La Pausa N. 27

Page 1

C PI

ANNO 3 NUMERO 27

O A G R U AT

A IT

CASA & DESIGN

L'aria di Samarcanda modella la pietra e il pane

MISTERO

Giganti alieni e "Grigi" a Samarcanda?

ARTE

Igor Savitsky: storia di un museo

ALLA SCOPERTA DELL'UZBEKISTAN


GREEN VIAGGI Uzbekistan

4

NATURA 14 I parchi naturali dell' Uzbekistan ANIMALI Il leopardo delle nevi

18

RED TELEFILM The big C

24

LIBRI Non sparate a Dontoevskij

28

MISTERO 30 Giganti alieni e "Grigi" a Samarcanda? STORIA L'impero di Tamerlano

36

MUSICA BMTH, that's the spirit

42

BLUE SPORT Usain Bolt

46

SPORT MINORI Harrijasotzaileak e Kurash

50


SPORT CERTIFICATI Il team Gualdo Tadino

52

YELLOW SOCIOLOGIA Bello e impossiblie

54

SPECIALE ED EVENTI Mineral show 2015

56

ARTE Igor Savitsky

58

CASA & DESIGN 60 L'aria di Samarcanda modella la pietra e il pane CURIOSITA’ Novembre

64

PINK GAMES Super Mario

68

SPAZIO POSITIVO 70 L'autostima contro il femminicidio

ANNO 3 N. 27 Rivista on-line gratuita DIRETTORE RESPONSABILE Pasquale Ragone DIRETTORE EDITORIALE Laura Maria Gipponi GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giulia Dester HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Laura Gipponi, Diana Ghisolfi, Nicola Guarneri, Gaia Badioni, Simone Zerbini, Susanna Tuzza, Raffaele d’Isa, Sylvie Capelli, Gianluca Corbani, Gianmarco Soldi, Luca Romeo, Roberto Carnevali, Carlo Cecotti, Sirigh Sakmussen, Nia Guaita. DIREZIONE/REDAZIONE/PUBBLICITA’ AURAOFFICE EDIZIONI S.R.L. a socio unico Via Diaz, 37 / 26013 Crema (CR) Tel 0373 80522 / Fax 0373 254399 www.auraofficeedizioni.com

RICETTA SALATA VINO ABBINATO

72

RICETTA DOLCE VINO ABBINATO

74

Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione.

FOTO DEL LETTORE

76

ANTICIPAZIONI

79

Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1411V.G. dal 29 ottobre 2013


VIAGGI - UZBEKISTAN

UZBEKISTAN

4

di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com


Un viaggio in Uzbekistan ci porta a contatto con un mondo multicolore: l’azzurro quasi perenne del cielo, le maioliche colorate, le mura costruite in mattoni di fango, le ceramiche che si trovano sia sugli edifici che nei piatti coloratissimi. Si visitano moschee e madrasse (le scuole coraniche), mercati e città, percorrendo le steppe dell’Asia e il deserto. Il deserto Kizilkum si estende per circa 200.000 km2 tra Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Il territorio è costituito principalmente da una piana coperta da dune sabbiose. Il confine settentrionale è il fiume Syrdarja, quello sud-occidentale dal fiume Amudaryo oltre il quale si trova il deserto ancora più vasto del Karakum. Importanti per l’economia i giacimenti minerari: oro, uranio, alluminio, rame, argento, petrolio e gas naturale. Siamo nell’Asia Centrale, sulla “via della seta”, dove passavano le carovane che portavano merci da oriente a occidente e dove quindi gli scambi culturali sono sempre stati ricchissimi. Fondamentale scegliere il momento climaticamente più adatto per recarsi

nel Paese, in quanto gli inverni sono estremamente rigidi (circa -10°C) e le estati torride (circa 50°C). Primavera e autunno sono quindi i periodi ideali, clima secco con temperature diurne che si aggirano sui 25°C e quelle notturne sui 15°C. La città di Khiva esiste almeno da quando esiste il commercio carovaniero e, secondo la leggenda, fu visitata da Sem, uno dei mitici figli di Noè. Il nome della città appare per la prima volta in cronache arabe del X secolo d.C. La città è divisa in due parti: Itchan Kala – letteralmente città vecchia (una città dentro la città, recintata da mura costruite nel XVII secolo) e Dichan Kala (l’abitato esterno alle mura). La maggior parte dei monumenti si trovano nella città vecchia. La cittadella Kunya Ark risale al 1686 e al suo interno si trovavano la casa per il khan e quelle per i membri della sua famiglia e dei dignitari. La maggior parte delle costruzioni fu distrutta nel XVIII secolo dall’invasione iraniana e poi ricostruita nel XIX secolo. La madrassa Allakuli Khan è stata costruita a metà del XIX secolo ed è considerata la più ricca dal punto di vista delle decorazioni, con grande sfoggio di maioliche bianche, nere e blu. La più grande madrassa dell’Asia Centrale è Muhammad Amin Khan e ospitava fino


VIAGGI - UZBEKISTAN

6

a 260 studenti dal 1854. All’entrata si nota un’iscrizione in arabo: “questo edificio meraviglioso sarà qui per sempre, per la gioia dei discendenti”. Difficile immaginare Khiva senza Kalta Minor: il minareto diventato il vero simbolo della città. Ci sorprende per le dimensioni e il design unico. Le fondamenta sono profonde 15 metri, il diametro è 14,5 metri e l’altezza 29 metri. Ma questa torre massiccia è solo un terzo del progetto originale. Nel 1855 la costruzione fu interrotta a causa dell’assassinio del Khan Muhammad Amin. Una leggenda narra che durante uno sciopero dei costruttori, il khan ordinasse di seppellire vivo il leader della protesta nelle fondamenta della torre. Un’altra leggenda vuole che il governatore di Bukhara venne a conoscenza della costruzione della torre e chiese all’architetto di costruirne una più alta nella sua città, così scatenando la rabbia del khan che decise di uccidere l’architetto infedele; ma quest’ultimo riuscì a fuggire lasciando la torre incompleta. Il minareto Islam Khoja è la struttura più alta della città con i suoi 44 metri. La madrassa Muhammed Rahimkhan è dedicata a uno dei più colti rappresentanti della dinastia Kungrat che governò la città dal 1770, introducendo diverse riforme per migliorare la città sia dal punto di vista politico che economico che, soprattutto, dell’istruzione. Finalmente non venivano insegnati solo argomenti religiosi e il Corano, ma anche matematica, astronomia, geografia! Gli studenti erano quindi

invitati a scrivere poesie e dibattere sui vari argomenti. Lui stesso aveva l’abitudine di scrivere poesie con lo pseudonimo Feruz e si recava spesso nella madrassa per discutere con gli studenti. La moschea Djuma del Venerdì è stata eretta alla fine del XVIII secolo, l’unica hall è accessibile da quattro lati e le aperture nel soffitto servono per ventilare e dare luce. Interessante la combinazione di decorazioni geometriche e di piante oltre alle iscrizioni arabe. All’interno si ammirano 112 colonne di vari periodi, sottratte ad altri edifici. Bukhara fu presumibilmente fondata intorno al I secolo d.C. diventando presto un prospero centro sulla via della seta. La colossale Fortezza Ark, di cui rimangono impressionanti mura restaurate dai sovietici, è la costruzione più antica: era una città regale all’interno della città, e fu abitata fino al 1920, anno in cui fu bombardata dall’Armata Rossa. La cittadella è circondata da colossali


mura, in buona parte restaurate e che danno ancora un’ottima idea del suo splendore di un tempo. Di fronte alla fortezza si apre il Registan, la principale piazza medievale della città, dove, nel 1842, furono giustiziati con estrema crudeltà due ambasciatori inglesi, Stoddart e Conolly, che avevano offeso, con un comportamento poco ossequioso, l’emiro del tempo, Nasrullah Khan. All’interno si accede tramite un solenne portale, che fa giungere alla Moschea Juma del Venerdì, che risale al 1500. Più avanti troviamo la parte più antica della cittadella, la corte delle udienze e incoronazioni, l’ultima delle quali fu quella di Alim Khan nel 1910. Questo ambiente fu costruito intorno al 1605 e presenta un portico di colonne lignee intagliate, che protegge un trono marmoreo e un baldacchino. La camera nascosta che si trova sulla destra, guardata da un leone in marmo, era la sala del tesoro, dietro la

quale c’era l’harem. La splendida moschea Bolo Hauz sorge accanto ad una vasca situata di fronte all’ingresso della fortezza Ark. Era il luogo ufficiale di culto degli emiri e la sua costruzione risale al 1718. La moschea è preceduta da un grande portico adornato da venti colonne di legno intarsiato di pioppo, noce e olmo, che sorreggono un cassettonato di splendida e raffinatissima fattura. Il Mausoleo Ismail Samani – fondatore della dinastia dei Samanidi che regnarono in quest’aerea dal’800 al 1000 circa – è costruito con mattoni in terracotta che decorano sia le pareti esterne, che gli interni con decorazioni ricercate e particolarmente originali. Ha una grande importanza storica in quanto è il più antico santuario musulmano del mondo. Per quanto riguarda l'architettura, mostra tecniche rivoluzionarie per l'epoca. Si tratta di un cubo di oltre dieci metri di


VIAGGI - UZBEKISTAN

8

larghezza, con 4 facciate identiche, sormontato da una cupola emisferica, simbolo dell'universo. I mattoni sono assemblati in gruppi di 4 o 5 significati diversi in 18 combinazioni e sono stati cementati con tuorlo d'uovo e latte di cammello. La moschea Kaylan si trova vicino al minareto omonimo, ma non sono stati costruiti insieme. All’arrivo di Gengis Khan la moschea venne rasa al suolo, mentre la torre, apprezzata per la sua bellezza, fu risparmiata. Il minareto Kalyan è situato nel pieno centro di Bukhara ed è una torre imponente che guarda la città con i suoi 45 metri d'altezza e i suoi 9 metri di diametro. La torre è stata eretta 900 anni fa e veniva utilizzata sia dai muezzin per la chiamata alla preghiera che dai soldati per avvistare i nemici in arrivo durante i periodi di guerra. Il minareto è conosciuto anche come torre della morte, in quanto fino a tempi recenti i criminali sottoposti alla pena di morte venivano gettati dalla cima fuori da una delle 16 finestre. La madrassa di Ulugbeg risale al 1417 ed è una delle più antiche in città, con gli esterni rinnovati, si affaccia su una piazza e al suo ingresso si specchia l'arco che contiene le porte della più recente madrassa di Abdul Aziz, il cui esterno è stato restaurato nel dettaglio e si presenta nuovamente come un esempio unico di architettura uzbeka. La grande porta d'ingresso è scolpita e dipinta di blu e giallo, mentre al suo interno si è circondati dalle camere che formano la struttura che risale al 1652.

La moschea Magokki Attori è, fra i tanti monumenti presenti a Bukhara, quella che ha dato più problemi agli archeologi per quanto riguarda le sue origini e la sua costruzione. Le sue fondamenta sono più basse del terreno circostante l'edificio. Si pensa che in passato fosse usato dagli zoroastriani per accendere il fuoco sacro. Costruita in terracotta senza particolari decorazioni, questa moschea si differenzia dalle altre anche per questa sua semplicità. Sitorai Mohi Hosa era la residenza estiva dell’ultimo emiro di Bukhara, Alim Khan e fu costruito dal padre nella seconda metà dell’800. L’edificio, posto in un grande giardino (il cui nome significa “Giardino delle stelle e della Luna”)


si trova 4 chilometri a nord della città ed è oggi trasformato in museo dei costumi tradizionali. Il complesso è il risultato di un lavoro comune di architetti russi e artigiani locali, in uno stile che presenta aspetti elegantissimi vicino ad elementi decisamente pacchiani. Il complesso Bahouddin Naqshbandiy fu costruito in memoria del grande asceta Sufi nato nel 1838 a Bukhara, considerato il patrono di tutti gli artigiani, in quanto secondo il suo pensiero il lavoro manuale dà diritto a indipendenza nel lavoro, nelle azioni e nei pensieri. Chor Minor è un complesso costruito da un mercante nel 1807 con quattro torri, tutte differenti, che sembrano minareti (da qui il nome Chor = quattro, Minor = minareto). L’edificio principale è una moschea. Attaccate alle mura ci sono le camere per gli studenti, ma non ci sono classi per tenere le lezioni; è sostanzialmente un “ostello”. In qualche punto è possibile osservare qualche cosa che assomiglia a una croce, il pesce cristiano e il timone di preghiera buddista. Si crede che queste decorazioni riflettano

la comprensione filosofica delle quattro principali religioni del mondo. Samarcanda - Gli Sciti, popolo nomade indo ario conosciuto dai Persiani come "Saka", furono i primi a stanziarsi nella regione. Per porre fine alle loro razzie, Ciro il Grande assoggettò i loro territori e fece di Samarcanda la capitale di una nuova satrapia, la Sogdiana che fu conquistata da Alessandro Magno due secoli più tardi. Il mausoleo Guri Emir è il luogo dove è sepolto Tamerlano "lo zoppo", due dei suoi figli e due dei suoi nipoti. In realtà Tamerlano aveva dato disposizioni per costruire una cripta per lui a Shakhrisabz, però quando morì di polmonite nel Kazajstan, mentre progettava una spedizione contro la Cina durante l'inverno del 1405, il passaggio per Shakhrisabz era bloccato per la neve, e così fu sepolto a Samarcanda, in un edificio che, a quanto pare, lui aveva destinato a figli e nipoti. L'aneddoto prediletto da tutte le guide narra dell'apertura della tomba, nel 1941. L'antropologo sovietico Mikhail Gerasimov aprì le cripte e confermò che lì giacevano Tamerlano e Ulugbek, ma trovò anche un'incisione che recava scritto "chi apre questo luogo sveglierà un nemico più feroce di me". Il giorno seguente, 22 giugno 1941, Hitler attaccò l'Unione Sovietica. Piazza Registan è il centro della città medievale che si presenta come una grande piazza circondata su tre lati da madrasse. La più antica risale al 1420 mentre le altre due furono terminate intorno a metà del XVII secolo. La madrassa di Ulugbek, la più antica, ospitava l'osservatorio astronomico dove venivano istruiti nelle arti scientifiche, gli studenti


VIAGGI - UZBEKISTAN

10

più meritevoli. Le porte di accesso delle madrasse sono sormontate da timpani decorati con mosaici di maiolica tendenti all'azzurro. La facciata della madrassa di Sher Dol (il Leone), terminata nel 1636, esibisce due grandi felini che sembrano tigri ma che in realtà sono leoni. L'Islam proibisce di rappresentare animali "vivi" (reali, non mitici) e persone, ma qui si possono trovare alcuni mosaici che infrangono tale regola (pare che avessero ottenuto una dispensa speciale). La moschea Bibi Khanym risale al XIV secolo ed è dedicata alla moglie preferita di Tamerlano. La moschea è stata costruita con pietre preziose razziate durante la sua conquista dell'India. Secondo Ruy González de Clavijo, 90 elefanti sono stati impiegati solo per trasportare le pietre preziose. La costruzione fu completata tra il 1399 e il 1404. Tuttavia, la moschea lentamente cadde in disuso, e sbriciolata in rovina nel corso dei secoli. La sua scomparsa venne accelerata a causa del fatto che le tecniche costruttive del tempo sono state spinte oltre i limiti ed è stata costruita troppo rapidamente. Il terremoto del 1897 la rase al suolo e solo settant'anni dopo l'Unione Sovietica decise di far partire i lavori di ristrutturazione. Come per molte altre moschee in Uzbekistan anche questa è, di fatto, un edificio semi-nuovo. Shakhi Zinda, significa "necropoli del re vivente” e si trova nella parte nord-est di Samarcanda. L'insieme è composto da tre gruppi di strutture:

inferiore, medio e superiore, collegati da passaggi a cupola a quattro archi chiamati localmente chartak. Il museo Afrosiyob è dedicato alla storia della città dai tempi della conquista di Alessandro Magno. Tra le varie stranezze spicca la tomba del profeta Daniele (V secolo a.C.), le cui spoglie sono state portate qui da Tamerlano dall’Iran, in segno di buon auspicio. Il suo sarcofago è lungo ben 18 metri: la leggenda narra che il corpo del profeta cresce poco più di un centimetro all’anno e quindi il sarcofago deve essere continuamente allungato. L’osservatorio Ulugbek si trova di fronte all'area occupata dal museo memoriale di Ulugbek ed è una vera e propria opera d'ingegneria che ancora oggi giorno si sta studiando. Fu fatto


costruire per ordine del governatore di quel tempo, Mirzo Ulugbek nel secolo XV, diventando il primo osservatorio dell'Est. Ulugbek, oltre ad essere governatore, fu un famoso astronomo e creò un sestante di 30 metri (3 piani d'altezza), per poter misurare la posizione delle stelle con la massima precisione possibile, e in questo modo disegnare mappe astronomiche con una precisione senza precedenti. Quest'osservatorio fu distrutto deliberatamente nel 1449 e i suoi resti non sarebbero stati riesumati fino al 1908, con i relativi lavori di restauro terminati nel 1964. La leggenda narra che un giorno il grande Tamerlano, cavalcando il suo puledro nei dintorni di Samarcanda, si trovò in un prato con profumo di pesca e la vista di una fanciulla incredibilmente bella. Smontò da cavallo, s’inginocchiò davanti alla ragazza, la chiese in sposa e lei accettò. Tamerlano, per la felicità, ordinò la costruzione di Ishratkhona nel luogo dell’incontro: una casa di gioia e divertimenti. Ma la storia non finisce qui: al termine della costruzione, Tamerlano era solito organizzarvi feste con molti ospiti e una di queste si tenne nel giorno in cui il nipote Ulugbek (astronomo e astrologo) aveva previsto la morte del nonno. Avuta la notizia, Ulugbek galoppò verso Ishratkhona e

fece irruzione a cavallo e con la spada sguainata, ordinando a tutti i presenti di uscire. Tamerlano non aveva idea del motivo che portava il nipote a comportarsi con tanta impudenza ed era arrabbiato, ma tutti obbedirono e uscirono velocemente proprio prima che un terremoto facesse crollare il soffitto. Ulugbek aveva salvato la vita a Tamerlano e a tutti i suoi ospiti. In seguito Ishratkhona fu utilizzato quale sepolcro per i bambini e le donne della dinastia di Tamerlano. Shakhrisabz, la “città verde”, diede i natali a Tamerlano, che vi fece costruire una reggia ineguagliabile alta quasi 70 metri. Nel XVI secolo l’emiro di Bukhara Abdullah Khan II rase al suolo la città e buona parte della reggia a causa di un impeto di rabbia: l’imponenza della


VIAGGI - UZBEKISTAN

12

reggia vista da lontano, aveva infatti ingannato il conquistatore, convinto di essere ormai nelle vicinanze della città. Egli spinse il cavallo al galoppo nella certezza di arrivare in breve tempo e invece, il cavallo purtroppo morì nello sforzo, e il cavaliere decise di vendicarsi distruggendo proprio la reggia che lo aveva “ingannato”. Ora del “palazzo bianco” rimangono i resti di due torri alte 36 metri, e una scritta di Tamerlano che recita: “Se metti in dubbio la nostra potenza, guarda i nostri edifici”. Tashkent è la capitale dell'Uzbekistan. Poco rimane del suo passato a causa di un terremoto che la distrusse nel 1966 e soprattutto

dalla realizzazione in epoca sovietica di un piano urbanistico elaborato fin dal 1916. Il risultato è che la Tashkent odierna ha la fisionomia tipica di una città dell'Europa orientale, con monumentali edifici amministrativi, immensi parchi ed enormi condomini-dormitori che rimandano inevitabilmente agli anni del regime staliniano. Independence Square è la piazza più grande della città e sembra quasi un parco, con diversi monumenti e fontane e piena di aiuole fiorite. Interessante una visita al museo di arti applicate, ricavato da una casa nobiliare, raccoglie ceramiche, strumenti musicali, gioielli e tessuti.


Aneddoto La musica: vero ambasciatore dell’Italia all’estero di Sylvie Capelli – sylvieannacapelli@gmail.com

In 30 anni di lavoro nel turismo, ho avuto la fortuna di visitare numerosi Paesi del mondo e spesso sono stata sorpresa di come la musica italiana sia conosciuta, a differenza della lingua, anche all’estero. Qualche anno fa, ero in Islanda con un gruppo di colleghi da tutta Europa e una sera, con la chitarra in mano, una delle nostre guide ha deciso di intonare “Marina” di Rocco Granata in mio onore. Tutti i partecipanti hanno iniziato a cantare questa canzone, ognuno nella propria lingua. Inglese, spagnolo, tedesco, olandese, francese e italiano si accavallavano sulle note di questo pezzo del 1959. Incredibile che sia stato tradotto in così tante lingue e sia ancora presente nella memoria collettiva!!! Lo scorso mese di settembre mi trovavo in Uzbekistan, e una canzone di sottofondo ha accompagnato praticamente ogni incontro con persone locali: “Da dove venite?” “Dall’Italia.” “Ah, Italia… Toto Cutugno bravissimo!” e subito dopo intonavano: “Lasciatemi cantare, con la chitarra in mano!” Diciamo che non si tratta proprio del mio genere di musica preferito, ma mi ha molto divertita sentire una nostra canzone — canticchiata questa volta proprio in italiano — in un paesino sperduto dell’Asia Centrale.


NATURA - PARCHI NAZIONALI DELL'UZBEKISTAN

I PARCHI NAZIONALI

DELL'UZBEKISTAN di Diana Ghisolfi dianaghiso@gmail.com

14


L’Uzbekistan è uno Stato dell’Asia centrale privo di sbocchi sul mare. Occupa una superficie di 448mila km2. Il territorio è distinto da due zone: quella occidentale caratterizzata dalla steppa arida, dal lago di Aral e da un tratto del lunghissimo fiume Amu Darya e quella orientale ricca di catene montuose e bacini fluviali. Il clima è continentale secco e le precipitazioni sono inferiori a 100 mm all’anno. Secondo il Database Mondiale delle Aree Protette (WCPA), in Uzbekistan ci sono nove oasi faunistiche, due riserve di allevamento, cinque oasi naturalistiche, Sul territorio viene fatta una costante nove riserve naturali statali, due attività di ricerca per l’ecologia, per monumenti naturali e due parchi nazionali. preservare i boschi e per dare vita a nuove foreste. Le misure di protezione adottate I PARCHI NAZIONALI hanno contribuito ad aumentare il numero di orsi bruni, uccelli endemici, cinghiali e leopardi delle nevi per quanto riguarda Ugam-Chatkal Questo parco è il più grande complesso gli animali, mentre per le piante si sono di protezione naturale dell’Uzbekistan. moltiplicate le rose rubiginose, i mandorli, Ricopre un’area di 668.350 ettari. È un i meli e i pini di Crimea. parco nazionale di natura selvaggia creato La fauna del parco comprende più di 280 nel 1992 sulle basi della riserva della specie: 44 di mammiferi, 200 di uccelli, 16 biosfera del Chatkal, cioè la montagna di rettili e 20 di pesci. più occidentale della catena montuosa La flora, invece, è più diversificata, conta 2.200 specie di piante, alcune delle quali del Tien Shan, “Montagne Celesti”. Il parco è stato riconosciuto con lo scopo molto rare e minacciate dall’estinzione. di proteggere l’ecosistema dell’altopiano In primavera i pendii delle montagne del Tien Shan e le numerose specie rare vengono ricoperti da colori luminosi provenienti dalle candele del deserto di piante e animali che lo abitano. (piante erbacee) e da particolari specie di tulipani. Se vengono aggiunte le distese di papaveri, campanule, bucaneve e crochi, il paesaggio diventa realmente incantevole. Un regno dei fiori che si può ammirare nel periodo migliore per visitare il parco e cioè da maggio a luglio. Solitamente i turisti sono attratti dalla valle ai piedi delle montagne Chatkal, Ugam e Pskem, le cui vette superano i 4.000 metri. Una delle sue attrazioni principali


NATURA - PARCHI NAZIONALI DELL'UZBEKISTAN

16

è il lago artificiale, il quale oltre ad essere rinomato per la sua bellezza, è una fonte importante di acqua per la città di Tashkent. La cima più alta nelle vicinanze del lago è il Gran Chimgan con i suoi 3.309 metri. Da novembre a luglio ci sono piste ricoperte di neve e altrettanto degne di nota sono le cascate che arrivano fino ai 40 metri di altezza, tutto contornato da betulle di montagna, rose selvatiche ed erbe aromatiche. Nel parco ci sono molti luoghi interessanti per gli escursionisti, uno tra questi è l’altopiano Pulatkhan con i suoi 3.000 metri di altezza. Le leggende raccontano di indescrivibili tesori nascosti all’interno delle grotte dell’altopiano. Vi è infatti un sistema di grotte profondo 500 metri. Ci sono altri itinerari turistici meno pericolosi

che passano attraverso valli e canyon. Nel parco Ugam-Chatkal vengono accontentati tutti gli appassionati di sci, di trekking, di birdwatching ma anche coloro che amano passeggiare, andare in bicicletta o a cavallo.

Zaamin

Il parco nazionale di Zaamin è la riserva naturale protetta più antica dell’Uzbekistan. Si trova nella provincia della città di Jizzakh. Il parco è nato nel 1926 come Riserva Naturale Guralash, sulle pendici settentrionali della parte occidentale dei monti Turkistan, nelle valli dei fiumi Kulsoy, Guralash, Baikungur, e Aldashmans. Il parco si estende per 156 km2 e le altezze del territorio e dei rilievi vanno dai 1.700 ai 3.500 metri.



ANIMALI - IL LEOPARDO DELLE NEVI

IL LEOPARDO

DELLE NEVI

18

di Diana Ghisolfi dianaghiso@gmail.com


CHI È

Il leopardo delle nevi è stato scoperto dall’uomo verso la fine del Settecento, il primo studioso che lo ha descritto è stato Schreber, un naturalista tedesco. Si tratta di un felide di dimensioni piuttosto grandi, appartenente al genere Panthera. Il nome scientifico della specie è Panthera uncia.

COME È FATTO

Il leopardo delle nevi ha una folta pelliccia morbida e lunga, di colore grigio con macchie di un grigio più scuro e nere; mentre le parti inferiori, come torace e addome, sono bianche. Le dimensioni sono variabili, in media il peso va dai 25 ai 55 kg, ma certi maschi raggiungono gli 80 kg. Il corpo può raggiunge la lunghezza di 150 cm e la coda può arrivare a misurare 1 metro.

L’altezza al garrese è di 60 cm. La conformazione fisica è adatta per un animale che vive in ambienti freddi di montagna. Il corpo è tozzo, la pelliccia è spessa, le orecchie sono piccole e arrotondate, le zampe sono larghe e interamente ricoperte di pelliccia; tutte caratteristiche che permettono di non disperdere il calore corporeo. Il muso è corto e gli occhi sono di colore verde chiaro e grigio. La coda è molto lunga e folta e serve al leopardo delle nevi a mantenere l’equilibrio mentre corre e salta sui terreni rocciosi, inoltre la coda è sfruttata dall’animale come fosse una coperta: per coprirsi la punta del naso mentre dorme. Nonostante il leopardo delle nevi possieda l’osso ioide parzialmente ossificato, non emette ruggiti, ma solo ringhi, miagolii e guaiti. Questo perché il ruggito, secondo


ANIMALI - IL LEOPARDO DELLE NEVI

20

nuovi studi, dipende anche da alcune caratteristiche particolari della laringe.

DOVE SI TROVA

Questo splendido felino abita le zone montuose e disabitate dell’Asia centrale. Con il variare delle stagioni, l’animale migra: in estate si dirige verso alte quote, mentre in inverno scende nelle foreste tra i 1000 e i 2000 metri. Predilige ambienti rocciosi, prati di montagna e terreni impervi con abbondanti distese di neve.

COSA MANGIA

Grande carnivoro e temibile predatore, il leopardo delle nevi è attivo all’alba e al tramonto e caccia qualsiasi animale, anche di dimensioni più grandi. Per cacciare è solito utilizzare la tecnica dell’agguato. Consuma tutta la carne che riesce a trovare lungo il suo percorso, comprese le carogne, ma si

nutre anche di vegetali come erba e ramoscelli.

COME SI RIPRODUCE

Classe dei mammiferi, il leopardo delle nevi si accoppia alla fine dell’inverno, quando i richiami e i segnali odorosi aumentano. L’estro dura una settimana e i maschi c e r c a n o solamente un esemplare femmina, con il quale si accoppiano in media 20 volte al giorno. La gestazione dura 100 giorni, i piccoli nascono tra aprile e giugno. La femmina si strappa i peli


del ventre e prepara un giaciglio all’interno di una tana per poi partorire i cuccioli, che solitamente sono due, ma possono arrivare a cinque. I piccoli appena nati pesano mezzo kg, sono ciechi e già ricoperti da una morbida pelliccia. Dopo tre mesi sono completamente svezzati, ma restano con la madre fino a 2 anni circa, cioè fino a quando raggiungono la maturità sessuale. La durata della vita di un leopardo delle nevi è di circa 15 anni, invece in cattività arriva fino ai 20.

IN PERICOLO ESTINZIONE

Nella lista dall’Unione

rossa IUCN Internazionale

Conservazione della Natura, il leopardo delle nevi viene classificato come Endangered (ED). Oggi si stima una popolazione complessiva tra i 4.000 e i 6.500 esemplari. La principale causa che dichiara l’animale in pericolo di estinzione è la scomparsa del suo habitat, occupato dai mandriani e dai loro greggi. Il felino infatti, attaccando le pecore, diventa un bersaglio dei mandriani. Senza contare la minaccia dell’uomo che decide di uccidere questo splendido animale per lucrare sulla sua pelliccia e le sue ossa, utilizzate nella medicina cinese. DI Il WWF e l’International Snow Leopard Trust si preoccupano di controllare compilata la gestione della specie per evitarne per la l’estinzione.




TELEFILM - THE BIG C

THE BIG C: IL CANCRO SI COMBATTE COL SORRISO 24

Una protagonista da Emmy Awards e un microcosmo di emozioni e situazioni che creano un mix dal sapore dolceamaro di Maria Solinas solinasmaria1989@gmail.com


Come si può parlare di un argomento tabù come il cancro senza scadere nel melodramma, nel terrore psicologico e nella tristezza? Questa sfida è stata affrontata da Darlene Hunt, creatrice delle serie televisiva The Big C, con un espediente: l’ironia. Cathy Jamison (interpretata dalla straordinaria attrice Laura Linney, protagonista di film quali The Truman Show, Mystic River e L’uomo dell’anno) è una donna di mezza età appartenente alla media borghesia statunitense; ha un lavoro, un marito, un figlio e un fratello decisamente fuori dal comune. Un giorno scopre di avere un cancro, un melanoma in stadio avanzato. Proprio lei, che per tutta la vita si è preoccupata di spalmarsi addosso creme solari ad alta protezione, di mangiare sano, di condurre una vita regolare. Inizialmente Cathy non rivela alla propria famiglia di essere malata ma,

quando le viene comunicato il verdetto di morte (un anno di vita, non di più), il suo mondo comincia a colorarsi di sfumature nuove, di tonalità che vanno dal terrore puro ad una strana specie di serenità. È l’arcobaleno emotivo di chi si trova a camminare sopra un filo e guarda l’abisso sottostante. Cathy, insegnante delle scuole superiori, riversa la propria frustrazione sugli studenti, i quali non conoscono quel lato cinico e irascibile del suo carattere. Grazie a questi momenti particolari, in aula si crea un legame speciale con una studentessa di nome Andrea, che diventerà per la protagonista un motivo di confronto con il resto del mondo, una grande amica e un punto di riferimento fondamentale. Cathy, dopo un primo momento di sbigottimento, ha un piano: il cancro esiste, è un ospite non desiderato che la sta divorando dall’interno; come risposta,


TELEFILM - THE BIG C

26

non le resta che divorare i mesi che la separano dalla propria morte, gustando ogni momento della propria vita. Tuttavia, non può fingere che qualcosa nella sua esistenza non si sia irrimediabilmente trasformato, che la sua stessa personalità e visione delle cose non abbiamo subito uno stravolgimento. Così, anche i suoi rapporti con le persone care assumono una diversa prospettiva, basata sulla consapevolezza di non avere abbastanza tempo per tutto, per quel tutto che fino alla tremenda diagnosi le sembrava essere eterno. The Big C si configura come dramedy, una commedia drammatica in cui C, il cancro, e Cathy sono assolutamente coprotagonisti principali: di Cathy prima della malattia si sa poco, la serie inizia praticamente con l’accettazione della stessa. La donna, ad un certo punto, decide addirittura di farsi tatuare la lettera C, iniziale del suo nome ed inizio del suo dramma. Quella semplice lettera dell’alfabeto diventa così potente metafora dell’intera storia: Cathy e il Cancro diventano un unicum, un personaggio complesso animato da una lotta intestina che talvolta assume i connotati di una guerra (ma chi può vincere contro una sentenza di morte?); mentre altre volte si delinea come rapporto

quasi amichevole, in cui la serena accettazione di una condizione ineluttabile può creare addirittura sensazioni di felicità e vitalità inaspettate. L’emittente tv via cavo Showtime è riuscita, con le quattro stagioni trasmesse dal 2010 al 2013, a fornire allo spettatore lo spaccato di vita di una donna normale, sconvolto però da un evento anormale, quale la consapevolezza definitiva della condizione umana di mortalità. Davanti a una tematica così forte, The Big C ha sfoderato la vincente arma dell’umorismo, mettendo da parte legne e piagnistei a favore del sorriso e della speranza.



LIBRI - NON SPARATE A DOSTOEVSKIJ

Non sparate a Dostoevskij 28

di Luca Romeo luca.rom90@yahoo.it


Al di là di battute facili e frasi usate per sentito dire, sono pochi tra i giovani i veri esperti del celeberrimo romanziere russo dell'Ottocento, per lo più scartato dalle letture di oggi in quanto «troppo pesante» e schiacciato - di fatto - sotto il peso di un'aura dorata che lo rende sì uno dei punti di riferimento del romanzo e della filosofia russa, ma allo stesso tempo anche un innominabile, un autore proibito, troppo grande per i lettori del 2015. Cerchiamo di salvare il soldato Fedor, nato proprio nel mese di novembre, ma di un lontanissimo 1821 da una ricca famiglia moscovita. L'adolescenza agiata è segnata dalla morte prematura del padre e dai primi segni di epilessia, la malattia che lo accompagnò per tutta la vita; e poi dal servizio militare cominciato a vent'anni e interrotto trentasei mesi più tardi per dedicarsi alla stesura del primo testo, quel Povera gente che rifletteva sulle misere condizioni di vita in Russia. Lì, il buon Fedor, ha solo ventitré anni, ma il successo è già dietro l'angolo. «Il ragazzo ha talento», direbbero oggi. E ne aveva anche in quell'altra notte di novembre, pochi anni più tardi, in cui scrisse un intero libro, Romanzo in nove lettere (alla faccia di chi nasconde la scarsa vena artistica in un laconico «non ho tempo per scrivere») prima dell'arresto - all'età di 28 anni - per l'attività in una società segreta sovversiva. Dostoevskij il rivoluzionario, dunque, il ribelle, che in un'altra giornata di novembre verrà condannato a morte dall'autorità zarina. La fucilazione sarà scampata poco prima della sua attuazione, con pena alternativa i lavori forzati nella gelida Siberia. I ricordi di quelle ore passate ad aspettare la propria morte torneranno vent'anni

più tardi, in quegli anni Sessanta che vedranno la grande stagione dei capolavori di un ormai maturo Fedor, che sfornerà i sempreverdi Delitto e castigo e L'idiota, cominciato nella nostra Firenze. In mezzo, lo struggente Memorie dalla casa dei morti sulla sua deportazione. La condanna terminerà anzitempo per buona condotta, ma al ritorno nella Russia europea, il genio ribelle comincerà a mutare la propria indole. Come detto, escono i capolavori Delitto e castigo e L'idiota, come Il giocatore e, successivamente, un’altra pietra miliare come I fratelli Karamazov. Ma nel frattempo l'età e la vita travagliata hanno scosso l'animo di Dostoevskij, che diventa sempre più conservatore, si lega alla religione cristiana in maniera più decisa e non nasconde il proprio antisemitismo. Morirà nel 1881, giusto un anno dopo essersi goduto l'ultimo successo dei Karamazov. E cosa resta di lui? Decenni a ricordarlo e pensarlo come uno dei più grandi romanzieri di sempre e poi altrettanti anni a relegarlo a letture d'élite e poco affini ai nuovi canoni in stile 2.0. Forse sarebbe più giusto pensare a Fedor Dostoevskij come uno dei più grandi scrittori di sempre, capace di realizzare un romanzo in una notte. Un intellettuale desideroso di cambiare le cose, pronto alla galera, alla fucilazione e ai campi della Siberia per un'idea. Un conservatore, anche, forse un disilluso dalla vita in età matura. In questi giorni compirebbe 194 anni e, brindando con un bicchiere di vodka russa, ricordiamolo per quello che è stato, senza farci spaventare dalla sua fama (tutta da smentire) di scrittore «pesante» e solo per lettori intellettuali.


MISTERO - GIGANTI ALIENI

GIGANTI ALIENI E "GRIGI" A SAMARCANDA? 30

Sirigh Sakmussen compagniadelthe@gmail.com


La letteratura del mistero trabocca di teorie e storie riguardanti esseri dalle proporzioni gigantesche, che avrebbero popolato la Terra in epoche remote. A questo filone si affianca spesso quello che postula la lontana esistenza di una genìa di esseri dal cranio allungato e dalle proporzioni ora più o meno coerenti con l’attuale scala umana, ora anch’esse decisamente fuori misura. La paleoastronautica e la criptoarcheologia sono le discipline che si occupano ormai da più di mezzo secolo di tutti gli approfondimenti del caso, anche se con la non lusinghiera fama di pseudoscienze. I luoghi geografici e storico-culturali in cui si collocano queste ricerche vanno dal medio oriente biblico alle civiltà precolombiane, fino all’Africa. Era poi inevitabile che simili tematiche andassero ad innestarsi su quella più dichiaratamente ufologica dal momento che, secondo certe vedute, nulla o poco più di ciò che riguarda l’uomo avrebbe in realtà origini strettamente terrestri. Le ponderose ricerche di uno studioso serio e scrupoloso come Mauro Biglino, dimostrano ad esempio come il racconto biblico faccia riferimento a una stirpe di dominatori che, per le conoscenze e i poteri posseduti, si staccavano nettamente dalle popolazioni dei sudditi da questi dominati. Quei sovrani e capi militari, tradotti lessicalmente secondo il numero singolare anziché quello più correttamente plurale, sarebbero quindi stati nel tempo “divulgati” nei sacri testi come la ben nota divinità singola a fondamento delle grandi religioni monoteistiche. Si tratterebbe, in altri termini, di una sorta di cover up in essere da qualche millennio su verità alternative circa le origini dell’uomo, e piuttosto scomode da gestire nei processi di comunicazione di massa. Proprio agli Esseri protagonisti del racconto biblico si assocerebbero spesso

età eccezionalmente lunghe, e talvolta stature fisiche decisamente fuori misura. Lungo un altro filone di indagine, il rinvenimento di crani considerevolmente dolicocefalici, o addirittura dalla lunghezza o dalle proporzioni abnormi, ha spinto alcuni ricercatori ad associare questi resti alla presunta “razza aliena” dei “Grigi”, piccoli umanoidi dall’aspetto esile, dalla carnagione oscillante dal grigio al color nocciola, completamente glabri e dotati di un gran cranio con due enormi orbite oculari. Esaminare una ad una — anche solo per cenni — le casistiche riguardanti scheletri di esseri giganteschi, di cui si postuli l’origine aliena o meno, e rinvenimenti di crani fuori misura, anch’essi ricollegabili a un’origine non immediatamente terrestre, ci porterebbe ben oltre lo spazio concessoci in questa sede. Una recente esperienza di viaggio che ci ha coinvolto personalmente in area centro-asiatica ci consente tuttavia di aggiungere qualche nuovo spunto a questo tipo di ricerca, dal momento che non ci risulta siano state ancora avviate indagini facenti perno sulla città uzbeka di Samarcanda, più che altro oggi nota per i suoi tesori di arte islamica e per la vestigia del glorioso impero di Tamerlano. Il personaggio biblico di Daniele (traducibile


MISTERO - GIGANTI ALIENI

32

come “Dio giudica”) è venerato dalle tre grandi fedi monoteistiche (giudaismo, cristianesimo e islam); anche se solo le prime due lo riconoscono effettivamente come profeta, mentre per i musulmani egli costituisce prevalentemente un esempio di santità. Dal punto di vista strettamente storico non si hanno nemmeno certezze assolute dell’esistenza di Daniele, ma egli sarebbe vissuto, secondo la Bibbia, ai tempi della cattività babilonese nel VI secolo a.C.. Fatto sta che il luogo oggi più accreditato quale tomba del “profeta” sarebbe la città iranica di Susa, meta di pellegrinaggi musulmani, ma anche irano-ebraici. La città di Samarcanda rivendica tuttavia una sepoltura di Daniele alternativa, che si intreccerebbe con la storia militare di Tamerlano. Quando il sovrano ebbe notevoli difficoltà nel conquistare la Siria, andò infatti convincendosi che il motivo della inespugnabilità di quelle terre era da ritrovarsi nella circostanza che Daniele fosse sepolto proprio in quell’area, offrendo così i suoi resti una sorta di protezione sovrannaturale alle genti siriane. Fu così che Tamerlano, individuato il luogo della presunta sepoltura, ne fece trafugare i resti a Samarcanda, dove fu creato un apposito sepolcro nel quale spillò dal suolo una sorgente naturale con poteri altamente curativi. Recandosi oggi presso il sepolcro di Daniele a Samarcanda, collocato nel mausoleo di Doniyor-paygambar, si assiste tuttavia a una scena davvero sorprendente: è possibile osservare una bara, ben drappeggiata secondo gli usi musulmani, lunga ben 18 metri!

Che spiegazione può darsi a un simile spettacolo? Che l’essere chiamato un tempo Daniele sia stato allora anch’egli un gigante dell’antichità e, per di più, con presumibili origini aliene? Bisogna essere cauti in questa risposta. Secondo una leggenda popolare, il cadavere del santo crescerebbe di 5 centimetri all’anno. Ma, a queste condizioni, il corpo tumulato avrebbe raggiunto oggi la lunghezza di ben 125 metri, ben oltre quindi i 18 metri di lunghezza della bara. Più attendibile è la versione dei fatti secondo cui Tamerlano, convintosi dei “poteri” protettivi e benaugurali della sepoltura di Daniele, avrebbe deciso di cautelarsi dal rischio che i resti da lui trafugati a Samarcanda rischiassero a loro volta di essere nuovamente trafugati altrove. In che modo? Tamerlano


decise di disperdere le ossa di Daniele su di un’area più ampia, in modo che l’esatto luogo della sepoltura restasse incognito. Per questo motivo, la bara del santo coprirebbe oggi una lunghezza di 18 metri senza che sia evidente la reale ubicazione di quei resti. A questo punto ogni cosa sarebbe chiarita, e ogni ombra di mistero dissipata. Ma ne siamo davvero sicuri? Il mausoleo di Doniyor-paygambar resta collegato alla persistenza di “poteri” curativi che aleggerebbero sul sito. Non solo le acque della sorgente lì sgorgante avrebbero questa facoltà, ma un singolare fatto risalente al 1996 resterebbe di indubbio interesse ai fini di questa indagine. In quell’anno il sepolcro di Daniele fu visitato dal Patriarca russo-ortodosso Alessio II, il quale benedisse tutto il sito con quell’acqua “santa”, compreso un plurisecolare albero di pistacchio ormai completamente secco. La primavera successiva quell’albero riprese a fiorire, e noi stessi lo abbiamo osservato rivivificato con foglie verdi proprio lo scorso mese di settembre. Su una qualche forma di “potere” aleggiante sul mausoleo di Doniyor-paygambar, sarebbe quindi il caso di lasciare il dossier aperto. Che Daniele sia stato o meno un gigante resta senz’altro da provare; ma non

si può escludere che la sensazionalità che si è voluta conferire alla lunghezza della bara nel luogo di questa sepoltura voglia comunque alludere — anche se in termini decisamente esagerati — a degli attributi eccezionali di questa personalità, in parte magari espressi anche da una statura non esattamente “nella media”. Se si guarda al racconto biblico della vita di Daniele, si può notare un dettaglio interessante nella sua esistenza. Conquistata la fiducia del sovrano babilonese Nabucodonosor, di cui divenne funzionario di cancelleria e interprete ufficiale dei sogni, Daniele passa poi al servizio del re persiano Ciro II. Il nuovo sovrano, pur apprezzandone le doti di funzionario e consigliere, è tuttavia costretto a cedere alle pressioni di altri dignitari invidiosi che mettono infine Daniele in cattiva luce, e che riescono ad assicurarsi la sua condanna a morte. Dato in pasto ai leoni, Daniele riesce “miracolosamente” a renderli mansueti, ad evitare così la morte e ad essere definitivamente graziato. L’allegoria del racconto potrebbe a questo punto nascondere una circostanza relativa a poteri mentali di tipo telepatico, solitamente considerati dalla migliore ufologia, attributo certo di entità intelligenti capaci di compiere viaggi interstellari o addirittura intergalattici. E questa pista diventa ancor più interessante se ci si rifà agli studi sul vecchio testamento accennati all’inizio, secondo i quali entità dalle origini non chiare si nasconderebbero dietro le massime personalità bibliche e dietro la stessa persona di “Dio”, che andrebbe però correttamente declinata al plurale. Ma c’è di più. Nei testi disponibili dell’antica civiltà di Ugarit, le cui vestigia si trovano nell’odierna Siria, Daniele è citato come un re della razza dei Refa'im, un leggendario popolo precananeo di uomini immortali,


MISTERO - GIGANTI ALIENI

34

quasi semidei, citato ripetutamente anche dalla stessa Bibbia. Anche qui, è piuttosto accreditata la teoria secondo cui i riferimenti a “razze” antiche dotate di poteri sovrannaturali nasconderebbero in realtà un ricordo — più o meno rimosso, più o meno dissimulato — di esseri dall’origine non terrestre. Gli spunti di ricerca ufologica a Samarcanda non si esauriscono, tuttavia, con la sola figura di Daniele. In questa città si trova il sito di Afrasiyab, che corrisponde al nucleo più antico della città resistito fino alla definitiva conquista islamica. È molto suggestiva l’esperienza di passeggiare su questa sorta di spoglia e desolata “acropoli” che domina l’odierna Samarcanda da un assetto rialzato, che fu scelto proprio per ragioni prevalentemente difensive. Non lontano da questo sito, sorge l’omonimo museo di Afrasiyab, che raccoglie importanti vestigia dell’epoca più remota della

città, corrispondente alla preislamica civiltà zoroastriana. Quelle genti riservavano un particolare culto al fuoco, tenuto sempre acceso nei loro templi, e la religione zoroastriana era diffusa in vaste aree dell’Asia centrale, limitandosi oggi a piccoli gruppi di fedeli sopravvissuti per lo più in area iranica. La visita al museo di Afrasiyab ci ha permesso di osservare, fra suppellettili e altri svariati reperti di epoca zoroastriana, anche una serie di crani appartenuti a individui di quel popolo. E anche in questo caso ci è stato dato di osservare, come accade in molte altre civiltà fra i diversi continenti di questo pianeta, la presenza di alcuni crani vistosamente allungati. Il terzo da sinistra — e specialmente il primo, sempre da sinistra, — nella foto mostrano questo inequivocabile tratto. Ed è noto che questa circostanza viene generalmente accostata in letteratura ufologica alla possibile commistione di genti di antiche civiltà con alieni, in particolare di “razza grigia”. Nella storia dell’ufologia sono proprio i “Grigi”, infatti, gli alieni più avvistati in assoluto in ambito di incontri ravvicinati del terzo tipo o addirittura in casi di vera e propria abduction, in cui i soggetti rapiti testimoniamo — in stato di ipnosi — di essere stati sottoposti a visite mediche o a veri e propri interventi chirurgici da parte di esseri dalla piccola ed esile statura e dal gran cranio decisamente sproporzionato rispetto al resto del corpo. Il rinvenimento in tutto il mondo di crani come quello mostrato in foto — qui accidentalmente ritrovato fra i resti


degli antichi zoroastriani di Samarcanda — è una circostanza che finisce col rafforzare l’ipotesi di contatti alieni intrattenuti con l’umanità delle più antiche civiltà della Terra. Ma un’opposizione a questa teoria è ormai da tempo consolidata in ambito antropologico e, più specificamente, osteologico. In seno a più di una civiltà antica sarebbe stata invalsa l’usanza di deformare i crani dei neonati — le cui ossa hanno notoriamente a quell’età una consistenza istologicamente cedevole — mediante tecniche di fasciatura stretta, per conferire poi alla testa dell’adulto la desiderata forma allungata per scopi estetico-cerimoniali. Questo tipo di spiegazione merita in realtà il massimo rispetto, e non andrebbe superficialmente rigettata dal ricercatore ufologico, risultando al contrario la teoria più probabilmente accreditabile nella maggior parte dei casi registrati. È però anche vero che, osservando talvolta il reperto di un cranio allungato, la forma e le dimensioni del teschio non si possono semplicemente giustificare con la pratica rituale di una deformazione ossea artificiale. In certi casi è proprio la quantità complessiva di materiale osseo a risultare antropometricamente eccedentaria rispetto a una misura associabile a crani “nella norma”. In alcuni casi ben circoscritti ci si troverebbe, in altri termini, di fronte a dei veri e propri crani di origine “altra” da quella umana. E sono proprio questi i casi più problematici e più inconfessabili per l’antropologia ufficiale. Ma, anche quando tutta una serie di rilievi tecnici e di altri indizi dovessero suggerire la spiegazione della deformazione rituale dei crani come la più probabile, una considerazione

più inquietante finisce comunque con l’affacciarsi prepotentemente. Se si dà ascolto alle teorie criptomitografiche, che vedrebbero vere e proprie entità extraterrestri dissimulate dietro le divinità che furono proprie delle più antiche civiltà della terra, bisognerebbe concludere che in tempi remoti l’umanità aveva tutto un complesso rapporto di relazioni anche fisiche con esseri alieni, secondo precise catene gerarchiche che risalivano fino a sovrani, faraoni, imperatori e “dei” in persona. Secondo la più avanzata ufologia, i cosiddetti “Grigi” (ripetiamolo: i tipici alieni dal cranio abnorme e allungato) altro non sarebbero — oggi come ieri — che dei servitori androidi dei veri alieni, e cioè una sorta di robot biologici utilizzati per varie mansioni dai propri padroni: i veri e propri esseri biologici intelligenti extraterrestri. Non si può quindi affatto escludere che civiltà antiche — e ben compresa quindi anche quella zoroastriana di Samarcanda — volessero destinare alcuni dei propri membri umani a mansioni cerimoniali dirette di servizio e devozione presso i propri dei-alieni, conferendo a queste persone proprio la forma del capo tipica dei “naturali servitori” di quelle stesse divinità aliene, e cioè esattamente i “Grigi”. E così, proprio l’atteggiamento negazionista di certi antropologi — che cercano a tutti i costi di scollegare il fenomeno degli antichi crani allungati dalla tematica degli alieni — rischia invece di rivoltarsi contro i propalatori di questo tentativo di coprire una ben diversa realtà. Senza contare i già richiamati casi in cui i crani allungati sono con tutta probabilità appartenuti a veri e propri “Grigi”. Arrivederci a Samarcanda!


STORIA - L'IMPERO DI TAMERLANO

L’impero di Tamerlano come mito di fondazione dell’odierna identità uzbeka di Raffaele d’Isa scrivi@raffaeledisa.it

36


Per una certa coscienza media occidentale c’è tutto un grappolo di Paesi centro-asiatici i cui nomi dalla stessa desinenza creano per lo più confusione e difficolta di memorizzazione. Ci si può allora facilmente sentir dire: “Ma perché un viaggio proprio in Uzbekistan?”. Una possibile risposta sta nel fatto che questa ex Repubblica Socialista Sovietica è oggi il Paese che racchiude la città di Samarcanda, l’antica capitale del regno di Tamerlano. Questo sovrano fu, nel XIV secolo, probabilmente l’ultimo grande conquistatore e dominatore universale — prima dell’era moderna —, paragonabile perciò ad alcuni fra gli imperatori romani e al suo più diretto predecessore: Gengis Khan. Timur “lo zoppo”, questo il significato del suo nome, era il figlio di un capo tribù dell’area a sud di Samarcanda, in quello che fu il Khanato di Chagatai, una delle principali entità politiche

derivanti dal disfacimento dell’impero dei mongoli. La cultura delle sue genti era intrisa della tradizione di quell’impero, ma si trattava di popolazioni notevolmente ibridate con l’elemento turco, e ormai abbondantemente islamizzate. Nato nel 1336, Timur riuscì meno di una quarantina di anni dopo a diventare un sovrano di cruciale importanza storica e — data la centralità geografica del Khanato di cui si era a quel punto sostanzialmente impossessato — riuscì a portare i confini dei suoi domini agli inizi del XV secolo sull’India a est, sulla Russia meridionale a nord, su tutto il medio oriente fino a lambire l’Europa e l’Egitto a ovest. I tre dischi tracciati sul suo copricapo dovevano infatti ricordare che si trattava del Signore dei tre continenti: Asia, Europa e Africa. Tamerlano fu sempre ossessionato dall’idea di essere il continuatore dell’opera di Gengis Khan, di cui volle a


STORIA - L'IMPERO DI TAMERLANO

38

tutti i costi farsi passare per diretto discendente. In realtà Timur riuscì solo a sposare una lontana discendente dell’imperatore mongolo, ma questo gli bastò per attribuirsi il titolo di “genero imperiale”. Le sue conquiste furono associate a una notevole ferocia, per come si tramandano le immagini di torri e piramidi di teste accumulate ai lati delle città conquistate; ma il regno di Tamerlano fu anche un luogo in cui fiorirono le arti e le scienze. Da un lato, il sovrano portò a Samarcanda artigiani e artisti da ogni angolo dei territori da lui conquistati per contribuire a dare lustro alla capitale con opere mirabili (oggi abbondantemente restaurate e riportate agli antichi fasti), e dall’altro la scienza islamica arrivò a notevoli vette di affinamento in campo matematico e astronomico. Il principale fra i suoi più immediati discendenti, Ulugh Beg, rappresentò un eccellente scienziato in entrambe queste discipline, svolgendo anche attività diretta di docente in una delle madrasse di Samarcanda. Ma cosa resta oggi di Tamerlano? Almeno un paio di considerazioni si possono fare in merito. Se, passeggiando nell'area di piazza Registan a Samarcanda, si può avere l'impressione di trovarsi in qualcosa di molto analogo alla via dei Fori Imperiali a Roma, questa sensazione potrebbe non essere del tutto peregrina. Quando più di venti anni fa l'Uzbekistan si è ritrovato indipendente dall'ex Unione Sovietica, il Paese ha dovuto rapidamente interrogarsi sulle proprie radici pre-sovietiche e addirittura risalenti a prima della

colonizzazione dell'Asia centrale da parte della Russia zarista. Col conseguimento dell'indipendenza, la figura di Tamerlano doveva arrivare a svolgere una enorme funzione di tipo identitario per la coscienza nazionale del nuovo Paese. E non è un caso se ben tre maestose statue di Tamerlano abbelliscono altrettante città strategiche per la storia dell'impero timuride: la statua del Tamerlano eretto, nella città natale di Shakhrisabz, la statua del sovrano sul trono, a Samarcanda, e la statua del condottiero a cavallo nell'odierna capitale dell'Uzbekistan, Tashkent. Tamerlano può essere motivo di orgoglio storico per questo Paese che la storia ha catapultato fuori dal socialismo reale, e che vive oggi un'identità musulmana


piuttosto incerta. Ma come vede la cultura occidentale la figura di Tamerlano? Al di fuori di circuiti strettamente specialistici, il nome di questo sovrano suscita magari qualche suggestione di antichi imperi orientali, ma in fondo — e diciamolo chiaramente — quella storia si studia poco e male nel nostro sistema scolastico, se una delle regioni storiche più importanti dei domini di Tamerlano — la Transoxiana — fa venire mediamente l’orticaria solo a sentirne pronunciare il nome. La storiografia occidentale può certo peccare di eurocentrismo, ma anche da questo punto di vista farebbe in realtà un torto a se stessa proprio a proposito di Tamerlano. L’azione storica di questo sovrano lavorò infatti molto in profondità nell’immaginario dei principi europei del XIV secolo, che sentivano un crescente fiato sul collo da parte dell’impero ottomano, che si stringeva sempre più su di un impero bizantino ormai al crepuscolo. Furono proprio una serie di contatti fra sovrani europei e impero timuride — secondo l’”intelligence” di quei tempi — a spianare la strada a Tamerlano verso l’Anatolia. E ad Ankara si consumò la disfatta dell’esercito ottomano ad opera degli inarrestabili turco-mongoli, e perfino la cattura del sultano Bayezid I, portato poi a Samarcanda come trofeo. Ma Tamerlano si rivelò presto incontrollabile agli europei, e certamente non disposto a farsi dettare limiti alle sue strategie belliche. Nel 1402 Tamerlano si vedeva a ridosso dell’Europa, e il grande sovrano si ritrovò allettato dall’idea di includere il Mediterraneo nella sua sfera di influenza. Questa mossa avrebbe consentito al suo impero di diventare anche una grande potenza marittima, grazie alle flotte di

Venezia e Genova. E così il sovrano turcomongolo chiamato in soccorso contro gli ottomani — effettivamente sottoposti poi a una pesante battuta d’arresto — rischiò di diventare egli stesso una nuova minaccia per l’Europa, rivendicando Tamerlano gli stessi obbiettivi di conquista di Gengis Khan da lui ritenuto suo diretto predecessore. Per fortuna degli Europei, Tamerlano — indeciso come poteva essere, dal momento che il suo impero guardava praticamente verso ogni direzione del mondo allora conosciuto — fu alla fine maggiormente attratto dalla conquista della Cina dei Ming. E l’attrazione per la Cina, altra area cruciale nella storia del precedente impero mongolo, ebbe infine la meglio. Ma per Tamerlano questa nuova campagna militare restò solo un’intenzione, visto che il sovrano trovò la morte per una polmonite


STORIA - L'IMPERO DI TAMERLANO

40

invernale proprio nel momento in cui l’esercito si era messo in marcia verso est nel 1405. Sicuramente i sovrani europei avevano guardato con estrema riverenza la figura di Tamerlano. Visto come una sorta di prosecutore delle conquiste di Gengis Khan, l’imperatore di Samarcanda poteva costituire un alleato contro il mondo arabo-ottomano che premeva sull’Europa. E, da questo punto di vista, gli europei videro bene. Il vero punto in comune fra Tamerlano e Gengis Khan fu la straordinaria padronanza dell’arte militare e il proposito di conquista e di dominio. D’altra parte, l’impero di Gengis Khan era molto più ampio, e caratterizzato inoltre da grande tolleranza religiosa. Gengis Khan, come tutti i mongoli aderiva a una visione animistico-sciamanica del mondo, anche se la maggioranza dei sudditi dell’impero mongolo era costituita da musulmani. Ma l’islam trovava il suo posto fra i mongoli quanto il buddhismo e il cristianesimo nestoriano. I mongoli si mostrarono estremamente tolleranti con un impero grande quasi quanto il mondo (allora conosciuto). Tamerlano costituì invece uno stato rigorosamente islamico, e si considerò un difensore della fede coranica. Curiosamente, però, egli combatté solo contro stati islamici, distruggendoli e assoggettandoli. E, malgrado la sua pretesa di considerarsi discendente di Gengis Khan e continuatore della sua opera, Tamerlano diede il colpo di grazia al Khanato di Chagatai,

di cui si impadronì, e spezzò anche la resistenza del Khanato dell’Orda d’oro più a nord, che gli aprì poi la strada verso la Russia, mostrando in definitiva molta durezza proprio nei confronti di quegli stati che più direttamente derivavano dall’impero mongolo. Basterebbero queste considerazioni a fare di Tamerlano un sovrano sui generis, in realtà difficilmente accostabile tanto alla tradizione mongola quanto a quella turco-araba del medio oriente. Ma gli europei subirono forse, più o meno consapevolmente, un altro elemento di fascinazione da parte di Tamerlano. Bizantini e francesi inviarono ambascerie a Samarcanda allo scopo di costituire alleanze. Ma il più celebre contatto fra europei e timuridi è quello che risale


all’iniziativa di Enrico III di Castiglia, che nel 1403 invio il proprio ambasciatore Ruy González de Clavijo presso la corte di Tamerlano. Il diplomatico spagnolo affrontò un lungo viaggio nei domini del sovrano di Samarcanda e, quando riuscì a raggiungere questa città, vi soggiornò per diversi mesi. Nel suo libro, “La embajada a Tamorlán” si ritrova ancora oggi una preziosa fonte storiografica per le descrizioni del contesto della capitale timuride e della vita alla corte di Tamerlano. E non è un caso se, visitando il complesso del mausoleo di Tamerlano a Samarcanda, la strada antistante l’area archeologica è intestata proprio all’ambasciatore spagnolo. Dopotutto agli europei importava poco che Tamerlano fosse musulmano. Egli era visto soprattutto come il continuatore di Gengis Khan in quella che era stata più di un secolo prima una fruttuosa pax mongolica che non era dispiaciuta affatto all’Europa. Ma Tamerlano era una figura ancora più allettante. Il suo impero era, malgrado la brutalità delle sue campagne militari, più colto e raffinato. E poi Tamerlano risiedeva a Samarcanda. Questa città era stata conquistata molti secoli prima da Alessandro Magno, e il Macedone vi aveva anche abitato per qualche tempo. Ruy González de Clavijo arrivando a Samarcanda dalla Spagna aveva recato all’imperatore doni abbondanti e preziosi. Doni di tale entità e ricercatezza da poter essere addirittura protocollati e classificati dalla cancelleria di Tamerlano come qualcosa di assimilabile a un vero e proprio tributo di vassallaggio. Quando un sovrano europeo compiva un gesto interpretabile in tal modo, la conclusione non poteva che essere inequivocabile.

Quel sovrano europeo individuava nel destinatario del “tributo” proprio il legittimo discendente di Alessandro Magno, l’archetipo-prototipo di qualunque imperatore che attribuisse pretese universalistiche alla propria azione politica, come lo erano stati gli imperatori romani prima e quelli medievali poi. Il XIV secolo fu un periodo di arresto per il sogno universalistico del Sacro Romano Impero in Europa. Questa nostalgia, questo anelito tutto europeo poté così proiettarsi — al netto del pragmatismo dettato dalle più immediate contingenze storiche — sulla stessa figura di Tamerlano. Ma l’”appeal” di questo sovrano sugli europei si manifestò anche molto dopo la sua morte. Tamerlano aveva suscitato curiosità e ammirazione da parte di Stalin, che nel pieno della seconda guerra mondiale aveva spedito una missione archeologica a Samarcanda allo scopo di indagare sui sepolcri della famiglia imperiale (un atteggiamento radicalmente opposto alla rimozione totale della figura di Gengis Khan nella Repubblica Popolare Mongola da parte dell’Unione Sovietica che controllava pure quel Paese a partire dal 1924). Quando la tomba di Tamerlano fu aperta, nel 1941, fu rinvenuta un’iscrizione che recitava: “Chiunque aprirà questa tomba sarà sconfitto da un nemico più terribile di me”. Il giorno dopo, il 22 giugno, Hitler scatenò l'Operazione Barbarossa, invadendo l'Unione Sovietica. La sorte volle tuttavia che nel 1943, poco dopo che lo scheletro di Tamerlano (con quello del nipote Ulugh Beg) fu sepolto di nuovo secondo il rito musulmano, avvenisse la resa dei nazisti a Stalingrado. Coincidenza o legame a doppio filo fra Tamerlano e storia dell’Europa?

41


MUSICA - BMTH

BMTH

That’s the spirit di Gianmarco Soldi gianmarcosoldi@gmail.com

42

Quello attuato dai Bring Me The Horizon con l’album That’s the spirit è un vero e proprio tentativo di invadere il mercato musicale mondiale. Dopo essersi definitivamente lasciati alle spalle il nevrotico metalcore degli esordi già col precedente Sempiternal – una delle maggiori sorprese del 2013, acclamato da pubblico e critica per l’audacia nel fondere ritmiche di stampo metal a

melodie prevalentemente pop – i cinque ragazzi di Sheffield, Inghilterra del nord, sembrano aver trovato finalmente la formula magica in quello che forse sarà presto considerato come il loro punto di svolta. Il tempo è il giudice più severo e dissacrante, si sa, ma a due mesi dall’uscita di That’s the spirit c’è una sola grande certezza: il nuovo album dei BMTH contiene almeno otto potenziali


singoli su undici. Brani compatti, diretti, semplici, senza fronzoli o orpelli stilistici inappropriati; e dotati di un’orecchiabilità sorprendente, sia per i gusti più hard che per gli occasionali ascoltatori di musica pop. Sono infatti molte le influenze esterne al mondo del metal in questo lavoro, ancor più che in Sempiternal, striature sonore che strizzano l’occhio ad un mercato ben più ampio della nicchia heavy: ambient, elettronica, RnB e teenpunk si mescolano, creando un prodotto bello ed immediato. Un cocktail di generi che in passato ha già fatto la fortuna di Linkin Park e 30 Seconds To Mars, grazie anche al sapiente mix di produzioni scintillanti e melodie accattivanti. I nuovi BMTH, ormai spogliatisi dell’aura dark di bad boys, si presentano proprio così: irresistibili per una moltitudine di tipologie di ascoltatori. Sin dall’ingresso di Doomed, prima traccia infarcita di elettronica dal gusto vagamente goth, al perfetto terzetto Happy Song – Throne – True Friends, i Bring Me The Horizon lasciano vecchi e nuovi fan col fiato sospeso. Segue una parte centrale decisamente – e meravigliosamente – mainstream, con le virate hip-hop/ indie di Follow You, la dance di Oh No e l’azzeccata What You Need, che conferisce al disco una maturità inaspettata, insieme ad un’altrettanto scintillante freschezza.

Fino ad arrivare alla parte finale, più rock e allo stesso tempo melodica, ricca di quel pathos romantico che fino ad oggi non era presente nei lavori passati della band. I vecchi supporter non potranno nemmeno gridare allo scandalo o al tradimento: la svolta più soft del gruppo era chiara già da almeno tre anni, da quando le hit di Sempiternal cominciavano ad essere presenti persino sui canali – finora inaccessibili – di Mtv, rivolgendosi per sonorità e testi alle nuove teen generation più che ai “vecchi” metallari. Un lavoro che passa il giudizio della critica a pieni voti, sia per quanto riguarda le parti strumentali che per i testi, impregnati di una consapevolezza sempre più marcata. I temi dell’album, la depressione e l’isolamento vissuti in prima persona dal frontman Oliver Sykes, sono trattati con ironia e rilassato nichilismo; aperti a più interpretazioni, senza la fastidiosa vena provocatoria dei primi lavori. La band, per la prima volta lanciata verso un annunciato successo planetario, ha già comunicato alcune date del tour mondiale; ma al momento non sono previsti concerti nella nostra penisola. Di fronte al boom di That’s the spirit, non è però difficile immaginare che il tour subirà prolungamenti e deviazioni verso ulteriori Paesi. I fan italiani non dovrebbero aver nulla da temere.


44


45


SPORT - USAIN BOLT

USAIN BOLT

La faccia pulita dello sport 46

di Gianluca Corbani corba90@hotmail.it


Sei ori olimpici, nove titoli iridati, due record imbattuti sui 100 e 200 metri, venti milioni di followers sui social, una popolarità globale estesa da Kingston all'India e da Tokyo alle Ande. Senza nessun tipo di ornamento mitologico, un simile curriculum basterebbe per annunciarsi come favorito alla partenza di qualsiasi finale. Eppure, rispolverando i pronostici alla vigilia dei Mondiali di atletica di Pechino, l'inevitabile caduta di Usain Bolt era stata annunciata come un evento imminente e irreversibile, quasi naturale come l'arrivo dell'autunno dopo l'estate. Il finale – drammatico e solenne a raccontarsi – era già stato scritto: la fine della Leggenda dopo anni di show e di trionfi, l'epocale sconfitta di un Bolt ormai stanco e decadente, incenerito dal ritorno ad alti livelli di Justin Gatlin.

Il grande rivale, risorto tra mille sospetti dai veleni del doping, aveva aperto la stagione 2015 con tempi da dominatore delle distanze corte e correva disinvolto nella parte del “cattivone” pronto a riprendersi il centro della scena. Qualcuno era addirittura arrivato a dire che Bolt avrebbe ripetuto la falsa partenza di Daegu 2011, fingendo un infortunio per non concedere a Gatlin l'onore delle armi. Alla vittoria di Bolt non credeva (quasi) più nessuno. Così, mentre i due avversari si allineavano per la finale dei 100 metri, seguiti in diretta tv dall'intero globo terracqueo, è stato naturale chiedersi come sarebbe diventata l'atletica del dopo-Bolt. Semplicemente una nuova fase senza la personalità catalizzante e “pop” del giamaicano? O – più verosimilmente – un'era in cui


SPORT - USAIN BOLT

48

soccombendo alla dittatura di un ex dopato la regina degli sport sarebbe sprofondata nell'oscurantismo, senza più spazio sui media, e soprattutto senza quei paladini che di fronte all'invasione del doping potevano ancora sventolare la bandiera del Fulmine nella crociata per lo sport pulito? Usain Bolt non rappresenta solo uno straordinario testimonial e mezzo di propaganda per l'atletica, ma è anche un fuoriclasse senza macchia, uno dei pochissimi sprinter di vertice mai toccati da inchieste o sospetti di pratiche illecite. Per questo, sulla pista del “Nido d'Uccello” di Pechino, erano in gioco il futuro dell'atletica e un pezzo di credibilità dello sport in generale. Allo sparo, poi, Bolt è scattato come ai vecchi tempi, riportando le lancette del tempo all'agosto del 2008, quando da ragazzino (aveva poco più di vent'anni) frantumò i primati olimpici e mondiali trascinando l'atletica nella dimensione attuale. Quel trionfo era fiorito nello stesso stadio di Pechino dove il giamaicano ha corso controcorrente, bruciando Gatlin e ribaltando i pronostici con un colpo di coda leggendario. Sette anni dopo l'epifania del Mito, ecco l'ennesima medaglia d'oro sui 100 metri, impreziosita pochi giorni più tardi dal bis sui 200 metri, la distanza che forse più di tutte

esalta la cavalcata a leve lunghe del Fulmine caraibico. Senza dimenticare l'immancabile vittoria di squadra come ultimo frazionista nel quartetto giamaicano della staffetta 4x100. In sette anni in cima al mondo Bolt ha abbattuto qualsiasi record, ma quando pareva atterrare da Marte e tutti sapevano che avrebbe salutato gli avversari a metà strada le sue imprese erano meno emozionanti. Ora, invece, ci ritroviamo ad applaudire la continuità di un Bolt più umano e forse battibile, meno spaccone del solito, che vince con i cerotti e facendo più fatica. Per il suo business, per il suo palmares, per la sua pubblicità, certo, ma anche per l'immagine di uno sport pulito e incontaminato. Anche su di lui un domani potremmo scoprire di esserci sbagliati tutti. Ma nel frattempo Bolt, sovrano senza eredi, è l'unica risposta che ci rimane di fronte ai detrattori convinti che lo sport sia ormai ridotto a una competizione tra bari.



SPORT MINORI - HARRIJASOTZAILEAK E KURASH

HARRIJASOTZAILEAK E KURASH: QUANDO A VINCERE È SEMPRE IL PIÙ FORTE di Simone Zerbini simone-z90@hotmail.it

50


Gli sport scelti questo mese riguardano solamente i forzuti. Quindi o siete dei novelli Maciste o lasciate subito perdere. Il primo viene direttamente dai Paesi Baschi e risponde al semplicissimo nome di Harrijasotzaileak, che può essere tradotto in levantamiento de piedra, leveurs de pierres o sollevatori di pietre. Non esistono documenti ufficiali riguardanti questa pratica, e non sappiamo quindi con esattezza a quando risalga; anche se si presuppone sia strettamente legata ad attività rurali. Il lanciatore di pietre Bittor Zabala, meglio conosciuto come Arteondo, ha "standardizzato" qualche regola; come ad esempio quelle riguardanti peso e forma dei massi: oltre alle pietre di forma naturale, ne vengono riconosciuti quattro tipi, ovvero zilindroa (cilindrica, con peso di 8-10 arroba, cioè 100-125 chili), laukizuzena (rettangolare, 10-17 arroba), kuboa (cubica, 10-17 arroba) e biribila (sferica, 9-10 arroba). Le regole sono semplici: il sollevatore deve alzare la pietra fin sopra alla spalla e poi gettarla sul cuscinetto di fronte all'atleta. Vince chi solleva per un maggior numero di volte il masso o chi ne solleva uno più pesante di quello dell'avversario. Solitamente le pietre sono fatte di harri beltza, un granito scuro proveniente dalle città di Zumarraga e Lastur. Sport simili

appaiono nelle più disparate culture: il gaelico clachan-ultaich, il bavarese stoalupfn, il gallese Gŵyl Mabsant o il giapponese chikaraishi. Il secondo sport scelto è un po' (e sottolineo un po') più convenzionale, e ci ricorda il wrestling che tanto andava di moda qualche anno fa: si tratta del Kurash, una forma di lotta popolare tipica dell'Asia centrale, in particolar modo dell'Uzbekistan. Lo scopo della contesa è semplicemente quello di sollevare e ribaltare l'avversario con l'uso di una specie di salvietta colorata (di solito i lottatori usano il rosso, il verde o il blu). Ci sono tre modi diversi di totalizzare punti: la mossa appena descritta si chiama Halal e consente la vittoria istantanea del match; il sollevamento più vicino all'halal è lo Yambosh, due dei quali vengono sommati concedendo un halal e quindi la vittoria; il colpo appena sotto allo yambosh è il Chala, che non può sommarsi per ottenere uno yambosh o un halal. Esistono però anche delle penalità nel Kurash: il Tambik, il Dakki e il Girrom, ovvero la squalifica. L'incontro inizia sempre con il tipico saluto chiamato Tazim. Se guardando dalla finestra vedremo volare delle persone o dei giganteschi massi, sapremo che avete apprezzato questo articolo e vi siete cimentati nell'impresa.


SPORT CERTIFICATI: PEC - IL TEAM GUALDO TADINO

52

IL TEAM GUALDO TADINO Una realtà del tiro a segno di Roberto Carnevali robertocarnevali@eutelia.com


Il Team Gualdo Tadino sta diventando una realtà, riprendendo le vesti di tanti anni fa; dall'ultima vittoria del Campionato Italiano in quel di Montecatini. Da allora — sempre con gli stessi fondatori della Società, ma alternandosi con volti nuovi; percorrendo in silenzio un lungo cammino a volte duro e insipido, a volte bello e lineare — è sempre riuscito a dare il meglio della sua essenza. Una Società ricca di storia e di tradizione (il famoso e noto campo di tiro di San Guido) ha visto calcare nomi illustri, continuando un progetto di consolidamento proiettato verso un futuro sempre più roseo. Il grande lavoro in sordina di tanti nomi — dal presidente in carica Moreno Pigliapoco, al grande Vito Mariani, all'inesauribile fonte di energia di Giuliano Proietti (vecchia gloria di questa Società) — ha fatto sì da creare un gruppo con la voglia di credere alla realizzazione di un movimento di alto spessore tecnico. Tre anni fa un 10° posto al Campionato Italiano per Società (con un pizzico di fortuna poteva essere anche un bel podio). Oggi un 8° posto — ma meritava certamente molto di più — riconferma in questo sodalizio un punto di forza della Regione Umbria. Tutto questo per il grande lavoro svolto a

360 gradi, con il grande senso di serietà e di dedizione che il movimento di Gualdo Tadino ha sempre dimostrato. Questi ragazzi, semplici e comuni, mi hanno trasmesso forti emozioni nel tiro a volo di questo Campionato Italiano 2015, accompagnate anche a non pochi momenti di apprensione, poi però svanita. E gioie immense, nel vederli così attenti e concentrati per raggiungere il meglio di cui fossero capaci. Certamente siamo solo all'inizio di un lungo percorso assai duro e difficile da mantenere, sempre con occhio vigile e attento a tenere alta la guardia. Forse un giorno, chissà, uscirà da questa fiorente cittadina un Campione. Mai dire mai nella vita. Grazie ragazzi, per quello che avete fatto nel modo più gratificante per me e per l'intera Società. Grazie anche alle persone che purtroppo sono rimaste a casa, ma che durante la stagione agonistica hanno contribuito in maniera forte ed evidentissima ai fini della Società. Un grazie particolare alla Società Umbriaverde e al suo presidente, che ci hanno dato l'opportunità di continuare in questo bellissimo percorso regalandoci momenti indelebili di sport e amicizia. Grazie a chi ha contribuito a starci vicino e a credere fermamente che GUALDO TADINO non ha mai smesso di lottare nelle situazioni difficili e contrarie alla realizzazione del proprio progetto. Mi auguro, in primis, che possa suggellare il suo sogno; il sogno di tutte le Società.


SOCIOLOGIA - BELLO E IMPOSSIBILE

BELLO E IMPOSSIBILE 54

Intrigante, rudemente virile, artatamente galante, affascinante, misterioso, si mostra indifferente, sicuro di sé e sa come farsi valere. Ma in realtà è perfido, disincantato, a volte sadico. Questo è il tipo di uomo per cui molte donne impazziscono. Un uomo che spezza il cuore, capace di stupire, di far sentire la propria partner unica ma senza mai metterla sul piedistallo; poiché tutto appare donato da lui. La “canaglia”, affascina

di Nia Guaita

molte donne per la sua trasgressività e il suo atteggiamento di sfida: quest’uomo "mascalzone" piace terribilmente a molte di noi, disposte a innamorarsi di lui anche a rischio di doversene poi pentire amaramente. Ma perché mai tante donne soffrono della sindrome del bel tenebroso e si


innamorano di uomini che si comportano da mascalzoni? Secondo uno studio britannico (Università di Bristol) la colpa è della mimica facciale. Un sorriso, un'alzata del mento, un movimento di ciglia possono avere una tale carica di seduttività per l'interlocutrice, che il contenuto dei discorsi di lui può finire col passare inosservato; anche se questi esprime concetti negativi e di forte carica antisociale, che dovrebbero metterla in guardia. Un’altra interpretazione, alla base di molte ricerche (Università della California di Los Angeles), punta sull'inconsapevole tendenza biologica dell'individuo a scegliere i partner più adatti alla procreazione: un uomo più seduttivo ed evidentemente interessato al sesso, anche se poco serio, mostra più vigore e disinvoltura sociale; ambedue atteggiamenti rilevatori di "buoni geni", utili per la procreazione, anche in rapporti brevi. Un’altra ricerca (New Mexico State University di Las Cruce) afferma che, se la società tende a guardare dall’alto in basso questi tratti “negativi” di personalità, essere un cattivo ragazzo alla fine paga – e molto – nei rapporti con l’altro sesso; soprattutto se gli obiettivi della coppia sono di breve periodo. Il tipo classico del mascalzone, affermano i ricercatori, è simile alla moderna figura di James Bond: un uomo con poca empatia per gli altri, con un debole per le auto veloci e per le relazioni ancor più veloci con l’altro sesso (la quantità per lui conta assai più della qualità). Questi tratti di personalità sono evidentemente vincenti nel facilitare l’accoppiamento, e per questo si sono mantenuti e rafforzati durante l’evoluzione umana. Ma le interpretazioni genetiche sono spesso, a mio avviso, esasperate; e si trascura l'importanza dell'esperienza accumulata da ciascuno fin dalla nascita. E, al di là di questi studi, ritengo che siano

piuttosto la scarsa autostima e una certa rivalità femminile le due micce più potenti che innescano il fuoco della passione per questa tipologia maschile. Queste donne, colpite dalla sindrome da “crocerossina”, non credono in fondo che lui sia così cattivo come sembra, e pensano: "Io ti salverò". Credono che, se riescono a “far capitolare” un mascalzone, significa che valgono più delle altre, proprio come Don Giovanni che godeva non tanto della conquista della donna, ma nel dimostrare la sua superiorità agli altri uomini. L’attrazione fra i sessi è un meccanismo molto potente, capace di stabilire un legame anche fra persone che si conoscono da pochi minuti: è un pensiero così irresistibile che rende tutte le altre necessità e doveri stranamente privi di senso, noiosi e irrilevanti. Eppure, in molti casi la forte attrazione per una persona “sbagliata” può essere molto pericolosa e destabilizzante. Non a caso i greci ritenevano che l’attrazione sessuale fosse come un’arma, un dardo, capace di bucare la carne e prendere possesso di un’anima, provocando il caos, sia fra gli umani sia nel mondo degli Dei. Il mio pensiero? Bastardo? No, grazie! Le persone che vivono una relazione di coppia hanno voglia di condividere, il mascalzone non ha niente da dare. Le donne devono imparare a non cadere vittime di questi amori tossici. Non si deve mai credere a ciò che dicono, non ci si deve fidare delle loro promesse e men che meno dei loro giuramenti. Le donne non devono soprattutto commettere l’errore di illudersi di cambiare il mascalzone, perché il mascalzone difficilmente cambierà. Non dimentichiamo mai che l’amore è gioia, serenità e benessere. Se però si trasforma in una sfida, in attesa di cambiamento, non è più amore; ma solo una dolorosa trappola per noi stesse.


SPECIALE ED EVENTI - MINERAL SHOW 2015

MINERAL SHOW 2015

Arriva a Verona

lo show dei minerali

56

di Nicola Guarneri guitartop@libero.it


Venerdì 27, sabato 28 e domenica 29 novembre: segnatevi queste date, cari lettori, perché lo show dei minerali più importante d’Italia sbarca a Verona. O meglio, torna a Verona, visto che la città veneta ospita lo show per il terzo anno consecutivo. La manifestazione, organizzata da VeronaFiere, sembra continuare il trend delle ultime edizioni con un tasso di crescita del 22% rispetto all’ultimo appuntamento: il successo anche quest’anno sembra assicurato. Veniamo quindi ai numeri della prossima edizione: quest’anno gli espositori saranno 220, provenienti da 24 nazioni differenti, e disporranno i loro minerali, fossili, pietre, gemme e quant’altro nei 12mila m2 dedicati. La più grande mostra in Italia diventa anche la terza in Europa e non manca di uno sguardo al futuro: come l’anno scorso, si preannuncia profetica individuando tendenze, mode e colori più in voga nel 2016. Tra le novità della prossima edizione, è da segnalare il primo concorso nazionale de "Il Bijoux come pegno d'amore nella

città di Giulietta e Romeo”: una giuria altamente qualificata esaminerà disegni e manufatti di privati ed artigiani esposti al prossimo Geo Shop. I migliori verranno ovviamente premiati. Gli organizzatori ricordano che nei tre giorni della fiera, aperta dalle 09:00 alle 19:00, è possibile trovare e acquistare qualsiasi tipo di gemma o pietra preziosa, da pochi euro a decine di migliaia. Il costo del biglietto è di 10 euro per gli adulti e 5 euro per i ridotti (per i bambini dai 6 ai 14 anni e per gli over 70), mentre è gratuito per i disabili. È comunque disponibile per tutti una riduzione a 8 euro: per ottenere la riduzione è necessario registrarsi al sito (potete arrivarci cliccando qui). Che altro dire? Non vi resta che stampare e presentarvi a Verona il 27, 28 o 29 novembre. Un piccolo consiglio? Lasciate a casa fidanzate e mogli... o munitevi di carta di credito!


ARTE - IGOR SAVITSKY

58

Igor Savitsky: storia di un museo di Susanna Tuzza susannatuzza@gmail.com


Quella della collezione Igor Savitsky è una storia assolutamente affascinante, degna epopea d’altri tempi. Una vicenda poco nota, persa ai confini del deserto del Karakum, tra Turkmenistan e Uzbekistan, per l’esattezza a Nukus, la capitale della regione uzbeka autonoma del Karakalpakstan, la stessa dove si trova anche il lago d’Aral. Savitsky nasce nel 1915 a Kiev, e la Rivoluzione d’Ottobre segnerà presto la sua vita. Infatti, figlio di una famiglia benestante che non attira certo le simpatie bolsceviche, Igor decide di avvicinarsi al proletariato, studiando da elettricista. Ma la natura non può che seguire il suo corso e le pulsioni intellettuali del giovane Savitsky non si possono cancellare, così come la sua passione per la pittura. Fu proprio come artista che giunse la prima volta nel Karakalpakstan, nel 1950, al seguito di una spedizione etnografica e archeologica. Da quel momento cominciò a interessarsi alla cultura dell’Asia Centrale, decidendo di vivere tra le steppe e i deserti centroasiatici. Divenne presto un importantissimo mecenate della cultura popolare locale, instancabile raccoglitore di opere d’arte e manufatti di artisti e artigiani assolutamente sconosciuti, ma tutti uniti dal loro essere genuinamente popolo. Savitsky ricorse a infinite forme di finanziamento, riuscendo nel suo intento di creare un museo a Nukus, e facendone un punto di riferimento imprescindibile per quanto riguarda la storia dell’arte e della cultura in Asia Centrale, senza considerare l’importanza identitaria che il nuovo museo assunse per i karakalpaki, popolazione povera e spesso bistrattata dall’etnia maggioritaria uzbeka. Una volta riconosciuto il museo dalle autorità, nel 1966, Savitsky iniziò ad acquistare e custodire opere in contrasto con la linea

ufficiale del realismo socialista. Il Museo Statale di Arte della Repubblica del Karakalpakstan, oggi intitolato al suo fondatore, è una delle poche gallerie al mondo dove possono essere ammirate opere, innumerevoli, di artisti sovietici appartenenti a scuole pittoriche a suo tempo condannate dal regime in quanto proprie dei “nemici del popolo”. Il che assume ancora più valore in quanto inserito in un contesto difficile come quello del Karakalpakstan, che dal museo trae sicuramente un immenso beneficio. E tutto questo grazie alla passione di un singolo uomo che per quel museo ha speso ogni minuto del suo tempo, dedicando ad esso anche le ultime energie quando, ormai stremato, si avvicinava alla fine dei suoi giorni.


CASA & DESIGN - UZBEKISTAN

L’ARIA DI SAMARCANDA, CHE MODELLA LA PIETRA E IL PANE TRA LE MERAVIGLIE DELLA CITTÀ BLU ANCHE LA BELLEZZA DELLA TRADIZIONE DI SAPER FARE IL PANE

60

di Gaia Badioni gaia.badioni@hotmail.it


Quando mi hanno comunicato che il pezzo da scrivere sarebbe dovuto essere sull’Uzbekistan, come prima cosa ho pensato “Uz…cosa? E dov’è l’Uzbekistan!?”. Poi ho cominciato, da brava secchioncella, a fare le mie ricerche scoprendo la meraviglia delle terre del Kazakistan! … aia… altra mossa sbagliata… Bisogna ricominciare da capo, in ritardo e con un briciolo di sconforto in più. La prima informazione che emerge su questa terra abissata in un mare di nazioni che finiscono tutte per -istan (Kazakistan, Tagikistan, Afghanistan, Turkmenistan) è che, insieme al Liechtenstein, è l'unico Paese al mondo doppiamente senza sbocchi sul mare. La seconda, è che la sua storia è talmente antica e ricca che abbraccia un arco di tempo che va dal 700 a.C. circa fino alla dominazione russa del Novecento. Da lì sono passati i Messageti e Ciro il Grande, Alessandro Magno, i turchi, Gengis Khan, gli Zar e i bolscevichi, per dichiararsi poi indipendente dall’Unione Sovietica nel 1991, con non poche riserve e perplessità da parte del popolo, e divenire una Repubblica. Proprio per la sua posizione strategica, l’Uzbekistan è il Paese più ricco di storia fra tutte le repubbliche dell'Asia Centrale.

Forno tipico Uzbeko per il pane

Banco del pane al mercato di Samarcanda Annovera alcune delle città più antiche del mondo, molti dei principali centri sulla Via della Seta e la maggior parte delle bellezze architettoniche di quest'area geografica. Tra le tre città più rilevanti dello stato, una sicuramente è conosciuta a tutti: Samarcanda. Fondata nel 700 avanti Cristo dalla civiltà sogdiana, è stata capitale di diversi imperi e, secondo gli storici, il suo nome può significare “città ricca”, oppure “città di roccia”, o “luogo in cui la gente si incontra”. Si è letto di questa città ne “Le Mille e una Notte” e nel “Milione”, la si è cantata sulle note di Vecchioni, nelle letterature e dibattiti nel mondo islamico. Samarcanda ha raggiunto uno status quasi mitico ed è spesso citata come un ideale della filosofia e della società islamica; un luogo di giustizia, equità e retta moderazione, ritenuta un “faro splendente di umanità”. Situata al centro dell’antica Via della Seta, che univa Roma con la Cina, Samarcanda è stata teatro di scambi non solo commerciali, ma anche culturali; e nel tempo ha saputo mantenere intatta la sua identità e le sue tradizioni con feroce orgoglio e gelosia. Durante il lungo periodo della dominazione sovietica i tagiki si mantennero tenacemente e fieramente legati alle loro tradizioni.


CASA & DESIGN - UZBEKISTAN

La doppia anima di Samarcanda, divisa tra antichità e rigore sovietico, si legge chiaramente nella piantina quasi schizofrenica della città; come spesso avviene in Oriente, emerge con verità e chiarezza nel bazar principale. Alle prime luci dell’alba apre i battenti il mercato Siab nel quale si trova — oltre a spezie, formaggi, tappeti, copricapi — anche un particolarissimo pane, antico quanto la Via della Seta e vera meraviglia del luogo. Il più famoso conquistatore mongolo, che proclamò Samarcanda capitale di un impero che si sarebbe esteso dall’India alla Turchia, fu Timur (meglio noto in Occidente come Tamerlano) il quale assoldò i migliori architetti e ingegneri dell’epoca per farne una città la cui bellezza divenne oggetto di leggende che i mercanti trasmisero fino in Europa e in Cina. Proprio Tamerlano è protagonista di una leggenda curiosa: si narra che durante una spedizione di conquista provò il desiderio di mangiare il pane

Decorazioni sul Samarcanda

pane

tipiche

di

di Samarcanda, ma il sapore di quelli che gli prepararono non era lo stesso. Il cuoco si giustificò dicendo che mancava un ingrediente fondamentale, ovvero l’aria di Samarcanda. Gli stessi fornai della città ammettono che il pane della città può essere cotto solo lì perché “ in nessun altro luogo sarebbe possibile fare un pane come quello”. Da brava figlia di fornai, cresciuta tra i

62

Banco del pane al mercato di Samarcanda


sacchi di farina e il profumo dell’impasto a lievitare, non posso che trovarmi d’accordo. Il pane è quell’elemento vitale che racchiude in sé l’amore di chi lo fa, il suo sudore e la sua fatica, ma anche gli odori, l’acqua, l’aria della terra e del luogo, specificità che non si possono replicare o esportare. Il pane di Samarcanda è unico nel suo genere per due ragioni in particolare. La prima è il forno che viene usato per la cottura, ovvero il tandoor, un forno d’argilla a forma di campana rovesciata o cilindrico nel quale il pane viene cotto attaccato alle sue pareti laterali e dove il calore è tradizionalmente generato da fuoco di carbone o legna che bruciano alla base dello stesso. Il pane è così esposto sia al calore della fiamma viva, sia al calore irradiato che scalda l'aria, che al fumo per eventuali affumicature; e acquista in questo modo tutto il sapore di ciò che lo circonda. Il secondo motivo è costituito dalle decorazioni di queste pagnotte. Realizzate con degli speciali punzoni, le decorazioni al centro del pane ricordano, per trama e colore, i palazzi storici della città che circondano il mercato di Siab. Il Gran Bazar, infatti, si estende nell'area retrostante la moschea di Bibi Khanum,

Marchio per il pane

Venditore di Samarcanda

pane

al

mercato

di

riccamente decorata da maioliche cobalto con arabeschi e intrecci che richiamano sia l’arte islamica quanto quella indiana. Poco più in là, e racchiusa dalle mura della città voluta splendente da Tamerlano, la parte vecchia con le architetture che l’hanno resa una perla dell’arte: Gur-e Amir, il Mausoleo di Tamerlano, che occupa un posto fondamentale nella storia dell’architettura islamica perché precursore e modello per le posteriori grandi tombe dell'architettura Moghul, tra cui la Tomba di Humayun a Delhi e il Taj Mahal ad Agra; Shah-e Zinda, la "Tomba del Re Vivente", un complesso coperto da una meravigliosa pavimentazione a piastrelle di maiolica fondato sul sepolcro di Kusam ibn 'Abbas, appartenente alla famiglia del Profeta Maometto e per questo meta di numerosi pellegrini; le cosiddette Porte Blu che aprono la strada funeraria del complesso di Shahi-Zind. Qui la pietra, i tappeti, la maiolica, le vesti, il pane, parlano la stessa lingua di bellezza: una lingua che si tramanda da secoli, ma che resta comunque segreta. E per questo tanto affascinante.


CURIOSITÀ NOVEMBRE

Curiosità NOVEMBRE di Sylvie Capelli sylvieannacapelli@gmail.com

Leonidi: le stelle cadenti di novembre

64

Ogni anno, verso il 17 novembre, possiamo assistere al fenomeno astronomico delle Leonidi: uno sciame meteorico causato dal passaggio della cometa Tempel-Tuttle accanto al sole. Il nome deriva dalla posizione da cui sembrano irradiarsi, quella della costellazione del leone. Si parla addirittura di una media di 15 stelle cadenti all’ora! Nel 1833 il fenomeno fu così ampio, che molte persone negli Stati Uniti pensarono addirittura alla fine del mondo e al fuoco che pioveva dal cielo nel giorno del giudizio. Tutti a testa in su quindi – nella speranza che il clima lo consenta – alla ricerca delle stelle cadenti che da sempre nell’immaginario collettivo sono, oltre a uno spettacolo magico, foriere di buone notizie e realizzatrici di sogni.


Otello Il 1 novembre 1604 nei saloni del Whitehall Palace di Londra debutta l’Otello di Shakespeare, da allora simbolo universale della gelosia folle. Shakespeare si è ispirato per questa tragedia a una raccolta di novelle di Giambattista Giraldi Cinzio, poeta ferrarese del XVI secolo. Si narra il dramma della storia d’amore tra il protagonista (Otello, il Moro) e Desdemona, finita in tragedia a causa dell’infido Iago. Iago odia il moro e trama nell’ombra creando sospetti su fatti inesistenti, ma rendendoli talmente verosimili, da indurre Otello a uccidere la sua amata. Due i grandi musicisti che si sono fatti ispirare da questa narrazione: Gioacchino Rossini e Giuseppe Verdi.


CURIOSITÀ NOVEMBRE

Cheerleader

66

Avreste mai immaginato che la prima cheerleader è stata… un uomo? Johnny Campbell il 2 novembre 1898, iniziò a incitare il pubblico urlando in cadenza “Rah Rah Rah” e terminando con “Minn-e-So-Tah”, coinvolgendo così un gruppo di supporter che fu chiamato proprio cheerleader (cheer = evviva, leader = capo). Le donne furono ammesse solo a partire dal 1923, accolte con diffidenza dall’ambiente sportivo maschilista dell’epoca, ma in seguito giunte al successo grazie alle coreografie eseguite con i tradizionali pon pon. Inizialmente uno spettacolo di contorno, fino a diventare un vero e proprio sport con campionati propri dal 1978. In Italia nel 2013 nasce la FICEC, federazione italiana cheerleading e cheerdance, membro dell’European Cheer Union.


Diabete Ogni anno il 14 novembre si celebra la Giornata Mondiale del Diabete, con lo scopo di informare e sensibilizzare il pubblico di tutto il mondo in merito a questa malattia e conseguentemente diffondere alcune norme per prevenirla. Si tratta di una malattia cronica, con alterata produzione da parte del pancreas di insulina e conseguente presenza di elevati livelli di glucosio (zuccheri) nel sangue. È possibile prevenire il diabete mellito, grazie a dieta equilibrata e regolare attività fisica. Importante scoprire anche i cibi dove gli zuccheri si “nascondono”, come ad esempio pane, pasta, riso e frutta. Una volta conclamato, è fondamentale l’automisurazione della glicemia a intervalli regolari durante il giorno in modo da studiarne l’andamento e regolare l’alimentazione (oltre ai farmaci) di conseguenza.

Proverbi Italiani Il mese di bruma (cioè novembre), dinnanzi mi scalda e di dietro mi consuma. Se di Novembre tuona, l'annata sarà buona. Novembre bagnato, in aprile fieno al prato. Per i Santi manicotto e guanti.


- SUPER MARIO

GAMES

AUGURI

SUPER MARIO! 68

L’idraulico più famoso del mondo compie trent’anni di Nicola Guarneri guitartop@libero.it


Ci sono compleanni e compleanni. Quello dei trent’anni è sicuramente un punto di svolta nella vita di chiunque: ci si sente troppo grandi per fare le cose che si facevano a venti, ci si sente troppo piccoli per fare quelle che si dovrebbero fare a quaranta. Se per alcuni inizia il declino, per altri l’ascesa è inarrestabile: proprio come per SuperMario! Correva l’anno 1985 (diciamo autunno, a seconda delle nazioni) quando un idraulico italiano di nome Mario, con la sua salopette blu e il cappello rosso, veniva chiamato all’impresa più importante della sua vita. Come, non sapete la sua storia? Siamo nel Regno dei Funghi, un luogo immaginario (ma non ditelo a Mario!) in cui vivono i Toad, piccoli esserini con la testa a forma di fungo. Ce ne sono circa un milione, e più della metà di questi vive nella capitale. La pace del Regno dei Funghi viene bruscamente interrotta dall’avvento del re dei Koopa Troopa, il malvagio Bowser, che trasforma tutti i Toad in blocchi di ghiaccio. Quando si accorge che la principessa del Regno — la splendida (pixel permettendo) Peach Toadstool — potrebbe rompere l’incantesimo, la rapisce facendola rinchiudere nel suo spettrale castello. Il Regno vive nel terrore per diverso tempo fino a quando la notizia giunge

all’idraulico Mario, che aiutato dal fratello Luigi (questo in salopette blu e cappellino verde) inizia la lunghissima avventura di SuperMarioBros, attraversando otto mondi e un’infinità di nemici, per salvare la principessa Peach. A chi non avesse mai finito il gioco (non c’è nessuno, vero? Vero?) riveliamo il più fiabesco dei lieto fine: Mario salva la principessa Peach, che annulla l’incantesimo e restituisce il Regno dei Funghi ai piccoli Toad. Mario decide di restare nel Regno per proteggerlo da future minacce; e finirà per innamorarsi della principessa, incapace di resistere al fascino dell’idraulico italiano. Dicevamo dei trent’anni: ebbene, per SuperMario sembra non ne siano passati nemmeno la metà. Il gioco sviluppato dalla Nintendo ha visto una serie di sequel e riedizioni impressionante, tanto da rendere impossibile citarle tutte. Il successo globale di Mario ha dato vita anche una serie di emulatori nella vita reale, in primis il comico francese Remi Gaillard, che ha ben pensato di iniziare una partita di SuperMarioKart nel bel mezzo della Francia (potete vederla cliccando qui). Per chi non avesse mai giocato a nessuna variante di SuperMario (non c’è nessuno, vero? Vero?) ci sono una serie di giochi gratuiti sul web in formato flash (potete trovare un esempio cliccando qui). Buon divertimento!


SPAZIO POSITIVO - L'AUTOSTIMA CONTRO IL FEMMINICIDIO

70

L'AUTOSTIMA CONTRO IL FEMMINICIDIO Laura Gipponi info@lauragipponi.com

Proprio perché il 25 novembre è la giornata mondiale per l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne, vorrei dedicare lo spazio positivo di questo mese a tutte noi donne. La cosa migliore da fare, come sempre, è prevenire che si verifichi qualcosa che non vogliamo. A livello istituzionale ci si deve affidare al lavoro di governanti e forze dell’ordine perché cerchino il più possibile di fare contrapposizione a questo fenomeno purtroppo molto diffuso. Oggi in questo spazio editoriale vorrei invece sottolineare quanto sia importante da parte di ogni donna analizzare se stessa cercando di capire quanta autostima nutre verso se stessa. Autostima, sì, perché alla base di ogni infelicità, insoddisfazione, rassegnazione, dell’accettazione di un torto subito, c’è sempre la mancanza totale o la scarsa stima di sé. Quando una donna accetta passivamente di subire violenza fisica o psicologica, quando si giustifica sostenendo di farlo perché ama il proprio compagno, perché ci sono di mezzo i figli o perché sente di non avere alternativa, purtroppo non gode di un’autostima sufficiente. Se solo riuscisse a dare a se stessa il giusto valore, la giusta importanza, a credere nelle proprie capacità e qualità, anche a costo di rinunciare a qualcosa in nome del rispetto verso se stessa e della libertà, ecco che non esiterebbe a prendere la decisione di ricominciare una nuova vita lontano da abusi e violenze. Ed è per questo che voglio spronare tutte le donne a cominciare a prendere in mano la propria vita iniziando proprio da un percorso per l’accrescimento della propria autostima. Quando e come si vuole è possibile frequentare seminari, corsi specifici sull’autostima. Per iniziare vi do un suggerimento come start-up per la vostra nuova vita in consapevolezza: prendete un quaderno e iniziate a scrivere tutte le vostre qualità, le vostre capacità; scrivete tutto ciò che riuscite a fare in qualunque ambito, i complimenti che ricevete quando realizzate qualcosa e ogni volta che superate un piccolo traguardo complimentatevi con voi stesse e festeggiate; anche con qualcosa di piccolo ma gratificatevi. Sarà solo l’inizio di un nuovo grande percorso per imparare ad amarvi sempre di più.



RICETTA SALATA CON VINO ABBINATO

Minestrone di verdure

di Sylvie Capelli - sylvieannacapelli@gmail.com

INGREDIENTI: 100 gr di cipolle, 100 gr di carote, 100 gr di zucchine, 350 gr di patate, 350 gr di pomodori, 200 gr di fagioli borlotti freschi, 150 gr di porri, 400 gr di cimette di cavolfiore, 200 gr di piselli, 60 gr di sedano, 100 gr di pancetta affumicata, 1 spicchio d’aglio, prezzemolo, sale, pepe, 1 rametto di rosmarino, 3 foglie di alloro, noce moscata, olio extra vergine di oliva.

Preparazione: Lavare e asciugare le verdure.

72

Tagliare a cubetti le zucchine, sgranare i fagioli, ricavare le cimette del cavolfiore eliminando il torsolo, sfogliare il porro delle foglie esterne e tagliarlo a rondelle sottili. Sbucciare e tagliare a dadini le patate e i pomodori. Tritare finemente la cipolla, le carote e il sedano. Tagliare a dadini la pancetta. Preparare un mazzetto con rosmarino e alloro, legandolo con lo spago da cucina. Tritare grossolanamente il prezzemolo. In una pentola dai bordi alti versare l’olio e soffriggere carote, sedano e cipolla per circa 8 minuti. Aggiungere l’aglio e la pancetta e, in seguito, il mazzetto di rosmarino e alloro. Versare il porro e un po’ d’acqua cuocendo a fuoco moderato per 10 minuti. Aggiungere i fagioli e far cuocere per ulteriori 10 minuti mescolando di tanto in tanto. Aggiungere le patate, il cavolfiore e le zucchine. Aggiustare di sale e pepe e aggiungere la noce moscata. Cuocere a fuoco moderato per circa 10 minuti, unire piselli e pomodori e abbondante acqua (circa 700 grammi). Coprire con un coperchio e cuocere per circa mezz’ora, a fuoco moderato. Togliere l’aglio e cuocere per altri 15 minuti. Togliere il mazzetto di alloro e rosmarino e, solo alla fine, aggiungere il prezzemolo. Servire con un giro di olio extra vergine di oliva e una macinata di pepe.


Cerasuolo d'Abruzzo 2012 Valentini Rosato Doc - Montepulciano 100% di Carlo Cecotti - carlocecotti@yahoo.it Valentini rappresenta una pietra miliare del rinascimento enoico italiano. Filosofia produttiva fuori dal coro che punta su antichi cloni, lieviti indigeni, nessuna filtrazione o chiarifica, legno grande e pratiche di cantina ridotte al minimo. Così Edoardo ha posto la sua firma su vini diventati ormai leggenda. Autentici, vibranti, espressivi, ricercati dagli appassionati di mezzo mondo. Rosa cerasuolo. Sentori floreali di fiori di pesco e boccioli di rosa in prima battuta. A seguire un’imponente scia fruttata di tarocco sanguinello, melograno, anguria, lampone e caldarrosta. Chiude con una delicata nota speziata di pepe bianco. Il sorso evidenzia ancora la gioventù di un prodotto esuberante che premierà chi saprà attenderne l’evoluzione.


RICETTA DOLCE CON VINO ABBINATO

Montebianco (Montblanc)

di Sylvie Capelli - sylvieannacapelli@gmail.com

INGREDIENTI: 700 gr di castagne (marroni), ½ litro di latte, 20 gr di cacao in polvere, 50 ml di rhum, 1 bacca di vaniglia (o una bustina di vanillina), 120 gr di zucchero, 1 pizzico di sale Per la guarnizione: 500 gr di panna fresca, 30 gr di zucchero a velo, marron glacé

Preparazione:

74

Lavare le castagne e incidere la buccia con un coltellino. Coprirle con acqua fredda e farle bollire per circa 30/40 minuti (eventualmente 10 minuti in pentola a pressione). Pelare le castagne, facendo attenzione a togliere completamente anche la pellicina interna. In un tegame, porre le castagne pulite, il latte e i semini interni della bacca di vaniglia (o la vanillina), zucchero e sale, e far bollire per circa 20 minuti. Passare le castagne con lo schiacciapatate e incorporare cacao e rum mescolando fino a rendere l’impasto asciutto e compatto che verrà fatto riposare in frigorifero, coperto dalla pellicola, per almeno mezz’ora. Montare la panna con lo zucchero a velo. Passare il composto di castagne con uno schiacciapatate dai fori grossi, creando così una montagna con un foro centrale. Riempire il foro con panna montata e decorare sia i bordi che, soprattutto, la cima. Guarnire con marron glacé. Conservare in frigorifero fino al servizio.


Passito di pantelleria 2007 Ferrandes

di Carlo Cecotti - carlocecotti@yahoo.it

Bianco Doc Dolce – Zibibbo 100%

Salvatore Ferrandes è un vignaiolo vero, un personaggio con il quale chi ama il microcosmo del vino artigianale entra subito in sintonia. Conduce una piccolissima realtà, due ettari scarsi di vigneto coltivato ad alberello, in contrada Mueggen sulla meravigliosa isola di Pantelleria. Il suo passito è prodotto in quantità davvero limitate, e impreziosito da lunghi affinamenti. Rapisce lo sguardo con la sua vivace veste ambrata. Il naso è letteralmente esplosivo, eleganti sentori agrumati di mandarino caramellato cedono lentamente il passo a sensazioni di fichi secchi, uva passa, mandorle e datteri. Ampio il ventaglio delle spezie: cannella, vaniglia, anice stellato e noce moscata. E poi ancora evidenti note evolutive, legate allo iodio e alla ceralacca. Una grande dolcezza avvolge il palato che rimane, però, sempre pulito grazie al lungo finale sapido.


Sylvie Capelli , Mercato di Samarcanda


Inviaci le tue foto a info@lapausa.eu


Raffaele d'Isa, Moschea Bibi-Khanym, Samarcanda


TIRO A VOLO

Le paure del piattello

Quando subentra la paura non c’è tempo per riprendersi; solo i campioni riescono a domarla e a tirare impavidi. Nel prossimo numero qualche consiglio da parte del nostro esperto Roberto Carnevali.

ANTICIPAZIONI

Sul prossimo numero troverete anche...

SOCIOLOGIA WWW.LAPAUSA.EU/PINK

Coppie e social

Lo sapevate che Facebook rappresenta una delle maggiori cause di divorzio in Italia? Nel numero di dicembre scoprirete quanto i social influiscono sulla vita di coppia.

VIAGGI

Lapponia

Cosa c’è di meglio di un viaggio nelle terre del nord per affrontare al meglio dicembre e le festività? La Pausa vi porta alla scoperta di Babbo Natale!



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.