

È un universo comune in cui i due pianeti Marte e Venere a volte si incontrano e si scontrano facendo scintille, come nel flipper quando la pallina tocca un po’ l’uno po’ l’altro funghetto e poi rimbalza con traiettorie imprevedibili.

E se fossimo invece due pianeti di un unico universo? Certo... ci sarebbe il rischio di una forte collisione...

Non è che le donne si sentono inferiori? Non si sentono inferiori! Ma non sono nemmeno superiori loro; siamo noi maschi ad essere inferiori. Abbiamo altre doti, ma spesso la maestria organizzatrice della donna è superiore. E ci costa ammetterlo!

È dalla rivoluzione francese che le donne vogliono essere considerate e vogliono votare… hanno combattuto allora come oggi, anche con le armi in pugno… Le statistiche dimostrano che le donne eccellono fin dalla scuola elementare, che si laureano in numero maggiore e portano avanti simultaneamente lavoro e famiglia, quanti uomini fanno più di una cosa alla volta?

Assolutamente no, non si sentono inferiori… ne avete mai sentita uno ammetterlo? Se poi noi maschietti proviamo a controbatterle... Non troviamo le parole adatte e finiamo con uno scuotimento di testa di assenso. Ma poi quando il mio ego mi supporta e trovo le parole giuste… la donna comunque mi ribalta e ribadisce che non è inferiore a nessuno.

Non è che sono gli uomini a sentirsi inferiori? Non è un nostro problema…

Non è che gli uomini si sentono superiori? Noi maschi lo diciamo a gran voce, ma spesso per partito preso e perché antropologicamente siamo cresciuti in un mondo maschilista. Sappiamo che le donne sono più programmatiche di noi; poi però se qualcosa non gira come si aspettano, si “incriccano” e vanno in crisi. Noi maschi siamo più resilienti.

Certamente sì… la cultura, l’organizzazione sociale ed economica hanno permesso questa disparità di potere che ancora viviamo... relegando alla donna il ruolo di angelo del focolare che supporta e sostiene e fa grande l’uomo.

Forza e cervello, fanno l’uomo forte. A volte sembra che il maschio non riesca ad avere le due cose insieme… ma è solo questione di allenamento. Forza ragazzi, alleniamo le due capacità (insieme!).

Certo che si sentono superiori! Pitagora diceva che il caos è donna e la precisione è uomo, oppure i proverbi: “picchia una donna quando torni a casa tu non sai perché ma lei se lo merita…” “chi dice donna dice danno...”. Certo che si sentono superiori!

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Pari opportunità, perché siamo così indietro? Per arroganza maschilista, non concediamo troppo, anche se dei passi in avanti sono stati fatti. Solo gli ottusi vogliono rimanere ancorati a queste posizioni e non vanno avanti. Insieme si cresce, meglio.

Proprio per quello che dicevamo prima: le pari opportunità sono un principio giuridico inteso come l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica politica e sociale. Non riguarda pertanto solo il genere femminile; sulla parità c’è molta strada da fare sia per gli uomini che, ovviamente ancora di più, per le donne. Il legislatore, per colmare le lacune, ha previsto leggi che addirittura richiamano il rispetto delle quote rosa, ma ancora in moltissimi ambiti non è attuato e che molte donne per prime contrastano.

Perché alleniamo troppo solo una qualità di quelle sopradette e non è il cervello. O anche il nostro ego, non sopporta di avere una pari diversa da noi.

Perché ancora oggi gli uomini hanno una muscolatura più sviluppata!

Per migliorare, cosa possono fare le donne? Acquisire un po’ del modo di fare maschile, almeno nei rapporti tra amici o colleghi maschi, essere più “amici” e divertirsi come quando eravamo bambini…

Quello che stanno già facendo. Noi donne non vogliamo più la parità di genere che è lapalissiano per tutti gli individui; chiediamo invece a gran voce il rispetto della differenza di genere...

Noi maschi abbiamo la sindrome di Peter Pan, tendiamo a rimanere bambini, anche in età adulta. Le femmine sono già donne da quando erano bambine. E poi le donne che vogliono assomigliare ai maschi, ne escono come una brutta copia…

Smettere di supportare in ogni ambito il proprio uomo come se ancora avesse bisogno della mamma/babysitter.

Per migliorare cosa possono fare gli uomini? Acquisire un po’ del modo di fare femminile, essere più precisi e programmatici.

Ai giovani uomini non chiediamo nulla, perché siamo certe che le loro mamme ci hanno già pensato. Agli uomini chiediamo di eliminare i loro pregiudizi quando si rapportano con una donna che non è, e non vuole essere, né sesso debole né sesso forte.

Ma non siamo già migliori?

Anni e anni di consapevolezza rispetto alla propria identità di “macho” o “micio”.

La festa della mamma e quella del papà servono ancora? In questo mondo di contaminazione, in cui i sessi si mescolano, serve ribadire alcuni punti fermi e questi sono la mamma ed il papà. A patto che loro stessi si riapproprino del loro ruolo che è fondamentale ed indispensabile per andare avanti.

Sì. Perché la nostra società e la nostra costituzione riconoscono alla famiglia il ruolo fondante della società e non è male ogni tanto ricordarsene.

Vanno interpretate come momento di festa. Ma ricordarsi di dire ti voglio bene alla mamma o al papà deve rimanere un obbligo, da multare se non viene rispettato. Però diciamolo almeno più di una volta all’anno!

Sì. Per sostenere l’economia italiana: Baci Perugina, cravatte, fiori, gadget vari...

La mamma è donna, è ruolo generativo; anche nei momenti di difficoltà, rimane nella storia di ogni individuo. Oltre al ruolo di mamma c’è “l’essere madre”, che non è per forza connesso alla capacità di generare ma a tutti quei comportamenti che nella relazione permettono vicinanza, sostegno, amore, e disponibilità. Molte donne non sono mamme ma sono madri.

Come si farebbe senza la mamma? A tutte le latitudini del mondo c’è la mamma. Mamme di tutto il mondo unitevi! Abbiamo bisogno di voi.

Son tutte belle le mamme del mondo e gli anni passano, i bimbi crescono, le mamme imbiancano; ma non sfiorirà la loro beltà! (Claudio Villa docet).

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Illustrazioni Manenti

Ma la mamma è sempre la mamma! Decisamente! Sia dal punto di vista maschile che femminile si riconosce che di mamma ce ne è una sola. A volte dimenticata perché considerata normale, ma invece un vero super eroe, una figura sempre presente in tutte le latitudini del mondo.


ph Minetti

Associazioni

Gli Alpini di Caravaggio: una realtà consolidata Alla scoperta di una compagine associativa molto attiva di Ingrid Alloni

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opo la fine della Prima guerra mondiale, un gruppo di reduci decide di fondare a Milano, l’8 luglio 1919, l’Associazione Nazionale Alpini. Oggi l’Associazione conta più di 375 mila soci a livello mondiale, divisi in sezioni, di cui 81 in Italia e 32 sparse nel mondo. A livello sociale gli Alpini sono intervenuti come soccorso volontario in diverse situazioni drammatiche nazionali e internazionali, tra cui nel Vajont (1963), in Friuli (1976-77), in Irpinia (198081), in Armenia (1989), in Albania a sostegno dei kosovari (1999), fino al recente terremoto in Abruzzo con i volontari della Protezione civile (2009). Il gruppo degli Alpini di Caravaggio nasce negli anni Trenta, ma non ci è pervenuto nessun documento che attesti l’anno di nascita. Ufficialmente il gruppo viene rifondato nel 1978, grazie ad un primo nucleo di volon-

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tari sotto la guida del primo Capogruppo Giancarlo Robecchi. Il Gagliardetto, donato dal Gruppo Alpini di Treviglio, viene benedetto lo stesso anno nella chiesa di San Bernardino durante la manifestazione del 4 Novembre. Da allora ad oggi il Gruppo è aumentato notevolmente, dagli iniziali 45 Alpini si è arrivati agli attuali 149 iscritti, di cui 98 Soci Effettivi e 51 Soci aggregati (i cosiddetti Amici). In un primo momento le riunioni si svolgevano presso il bar Cavenaghi, nell’omonimo Largo, diventato la prima sede. Successivamente il gruppo ha trovato ospitalità presso il complesso di San Bernardino. La parrocchia nel 1998 ha reso poi disponibili dei locali in via Banfi che hanno permesso al gruppo di ritrovarsi fino al 2007. Nel 2006 infatti al Capogruppo Senese viene l’idea di creare con il gruppo una sede propria. Questo progetto, finanziato dai soli soci, è portato a termine e inaugurato


Ferragosto al Roccolo infatti, come momento di aggregazione e svago nel territorio per i contadini che non avevano modo di allontanarsi dai luoghi di lavoro nemmeno nei giorni di riposo, ndr) lasciarsi allietare da un ricco programma composto dalla celebrazione della Santa Messa, musiche e canti, un’ottima cucina e giochi sull’erba: il tutto organizzato dal Gruppo Alpini di Treviglio (www.alpinitreviglio.it) e degli Amici del Parco del Roccolo, che mostreranno le

ph Appiani

Quando si parla del Ferragosto il pensiero ricade sul tempo da trascorrere insieme a familiari ed amici in occasione di una gita fuori porta, magari distesi su un prato a godersi il fresco e un ottimo picnic. Per molti trevigliesi e non, la Festa del 15 di agosto assume anche una collocazione ben precisa: il Parco del Roccolo. È da oltre 35 anni una tradizione per tutti coloro che non possono spostarsi in altre località (la Festa al Roccolo nacque,

in occasione del Trentesimo del gruppo il 20 aprile 2008. Oggi la sede è un luogo di accoglienza, ospitale e ben organizzato. Gli Alpini di Caravaggio non vedono la sede come monumento commemorativo o come semplice luogo, ma come spazio in cui organizzare eventi di varia natura: associativa, umanitaria, ricreativa e sociale. Tutto questo avviene in un posto carico di sentimenti di amicizia e condivisione, nonché di forte spirito identitario. All’esterno della struttura si può osservare un monumento semplice, ma carico di significato. Questo è infatti costituito da tre pietre grandi di diversa dimensione che rappresentano le tanto amate montagne degli Alpini. In un secondo tempo è stata aggiunta una struttura in metallo, come simbolo di una baita sempre pronta a proteggere chiunque chieda accoglienza. L’aquila, posta so-

meraviglie di flora e fauna custodite a pochi passi dal centro abitato. Le Penne Nere della Città, che il prossimo anno celebreranno il 90° anniversario dalla fondazione della sezione locale e che oggi contano circa ottanta persone nelle proprie fila, sono divenute il punto di riferimento non solo per la Festa di Ferragosto e quella di Pasquetta, ma anche per aver valorizzato e messo a disposizione di tutti gli avventori (più di mille persone nella scorsa edizione della manifestazione estiva) una perla di Treviglio, il Parco del Roccolo. Fernando Burini – che è stato il 4° Capogruppo degli Alpini trevigliesi dal 1991 al 1994 – descrive: «L’area comprende oltre 30.000 mq, di cui 14.000 dedicati a zona ludica e 16.000 di Oasi Naturalistica. Il primo nucleo storico è la Chiesetta della Madonna degli Alpini, risalente al 1900, oggetto di pellegrinaggi e numerose celebrazioni. In collaborazione con la Cassa Rurale di Treviglio, della Parrocchia e degli Amici del Parco, il Gruppo Alpini ha negli anni lavorato affinché tutta la zona circostante fosse fruibile da tutti, attraverso svariate opere di manutenzione (come la bonifica del terreno, l’acquisto della risorgiva, la costruzione di una pagoda in legno, la piantumazione, etc.) e attività ricreative, oltre che didattiche ed educative». Il Parco (www.parcoroccolotreviglio.it) è pertanto un luogo in cui poter riscoprire i tesori che la natura ci offre, sotto la preziosa guida di chi si spende per valorizzare il nostro tempo in una cornice splendida così vicina a noi. Appuntamento a Ferragosto al Roccolo! Daria Locatelli

pra questa struttura, inizialmente in metallo, è stata poi sostituita con un’altra in pietra, posizionata a protezione dell’intero complesso. Il monumento è dedicato “Agli Alpini”, senza nessun riferimento specifico, affinché possa fungere da stimolo per le persone che ne ricordano la memoria e che si propongono di portare avanti l’impegno oggi. Gli Alpini sostengono che la loro sede deve essere considerata come luogo di accoglienza nei confronti di chiunque sia disposto ad accettare le loro regole e i loro principi. Le attività in programma per quest’estate, in seguito alla festa alpina svoltasi negli ultimi due fine settimana di giugno e al pellegrinaggio all’Adamello l’8 luglio, la partecipazione a diversi anniversari di fondazione delle sezioni della bergamasca (tra cui Carvico e Oneta).

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Da fare 40 • tribuna magazine • Luglio/Agosto 2017


Abitare

Housing sociale “Il cortile”: abitazioni a misura d’uomo di Angela Cinelli

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ph Appiani

al primo luglio ha preso il via a Treviglio un progetto sociale significativo che vede protagonisti il Comune e la BCC Treviglio, la quale ritrova in questa iniziativa la sua vocazione solidaristica degli inizi. Si tratta del progetto “Il cortile”, un intervento di housing sociale (edilizia abitativa sociale in grado di offrire agli affittuari un canone calmierato) che risponde a determinati requisiti e obiettivi, primo fra tutti quello di creare una “microcomunità solidale” all’interno di uno stabile, che consenta l’instaurazione di rapporti di buon vicinato, oltre che alla creazione di un “portierato sociale”, con la funzione di monitorare e controllare le situazioni dei soggetti ivi inseriti. Soltanto il 5% degli italiani abita in contesti di housing sociale, mentre in Europa è un’esperienza più che consolidata. Il più grande esempio di housing sociale in Italia è quello di Milano, chiamato “Cenni di cambiamento”, una realtà composta da 120 appartamenti nei quali vivono 400 persone, famiglie, studenti, anziani, che non potrebbero sostenere gli affitti standard di una città come Milano. Questi progetti si realizzano grazie all’intervento di privati come banche o assicurazioni, ed è ciò che succede anche a Treviglio. Sono dodici gli alloggi di proprietà della BCC, situati in via Carcano a pochi passi dalla sede centrale della banca, che il Comune di Treviglio ha ricevuto in comodato gratuito per dieci anni e che assegnerà, secondo le priorità stabilite con atto di indirizzo della Giunta comunale, a particolari categorie: persone anziane (otto alloggi), giovani coppie (cinque alloggi) e donne maltrattate con figli minori (un alloggio). Un’abitazione sarà destinata al portierato sociale, come da progetto. La finalità è formare una microcomunità in grado di aiutarsi a vicenda, mettendo in atto rapporti di buon vicinato e mutua assistenza. Il nome del progetto “Il cortile” sottolinea come la struttura stessa del caseggiato, dotato appunto di un cortile interno, sia adatta allo sviluppo di rapporti di socializzazione e integrazione sociale. I dodici alloggi, situati in via Carcano 8, hanno bisogno di ristrutturazione; i lavori sono già iniziati e dovrebbero concludersi entro settembre; ad essi provvede la Banca di Credito Cooperativo, in quanto manutenzione straordinaria.

Queste le condizioni del comodato d’uso gratuito, per i prossimi dieci anni: - inizio gestione degli alloggi da parte del Comune a far data 1 luglio 2017; - possibilità di locazione, da parte del Comune, degli immobili per tramite di criteri definiti con atto di indirizzo della Giunta Comunale e comunque per un tempo non superiore alla durata del presente contratto; - spese condominiali ordinarie a carico del Comune di Treviglio e/o soggetto sub-locatario; - spese condominiali straordinarie a carico della Cassa Rurale; - messa a norma dei n. 12 alloggi oggetto del presente comodato dei servizi igienici, impianto elettrico, impianto di riscaldamento con oneri a carico della Cassa Rurale; - manutenzione straordinaria a carico della Cassa Rurale in qualità di soggetto proprietario dello stabile; - assicurazione rischio locativo, incendio e per la copertura dei rischi di manutenzione straordinaria a carico del Comune; - normalizzazione dei dodici contratti di locazione, sino alla durata massima del presente contratto di comodato d’uso, a carico del Comune significando che nessun onere di gestione sarà a carico della Cassa Rurale; - gestione dei canoni di locazione e relativi incassi a carico del Comune; - procedimenti di assegnazione, decadenze e sfratto a carico del Comune; - i proventi derivanti dalla locazione degli appartamenti saranno totalmente incassati dal Comune significando che nulla è dovuto alla Cassa Rurale; - il Comune verserà alla Cassa Rurale la somma annuale di € 7.000,00 a titolo di rimborso forfettario per spese di gestione. Il versamento dovrà avvenire entro il mese di ottobre di ogni anno ad esclusione dell’annualità 2017. Il progetto è stato presentato lo scorso giugno nella sala Giunta del Comune alla presenza dei soggetti coinvolti, il sindaco Juri Imeri, l’assessore ai Servizi Sociali Pinuccia Prandina e il presidente della BCC Treviglio Giovanni Grazioli, i quali, con reciproca soddisfazione, hanno sottolineato la valenza sociale e solidaristica di questa iniziativa.

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Cultura

Adotta il museo di Valentina Simone

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dotta il museo, promosso dall’Associazione Amici del Chiostro Onlus in collaborazione con l’Ufficio Cultura del Comune di Treviglio, è un’iniziativa nata tre anni fa dall’idea di Fiorenza Torri, socia dell’Associazione cittadina, con la volontà di animare ed attirare un vasto pubblico presso il Museo Civico Ernesto e Teresa Della Torre di Treviglio. Il progetto ha visto protagonisti quest’anno due istituti scolastici superiori, il Liceo Simone Weil e l’Istituto Zenale e Butinone, i quali, dopo mesi di lavoro sullo spazio espositivo e sulle opere in esso custodite, hanno presentato il proprio lavoro rispettivamente nelle giornate di sabato 13 e sabato 27 maggio, presso l’Auditorium del Centro Civico. Come spiega Maria Pasquinelli, presidente dell’Associazione, il coinvolgimento di questi istituti è stato fortemente voluto per avvicinare il museo ai ragazzi più giovani, meno presenti quale fascia d’utenza del polo museale trevigliese, al fine di renderli partecipi ad una riflessione sul patrimonio artistico-culturale territoriale e per il quale è stata dunque proposta un’adozione da parte delle scuole che prevedessero nei loro programmi discipline artistiche. Dopo un attento studio ed analisi, partendo da quanto appreso sui banchi durante le ore di lezione, i ra-

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gazzi sono stati invitati a proporre una serie di lavori che potessero svecchiare il Museo, attraverso uno sguardo che portasse ad una concezione e ad una fruizione dinamica dello stesso. In un primo momento, le classi 3ªE, 3ªF e 5ªE del Liceo Weil (istituto presente già nelle due precedenti edizioni), guidate dalle professoresse Francesca Possenti e Laura Seragnoli, hanno esaminato le opere d’arte, contestualizzandole nelle grandi correnti artistiche della storia, ponendole in relazione tra loro e rielaborandole graficamente, presentandole al pubblico in un’ottica diversa e vitale, con continui rimandi tra l’antico ed il contemporaneo. La seconda parte dell’iniziativa ha visto invece per la prima volta attivi i ragazzi dell’Istituto Zenale e Butinone (nell’ambito dell’attività di Alternanza scuola-lavoro); in particolare le classi 3ATG e 3BTG sotto la direzione degli insegnanti Anna Maria Viganò, Miriam Degani, Antonella Montoro, Vincenzo Spagnoletti, Maria Elena Ruggeri, Maria Luisa Ghidetti, Anna Lisa Bussini, Maranesi Alexandre Cayuela, Stefano Erinaldi, Tommaso Perfetti e Concetta Vignola, i quali si sono occupati di ideare un piano di pubblicizzazione del Museo attraverso la progettazione del marchio, delle brochures, delle locandine dei Tè al Museo (appuntamento mensile promosso dall’Asso-


Sotto la guida delle insegnanti Francesca Possenti e Laura Seragnoli e alla presenza della vicepreside dell’Istituto Maria Rosato e dell’Assessore alla Cultura Giuseppe Pezzoni gli otto ragazzi coinvolti, Ilaria Asperti della 3E, Sara Barbarosa, Arianna Gelfi, Maria Sole Marasco, Samuele Vigorito, Valeria Tirloni e Roberta Migliavacca della 3F e Riccardo Vailati della 5E hanno esposto al numeroso pubblico i risultati del loro lavoro ciazione Amici del Chiostro), della grafica delle schede delle opere esposte e della creazione di percorsi museali esplicati attraverso fotografie e video, nonché della realizzazione di prodotti di comunicazione completi di esecutivi per la diffusione a supporto delle attività promozionali presentate sul sito: alcune delle proposte verranno adottate, donando al Museo un aspetto tutto nuovo e dotato di un linguaggio fresco ed immediato. Entusiasta dell’iniziativa anche l’Assessore Giuseppe Pezzoni, il quale spiega come il progetto rientri appieno nella volontà del sistema museale trevigliese, ossia del Museo non più come spazio destinato ad essere semplicemente un contenitore, quale luogo di conservazione ed

esposizione delle opere d’arte, ma come luogo nel quale la dimensione laboratoriale assume un ruolo rilevante attraverso iniziative periodiche che consentano di avvicinare un numero sempre maggiore di visitatori. In tale occasione è infatti rilevante la partecipazione di realtà quali l’Associazione e gli istituti scolastici superiori, i quali hanno collaborato tra loro, arrivando all’ideazione di prodotti finali che abbracciano a 360° gli obiettivi ai quali un museo deve aspirare, ossia riguardanti tanto la parte contenutistica, quanto l’offerta museale, attraverso il rinnovamento del sito e di tutti quegli strumenti che ne consentano una valorizzazione dell’immagine e, dunque, della presentazione e del dialogo con il pubblico.

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Musica

Calycanthus: il coro che fa fiorire le voci A Treviglio una realtà in cui tutti sono invitati a coltivare con il canto lo strumento più importante che abbiamo, fino a farlo germogliare in musica di Daria Locatelli

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l calicanto è una pianta dai fiori piccoli e poco appariscenti, ma che regalano il loro profumo inebriante in inverno, quando la stagione ne richiederebbe il riposo; è, invece, proprio allora che gli arbusti testimoniano il frutto del loro lavoro e del superamento di tutte le avversità climatiche affrontate. Perché il coro polifonico di Treviglio porta il nome di questa specie floreale? A spiegarlo è il Direttore Franco Forloni, che introduce: «Abbiamo scelto il termine “Calycanthus” per sottolineare che anche le voci del nostro gruppo fioriscono vincendo le resistenze più forti, come avviene in natura per l’arbusto. Per noi non è interessante avvicinare chi è già bravo a cantare, ma, al contrario, chi non si sente all’altezza: è proprio con loro che si può compiere un percorso di educazione e di crescita, il cui risultato è simile ai germogli invernali del calicanto». A partire dal 2005, anno di fondazione, ad oggi sono molti i fiori vocali sbocciati nelle fila del Coro: «Abbiamo iniziato questa meravigliosa esperienza – descrive il Presidente Dario Aralla – con una decina di persone, la maggioranza delle quali neofita; quest’anno contiamo

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circa cinquantacinque membri, sia uomini che donne. Siamo nati con la sfida di creare un gruppo in cui a tutti sia data la possibilità di cantare, di esercitarsi non solo sotto la doccia, ma di far esprimere la propria attitudine anche con un repertorio mai pensato prima, da Mozart a Vivaldi, in modo professionale, non da professionisti». Sono circa una cinquantina i pezzi sacri e non, dal gregoriano al contemporaneo, che il Coro Calycanthus (www. calycanthus.it) propone non solo nel comune ove è nato ed ha sede (presso l’Istituto Padri Bianchi), ma in tutta Italia: Bergamo, Milano, Ferrara, Roma (con l’esibizione lo scorso marzo in San Pietro). Un percorso nella storia della musica che ha saputo valicare i confini nazionali, mediante scambi con formazioni europee, come quella francese che il prossimo novembre sarà ospite a Treviglio e cui seguirà la trasferta dell’ensemble cittadina a maggio 2018. Chiedo al Direttore di spiegare cosa significhi il “coro” e mi risponde con il sorriso di chi ha vinto la sfida iniziale, ossia di aggregare dei germogli titubanti e farli sbocciare in una fusione d’insieme: «Calycanthus è un gruppo di individui che fanno


«Il coro ha un solo strumento: la voce. È un qualcosa di cui tutti siamo forniti, è di serie, non è un optional» fiorire le proprie attitudini, che, se non adeguatamente stimolate, rischiano di rimanere celate. Il coro ha un solo strumento: la voce. È un qualcosa di cui tutti siamo forniti, è di serie, non è un optional. La voce non costa nulla e può essere educata. Si pensi che il metronomo nasce dal calcolo del ritmo cardiaco, la persona umana è quindi musica, perché essa è insita nel corpo e nel sangue. Tutto nasce dalla voce e sta soltanto a noi dare la possibilità di far esprimere questo innato potenziale». E come si è evoluta la coralità in questi anni? «Il cantare insieme – risponde Aralla – ha compiuto numerose metamorfosi a partire dai suoi albori in montagna. Si è infatti passati alla polifonia e all’orizzonte si situa un mix tra i generi, con una proposta esecutiva che prevede l’unione del coro all’orchestra. Un mio sogno nel cassetto è, infatti, quello di un concerto con brani a cappella accompagnati da alcuni strumenti. Grazie a questo, il coinvolgimento di chi ascolta sarà ancora più forte». E la prossima sfida del Coro Calycanthus? «Il nostro obiettivo – rispondono il Direttore e il Presidente – è quello di avvicinare i giovani alla coralità, trasmettendo loro, anche attraverso un tour nelle scuole, il valore dell’aggregazione che costituisce l’identità del gruppo vocale, nonché il valore storico e culturale della musica. Non si può guardare al futuro senza conoscere quello che siamo stati e il contributo imprescindibile di coloro che hanno generato il nostro presente. Solo con l’ascolto e la comprensione degli apporti chi ci ha preceduto si possono gettare le basi del domani». Un ulteriore traguardo che sarà raggiunto con l’espressione dello strumento più prezioso di cui tutti noi siamo dotati e che aspetta di fiorire insieme agli altri, basta solo coltivarlo.

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Libri

Teologia e poesia di Pinuccia D’Agostino

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on è proprio il libro rilassante da leggere in estate sotto l’ombrellone, ma è un libro a suo modo intrigante e, sicuramente, importante; quindi, da non perdere. Si tratta di “Teologia e poesia”, edito da Ancora, ultima fatica editoriale di Don Giuseppe Villa, Vicario della Comunità pastorale Madonna delle Lacrime. Il libro è stato presentato sabato 10 giugno alla Chiesa di San Pietro alla presenza di un folto pubblico e di non pochi relatori che hanno vivacizzato il dibattito coordinato da Francesca Possenti, docente e studiosa d’Arte. Sono intervenuti, oltre all’autore, Mons. Mario Delpini, Vicario generale della Diocesi di Milano, Giuseppe Esposito docente di religione e l’attrice Luisella Basso Ricci che ha letto alcune poesie pubblicate nel volume. Il primo elemento curioso di questo volume sta proprio nel titolo: perché la teologia, scienza del divino, viene messa alla stregua della poesia, che seppur la più alta delle arti, è pur sempre un prodotto dell’uomo? Che cosa lega quindi la poesia alla teologia e viceversa? L’autore non ha dubbi: le due hanno un denominatore comune che le costituisce ed elemento fondamentale di entrambe, la parola. Proprio alla parola Don Villa dedica la prima parte del saggio, un capitolo importante nato da una riflessione profonda sull’essere e sulla manifestazione dell’essere, ma anche da un amore per la poesia che non è dichiarato ma che si palesa nel corso della riflessione e delle non poche interessanti citazioni. Il libro si divide in tre parti, la prima che tratta della relazione tra teologia e poesia: cinque capitoli per analizzare il nodo complesso tra le due, le diversità, le auspicabili convergenze, il contributo che l’una può offrire all’altra, e viceversa. Per far questo Don Villa ripropone la lettura di poesie indimenticabili, come l’Infinito di Leopardi, e di poesie di grandi poeti del ‘900, quali Caproni (in Preda il poeta spara accecato da un lampo e si chiede se ha sparato a Dio che non conosce), Ungaretti, Quasimodo che in Thanatos Athanatos si chiede “e dovremmo dunque negarti Dio dei tumori?”... La poesia non è distante dalla preghiera: si legge con rac-

coglimento, la si recita con un’emozione nel cuore, si cerca tra le sue parole l’imperscrutabile esistenza della Verità. È la forza del linguaggio, l’essenza dell’attività poetica che Holderlin definiva la più innocente delle occupazioni umane, è un dono di Dio dato all’uomo “affinchè egli testimoni ciò che egli è”. Sul fascino di questa espressione citata da Heidegger, Don Villa fonda tutta la sua riflessione sulla poesia. Una seconda parte del volume presenta alcune poesie che nascono da parabole, come quella del padre buono, da metafore come la notte e, infine, un canto a tre voci, sulla confessione d’amore di Pietro. Alcune di queste poesie sono talmente ricche di spiritualità da poter essere considerate delle preghiere. Don Villa ha composto anche dei salmi moderni analizzando ciò che ci viene dato nel vivere quotidiano, i doni, le pene di un Dio che non ha affatto dimenticato l’umanità: egli percorre sempre le nostre strade con segni non sempre avvertiti. Lo afferma anche Pierangelo Segueri, nella terza parte del volume. Scritta da tanti commentatori del saggio, tra cui Luca Bressan, che ha invitato i lettori a sperimentare, attraverso la lettura ed ancor più attraverso la riflessione, il potere reale della parola, quella che esiste nei segni lasciati da Dio, in modo da esserne contagiati e “mutati” nell’animo. “L’affascinante itinerario proposto da questo libro – ha affermato Bressan – genera nel lettore stupore, ebbrezza, gratitudine: sono tre attitudini umane, ma allo stesso tempo, il riflesso della presenza di Dio tra noi”. Come altri volumi scritti dal nostro Vicario della Comunità Pastorale della Madonna delle Lacrime (Voglio dunque sono nel 2009; Il visibile parlare nel 2011; e Il polittico di San Martino di Butinone e Zenale nel 2014) questo libro è un contributo prezioso per la cultura cattolica, ma anche per quella laica che, commossa dal linguaggio poetico, può trovare nel linguaggio teologico la risposta a certi bisogni esistenziali dell’umanità. Non a caso l’autore compone Salmi moderni, partendo dal vivere quotidiano, perché come egli stesso afferma, tutto ciò che troviamo nella vita, le pene come le gioie, sono i doni di un Dio di cui spesso ci sfugge la presenza.

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Libro, moschetto e cazzuola Il Fascismo soffocò le avanguardie in architettura sotto un diluvio di cemento armato. Ma non è tutto da demolire. Anzi di Elio Massimino

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n’analisi storica del fascismo, se vuole essere equilibrata, non deve temere di indicare quello che c’è da “salvare” di quel ventennio. Non molto, a dire il vero, e comunque il saldo per l’Italia rimane tragicamente negativo, ma un ambito in cui il giudizio credo possa essere nel complesso positivo è quello dell’architettura. Il regime costruì molto, non solo in Italia ma anche nelle colonie, edifici pubblici facilmente riconoscibili ancora oggi per il loro stile spesso greve però in genere funzionali e anche capaci di esprimere una certa gravitas. La Prima guerra mondiale aveva spento gli eccessi futuristi e segnato la fine del Liberty, che con la sua leggerezza esprimeva la gioia di vivere di una borghesia vincente. Gli artisti in Italia cominciarono ad avvertire un diffuso bisogno di pacatezza, di un certo “ritorno all’ordine” e alla classicità. Margherita Sarfatti, raffinata critica d’arte e a lungo amante di Mussolini, promosse nei primi anni venti un movimento, i “6 artisti del Novecento”, che arriverà a raccogliere i più bei nomi della pittura italiana, tra i quali Giorgio Morandi, Felice Casorati, Mario Sironi, Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, per citarne solo alcuni. L’architettura italiana, a sua volta, cercò nuovi linguaggi anche per dare risposte alla questione sociale del dopoguerra, e anch’essa guardò al passato per cercare ispirazione. Il razionalismo italiano è la corrente architettonica che meglio saprà rappresentare lo spirito dei tempi, dialogando,

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almeno inizialmente, con il più vasto “Movimento moderno internazionale” che avrebbe compreso grandi architetti come Le Corbusier, Frank L. Wright o Walter Gropius. Ma andiamo con ordine. Nel 1926 un gruppo di sette architetti provenienti dal Politecnico di Milano formano il Gruppo sette, che così si presenta: “noi non vogliamo rompere con la tradizione: è la tradizione che si trasforma, assume aspetti nuovi, sotto i quali pochi la riconoscono”. La personalità di spicco è quella di Giuseppe Terragni, che a Como realizzerà delle opere di una modernità e leggerezza straordinarie come la palazzina abitativa “Novocomun”, l’Asilo San’Elia o la stessa Casa del Fascio. Innovatore anche nel design e in contrasto con lo “spirito dei tempi” che imponeva posture composte e rigide, progettò anche arredi comodi che sembrano concepiti ai nostri giorni, come la “Poltroncina Sant’Elia”. Razionalismo e fascismo si affermarono in maniera del tutto indipendente negli stessi anni. Anzi inizialmente Mussolini dichiarò di non volere un’arte di stato, ma cambiò radicalmente idea come era nel suo stile (se ne accorse anche la Sarfatti che essendo ebrea, nel ‘38 dovette scappare dall’Italia), quando comprese che l’architettura era un potente veicolo di comunicazione. In fondo non si trattò di una grande scoperta, tutti gli imperi del passato avevano fatto ricorso alla monumentalità per soggiogare le folle, come anche i regimi sovietico e nazista a lui contemporanei.

ph Appiani

Architettura


Casa del fascio di Caravaggio

ph Appiani

Nelle foto, in senso orario: Palazzina di corso Matteotti a Treviglio Sedia Terragni “Altorilievi” asportati da un edificio demolito a Treviglio

ph Appiani

L’Architettura di regime fece dunque scivolare il razionalismo verso il monumentalismo, uno stile magniloquente, con chiari riferimenti alla Roma imperiale, i cui fasti il regime voleva riportare sui “colli fatali”. Si realizzarono anche opere grevi o pacchiane, ma sarebbe ingeneroso non riconoscere che l’Italia è piena di tribunali, ospedali, scuole, case del fascio, edifici pubblici in genere che mantengono tutt’oggi un certo fascino architettonico e continuano ad essere utilizzati magari con destinazioni differenti rispetto a quelle per cui erano stati costruiti. A Bergamo abbiamo il notevole “Centro Piacentiniano” lungo il “Sentierone” (la Torre dei Caduti, il Tribunale, la sede del Credito Italiano, la Camera di Commercio, il Palazzo delle poste, ecc.), che si devono a un giovanissimo Marcello Piacentini che diventerà il massimo esponente monumentalismo fascista. E come non ricordare, sempre a Bergamo, la magnifica Piazza della Libertà (ex piazza Lit-

torio) dell’arch. Alziro Bergonzo. Un notevole esempio, in cui è espresso con eleganza il richiamo alla classicità, è il “Palazzo della Civiltà Italiana”, degli architetti Giovanni Guerrini e Ernesto Lapadula, costruito a Roma in vista dell’Esposizione Universale che si sarebbe dovuta tenere nel 1942. Con i suoi archi a tutto sesto, coperto di travertino e ornato di statue, venne definito il Colosseo quadrato ed ha ispirato alcune opere metafisiche di de Chirico. Troppo bello e in un certo senso ingombrante, ha rischiato il degrado, ma finalmente è stato affittato a un’importante casa di moda e così oggi rappresenta, per fortuna pacificamente, il genio creativo italico, come in fondo era nelle intenzioni dei costruttori. In Gera d’Adda l’edificio più significativo credo sia la Casa del Fascio di Caravaggio, anch’essa opera del Bergonzo, che meriterebbe di trovare una degna destinazione, magari cambiandole il nome. A Treviglio mi pare interessante la palazzina di corso Matteotti che oggi ospita egregiamente l’ASL. Da vecchie foto si può vedere che il teatro di piazza Garibaldi era stato ricostruito negli anni ‘30 con una bella facciata tipica di quella stagione. Un po’ dappertutto, volendo recuperare molti edifici, vi sono stati cancellati (e mi sembra giusto) simboli e scritte del regime, incompatibili con l’Italia democratica. Talvolta statue, bassorilievi o altri reperti, spesso di nessun valore artistico, sono stati conservati. A Treviglio abbiamo degli “altorilievi” asportati da un edificio demolito, che esprimono come altri mille in Italia la retorica delle virtù italiche. Non sapendo bene che farne, sono stati depositati in un prato, un po’ nascosti, accanto a una scuola. Con quella collocazione in fondo simboleggiano un passato rimosso, con cui non abbiamo ancora fatto del tutto i conti.

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Arte

I “Nidi” di Gianni Villa di Francesca Possenti

È

ph Appiani

in corso in questi giorni presso il Calisto Café di Vailate la mostra “Nidi” di Gianni Villa, artista originario di Melzo che oggi vive a Liscate, dove da anni è titolare di un negozio di arredamento. Villa ama creare le sue opere utilizzando e trasformando materiale di riciclo con lo scopo di farlo rivivere in nuovi contesti. Per ottenere questo risultato interviene sul materiale con operazioni semplici, tagliando, incastrando, limando, collegando le diverse parti e mettendole in relazione in modo originale e nuovo. I pezzi provengono spesso da scarti industriali o dal settore dell’edilizia e dell’arredo, ambito nel quale lavora da sempre. Le sue realizzazioni nascono dall’abile accostamento e dall’originale fusione di materiali semplici quali marmo, ferro, rame, sassi, legno, corda, oppure dall’inedito assemblaggio di oggetti d’uso comune come ad esempio innaffiatoi, frammenti di colonne, pezzi di legno. Nelle sale del Calisto Cafè e nel giardino sul retro si possono ammirare opere molte diverse tra di loro ma tutte accomunate dal soggetto trattato, il nido, ossia quello spazio che funge da riparo per gli uccelli, divenendo la dimora ove deporre le uova ed allevare la covata. Alcune realizzazioni sono di grandi dimensioni: ne è un esempio l’opera intitolata Nido di cicogna, costituita da una base in ferro sulla quale poggia un grande nido realizzato con rametti di vite canadese, entro il quale sono collocate le uova. L’insieme richiama i veri nidi delle cicogne che sono sempre molto grandi e posti in posizioni elevate. Vi è anche una serie di piccoli oggetti realizzati soprattutto in legno, sulla cui parte frontale si trovano i fori che fungono da “porta” di ingresso per il nido degli uccelli posto sul retro. Tra questi alcuni ricordano la forma del sole, tema caro all’artista che, insieme a quello delle stelle, è inserito in molte delle sue creazioni. Ricordiamo in particolare il sole in ferro, incorniciato da raggi di forma curva simili a piccole gocce, al cui centro si dispongono

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in tre file parallele 12 fori, pronti a fare da ingresso ad altrettanti nidi. Molto originali sono anche le opere sospese, nidi in pietra o legno appesi al soffitto o ai rami degli alberi, stabilizzati nella parte inferiore con sassi colorati. Ricordano i cucù di legno presenti in molte delle nostre abitazioni. E proprio le nostre dimore diventano modello per i nidi di Gianni Villa, tra i tanti segnaliamo quello di forma orizzontale, leggermente arrotondato nella parte bassa, dove la disposizione in serie dei fori d’ingresso ricorda, come dice l’autore stesso, le case di ringhiera milanesi. Ai due lati sono appese due piccole lanterne per far luce la sera. Ogni apertura ha una dimensione precisa e studiata, affinché una determinata specie di uccelli possa entrare, o meglio ancora, sia invogliata a farlo. Originale è anche l’opera predisposta per fare da nido alla cinciarella, realizzata con un annaffiatoio diviso a metà, sotto il quale pende un elemento blu e giallo, i colori delle piume dell’uccellino cui è destinata. L’interesse per il tema del nido è nato in Villa molti anni fa quando, nel 1987, aveva realizzato l’opera intitolata Motel per i passeri, in ferro e cemento. Dai suoi lavori emergono la sorprendente semplicità, ottenuta però con un sapiente e ragionato lavoro e il costante richiamo al gioco, al divertimento, al mondo dell’infanzia. L’artista genera assemblaggi e collages che si ispirano all’ironia e alla fantasia dei grandi Maestri del Cubismo e alla volontà di stupire decontestualizzando gli oggetti, propria degli artisti del Dadaismo. Non manca inoltre l’interesse per la natura, evidente nell’attenzione rivolta alla vita degli uccelli e nella scelta dei materiali. Il nido, simbolo della nascita, della protezione, della vita, diventa immagine delle nostre stesse abitazioni, che tutti vorremmo accoglienti, protettive, sicure. La mostra sarà visitabile fino al prossimo 27 agosto nei seguenti orari: martedì, mercoledì e giovedì dalle 7.30 all’1, venerdì, sabato e domenica dalle 7.30 alle 2.


Archivio Ronchi

Com’era - Com’è

Piazza Insurrezione Una parte di Treviglio che è davvero cambiata nel tempo: le immagini ci restituiscono inalterato soltanto il campanile della Chiesa di San Rocco, qui parzialmente coperto da edifici sorti in epoche molto più recenti, tra cui “svetta” il primo grattacielo di Treviglio.

a cura di Marco Falchetti Luglio/Agosto 2017 • tribuna magazine • 51


Amarcord

Sfilano le Majorettes di Marco Falchetti

I

l vocabolario di italiano “Sabatini Coletti”, sotto la voce “majorette” recita così: “In parate e manifestazioni di vario tipo, ognuna delle ragazze di bella presenza che, in divisa colorata, precedono la banda musicale facendo volteggiare bastoni infiocchettati”. La storia delle Majorettes parte dagli Stati Uniti d’America, durante gli anni venti del secolo scorso, dove davanti ai musicisti delle bande musicali, si esibiva un mazziere che manovrava un bastone lungo circa 80 cm. Dopo gli anni ’30 nacquero le Majorettes a scopo folkloristico. La loro tecnica viaggia di pari passo con le basi del “Baton Twirling”, disciplina ginnico-sportiva caratterizzata dall’impiego di un attrezzo denominato baton, e da movimenti del corpo coordinati con grazia e armonia su una base musicale secondo metodi e regole internazionali. Il bastone (baton, appunto) è un’asta metallica a sezione circolare lunga circa 70 cm, alle cui estremità vi sono due pomelli in gomma: uno piccolo (tip) ed uno grande (ball o star). Vengono inoltre usati pompon, bandiere, nastri e tamburelli. Il Baton Twirling in Italia si sviluppa nei primi anni ’70, quando gruppi di Majorettes iniziano a sfilare davanti alle bande musicali in vere e proprie parate coreografiche. Forse non tutti sapranno, a questo proposito, che Treviglio è stata all’avanguardia – caratteristica del suo millenario DNA – anche in questo campo: dopo Gussago (BS), fu la prima

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cittadina a costituire un gruppo praticante questa disciplina di sport e spettacolo. Il primo nucleo di cinque ragazze fu presentato al pubblico la sera del 26 settembre 1970 durante un concerto in Piazza Insurrezione della “Banda Musicale”, così veniva nominato allora il nostro attuale Corpo Musicale, ormai vera e propria orchestra di fiati. Il gruppo crebbe in un batter d’occhio e tra acrobazie e abilità, frutto di duri allenamenti bisettimanali, partecipò negli anni a numerosissime sfilate in Italia e all’estero: nel 1974 a Roma le nostre ragazze sfilarono nell’inaugurazione dei Campionati europei di atletica leggera allo Stadio Olimpico, poi a Nizza, Santa Margherita Ligure e in altre località dell’Italia Settentrionale e della Francia. La regola base delle Majorettes (esiste tuttora una Federazione Internazionale) si basa su alcuni principi: le ragazze non sono figure sportive singole, ma fanno parte di Gruppi regolari che devono avere minimo 12 elementi (dai 6 ai 30 anni) e sfilare sempre insieme alla propria o a più bande. La figura centrale del Gruppo è la Capitana, Majorette maggiorenne che acquisisce tale incarico su decisione del Direttivo dopo almeno due anni di anzianità nel Gruppo, la regolare progressione tecnica e il Corso teorico-pratico per Capitane. Le prime due Capitane trevigliesi furono Ornella Nembrini e Giusi Donarini che per avere l’abilitazione frequentarono appositi corsi in Francia, mentre la prima “mazziera” fu Renata Galletti.


ph Archivio Cesni

Bisogna dire, leggendo le cronache del tempo, che in quegli anni la mentalità della stragrande maggioranza della gente era ancora piuttosto “bacchettona” e in un primo momento il gruppo in città non fu visto molto bene: veder sfilare delle belle ragazze che mostravano cosce a bella vista non era “costumato” anzi, faceva da “diavolo tentatore” a quei giovanotti scapestrati che ammiravano e commentavano a volte anche con frasi pesanti. Fortunatamente, col passare del tempo e col cambio di mentalità che in quegli anni rivoluzionò il mondo, le cose cambiarono: se pensiamo oggi a queste cose ci viene solo da sorridere. La bellezza delle divise colorate e il luccichio del bastone manovrato con arte spinse molte squadre al confronto, ispirandosi alle tradizionali competizioni francesi. Ovviamente Treviglio non si tirò indietro, anzi fu una protagonista nazionale in quegli anni, tanto che nel maggio del 1974 in città venne organizzata la prima Coppa Italia. Non fu una cosa semplice allestire una simile manifestazione, ma la tenacia e la passione del comitato organizzatore e la fattiva collaborazione dell’Amministrazione Comunale fecero sì che l’evento riscuotesse un grande successo. Oltre a quella di Treviglio, le squadre partecipanti furono quelle di Borgosesia, Casale Monferrato, Cesano Maderno, Gussago, Oleggio, Robbio Lomellina e Vespolate. La base di partenza e di arrivo del corteo, con il relativo allestimento del palco, venne predisposta nel piazzale dell’Istituito Oberdan (ora in comune con il liceo Weil) e nel pomeriggio di domenica 26 maggio 1974 il percorso, Viale Merisio - Viale XXIV Maggio - Via Diaz - Piazza Cameroni - Via Crivelli - Via Dalmazia - Viale Piave fu chiuso

al traffico. Lungo il percorso una giuria – formata da tre donne e un uomo, tutti francesi e illustri personaggi della disciplina – verificava la regolarità, la destrezza, l’abilità e la precisione nell’esecuzione degli esercizi delle squadre impegnate nella competizione. Tutti i gruppi si impegnarono al massimo: purtroppo Treviglio arrivò seconda dietro a Oleggio, che si aggiudicò la rappresentanza italiana ai campionati europei. Fu comunque un giorno di gran festa per la città che fu al centro dell’attenzione e riscosse numerosi elogi per la perfetta organizzazione dell’evento. Il gruppo delle Majorettes continuò ancora per diversi anni l’attività, fino circa alla seconda metà degli anni ottanta; coinvolse numerose ragazze di Treviglio e del circondario e partecipò a moltissime manifestazioni in Italia e all’estero. Alcune di esse, “sposarono”, è proprio il caso di dirlo, talmente tanto questa disciplina che si sono fidanzate e conseguentemente convolate a nozze con diversi componenti della banda.

La parola alle Majorettes Interpellate per questo articolo, le ex Majorettes dell’epoca d’oro non si sono tirate indietro e hanno raccontato con entusiasmo quel periodo, fatto di allenamenti, sfilate, gare, viaggi, e tanto spirito di gruppo. Marina Avogadri, all’epoca capitana delle mazziere, il gruppo che precedeva le Majorettes, ricorda le tournèe dal ‘79 all’82 in Sicilia per tutto il mese di agosto, la battaglia dei Fiori a Nizza, i Carnevali importanti come quello di Busseto: «Abbiamo sfilato dappertutto, eravamo un gruppo sanissimo che si è sempre divertito tanto». L’amica Valeria Bornaghi, anche lei mazziera, ricorda quella volta in cui, durante un’esibizione, la mazza finì in testa a Marina, mandandola k.o. per una settimana: «Tanti sarebbero gli episodi da raccontare, sbagli, cadute, calze smagliate, risate. Ma quello che voglio ricordare è l’assoluta mancanza di invidie e rivalità, nonostante la competizione non mancasse. Di quel periodo ricordo la spensieratezza, il senso di libertà quando si andava in tournée senza i genitori (nonostante fossimo controllatissime), l’aver visto tanti luoghi d’Italia che all’epoca molte di noi non avrebbero potuto visitare. Soprattutto mi è rimasta quella capacità di lavorare in squadra che mi è servita anche nella vita». Cristina Belloli, Majorette per vent’anni, racconta il passaggio dalle Majorettes da sfilata, accompagnate dalla banda, al twirling agonistico, che lei stessa ha rifondato a Treviglio circa tre anni fa e che oggi fa parte del gruppo ginnastica TreviCass: «Abbiamo 40 ragazzine, tra cui una in serie A, due in serie B e un bel gruppo in C. Come società abbiamo anche vinto i Campionati Italiani Cadetti e Team, e anche come soliste». Insomma, le Majorettes con la divisa, che sfilano davanti alla banda non ci sono più, ma le loro figlie fanno evoluzioni da paura con i loro bastoni nei Palazzetti dello Sport di tutta Italia. D.I.

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Sport

Un cavallo per amico In un maneggio di Inzago, HT Horse Balance, l’equitazione è vissuta come un’esperienza unica di crescita personale di Cristina Signorelli

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otata di una grande passione per i cavalli dei quali parla con affettuosa ammirazione, Helga Maria Thoma gestisce un maneggio – HT Horse Balance a Inzago – improntato ad una particolare filosofia di vita e di lavoro: il benessere psicofisico dell’uomo è strettamente in equilibrio con quello del cavallo e viceversa. Helga, nata e cresciuta in Germania, si è trasferita in Italia oltre venticinque anni fa quando si è sposata con un bergamasco. Proprio nel nostro Paese ha conosciuto l’equitazione western con cavalli americani dei quali è rimasta affascinata da subito. Con il passare del tempo la sua passione è cresciuta trasformandosi in un vero e proprio lavoro: ha preso il brevetto come istruttore tecnico Fise e, dopo aver lavorato per qualche anno dando lezioni private e preparando i cavalli altrui, ha finalmente realizzato il sogno di avere una sua scuderia. «Si tratta di un vero e proprio stile di vita – dice – al quale non saprei più rinunciare. Ho un grande

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rispetto per i cavalli, che ho imparato ad apprezzare perché sono animali dolci e equilibrati che possono aiutare anche l’essere umano a migliorarsi. Da quando ho aperto la mia scuderia ho lavorato con molti allievi, tra cui molti bambini ormai diventati adulti, e in tutti ho riscontrato, nel tempo, un miglioramento del proprio equilibrio interiore, oltre naturalmente a progredire nello sport equestre». Anche l’equitazione come molti altri sport può avere oggi una connotazione frenetica ed eccessiva, volta solo ed esclusivamente al risultato: il cavallo usato come un mero attrezzo sportivo da sfruttare al massimo e poi sostituire. Insomma un agonismo estremo che guarda all’immediatezza del premio di gara, come sottolinea Helga: «Anche io preparo i miei allievi alle competizioni ma non potrò mai permettere che il cavallo venga usato e poi accantonato. Il rapporto che nasce tra uomo e cavallo merita rispetto e deve essere sempre valorizzato anche per ottenere i migliori risultati».


A HT Horse Balance l’equitazione prima che uno sport è imparare a stare insieme al cavallo. «Molti bambini oggi sono privi di autostima, già arrabbiati con il mondo, pungolati da genitori insofferenti e forse distratti – spiega – quando mi capita di averne qualcuno al maneggio, mi accorgo che stare vicino al cavallo aiuta il piccolo a liberarsi di tante emozioni negative, guardando le cose da una prospettiva più serena e tranquilla. Nei campus estivi, come durante le lezioni invernali, i bambini crescono insieme all’animale migliorando la percezione di sé divertendosi». Sulla scorta degli importanti risultati ottenuti con il giusto approccio dell’uomo al cavallo, al maneggio sta per essere avviato un nuovo progetto, una sorta di cavallo allo specchio che spiega così: «Ho a lungo sperimentato che il cavallo riflette le nostre emozioni e i nostri stati d’animo, come nessun altro animale sa fare. Nel contempo sempre più persone sono stressate dalla vita quotidiana, densa di problemi e angosce. L’idea che sta alla base di questo programma è “usare” il cavallo come uno specchio di se stessi per migliorarsi. Per avvicinarsi a questi animali, l’essere umano deve aver prima “pulito” il proprio stato d’animo di tutte quelle emozioni negative che immagazziniamo durante la giornata». Il programma consiste in un primo approccio a terra, durante il quale ci si avvicina all’animale che, riconoscendo chiaramente la disposizione interiore dell’uomo, manifesta maggiore ritrosia quando nel soggetto prevalgono sentimenti negativi. Seguono esercizi di meditazione, rilassamento, ascolto della musica che aiutano le persone a

scaricare la propria negatività, e sempre più rinsaldano il rapporto con il cavallo. Insomma Helga ha costruito nel suo maneggio un percorso speciale di cura, attenzione e amore per i cavalli che possono aiutarci a vivere in armonia con la natura e noi stessi.

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Sport

A Cardiff, con lo Juventus Club di Ivan Scelsa

N

ato nel 1973, lo Juventus Club Treviglio è più che mai attivo. Più di quarant’anni in nome di “una fede”, organizzando trasferte in autobus per seguire la squadra del cuore. L’avvicendamento dei consigli direttivi e le molteplici iniziative promosse nel tempo, hanno traghettato l’associazione fino ai primi anni Novanta quando alcuni degli attuali componenti gli hanno dato un nuovo slancio. Una lunga, incondizionata storia di passione per la Juventus: «Assolutamente sì! Siamo riusciti a non sciogliere il club anche dopo lo scandalo di Calciopoli e la retrocessione in serie B. – dice Alberto Guzzi, referente del Club – È stato l’anno in cui sono entrato a far parte del direttivo: sono stati anni duri ma, nonostante tutto, contavamo 20 abbonati e 100 soci. Abbiamo continuato a seguire ed incitare la squadra, organizzando i supporters locali per raggiungere gli stadi di tutta Italia e mantenere vivo il club. Lo abbiamo fatto anche negli anni seguenti, allo Stadio Comunale Delle Alpi, seppur ottenendo risultati poco più che deludenti. Con l’arrivo del nuovo stadio, però, il numero degli iscritti è letteralmente esploso: ad oggi contiamo 63 abbonati per lo stadio e 402 soci (con un record raggiunto nella stagione

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2011/12 – primo anno dello Juventus Stadium – in cui abbiamo registrato ben 469 iscritti)». Un club dinamico, a cui ovviamente piace seguire la squadra organizzando i viaggi alla volta del loro stadio, quello di Torino appunto, per seguire le partite casalinghe dove lo striscione trevigliese non manca mai. Con orgoglio ed una costanza encomiabile, i ragazzi di questo Club DOC riconosciuto dalla stessa Società sottolineano come nelle ultime tre stagioni calcistiche non abbiano perso una sola partita tra quelle in casa ed in trasferta e che una rappresentanza locale è sempre stata accanto alla squadra, in Italia e all’estero. Avete seguito la squadra anche nella recente finale di Champions League? C’è sempre qualcuno dello JC Treviglio presente, e questo ci riempie di orgoglio, soprattutto per l’attaccamento al gruppo che si è creato da parte di ciascuno. Abbiamo seguito i giocatori fino a Cardiff, per supportarli nell’amara finale di Champions League disputata contro il Real Madrid solo pochi giorni fa. Eravamo circa una trentina di abbonati del club: alcuni di noi hanno preso il pacchetto viaggio con autobus, altri l’aereo, magari approfittando di voli a basso costo con annessi scali per arrivare a Birmingham e proseguire quindi alla volta di Cardiff in treno. Aldilà del risultato deludente, è stata un’esperienza unica, irripetibile. Ogni trasferta, ogni domenica passata assieme, su un pullman, in auto o su di un aereo, unisce e consolida questo gruppo fantastico di persone, rendendo questo Club il veicolo per condividere la nostra passione. Posso dire, senza ombra di dubbio, che ormai è una seconda famiglia. E quelli che non hanno potuto raggiungere Cardiff? Coloro che non hanno potuto seguire la trasferta inglese hanno raggiunto piazza San Carlo di Torino per vivere quella serata di Coppa in pieno clima agonistico; anche lì – e non per il risultato finale – l’epilogo non è stato dei migliori e di questo, purtroppo, le cronache nazionali hanno ampiamente dato spazio a quella che poteva rivelarsi una tragedia di dimensioni epocali. Per incontrarvi? La nostra sede si trova presso il Bar Mocado, in via Caravaggio; ci riuniamo tutti i giovedì sera dalle 21.00 alle 22.30 e, per chi non viene allo stadio, è comunque possibile seguire tutte le partite della Juventus, ovviamente in ottima compagnia.


Ricordo

Spadon, un vero galantuomo

N

el maggio scorso muore a Treviglio Cloridano Spadon, un uomo che la città ricorderà per la grande generosità dimostrata in tanti anni di volontariato, attività sociali, culturali e politiche. Non ci dilungheremo qui a ricordare la figura del partigiano che organizzava mostre sulla Resistenza; con questo breve omaggio, grazie alla testimonianza della moglie Mariuccia, ci preme sottolineare di lui soprattutto la grande onestà e il disinteressato altruismo. «Era un galantuomo, sempre pronto ad aiutare gli altri, anche mettendo mano al portafoglio. Una persona onesta, pulita, con il suo bel caratterino, non era facile stargli vicino. Aveva le sue idee, ma la sua onestà, anche intellettuale, era apprezzata da tutti. Ecco perché al suo funerale non mancava nessuno, bianchi, neri, rossi. C’erano tutti». La consuocera lo chiamava “l’ultimo cavaliere sulla Terra” per il suo incondizionato rispetto delle donne: «Al punto che, quando andavamo in luoghi pubblici e lui teneva aperta la porta a tutte le donne che passavano, mi scappava da dire: “Sì, ma non aspettare anche quelle di Bergamo!”. Era fatto così. Rispettava tutti, di qualsiasi razza, credo politico o religioso, orientamento sessuale». Tantissimi i messaggio di cordoglio arrivati a Mariuccia e anche sui social network: “Riposa in pace, partigiano Spadon, coglierò il fiore della libertà per te. Quella libertà che ti sei preso con le tue stesse mani da giovane” (Stefano Aresi); “Ha saputo darci la capacità di comprendere che cosa significava avere dei valori in cui credere. Ha dato tanto alla città senza chiedere assolutamente niente” (Giuseppe Pezzoni, durante il Consiglio comunale del 30 maggio); e moltissimi altri. Ci mancherà questa coppia inseparabile, sempre pronta a fermarsi per due chiacchiere, sempre attenta alle cose di Treviglio. Ci mancherà l’ultimo galantuomo sulla Terra. D.I.

I.P.

La rubrica del fisco

I nuovi voucher 2017

I

voucher si trasformano e per il 2017 e il 2018 diventano libretti familiari, adatti ai lavoretti domestici, e contratti di prestazione occasionale, per le piccole imprese. Ciascun lavoratore non potrà ricevere compensi superiori a 5mila euro all’anno e non più di 2.500 euro dallo stesso datore di lavoro. A sua volta, l’utilizzatore, ossia il datore di lavoro, non potrà superare la soglia dei 5mila euro di compensi. Per le imprese, la misura minima oraria del compenso non potrà essere inoltre inferiore a 9 euro l’ora, per un massimo di 4 ore di lavoro consecutive con lo stesso datore di lavoro. Nel computo dei 5mila euro per ciascun datore di lavoro, vengono considerate al 75% dell’importo le prestazioni effettuate da titolari di pensioni di vecchiaia o invalidità, disoccupati, giovani fino a 25 anni iscritti a un ciclo di studi, e chi percepisce integrazioni del salario o sostegno al reddito. In breve, vediamo come funzionano nel dettaglio i nuovi voucher. Ogni titolo di pagamento del libretto famiglia ha un valore nominale di dieci euro per prestazioni di durata non superiore a un’ora, cui si sommano altri due euro per i contributi e l’assicurazione. Il lavoratore ha infatti diritto all’assicurazione contro la vecchiaia, l’invalidità e i superstiti, con iscrizione alla gestione separata, e all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, al riposo giornaliero, alle pause e ai riposi settimanali. I compensi percepiti sono esenti da imposizione fiscale, non incidono sul suo stato di disoccupato e partecipano alla determinazione del reddito necessario per il rinnovo del permesso di soggiorno. Attraverso il libretto famiglia viene erogato il contributo – istituito con la riforma Fornero – per l’acquisto di servizi di babysitter, oppure per pagare gli asili nido pubblici o i privati accreditati. Per quanto riguarda il nuovo contratto di prestazione occasionale potrà essere utilizzato da micro imprese fino a 5 dipendenti, escluse quelle del settore agricolo, fatto salvo per le prestazioni effettuate da titolari di pensioni di vecchiaia o invalidità, disoccupati, giovani fino a 25 anni iscritti a un ciclo di studi,

e chi percepisce integrazioni del salario o sostegno al reddito. In caso di contratto occasionale il datore di lavoro deve comunicare, almeno un’ora prima, l’inizio della prestazione. In caso di mancata comunicazione della prestazione c’è una multa da 500 a 2.500 euro. Il datore di lavoro ha però tempo fino a tre giorni dopo per comunicare che la prestazione non ha avuto luogo, utilizzando il portale Inps. In mancanza della revoca, l’Inps provvede a pagare le prestazioni e accreditare i contributi previdenziali e premi assicurativi. L’imprenditore agricolo non potrà usufruire di una singola prestazione per più di 3 giorni. In caso di superamento da parte di un datore di lavoro diverso dalla pubblica amministrazione del limite dei cinquemila euro di importo o di durata della prestazione pari a 280mila ore nell’anno civile, il rapporto si trasforma in un tempo pieno e indeterminato. Escluse anche le imprese edilizie e quelle coinvolte nell’esecuzione di appalti di opere o servizi. Il compenso orario minimo è di 9 euro, tranne che per il settore agricolo dove il compenso minimo è pari all’importo della retribuzione oraria del lavoro subordinato individuata dal contratto collettivo. A carico del datore di lavoro la contribuzione alla gestione separata, pari al 33% del compenso, e il premio dell’assicurazione contro infortuni e malattie pari al 3,5%. Il compenso pattuito non potrà essere inferiore a 36 euro per prestazioni di durata non superiore a 4 ore continuative. Giovanni Ferrari Tributarista

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Le ricette di Erika Resmini

Insalata tiepida con sfilacci di carne equina Ingredienti: • Rucola • Pomodori da insalata • 1 confezione di sfilacci di carne equina • Olio • Sale Per la crema: • 40 gr di parmigiano • Mezzo bicchiere di latte

Paccheri al pomodoro con pesto e burrata Ingredienti per 4 persone: • 250 gr di paccheri • 1 confezione di pomodori datterini • 1 mazzetto di basilico • 50 gr di Parmigiano • 20 gr di pinoli • Aglio • Olio d’oliva • Sale

Torta al limone Ingredienti: • 3 uova • 100 gr di zucchero • 1 limone • 100 gr di farina • 80 gr di amido di mais Per la crema: • 200 ml di latte • 2 limoni non trattati • Vaniglia • 3 cucchiai di zucchero • 40 gr di farina

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Prodotti disponibili presso CFL

L

avare i pomodori e tagliarli a spicchi. In un piatto da portata adagiare un letto di rucola e gli spicchi di pomodoro, disporvi al centro gli sfilacci di carne e condire con un filo d’olio. In un pentolino scaldare il latte con il parmigiano, mescolando per evitare la formazione di grumi. Una volta raggiunta la consistenza di una crema, versarla sull’insalata. A voi l’assaggio: un contrasto insolito e piacevole.

P

ortare a bollore l’acqua salata. Nel frattempo, tagliare a dadini i pomodori, versare un filo d’olio in una pentola e farli rosolare per pochi minuti. Spezzettare il basilico; unirvi olio, aglio, sale e parmigiano. Frullare il tutto e aggiungere i pinoli. A cottura ultimata della pasta, mantecare con i pomodorini. Impiattare, versare a piacimento il pesto e, per un tocco di freschezza, aggiungere la burrata a pezzetti. Ecco a voi un piatto di pasta estivo e saporito!

P

reparare l’impasto montando gli albumi a neve. Unire lo zucchero e un pizzico di sale. Aggiungere la scorza del limone e, delicatamente, i tuorli. Incorporare gradualmente la farina e l’amido. Versare il composto in una teglia e infornare per circa 40 minuti a 160°C. Nel frattempo, preparare la crema portando a bollore il latte e aggiungere il succo di limone. Sbattere i tuorli con lo zucchero, unire la farina e versare a filo del latte, facendo addensare il composto. Quando il tutto sarà raffreddato, farcire la torta, cospargerne di crema anche la superficie e decorare con fette di limone. Eccovi un dolce da forno, ma fresco al palato... Buona estate e arrivederci a settembre!

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La rubrica della salute orale

I.P.

Le App del mese

La prevenzione della carie nei bambini

Il social network della TV

I

bambini presentano un rischio mediamente maggiore rispetto agli adulti di sviluppare la carie: uno studio epidemiologico sulla popolazione pediatrica di Milano promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ha calcolato che il 21,6% dei bambini di 4 anni e il 43,1% dei bambini di 6 anni hanno almeno un dente danneggiato da carie. Ma cos’è la carie? È una patologia che colpisce i tessuti duri dei denti (smalto e dentina) che si sviluppa dall’interazione di diversi fattori che possiamo riassumere in tre categorie. Placca: con questo termine indichiamo il complesso di batteri che colonizzano la superficie dei denti; essi si organizzano in una sottile pellicola, detta biofilm, che li rende particolarmente resistenti. Dieta: i batteri che causano la carie necessitano di carboidrati per vivere e riprodursi, grazie a questi essi producono acidi che provocano la demineralizzazione dei tessuti duri dentali, primo passo verso la carie. Predisposizione individuale: comprende un gran numero di caratteristiche dell’organismo come la mineralizzazione dello smalto, la posizione dei denti e la familiarità per questa malattia, ma fra tutte la più importante è certamente la composizione della saliva; essa è in grado di tamponare l’ambiente acido della bocca per circa 30 minuti, ma se l’assunzione di zuccheri è frequente la saliva non è in grado di mantenere il pH della bocca sopra il valore soglia di 5,5 e il rischio di carie aumenta; inoltre la saliva è in grado di remineralizzare lo smalto e, naturalmente, contribuisce a mantenere detersi denti e gengive. Come diminuire il rischio di carie nei bambini? Una delle raccomandazioni più importanti che possiamo dare è di

Azzola

studio d e n t i s t i c o

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di Gabriele Ghilardi

A evitare l’uso di succhiotti ricoperti di zucchero, di biberon con bevande zuccherine ed in generale l’assunzione di zuccheri fuori dai pasti. Insegniamo ai nostri figli a pulire i denti al termine di ogni pasto e controlliamo affinché lo facciano correttamente, usare bene lo spazzolino con efficacia non è poi così facile! L’assunzione di fluoro fin dalla tenera età contribuisce a remineralizzare lo smalto e quindi a prevenire la carie; in Italia, contrariamente a quanto avviene nei paesi del nord Europa, non viene aggiunto fluoro nelle acque potabili, esso deve essere quindi assunto attraverso dentifrici fluorati. Un altro intervento di provata efficacia nel prevenire la carie è la sigillatura dei solchi di molari e premolari; questi solchi, proprio per la loro conformazione, trattengono più placca delle altre parti del dente e si cariano molto facilmente; sigillandoli, la riduzione del rischio di carie arriva fin all’87,1% purché siano rispettati tutti i requisiti necessari alle procedure adesive, come l’isolamento con la diga in gomma per mantenere il campo asciutto.

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tutt’oggi, sembra che guardare le serie televisive sia diventato un vero e proprio impegno, soprattutto per la loro lunga durata dovuta alle innumerevoli stagioni che vengono riproposte ogni anno. Il timore principale? Perdere il segno! Ricordare dove si è arrivati è difficile e c’è il rischio di incorrere in spoiler inaspettati, che tolgono il piacere di guardare la televisione. Ora, il mondo della televisione ha un vero e proprio social network tutto suo, che permette di aggiornarsi sulle serie televisive preferite in maniera innovativa, divertente e soprattutto utile. TV Time, questo il nome dell’applicazione disponibile su App Store e Google Play, offre molteplici funzioni tra cui tenere conto di quanti giorni mancano all’inizio di una stagione appena rinnovata, contrassegnare gli episodi visti e commentarli tramite immagini, recensioni vere e proprie o indicando il personaggio che secondo l’utente ha dato una performance migliore rispetto agli altri. Come funzionalità minori, l’applicazione consiglia serie tv simili per genere a quelle che già si seguono, suggerisce quelle che guardano gli amici e le immancabili tendenze del momento. Alla fine, non è altro che un social vero e proprio, poiché permette di personalizzare il profilo con le proprie immagini, inviare messaggi ad altri utenti, ottenere dei seguaci in base alle proprie recensioni e seguirli a loro volta in base alle loro, ma anche collegare l’applicazione ad altre piattaforme come Facebook, Instagram e Twitter. Consigliata perlopiù ai ragazzi più giovani, ma anche a quegli adulti che vogliono stare al passo con le serie cult e con le nuove produzioni, TV Time è il posto per chi ama una grande varietà di storie. Soprattutto perché lo spoiler è quasi inesistente.


La rubrica della salute

I.P.

Clue, il promemoria per il ciclo di Sara Nisoli

C

reata nel 2013, Clue nasce come app di monitoraggio per la salute femminile in cui segnare il proprio ciclo, ma non solo: presenta 28 categorie tracciabili tra cui il periodo fertile, gli stati d’animo, i dolori, le voglie, e molto altro ancora. Il suo slogan è “Sicura, scientifica… e non rosa” ed ha spopolato proprio grazie a queste tre caratteristiche. All’interno di Clue, infatti, si possono trovare informazioni dettagliate sul ciclo mestruale e ciò che esso influenza, complete di riferimenti scientifici e medici, utilissime per comprendere al meglio il proprio corpo. Inoltre, è possibile inserire un PIN per rendere l’app completamente privata, oppure può essere collegata ad altri dispositivi per informare e confrontarsi con partner, amici o familiari. Per quanto riguarda il colore, Clue garantisce la completa assenza di fiori, farfalle e toni del rosa utilizzati in app simili, da molte donne considerati poco consoni. L’applicazione richiede la creazione di un account tramite una mail, un passaggio intuitivo in cui inserire anche età, altezza e peso. Tutto ciò per un semplice motivo: Clue utilizza un algoritmo che parte da basi statistiche, ma si modifica sui dati inseriti man mano dall’utente, diventando più “intelligente” e in grado di mandare promemoria sempre più precisi. Questi ultimi sono personalizzabili, così come si può scegliere quali tra le tante categorie tenere monitorate. Disponibile gratuitamente sia per iOS che Android, Clue presenta una grafica intuitiva e colorata, piacevole all’utilizzo, ed ogni suo aggiornamento mira al miglioramento delle funzionalità per rispondere alle esigenze delle utenti.

Ginecologia

L

a ginecologia si occupa delle malattie dell’apparato genitale femminile, a partire dall’età della prima mestruazione fino all’età senile. Molti sono i problemi legati a questo delicato apparato, fondamentale per la sessualità e capacità riproduttiva della coppia. Le malattie ginecologiche sono l’insieme di patologie riguardanti l’apparato genitale femminile, distinguibili in base alle cause, che possono essere infiammatorie, a trasmissione sessuale o neoformative. In tale gruppo rientra anche la menopausa che, per quanto fenomeno di origine fisiologica, viene trattata come condizione patologica che richiede cure sostitutive. La manifestazione di una malattia ginecologica può portare anche problemi che possono interessare la vita di coppia e la fertilità. Tali malattie vanno affrontate con una comunicazione adeguata della patologia stessa, delle possibili strategie terapeutiche e della prognosi. Vi sono, inoltre, malattie internistiche e terapie farmacologiche che hanno riflessi sulla sfera ginecologica, come le malattie endocrine, metaboliche e cardiovascolari per cui è necessario raccogliere sempre un’attenta anamnesi personale. Alcune patologie sono: - irregolarità del ciclo mestruale sia per ritmo, per dolore o quantità; - infezioni vaginali; - malattie a trasmissione sessuale; - difficoltà al concepimento; - difficoltà a portare a termine una gravidanza; - incontinenza urinaria e prolasso

degli organi genitali; - sindrome da menopausa con i disturbi a carico dei vari apparati; - tumori maligni dell’utero, delle ovaie e della mammella. È molto importante sottoporsi a controlli periodici, in quanto ciò permette di prevenire o diagnosticare in tempo eventuali anomalie. Come prevenzione è consigliabile: - visita ginecologica, con questa semplice visita è infatti possibile prevenire molti disturbi legati alla sfera ginecologica; - pap-test, un esame in cui si raccolgono le cellule del collo dell’utero e dell’endocervice; - ecografia, che concentra la propria attenzione sugli aspetti fisiologici dell’apparato genitale femminile, sul suo funzionamento, sugli eventuali dolori alla parte bassa dell’addome e sulle patologie come fibromiomi, cisti ovariche e iperplasia, sia di carattere benigno che maligno. È possibile eseguire l’ecografia sia in modalità sovra-cubica che transvaginale; nel primo caso la sonda viene appoggiata al livello dell’addome, nel secondo viene introdotta per via vaginale, per condurre un’analisi più accurata di ovaie e utero direttamente dall’interno.

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La Vignetta di Juri Brollini

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Da fare Luglio/Agosto 2017 • tribuna magazine • 63


Da fare 64 • tribuna magazine • Luglio/Agosto 2017


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