a 92 anni ricorda la città della sua giovinezza e giudica quella attuale: “Periferie orrende”
Pretendenti e premi
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La campagna elettorale a Vicenza è partita con l’iniziativa del centrosinistra (di cui parliamo a pagina 10) che diffonde 40 mila copie della sua brochure anti sindaco e tappezza la città con un centinaio di manifesti, una decina anche giganteschi, che ripetono lo stesso ritornello: “Bisogna voltare pagina, questi anni di governo sono stati un fallimento”. Mentre il sindaco al centro congressi in Fiera è partito dall’alto, convocando i cervelli per tracciare una strategia di riflessioni con il suo “Open Think”, il centrosinistra ha fatto il contrario, partendo dal basso delle cassette della posta. segue a pag 5
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oggi, domani. Garantiamo qualità e
Siamo sempre convenienti. NATALE EGIZIO La mostra in Basilica e… a Costabissara 6 PARLA ZAIA Autonomia ora o mai più. E grandi progetti 8 SILVIA ZICHE “Questa volta ironizzo sulla famiglia” 18 CINEMA Acqua e anice ha un regista vicentino 20 MONS. BRUGNOTTO I dossier urgenti del vescovo 12 ENOGASTRONOMIA I piatti di Zané di Dal Santo e i vini siciliani 45 Servizi alle pagg. 9 e 10 IL SINDACO: “UN 2023 DI CANTIERI” L’OPPOSIZIONE: “HAI
Ieri,
risparmio.
FALLITO”
Servizio a pag. 17
MUNARI
DICEMBRE 2022 Periodico d’informazione localeAnno XXIX n. 12 del giornale L’INFORMAZIONE LOCALE
Rucco punta a nuovo anno che darà il via ai cantieri del Pnrr: lavori per 78 milioni. L’opposizione: Vicenza è ferma
CLETO
“LA MIA VICENZA COSÌ TRISTE HA BISOGNO DI BELLEZZA” Intervista al grande designer che
Al centro del giornale scopri l’inserto con le nuove offerte
NOI SIAMO ver
ANTENORE de
Dopo la piazza, ora la casa. “Viva Vittoria” a Vicenza s’è chiusa con un successo: le 2.200 mila coperte sono state vendute in una sola giornata e sono stati raccolti oltre 50 mila euro raccolti a sostegno della lotta contro la violenza sulle donne. Sono stati oltre 3 mila i volontari che hanno dato vita all’iniziativa. Le coperte sono state infatti realizzate cucendo tra loro, a quattro a quattro e con il filo rosso donato dall’associazione, gli 8 mila quadrati, di 50 centimetri lavorati ai ferri o all’uncinetto nei mesi scorsi. Il ricavato sarà devoluto, tramite l’associazione “Donna chiama donna”, al progetto promosso dall’assessorato alle politiche sociali “La Valigia di Caterina”, destinato alle donne che si liberano da situazioni di violenza e vanno a vivere da sole, magari con i loro figli.
L ’obiettivo dell’iniziativa, attiva da sei anni, è fornire alle donne degli strumenti per uscire dalle situazioni di violenza, fornendo per esempio un aiuto economico per trovare una casa o per interventi medici e fornendo anche assistenza nella formazione per migliorare la propria posizione lavorativa.
O ra, dopo questa iniziativa di successo, si prosegue per raggiungere un altro obiettivo: la nuova sede del Centro antiviolenza ai Ferrovieri, in un immobile che si sta ristrutturando. È appunto l’associazione “Donna chiama donna” che gestisce questo centro del Comune.
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Di fatto, la campagna elettorale a Vicenza è iniziata anche se nei manifesti del centrosinistra non troverete simboli di partito. È l’ultima Thule dell’unità, che andrà in frantumi quando si metteranno attorno a un tavolo per cercare il nome di un candidato sindaco comune. È praticamente certo che non lo troveranno: i distinguo rimarcati, le sottili divergenze, le antipatie personali – assai più fondate su questa sponda che non sull’altra a Vicenza – produrranno il consueto effetto centrifugo.
Basterà attendere un mese o poco più per conoscere la risposta di quello che Nicola Negrin ha spiritosamente battezzato su “Il Giornale di Vicenza” come “il segreto di Pulcinella”. Alla fine, in poche parole, la corsa per palazzo Trissino si polarizzerà sul sindaco uscente, Francesco Rucco, e sul più convinto aspirante a quella poltrona, Giacomo Possamai del Pd, che per arrivarci ha anche rifiutato una candidatura sicura a Roma. Non è che al nastro di partenza saranno da soli, sia chiaro, né dall’una nè dell’altra parte. Il Terzo polo ha già annunciato candidati autonomi e la “Grande Vicenza” è assolutamente recalcitrante a votare un candidato Pd. Chissà se il tavolo del centrosinistra (composto anche da Europa Verde, Socialisti, sinistra di Fratoianni) partorirà qualche altro nome, giusto per non farsi mancare niente e onorare la tradizione del settarismo in agguato. Come se non fosse stata sufficiente anche l’ultima lezione sulla divisione a sinistra che ha portato sfracelli.
Sull’altro versante non si può dimenticare che molte vittime politiche di Rucco ardano dal desiderio di rifarsi: a cominciare da Claudio Cicero sino Lucio Zoppello e Marco Lunardi si possono ipotizzare almeno due liste concorrenti. Per non parlare di Matteo Tosetto, che è sceso in campo da poco ma ha tutta l’intezione di farsi sentire. Insomma, il parterre della corsa si sta affollando di atleti, per usare la metafora. Ma siamo a ridosso di Natale e fino all’Epifania tutto scivola via.
Proprio il Natale suggerisce un’altra riflessione. Perché Vicenza non riprende la benemerita tradizione di celebrare i suoi cittadini migliori con una cerimonia a palazzo Trissino? Esistono le medaglie d’oro, esistono riconoscimenti come la cittadinanza onoraria negli ultimi anni consegnate solo a militari (Coespu, Alpini del Vicenza, Associazione Alpini) ma c’erano anche le targhe d’argento alle associazioni, simbolo di un sociale che è assai attivo in città. Cerimonie di questo tipo le organnizzano a Milano per l’Ambrogino d’oro, a Padova per consegnare il Sigillo della città, a Bassano con il Premio Cultura e il Premio San Bassiano. È un peccato che Vicenza si sia dimenticata di questa tradizione, perché cittadini benemeriti ci sono, eccome.
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per le donne vittime di violenze.
conclusi i lavori al centro dei Ferrovieri
Attualità
Quando gli egizi arrivarono a Vicenza
Uno straordinario ritrovamento di cinquant’anni fa, quando si sbancò la collina per costruire “Le Pignare”. È il dio con corpo di uomo e testa di sciacallo: fu trovato in una casa romana, segno che la religione egizia era diffusa a Roma e anche a Vicenza
Il regalo di Natale alla città è l’apertura della mostra sugli egizi in basilica palladiana. La rassegna s’intitola “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”. È una mostra di alto livello, ed è curata da Corinna Rossi, Cédric Gobeil, Paolo Marini, con il coordinamento di Christian Greco, vicentino e direttore del museo egizio di Torino. Sarà allestita in Basilica dal 22 dicembre (quello stesso giorno Greco ne parlerà al teatro in una conferenza a infresso libero alle 18) fino al 7 maggio e inserirà Vicenza nel novero delle grandi iniziative sull’antico Egitto di Londra, Parigi e Torino. Quest’anno, infatti, c’è una duplice ricorrenza: i 200 anni della traduzione dei geroglifici da parte di Champollion e i 100 anni della scoperta della tomba di Tutankhamon.
L’esposizione riunisce più di 180 reperti, di cui circa 160 provenienti dal Museo Egizio di Torino e 20 dal Louvre di Parigi: statue, sarcofagi decorati, rotoli di papiro, bassorilievi, stele dipinte, anfore e amuleti.
L’allestimento è curato dallo studio dell’architetto Antonio Ravalli e racconterà 600 anni di storia della 18esima dinastia, che iniziò 1500 anni avanti Cristo a Tebe, oggi
chiamata Luxor.
Sarà una mostra assai tecnologica, che punterà sul multimediale, sulla realtà virtuale e sul 3D. Racconta di artigiani, architetti (ma sarebbe meglio chiamarli capomastri) artisti e operai che lavoravano per il faraone alla realizzazione delle tombe nella valle dei re.
I “creatori dell’Egitto eterno” abitavano nel villaggio di Dar el Medina, scoperto ai primi del Novecento da Ernesto Schiaparelli e la mostra racconterà perché questo villaggio è così importante, toccando la vita quotidiana e le tombe, i sarcofagi e le mummie, che saranno esposte in accordo alla nuova sensibilità che usa molta discrezione verso questi che non sono semplici oggetti ma – comunque – resti umani meritevoli di attenzione e rispetto.
Ma ben prima di Christian Greco e della sua mostra –che è facile prevedere sarà un successo – gli egizi sono già arrivati a Vicenza. Attorno a duemila anni fa. Più precisamente a Costabissara. Lo testimonia una statua
del dio Anubi, con corpo di uomo e testa di sciacallo, ritrovata poco più di 50 anni fa quando si scavò la collina per realizzare il complesso del-
le “Pignare”. La statuetta, databile fra il primo e secondo secolo dopo Cristo, si trovava in una casa romana e faceva parte del larario, la nicchia dell’abitazione che raccoglieva le statuette dei lari, le divinità domestiche, compresi gli antenati, che proteggevano la famiglia e la casa. Che vi fosse anche una statua egizia in un ambiente romano è segno che quel culto era vivo anche a Roma e, sulla scia della religiosità romana il culto di origine egizia era arrivato anche a Vicenza.
Oggi quella statuetta del dio Anubi ha il posto d’onore nella sala del centro culturale “Elisa Conte” in centro a Costabissara.
I primi materiali archeologici furono raccolti a Costabissara a causa degli sbancamenti per realizzare “Le Pignare”. I
resti più consistenti furono individuati in via Mascagni, in occasione delle due campagne di scavo condotte nel 1971 e nel 1972 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto: vennero alla luce fondazioni murarie di un vasto complesso rustico, che a tutt’oggi costituisce il sito più importante indagato a Costabissara e uno dei più interessanti appartenenti a questa tipologia noti nel resto della regione.
Il pezzo più importante della collezione è la statuetta bronzea raffigurante il dio Anubi, una delle principali divinità funerarie dell’Egitto faraonico preposte alle delicate operazioni di mummificazione e ai funerali, ritratto come un uomo con la testa di canide: qui è rappresentato vestito con una corta tunica e con i piedi calzati da sandali. Era assimilato nella cultura romana anche a Mercurio, il protettore delle attività commerciali.
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Il regalo di Natale alla città. Apre in Basilica la grande mostra, ma a Costabissara c’è una statua di Anubi di 2000 anni fa
La statuetta di Anubi di Costabissara e un’immagine di Christian Greco coordinatore della mostra in Basilica
Zaia: “L’autonomia arriverà presto E altri grandi progetti per il Veneto”
“Ho speranze che la guerra si concluderà” Positivo il giudizio sulla manovra del governo Meloni: “Dedicati al sociale 21 miliardi, avranno ricadute importanti sulle famiglie”
S trascichi della pandemia, assenza di personale sanitario, ma anche autonomia e futuro dell’industria: sono le parole chiave del 2022 per il Veneto secondo il governatore Luca Zaia che, nonostante tutto, guarda al prossimo anno con fiducia.
Come valuta l’anno che sta terminando e cosa si aspetta dal 2023?
“È stato un anno difficile, considerato che abbiamo avuto prima il covid e poi la guerra in Ucraina. Lo definirei annus horribilis da un punto di vista sociale, con non poche difficoltà. Però noi sappiamo che dopo la pioggia torna sempre il sereno. Questa guerra si concluderà: ho molte speranze.
“Roma dà attenzione al Veneto. Per il prossimo futuro abbiamo in serbo altre importanti novità”
Penso che sia giunto il momento di lasciare spazio alla diplomazia e che entrambi contendenti, l’aggressore e aggredito, decidano di fare un passo indietro, perché si possa trovare un’intesa. Non ci possiamo permettere nessuna guerra, tantomeno questa che è vicina a noi e pesa moltissimo nella geopolitica internazionale”. Come giudica la manovra del governo Meloni?
“Positivamente. Su 35 miliardi 21 sono dedicati al sociale, alle famiglie. È come se il Governo avesse versato più o meno un miliardo alla Regione. Noi non ci saremmo mai riusciti, con nessuna manovra tributaria: saremmo riusciti forse a incassare 180, 150, 120 milioni di euro. Ecco, il Governo ha fatto un’operazione da 21 miliardi di euro che poi avrà una ricaduta positiva sui costi che le famiglie si sono
visti aumentare per il costo dell’energia”.
Come è considerato il Veneto dal governo?
“Come veneti ci possiamo attribuire il merito di avere uno standing che anni fa non avevamo. D’altra parte se non hai considerazione non porti a casa le Olimpiadi e non tratti con Intel un investimento di 10 miliardi di euro che è il più grande investimento nella storia del Paese. E stupiremo ancora perché abbiamo grandi progetti”.
A proposito dell’autonomia, nel recente incontro con il ministro Calderoli lei ha affermato “ora o mai più”. Perché?
“Perché ci sono tutti i presupposti: siamo davanti a un ministro che s’è mosso con celerità, in un governo che comunque mantiene la parola data ai cittadini. Ovviamente stiamo parlando della più grande riforma della storia assieme al presidenzialismo: in questa legislatura l’una e l’altro dovranno essere assolutamente approvati. L’articolo 144 nella legge di stabilità è un ottimo segnale; finalmente è finito il riscaldamento a bordo campo e la stagione dei compiti per casa”.
Quali saranno i passi successivi, allora?
“Il progetto dell’autonomia entra nel vivo e prende sempre più forma. Entro fine dell’anno - come dichiarato dal ministro Calderoli - avremo lo strumento per definire costi e fabbisogni standard, un passaggio indispensabile per procedere verso la delega di poteri alle Regioni. Significa finalmente realizzare un progetto totalmente in linea con la costituzione, nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà nazionale. Abbiamo l’opportunità di ridisegnare il profilo del Paese, in linea con i princi-
pi ispiratori dei padri costituenti. Abbiamo imboccato la strada giusta, intrapresa con decisione dal governo, al quale vanno i miei ringraziamenti. Spero che ora
“Sanità, anche il pubblico deve poter tenere in servizio chi vuole restare dopo la pensione”
si faccia bene e velocemente anche perché in questo modo si darà compimento non solo ai dettami introdotti con la modifica del titolo V della legge fondamentale dello Stato, ma anche alla Carta costituzionale approvata il primo gennaio 1948. Che nasce autenticamente federalista: non ha mai avuto uno sguardo centralista,
se non nell’erronea gestione che ne è seguita”.
La Regione ha di recente emanato un bando per 393 medici per far fronte all’assenza di personale. Sono sufficienti?
“Sul mercato non ci sono professionisti e quelli che ci sono hanno la possibilità di attraversare la strada e andare dal privato che li paga di più. Mancano i medici e questa divaricazione tra domanda e offerta ci sta mettendo non poco in difficoltà. Quanto ai medici in pensione, io chiedo che il pubblico possa fare quello che può fare un privato, cioè tenere su base volontaria i propri professionisti”.
È nata Confindustria Veneto est, la più grande del Paese, che unisce quelle di Venezia e Rovigo e Confindustria Veneto centro.
Come valuta questa fusione?
“Oltre ai numeri, c’è anche un dato quantitativo che è importantissimo: questo raggruppamento significa
“La fusione di Confindustria è un segnale positivo”
oltre 86 miliardi di fatturato, quasi metà di quello Veneto arriva da questa associazione. Direi che è un bel segnale, soprattutto perché punta all’economia di scala, a razionalizzare. È un segnale che anche il pubblico dovrebbe cogliere. L’economia di scala ci permette di risparmiare, di essere più efficienti e avere sempre come ultimo obiettivo quello di fornire servizi al cittadino”.
8 www.ilvicenza.com Politica
Giorgia Gay
L’intervista. Il presidente della Regione traccia un bilancio dell’anno e guarda con speranza al 2023
In primo piano Luca Zaia, governatore del Veneto. Nelle altre foto, la premier Giorgia Meloni e la stretta di mano fra Vincenzo Marinese e Leopoldo Destro dopo la fusione di Confindustria
“Ecco qual è il volto nuovo di Vicenza”
Qualche riflessione, sulla scia di Leopardi, sfogliando l’almanacco dell’anno che ci lascia e scrutando la fisionomia di quello che sta arrivando. Vicenza vive un momento complicato e contraddittorio, come del resto tutto il Paese. Sono stati anni impensabili, sempre caratterizzati dall’emergenza: siamo passati dalla pandemia alla guerra e alla crisi energetica che ha innescato quella economica. Il sindaco Francesco Rucco ha, come si dice, un osservatorio particolare: amministrare oggi spesso significa assumersi sulle spalle i guai locali assieme alle emergenze nazionali. E fra sei mesi c’è la scadenza elettorale: lui ha ribadito la sua disponibilità ma ha anche precisato che il meccanismo decisionale riguarda anche gli altri partiti. Comunque, nel giro di due mesi, anche di meno, si arriverà a ufficializzare la candidatura.
Come sta Vicenza?
In ripresa dopo il covid – risponde Rucco – Ricordiamoci che siamo stati in emergenza, come tutti, sino a marzo scorso. Naturalmente siamo in difficoltà con i costi dell’energia. Cosa vuole, è una fase strana.
Ma se apre metaforicamente la finestra del suo studio e guarda la città, come la vede?
Viva. Ha bisogno di continuare a essere sostenuta in tutti i settori. Sul piano culturale, per esempio, bisogna che sia accompagnata con progettualità importanti. Come stiamo facendo con la grande mostra sugli egizi in Basilica.
Diamo una spinta.
Quali sono state le soddisfazioni nel 2022?
Essere riuscito a far ripartire i settori della comunità attraverso l’azione del Comune. C’è stato un rilancio economico, culturale e sociale. Misurabile come?
Mantenere l’equilibrio nel bilancio è stato un grande successo. Non dimentichiamo che poche settimane fa abbiamo approvato una manovra da sei milioni di cui 4 destinati a sostenere i maggiori costi dell’energia. Abbiamo rilanciato l’impegno sui plateatici per il 2022 e siamo
stati gli unici. Abbiamo sostenuto le famiglie in difficoltà: 800mila euro per 1600 nuclei familiari.
Indichi tre obiettivi per l’anno che sta arrivando Primo. Riproporre il sostegno con contributi per le bollette. Ma questo lo vedremo in estate dopo i bilanci di Agsm – Aim. Secondo. Far partire i cantieri finanziati dal Pnrr: sono 78 milioni, dalle piste ciclabili a Campo Marzo. Terzo. Definire gli interventi per il campus universitario in viale Margherita. Il primo rogito per l’acquisto delle aree dei privati vicino alla sede universitaria dovrebbe esserci prima di Natale.
Qual è la critica che le ha dato più fastidio?
Quella di non essere trasparente nella gestione della cosa pubblica. Invece sono sempre attento al rispetto delle persone. Non c’è mai stato nulla di nascosto o portato all’improvviso in consiglio comunale.
Ricordo ben altre situazioni… Quali?
La gestione del caso Dal Molin all’oscuro del sindaco e della maggioranza da parte dell’assessore Cicero oppure la gestione della fusione della Fiera con Rimini portata velocemente in aula da Variati, che è stata la premessa della pratica scomparsa di Vicenza. Di fronte a questi esempio
anche la fusione tra Agsm e Aim è stata assai più condivisa.
Si rimprovera degli errori? In quest’ultimo anno, no. Se guardo al passato, avrei dovuto scegliere diversamente alcune persone che non si sono dimostrate all’altezza. Non s’è mai detto “chi me l’ha fatto fare”?
No, anche se ci sono stati momenti di sconforto e di pesantezza enormi. Ma vengo da un percorso che mi porta ad amare la politica. Che – intendiamoci – resta un impegno a tempo determinato, non totalizzante della vita, da affrontare con serenità e caparbietà. Il mio lavoro è l’avvocato, che oltretutto mi piace. Quanto riesce a dedicarsi al suo lavoro?
Un paio di mezze giornate alla settimana. Naturalmente compio meno atti e svolgo più riunioni tecniche.
Quali sono i difetti e quali i pregi dei suoi concittadini?
Il vicentino si arrangia, sa rimboccarsi le maniche. Il difetto è che dovrebbe valorizzare di più ciò che ha.
Qual è il difetto dell’opposizione?
È “contro” a prescindere. C’è un pregiudizio ideologico e anche personale. Intendo dire: almeno statisticamente, qualcosa di buono l’amministrazione l’avrà pure fatto! (a. d. l.)
priorità per l’anno che sta arrivando: contributi alle famiglie per affrontare la crisi economica; realizzare i progetti del Pnrr, da Campo Marzo alle piste ciclabili, con lavori per 78 milioni; il campus universitario
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Tre
in viale Margherita
L’intervista. Il sindaco Francesco Rucco fa il punto del suo mandato alla vigilia dell’anno che porterà le elezioni
Il sindaco Francesco Rucco: il 2023 è anche l’anno elettorale
Rucco
Il centrosinistra indica nove fallimenti
L’opposizione in Consiglio comunale inizia la campagna elettorale: ha fatto stampare 40mila brochure di 28 pagine che saranno recapitate a tutte le famiglie. Spunteranno in città anche i manifesti sui nove temi già oggetto del programma di Rucco nel 2018 con l’invito: “Volta pagina”
Il centrosinistra inizia la campagna elettorale con un’operazione di manifesti e brochure che raggiungerà tutti i cittadini. Questi sono i mezzi scelti per comunicare una valutazione naturalmente negativa, anzi fallimentare, dei cinque anni di amministrazione Rucco. L’opposizione in consiglio comunale invia questo suo messaggio a casa di tutti i vicentini con una brochure di 28 pagine, stampata in 40mila copie, cioé tante quante le famiglie vicentine (più o meno) e con manifesti da affiggere in città. Per essere convincenti, sono stati presi i nove punti del programma elettorale di Rucco di quattro anni fa e sono stati declinati secondo la valutazione del centrosinistra. Il libretto ha così analizzato sicurezza, mobilità, territo-
rio, ambiente, città digitale, commercio, comunità, giovani e sport, cultura e ha tratto le sue conclusioni: laddove il programma del 2018 dell’allora aspirante sindaco indicava le priorità d’intervento, adesso l’opposizione parla di altrettanti fallimenti. Tant’è che il titolo del lavoro è: “I nove fallimenti di Rucco”. L’iniziativa è stata dei capigruppo dei gruppi di opposizione: Sandro Pupillo (Da adesso in poi), Isabella Sala (Partito Democratico), Leonardo Nicolai (Coalizione Civica), Ennio Tosetto (Vinova) e Cristiano Spiller (Per una Grande Vicenza).
Ogni tema è spiegato sia dalle considerazioni politiche del centrosinistra nonché illustrato da titoli e foto scelti ad hoc dai giornali locali. Qualche esempio. Commercio: negozi
chiusi. Ambiente: spazzatura. Territorio: senza progettazione. Giovani: senza futuro. Mobilità: in retromarcia. Sicurezza: solo slogan. E così via.
Il messaggio ai vicentini è declinato sempre via carta con un centinaio di manifesti da due metri per un metro e mezzo e nove maxi manifesti da sei metri per tre. Ogni manifesto si conclude con un hashtag che è anche un invito elettorale: “Volta pagina”.
“Un sindaco uscente – spiega Cristiano Spiller – può fare promesse e raccontare favole, ma verrà comunque valutato dai cittadini solo sulla base di quanto ha saputo fare durante il mandato”. “Nulla potrà allora cancellare il bilancio fallimentare dei cinque anni dell’amministrazione Rucco: il confronto tra quanto si
era impegnato a realizzare e quanto è stato concretizzato è infatti impietoso. Un fallimento che ha radici nell’incapacità di affrontare con concretezza le questioni quotidiane e nella mancanza di visione e programmazione, ma anche nella debolezza di un sindaco sempre pronto a cedere ai partiti e che ha così cancellato in pochi mesi ogni segno di civismo”. “Potrebbe bastare il “non fatto” per dare la cifra di questi
cinque anni di Rucco, ma anche il poco “fatto”, purtroppo, lascerà un segno indelebile. Come la vendita di Aim, per esempio, che ha privato la città di un’azienda sana, che sapeva ben gestire i servizi della città e che avrebbe potuto guidarne lo sviluppo futuro. Oggi la città è ferma; lo è per colpa di un Sindaco assente e di un’amministrazione giunta al capolinea. Vicenza merita di più!”, conclude Spiller.
10 www.ilvicenza.com Politica & amministrazione
Elezioni. L’opposizione lancia una campagna di comunicazione, naturalmente negativa, sull’amministrazione
Alcuni capigruppo dell’opposizione in Consiglio comunale (Sala, Nicolai, Tosetto, Pupillo) con i manifesti della campagna ideata contro l’amministrazione Rucco
Laici e donne le emergenze del vescovo
I sacerdoti sono sempre di meno, quindi vanno valorizzati gli uomini e le donne affidando loro incarichi di responsabilità, ma non a titolo volontario: devono essere professionali e anche stipendiati.
Don Maistrello: “Meno riunioni, più unione”
I tre intervistati: don Gigi Maistrello, Mario Serafin e Maria Pia Veladiano. Nella foto grande, il nuovo vescovo mons. Giuliano Brugnotto
Quali dossier s’è trovato sul tavolo il nuovo vescovo Giuliano Brugnotto, 61 anni, trevigiano, fresco successore di Beniamino Pizziol? Giandomenico Cortese, puntuale osservatore, riassume così sulla “Voce dei Berici” il contesto in cui ha lavorato mons. Pizziol. “Trasformazioni sociali, nuovi bisogni, impellenti povertà, crescenti paure, ulteriori modelli comportamentali, incomprensioni tra generazioni, crisi vocazionali, invecchiamento del clero, urgenza imprescindibile di riunire parrocchie e abbandonare canoniche, costruire difficili “unità”. Non è stato facile tenere la rotta per mons. Pizziol, che ha comportato spesso non facili esercizi di dialogo, di ascolto, di interpretazione per conseguenti scelte coerenti e coraggiose”.
Questo il passato, ma quali sono le sfide per il nuovo vescovo? Quali problemi ha di fronte la Chiesa locale? Rispondono tre protagonisti della vita (non solo) ecclesiale vicentina.
Don Gigi Maistrello, cappellano del carcere, fondatore e animatore della cooperativa socia-
le Elica di Costozza, autore di saggi e ultimamente di testi teatrali teatro. “Le unità pastorali – sottolinea Maistrello - stanno uccidendo le singole comunità. Lo svuotamento delle chiese è dovuto al fatto che il sacro non attira più. Se vogliamo che la gente torni alla Chiesa e in chiesa, bisogna ripristinare le comunità, come ruolo di vita. Un povero prete che gira come una trottola, prima o poi scoppia. Inoltre, perché una comunità parrocchiale possa vivere, deve avere una testa. Una comunità, una testa! Bisogna quindi investire per trovare nuove figure laiche per guidare le parrocchie, non a titolo volontario ma tempo pieno, con uno stipendio. È il passaggio più delicato. Le nostre comunità sono intasate di riunioni. Io dico: meno riunioni, più unione e migliori relazioni!”.
Circa il laicato, infine, don Maistrello sottolinea: “Deve evitare il clericalismo e di replicare lo schema di potere anche là dove non c’è il prete, cosa che porta a conflitti tra associazioni e gruppi ecclesiali”.
Sulla responsabilità dei laici
insiste molto anche Mario Serafin, apprezzato funzionario in Regione Veneto fin dagli albori, sempre presente ai vertici delle attività diocesane, come nel Sinodo del ’83-’87, dove è stato uno stimato consigliere di mons. Onisto, o del Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale).
“I laici - osserva Serafin - devono dare anima alle comunità che non possono più avere un prete, in un clima di corresponsabilità con i loro pastori, con un atteggiamento che in un lessico ecclesiale si chiama “sinodalità”. La devono favorire, incoraggiare e coltivare. Non solo, ma i fedeli laici hanno il compito di suscitare una specifica sensibilità sociale che non significa individuare e confezionare soluzioni politiche e partitiche. Il Veneto e il Vicentino hanno una felicissima tradizione di vita pubblica e di impegno civile cui attingere. Quello che più mi preoccupa delle attuali generazioni di imprenditori, politici e cittadini comuni, è il fatto che danno per scontato che la democrazia, la giustizia, la pace sociale siano un dato di fatto. E invece non
ci sono state regalate ma sono il frutto di sacrifici, anche della vita, di percorsi di formazione, di fatiche culturali e di capacità di esprimere, spesso in particolare da parte dei credenti, valori e principi irrinunciabili”. Mariapia Veladiano, vicentina, una laurea in filosofia e una in teologia, docente e già preside, collabora con testate nazionali e locali, ma soprattutto scrive libri di successo e di grande saggezza.
“La sfida che mi auguro il nuovo vescovo Giuliano si ponga come prioritaria riguarda il ruolo della donna nella Chiesa. Auspico che con coraggio attribuisca ruoli istituzionalizzati a donne stipendiate come avviene tra i cattolici tedeschi, preparate e competenti che già oggi, come in passato, sono impegnate in diocesi. Il loro coinvolgimento non deve essere lasciato all’iniziativa individuale ed estemporanea di preti o vescovi, ma sia indicato con obbligatorietà negli statuti o nei regolamenti. Questo percorso ovviamente implica preparazione reale, sincero e leale coinvolgimento del mondo femminile, già ora
maggioranza tra chi frequenta e chi è a servizio delle nostre parrocchie. Chiederei poi al nuovo vescovo di porre un freno alla laicizzazione del pensiero religioso, lavorando alla catechesi ea alla formazione di qualità per un cristianesimo non di facciata ma fondato su adesione e conoscenza”.
“Infine, il grande tema della natura, altrimenti chiamato del creato. Siamo la provincia più inquinante d’Italia, abbiamo avvelenato quasi 200 km quadrati di territorio, e forse anche di popolazione con i Pfas: qui un vescovo e una comunità cristiana devono farsi sentire, forti della loro libertà da condizionamenti e ricchi di valori da testimoniare”.
Silvio Scacco
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Attualità
La successione. Mons. Brugnotto ha preso in mano il timone della diocesi e si trova alcuni “dossier” sul tavolo
Lavoro all’estero: pronto un giovane su 2
Le ragazze e i liceali sono più disponibili a fare le valigie e intraprendere un impiego anche lontano dall’Europa. I ragazzi puntano al lavoro dopo le superiori mentre le ragazze sono più interessate all’università
Un lavoro per crescere come persone e professionisti. Un’occupazione da trovare, mantenere e per cui si è disposti a studiare, mettersi alla prova e a trasferirsi lontano dall’Italia. Il tutto per ottenere la stabilità, anche economica, necessaria per vivere serenamente facendo ciò che piace. Hanno le idee chiare i 1 .661 giovani tra i 14 e 19 anni intervistati a scuola, nelle province di Vicenza, Verona, Padova, Treviso e Venezia nell’ambito dell’indagine “Il futuro che vorrei” commissionata da Confartigianato Vicenza all’Istituto universitario salesiano Venezia (Iusve).
Nel Vicentino l’iniziativa ha coinvolto 91 7 studenti delle scuole superiori chiamati ad esprimere le loro opinioni sui temi del lavoro, dell’orientamento scolastico, professionale e dell’alternanza scuola-lavoro. Il quadro emerso dalle rilevazioni condotte da Demetra Opioni.net, con la supervisione di Beatrice Bartoli e Davide Girardi dello Iusve, ha fatto emergere un’idea del lavoro composta da concetti come “appagante”, “guadagno”, “impegnativo”, “interessante”, “passione”. Parole specchio di una generazione consapevole dell’incertezza del periodo e per questo disposta ad acquisire competenze diverse e a lavorare con dedizione per vedersi riconosciuto, anche economicamente, l’impegno profuso per stare al passo con i tempi. Dall’analisi, infatti, è emerso come i giovani non si aspettino alcuno sconto per ottenere un impiego soddisfacente: 7 su 10 sono consapevoli che per avere successo sia necessario puntare sulle proprie competenze, tra cui quelle trasversali come intraprendenza, intuizione e spirito collaborativo.
Non li spaventa nemmeno partire: il 64% dei vicentini sono disposti a trasferirsi in altre regioni, il 54% fuori Italia, in Paesi extraeuropei, propensione che interessa soprattutto le ragazze
e i liceali.
Gli studenti vicentini, in particolare, sono orientati verso un lavoro che costruisca una buona professionalità (in prevalenza chi frequenta il professionale) e che permetta di trovare un’occupazione redditizia (chi frequenta il tecnico). I ragazzi delle altre province, invece, sono focalizzati sul proseguire gli studi in università. Una scel-
ta questa che, nel vicentino, è prevalentemente femminile. “L’indagine si inserisce in uno scenario con tendenza demografica poco incoraggiante anche per l’assenza di chiare e incisive politiche familiari e in un momento storico in cui è difficile decodificare i cambiamenti in atto a livello sociale, economico, politico e prevederne gli sviluppi. - spiega il presidente di Confartigianato Vicenza, Gianluca Cavion – Tutto ciò si ripercuote nel mondo produttivo con molte imprese che faticano a trovare figure professionali e competenze per ridare slancio all’attività o sostituire maestranze in uscita. È quindi importante proseguire e rafforzare il dialogo tra scuola, famiglie e mondo del lavoro”. Sul tema alternanza scuola – lavoro, infatti, il 58% degli intervistati con una punta del 66% nel vicentino, ritiene che le attività di collegamento formazione – lavoro andrebbero aumentate per favorire non solo l’acquisizione di nuove competenze, ma anche il confronto con i lavoratori adulti. Se da una parte l’importanza dell’aspetto relazionale all’interno dell’azienda, fa preferire ai giovani un impiego nella piccola impresa proprio perché offre migliori possibilità di interazione con colleghi e titolare, non mancano le note dolenti che si registrano sul fronte del guadagno, della possibilità di fare carriera e della flessibilità con un picco negativo relativo al tema dell’ambiente di lavoro tecnologicamente avanzato.
Sara Panizzon
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La ricerca. La Confartigianato ha commissionato un sondaggio che mette in luce aspetti interessanti nel Vicentino
Il nodo. Se ci fosse un attacco in grande stile ai nostri conti o scoppiasse la guerra cibernetica saremmo annientati
La sicurezza informatica è piena di buchi
Le società che detengono la gestione dei nostri risparmi investono sufficientemente in sicurezza coordinandosi con gli apparati dello Stato? Sembra proprio di no. Se ci fosse un attacco cibernetico saremmo nei guai
Sempre più la gestione di sistemi complessi (infrastrutture portuali, viarie, ferroviarie, aeroporti…) è affidata a sistemi elettronici e reti di computer. I computer sono più efficienti, più veloci, più affidabili degli esseri umani. La tendenza – anche con riguardo alla gestione dei servizi finanziari – è quella di informatizzare il più possibile i processi anzitutto per contenerne i costi.
Questa tendenza, che appare ad oggi irreversibile, evidenzia tuttavia ampi problemi di sicurezza.
C’è chi sostiene che la prossima guerra mondiale più che nucleare sarà informatica: una “cyberwarfare” tesa ad intercettare, alterare o distruggere informazioni vitali per il nemico. Le tipologie di cyber attacchi che, comparsi per la prima volta nella seconda guerra in Ossezia del Sud (agosto 2008),
possono sostituire o integrate attacchi militari tradizionali, vanno dalla mera propaganda (guerra psicologica, fake news) alla raccolta di informazioni riservate (spionaggio), dalla disarticolazione delle attività militari (equipment disruption) con conseguente intralcio alle operazioni militari sul terreno, all’attacco vero e proprio a infrastrutture critiche dello Stato avversario (servizi energetici, idrici, finanziari) con conseguente caos interno e blocco delle operazioni belliche del Paese colpito.
Se le forze armate riservano un’attenzione crescente alla sicurezza informatica, soprattutto delle comunicazioni (controspionaggio cyberspaziale), la gestione spesso privata di intere fette delle funzionalità strategiche dello Stato non rende tranquilli sull’effettiva reattività di tali settori ad attacchi professio-
nali portati massivamente. Che accadrebbe, per esempio, se sparissero dalle banche intere porzioni di informazioni, si azzerassero i conti correnti eppure si inibisse improvvisamente il prelievo allo sportello o la spesa attraverso bancomat e carte di credito?
Le società che detengono la gestione dei nostri risparmi investono sufficientemente in sicurezza coordinandosi con gli apparati dello Stato? Parrebbe di no.
Le periodiche incursioni degli hacker che saggiano il livello di reazione trovano spesso crepe e bachi gravissimi nei sistemi. Lo scenario di attacchi mirati e profondi condotti da squadre coordinate di intrusori cibernetici è di assoluta attualità: la Federazione Russa (come la Cina) ha dimostrato di conoscere perfettamente sia le potenzialità della cyberwarfare sia i danni immensi che, im-
piegando risorse limitate, essa può causare all’Occidente. Pur non rinnegando la modernità, occorre dunque riflettere sull’affidamento quasi fideistico che oggi mettiamo nelle reti e nei sistemi computerizzati.
Se vi fosse un attacco cibernetico ostile, ben coordinato e diretto al nostro Paese ciò che potrebbe restare del nostro mondo non varrebbe più nulla.
Potrebbe essere svenduto a prezzi infimi, qualcosa di molto vicino ai saldi dei prodotti di un negozio deteriorati da un incendio: fire sales.
Giuseppe de Concini
Padovano con studio a Vicenza, laurea in giurisprudenza, importante esperienza nel mondo bancario, ora è consulente aziendale
16 www.ilvicenza.com Economia
• Chi è Giuseppe de Concini
“Povera Vicenza triste e senza bellezza”
Ha disegnato le scarpe di Rudolf Nureyev, prodotto il vino per Josè Saramago, ha fatto eseguire ad Andy Warhol un ritratto di Carlo Scarpa, suo grande amico e mentore. Si definisce “un mestierante che si interessa di design”. Ma questo “mestierante” ha lavorato con Ettore Sottsass, ha frequentato Oscar Niemayer e Frank O. Ghery. Il quasi omonimo Bruno Munari gli ha dedicato un quadro che è appeso nell’ingresso dello studio, summa & puzzle della sua vita, fitta di incontri, foto, diecimila idee, o forse centomila, compresi gli occhiali che Spike Lee ha acquistato a New York.
Cleto Munari ha attraversato quattro generazioni, vive a Vicenza da 86 anni, dopo che dalla natia Gorizia è passato per Lubiana e Zagabria. Ha toccato nella sua vita 80 Paesi e a 92 anni ha una vivacità e lucidità invidiabili. Ha appena finito di progettare un monumento alto sei metri destinato alla Val di Sangro, in Abruzzo: un arco poggiato su tre libri con la freccia verso il cielo perché spara in alto la cultura. E allora la domanda d’attualità è obbligata.
Cosa pensa del monumento in viale Roma?
Una schifezza. Chi l’ha scelto non sa giudicare. Una città deve capitalizzare in cultura. Potevano chiedere di realizzare un’opera a Giuseppe Penone, per esempio. Sicuramente sarebbe costato. Ma non si deve avere paura. Bisogna lasciare un segno ai posteri. Magari l’arte contemporanea spaventa Palladio ha fatto cose folli per i suoi tempi.
Lei ha visto un altro viale Roma, immagino.
Certo, con il vero caffè Moresco e l’arco del Revese buttato giù nel 1938 quando arrivò Mussolini.
È vero che le pietre furono sepolte in Campo Marzo?
Di sicuro le misero dietro il Moresco: saltando sopra dall’una all’altra caddi e mi ruppi un dente.
Un confronto con l’attuale Campo Marzo?
È semplicemente morto.
Lei che s’intende di bellezza, come giudica la Vicenza di oggi?
Non so, abito a Brendola... Però
ho visto di recente Treviso alle dieci di sera: era piena di gente, negozi con vetrine che sembravano New York. A quell’ora a Vicenza in corso Palladio non c’è nessuno. Sembrano i giorni del covid. È una città morta. Come si può vivacizzare il centro?
Magari con manifestazioni, spettacoli, musica… A trent’anni noi stavamo fuori fino alle due di mattina.
Altri tempi. Ma Vicenza è sempre una bella città, o no? Come tutto il Vicentino, ricco di ville e palazzi.
E la nuova architettura?
Non esiste. Le periferie meriterebbero una piccola bomba atomica per farle scomparire. Drastico.
Assessori e politici vari devono avere la cultura e il coraggio di capire il cambiamento.
Magari dipende anche dai committenti privati L’ignoranza del committente è determinante. A Venezia ci volle Adriano Olivetti per far realizzare il suo negozio a Scarpa, che aveva la forza di fare quello che voleva lui.
Ma a Vicenza Scarpa non ha realizzato quasi nulla
Ricordo che proposi alla Banca Popolare di affidargli un lavoro. Mi risposero: per l’amor di Dio, no.
Lei ha conosciuto bene Ettore Sottsass. Com’era?
Mi faceva disegnare i gioielli per Fernanda Pivano che, detto fra noi, al tempo non era bellissima. Sottsass è stato un’occasione sprecata per l’architettura: era avanti di vent’anni. Ed era sempre senza soldi. Lei ha fatto i soldi?
No, ho fatto molta poesia. Quando una rivista americana mi mise in copertina, mia moglie commentò: pensa meno ai giornali e più ai quattrini. Come giudica il lavoro degli architetti?
Prendiamo Renzo Piano: fa grattacieli, ma più che belli sono tecnologici. C’è molta ingegneria e poca architettura. Al confronto, il palazzo dell’Eur a Roma resta un capolavoro. Ci sarà pure qualcuno che lei apprezza fra i contemporanei. Il padovano Michele De Lucchi. Lui sì.
Ma l’università prepara a sufficienza?
C’è molto appiattimento. Nelle nuove generazioni non vedo
sera il centro è un deserto, la città è morta”
“Provate ad andare a Treviso, che differenza!”
periferie meritano soltanto una bomba”
diamo colore per togliere la tristezza”
Vicenza non c’è architettura moderna”
monumento in viale Roma è inguardabile”
miei amici Parise, Scarpa, Sottsass, Warhol”
non ho fatto i soldi, ma tanta poesia”
monumento alla cultura in Abruzzo”
geni come Frank Lloyd Wright, Carlo Scarpa, Alvar Aalto, Philippe Starck.
Perché accade?
Perché i Pelè o i Maradona nascono raramente. Ma anche l’architettura deve cambiare e l’università deve avere professori all’altezza di insegnare.
Era più bella la Vicenza di un tempo?
Forse più raccolta. La città finiva a San Lazzaro, non c’era periferia.
Come creare bellezza a Vicenza senza ricorrere alle bombe per eliminare tutto?
Mah, bisognerebbe reinventarla, la periferia. Magari dare una botta di colore per levare la tristezza.
C’è un segreto per diventare Cleto Munari?
Nessuno. Ho iniziato piuttosto tardi, a 40-45 anni. Scarpa mi spiegò: tu sei di un’ignoranza incredibile, prendi la valigia e comincia a girare.
E lei l’ha ascoltato. Certamente. Come conobbe Warhol?
Una sera a cena. Era uno che a metà degli anni Sessanta faceva il vetrinista.
Intanto lei a Vicenza aveva conosciuto una generazione importante, quella degli anni Venti.
Anche più vecchi, come Neri Pozza che era del 1912. Che ricordo ha di lui? Estroverso, ma anche terribilmente tirchio. Al falegname che gli chiedeva mille lire per una sedia, gli rispose: fammela a tre gambe che ti dò settecento lire. Non è che sua moglie, Lea Quaretti, fosse più generosa… Dice?
Invece di pagare i camerieri dava loro dei libri in inglese e tedesco. E loro, naturalmente, protestavano: se almeno fossero in italiano...
Di quella generazione avrà conosciuto anche Goffredo Parise, che aveva un anno più di lei
Come no! Abitava davanti a casa mia. Sempre rabbuiato. Eravamo giovani, organizzavamo le feste con grammofono e vermouth. Partecipava anche Fernando Bandini. Ma Goffredo era chiuso, non ci sapeva fare con le ragazze. E noi gli lasciavamo quelle poco attraenti.
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Antonio Di Lorenzo
L’intervista
Il personaggio. Il grande designer Cleto Munari, 92 anni, giudica la città di oggi e ricorda quella della sua gioventù
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Un primo piano di Cleto Munari, in passato assieme ad Andy Warhol, il progetto del suo monumento – arco in Abruzzo e piazza dei Signori di sera a Vicenza in una foto di Marco Duso
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Così Silvia Ziche vede madre e figlia
Dopo aver dissacrato Diabolik nel suo libro precedente e restando sempre fedele alla sua Lucrezia, l’autrice ripensa ai legami più intimi sempre con un occhio ironico che sa essere anche indulgente
È
nata con la matita in mano e con una inesauribile voglia di osservare, denunciare e, in fondo, incoraggiare a essere più buoni con gli altri e con sè stessi.
Silvia Ziche è la fata del disegno: dalle sue mani, dal suo senso ironico innato e dal suo modo di guardare tutto e tutti in modo disincantato, esce una fotografia della realtà, raccontata attraverso gli occhi di una sua creatura, la spilungona e stralunata Lucrezia, che fa molto riflettere e che pone il lettore in una condizione di sana autocritica.
Vicentina di Thiene, è trapiantata a Milano: la capitale economica del Paese è la fonte inesauribile di ossessioni e tic da affibbiare ai suoi personaggi.
Silvia Ziche, 55 anni, ha mantenuto i legami con la propria famiglia d’origine e con il nostro territorio, dove spesso e sempre con grande seguito, è ospitata in librerie per presentare le sue frequenti e fortunate fatiche letterarie. L’ultima, “La Gabbia” per Mondadori è una graphic novel sul rapporto madre & figlia, rivissuto e ripensato nel momento della morte della mamma. Il libro lascia trasparire in filigrana qualche tratto di vita dell’autrice, alle prese con l’immancabile dialettica familiare, il rapporto con la città d’origine e gli amici. Silvia fin da piccola ha divorato i fumetti di Disney, cercando l’amicizia e poi la stima di maestri come Giovan Battista Carpi, Giorgio Cavazzano, Romano Scarpa. Dal 1991 collabora in maniera continuativa con Di-
sney Italia per Topolino, mentre le sue prime strisce escono su Linus, in seguito è cercata e scritturata da testate storiche come Comix, Cuore e la mitica agenda Smemoranda. Da segnalare anche le ardite e gustosissime incursioni nei panni di alcuni personaggi Disney, storici o inventati, nel mondo dello spettacolo, con parodie dell’Isola dei famosi o di Guerre stellari. Poi arriva il fenomeno Lucrezia, che dal 2006 esce su “Donna Moderna” e diventa il personaggio emblema non solo dell’autrice, ma di un certo mondo femminile che deve affrontare le prepotenze, ignoranze, banalità dell’universo maschile, che ha creato una società a propria immagine.
A prima vista Lucrezia potrebbe sembrare un espediente di Silvia Ziche per sfogarsi contro tutte le contraddizioni del nostro secolo. Il personaggio del fumetto ha passato la trentina, vive in preda a piccole o grandi frustrazioni, con relazioni affettive complicate e inconcludenti, con grigie nevrosi frutto di quanto le propina il vissuto quotidiano animato da perbenismo, ipocrisie e opportunismi.
Ma la creatrice di Lucrezia, curiosamente e piacevolmente, è una persona allegra, sempre sorridente, dalla voce squillante e dai toni ottimistici: “Le mie storie – spiega – arrivano dalla lettura della vita, dalle vicende paradossali che la gente racconta via social in grande abbondanza e a volte senza pudore. È
li che affondano le radici delle mie vignette che sono il frutto di una sintesi estrema di situazioni esistenziali complicate. Con una battuta di poche parole, io congelo un paradosso
che mette alla berlina forme e stili di vita talvolta inverosimili. Nelle quali, in molti peraltro, si riconoscono. Per questo, io cerco e scavo nelle vicende dei miei contemporanei, per mettere a
nudo storie comiche che però innervano i comportamenti di molte persone”.
A partire dai pregiudizi e dai luoghi comuni, quelli in particolare sulla donna, che Lucrezia patisce ma senza subirli, perché li denuncia e li vince con l’ironia e le fulminanti deduzioni che non lasciano scampo agli egoismi di ogni genere. “Mi batto – continua Silvia – perché non vi siano più ingiustizie, più o meno lampanti, più o meno striscianti, all’interno della nostra società: una persona, più ancora se è donna, ha il diritto di avere le medesime soddisfazioni, carriera, prospettive di tutti gli altri”.
E per diventare illustratrice di successo, o anche solo per farlo per soddisfazione personale, ci sono ricette, consigli o raccomandazioni?
“Io invito i genitori ad incoraggiare i propri figli a leggere molto, non importa se libri o fumetti, anche a prima vista originali o stravaganti. I loro gusti non sono i nostri di adulti. Solo leggendo molto i bambini viaggiano con la fantasia, immaginano mondi, personaggi, contesti nei quali riconoscersi e con i quali interagire. Non è necessario orientarli verso la forma espressiva della grafica o delle illustrazioni in generale. Ogni bambino poi, se lasciato libero con questo ricco bagaglio di storie e avventure a sostenerlo, saprà trovare la propria forma espressiva più adatta. E sicuramente saprà riconoscere ciò che sarà essenziale e giusto per la sua vita e il suo futuro di adulto”.
E, aggiungiamo noi, saprà evitare le ridicole contraddizioni che l’inquieta ma saggia Lucrezia ci rimprovera a dovere.
Silvio Scacco
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Il personaggio. La grande disegnatrice di Thiene ha pubblicato “La gabbia” con Mondadori: indaga sui rapporti familiari
L’intervista
Silvia Ziche e una pagina della sua nuova graphic novel
Comprai una Fiesta beige da Mork & Mindy
Aveva anche i suoi vantaggi: attaccata al suolo, sterzo da Lancia Stratos e motore da Lamborghini. Il problema era un altro: i freni, come mi accorsi a mie spese
Svanita la Golf Gtd nera come il peccato che avevo, per una sorta di sindrome di Giobbe, nel giro di poco persi anche lavoro, casa e moglie, quest’ultima fuggita con un veterinario dopo un periodo in cui mi aveva trattato un po’ da bestie, e poi mi fu chiaro il motivo. Rimisi i pezzi insieme e mi ritrovai alla guida di una Ford Fiesta beige prima serie modello Mki, carrozzeria marezzata di ruggine, chilometraggio sul milione e motore sottoposto a svariati interventi di chirurgia valvolare. Me la vendette un’officina meccanica che riparava trattori a San Pietro in Gu, un simpatico signore mezzo calvo che assomigliava al padre di Mindy, l’amica/fidanzata dell’alieno Mork nella serie interpretata dal compianto Robin Williams. E credo che gli comprai la Fiesta solo per quello, a parte ovviamente il prezzo supereconomico. Se gli interni della Renault 4 (di cui avevo parlato nella prima puntata) potevano sembrare spartani, quelli della Fiesta riandavano all’età subito dopo l’invenzione della ruota. L’asta del cambio pareva un attizzatoio, la leva del freno a mano qualcosa che poteva sollevare il mondo e la pedaliera di sotto era morbida come i comandi di un motopeschereccio. In compenso era incollata al suolo come un cozza al suo palo, lo sterzo poteva competere con quello di una Lancia Stratos e il motore (un trapianto da una trebbiatrice Massey Ferguson) rombava come quello di una Lamborghini Diablo.
Un pomeriggio d’inverno che tornavo da una supplenza scolastica sull’altopiano di Asiago, arrivai a un incrocio e premetti il pedale del freno, sentendolo mollo come un caco maturo. Passai dritto come un treno, arrestando il veicolo un centinaio di metri dopo con la pura forza del pensiero. Fu in quel preciso istante che i miei capelli, sempre stati naturalmente li-
sci, trasmutarono irreversibilmente in naturalmente crespi. Era buio, mi trovavo in una di quelle strade appena fuori da un paesino di provincia, dove la nebbia si alza dai fossi e tutto suggerisce un andamento pascoliano da cavallina storna. Mi guardai intorno e vidi
un portone illuminato su una traversa poco distante: avvicinai il mio trabiccolo cigolante e mi fermai all’ingresso di un’autofficina che trasudava predestinazione da ogni angolo.
Dallo sfondo abbagliante dei neon si stagliò, come dal portellone dell’astronave di Incontri ravvicinati del terzo tipo, la tipica figura benefica del cavaliere meccanico eremita. “Maestro - gli dissi – i freni mi hanno tradito”. Non rispose nulla, mi fece mettere l’auto sul ponte e sparì sotto per riemergere dopo qualche minuto. Disse che c’era un buco nel sistema idraulico e che l’aveva riparato. Non volle un centesimo e pensai che forse aveva capito che la mia Fiesta veniva dal pianeta Ork, come lui, e me l’aveva venduta il padre della fidanzata di Mork. Tornando a casa, mentre pensavo a quanto buoni sono gli uomini, mi fermò una pattuglia della stradale che dopo lunghi controlli mi appioppò una multa perché ero sprovvisto del triangolo di emergenza.
Alla grande rotatoria di ingresso in città, la portiera lato passeggero che non avevo chiuso bene si aprì e volarono fuori sull’asfalto il cellulare, le chiavi di casa e i documenti dell’auto. Comunque, se non positivo, il saldo andava a pareggio.
(Continua alla prossima auto: tenetevi forte, una Ford Taunus familiare, ma sempre beige).
Alberto Graziani
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Umorismo
La vita quotidiana. Era un’auto supereconomica e scassata dagli interni progettati appena dopo l’invenzione della ruota
Mork e Mindy, ossia Robin Williams e Pam Dawber
Spettacoli
“Essere regista: ho realizzato il sogno”
Sin da bambino voleva diventare un regista. Da piccolo provava a girare con la cinepresa degli zii. Ha conseguito un diploma a Cinecittà. Dopo Roma è tornato a vivere a Vicenza. Lavora anche per le aziende. Il suo film è stato realizzato con un piccolo budget e una piccola troupe
o sempre voluto fare il regista. Lo dico da quando avevo 7 od 8 anni e facevo i primi esperimenti, degli horror, con mia sorella come attrice. Per me non c’è mai stata un’alternativa”. A parlare è Corrado Ceron, regista vicentino classe 1980, da qualche settimana in sala con il suo primo lungometraggio, quell’”Acqua e anice” che, pur prodotto con un piccolo budget e una troupe ancor più piccola, ha raccolto consensi di critica e applausi del pubblico. Tra gli ultimi, quelli del Festival del cinema italiano di Madrid, dove a fine novembre ha vinto il primo premio.
Merito di una storia leggera e intensa al tempo stesso, un po’ come l’acqua e anice del titolo; di un tema di grande attualità - il suicidio assistito - di una Stefania Sandrelli che ha abbracciato da subito il progetto, e naturalmente delle scelte di regia di Ceron: “Ho cercato di fare un film ironico ma anche duro, fatto di equilibri - racconta - Equilibrio tra il contrasto di età e di caratteri delle due protagoniste, che fa sorridere, e il tema della malattia, che si vede fin dall’inizio. E ho voluto stare vicino ai personaggi, stargli proprio attaccato, alle loro spalle. Quasi che la telecamera, che
poi è l’occhio dello spettatore, fosse lì con loro”.
L’opera prima è il risultato di una passione nata tra le mura di casa con la cinepresa degli zii, cresciuta con i film girati con gli amici le ore passate a guardare i classici, e alimentata anche con anni di teatro: “Più che altro perché a Vicenza possibilità per fare cinema non ce n’erano - scherza Ceron - Però mi sono divertito, e ho imparato molto. In generale io consiglio di essere sempre curiosi, di spaziare tra i libri, la musica, le mostre.
Perché nel cinema c’è tutto”.
Un momento di svolta per lui è stato, dopo la laurea in filosofia, il trasferimento a Roma.
Il diploma in regia a Cinecittà, i cortometraggi (tanti), i lavori come assistente alla regia, direttore della fotografia, regista di documentari in Italia e all’estero, le prime sceneggiature, i concorsi e i premi (tanti pure questi). “La scuola di cinema mi ha aiutato ad entrare in questo mondo e a capire come ci si lavora – ricorda - E il cortometraggio serve, soprattutto quando è realizzato con pochi mezzi: è lì che devi far vedere se sai raccontare, se sai far venire fuori delle idee e uno stile”.
La rete di contatti romani si è poi rivelata utile anche una volta rientrato a Vicenza.
Dove non ci sarà Cinecittà, ma c’è un mondo produttivo che ha bisogno e voglia di comunicare: “Mi sono inventato la professione di film maker - spiega - Anche quando lavoro per le aziende, per uno spot o un video, cerco di raccontare con un taglio cinematografico”.
E non è un caso se, alla fine, “Acqua e anice” è nato ed è stato realizzato a qualche decina di chilometri da casa. Scritto insieme a Federico Fava e Valentina Zanella, prodotto dalla veronese K+, girato tra il delta del Po, i lidi ferraresi e qualche scorcio di Lessinia: “Negli ultimi anni si stanno riscoprendo molto le regionalità. Nel mio film, i paesaggi sono quasi un personaggio aggiuntivo - aggiunge il regista - I luoghi del Po, le case dei pescatori, le sagre, le ex-balere ormai in rovina”. Il risultato è una fiaba mo-
derna, dura, realistica, a tratti cruda. E politica: “La regia è molto faziosa, nel senso che sta dalla parte della protagonista: non lo dice, ma lo fa vedere e lo fa capire. Il cinema è questo: non potrà cambiare il mondo, ma magari può mettere in discussione certe idee”. Il prossimo lavoro sarà un film prodotto sempre dalla K+ e tratto dal romanzo di un autore veronese. Ma se ne riparla nel 2023.
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Luca Matteazzi
Il personaggio. Corrado Ceron, 42 anni, è il regista vicentino che ha firmato “Acqua e anice” opera prima di grande successo
Corrado Ceron con Stefania Sandrelli e Paolo Rossi e nell’altra foto assieme alla troupe che ha girato “Acqua e anice”
Il broccolo fiolaro fa furore a Tokyo
Etre. Dall’inizio della pandemia la sagra del broccolo fiolaro di Creazzo rimane chiusa per il terzo anno di seguito. Quest’anno, però, il maxi-evento gastronomico in cui si era trasformata la manifestazione è stata riproposta dalla pro loco creatina in forma ridimensionata, con una cena su prenotazione, per un massimo di 200 commensali. Scherzo, comunque, non da poco per una manifestazione che all’ultima edizione, nel gennaio 2020, registrava circa 15 mila presenze nell’arco di due settimane.
IL PROTAGONISTA
Il broccolo fiolaro, dal canto suo, se la passa piuttosto bene. Da Reggio Emilia ad Ascoli, da Modena a Tokyo i il broccolo è richiesto per la ristorazione e se ne vuole sempre di più. Alberto Maccagnan, che è solo uno dei produttori di Creazzo, in attività dal 2010, spiega che nel 2021, oltre al mercato nazionale nel quale ha piazzato 3500 chili di broccolo, ai ristoranti stellati di Tokyo ne ha venduta più di mezza tonnellata. E per quest’anno l’obiettivo più che realistico è di arrivare a venderne almeno una. Insomma, fuori dalla sua patria il broccolo fiolaro va alla grande.
L’OSTACOLO
“Per quanto possa sembrare assurdo – spiega Michael Knapton, storico di professione, inglese giunto a Creazzo nel 1985, neopresidente della pro loco di Creazzo – qui siamo ancora ostaggi del covid. La nostra sagra cade a gennaio, periodo ideale per la maturazione e raccolta del broccolo, ma anche per la diffusione del virus che pare non volersene andare”. La preoccupazione principale è quella di investire migliaia di euro nella preparazione di un grande evento senza prospettive sicure di riuscire quantomeno pareggiare i conti. “Finché il clima è incerto non possiamo rischiare di mandare il bilancio in profondo rosso”, sottolinea Knapton.
UN NUOVO CORSO
Ma la storia è a metà. L’altra metà è che le forze a disposizione degli organizzatori sono ridotte. In primavera la vec-
Stagione di qualità, ma la paura del covid blocca le maxi iniziative. Restano le prospettive positive del commercio, non solo in Italia. Il produttore Maccagnan: “Puntiamo a esportare una tonnellata di ortaggio in Giappone”
chia dirigenza si è dimessa e ora i nuovi collaboratori stanno imparando il mestiere dai veterani ma non c’è, per ora, la certezza di disporre delle cento e più persone che si mobilitavano come volontari per le edizioni passate. Su parecchi collaboratori di quegli anni non si può contare, un po’ per i raggiunti limiti di età, un po’
per l’aria incerta che si è respirata per l’emergenza covid che ha scoraggiato alcuni di loro. “Abbiamo perso un bel po’ dell’esperienza dei collaboratori più anziani – sottolinea il presidente – e ci siamo accorti di essere troppo pochi. Quella manifestazione, al momento, è una cosa più grande di noi”. Almeno per quest’anno, dun-
que, una delle sagre più in vista del vicentino, si ritrova senza le certezze necessarie per essere rilanciarla così com’era.
LA PRO LOCO
Per il futuro c’è da sperare perché i soci tesserati sono comunque più di duecento. Il nuovo direttivo sta riallacciando i rapporti con altre realtà associative di Creazzo che in passato collaboravano per la riuscita dell’evento. A gennaio, inoltre, la pro loco prevede un’iniziativa di coinvolgimento delle scuole di Creazzo alla scoperta del broccolo, e organizza anche una passeggiata nei luoghi di coltivazione, un prodotto che anche il celebre Goethe, si narra, ebbe modo di ammirare durante la sua visita a Vicenza. Peccato sia una bufala: Goethe visitò Vicenza nel settembre del 1786, il broccolo si raccoglie sin dalla notte dei tempi da inizio dicembre in poi.
Roberto Meneghini
22 www.ilvicenza.com Tradizioni vicentine
L’evento. Per il terzo anno cancellata la sagra da migliaia di persone a Creazzo: solo una cena da 200 persone. E intanto…
Il produttore Alberto Maccagnan e Michael Knapton, storico e presidente della Pro loco di Creazzo
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“Ho conosciuto Meneghello grazie a Brera”
studente e appassionato di sport. Sul “Guerin Sportivo” lessi nel 1963
articolo di Brera che lodava questo libro appena uscito. Acquistai subito il libro e l’autore per me, così come il giornalista, trovò un posto nel mio cuore”
S
viluppando in modo personale un’iniziativa accademica dell’amico Emilio Franzina, desidero ricordare il mio incontro con Gigi Meneghello. “Libera nos a malo” è pubblicato nel maggio del 1963 quando frequentavo la quarta ginnasio. A quei tempi il mio stato di studente si affiancava a quello dello sportivo. Ero un giovane calciatore innamorato del Lanerossi nonché centravanti della scuola e atleta di salto in alto. In realtà la mia vera vocazione era (e sarebbe stata) la pallacanestro. Un autentico sportivo allora non poteva non leggere il settimanale il “Guerin Sportivo”, in formato lenzuolo, costo 150 lire. Il Guerin - fondato nel 1912 e ancora vispo nelle edicole - mi ricorda, con rispetto parlando, il vicentino “Il sospiro del tifoso”. Giornali che parlavano sì di sport, ma cultura, società e politica trovavano
ampio spazio. Nel Guerin vi scrivevano Bruno Slaviz, Luciano Bianciardi (mi piaceva da morire), al quale proprio il Robinson di Repubblica ha da poco dedicato quattro pagine, Italo Cucci, Aldo Giordani, il vignettista impareggiabile Marino, ma soprattutto lui: il re dei re dei giornalisti, il mio amato Gianni Brera.
Mi piaceva del Gioan la sua vena polemica, la sua corrosività, la fine ironia, l’inventiva nel coniare neologismi, alcuni diventati leggendari. Nacque con lui un rapporto di passione e di ammirazione. In un numero del “Guerin” gli furono domandati da un lettore i titoli dei dieci libri della letteratura italiana che avrebbe salvato. Gianni citò “Libera nos a malo”, uscito da poco. Detto da lui, il libro venne presto in mio possesso: copertina verde, Editrice Feltrinelli, primissima edizione. Come ha detto Emi-
lio Franzina all’Odeo olimpico, fu una folgorazione, sia per lui, cui mi lega un sodalizio intramontabile da sessantatré anni, sia per me.
Luigi Meneghello diventò il mio scrittore numero uno. Ma a distanza di anni mi sorgono alcune domande. Come fu possibile che un padano come era Brera fosse riuscito a impattare in un autore sconosciuto, veneto e non lombardo? Brera, oltre all’incombenza del Guerin scriveva per “Il Giorno”, per anni il mio quotidiano. Fu autore di una fecondità oserei dire paragonabile a quella di Eugenio Scalfari. Sempre mi sono chiesto dove questi mostri sacri del giornalismo trovassero il tempo per comporre libri, vista la mole dei loro impegni. Un giorno dopo la morte del padre, Paolo Brera dichiarò che suo padre non dormiva mai. Rincasava a ora tarda - allora i giornali
costringevano a orari serali nefandi - mangiava qualcosina e si metteva a leggere un libro. Secondo lui suo padre riusciva a leggerne uno a notte: mente prodigiosa, memoria di ferro. Ahimè! A me capita che tutto quello che leggo di notte il giorno dopo evapora come neve al sole.
Ma poco importa come il “GioanBrerafuCarlo” sia arrivato a Meneghello. Importa che lo abbia messo nella sua personale classifica degli immortali. E questo si capisce bene. Le affinità tra i due sono di una evidenza solare. Ambedue
maestri di stile espressivo, di genialità, di creatività. Unici nella ricerca lessicale e nell’uso del dialetto. Due intelligenze straordinarie, due singolari fratelli, due amori letterari imperituri a me carissimi.
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L’anniversario. Per i cento anni dello scrittore, un ricordo curioso di Pellizzaro dell’uscita di “Libera nos a Malo” nel 1963
“Ero
un
Sopra, lo scrittore Gigi Meneghello e sotto il giornalista Gianni Brera
Roberto Pellizzaro
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Fine d’anno, tempo di bilanci. C’è chi festeggia, chi ha un sorriso a mezza bocca e chi spera che il 2023 porti miglior fortuna. I brindisi di Capodanno non potranno che essere scintillanti per Fratelli d’Italia che viaggia con percentuali superiori al 30% e che il giudizio positivo degli elettori – così com’è certificato dai sondaggi – non faranno che aumentare. Nel Veneto il partito di Giorgia Meloni ha ottenuto un risultato maggiore rispetto a molte Regioni: tutto fa pensare che apparterrà a Fratelli d’Italia il nuovo governatore. Del resto, difficile ipotizzare un capovolgimento in una Regione che di sinistra non è mai stata.
La Lega ha dimezzato i suoi voti nel Veneto attestandosi al 14%: il bilancio vira al rosso e non c’è granché da brindare. È vero che il partito di Salvini si consola non solo con la partecipazione al governo ma anche intestandosi vari successi del governo (il tetto al Pos, i
#Regione
Il Punto
Chi brinda e chi no
di Antonio Di Lorenzo
contanti, la revisione radicale del reddito di cittadinanza…) grazie all’attivismo del leader. Ma è indubitabile che una stagione per la Lega si sia conclusa, quella del partito che viaggiava a percentuali stellari. Ormai nell’elettorato di centrodestra la Lega è stata in gran parte sostituita dai Fratelli di Giorgia Meloni.
E deve anche riflettere sulle battaglie interne delle correnti, che, negate da tutti, in realtà esistono e combattono. Non è domo il leader Bossi, non lo sono nemmeno coloro che fanno riferimento a Luca Zaia, anche se adesso il gruppo è indicato come “marcatiani”. Sta di fatto
che, nella competizione interna, e come è stato sottolineato da tutti gli osservatori, Salvini non ha dato spazio nelle liste a Zaia e il vincente tra i due appare il segretario federale, noto per essere un uomo che non molla mai.
Zaia, dal canto suo, mentre evoca l’unità in questa stagione congressuale della Lega, può vantare a livello amministrativo di aver risparmiato ancora ai veneti l’applicazione dell’Irpef regionale, come pure era stato paventato. Ma soprattutto, se le cose seguono la strada intrapresa, potrà incassare il successo dell’autonomia differenziata. Anche se servirà un anno.
Il Pd, batostato in quasi tutta Italia, nel Veneto mantiene la sua percentuale del 16% e non è crollato. Non è poco. Mantenere le posizioni è già un successo quando il mondo attorno si disfa. Anche il partito del segretario Andrea Martella può alzare un calice. Ma uno solo. Del doman non v’è certezza per il Pd.
Carenza medici di famiglia in Veneto “Investimenti su formazione e incentivi”
Sul fronte della sanità regionale il 2022 si chiude come si era aperto: a tenere banco è la carenza di personale medico, negli ambulatori di medicina generale come negli ospedali, in particolari nei pronto soccorso. Tra la fine di dicembre e gennaio sono previsti ulteriori pensionamenti dei medici di famiglia, il che significa altri posti scoperti e disagi per le comunità, soprattutto quelle più piccole e isolate. Negli ospedali intanto ci si interroga sul destino di alcuni servizi e reparti, dove la presenza di personale medico è garantita dai “gettonisti” di aziende private attraverso convenzioni. La Regione Veneto, attraverso l’assessore al sanità Manuela Lanzarin e il capo della direzione Sanità e sociale Luciano Flor (quest’ultimo prossimo a passare il testimone per l’imminente pensionamento) non fa che sottolineare “la costante attenzione attraverso ogni ini-
ziativa utile, anche presso le sedi nazionali preposte”.
“La carenza di medici è una criticità che investe l’intero territorio nazionale, causata da un’errata programmazione a livello nazionale che ha determinato il cosiddetto ‘imbuto formativo’ – precisa Flor -. Una situazione a cui si sono aggiunti gli effetti dell’emergenza COVID-1 9 prima e del post pandemia poi, determinando criticità assistenziali e l’adozione di normative specifiche temporanee non sempre coerenti con il contesto normativo generale e con distorsioni a livello di mercato del lavoro”.
A fronte di questa situazione i vertici della sanità veneta assicurano di aver provveduto il più possibile ad aumentare il contingente dei medici ammessi a frequentare il corso di formazione in medicina generale. “Il numero di posti messi a bando nel triennio 2021-2024 - aggiunge For - risulta infatti
più che triplicato rispetto al triennio 2020-2023, passando da 128 a 433 posti: in particolare rispetto alle 85 borse di studio ex bando ordinario attribuite al Veneto nel 2020 si è passati alle 240 previste nel 2021, a cui ne sono state aggiunte ulteriori 66, grazie ai fondi messi a disposizione dal PNRR per un totale di 306 borse di studio. Intanto la Giunta regionale ha approvato il bando di concorso per l’accesso al corso triennale di formazione specifica
in medicina generale per un totale 353 nuovi medici di medicina generale nel triennio 2022-2025”. La Regione, inoltre, ha previsto specifici ulteriori finanziamenti a copertura dei costi sostenuti dai medici di base che hanno aumentato il numero di assistititi, sia per i collaboratori di studio che per il personale infermieristico.
Dal Consiglio regionale, intanto, il gruppo del Partito Democratico allarga lo sguardo al prossimo biennio
e manifesta preoccupazione: “Il 2023 e il 2024 saranno gli anni-record per numero di medici di medicina generale operanti sul territorio veneto che lasceranno l’attività lavorativa per andare in pensione. - afferma il capogruppo Giacomo Possamai - Un fenomeno che, guardando al lungo periodo, porterà a una fuoriuscita di oltre 1.900 professionisti in meno di quindici anni. Sulla formazione di nuovi medici il Veneto appare in forte ritardo, addirittura all’ultimo posto se si considera il criterio del numero di borse di formazione per ogni 1.000 abitanti”. I consiglieri del Pd chiedono investimenti per rafforzare il fronte degli ambulatori e quello del personale di segreteria e infermieristico, a sostegno dei medici, incentivi ai medici che lavorano e scelgono di lavorare in aree disagiate, assieme alla predisposizione di un adeguato numero di borse per la formazione.
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Il confronto. La Regione assicura il “massimo impegno” per aumentare gli organici
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Luciano Flor, responsabile della Direzione Sanità e Sociale della Regione
Valori, determinazione e sorriso: “Porto la voce della mia generazione”
Dopo l’emozionante debutto in Parlamento il lavoro sulle emergenze attuali: “Sento grande la responsabilità, ci sono delle urgenze comuni che attendono risposte, ma i provvedimenti del Governo sono inadeguati”
a mia generazione è la grande assente, in Parlamento: il Partito Democratico ha scelto di rappresentarla e per questo sento la grande responsabilità di provare a portarne la voce.” Così Rachele Scarpa, trevigiana, 25 anni la più giovane Parlamentare della Repubblica Italia si presenta al suo debutto sugli scranni di Montecitorio. Un’emozione unica associata, però, ad una grande determinazione, a dei valori non negoziabili e ad un sorriso che in questa strana campagna elettorale in molti hanno imparato a conoscere e ad apprezzare.
“I temi – spiega l’Onorevole Scarpa - che stanno a cuore a me e ai miei coetanei sono chiari, li portiamo nelle piazze da anni: politiche coraggiose in difesa dell’ambiente, lotta alla precarietà e al lavoro povero, una maggiore considerazione della salute a tutto tondo, anche quella psicologica, emersa come grande difficoltà a partire dalla pandemia. Su quest’ultimo tema ho voluto agire subito. Serve una grande consapevolezza tra tutte le parti politiche sul fatto che la salute mentale è salute e che non può essere un lusso di chi se lo può permettere: per questo ho voluto far nascere un Intergruppo parlamentare dove avviare una discussione
trasversale e porre una nuova luce su un problema diffusissimo ma silenzioso.”
Un avvio subito estremamente concreto quello di Rachele Scarpa che a poche settimane dall’insediamento si è subito messa al lavoro rendendosi protagonista già di molti provvedimenti. “Non è solo alla mia generazione, però, che voglio parlare: ci sono delle urgenze comuni che richiedono risposte: il costo della vita, i salari che non crescono da trent’anni, la drammatica assenza dei medici di base nel nostro territorio, l’inquinamento della nostra aria e della nostra acqua.”
“Sono tutti problemi – continua l’Onorevole PD - Che non trovano risposte nell’attuale manovra di bilancio, in cui spiccano l’inadeguatezza delle misure di contrasto alla crisi energetica e alle tensioni inflazionistiche e l’iniquità delle iniziative, di natura fiscale e non, nell’ambito del lavoro, della lotta alla povertà e in campo pensionistico.
Si accentueranno i divari tra cittadini e territori avvantaggiati e svantaggiati: in uno scenario in cui l’inflazione si avvicina al 12% e il paese va verso la recessione, si risponde con la completa eliminazione dell’unica misura destinata alla povertà, con una sperequazione nella tassazio-
ne sul reddito tra lavoratori dipendenti e autonomi, col ritorno dei voucher, con un taglio insufficiente e non strutturale del cuneo fiscale, con misure sulle pensioni limitate al 2023, regressive e discriminatorie (come Opzione donna, ridotta e legata al numero dei figli). Sull’ evasione fiscale, tra tetto al contante, stralcio delle cartelle, e possibilità degli esercenti di rifiutare i pagamenti in carta sotto i 60 euro, torniamo indietro di 15 anni. Allarmanti sono anche le assenze, in questa manovra: mancano glii investimenti in ambiente, istruzione, sanità. Quelli che per noi sono i pilastri di una società che funziona e cura i cittadini subiscono un grave disinvestimento, dove non tagli. La direzione in cui andare è opposta: salario minimo, sostegno alle imprese che promuovono la sostenibilità e vanno e verso la conversione ecologica, investire sulla medicina di prossimità, più risorse in istruzione e ricerca, un fisco più equo. Solo così garantiremo la dignità delle persone, in tutti gli aspetti della loro vita. Dignità è vivere in un ambiente salubre, senza dover temere il prossimo disastro climatico. È accedere ai servizi a prescindere dalla propria disponibilità economica, o dalla zona di residenza: sanità, psicologo
di base, ma anche servizi per l’infanzia o trasporto pubblico. È lavorare e non rimanere poveri lavorando, è dare a tutti la possibilità di progettare liberamente il proprio futuro con studi e formazione adeguati e accessibili. È avere un tetto sopra la testa e un salario adeguato. Anche nel nostro Veneto tutto ciò va portato fortemente in luce, queste infatti non sono utopie: sono il minimo indispensabile, e lo difenderemo infaticabilmente, dentro e fuori dal Parlamento”.
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“L
Rachele Scarpa. La giovane deputata si racconta e sottolinea tutte le mancanze della manovra di bilancio
La neo deputata Rachele Scarpa davanti a Montecitorio e fra la gente
“Attenzione a truffe e raggiri, in aumento con il caro bollette”
Sono sempre più numerose le segnalazioni che arrivano alle forze dell’ordine da cittadini alle prese con l’emergenza truffe e raggiri. Episodi particolarmente odiosi perché le vittime sono spesso persone anziane. Carabinieri e amministrazioni locali hanno intensificato nelle ultime settimane le attività di informazione alla cittadinanza e le associazioni a difesa dei consumatori sono sempre più impegnate in attività di orientamento, soprattutto in un momento in cui il caro bollette spinge i più spregiudicati ad allettare con proposte all’apparenza vantaggiose su energia, acqua e telefonia, che nei casi peggiori si trasformano in vere e proprie truffe. Ne parliamo con Davide Cecchinato, presidente di Adiconsum Veneto.
Presidente, qual è la situazione nella nostra regione? “Purtroppo ogni settimana i nostri sportelli raccolgono
denunce di raggiri per la vendita di merci, ma anche per la fornitura di servizi. Gli argomenti utilizzati dai malintenzionati sono i più disparati, e sono anche molto diversificate le tecniche per far cadere in trappola le persone. Un esempio è la cosiddetta “truffa del catalogo”: la persona viene contattata telefonicamente e poi raggiunta a casa per quello che sembra
essere un semplice ritiro di una tessera sconto per fare acquisti in un negozio locale. Si chiede quindi la sottoscrizione di un modulo di consegna che poi si rivela essere un vero contratto, magari con un impegno di spesa anche di parecchie migliaia di euro. Oppure è ancora molto in voga la vendita dei rilevatori di gas, soprattutto a danno degli anziani: viene affisso, nell’androne del condominio, un cartello, con scritto che di lì a breve ci sarà la visita di alcuni incaricati per il rilevamento delle fughe di gas negli appartamenti. La comunicazione è anche un po’ ambigua: sembra quasi che sia un obbligo di legge installare questi dispositivi, ma in realtà non c’è nessun obbligo. La cosa peggiore è che contestualmente viene richiesto il pagamento - solitamente loro sono dotati di bancomat - ed anche ottocento euro se ne vanno sedu-
ta stante per questa spesa”. Il caro bollette sta peggiorando la situazione?
“Certo. Un caso frequente è quello - che un tempo avveniva più tramite vendita porta a porta, mentre oggi soprattutto per telefono - dei contratti dell’energia elettrica del gas, con vari stratagemmi che fanno leva su un’offerta imperdibile. Viene carpito il consenso dell’interlocutore e concluso un contratto telefonicamente. E così ci si ritrova attivata la fornitura”.
Ma a cose fatte ha senso informare le forze dell’ordine o è già troppo tardi per rimediare?
“Il consumatore fa sempre bene ad avvisare le autorità, perché abbiano il polso della situazione. Però consigliamo di rivolgersi alle associazioni di consumatori, che hanno ormai acquisito una competenza e un’esperienza nel settore piuttosto corposa, e sono in grado di trova-
re le soluzioni più efficaci per ogni singola fattispecie. Il mio consiglio è di parlarne, denunciare, informarsi, mettere in campo la strategia di comunicazione e di tutela più ampia possibile, in modo tale che si eviti che passi del tempo, scorrano i termini e poi davvero non si possa più intervenire per rimediare la situazione”.
E la vostra associazione cosa fa sul fronte della prevenzione?
“Da questo punto di vista il nostro impegno è totale e portiamo avanti un programma di incontri nell’ambito dell’energia e dell’educazione finanziaria, per raggiungere quante più persone possibili e informarle sui loro diritti”.
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Regione
L’intervista. I consigli di Davide Cecchinato, presidente Adiconsum Veneto
Il presidente di Adiconsum Veneto, Davide Cecchinato
ASCOLTA QUI ZOOM, IL NUOVO PODCAST DI LA PIAZZA 24
Regione
L’iniziativa. I notiziari sono trasmessi da emettenti radio ma anche in streaming
La Piazza 24: l’informazione dà voce al territorio
Il 2022 ha segnato l’arrivo di un prodotto totalmente nuovo nel panorama dell’offerta di informazione in Veneto: non uno, ma ben quattro notiziari audio giornalieri con notizie dalle città della regione, siano esse capoluoghi o piccoli centri, con grande attenzione alla cronaca, all’attualità, alla politica e all’approfondimento.
I notiziari de La Piazza 24, trasmessi da numerose emittenti radio, ma anche in streaming e dagli smart speaker, raccontano ogni giorno il territorio con lo stile de La Piazza, che da oltre 28 anni ha fatto dell’informazione locale una vera e propria missione.
Lo fa attraverso un team di giornalisti, tecnici, speaker di alto livello. Una squadra che ogni giorno garantisce un prodotto che, mese dopo mese, ha riscontrato sempre maggior interesse e apprezzamento da parte del pubblico. “Il merito di un prodotto così valido è tutto del nostro team - racconta il direttore Giorgia Gay -. Nelle principali città del Veneto abbiamo giornalisti che quotidianamente ‘presidiano’ il territorio, dialogano con i protagonisti, raccontano ciò che accade con grande professionalità. La nostra redazione centrale, poi, raccoglie i principali fatti di cronaca, le interviste con esponenti politici e istituzioni per andare oltre la semplice notizia, proponendo approfondimenti pur nel breve spazio di un notiziario audio. La nostra sfida è proprio questa: fare più informazione possibile, nel miglior modo possibile, dando voce al territorio”.
Quattro appuntamenti quotidiani con notizie e approfondimenti, in presa diretta con i protagonisti
In redazione le notizie vengono aggiornate fino all’ultimo minuto possibile, per essere sempre “sul pezzo”. Ma non è solo la squadra dei giornalisti a rendere possibile la messa in onda del prodotto. Il team si avvale di un esperto in produzione che garantisce la messa in onda e la diffusione dei notiziari, la condivisione nei social network, l’analisi dei risultati e il rapporto con le emittenti. E poi ci sono le voci, gli speaker professionisti che si alternano al microfono. Senza dimenticare la rete vendita, ogni giorno “sul campo” per coinvolgere nuovi inserzionisti.
I notiziari sono trasmessi dal lunedì al sabato in Fm su “Radio Cafè”, “Radio Pocket”, “Radio Pico”, “Radio Clodia” e “Radio Attiva la voce del Veneto solidale”; nel sito www.lapiazzaweb.it e sulle principali piattaforme streaming: Spotify, Google Podcasts, iTunes, Apple Podcasts, Spreaker, Deezer, Amazon music, Audible, anche Alexa e l’Assistente Google.
Oltre ai notiziari, La Piazza 24 è anche approfondimento, grazie alle rubriche podcast di punta: “ilPunto Di Antonio di Lorenzo” e “Zoom” con Ilaria Morelli. Entrambe si possono ascoltare sia nel sito www.lapiazzaweb.it e sulle piattaforme streaming. “IlPunto” è uno spazio di
commento politico dedicato agli argomenti più caldi del panorama nazionale e locale. “Zoom” esplora invece l’attualità, per capire e raccontare al meglio il Veneto che viviamo ogni giorno, con un’intervista in ogni puntata a un ospite competente e autorevole. Senza dimenticare le rubriche “Salute” e “Scuola&Lavoro”, che si possono ascoltare sia sul web sia in fm: si tratta di spazi podcast dedicati agli ambiti della salute, del benessere, dell’estetica, dell’istruzione, delle università.
Con l’arrivo de La Piazza 24 è nato un vero e proprio sistema di comunicazione integrato, che ha aggiunto l’informazione audio a quella tradizionale dei mensili “La Piazza” e del sito “LaPiazzaweb”. E nel 2023 non mancheranno altre novità.
Ecco tutti i modi per
In radio
I notiziari su LaPiazzaweb.it, Radio Pico (frequenze 90.6) e Radio Pocket (107.7): dal lunedì al venerdì alle ore 8:30 - 11:30 - 17:30 - 18:30, sabato alle 8:30 e alle 11:30.
Su Radio Cafè (95.3): lunedìvenerdì alle 7.00 - 12.00 - 18.00 - 19.00, sabato alle 7.00 e alle 12.00.
Su Radio Clodia (103.6): lunedì - venerdì alle 8.30 - 12.00 - 18.00 - 19.00, sabato alle 8.30 e alle 12.00.
Su Radio Attiva la Voce del Veneto Solidale (AM 1278): lunedì - venerdì 6:55 - 08:40 - 11:40 - 17:40 - 18:40, sabato 6:55, 08:40 e 11:40.
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Basterà dire: “Alexa, apri La Piazza 24!”, “Alexa, chiedi a La Piazza 24 di ascoltare il notiziario!”.
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Puoi ascoltarci dal sito www.lapiazzaweb.it e tramite la nostra app “LaPiazza24” dall’App Store e da Google Play.
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Il Team de LaPiazza24, da sinistra: Giulio Segala, Ilaria Morelli, Giorgia Gay, Giuseppe Bergantin, Marta Zatta, Sara Busato, Calogero Gambino.
Salute
Salute
La campagna di comunicazione
Le regole per promuovere la salute
Regione e Ulss insieme per sensibilizzare la cittadinanza a stili di vita orientati al benessere
“Vivo bene”, una questione di… stile
Un
tam tam mediatico, che da un’azienda sanitaria all’altra rimbalza in tutto il Veneto. É la campagna di comunicazione che la Regione ha inserito come punto cardine nel Piano regionale prevenzione, con lo scopo di promuovere uno stile di vita sano. “Vivo bene”, dunque, non è solo uno slogan: vivo bene, mangio in modo sano, mi muovo, evito comportamenti rischiosi, presto attenzione nei luoghi di lavoro per promuovere la mia salute.
É un’iniziativa di sensibilizzazione ed educazione alla salute rivolta alla popolazione che, nel tradurre le linee guida del Piano regionale di prevenzione, si propone in un messaggio di raggiungere tutti, senza distinzione di età, sesso e condizione.
La medicina che si occupa di preservare la salute, e non solo curare la malattia, rappresenta un po’ l’orizzonte cui guardare in questo approccio che parte dal presupposto che la salute è il risultato di uno sviluppo armonico e sostenibile dell’essere umano, della natura e dell’ambiente.
Prosegue alla pag. seguente
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DICEMBRE 2022 on-line: /category/salute/
Salute
La tua voce per una sanità migliore Le regole per promuovere la salute
Pianificare e progettare insieme un sistema sanitario di qualità, attraverso le valutazioni di tutti gli attori del sistema sociosanitario regionale
Il Piano regionale della prevenzione, approvato con DGR n. 1859 del 29 dicembre 2021, in attuazione al Piano Nazionale Prevenzione, ha durata di 5 anni e rappresenta il documento guida delle Aziende Ulss riguardo la prevenzione delle malattie e la promozione della salute.
In 5 anni il Piano si propone di creare e rafforzare ambienti favorevoli alla salute delle persone, cioè contesti che agevolino stili di vita sani, tra questi la scuola, i luoghi di lavoro, i comuni attivi, le comunità che promuovono la salute della famiglia nei primi 1000 giorni di vita. Il secondo obiettivo è quello di sviluppare percorsi integrati di presa in carico delle persone per il contrasto alla fragilità. Il terzo obiettivo è quello di contrastare le disuguaglianze in salute e sostenere l’approccio di genere.
“Veneto per la salute” è invece un protocollo d’intesa nato a supporto del Prp 2020-2025 e sancisce la collaborazione tra diverse direzioni regionali e altri enti esterni con l’obiettivo di promuovere il benessere, il diritto alla salute attraverso l’adozione, nelle proprie politiche, di linee strategiche coerenti con gli obiettivi dello stesso Prp. Le direzioni /Enti aderenti concorrono con le loro strategie alla creazione di ambienti favorevoli alla salute delle persone.
In queste settimane la campagna di comunicazione “Vivere bene” ha trovato ampia eco attraverso la pubblicazione di un video che sintetizza in pochi minuti le poche ma importantissime “regole” per promuovere, come singoli cittadini, uno stile di vita orientato al benessere psico-fisico.
Una sanità di qualità sempre migliore da costruire assieme, con il contributo di tutti, ascoltando la voce degli attori direttamente interessati, siano essi interni al sistema sanitario o cittadini che hanno ricevuto assistenza sanitaria. Con questo spirito si rinnova “La tua voce per una sanità migliore”, giunto alla terza edizione, un insieme di progetti che hanno la finalità di valorizzare il contributo, facilitandone la partecipazione, di cittadini e di tutti gli interlocutori della sanità nel progettare e realizzare un sistema sanitario di qualità. Prende così il via, a partire da dicembre, il “Sistema coordinato per la valutazione e la valorizzazione di qualità del Sistema Socio Sanitario Regionale (Sssr)”, della regione Veneto, allo scopo di promuovere ed implementare la valutazione dei servizi sanitari regionale tenendo conto di più punti di vista. I progetti si propongono di raggiungere più obiettivi. Intanto consolidare un programma regionale di rilevazione, analisi e valutazione dell’esperienza e della soddisfazione degli utenti del Servizio Socio Sanitario Regionale (Sssr). Quindi definire e consolidare strumenti di rilevazione di aspetti dell’assistenza che influiscono in misura importante sulla percezione che gli utenti hanno della qualità del servizio. E, per finire, consolidare un sistema condiviso e diffuso di gestione delle segnalazioni degli utenti dei servizi sanitari e socio sanitari, in forma di reclamo, suggerimento o apprezzamento-elogio.
Tutte le Aziende Sanitarie della Regione del Veneto sono coinvolte e prenderanno progressivamente parte attiva in alcuni progetti specifici.
A dicembre, e fino al 22 gennaio prossimo, ha preso il via l’Indagine di Clima Organizzativo, per una valutazione della qualità dal punto di vista interno sul clima delle Aziende, rivolto specificatamente ai dipendenti delle Aziende Sanitarie, quindi seguirà il Progetto PREMS (Patient Reported Experience Measures) per una valutazione della qualità dal punto di vista del cittadino, rivolto nello specifico ai pazienti che hanno avuto un ricovero in ospedale.
Poi Progetto PROMs (Patient Reported Outcome Measures) per la misurazione degli esiti e dell’esperienza con il percorso oncologico per il tumore maligno alla mammella riportati dalle pazienti, rivolto ai pazienti in cura allo IOV. Ci sarà anche il Progetto PaRIS (Patient-Reported Indicators) promosso dall’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico per una valutazione della qualità dal punto di vista del cittadino, rivolto nello specifico ai pazienti affetti da cronicità che hanno effettuato una prestazione specialistica.
Per la progettazione, la sperimentazione e il consolidamento di questi programmi Regione Veneto si avvale del supporto tecnico metodologico di Azienda Zero e la collaborazione del Laboratorio MeS (Management e sanità) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
“Vivere bene infondo non è difficile, soprattutto in una regione come la nostra che si prende cura dei suoi cittadini. Anche noi però possiamo fare la nostra parte” è l’incipit del messaggio.
Come fare allora? “Mangiamo sano, privilegiando la dieta mediterranea, e sempre nel rispetto della natura. Muoviamoci un po’ di più: possiamo andare al lavoro o a scuola a piedi o in bicicletta, salire le scale, invece di prendere l’ascensore, fare un po’ di ginnastica”.
Non vanno trascurati i consigli giusti, quelli del nostro medico su prevenzione e vaccini.
“Prestiamo più attenzione quando siamo a casa, in strada e in tutte le situazioni che tendiamo a sottovalutare, anche quando siamo impegnati nelle nostre professioni”, rappresenta un’altra buona norma da tenere in considerazione.
E naturalmente non trascuriamoci. “Controlliamo più spesso la nostra salute – è la sollecitazione - è utile per prevenire efficacemente le patologie croniche, evitiamo comportamenti scorretti e cattive abitudini che ci isolano e ci allontanano dalle cose che contano di più”.
“Se stiamo bene con noi, - è l’osservazione conclusiva - stiamo bene anche con gli altri perché anche la salute è un gioco di squadra. La nostra salute rende tutti più forti”.
Salute
una Rubrica autorevole di Educazione Sanitaria
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Salute
Violenza domestica. In sala operatoria all’Angelo di Mestre dell’Ulss 3 Serenissima
Tre donne ogni sei mesi ricoverate per gravi lesioni al volto
Un ceffone spezza la mascella della fidanzata quattordicenne. Un pugno scompone lo zigomo della compagna ventenne. Un gancio al mento lussa la mandibola della convivente quarantenne.
Sono tutte giovani. Sono tutte ricoverate nel reparto di Chirurgia maxillo facciale dell’ospedale mestrino dell’Angelo dell’Ulss 2 Serenissima. E sono solo i tre casi più recenti. Con traumi di questa gravità arrivano in sala operatoria a ritmo di almeno tre ogni sei mesi.
Tutte donne che prima di quell’ultima frattura, avevano già conosciuto la violenza domestica e che avevano cercato di andare oltre, prima di trovare il coraggio di confidarsi con i chirurghi che le hanno operate, insospettiti dalle fratture che ormai hanno imparato a riconoscere. “Ci siamo trovati i loro compagni violenti anche alle porte del reparto - dice il primario Michele Franzinelli -. E siamo riusciti ad allontanarli. Sembra un paradosso, ma quando le vittime non riescono e non possono
parlare, in molti casi la loro frattura al volto rivela un trauma prima che sia troppo tardi. Capita che mi dicano che sono cadute dalla bici, ma hanno una mandibola rotta senza abrasioni evidenti sul viso: è facile invece che siano state colpite da un violento manrovescio. Questo ci mette subito in allerta”.
Le lesioni alle ossa del volto riscontrate dai chirurghi maxillo facciali nel caso di violenza domestica sono di tre tipi.
La frattura all’angolo mandibolare prodotta con un pugno laterale. “Per questa procediamo con una riduzione della frattura utilizzando delle placche in titanio di osteosintesispiegano gli specialisti dell’ospedale di Mestre -. In molti casi con questo intervento c’è un recupero completo, in altri, nonostante la bravura di chi opera, la lesione dell’aggressore può provocare danni irreversibili ai nervi insieme alla perdita di elementi dentali”.
La frattura del complesso orbito mascellare zigomatico indotta da una
sberla o un pugno nella zona oculare. “Per ridurre la frattura, in queste circostanze pratichiamo un’incisione sulla palpebra inferiore, per riuscire a ruotare e rimettere in sede lo zigomo. Anche qui, nei casi più gravi, possono rimanere segni permanenti della violenza subita”.
Il blow out causato da un pugno nell’occhio, che produce la rottura della parete inferiore dell’orbita oculare e uno spostamento dell’occhio.
“In questi casi con un accesso transcongiuntivale o transpalpebrale recuperiamo l’osso del pavimento e lo riposizioniamo. Se questo non ha più tenuta, poniamo del materiale eteroplastico e favoriamo il ritorno dell’occhio alla sua posizione originale”. “Ma io ho sperato sempre che smettesse” raccontano quasi tutte al chirurgo maxillo facciale: spiega Cristina Ghirotto, che dell’équipe medica è colei che spesso riesce a guadagnare la fiducia delle vittime. “Molte volte sono donne completamente soggiogate dai loro uomini che le picchiano dove non si vede, le isolano dal resto
Mascelle spezzate, zigomi scomposti, mandibole lussate, orbite oculari fratturate.
Tutte vittime giovani curate nel reparto di Chirurgia maxillo facciale
del mondo, le privano di ogni autonomia, le controllano anche a distanza e le spingono a negare l’evidenzaspiega il medico -. Ci accorgiamo che vengono annullate psicologicamente. Alcune di loro una volta guarite, quelle che negano fino alla fine i torti subiti per paura, prima della dimissione sentono di non avere scelta e scappano segretamente con i loro aguzzini”.
Ogni giorno, e non solo nella Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, “i nostri specialisti ospedalieri, su questo fronte, sono sempre in prima linea, chiamati ad intervenire più spesso di quanto si possa imma-
ginare - spiega il direttore sanitario dell’Ulss 3 Serenissima Giovanni Carretta -. Il lavoro che si svolge con il territorio, con la rete delle associazioni anti violenza, con l’aiuto degli psicologi, degli assistenti sociali e delle case protette è importante ed è stato sviluppato in modo forte in questi ultimi anni. Purtroppo, rimangono numerosi i casi che inevitabilmente sfuggono alla rete dei servizi. Il nostro grazie va alle nostre équipe di professionisti di primissimo livello che si spendono nel modo migliore possibile non solo nella cura, ma anche nella sensibilità e nell’attenzione ai vissuti umani personali”.
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Sla, approcci innovativi per migliorare qualità e aspettative di vita dei malati
La ricerca “Symp-Als” si pone l’obiettivo di determinare il ruolo dei neuroni simpatici (NS) nella malattia, per conoscerla meglio e approdare a nuove opzioni terapeutiche
Un progetto di ricerca che ha l’obiettivo di migliorare qualità e aspettative di vita dei malati di Sla. “Symp-Als”, fra gli altri, è il progetto coordinato da Tania Zaglia, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e del Veneto Institute of Molecular Medicine (Vimm), che ha vinto il bando AriSLA 2022.
La Fondazione Italiana di ricerca per la Sla Ets, ha infatti stanziato un nuovo finanziamento di 883.800 euro per supportare lo sviluppo di sei innovativi progetti di ricerca.
“Symp-Als” si pone l’obiettivo di determinare il ruolo dei neuroni simpatici (NS) nella Sla e studiare quali aspetti della Sla possono essere attribuiti alla loro degenerazione.
Lo studio cercherà di correlare l’alterazione del sistema nervoso simpatico allo stadio della malattia e ai meccanismi che ne sono alla base per identificare nuovi biomarcatori diagnostici e bersagli terapeutici e comprendere se la modulazione dei neuroni simpatici possa rappresentare un’ulteriore opzione terapeutica per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da Sla.
La Sla è una malattia neuromuscolare caratterizzata da debolezza muscolare, paralisi e insufficienza respiratoria. Attualmente, i meccanismi alla base della Sla sono oscuri, e l’aspettativa di vita dei pazienti è solitamente di 4-5 anni dalla diagnosi.
Pertanto, la ricerca è focalizzata a comprendere i meccanismi di malattia, per identificare nuove ed efficaci strategie terapeutiche.
“Considerata per molto tempo ‘una malattia dei motoneuroni (MN)’, che controllano la contrazione volontaria dei muscoli, la Sla viene attualmente definita come ‘una malattia di diversi tipi cellulari’ - spiega la professoressa Tania Zaglia -. Tra questi, i neuroni simpatici possono rappresentare ulteriori cellule disfunzionali nella Sla, che partecipano alla progressione della malattia. Questa affermazione si basa sui risultati di studi recenti, inclusi i nostri, che dimostrano una disfunzione, nei pazienti affetti da Sla, nel controllo, da parte dei neuroni simpatici, della funzione di vari organi. Questo aspetto, tuttavia, non è ancora stato studiato in dettaglio.
I NS innervano quasi tutti i tessuti del corpo, compresi i muscoli scheletrici,
che sono gravemente compromessi nella SLA. Sono presenti nei nervi che contengono i motoneuroni, e innervano le cellule muscolari in prossimità del sito contattato dai MN.
Il ruolo dei NS nel muscolo è stato molto controverso ma studi recenti, compresi i nostri, dimostrano che la loro attività è cruciale per il mantenimento della struttura e funzione dei muscoli”.
“Su queste basi, - prosegue la professoressa Zaglia - ipotizziamo che i NS abbiano un ruolo nella Sla e rappresentino un potenziale bersaglio terapeutico. L’innervazione simpatica del muscolo e della cute, e parametri clinici della funzione dei NS, saranno valutati in una coorte di pazienti, in cura presso la clinica neurologica dell’Azienda Ospedaliera/Università di Padova”.
“I risultati della ricerca - è la conclusione - hanno dunque la potenzialità di migliorare le conoscenze sulla Sla e di determinare se la modulazione dei neuroni simpatici possa rappresentare un’ulteriore opzione terapeutica per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da questa drammatica malattia”.
Ricorrere alla sigaretta elettronica come alternativa meno dannosa per la salute, rispetto alle sigarette tradizionali, è una credenza che va sfatata. In effetti non è così, anzi.
Fumare sigarette elettroniche di fatto può causare danni simili al fumo di tabacco. Lo dimostra una recente ricerca dell’Università della California.
É quanto l’Uss 5 Polesana ribadisce anche attraverso la pagina Facebook nella campagna di sensibilizzazione sul tema dei giovani e la salute, in cui si riportano i risultati dello studio americano.
Un altro rischio delle sigarette elettroniche è che attira i giovani e prolunga comportamenti dannosi anche in chi vorrebbe smettere.
“Negli Usa - si legge - oltre 2,5 milioni di studenti delle scuole medie o superiori hanno utilizzato un dispositivo di sigaretta elettronica e il 10% degli adulti utilizza vaporizzatori”.
“Gli studi su fumatori di sigarette elettroniche - si conclude - hanno mostrato una diminuzione della produzione di ossido nitrico da parte delle cellule endoteliali rispetto ai non fumatori. Inoltre, chi fumava “e-cig” ha vasi sanguigni più “permeabili”, con maggior rischio di risposte infiammatorie, danni cellulari e malattie coronariche). Sia le sigarette elettroniche che quelle tradizionali, quindi, causano danni. Ma danneggiano aspetti diversi e pertanto il mix delle due può essere addirittura più rischioso”.
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Giovani e salute. Le sigarette elettroniche non fanno meno male del fumo di tabacco
Università di Padova. La Fondazione AriSLA premia il progetto coordinato dalla ricercatrice Tania Zaglia
La professoressa Tania Zaglia, seconda da destra
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Ecco il “miracolo veneto” di 500 anni fa
I brevetti di allora erano di poco inferiori alla “rivoluzione industriale” di duecento anni dopo. La mostra s’intitola “Acqua, terra, fuoco” e rivela il “dietro le quinte” del Cinquecento: senza le industrie e la ricchezza da loro prodotta, Palladio non avrebbe mai potuto realizzare palazzi, ville e fabbricati.
il “miracolo Veneto” che s’è realizzato cinquecento anni prima di quello avvenuto negli anni Sessanta e Settanta. Un “miracolo” economico che precede di duecento anni anche la rivoluzione industriale del Settecento. Lo rivela la raffinata mostra “Acqua, terra, fuoco” allestita al Palladio Museum fino al 12 marzo. Un dato per tutti spiega il concetto: nella seconda metà del Cinquecento, cioè nel Veneto palladiano, i brevetti sono di poco inferiori come numero a quelli che saranno registrati nel Settecento, cioè duecento anni dopo, durante la rivoluzione industriale. È l’indice di un boom certificato dal Senato veneziano, che dal 1474 aveva indicato una procedura per concedere i brevetti: “Se Palladio è riuscito a realizzare le sue meraviglie è certo merito del suo genio – spiegano gli
organizzatori – Ma anche, se non soprattutto, degli effetti di quel “miracolo economico” che nel Cinquecento portò il Veneto di terraferma ai vertici dell’innovazione tecnologica e della produttività europee”.
L’economia, insomma, ha posto le condizioni per cui Palladio è riuscito ad accontentare i suoi committenti. Che spesso erano imprenditori capaci e facevano funzionare le loro aziende. Ecco il senso del “miracolo veneto” cinquecento anni prima di quello che normalmente conosciamo. Questo il senso del lavoro di ricerca che è stato svolto in tre anni di ricerche in musei, archivi, biblioteche e anche sul campo, come si dice. Un lavoro finanziato dal Leverhulme Trust di Londra. La mostra è curata da Deborah Howard, dell’università di Cambridge, ma ideata e al-
lestita dal Centro internazionale di studi d’architettura, di cui è presidente Lino Dainese e direttore Guido Beltramini, mentre Howard Burns è presidente del Consiglio scientifico.
“La mostra mette in evidenza – spiega Beltramini – ciò che sino ad oggi era rimasto dietro le quinte. Attraverso dipinti, mappe, disegni, oggetti e modelli antichi fa scoprire le architetture del boom industriale del Veneto del Rinasci-
mento, vale a dire le fabbriche del Nordest di cinque secoli fa. Senza la ricchezza da loro prodotta, le ville e i palazzi di Andrea Palladio non avrebbero potuto prendere forma”. A simboleggiare questo concetto c’è… un albero, che non è in mostra bensì all’ingresso del palazzo. Quando dieci anni fa il Centro di architettura aprì il Palladio Museum a palazzo Barbaran da Porto, al centro del cortile fu piantato un gelso. Il significato era
chiaro: Palladio non avrebbe potuto creare nulla senza la ricchezza del tempo, che era prodotta in larga parte dalle seterie, frutto del baco da seta che si nutre di gelsi.
Le fabbriche del tempo sono raccontate negli spazi del Palladio Museum che spiega quell’industria fondata sull’energia dell’acqua. Era la forza motrice per concerie, mulini (per grano e riso), fonderie, cave, miniere, cartiere, forni per calce e mattoni.
È iniziata la campagna di fundraising del cinema Odeon dal titolo “2024: proiettiamo il nostro avvenire”. La novità più curiosa riguarda la possibilità di partecipare alla copertura delle spese per l’arredo della nuova Sala Lampertico (che è completa e funzionante) adottando una poltrona, con un’offerta a partire da 500 euro. In cambio, il nome del donatore sarà inciso in una targa all’esterno della sala in modo da lasciare a futura memoria l’elenco dei vicentini solidali con l’Odeon.
Come illustrato da Enrico Ladisa, direttore del cinema Odeon, e da Guido Zovico, coordinatore del progetto, in una lettera inviata a molti vicentini, gli interventi strutturali completa-
ti sono, appunto, la nuova sala Lampertico, la facciata della chiesa di San Faustino verso piazzetta Parise e il campanile. Gli interventi prossimi sono il rifacimento del tetto del cinema e la ristrutturazione dei servizi igienici, mentre è stato rinviato l’intervento sulla facciata laterale dell’ex chiesa verso contrà San Faustino.
La raccolta dei fondi (che – va ricordato – permette a ciascun donatore di recuperare fiscalmente il 65% di quanto versato grazie al meccanismo dell’art bonus) punta prima di tutto all’adozione delle poltrone della sala Lampertico. Fino ad oggi sono una decina le poltrone adottate, ma servono altre 40 persone che consentano di arrivare a quota 20mila euro e di coprire le
spese effettuate per il nuovo arredo. A iniziativa completata, i 50 nomi saranno ricordati in una targa all’esterno della sala.
Il rifacimento del tetto, diventato prioritario sulla base delle valutazioni dei tecnici, è stimato in 140mila euro. Il Comune ha assicurato un contributo di 30mila euro, pertanto restano da trovare 110mila euro. Per recuperarli, si punta su realtà economiche e imprenditoriali.
La facciata dell’ex chiesa di San Faustino (verso piazzetta Parise) che ospita il cinema è stata restaurata ma i conti non sono ancora in pareggio: servono 30mila euro e anche in questo caso sarà apposta all’esterno della facciata una targa con i nomi dei sostenitori.
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Il cinema Odeon vuole far adottare le poltrone della Sala Lampertico: sta cercando 40 “genitori“
È
Palladio Museum. A palazzo Barbaran da Porto una raffinata rassegna sulle fabbriche del Rinascimento nel Veneto
Il direttore del “Palladio Museum” Guido Beltramini e la curatrice della mostra Deborah Howard
Sartori, che splendido team con Seppi
A ndreas ha detto stop.
Già, all’approssimarsi del compleanno numero 39 (che festeggerà il prossimo 21 febbraio), il ragazzo “sottratto” alle piste da sci – come pretendeva il dna bolzanino – e approdato al tennis, ha deciso di non avere più niente da dare e, soprattutto, da chiedere all’amata disciplina. Andreasrigorosamente con la “s” finale – di cognome fa Seppi ed è stato uno fra i migliori specialisti a livello nazionale. I suoi numeri sono davvero da brividi: qualcosa come 1198 partite ufficiali di cui 808 nel circuito Apt che sarebbe quello che va per la maggiore, 67 presenze (di cui 66 consecutive) nei tornei del Grande Slam, una serie di “vittime” anche eccellenti, a cominciare da Nadal allora numero 2 al mondo battuto a Rotterdam nel 2008 per proseguire con Federer, freddato al terzo turno dell’Australian Open 2015. A impreziosire il suo curriculum il terzetto di trionfi Atp: sull’erba di Eastbourne nel 2011 e poi, nel 2012, sulla terra rossa di Bel-
grado e qualche settimana dopo sul cemento di Mosca, primo italiano in grado di imporsi su tre superfici diverse. A incorniciare il tutto, nel 2013, il posto 18 nel ranking mondiale, sua migliore performance in assoluto. Non si pensi però che quello di Seppi all’amato tennis sia stato un addio con qualche punta di veleno: perché il nostro non avrebbe visto un
insulto (eufemismo) ottenere una wild card nei tornei di Napoli e/o di Firenze, che invece l’ingratitudine federale ha invece riservato ad un paio di talenti emergenti del giro azzurro. Una mancanza di sensibilità che ha indispettito non poco il mite Andreas, che ha allora ripiegato per la passerella conclusiva sul challenger di Ortisei. Dove l’aria di casa ha restituito il sorriso a Sep-
pi, al di là dell’amarezza per la sconfitta col tedesco Hanfmann, circondandolo dell’affettuoso abbraccio e della riconoscenza infinita della moltitudine di parenti e amici radunatisi nella festosa circostanza. E lo sgarbo federale è stato allora, se non cancellato, passato in seconda fila. Ma la figuraccia, quella sì, resta. Il capitolo “amici di Andreas” non può prescindere da Massimo Sartori, il suo storico allenatore e suo insostituibile punto di riferimento. Hanno girato il mondo assieme, uno in campo a soffrire e battagliare, perché le sue non sono mai state partite semplici per definizione, l’altro a trasmettergli consigli e, per quanto possibile, serenità. Figlio di Alfredo, il popolare “Pistacchio”, il maestro che con Italo Guerra ha insegnato a generazione di talenti di casa nostra, Massimo Sartori ad un certo punto della sua vita ha deciso di prendersi cura in toto della carriera di Seppi. Li separano 17 anni (Massimo è del 1967) ma sono diventati comunque
amici, grandi professionisti, spesso complici. Certo, non c’è la controprova, ma è difficile pensare che Seppi sarebbe diventato… Seppi senza la discreta presenza del fedele Massimo al suo fianco.
Un’amicizia collaudata nel tempo, anche quando dopo il matrimonio Andreas era diventato “maricano”, trasferendosi a vivere e ad allenarsi negli Stati Uniti per poi riaffiorare a cercare gloria sui circuiti d’Europa e d’Italia, sempre con Sartori per quanto possibile a fargli da spalla. E ovviamente non poteva mancare la ricostituzione dell’accoppiata magica in quel di Ortisei, per la passerella di fine carriera e i festeggiamenti collegati. Sempre amici, grandi amici. Anche se adesso Seppi sogna l’America (“ho promesso a mia moglie che non farò il coach, non mi avrebbe permesso di girare il mondo”) e vuole aprire un ranch mentre Sartori proverà a sfornare nuovi talenti dalla sua Academy. Lunga vita alla splendida coppia.
Andrea Libondi
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Il personaggio. L’atleta di Bolzano chiude la carriera. L’ha allevato il maestro di tennis Massimo, figlio di Alfredo
Il maestro di tennis Massimo Sartori
“Opera terza”, ma è primo per sapienza
Una ricerca condotta con mano felice, che valorizza la tradizione con tocchi di felice inventiva. Il “raviolone” è una bellezza ed è valorizzato dal vino siciliano di Salvo Foti prodotto sulle pendici dell’Etna
Nomen omen. L’insegna del locale suggerisce un’idea di esperienza e affidabilità. Il nome, infatti, sta a indicare che siamo giunti alla terza tappa del percorso professionale e personale di Francesco Dal Santo, che gestisce il ristorante assieme alla moglie Agnese. Nella loro carriera, che dura da 35 anni, questo locale nella campagna di Zané (non preoccupatevi se il navigatore vi porta su una strada serrata) è finalmente la realizzazione di un sogno: dopo due locali in gestione, a Lusiana e a Grumolo Pedemonte, finalmente uno di proprietà. Questa cascina dei primi del Novecento, è ristrutturata con gusto e arredata con sobria eleganza. Il numero tre, del resto, ricorre nella loro filosofia: sono tre, infatti, anche i principi cui Francesco Dal Santo in cucina e la moglie Agnese in sala si ispirano nel loro lavoro: tempo, tradizione e tec-
nica. Adesso Francesco vuole aggiungere una quarta “t”: la tenacia. Ha ragione.
Francesco è uno dei cuochi più interessanti del panorama gastronomico. Nei piatti dimostra capacità ma anche brillantezza: regali dell’esperienza e del talento. Svolge un interessante lavoro di ricerca, condotto con intelligenza e mano sicura, che si trasforma in un menu vario e vivace. Molti i sapori locali ma anche pesce, come una squisita tartare di ricciola impreziosita dal lime o un salmone con guanciale di Sauris. E poi bigoli, d’inverno al broccolo fiolaro, gli gnocchi di patate viola, il cervo all’anice stellato, solomillo di pata negra.
Anche un piatto tradizionale della cucina vicentina è modellato secondo nuove intuizioni: nasce così il Baccalà “all’amatriciana”, passata di ceci e porro fritto. Insomma, si gusta l’elemento di novità
senza stancarsi (e staccarsi) dalla tradizione. Incuriosiscono anche i dessert, come la crema fritta alla veneziana con marmellata d’arancia amara. Per una cucina così ricca di sfumature, servono vini che sappiano valorizzarla. Un esempio è arrivato – in una recente serata – da “I Vigneri” di Salvo Foti, siciliano che coltiva 40mila viti sulle pendici dell’Etna, spingendosi fino a 1.300 metri. I suoi vini, per la loro mineralità ed elegan-
za, si adattano perfettamente ai piatti di Francesco. Basta provare il “Vignadimilo”, un bianco da uve autoctone “carricante” che ha esaltato un piatto di alto livello come il raviolone tutto tuorlo, cicorietta, scalogno, crema di patate e fiori d’autunno. Foti produce 35mila bottiglie coltivando cinque ettari: da segnalare anche il rosso “Vinudilice”, mix di granache, minnella e grecanico. Le sue sono vigne storiche, vecchie anche di cento
anni: tutto il lavoro si svolge a mano, senza macchine, che sarebbe perfino impossibile portare lassù. La serata è stata condotta dalla sommelier del locale, Marta de Toni.
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Enogastronomia
Il personaggio. Francesco Dal Santo è il cuoco del locale nella campagna di Zané che gestisce assieme alla moglie Agnese
Antonio Di Lorenzo
Francesco Dal Santo, il suo raffinato “raviolone” e l’etichetta del “Vignadimilo” di Salvo Foti. Milo è il paese di Franco Battiato
La famiglia Addams di Tim Burton non osa
che una serie tv, è un film in otto parti”. Quando Tim Burton presentò “Mercoledì”, in programmazione su Netflix, con queste parole, i timori di molti di noi iniziarono a concretizzarsi. Burton era uno degli ultimi registi cult a non aver ceduto alle lusinghe delle serie tv. Ci ha pensato Netflix, aggiudicandosi l’ambizioso progetto di ridare vita alla famiglia Addams con un adattamento live-action incentrato su Mercoledì da adolescente.
Tuttavia non bastano le valide interpretazioni di Jenna Ortega - la protagonista - di Catherine-Zeta Jones alias Morticia, e Gwendoline Christie nelle vesti della preside della Nevermore Academy a risollevare una serie che preferisce affidarsi agli stilemi di Riverdale anziché osare. Gli Addams sono stati la prima famiglia non convenzionale della storia della televisione. La loro forza sta nel capovolgere la prospettiva; un atto di ribellione che raramente questa serie compie fino in fondo.
Tim Burton - che firma la regia di quattro degli otto episodi - porta il suo tipo di immaginario sullo schermo, senza però conferire a Mercoledì quel tocco geniale che il pubblico gli riconosce da quattro decenni.
Non è il genere - quello del “coming of age” - di per sé a star stretto a Burton, quanto il fatto che questa serie tv abbia ben poco di innovativo rispetto a molti altri teen drama visti negli ultimi cinque anni.
L’introduzione degli Addams come famiglia di discendenza latino-americana è un elemento interessante, ma - anche qui - ci si sarebbe potuti spingere oltre. Gli showrunner sono del resto quelli di Smallville, come si evince dal loro modo di raccontare rimasto - a tratti - ancorato a quel tipo di serialità.
Sta di fatto che Mercoledì, con un po’ più di autoironia, avrebbe potuto giocarsela con “Le terrificanti avventure di Sabrina”, pastiche con cui condivide molti tratti.
Il problema è che, a differenza di quest’ultima, Mercoledì alza un po’ troppo il tiro e finisce per essere - come talvolta accade - il prodotto di un ostinatezza cinematografica che guarda alle serie tv come un qualcosa reinventare, anziché un linguaggio da apprendere. Con buona pace dell’algoritmo.
Verdone si divide in tre nella sua “Vita da Carlo”
dieci nuovi episodi da mezzora di “Vita da Carlo” - al debutto il prossimo settembre in streaming - il Carlo della finzione sarà alle prese con la realizzazione del suo nuovo film “Maria F”, tratto da un racconto del suo ultimo libro “La carezza della memoria” e ispirato a una sex worker che Verdone ha realmente incontrato in gioventù. Per interpretare il ruolo di sé stesso, la scelta di Verdone ricade sul cantante Sangiovanni (in una versione esagerata di sé stesso). Della giovane popstar Verdone dice: “Mi sembra uscito da un film di Godard, è straordinario”. Ludovica Martino è tra le new entry della seconda stagione, in cui “la politica è stata bannata,” sottolinea Verdone riferendosi alla prima parte in cui la storia verteva sulla candidatura a sindaco di Roma. Le riprese di questo film dentro alla serie tv danno adito ad una serie di incomprensioni ed equivoci che fungono da motore comico. “Da una sorta di 8 e 1/2 di Fellini, il progetto diventa per il mio personaggio qualcosa di devastante” anticipa Carlo Verdone. Girare una serie tv è un lavoro completamente diverso rispetto ai film, ha raccontato Carlo Verdone, coinvolto su più fronti. Oltre a essere protagonista e co-creatore della serie, l’autore si avvicenda dietro la macchina da presa insieme a Valerio Vestoso, che dirige la seconda unità. “Fare una serie tv è come girare tre film insieme,” ha detto Verdone, raccontando la sua giornata-tipo: la sveglia suona alle 5 del mattino e si lavora fino alle 19:30 circa. “Al di fuori del set non faccio più niente da settembre, da quando abbiamo iniziato a girare, conduco una vita quasi da monaco cistercense” scherza Verdone. Le riprese si alternano tra Fregene, Ostia e Viterbo. Gli interni sono stati realizzati negli Studi Videa, dove lo scenografo Giuliano Pannuti ha creato l’abitazione-epicentro della serie attingendo dalla vera casa di Verdone in via Lungotevere dei Vallati.
Nel cast saranno presenti anche Max Tortora (il migliore amico), Monica Guerritore (l’ex moglie), Stefania Rocca (nei panni della nuova fiamma di Verdone), Christian De Sica, Gabriele Muccino, Zlatan Ibrahimovic, Maria De Filippi, Maria Paiato e Mita Medici. Grande attesa per la reunion sullo schermo di Carlo Verdone e Claudia Gerini.
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a cura di Paolo Di Lorenzo
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