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A piedi sulla Francigena per 2000 km

In novanta giorni ha percorso l’intero itinerario dell’antica strada dei pellegrini, dal Gran San Bernardo in Val d’Aosta sino a Santa Maria di Leuca in Puglia. Da Roma fino al mare è stato sempre da solo, con un paesaggio purtroppo rovinato da molti rifiuti abbandonati

Ha percorso a piedi tutta l’Italia, dal Gran San Bernardo a Santa Maria di Leuca. Ha impiegato tre mesi per consumare le scarpe lungo duemila chilometri attraverso la via Francigena, perché non s’è fermato al percorso classico e conosciuto, quello che va dalle Alpi a Roma, ma ha proseguito dalla capitale sino all’ultima estremità della Puglia, laddove i pellegrini si imbarcavano per la Terra Santa. E nel secondo tratto, parliamo comunque di poco meno di mille chilometri, ha attraversato Lazio, Basilicata e Puglia da solo.

Se il “cammino di Santiago” è noto la via Francigena è meno di moda ma assai più lunga e impegnativa: nella sola parte italiana è quasi il doppio del cammino di Santiago, duemila chilometri appunto. La via Francigena in realtà inizia da Canterbury e attraversa la Francia.

Il protagonista è Giuliano Dal Molin, artista che vive a San Vito di Leguzzano anche se lavora ed è noto a livello nazionale. Le sue opere tridimensionali mettono assieme pittura e scultura: sono molto geometriche e animate da una ricerca sul colore assai accurata. Bisogna partire da queste sue strutture per capire le motivazioni che hanno portato un uomo di 62 anni, sposato con Sonia dal 1990, genitori di

Lucia di 29 anni, a imbarcarsi in un’avventura che solo pochi hanno affrontato. Centrale è il medioevo e l’arte antica. La ritroverete. Hanno infatti scritto di lui: “Dal Molin dimostra lo stesso atteggiamento degli antichi “maestri” medievali nei confronti dell’opera d’arte. Il suo modo di porsi rispetto al lavoro è interamente immerso in una cultura che non separa la teoria dalla pratica, ma la concepisce come facce di una medesima medaglia”.

Lui spiega che è affascinato dalla manualità come fatto creativo. Lo dimostrano, appunto, le sue opere e prima ancora lo racconta la sua storia: s’è costruito la casa con le sue mani, prima un piano e poi l’altro. Ha imparato dal papà muratore, che l’ha aiutato. E siccome ha ereditato un bosco di settemila metri quadrati, l’ha ripulito e lo cura personalmente.

Se gli chiedete come gli è venuto in mente di lanciarsi in questa impresa, vi risponderà che le motivazioni sono state due: voleva ammirare il paesaggio e conoscere l’arte. Paesaggi ne ha visti in quantità, dato che in gran parte la via Francigena si addentra nei sentieri e attraversa assai poco le strade. Anzi, Dal Molin ha rischiato proprio quando ha affrontato l’asfalto e il traffico. Arte ne ha ammirata quanta ne ha voluta fra centri storici, chiese, monasteri, abbazie e naturalmente pitture e sculture, specie medievali. Il che ha risposto a un altro interesse di questa parte della sua vita, dato che – spiega lui – ha riscoperto l’arte classica, quella antica. Quello attuale, aggiunge, è un periodo di riflessione e di ricerca spirituale, tutta laica e personale. Niente di meglio che riflettere faticando. Ha impiegato tre mesi a camminare dalle montagne della Val d’Aosta al mare della Puglia. Quarantacinque giorni fino a Roma e altrettanti fino a Santa Maria di Leuca. Racconta che non è uno sportivo, ma solo un camminatore in montagna. Scusate se è poco, per dirla con Totò. Le tappe, infatti, sono in media di 1820 chilometri, ma ci sono anche quelle di trentadue. Dalle Alpi sino a Vercelli gli ha fatto compagnia un amico; cinque giorni prima di Roma lo hanno accompagnato Bortolo Saccardo e Luigi Anzolin, amici con i quali due anni fa aveva percorso il tragitto fra Siena e Viterbo.

“Se la Francigena non l’avessi affrontata adesso, non ci sarei riuscito più”, commenta. Ha camminato sempre, anche con la pioggia: del resto, la prima regola è di non fermarsi mai. È stato fortunato perché ha visto poca acqua, soltanto tre giorni su novanta. Per orientarsi usava le indicazioni poste sui sentieri, fossero cartelli o anche il semplice viandante disegnato sulle pietre. Lo smartphone gli serviva la sera per chiamare casa. Se ha incrociato molta arte, da Roma in poi lo spettacolo ambientale è stato ben diverso. Dal Molin ha fotografato cumuli di rifiuti, lasciati ai bordi della strada ma anche gettati nei boschi. Uno spettacolo indecorso e sconcertante, che racconta molto del carattere degli italiani sia come cittadini sia come amministratori pubblici.

Come commenta la sua esperienza? E cosa gli è rimasto dentro dopo tre mesi di camminata instancabile, che gli è costata naturalmente le vesciche ai piedi? “È stata un’esperienza straordinaria – risponde – Ho chiarito alcune cose in me stesso. Capisci quello che è importante nella vita: lasci perdere gli affanni e le corse”. (a.d.l.)

“Troppe promesse non mantenute dal sindaco in questi anni. Il progetto politico di Possamai è davvero civico perché lui si mette a servizio della città in modo autonomo rispetto al partito. Mi auguro che le forze di centrosinistra aderiscano al suo appello. Le liste degli ex assessori possono portare via voti al centrodestra”

Il centrosinistra vicentino punta (quasi) tutto su Giacomo Possamai per poter tornare ad amministrare la città. È un nome senza dubbio forte, visto il successo elettorale alle regionali del 2020. Ma la sua candidatura potrebbe incontrare qualche insidia, stretta com’è tra l’appartenenza partitica e visione civica, all’interno di un agone elettorale che vede crescere i candidati per palazzo Trissino. Ne parliamo con Giovanni Selmo, consigliere comunale del gruppo “Da adesso in poi”.

Nell’arco di un mese hanno sciolto le riserve a candidarsi per il ruolo di sindaco Giacomo Possamai, Francesco Rucco, Claudio Cicero e Lucio Zoppello. E potrebbero essercene ancora.

La situazione si fa affollata. Ma penso che i due candidati di centrodestra e di centrosinistra saranno quelli che andranno a giocarsi la partita più di tutti.

Che ruolo possono svolgere le altre candidature?

Zoppello e Cicero possono andare ad indebolire il fronte del centrodestra, visto che facevano parte della squadra di governo di Rucco; si rivolgono maggiormente a quell’elettorato.

Non vede lo stesso rischio anche per il centrosinistra?

Possamai quando ha lanciato la propria candidatura ha esteso l’invito a partecipare alla coalizione di centrosinistra a tutte le forze che vi si riconoscono. Il mio auspicio è che questo invito sia colto ovviamente, soprattutto da quelle forze con cui in questi cinque anni abbiamo sempre lavorato assieme, come “Grande Vicenza”.

Non va dimenticato che Possamai è un esponente del Pd, nonostante la sua campagna elettorale sia partita all’insegna del “civismo”.

Possamai ha voluto dare un segnale di discontinuità con la sua candidatura rispetto a quella di Rucco, che ha dovuto aspettare un traballante benestare da parte dei partiti che lo sostengono. Il messaggio che vuole dare Possamai alla città è che lui si vuole mettere a disposizione a prescindere dalla linea del suo partito. È incentrato più su un progetto civico che sulla sua figura, che è sempre stato legata al Pd. Il fatto che il Partito Democratico stia riscontrando un calo dei consensi può avere un effetto sulle amministrative?

Penso che il livello locale della politica sia un’altra cosa rispetto a quello nazionale; certo in questo momento il Partito Democratico non gode di grande fiducia da parte dei cittadini, anche e soprattutto nel Veneto, ma a livello locale le persone premiano maggiormente le competenze e le idee calate sulla città.

La candidatura di Possamai ha voluto trasmettere anche questo messaggio: è una figura cresciuta all’interno del partito ma che si è dimostrata autonoma nelle proposte e nel proprio posizionamento rispetto al partito. E la grande maggioranza delle figure che lo sostengono lo fanno senza tessera in tasca; Possamai ha la capacità di saper coinvolgere e di fare squadra sia con partiti sia con figure ad essi slegate, ed in questo è molto civico, non schematizzato in dinamiche di partito.

Secondo lei quale può essere un punto di forza di Possamai?

È una persona che ascolta molto il territorio, mi piace che abbia iniziato la campagna incontrando i quartieri più che i vertiti delle liste di partito.

E un punto debole invece?

Ad una prima occhiata può sembrare un po’ rigido, ma in realtà è perché non vuole mai… spararla grossa, dire cose che non è in grado di portare a termine. Esattamente il contrario di quanto fatto da Rucco in cinque anni fa, che ha fatto una marea di promesse senza mantenerle. (al.fe.)

L’intervista. Sulle elezioni parla Mattia Ierardi,

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