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Scarsità delle materie prime: così si rischia lo stop alla produzione

Dall'aumento di prezzo alla scarsità di materiale. Cosa sta succedendo sul mercato e cosa rischiano le nostre imprese

Al forte rincaro delle materie prime, in particolare di metalli e acciai, si sta sommando un altro grosso problema: la scarsità sul mercato. In occasione del XXI Congresso della categoria Meccanica della nostra associazione, svoltosi lo scorso 20 maggio, la problematica è emersa nelle parole e nei dati presentati da Gianclaudio Torlizzi, analista e amministratore di T-Commodity società specializzata in servizi legati al mercato delle commodities (materie prime e particolari beni ndr.) e in quelle delle imprese partecipanti. «È necessario un intervento delle istituzioni, Governo e Unione Europea, per garantire l'operatività delle imprese in una situazione di tendenziale ripresa dell'economia» spiega Davide Gruppi, riconfermato alla presidenza del Consiglio direttivo di della categoria che raggruppa oltre 800 imprese attive sulle province di Modena e Reggio Emilia. «Le cause di questa situazione – spiega Torlizzi – sono generate da un'accelerazione molto forte dei consumi di Cina e Stati Uniti, le due economie mondiali ripartite meglio dopo il disastro Covid-19. Gli eccezionali stimoli fiscali e monetari promossi dai due Paesi hanno infatti permesso loro una ripartenza di consumi e produzione in tempi record. D'altra parte hanno trovato del tutto impreparate le filiere produttive e di trasformazione delle materie prime, in molti casi ancora alle prese con lockdown e altre misure di contenimento della pandemia». Risultato? Ora la domanda eccede l'offerta e a farne le spese sono soprattutto i Paesi e le imprese europee, alle prese con un lead time (il tempo tra ordine e consegna ndr.) dilatato all'inverosimile. I tempi di consegne di acciaio e alluminio, solo per fare due esempi, possono allungarsi anche di 8 mesi e i fornitori abituali, soprattutto i grandi gruppi siderurgici del nord Italia, non forniscono particolari rassicurazioni su quando potrebbe terminare l'emergenza. «Insieme ai nostri clienti abbiamo assorbito, seppur con qualche difficoltà, gli aumenti di costo di acciaio e metalli – continua Gruppi - oggi però siamo al paradosso. Pur avendo ordinativi, rischiamo di non riuscire ad onorare le consegne a causa di una sempre più diffusa scarsità di materia prima».

Cosa fare?

«Dobbiamo sollecitare un'azione più incisiva da parte del Governo italiano e dell'Unione Europea, in particolare è necessario allentare i dazi sull'import di acciaio cinese, almeno sino a quando non verrà ripristinata la piena operatività degli impianti italiani ed europei, ILVA di Taranto in primis. È poi importante accendere i riflettori sul ciclo dei rifiuti ferrosi. Il rottame, in un'economia in transizione energetica, diventerà sempre più prezioso e non possiamo permetterci di sprecarne esportandolo all'estero in favore di altre acciaierie. Come fatto nel caso della golden power esercitata per la prima volta dal governo su LPE, l'azienda lombarda produttrice di semiconduttori finita nel mirino di acquirenti esteri, anche in questo caso dobbiamo avere una politica industriale capace di tutelare le imprese italiane. Il rischio più concreto generato da uno stop forzato alla produzione è una crisi occupazionale che in questa fase non possiamo permetterci». Conclude Gruppi. «È importante affrontare la questione ambientale con lungimiranza» chiosa Torlizzi. «Purtroppo mi sembra di vedere molti politici scollegati dalla realtà. Stiamo entrando in un nuovo ciclo macroeconomico, abbandonando una politica deflazionista caratterizzata da bassi prezzi e bassi salari, due elementi tipici della globalizzazione, che dura da oltre 20 anni, per entrare in una nuova era. Ma all'avvento di questa nuova epoca sarà importante garantire gradualità, per evitare scompensi rilevanti in termini di occupazione ed eccessiva discontinuità nei principali settori industriali». In sintesi Stati Uniti ed Europa fanno bene a promuovere web tax, politiche fiscali perequative, azioni a tutela del clima, etc… ma attenzione a non sacrificare sull'altare del cambiamento la maggior parte di chi – non solo in Italia – si trova ancora a metà del guado. «Un sistema serio come quello rappresentato dall'Unione Europea dovrebbe garantire una transizione più lenta e ragionata, monitorando gli effetti collaterali prodotti e sussidiando chi soffre maggiormente questa situazione» spiega Torlizzi. Ma non è tutto. Lato imprese è fondamentale comprendere i cambiamenti in atto. «Con il rincaro dei prezzi e i costi di produzione limati al centesimo è la produttività la leva che determinerà la sopravvivenza di un'azienda. Se non si può intervenire sul costo del lavoro e si subisce il rincaro delle materie prime, bisogna implementare i processi produttivi». Una prospettiva di lungo termine? «Per anni abbiamo considerato la lean production (o produzione snella, il sistema di gestione nato per minimizzare gli sprechi in impresa ndr.) come l'emblema dell'efficienza delle catene globali del valore. Oggi ci si rende conto che qualcosa non funziona più. Secondo me il futuro vedrà una maggiore importanza dei fornitori più prossimi geograficamente e soprattutto premierà chi ha livelli di patrimonializzazione importanti. Non bisogna usare l'azienda come un bancomat, bensì un approccio razionale».

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