N. 46 dicembre 2012 - gennaio 2013
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I comaschi di successo di Annalisa Testa Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,20 + Mag € 0,30)
Gli studenti inventori di Sara Della Torre
E noi viviamo all’Alpe di Giuseppe Guin
L’editoriale di Diego Minonzio
Non buttare via i sogni ...dopo un anno di successi
Il problema è che passiamo troppo velocemente dall’età in cui diciamo “farò così” a quella in cui diremo “è andata così”. Questa folgorante battuta di Sean Penn in una scena di “This must be the place”, film di Paolo Sorrentino imperfetto e irrisolto, ma ricco di riflessioni intelligenti, calza a pennello con il tema che abbiamo voluto proporre ai lettori per il nostro Mag di dicembre, l’ultimo di un’annata che ci ha regalato un sacco di soddisfazioni. Vendite in aumento, conto economico ottimale, pubblicità in crescita nonostante i tempi durissimi: una bella soddisfazione per chi lo dirige e, quindi, un grande grazie al responsabile di redazione Giuseppe Guin, a tutti i nostri editorialisti e collaboratori e ai bravissimi agenti della concessionaria di pubblicità. Scusate la divagazione, ma i giornali sono fatti di persone e queste persone nei dieci numeri pubblicati nel 2012 hanno lavorato veramente alla grande. Bravi. Non buttare via i sogni, dicevamo. Perseguire con ostinazione, con testardaggine il “voler fare così” per evitare l’amarezza dei bilanci quando ormai è troppo tardi, i treni sono passati e non resta altro che rimuginare sul perché “è andata così”. E allora siamo andati a cercare tre situazioni esemplari, differenti per età e professione, ma che raccontassero allo stesso modo come si sfida il mondo per un ideale di vita, per realizzare qualcosa in cui si crede veramente. Annalisa Testa ha pescato sei comaschi doc che, senza rinnegare le loro radici lariane, sono andati all’avventura per l’Italia e l’Europa proponendo il loro talento, le loro invenzioni, la loro sensibilità. Con risultati fantastici che stanno lì a farci capire che se vuoi una cosa con tutte le forze, nessuna difficoltà è insuperabile. Sara Della Torre ci racconta invece di quattro ragazzini del Giovio che hanno inventato un robot in grado di filmare fino a sessanta metri sott’acqua. Leggetelo bene questo servizio: chissà a quanti di voi torneranno in mente quelle belle amicizie liceali, alcune vive ancora adesso dopo tanti anni, altre disperse nei gorghi carsici del torrente dell’esistenza, quell’atmosfera da “capitano, mio capitano” che, almeno in questo caso, ha prodotto un gioiellino tecnologico e, ne siamo certi, una gemma di esperienza di vita che i nostri quattro studenti non dimenticheranno mai. Un bravissimo anche a loro. E infine, il nostro Guin ha trovato tra le sue mille storie da romanzo, ma vere e documentate come mai, una famiglia - papà, mamma e due figli maschi - che ha mollato tutto per rifugiarsi sull’Alpe di Lemna. Silenzio, natura, perfetta solitudine durante il forzato isolamento invernale, capre, cavalli, un modo di essere che, a pochi chilometri da Como, sembra saltar fuori da un racconto di Buzzati con quei ragazzi che per andare a scuola usano la motoslitta, e che invece ci dimostra di come si possa vivere - e bene - in una maniera completamente diversa dalla nostra. Pensate bene a queste avventure, cari lettori, e se vi è rimasto qualche desiderio non esaudito, provate ancora a prendervelo: non è mai troppo tardi per togliersi un sassolino dalla scarpa. Buon Natale dal Mag. Ci rivediamo in edicola a febbraio.
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N. 46 DICEMBRE 2012 - GENNAIO 2013
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I comaschi di successo di Annalisa Testa Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,20 + Mag € 0,30)
Gli studenti inventori di Sara Della Torre
E noi viviamo all’Alpe di Giuseppe Guin
MAG - dicembre 2012 gennaio 2013
32 24 LORO CI CREDONO Storia di sei giovani che sfidano il futuro
7 L’EDITORIALE
di Diego Minonzio
13 DIECI BELLE NOTIZIE
di Maria Castelli
LE OPINIONI
19 «Pubbliche virtù»
di Michele Tortora
20 «Occhi sul mondo»
di Umberto Montin
22 «Donna di picche»
di Elena Colombo
23 «La borsa & la vita»
di Piercesare Bordoli
di Annalisa Testa
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GIOVANI INVENTORI Quattro studenti del liceo Giovio progettano un sottomarino di Sara Della Torre
SPECIALE NATALE 44
I RE MAGI PASSATI DA COMO Le reliquie transitate all’Hotel Tre Re di Daniela Mambretti
48 LA TAVOLA A KM ZERO Bastano i prodotti dell’orto e del giardino 38
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IL MIRACOLO DELLA VITA “Madonna del latte” Storie di madri e pellegrinaggi di Paolo Moretti
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COSì SI NASCE IN TERRA D’AFRICA Inaugurata la maternità di “Mehala” in Burkina
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DAI IN AFFITTO UNA CASA L’iniziativa della Fondazione Scalabrini per un alloggio a chi è in difficoltà
di Laura D’Incalci
NOI VIVIAMO ALL’ALPE La storia di Elena e Algo, isolati sui monti di Lemna. Una motosega e una capra incinta come regalo di compleanno, e i due figli boscaioli che d’inverno vanno a scuola in motoslitta. Qui all’Alpe di Lemna, con la prima anima viva che sta a parecchi chilometri di distanza, sono le stagioni che cadenzano le giornate. Elena Cossa e Algo Cantaluppi hanno cominciato dormendo in un fienile, senz’acqua, senza luce e con la mamma di lei, che le diceva: «Vedrai che andrai su a mangiare lucertole impanate». Lei ci è voluta andare lo stesso all’Alpe di Lemna e oggi questo è l’ultimo alpeggio sopravvissuto su questi monti, con dentro uno degli agriturismi più affascinanti. di Giuseppe Guin
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DIRETTORE RESPONSABILE
Diego Minonzio
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90 66 HAPPY DAYS
AL CHIOSCO Stroria di un piccolo bar che movimenta la notte di Nicola Nenci
72 C’è UN TESORO D’ARTE
Oltre 70 mila opere censite nella Diocesi di Como di Alberto Longatti
78 È RINATO UN GIOIELLO
Il recupero del pulpito con l’Accademia Galli di Antonio Marino
84 QUANDO LA MUSICA
FERMA IL TEMPO Viaggio nella casa museo tra dischi e spartiti antichi di Mario Chiodetti
90 MA NEL CUORE
IL LAGO La passione di Emma Tricca stregata da Bob Dylan di Alessio Brunialti
99 Campioni
di paralimpiadi L’esperienza dell’associazione “Nuotando... diversamente” di Laura d’Incalci
103 L’ANIMA
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DELLA BELLEZZA La sfida di Alma Cosmetics azienda tutta comasca di Serena Brivio
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RESPONSABILE di REDAZIONE
Giuseppe Guin tel. 031.582342 - 335.7550315 fax 031.582421 redmag@laprovincia.it g.guin@laprovincia.it
95 Eventi
108 La Recensione
OPINIONI Michele Tortora, Umberto Montin, Elena Colombo, Piercesare Bordoli
di Bernardino Marinoni
111 Eventi
SERVIZI
115 Eventi
Annalisa Testa, Sara Della Torre, Daniela Mambretti, Paolo Moretti Laura D’Incalci, Nicola Nenci, Alberto Longatti, Antonio Marino Mario Chiodetti, Alessio Brunialti
117 (S)fashion
di Serena Brivio
119 Navigazioni Lariane
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RUBRICHE
di Luca Meneghel
Maria Castelli, Bernardino Marinoni, Luca Meneghel, Carla Colmegna I consigli dello chef Massimiliano Conti, Marinella Meroni, Davide Meroni, Eugenio Gandolfi, di Massimiliano Conti Franco Brenna, Tiziano Testori Federico Roncoroni Grande schermo Vittorio Colombo, Francesco Angelini
di Bernardino Marinoni
125 Animali
TENDENZE E MODA Serena Brivio
126 Motori
FOTOSERVIZI Carlo Pozzoni, Andrea Butti
di Marinella Meroni
di Vittorio Colombo
REALIZZAZIONE GRAFICA
127 Vivere sicuri
di Davide Meroni
di Eugenio Gandolfi di Tiziano Testori di Franco Brenna
DIREZIONE CREATIVA Monica Seminati
129 Il bello della Salute
135 Scaffale
di Carla Colmegna
di Federico Roncoroni
di Francesco Angelini
IMPAGINAZIONE Barbara Grena Stefania Sperandio
129 L’aforisma del mese 130 Last minute
PUBBLICITà Sesaab servizi Divisione Spm Tel. 031.582211 STAMPA Litostampa - Bergamo Numero chiuso in tipografia il 30 novembre
Dieci belle notizie di Maria Castelli
COMO E LA FIRST LADY Michelle Obama, moglie del presidente degli Stati Uniti d’America, s’è rivelata ambasciatrice mondiale della seta di Como: nella lunga notte che ha decretato la vittoria di Barack Obama, la first lady ha indossato un abito firmato dallo stilista emergente Michael Kors. La pregiatissima materia prima per l’abito è stata fornita dalla Clerici Tessuto di Como e non è la prima volta che la seta dell’azienda comasca veste le donne più belle e più importanti del mondo. Ma non è tutto: una stola sfoggiata da Michelle Obama durante la campagna elettorale è di Ecotoosh, azienda di Parè fondata da Jacopo Geraldini. «Con il suo look anni ’50, la first lady ha rilanciato l’abito in seta e la sciarpa foulard, emblemi del distretto comasco», scrive Serena Brivio, giornalista di moda.
L’ITALIA CHE PIACE È stata riaperta con quattro giorni d’anticipo sul programma la galleria di Cernobbio interessata da lavori di ristrutturazione e di ammodernamento. Di solito, i cantieri pubblici sono in ritardo: stavolta, l’Anas, la Società appaltatrice, i tecnici, le maestranze hanno dato una prova eccellente di organizzazione ed è un caso raro. Ma gli aspetti positivi non finiscono qui. La fine dei lavori diurni (il cantiere procede di notte), è stata salutata da un coro di elogi per il servizio svolto dagli agenti della polizia locale e provinciale e dai volontari della Protezione Civile nei giorni dell’emergenza galleria. «Questa è l’Italia che piace», è il commento di Norberto Fasoli, rappresentante sindacale Cisl nella Rsu di Asf Autolinee. «Tutti, dal primo all’ultimo, hanno operato con impegno e hanno dato un esempio di buona organizzazione che fa onore a Como e alla Lombardia», ha aggiunto Cornelio Cetti, Confartigianato Imprese e Camera di Commercio. ‘
MENO SPRECHI, CIBO PIù SANO La crisi e una nuova sensibilità rendono meno spreconi e più creativi: il messaggio arriva da Trecallo. Sono diventati bravissimi in cucina i partecipanti al corso di risparmio sulla spesa e ai fornelli, organizzato dalla Cooperativa Sociale Corto Circuito, con Famiglie in Cammino e il Gruppo Acquisti Solidali Sant’Agata. L’obiettivo: preparare piatti stuzzicanti e genuini riutilizzando gli avanzi. Originali tante ricette, come il pesto al sedano, la pasta con la parte verde dei porri e i dolci con la buccia di zucca. Ed altri segreti svelati, come la cottura in lavastoviglie di cetrioli e peperoni, chiusi in barattoli ermetici.
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IL PRATO DEL GIORDANO Giordano Marantelli ha 60 anni, è pensionato e s’è preso l’impegno volontario di tenere in ordine i prati e le aree di proprietà della parrocchia dei Santi Donato e Giovanni Bosco di Caversaccio, la frazione di Valmorea in cui vive. Taglia l’erba, la semina, provvede alla pulizia e prepara gli arredi. Prende spunto dalla sua esperienza per una proposta : «Vorrei che altri facessero come me - dice - si renderebbero utili per la collettività, vincerebbero la solitudine e sarebbero impegnati mente e corpo».
UN ANTIDOTO COMASCO La Fondazione Minoprio, prima scuola ad indirizzo florovivaistico in Italia, ha festeggiato mezzo secolo di vita per lo sviluppo e la difesa del verde. Tra gli ex alunni, anche Elio Cortellessa, responsabile dei giardini vaticani e dell’altare della basilica di San Pietro ed è solo uno dei testimoni dell’eccellenza dell’istituto. Proprio in occasione della ricorrenza, un annuncio importante ha sottolineato i crescenti successi nella ricerca e nelle sue ricadute: nel laboratorio di Minoprio, in collaborazione con la cattedra di Entomologia Agraria dell’Università di Milano, è stato trovato l’antidoto naturale al tarlo asiatico che sta minando il patrimonio botanico. Finora, non c’era scampo: gli alberi di ogni specie attaccati dal tarlo dovevano essere abbattuti.
UFFICIO CHIUSO, SERVIZIO APERTO A Cermenate, l’ufficio postale chiude per un mese, a causa di lavori di ristrutturazione e di adeguamento normativo. Ma stavolta, i disagi saranno contenuti perché Poste Spa si è impegnata a rafforzare l’ufficio di Vertemate con Minoprio, al quale si rivolgeranno anche gli utenti dell’ufficio chiuso. E il Comune di Cermenate, per venire incontro ai cittadini anziani e privi di mezzi di trasporto propri, ha organizzato un servizio gratuito con un autobus navetta, su prenotazione. È un servizio che rappresenta la miglior risposta ad un disservizio, pur dovuto a cause di forza maggiore e che, in ogni caso, porterà migliorie.
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EROI PER CASO Quattro giovani stranieri hanno salvato la vita ad un pensionato di 83 anni che stava annegando nelle acque del lago circostanti il Tempio Voltiano.Tre amici spagnoli ed un francese stavano passeggiando in riva al lago, di sera, quando hanno notato un corpo umano galleggiare. Pierre, francese, non ha esitato a tuffarsi e a tentare di trarlo a riva, mentre gli amici chiamavano i soccorsi. Anche i carabinieri, intervenuti subito, si sono complimentati per la prontezza e il coraggio dei quattro ragazzi.
VOLONTARI PER UN SORRISO
TELEFONINI A FIN DI BENE
Medici di diverse specialità ed infermieri si prestano gratuitamente durante un week end al mese, oltre l’orario di lavoro, per “Un sorriso per tutti”, progetto di cure odontoiatriche a favore di bambini disabili ed adulti con disagi psichici. Il progetto è coordinato dall’Unità Operativa di Chirurgia maxillo facciale dell’ospedale Sant’Anna, con il contributo organizzativo della sezione comasca dell’Associazione Progetto Sorriso nel mondo, presieduta da Andrea Di Francesco, responsabile della Chirurgia maxillo facciale dell’ospedale di San Fermo della Battaglia. Gli operatori coinvolti sono circa cinquanta. «In un momento caratterizzato dai tagli e dalla crisi - ha detto il direttore sanitario del Sant’Anna, Giuseppe Brazzoli queste persone mettono a disposizione gratuitamente tempo e competenze. È un’iniziativa straordinaria».
A San Fermo della Battaglia, gli alunni della classe 3B della scuola media Marie Curie hanno studiato e realizzato una campagna pubblicitaria per dare una mano all’ambiente e far beneficenza. Con gli insegnanti Laura Verga e Franco Castronovo, hanno promosso la raccolta di cellulari usati. Una ditta specializzata li ritirerà, ne riciclerà le parti e alla Croce Rossa di San Fermo sarà devoluto un contributo.
LA GENERAZIONE DELLE IDEE Dai padri hanno imparato la creatività, l’impegno nel lavoro, la capacità di sfida quotidiana, hanno fatto tesoro delle doti familiari e hanno il futuro nelle loro mani: sono i figli degli artigiani brianzoli e rappresentano “la generazione delle idee”, com’è stata definita nell’ultima edizione della mostra dell’artigianato a Lariofiere di Erba. Trentenni o poco più, non si accontentano dell’eredità ricevuta, ma sviluppano nuovi prodotti, nuovi servizi, nuove collaborazioni: fatica, ma anche successo. «Il futuro è nelle mani dei giovani - ha sostenuto Ilaria Bonacina, 36 anni, presidente del Comitato della mostra - Non possiamo che compiacerci di fronte ad un ricambio generazionale vincente».
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Pubbliche virtù di Michele Tortora, prefetto di Como
Sicurezza e degrado urbano Ci si domanda spesso se le nostre città sono sicure. Talvolta, il quesito viene rivolto in modo provocatorio al cittadino, propenso a rispondere sulla base di una istintiva percezione dello stato di sicurezza. Se si guarda alle statistiche sulla criminalità, il trend è tutto sommato confortante: negli ultimi anni il tasso di delittuosità è andato complessivamente scemando, anche se si registrano incrementi di alcune tipologie di reato (furti) che destano particolare allarme sociale. Credo però che i dati statistici, se pure utili agli addetti ai lavori per capire l’andamento dei fenomeni e per programmare strategie incisive di contrasto, non sono sufficienti a rassicurare il cittadino che avverte un crescente sentimento di disagio. Dobbiamo farci carico anche della percezione di insicurezza e non solo perché essa potrebbe innescare fenomeni patologici in sé, come ci insegna la teoria della “profezia che si auto avvera” : si potrebbero ingenerare comportamenti che creano le condizioni per un effettivo incremento della delittuosità. In realtà la percezione di insicurezza è sintomatica di una situazione di malessere che ha radici profonde e che non può essere spiegata con i freddi numeri delle statistiche. A ben vedere, la sicurezza è un concetto complesso, che solo in parte è influenzato dalla probabilità di diventare vittima di un reato. La sicurezza riguarda anche la salute, la salubrità degli ambienti in cui viviamo, la solidità della nostra posizione reddituale, le prospettive di inserimento lavorativo dei nostri figli, la previdenza sociale, lo spessore delle nostre relazioni sociali e così via. Sicurezza significa anche vivere in un contesto urbano non degradato. La maggior parte dei cittadini non è tanto spaventata dalla eventualità di essere aggredita o comunque essere vittima di un delitto, quanto dalla esperienza di degrado che purtroppo si va sempre più diffondendo nei nostri centri urbani: parlo, ad esempio, degli urli e schiamazzi che spesso si verificano fino a tarda notte davanti a qualche pubblico
esercizio, ad ubriachi che molestano i passanti, a teppisti che imbrattano muri o divellono panchine. Non è un caso che la più recente normativa in materia di ordine e sicurezza pubblica ha accentuato il ruolo dei sindaci nell’azione di contrasto e prevenzione dei fenomeni di degrado urbano, nella convinzione che in questa direzione possono dare un contributo non secondario al mantenimento della tranquillità collettiva. Una città ordinata, pulita, curata sarà sicuramente meno “criminogena” di una città degradata. Il contrasto alla devianza impone certamente un’azione sinergica di carattere “militare” (più operatori delle forze dell’ordine in strada) e di prevenzione (città più curate). Tuttavia, tutto ciò potrebbe essere insufficiente, se non si agisce anche sul piano della più ampia condivisione di quei valori che formano la base del patto di cittadinanza. Non si tratta solo di affermare il rispetto formale della norma, ma anche la condivisione di un sentimento di comune appartenenza che ci induce a riconoscerci come parte della medesima comunità. In particolare, occorre valorizzare tutta quella straordinaria ricchezza presente nella nostra società che è costituita da associazioni ed articolazioni varie che operano in svariati settori: dalla assistenza e beneficenza, alla cultura, allo sport e al tempo libero, ognuna con la proprie caratteristiche, come si conviene a strutture che nascono dal basso per rispondere ad un bisogno della comunità. Queste associazioni rendono la società più forte, più coesa, in altre parole sviluppano anticorpi che servono a prevenire il degrado e la diffusione di comportamenti devianti. Un ultimo accenno alla cultura. Non parlo necessariamente della cultura con la c maiuscola, ma di ogni manifestazione che serva, anche attraverso il recupero della microstoria o di tradizioni popolari, a rafforzare l’identità della comunità: credo che sia un dovere delle istituzioni incoraggiare chi opera in questo campo. Fa bene a tutti, specie a chi ha a cuore la qualità della vita dei cittadini.
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Occhi sul mondo di Umberto Montin
I bambini in fondo alla cronaca Poche righe in fondo alle cronache. Ordinaria amministrazione nella sequenza dei fatti locali. Eppure si parla di bambini, un argomento che nella Cina del miliardo e trecento milioni di persone ha diritto di cittadinanza limitato, a cominciare dalle restrizioni alla natalità nelle stesse famiglie. Eppure che cinque bambini di strada abbiano trovato la morte per soffocamento, per il freddo o per il cibo avariato, dentro un cassonetto della spazzatura non può non far scoprire una realtà che sfugge ai più. è accaduto a Bijie, una città della provincia di Guizhou. Ma stavolta se ne parla e, come ha riferito un funzionario, perfino il governo segue le indagini. La tragedia dei bambini di strada non appartiene solo alle realtà più degradate dell’America del Sud, ma sono una delle altre facce nascoste del prorompente sviluppo cinese. Il fenomeno ha dimensioni gigantesche: sono centinaia di migliaia, qualche milione addirittura, secondo alcune stime, una frazione non indifferente di quelle decine di milioni di minori sfruttati per il lavoro più selvaggio o finiti nelle mani delle gang criminali. I cinque morti recenti sono solo la punta dell’iceberg. Ma Li, direttore di un centro di recupero per bambini di strada a Xuzhou, provincia di Jiangsu ha sottolineato come nonostante l’impegno del governo centrale per far fronte a questa piaga, gli sforzi non sono sufficienti. I centri di soccorso non hanno a lungo termine un modo efficace per aiutare questi bambini, in quanto possono solo fornire cibo e riparo per un massimo di dieci giorni. “Dopo di che, i centri di soccorso sono tenuti a mandare a casa questi bambini”, ha detto. Nel 2010 sono stati salvati 9 mila 400 di questi piccoli, ma è ancora troppo poco. Pechino ha autorizzato anche il
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prelievo del Dna per arrivare a una identificazione e quindi rimandare a casa questi neo-vagabondi o criminali in erba. Il nodo però è proprio nell’intento finale: questi bimbi non vogliono o non possono tornare dai genitori perché spesso sottoposti a violenze e abusi, o perché, semplicemente, i genitori non sono in grado di provvedere a loro. Dietro a un bambino di strada vi sono genitori migrati nelle caotiche megalopoli dove, per lavorare, sono costretti a “sacrificare” la cura dei figli. Altre volte l’abbandono è reale e anche l’affidamento a parenti o amici non dà risultati migliori. Un anno fa impressionò mezzo mondo il filmato finito in Rete sull’investimento di Yueyue, la bimba di due anni di Fochan, nel Guangdong, travolta in mezzo alla strada tra l’indifferenza dei passanti. Il corpicino rimase dieci minuti sull’asfalto senza nessuno che se ne curasse e fu investito una seconda volta da un’auto che lo straziò ulteriormente. Anche in quel caso Yueyue, affidata a parenti dai genitori emigrati verso le città a cercare lavoro, divenne un caso planetario e cominciò a rompere la cappa di silenzio ufficiale steso attorno ai bambini, ai loro abbandoni, allo sfruttamento lavorativo a cui sono sottoposti anche nella Cina moderna. «I genitori che vanno a lavorare fuori non hanno tempo per stare con i propri figli -aveva spiegato Zeng Jinhua, direttore del centro di ricerca e sviluppo per i bambini e i giovani del Guangdong - e non possono permettersi baby sitter, per cui questi ragazzi crescono per strada e sono esposti a continui pericoli». Così sono morti i cinque di Bijie, così è stata dimenticata senza soccorsi in mezzo a una strada Yueyue. La Cina della crescita continua, divora i suoi figli più piccoli. E li liquida con poche righe.
Donna di Picche di Elena Colombo Presidente “Comocuore Onlus”
Ci sta a cuore la prevenzione L’Associazione Comocuore è entrata nel pieno della maturità: nel 2013, infatti, festeggeremo i 28 anni di vita con un carnet di iniziative rivolte innanzitutto ai nostri soci e poi a tutta la popolazione del territorio lariano. In tutti questi anni, infatti, Comocuore ha puntato forte sulla sensibilizzazione e sulla comunicazione di un messaggio che per noi è imprescindibile: fare prevenzione. Le malattie cardiovascolari che ogni anno mietono centinaia di vittime anche in provincia sono da sempre al centro delle nostre attenzioni e le tante iniziative svolte in questi anni sono state calibrate proprio verso questa direzione. Ma se è vero che la prevenzione e uno stile di vita adeguato possono contribuire in maniera determinante a far virare verso il basso la triste curva dei decessi per arresto cardiaco, è altrettanto vero che in presenza di un soggetto colpito da infarto le sole strade percorribili sono la defibrillazione precoce e la rianimazione cardiopolmonare (RCP). Le drammatiche vicende che la cronaca ci ha riportato negli ultimi mesi dovrebbero indurci a riflettere e agire di conseguenza. La morte sul campo del calciatore del Livorno, Mario Morosini, dopo aver suscitato nell’immediatezza moti di incredulità e sgomento, ha lasciato il posto a reazioni non sempre adeguate e invece è proprio questo il momento di non abbassare la guardia. Non meno eclatante il caso di quell’uomo colpito da infarto sul treno Frecciarossa in partenza da Torino, che non ha potuto avere i soccorsi necessari dal momento che sul convoglio non era presente il defibrillatore. È proprio questa la missione - una delle tante - che Co-
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mocuore fin dalla sua costituzione sta portando avanti: la diffusione del defibrillatore in tutti quei contesti dove vi sia una concentrazione di persone. Parliamo di campi da calcio, centri sportivi, alberghi, sale cinematografiche, luoghi di culto, strutture pubbliche, uffici di varia attività, aziende private. La recente decisione del Governo Monti di rendere obbligatori per tutte le società sportive, sia professionistiche che dilettantistiche, la dotazione e l’impiego di defibrillatori e altri dispositivi salvavita rappresenta un importantissimo passo avanti in questo campo dove spesso regnano il deserto e la scarsa informazione. In tale ambito Comocuore ha siglato di recente un accordo con i vertici della Pallacanestro Cantù, dimostratisi estremamente sensibili verso il tema, per la dotazione di defibrillatori all’interno del palasport Pianella di Cucciago e, pochi giorni fa, ha consegnato un apparecchio salvavita alla società sportiva Briantea 84 che si occupa di promuovere e divulgare lo sport fra i giovani, con particolare riguardo a persone con disabilità. Inoltre la nostra Associazione, in sinergia con Banca Intesa San Paolo e in particolare con il direttore dell’area lombarda Pier Aldo Bauchiero, ha dato vita a un progetto che prevede - attraverso la vendita di sacchetti di noci - l’acquisto di una serie di defibrillatori che andranno a colmare lacune ataviche. Il defibrillatore, dunque, è ora più che mai al centro dei nostri pensieri e sarebbe bello se lo fosse anche per tutti coloro che hanno a cuore la salute propria e dei propri cari.
La borsa e la vita di Piercesare Bordoli presidente “Famiglia comasca”
L’amore per la nostra terra Fra pochi giorni sarà Natale, e come sempre, ci saranno momenti di gioia per molti, specie per chi ha in casa bambini e momenti di tristezza per chi è solo o per chi è in difficoltà. È tempo di bilanci relativi ad un anno difficile e a un futuro che appare incerto. C’è però un’alternativa: riflettere e sognare. Da piccoli sognavamo i doni, i dolci, sentivamo nell’aria il profumo dei mandarini che allora si mangiavano solo a Natale. Da adulto lasciatemi sognare una Como diversa, lasciatemi dire almeno in parte quello che penso, quale tributo verso la mia città in una notte di Natale piena di stelle. Ormai da parecchi anni faccio veramente fatica a riconoscere i comaschi. Popolo di frontiera, prudente, non facile ad aprirsi a terzi, ti accoglie solo dopo averti conosciuto a fondo. Lavoratore tenace, intraprendente, dotato di spirito di sacrificio. Deciso, coriaceo e comunque non facile da sottomettere. Ha sempre brillato per capacità manageriale a tutti i livelli. Abbiamo avuto cervelli eccezionali e anche uomini politici di valore. Questa fotografia ora è molto sbiadita! Dov’è finito l’orgoglio di essere comasco, la combattività, la capacità di lottare e vincere le proprie battaglie? Da troppi anni rinunciamo anche alla nostra immagine, perdiamo un’opportunità dopo l’altra: forse il benessere, l’agiatezza, la vita facile, hanno influito negativamente. Certo i risultati sono ben visibili indipendentemente dalla crisi economica attuale. Abbiamo rinunciato a tante cose e continuiamo a subire “l’intraprendenza” di altri che, invece di litigare, fanno squadra e raggiungono i loro obiettivi. Anche il passaggio generazionale
delle aziende è stato traumatico. Non mi sembra il caso di entrare nei dettagli ma di scelte sbagliate ne sono state fatte troppe. Mi rendo conto di aver detto cose che a qualcuno potranno dare fastidio ma, almeno una volta all’anno, guardiamoci allo specchio e facciamo un esame di coscienza. E poi occorre avere il coraggio di parlare per il bene della comunità. Come detto all’inizio, ho fatto alcune riflessioni: ora arrivo al sogno che ritengo possa trasformarsi in realtà. Ritrovare la voglia di fare e aguzzare l’ingegno per superare l’attuale situazione. Mettere da parte i personalismi esasperati e la litigiosità sterile. Scegliamo con cura chi ci deve governare ad evitare che si possa parlare di classe politica rissosa, incapace e presuntuosa che allontana anziché avvicinare il cittadino. Concludo il mio sogno con l’invito ad operare per amore della nostra terra. Nella notte di Natale diamo tutti insieme il via ad un ricostruzione morale e materiale della nostra Città. Buon Natale
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LORO
CI CREDONO
Francesco Corbetta (fotografo) Stefano Annoni (attore), Simona Trombetta (artista orafa), Carlo Cantoni (cantante lirico), Marco Fusi (musicista e compositore).
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di Annalisa Testa
Stefano Annoni: personaggio magico
Sono nati a Como, ma le loro facce, voci, creazioni e note hanno girato l’Italia, l’Europa e in alcuni casi anche il mondo. Sono comaschi che hanno voglia di sfidare il futuro
Giovane. Bello. Fisico da (ex) pallanuotista. Tutto qui? Macchè. Pure romantico Romeo shakespeariano, divertente drag queen con tacco 12, affascinante nei panni di Peppino Impastato e latin lover sul piccolo schermo nella serie “Fuori Classe” spalleggiato da Luciana Littizzetto. In verità c’è molto altro. Molto, moltissimo teatro, varie comparse in spot pubblicitari, Camera Caffè, Love Bugs, un corto con Gabriele Salvatores, un geniale sketch (da vedere) sul sito della Gazzetta dello Sport, “Sfida il Capo”, assistente alla regia e coach di recitazione e movimento di cantanti e attori teatrali. Ma quello che piace a noi è che sia “semplicemente” un comasco. Comasco che ha detto «io ci provo» e si è iscritto ad una scuola di teatro, la Paolo Grassi di Milano, e mentre imparava a cambiar pannolini a sua figlia, studiava arte drammatica, recitazione, storia del teatro e canto. «È incredibile la trasformazione a cui vai incontro nei tre anni della scuola, uscito dalle superiori ho deciso di portare la domanda di presentazione per poter fare l’esame alla Paolo Grassi, una scuola sperimentale. Appena sono entrato sentivo frustate e gente che urlava, erano i provini, monologhi e dialoghi per farsi ammettere. E ho pensato: oh mio dio. Va bene ci proviamo, no?», sorride Stefano. La sua fortuna è stata la determinazione e la scuola che lo ha aiutato a formarsi un po’ come un personaggio tuttofare. Ha sperimentato di tutto, dal mimo al metodo francese, è stato capace di adattarsi alle richieste del mondo artistico, difficile, chiuso e sempre più affollato di giovani attori che ogni anno si riversano a valanghe ai provini. «Non sognavo troppo, avevo sempre i piedi per terra, quindi non mi aspettavo nulla. Certo un po’ di speranza non guasta e alla fine, dai, qualcosa di buono ho combinato. Appena uscito dalla scuola ho fatto Teatro, Amleto poi Romeo. Avevo solo 22 anni», pensa. La cosa bella è che non è cambiato, occhi sognanti che brillano quando parla delle sue esperienze e un sorriso da ragazzino che non ha smesso di sognare. «Sogno il cinema. Ma è difficile. Sono stato fortunato a entrare nel cast della serie tv con la Littizzetto. Ma non mollo, continuo a fare casting a Roma anche se la competizione numerica è pazzesca». E nel cuore ha il suo primo monologo, AUT, un viaggio con Peppino Impastato che ha debuttato il 7 maggio 2010 a Cinisi (Pa) all’interno delle iniziative organiz- >>
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Stefano Annoni
zate per il Forum Sociale Antimafia da Casa Memoria Peppino Impastato in cui ha un accento meridionale che sembra impossibile. Invece è la sua punta di diamante, racconta, un progetto in cui si è messo in gioco fin dall’inizio partecipando alla stesura del testo. «Abbiamo utilizzato le sue parole, abbiamo rubato dai classici e abbiamo scritto cose nuove», racconta l’attore. Un po’ quello che farà al Teatro Sociale di Como a Marzo con Volo Nove Zero Tre: Emil Zátopek: il viaggio di un atleta, la storia dell’atleta cecoslovacco che vinse tre medaglie d’oro (unico nella storia) e battè tre record del mondo ai Giochi Olimpici del 1952 a Helsinki con la regia di Nicola Berloffa e il testo della comasca Maddalena Mazzocut Mis. Stefano è cresciuto, dalle scorribande del liceo Giovio è passato a stilare un curruculum che vale la pena leggere. In questo momento è a Marsiglia a fare l’aiuto regista in un’opera lirica e sogna che Gabriele Salvadores si ricordi delle ultime parole dette dopo aver lavorato insieme a un cortometraggio «Ciao Stefano, è stato un piacere lavorare con te. E non sarà l’ultimo film...».
Francesco Corbetta
una città descritta con la luce Erede del padre, fotografo con un occhio artistico che organizzava le prime mostre fotografiche presso il suo photoclub di Villaguardia con corsi e proiezioni, non poteva non appassionarsi alla fotografia. Francesco Corbetta da piccolo 26
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girava per il negozio di suo padre e lo osservava sviluppare rullini e stampare pellicole: ne parla con ammirazione, la sua passione nasce tra le mura di casa. Passione che lo ha portato a coltivare un interesse che va oltre la fotografia commerciale. «Dopo la scuola ho iniziato a dedicarmi e a interessarmi più alla pittura che alla fotografia per crearmi un background che mi sarebbe servito poi nel lavoro perché credo che nel mondo della fotografia sia molto significativo il legame con la raffigurazione pittorica. Nel mio percorso sono stato influenzato da cubisti e futuristi. Ecco perché nei miei scatti le costruzioni diventano leggeri castelli in aria, luoghi sacri dove gli individui si incontrano e si rincorrono seguendo la frenesia della vita contemporanea, immersi nella loro personale e intima solitudine», racconta Francesco. Ma tra le sue opere il sentimento comasco lo si vede, eccome. Dal palazzo della Finanza del Terragni, il Duomo e i Portici Plinio e il Tempio Voltiano. La città gli appartiene, la cattura, lo ispira. «Quando cammino per la città instauro un particolare rapporto con la gente che cammina, con le strade, con le piazze e le strutture architettoniche. Fotografare la mia città per me è come scrivere di lei, un modo per comunicare e raccontarla», continua il fotografo. E poi c’è un aspetto centrale: la ricerca cromatica. Forse dietro questa passione per la rappresentazione pittorica c’è lo zampino di un grande fotografo modenese, Franco Fontana, il “maestro del colore” che Francesco ha seguito come assistente per qualche anno. «Sono stato fortunato, ho avuto grandi maestri come Maurizio Galimberti, il genio che per
realizzare le sue opere utilizza la Polaroid, Antonio Guccione fotografo di moda con cui ho collaborato al Super Studio e ho fatto un po’ di esperienze nel campo della pubblicità tra cui quella di Alviero Martini». E Francesco nel frattempo cresce, fa nuove esperienze ed espone a Villa del Grumello per l’evento ComOn, a Palazzo Giovannelli a Venezia, allo Spazio Cinema Anteo in collaborazione con la galleria d’arte Wannabee di Milano, alla Gallery di Grazia Neri e allo spazio Kryptos architettura arte design. La tecnica è innovativa ma non completamente: «Uso la pellicola e le foto sono il risultato di una doppia o multipla esposizione sulla stessa porzione di negativo. Mi ispiro alla tecnica di pittura di sovrapposizione dei colori e alla fine il mio “quadro” fotografico è identico al negativo originale con un’inversione cromatica come unico intervento in post produzione al computer». Ultima opera fotografica a cui sta lavorando è l’Agorà a Como che Francesco ha proposto scattando la Piazza del Duomo, centro della polis, dal Broletto. Il risultato è una stampa su tessuto di 3m x 5m per il progetto Miniartextil che ha lavorato intrecciando una serie di strisce stampate a colori insieme ad altre uguali stampate con inversione cromatica. E così il quadro-fotografico patchwork della nostra Piazza, che dopo essere stato esposto a Villa Olmo volerà a Parigi e a Venezia, è un’opera che, per essere compresa, deve essere toccata con mano.
Simona Trombetta: intrecci preziosi
Al 18 Del Pero si respira già la prima aria natalizia. E sulla soglia della boutique ci accoglie Simona Trombetta che si presenta con una bella stretta di mano sicura e importante. La stessa mano che intreccia e annoda fili creando gioielli di artigianato Made in Como che fanno girare la testa anche alle donne in Giappone. Il negozio, storico, con luci soffuse e muri di pietra romana non è in una delle vie più gettonate del centro ma curiosi ed esperti conoscitori delle viuzze comasche si addentrano per fare due passi anche sui ciottoli di Via Adamo del Pero. Tavolone in cristallo al centro della stanza, mensole e scaffali sono ornati di bijoux homemade creati con amore e pazienza dalla titolare del negozio. Simona inizia così, per caso. Fin da piccola è sempre stata molto attenta ai dettagli e amava lavori riflessivi e minuziosi come lavorare a maglia. Poi, dopo un diploma al Setificio e aver lavorato nel mondo del tessile, aiuta la mamma in questo stesso negozio fino a quando, nel 2006, si mette in proprio e decide di dare sempre più spazio a quegli oggetti che inizialmente erano nati quasi un po’ per gioco ma che poi sono diventati il simbolo del suo marchio. «La passione cresceva di pari passo alla soddisfazione. Le mie >>
Francesco Corbetta
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Simona Trombetta
creazioni piacevano molto e sempre più clienti mi chiedevano di realizzare qualcosa per loro, su misura. Chiedevano un oggetto unico ed esclusivo». Simona decide prima di frequentare un master di design del gioiello al Politecnico di Milano poi di buttare un occhio all’estero: prima espone a Stoccolma con un distributore e poi al Macef, il Salone Internazionale della casa, dove inizia a farsi conoscere e al Cool Hunter Italy Trade Show il salone dei giovani stilisti del made in Italy. È proprio questo che la contraddistingue: l’artigianato italiano, pochi pezzi, unici, ricercati, esclusivi. Simona sa bene come muoversi, sa dove acquistare e far incidere il miglior argento, conosce i trend del mercato, realizza nuove collezioni e si adegua alle nuove richieste, anche del commercio estero, per non mollare in momenti in cui la crisi ha il sopravvento. Nelle vetrinette del 18 del Pero ci sono anelli, orecchini, ciondoli, bracciali e collane che hanno un’anima: il filo di seta. Tanti minuscoli nodi formano la base in cui Simona intreccia argento, ottone e piccoli cristalli colorati che regalano meravigliosi punti luci. Sono estremamente semplici ma hanno un’eleganza unica. «Uso argento, ottone e rame. Il mio oggetto del cuore è un anello, semplice, minimal che ho venduto tantissimo. È solo una fascetta di seta annodata con incastonato un cuore d’argento su cui posso fare incidere nomi, date o frasi d’amore. È stato il mio maggior successo e ne vado matta». Le creazioni sono uniche, la firma di 18 Del Pero è senza dubbio il filo. Un filo che, percorrendo la “Via della Seta”, unisce l’Oriente e l’Occidente.
Carlo Cantoni:
una voce che si sente La voce di Carlo Cantoni ti incanta. Non che si sia messo a cantare l’Aida sulle poltrone del Vintage Jazz che ha ospitato la nostra intervista, sia chiaro. Ma per come gesticola, per come parla. La sua voce doveva per forza trovare qualcuno che la ascoltasse con un orecchio speciale. E qualcuno l’ha scoperta, ormai 20 anni fa, e l’ha portata al successo. «Il mio sogno era la musica. Appena potevo strimpellavo chitarra, piano e ogni strumento musicale che trovavo in casa. Sognavo di fare il musicista, il crooner cioè il cantante confidenziale com’era Frank Sinatra o Dean Martin. Così decisi di iscrivermi al D.a.m.s di Bologna e studiare musica e storia del teatro». E ci racconta come l’inizio della sua carriera è stato un colpo del destino: «Negli anni dell’Università ho risposto ad un annuncio pubblicato in bacheca di un gruppo che cercava un cantante per una band con cui poi ho partecipato all’Italian Rock Festival a Bologna. Dopo una serie di scremature arriviamo alla fine a suonare in una serata con 10 mila persone al Teatro Tenda con impianto professionale che i tecnici non riuscivano a equalizzare sulla mia voce. Quella sera il tecnico del suono era niente meno che Ruggero Borella, della Emi Italia che registrava le opere dal vivo all’Arena di Verona e mi disse: con te ho gli stessi problemi che trovo con i cantanti lirici, fidati di me tu hai voce per fare l’opera». Carlo non 28
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CARLO CANTONI
poteva credere alle sue orecchie e decise di iniziare a studiare per diventare baritono. Il destino è stato dalla sua parte perché sul suo cammino ha incontrato un altro personaggio che diede la svolta alla sua carriere, Ferdinando Pavarotti, il padre di Luciano, che lo spedì immediatamente a un’audizione a Modena all’Accademia Lirica di Arrigo Pola, il primo maestro di Pavarotti che gli disse “devi cantare”. Niente di più semplice perché la predisposizione naturale l’ha aiutato quasi senza sforzo a ottenere parti come Rigoletto, Guglielmo Tell, Figaro o Don Rodrigo, solo per citarne alcuni presi dal suo repertorio di più di 40 interpretazioni. E mentre lo racconta Carlo non sta fermo, si emoziona, si infervora, spiega nei dettagli co’è l’arte, la storia della musica, cosa rappresenta per lui la lirica, l’opera, i grandi maestri che l’hanno ispirato. Insomma, la sua vita. Si esibisce in Italia sui palchi più importanti e affianco ad altrettanti artisti come Giuseppe Giacomini, Roberto Aronica, Antonio Savadori, Franco Bonisolli, e poi si sposta all’estero e si esibisce a Zagabria, all’Arena di Ginevra, a Koln, Stoccarda, Budapest, Sofia, Berlino e in Sud America. Ma tra Aida, Nabucco, Carmen, Madama Butterfly, Barbiere di Siviglia, Tosca, Traviata, Promessi Sposi, Otello o il Trovatore Carlo Cantoni ha nel cuore ha il suo debutto nel 1997 al Teatro Bonci di Cesena in Rigoletto, «Sono stato il più giovane Rigoletto d’Italia, avevo 26 anni ed ero al centro di un grande palcoscenico su cui avevano prima di me posato i piedi i più grandi baritoni come Becchi, Tagliabue, Bastianini. È stato indimenticabile, mi ricordo che ero in quinta e mi tremavano le gambe e un mio collega, un basso, mi ha dato
un spintone e mi ha buttato in scena, poi ho sentito la voce che faceva tutto da sola e mi sono tranquillizzato». Gli brillano gli occhi anche quando parla della prima volta all’Arena di Verona e della volta in cui ha ricevuto la telefonata dal Vaticano per interpretare un’opera per la santificazione di Don Guanella a Como a ottobre del 2011. Carlo è legato alle sue origini, gira il mondo, tra poco partirà per il Sud America per portare diverse opere italiane, ma sta lavorando a un progetto chiamato Lario Opera, che lo riporta sulle sponde del nostro lago e in particolare nei luoghi in cui hanno vissuto diversi artisti come Bellini, Veri o Rossini. Tra i progetti un’Aida in Piazza Cavour, sarebbe meraviglioso. Nel frattempo per chi non vuole aspettare fino a giugno da segnare in agenda il 21 dicembre: Carlo si esibirà in aula magna del Collegio Gallio per il concerto di Natale.
Marco Fusi:
musica tra le righe Clarinettista, compositore, jazzista ma soprattutto comasco. Marco Fusi studia al conservatorio, trova la sua vena migliore, la musica etnica e nel 2002 debutta con il suo gruppo al Club Tenco di Sanremo con la rassegna “Musica sotto il castello” insieme a Fiorella Mannoia e Alex Britti. Viene apprezzato fin da subito dai migliori critici musicali e artistici del panorama italiano da Lidia Ravera che lo definì un compositore malinconico e felice a Monia Ovadia che >>
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esaltò la sua passione e il suo rigore etico. «Ho sempre voluto fare musica, avevo una spiccata capacità di trasmettere emozioni che mi è stata riconosciuta da molti artisti. La mia musica accompagna i testi degli scrittori, l’anno scorso con Lidia Ravera sul tema della ribellione femminile, ora con il politico Vittorio Agnoletto abbiamo messo in scena uno spettacolo tratto dal suo libro “L’eclisse della democrazia” che tratta le fasi concitate del G8 di Genova del 2001». In questi spettacoli al pubblico viene raccontata una verità dura, ma necessaria, cullato dalla musica di Marco che tra ritmi jazz, gitani e etnici mescola gli stati d’animo degli ascoltatori. Ma ancor prima affiancò Antonio Lubrano, giornalista e conduttore televisivo che prima lo definì “artista meraviglioso”, poi lo volle con se per uno spettacolo che girò l’Italia, “Il Favoliere”. «Ho scritto una musica che ci aiuti dimenticare la realtà, per creare un’illusione, un sogno che potesse accompagnare e calzare a pennello le narrazioni di Antonio Lubrano che raccontavano un po’ ironicamente storie della realtà italiana come se fossero delle favole». Marco ha una storia lunga da raccontare, colleziona centinaia di concerti in Italia e altrettanti all’estero soprattutto nell’Est Europa, ha molti aneddoti da narrare, e lo fa con una calma e una serenità invidiabile, ma dopo ogni tour torna a casa sua, a Eupilo.
Marco Fusi
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«Ho molti ricordi belli delle mie esperienze in giro per concerti, ma uno in particolare te lo voglio raccontare perché mi è proprio rimasto nel cuore. Dopo una serata pasta a suonare davanti un migliaio di spettatori al Club Tenco, alla fine dell’esibizione mi sono venuti incontro Antonio Silva e altri big del Club invitandomi a cenare con loro. E mi hanno fatto accomodare dicendomi “stasera ti siedi a capotavola esattamente dove prima di te si sono seduti De Andrè, De Gregori e Guccini”». Tra i ricordi c’è anche il Festival della Filosofia di Modena dove venne apprezzato da filosofi e altri artisti che capirono che la sua musica era una cosa unica che non tutti sono abituati ad ascoltare. Marco ha trovato la formula giusta per farsi conoscere e apprezzare, quella del mix tra musica e racconto. Una sorta di colonna sonora. «È un modo di comporre che si presta perfettamente a entrare in teatro». Un modo nuovo di comporrea, difficile, ma Marco Fusi ha sempre creduto di poterlo fare e non si è mai arreso e ha continuato a lavorare con la passione di 20 anni fa. Crede di aver fatto solo una piccola percentuale delle cose che può ancora fare. Peccato non poter vederlo in scena nel nostro territorio troppo chiuso, dice, bisogna andare fino a Genova per assistere allo spettacolo del 14 dicembre al Teatro Garibaldi con Vittorio Agnoletto in cui ci sarà anche Haidi, la mamma di Carlo Giuliani.
INVENTORI
Giacomo Marelli Luca Secchi, Simone Dotti, Davide Testoni quattro grandi amici studenti al Liceo Giovio. 32
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QUATTRO GIOVANI
INVENTORI
Ideato un robot in grado di filmare fino a sessanta metri sott’acqua l’idea di un sottomarino nata da un phon rotto di Sara Della Torre L’idea è sbocciata dall’osservazione di un phon rotto. Perché il bello di essere studenti è avere la mente libera da vincoli e da confini. Lasciare spazio all’immaginazione e alla creatività, senza uno scopo preciso, solo per il gusto di inventare. E da un elettrodomestico di uso comune è uscito un sottomarino per ispezionare i fondali del lago alla ricerca di reperti storici o, chissà, di tesori nascosti dal tempo, nelle acque scure del Lario.
Quattro studenti del Giovio uniti da una lunga amicizia dai laboratori della scuola alla progettazione di un robot Il tutto con una spesa minima, senza sponsorizzazioni. Solo fidando sulla passione, sulla curiosità e sulla buona volontà. Giacomo Marelli, Luca Secchi, Simone Dotti, Davide Testoni, che abitano tra Cernobbio e Maslianico, sono, prima di tutto, grandi amici. Nonostante la loro giovane età, diciotto anni, si conoscono da quindici e condividono una delle esperienze più bella della vita: gli anni del liceo. Sarà lo studio dedicato alla scienza, svolto al Liceo Giovio Sperimentale e >>
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arrivato all’ultimo anno. Sarà anche la passione innata, che Smontandolo, per cercare di aggiustarlo, abbiamo notato che spinge un’inclinazione acerba a manifestarsi. Il dato concreto il motore era fatto ad elica, proprio come quello di una barca. è che da mesi è maturata in loro un’incredibile propensione a Da lì abbiamo pensato ad un sottomarino, una macchina brevettare nuovi oggetti. Ed è certo che i quattro Archimede, capace di indagare il mondo sommerso, forse influenzati dal nella costruzione del sottomarino, di cui esiste solo qualche fatto che abitiamo a Cernobbio e che, spesso, abbiamo senesemplare simile sul mercato, ai progetti che sanno di innotito parlare di carri armati, abbandonati sotto lo specchio di vazione, ci stanno prendendo gusto. lago di Villa D’Este. Addirittura, di un sottomarino, al largo Da settembre stanno lavorando attorno all’idea di un piccolo di Gravedona». Ma se l’idea si accende come un fulmine, i robot capace di filmare sott’acqua. Per il test definitivo biprogetti non si costruiscono con la stessa velocità. E ai ragazsognerà aspettare gennaio con il zi è toccato dedicare tempo alla battesimo in acqua. Il prototipo ricerca di materiali, allo studio e è telecomandato da un computer al lavoro manuale. «Mio padre ha Il prototipo di sottomarino e da un joystick (come quello di un’officina - spiega Luca Secchi -. verrà sperimentato a gennaio una playstation) attraverso un Questo ci ha permesso di mettere filo e può raggiungere 60 metri mano, nel vero senso della parola, nelle acque del lago di profondità. Dotato di telecaall’idea. Abbiamo sperimentato mera interna trasmette i filmati il tornio e la saldatura, facendo e filmerà fino a 60 metri al computer, attraverso un video. i primi tentativi di costruzione». «C’è un problema di batteria, che «Ci siamo anche messi a studiaarriva solo a 45 minuti di autonore - aggiungono Simone Dotti e mia - spiega Davide Testoni -. Anche la pressione dell’acqua, Davide Testoni -. Chi informatica, chi elettronica. Tutto su data dalla profondità, e la scarsa luminosità rappresentano Internet, per ampliare le nostre conoscenze. In qualche caso i veri ostacoli all’osservazione. Abbiamo lavorato molto per partendo dall’inizio con la materia». Nessuna paura di essere ovviare a questi problemi». copiati, i ragazzi, figli dell’era tecnologica, raccontano ogni Al di là degli aspetti strettamente tecnici, è sorprendente passaggio su Twitter e si mettono in rete, alla ricerca di conapprendere come un’idea riesca a zampillare veloce e imdividere con altri le loro idee. mediata, prendendo forma da semplici elementi della realtà. «Ho cercato materiali su Internet e ho speso seicento euro, «Tutto è nato dal fatto che, tornando dalla vacanze, mi sono tutti i soldi che avevo messo da parte, per vedere realizzato il ritrovato con un phon rotto - racconta Giacomo Marelli -. nostro sogno - ammette Giacomo -. Appena abbiamo tempo, >> 34
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in laboratorio
La realizzazione del sottomarino, in grado di scendere fino a sessanta metri e filmare i fondali collegato a un computer è frutto di mesi di studio in laboratorio e altrettanti di lavoro in officina.
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IN OFFICINA
La progettazione a computer si è presto trasferita in officina Giorni e giorni di lavoro al tornio e con la saldatrice in mano per realizzare il loro progetto di un robot sottomarino.
«Tutto ciò che vediamo ci stimola a nuove invenzioni Adesso stiamo pensando a una stampante in 3 D» lavoriamo attorno al sottomarino. Avere una passione apre a nuove strade e conoscenze. Partecipiamo a mostre, manifestazioni, fiere dedicate alla robotica e ai computer. E ci vengono un sacco di idee». Interesse che non risulta penalizzante per l’andamento scolastico. Anzi, gli studenti, a detta loro, non hanno problemi a scuola e, grazie a questa esperienza, hanno le idee chiare sul loro futuro universitario: ingegneria o fisica, non si scappa. Il sottomarino dei ragazzi è la prima vera invenzione autonoma. Ma non l’unica esperienza di costruzione. Infatti, dopo una visita alla mostra “Pixar” di Milano, i ragazzi si erano già cimentati, con la collaborazione dell’ingegnere Marco Beretta, nella costruzione di uno “zootropio”, un dispositivo ottico usato per visualizzare immagini e disegni in movimento. E siamo solo all’inizio. «Tutto ciò che vediamo - ammette Luca - ci stimola a pensare a nuove invenzioni». Dai sorrisi appare chiaro che c’è già qualcosa che bolle in pentola e sono già pronti ad una nuova sfida. «Una stampante in 3 D - anticipa Giacomo -, potrebbe essere la prossima idea. Ma, in questo momento, ci risulta facile da una semplice osservazione immaginare nuovi progetti. Siamo veloci e intuitivi». Non è solo una questione di onda elettronica. Di numeri o di competenze. È facile cogliere, in prima battuta, l’onda di ottimismo e di energia dei quattro giovani inventori. La voglia di costruire e di credere alle proprie idee. Ricordano la chiusura del testo di una canzone: «Ora che ho imparato a sognare, non smetterò». E il consiglio è di non smettere di sognare. Piuttosto di diventare contagiosi. 36
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NOI VIVIAMO ALL’ALPE di Giuseppe Guin
La storia di Elena e Algo che da vent’anni vivono isolati sui monti di Lemna. Una motosega e una capra incinta come primo regalo di compleanno ...e i due figli boscaioli che durante l’inverno vanno a scuola con la motoslitta mag
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amma, che cosa sono i cartoni animati?». faina, che qualche volta si avvicina fin troppo ai pollai. Era appena tornato a casa il piccolo Elena e Algo vivono qui da vent’anni. Hanno cominciaMartino. Era un pomeriggio di maggio to dormendo in un fienile, senz’acqua, senza luce e con la del 2001 e mamma Elena, quel giorno, mamma di lei, che le diceva: «Fai quel che vuoi, ma vedrai capì che forse, con quel figlio che cominciava ad andare che andrai su a mangiare lucertole impanate». all’asilo, una televisione… forse… era proprio il caso di Lei ci è voluta andare lo stesso all’Alpe di Lemna e oggi quecomprarla. sto è l’ultimo alpeggio sopravvissuto su questi monti, con Adesso qui la televisione c’è, ma non la guarda più nessuno, dentro uno degli agriturismi più affascinanti, con davanti perché qui gli interessi sono altri e i ritmi della vita non li un faggio che ha più di cent’anni e sui tavoli della trattoria detta la Tv. la torta di nonna Mariuccia. Qui all’Alpe di Lemna, con la Qui, però, adesso che è inverno e prima anima viva che sta a padi neve ne arriverà tanta, le gior«Mia madre allora mi ha detto: recchi chilometri di distanza, nate cambieranno radicalmente “Andrai su a mangiar lucertole”, sono le stagioni che cadenzano fin dal mattino. le giornate. La sveglia per tutti, grandi e picma io ci sono venuta lo stesso Qui hanno scelto di vivere Elena coli, sarà prima delle 6. Sì, pere ora non potrei vivere altrove» Cossa e Algo Cantaluppi, con i ché, anche con la neve alta un figli Martino e Giacomo. Ci sometro, i due figli devono arrivare no soltanto loro e intorno nessun comunque a scuola e il tragitto si altro, se non due conigli di nome Lulù e Carlotta, sei cavalporterà via più di due ore. li, trenta capre, nove maiali, quaranta galline, due vitelli… Anche quest’anno sarà come tutti gli altri anni. Il primo e anche sei gatti. Questi sono gli animali che stanno fissi tratto di strada sarà a bordo di una motoslitta che si infilequi, poi da monte scendono anche i caprioli e i branchi di rà giù dal sentiero innevato e arriverà fino al torrente, che cinghiali, dal lago salgono gli aironi cenerini, dal bosco scende dalla valle di Porto. Lì, per tutti i mesi invernali, ci escono le volpi e di notte compaiono anche i tassi e qualche sarà posteggiata una jeep, con già le catene montate e, con 40
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L’ultimo alpeggio
Per arrivare all’Alpe di Lemna si percorre una mulattiera. Il Comune di Faggeto Lario ha sistemato la struttura e con la Comunità Montana ha rimesso in sicurezza i punti più critici della strada. Per dare, però, un futuro a questo ultimo alpeggio servono nuovi interventi.
quella, si affronterà il tratto di mulattiera fino alle prime case dell’abitato di Lemna. A quel punto, cambio d’abiti e trasbordo su un’altra jeep. Lì bastano le quattro ruote motrici e si arriverà comodamente fino a Torno. A quel punto, per il piccolo Giacomo, che fa la seconda media, il viaggio sarà finito. Per Martino invece, che studia agraria a Tavernerio, occorrerà l’accortezza di arrivare sulla Lariana puntuali, perché passa l’autobus diretto a Como e, una volta in città, ci sarà anche da non perdere la coincidenza per Tavernerio. Con la neve è così che si va a scuola. D’estate, quando si può scendere dall’alpe con la moto da trial, i tempi sono molto diversi, ma d’inverno, per arrivare in tempo ci vogliono davvero più di due ore. «Quando nevica molto - racconta mamma Elena - succede >>
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passione per la natura Giacomo frequenta la scuola media e da grande vuole fare il cuoco, Martino invece studia indirizzo agrario, ma sogna di fare il taglialegna. Nella pagina accanto: Algo Cantaluppi ed Elena Cossa nella cucina dell’agriturismo “Alpe di Lemna” a Faggeto 339.2714749
anche che a scuola ci arrivano loro e magari mancano altri compagni che abitano in città, ma io sulla scuola non transigo. I miei figli vivono qui in montagna, tra gli animali e la natura, ma sull’istruzione sono drastica. In futuro faranno le scelte che vorranno, ma soltanto se studiano e si faranno una cultura… potranno poi scegliere». E Martino se la ricorda ancora bene la faccia di sua madre, quando alla fine dell’anno scolastico è tornato a casa con la media dell’8. «Non gli è andata bene lo stesso - dice borbottando ancora oggi - ha avuto da ridire e non mi ha parlato per più di una settimana». Oggi comunque, i due figli la loro scelta sul futuro l’hanno già fatta. Giacomo vuole fare il cuoco «Ma non al Grand Hotel! Preferisco la trattoria», dice ed è lui che si dà più da fare in cucina e ai tavoli, quando l’agriturismo è pieno di gente che sale fin quassù per mangiare come si deve. Martino, invece, finiti gli studi, non ha dubbi: «Io farò il boscaiolo». Quella del tagliare alberi è una passione che Martino ha da tempo. Ha quattordici anni, ma oggi, ad esempio, è da due ore che è là nel bosco insieme al fratello.
Vivere senza acqua potabile, con il riscaldamento a legna e con una mulattiera scoscesa, dove fatica a salire anche la jeep Giacomo, è al volante del trattore con il motore accesso. Ha già messo “in tiro” una grossa fune d’acciaio e l’ha legata ad un albero alto più di dieci metri. È una vecchia pianta malandata che si è inclinata pericolosamente sulla casa e se non la si taglia potrebbe far danni. Martino ha già la motosega accesa, si è messo il casco in testa, le cuffie antirumore sulle orecchie e la visiera tirata giù sugli occhi. «Vai», urla al fratello con voce decisa. Giacomo inserisce la retro. La fune si tende insieme a un paio di scricchiolii sordi, poi, giusto il tempo di infilare la lama nel tronco… e la pianta vien giù. Un gran botto, ma cade proprio dove doveva cadere, dove e come il padre gli aveva insegnato a far cadere le piante. Adesso, per un paio di giorni il divertimento è assicurato. 42
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Ci sarà da sbroccare i rami, ci sarà da tagliare a pezzi il grosso tronco e poi preparare i ciocchi da mettere a seccare per la stufa. Giorni di spasso, a meno che… L’ultimo furioso litigio tra fratelli è avvenuto infatti proprio per una pianta appena tagliata come questa. Il Giacomo, senza dir niente a nessuno, un paio di pomeriggi fa si è messo a sbroccare un vecchio pioppo caduto. Non l’avesse mai fatto. Quello era il divertimento che il fratello si era lasciato per il giorno seguente e quando Martino si è visto il suo albero già ridotto in catasta, ha cominciato talmente ad urlare che, per sanare la rissa, è dovuto intervenire il padre Algo. Si vive così all’Alpe, con la vita e gli umori scanditi dalla natura. Del resto il primo regalo di compleanno di Algo a Elena è stata un motosega Stihl e quello di Elena ad Algo è stata una capra incinta di nome Rudy. E per i figli i regali sono sempre stati dello stesso genere: gli sci, il bob, gli attrezzi per aggiustare il trattore, una sella per montare a cavallo e, anche per loro, una motosega. Oggi qui ci sono 45 ettari di alpeggio da difendere dal bosco che avanza e ci sono gli animali da accudire tutti i giorni. Non c’è l’acqua potabile, ma soltanto una cisterna da 70
mila litri che si riempie quando piove. Non arrivano i fili del telefono e i cellulari c’è solo da sperare che funzionino. Qui il riscaldamento in casa dipende da quanta legna si mette nella stufa e da quanto tira il camino. La strada per arrivarci, benché sia stata sistemata, ha dei punti stretti e scoscesi, dove bisogna stare attenti a non ribaltarsi con la jeep. E qui, adesso che nevica, anche se per poter uscire di casa bisogna prima spalare la neve… Elena assicura: «Io non mi sono mai pentita di questa scelta. Questa è la mia vita. Mi sento parte di questo luogo e non potrei vivere altrove». Parola di madre, che una televisione ai figli l’ha comprata… ma adesso è contenta che loro, dopo la scuola, preferiscano guardare i vitelli e tagliare la legna nel bosco.
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I RE MAGI
PASSATI DA COMO di Daniela Mambretti
Le reliquie trafugate dalla basilica di S. Eustorgio per essere portate a Colonia avrebbero sostato a Como. Il presepe cristiano e la sua simbologia
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La preparazione del Presepe riaccende la magia del Natale e ricorda il simbolismo sacro insito in ogni componente, in ciascun personaggio. Nell’intimità domestica, tutti i protagonisti prendono vita e la consapevolezza del loro valore accompagna l’intera famiglia in una rievocazione che si ripete anno dopo anno. Grazie a San Francesco che, nel 1223, ottenne il permesso dal Papa Onorio III di rappresentare la Natività, come narra il romanzo storico “Il Presepe di San Francesco” di Gian Marco Bragadin (Melchisedek Edizioni), alcuni personaggi e simboli che caratterizzano il Presepe offrono curiosità e spunti di riflessione con il loro carico di storia e di tradizione.
I Magi a Como va della devozione dei comaschi verso i Magi fu riscontrata Ogni particolare del Presepe è testimone di un significato grazie ai restauri della cupola del Duomo: nella croce che la simbolico o di un frammento di usanze e costumi riconducisovrasta, fu rinvenuto un foglietto con una preghiera rivolta bili al periodo nel quale nacque Gesù, ma, a sorpresa, alcuni ai Magi. «Il foglio era stato portato da qualcuno in pellegridei protagonisti hanno persino un curioso legame con il ternaggio a Colonia per essere appoggiato al loro reliquiario e ritorio lariano. È il caso dei Magi, o meglio, dei loro resti. La divenire così una reliquia per contatto», sottolinea Rovi. Il tradizione vuole, infatti, che, avtesto riportato recita infatti: quevolti da un alone di sacralità e di sti biglietti hanno toccato le tre mistero, siano transitati anche da Teste dei Santi Re Magi in ColoL’ Hotel Tre Re in centro città Como, per volontà dell’imperatonia. Dall’alto della cattedrale se re Federico I. Nel 1162, il Barbane auspicava una valenza apotroporterebbe questo nome rossa ne dispose il trafugamento paica: che la reliquia proteggesse dalla basilica di Sant’Eustorgio di “li viandanti”, guarisse dal “mal proprio per ricordare Milano fino a Colonia, in modo di testa”, dal “mal caduco”, prela tradizione di quel passaggio da privare la città meneghina di servasse da “stragharia e d’ogni una sicura protezione, anche se sorte di malefici”. secondo recenti studi storici il Nel Presepe, i Magi vengono rappercorso scelto non avrebbe toccato Como. Tuttavia, ancora presentati nella grandezza e nello splendore di abiti sontuosi, oggi esistono tracce del loro supposto passaggio in terra laognuno con un dono speciale: oro, incenso e mirra. Questo riana: sembra che i resti abbiano sostato nella piana in prosvuole la tradizione, riconoscendo nelle due resine una partisimità di Grandate, dove sorge la chiesa di S. Maria in Agris, colare valenza regale e rarefatta, ma che ne è dell’oro? Così nota come San Poss, santa pausa, appunto. materico e appariscente, sembra quasi “stonare” accanto ai «Anche la dedicazione ai Magi di alcuni edifici, come un delicati e fragranti granelli. Il catalogo della mostra “Aroantico ospedale di Menaggio e una cappella a Santa Maria matica – Essenze, profumi e spezie tra Oriente e Occidente” Rezzonico, è stata interpretata come una conseguenza di quel (Elio de Rosa Editore), tenutasi a Roma presso il Museo Napassaggio», spiega Alberto Rovi, docente di Storia dell’Arte zionale d’Arte Orientale, propone un’ipotesi suggestiva: un presso l’Università dell’Insubria. In centro storico, invece, presunto errore di traduzione del vocabolo sudarabico che sembra abbiano sostato nella locanda dei Tre Re, non lontana designa sì l’oro, ma anche il balsamo, un terzo aroma molto da dove, in seguito, è sorto l’Hotel Tre Re che ha voluto leprezioso, prodotto nell’Arabia meridionale e dono certamente >> gare il suo nome proprio a questo evento. Nel 1994, la riproall’altezza di un evento tanto importante e solenne.
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Datazione, ospitalità, emarginazione Il Presepe cristiano sembra affondare le proprie radici nel festeggiamento, verso la fine di Dicembre, dei lari, gli antenati defunti, presenti nell’antica Roma e fra gli Etruschi. Il rituale prevedeva la disposizione di statuine nella casa e lo scambio di doni detti sigilla, come spiega David Donnini nel libro “Il natale di Gesù” (Coniglio Editore). Con la diffusione del Cristianesimo, molte feste pagane mutarono nel significato, ma non nell’esteriorità. Così, il Dies Natalis, celebrazione della rinascita del dio sole il 25 Dicembre, tre giorni dopo il solstizio invernale, divenne il Natale cristiano. Anche alcuni elementi del Presepe testimoniano il legame con gli usi e i costumi di quel periodo, come, per esempio, la grotta che ha ospitato la nascita di Gesù. E’ ipotizzabile che, in realtà, non si trattasse di un antro vero e proprio. Probabilmente chi ha accolto Maria e Giuseppe disponeva di un’abitazione tipica di quel periodo: posta sulle rocce, con un ambiente “di rappresentanza” in pietra, collegato a un vano per il ricovero degli animali e strutturato per offrire ai familiari notti più calde d’inverno e più fresche d’estate.
La presenza del bue e dell’asino accanto alla mangiatoia, o praesepe, non testimoniata dai Vangeli canonici, è riferibile alla tradizione successiva, con l’intento di inserire elementi di tipo biblico, come la citazione del profeta Isaia che attaccò Israele, dicendo: «Il bue riconosce il suo padrone, l’asino riconosce la sua mangiatoia, il mio popolo non riconosce il suo Dio». Anche la scelta dei personaggi che si recano in adorazione del Bambino Gesù riconduce a un fondamentale principio cristiano e, purtroppo, richiama un’attitudine ancora presente nella società moderna. Betlemme - dalla traduzione ebraica “casa del pane” - era un villaggio che ospitava i pastori nomadi che, come gli zingari ai nostri giorni, suscitavano paure e reticenze negli stanziali. Erano, inoltre, considerati impuri perché vivevano con gli animali e violavano le proprietà territoriali. Per questa ragione, si radunavano in una zona periferica di Betlemme, oggi detta Casa dell’Oriente, dove vi erano grotte per ripararsi e dove, secondo la tradizione bizantina, hanno ricevuto l’annunciazione angelica della Natività: così gli ultimi, gli emarginati della terra, sono stati i primi a recarsi a adorare il bambinello. Gesù è partito da lì, dagli ultimi: una rituale e consapevole preparazione del Presepe ne rinnova il vivo messaggio cristiano come un monito.
NATALE 1 / GLI ADDOBBI FAI DA TE (A. Sav.) Adesso arrivano anche le imbranate o quelle che non si sarebbero mai e poi mai sognate di regalare un capo fai da te. Ma ora bisogna ingegnarsi e se prima i soldi per un paio di guanti o una sciarpa low cost si trovavano, adesso mancano anche quelli. Perciò nelle mercerie che hanno conosciuto una nuova vita non vanno solo le signore con le mani d’oro che riescono a copiare gli abiti dagli stilisti e a fare maglioni che sembrano comprati. Nelle mercerie vanno anche le ragazzine che pensavano di dover lasciare l’uncinetto alle loro nonne e invece l’hanno riscoperto anche grazie ai braccialetti di Cruciani. Loro e le loro mamme organizzano salotti con aghi e fili in mano seguendo i consigli della più esperta del gruppo. E poi ci sono i corsi veri e propri come il «Tutto Handmade» organizzato da cooperativa Corto Circuito e Acli di Como in via Brambilla. Prima edizione dedicata al Natale con incontri dalle 20.30 alle 22.30 per imparare a costruire da sé addobbi natalizi con ghiande, bacche, pigne, stoffe, nastrini rossi di recupero, come ha spiegato Marina Romanò di Famiglie in cammino che cura il corso. In pattumiera ormai non finisce quasi più niente. Prima di buttare qualunque cosa viene fatta un’analisi di cosa può essere riutilizzato e in che modo. Se perfino le Timberland, per salvare l’ambiente, usano materiale riciclato, le comasche si sentono trendy a regalare ai mariti sciarpe fai da te. Meravigliose e uniche nelle loro imperfezioni.
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TAVOLA delle feste a CHILOMETRO ZERO la fantasia supplisce alla spending review «Si comincia da quello che si ha in giardino dagli oggetti di uso quotidiano oppure recuperati in qualche soffitta»
(S.Bri.) Nel Natale della crisi la tavola rimane una voce irrinunciabile. Anzi, deve diventare ancora più bella pur risparmiando sul budget. Sarà la fantasia a supplire alla spending review. Un approccio è quello di imparare a cucinare tutti insieme e riscoprire il fai da te per decori meno sfarzosi, ma sicuramente più personalizzati.
Ecco come trasformare foglie, bacche, erbe aromatiche o verdure dell’orto di casa in allegre ghirlande per le feste Scegliendo in entrambi i casi prodotti a chilometro zero: bacche raccolte nel bosco, prodotti dell’orto o acquistati nei sempre più numerosi farmer’s markerts, i mercati dal produttore al consumatore. Essere eco-friendly, soprattutto nelle celebrazioni natalizie, può rivelarsi fonte d’inattesa gratificazione. Trasformare foglie, bacche, erbe aromatiche o verdure invernali in semplici ghirlande botaniche fa riscoprire tanti ricordi d’infanzia legati ad anni più attenti allo spreco e all’ambiente. «Si comincia da quello che si ha in giardino e da oggetti d’uso >>
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quotidiano o recuperati in soffitta- spiega Daniela di Pani& Tulipani- Ad esempio il mastello in alluminio della nonna riempito con rami di agrifoglio o rami di pino può diventare un centrotavola naturalistico decorativo e (serve dirlo?) per nulla costoso». Anche illuminare la tavola è facile, con un tocco di creatività. Comincia la festa e tra bicchieri e bottiglie si fa spazio a un grande pane siciliano o toscano usato come base per una fila di candele dorate. Ultimo tocco: luccicanti lenticchie da spargere sulla tovaglia bianca, magari presa da un corredo antico. Dettagli emozionali per un menu familiare, dove tutto si basa sulla “filiera zero”. «Il vero piacere nella fredda vigilia delle feste è reinventare le vecchie ricette della nonna all’insegna del riciclo. Torna di moda quello che fino all’altro ieri appariva démodé» dice Daniela Caremi. All’insegna della tradizione il suo menu a base di: crema di 50
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tavola delle feste
Si può allietare la tavola del Natale anche senza spendere un capitale, basta un po’ di fantasia e anche i prodotti più semplici possono trasformarsi in arredo (Foto Carlo Pozzoni).
NATALE 2 / riciclo il pranzo
lenticchie di Castelluccio con coste al salto piccanti, vellutata di zucca con porcini e castagne, carpaccio di cervo con formaggio di malga, olio e pepe rosa, insalata di mandarini e finocchi con senape all’antica e uvette, panettone impreziosito da un cilindro di frutti rossi, datteri e mentuccia. Prodotti legati al territorio con una sorpresa: al posto del solito primo, una lasagnetta impacchettata e infiocchettata con carta vegetale e nastro colorato, regalo di Natale per tutta la famiglia.
«Il vero piacere della vigilia è reinventare le vecchie ricette tramandate dalla nonna, all’insegna del vero recupero»
(A.Sav.) Sono quelli che non buttano le foglie del sedano, le gambe del finocchio, la buccia della zucca. Tutto viene buono, come nella cucina delle bisnonne quando i soldi erano pochi esattamente come quelli di adesso. Perciò torna di moda di risparmiare. Fa chic e si mangia meglio. Lo hanno scoperto i partecipanti al corso “La cucina del CortoBio” della Cooperativa sociale Corto Circuito. seguendo le regole di Marina Romanò di Famiglie in cammino e Massimiliano Pini del Gas Santagata hanno scoperto come la fine del porro può diventare la base per l’amatriciana, le foglie del sedano la base per il pesto e la buccia della zuppa l’impasto per i muffin. In più si può risparmiare sulla bolletta dell’elettricità facendo cuocere la pasta delle lasagne nel forno e la peperonata nella lavastoviglie mentre si lavano i piatti. Basta mettere gli ingredienti in un barattolo, condimento compreso, chiuderlo e aspettare che il ciclo sia finito. Pronto in tavola senza sporcare. Il corso, organizzato a Trecallo, era affollatissimo anche perché si tratta di delizie non del polpettone con tutti gli avanzi delle feste. Che comunque quest’anno non andrà neppure tanto più di moda visto che già lo scorso anno il budget per il pranzo di Natale era stato quasi dimezzato. Ci sarà poca carne da tritare, meglio usare le verdure fino all’osso.
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IL MIRACOLO DELLA VITA di Paolo Moretti, foto Andrea Butti / Pozzoni
Storie di madri e di pellegrinaggi alla “Madonna del Latte” di Guanzate. «QUANDO Siamo entrate nel santuario, ci siamo sentite serene. È difficile spiegarlo… io non ci credo, ma nel giro di pochi mesi entrambe abbiamo scoperto di essere incinte» mag
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Due coppie di genitori con i loro figli in pellegrinaggio al santuario di Guanzate.
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a parete accanto all’affresco in cui la Madonna, una Maria dallo sguardo umano, allatta Gesù è ricoperta da bavaglini. Per ognuno, il nome di un bambino. Ci sono Marco e Giuseppe. Ma anche Noemi, Alessandro, Lorenzo e Ivan. E Gemma. E Martina, Manuela, Federica, Simone, Daniela. Ogni nome una storia da raccontare e una preghiera da dedicare alla Madonna del Latte. O, come la chiamano in paese, la Madonna in campagna. Guanzate, santuario della Beata Vergine di San Lorenzo.
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Una meta per tutti quei genitori che non riescono ad avere figli ma anche per quei figli nati dopo le loro preghiere Più di una chiesa: una meta di pellegrinaggio per tutti quei genitori che non riescono ad avere figli, ma anche per quei figli nati dopo le preghiere recitate dai loro genitori, che in questo posto hanno ritrovato serenità e speranza. È ciò che raccontano Angela e Cristian, di Lecco. E Manuel e Laura, di Milano. Ma anche Nader, guida turistica giordana, che da quando è nato il suo Danials non si separa più dal portachiavi in legno con l’effige della Madonna del Latte. È Marcella Rusconi, guanzatese doc, a raccontare la storia di Nader: «Come guida turistica viaggio spesso in Israele e in Giordania. Ed è qui che conosco questo ragazzo, una guida del posto, molto preparato, simpatico, molto umano e disponibile. Io e Nader diventiamo amici e ogni volta che torno in Giordania chiedo che sia lui ad accompagnarci. Ogni volta mi parlava della moglie, di come fosse innamorato. Ma gli anni passavano e lui non faceva mai cenno a figli. Un giorno un turista gli chiede: Nader, ma non hai figli? Ho notato come un velo di tristezza sul suo volto. Mi ha raccontato che la moglie aveva avuto tre aborti. Io, per caso, avevo con me un portachiavi con l’effige >>
della Madonna del Latte che Ambrogio Sordelli, l’uomo che si prende cura del santuario, le aveva regalato. Allora l’ho dato a Nader raccontandogli la storia di questa chiesa meta di pellegrinaggio e di preghiera da parte dei genitori che chiedono un figlio alla Madonna. Dopo nemmeno un anno è nato Danials. Può essere un caso, una fatalità, ma a noi piace pensare che sia un po’ anche figlio nostro». Quante storie, sfogliando il registro delle visite del santuario. O ascoltando la voce di Angela, mentre tenta di farsi largo tra le voci gioiose dei bambini all’esterno della chiesa. Angela è di Lecco. Lei e Cristian hanno un figlio, Luca. E sognano un secondo bambino. Ma non sempre i sogni si avverano appena riaperti gli occhi. «Dopo Luca - racconta - ho avuto tre aborti spontanei. Detto così può sembrare solo un incidente, ma non lo è. Per noi mamme è un lutto. Una ferita aperta. Che chi ti sta attorno non sempre capisce. Ho cercato su internet storie come la mia e ho trovato un forum in cui altre mamme raccontavano la loro esperienza. Qui conosco una ragazza, Laura, che aveva avuto un bimbo ma, 8 giorni dopo la nascita, è morto. Nel giugno 2010 io stavo subendo il terzo aborto. Ero a terra e Laura mi dice: ho trovato un santuario in cui la Madonna, si dice, concede il dono della maternità. Andiamoci. Ricordo ancora la data: il 27 giugno». «Quando siamo entrate nel santuario - prosegue Laura, che con Manuel vive a Milano - per la prima volta dopo mesi, forse anni ci siamo sentite serene. È difficile spiegarlo: ma 56
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chiesa e devozione
Il santurio di Guanzate ha una storia antica L’origine della devozione alla Madonna del latte risalirebbe addirittura al 1497.
per il tempo che siamo rimaste qui è come se, finalmente, il dolore che ci portavamo addosso fosse sparito. Forse sarà merito di questa ritrovata serenità, forse sarà un caso, ma io non ci credo, forse altro ma nel giro di pochi mesi entrambe abbiamo scoperto di essere incinta. E l’anno dopo sono nati Marco, figlio di Angela e Cristian, e Miriam, figlia mia e di Manuel». Il 28 ottobre scorso il Santuario si è riempito di bambini, di mamme, di papà, ma anche di coppie in attesa, di preghiere e di sogni. E di storie di fede o anche solo di speranza da raccontare.
LA storia del santuario Il Santuario della Madonna del Latte di Guanzate affonda le sue radici nella storia. Addirittura la costruzione di una prima chiesa dedicata a San Lorenzo, nella zona dove oggi sorge il santuario, risalirebbe a oltre mille anni fa. La chiesa subì però un radicale rifecimento in epoca romanica. Le origini del culto della Madonna del Latte, invece, vanno fatte risalire al 1497 quando un ignoto guanzatese, per recuperare la chiesa abbandonata al degrado, comimssionò il dipinto della Beata Vergine di San Lorenzo, raffigurante la Madonna che allatta il Bambino Gesù. Di recente il santuario è diventato meta di pellegrini che chiedono la grazia di un figlio alla Madonna del Latte. Sul “liber peregrinorum” sono riportate testimonianze di coppie provenienti anche dall’estero, che si ritrovano nel santuario mariano di Guanzate per implorare la grazia di un figlio o la felice conclusione di una gravidanza problematica.
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COSì SI NASCE IN TERRA
D’AFRICA
L’Associazione comasca Mehala Onlus ha inaugurato la maternità di Bilogo in Burkina Faso, uno dei paesi più poveri del mondo
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n vagito e poi un pianto ininterrotto. Centinaia di volti in attesa si rilassano in un sorriso. E le mani cominciano a battere ritmicamente un applauso liberatorio come un benvenuto. Bilogo, Burkina Faso. In uno dei paesi più poveri del mondo il miracolo della vita non si arrende neppure di fronte a un sole che devasta energie e terra. E sotto una cappa che tocca punte di 45 gradi festeggia nel migliore dei modi, con una nascita, l’inaugurazione di una maternità in terra d’Africa che ha l’accento comasco. L’Associazione Mehala Onlus ha ufficialmente tagliato il nastro del dispensario medico e della maternità di Bilogo, un villaggio dove il tempo si è fermato e dove fino a poche settimane fa le donne partorivano in mezzo alla polvere della strada che erano costrette a per- >>
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UN IMPEGNO CHE SI VEDE
Un momento di festa davanti alla struttura medica realizzata in Burkina Faso dall’associazione comasca Mehala onlus. Nella pagina accanto, sotto: Olivia Piro con un bimbo appena nato.
NATALE 3 / colletta solidale (A. Sav.) L’invito rivolto a tutti è stato: donare per aiutare chi ha più bisogno. Bolton Alimentari, azienda proprietaria del marchio Rio Mare che ha il proprio stabilimento nella Provincia di Como, ha deciso di partecipare in prima linea con l’iniziativa “adotta un supermercato” per dare insieme ai propri dipendenti un contributo in ore di volontariato. È stato “adottato” il supermercato Ipercoop di Cantù, dove i dipendenti hanno garantito la propria presenza per l’intera giornata, per dare il proprio contributo alla Colletta Alimentare. “I volontari vedono nell’azione della Colletta Alimentare un gesto di gratuità che fa bene anzitutto a sé perché ridà speranza e significato a ciò che facciamo ogni giorno. È un gesto che coinvolge non solo i privati, ma anche le aziende. Bolton è un esempio significativo di questo coinvolgimento. Un gesto di gratuità inizia spesso davanti a un supermercato e sfocia in una continuità. Talora accade anche che chi ci incontra alla Colletta continui a venire a noi come volontario e si coinvolga nelle attività che svolgiamo nel magazzino di Muggiò, sede del Banco Alimentare della Lombardia». Così ha commentato Gianluigi Valerin, presidente del Banco Alimentare della Lombardia. 60
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correre a piedi, per raggiungere il più “vicino” ambulatorio. I cartelli sopra i cinque edifici che compongono il nuovo centro medico sono affollati dei nomi dei tantissimi comaschi che hanno finanziato, con le loro donazioni, il progetto: Francesca, Cecilia, Giorgio, Serena, Peter, Andrea, Ebe, Ermanno, Greta, Mariella, Massimo, Ezio, Angela, Roberto, Clara, Anna, Cristina, Il Giardino di Luca e Viola e tantissimi altri. E, ovviamente, Luciano e Olivia Piro, che del progetto di Mehala sono stati i principali promotori. Non è un caso che il primo bimbo nato nella maternità di Bilogo sia stato chiamato Luciano Somdè. Roger Kafandò, il capo del villaggio, nel discorso ufficiale ha sottolineato: «Il ministero della Salute, che ha ispezionato il dispensario medico prima di autorizzare l’apertura, ha detto che è il centro sanitario più bello di tutto il paese. E di questo dobbiamo dire grazie a voi, che ci avete aiutato». Parole confermate anche da Valerie Kafandò, referente in Burkina del progetto, dal sottosegretario del ministero dell’Azione sociale del Burkina Faso e dal direttore sanitario del dipartimento di St. Paul, di cui Bilogo fa parte. Mentre la presidente di Mehala, Elena Pozzi, tagliava il nastro all’interno della maternità una delle donne del villaggio era in travaglio. E di lì a poche ore, con centinaia di
persone in trepidante attesa, ha dato alla luce un meraviglioso bambino. L’ottavo nato in un centro che, in poche settimane, ha già curato 654 persone per patologie di vario tipo: dalle infezioni respiratorie ai morsi di animali, dalle otiti ai tagli. E il 22 ottobre tutta la popolazione infantile, in totale 300 bambini, ha potuto ricevere la vaccinazione antipolio. In totale la realizzazione del centro medico è costata circa 170mila euro, soldi in parte anticipati grazie a un prestito praticamente a costo zero della Bcc di Cantù. Mehala è ancora impegnata nella raccolta fondi per ultimare la restituzione del finanziamento della banca. Ma intanto a Bilogo finalmente i bambini possono nascere in una struttura protetta e le donne hanno la possibilità di partorire accudite da medici e ostetriche. Nella stanza della maternità una mamma allatta per la prima volta suo figlio. E alla domanda: come stai? Abbozza un sorriso e risponde: “Laafi”.
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A NATALE dai in AFFITTo
UNA CASA
di Laura d’Incalci
iniziativa della Fondazione Scalabrini per un alloggio a chi è in difficoltà Francesca Paini: «Garantiamo noi il regolare pagamento del canone, il rispetto dei tempi di restituzione, la manutenzione dell’appartamento… in cambio di un canone d’ affitto inferiore a quello di mercato» mag
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roppi appartamenti sfitti da una parte e troppa gente senza casa dall’altra. Due realtà teoricamente complementari, sono invece irrimediabilmente distanti, cristallizzate su percorsi paralleli, senza punti di contatto. A pensarci bene, un vero controsenso… «In effetti chi è proprietario di una casa che non utilizza, molto spesso preferisce tenersela vuota» ammette Francesca Paini, ideatrice di un progetto che mette a tema l’emergenza casa oggi pressante per le fasce sociali più deboli, più colpite dalla crisi. «Ora le normative sono in parte cambiate, ma la percezione resta legata all’idea che dare in affitto una casa, in certo senso è come perderla: diventa cioè difficile averla libera se non dopo aver affrontando lunghi iter burocratici e spese» precisa, scavando nella logica di questa propensione. «Per non dire del timore che l’inquilino non paghi, non risponda di danni…insomma molti ritengono che sia meglio evitare grane. E comunque ancora oggi, nonostante la crisi, i canoni d’affitto continuano ad essere troppo alti per gente che fa fatica ad arrivare a fine mese», avverte la Paini che, dopo aver analizzato il fenomeno con totale realismo, ha deciso di lanciare una sfida, di inventarsi una soluzione. E di prendere le redini di una Fondazione... «Ho assunto la gestione e la presidenza della Fondazione GB Scalabrini che, insieme a Confcooperative, Acli, Caritas diocesana, Fondazione San Carlo Milano, nel 2004 aveva avviato i primi passi», spiega descrivendo una fase di studio e progettazione che lo scorso anno ha consentito di attivare le prime iniziative concrete. «Il problema dell’alloggio è cruciale per persone che vivono in situazioni di marginalità che possono arrivare a volte sull’orlo del tracollo: mamme sole con bambini piccoli, famiglie toccate dalla disoccupazione, stranieri già avviati in un percorso di integrazione, ma ancora fragili…Vi sono situazioni nelle quali un supporto, la possibilità di un alloggio temporaneo a prezzi calmierati, diventa decisivo per far risalire la china, per rimettere in carreggiata esistenze che rischiano di scivolare in un degra-
do disperante», racconta Francesca Paini descrivendo una nuova formula, un inedito ponte fra appartamenti vuoti e domanda abitativa. Che si declina così: chi ha un alloggio sfitto può mettersi in gioco direttamente con la Fondazione Scalabrini che prende in affitto appartamenti per 8-12 mesi garantendo ai proprietari di casa il regolare pagamento del canone stabilito, il rispetto dei tempi di restituzione previsti, la manutenzione dell’appartamento…Tutto questo in cambio di un canone d’ affitto sensibilmente inferiore a quello di mercato. «Il meccanismo ha funzionato: non abbiamo mai avuto contenziosi con i padroni di casa e l’aiuto offerto alle famiglie che comunque sono responsabilizzate, in quanto si impegnano a pagare regolarmente la cifra stabilita, si è
NATALE 4 / I REGALI SENZA SPENDERE (A. Sav.) Comprarsi qualcosa di nuovo fa bene alla salute. Comprarsi qualcosa di bello fa bene alla pelle ma quando il refrain è sempre lo stesso («i soldi sono finiti») esiste una sola possibilità. Il baratto. Per fortuna, infatti, la storia del consumismo sfrenato è disseminata di errori negli acquisti e attentati a rapporti di amicizia e amore con regali sbagliati. Gli armadi traboccano di errori di gioventù ed è qui, nelle pantofole da Briatore mai indossate dal marito o nel corsetto da modella di Victoria Secret’s in cui la moglie non è mai entrata che escono i pezzi migliori per i mercatini del baratto. L’ultimo, organizzato a Villa Bellingardi, dalla cooperativa Parsifal in collaborazione con la Banca del Tempo, è stato un successo. Tutti a sbirciare tra le cose degli altri per pescare attrezzi da ginnastica, stendibiancheria, soprammobili da sempre detestati. Ci sono cose che vengono in odio solo per il fatto di aver sbagliato a prenderle. E alla fine è contento sia chi si disfa di qualcosa sia chi trova il qualcosa che stava cercando senza mettere mano al portafogli. Poi ci sono le irriducibili. Quelle che aiutano l’economia, poi il giorno si pentono e arrivano con la loro offerta: «Ciao, vuoi il mio telefono ho sbagliato a comperarlo. Ti faccio cento euro di sconto». È un baratto anche questo. Un telefono scontato per levare un senso di colpa.
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solidarietà
L’iniziativa della Fondazione Scalabrini per dare una casa a chi è in difficoltà. www.fondazionescalabrini.it Sotto: Francesca Paini, presidente della Fondazione.
«Noi l’abbiamo già fatto»
rivelato in molti casi una molla decisiva per il superamento di una fase critica» riferisce l’ispiratrice del progetto che ha incontrato pieno consenso in altri enti del territorio e un particolare coinvolgimento di Confcooperative Como. Ad oggi la Fondazione Scalabrini (www. fondazionescalabrini. it) gestisce 13 appartamenti dei quali 2 di proprietà della Fondazione, 2 in comodato gratuito da privati e 9 in affitto secondo le modalità descritte. Negli ultimi due anni, da quando è decollata l’attività di housing temporaneo, hanno trovato una soluzione abitativa 63 persone, 28 delle quali uscite dagli alloggi in grado di riprendere un percorso autonomo, 35 accolte attualmente negli appartamenti con progetti a termine, a costi agevolati.
Proprietà fa rima con solidarietà. Anche per i “padroni di casa” la proposta della Fondazione Scalabrini ha aperto un’avventura entusiasmante. «Avere 3-400 euro in più al mese non mi cambia la vita, mentre per una famiglia in difficoltà, può essere decisivo un aiuto che le consenta di non naufragare», suggerisce Valentina Scuderini proprietaria di un immobile a Varenna, un vero gioiello su due piani, grande soggiorno, due camere, doppi servizi e un terrazzo con vista-lago che ferma il respiro. «Non l’abbiamo mai utilizzato nemmeno per un week end, nonostante sia perfettamente arredato» racconta la Scuderini, sposata, una bimba di 4 anni e una vita in giro per il mondo per motivi di lavoro. «Sentivo dentro di me la spinta a non lasciare inutilizzata quella casa acquistata per investimento e ho cercato qualche riferimento in Internet», racconta evidenziando un’immediata sintonia con gli intenti della Fondazione Scalabrini promossi da Francesca Paini. «Ho subito aderito alla formula del contratto di comodato d’uso - riferisce - recupero solo l’Imu e le spese di manutenzione, credo che il vero lusso che possiamo concederci in questo momento di crisi, è condividere quel che abbiamo con chi ha bisogno di un sostegno, sopratutto fargli sentire che non è solo». Nella stessa ottica Michele Marciano ha messo a disposizione un piccolo appartamento a un prezzo contenuto per favorire chi si trova in difficoltà: «Non sono ricco, mia moglie ed io siamo pensionati, ma questa proposta mi ha subito entusiasmato - racconta - Mi farebbe anche comodo avere un’entrata più consistente, ma lo spirito di solidarietà di questa iniziativa così concreta, vicina a persone che possono rimettersi in piedi, mi ripaga veramente».
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Happy days
al chiosco di Nicola Nenci
La storia di un piccolo bar che movimenta le notti comasche. Feste in stile americano anni ’50, con auto da sogno, motoraduni e musica d’epoca. Ma non è un’idea comasca… dietro le quinte un’anima pugliese 66
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olti lo avranno notata, nelle sere d’estate. Anche senza volerlo, l’occhio si sarà posato, magari distrattamente, su quella macchia colorata e carnevalesca del centro cittadino. In via Cattaneo, nell’area pedonale di fronte al Tribunale, dove il martedì e il giovedì e il sabato ci sono le bancarelle del mercato. Nella silenziosa e crepuscolare calura dei tramonti estivi, ecco bizzarri raduni con accompagnamento musicale. Auto d’epoca, spesso americane, concerti rock, raduni motociclistici, piste da ballo. Iniziative da Como
turistica, certo, ma... fai da te. Perché dietro quelle situazioni, che hanno trascinato qualche volta anche centinaia e centinaia di persone, c’è una storia curiosa. Quella di una famiglia pugliese, che da 10 anni gestisce uno dei chioschi della zona, «L’angolo gli artisti» (e già il nome è un programma...), e che si è messa in testa che l’estate è festa, che quella zona di città è desolata e morta, e che insomma bisognava dare una smossa all’ambaradan. A sovrastare la porta di ingresso del chiosco, c’è una Vespa che sembra uscire dal soffitto come un delfino dal mare. >>
“L’angolo degli artisti” un punto di riferimento della Como con la voglia di divertirsi e fare festa mag
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Indica che tra le passioni alla base dell’iniziativa, c’è siche affollano la zona e diventano una specie di mostra a curamente quella dei motori. Di papà Francesco, vespista cielo aperto che richiama un sacco di curiosi. da decenni, e di uno dei figli, Fabio (candidato nella lista La cosa è organizzata in collaborazione con i Lake Cruidi Rapinese nella corsa per il sindaco di Como), harleysta sers, un gruppo comasco di appassionati, che posseggono convinto. Anzi di più. Fabio ha una vera passione per tutto auto americane Anni 30-40-50 e che soprattutto hanno quello che è il mondo Usa Anni Cinquanta. E lo si vede il potere d muovere cultori del genere, più o meno vicianche dal taglio dei capelli, tanto che sembra uscito da un ni, con un colpo di telefono. I Lake Cruisers, sparsi per film con James Dean. Ama le Capiago Erba e Alzate, con un Harley Davisdon, le auto amecolpo di telefono ti riempiono ricane d’epoca, balla il twist e la via di gioielli Usa a quattro Fabio ha una passione: lo swing, ascolta Frank Sinatra. ruote, e voilà ecco la festa con Ha nel cuore ambientazioni da auto da stropicciarsi gli occhi. il mondo Usa anni Cinquanta «Happy Days» e «Grease», che Una Ford del ’34, una Buick ama le Harley Davidson ha voluto ricreare in alcune deldel ’57, una Chevrolet del ’59 le feste là fuori. e via incantando. Mancano soballa il twist e lo swing Perché, ok, le occasioni più aflo Danny e Sandy di «Grease», follate sono le cosiddette «Feste o Fonzie e Ricky di «Happy d’Estate», una al mese, con la Days». Anzi no. Può succedere collaborazione anche di altri chioschi e che ha trasformato che compaiano. Perché l’ultima volta, assieme alle auto e un giovedì al mese in una lunga festa musicale e culinaria alle moto, ecco una roulotte-Jukebox che suonava musiche che parte da Porta Torre e arriva a via Sauro. Una festa dell’epoca, con gente in costume che ballava il rock tra strana, di cui quasi sembra non accorgersi l’altra parte di due ali di folla. città, che passeggia sul lago o nelle vie del centro. Forse bisogna non essere comaschi per creare una situaMa quella più incredibile, magica e colorata è senza dubzione del genere. Perché ci vuole entusiasmo e voglia di bio quella con il raduno di auto e moto americane d’epoca mettersi in gioco, che, a dirla tutta, non è che stiano di 68
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SEMPRE FESTA
I titolari all’interno del piccolo chiosco “L’angolo degli artisti in via Cesare Battisti. A destra: una delle feste notturne lungo le Mura.
casa nei cromosomi dei locali. La famiglia Rutigliano ci crede. Sfruttando anche una posizione poco vicina a unità abitative. «Proviamo a smuovere un po’ la città - dice Fabio- , perché in questa zona si sta molto, forse troppo tranquilli. C’è lo spazio per fare qualcosa di bello, d’estate. Per fortuna gli abitanti del palazzo più vicino, sembrano d’accordo. Anche perché a mezzanotte si spegne tutto. Uniamo la passione mia e di mio padre, e i motori sono protagonisti. Abbiamo fatto raduni di Due Cavalli, di Fiat 500 e di Ducati, con 400 motociclisti. Sarebeb bello che ance il Comune partecipasse, anche se capiamo che il momento è quello che è e non ci sono soldi». E per il prossimo anno, permessi permettendo (scusate il gioco di parole), si pena a qualcosa ancora più grande.E non ci riferiamo solo ai deliziosi panzerotti che sua nonna, Maria, ogni tanto sforma sul piazzale: madoooo....
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DISPONIBILE PRESSO:
Veronelli Gioielleria
Via Roma, 64 • Lurago d’Erba (CO) Tel. 031.696191 www.veronelligioielli.it
sculture
Un particolare all’interno della chiesa di San Donnino in Como.
c’è UN TESORO D’ARTE da conservare Quando i turisti ammirano la fronte del Duomo rovesciando il capo e accarezzando con lo sguardo guglie e statue hanno una visione globale dell’imponente edificio, ma non possono coglierne i particolari, i segreti degli artefici di tanta bellezza. Non sanno, per esempio, che le statue appese lassù sono riproduzioni dei nostri antenati, i cittadini del tardo Medioevo o del primo rinascimento, i mercanti, i cavalieri, le signore e le popolane, tutte lì, accanto a santi e Madonne a guardar giù, i loro discendenti. Proprio così, perché gli antichi scultori hanno voluto che le loro creature di pietra avessero gli occhi puntati verso il futuro, come se le loro sembianze potessero vincere il tempo. L’arte in un edificio destinato alla religione è anche questo cercare il segno dell’eternità nella vita quotidiana; riflette la sacralità, ma senza isolarsi dall’uomo. Quanti pregi di questa presenza mistica richiamata dall’ar72
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te conosciamo davvero da vicino, anche se frequentiamo un chiesa ogni giorno? È un interrogativo al quale sta dando una risposta la grande impresa di catalogazione che la Curia, dal periodo dell’episcopato Maggiolini, nel quadro di un’iniziativa nazionale coordinata dalla Cei fornendo il necessario supporto tecnico-informatico e il finanziamento, ha avviato una decina di anni fa, ottenendo risultati davvero straordinari per quantità e pregi del patrimonio censito in un’area assai vasta, articolata e complessa che supera gli storici confini del territorio lariano per comprendere pianura, montagna, convalle e sponde del lago. L’inventariazione a tutt’oggi non è ancora terminata e già sono stati registrati più di settantamila siti e “pezzi” d’arte nelle chiese della Diocesi comasca. Una cifra ingente, che probabilmente non era stata prevista all’inizio di questa operazione di verifica, quando il direttore dell’ufficio d’arte >>
di Alberto Longatti foto Andrea Butti / Pozzoni
Già registrati più di settantamila siti e “pezzi” d’arte nelle chiese della diocesi comasca, un patrimonio da valorizzare
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arte preziosa
Un particolare degli affreschi conservati nella chiesa di San Donnino in Como.
sacra don Andrea Straffi si mise al lavoro, coadiuvato in ampolline, ai candelieri, alle rilegature dei messali ed a media da tre o quattro collaboratori, che si alternavano per quant’altro serve al sacerdote che celebra la santa Messa. competenza nelle varie zone perlustrate. Ad esempio, è davvero mirabile il trecentesco reliquiario La piccola équipe non ha tralasciato nulla nella sua verifica, d’argento dorato ed ebano a forma di croce con quattro procedendo per ogni edificio ecclesiale secondo una collauteche applicate a forma di quadrifoglio che contengono data ricognizione, prima controllando in senso orario gli resti di eccezionale valore devozionale: schegge lignee che, esterni, poi gli interni con l’esame metro per metro dalla secondo la tradizione, proverrebbero dalla Croce, ossa di controfacciata alla sacrestia, alle cappelle, agli oratori, a san Giovanni Battista, fune che sarebbe servita per legare tutte le pertinenze. Parrocchia per parrocchia, sono stati Cristo ad una colonna fustigato durante la Passione. quindi rilevati non solo le vere e proprie opere d’arte ma Il reliquiario ha una base – due angeli che reggono la crotutti gli oggetti, i fregi, le modace - scolpita da Angelo Spinaznature degni di nota. Alla fine zi, uno dei principali argentieri tutti i dati raccolti e schedati col attivi a Roma nel XIII secolo. Tutti i dati raccolti e schedati metodo informatico venivano Il prezioso oggetto appartiene vengono inviati al centro forniti ad un centro di consultaall’archivio parrocchiale di San zione permanente presso la sede Donnino, ma proviene dalla ricdi consultazione permanente della fondazione Rusca in semica dotazione di oreficeria sacra della Fondazione Rusca nario, dove gli studiosi interesdella chiesa di Santa Cecilia, sati potranno recarsi per avere nel palazzo del Liceo Volta, ex tutto ciò che a loro serve in un monastero riadattato da Simone computer, rinvenendo i dati meCantoni. Una sede di culto dalle diante “piste” diverse di ricerca, dai nomi degli artisti alle dimensioni modeste, che un magnifico apparato scultoreo tematiche, ai periodi, alle tendenze e così via che hanno barocco fa sembrare molto più ampia, con voli di angeli caratterizzato le singole opere, dagli edifici ai dipinti, alle che si librano sulla volta e sopra l’altare. Va aggiunto che sculture, alle decorazioni, agli arredi, ai paramenti, specialin quella chiesetta si trova anche un crocifisso settecentesco mente quelli finemente ricamati. Di particolare interesse, che sembra di legno e invece è in cartapesta dipinta, cavo naturalmente oltre al loro uso sacrale, sono gli strumenti all’interno. per la liturgia d’epoca, talora forgiati da orafi o comunIl restauro, effettuato il secolo scorso, gli ha restituito que artigiani di talento, dalle acquasantiere agli ostensori, questa posizione eretta come era in origine a somiglianza alle pissidi, ai reliquari, ai calici, alle croci da mensa, alle del miracoloso Crocifisso nella basilica dell’Annunciata, >>
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IL DUOMO NON È UN MUSEO (A. Long.) Gran parte delle opere d’arte di maggior valore sono, com’è logico, nella cattedrale di Como. Ma non è detto che la logica della collocazione nel maggior tempio cittadino della cristianità sia perfettamente consono alla sua funzionalità rituale e più diffusamente mistica. La chiesa è un luogo di fede, destinato al raccoglimento e alla preghiera: inevitabilmente, la vastità del suo arredo d’arte ne esalta un altro aspetto, quello museale. Non sembri perciò un paradosso l’auspicare che almeno alcune opere d’arte mobili, non necessariamente ancorate alle pareti, possano trovare un’altra sede più idonea per la loro contemplazione, anche perché meglio illuminate e protette. Nessuno certo può preventivare uno spostamento di grandi dipinti come quelli di Gaudenzio Ferrari o Bernardino Luini, o la pala Raimondi del Morazzone o la Madonna delle Grazie, del tornasco Abdrea de Passeri, che è oggetto di un culto particolare, certo più rilevante del suo valore intrinseco. Né appare ipotizzabile una diversa collocazione di statue e bassorilievi, ancone e paramenti marmorei che oltre a tutto sono una rappresentazione testimoniale della storia della basilica, i segni di un costante arricchimento nel corso dei secoli. Ma è evidente che gli splendidi arazzi del XVI e XVII secolo, appesi fra le colonne delle navate, non sono nell’ambiente più adatto per la loro migliore conservazione e inoltre che esistono non poche opere escluse da tanta abbondanza di complementi d’arte, e devono essere relegate nei locali delle sacrestie. Uno dei crucci di monsignor Lorenzo Badaloni, già arciprete del Duomo, era quello di non poter raccogliere in locali sufficientemente ampi e luminosi tutto ciò che poteva essere trasferito dalla Cattedrale, compresi anche i paramenti antichi rinchiusi in armadi, in definitiva creando un vero e proprio museo autonomo. Una sede ideale avrebbero potuto essere i locali del palazzo ottocentesco porticato in via Maestri Comacini, solo per metà della Curia e per l’altra metà di privati, che ne fanno scarso uso. Sopra i negozi, ci sono in realtà spazi vuoti che si presterebbero ottimamente a diventare un museo parallelo, contiguo al Duomo, che permetterebbe di valorizzare meglio il suo corredo artistico rispettandone il preminente ruolo devozionale. L’impegno finanziario è gravoso, le spese per la manutenzione del grande edificio ecclesiale sono già difficilmente sostenibili. Eppure l’idea che sia possibile far nascere questa nuova sede espositiva riemerge spesso, da un anno all’altro, soprattutto fra quanti hanno visitato musei del genere in altri luoghi che magari non hanno un patrimonio simile al nostro, rilevante anche come singolare attrattiva turistica. 76
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mentre in precedenza veniva usato come un Cristo morto in posizione orizzontale, con le braccia tagliate e ripiegate lungo i fianchi: una forzatura dovuta ad una necessità di carattere devozionale, per incentivare la contemplazione da vicino della statua e la preghiera dei fedeli. Una curiosità questa, ma che s’accompagna all’ammirazione per l’oggetto d’arte. Scoperte anche più importanti, nel corso del pellegrinaggio della catalogazione, hanno dato maggiore lena alle ricerche. Consentendo di rinvenire, e quindi di indirizzarli al necessario restauro, tre dipinti a Lemna di Faggeto di Andrea Pozzo, abile ed ispirato artista trentino tardobarocco, versatile architetto pittore decoratore e teorico dell’arte. Così a Viconago, nel Varesotto, sotto la muratura sono riemersi porzioni di affreschi databili dal Trecento al Seicento, ed è pure trecentesca l’ammonière, ovvero la borsella finemente decorata che giaceva nel reliquiario della sacrestia del Duomo senza l’identificazione che ora è stata precisata dall’esperta Francina Chiara segnalandone il valore. In Duomo, poi, nei locali della sacrestia, sono collocati vari dipinti della collezione seicentesca di Marco Gallio, fra cui una pregevole copia caravaggesca, che meriterebbero un’esposizione ben diversa, facendoli conoscere al pubblico. Manca ancora, come si diceva all’inizio, l’investigazione sui tesori della Valtellina, che non sono davvero pochi, dalle opere di eccezionale interesse storico/artistico agli oggetti di culto che comunque si prestano a significative conoscenze di costume. Basterebbe pensare, a tale proposito, alle statuette della Madonne abbigliate, incoronate da diademi e arricchite da monili, secondo una tradizione meridionalista, tuttora conservate perfettamente e oggetto di premurose cure, come è stato recentemente documentato dagli studi di una valente ricercatrice, Francesca Bormetti. Anche nel Comasco esistono “statue vestite” del genere
(notevole è il venerato Bambin Gesù di Brienno), come a Maccio di Villaguardia e Fino Mornasco. Ma sono rarità, per una semplice ragione: nel Novecento i vescovi, ritenendoli pressoché dei feticci da idolatri, diedero l’ordine di distruggerli. Solo l’amore dei fedeli ha fatto sì che qualcuno dei presunti incentivi ad una consuetudine superstiziosa scampasse alla rottamazione e resti invece come testimonianza di una religiosità d’altri tempi. Copia di tutte le schede compilate da don Straffi e dai suoi collaboratori viene consegnata alle parrocchie, perchè ne divulghino il contenuto, rendendo più consapevoli del patrimonio d’arte sacra locale i parrocchiani che, pur avendolo sotto gli occhi, non ne conoscono a fondo le caratteristiche. Ma le gradite sorprese sono sempre rinnovabili. Quanti sanno che, a filo del pavimento nella navata a sud del Duomo, si cela il dipinto di una graziosa Madonnina che ornava una parete dell’antica chiesa di Santa Maria Maggiore, abbattuta per far posto all’imponente mole della Cattedrale? E’ un segno di fede che ha scavalcato i secoli, giungendo fino a noi quasi per riconnettere il passato al presente: ma le condizioni attuali dell’arredo dominante nel Duomo non ha consentito di metterlo in luce, come l’antica sacra mensa marmorea della chiesa romanica che si trovava, soffocandola, sotto il paliotto dell’altar maggiore del Duomo fino al suo provvidenziale ritrovamento, qualche anno fa.
arte
Due particolari della sacrestia del Duomo di Como. Nella pagina accanto: l’interno della chiesa di Santa Cecilia.
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è rinato un gioiello
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di Antonio Marino
Il recupero dell’antico pulpito salvato dalla distruzione della Cortesella Un intervento firmato Accademia Galli
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ella prima metà del Seicento, lo scultore comasco Giuseppe Gaffuri immaginava il pulpito di una chiesa come uno scuro nembo temporalesco, punteggiato di qualche barbaglio di luce e attraversato dai raggi scintillanti della pietà divina. Così lo realizzò, per collocarlo poi all’interno della chiesa dei Santi Nazaro e Celso, nel cuore della Cortesella, l’angiporto di Como. Quando il quartiere fu abbattuto in esecuzione di un piano di risanamento, nel corso del secondo conflitto mondiale, anche la chiesa venne distrutta, ma prima il pulpito fu salvato e collocato, nel 1939, nella chiesa dei Santi Simone, Andrea e Giuda di Lora. Il passare degli anni e dei secoli aveva steso sulla superficie dell’opera la patina grigia e opaca del tempo, le parti originariamente risplendenti d’oro erano diventate d’un giallo stinto, sul colore primitivo della struttura si erano accumulati come una stinta coperta gli esiti discutibili di infiniti ritocchi e tentativi di restauro, ma sotto questa crosta posticcia il pulpito conservava intatto il suo splendore. Uno splendore che è stato riportato alla luce, con risultati di grande pregio e per alcuni versi d’incredibile efficacia, dall’intervento di recupero dell’Accademia Galli, voluto dalla Famiglia Comasca e dalla Fondazione della Comunità Comasca. Attorno al manufatto ligneo, preliminarmente smontato in ogni suo pezzo e sottoposto allo studio sui materiali utilizzati, si sono avvicendati gli studenti del corso di Restauro coordinato da Maria Romanelli, Milena Monti e Federica Colombani. Come spiega il direttore dell’Accademia Galli, ing. Clemente Tajana, il recupero è consistito in particolare >>
L’intervento di recupero del prezioso pulpito voluto dalla Famiglia Comasca e Fondazione Comunità Comasca mag
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nell’asportazione degli strati di porporina che ricoprivano la foglia d’oro e di quelli di colore che occultavano l’originaria superficie pittorica, realizzata dal Gaffuri con l’inclusione di pagliuzze d’ottone, secondo una tecnica inusuale nel Barocco. Sotto l’opaco colore marrone si è rivelato un verde scuro impreziosito dai frammenti di metallo. Il restauro ha riguardato ovviamente anche la parte superiore dell’opera, dominata da due angeli settecenteschi, probabilmente riutilizzati dopo il recupero da un diverso gruppo scultoreo di gusto rococò. Una ridipintura arbitraria aveva cercato di uniformare le due parti ricoprendole entrambe ed occultandone le caratteristiche. Gli angeli del coronamento, una volta restaurati, hanno mostrato di nuovo il delicato colore dell’incarnato e la doratura rococò il caldo colore dell’oro rosso, ottenuto con l’inclusione di rame, secondo la tradizione della gioielleria popolare. I risultati del lavoro sono apparsi in tutta evidenza durante la recente benedizione del pulpito, ricollocato nella chiesa di Lora, ad opera del vescovo, monsignor Diego Coletti, dando piena giustificazione all’impegno di chi si è battuto per il recupero di questo pezzo non trascurabile del patrimonio culturale comasco, nella linea di un programma >>
sculture preziose
Gli angeli del coronamento una volta restaurati hanno mostrato di nuovo la doratura rococò e il caldo colore dell’oro rosso.
Prima 80
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Dopo
un lavoro certosino
Due immagini simbolo di un particolare del pulpito Come si presentava prima e dopo il restauro.
Prima
Dopo
che sia la Famiglia Comasca che la Fondazione della Comunità Comasca perseguono da anni con eccellenti risultati. Contemporaneamente, hanno mostrato ancora una volta la validità del lavoro svolto dall’Accademia Galli con i corsi di restauro, dando forza all’esigenza più volte manifestata che questi possano portare non più all’attuale laurea triennale ma a quella magistrale, indispensabile per la preparazione adeguata a una professione che richiede ormai un vasto arco di competenze teoriche e pratiche.
il restauro È come un grande puzzle Il restauro del pulpito di Lora è il tema della tesi di laurea di una giovane restauratrice che a questo intervento ha preso parte in prima persona come allieva dell’Accademia Galli e che da questo lavoro è stata conquistata. «La tesi - spiega Alessandra Sacchetto, 23 anni – si sarebbe potuta fare anche soltanto sullo smontaggio e rimontaggio del pulpito, con i pezzi numerati e fotografati come in un puzzle». Un’operazione indubbiamente complessa, che però ha consentito - racconta la restauratrice - di entrare in contatto diretto con Giuseppe Gaffuri, lo scultore seicentesco che realizzò l’opera con un lavoro d’incastro estremamente complesso, studiato apposta per fare in modo che all’osservatore sembrasse quasi un pezzo unico, senza chiodi di sorta a tenerlo insieme. Un particolare che rivela molto sia del modo di procedere dell’artista che della sensibilità del tempo. Quanto ai materiali, Alessandra Sacchetto parla di una struttura che, complessivamente, aveva resistito molto bene all’usura del tempo. «Gaffuri - osserva - aveva usato legno di noce molto resistente, che abbiamo trovato praticamente intatto. Solo altre parti, realizzate in materiale ligneo diverso, ad esempio quelle sottostanti a un poggiamano di cuoio, apparivano attaccate dai tarli». Ma la parte più rilevante dell’intervento, oltre ovviamente allo smontaggio del pulpito e al relativo rilievo grafico con numerazione dei pezzi prima di procedere al loro recupero, è stata certamente quella che ha riguardato
le formelle. Sotto le mani di Alessandra e delle sue colleghe, man mano che procedeva l’opera di rimozione degli strati di pittura sovrapposti, appariva quello originale. «Comparivano - ricorda ancora emozionata - pagliuzze d’ottone con effetto cangiante». Certo, il fascino di un contatto così diretto con un’opera d’arte spiega il coinvolgimento emotivo, ma il restauro è, prima ancora che sensibilità personale, studio talvolta assai complesso. «La fase di pulitura - sottolinea la restauratrice - si è presentata molto complicata, soprattutto a causa delle pagliuzze d’ottone. Sono state necessarie svariate prove prima di poter identificare la soluzione migliore». Il fatto è che una pulitura eccessivamente leggera non riusciva a far emergere lo strato nel quale brillava il metallo, mentre una eccessivamente robusta avrebbe corso il rischio di rimuovere gli stessi frammenti. Così, per giungere alla fine dell’intervento di recupero del pulpito ci sono voluti nove mesi di lavoro. Ma ne è valsa la pena. Brillano gli occhi, ad Alessandra, quando ricorda come sotto le sue dita riprendevano vita le figure che emergevano dalle formelle «quasi come statue in miniatura». Un’esperienza che la ragazza giudica preziosa, così come fondamentale per il proprio futuro lavorativo giudica la formazione ricevuta ai corsi dell’Accademia Galli lungo l’indispensabile doppio binario della conoscenza teorica e dell’abilità pratica, così imprescindibile per tutto ciò che riguarda il restauro.
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QUANDO LA musica ferma il tempo di Mario Chiodetti
Viaggio nella casa-museo di Luigi Monti, tra grammofoni, spartiti e dischi in vinile. «In casa mia la musica non è mai mancata, anche mamma ama cantare e vista la mia precoce passione, mi portava da bambino in quello che ricorderò come un paradiso, la Casa musicale Baragiola & Zeppi»
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a macchina del tempo esiste, e noi l’abbiamo fatta funzionare. Nemmeno tanto distante dalla nostra redazione, in via Bonomelli, dietro la caserma, dove vive un bizzarro personaggio che, azionando il braccino mobile di un grammofono, fa rivivere tutto il Novecento musicale nonché un pezzetto di Ottocento, grazie a dischi che farebbero l’invidia di parecchi musei. Baffi, bretelle e papillon, Luigi Monti, 54 anni, sembra uscito da un numero di “Musica e musicisti”, la rivista che Giulio Ricordi stampava nella Milano Belle époque, e l’intero suo appartamento è foderato di dischi 78 giri, spartiti, raccolte di opere complete in vinile e libri, con radio, grammofoni a tromba e fonovaligie che occhieggiano anche da sotto i tavoli. Già, perché Luigi ha incominciato ad ascoltare musica a due anni, e per la precisione - il nostro ha una memoria da Pico della Mirandola - i 57 dischi presenti allora nella casa di via Rovelli messi da mamma Lina e papà Luciano sul piatto >>
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marca Voce del Padrone, anno 1942, che il bimbo osservava girare a gran velocità. È questo il primo ingranaggio della magnifica macchina del tempo che Monti, oggi aiuto bibliotecario in Conservatorio, mette in moto ogni volta che qualcuno glielo chiede, perché la sua storia di audiofilo è degna di un documentario a puntate. Luigi a due anni e mezzo fa fuori il Voce del Padrone cercando di capire come funziona, poi in un trasloco sciagurato si rompono otto dei 57 dischi di famiglia, altri dodici più i Dischi del Musichiere e cinque fiabe della Durium su supporto di cartone vanno perduti perché dimenticati nella ghiacciaia, l’antenata del nostro frigorifero, rottamata in discarica. In più altri nove vanno in pezzi negli anni, perché il 78 giri è fragile quasi come il vetro. Per Luigi incominciano lustri di patimenti e sensi di colpa, vuole ritrovare a tutti i costi le “madeleine” per ricostruire proustianamente il suo mondo perduto, ci impiega, era il ’65 la data del trasloco in via Bonomelli, ben 47 anni, esattamente fino al 14 marzo scorso, quando un suo fornitore di ebay gli telefona dicendogli di avere “Sentiero spagnolo” cantato da Giorgio Consolini, l’ultimo degli “introuvables”, il disco mancante e l’anello finale che lega il Monti di oggi a quello infantile. «Il disco è un banale CGD anni Cinquanta, ma per me rappresenta la memoria dell’infanzia, i suoni che ascoltavo con mia nonna, che mi faceva cantare “Un bel dì vedremo” dalla Madama Butterfly, mentre papà avrebbe voluto un figlio calciatore», spiega Luigi, che oltre alla discoteca dispersa ha ritrovato anche tutti i grammofoni e le radio avuti
dalla famiglia nel corso degli anni e per un motivo o per l’altro rotti o regalati. «Ho ritrovato addirittura il piatto della Voce del Padrone che avevo distrutto a martellate, la radio Ducati del 1947, lo stesso modello avuto da mio nonno, il Fonovox a valigetta con cui ascoltavo i 45 giri e i dischi flessibili del Musichiere. In casa mia la musica non è mai mancata, anche mamma ama cantare e vista la mia precoce passione, mi portava da bambino in quello che ricorderò sempre come il mio paradiso, la Casa musicale Baragiola & Zeppi, con le due figlie Baragiola, Luciana e Adelina, Lucia Caronti e i commessi Arturo e Vincenzo che mi coccolavano, mostrandomi i giradischi per i 33, 45 e 78 giri». Luigino ha in dono dal nonno materno il famoso Fonovox e un disco dello Zecchino d’Oro, edizione 1960, ma è la zia Rosetta, che in casa aveva un magnifico grammofono a tromba Victor degli inizi ‘900, a far scattare in lui la passione che non l’ha mai più abbandonato, quella per i vecchi dischi, la musica lirica e l’operetta, della quale è uno dei massimi esperti in circolazione. «La zia Rosetta, mancata a 93 anni nel 2010, è stata colei che mi ha messo in lotta con Gesù Bambino, al quale chiedevo disperatamente un grammofono a tromba e invece mi arrivavano trenini elettrici. In più mia zia Rina possedeva
«Chiedevo a Gesù Bambino di portarmi un grammofono e invece, immancabilmente, mi arrivava un trenino elettrico» un grammofono a mobile Thorens usato come supporto al televisore, e che al posto della tromba interna aveva i libri di Zuccoli, Gotta, D’Ambra e Delly e qualche Omnibus Mondadori. Un delitto ai miei occhi di melomane, ma avevo dodici anni e pochissima voce in capitolo, ma ruppi talmente le scatole ai miei che alla fine il nonno lo caricò sul portapacchi e me lo portò a casa tra le bestemmie. Era il 20 dicembre 1970, non avrei potuto immaginare un miglior regalo di Natale». Oggi i grammofoni sono una decina, due della marca francese Pathé, «uno pare fosse stato il regalo di d’Annunzio a una delle sue amanti», un Grafofono Columbia con tromba argentata, il Phonobella del 1906, un fonografo della Società fonografica italiana, un Voce del Padrone, la simpatica valigetta Durium Jazz, oltre a un curioso Fonotipia da tavolo. Ma la macchina del tempo si mette in moto anche con i più recenti apparecchi elettrici, i Lesa e i Telefünken degli anni ’50, con cui squillano le voci di Mario Latilla, Bruno >>
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Cimeli
Luigi Monti nella sua casa museo tra spartiti d’epoca, antichi dischi in vinile e preziose copertine di partiture musicali.
Pallesi - una delle passioni canore di Luigi - del Quartetto Cetra o di Silvana Fioresi. «Oggi i dischi etichettati sono 8.820. Ho incominciato ad acquistarli a 15 anni, con le prime mancette, ricordo i 33 giri Joker venduti a 950 lire con le selezioni di arie d’opera, ma i primi 78 giri li comperai alla fiera di Senigallia con mia nonna. Tra questi c’era un Pathé con “Il parco di Salice”, di Virgilio Ranzato, autore diventato poi di culto per me». Alla quota degli ottomila, con il solo ossigeno della passione, Luigi è arrivato comprando nei mercatini, da privati, scambiando con altri collezionisti, prima senza un criterio preciso e con fame bulimica, poi cercando sempre più spesso la sintonia con autori comaschi e l’immancabile operetta. «Un disco mi deve piacere, indipendentemente dalla sua rarità e dal valore venale. Magari mi ricorda soltanto 88
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una sensazione provata anni prima, una persona, un luogo. Ognuno sprigiona una carica positiva, raramente si resta delusi, è sempre una sorpresa ascoltarne di nuovi. Gli unici 78 giri che acquisto in ogni caso sono quelli di operetta, di Bruno Pallesi, il cantante prediletto, e di Virgilio Ranzato, l’autore del “Paese dei Campanelli”. Ho conosciuto sua nuora, Ida Bertuzzo Ranzato, che vive a Moltrasio e su mia proposta ha donato il Fondo del suocero al nostro Conservatorio», racconta Monti, mettendo sul piatto del Pathé un 80 giri di Nella Regini, creatrice del ruolo in quell’operetta. Il bibliotecario di via Bonomelli ha raccolte di canzoni italiane, operetta, musica lirica e sinfonica, una sezione operistica dedicata ai 33 giri, più due rarissimi Berliner (i primi dischi mai prodotti, alla fine dell’800, della grandezza di un 45 giri) che si ascoltavano a 100 giri al minuto, con un
brano dal “Fra Diavolo” di Daniel Auber e “Musica proibita” di Stanislao Gastaldon. I comaschi ormai sanno della sua smisurata passione, e molti sono i lasciti che Luigi ha ottenuto: per esempio quello di Cesare Mondini, scomparso da poco e uno dei grandi nuotatori della nostra città, in gioventù parte di un Trio vocale con Bianchi e Molteni che incise dischi per la Columbia e la Odeon, con l’hit “Picchiatelli” dedicato ai bombardieri italiani dell’ultima guerra. «Accanto a quelli registrati da lui c’erano preziosi acetati di un altro comasco, Giuseppe Rampoldi e la base di “Wonderful Como” con lo spartito originale scritto nel 1959, e cantato da Gianni Traversi in 45 giri per la Cricket. «Raccolgo tutto il materiale comasco, qui è nata la canzonetta italiana moderna a soggetto, con “Come una coppa
ta assieme alla celebre soubrette Elena D’Angelo in recital dedicati a rare pagine degli anni Venti. Luigi, che venera la trinità Verdi Boito Ranzato, in gioventù, assieme all’amico musicista Marco Casartelli, ha composto le operette “Volta la lanterna”, “Il marito dongiovanni” e “la signora delle rose”, musicato una parte del libretto “Iram” di Arrigo Boito e perfino scritto un Mefistofele in sei atti, «di cui mi vergogno profondamente». «Possiedo anche il rarissimo disco della Cetra con “All’ombra del tuo cuore” inciso da Achille Togliani, un brano scritto da Argene Garancini Lacchi nel 1957. “Nene” è stata mia amica fino alla sua recente scomparsa a più di 90 anni, componeva canzoni molto belle, una delle quali fu selezionata per un’edizione di Sanremo».
di champagne”, del 1921, “Follia” e la “Java rossa”. Poi ho scritto un libro su Eugenio Cantoni, il “Neno”, genietto musicale morto di tifo a 21 anni, che fece a tempo a scrivere 80 canzoni, un copione per Alida Valli, un’opera e un’operetta oltre a una rivista per Macario. Poi ho dischi di Giacomo Maria Somalvico, Angelo Ramiro Borella, Pietro Berra (“Ombre e campane”, incisa da Daniele Serrra per la Voce del Padrone), Mario Restelli, Nino Ravasini nato in Borgovico, Luigi Picchi e Umberto Zeppi, titolare della casa musicale della mia infanzia e autore di un “Preludietto pastorale per la notte di Natale” che fu eseguito nel ’28 addirittura dal coro della Scala. Poi ricordo ancora Santino Bossi, cantante alla Radio Svizzera, e Rito Cima Vivarelli, che aveva un’orchestrina negli anni ’60», spiega Monti, che nel tempo libero (!) si esibisce anche come comico d’operet-
Qualcosa gli manca, e sono i Phonodisc Mondial acustici di Maria Tensini Peretti, soprano di inizio ‘900 amica della bisnonna, che nel 1914 fu protagonista al Sociale de “L’amore dei tre re” di Italo Montemezzi: «ne ho visto uno su ebay ma chiedono una fucilata». «Gli altri cantanti comaschi li ho tutti, da Gianni Guglielmetto, che poi si chiamò Adriano Valle, dai nomi dei teatri romani in cui cantò, Anita Corridoni, soprano e grande interprete della “Gioconda” di Ponchielli». La macchina del tempo continua la sua corsa, Luigi cambia la puntina, alza il braccino del vecchio piatto della Voce del Padrone, e la magia ricomincia. Come settant’anni fa, la voce morbida e pastosa di Bruno Pallesi riempie l’aria e “Sotto il ciel di Lombardia” le ombre si fanno piano piano più lunghe.
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ma nel cuore il lago di Alessio Brunialti Foto Carlo Pozzoni
La passione di Emma Tricca, cantante e autrice. I ricordi del liceo al Casnati la passione per Bob Dylan e la casa comasca... «dove torno bambina»
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’è chi si limita ad ascoltare la “musica che gira intorno”, come la chiamava Fossati, e chi, invece, non ne fa una questione di modernità, ma di passione. Così negli anni della scuola, mentre tutte le compagne impazzivano per gli Spandau Ballet e scappavano di casa per assistere al concerto dei Duran Duran a Milano (la stessa cosa accade oggi per gli One Direction), la piccola Emma si era concentrata su ben altro disco: «Lo ricordo come se fosse ora, era “The times they are a-changin” di Bob Dylan, mi ha letteralmente cambiato la vita». E infatti oggi Emma Tricca è di mestiere cantante e autrice e si è lasciata alle spalle Como e i ricordi del liceo linguistico Casnati. «Sono bellissimi ricordi - racconta di ritorno in Italia per qualche concerto, anche sul Lario - ho vissuto qui per tanti
il lago nel cuore
Emma Tricca a Como, città dove ama tornare, «Ci ho vissuto anni ed è come tornare alla mia infanzia».
e la grande Odetta e qui è necessario compiere una piccola digressione. Odetta Felious Gordon era un’artista unica, una personalità “bigger than life” dotata di una voce potentissima: la sua è stata una presenza emblematica non solo nella musica, ma nella società americana del Novecento. Era al fianco di Martin Luther King durante le marce per abbattere la segregazione razziale e se Dylan, proprio quel Bob Dylan tanto amato da Emma, si era lanciato in una carriera musicale quando tutti lo prendevano in giro per la voce nasale e l’atteggiamento troppo spavaldo, si deve anche a questa icona afroamericana, scomparsa in tempi recenti proprio in Italia, dopo un’esibizione. In Italia ha incontrato Emma Tricca che credeva di avere realizzato i suoi sogni conoscendo John Renbourn, il re della chitarra folk anglosassone.
«In prima fila ai Folk Awards seduta accanto a Peter Gabriel. Se penso a quel giorno mi tremano ancora le gambe» anni e mia madre abita sempre qui vicino, quando torno a trovarla ritorno ragazzina». La stessa ragazzina che non appendeva in cameretta poster di Sandy Marton e non attaccava alla cartella gli adesivi di Rick Astley: i suoi amori erano ben altri. «Grazie a Dylan ho scoperto tutta la scena che gravitava attorno a lui negli anni Sessanta nel Greenwich Village, poi è arrivata la scoperta del folk anglosassone». Frasi queste assolutamente impossibili da udire negli anni Ottanta di Deejay Television. La curiosità e la propensione artistica di Emma non erano casuali: arriva da una famiglia di poeti e pittori dove la musica ha sempre giocato un ruolo chiave, da Mozart a Elvis. Dopo Dylan nella discoteca di casa Tricca sono arrivati tutti gli altri grandi “folksinger”: Joni Mitchell, Carolyn Hester, Phil Ochs, Dave Van Ronk
Odetta non era persona facile da avvicinare, non concedeva facilmente la sua amicizia, ma questa piccola italiana dai capelli scuri, gli occhi penetranti armata solo di un pugno di buone canzoni le piacque. Le aveva scritte con una chitarra che le era stata regalata a 14 anni dal cugino, per accontentare questa ragazzina che impazziva per tutti quei cantanti dimenticati che imbracciavano quello strumento: «Sulle prime non l’ho proprio suonata - racconta - c’è voluto un po’ di tempo perché trovassi la mia voce e la mia via su quelle corde». Le prime canzoni la spinsero a esibirsi in locali come il leggendario Folkstudio di Roma, città dove si era trasferita (e la leggenda nella leggenda vuole che ai suoi esordi, in quel locale, ci si fosse esibito proprio lui, Bob Dylan in persona). È stato proprio in quel luogo che è avvenuto >>
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l’incontro con la regina nera. E Odetta diede a Emma un consiglio che, detto da lei, suonava come un ordine: “Follow your dream”, insegui il tuo sogno, non lasciartelo scappare. Il sogno era il viaggio, un viaggio che la condusse prima in Inghilterra, tra Oxford e Londra, dove conobbe altri miti come Roy Harper e Phil Guy, poi, fatalmente, al Greenwich Village. Ha vissuto a New York e in Texas, ma alla fine ha capito che era Londra la sua città, a metà strada tra l’Italia e gli Usa. Scrive e canta nella lingua d’Albione e ogni volta che si esibisce conquista qualcuno, che si tratti di un’altra ragazza con i suoi stessi sogni seduta nel pubblico, oppure di qualche altro collega più celebre. Tra i suoi estimatori si contano Jarvis Cocker (Pulp), Chip Taylor (l’autore di “Wild thing”), la star del folk Martin Carthy perfino David Gilmour (Pink Floyd) mentre con Renbourn non si contano i concerti condivisi: “È quasi una figura paterna per me, con quel suo largo sorriso, naturalmente con il suo incredibile virtuosismo alla chitarra. Mi ha voluto con sé alla reunion dei Pentangle (un’altra formazione leggendaria del folk revival anni Sessanta, ndr.): «Ero in prima fila ai Folk awards, seduta vicino a Peter Gabriel, mi tremano le gambe ancora adesso a pensarci». Agli ascoltatori, invece, tremano i cuori grazie ai brani di “Minor white”, un esordio discografico che ha ottenuto critiche entusiastiche. Per lei si sono spesi, per una volta a ragione, paragoni lusinghieri con Anne Briggs (una figura quasi mitica nel panorama inglese, scomparsa dalle scene quarant’anni fa), Shirley Collins e la compianta Sandy Denny. Tra pochi giorni sarà pronto il secondo album, attesissimo in Inghilterra. E in Italia? Emma è tornata a esibirsi il mese scorso, men92
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tre la sua ultima incursione comasca risale ad agosto, quando ha raccolto attorno a sé a Lezzeno un pubblico numerosissimo, frutto del passaparola perché, oggi come allora, questa musica non è e non sarà mai di moda, ma è un prezioso segreto, di quelli che si condividono con gli amici più fidati e che una volta conosciuto non si può più dimenticare.
In concerto
Emma Tricca sul palco durante uno dei suoi spettacoli.
eventi
Scandalo Auto blu
Premiata l’inchiesta di Roncoroni e Moretti Gisella Roncoroni e Paolo Moretti giornalisti del quotidiano La Provincia e del mensile Mag hanno ricevuto un riconoscimento all’interno del premio «Guido Vergani» per il cronista dell’anno 2012. La cerimonia si è svolta al Circolo della Stampa di Milano, i premi «Guido Vergani» per il cronista dell’anno 2012. Il Gruppo cronisti lombardi ha premiato i giornalisti che si sono distinti per il loro “impegno professionale” e tra loro anche i cronisti Gisella Roncoroni e Paolo Moretti, che hanno ottenuto una targa dei comandi regionali dei carabinieri e della guardia di finanza per l’inchiesta sui 160mila chilometri percorsi in quattro anni dall’auto blu del presidente della Provincia Leonardo Carioni. Il primo premio per la carta stampata è andato invece ad Antonio Sanfrancesco di Famiglia Cristiana; Annalisa Corti di Telelombardia ha vinto la sezione radiotelevisiva; Tiziana De Giorgio e Luca De Vito di Repubblica hanno ottenuto invece il riconoscimento per il web. La giuria del premio Guido Vergani era presieduta dal direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli era composta dai presidenti dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e dell’Associazione lombarda giornalisti e da sei direttori di testate lombarde. Nel comitato d’onore anche l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, il presidente uscente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
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eventi
IL BARATTO TORNA DI MODA L’iniziativa dalla Cooperativa Parsifal per scambiarsi oggetti senza spendere Il baratto torna di moda: l’idea di scambiare oggetti senza bisogno di mettere mano al portafoglio, complice la crisi, conquista grandi e piccini. Lo si è visto alla Festa del Baratto organizzata dalla Cooperativa Parsifal in collaborazione con la Banca del Tempo di Como lo scorso 18 novembre a Tavernola, in Villa Bellingardi. Tante le persone che si sono presentate, secondo quanto previsto dal “decalogo” della festa, con qualche oggetto, accessorio o capo d’abbigliamento da scambiare, curiosando tra i tavoli che erano stati predisposti nelle sale della villa. «La nostra proposta di baratto si è basata sul libero accordo, svincolato quindi dal valore degli oggetti - spiega Adriano Sampietro, presidente della Cooperativa Parsifal che da tre anni gestisce un centro di aggregazione giovanile appunto a Villa Bellingardi e lavora su progetti mirati alla coesione sociale - ci ha intrigato lo spirito di relazione che lo scambio innesca: non c’è un prezzo da mercanteggiare ma bisogna piuttosto accordarsi sulla base di desideri o bisogni. L’affluenza è stata superiore alle nostre aspettative e tutti hanno colto lo spirito della festa, con una buona dose di divertimento e soddisfazione». Anche bambini e ragazzi hanno partecipato con giocattoli, fumetti, libri in uno spazio dedicato a loro, attiguo al laboratorio di riciclo creativo (uno dei numerosi eventi della Settimana dell’Infanzia promossa dal settore Politiche educative del Comune) dove si sono realizzate decorazioni natalizie con materiali di scarto come bottiglie e contenitori di plastica.
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di Laura D’Incalci
QUANDO IL NUOTO È SFIDA ALLA VITA di LAURAD’INCALCI
L’esperienza dell’associazione “nuotando... Diversamente” coinvolge ottanta famiglie e ai ragazzi con particolari attitudini viene data la possibilità di passare all’attività agonistica
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inalmente primi, su un podio, inondati dagli applausi. Per chi viene al mondo segnato da una disabilità, il brivido di un successo accende una musica che non si spegnerà mai più, diventa una specie di colonna sonora che accompagnerà la vita. «Sono stato bravo, dovevi vedere che festa mi hanno fatto i miei compagni...c’era l’aula magna del Setificio strapiena quando mi hanno consegnato la medaglia»: Laura Clerici riferisce così il ricordo di un giorno indimenticabile per suo figlio Tommaso, 17 anni, colpito dalla sindrome di Asperger, una forma d’autismo che da sempre gli rende difficili le relazioni con gli altri.
Alla piscina di Casate, spesso sono questi ricordi a sostenere il filo di tante conversazioni: i genitori di ragazzi segnati da disabilità diverse, che compromettono le capacità intellettive e relazionali, guardano dalla vetrata i loro campioni mettendo in comune ansie, conquiste, battaglie condivise. Si ritrovano ogni sabato pomeriggio, a volte anche durante la settimana, per gli allenamenti di nuoto che rappresentano ben più di un’attività sportiva. «I nostri figli si impegnano a livello agonistico, qui hanno trovato chi crede in loro, nelle loro abilità e li tratta senza pietismi, facendo in modo che si sentano come gli altri, spronati a dare il meglio di se stessi, ad affrontare sacrifici e soddisfazioni»: Laura Molteni, >>
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mamma di Marco, campione italiano nei 400 stile libero, descrive l’attività sportiva come una chiave consegnata a suo figlio autistico per aprire una finestra sul mondo. «Non avevo mai visto mio figlio così motivato nell’affrontare le giornate, così carico di entusiasmo... Ha iniziato a nuotare nel 2008 e dopo pochi mesi, nonostante all’occorrenza si prendesse anche qualche sgridata, non vedeva l’ora di venire in piscina. - racconta - Gli istruttori avevano riconosciuto le sue effettive potenzialità...Ora Marco ha 23 anni e gli allenamenti per lui rappresentano un impegno fondamentale, gli evitano di trascinarsi senza veri e propri obiettivi... Sa che qui i suoi allenatori lo aspettano, attendono da lui continui progressi». Il racconto di tante madri e padri disposti a sobbarcarsi continui tragitti casa-piscina, ad affrontare anche trasferte a Pesaro o Pugnochiuso per seguire gli allenamenti di squadra e regalare spazi di autentica crescita ai loro figli “speciali”, spesso mette in rilievo un’aspettativa vitale, quella di veder trattati i propri figli senza la pesante etichetta dell’handicap che si portano addosso. E proprio attorno a questo desiderio, in molti ambienti ancora poco compreso e accolto, è nata l’esperienza di «Nuotando…diversamente», sezione dell’Ice Club Como, società sportiva nata nel 1975 per l’organizzazione dei corsi di nuoto alla piscina di Casate. «L’incontro con Bruno Frangi è stato decisivo» racconta Maurizio Di Silverio, papà di Marco,15 anni, affetto dalla sindrome di Down. «Avevo sempre cercato di evitare a mio figlio Marco di trovarsi a svolgere delle attività con ragazzi che hanno i suoi stessi limiti, i medesimi disagi comporta100
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mentali. - ammette - E quando l’avevo iscritto al corso di nuoto, non avevo ritenuto necessario dichiarare la sua patologia, in quanto dal punto di vista fisico Marco stava bene e sapevo che non avrebbe avuto problemi in piscina…Ma quando gli organizzatori si erano resi conto della situazione, tutto si era ingarbugliato… non osavano dirmi che non avevano intenzione di inserire mio figlio nei normali corsi e continuavano a tergiversare rimandando l’appuntamento. Data la mia insistenza, finalmente mi fissarono un incontro con Bruno Frangi, uno dei dirigenti …». Un ricordo speculare oggi, pur a distanza di qualche anno, accende un’immagine indelebile anche negli occhi del dirigente Frangi: «Non dimenticherò mai quel giorno, l’incontro con quel padre che esponeva il suo problema con tono pacato e convinto, quasi ostinato…Mi diceva: “Hanno abolito le scuole “speciali” per facilitare le relazioni con gli altri ragazzi e una integrazione nella società e poi…Perché non farli nuotare insieme ai normodotati? Almeno si potrebbe tentare…». «La richiesta del papà di Marco è stata come una sferzata improvvisa - prosegue l’artefice del progetto innovativo - mi ha risvegliato un sogno assopito, accantonato, quasi dimenticato. Ma già mentre lui mi parlava, io cominciavo a ipotizzare una risposta, a immaginare un metodo, una nuova organizzazione…Anche se allora non avrei mai potuto immaginare che Marco Di Silverio avrebbe conquistato il record italiano nei 50 dorso». Oggi la sezione “Nuotando…diversamente”, istituita nel 2007 in seno all’’Ice Club, ha sviluppato un’attività che coinvolge oltre 80 famiglie: in tre piscine di Como (oltre alla storica sede di Casate, sono utilizzate anche la struttura di via Sinigaglia e la piscina della scuola Ugo Foscolo in via
Lo sport come riscatto
Alcune immagini dei ragazzi del gruppo “Nuotando... diversamente” durante la preparazione agonistica. Lo sport diventa per loro un modo per credere nella vita e sfidare il futuro. A destra Bruno Frangi promotore della sezione di Ice club con i suoi campioni.
Borgovico), ragazzi con particolari problematiche relazionali, sperimentano proposte e percorsi “su misura”, calibrati sulle potenzialità che tecnici e istruttori professionisti sono in grado di scoprire e valorizzare. La prima fase del progetto prevede una quindicina di lezioni in cui ciascun ragazzo, seguito singolarmente, evidenzia la sua propensione per il nuoto e i punti di forza in base ai quali sarà deciso, anche in dialogo con la famiglia, un successivo inserimento nei vari corsi di nuoto individuati secondo il livello e le capacità di ciascuno. «Ai ragazzi che si distinguono e dimostrano particolari attitudini al nuoto viene data la possibilità di passare all’attività agonistica gareggiando a livello regionale e partecipando ai campionati italiani Fisdir (Federazione italiana sport disabilità intellettiva relazionale ndr)», spiega Frangi sottolineando l’importante supporto del Csu (Centro servizi urbani) che ha dato l’Ok per corsi mirati all’inserimento sociale dei disabili. «È fondamentale, fin dalla fase iniziale, il coinvolgimento
di istruttori professionisti che garantiscono la qualità», aggiunge citando Jacopo Maffi e Agnese Brucato, allenatori di professione che si sono messi in gioco non soltanto sul piano tecnico, ma investendo la propria umanità per accompagnare i ragazzi disabili nella loro avventura. Un intento riassunto nella parola “integrazione” che nessuno pronuncia, mentre l’attenzione è tutta concentrata sui movimenti, sulla velocità, la resistenza… Non se ne avverte il bisogno di nominarla: l’integrazione la si vede a occhio nudo incontrando atleti come Andrea Esposito, 22 anni, la sindrome di Down, l’incredibile soddisfazione di allenarsi, nuotano “diversamente”, insieme a ragazzi normodotati. «Mi sono inserito nel Master (gruppo agonistico che allena una settantina di atleti ndr) tenuto dall’istruttrice Chiara Mascetti», dichiara Andrea felice delle sue conquiste. Accanto a lui Andrea Lunardelli, 13anni, la stessa anomalia cromosomica e gli occhi che gli brillano sorridenti: “Parteciperò anch’io alle gare, manca poco, proprio questo dicembre…». Ognuno ha una sua aspirazione, un progetto, un sogno…e se gli piace nuotare e ce la metterà tutta, nessuno gli impedirà di diventare un campione.
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L’anima della bellezza di Serena Brivio, foto Carlo Pozzoni
La sfida di un’azienda tutta comasca, nata da una intuizione di Erminio Malberti. Dal latte d’asina dei tempi di Poppea ai prodotti per mantenere giovane il guardaroba
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ggi l’antinvecchiamento della pelle e dei tessuti non è questione di alchemiche formule chimiche, ma di prodotti lifestyle. Il nuovo trend? Curare viso e corpo con prodotti a base di latte d’asina, antiaging già in voga ai tempi di Poppea. La natura aiuta anche a mantenere “giovane” il guardaroba. Come? Basta fare il bucato con polveri contenenti preziose capsule che a contatto con l’acqua si legano alle trame rilasciando sostanze rigeneranti e profumate. Questa è l’affascinante sfida raccolta da Alma Cosmetics, fabbrica di bellezza alle porte di Como. Una delle poche realtà artigianali a livello nazionale, un’eccellenza che ha mantenuto l’intera catena produttiva nel territorio rispettando tutti gli obblighi di garanzia. Un punto di forza contro la sempre più agguerrita concorrenza dei competitor asiatici, che spesso immettono sul mercato formule nocive per la salute. «Realizzare una linea di cosmesi made in Italy riscoprendo metodi e proprietà naturali usati secoli prima è sempre stato il mio sogno - racconta Enrica Malberti, attuale titolare dell’azienda - Ho iniziato a lavorarci un paio di anni fa, dopo aver maturato una certa esperienza nel settore». La Malberti aveva deciso di seguire tutt’altra strada. «Alma è nata dall’intuizione di mio padre. Quando è scomparso, ho chiuso il mio negozio di antiquariato per tener viva quest’eredità, un bene comune che apparteneva anche alle persone che l’avevano fatta crescere». 104
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Dalla cosmesi made in Italy alle tecniche per riuscire a mantenere giovane anche gli abiti del guardaroba Oggi come ieri ogni fase di lavorazione è controllata dall’uomo. Circa 26 addetti, insostituibili più che specializzati, rendono unica ogni singola fase di lavorazione, dal laboratorio dove viene creato e testato ogni campione, al packaging. Visitando i vari reparti si respira la stessa atmosfera dei dinamici Settanta, gli anni in cui l’azienda venne fondata da Erminio Malberti. Un esempio di coraggio e lungimiranza imprenditoriale. Giovane chimico, impiegato in una multinazionale di Fino Mornasco, Malberti capisce che il mercato offre grandi opportunità a chi ha il coraggio di mettersi in gioco. Compra un terreno poco distante dal vecchio posto di lavoro e apre una piccola ditta, ma con l’anima. L’unico modo per farsi strada tra grandi colossi che controllano il business della cosmetica e della detergenza, professionale e domestica. La continua voglia di investire permette alla società di
IL LAVORO
L’interno dei laboratori dell’azienda Alma Cosmetics di Fino Mornasco. Come ai tempi in cui fu fondata da Erminio Malberti, le fasi di lavorazione sono costantemente controllate dall’uomo.
evolversi e di rimanere sempre “up date” attraverso la costante modernizzazione della strumentazione per la ricerca, degli impianti e non ultimo, del sistema informatico. Agli inizi degli anni 2000, Alma procede a una globale ristrutturazione dei reparti produttivi. Il risultato di quest’innovativo impegno è l’attuale struttura: moderna, efficiente, flessibile. Adatta, come impongono i tempi, a soddisfare le richieste di diverse tipologie di clienti: dai big player ai singoli distributori italiani. Nello stesso periodo, l’azienda ottiene la certificazione ISO 9001 inglobando anche la parte progettuale all’interno delle proprie procedure. Lunga la lista di prodotti di largo consumo, con etichette molto conosciute, usciti da questa alchemica fucina di creatività e laboriosità. >>
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Attualmente organizzata in due poli operativi: la Divisione Cosmetica e la Divisione Detergenza. È inoltre officina autorizzata alla produzione di Presidi medico chirurgici. «Oltre a produrre su formulazione del cliente - spiega Fabio Schiavon, amministratore delegato - siamo in grado di sviluppare nuovi prodotti in base a specifiche richieste, corredandoli dei necessari supporti legislativi e di marketing». La gamma spazia da shampoo a bagni schiuma, saponi liquidi, oli, emulsioni fluide o semi fluide, deodoranti, prodotti alcolici e così via. I successi ottenuti come fornitori dei più importanti brand internazionali, hanno spinto la proprietà lanciare una propria etichetta Alma Cosmetics. Che comprende una vasta
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offerta: la linea per bambini con principi attivi dell’ olio di oliva, del riso e della liquirizia; quella per la cura delle mani composta da emulsioni altamente protettive che riducono il rischio di irritazioni e reazioni allergiche; quella per la cute senile, particolarmente delicata, a base di estratti vegetali. Ci sono poi inebrianti fragranze per ambiente, proposte in diverse confezioni che combinano legno, vetro e tessuto. E naturalmente tante idee regalo. Fiore all’occhiello la linea Poppea costituita da bagnoschiuma, doccia shampoo e latte viso-corpo, anche in kit da viaggio. Entrare nell’elegante store, da poco aperto vicino alla fabbrica, significa intraprendere un viaggio affascinante nel benessere.
Dopo il successo delle scorse settimane con migliaia di copie andate esaurite in questi giorni le edicole sono state nuovamente rifornite
Un lago segreto Il video con Giuseppe Guin e la regia di Paolo Lipari trova un punto di sospensione: realistico e misterico
Sciolto un ex voto alla Pliniana, il regista di “Un lago segreto”, Paolo Lipari, ha tenuto per sé le reminiscenze cinematografiche in un cortometraggio che resta al largo delle ville attorno alle quali è stata costruita la dubbia fortuna dell’immaginaria Lariowood. Mentore il laghee ad honorem Giuseppe Guin, peraltro dalla presenza scenica adeguata, “Un lago segreto” cabota invece lungo la sponda “magra” del primo bacino di un Lario quanto mai vespertino.
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Segreti e luce del sole, del resto, sono difficilmente compatibili: di vedute lariane si occupino gli onnipresenti videocellulari dei turisti (ignari delle classiche cartoline illustrate, da rimpiangere), a Guin & Lipari interessano più ascosi approdi. Perché “Un lago segreto” non è (soltanto) quello dello sciabordio, per quanto imprescindibile ne sia l’elemento idrico, della navigazione, ma la sua misconosciuta cornice: le sponde e gli echi di cui risuonano o, meglio, le tracce di cui sono depositarie. Guin esplora cave di pietra - taciti monumenti ai “picapreda” - disertate dai cavatori come se fossero trascorsi secoli e botteghe di superstiti maestri d’ascia, per vedere il volo degli aironi arriva dove i battelli non attraccano, s’inoltre in cunicoli dove l’impressione è che i segreti non siano ancora, o non del tutto, svelati. “I segreti del lago” infatti non è una ricognizione turistica, dunque conserva ciò che riserva agli iniziati: uno degli ultimi pescatori di mestiere, una “lucia” che si ostina, umbratile, a solcare uno specchio d’acqua brunito (ma questa è la cifra del cortometraggio), in una piccola chiesa tre donne con il velo di quando erano giovani, un Cristo sott’acqua. Tra paesaggio come stato d’animo e documentario alieno dal folclore “Un lago segreto” trova l’esatto punto di so-
di Bernardino marinoni
LA RECENSIONE
spensione: realistico eppure vagamente misterico, è quello di darsene altrimenti inaccessibili, oppure degli orridi: citiamo quello di Faggeto (un minimo di toponomastica occorre: la mappa del documentario infatti è precisa), ma si vede anche quello delle nubi che rovinano dal cielo durante un temporale. Girato d’estate, dalla stagione il cortometraggio mutua una larghezza che è quella del tempo delle scoperte piuttosto che indulgere al riflesso del sole sull’acqua. “Un lago segreto” s’inquadra invece controluce, ma senza
sospetti oleografici: il lavoro di regia, di là di una professionalità che non ha bisogno di riprove, risiede proprio nell’esattezza con la quale sa raccogliere l’invito della sceneggiatura ad uscire dalla cartolina. Il segreto del lago è quello che gli sta attorno, e sotto, e sopra. Immagini che il commento musicale non sovrasta, E nei particolari del film - sia una merlatura, sia un andito, sia la mano del carpentiere - risiede il suo segreto.
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eventi
PROTAGONISTA LA FOTOGRAFIA Successo del concorso fotografico nel quarantesimo anniversario della fondazione del Foto Cine Club di Cernobbio
Dalle variopinte sfumature dei paesaggi all’intensità espressiva dei volti, dalle linee nitide ed essenziali dell’immagine in bianco e nero, al fascino dell’istante irripetibile… Tante le suggestioni a Villa d’Este durante la proiezione e premiazione delle migliori immagini presentate al 34° Concorso Fotografico Nazionale promosso da Foto Cine Club di Cernobbio. Di 1636 foto digitali pervenute di 210 autori, 43 di 31 autori sono state premiate lo scorso 18 novembre. L’appuntamento annuale ha verificato un’eccezionale partecipazione di fotografi di talento, spinti da un hobby coltivato da anni o scoperto di recente: «In Italia è uno dei principali concorsi anche per il rilevante numero di partecipanti» ha sottolineato Antonio Vasconi promotore e 110
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anima, insieme al figlio Piero, dell’iniziativa ideata dal Foto Cine Club di Cernobbio che ha da poco festeggiato 40 anni di creativa attività . (Nella foto: Antonio Vasconi con signora, il prefetto Michele Tortora, il sindaco ci Cernobbio Simona Saladini e Piero Vasconi con la moglie).
mag 111
eventi
CITTà DEI BALOCCHI UN NATALE DI LUCE Gli Amici di Como tornano ad animare la città - Ruota panoramica in piazza Cavour
Il tema è la luce. Che quest’anno serve più che mai. La Città dei balocchi edizione 2012, dal dal 1 dicembre al 6 gennaio, punta tutto sull’illuminazione e propone una ruota panoramica in piazza Cavour. È questa la novità messa in campo dagli Amici di Como che affiancherà il classico mercatino, quest’anno il Broletto, e la pista di pattinaggio in piazza Verdi. Una ruota luminosa dalla quale si può ammirare la città dall’alto. Importante appuntamento sarà la mostra di presepi allestita in San Giacomo e il 24 dicembre l’arrivo di Babbo Natale in piazza Duomo. Capodanno sarà festeggiato in piazza Cavour mentre la Befana atterrerà in piazza Duomo.
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di Serena Brivio
IDEE (S) FASHION
CAPODANNO DA ANNI RUGGENTI Va di moda copiare il look delle flappers girl, le mitiche ragazze trendy dell’epoca. E chi vuole ispirarsi a un film ecco “The Artist” Anni ruggenti: un’idea moda per iniziare il 2013 con ottimismo, copiando il look delle flappers girls, ragazze trendy dell’epoca. Come allora, ogni dettaglio dell’abbigliamento è pensato per rubare la scena la notte di Capodanno. Pochi pezzi, ma decisivi: l’abito di seta leggera con piume o frange dorate che si muovono a ritmo di musica, in alternativa la tunica in tessuto ricamato con perline preziose; le decolletè con cinturino alla caviglia che fanno scintille sulla pista da ballo; la piccola borsa gioiello. Chi vuole ispirarsi a un film, può andarsi a rivedere il premio Oscar “The Artist”, che ha riportato in auge l’età d’oro di Hollywood e del cinema muto, mentre cresce l’attesa per l’imminente uscita della nuova versione de “Il Grande Gatsby”, protagonista Leonardo di Caprio. Oppure appassionarsi a due serie televisive: la statunitense “Boardwalk Empire - L’impero del crimine” ambientata nell’era del proibizionismo e la britannica “Downtown Abbey”, acclamate dal pubblico e dalla critica. Per i nuovi auguri, allo scoccare della mezzanotte, la parola magica è quindi brillare, con occhi truccati da vamp e labbra rosso fuoco.
mag 117
di Luca meneghel
NAVIGAZIONI LARIANE
LA TESTA NEL PALLONE Cliccatissimo il sito ufficiale del Calcio Como Interessante la sezione dedicata alla storia Immancabile la pagina su Stefano Borgonovo Le ultime notizie in vista della partita, la classifica, le statistiche sui giocatori della prima squadra e delle giovanili. Ma anche la storia centenaria della società e dello stadio Giuseppe Sinigaglia. Una rubrica che tratta di Internet in salsa lariana non può ignorare il sito ufficiale del Calcio Como, la più importante società calcistica presente sul territorio. Ma uno spazio andrà riservato allora anche al portale Forza Como 1907, un sito “parallelo” realizzato dai tifosi degli azzurri. Sull’home-page, il portale del Calcio Como (http://www. calciocomo1907.it/) offre tutte le informazioni più importanti per i tifosi. In primo piano, sulla sinistra, spiccano le ultime notizie sulla società, mentre dalla parte destra della pagina è possibile prenotare i biglietti per lo stadio, guardare il video riassunto dell’ultima partita disputata, conoscere i prossimi appuntamenti e scorrere la classifica aggiornata di Lega Pro. Non manca un riquadro che raccoglie gli ultimi messaggi comparsi sull’account Twitter della società: il profilo completo, forse la miglior fonte d’informazione sugli azzurri, è raggiungibile all’indirizzo https://twitter.com/CalcioComo. Il Calcio Como ha anche una pagina dedicata su YouTube (http://www.youtube.com/calciocomo1907), mentre ancora manca uno spazio su Facebook. Interessante è poi la sezione dedicata alla storia della squadra, dalla fondazione nel 1907 in un bar di via Cinque Giornate fino al 13° posto in Lega Pro della stagione 2011/2012. Graficamente accattivante, infine, è la rosa dei giocatori che militano nella prima squadra, presentata come un album di figurine: basta cliccare sull’immagine di un giocatore per conoscere tutti i suoi dati, dall’altezza ai gol realizzati in carriera. Più amatoriale è invece Forza Como 1907 (http://www.forzacomo. it/). Il sito, si legge sull’home page, è stato realizzato da alcuni supporter “per pura passione e amore per questa squadra”: tra notizie e classifica, non a caso, spunta allora una sezione multimediale molto curiosa. Qui è possibile ascoltare l’inno della squadra cantato dai tifosi, sfogliare le fotografie della curva azzurra e vedere le sintesi di alcune partite passate. Da veri tifosi sono anche le immagini ad alta risoluzione, pronte per essere scaricate e impostate come sfondo del proprio computer. Una piccola enciclopedia storica è invece la sezione archivio, che raccoglie i dati sulle prestazioni del Como a partire dalla stagione 2005/2006. Per gli amanti del club, si tratta di una riserva preziosa
anche per riguardare vecchie immagini, scorrere la rosa di qualche anno fa e magari rimpiangere vecchi giocatori partiti per altri lidi. Se il sito ufficiale della squadra - come abbiamo visto - punta su Twitter, Forza Como 1907 ha invece una pagina su Facebook (http://www.facebook.com/forzacomo), utilizzata per tenere in contatto i tifosi lariani. Quanto alla comunicazione, non manca poi un forum a cui è possibile accedere previa iscrizione al sito: un altro modo per discutere, magari nel corso della settimana, quel maledetto rigore non assegnato la domenica precedente. Immancabile, infine, è la pagina dedicata a un vero beniamino dei tifosi, Stefano Borgonovo, il centravanti di Giussano che ha militato nel Como negli anni ottanta prima di tornare in campo per giocare la sua partita più difficile. Quella contro la sclerosi laterale amiotrofica, che Stefano combatte con un’associazione in prima linea per finanziare la ricerca sulla Sla.
segnalazioni FONDAZIONE STEFANO BORGONOVO (http://www.fondazionestefanoborgonovo.it/) Il sito ufficiale della fondazione creata dall’ex-centravanti del Calcio Como per combattere la Sla. ACCADEMIA CALCIO COMO (http://www.accademiacalciocomo.it/) Un centro di formazione per giovani calciatori. Fondato dal Calcio Como nel 2002, è stato rilevato dall’Inter. LEGA PRO (http://www.lega-pro.com/) Il sito ufficiale della Lega Pro, dove milita il Calcio Como. Hai un sito dedicato a Como, al Lario e al territorio circostante? Vuoi segnalare un blog ai lettori del MAG? Scrivi una mail all’ indirizzo navigazionilariane@yahoo.it.
mag 119
I consigli dello chef
di Massimiliano Conti
Titolare “Il Pozzo del Podestà” piazza Roma 9, Albavilla.
IL POZZO DEL PODESTà LA CUCINA CON PASSIONE Dalla chianina fiorentina ai salumi e formaggi di alta qualità L’Osteria con pizza “Il Pozzo del Podestà” racchiude un pozzo risalente al 1400 ed è composta da più sale sobrie ed eleganti a lume di candela. La cucina segue la stagionalità, il nostro ricco assortimento è composto da salumi particolari e formaggi rigorosamente nostrani e propone piatti tipici locali oltre a specialità nazionali , fra cui vi segnaliamo la nostra fiorentina di carne chianina e la nostra pizza finissima e croccante cotta con forno a legna. L’accoglienza e il servizio sono la nostra parola d’ordine, siamo a vostra disposizione per consigliarvi e guidarvi nell’ambito della scelta dei piatti e dei vini selezionati tra “le migliori etichette”. Specialità del Pozzo del Podestà è la vera fiorentina di chianina toscana di tutte le pezzature che si scielgono al tavolo accompagnati e spiegati con tutti i sali e pepi più particolari del mondo, i formaggi sono tutti nostrani che andiamo noi direttamente nel luogo di produzione a prenderli, sono formaggi quasi introvabili tipo lo strakitunt, il monebore, lo stilton, bianco delle langhe, erborinati di capra stagionati con frutti di bosco e petali di rose Altra attrazione del locale è il tagliere di salumi: si tratta di prodotti di altissima qualità, tra i più’ particolari ed introvabili. Per reperire questi salumi giriamo noi stessi negli alpeggi di Montagna garantendo in questo mondo l’assoluta genuinità di quello che portiamo in tavola. Salumi e formaggi vengono accompagnati da salsine e mieli di nostra produzione.
Risotto allo zafferano Ingredienti: • 150 gr. di riso Carnaroli • 1/2 litro di brodo di carne • 1 bustina di zafferano • 1/4 di cipolla (circa gr. 20) • 50 gr. di burro • 50 gr. Parmigiano grattato Preparazione: Per preparare il risotto allo zafferano, fate sciogliere, a fuoco lento, il burro facendo attenzione che non frigga, quindi aggiungete la cipolla tritata finemente e fatela imbiondire mescolando continuamente con un cucchiaio di legno. Unite il riso e fatelo tostare facendogli assorbire bene il burro, dopodichè alzate il fuoco e bagnate il riso prima con il vino, che lascerete evaporare, e poi con 2 mestoli di brodo bollente; mescolate sempre e, quando questo sarà quasi assorbito, aggiungetene altri 2 mestoli. Questa operazione dovrà essere ripetuta fino alla completa cottura. A metà cottura versate lo zafferano facendolo amalgamare bene con il riso. Una volta che il riso ha raggiunto la cottura desiderata va tolto dal fuoco e mantegato con il resto del burro e con il parmigiano prima di servirlo; è meglio lasciarlo riposare per 5 minuti in modo che possa amalgamare i sapori. 120
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di BERNARDINO MARINONI
GRANDE SCHERMO
OLMO UNA VILLA DA SOGNO L’attività della società Comense committente del cortometraggio di Donatella Cervi diventato una storia Perché negarlo? Villa Olmo ben di rado è stata utilizzata con altrettanta proprietà scenografica come in un documentario, “Il sogno di un bambino. La sfida di crescere”, che ha tratto profitto da spazi e scorci del monumentale edificio facendone un vivido caleidoscopio dell’illustrazione di notevole parte dell’attività della Comense. La storica società sportiva è stata la prima committente del cortometraggio di Donatella Cervi, nato con intenti (anche) didattico-promozionali, ma risolto con una storia che, dopo essere passato in altre rassegne, l’ha fatto selezionare come film d’apertura del recente Other Movie Festival di Lugano. Nemo propheta in patria? Forse, ma intanto l’ambientazione squisitamente comacina si è riflessa oltre confine trovando il consenso che merita, non soltanto per la messinscena. Conta la storia, infatti, nel cortometraggio che segue le piste di cinque discipline sportive, ma agli occhi di un ragazzino escogita la trama di una scoperta che le collega tutte e di ognuna deposita un senso e un valore. Il film comincia con un intoppo del videogioco che appassiona il giovanissimo protagonista, prosegue facendogli inseguire un cagnolino e, poi, varcare l’uscio di un mondo fantastico: la ginnasta flessuosa gli appare come una fatina, a tirare di scherma sono personaggi che suscitano tempi romantici e avventurosi, i rimbalzi del basket si caricano di emozione, sia pattinando sul ghiaccio sia in pista, la corsa è l’ulteriore prova di un’iniziazione che prepara il giovanissimo protagonista alla sfida definitiva, quella di crescere. La lezione è di vita, ma somministrata attraverso un percorso nel quale lo sport è il progressivo lasciapassare attraverso una rappresentazione rasente la fantasia, ma supportata da personaggi che sono autentiche personalità. A cominciare dall’olimpionico Alberto Cova, mentore del bambino in un sogno che trasfigura il documentario: campioni veri e titolati sono anche l’aerea ginnasta e gli schermidori in costume, i pattinatori filanti, gli altri atleti; e negli inserti tv delle glorie della pallacanestro femminile si sente un’eco che non finisce di emozionare. Sono rapidi pezzoni di videoregistrazioni autentiche che nel film sfogliano anche la storia della Comense (ma andrebbe
citato anche il Gruppo Giovanile Ritmico Como) incasellandosi opportunamente tra la necessaria testimonianza e il gioco di fantasia: la regia provvede all’amalgama, il documentario s’incastona nella narrazione, Como - Villa Olmo, gli impianti sportivi – si presta alla rarefatta scorribanda nella quale scolari e giovani si possono identificare. Patente la finalità promozionale, si è detto, dello sport, il cortometraggio si avvale certo di una trama accattivante per il suo pubblico deputato, ma a Donatella Cervi va anche accreditata la non facile direzione di un giovanissimo attore che impara, evidentemente, la lezione.
Spartiacque - La cattedrale sull’acqua Lungo il viaggio del marmo di Candoglia, trasportato via acqua per costruire il Duomo di Milano, una deviazione tra il Ceresio e il Lario chiude il cerchio di “Spartiacque-La cattedrale sull’acqua”, diario-documentario di Guido Morandini sulle orme dei costruttori del monumento. Dalla materia prima agli artefici della sua metamorfosi in opere d’arte, in cerca dunque degli eredi, se mai ve ne fossero, dei Maestri campionesi e cumacini, il documentario prodotto dalla Rai tributa un omaggio a quella “sorgente di artisti dell’edilizia” che fu l’area dei laghi prealpini e da Campione d’Italia risale la val d’Intelvi. Al seguito c’è la barca, recuperato mezzo di trasporto del marmo a Milano che sulle salite della Valle, al traino di una bicicletta, è come una sfida, ma senza iattanza, garbata ben più che temeraria: non è una nave e neppure un battello, invece il monte Galbiga è lo spartiacque tra i laghi di Lugano e di Como, scavalcandolo si passa da acqua a acqua, un periplo così da compiere di nuovo un antico viaggio. Da Osteno, strada facendo, s’incontra uno degli ultimi “picapreda”, gli scalpellini delle maestranze d’arte di allora, si arriva lietamente a Laino, poi bisogna raggiungere Pigra per trovare ancora uno scultore. Gli viene affidato il blocco di marmo, una volta scolpito, ancora via acqua, sarà trasportato a Milano. Alla scoperta di quanto resta di un’illustre tradizione, “Spartiacque-La cattedrale sull’acqua” risalendo il tempo e le vie fluviali incrocia nei laghi: Ceresio e Lario - “il segreto è il vento” - non sono quinte inerti, l’itinerario, dalla Madonna dei Ghirli verso le guglie del Duomo, è un tragitto tra genio e natura.
mag 123
di Marinella Meroni
ANIMALI
Anche gli animali sanno ridere proprio come noi I gatti sorridono se vengono coccolati e lo stesso i topi La risata comunica gioia e felicità, ma fa anche bene. Studi scientifici hanno dimostrato che quando ridiamo stimoliamo il sistema “neuro-endocrino-immunologico”, viene ridotto il dolore e sul piano emotivo equivale ad un antidepressivo naturale, inoltre pare che le persone allegre vivano più a lungo. Il dono dell’ilarità non è stato concesso solo all’uomo, come si credeva fino a poco tempo fa, anche gli animali sorridono. Gli scienziati hanno dimostrato che tutte le scimmie ridono, come e quanto i bambini, cioè tantissimo e molte loro espressioni hanno analogia con quelle umane. La ricerca del dr. J.A.van Hooff, dimostra che “il macaco ride ed anche di gusto: a bocca aperta verticalmente, labbra rilassate, emettendo suoni ritmici”. Darwin osservò, già nell’800, che gli scimpanzé quando gioiscono protrudono le labbra emettendo un suono simile al latrato, spalancano gli occhi che diventano più brillanti, ma a differenza da noi non mostrano i denti. Inoltre “quando si fa il solletico ad uno scimpanzé (sotto l’ascella) emette una risata più decisa...retrae gli angoli della bocca mostrando piccole rughe sulle palpebre inferiori”(Darwin “l’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali “). I cani sorridono? Si e lo fanno in due modi diversi: uno in maniera “canina“ rivolto verso i loro simili (o altri animali) e l’altro imitando il sorriso umano. La differenza consiste nel fatto che l’uomo quando sorride mostra i denti, segnale amichevole, mentre per gli animali esibire la dentatura equivale a minaccia. Quando i cani giocano tra di loro “si sorridono” di continuo: abbassano le zampe anteriori toccando terra con il petto, tengono la coda alzata muovendola in continuazione e aprono la bocca, ma stando bene attenti a coprire con le labbra i denti superiori, per non essere fraintesi. Quando si rivolgono a noi, si comportano in modo diverso, hanno imparato a sorridere imitando i proprietari: aprono la bocca mostrando i denti, a volte emettendo strani ululati scodinzolando e sdraiandosi a pancia all’aria per essere accarezzati. Michael Fox, noto cinofilo, ha definito questo atteggiamento “equivalente del sorriso umano fra i canidi”. Significa che quel “sorriso” è solo ed esclusivamente per noi. Inoltre lo studio della Dr. Patricia Simonet, presentato al congresso dell’Animal Behavior Society, ha confermato che «l’ansimare del cane durante il gioco non è per la stanchezza o il respirare affannoso, ma semplicemente ridono». I gatti sorridono quando li coccoliamo, quando pensano e soprattutto mentre dormono, la loro espressione è inconfondibile, con quelle faccette sornione e beate. Invece mentre giocano e sono al massimo dell’eccitazione ridono facendo un miagolio particolare. I pappagalli ridono come noi, lo fanno perché sono in grado di imitarci, ma non è solo una riproduzione vocale, da uno studio risulta che associano parole e suoni agli avvenimenti e alle persone nello stesso modo di un bambino di due anni, quindi hanno la consapevolezza di ciò che stanno facendo. Curiosa la scoperta del Prof. Jaak Panksepp dell’ università dell’Ohio: i topi ridono quando giocano e se si fa loro il solletico dietro le orecchie, emettendo dei fischi ultrasonici, non udibili all’uomo chiamati “chirping”. I delfini hanno lo sguardo sorridente ma il realtà lo dimostrano emettendo un infrasuono particolare e sbattendo la pinna della coda e quando sono felici saltano come matti. Ridere fa bene, ce lo dicono i medici, ce lo insegnano gli animali, è gratis e un sorriso accarezza l’anima di chi lo riceve.
mag 125
di Vittorio Colombo
COSÌ PICCOLA, COSÌ GRANDE La versatilità di una tranquilla monovolume Ottima per famiglie non troppo numerose con quell’aria modaiola che piace alle donne Così piccola, così grande. Sembra ormai uno slogan trito e ritrito quando si parla di automobili, visto che negli ultimi anni la crisi ha via via consigliato di ridurre dimensioni e motori. Ma se parliamo della multispazio Ford B-Max la definizione è quanto mai azzeccata e meritatissima. Non che sia minuscola, misura pur sempre quattro metri e 8 centimetri, ma ha adottato soluzioni così intelligenti da moltiplicare l’abitabilità come raramente si vede su una vettura di questa categoria. Fondamentalmente, manca il montante tra le portiere anteriori, che si spalancano, e quelle posteriori, che scorrono. Un trucco che consente un’accessibilità senza paragoni, anche se dovete caricare oggetti lunghi e ingombranti. Ovvio che all’interno sia stata privilegiata la modularità: il sedile anteriore del passeggero si può ripiegare e diventa un tavolino; lo stesso sedile posteriore è sdoppiato e si può abbattere formando un piano di carico perfettamente piatto, ma non si può far scorrere in avanti o indietro per migliorare il volume del bagagliaio. Che non è enorme, ma ha il vantaggio di avere una forma regolare. Se l’aria è da tranquilla monovolume, su strada B-Max regala anche qualche soddisfazione. Certo non usatela in pista, ma è piacevole anche sui viaggi più lunghi, con una posizione di guida rialzata e comoda, che consente una buona visibilità sulla strada. Lo sterzo è preciso, non si ha mai la sensazione di “ballare” troppo al volante. Le sospensioni efficaci limitano il rollio ma senza essere eccessivamente rigide, la silenziosità si fa apprezzare anche quando la velocità sale. Abbiamo provato il motore 1.0 Ecoboost, tre cilindri a benzina, parco nei consumi ma sufficiente per regalare anche qualche guizzo. Ottima per una famiglia non troppo numerosa - dietro si sta co-
126
mag
modi in due - ha però quell’aria modaiola che può piacere alle donne che hanno bisogno di riempirla di sportine da supermercato o, magari, di sacchetti dello shopping in centro. E poi ci sono tutte le qualità che bisogna riconoscere alle Ford del terzo millennio, dal design curato al buon rapporto qualità/ prezzo che nel caso della B-Max parte da 16.250 euro, (ma c’era anche un’offerta a 15.550, che al momento di andare in stampa con questo “Mag” non sappiamo se sarà rinnovata). Belli e di buona qualità gli interni, con diverse soluzioni già viste sulla Focus e sulla C-Max. Magari ci vuole un po’ per capirne il funzionamento dei pulsanti, ma questo è un difetto comune, da quando le plance delle nostre automobili si sono trasformati in un concentrato di tecnologia che una volta trovavi a malapena su un aereo. Un manopolone centrale consente d controllare radio, computer di bordo ma soprattutto il nuovo Sync, il sistema di controllo vocale realizzato da Ford e Microsoft. Costa da 250 a 500 euro a seconda dell’allestimento, comprende uno schermo TFT da 4,2 pollici e la connettività Bluetooth e consente al guidatore di gestire a voce alcune funzioni come scegliere una canzone. Si può comandare anche il telefono connesso via Bluetooth richiedendo di chiamare direttamente un contatto presente in rubrica; ma soprattutto legge con voce elettronica gli SMS che si ricevono mentre si sta viaggiando, evitando quelle pericolosissime e illegali manovre che si fanno per leggere i “messaggini”, distraendosi dalla guida. Altre dotazioni, certo non regalate: il climatizzatore automatico, il keyless, i vetri oscurati e i sensori crepuscolare/pioggia sono offerti nel Titanium Pack per 750 euro. E ancora il City Pack Premium include la telecamera posteriore, i sensori di parcheggio e i retrovisori ripiegabili elettricamente per altri 500 euro. Per il tetto panoramico ne servono 150.
VIVERE SICURI di Davide meroni Esperto in materia di sicurezza, risponderà ad ogni vostro quesito contattandolo all’indirizzo mail info@sicurezzacomo.it - www.sicurezzacomo.it
Novembre nero:
Incredibile escalation di furti nel Comasco “Cadorago: investito dai ladri in fuga”; “Villa Guardia: rubano i soldi, una bmw e una pistola”; “Cantù: ondata di furti per migliaia di euro in rame”; “Mariano: rapina all’LD”;“Olgiate Comasco: nuovo furto all’Asl”; “Cabiate: razzia di rame al cimitero”; “Brenna: tentano rapina in banca”; “Luisago: ladri in chiesa, via con due corone d’oro”; “Saronno: caccia ai topi di appartamento”; “Cantù: rapina al solarium”; “Cislago: tre colpi in tre ore”. Dulcis in fundo...: “Como, il Sindacato di Polizia denuncia: i furti aumentano ma noi siamo sempre meno”. è un novembre nero, anzi nerissimo, da record, quello che ci ha raccontato in queste settimane La Provincia. Un quadro allucinante che richiama, seppur con numeri ancora più preoccupanti, un po’ quanto già successo nel mese di giugno. Allora era stato l’avvicinarsi dell’estate e la necessità dei soliti ignoti di procacciarsi il necessario per trascorrere delle serene vacanze a scatenare l’ondata di furti. Ora è l’avvicinarsi del Natale. Insomma, non c’è tregua: c’è sempre un motivo per non star tranquilli. E se anche la Polizia ora è costretta ad alzare le mani e a dichiarare “che i tagli la stanno mettendo in ginocchio”, beh allora che dire? Meglio che ognuno di noi si concentri sulla prevenzione, chiami un esperto di sicurezza e inizi a pensare a come proteggere sé, la propria famiglia e i propri beni. Del resto, non si diceva così? Chi fa da sé fa per tre!
Forze dell’Ordine in difficoltà: “Serve la sicurezza su misura” Gli autori di reati minori spesso e volentieri la fanno franca. È questo in sintesi il cuore del resoconto che i carabinieri di Como hanno recentemente presentato in occasione della festa per il 197esimo anniversario di fondazione dell’Arma. I numeri sono imbarazzanti: solo il 3% dei ladri vengono identificati. La percentuale scende addirittura al 2% se si tratta di furti in appartamento. E non ci può dare conforto il fatto che, invece, gli autori di tentati omicidi e omicidi , fortunatamente, a Como sono sempre puntualmente smascherati. Ormai è chiaro: lo Stato non è più in grado di garantire la sicurezza come in passato, vuoi perché sta aumentando il numero delle persone con problemi economici che si danno alla microcriminalità, vuoi perché di pari passo diminuiscono le risorse economiche da destinare alle Forze dell’Ordine. Per uscire da questo “cul de sac” la soluzione migliore diventa la “sicurezza su misura” e sarò lieto di potervi aiutare nel costruirla con i consigli che in queste pagine, o rispondendo alle vostre mail, riuscirò a darvi.
Quando i pericoli arrivano da vicino è meglio prevenirli da lontano Nelle precedenti “puntate” abbiamo parlato di furti nei garage e box sotterranei, furti ai danni di strutture pubbliche, furti in appartamento, intrusioni in giardino, rapine in attività commerciali e soprattutto di quali soluzioni adottare per evitare tutto ciò. Il fil rouge che unisce però tutte queste azioni di prevenzione è sempre uno: affidarsi ad un esperto di fiducia in materia di sicurezza. È qui che potrete fare la differenza e realmente prevenire ogni pericolo per voi e i vostri cari, oppure per la vostra casa o i vostri beni. Sembra un suggerimento scontato ma così non è. Un vero professionista non cercherà infatti di vendervi un prodotto; cercherà invece di analizzare le vostre abitudini, capire le vostre esigenze e suggerirvi quindi come poter soddisfare le vostre aspettative di sicurezza senza stravolgere la vostra quotidianità. Un impianto di sicurezza infatti deve essere un elemento discreto, semplice da utilizzare ma efficace nei risultati. Ad ogni vostra paura corrisponde un sistema di prevenzione che può essere installato con ottimi risultati. Particolarmente adatto alle attività commerciali, il nebiogeno, ad esempio, ritarda l’azione dei malviventi che hanno fatto irruzione nei locali disturbando la visibilità con una fitta coltre di fumo che non danneggia le merci esposte ma altresì impedisce ai ladri di poter operare con agilità nei canonici minuti che passano tra la segnalazione dell’effrazione e l’arrivo delle forze dell’ordine. Meglio un bottino magro piuttosto di uno grasso. L’allarme perimetrale è invece uno degli impianti più indicati per quelle case con ampio giardino. Permette di individuare le aree da monitorare e in cui segnalare eventuali presenze, stabilendo addirittura criteri differenti “zona per zona”. Un sistema di videosorveglianza è invece indicatissimo di questi tempi per strutture pubbliche come cimiteri, presi d’assalto dai ladri del rame, o negli scantinati dei condomini. Insomma le opportunità per stare più sereni sono molteplici, combinabili tra loro per poter eventualmente alzare ancora di più il grado di sicurezza. Il tutto con la comodità di poter controllare facilmente un sistema di allarme anche da un telefono o via pc. E non fate lo sbaglio di pensare che questi, o altri, sistemi di protezione siano costosi! Due sono le riflessioni. La prima, pratica: la tecnologia, oggi decisamente più accessibile, ha reso più economica la sicurezza su misura. La seconda, etica: una vita sicura e serena non hanno prezzo!
mag 127
il bello della salute di FRANCO BRENNA Medico Chirurgo, Specialista in Odontostomatologia. Professore a Contratto presso l’Università degli Studi dell’Insubria. Libero Professionista in Como, francobrenna@frabre.it
«Dottore, mi ballano i denti!» UTILI CONSIGLI PARTENDO DA GINGER E FRED «Posso avere l’ardire di presentargli Ginger e Fred?». Con questa inconsueta domanda, un’affascinante signora, musicofila, che vive in una delle più belle località del nostro Lario, mi si presenta, quasi divertita, indicandomi i due incisivi dell’arcata mandibolare che senza ombra di dubbio potevano ricordare, tanto si muovevano, i volteggi dei due grandi ballerini degli anni ’30. Quando “i denti ballano”, cari Amici, non aspettiamoci nulla di buono. è un segno premonitore, purtroppo tardivo che la Malattia Parodontale (da molti conosciuta con il brutto termine di Piorrea) ha già fatto disastri intorno alle strutture che provvedono a tenere fermi e al loro posto i nostri denti. I disturbi che colpiscono i tessuti che supportano i denti (osso, gengive, legamenti connettivali e fibrosi) sono frequentissimi. Si calcola che dieci milioni di Italiani ne soffrano a partire dai 30 anni di età. Era il motivo per il quale ai nostri avi toccava precocemente la dentiera e si riteneva, fino a qualche decennio or sono, che la colpa fosse imputabile alla classica triade: «Mio nonno senza denti, mio padre senza denti, io senza denti». Nulla di più falso. Qualche rara forma di derivazione genetica, in effetti esiste, ma il fatto che il 60% della popolazione adulta soffra di questo insidioso problema è da imputarsi esclusivamente…all’Invasione Batterica! La Malattia Parodontale è subdola, silenziosa, procede con tenacia
Franco Brenna, classe 1956, studi classici presso il Collegio Gallio di Como, laureato in Medicina e Chirurgia, Specialista in Odontostomatologia presso l’Università degli Studi di Parma. Professore a Contratto in Odontoiatria Conservativa dal 1991 al 2000 presso l’Università degli Studi di Milano (polo S.Paolo), Professore a Contratto e Titolare della Cattedra di Odontoiatria Conservativa dal 2001 a tutt’oggi presso il Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentale dell’Università degli Studi dell’Insubria. Socio Attivo dell’Accademia Italiana di Conservativa, Socio Attivo dell’European Academy of Esthetic Dentistry, Socio Fondatore dell’Italian Academy of Esthetic Dentistry, Socio Attivo della Società Italiana di Endodonzia, Socio Effettivo degli Amici di Brugg. Autore di un centinaio di pubblicazioni, coautore di due Testi. Libero Professionista in Como. Vice Presidente del Centro Volta, Presidente della Libera Associazione Culturale Casa Brenna Tosatto, Presidente dell’Associazione Lampi di Genio- Como Città della Luce. Iscritto la Rotary Club Como Baradello dal 1989. Sposato con Roberta, quattro figli. Via F.lli Recchi 7 - 22100 Como - tel: 031 57 40 13
e lentezza; se non la si ferma… «fa ballare i denti» che poi scivolano via come fossero saponette. Negli anni ’60 ricercatori statunitensi dimostrarono che lasciando un gruppo di studenti per quindici giorni senza lavarsi i denti, confrontati con un gruppo controllo che manteneva una regolare Igiene Orale, i primi sviluppavano gengivite con sanguinamento delle medesime. L’altro no. Fu così dimostrata scientificamente che le malattie delle gengive, con successiva propagazione al tessuto osseo, erano da ascriversi ad accumuli eccessivi di batteri patogeni che nel tempo, con virulenza maggiore o minore a secondo dei soggetti colpiti, portavano alla perdita dell’attacco dei denti rispetto ai corrispondenti tessuti di supporto. In parole molto povere: se lasciamo che i batteri (placca batterica e tartaro) si accumulano progressivamente intorno ai nostri denti senza provvedere ad una regolare rimozione degli stessi, aspettiamoci, prima o poi… la dentiera nel bicchiere sul comodino! «Ma, allora, Ginger e Fred potrebbero terminare di ballare?» «Se fosse per me, cara signora, i veri Ginger e Fred li farei andare avanti all’infinito nella loro armonia ma per coloro che danzano nella sua bocca bisogna essere chiari…». La mobilità dentale è in effetti un serio problema che attanaglia molti pazienti, soprattutto non più giovani. Le sue cause possono essere molteplici e la Malattia Parodontale è senz’altro la numero uno. Cosa fare? Oggi la risposta è molto semplice: attuare una politica di prevenzione che può sintetizzarsi in un motto valido in molti campi della Medicina, e non solo: “Poca spesa, tanta resa!”. Ecco la ricetta vincente: visitare il proprio Odontoiatra di fiducia almeno due volte all’anno, impostare con lui/lei o con L’Igienista Professionale di riferimento un piano di trattamento preventivo composto da Igiene Orale Professionale, diagnosi accurata del grado di Malattia Parodontale riscontrata, attuare degli interventi conservativi attraverso la perfetta detersione delle superfici radicolari e dei tessuti gengivali infiammati (manovre eseguite dal Dentista o dall’Igienista Diplomato), avviare un attento controllo domiciliare dell’Igiene Orale, supportare il tutto con Colluttori medicati e iniziare un’attenta politica di prevenzione rivalutativa. Farsi cioè controllare con regolarità dai Professionisti sopra citati. In questo semplice modo si risparmieranno invasivi interventi chirurgici, si eliminerà una grande quota della famosa Invasione Batterica, i tessuti di supporto dei denti riprenderanno a respirare e torneranno più vigorosi, il paziente starà meglio e la malattia potrà essere stabilizzata e tenuta sotto controllo senza che progredisca ulteriormente. Il tutto mantenendo i rispettivi denti in bocca e un po’ di denari nel proprio portafoglio. Di questi tempi, non guasta.
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il bello della salute di Tiziano Testori Docente Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, Università degli Studi di Milano
Se il mal di schiena non è colpa dei denti Non tutti i dolori al collo o alla schiena dipendono da come combaciano i denti fra loro Le malattie non hanno una sola causa e per la cura bisogna agire su tutti i possibili fattori Molti pazienti soffrono quotidianamente di dolori muscolo tensivi nella zona lombare, nella zona cervicale e facciale con dolore acuto o subacuto alle articolazioni temporo-mandibolari e spesso si da colpa a una scorretta occlusione (come combaciano i denti fra di loro). Tuttavia la patologia intrinseca dell’articolazione temporomandibolare è di tipo infiammatorio ed è soggetta a una variabilità di segni e sintomi che ne caratterizzano il quadro clinico la cui causa può essere dovuta ad altre cause. Associata alla patologia articolare esiste sempre una componente di dolore muscolare che aggrava il quadro. Altre volte possono presentarsi dei quadri di dolore primario muscolare che originano da un carico scorretto della componente muscolare cervicale, paravertebrale, nucale, muscoli della faccia e della fronte. Ciò può avvenire per una scorretta postura della testa che il paziente mantiene spesso per ore, condizionata da attività lavorativa che costringe a mantenere un ipertono muscolare eccessivo nell’area cervicale e di conseguenza crea una ipercontrazione dei muscoli del viso. Alcuni studi hanno dimostrato che quando la parte viene mantenuta a lungo, i muscoli trapezi che si trovano posteriormente alla base del collo hanno una attività elettromiografica alquanto maggiore in confronto a quando la testa viene mantenuta nella corretta postura eretta. L’ipertono della muscolatura cervicale induce un aumento del tono della muscolatura masticatoria che più facilmente va incontro a spasmo, contratture e dolore. Inoltre i pazienti che hanno una patologia intrinseca delle articolazioni temporo-mandibolari tendono a inclinare la testa in avanti creando le condizioni posturali scorrette che aumentano la dolorabilità dei muscoli cervicali e masticatori. L’approccio terapeutico delle sindromi miofacciali dolorose a livello cervicale e facciale è multidisciplinare e può coinvolgere vari specialisti dal fisiatra all’odontoiatra. I pazienti che presentano a livello dell’articolazione temporo-mandibolare click (rumori) articolari associato a dolore e ad episodi di blocco funzionale devono subito rivolgersi ad un’odontoiatra che formuli una corretta diagnosi 130
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e successivamente instauri una terapia che può prevedere l’utilizzo dei “famosi bite” uniti ad una terapia farmacologica e fisioterapica. In ultima analisi possiamo concludere che non tutti i dolori al collo e alla schiena dipendono dall’occlusione e che è importante avere una visione di insieme che valuti la postura del paziente in generale, la sua condizione di eventuale stress psicologico che può interferire con l’ipertono muscolare. È importante ricordarsi che in medicina non esiste mai una sola causa di malattia, esistono vari fattori che uniti insieme portano ad uno stato di malattia e bisogna agire su tutti i possibili fattori per avere una cura efficace.
Tiziano Testori, Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1981 presso l’Università degli Studi di Milano, specializzato in Odontostomatologia nel 1984 ed Ortognatodonzia nel 1986 presso lo stesso ateneo. Professore a contratto, Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, Università degli Studi di Milano. Fellowship in chirurgia orale ed implantare presso University of Miami, Department of Maxillofacial Surgery and Implant Dentistry (Direttore Prof. R. E. Marx), Miami, FL, USA. Responsabile del Reparto di Implantologia e Riabilitazione Orale presso la Clinica Odontoiatrica (Direttore Prof. R. L. Weinstein), I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi, Università degli Studi di Milano. Visiting Professor New York University, College of Dentistry (Direttore Prof. D. P. Tarnow), New York, NY, USA. Past-President (2007-2008) della Società Italiana di Chirurgia Orale ed Implantologia (SICOI). Revisore per la Cochrane Collaboration a livello dell’Oral Health Group. Socio attivo della Academy of Osseointegration (AO), dell’European Association for Osseointegration (EAO), della Società Italiana di Implantologia Osteointegrata (SIO) e della Società Italiana di Chirurgia Orale ed Implantologia (SICOI). Membro attivo del Board Europeo di Chirurgia Orale (EFOSS). Iscritto al Rotary Club Milano. Via G. Rubini, 22 - 22100 Como Telefono: 031.241652, Fax: 031.243027 info@tiziano-testori.it - www.implantologiaitalia.it
il bello della salute di Eugenio gandolfi specialista in Chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica a Como e Lugano - www. eugeniogandolfi.com
parliamo di Bellezza ... ma quella vera Per una volta non pensiamo alle rughe della fronte, ma a quelle dell’animo e in occasione del Natale facciamo qualcosa che ci possa rendere belli dentro In questi articoli abbiamo sempre parlato di bellezza fisica, di come conservarla, di come recuperarla, di come crearla. Anche oggi parleremo di bellezza, ma di una bellezza che va oltre l’apparenza esterna, la bellezza nel suo senso più ampio. La bellezza del sorriso di un bambino al quale non mancano nutrimento e cure, la bellezza di un anziano che vive serenamente l’ultima parte della propria vita, la bellezza di un padre di famiglia che ha abbastanza lavoro e salute per vedere crescere i propri figli, la bellezza di una mamma che nonostante le fatiche quotidiane, non fa mancare in famiglia la bellezza più grande, quella del suo Amore. Noi chirurghi plastici estetici spesso siamo dipinti nel firmamento delle stelle di un mondo patinato e fatto di apparenze, come personaggi da rotocalco, amici di attrici e soubrettine maggiorate, pronti a soddisfare ogni vanità. Questo è vero per alcuni, ma non per me e altri 150 amici e colleghi con i quali abbiamo dato vita da alcuni anni ad un gruppo medico scientifico e non solo, che oggi si raccoglie nell’AICPE e cioè nell’Associazione Italiana di Chirurgia Plastica Estetica che ho fondato e di cui sono segretario. Oltre alle attività congressuali e scientifiche che ogni organizzazione professionale medica deve affrontare, Aicpe si è data il compito di raccogliere fondi attraverso il nostro lavoro quotidiano per sostenere economicamente progetti sociali ed utili nel mondo anche impegnandosi a realizzarli di persona. Quest’anno, per esempio, sosteniamo le popolazioni di Etiopia, Togo e India con tre progetti. Il primo per dotare i villaggi del sud dell’Etiopia di sorgenti di acqua potabile e di nuove cisterne, con il secondo sosteniamo l’ospedale Saint Jean de Dieu di Afagnan, in Togo, con l’acquisto di attrezzatura clinica e il terzo, in India, con il quale cerchiamo di dare un futuro ai bambini delle baraccopoli. Per questi obiettivi abbiamo già raccolto in pochi mesi cinquantamila euro, ma contiamo di fare molto di più. Inoltre, come dicevo, alcuni colleghi membri di Aicpe trascorrono periodi più o meno lunghi in questi paesi per offrire la loro competenza professionale, in una vera e propria esperienza di missione
umanitaria. Anche in quei contesti gli interventi di chirurgia plastica e ricostruttiva sono preziosi per restituire, in particolare ai bambini affetti da patologie congenite ed agli adulti colpiti da esiti di trauma o da tumori, migliori prospettive di vita. Aicpe ha raggiunto questi primi cinquantamila euro grazie ai proventi ottenuti con gli utili del nostro primo congresso scientifico tenutosi a Salò e grazie alla generosità del suo Presidente, Giovanni Botti. Ma ogni socio Aicpe può organizzare anche singolarmente all’interno della propria attività professionale delle operazioni benefiche che portino frutti alla causa comune. Mai come in questo caso: “l’unione fa la forza”. Anch’io ne ho organizzate in passato, ma per l’anno prossimo tutto è pronto per un’azione significativa e concreta che coinvolgerà tutti i miei pazienti, o almeno tutti coloro che vorranno farsi coinvolgere. Ne parleremo presto. Per questo Natale un solo piccolo consiglio estetico: fatevi belli dentro, fatelo come volete, fatelo con chi volete e quando vi sentirete più ispirati ma fatelo davvero. Non pensate per questo mese alle rughe sulla fronte, fate qualcosa che possa alleviare quelle dell’animo e vedrete che anche i segni sulla pelle vi sembreranno meno vistosi. Buon Natale a Tutti.
• Per approfondire gli argomenti trattati in questo articolo o avere altre informazioni consultate la pagina internet www.eugeniogandolfi.com/mag/dicembre • Seguitemi anche sul mio sito: www.sgmedicina.com/ • e sul mio blog: http://blog.eugeniogandolfi.com/dottorgandolfi/
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SCAFFALE
di Carla Colmegna
FERMATA D’AUTOBUS Il manuale dei Ghost Hunter comaschi “Fermata d’autobus” Marco Riva Officina della narrazione 82 pag. 12 euro
Marco Riva non era un poeta e basta, ma un intellettuale che nella sua vita faceva altro, aveva un’occupazione che in apparenza lo allontanava molto dalla poesia e dalla letteratura. Docente di Processi di tecnologia alimentare all’Università di Milano, il comasco Riva, morto nel 2008, ha in realtà lasciato un solco profondo in città anche per la sua sensibilità e la sua attenzione alla percezione del quotidiano, che ha riversato proprio nella poesia. Per questo motivo è in libreria il volumetto “Fermata d’autobus”, una raccolta di poesie di Riva che, come scrive lui stesso nella sua ultima poesia, sono state scritte con una certa difficoltà, quella insita nel vivere: «Non è stato facile/raggiunge-
re/questa fermata d’autobus/recando/pacchi di confrusaglie/ Attendere un altro passaggio/facendo finta/che la vita vera sia altrove». In tutte le sue poesie, il richiamo, anche brusco alla realtà è costante ed è un monito interessante e vivere a pieno sperando sempre. Ne è un esempio la poesia “Anche in tempi di voltagabbana”: «(...) continuiamo a inseguire fuochi fautui e stelle comete/preferendo l’attes/il moto dell’anima e delle sue idee/ (con semmai qualche dubbio sulla direzione)».
L’ombra della vendetta
ALLEGRA
Paura, attesa e una storia noir intricata quella che scrive nel suo romanzo Fabio Barone, comasco che nella sua storia mette tutta la vita delle sue origini, quindi di Como e di tante delle suggestioni che il territorio non lesina. La vicenda corre, si svolge in poche ore e non permette distrazioni o pause; Barone conduce il lettore tra i protagonisti che non hanno nulla di straordinario, ma sono figure attinte dal quotidiano e, per questo, molto vere. “L’ombra della vendetta” Fabio Barone Effebi edizioni 264 pag., 13,90 euro
“Allegra” Donata Vittani Ibis, 155 pag., 12 euro La protagonista è una quarantenne, età strana, soprattutto per le donne. Età in cui si prende coscienza di sè più che mai e, allo stesso tempo, si lotta per mantenere un ruolo che i più giovani vogliono rubare e i più anziani vogliono sminuire, pensando di dover insegnare con un po’ di cinisco a chi è appena entrato nell’età degli “anta” e di cinismo, ancora non ne vuol sapere. Il romanzo di Donata Vittani, il suo primo, è un interessante viaggio tra la Lombardia e l’Argentina. Ci sono diversi elementi che si compenetrano, c’è la suspance, per la ricerca di una persona scomparsa, c’è la differenza tra due mondi, il fare i conti con ciò che è e cio che si vorrebbe fosse. Sotto e sopra tutto: il tango.
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Gli aforismi del mese di Federico Roncoroni
La salute e la malattia / 1 Se l’uomo si mette a riflettere sul proprio fisico o sul proprio morale, scopre quasi sempre di essere malato. Johann Wolfgang Goethe La maggior parte delle mie paure, circa i mali fisici, riguarda i medici e le loro cure, non la malattia. Guido Ceronetti Se non hai medici a portata di mano, ti facciano da medici queste tre cose: mente serena, riposo e moderazione nel mangiare. Regola sanitaria della Scuola Salernitana In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto. Antifonte Descrivere il passato, comprendere il presente e prevedere il futuro: questo è il compito del medico. Ippocrate
Meglio ci guarisce il medico che ci fa vedere anche la sua piaga. Ugo Bernasconi Il medico saggio deve essere esperto tanto per prescrivere un rimedio quanto per non prescrivere nulla. Baltasar Graciàn Beati tutti coloro che, nati prima della Scienza, avevano il privilegio di morire alla loro prima malattia. Emile M. Cioran La minaccia di un raffreddore trascurato è per i medici ciò che è il Purgatorio per i preti, cioè un Perù. Nicolas de Chamfort La salute sta tanto al di sopra di tutti i beni esteriori che in verità un mendico sano è più felice di un re malato. Arthur Schopenhauer
Se vuoi vivere sano, bandisci tutte le preoccupazioni, non lasciarti mai prendere dall’ira, sii moderato nel bere e nel mangiare, alzati subito da tavola dopo aver pranzato, evita di dormire di pomeriggio, non trattenere l’urina e non comprimere troppo l’ano. Regola sanitaria della Scuola Salernitana
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LAST MINUTE
di Francesco Angelini
E Como voltò le spalle all’amico Bersani Il segretario del Pd era uno dei pochi ministri prodiani stimati dagli imprenditori locali. Alle primarie del centrosinistra però gli è stato preferito Renzi. Ecco perché.
A bocce più che ferme, emerge un risvolto curioso dal voto per le primarie del centrosinistra in provincia di Como. Il Lario, infatti, al di là dell’esito finale nazionale, ha mostrato di preferire il sindaco di Firenze, Matteo Renzi al segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Forse può apparire una sorpresa relativa. Già dalla sua tappa comasca si era capito che Renzi avrebbe scaldato molti cuori. Poi ci sono state le truppe cammellate del centrodestra locale a entrare in azione per spingere il rottamatore allo scopo di portare scompiglio in casa altrui ma non solo... Non solo perché Renzi, in molti ambienti vicini o ex vicini al Pdl, ha rappresentato davvero una carta su cui puntare. Qualche esponente del mondo delle imprese e delle banche comasche non ha neppure fatto mistero del suo sostegno al sindaco toscano. La curiosità deriva dal fatto che Bersani dalle nostre parti ha sempre incassato grandi attestati di stima. Ai tempi in cui faceva parte del secondo governo guidato da Romano Prodi, l’attuale leader del Pd era, al pari di Enrico Letta uno dei pochi ministri considerati efficienti dal mondo dell’impresa comasca. Non a caso Bersani, così come il suo attuale numero due nel partito, erano degli habituè del forum Ambrosetti e avevano modo di confrontarsi con gli industriali locali che confidavano su di loro per la soluzione di molti dei problemi della categoria. Peraltro il segretario nazionale del Pd è stato uno degli esponenti del centrosinistra più sensibili alla cosiddetta questione settentrionale e alle istanze del territorio rappresentate quasi in maniera esclusiva dalla Lega Nord. Perché allora Como ha voltato le spalle a un politico tanto stimato in precedenza? Per una ragione principale. La nostra resta una realtà di destra. Se nelle ultime elezioni ha abbandonato i suoi tradizionali referenti politici è soprattutto perché questi erano diventati davvero impresentabili. Bersani, nell’immaginario collettivo era visto, sorte che tocca a gran parte dei riformisti, come un esponente della destra del centrosinistra (anche se non è affatto così). Una volta arrivato Renzi, sempre nell’immaginario collettivo, il leader del Pd è stato superato a destra. Fra l’altro si può ricordare qual era il rammarico principale degli imprenditori comaschi una volta usciti dai colloqui con Bersani e Enrico Letta. “Certo sono persone in gamba che capiscono i problemi e forse hanno anche le soluzioni giuste. Peccato che siano alleati dei comunisti”. E le aperture di fatto finivano lì. Mediti, se vuole, il centrosinistra comasco.
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