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Un piano che non può fallire
Il Recovery Plan italiano è stato bocciato, ma rappresenta una grande opportunità per il paese. A patto che si compiano le riforme necessarie per attuarlo
Il 12 gennaio scorso il Consiglio dei ministri ha approvato la proposta del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano (PNRR) che stabilisce come spendere i soldi che arriveranno dall’Unione europea sotto forma di prestiti (loans) e contributi a fondo perduto (grants), grazie al programma Recovery and Resilience facility. Come sappiamo però il piano impostato dal governo non stato condiviso da Italia Viva e dalle due ministre espresse da questo partito: Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, le quali astenendosi dalla votazione finale e dimettendosi dalle rispettive cariche, hanno innescato una crisi che ha portato alle dimissioni del premier Giuseppe Conte e quindi alla crisi di governo. Il Piano italiano è stato criticato anche dai tecnici di Bruxelles, che ricevuta la prima bozza, non hanno riscontrato alcuni dei presupposti richiesti per accedere ai fondi. Ma cos’è nello specifico il Recovery and Resilience facility? Il dispositivo per la ripresa e la resilienza è il fulcro di Next Generation EU, il piano da 750 miliardi di euro che dovrà assicurare un futuro di crescita dopo la crisi innescata da Covid-19. Il Piano mette a disposizione 672,5 miliardi di euro di prestiti e sovvenzioni per sostenere le riforme e gli investimenti effettuati dagli Stati membri. L'obiettivo dichiarato è quello di “attenuare l'impatto economico e sociale della pandemia e rendere le economie e le società dei paesi europei più sostenibili, resilienti e preparate alle sfide e alle opportunità della transizione ecologica e di quella digitale”. Ma non è tutto. Next Generation EU stanzia anche 47,5 miliardi di euro per un altro piano, ribattezzato React-EU, ripartendo i fondi aggiuntivi tra il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD), Horizon 2020, InvestEU e il Fondo per lo sviluppo rurale.
Cifre e tempistiche
L’Italia, tra i Paesi europei maggiormente colpiti dalla pandemia, ha richiesto e ottenuto una mole di prestiti e sovvenzioni a fondo perduto che supera i 200 miliardi di euro. Al pari di quello degli altri paesi aderenti, anche il piano italiano dovrà essere presentato (salvo eventuali proroghe) entro il 30 aprile 2021 alla Commissione Europea. Sfortunatamente quanto fatto sin qui non ha soddisfatto né la Commissione Europea, che ha evidenziato come nella bozza italiana manchino chiari indirizzi su riforme richieste da anni (giustizia e pubblica amministrazione in primis), né le associazioni datoriali come Confartigianato e Confindustria, che hanno chiesto al governo una governance condivisa e trasparente. Tutto da rifare dunque? Molto dipenderà dalla politica e dalla capacità di presentare un piano coerente con quanto richiesto dall’Unione Europea. Ciò che è certo sono le tempistiche. Le risorse a disposizione devono essere richieste, motivate e spese entro il 31 agosto 2026. Inoltre, nelle linee guida diffuse dalla Commissione Europea (Guidance to member states recovery and resiliance plans 22/1/2021), viene specificato come “gli investimenti (oltre che pubblici ndr.) possono anche assumere la forma di strumenti finanziari, regimi di sostegno, sussidi e altre agevolazioni, data la loro capacità di raggruppare ulteriori investimenti privati. In particolare ove vengano individuate condizioni a “fallimento di mercato” e che contribuiscano a raggiungere gli obiettivi dello strumento di recupero e resilienza”. Una soluzione particolarmente adatta al nostro Paese se pensiamo, ad esempio, alle tante aree scoperte dalla fibra ottica su cui gli operatori non hanno interesse ad investire.