Che il rapporto dell’uomo con la natura, la terra, l’acqua, il verde, l’aria, Il sole sia importante, sottile e complesso è noto da sempre e fa parte dell’esperienza comune. Il bisogno che l’uomo ha del contatto con la natura è attestato dalla fuga rituale dalla città verso la campagna, il mare, i monti nei week end e nelle vacanze. Si fugge per liberarsi dallo stress urbano e dall’inquinamento. Fa parte dell’esperienza comune che il contatto sensoriale con la natura ha un effetto distensivo e benefico. Notizie, consigli ed informazioni commerciali utili su come avvicinarsi, assaggiare, vivere meglio, li potete trovare in queste pagine dove si è voluto “toccare” argomenti importanti anche per vivere meglio. Naturalmente, senza presunzione alcuna, queste 48 pagine vogliono solo infarinarvi, un maggior approfondimento su temi che vi hanno scaldato potete averlo con gli inserzionisti presenti su le pagine di questo Speciale Natura. Buona lettura!
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a fior di pelle È la parte più superficiale del nostro corpo, quella con cui siamo sempre in contatto, eppure spesso tendiamo a dimenticare che la pelle è un vero e proprio organo, che svolge funzioni molto importanti per il corretto funzionamento del nostro organismo. La pelle, infatti, oltre a fornire protezione da traumi, radiazioni ultraviolette, microrganismi ed agenti chimici, impedisce la perdita di liquidi, partecipa al meccanismo della termoregolazione, aumentando o rallentando la dispersione del calore, e permette la sintesi della vitamina D, grazie alle sue proprietà metaboliche. Inoltre, la cute svolge anche un’importantissima funzione sensoriale: con il suo strato più superficiale registra e trasmette stimoli tattili, dolorifici e termici, mentre con quello più profondo percepisce anche segnali termici e vibratori. Con le sue incredibili proprietà di autoriparazione (si rigenera in seguito ad una lesione) e di estensibilità (si adatta alle variazioni che il corpo subisce durante il corso della vita), la pelle rappresenta una risorsa preziosa non solo per il benessere fisico, ma anche per quello psicologico e sociale: avere una pelle curata, liscia e vellutata, infatti, oltre ad essere sintomo di un perfetto equilibrio fisico, ci dona un aspetto migliore, contribuendo a rafforzare la nostra autostima e a facilitare l’approccio e il contatto con altre persone. Data la sua importanza, è quindi necessario prendersi cura della propria pelle, con appositi trattamenti e prodotti.
Anatomia della cute
Per prendersi cura in maniera corretta della pelle, prima di tutto, è fondamentale conoscerne tutte le caratteristiche, partendo da quelle anatomiche. La pelle, o cute, è un tessuto continuo, appartenente all’apparato tegumentario, l’apparato più esteso del corpo umano. La sua estensione è di circa 1,30-2 mq,
“Attraverso la nostra pelle, grazie al tatto, noi sentiamo, odiamo, amiamo” (J. L. Taylor)
mentre il suo peso si aggira sui 5-6 kg. Lo spessore della pelle varia a seconda delle parti del corpo: nelle parti più esposte, come la nuca, i palmi delle mani o le piante dei piedi, arriva a toccare i 3-4 mm, mentre sul resto della superficie corporea si aggira sui 1-2 mm, ad eccezione delle palpebre, rivestite da uno strato di pelle di 0,5 mm. La struttura della cute è formata da tre strati: • EPIDERMIDE L’epidermide (dal greco epi ‘sopra’ e derma ‘pelle’ ) è lo strato più superficiale della pelle, quello a contatto con l’ambiente esterno, ed è formato a sua volta da più strati di cellule sovrapposte, che sono l’espressione di un continuo processo di rinnovamento: le cellule giovani si formano, mentre quelle vecchie e morte vengono eliminate, in un processo di trasformazione che dura circa una ventina di giorni. Le cellule che formano l’epidermide sono di diversi tipi ed hanno diverse funzioni. I cheramociti conferiscono alla cute resistenza ed impermeabilità agli agenti esterni; i melanociti, invece, sono i responsabili della pigmentazione della pelle; le cellule di Langerhans svolgono un’importante funzione nei processi immunitari; infine, le cellule di Merkel sono legate alla sensibilità tattile. • DERMA Il derma, che si trova al di sotto dell’epidermide, è formato prevalentemente da tessuto connettivo fibroso. Le fibre di collagene ed elastiche hanno direzione parallela e perpendicolare alla superficie cutanea, così da formare una maglia caratteristica che garantisce alla cute elasticità ed estensibilità entro certi limiti. Nel derma si trovano moltissimi annessi cutanei specializzati, come i vasi sanguigni, che nutrono la pelle, i nervi e recettori nervosi, che raccolgono gli stimoli
tattili, le ghiandole sudoripare, che secernono il sudore, e le ghiandole sebacee, che producono il sebo necessario a mantenere la pelle elastica e tonificata. •IPODERMA L’ipoderma, è lo strato più profondo della pelle ed è costituito soprattutto da tessuto connettivo, nel quale si trovano molte cellule adipose che proteggono l’organismo da traumi esterni e dal freddo, fungendo da riserva energetica.
Il PH della pelle
Un altro importante fattore di cui tenere conto nella cura della pelle è il suo ph, ovvero il suo grado di acidità, i cui valori, variabili da persona a persona, sono compresi generalmente tra 4,2 e 5,6. L’acidità del pH della pelle è legata alla presenza del film idrolipidico, un velo protettivo che le ghiandole producono sulla superficie della pelle, in modo da lubrificarla e proteggerla dagli agenti esterni. Alterare il ph della pelle significa dunque renderla più fragile e sensibile, favorendo le infezioni. Per questo motivo, è importante fare particolare attenzione alla scelta dei prodotti, soprattutto di quelli utilizzati per la detersione: chi ha una pelle normale può usare gran parte dei saponi e detergenti presenti in commercio, che solitamente hanno un ph neutro che si aggira intorno al 7; chi ha la pelle grassa dovrà preferire prodotti detergenti con con un grado di acidità lievemente maggiore; mentre per chi ha la cute secca e sensibile sono banditi saponi e prodotti a base alcalina, e cioè con un ph sopra il 7.
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la cosmesi diventa bio Come potete leggere voi stesse girovagando nel web, le informazioni su Inci, trucchi bio, gli ingredienti considerati sospetti (siliconi & company) e il loro utilizzo nel make-up sono moltissime e diversissime tra loro. Farsi un’idea precisa o capire a volte cosa è esatto e cosa no può diventare difficile se non impossibile. Cerchiamo di prendere tutto con molta cautela e questo è un consiglio che dò anche a voi. Di certo c’è che, negli ultimi anni, quello che si nota è che molte case cosmetiche hanno iniziato a specificare sulle confezioni dei loro prodotti la scritta ‘no petrolati’ (ovvero i derivati del petrolio) e simili. Una maggiore attenzione, insomma, a questo tipo di sostanze come anche per i siliconi, contenuti nel makeup ma anche in molti prodotti per la cura del corpo e dei capelli.
Per il silicone però il discorso cambia se si pensa a quei prodotti (come la vaselina, per intenderci) usati anche in campo medico per scopi ben precisi. Pensate ad esempio a quelle creme contenenti appunto siliconi, che però servono a isolare una parte lesa o un taglio, a creare una sorta di barriera per evitare infezioni o contatti con l’esterno. Certo, il più delle volta non hanno un’azione idratante o nutritiva per la pelle, ma il film/patina che creano aiuta a proteggere la pelle stessa in modo che non si contamini. Stesso discorso per situazioni di freddo o vento forte: molti prodotti contenenti petrolati e siliconi (penso ad esempio a creme specifiche e burrocacao) fanno sì che l’idratazione presente all’interno della pelle non si perda, e la barriera che creano serve quindi a questo. A volte, possono anche contenere ingredienti nutrienti come burri vegetali e simili, per potenziare
l’effetto idratante. Lo scetticismo verso i prodotti contenenti questo tipo di ingredienti può non essere necessaria anche per un altro motivo: nessun silicone o petrolato penetra mai negli strati più profondi della pelle (il derma). L’azione di questi ingredienti è sempre molto superficiale e non profonda, al contrario dei farmaci. Possono causare problemi e intolleranze, questo sì. Ma lo stesso discorso vale anche per tutti i prodotti naturali. Burri vegetali, oli e estratti vegetali vari, anche se bio al 100% possono essere mal tollerati e causare irritazioni se si è allergici, oppure possono essere controindicati in certi momenti della vita della donna (come la gravidanza).
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Mai esagerare e stare nel mezzo. Sappaimo che l’eccesso di make-up e prodotti può far male. Quando si può, infatti, facciamo riposare la pelle e prendiamo una pausa da tutti i prodotti per farla respirare. Il troppo stroppia ;-) sempre e in ogni campo. Ma una volta ogni tanto non fa male a nessuno. I primer viso. Molte di voi li conoscono e li usano, altre li snobbano per via dei siliconi contenuti. Per la funzione che questi prodotti svolgono (rendere la pelle omogenea e liscia e far durare il trucco), il silicone è quasi d’obbligo. Il segreto per non avere problemi (di occlusione dei pori ad esempio) sta nel non usarli sempre, ma ad esempio solo per occasioni in cui vale la pena, e di struccarsi bene. L’ideale, se non se ne può fare a meno, sarebbe trovare dei primer senza siliconi in
modo da non avere problemi in caso di un uso costante. Quando si parla di questi argomenti, altro consiglio, è di non estremizzare mai e non essere categoriche a prescindere. Certo è che ognuna è liberissima di usare quello che più reputa giusto per sé e la propria pelle, ma non per questo bisogna esagerare o addirittura creare allarmismi. Informiamoci, facciamo pure le nostre scelte, ma non condizioniamo mai gli altri. Da che parte stiamo quindi? Quello che ci spinge, nella vita e nel lavoro, è la curiosità. La cosa più importante è provare, provare e provare ancora. Senza pregiudizi e farsi un’idea abbastanza precisa solo dopo avere usato un prodotto per un po’ di tempo. Mi incuriosisce un prodotto, lo compro, lo provo.
In generale, senza essere una accanita seguace del bio, dell’eco o del naturale, né tantomeno alla caccia perenne di prodotti ‘puliti’, senza siliconi o petrolati. Quello che dovrebbe guidarci è l’equilibrio nel loro uso perché di base, negli anni, dovremmo aver imparato ad ascoltare la nostra pelle. Se ascoltate le vostre necessità anche il vostro corpo vi ringrazierà perché automaticamente farete la scelta giusta. Dal web: ‘‘Non cerco di vivere per sempre, voglio solo essere sicura di sentirmi al meglio finché sono viva”. Che non vivremo in eterno è scontato, quindi il comportamento ideale (in questo campo come in tutti gli ambiti della vita) è quello di stare tranquilli e non fissarsi. Piuttosto restare sereni e prendere solo il meglio, visto che la vita è una sola e non la vogliamo certo sprecare tempo.
l’unguento dei nonni Dall’antica saggezza delle popolazioni celtiche che, un tempo, abitavano i nostri territori, oggi nasce l’Unguento dei Nonni®, una miscela naturale di oli vegetali, erbe e fiori, conosciuta per le sue molteplici proprietà benefiche.
sta meravigliosa conifera che è nato l’Unguento dei Nonni®: una miscela che sfrutta a pieno le proprietà purificanti ad antisettiche dell’oleoresina naturale di larice, unendole con sapienza agli estratti naturali di diverse piante e alla cera d’api.
La ricetta dell’Unguento dei Nonni® è ispirata ad un’antica formulazione delle Alpi che, nel corso dei secoli, è stata tramandata dai Nonni, ovvero da coloro che, secondo la tradizione celtica, conoscevano l’arte della guarigione del corpo e dello spirito.
Il risultato dell’elaborazione di questa antica ricetta è un prodotto speciale, completamente naturale, che non contiene conservanti, petrolati e parabeni, e che si presta a molteplici usi.
Questi druidi consideravano il larice un albero sacro, identificandolo come simbolo di forza, coraggio e chiarezza. Ed è proprio dalla forza e dalla maestosità di que-
Nello specifico, l’Unguento Giallo è particolarmente adatto per il trattamento di contusioni, ematomi, distorsioni e strappi. Infatti, tra gli estratti naturali inseriti in questa formula, c’è anche l’arnica, un fiore dai petali gialli conosciuto sin dall’antichità per le sue proprietà medicamentose.
L’Unguento Verde, invece, è ideale sulla pelle secca o sulle smagliature, per aiutare la pelle a mantenere idratazione ed elasticità. Per le sue proprietà lenitive, è ottimo anche come dopobarba, come cura per i foruncoli o come aiuto per eliminare eventuali schegge sottopelle. L’Unguento Verde è consigliato anche per il trattamento di stati di gonfiore e pesantezza delle gambe. Entrambe le formulazioni vanno applicate con un leggero massaggio sulla parte interessata, fino a completo assorbimento.
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dal passato una fonte di energia innovativa: Cos’è il biogas
Spesso confuso con i biocarburanti liquidi, il biogas è stato chiamato anche gas di palude o gas di fognature. Si tratta di una miscela di gas prodotti durante la decomposizione naturale di materiale organico in un ambiente ermetico, e composti in gran parte da metano (CH4). Questo metano è lo stesso componente infiammabile che si trova nel gas naturale di origine fossile, solo che invece di essersi formato in 65 milioni di anni, può essere generato in 48 - 72 ore.
Storia del biogas: dagli assiri alle olimpiadi di pechino
La maggior parte delle persone che si interessano di energie rinnovabili solo recentemente ha sentito parlare di biogas, ma in realtà l’origine e l’uso di questo combustibile sono molto antichi. I microrganismi che creano biogas sono tra le più antiche forme di vita sulla terra, più vecchi di oltre tre miliardi di anni di quelle piante e quegli animali che sono diventati gli attuali combustibili fossili. Nel 3.000 a.c., gli antichi Assiri usavano biogas per riscaldare il bagno e, considerando che è più facile accendere un fuoco con biogas di quanto non lo sia con il legno, l’uso umano di biogas può estendersi fino al Neolitico. Anche le famose lampade a gas dell’Inghilterra vittoriana erano alimentate con biogas derivanti dalle fognature della città. Oggi, questo prezioso combustibile è utilizzato in diversi Paesi del mondo. Prima tra tutti, la Cina, che si piazza al primo posto per il maggior numero di impianti di biogas, con una stima di 50 milioni di famiglie che lo utilizzano quotidianamente. Non a caso, infatti, la torcia delle Olimpiadi 2008 di Pechino era alimentata proprio da biogas. Anche in India, il consumo di biogas è molto diffuso, con oltre quattro milioni di impianti. In molte città europee, soprattutto in Svezia, il biogas è utilizzato come carburante per veicoli e viene immesso nei gasdotti.
I pregi del biogas
il biogas
Il biogas è un combustibile che, per le sue caratteristiche, può essere considerato una preziosa risorsa: • può essere generato nel proprio cortile domestico con i rifiuti ordinari, senza attrezzature speciali o prodotti chimici di sorta. Può essere - ed è - generato in un sacchetto di spazzatura ordinaria con gli avanzi di cucina. Un equivoco comune è che il biogas possa essere fabbricato solo da effluenti di allevamento (letame e liquami), in realtà tutta la materia organica può essere utilizzata come materia prima per fare biogas. I comuni sfalci d’erba possono generare tra i più alti volumi di biogas per tonnellata. Per esempio, si potrebbe facilmente avere l’energia per rasare il prato utilizzando l’erba del taglio precedente; • a differenza dei biocombustibili liquidi, il biogas non è in competizione con la produzione di derrate alimentari, in quanto non necessita di colture dedicate e può essere generato utilizzando le parti non commestibili delle piante. Il biogas come carburante fornisce un rendimento per ettaro 2-5 volte più elevato di qualsiasi biocarburante liquido e, utilizzato in autotrazione, è più silenzioso e più ecologico; • il processo di produzione di biogas, chiamato digestione anaerobica, è particolarmente aggressivo contro patogeni e parassiti ed è stato storicamente utilizzato nel trattamento delle acque reflue come una naturale e poco costosa alternativa al trattamento chimico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno si presentano 80 milioni di casi di dissenteria (Shigella flexneri), di cui 700.000 con esito fatale. Un digestore semplice, a basso o nullo costo, uccide (anaerobicamente) i batteri della dissenteria in 30 ore; • il sottoprodotto liquido che risulta dal processo di digestione anaerobica è un fertilizzante di alta qualità, ricco di azoto e ottimo ammendante per l’agricoltura. Nei compost ordinari l’azoto è in gran parte volatilizzato nell’atmosfera, mentre la digestione anaerobica non solo trattiene l’azoto, ma lo converte anche in ammoniaca, che viene più facilmente assorbita dalle
piante. Il fertilizzante liquido da biogas, inoltre, può essere distribuito in campo con le macchine agricole esistenti, cosa che invece risulta poco pratica con il compost. Il processo di produzione di biogas richiede anche meno tempo, di solito 10-20 giorni per scomporre la materia organica; ciò permette di trattare volumi molto più elevati di rifiuti rispetto alla produzione di compost; • essendo il 30-50% del biogas formato da anidride carbonica (CO2) e considerando la “C” (carbonio) nella formula del metano (CH4), alcuni pensano che l’uso del biogas contribuisca al riscaldamento globale (effetto serra). Non è così. Il carbonio del biogas è quello che viene chiamato carbonio biogenico. A differenza dei combustibili fossili, che rilasciano carbonio generato in un lungo periodo geologico, il carbonio biogenico fa parte della biosfera naturale ed è quello che è stato assorbito dalle piante nel loro ciclo di vita. La stessa quantità di carbonio sarebbe stata emessa se il materiale organico fosse stato lasciato a decomporsi naturalmente nell’ambiente. Noi stessi emettiamo carbonio biogenico continuamente. • il biogas è un gas infiammabile, può essere utilizzato per alimentare motori e caldaie per la cogenerazione (energia elettrica e acqua calda per il riscaldamento). La capacità di eliminare i cattivi odori e le proprietà di combustione pulita del processo di produzione di biogas gli permetterebbero di essere utilizzato anche in ambienti urbani ad alta densità. • il biogas democratizza l’energia con il suo basso costo e la sua semplicità, rendendola disponibile a tutti, a prescindere dallo status economico. Mentre le altre fonti di energia rinnovabile tendono a concentrarsi sulla produzione di energia elettrica, il biogas è in grado di alimentare ecologicamente anche gli autoveicoli, il riscaldamento e la cucina, nonché apportare benefici insostituibili per la salute umana e l’agricoltura. Questa (antica) energia rinnovabile è davvero una meraviglia moderna.
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in forma con i semi di Chia semi di che?! semi di Chia!
Probabilmente non ne avrete mai sentito parlare, ma i semi di Chia sono un alimento meraviglioso, conosciuto per le molteplici proprietà benefiche già dai tempi delle civiltà precolombiane dell’America Centrale e Meridionale. Anche se hanno una lunga tradizione terapeutica nell’ambito della salute e della nutrizione, solo negli ultimi tempi il mondo sta riscoprendo il valore dei semi di Chia, soprattutto come alleato nella lotta contro il peso. I semi di Chia, che vengono ricavati da una specie vegetale denominata Salvia Hispanica, molto diffusa ed utilizzata in Centro e Sud America, sono infatti
l’ingrediente ideale per chi desidera perdere i chili di troppo.
semi di chia e dieta
Fonte eccellente di fibra, antiossidanti, calcio, proteine e acidi grassi Omega 3 e Omega 6, questi semi sono un vero e proprio toccasana per il nostro organismo. Anche il loro apporto di vitamina C, ferro e potassio è sorprendente: basti pensare che il contenuto di vitamina C nei semi di Chia è 7 volte superiore rispetto a quello delle arance, che quello di potassio è doppio rispetto a quello delle banane e che la presenza di ferro è tripla rispetto agli spinaci. I semi di Chia, poi, sono molto digestivi, prevengono la stitichezza, regolano la pressione sanguigna e controllano il livello di colesterolo nel sangue. Quello che
però rende i semi di Chia un prezioso alleato per la perdita di peso è il loro elevato potere saziante. Questi semi, infatti, sono in grado di assorbire liquidi fino a 10 volte il loro peso e quindi, se combinati con acqua, latte o anche con dello yogurt, danno una sensazione di sazietà che dura a lungo. I semi di Chia contribuiscono ad arginare l’aumento di peso anche grazie alla loro azione di controllo del livello degli zuccheri nel sangue. Inoltre, questi semi non contengono assolutamente glutine e la loro assunzione è quindi possibile anche a coloro che soffrono di celiachia o di intolleranza ad esso.
Fonte eccellente di fibra, antiossidanti, calcio, proteine e acidi grassi Omega 3 e Omega 6
come utilizzarli in cucina
I semi di Chia sono molto piccoli, croccanti e dal sapore piuttosto neutro. Possono essere presi a colazione, insieme al muesli, o, se accompagnati a cereali e altri semi, possono costituire uno snack salutare e nutriente da sgranocchiare durante la giornata. I semi di Chia possono essere assunti crudi, al naturale, nella dose di uno o due cucchiai al giorno come integratore alimentare naturale, oppure possono essere utilizzati come condimento e guarnizione per numerosi piatti tra cui insalate, paste e risotti. Se aggiunti a frullati di frutta o di verdura, alla frutta cotta, allo yogurt o anche in zuppe e minestre, sa-
pranno dare una sensazione di sazietà che durerà molto a lungo. Infine, esiste un utilizzo dei semi di Chia ritenuto particolarmente benefico per la pulizia dell’intestino e per favorire il suo funzionamento: se lasciati in ammollo in acqua a temperatura ambiente, sprigioneranno un gel benefico da assumere al mattino, preferibilmente a stomaco vuoto. Il gel di semi di Chia può essere anche utilizzato come sostituto delle uova nella preparazione di torte e biscotti.
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l’importanza del rapporto Certe volte sottovalutiamo il ruolo che i nostri amici animali svolgono nelle nostre vite: ci trasmettono il loro affetto, ci amano incondizionatamente, ci fanno compagnia, ci stanno vicino qualunque cosa accada. E, soprattutto, ci trasmettono una sensazione di benessere, migliorando le nostre condizioni psicologiche. La pet therapy è una pratica terapeutica che sfrutta proprio le proprietà benefiche trasmesse dagli animali per il trattamento di differenti patologie cognitive o psicosociali.
Cos’è la pet therapy e quando viene usata?
Il termine pet therapy ( dall’inglese “pet”= animale da compagnia e “therapy”= terapia) indica una serie
complessa di utilizzi del rapporto uomo-animale in campo medico e psicologico, che vengono sfruttati per rafforzare e coadiuvare le terapie mediche tradizionali. Può essere impiegata su pazienti affetti da differenti patologie, con obiettivi di miglioramento comportamentale, fisico, cognitivo, psicosociale e psicologico-emotivo: nei bambini con particolari problemi, negli anziani e in alcune categorie di malati e di disabili fisici e psichici, infatti, il contatto con un animale può aiutare a soddisfare certi bisogni (affetto, sicurezza, relazioni interpersonali) e recuperare alcune abilità che queste persone possono aver perduto. Nonostante il termine venga utilizzato in modo generico, con pet therapy si intendono due diversi tipi di trattamento con gli animali:
- il primo consiste nelle ATTIVITÀ ASSISTITE DA ANIMALI (Animal Assisted Actievities), che consentono di migliorare la qualità di vita del paziente ed è indicato, ad esempio, nel caso in cui vi sia la necessità di rendere più lieve la permanenza di una persona, giovane o anziana che sia, in una struttura medica nella quale si trova momentaneamente ospite; - il secondo, invece, consiste nella TERAPIA ASSISTITA DAGLI ANIMALI (Animal Assisted Therapy), le cui possibilità d’impiego prevedono diverse attività di recupero di adulti o bambini con disabilità comportamentali e di sviluppo, condotte con l’ausilio di psicoterapeuti, fisioterapeuti o educatori, al fine di migliorare le capacità di comunicazione e di relazione sociale dei pazienti.
con gli animali I benefici della pet therapy
In generale, il principio della pet therapy si basa sull’utilizzo del rapporto speciale che certe persone instaurano con gli animali per favorire il processo terapeutico (psicologico, fisico e sociale). I contatti che si instaurano tra animale e paziente accelerano e facilitano i rapporti con i terapeuti, contribuiscono a rendere la situazione meno stressante, facilitano l’esercizio fisico e favoriscono il dialogo. Da studi condotti negli scorsi decenni e oggi comprovati da sempre più numerose esperienze, è stato infatti dimostrato che il contatto con un animale, oltre a garantire la sostituzione di affetti mancanti o carenti, è particolarmente adatto a favorire i contatti interpersonali, offrendo spunti di conversazione, di ilarità e di gioco: l’occasione, cioè, di interagire con gli altri.
Nel caso dei bambini malati, ricoverati in ospedale, che, per motivi comprensibili, soffrono spesso di depressione o di disturbi del comportamento, le attività ludiche e ricreative organizzate in compagnia e con lo stimolo degli animali, il dare loro da mangiare, il prenderli in braccio per accarezzarli e coccolarli hanno lo scopo di farli rilassare e socializzare tra loro, così da migliorare la qualità della loro vita in quella particolare contingenza.
Che animali scegliere per la pet therapy?
Gli animali impiegati per tale tipo di terapia sono molteplici: cani, delfini, cavalli, conigli, ma anche gatti ed uccelli. L’importante è che la scelta dell’animale venga determinata valutando approfonditamente le esi-
genze psicologiche, fisiche e relazionali del paziente. Non solo: una volta circoscritto l’ambito di scelta, è necessario che l’analisi continui affinché si individui, all’interno della specie prescelta, quel particolare animale che, con le sue caratteristiche peculiari, sia adatto alla persona in questione. In proposito, è stato sottolineato più volte che un errore di valutazione nella scelta dell’animale da utilizzare può causare problemi anche molto gravi per il paziente, tali da compromettere l’intera terapia. Per evitare ciò, è necessario sentire il parere di un esperto in comportamento animale (sia esso un etologo, un veterinario, un addestratore di cani, un terapeuta comportamentale) che conosca i comportamenti “normali” e l’organizzazione sociale della specie da coinvolgere nei programmi di terapia.
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foglie di ulivo: un prezioso Originario del Medio Oriente, l’ulivo è una pianta dal cui frutto, l’oliva, si ricava un olio utilizzato fin dall’antichità per l’alimentazione e per usi curativi e cosmetici. Oltre ad avere caratteristiche nutrizionali che agiscono in modo favorevole su colesterolo, glicemia e pressione arteriosa, l’olio d’oliva possiede infatti anche moltissime proprietà benefiche per la salute del nostro corpo: la sua assunzione quotidiana allontana la formazione di tumori, aiuta il benessere del fegato, riduce il rischio di diabete e regola la funzionalità gastro-intestinale; inoltre, è un vero e proprio trattamento di bellezza, che può essere usato per ammorbidire e mantenere giovane la pelle o per rendere lucidi e forti i capelli. Forse non tutti sanno, però, che anche le foglie di
questa pianta meravigliosa possiedono molte proprietà benefiche.
no utilissime nel miglioramento della circolazione e nel ripristino dell’attività sessuale;
L’estratto vegetale di foglie d’ulivo, infatti, purifica, disintossica, aiuta il corpo a ritrovare il suo naturale equilibrio e a risolvere problemi di:
• pressione:
• energia: utile in caso di stanchezza, astenia e sonnolenza, l’estratto di foglie d’ulivo conferisce un senso di benessere generale, energia e resistenza alla fatica;
• circolazione:
grazie all’azione vasodilatatrice e vasoprotettiva, le foglie d’ulivo si dimostra-
l’oleuropeina è in grado di rilassare i vasi sanguigni, abbassare la pressione sanguigna e prevenire la formazione di coaguli di sangue;
• glicemia:
l’acido elenolico contenuto nell’estratto acquoso di foglie di ulivo riduce il glucosio ematico, abbassa i livelli d’insulina e migliora la tolleranza al glucosio;
• colesterolo: le foglie di olivo riducono i
Forse non tutti sanno che, non solo i frutti, ma che anche le foglie di questa meravigliosa pianta, posseggono delle proprietà benefiche!
alleato per il benessere. valori di colesterolo e di lipidi, abbassando il livello delle lipoproteine a bassa densità (colesterolo cattivo) e alzando quelle ad alta densità (colesterolo buono);
• peso:
le foglie di olivo sono un naturale nemico dell’obesità, poiché favoriscono la perdita di peso e, grazie alle proprietà diuretiche, contrastano la cellulite;
• stipsi: in caso di stitichezza, l’azione lenitiva e l’azione diuretica dell’estratto di foglie d’ulivo aiutano a regolarizzare l’intestino;
• difese
immunitarie: l’acido elenolico si è dimostrato un potentissimo antibatterico e antivirale, capace di eliminare qualsiasi forma batterica o virus e di rinforzare le difese immunitarie;
• infiammazioni: le foglie favoriscono la cicatrizzazione, proteggono e tonificano i vasi capillari, leniscono le zone infiammate.
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l’alimentazione senza glutine Se, fino a qualche anno fa, molti ne ignoravano il significato, oggi la parola celiachia è entrata prepotentemente a far parte del linguaggio comune, da un lato a causa dell’aumento del numero di persone che soffrono di questa intolleranza, dall’altro perché sono sempre più i supermercati, i ristoranti e i locali che sposano la causa dei celiaci, aiutandoli nella lotta contro questa condizione con una gamma di prodotti senza glutine sempre più ampia e variegata.
Cos’è la celiachia?
La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine, un complesso di sostanze azotate che si forma durante l’impasto, con acqua, della farina di alcuni cereali come il frumento, il farro, l’orzo, la segale, l’avena, il kamut, la spelta, il triticale e il malto. Nei soggetti celiaci, l’assunzione di alimenti contenenti glutine o tracce di glutine produce una reazione immunitaria anomala dell’intestino tenue: mentre nelle persone sane i villi dell’intestino assorbono dagli alimenti le sostanze nutritive essenziali, nell’individuo celiaco i villi regrediscono e la mucosa intestinale viene danneggiata, per cui l’intera superficie d’assorbimento delle sostanze nutritive si riduce o scompare completamente, provocando scompensi e malnutrizione. La celiachia è una patologia complessa, causata da fattori ereditari e ambientali. Solitamente si manifesta durante l’infanzia, dopo lo svezzamento, con il passaggio dal latte materno all’alimentazione conte-
nente glutine, è ormai consuetudine che questa malattia compaia anche in età adulta. Essendo una patologia legata al malassorbimento delle sostanze nutritive, i sintomi con cui si manifesta sono quelli generalmente legati ad un malfunzionamento dell’intestino, quindi diarrea, steatorrea (feci ricche di grassi e per questo maleodoranti), perdita di peso, stanchezza dovuta a carenza di vitamine, ferro e folati. Attualmente, l’unica terapia realmente efficace per curare la celiachia rimane quella del controllo dietetico. Il celiaco deve pertanto adeguarsi ad una dieta rigorosa, incentrata sull’esclusione di tutti gli alimenti contenenti glutine o tracce di glutine: solo in questo modo le infiammazioni dell’epitelio intestinale potranno piano piano regredire, garantendo al soggetto condizioni di vita e di salute assolutamente normali. Tutto ciò implica un forte sacrificio ed impegno da parte del celiaco, che tuttavia può far affidamento su una serie di prodotti alternativi, preparati senza glutine, che lo possono aiutare nella dieta, senza dover rinunciare ai piaceri della tavola.
Prodotti senza glutine
Negli ultimi anni, l’aumento dei celiaci e la sensibilizzazione al problema hanno portato alla comparsa di numerosi prodotti preparati esclusivamente con ingredienti privi di glutine. Sono sempre di più, infatti, i locali che tra i loro prodotti inseriscono specialità che possono essere gustate anche da chi soffre di malat-
tia celiaca. Oltre agli alimenti che naturalmente sono privi di glutine, come riso, mais, carne, uova e pesce, oggi esistono molte preparazioni gustose che possono sostituire tranquillamente quelle vietate ai celiaci: grazie a specifiche ricette, preparate con attenzione e professionalità, pane, pizze, biscotti, torte e pastine non sono più off-limits e possono tornare a far parte delle diete di chi soffre di celiachia. La produzione di preparazioni senza glutine è un procedimento complesso, che richiede molta sapienza e grande manualità, oltre che ambienti dedicati ed attrezzature specializzate. Utilizzare alimenti naturalmente privi di glutine, infatti, non basta per assicurare al celiaco la tranquilla consumazione del prodotto: se non si seguono specifiche precauzioni sull’ambiente di lavoro, durante la preparazione si potrebbero verificare pericolosi fenomeni di contaminazione, che comprometterebbero la buona riuscita del prodotto. Per questo motivo, è necessario che gli ambienti di lavoro siano separati o, quanto meno, puliti da eventuali residui di precedenti lavorazioni. Inoltre, i produttori di alimenti senza glutine, durante le preparazioni, devono indossare sempre divise pulite, non contaminate, e devono conservare gli ingredienti in vaschette separate, in modo da evitare qualsiasi contatto con altri alimenti. Il consumatore, dal canto suo, ha il compito di controllare che i prodotti acquistati siano presenti nel prontuario dell’AIC (Associazione Italiana Celiachia) o che presentino il logo con la spiga barrata e la dicitura “senza glutine” o “gluten free”.
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il fotovoltaico in 10... 1. cos’è un impianto fotovol- mono o policristallino o in film sottile. taico? 2. che differenza c’è tra panL’impianto fotovoltaico è un sistema che sfrutta le radiazioni solari per generare corrente elettrica con- nelli monocristallini, policritinua tramite l’effetto fotovoltaico. Trasformata in corrente alternata, tramite un inverter, può essere stallini, in silicio amorfo o in utilizzata per alimentare gli apparecchi elettrici della nostra casa (lavastoviglie, scaldabagno, forno elet- film sottile? trico, tv, aspirapolvere). L’impianto fotovoltaico è costituito da piccole celle fotovoltaiche, caratterizzate da piccole strisce argentate sulla superficie, che non sono altro che i contatti chimici per la connessione in serie di più celle. L’unione di più celle fotovoltaiche costituisce un modulo, mentre l’unione di più moduli va a formare l’impianto fotovoltaico. I pannelli fotovoltaici possono essere realizzati in silicio amorfo,
I pannelli fotovoltaici monocristallini sono costituiti da celle omogenee di silicio, tagliate da lingotti estratti in natura. Questa tipologia presenta un costo più elevato, in quanto, il silicio si trova in natura in quantità elevate, ma deve essere estratto. I pannelli fotovoltaici policristallini sono, invece, generati dagli scarti del taglio dei lingotti monocristallini. E’ un silicio meno omogeneo, ma che offre prestazioni simili a
quello monocristallino, con costi più contenuti. I pannelli fotovoltaici in film sottile sono formati con strati sottili di silicio. Questo permette un abbattimento dei costi e una vasta applicazione sulle superfici flessibili. Inoltre, sono particolarmente adatti agli edifici soggetti a restrizioni o vincoli ambientali; I pannelli in silicio amorfo sono costituiti da una lastra trasparente di silicio amorfo, cioè privo di struttura, che viene trattato chimicamente per aumentare la conducibilità. Per questo motivo, sono la soluzione più economica tra i pannelli fotovoltaici. D’altro lato, però, presentano un basso rendimento termico.
3. qual è il pannello fotovoltaico più conveniente?
domande e risposte Il pannello fotovoltaico perfetto e definitivo, che soddisfi le esigenze di tutti, non esiste. Per scegliere il modulo più adatto alle proprie necessità bisogna sempre valutare la propria situazione: consumi medi, budget disponibile, luogo di collocazione dell’impianto, esposizione, clima, ecc. In generale, il pannello in silicio amorfo ha un costo inferiore, ma necessita di più spazio e più moduli; la tipologia in silicio mono e policristallino, al contrario, necessita di meno moduli, ma ha costi superiori. La possibilità di risparmio, dunque, è valida solo se valutata nel caso singolo, in base al numero dei moduli necessari, allo spazio e tanti altri fattori.
impianto fotovoltaico? I due tipi di impianti, costituiti l’uno da pannelli solari termici e l’altro da pannelli solari fotovoltaici, sfruttano entrambi le radiazioni solari per produrre energia, ma con modalità e usi differenti. I pannelli solari termici sfruttano il calore delle radiazioni solari, ovvero gli infrarossi, per riscaldare l’acqua del sistema idrico sanitario e per riscaldare le stanze della casa; i pannelli fotovoltaici, invece, sfruttano le radiazioni solari per produrre energia elettrica per alimentare gli apparecchi elettrici.
È possibile installare un impianto fotovoltaico sopra il tetto, fissando i pannelli solari con un telaio, o all’interno del tetto, integrandoli nel coperto della casa. Inoltre, si possono installare anche sulla facciata, a terra o su terrazzi e balconi.
6. quanto spazio occorre per l’installazione?
Se avete intenzione di installare il vostro impianto fotovoltaico su un tetto a falda , è necessaria una superficie di circa 8-10 mq per ogni kW, mentre per un tetto inclinato sono necessari circa 25 mq per ogni kW.
4. qual è la differenza tra un 5. dove si installa un impianto ...continua a pagina 20 impianto solare termico e un fotovoltaico?
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7. l’impianto fotovoltaico funziona anche con basso irraggiamento solare?
Dato che i moduli fotovoltaici sono in grado di catturare ogni piccola radiazione solare e convertirla in energia fruibile per alimentare un’unità abitativa, l’impianto fotovoltaico funziona anche con il minimo irraggiamento solare, a patto che si seguano semplici regole di installazione, inclinazione e orientamento dei pannelli.
dipende dalle dimensioni e dalla potenza dell’impianto, ma in linea generale, per installare un impianto da 3 kWp, sono necessari tre giorni lavorativi.
9. quanto dura un impianto fotovoltaico? Solitamente, i pannelli fotovoltaici sono garantiti per 25 anni, con una produttività in calo dell’80-85%, rispetto a quella assicurata al momento dell’installazione, dopo di che vi è un periodo di autonomia di ancora 10 anni, con rendimenti però che scendono al 60-80 %. Gli inverter, invece, hanno una garanzia che varia dai 2 ai 10 anni.
8. quanto tempo occorre per l’installazione? Il tempo di installazione 10. perchè conviene installare
un impianto fotovoltaico?
Installare un impianto fotovoltaico conviene perché, se l’energia prodotta è pari o maggiore a quella consumata, potrete avere una bolletta a costo zero. Infatti, in base al Conto Energia, per vent’anni, ogni kWh prodotto vi verrà pagato dal vostro gestore elettrico, così il conto della vostra bolletta non sarà altro che la differenza tra energia prodotta dal vostro impianto e quella effettivamente consumata. Senza dimenticare, poi, che il fotovoltaico è una scelta ecosostenibile, che aiuta l’ambiente.
Seminare nell’ultimo quarto di luna solitamente è sconsigliato, a meno che non si desideri una crescita più lenta...
luna e l’orto “È tutta colpa della Luna” scriveva William Shakespeare. E non aveva tutti i torti! Ricerche scientifiche hanno già dimostrato come la Luna, unico satellite naturale della Terra, influisca su di essa tramite la gravità e l’illuminazione: la gravità determina gli effetti di marea (tra cui quella oceanica, quella atmosferica e quella, debolissima, terrestre); l’illuminazione lunare, invece, può indurre movimenti nei vegetali ( i cosiddetti “tropismi”). Oltre agli effetti che sono stati provati scientificamente, ci sono alcuni fenomeni, legati al comportamento della flora e della fauna terrestri, che secondo alcune credenze popolari deriverebbero direttamente dal potere del nostro misterioso ed affascinante satellite. D’altra parte, sin dai tempi più antichi, l’uomo ha sempre cercato di trovare una relazione tra il ciclo lunare e quello vitale, affascinato dalle fasi di cre-
scita e decrescita della Luna, da quella ritmicità così precisa, da quella forza misteriosa che essa emana. In particolare, secondo la tradizione contadina, sempre attenta ai ritmi naturali, la Luna gioca un ruolo fondamentale in agricoltura e nelle attività ad essa collegate, come la semina, la raccolta, la potatura e la fioritura. Se abbiamo un orto o un giardino, dunque, può essere d’aiuto dare un’occhiata alla Luna per sapere quali operazioni compiere o meno.
le fasi lunari…
“Luna crescente gobba a ponente (ovest), luna calante gobba a levante(est)” diceva un vecchio proverbio. In realtà, se siamo convinti che la Luna possa aiutare le nostre verdure a crescere meglio o che, al contrario, possa influire negativamente sulla loro produzio-
ne, guardare il cielo non è sufficiente. Bisogna conoscere alla perfezione l’intero ciclo lunare e le sue fasi. Il calendario lunare divide il mese, che è di 28 giorni (dalla luna nuova alla luna piena e poi dalla luna piena alla luna nuova), in quarti: - primo quarto: è quando la Luna da nuova, ovvero invisibile, passa al primo quarto. In questo momento, siamo in luna crescente; - secondo quarto: è quando la Luna dal primo quarto diventa piena. Durante questa fase la Luna è ancora crescente; - terzo quarto: è quando la Luna da piena diventa mezza. In questa fase, siamo in luna calante. - ultimo quarto: è quando la Luna da mezza diventa nuovamente nuova (invisibile).
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Ovviamente, questa è l’ultima fase (calante) del ciclo lunare.
…e la semina
Una delle attività più soggette alle fasi lunari è quella della semina: le variazioni di umidità del terreno che si verificano durante i diversi giorni del ciclo lunare possono determinare risultati differenti nella germogliazione, nella crescita delle piante e anche nel raccolto. Cosa seminare in luna crescente? In generale, quando la Luna è crescente aumenta la velocità di germogliazione e crescita delle piante. Seminare in questo periodo, quindi, può voler dire raccogliere frutta e verdura molto più rapidamente.
Durante questa fase si raccomanda di piantare gli ortaggi che sviluppano i frutti fuori dal terreno, come ad esempio la cicoria, i peperoni, i piselli, le insalate, i pomodori e le zucchine. In luna crescente si seminano e si trapiantano anche le erbe aromatiche: acetosa, aneto, coriandolo, crescione, cumino, menta, erba cipollina, origano, ecc. Cosa seminare quando la luna è piena? Una volta entrati in luna piena, inizia a cambiare l’umidità all’interno del terreno. In questa fase, è dunque opportuno seminare quegli ortaggi che nascono e crescono sotto terra come le patate, le carote, le cipolle e i rapanelli. Cosa fare, invece, dopo la luna piena? Dalla luna piena in poi è il periodo migliore per tra-
piantare e rinvasare piante e fiori. E nell’ultimo quarto di luna? Con l’ultimo quarto si va verso la fine del ciclo lunare, quindi verso una fase di riposo. In questo periodo è possibile dedicarsi ad attività di cura e manutenzione delle piante, come la protezione dai parassiti, la potatura, il raccolto e la pulitura del terreno. Seminare in questa fase solitamente è sconsigliato, a meno che non si desideri una crescita più lenta: in tal caso, la maggiore durata della crescita, permetterà all’ortaggio di sviluppare radici più forti e salde.
lievito madre, alimento vivo L’arte bianca, cioè il mestiere svolto da fornai e panettieri, si è evoluta molto nel corso dei secoli. Con l’avvento di produzioni industriali si è reso necessario sveltire i processi di panificazione in tutte le loro fasi, per soddisfare l’alta domanda del mercato.
farina, nell’acqua e nell’aria si riproducono e fermentano, facendola lievitare. Il lievito madre è quindi un alimento vivo, che deve essere conservato nel rispetto dei batteri e dei miceti che lo compongono.
Tecniche di lavorazione e soprattutto di lievitazione sono state così velocizzate, preferendo, in molti casi, il lievito di birra a vecchi metodi più lenti e laboriosi. Oggi, però, fortunatamente si assiste ad una riscoperta dei sapori più rustici e tradizionali, antichi, come quelli ottenuti con il lievito madre.
A differenza del lievito di birra, che è costituito esclusivamente (o quasi) da lieviti saccaromiceti, il lievito madre possiede una maggior varietà di microorganismi attivi: oltre ai lieviti (Saccharomyces e Candida), figurano alcuni batteri lattici omofermentanti ed eterofermentanti, tra cui i lattobacilli.
Il lievito naturale o lievito madre è una pasta inacidita, preparata con farina e acqua, lasciata a maturare in un ambiente qualsiasi, per un tempo più o meno lungo, durante il quale i microrganismi presenti nella
Sono proprio questi batteri, che producono anidride carbonica, acido lattico e acido acetico, a determinare la cosiddetta “acidificazione della pasta”, che conferisce al prodotto ottenuto con lievito madre caratteri-
stiche nutrizionali e organolettiche molto particolari.
il pane con lievito madre
Il pane preparato con il lievito madre quindi ha delle caratteristiche uniche, che lo differenziano dai prodotti ottenuti da impasti preparati con il lievito di birra. Anzitutto, dal punto di vista delle caratteristiche organolettiche, il pane realizzato con pasta madre ha un sapore più forte, più variegato, più rustico di quello fatto con lievito di birra. In particolare, lo caratterizza una nota di fondo lievemente acida, dovuta alla particolare modalità di fermentazione.
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Alla vista si presenta pieno di bolle (alveolatura) e con una crosta più fragrante e più scura del solito pane. Il pane ottenuto con la pasta madre, inoltre, è più digeribile: la proteolisi (parola ostica che indica la scomposizione delle proteine più complesse in aminoacidi) operata dai batteri lattici comporta, infatti, una maggiore digeribilità delle proteine stesse. Senza dimenticare, poi, che gli aminoacidi che vengono prodotti dalla proteolisi sono molti di più rispetto a
quelli che si producono con la lievitazione con lievito di birra: questo rende l’impasto più lavorabile e gli conferisce una maggiore conservabilità. Anche da un punto di vista nutrizionale e salutare, il pane ottenuto con lievito naturale ha molte proprietà positive. Oltre alla maggiore presenza di minerali, derivati dall’azione dei batteri, il pane con pasta madre riduce le infiammazioni intestinali, normalizza del pH
digestivo e aumenta le difese immunitarie, grazie ai fermenti della pasta acida che ostacolano lo sviluppo di microrganismi e di funghi patogeni (fra questi la Candida albicans, connessa a forme tumorali). La presenza dei lattobacilli, inoltre, contribuisce a ridurre allergie, a regolare la pressione sanguigna e a ridurre il colesterolo; in più, stimola la produzione di enzimi e vitamine B e la sintesi di oligoelementi.
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il grano saragolla... un prezioso antenato. LA STORIA
La saragolla è un cereale “antenato” dei moderni grani duri: Un grano molto speciale, duro e vitreo come l’ambra, che produceva farine color giallo intenso. Fu introdotta in Abruzzo dalle popolazioni protobulgare di Altzec, che provenivano dall’Egitto nel 400 d.C.; la stessa denominazione Saragolla è bulgara, composta da SARGA = giallo e GOLYO = seme e significa letteralmente “giallo chicco”. Dal medioevo fino al XVIII secolo numerosi documenti storici lo lodano per le sue doti di resistenza ai parassiti, refrattaria all’allettamento, alla stretta della ruggine. Tuttavia a partire dalla fine del ‘700 comincia per la Saragolla un periodo di oblio, relegandone la coltiva-
zione nelle piccole proprietà contadine dell’Abruzzo collinare dove sopravvive grazie alla “selezione massale” (i chicchi migliori erano conservati per la semina dell’anno successivo).
OGGI
Attualmente la Saragolla, grazie al servizio tecnico dell’Azienda Agricola Gioie di Fattoria, è sottoposta al vaglio degli esperti di alimentazione di università italiane, dove si studiano le differenti qualità nutrizionali comparate con altri grani duri “moderni”.
LAVORAZIONE
Il processo è volto a non alterare le superiori caratteristiche delle materie prime. I grani prima di essere macinati integralmente e a pietra, vengono ventilati e leggermente decorticati
(perlatura) affinché solo le parti più esterne e indigeribili (lignina e crusche superficiali) siano eliminate lasciando intatta la qualità nutritiva del cereale integrale (metodo G.A. Fiore).La successiva setacciatura rotativa a flusso d’aria precede il passaggio nel mulino a mole di pietra che ruota a basso numero di giri, separatamente dalla biopulitura a secco, permettendo la più bassa temperatura di esecuzione possibile, in modo da non alterare le caratteristiche della materia prima. Poi con tale farina, presso pastificio tradizionale, viene prodotta la pasta con processo di trafilazione al bronzo e essiccatoi discontinui a bassa temperatura.
NOTE DEGUSTATIVE
Pasta integrale d’elite dal gusto fragrante, regge molto bene alla cottura, è particolarmente ruvida
consentendo di trattenere il sapore dei condimenti in maniera eccezionale. E’ geneticamente assimilabile al Kamut e con caratteristiche molto simili al grano duro Senatore Cappelli, che ha in gran parte sostituito la saragolla nel Novecento. La pasta di saragolla è ricca di proteine vegetali ma povera di glutine, è particolarmente digeribile grazie alla sua semplice struttura biologica, ottima per tutti, particolarmente raccomandata agli insofferenti al glutine e a tutti coloro che soffrono di gonfiori di stomaco, ma non ai celiaci.
CURIOSITA’
La sua struttura biologica più semplice la rende un sostituto squisito e digeribile per gli intolleranti ai prodotti del grano comune.
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aspetto fisico ed emozionale delle allergie Ecco, ci siamo, la primavera sta arrivando. E anche quest’anno per gli allergici si ripresenta lo spauracchio di riniti, congiuntiviti, raffreddori da fieno, dermatiti o asma. Essere allergici rappresenta in effetti un problema, un disagio da risolvere al più presto! Spesso però non ci si ferma mai abbastanza per cercare di capire i motivi che causano queste fastidiose patologie. Cosa rappresenta, quindi, l’allergia nella nostra vita? Vediamo intanto, dal punto di vista della medicina tradizionale, cos’è un’allergia e come si può curare.
Il termine allergia deriva dai termini greci “allos”=altro e “ergon”=attività, lavoro, reazione, con un significato di “reazione anomala, esagerata”. Descrive l’ipersensibilità del sistema immunitario ad antigeni ambientali generalmente innocui, chiamati anche allergeni (alimenti, conservanti e additivi, pollini di piante e alberi, peli di animali, acari della polvere, spore di funghi). Per combattere i sintomi delle allergie, solitamente in medicina si usano farmaci antistaminici e cortisonici. Anche in natura, però, si possono trovare dei validi alleati, tra i quali le gemme di Ribes Nero (Ribes nigrum), con azione antinfiammatoria e simil-cortisoni-
ca, e le gemme del Faggio (Fagus sylvatca), antistaminiche e drenanti. Di fondamentale importanza per il trattamento degli stati allergici è anche l’aspetto alimentare, dal quale non si può prescindere. Un intestino sano e in perfetta forma (equilibrio della flora batterica) dà come risultato la salute! C’è una stretta relazione, infatti, tra disbiosi intestinale e malattie allergiche e autoimmuni: se l’intestino è irritato, è facile che si sviluppino patologie respiratorie o intolleranze alimentari.
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Ma cosa rappresentano le allergie, se invece le guardiamo da un punto di vista differente, legato alla medicina alternativa? Il dott. Edward Bach con la floriterapia da lui fondata ha dato il via a un sistema meraviglioso sull’uso dei fiori. Possiamo vedere nelle persone allergiche una personalità reattiva, ipersensibile, facilmente irritabile o eccessivamente sensibile, diffidente, ipercritica ecc. Secondo la teoria di Bach, ad ognuno può essere associato il fiore che lo aiuterà a sviluppare una qualità positiva. Ad esempio, il fiore Beech (il fiore dell’albero del faggio, il cui gemmoderivato è gia considerato un rimedio antistaminico) veniva così descritto da Bach: “Per quanti hanno bisogno di vedere più bontà e bellezza in
tutto ciò che li circonda”. In effetti, chi vive l’allergia in fase acuta ha quella sensazione di fastidio, irritazione e rifiuto che viene estesa quasi a tutto. Difficile apprezzare ciò che ti sta attorno quando sei completamente congestionato o infiammato. E’ capitato a tutti di entrare in una faggeta e percepirne tutta la magia e l’incanto: è come stare in un luogo sacro, la cui solennità ci avvolge. Il faggio non ha una corteccia spessa, ma liscia e sottile. E’ sensibile ai raggi solari ed alle escursioni termiche e per proteggersi sviluppa una chioma densa di foglie. In una faggeta tutto si placa, si calma. Si percepisce tutta la bellezza che c’è al mondo, al suono del vento, tra le sue foglie.
L’intolleranza del faggio si trasforma così in un insegnamento di benevolenza, moderazione, semplicità. Ecco come il rimedio Beech trasforma le qualità negative di intolleranza ed ipercriticismo in qualità positive come la tolleranza, la compassione e comprensione nel sentire e nell’agire. Così anche un allergene non è più un nemico da combattere, ma una parte di natura di questo pianeta meraviglioso da integrare.
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Da “Storie di Cucina” di Oretta Zanini De Vita Non c’è niente nella storia dell’umanità e della sua alimentazione che le sia più intimamente legato dell’uso e della manipolazione dei cereali: Il primo passo dell’homo sapiens fu quello di trasformarsi da cacciatore in pastore e contadino, imparando a schiacciare i piccoli semi dei cereali fra due pietre, a cuocerli in acqua o a confezionare la prima focaccia sulla pietra arroventata. Quella focaccia ha accompagnato fino ad oggi la storia tumultuosa delle società sia in Oriente che in Occidente. La scoperta del lievito dovette essere casuale: un impasto di acqua e farina, dimenticato in un angolo caldo e umido raddoppiò il suo volume, si fece spugnoso e l’antico panificatore, che non doveva certamente sprecare nulla, lo mescolò ad altra farina con il risultato di un pane più soffice e più gradevole. E per millenni questo fu il solo sistema di panificazione. Pare che i Cinesi siano stati i primi a coltivare il frumento e a conoscere il lievito, e certo attraverso i contatti con loro, gli Egizi ne appresero l’arte. Di questo ci sono documenti certi. Sotto la protezione di Iside, dea delle messi, gli Egizi disponevano di piccole pagnotte diverse per qualità e forma. E il piccolo mazzetto di spighe trovate fra le mani del faraone Thutankhamon all’apertura della tomba, ha dato agli studiosi di archeologia alimentare il metro dell’ottima qualità di grano che già millenni fa si usava per la panificazione. Dall’Egitto il pane lievitato è passato prima in Grecia e poi a Roma, dove, nel tempo, la corporazione dei pistores era divenuta potentissima. Sotto Augusto lavoravano a Roma 129 fornai, che ricevevano il grano dai granai pubblici. Si producevano pani di diverse qualità a seconda della crusca che contenevano: c’era il panis cibarius, secondarius, plebeius e anche quello rusticus. Se ne confezionava persino uno speciale per gli animali, mentre i militari e i naviganti erano riforniti di panis
militaris e di panis nauticus. Lo Stato provvedeva alla distribuzione di un panis fiscalis da vendersi a prezzo calmierato per i meno abbienti. Famoso era allora il panis picenum, al cui impasto pare venisse aggiunta una sorta di argilla proveniente dalla zona fra Napoli e Pompei ed era ottimo intinto nel vino o ammorbidito nelle zuppe. Sulle mense dei ricchi il pane alla moda era quello dei fornai alessandrini, e c’erano anche pani conditi con miele, latte, vino, olio, formaggi, frutti secchi ed erbe odorose. Non molto diversamente da quanto fanno oggi i nostri fornai alla moda. E l’uso del pane lievitato fu portato in Gallia dalle armate di Giulio Cesare. Poi, durante i secoli bui, i fornai si rarefanno: si panificava in casa o nei conventi ed è soltanto a partire dal Mille con il rifiorire delle attività commerciali e degli scambi economici, che ritornano nei centri i fornai pubblici. Norme severissime regolavano l’uso delle farine e nella Francia carolingia divenne un marchio di controllo il simbolo della croce tracciata sul pane, già in uso presso i pagani e poi nei primi secoli cristiani, sui dolci e sui pani legati ai riti religiosi. Molti dei dolci da panetteria di oggi affondano le loro radici nel Medioevo, dove trovarono largo sviluppo nei conventi: pensiamo ai brigidini toscani, inventati pare nel convento di Santa Brigida a Pistoia, ai panforte, ai panpepato, o alla crescia in uso ancora oggi in Umbria, nelle Marche e in Romagna, o alla celebre e oggi universale pizza che dalla Campania diffonde oggi l’italianità nel mondo. E’ durante i secoli XVII e XVIII che il pane si differenzia dalla pasticceria e che si colloca con precisione nelle regioni geografiche. Di gran moda in quel momento sono le panetterie e le pasticcerie austriache e francesi, dove si va a gustar ghiottonerie dolci, a far quattro chiacchere con gli amici o ad ordire trame amorose come il moschettiere del celebre Cirano di Bergerac. Più o meno raffinato, diversamente condito, il pane
ha attraversato la storia come segno di distinzione fra ricchi e poveri e come prima scintilla delle rivoluzioni: dalla rivolta seicentesca contro gli spagnoli a Milano, cui partecipa involontario il nostro Renzo Tramaglino, alla storia delle brioches che la regina Maria Antonietta di Francia voleva offrire agli affamati parigini in cerca di pane. E così, sul binario delle antiche credenze, il pane ha attraversato i millenni come simbolo di vita che si rinnova con il mistero (ora non più tale) della lievitazione. Ancora durante la seconda guerra mondiale, quasi tutte le famiglie rurali usavano fare il pane in casa e le vecchiette di famiglia che lo impastavano nella madia di legno, vi ponevano accanto una pentola di acqua calda per facilitare il miracolo della lievitazione, poi con la fede nuziale vi praticavano un segno di croce. La mattina dopo la Messa, a miracolo compiuto, si potevano confezionare quelle pagnotte che costituivano la base dell’alimentazione familiare e che potevano conservarsi fresche per lungo tempo. E nelle famiglie in cui tutte le donne erano impegnate nei lavori dei campi, il contadino dava al fornaio un quintale di grano e questo gli restituiva, a rate, un quintale di pane. L’uso del lievito di birra per aiutare la lievitazione è abbastanza recente, ma il pane così confezionato si indurisce presto e diventa rapidamente immangiabile. E’ solo un pane adatto alla vita caotica di oggi: quando si deve mangiare frettolosamente in giornata. Ma del vecchio e tradizionale pane di campagna, cotto nei forni a legna, è difficile schiodare la memoria collettiva: ne è prova il successo della DOC assegnata al pane di Genzano o al rapido esaurimento nei negozi romani del pane di Lariano o di quello di Altamura. E di trovarli in distribuzione quotidiana, noi ringraziamo il buon Dio ogni mattina!
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Energie rinnovabili,
Europa vicina all’obiettivo 2020. Italia al 17% L’Europa si avvicina al traguardo dell’obiettivo 2020. Almeno per quanto riguarda la copertura da energia rinnovabile, uno degli indicatori centrali della Strategia europea 2020. Secondo gli ultimi dati Eurostat nel 2013, la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia ha raggiunto il 15% nell’Unione europea, rispetto al 8,3% nel 2004, il primo anno per cui sono disponibili i dati.
Svezia in testa, ultimo il Lussemburgo
La quota massima è stata raggiunta dalla Svezia (con il 52,1%), che partiva con una quota di rinnovabili sul consumo finale lordo del 38,7% nel 2004 e ha raggiunto il 52,1% nel 2013, superando l’obiettivo nazionale del 49%. Mentre la più bassa dal Lussemburgo, fermo a un 3,6%. La Lettonia è al secondo posto (37,1%), seguita da Finlandia (36,8%) e Austria (32,6%). Gli stati membri più lontani dal raggiungimento dei rispettivi target sono il Regno Unito, che è fermo a quota 5,15% rispetto all’obiettivo del 15% e l’Olanda al 4,5% su 14%. Male anche la Francia, che si è posta un obiettivo del 23% ma è ancora a quota 14,2%, così come l’Irlanda che con l’attuale 7,8% è significativamente lontana dal target prefissato al 16%.
Italia vicina all’obiettivo del 17%, con un exploit dal 2004
Ma passiamo all’Italia, per cui le notizie sono più che positive. Il nostro paese nel 2013 ha superato la media Ue con un buon 16,7% di rinnovabili sul consumo finale lordo di energia, a solo lo 0,3% dall’obiettivo del 17% previsto nel 2020. E che possiamo anche ipotizzare sia stato attualmente raggiunto, se non superato. Ciò che colpisce maggiormente nei dati nazionali è ad ogni modo il progresso enorme compiuto dall’Italia, uno dei migliori a livello europeo, se consideriamo che nel 2004 la copertura energetica da rinnovabili era soltanto del 5,6%.
Biocarburanti, l’obiettivo del 10% è molto lontano
Altri obiettivi della strategia europea sono invece molto più lontani dal raggiungimento. Come quello dell’utilizzo di biocarburanti in quota del 10%. In questo caso l’Italia è molto indietro, ferma a un 5%. La prima in classifica anche in questo caso è la Svezia che nel 2013, con il 16,7% di rinnovabili nei trasporti, aveva già superato l’obiettivo per il 2020. Dopo la Svezia in questo sotto-obiettivo c’è la Finlandia, vicinissima all’obiettivo con il 9,9%, mentre in fondo alla classifica, sotto l’1% troviamo Estonia (0,2%), Spagna (0,4%) e Portogallo (0,7%).
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Efficienza e autonomia energetica, illuminazione a led, cisterne di raccolta dell’acqua piovana, fonti di energia alternativa e rinnovabile...
le 10 case più green del pianeta In un mondo sempre più popolato, messo in ginocchio dalla crisi energetica, l’architettura sostenibile è un settore in continua espansione: efficienza e autonomia energetica, illuminazione a led, cisterne di raccolta dell’acqua piovana, fonti di energia alternativa e rinnovabile saranno delle caratteristiche sempre più richieste nel settore edilizio. Intanto, queste sono le case che, nel 2014, sono state elette come “le più green del pianeta”: - Waste House Lo dice già il nome, in italiano “Casa di rifiuti”: questa casa, che sorge sul terreno della Brighton University, è costituita per il 90% da scarti domestici e del settore edile. I suoi muri sono realizzati con custodie di dvd, spazzolini da denti, floppy disc e tanto altro. Con questo progetto, l’Università di Brighton ha voluto sottolineare che “nel mondo non esistono rifiuti, ma solo oggetti al posto sbagliato”. - S House In Vietnam, sorge la S House, una casa costruita con materiali naturali locali che è costata solo 4mila dollari. Si tratta di una struttura in legno e palme, con un interno organizzato in un open space da 30 mq. Gli architetti dello studio Vo Trong Nghia hanno voluto dare vita ad una costruzione non solo amica dell’ambiente, ma anche economica e alla portata di tutti. - Fall House Lo studio di architettura Fougeron Architecture di San Francisco ha progettato la Fall House, una casa di lusso equipaggiata con tecnologie ecosostenibili: le grandi vetrate sono ad alta efficienza energetica e permettono un’efficace ventilazione, riducendo così la necessità di aria condizionata; per-
mettono inoltre di godere costantemente del paesaggio, con una facciata in rame destinata a cambiare colore in seguito all’esposizione agli agenti atmosferici, per un aspetto che acquista fascino con il tempo. L’abitazione è situata in un punto panoramico del Big Sur, strapiombo sull’Oceano Pacifico. - Zeb Pilot House A Larvik, in Norvegia, si trova la Zeb Pilot House, un prototipo di abitazione che sfrutta tecnologie sostenibili integrate. Questo prototipo dello studio architettonico Snøhetta è in grado di produrre tre volte l’energia necessaria al suo sostentamento, grazie ad una progettazione attenta all’esposizione solare, pannelli termici, sistemi di raccolta dell’acqua piovana e uso di materiali d’avanguardia. - Pop-Up House Gli architetti francesi di Multipod hanno eretto questa casa pop-up in soli quattro giorni, servendosi esclusivamente delle proprie braccia e di un cacciavite. L’abitazione è classificata come casa passiva, per la sua capacità di isolamento eccezionale che riduce il fabbisogno energetico rendendo la struttura più ecosostenibile. - Tighthouse La Tighthouse è il perfetto incontro tra tradizione e innovazione: partendo da una vecchia casa di New York, gli architetti di Fabrica 718 hanno ricavato un’abitazione passiva con un’ottima capacità termica, grazie a pannelli termici e fotovoltaici ed un sistema di riscaldamento ad elevata efficienza. - Blooming Bamboo Costruita con foglie di palma e bamboo, la Blooming Bamboo ha un costo di realizzazione molto basso (2.500 dollari), che la rende accessibile anche ai cittadini più poveri. Inoltre, la casa
è progettata per far fronte ad eventuali emergenze naturali, come le alluvioni: al momento la casa può sopportare un metro e mezzo di acqua alta, ma gli architetti dello studio H&P sono al lavoro per innalzare tale limite a 3 metri. - Slip House Questo prototipo di casa familiare londinese, ideata da Carl Turner Architechts, sfrutta le migliori tecnologie per abbattere i consumi e le emissioni di CO2, tra cui vasche di raccolta per l’acqua piovana e pannelli per la produzione elettrica. La curiosa forma dell’edificio permette un’ottima ventilazione e un’esposizione efficiente alla luce solare. - Illawarra Flame House Grazie al progetto messo a punto dall’Università di Wollongong, in Australia, una struttura già presente è stata completamente ripensata, anche nella disposizione degli ambienti, in ottica ecosostenibile. Così la Illawarra Flame è stata arricchita da sistemi di riciclo delle acque reflue, illuminazione a led e pannelli solari. - P.A.T.H. P.A.T.H. è un acronimo che sta per Prefabricated Accessible Technological Homes. Si tratta di case prefabbricate realizzate principalmente in vetro e legno, dotate di un’ottima capacità termica e di una serie di innovazioni tecnologiche che le rendono strutture sostenibili e a basse emissioni di CO2. Le grandi vetrate, inoltre, offrono un contatto diretto con la natura. Il progetto di questo prototipo francese è stato curato da Stark & Rico.
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mangiamo vegan polpettine di seitan con uvetta e mandorle Le polpettine di seitan e uvetta sono un piatto davvero gustoso e, soprattutto, semplice da realizzare. Accompagnate con un’insalatina sono ottime da gustare come antipasto, ma possono anche essere servite come sfizioso aperitivo, magari da intingere in qualche deliziosa salsa vegan. Ingredienti per 20 polpettine circa: • 300 g di seitan • 2 cucchiai di farina di ceci • 50 g di uvetta • 50 g di mandorle • 1/2 porro • farina di semola q.b. • olio extravergine di oliva q.b. • sale e pepe q.b. Condimento: 3 cucchiai di olio extravergine di oliva Succo e buccia di un limone non trattato Erba cipollina q.b. Sale e pepe q.b.
Cucinare vegano non significa rinunciare a gusto e sapori, anzi! Dall’antipasto al dolce, ecco alcune golosissime ricette 100% vegan.
Preparazione: Mentre attendete che l’uvetta rinvenga, lasciandola in acqua tiepida per alcuni minuti, in una pentola larga e antiaderente, tostate le mandorle e, una volta raffreddate, tritatele finemente. In un tegame, stufate il porro tagliato a rondelle, con un filo d’olio extravergine di oliva . Appena sarà diventato trasparente, aggiungete il seitan tagliato a cubetti e l’uvetta strizzata. Fate rosolare per alcuni minuti, in modo che i sapori si fondano tra loro. Versate tutto in un robot da cucina o in un mixer e sminuzzate molto finemente. La consistenza del composto dovrà diventare abbastanza collosa, così da poterlo facilmente lavorare con le mani. In una ciotola, aggiungete anche le mandorle e la farina di ceci, mescolando tutti gli ingredienti accuratamente. Con le mani leggermente umide, formate delle polpettine del diametro di circa 2 centimetri e passatele nella farina di semola: questo accorgimento servirà a donare alle polpette più croccantezza. Sistematele quindi nella leccarda rivestita di carta da forno e cuocete a 180 gradi per circa 10 minuti, girandole a metà cottura per permettere una doratura uniforme. Mentre i bocconcini cuociono, preparate su ogni piatto un letto di insalata, utilizzando la tipologia di verdura che più preferite e condendola con una citronette ottenuta emulsionando 3 cucchiai di olio, il succo e la scorza di un limone, sale e pepe e qualche stelo di erba cipollina tritato finemente. Completate il piatto adagiando le polpette sul letto di insalata.
couscous arcobaleno Questo gustoso couscous alle verdure è l’ideale per un pranzo o una cena all’insegna di allegria e fantasia! Ingredienti: • 200 g di couscous precotto • 400 ml di brodo vegetale caldo • 1 peperone giallo di piccole dimensioni • 1 pomodori rossi • 1 carota • 1 zucchina • 8 olive nere • 4 rametti di prezzemolo • 2 cucchiai di olio extravergine di oliva • Sale q.b. Preparazione: Per prima cosa, mettete il cuscus in una ciotola, copritelo con il brodo bollente e lasciatelo riposare coperto per 5 minuti. Una volta che il couscous avrà assorbito il brodo, mescolatelo con una forchetta, in modo da sgranare bene i chicchi fra loro. Mondate le verdure, tagliandole a cubetti regolari della grandezza di circa 1 cm. In una padella, versate un filo d’olio e fate saltare prima i peperoni e le carote e, dopo qualche minuto, aggiungete anche le zucchine: non cuocetele troppo, tenetele belle croccanti. Finché le verdure cuociono, tagliate a cubetti anche il pomodoro, snocciolate e tagliate le olive in 4 parti e tritate il prezzemolo. A questo punto, in una ciotola capiente, unite tutti gli ingredienti: il couscous sgranato, le verdure saltate, i pomodori, le olive e il prezzemolo. Mescolate e aggiustate di sale. Per la presentazione, prendete un coppapasta, posizionatelo al centro di un piatto liscio e riempitelo con il couscous. Premete leggermente con una forchetta, in modo che la preparazione assuma la forma del coppapasta. A questo punto, sfilate lo stampo e guarnite il couscous con un ciuffetto di prezzemolo.
burger di quinoa Ingrediente delicato e versatile, la quinoa trasformerà questi burger in un piatto gustosissimo e pieno di energia, grazie all’elevato apporto di proteine. Ingredienti per circa 10 burger: • 1 patata 200 g di quinoa (anche mix) • 1 cipolla • erbe di Provenza • peperoncino (opzionale) • olio extravergine di oliva q.b • sale q.b Contorno: 1 peperone rosso 1 zucchina 1 cipolla 1 melanzana
bon appétit!
buon appetito! gutes essen!
dobar tek!
Preparazione: Per iniziare, cuocete la quinoa in 400 g di acqua fredda, portandola a bollare e continuando a cuocerla sino a quando il liquido sarà completamente assorbito. Fate raffreddare. Separatamente, in altra acqua salata fate lessare la patata e lasciate che anche questa si raffreddi. A parte, in una padella, fate rosolare la cipolla con un filo di olio extravergine di oliva, aggiungete le spezie e mescolate. Versate tutti gli ingredienti in una ciotola e amalgamateli sino ad ottenere un composto abbastanza omogeneo e lavorabile. Con le mani umide, o con l’aiuto di un coppapasta circolare, formate dei burger e stendeteli su una leccarda ricoperta di carta da forno. Infornate a 200 gradi per circa 20 minuti, girando i burger a metà cottura. Finché i burger cuociono, grigliate sulla piastra i peperoni, precedentemente mondati a falde, la zucchina, tagliata a sottili strisce verticali, gli anelli di cipolla e le fette di melanzana. Infine, componete il piatto, affiancando il burger alle verdure grigliate condite con un filo d’olio e un pizzico di sale.
panna cotta al cioccolato bianco e lamponi E per terminare il menu non poteva mancare un dolce goloso: una panna cotta in versione vegan, che conquisterà anche i palati più delicati. Ingredienti per 6 persone: • 100 g di cioccolato bianco di soia • 300 g di latte di soia • 200 g di panna vegetale • 20 g di zucchero • 1 cucchiaino di vaniglia in polvere • 1 cucchiaino di agar agar Per la coulis: 200 gr di lamponi 2 cucchiai di zucchero a velo Preparazione: Spezzate il cioccolato in piccoli pezzi e scioglietelo a bagnomaria. In un pentolino, versate il latte, la panna, lo zucchero, la vaniglia e l’agar agar. A fuoco medio, portate il composto ad una temperatura di 85/90 gradi, in modo da attivare le proprietà dell’agar agar. Mentre si scalda, con una frusta fate in modo che la vaniglia e l’alga si sciolgano completamente. Raggiunta la temperatura, eliminate dal fuoco e continuate a mescolare con energia per altri 5 minuti: in questo modo darete al composto una consistenza più vellutata. Versate il composto così ottenuto in alcuni stampini in silicone e fate raffreddare prima a temperatura ambiente e poi in frigorifero per circa 2 ore. Nel frattempo, preparate la coulis di lamponi: mettete in un mixer i lamponi (a parte alcuni che terrete per la decorazione) e lo zucchero a velo e frullate per qualche istante; passate il composto ottenuto al setaccio e ricavate, aiutandovi con una spatola, una salsa densa e liscia, che userete per accompagnare la panna cotta. Al momento di servire, decorate con la coulis e lasciando cadere qualche lampone sulla sommità.
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il latte biologico, fonte di vita Ormai è risaputo: il latte è un alimento straordinario, con moltissime proprietà, che ci accompagna dalla nascita per tutta la durata della vita. Il latte, infatti, concorre a regolare un sano sviluppo muscolare, favorisce il processo per la coagulazione del sangue, contribuisce allo sviluppo delle ossa e dei denti e fornisce l’energia necessaria alle attività fisiche, grazie alle vitamine e ai principi nutrivi che contiene. Se siete amanti del latte e volete sfruttare a pieno tutte le sue proprietà, perché non scegliere allora il latte biologico? Il latte biologico presenta un valore aggiunto non solo per l’assenza di sostanze nocive, ma anche per una migliore qualità nutrizionale. Alcuni studi hanno dimostrato, infatti, che le mucche allevate con metodo biologico, cioè lasciate pascolare in ampi spazi all’aria aperta e senza che venga somministrato loro l’ormone della crescita, traggono molti più benefici rispetto alle mucche allevate in modo convenzionale. Benefici che si trasferiscono poi al latte prodotto e, dunque, agli stessi consumatori.
I benefici del latte biologico
Nel latte biologico, i livelli di vitamina E, di acidi grassi omega 3 e di antiossidanti sono più elevati di quelli del latte normale. Il latte bio, infatti, contiene in media il 50% in più di vitamina E rispetto a quello tradizionale e anche il 75% in più di beta carotene, sostanza che nel nostro organismo viene convertita in vitamina A. La vitamina A aiuta a preservare il sistema immunitario, una buona vista e una buona pelle, mentre la vitamina E svolge un’importante azione antiossidante. Il latte biologico poi è ricco di acidi grassi omega 3, i cosiddetti “grassi buoni”, che giocano un ruolo fondamentale per il corretto sviluppo del cervello (qualità intellettive) e della retina (acuità visiva) sin dai primi anni di vita. Anche per quanto riguarda gli antiossidanti, sostanze utilissime per contrastare i radicali liberi, i valori del latte biologico sono migliori, con una presenza di luteina e zeaxantina che aumenta di 2-3 volte rispetto al latte convenzionale. Un altro grosso vantaggio che il latte biologico ha rispetto a quello normale è la sua capacità di resistere a lungo senza inacidire: il latte biologico viene scaldato fino
a circa 137°C, perciò passeranno quasi 2 mesi prima che diventi acido. Poiché il latte normale, pastorizzato, è scaldato a circa 62°C, non ha la stessa durata.
Latte bio e gravidanza
Un recente studio ha dimostrato che l’assunzione di latte e latticini biologici da parte delle madri, sia durante la gravidanza che nella fase di allattamento, si traduce nella produzione di un latte materno più nutriente e completo, capace di aiutare i bambini a combattere più efficacemente malattie allergiche come l’eczema e l’asma. Infatti, nel latte materno delle madri che seguono un’alimentazione biologica (latte, formaggi, carni) si possono riscontrare concentrazioni più elevate di acidi grassi insaturi, in confronto alle madri che consumano prodotti non biologici. Che si scelga il bio o quello tradizionale, il latte comunque rimane e sempre rimarrà un alimento prezioso per la nostra salute ed il nostro benessere. Una vera e propria fonte di vita!
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Non si vedono, non si sentono, non pungono, ma sono con noi a milioni, spesso causando molti problemi alle vie respiratorie.
gli acari della polvere Negli ultimi anni, si è assistito ad un aumento delle patologie allergiche, soprattutto di quelle alimentari e respiratorie. Il cambiamento dello stile di vita, oggi più agiato rispetto al passato, ha sicuramente contribuito a rendere i nostri corpi molto più “deboli”, causando un’alterazione del nostro sistema immunitario. Oltre all’inquinamento atmosferico, una delle cause delle principali allergie respiratorie è costituita da degli esserini microscopici che a migliaia popolano tende, tappeti e materassi: gli acari della polvere.
acaro: un piccolo animale, un grande problema
Non si vedono, non si sentono, non pungono, ma sono con noi a milioni, spesso causando molti problemi alle vie respiratorie. Tra gli esseri viventi più antichi sulla terra, gli acari sono piccoli artropodi, appartenenti a diverse specie. Le specie che sono in modo particolare correlate all’asma vengono collettivamente chiamate “acari della polvere di casa”, poiché hanno il loro habitat permanente nell’ambiente domestico. Le loro dimensioni sono di circa 200-300 micron, cioè all’incirca 1/4 di millimetro, per cui non possono essere visti ad occhio nudo, ma soltanto con una forte lente di ingrandimento o, meglio, al microscopio. La dura pelle chitinosa è traslucida, consentendo agli organi interni e all’emolinfa di impartire un aspetto complessivamente bianco cremoso al corpo, con qualche chiazza di un colore rosso-bruno sulle zampe e sulla testa. L’aspetto più sorprendente ed esteticamente piacevole della pelle è la presenza di un disegno scolpito che assomiglia a quello delle impronte digitali. L’acaro della polvere è privo di una vera testa; la parte anteriore del corpo o gnatosoma funge da apparato buccale, oltre ad avere funzioni di presa e sensoriali. In ogni abitazione, anche la più pulita, sono presenti gli acari. Questi piccoli e subdoli artropodi trovano nelle nostre case un ambiente ideale e le condizioni necessarie alla loro sussistenza, ossia: 1. Assenza di luce solare. Gli acari non tollerano la luce, per questo si annidano nei cuscini, negli strati interni
del materasso, nei tappeti, nei péluches, nei tendaggi, nella moquette e in tutti gli altri oggetti che trattengono facilmente la polvere, ma anche tra le scaglie di pelle morta e la forfora; 2. La temperatura alta e l’umidità. I microscopici artropodi proliferano meglio a temperature superiori ai 20°C e umidità relativa tra 60-80%; 3. Cibo in grande quantità. Gli acari possono nutrirsi di tutto ciò che riescono a trovare di organico nell’abitazione, come le spore della muffa, peli e le cellule morte della pelle provenienti da persone e animali domestici. Lo sviluppo numerico dei Dermatofagoidi nelle polveri domestiche risente notevolmente dei fattori igienicoambientali e climatici, per cui varia in maniera considerevole la loro concentrazione nella polvere, nelle diverse abitazioni ed anche nei singoli ambienti di una stessa abitazione (in linea di massima, comunque, si ritrovano maggiormente nelle camere da letto). Le concentrazioni di Dermatofagoidi possono, quindi, variare da 10 a 1000 per ciascun grammo di polvere.
prevenire è meglio che curare
Se sono dappertutto, come fare, allora, per evitare di cadere vittima degli spiacevoli effetti della presenza degli acari? Premesso che non è possibile sterminare gli acari della polvere, esistono diverse misure preventive capaci di ridurre efficacemente gli allergeni nell’ambiente domestico e controllare così l’allergia provocata da queste sostanze: - aerazione frequente degli ambienti, in modo da ridurre l’umidità al di sotto del 50% (T< 21°C); - rimozione accurata della polvere dai pavimenti e dai mobili con aspiratore elettrico munito di microfiltri e con panno umido; - rimozione di tendaggi pesanti e sostituzione con tende lavabili; - eliminazione di altri ricettacoli di povere (scaffali di libri, giocattoli di péluches, ecc); - sostituzione dei materassi e dei cuscini di lana o di piume con altri in gommapiuma o poliuretano, da rinnovare comunque ogni 2-3 anni;
- esposizione all’aria e al sole di cuscini, materassi e biancheria da letto. Anche per quanto riguarda il lavaggio dei capi ci sono delle semplici regole da seguire per combattere gli acari: - lavare le lenzuola, l’imbottitura dei materassi, le coperte e i copriletti in acqua calda ogni settimana e ad una temperatura di almeno 60 °C o più elevata. - il lavaggio a secco è un metodo alternativo che potrebbe aiutare a controllare gli acari della polvere. - benchè il lavaggio in acqua bollente uccida gli acari, le lenzuola verrano presto ripopolate, per questo è necessario che il lavaggio venga fatto regolarmente.
rimedi naturali contro gli acari
Nella quotidiana guerra contro gli acari, estremamente utile per la bonifica ambientale è l’impiego di acaricidi e di denaturanti di allergeni, da spruzzare periodicamente sui materiali di imbottitura, sui tappeti o sulla moquette. Tra i molti in commercio, ricordiamo, per la loro affidabilità, i prodotti contenenti benzilbenzoato, alcool benzilico e acido tannico, miscele di tensioattivi e acidi organici naturali. A questi si è aggiunto recentemente, come insetticida, un derivato sintetico del piretro. Nel caso si preferiscano prodotti meno aggressivi, esistono dei rimedi naturali molto efficaci contro gli acari: - estratto dall’olio di neem: è un metodo naturale ideale per tenere lontani dai letti gli acari. Il liquido deriva da un albero tropicale, l’Azadirachta Indica, ed è un prodotto naturale al 100% che si mescola con dell’acqua e si spruzza sui materassi; -soluzione di bicarbonato di sodio: i cristalli del bicarbonato hanno un’azione inibente sullo sviluppo dei parassiti. È stato dimostrato che, spargendo bicarbonato sulla moquette o sul tappeto, si ottiene una riduzione degli acari fino al 79% in 1 ora e del 100% in 2 ore. È sufficiente passare poi l’aspirapolvere per eliminare il prodotto: gli eventuali cristalli rimasti nelle fibre del tessuto serviranno a contrastare lo sviluppo degli acari fino alla successiva pulizia. Inoltre, il bicarbonato non si limita ad abbassare il numero degli acari, ma ne riduce considerevolmente anche le uova.
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oggi mi vesto...BIO! Lo sapevate che potreste contribuire al rispetto dell’ambiente anche attraverso l’utilizzo di vestiti e accessori eco-friendly? È una moda che sta prendendo sempre più piede, grazie alla diffusione di numerosi negozi d’abbigliamento specializzati nella vendita di capi realizzati con filati derivati da colture biologiche. E non solo: sono sempre più gli stilisti che scelgono filati e tessuti alternativi per le loro sfilate, così come sta crescendo l’attenzione da parte delle grandi catene di abbigliamento verso la causa del vestire bio. Vestire ecosostenibile, quindi, non è mai stato così semplice: basta solo saper scegliere il tessuto giusto e selezionare con attenzione i capi da mettere nel guardaroba.
i tessuti
Sono molte le fibre tessili che si possono ricavare dalle piante o dagli animali rispettando principi di eco-sostenibilità e senza, per questo, dover rinunciare ad eleganza e bellezza:
cotone biologico
A differenza del cotone tradizionale, che viene coltivato usando moltissime sostanze chimiche, il cotone biologico viene raccolto da campi in cui si usano solo pesticidi di origine naturale (solitamente viene impiegata una miscela di peperoncino, aglio e sapone), che allontanano i parassiti dalle colture. Inoltre, a differenza dei metodi convenzionali, che sprecano moltissima acqua per irrigare le piante, il cotone biologico è coltivato in gran parte sfruttando l’irrigazione pluviale. I terreni sono fecondati solo con materiali organici naturali, che aiutano a dare alla terra un più elevato contenuto di humus, in grado di trattenerne l’umidità e la fertilità.
Il risultato è una fibra fresca, antistatica, resistente, insensibile alle tarme e che può essere lavata in lavatrice a temperature elevate.
canapa
Una delle fibre più ecocompatibili che l’uomo conosca, la canapa è una pianta “da rinnovo”, miglioratrice del terreno, coltivabile con tecniche a ridotto impatto ambientale, e che ha bisogno di pochissima acqua per crescere. La sua fibra è molto pregiata e resistente al calore, alle muffe, agli insetti e non viene danneggiata dalla luce. La durata ineguagliabile e il suo potere di assorbimento dell’umidità la rendono fresca e traspirante d’estate e calda e coprente d’inverno. Inoltre, quando indossato, un capo in canapa è in grado di dare protezione da acari, muffe, funghi e tarme, grazie alle sue naturali proprietà anallergiche.
bambù
Come la canapa, il bambù è una coltura con caratteristiche ecologiche molto spiccate: grazie alla sua resistenza e alla crescita rapida, viene coltivato senza l’uso di pesticidi e inquinanti ed è 100% biodegradabile. La sua particolare sezione strutturale, ricoperta da microfessure, assicura ai tessuti eccellenti proprietà di ventilazione e assorbimento dell’umidità, fungendo così da isolante termico. I tessuti di fibra di bambù sono, inoltre, naturalmente anti-microbici. Infine, i tessuti ricavati dal bambù sono estremamente morbidi e lucenti, con una caratteristiche del tutto paragonabili a quella della seta.
lana biologica
Come per il cotone, anche per la lana vale la stessa distinzione tra filati normali e biologici: la lana tradizionale viene ricavata dal vello di pecore spesso maltrattate,
che viene sottoposto a trattamenti di protezione effettuati con prodotti e pesticidi chimici; negli allevamenti biologici, invece, al bestiame vengono assicurate condizioni di vita salubri e l’utilizzo di prodotti antiparassitari di origine chimica è severamente vietato, sia sui pascoli che sugli animali. La lana biologica possiede diverse qualità, tra cui l’elevata capacità di trattenere il calore, di regolare la traspirazione e la riossigenazione della pelle e di resistere a lungo nel tempo.
seta aimsha
Tutti sappiamo che meraviglioso tessuto sia la seta: liscia, lucente, morbida, quasi impalpabile. Insomma, un tessuto veramente pregiato, che solitamente, se si segue la tecnica di lavorazione tradizionale, viene ricavato dai bozzoli dei bachi da seta, che vengono gettati in acqua bollente per espellere il bruco. Diversamente, la seta aimsha (cioè “non violenta”) viene lavorata senza uccidere i bachi, aspettando che abbiano completato la loro metamorfosi e che siano volati via come farfalle. Il foro che pratica la farfalla per uscire dal bozzolo taglia il filo in pezzi piccoli, più difficile da lavorare e perciò più grosso e irregolare. Anche se non ha tutta la morbidezza dell’altra seta, tuttavia si tratta di una seta molto preziosa, difficile da trovare. In definitiva, i tessuti biologici e organici si distinguono da quelli tradizionali non solo per il basso impatto ambientale, ma anche per il rispetto delle condizioni dei lavoratori e degli artigiani che danno vita a queste lavorazioni, facendo così riscoprire l’importanza dell’arte manuale, della creatività e della sperimentazione.
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...arrivedereci alla prossima edizione!