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Burocrazia, serve proprio un calcione
È stato un anno ricchissimo per il fisco, che ha conteggiato i maggiori incassi di sempre: 568 miliardi di euro. Ma resta aggrovigliato il nodo della pubblica amministrazione che non si riesce a sciogliere
Per il fisco italiano il 2022 è stato un anno ricchissimo; nei soli primi dieci mesi dell’anno ha incassato 57 miliardi di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Tale andamento favorevole per le casse dello Stato è stato influenzato – in assenza di nuove tasse – da tre aspetti congiunturali distinti:
1) la cancellazione, nel 2022, di molte proroghe o sospensioni fiscali legate al biennio 2020/2021;
2) la crescita dell’inflazione che ha determinato un aumento esponenziale delle imposte indirette;
3) il miglioramento economico e occupazionale del primo semestre 2022 che ha comportato maggiori entrate dirette. Nel 2022, dunque, lo Stato italiano ha incassato complessivamente oltre 568,4 miliardi di euro: una quota record che segna, rispetto al 2002, anno nel quale lo Stato incassò 373,4 miliardi di euro, un incremento del +52,2%.
Di questi 568,4 miliardi, 279,1 sono imposte indirette (Iva, accise…), 284,4 miliardi sono imposte dirette (Irpef, Ires…) e 4,8 miliardi sono imposte in conto capitale (successioni, condoni e così via).
Mancherebbero ancora all’appello quasi 8 miliardi di euro dovuti al mancato pieno incasso della tassa sugli extra profitti delle imprese energetiche (incassi stimati 10,5 miliardi di euro, incassi riscossi
2,7 miliardi di euro).
Da questi dati, comunque, emerge la considerazione che, abbattendo buona parte degli sprechi e delle inefficienze annidate nella Pubblica amministrazione, le risorse per operare il tanto agognato abbattimento ponderoso del peso fiscale complessivo ci sa- rebbero eccome.
Ciò libererebbe energie economiche latenti e oggi ancora inespresse.
Occorre constatare che l’importante messe di incassi dello Stato non ha cambiato una situazione scandalosa che a tutt’oggi vede quantificato in 57 miliardi di euro l’anno (“The European House Ambrosetti”) il costo sostenuto dalle imprese per la gestione burocratica dei rapporti con la pubblica amministrazione e in 55,6 miliardi di euro i debiti che lo Stato e le sue articolazioni periferiche hanno nei confronti delle Pmi.
E ben si comprende come qualche perplessità sulla capacità della pubblica amministrazione di riformarsi in meglio appaia giustificata. Senza scomodare i secolari costi della malagiustizia, il deficit infrastrutturale comples- sivo, l’arretratezza colpevole che ingessa anche la migliore spinta economica, risulta evidente come più che un maquillage di facciata. È necessario e urgentissimo uno scossone profondo, traumatico e in qualche misura rivoluzionario al fine di provare se una macchina tanto farraginosa come la pubblica amministrazione italiana possa ripartire, costituendo se non un aiuto almeno un mancato freno alla crescita e al risveglio economico del nostro paese. In un celebre film d’antan per costringere un motore renitente ad avviarsi il motorista, all’ultima spiaggia, lo prendeva a pedate ed esso borbottando ricominciava ad andare. Il che dimostrerebbe che, talvolta, qualche calcione ben assestato male non fa. Almeno in senso metaforico ed economico.
Giuseppe de Concini
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Il personaggio. Carolina di Valmarana arriva a chiedersi se la città creda davvero in un investimento serio in questo settore