Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,20 + Mag € 0,30)
N. 53 SETTEMBRE
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LA FORZA DELLE DONNE Violenze, soprusi e storie di riscatto di Gisella Roncoroni e Laura D’Incalci
Il tennis in rosa passione per due
Sette botteghe per sette “sorelle”
Sul palco c’è lei e dirige i maschi
di Edoardo Ceriani
di Serena Brivio
di Veronica Fallini
L’editoriale di Diego Minonzio
Donne senza chiacchiere Quante chiacchiere sulle donne. E quante banalità e pensieri zuccherini e frasi fatte tanto al chilo da spargere in salotto, in terrazza, nei talk show televisivi e, soprattutto, in quelle stucchevolissime occasioni convegnistiche dove - in attesa della corsa al buffet - si fa della gran filosofia sulla questione femminile che, signora mia, è ben lungi dall’essere risolta. Il “luogocomunismo” è uno dei mali peggiori di questa nostra società deideologizzata e deresponsabilizzata, dove si straparla di tutto e si vive di niente, una formula matematica che affronta tutte le questioni elaborando grandi teorie e non facendo mai nulla. Proprio per questo motivo, il nostro primo Mag post-estivo, che torna in edicola da oggi dopo la meritata pausa di agosto, ha deciso di mettere in copertina un tema volutamente ambiguo come la questione femminile, stando però lontano mille chilometri dalle derive sociologiche e dai fervorini dei benpensanti e cercando invece di capire quanto le violenze, i soprusi e le angherie siano diffuse e capillari anche nel nostro territorio e come si tenti di combatterle. Non solo. Nello stesso momento, abbiamo voluto mostrarvi come nel territorio che produce questi drammi sboccino invece ogni giorno mille storie di coraggio, di genialità e di eccellenza femminile che stanno lì a dimostrare a tutti che è questo il vero volto, e largamente maggioritario, dell’identità “rosa” in provincia di Como. Bene, nella prima parte della nostra storia di copertina, Gisella Roncoroni ha cercato, sistemato ed elaborato dati, numeri, statistiche sul fenomeno della violenza sulle donne nel Comasco, ricordando anche l’apparato legislativo che norma questo reato odioso. Laura D’Incalci ha invece raccontato le storie toccanti e terribili delle persone che, dopo anni di soprusi, hanno trovato finalmente rifugio al Cof di Montano, alla ricerca di protezione, di speranza e soprattutto di un nuovo inizio per la loro vita. Poi, visto che queste brutte notizie non rappresentano la nostra terra e la nostra cultura, abbiamo allineato tre servizi in positivo: il racconto dell’avventura di due sorelle comasche che rincorrono il loro sogno di gloria nel tennis professionistico accompagnate dal camper di mamma e papà, una splendida esperienza aziendale di sette piccole imprenditrici che si sono alleate per riqualificare lo storico complesso delle ex scuderie di Santa Barbara a Montorfano, trasformandolo in un centro di vita sociale grazie ai loro negozi accoglienti e a dimensione di cliente, e infine la vicenda veramente esemplare della comasca Gianna Fratta, la prima donna a dirigere la Berliner Symphoniker e l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Come vedete, non c’è bisogno di pietismi, melassa o sceneggiate napoletane. Le donne in gamba esistono, si danno da fare da sole e riescono a emergere alla faccia di tutti i pregiudizi, i maschilismi e le difficoltà e senza aver bisogno di alcuna scorciatoia. Quelle picchiate vanno protette e vendicate con la più dura delle condanne, quelle che ce la fanno, vanno applaudite esattamente come faremmo con un uomo serio, orgoglioso e autonomo. Né più né meno. Alla fine, è questa la vera parità. Buona lettura.
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44 Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,20 + Mag € 0,30)
N. 53 SETTEMBRE
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LA FORZA DONNE
DELLE
Violenze, soprusi e storie di riscatto di Gisella Roncoroni e Laura D’Incalci
Il tennis in rosa passione per due
Sette botteghe per sette “sorelle”
Sul palco c’è lei e dirige i maschi
di Edoardo Ceriani
di Serena Brivio
di Veronica Fallini
MAG - SETTEMBRE 2013
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L’EDITORIALE di Diego Minonzio
13
DIECI BELLE NOTIZIE di Maria Castelli
LE OPINIONI 17
«Pubbliche virtù» di Enzo Molteni
19
«Donna di picche» di Valeria Peverelli
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«Occhi sul mondo» di Umberto Montin
22
«La borsa & la vita» di Claudio Merletti
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51 32 IL PROFUMO DELLA TERRA ROSSA Storia e passioni delle tenniste Sussarello
51 UN AMORE DI SETA La casa museo di Alberto Tagliabue di Sara Della Torre
di Edoardo Ceriani
38 LA CORTE DELLE 7 DONNE Le piccole botteghe nella vecchia corte
59 ALLE ORIGINI DELLA LOTTA Viaggio da Como al Caucaso
di Serena Brivio
44 QUANDO PARLANO LE MANI La comasca Fratta direttore d’orchestra
di Maurizio Casarola
66 DUE RUOTE E FANTASIA Le biciclette di zio e nipote
di Stefania Briccola
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di Gianpiero Riva
LA FORZA DELLE DONNE
di Gisella Roncoroni e Laura D’Incalci Così a Como si sfugge dalla violenza e dai soprusi dei maschi. In sei mesi già duecento donne hanno chiesto aiuto a Telefono donna e hanno cambiato vita liberandosi dalle aggressioni fisiche e psicologiche. In Italia ogni due giorni viene uccisa una donna. Le storie di chi ha trovato rifugio alla Cof di Montano dove si cerca una speranza dopo anni di violenze.
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DIRETTORE RESPONSABILE
Diego Minonzio
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72 PATRIMONIO PER IL FUTURO La biblioteca di Como e i suoi 250 anni
OPINIONI Enzo Molteni, Umberto Montin, Valeria Peverelli, Claudio Merletti
103 Colpo di spugna di Elisabetta Broli
di Stefania Briccola
105 Le parole che non tornano
84 BARCHE DA MUESO Il patrimonio di Zanoletti
di Emilio Magni
106 Eventi 113 (S)fashion
di Gianfranco Casnati
89 LE PIETRE LIBERATE Le fortificazioni della Linea Cadorna di Antonio Marino
di Serena Brivio
116 Navigazioni Lariane di Luca Meneghel
117 Scaffale
di Carla Colmegna
119 Grande schermo
di Bernardino Marinoni
96 FINO AL CENTRO DELLA TERRA Alla scoperta delle grotte Lariane di Franco Tonghini
72
RUBRICHE Maria Castelli, Elisabetta Broli, Marinella Meroni, Eugenio Gandolfi, Emilio Magni, Bernardino Marinoni. Franco Brenna, Federico Roncoroni, Francesco Angelini, Tiziano Testori, Luca Meneghel, Serena Brivio, TENDENZE E MODA Serena Brivio FOTOSERVIZI Carlo Pozzoni, Andrea Butti Enrico Selva, Marco Cappelletti REALIZZAZIONE GRAFICA
di Marinella Meroni
122 Il bello della Salute di Tiziano Testori di Franco Brenna di Eugenio Gandolfi
126 L’oroscopo 129 Gli aforismi del mese 130 Last minute
di Francesco Angelini
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SERVIZI Gisella Roncoroni, Laura D’Incalci. Sara Della Torre, Edoardo Ceriani, Maurizio Casarola, Stefania Briccola, Gianpiero Riva, Alberto Longatti, Gianfranco Casnati, Antonio Marino, Franco Tonghini
121 Animali
di Federico Roncoroni
10 10
Giuseppe Guin
tel. 031.582342 - 335.7550315 fax 031.582421 g.guin@laprovincia.it redmag@laprovincia.it
di Alberto Longatti
78 HO VISTO UN RE Augusto Panini e i viaggi in Africa
RESPONSABILE di REDAZIONE
DIREZIONE CREATIVA Monica Seminati IMPAGINAZIONE Barbara Grena PUBBLICITÀ Sesaab servizi - Divisione Spm Tel. 031.582211 STAMPA Litostampa - Bergamo Numero chiuso in tipografia il 2 settembre
Dieci belle notizie di Maria Castelli
LO SPIRITO DEI 92 ANNI
LA RAMAZZA NOTTURNA
volte odiosi, perché a danno dei più deboli o presunti tali.
Da una lettera d’agosto al giornale La Provincia: «Operatori ecologici alle 20,30 in via Castel Carnasino? Molti vigili urbani, molte multe, ma non avevamo mai visto nessuno ripulire la via. Erano dei volonterosi parenti di un paziente ricoverato nella vicina clinica: visto il degrado, avevano deciso di rimboccarsi le maniche per dare un aspetto più decoroso alla via, ormai in abbandono da parte del Comune. La frequentano ogni giorno. Un bell’esempio di senso civico per tutti i cittadini, ma soprattutto per le autorità preposte. Grazie di cuore a questi improvvisati volontari da alcuni infermieri e buon lavoro». Firmato: Elena Casolini, Como.
A 92 anni, ha sventato “la truffa del falso nipote”. L’episodio, in pieno agosto, in centro città, ha visto protagonista una pensionata raggiunta da una telefonata trappola: «Nonna, sono tuo nipote. Mi servono 5mila euro. Passo domani, va bene?». Ma la nonna non è cascata nel tranello: ha sentito odor di bruciato, ha avvisato la famiglia, è intervenuto il nipote vero e ha mandato all’aria i piani del malintenzionato che avrebbe raccolto informazioni prima di agire, convinto di andare a colpo sicuro. È la seconda volta in pochi mesi che una donna anziana sfodera le armi dell’acume e dell’avvedutezza contro chi vorrebbe compiere reati due
DICHIARAZIONI D’AMORE Le parole più belle della vita sono scritte nella rubrica “Dillo con un Sms” curata dal giornale La Provincia. Nascite, compleanni, anniversari di matrimonio, ringraziamenti, affettuosità ed abbracci scambiati dai lettori sono nero su bianco ogni giorno e sono segni della normalità del bene. Ma per mesi, è stata pubblicata una storia d’amore, ogni puntata in due righe di Sms. Protagonisti, due pseudonimi, Biancaneve e Linus e ad un certo punto, come in tutte le grandi storie d’amore, sembrava che qualcosa si fosse rotto e si fosse perduto: un peccato, perché l’innamoramento e le dichiarazioni d’amore in diretta stavano appassionando molteplici lettori, i quali non sapevano nulla dei due misteriosi alias, ma sentivano il loro battito di cuore che, a volte, è contagioso. Non c’è solo il contagio del male. Finalmente, il 14 agosto: «A Biancaneve. Mi vuoi sposare? Tuo Linus»: il battito s’è accelerato. Confetti in vista? La risposta sul prossimo numero.
SARTINE D’ALTA MODA
Indossare alta moda fai da te e risparmiare: è la proposta di “Più sarti per tutti”, il laboratorio dell’Associazione Luminanda che ha portato a Como Borghi la sartoria fatta in casa in voga a New York. E’ un boom di iscritti al corso per apprendere l’abc della macchina da cucire, della confezione di capi e della riparazione. I trucchi del mestiere sono rivelati da Augusta Selva, sarta dalla lunga esperienza e da Chiara Gismondi, presidente di Luminanda. Entusiaste le allieve, casalinghe e professioniste, giovani e meno giovani: sviluppano creatività ed abilità, rimettono a nuovo capi inutilizzabili, si impadroniscono dei vecchi saperi e valorizzano il lavoro manuale. Lo stare insieme è il filo più importante. Tra gli obiettivi: costruire un laboratorio cittadino permanente per scambiarsi conoscenze sull’arte sartoriale e dare nuova vita alle giacenze di magazzino.
IL SIGNOR DAMIANO E GLI ALTRI
Incurante del caldo, il nonno di due alunni della scuola elementare Bachelet di Cantù Cascina Amata ha dedicato il proprio tempo a tinteggiare i corridoi dell’istituto. Damiano Cassese, imbianchino volontario, ha risposto alla ricerca di persone disposte a donare gratuitamente il proprio tempo per la scuola. I genitori e gli insegnanti avevano già fatto il primo passo: avevano alimentato il fondo economico a disposizione dell’istituto che ha così acquistato le vernici. Il signor Damiano ha raccolto una tradizione di generosità e di dedizione: già l’anno scorso, i ragazzi avevano indossato la tuta da imbianchino e avevano rimesso a nuovo quattro aule e il piano terra, sulle tracce del lavoro eseguito dai nonni. E prima ancora, i genitori avevano messo in piedi una biblioteca nuova di zecca.
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L’ESEMPIO DEI RAGAZZI Hanno deciso di rendersi utili alla comunità: sono i ragazzi di Carate Urio che la sera tirano tardi nelle piazzette del paese, sulla riva, sulle alture di Revaa, a Santa Marta e a Cavadino. Il paese è stato colpito da una serie di furti nelle abitazioni, l’allarme della popolazione si è alzato e i ragazzi si sono offerti per tenere gli occhi ben aperti e segnalare ai carabinieri ogni presenza sospetta, per prevenire fenomeni negativi e favorire interventi tempestivi. La collaborazione è stata offerta spontaneamente, senza pretesa di istituire ronde ed è stata apprezzata dal sindaco, Daniele Maggi, per il senso civico manifestato dai ragazzi e dalle forze dell’ordine che hanno sottolineato l’importanza delle segnalazioni dei cittadini e della loro attenzione al territorio.
LAVORATORI SOLIDALI I lavoratori Artsana Up di Grandate hanno dato la mano ai colleghi ed amici di Coop Servizi 2000, la società cooperativa che si occupa dei magazzini ed è in crisi, esaurito il diritto agli ammortizzatori sociali. I 600 dipendenti Artsana hanno rinunciato ad una parte del loro fondo assicurativo privato per regalare buoni spesa ai lavoratori di Coop Servizi 2000, senza salario da mesi e prospettive negative per il futuro. Prima delle ferie, sono stati versati 9.600 euro in due fasi e un altro versamento è previsto a dicembre, quasi una gratifica natalizia per 25 persone in gravi difficoltà. Il fondo è alimentato in base ad un accordo tra Artsana e una società assicuratrice per una parte e per un’altra dagli introiti delle macchinette del caffè e probabilmente è l’unico del genere in Italia. I lavoratori non hanno stentato ad attingervi e anche il loro gesto è probabilmente unico nel suo genere.
I MIRACOLI DI COMO «A Como, in quest’estate 2013, ci sono stati tre miracoli»: l’ha detto il presidente della Famiglia Comasca, Piercesare Bordoli. Sono: la riapertura provvisoria del lungolago ad opera degli Amici di Como; il recupero del Piroscafo Patria ed il progetto che ha dato nuova vita all’Arena del Teatro Sociale. E sono frutto del «gioco di squadra» tra privati ed istituzioni, intenzionati a proseguire con lo stesso sistema anche per Expo 2015, il campus universitario, la riqualificazione di aree come l’ex Sant’Anna e l’ex Ticosa. Ma Don Saverio Xeres, storico e maestro di Cappella musicale del Duomo, ha messo in evidenza il quarto miracolo: l’alto e crescente gradimento per il Duomo, come monumento sacro e civile, meta per devoti e turisti, tempio della cristianità comense e luogo per manifestazioni musicali d’eccellenza, come la rassegna “Firmamento musicale” che ha accompagnato la Novena dell’Assunta.
IL CORAGGIO DI ANDREA
Alla sua prima esperienza da bagnino, Andrea Colombo, 18 anni, prossimo studente di ingegneria, ha meritato elogi e gratitudine: era di servizio nella piscina dello Sporting Cinq Fo di Guanzate ed ha salvato due fratelli che rischiavano di annegare. Si sono tuffati, ma il ragazzino non sapeva nuotare. Ha tentato di aggrapparsi alla sorella e l’ha trascinata giù per i piedi. Andrea ha notato i ragazzi in difficoltà, s’è gettato senza esitazione, ha portato in salvo prima una e poi l’altro, già esanime sul fondo. «Quando il ragazzo ha ripreso conoscenza dopo le manovre rianimatorie che gli abbiamo praticato è stato il momento più bello», ha detto Andrea. «È stato davvero bravo», ha commentato il responsabile della struttura.
DA LEZZENO AL MONDO
«Da parte nostra faremo, come stiamo facendo, tutto il possibile perché la nostra azienda resista ad onorare il paese e a continuare a dar lavoro»: raramente, parole così toccanti segnano un importante anniversario di un’attività, 90 anni. Sono state pronunciate dai titolari della Società Valsecchi di Lezzeno, fondata nel 1923 da Filippo Valsecchi ed Angioletta Bianchi per produrre articoli casalinghi, gabbie e trappole per topi a Lezzeno, meglio noto come «Repubblica del fil di ferro». Fu la prima a produrre le gabbiette per spumanti; da sempre applica tecnologie e creatività, opera per il proprio sviluppo e per quello del paese, è attenta ai propri dipendenti. Ora è leader in Italia e nel mondo per la produzione di espositori pubblicitari, ma ha preferito non festeggiare i traguardi raggiunti con tanto impegno e tanti talenti umani e professionali. Le risorse sono state destinate ancora una volta all’azienda che vuole arrivare ai cent’anni.
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Quando l’ottima cucina è servita a casa
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a genuinità della cucina italiana è da sempre uno dei marchi distintivi del nostro paese, una cucina fatti di ottimi sapori ed accurate scelte di gusti e abbinamenti che vanno a coinvolgere tutti i sensi della persona, il gusto in primis naturalmente, supportato poi da vista e olfatto. Il mangiar bene è insomma uno dei caratteri distintivi del nostro dna italiano e c’è chi, come il sig. Volontè Gabriele de Il Banconiere, ne ha saputo fare una professione, dedicandosi alla creazione di un servizio al cliente che è considerato pressochè unico nel suo genere. Il Banconiere è infatti una gastronomia che trae ispirazione dalla tradizionale gastronomia milanese, dove le famiglie borghesi della città erano solite fare i propri acquisti per il pranzo della domenica e le occasioni più particolari: ispirandosi a tali realtà con le quali è entrato in contatto proprio durante i primi anni di esperienza lavorativa, il sig. Volontè ha creato un luogo che sa racchiudere tra le sue mura tutto quello che serve per poter mangiar bene. All’interno del negozio possiamo infatti trovare la macelleria, sempre fornita di carni di ottima qualità, già lavorate e pronte per la cottura, tutte lavorate all’interno del laboratorio del punto vendita; la salumeria è fornita unicamente con prodotti il cui primo e principale ingrediente sia il tempo richiesto dal tradizionale e naturale processo di stagionatura, sia per quanto riguarda i salumi che i formaggi: possiamo infatti trovare i più classici e noti nomi della tradizione casearia italiana accanto a prodotti ricercati in piccoli caseifici d’alpeggio, dove il prodotto è frutto di un lavoro svolto con passione e non un puro mezzo di commercializzazione. Alla ricerca di un’offerta unica nel suo genere ci si imbatte infatti in aziende agricole in cui l’amore per la natura e per il bestiame porta i caseari a far ascoltare musica classica ai propri animali durante la mungitura, a nutrirli con prodotti di altissima qualità, ad assicurarsi che possano pascolare sereni affinchè il latte sia di ottima qua-
lità, per permettere poi di realizzare un prodotto unico, per sapori, profumi e delicatezza. Il banco si completa poi con le preparazioni gastronomiche e le portate culinarie prodotte dalla cucina de Il Banconiere: un vasto assortimento in grado di soddisfare tutti i gusti, dai più semplici ai più esigenti, è a disposizione del cliente per incontrare ogni esigenza. Questo comparto è infatti dedicato a tutte le madri e mogli impegnate ormai quanto e più dei mariti nel lavoro e nella crescita dei figli e che non hanno il tempo per cucinare per la famiglia, che scelgono però sempre di portare in tavola un’idea originale, gustosa e sana, cucinata esattamente come avrebbero fatto loro all’interno della loro cucina; è un comparto dedicato a tutti coloro che non amano cucinare, ma non vogliono privarsi di una buon pasto a casa, comodo e veloce e che non sacrifichi gusto né genuinità; è infine un comparto dedicato anche a giovani e meno giovani che vivono soli e che non trovano l’ispirazione per cucinare in formato monoporzione ma che sentono nel loro dna quel gene del “mangiar bene” che non vuole piegarsi a pasti precotti ricchi di conservanti e poveri di sapore. Accanto a tutto quello che è la produzione interna de Il Banconiere, è a disposizione del cliente anche un vasto assortimento di prodotti complementari e necessari a condurre la cucina domestica tradizionali: ecco quindi un’accurata selezione di vini, di oli, di pasta, di condimenti, marmellate e biscotti e di tutto ciò che serve nella dispensa di una famiglia. L’obiettivo de Il Banconiere ogni giorno è quello di poter proporre al proprio cliente un servizio fatto di ottimi prodotti, di cortesia e disponibilità e soprattutto di prezzi giustificati dalla qualità del prodotto e non da costi accessori quali le pubblicità con celebri testimonial, le complesse catene di fornitura che richiedono numerosi passaggi o lo spostamento del prodotto in più parti del mondo durante il processo produttivo.
OLGIATE COMASCO (CO) - Via Roma, 84 - Tel. 031.944194 - www.ilbanconiere.it
Pubbliche virtù di Enzo Molteni Presidente Canottieri Lario
L’etica per la vita è la nostra sfida Sento forte nel mio animo il senso di appartenenza alla mia città e da sempre ho cercato dapprima nelle associazioni imprenditoriali e poi nelle realtà sportive, di rendermi utile. Penso che se ognuno di noi si riconoscesse pienamente nella comunità cittadina e desse il suo contributo, ci troveremmo in una Como diversa e migliore. Credo fortemente nell’associazionismo. Como può contare su molte associazioni ed ognuna di loro rende la città più forte, più unita, più vitale. La vecchia, gloriosa Canottieri Lario G. Sinigaglia che dirigo dal 1992 è una società nata nel 1891 ed è quindi il sodalizio più antico del lago di Como. La Lario è la seconda casa di molti comaschi. Sono un migliaio i soci, compresi gli atleti. La Lario è come un paese che si popola con la bella stagione e si spopola di inverno. Dal grande imprenditore all’impiegato, dal professionista all’operaio. Gli 800 soci effettivi della Lario comprendono tutte le fasce d’età. Abbiamo soci iscritti da 40, 50, 60 e 70anni. Da sempre cerchiamo di curare la formazione dei giovani, facendoli crescere fisicamente con gli allenamenti ed insegnando loro i valori di uno sport “duro” e “povero” come il nostro, come la lealtà , la fatica e l’amicizia. Su una barca di canottaggio è indispensabile infatti che vi sia armonia tra i componenti dell’equipaggio, che devono remare all’unisono per scivolare sull’acqua. Da alcuni anni contiamo su quasi 100 ragazzini del Centro di avviamento allo sport e su una squadra agonistica di una trentina di elementi, oltre ad un gruppo di inossidabili veterani. Tra i nostri atleti vi sono campioni italiani e mondiali. Abbiamo tagliato traguardo delle olimpiadi con Claudia Wurzel e Sara Bertolasi, entrambe quest’anno hanno conseguito pure la seconda laurea, alla faccia di chi dice che praticando canottaggio ad alti livelli non si riesce a studiare. Nel mio mandato ho visto crescere e vincere tanti ragazzi e
ragazze, ma non potrò mai dimenticare le emozioni vissute grazie al nostro massimo campione, Daniele Gilardoni. Un atleta capace di vincere per la Lario nove titoli mondiali consecutivi. Un record inarrivabile. Spero che le strade della Lario e di Gilardoni si possano incontrare ancora nel futuro. Dobbiamo infatti anche a lui i successi di oggi. Ci siamo affacciati in punta di piedi nello sport disabili. Grazie all’amicizia che mi lega e che legava mio figlio Vittorio ad un personaggio straordinario, come Christian Beretta. Dalla sua voglia di provare a remare è nata la sezione adaptive rowing Lario, ora pararowing. E proprio questa estate la Federazione ci ha dato il riconoscimento di polo di eccellenza per il canottaggio dei disabili intellettivi. Un traguardo tagliato grazie alla collaborazione con l’Istituto Villa Santa Maria di Tavernerio e all’impegno dei nostri allenatori e dirigenti. Tante persone che vivono e lavorano a volte nell’ombra per il bene della nostra società. A breve metteremo un nuovo trofeo nella nostra bacheca. Stiamo infatti per diventare la prima società italiana di canottaggio “no mafie”, grazie ad un patto sociale stretto con il Centro Studi contro le mafie Progetto San Francesco e la Cisl dei Laghi che ci vedrà protagonisti del progetto “ Il Pizzo contro il pizzo” e a portare il messaggio antimafia sui campi di regata di tutta Italia ed Europa. “Etica per la vita”; questa è la scritta che campeggia sulle divise dei nostri atleti perché va benissimo formare bravi agonisti ma è molto più importante formare bravi cittadini. In questo sesto mandato da presidente dovrò tenere il timone della Lario durante due anniversari importanti: il centenario della vittoria di Henley (1914-2014) ed il centenario della morte di Sinigaglia (1916-2016). Confido che la città ed le istituzioni ci siano vicine come lo sono state in passato per celebrare meglio il campione e l’eroe che da il nome alla nostra società.
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Donna di Picche
di Valeria Peverelli
Senior Account executive Pubblic Affairs Sec Relazioni Pubbliche Istituzionali
Io che faccio la lobbista... e ci credo Di nuovo, lobbying. È di questa estate l’ultimo tentativo del Governo di regolamentare l’attività svolta dai gruppi di interesse al fine di influenzare il decisore pubblico, con un disegno di legge subito “congelato” in attesa di ricognizione su scala europea. Per inquadrare il fenomeno serve partire dalla storia, più che dalla cronaca: non dalla fine della Prima Repubblica, pur implosa con Tangentopoli, ma dai primi dibattiti sul finanziamento ai partiti. È dalla nascita della Repubblica, non dalla sua fine, che si susseguono disegni di legge sul lobbying: chi li ha contati dice che siamo arrivati, dal 1948 fino a oggi, a quota 53, tutti “arenati” sul nascere. Insomma il lobbista, spesso detto “faccendiere”, è da sempre guardato con sospetto, talvolta con disdegno. Uno che gira con valigette piene di soldi, nell’immaginario popolare, e con quelle “rappresenta” interessi di parte nelle sedi istituzionali. La mia opinione - da lobbista conquistata dal mestiere - è che ci sia un problema di prospettiva. Il legislatore si è sempre focalizzato su obiettivi di “limite” e di “controllo”, approcciando cioè il tema in negativo. La discussione ha avuto come oggetto di attenzione la legittimità del soggetto portatore di interessi, invece che focalizzarsi sulla relazione tra questo e il decisore, e su semplici regole che ne assicurino trasparenza e legalità. Qualcosa oggi si muove. Accademici e addetti ai lavori alimentano un dibattito non più limitato alle attività di lobbying, ma intorno ai Public Affairs, ossia alla specializzazione delle pubbliche relazioni che cura la rappresentazione - identitaria, valoriale e (pure) di interessi - di soggetti particolari e privati. L’approccio, senza pregiudizi, riconosce innanzitutto che gli interessi particolari sono legittimi; meritano, cioè, di avere una rappresentazione nel complesso sistema di valutazione delle policies. Il re-
sponsabile dei Public Affairs rappresenta un soggetto (ai decisori, ai media e agli stakeholders), provando a trovare una corrispondenza di valutazioni di interessi con chi ha il dovere di perseguire l’interesse generale. Il focus diventa dunque la gestione virtuosa del negoziato tra interesse privato e interesse generale; avanza l’idea che regolare il lobbying non significhi arginare un sistema di pressione (più o meno legale), ma governare un sistema di interazione. Gli interessi particolari devono essere rappresentati, in modo trasparente e concorrente, affinché le scelte del decisore siano ponderate e consapevoli. Come fare? Due sono le necessità. Più che una norma finalizzata a mettere freni alla rappresentazione di interessi, servirebbe al contrario un movimento che sostenga la legittimità e l’indispensabilità di una partecipazione ampia e influente alle decisioni. Serve il desiderio collettivo di aumentare la rappresentazione di interessi, non limitandone l’espressione nei tradizionali “luoghi” già previsti dalle norme per sottrarla ai corridoi (come le audizioni). I media, in questo, hanno un ruolo fondamentale. Ma anche i social network e l’interazione sociale in generale. Serve pure, al contempo, la pretesa di avere decisori preparati, neutrali, etici. Perché delle regole per evitare “valigette” si può fare a meno, se nessuno è disposto a prenderle e nessuno ritiene che queste possano essere la scorciatoia per ottenere qualcosa. Il mestiere del lobbista non è quello di aver ragione, come erroneamente dicono i film americani: è quello di avere una ragione, e di farla emergere, in ogni luogo, perché diventi importante per la valutazione.
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Occhi sul mondo di Umberto Montin
Visto. Si viaggi Il futuro dei giovani non ha più confini. Soprattutto se cercano un lavoro, quell’occupazione che nel loro Paese non trovano. Anche andare lontano non sempre serve, a fare la differenza sono le specializzazioni, gli studi e le esperienze in materie e lavori ancora oggi di nicchia. Un patrimonio che non è di tutti, in particolare nelle latitudini meno avanzate. E così dove non arriva la preparazione scolastica, supplisce l’inventiva. Una creatività che si scontra già alle frontiere con gli argini alzati per rendere difficili le immigrazioni di massa in cerca di lavoro. E allora via con la fantasia, l’importante è strappare un visto d’ingresso, in particolare nella ancora opulenta - o almeno così è vista nel Sud del mondo - Europa. Il Daily Star si è così preso la briga di andare a spulciare nelle richieste on line dei visti per scovare quelli più interessanti e così stabilire un profilo delle professioni più richieste e della relativa offerta. Ma l’esame si è rivelato sorprendente ai limiti dell’inverosimile se le motivazioni non fossero lì scritte, nei file dell’immigrazione. Come quella di un sudafricano ha fatto richiesta di visitare l’Europa, e fin qui nulla di strano, specificando che il suo desiderio era di andare in Romania, nella terra di Dracula, a cacciare i vampiri. Meno immaginifica ma originale anche quella richiesta di visto per la Gran Bretagna presentata da un brasiliano il cui obiettivo sarebbe stato quello di portare il flamenco per le strade di Norwich, essendo lui - così almeno ha sostenuto - di essere un insegnante di danza. Liam Clifford del sito GlobalVisas.com ha riconosciuto che “alcune di queste motivazioni sono più sorprendenti di altre. Specialmente quelle che si riferiscono a attività illegali. Ma coloro che hanno avanzato motivi insoliti sebbene giuridicamente corretti, vanno lodati per le loro scelte geniali di carriera”. Come il peruviano che si è offerto agli europei come tagliatore stagionale di alpaca senza dubbio più originale del maliano che, esperto nel condurre la sua piroga, ha pensato di entrare in Italia e proporsi come gondoliere o come quell’americano che voleva entrare in Europa proponendosi come “assaggiatore di cibo per cani”. “Professione” per quale, aveva specificato, poteva vantare un’esperienza. E non ha peccato d’intraprendenza il giovane francese che ha chiesto il visto per gli Usa in quanto “modello di piede”, professione a suo dire molto richiesta oltreoceano. Non si sa invece se in Spagna sono molto ricercati gli imbalsamatori di cadaveri, specializzazione che ha spinto un uomo messicano a chiedere il nulla osta per entrare nella penisola iberica, come non si sa neppure se in Gran Bretagna si cercano “zombie stagionali”, occupazione vantata da una signorina. Non si sa se poi è entrata e se ha trovato “lavoro”, ma senza dubbio si è mostrata più originale di quella signora russa che ha chiesto il visto per esercitare la sua attività commerciale nei Paesi Bassi. Piccolo dettaglio, quell’attività era il mestiere più antico del mondo. Che non richiede visti.
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La borsa o la vita di Claudio Merletti
Dirigente Ufficio scolastico provinciale Como
Pescatori attivi di futuro Autonomie e responsabilità della scuola lariana
Si ricomincia. Parte il nuovo anno scolastico, la scuola si rianima, di rumori e colori, di ritmi e riti di vita, di interessi (spese e costi da una parte, aspettative ed esiti dall’altra), non solo di studenti e famiglie, docenti e bidelli, ma anche di operatori, per così dire, indiretti, dell’indotto (librerie e cartolerie, grandi centri della distribuzione e piccoli negozi, trasporti, mense e bar, strutture e specialisti socio sanitari, ...). Con un buon numero di stagioni con segni e climi diversi, provo a coglierne qualche tratto distintivo e di tendenza sopratutto locale. Intanto meglio richiamare la continuità di un servizio pubblico di riproduzione di persone, comunità e territorio che si svolge in un presente ancora poderoso, ultimo grande spezzone insieme al mondo socio sanitario, di un welfare che si va ridefinendo, qui forse troppo lentamente, sotto i colpi della globalizzazione. La grande macchina riparte e, anche quest’anno, non prevedo grandi disfunzioni con caroselli di assenze e sostituzioni iniziali. I numeri sono piuttosto noti. In provincia di Como siamo a circa 85mila studenti, 7mila docenti (10mila operatori). il ritmo preteso giustamente da Ministero e particolarmente dall’Ufficio scolastico regionale sta dando i suoi frutti, grazie anche ad una pattuglia di funzionari ed operatori, h24 e in formato internet, del ‘provveditorato’, guidati dalla Vicaria Peruzzotti, ai quali va pure quest’anno la mia profonda gratitudine anche giornalistica (non disponendo più dell’‘encomio solenne’). 22
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Piuttosto note le funzioni, a partire da quelle costituzionali della trasmissione della cultura (alfabeti, discipline e abiti mentali) e del contributo alla sua produzione; ma non sempre. La scuola è anche il crogiuolo attivo delle cittadinanze future multiculturale ed europea, planetaria e locale, della riproduzione utile del lavoro, dell’assunzione comune delle fragilità esistenziali e sociali, negli equilibri e nelle convivenze democraticamente regolati. Attivo in quanto capace di raggiungere il nerbo di valori e relazioni e comportamenti dei nostri studenti oggi. Questa la portata del gioco. Gioco dalle dimensioni immense, come quello della salute o quello del lavoro, che impone convergenze di persone e sistemi, oltre che tra sistemi, non in astratto, ma nella congiuntura attuale. Le risorse sistematicamente scarseggiano: dallo stato (non tanto per gli organici sostanzialmente bloccati al ridimensionamento degli anni scorsi, quanto per le disponibilità di fondi aggiuntivi per il personale più qualificato ed impegnato), dagli enti locali (ed è questione di servizi trasporti, mense, pre e post scuola, ma anche e in misura preoccupante di adeguata tenuta delle manutenzioni ordinarie e straordinarie degli edifici di ogni ordine e grado) e delle famiglie (per fare un solo esempio, grazie anche al richiamato contenimento delle risorse aggiuntive per i docenti, in provincia si sono dimezzate le visite e viaggi di istruzione tra l’anno che sta per finire e quello precedente). Aumentano sensibilmente le difficoltà di fornitura di ser-
vizi fondamentali individuali, spesso compensate da interventi preziosi di volontariato diffuso. Il sistema paritario locale della scuola d’infanzia consente servizi fondamentali e qualificati altrimenti impossibili oggi. Prosegue l’invecchiamento relativo di maestre e professori, che modifica e non semplifica la relazione centrale docente-discente e mancano ancora all’appello i nuovi dirigenti scolastici, le pietre angolari delle autonomie scolastiche, con quasi tutti i presenti caricati di due istituti. Non si tratta di giudizi, nè di stati d’animo: semplicemente di fenomeni in corso di cui scuola, famiglie e attori istituzionali, politici ed economico produttivi devono farsi carico, intanto in termini di comprensione di orizzonte e merito sui diversi aspetti. A partire dalla scuola, prima e diretta interessata, che deve sprigionare e raccordare al massimo le autonomie presenti e funzionanti. Con meno risorse deve fare di più e meglio. Come? La Direzione regionale, che è il vero centro di comando del sistema sempre più regionale, ha visioni e proposte in cui la scuola lariana può ben contribuire in esperienze, proposte ed esiti. Si tratta anzitutto di impiantare anche nella nostra provincia dei sistemi forti (il corrispettivo degli apparati scheletrico, cardio circolatorio, della riproduzione cellulare,...), di tessere un poderoso sistema di reti generali di livello provinciale di scuole che si assumano il compito di coordinare i propri servizi (risorse di personale ed economiche, procedure e termini della responsabilità sociale per costi ed esiti) insieme alla Direzione regionale, sulle principali dimensioni formative. In breve e a titolo di esempi: la condivisione territoriale dei curricula verticali (dalle primarie alle superiori) di
Italiano, Matematica, Inglese in rapporto agli esiti Invalsi, dove non siamo per nulla messi male; la realizzazione non semplice, del dettato normativo sull’internazionalizzazione dei curricula, a partire dalla generalizzazione in tutte le superiori dal 14/15 dei clil, cioè della presenza di insegnamenti di materie non linguistiche in inglese; l’omogeneizzazione servizi, procedure e strumenti inerenti i cosiddetti Bes (per disabili, disturbi vari dell’evoluzione e dell’apprendimento, stranieri neoarrivati,...); lo spostamento maggiore e migliore di alunni negli ordini professionali e tecnici dell’istruzione del sistema regionale del’Iefp; quantitativo e soprattutto qualitativo di iscrizioni, attraverso il potenziamento di misure e strumenti di orientamento permanente; lo sviluppo accelerato di competenze ed ambienti tecnologici evoluti, a partire dal digitale didattico; infine Expo 2015. No: non si tratta del solito repertorio rumorosamente vuoto del dover essere. Su ognuna delle partire richiamate (Expo a parte, sui cui i motori si stanno avviando, pur se in ritardo oggettivo) Como e la sua scuola hanno qualcosa di concreto nella tasca delle proprie esperienze, spesso pienamente condivise con le istituzioni locali, gli enti e le associazioni economico produttive, da proporre, inserire nel sistema regionale e sviluppare ulteriormente. L’anno che si apre è quello dei costruttori di essenzialità, cioè di reti condivise e responsabilità personali dirette diffuse, dove ogni sforzo prezioso e serio di insegnamento, studio e lavoro, della stragrande maggioranza dei nostri docenti e studenti, può e deve trovare un universo coerente. Buon anno
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COSÌ A COMO SI FUGGE DALLA VIOLENZA E DAI SOPRUSI DEI MASCHI. IN SEI MESI GIÀ DUECENTO DONNE HANNO CHIESTO AIUTO A TELEFONO DONNA E HANNO CAMBIATO VITA LIBERANDOSI DALLE AGGRESSIONI FISICHE E PSICOLOGICHE. IN ITALIA OGNI DUE GIORNI VIENE UCCISA UNA DONNA.
di Gisella Roncoroni
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remila. Sono le donne che, in vent’anni, hanno deciso di non continuare a convivere con le botte, gli insulti, le aggressioni e che hanno trovato il coraggio di chiedere aiuto a Telefono Donna. Tante - la maggior parte - per vergogna fanno i conti ogni giorno con compagni e mariti violenti. Quarantacinque donne (30 per subito violenze fisiche e psicologiche, 8 anche violenza sessuale, 7 psicologica) e 53 bambini sono stati ospitati nella casa rifugio “Luna e le altre”, struttura che può accogliere un massimo di dieci persone fra mamme e bimbi e che si trova, per ovvie ragioni di sicurezza, in un luogo segreto. La permanenza è temporanea a seconda della situazione e viene accompagnata da supporto psicologico, lavorativo e dalla consulenza legale. «In tutti i casi - fanno sapere dall’associazione, che ha sede in via Castelnuovo, 24
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LA FORZA DELLE
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in alcuni locali del San Martino - si è trattato di violenza domestica e l’autore del maltrattamento è sempre stato il partner. Marito, convivente o fidanzato». Straniero il 60%, 17 quelle di nazionalità italiana e l’età media è di 32 anni e il tempo di permanenza nella struttura protetta è di circa 7 mesi, pochi casi sono rimasti per più di un anno. Per ogni telefonata o richiesta di aiuto viene compilata una scheda anonima e, nel corso degli anni, le donne che hanno deciso di provare a cambiare una quotidianità insostenibile sono inesorabilmente aumentate. Nel 1991 i casi erano 38, nel 2010 sono saliti a 301, 305 nel 2012 e già più di 200 in questa prima parte dell’anno. In aumento, anche le straniere, che si rivolgono all’associazione, mediamente più giovani delle italiane e che rappresentano più di un terzo del totale delle richieste e, la metà, si trovano senza un reddito proprio, condizione che rende ancora più difficile decidere di affrontare il marito o il compagno. Negli ultimi anni, analizzando le segnalazioni arrivate, emerge che coinvolti nelle singole storie personali, ma non troppo diverse una dall’altra, ci sono anche poco meno di 300 bambini che, quasi quotidianamente, assistono a scene di violenza ai danni della propria madre. «Nel 92% dei casi chiariscono da Telefono Donna - si riscontra maltrattamento psicologico. Ha valori elevati in quanto trasversale ad altri tipi di violenza e comprende anche lo stalking». In aumento, negli ultimi anni, la violenza fisica. Dal 50% del 2006 siamo arrivati al 70%. E proprio nell’ultimo anno, anche a livello nazionale, si sono moltiplicati i casi di donne addirittura uccise da compagni, ex mariti, ex fidanzati. Centoventiquattro nel 2012. Nel 2013 sono già 65 gli omicidi, una vittima ogni 2,5 giorni. Non a caso le amministrazioni si stanno muovendo anche con corsi gratuiti di autodifesa oltre a protocolli d’intesa e integrazione tra le diverse realtà coinvolte. La Regione Lombardia, con l’assessore Paola Bulbarelli (Pari opportunità) e Antonio Rossi (Sport) ha previsto iniziative in tutti i capoluoghi. A Como è attualmente in corso e proseguirà fino al 30 settembre, con lezioni dal lunedì al giovedì dalle 18.30 alle 19.30 ai Giardini a lago. Per informazioni e iscrizioni è stato istituito un numero verde 800149659. A livello provinciale dal 2011 l’amministrazione provinciale ha attivato un numero verde (800166656) a sostegno delle vittime di violenza domestica e di stalking. Lo sportello è operativo grazie a Telefono Donna (per la violenza domestica) e all’associazione InfraMente di Como in collaborazione con il Comune diMariano Comense (per lo stalking). 26
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Casi di maltrattamento segnalati: nel 1991 erano meno di 40, nel 2012 sono saliti a oltre 300. Nei primi sei mesi di quest’anno sono già arrivate 200 richieste
LA RESPONSABILITÀ VERSO CHI È DEBOLE Gli operatori del diritto di famiglia usufruiscono di un osservatorio privilegiato sulla realtà sociale circostante, perché questo settore del diritto affonda le proprie radici profondamente nell’humus sociale, in osmosi con il sentire della gente. Questo punto di vista impone una doverosa sensibilità e corrispondente impegno costruttivo. Dobbiamo prendere atto che le relazioni interpersonali anche più intime vengono saggiate da congiunture di instabilità e disagio economico, che fanno emergere luci ed ombre, fragilità ed egoismo, solidarietà e dedizione in ogni contesto sociale, senza risparmiare la dimensione base, che è quella domestica. Partendo da questa considerazione, possiamo restare attoniti, ma non stupiti dell’imbarbarimento dei rapporti umani anche tra le mura domestiche, per situazioni che diventano cronaca della prevaricazione sulla parte più debole (fisicamente, psicologicamente, culturalmente o economicamente): donne, anziani e minori, disabili. La cadenza quotidiana nel verificarsi di queste di queste aberrazioni dei rapporti umani, diventa un segnale di allarme che deve essere aff rontato in modo etico, senza ulteriori contrapposizioni ideologiche, di genere, ma con indirizzi anche normativi di pacificazione, più che di repressione. Personalmente non credo che norme “protettive” di un genere (es. femminicidio, omofobia ecc) possano risolvere il dramma di una società spesso prevaricante, che dimentica come parametro di relazione il rispetto dell’altro e gli impegni assunti: troppo spesso, mi sento chiedere quali sono i miei diritti verso il coniuge nella crisi coniugale e quasi mai, quali impegni e quale
di Mariabruna
Marzorati avvocato
solidarietà persistono; e questo persino nei riguardi dei figli. Ecco che la violenza sulle donne, (ma non posso dimenticare quella sui minori e su tutti i soggetti deboli) trova il suo terreno lì, nella deresponsabilizzazione verso l’altro, nell’avere come parametro di riferimento solo se stessi, con le proprie aspettative individuali e frustrazioni personali, che se non soddisfatte, implicano la reazione anche violenta. Il concetto di responsabilità intesa come consapevolezza delle conseguenze delle proprie determinazioni ed azioni verso l’altro, deve tornare di moda. E un segnale legislativo importante è arrivato dalla recente legiferazione in materia di fi liazione (non direttamente per la tutela delle donne ), uno dei casi in cui la legislazione precorre, indirizzando alla civiltà, il sentire sociale: l’utilizzo esplicito del termine “responsabilità” genitoriale, per sostituire “potestà “ genitoriale (già patria potestà). Finalmente il concetto di potere di decisione sui soggetti deboli, diventa senza equivoci responsabilità verso chi è debole, indifeso, bisognoso del nostro sostegno. Questo cambiamento “epocale” di prospettiva nelle relazioni più intime, domestiche, famigliari è l’approccio che può consentire di superare il medioevo dei sentimenti che ci viene raccontato nelle cronache di violenza domestica, di violenza sulle donne e sui deboli, proprio da parte di chi ne sarebbe moralmente e affettivamente responsabile. Compito di tutti, a partire da chi per professione o volontariato si imbatte nella sopraffazione, è trasmettere ed applicare il valore concreto e risolutivo di rispetto e responsabilità verso gli altri e verso se stessi.
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LA FORZA DELLE DONNE
«MI MASSACRAVA DI BOTTE FINO A FARMI SVENIRE, POI MI PROMETTEVA CHE NON L’AVREBBE MAI PIÙ FATTO….» «HO SBATTUTO LA TESTA, MI SONO VOLTATA E HO VISTO MIO MARITO CHE AVEVA AFFERRATO UN COLTELLO…ERO TERRORIZZATA, HO APERTO LA PORTA DI CASA E SONO SCAPPATA». LE STORIE DI CHI HA TROVATO RIFUGIO ALLA “COF” DI MONTANO DOVE SI CERCA UNA SPERANZA, DOPO ANNI DI SOPRUSI E VIOLENZE.
DOVE LE DONNE
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di Laura D’Incalci
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i botte ne aveva prese tante. Schiaffi, pugni, calto femminile), struttura alle porte di Como che accoglie ci. Il suo matrimonio, fin dal secondo giorno, si donne in grave difficoltà. “Avevo paura” ripete Irina ricorera trasformato in un incubo senza via d’uscita. dando che l’incertezza, il timore di non essere in un luogo «Ci eravamo trasferiti in Italia dove mio marito sicuro, erano stati compresi immediatamente da Marisa. lavorava già da qualche anno, io non conoscevo nessuno, «Non mi ha chiesto niente, sembrava che mi conosceva già, ero completamente sola, sapevo poche parole di italiano»: che mi aspettava…si dice così?» racconta nel suo italiano Irina, 23 anni rumena, racconta il suo dramma ricordando senza congiuntivi, che ogni tanto si inceppa in cerca di ancora l’illusione che l’aveva sostenuta in tanti giorni pieni un vocabolo. «Era già notte, mi ha accompagnata in una di angoscia. «Ogni volta che lui mi massacrava di botte fino cameretta. “Ti piace?” “Mi sembra di essere in un albergo quasi a farmi svenire, poi si metteva a piangere, mi chiedeva a 4 stelle» le ho risposto…Mi ricordo le lenzuola stampate perdono, mi prometteva che non l’avrebbe mai più fatto» a fiori arancioni, con colori forti” dice mentre pensando a spiega mettendo a fuoco l’ultima sera, quella della sua fuga quel particolare le viene da ridere. disperata. Sono trascorsi quasi sei mesi da quell’ impatto e Irina oggi Era una sera gelida, lo scorso gennaio, avevano finito di cenadescrive il suo primo risveglio fra quelle pareti, nella strutre e Irina stava sparecchiando la tura attualmente abitata da una tavola quando improvvisamente decina di donne che come lei «Appena ho aperto gli occhi con uno spintone era stata scahanno trovato un rifugio sicuro. raventata contro il muro: «Ho «Appena ho aperto gli occhi la il primo pensiero è stato: sbattuto forte la testa, mi sono mattina, il mio primo pensiero voltata e ho visto mio marito che è stato questo: credevo di mosono viva, sono salva aveva afferrato un coltello rimarire e sono viva, sono salva. Poi e ho ricominciato tutto da capo» mi sono alzata e ho spostato il sto sul tavolo…ero terrorizzata, ho aperto la porta di casa e sono letto contro un’altra parete della scappata giù dalle scale. Non ero stanza, capivo che dovevo ricomai scappata, non avevo mai chiesto aiuto a nessuno, ma minciare tutto da capo e ho iniziato con quella decisione». in quel momento ho capito che ero in pericolo». Di quegli Una svolta, il desiderio di ricominciare: è questo il tratto attimi Irina oggi ricorda che faceva molto freddo e che si era comune di tante vicende che approdano nella “casa” che da ritrovata su una strada provinciale, senza neppure un capotto oltre 50 anni apre le porte a donne calpestate e sfruttate, e con le ciabatte ai piedi. «Ho cercato di fermare qualche spesso spinte a fuggire da situazioni di violenza e abuso macchina, ho chiesto aiuto, ma nessuno mi ha soccorso… subiti all’interno del loro stesso nucleo familiare d’origine poi per fortuna ho incontrato un vigile che mi ha portato o in legami affettivi apparsi come sogni promettenti ma dai carabinieri». «Quella stessa sera è incominciata la mia presto trasformati in incubi. nuova vita, anche se non lo sapevo ancora, ero spaventata, «Il primo cambiamento quando arrivano qui alla Cof , già non sapevo dov’ero finita…» dice incrociando lo sguardo di dopo qualche giorno, si legge sulle facce delle ragazze - amMarisa Russo la direttrice della Cof ( Casa di orientamenmette Marisa - cambia il loro sguardo, come se perdesse
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un velo che lo rende opaco, indifferente, sperso… A volte sono irriconoscibili dopo un periodo di recupero nel quale maturano un nuovo modo di percepire e immaginare anche il loro futuro». «Io non so ancora come sarà di me, sto cercando di imparare l’italiano e di vivere, di rendermi utile qui… ho provato una stretta al cuore quando ho visto arrivare Sonia una ragazza giovanissima, non ha ancora 12 anni, molto impaurita... Adesso ha ricominciato a ridere, ascolta la musica, mi fa tante domande e sto ben attenta a non raccontarle cose tristi». Il vociare dei bambini, che proviene dal giardino e riecheggia all’interno della grande casa, interrompe il dialogo e si sovrappone a tutto, costringe tanti ricordi a risucchiare la loro invadenza insieme alle lacrime. Giulia, di due anni e mezzo sta correndo nella sala da pranzo raggiunta da Roberta una ragazzina di 10 anni che con lei gioca a fare la mamma, mentre Loredana, 12 anni, si affaccia mostrando una novità: «Avete visto i miei ricci? -dice scuotendo i lunghi capelli corvini- Me li ha fatti così Tania…». «Adesso venite, è pronto …», chiama un’educatrice con il carrello fornito di vivande. «Cosa c’è da mangiare?». È la domanda che risuona man mano che ragazze e donne di varia età prendono posto a tavola, mai meno di una quindicina. Chi arriva, dopo aver interrotto qualche impegno nella stessa casa o provenendo da fuori, chiede cosa si mangia, proprio come succede in famiglia tornando a casa. E i drammi che ogni storia si trascina come un’ombra, tanto abissali da rimanere per lo più avvolti nella riservatezza, una volta immersi in una quotidianità accogliente, in un autentico clima di famiglia, sembrano
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perdere il loro mordente almeno sul presente. «Non imponiamo niente, non ci sono regole rigide, particolari metodi o percorsi di sostegno proposti alle ospiti qui alla Cof », riferisce la direttrice segnalando un nome, o meglio una presenza invisibile che ancora permea l’atmosfera della casa. «È Adele Bonolis, la figura carismatica all’origine di questa opera di accoglienza», spiega Marisa Russo citando qualche fatto concreto per descrivere cosa significa guardare un altro essere umano per tutta la dignità che porta, indipendentemente dal carico di errori e contraddizioni che rischiano abbrutirlo ed emarginarlo. «Una volta una giovane prostituta che aveva chiesto aiuto, poi scalpitava perché non voleva abitare nella struttura, ma chiedeva una “casa” solo per lei…la Bonolis si è fatta in quattro per rispondere al suo desiderio, ha affittato un piccolo appartamento e lo ha messo a sua disposizione». «Sono tantissimi i fatti che documentano una sua fiducia incondizionata nella persona, nella sua libertà. - prosegue - Lei non fissava l’attenzione su errori e fallimenti, ma sulla luce che, per quanto tenue, resta viva sempre in ogni essere umano». Nonostante sia già stato avviato nel 2003 il processo di beatificazione che probabilmente la riconoscerà nella schiera dei santi, Adele Bonolis ancor oggi mantiene il suo stile: «Non c’è alcuna enfasi attorno alla sua figura, la maggior parte delle nostre ospiti non ne conoscono neppure la storia - ammette Marisa - Eppure è sepolta qui (nei pressi della casa comasca) pur essendo vissuta a Milano, dato che quest’opera era nel suo cuore più di tante altre». E del resto è tuttora la fondatrice, a quanto pare, a tenere
LA CLASSE 1957 PER LA “COF” A SOSTEGNO DELLE DONNE La Classe 1957 per il premio Stecca ha adottato la Cof, Casa di orientamento femminile, che off re accoglienza a donne vittime di violenza e maltrattamenti in cerca di un rifugio sicuro, un luogo dove iniziare un nuovo percorso di riscatto e reinserimento sociale. «Con la decisione di aderire a La Stecca, associazione fondata nel 1908 da Felice Baratelli che con il suo 50° compleanno avviò una straordinaria catena di solidarietà nella città di Como, anche noi della Classe ‘57, al traguardo dei 50 anni, ci siamo inseriti nel fiume di iniziative solidali che arricchiscono il contesto lariano» racconta Fabio Peruzzo, attuale presidente della Classe ’57. «Nel 2007 l’idea di dare il nostro supporto alla Cof era stata inizialmente suggerita da una coincidenza di date: siamo nati nello stesso anno e abbiamo festeggiato insieme i nostri dieci lustri», spiega Peruzzo che sottolinea al contempo una motivazione più profonda, legata al desiderio di condivisione di bisogni ed emergenze sociali. «Le classi della Stecca, certamente cementate dall’amicizia, scoprono un collante vitale nella possibilità di fare del bene, di supportare progetti per i contesti in cui viviamo» nota ancora Fabio Peruzzo ricordando un’espressione di saluto che l’allora presidente dell’Associazione La Stecca Antonio Spallino rivolse ai nuovi associati della classe 1957. «Dal profondo del nostro essere affiora il bisogno di donare e di donarci agli altri, incominciando dai deboli, dai sofferenti, dagli emarginati e continuando con coloro che hanno fame di sapere della nostra città, sete del senso della vita» aveva suggerito Spallino sottolineando così anche la molla che spinse a conoscere meglio la Cof e a sostenerla con svariate iniziative. Fra queste, la decisione di devolvere alla Casa di orientamento femminile una raccolta fondi realizzata in occasione dello spettacolo teatrale creato e realizzato da alcuni appassionati di teatro della nostra classe che hanno messo in scena “L’assemblea cunduminial” con la regia di Alfredo Caprani. «Ultimamente una cena in grande stile proprio nei locali della Cof, con un centinaio di invitati, ha riacceso la nostra convinzione e l’entusiasmo che ci lega nel sostenere quest’opera» ammette Peruzzo citando alcuni personaggi in prima linea nell’animazione dell’evento,
sott’occhio i conti che, specialmente in tempi di crisi, è difficile far quadrare: «A volte ci si lascia prendere dall’ansia di risolvere i problemi gestionali che sono complessi, aggravati anche dalle diminuite risorse da parte dei comuni che determinano anche una contrazione dei “casi” a noi affidati, ma in preda all’assillo si rischia di perdere di vista le incalcolabili risorse della Provvidenza, fedelissima alleata di Adele Bonolis e delle sue imprese» ammette il presidente Giancarlo Leoni sottolineando l’imprevedibile solidarietà di vari benefattori e amici della Cof, fra i quali la Classe 1957 della Stecca, da qualche anno vicina alla particolare esperienza d’accoglienza. Cambiano i problemi e le emergenze, oltre mezzo secolo fa segnati dal dramma delle ex prostitute bisognose d’accoglienza con la chiusura delle “case di tolleranza” decretata dalla legge Merlin, oggi da un diffuso disagio familiare che ingloba
quali l’avvocato Giancarlo Leoni presidente della Cof, la direttrice Marisa Russo, la Rosa d’Oro Annalisa Galliano e tanti amici che quotidianamente regalano qualche ora di volontariato presso la struttura. «Eravamo quasi un centinaio in quel contesto speciale - riprende - e abbiamo ascoltato testimonianze cariche di umanità, storie raccontate con discrezione nelle quali è trapelato un sincero sentimento di gratitudine per un’esperienza che per molte donne coincide con una vera rinascita».
anche l’emarginazione di donne provenienti da altri paesi del mondo: «Il filo conduttore è sempre unico, radicato in una realtà che da un decennio all’altro, per periodi più o meno lunghi, ha ospitato centinaia di donne», afferma la Russo pescando in una miniera inesauribile di episodi che consolidano una speranza concreta e collettiva. Le viene in mente Matteo, un bimbo nato alla Cof tre anni fa: «La sua mamma ha di recente trovato la sua strada, si è sposata e lavora a una ventina di chilometri da Como, ma ogni giorno porta il piccolo qui da noi - racconta -. Matteo aveva in effetti iniziato a frequentare una scuola d’infanzia nel suo nuovo contesto, ma piangeva spesso, cercava il suo asilo: “voglio tornare nella mia casa” insisteva. E la sua mamma si sobbarca il viaggio quotidiano per evitargli un distacco troppo brusco dal “suo” ambiente».
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SORELLE IN CAMPO
Giulia e Sara Sussarello in campo con un’unica passione.
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itratto di famiglia in un esterno. Di colore rosso, come è la terra dei campi di Tavernola. La sfida lariana alle due fuoriclasse Sara Errani e Roberta Vinci ha i volti - carinissimi -, la grinta e l’allegria di Giulia e Sara (rigorosamente in ordine di età) Sussarello. Le “Chiqui” del lago di Como, due che - partendo dalla provincia - stanno dando la scalata alla classifica mondiale del tennis in gonnella. Professioniste, nonostante la verde età (21 anni Giulia e 19 Sara), dentro e fuori dal campo. Perché quando il sogno è di quelli a colori (e loro lo hanno) la differenza - spesso e volentieri - possono farla i dettagli. In partita, come nella vita. Sacrificando, magari, divertimento, compagnie e amicizie pur di puntare dritte all’obiettivo: essere qualcuna nel mondo della pallina gialla. 32
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E per non lasciare nulla al caso, cosa c’è di meglio di costruirsi il proprio universo dentro casa? Dividendo sforzi e risultati, gioie e amarezze, responsabilità e programmazione con mamma Sabrina e papà Franco, dato che molte delle “colpe” sono proprio loro, dei due genitori. Giulia e Sara hanno due anni di differenza e se da quando ne hanno cinque respirano il profumo della terra rossa è perché il padre - maestro - lì ce le ha messe quando erano bambine. Vizio di famiglia, quello del tennis. E virus inoculato presto nelle vene delle due campionesse. Tanto presto che, da vero e proprio hobby, è diventato un’autentica scelta di vita. Che adesso fa girare il mondo, invece della testa. Del suo, e non poco, ce ne ha messo la madre. Che ha deciso di allestire una seconda casa nel camper di famiglia e di percorrere chilometri e chilometri («168mila quelli sul
IL PROFUMO DELLA TERRA ROSSA di Edoardo Ceriani, foto Andrea Butti / Pozzoni LA PASSIONE DI GIULIA E SARA, TENNISTE CON LA VOGLIA DI VINCERE. STORIA DELLE SORELLE SUSSARELLO IN GIRO PER IL MONDO IN CAMPER INSIEME A MAMMA E PAPÀ RINCORRENDO SOGNI DI GLORIA. mag
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mezzo, senza contare i viaggi in auto», dice) al seguito delle neo e un allenamento - salgono di tono. E di classifica: Giufiglie che, nel frattempo, stavano - e stanno - cercando di lia è la numero 488 al mondo in singolo e 434 in doppio, ipotecare un futuro a colpi di diritto (potentissimi) e roveSara - bloccata sul più bello da problemi fisici quest’anno (e scio (non sempre liftati). Partendo da Tavernola e ritornando ancora ferma) - è 915 in singolo e 588 in doppio. «Sono due a Tavernola, per una sorta non di “erba (talvolta anche sì), agoniste vere - spiega il padre, il tecnico di casa -. Soprattutma di terra di casa mia (loro, in questo caso)”. to hanno la testa. E si completano alla perfezione in campo, Due braccia - anzi quattro - rudove sanno occupare bene ogni bate al nuoto. Sentire Giulia, zona. Una fa da stimolo all’altra, Giulia è la numero 488 per credere: «Avevo cominciato una incoraggia l’altra. La compresto, in Como Nuoto, e molbinazione è perfetta, e quindi le nella classifica mondiale to presto sono arrivata alle gare. vedo in coppia anche in futuro». Sara è a 915 nel singolo Mi piaceva, anche perché riusciAnche dopo il rientro della sorelvo a dividere gli impegni con il la più piccola dal lungo stop di e addirittura 588 nel doppio tennis, poi quando c’è stato da questa stagione. Le due sono così scegliere non ho avuto dubbi». E affiatate («ma caratterialmente indovinare come è finita non è all’opposto», incalza mamma Satroppo difficile. «Nell’unico modo - puntualizza Sara - perbrina) che, senza pensarci un attimo, alla domanda su quale ché con un papà maestro di tennis era logico che si arrivasse torneo abbia segnato la loro giovane carriera, rispondono in lì. Anche io ho provato a fare qualche gara in piscina, ma coro: «Quello di Caslano, in Svizzera. Dove l’anno scorso poi non c’è stata partita». in questo periodo abbiamo trionfato in doppio, annullando Partita, invece, c’è eccome oltre la rete. Le due - tra un toruna serie di match point nel super tie-break: ancora oggi c’è
SARA SUSSARELLO
I suoi idoli sulla terra rossa sono Marija Sharapova e Victoria Azarenka
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gente che lì ci ferma e ci ricorda l’incontro». E a livello individuale? Giulia non ha dubbi: «La finale a Madrid nel 2011, quando arrivavo da un infortunio alla spalla, e la vittoria quest’anno a San Severo in Puglia, sia in singolo sia in doppio». Anche Sara ha due tappe ben fissate nella memoria. «Sono semifinali, ma per me valgono molto. La prima è in Austria, nel 2011, mentre la seconda è ancora più importante perché risale all’aprile scorso, in Grecia, proprio poco prima di fermarmi». Sussarello&Sussarello, la premiata ditta. Quella che infiamma l’anima dei genitori, ma che ha anche avuto bisogno di andare fuori provincia a trovare una società - meglio, due (Ceriano Laghetto e Rozzano) - per continuare a cullare i sogni di una carriera ad alti livelli. Come si sa, difficilmente si è profeti in patria, ma che le ragazze di Monte Olimpino non possano portare il nome di Como per i tornei della Wta è un autentico delitto. Oltreché un’occasione persa. Giulia e Sara, però, non si scompongono. Lavorano come matte e guardano avanti. La loro vita - molto da sportive e tanto da girovaghe - ha subito una svolta due anni fa, quando - preso il coraggio a due mani, manco fosse un rovescio e di quelli ben riusciti - hanno cambiato guida tecnica. Passando da papà (comunque sempre il consigliere numero uno) a Jacopo Lo Monaco, ex giocatore e commentatore di Eurosport. E se a dire che «il nostro è un rapporto stupendo» è proprio Franco Sussarello si può ben capire quanto il coach milanese sia entrato nella vita delle figlie. Loro, le ragazze,
come è logico che sia, hanno delle muse ispiratrici. «Da sempre Venus Williams per me - dice Giulia - ma anche Errani non scherza». Sara, invece, è più esterofila: «Non ho dubbi - risponde -: sono Sharapova e Azarenka». Ad Errani, giusto per fare un confronto che possa aiutare a capire il livello raggiunto, Giulia è molto vicina, essendo la numero 18 in Italia. Un piazzamento che potrebbe ulteriormente migliorare con il passare dei mesi. E al Risiko di quella che è una lunga stagione agonistica (in Italia e in Europa) partecipa - tutta assieme - la famiglia al gran completo, nessuno escluso. Mamma Sabrina spiega come: «Ovvio - dice -, il quadro generale è pianificato in anticipo, anche perché estate e inverno sono facilmente programmabili. Ma noi viviamo un po’ settimana dopo settimana, tenendo conto di tanti fattori: stato di forma delle ragazze, prestigio delle manifestazioni, lontananza da casa e budget. Perché non sembra, ma anche quello va tenuto in seria considerazione». Pare strano, però i Sussarello per mantenere questo circo devono mettere mano al portafogli. E tutto ciò malgrado le due giocatrici siano tra i migliori prospetti italiani. «Di sponsor non se ne vedono - dice Franco - e non solo adesso che il momento è delicato. Abbiamo due supporti tecnici (Babolat e Wilson) per le racchette, ma non si va oltre alla fornitura e ogni volta ci tocca bussare a tante porte per trovare una casa di abbigliamento». Non è facile, e c’è da credere a mamma Sabrina quando
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dice che «è una vita di sacrificio, in tutti i sensi. Innanzitutto per le ragazze, ma poi anche per noi che abbiamo deciso anche se felicemente e senza dubbi - di dedicarci completamente a questo loro grande sogno». Inutile cercare di rovistare tra i conti di una stagione che si divide tra Italia, Svizzera, Spagna, Belgio, Slovenia, Croazia e Serbia. Ma anche cercando di varare un programma morigerato e senza frizzi e lazzi, meno di quarantamila euro all’anno non si possono spendere. Il tutto, senza perdere di vista la normalità di una vita che ha visto Giulia diplomarsi al liceo scientifico sportivo prima di iscriversi a psicologia all’università e Sara pronta ad affrontare la maturità linguistica. Vuol dire, in soldoni, che loro, le sorelle terribili del tennis comasco, non studiano solo da campionesse, ma programmano già una vita extracampo. Altro innegabile segno di maturità, per due ragazze cresciute a pane e racchette, ma che ben sanno che il bivio della loro esistenza sportiva è lì, a qualche anno di distanza. Papà Franco, che la sa lunga, dice: «La vita del tennista si è un po’ allungata e la maturità spesso coincide con i 24/25 anni. In quel momento si potrà capire cosa ancora poter dare al tennis e soprattutto cosa il tennis potrà portare». Se l’aria che tira è questa, si può tranquillamente dire che Giulia e Sara abbiano ben compreso il messaggio del padre. Allora, visto che in battuta vanno loro, aspettiamoci che da un momento all’altro possano servire il match ball. Facilmente sarà un ace.
GIULIA SUSSARELLO «La mia musa ispiratrice è Venus Williams ma anche Errani non scherza» Sotto: Giulia e Sara in camper con i genitori Sabrina e Franco. in campo con un’unica passione.
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LA CORTE DELLE
SETTE DONNE di Serena Brivio,
foto Marco Cappelletti
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GRAZIA MOLTENI
ADELE SALVADÉ
C
ome una fenice dalle sue ceneri, sono risorte dal degrado. Oggi la corte e le ex scuderie di Villa Barbavara sono un centro di vita sociale nel cuore di Montorfano, rassicurante come il mercato rionale negli spersonalizzati quartieri delle grandi città. Punto di ritrovo quotidiano, dove puoi comprare il giornale, bere un caffè, tirarti semplicemente su o tornare a parlare in dialetto. Un luogo restituito alla comunità, che incanta anche i turisti di passaggio. Il miracolo porta la firma di sette donne che hanno stretto un’inedita alleanza per riqualificare la parte meno nobile dello storico complesso con un’interrotta successione di piccole botteghe, così diverse e individuali, seppur stipate l’una contro l’altra. L’esempio perfetto di come un modello di business semplice, ritenuto logoro secondo certi schemi commerciali, possa sopravvivere nonostante la crisi offrendo tradizione, gentilezza e capacità di fare squadra. La prima insegna che colpisce di questa piccola distribuzione è una sala da thé, ricavata da Patrizia Sibona nell’ex portineria dell’antica dimora patrizia. Nonne e mamme con bambini fanno colazione intorno a un vecchio bancone. Sui tavoli le bevande vengono servite in tazze design, accanto a giornali e libri. L’aroma di cioccolato si intervalla al profumo di croissant e pan brioche appena sfornati. Questo è Crème: uno spazio pieno di charme, affollato di
MARINELLA PETROROLO
MARILISA SELLA
PATRIZIA SIBONA
LE EX SCUDERIE DI VILLA BARBAVARA SONO DIVENTATE UN CENTRO DI VITA SOCIALE NEL CUORE DI MONTORFANO. IL MIRACOLO PORTA LA FIRMA DI SETTE DONNE CHE HANNO STRETTO UN’INEDITA ALLEANZA PER RIQUALIFICARE LO STORICO COMPLESSO CON UN’INTERROTTA SUCCESSIONE DI PICCOLE BOTTEGHE. CINZIA MORESI mag
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mobili moderni e vintage, meta di raffinati gourmand. «La soddisfazione maggiore - spiega la titolare - è però veder entrare le anziane del paese che non andrebbero mai in un classico bar. Si danno appuntamento al mattino o all’ora della merenda». Quella di aprire in campagna un locale intimo ma allo stesso tempo così elegante è stata una scelta coraggiosa, una scommessa vinta. «Ho cominciato con un posticino in piazza, quando mi si è presentata l’occasione mi sono spostata per realizzare quello che avevo in mente: un salotto secondo la formula degli storici caffè di Torino legati alla mia infanzia». Nata all’ombra della Mole Antonelliana, Patrizia si trasferisce a Como per amore. Con il marito Antonio Sironi, industriale nel settore della plastica, condivide una grande passione per la cucina. Maestre, la mamma di origine veneta e la suocera emiliana. «Entrambe mi hanno iniziata ai segreti della pasta fatta in casa», ricorda. Forse grazie anche a queste muse ispiratrici, la coppia decide di entrare nel mondo della ristorazione. Nel 1983 inaugura Il Grillo, un concentrato di sapori e fragranze, menù a base di ingredienti di stagione. Spinta dalla voglia di misurarsi da sola, Patrizia si inventa poi Crème, sigillo di emozioni per gli occhi, oltre che per il palato. Conquistata dal posto, l’amica Marilisa Sella crea un negozio di bijoux in una stanza attigua alla pasticceria, progettato da Lopes Brenna Architetti Como. Più che mai invitante il nome: Caramelle. «Mi ha ispirato il titolo di un libro di poesie scritto anni fa da mio marito Gigi», racconta mostrando collane e bracciali colorati come bonbon. La creatività della designer sboccia nella gioielleria di famiglia, ancora oggi esistente a Lecco con laboratorio artigianale orafo. «I nostri punti vendita - sottolinea con orgoglio - sono stati pensati non solo per valorizzare un importante patrimonio architettonico, ma anche per svolgere una funzione sociale e turistica che si è persa. La gente trova un ambiente accogliente, che per certi aspetti ricorda il borgo medievale. Sono convinta che mai come in questo momento ci sia la necessità di tornare al concetto di “negozio di quartiere”, di piccole dimensioni, con una grande attenzione alla persona». Nell’ atelier si viene per conversare, conoscere le ultime tendenze del fashion, restituire all’antico splendore gioie ereditate o dimenticate in qualche cassetto. Entrando, colpisce una cesta colma di sacchetti, contenenti di tutto: dalla collana di perle sfilata al bracciale con il fermaglio rotto, alle pietre
SFIDA FEMMINILE
Gli interni di due dei negozi realizzati al borgo di Montorfano il bar pasticceria di Patrizia Sibona e il negozio di gioielli di Marilisa Sella.
acquistate chissà in quale mercatino esotico. «Molte persone non sanno cosa fare di questi oggetti - dice Marilisa- La parte più suggestiva del mio lavoro è trasformarli in accessori particolari e personalizzati, interpretando i desideri della cliente».
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Lasciate queste meraviglie, si incontra la scuola Corsi&Ricorsi, regno di Paola Roncoroni. Lezioni serali insegnano a plasmare la ceramica, sferruzzare, ricamare a mano. Sia alle amanti di ago e filo, sia a giovani praticanti. Nessun tono didattico però, solo il piacere di liberare la fantasia sotto una guida esperta. Poco piÚ in là , la lavanderia del paese. Tra pile di capi da stirare, abiti e cappotti allineati come soldati e pacchi pronti per la consegna, appare Marinella Petrorolo.
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PUNTI DI ATTRAZIONE
L’atelier di Paola Roncoroni, il negozio di abbigliamento di Cinzia Moresi, la lavanderia di Marinella Petrorolo, la cartolibreria di Adela Salvadè e il salone da parrucchiera di Grazia Molteni.
«La gente viene qui con la certezza di non essere un numero. Saper ascoltare o dare un consiglio, per me è doveroso». Filosofia mutuata da Grazia Molteni, parrucchiera di Montorfano da oltre trent’anni. Lo si vede dal suo salone di bellezza che mostra un’anima old style. Sulla corte si affaccia anche la sede di Blousemore, azienda specializzata nel tessile di qualità. Tra i fondatori Cinzia Moresi, che oltre all’attività di agente di commercio ha intrapreso una coraggiosa avventura nel settore dell’abbigliamento da lavoro. «Produciamo camici tecnologici per laboratori chimici, unici rispetto alla normale offerta. Tratto distintivo, l’ armonico mix di tradizione, tecnologia e moda». «Quello che mi piace del nostro gruppo - continua Cinzia - è che siamo sempre pronte in ogni momento ad aiutarci l’una con l’altra». Il circuito è chiuso (o aperto, dipende da dove si inizia) dalla cartolibreria di Adele Salvadé. Semplice ma con un’infinità di articoli, come gli empori di una volta. Il reparto riviste e giornali è fornitissimo. Un’intera scaffalatura riservata alla scuola e ai giochi. Nelle bacheche di legno e cristallo souvenir e idee regalo. Continuo il via vai di volti conosciuti, salutati per nome. È questo il segreto di un angolo di Brianza rinato grazie a una inedita forma di fratellanza? «Ognuna di noi ha il proprio carattere, ma abbiamo imparato ad andare d’accordo - recitano le protagoniste - Siamo piene di energia e stiamo pensando a una serie di eventi per riaccendere l’interesse attorno a questo microcosmo ricco di storia, che rivaluta la cultura artigianale». Il primo, curato da Elisabetta Bonfanti, ha attirato migliaia di curiosi da ogni parte della Lombardia.
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QUANDO PARLANO
LE MANI di Veronica Fallini, foto Carlo Pozzoni LA STORIA E LE SFIDE DELLA COMASCA GIANNA FRATTA, LA PRIMA DONNA A DIRIGERE LA BERLINER SYMPHONIKER E L’ORCHESTRA DELL’OPERA DI ROMA. «ESSERE DIRETTORI D’ORCHESTRA E DONNA PUÒ ANCORA ESSERE UN PROBLEMA, MA FORTUNATAMENTE I PREGIUDIZI STANNO CADENDO. IL SEGRETO DEL SUCCESSO È STUDIARE STUDIARE E ANCORA STUDIARE»
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ilenzio in sala, inizia la musica. Sul podio parlano solo le mani e gli occhi. Tra Gianna Fratta e l’orchestra inizia una danza di sguardi che crea emozioni irripetibili. Ma la direzione d’orchestra richiede mille altre competenze che, fuse in una sola persona, devono esprimere il massimo potenziale in un breve arco di tempo. Servono disciplina e doti organizzative, spirito di collaborazione e duttilità, un orecchio cristallino e una sensibilità interpretativa che sa andare dritta al cuore Gianna Fratta a non ancora 40 anni ha un impegno internazionale dietro l’altro e ha inanellato soddisfazioni come essere la prima donna a dirigere la prestigiosa Berliner Symphoniker o l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Il suo curriculum è una sfilata di podi internazionali, allineati in rigoroso equilibrio con alta professionalità e totale dedizione al lavoro. Non esita a dire di aver donato la vita alla musica Gianna Fratta, ma subito aggiunge «La musica mi ha restituito tutto moltiplicato infinite volte. Senza di lei non potrei vivere perché mi rende felice». La incontriamo nella splendida sala liberty dell’Hotel Terminus di Como, dove come in un prestigioso teatro, è perfettamente a suo agio. Per la sua personalità solare e determinata non c’è niente di più sbagliato della definizione di donna in carriera, un’etichetta che, visto il suo caso non certo comune, le è stata spesso attribuita. «La carriera - spiega - viene subito collegata al lavoro e alla competizione. Ma per me dirigere non è un lavoro, è semplicemente la cosa
che amo di più fare in assoluto e visto che lo faccio a livelli in cui il grado di preparazione degli artisti sfiora la perfezione, cerco di farlo nel migliore modo possibile». Le idee chiare Gianna le ha avute fin da quando a otto ha incontrato la musica. Un vero colpo di fulmine. In quel periodo frequentava la scuola elementare Cesare Battisti di Erba. Finita la scuola aspettava che la mamma Rosa De Matteis, maestra nella stessa scuola, finisse la sua lezione per salire in macchina insieme e dare inizio al loro pomeriggio. «Credo che la seconda professione di mia madre in quegli anni - scherza Gianna - sia stata l’autista. Il mio pomeriggio era scandito da una precisa tabella di marcia per arrivare in orario a tutti i corsi che frequentavo». Gianna, a differenza di sua sorella Ida più piccola di due anni (ndr oggi anche lei nel mondo della musica), non si fermava un momento. «Ero una bambina iperattiva - racconta - a sei anni sfogavo tutta la mia vivacità nel gioco e nelle amicizie, ma ancora di notte non dormivo. I miei genitori hanno pensato che l’unica soluzione fosse stancarmi nutrendo con tante attività le mie inesauribili energie. Ho frequentato tutti i corsi disponibili per una bambina della mia età, assaggiando un po’tutte le discipline e sperimentando diverse forme espressive che ancora oggi mi serve sul lavoro». L’imput decisivo è venuto dal padre Attilio Fratta, che con una laurea in pedagogia e insegnate per tanti anni a Erba e a Como, ci teneva che le ragazze avessero un’educazione aperta e piena di stimoli. E così Gianna frequenta tutto: sci, danza, nuoto, equitazione, inglese e finalmente si siede a un pianoforte. «Appena ho messo le mani sulla tastiera - ricorda - ho capito che nella vita volevo fare quello. E il bello è che mi riusciva bene.
SUL PALCO
Gianna Fratta sul palco dirige l’orchestra durante un concerto.
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La mia prima fortuna riguardo alla musica, è stata che tutto mi riusciva con estrema facilità, già dalla prima esecuzione. Bastava che l’insegnante mi facesse ascoltare un brano e io lo eseguivo uguale sul pianoforte». Una dote innata, certo, ma che è stata poi sostenuta e temprata da una ferrea disciplina, basata su anni di studio e lavoro per limare fino all’ultima vibrazione sonora. Gianna ha iniziato a studiare al Conservatorio di Como, e dopo il trasferimento della famiglia al Sud si è laureata nei conservatori di Foggia e Bari con il massimo dei voti. Le sue competenze musicali spaziano dal pianoforte, alla composizione, fino alla direzione d’orchestra, tutte discipline in cui si è laureata con il massimo dei voti e la lode. Prima dei 25 anni si è perfezionata con i maestri Franco Scala ad Imola e Sergio Perticaroli a Roma e ha conseguito il prestigioso diploma di merito all’Accademia Chigiana di Siena, a seguito del corso in direzione con il maestro Yuri Ahronovitch. Nel mondo accademico è stata la più giovane docente a vincere un concorso di titolarità per i conservatori italiani in elementi di composizione, materia che tutt’oggi insegna al conservatorio Umberto Giordano di Foggia. Da lì le si sono aperte le porta del mondo. Germania, Spagna, India, Israele, Cina, Russia, Corea Stati Uniti. C’è da farsi girare la testa. La sua l’ha tenuta sempre sulle spalle, anche quando, con determinazione ha deciso di dedicarsi alla direzione d’orchestra. Tra le prime donne in Italia e ancora tra le poche nel mondo. «Essere direttori d’orchestra e donna può ancora essere un problema - ammette - quando dicevi che volevi dedicarti alla direzione venivi accolta con una certa diffidenza. Fortunatamente adesso non è più così raro, ci sono altre brave colleghe».
«Il fatto di essere giovane e di avere una bella presenza aggiungeva un’ombra di sospetto a questa mia aspirazione» E il fatto di essere giovane e avere una bella presenza aggiungeva una ulteriore ombra di sospetto a questa aspirazione. Quando si entra nel merito della questione, però, anche i luoghi comuni lasciano posto alla prova dei fatti. «La mia strategia è stata chiedere a chi si dimostrava scettico di fornire degli argomenti logici sulla questione. Se domandavo che cosa impedisse ad una donna di essere un buon direttore d’orchestra, piuttosto che un bravo ingegnere, di fatto non ottenevo una risposta convincente e le resistenze cedevano. O per lo meno mi si dava un chance. Il direttore d’orchestra deve unire doti umane e di carattere alle competenze derivanti dalle sue attitudine musicali. Essere uomini o donna è del tutto relativo. La capacità va dimostrata sul campo». E quando lavora a contatto con gli artisti, Gianna mette in pratica i valori assorbiti dalla consuetudine con Yuri Ahronovitch, il musicista che considera un po’ il suo maestro. «Lui mi ha trasmesso quell’idea di direttore autorevole piuttosto che autoritario che mi piace riproporre nel mio lavoro. Le sue doti umane e comunicative sono state un po’ la mia bussola negli anni della formazione. Il segreto - dice - è farsi conoscere attraverso il proprio modo di lavorare. Io non sono un direttore impositivo, non uso molte
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parole, perché la musica passa attraverso il gesto e il cuore. Se c’è un problema preferisco eseguire un secondo ascolto. A quel punto è la musica che parla e tutti capiscono al volo che strada bisogna prendere, senza bisogno che io dia alcun ordine». E in un panorama internazionale in cui le offerte musicali raggiungono livelli altissimi, è solo l’originalità del progetto e l’aderenza all’idea che fanno la differenza. «Studiare studiare e ancora studiare. È solo approfondendo la storia della musica che un direttore può individuare l’opera perfetta per quel teatro, lo stile interpretativo più aderente a quel personaggio e via dicendo, di esempi se ne possono fare tanti». Le esperienze professionali nate in questo modo sono, quasi per magia, le più proficue dal punto di vista artistico, e sull’onda di partecipazione che si crea fra artisti, il pubblico reagisce di conseguenza entrando a sua volta in empatia. «È accaduto così per l’esperienza di direzione che ho avuto con l’Orchestra Sinfonica di Macao, conosciuta attraverso la master classe a cui ho partecipato come docente ospite e avendo modo di conoscere i miei colleghi prima di tutto attraverso il contatto umano». Altrettanto stimolante è stato riportare alla luce alcune opere del repertorio italiano fino ad ora sconosciute. «Ho inciso l’unico dvd esistente di un’opera di Umberto Giordano che era rimasta chiusa in un cassetto per anni e che si intitola “Il re”. Personalmente non credo nei capolavori mai riconosciuti che d’improvviso rivelano tutta la loro bellezza. In generale, sono convinta che la grande opera d’arte prima o poi si manifesti,
anche per vie alternative. Tuttavia esistono dei casi particolari, come quest’opera, che effettivamente è molto bella e metterla in scena ha arricchito con qualcosa di importante e pregevole il nostro repertorio musicale». Ora il pensiero di Gianna è già proiettato nel presente e nell’immediato futuro. Da vivere e da suonare ci sono i concerti di “Occidente estremo” un progetto scaturito dalla lettura del libro del giornalista Federico Rampini che si è subito innamorato dell’idea. «In questa tournée suono come pianista all’interno di un trio musicale. Federico Rampini che è stato entusiasta del progetto si è unito a noi e stiamo girando i più grandi teatri italiani. Lo spettacolo unisce i suoi racconti di viaggio e nostri interventi musicali. Per suggerire il tema del viaggio suoniamo musica europea, americana e cinese. È come se la musica sottolineasse la vastità delle culture che il giornalista racconta. Il pubblico avverte questa simbiosi fra le arti e l’emozione è palpabile» E per essere sicuri di proporre un viaggio completo intorno al mondo lo spettacolo è scandito dal suono grave e maestoso di un tamburo cinese.
L’ASPIRAZIONE
Ora il pensiero di Gianna Fratta è proiettato al futuro, i concerti di “Occidente estremo” un progetto nato da un’opera di Federico Rampini.
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UN AMORE DI SETA di Sara Della Torre, foto Carlo Pozzoni LA CASA MUSEO DI ALBERTO TAGLIABUE DOVE NEGLI ANNI HA COLLEZIONATO TESORI LEGATI AL MONDO TESSILE. DAI TESSUTI COPTI PROVENIENTI DALL’EGITTO DEL VI SECOLO DOPO CRISTO AGLI ABITI DEL SETTECENTO, DAI PARAMENTI SACERDOTALI DEL 1500 AL RIVESTIMENTO DI UN LETTO A BALDACCHINO IN CUI SONO RAFFIGURATE LE ILLUSTRAZIONI DELLA PRIMA EDIZIONE DELLA GERUSALEMME LIBERATA. mag
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«I
comaschi, parlando della propria città, utilizzano spesso il termine ‘regina della seta’ e non pensano che la parola ‘regina’ rimanda ad un regno e a un territorio, esprimendo, così un limite. La parola ha una valenza molto più ampia, connessa anche a valori, culturali, commerciali e politici relativi a diversi paesi sparsi in tutto il mondo». Alberto Tagliabue non ama parlare di sé. Preferisce che sia il suo amore per la seta, a cui ha dedicato la vita, ad avere la parola. Nella sua casa di Como, ovunque si appoggi lo sguardo, ogni oggetto invita a riflettere sulla straordinaria capacità della materia di trasformarsi in opera d’arte, immutabile al trascorrere del tempo. La passione per il collezionismo tessile serico è nata, molti anni fa, insieme al consolidarsi del suo lavoro. Titolare per 27 anni della “TGL”, tintoria di via dei Pannilani, è andato cercando, per mezzo secolo, quadri, documenti, libri, abiti, paramenti ecclesiastici, che, oggi, rappresentano un patrimonio privato, capace di raccontare interi secoli di vita della seta. «Avere una collezione è come avere una figlia. Bisogna ali52
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mentarla ogni giorno - spiega Tagliabue -. Si sviluppa un amore forte e incontrastato. Come capita ad ogni buon padre, è necessario, ad un certo punto, pensare di darle un marito». L’amore filiale si materializza nei tessuti copti provenienti dall’Egitto del VI secolo dopo Cristo agli abiti del Settecento, dalle pianete utilizzate dai sacerdoti dal 1500 al 1900 al rivestimento di un letto a baldacchino in cui sono raffigurate le illustrazioni della prima edizione della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Alle pareti, un’ampia rassegna di quadreria tessile realizzata ad “agopittura”, quadri in cui le raffigurazioni sono state eseguite fin dal 1400 da esperti ricamatori. I reperti disposti con cura amorevole, trovano posto dietro vetrine e dentro quadri per difenderli da polvere, sole e umidità. Un numero imprecisato di testimonianze, che hanno come comune denominatore il filo di seta. È la concentrazione di tanta bellezza, frutto di percorsi molteplici, che stimola ad approfondire l’arte di filare, tingere e tessere, esempio di eleganza, strumento di comunicazione della storia su tela, indiscussa promotrice dello sviluppo di
COLLEZIONE
Un vero museo nella casa di Alberto Tagliabue con tessuti copti provenienti dall’Egitto del VI secolo, abiti del Settecento e illustrazioni della prima edizione della Gerusalemme Liberata.
Testimonianze storiche reperti unici da tutto il mondo con un comune denominatore: il prezioso filo di seta
un mercato. Il cammino di evoluzione e di specializzazione della seta, diventata un settore di importanza per l’economia del nostro territorio, appare nella sua concretezza con quella trasparente semplicità capace di annullare la sensazione di pesantezza del tempo che passa. È sufficiente dare uno sguardo ai ricami, alle agopitture, ai collages che compongono la “quadreria tessile” per rendersi conto dell’immenso valore di competenze, a cui, ancora oggi, si fa riferimento. Le policromie e i disegni, lavorati con abilità e tramandate dal passato, offrono spunti per stimoli
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A Como agli inizi del Novecento tessiture, tintorie e stamperie riuscirono a superare, in qualità e fama, la produzione francese nuovi rivolti alle giovani generazioni e ad un comparto che, nonostante le difficoltà, rimane il distretto serico più importante e produttivo nazionale. «Volendo parlare della storia della seta - racconta Tagliabue si deve distinguere una storia mondiale, che incomincia con il ritrovamento di un bozzolo fossilizzato, la cui età risale a quattromila anni fa. La storia italiana, invece, ha inizio in Sicilia nel periodo della dominazione araba-normanna e, oggi, raggiunge l’età di circa mille anni. Infine, c’è una storia comasca che comincia nella seconda metà dell’Ottocento e conta, ormai, circa centocinquanta anni. Sebbene iniziata prima e in conseguenza dell’abbandono della lavorazione della lana, la produzione lariana rimase, per secoli, limitata nella quantità e nella qualità». Il titolo di “regina della seta” sarà conquistato, quando, agli inizi del Novecento, tessiture, tintorie e stamperie comasche si industrializzano e riescono a superare in qualità e fama quella francese. «Guerre mondiali, crisi economiche, nuove fibre e fenomeni connessi alla moda - aggiunge Tagliabue - non hanno mai
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LA PROPOSTA
«Credo che a Como manchi ancora uno spazio museale adeguato a raccontare la storia della seta per conservare, custodire e tramandare il nostro passato».
messo in discussione questo titolo, pur mettendo le aziende a dura prova. Basterebbe questa considerazione per riflettere sull’attuale momento, studiare il passato, prendendo insegnamento e forza per superarlo. La seta è il ‘pane’ di Como. Quasi tutte le famiglie comasche annoverano un operaio, un imprenditore, un commerciante serico. È stata la causa determinante dello sviluppo sociale ed economico dei suoi cittadini e del suo stesso sviluppo». È la passione e la riconoscenza, ma anche la constatazione di aver raccolto nel tempo un patrimonio di conoscenze e di oggetti utili a ricostruire un percorso, che spinge l’imprenditore serico a lanciare una proposta alla città. 56
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«Credo che Como manchi ancora di uno spazio museale adeguato a raccontare la storia della seta. Per conservare, custodire e tramandare nel tempo il percorso che ci ha sostenuto. Penso ad un luogo ampio, ben organizzato, secondo un progetto espositivo e qualitativo studiato. Nel 1904, anno della nascita della scuola di Setificio di Como, - conclude - il Governo finanziò con 96.000 lire un progetto per la costruzione di un museo della Seta. Sono passati 109 anni e, così, non c’è ancora. Credo che sia giunto il momento di metterlo in cantiere». E sull’idea il collezionista lariano, attenta memoria storica, avrebbe molto da raccontare e da proporre.
di Maurizio Casarola DA COMO AL CAUCASO PER SCOPRIRE I LUOGHI E LE TRADIZIONI DELLO SPORT PIÙ ANTICO
ALLE ORIGINI DELLA
LOTTA mag
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utto cominciò nel mese di febbraio, quando una difesa della passione che ci accomuna. scellerata proposta del Cio sconquassò i delicaIl mezzo usato? Una datata ma ancora efficente Audi A3 che ti equilibri politici fra gli sport rappresentati alle oggi conta quasi 300 mila chilometri percorsi nel corso di olimpiadi. La lotta, negli stili della greco-romana, tredici anni d’onorato servizio, onde dimostrare che anche da libera e femminile, non doveva far più parte del programma vecchi si può “ lottare ” per difendere qualsiasi principio. Con olimpico a cominciare dall’edizione del 2020. Una pensal’auto addobbata d’ogni sorta di distintivi e gagliardetti della ta folle ed irresponsabile che ha creato imbarazzi in tutto il federazione italiana e mondiale e dai cartelli del Comune di modo sportivo. Da quel momento ogni federazione nazioComo, recanti la scritta Save Olympic Wrestling divenuta in nale di lotta ha escogitato degli questo periodo la parola d’ordine stratagemmi per evitare che un di tutti i lottatori del mondo, siapotente gruppo di rappresentanti mo partiti da Via Cesare Cantù Oltre diecimila chilometri del Cio, si mettesse a realizzare alle 19.49 nella calda serata di quel proposito. A quel punto la sabato 29 giugno. Passati pochi su una vecchia Audi A3 federazione italiana ha accolto la minuti dopo la mezzanotte eraper continuare la battaglia proposta mia e di Wladymyr Pevamo già nei pressi di Trieste, che truk di compiere un viaggio nei abbiamo visto dalle colline del in difesa di una passione paesi dove lo sport della lotta è Carso, molto vicino alla dogana amato come il calcio dalle nostre con la Slovenia. Il percorso nella parti, facendo gli ambasciatori dell’indignazione e dello sconprima, delle undici nazioni da noi visitate, è stato assai breve; tento. giusto il tempo d’arrivare a Fiume ( Rjeka per i dalmati ) ed Da quel freddo e infausto giorno di febbraio, quando a Loeravamo in Croazia, paese che il giorno appresso è entrato sanna venne formulata la proposta volta ad escludere dalle a far parte della Comunità Europea. La prima tappa è staolimpiadi lo sport che più di qualsiasi altro incarna i valori di ta Belgrado. La bella capitale della Serbia conserva un fasciOlimpia, noi abbiamo dedicato gran parte del nostro tempo no immmutevole. Affacciata sulle anse del Danubio e della e delle nostre forze per organizzare un viaggio avventuroso in Sava offre al visitatore uno dei più bei panorami del nostro 60
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continente. Il miglior punto d’osservazione è dalle mura del Kalemegdan, il possente castello cittadino che protegge la più importante città dei Balcani. Ripreso il viaggio e giunti a Pristina, è stato sorprendente vedere come la popolazione del Kosovo di etnia albanese senta la necessità di proclamare al mondo l’autonomia e la voglia di indipendenza del proprio paese. Il successivo trasferimento ci ha portati ancora più a sud, a Skopje in Macedonia, dove durante la prima settimana di luglio si sono tenuti i Campionati Europei Juniores di lotta olimpica. L’accoglienza nella capitale macedone è stata ottima e durante i tre giorni trascorsi a seguire le gare nella Boris Traijkowski Arena, abbiamo fatto a tempo a far visita alla città. Skopje sta cambiando faccia in modo radicale, forse un po’ troppo. Anche se di pregio, alcuni palazzi d’architettura moderna nell’antico centro storico ottamano, rischiano di stonare. Concluse le gare di greco-romana, siamo risaliti sulla fida Audi blu in direzione della Bulgaria, per attraversarla da ovest ad est fino a giungere ad Edirne, appena al di là del confine con la Turchia. Durante l’attraversamento dello
stato balcanico non abbiamo mancato la visita all’incantevole monastero ortodosso di Rila, un gioiello incastonato magicamente fra i monti, mentre ad Edirne si respira già aria d’oriente. Le chiese sono sempre più rade e vengono sostituite dalle moschee, dai minareti i muezzin cantano cinque volte al giorno le litanie religiose della religione musulmana, i cibi e le bevande hanno aromi e sapori diversi da quelli europei. Nella città che consacrò alla storia la grandezza di Solimano e dell’architetto Sinan, noi abbiamo assistito alla gara sportiva che da più tempo si ripete nel corso della storia. Quest’anno la città di Edirne ha ospitato la 652esima edizione del Torneo Yagly Guresh Kirkpinar. Senza mai essere stato interrotto un solo anno, dal lontano 1361 nella città della Tracia viene proclamato il “Beshpelhivan”; il campione dei campioni. La cintura d’oro massiccio, data in palio al vincitore che esce da due giorni di battaglie combattute sull’erba dello Stadio Saraj, è andata per il terzo anno consecutivo al gigantesco campione Ali Gurbuz di Antalya. Fra i ventimila spettatori pronti ad abbracciare e complimentarsi con il vincitore,
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c’erano anche due reporter italiani: io e Wladymyr. Dal 2010 Stalin, abbiamo assistito alla inaugurazione di una caratteriil torneo di lotta turca viene riconosciuto dall’Unesco come stica arena per la lotta georgiana. La gara susseguente alla fepatrimonio mondiale immateriale dell’umanità. Esaurita la sta per l’inaugurazione è stata una ovvia conseguenza e come “sbornia” di lotta ( al Kirkpinar erano ben 1400 in totale i era presumibile aspettarsi, lo spettacolo non è mancato. Atlottatori impegnati nel torneo), siamo entrati in Asia attraleti provenienti da ogni angolo di Georgia si sono affrontati versando il famoso ponte sul Bosforo che unisce Istambul esibendo tecniche di raro pregio. Subito ci siamo resi conto, con la parte asiatica di Uskudar. quanto questo tipo di lotta tradizionale si avvicini allo judo, Una sola sosta nell’incantevole città ottomana di Safranboperciò non siamo rimasti sorpresi nel vedere un gran numero lu, nel nord dell’altipiano anatodi tecnici dell’arte marziale del lico, ci ha permesso di riposarci Sol Levante interessarsi alle evoun poco, onde affrontare i 900 luzioni degli atleti di chidaoba. «Tra gli eredi degli Ottomani Km. di litoranea sul Mar Nero La Georgia è un bel paese con c’è stata un’ottima accoglienza, per arrivare ai confini con lo stainfinite attrattive. Era logico afto della Georgia. L’ingresso nello frontare un viaggio di diverse ore in Georgia grande ospitalità stato caucasico è stato nella bella per difficoltose strade di montae moderna città di Batumi, cagna per arrivare in quello che dae ovunque sempre disponibilità» poluogo della regione autonoma gli stessi georgiani viene definito dell’Adjara, meta ambita del turicome il luogo più affascinante e smo russo e ucraino. Se fra gli eredi degli ottomani la nostra miserioso. Lo Svaneti è una regione nel nord del paese posta presenza è stata confortata da ottima accoglienza, in Georgia nel versante sud delle montagne del Caucaso, ai confini con abbiamo potuto constatare che queste genti hanno innato il le republiche autonome russe della Circassia e del Daghestan. senso dell’ospitalità. In qualunque luogo c’era sempre qualIl paese di Mestia a 2500 metri d’altezza solcato dalle acque che persona ad attenderci e ad aiutarci. del fiume Enguri, è caratterizzato dalla presenza di case fatte A Samtavisi, un piccolo paesino nelle vicinanze della martoa forma di torri fortificate. Si dice che Giasone con i suoi riata regione dell’Ossezia del Sud e di Gori, città natale di Argonati giunse fin li per trovare il mitico “vello d’oro”. 62
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FABIO BAVASCHI: IDEE IN MOVIMENTO
UN AMORE NATO COSÌ La storia misteriosa di due amori proibiti scuote il piccolo borgo di Carate, sul lago di Como, agli inizi degli anni ‘50. La vita segreta della bella Clarissa e il mistero del Toni che scompare ogni venerdì notte. Le orazioni delle zitelle pettegole e la Gina del Pesàt, figlia del peccato. Le indagini del maresciallo Anselmi e i sermoni del vecchio prevosto. La lögia che aspetta gli uomini nella sua casa di Careno e la strìa che predice vita e morte. Intrighi, passioni e relazioni inconfessabili. Sono amori finiti e sogni di un amore.
Copertina: Fotografia, Enzo Pifferi - Grafica, Silvano Perego - Attrice, Laura Negretti
SECONDA EDIZIONE Dello stesso autore: “Qui non succede niente” (romanzo - 2006 - Dominioni Editore - 6 edizioni) La trilogia sulla storia di Elisa Vanelli “L’amore imperdonabile” (romanzo - 2009 - Book Editore - 4 edizioni) “Io ti aspetto qui” (romanzo - 2010 - Book Editore - 3 edizioni) “Portami al lago” (romanzo - 2011 - Dominioni Editore - 3 edizioni)
ALESSANDRO DOMINIONI EDITORE
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LE AUTORITÀ
Il presidente della Repubblica di Macedonia ai campionati europei juniores di lotta greco-romnana a Skopje. Sotto: Il corteo di presentazione del torneo di lotta turca a Edirne.
La spiegazione delle case-torri e della presenza degli Argonauti, è ben presto svelata. Lo Svaneti è stato fin dal X secolo la meta più importante dei cercatori d’oro. Le case fortificate presero forma attorno al secolo XI, per preservare dai predoni delle montagne le splendide petite di metallo prezioso che venivano setacciate con dura fatica nel fiume, usando i mantelli delle pecore. Abbandonare quel luogo così magnifico è stato difficile, ma l’abbiamo fatto per visitare una città. Tblisi è sicuramente la più bella capitale di tutta la regione caucasica. Il fiume Mtkvari divide in due parti la città, la quale grazie ad un intelligente progetto architettonico volto a modernizzarla preservando però in modo ottimale l’antico, sta assumendo sempre più le sembianze di metropoli a misura d’uomo. Non mancano testimonianze storiche, giardini, chiese antiche e moderne, boulevard con eleganti negozi e bella gioventù. Sopratutto non mancano i più forti lottatori del mondo. Guardando la classifica del medagliere olimpico, si scopre che i lottatori georgiani sono quelli che forniscono gran parte
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del bottino aureo alla propria nazione. Come una costante, l’accoglienza riservataci dalle alte sfere della federazione lotta georgiana è stata genuina e calorosa. Dico alte sfere, perchè da quelle parti chi ha ottenuto importanti risultati sportivi nella lotta, immancabilmente avrà un futuro anche in campo politico. Da Tblisi siamo partiti per la parte finale del viaggio d’andata ( i 4.300 km della strada di ritorno li abbiamo completati in soli tre giorni). Il confine fra gli stati della Georgia e dell’Armenia è stato passato a Bagratashem. La Gola del Dedeb con stupendi eremi, il grande lago Sevan sull’altipiano e la strada che conduce al Nagorno Karabach fanno parte d’un intrigante caleidoscopio d’immagini difficili da scordare. Stepanakert, la capitale di quel remoto mondo nato da una guerra di vent’anni fa fra Armenia ed Azerbijan e chiamato Republica Montuosa del Nagorno Karabach, è stato il luogo più lontano visitato nel viaggio. Anche li, c’è stato qualcuno pronto a spronarci per continuare la battaglia a difesa della nostra grande passione: la lotta.
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di Gianpiero Riva, foto Enrico Selva COSÌ LO ZIO STEFANO E IL NIPOTE LUCA, TREDICENNE, REALIZZANO BICICLETTE CON MATERIALE DI SCARTO. «LA SODDISFAZIONE MAGGIORE È RIUSCIRE A REALIZZARE DELLE BICI AFFIDANDOSI ESCLUSIVAMENTE AL RICICLO» 66
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DUE RUOTE E FANTASIA
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PROTOTIPI
Uno dei modelli più originali e fantasiosi realizzati da Stefano Grava.
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nventare, fare e disfare l’han«Le biciclette nascono dal riciclo: dai più svariati pezzi di scarto. no sempre appassionato fin Da circa un anno Stefano, con la pomelli di un vecchio cassetto. da bambino. Una permapuntuale collaborazione del ninenza di due mesi a Cuba, pote tredicenne, dedica il proprio sostegni di banchi di scuola dove tutti hanno la bicicletta e si tempo libero a realizzare le più inventano meccanici, per Stefano fantasiose biciclette. In un piccoe sedie a dondolo da giardino» Grava, 36enne di Sant’Agata, ha lo scantinato sotto casa progetta, rappresentato la classica scintilla. taglia, salda e assembla: da decine Una volta rientrato in Alto Lario, ha costruito la sua prima di pezzi metallici di varia provenienza nasce il telaio; il titobicicletta: una saltafoss, l’antenata della mountain bike. lare di una ditta che trita rifiuti lo avvisa quando individua Una creazione che è stata subito un programma: per bloccare nella parte posteriore la sella, per esempio, ha usato i pomelli di un vecchio cassetto. Nella filosofia di questo fantasioso e abile artista del riciclo, insomma, tutto può tornare utile. «Di recente la scuola elementare di Piantedo ha sostituito i banchi - racconta - e allora sono andato a recuperare quelli vecchi pronti per la discarica: tanti tubi che per me sono manna. In questo pezzo - aggiunge Grava mostrando un vecchio sostegno di dondolo da giardino - ci vedo già il telaio di una bicicletta». I nipoti lo seguono incuriositi e uno in particolare, Luca, ha cercato di rendersi utile fin dall’inizio: è nata così la premiata ditta Grava & Grava, capace di realizzare cicli partendo 68
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tra i rottami qualche vecchia bici e così vengono recuperati pedali, ruote, selle e manopole e, dopo una bella verniciata e lucidata, ecco pronto un fiammante ciclo. «Nella costruzione, anche se può sembrare strano, si parte dalla ruota posteriore e si attaccano i pezzi del telaio venendo avanti - racconta Grava - senza apparecchiature e macchinari specifici occorre ingegnarsi e avere occhio: per realizzare il telaio, per esempio, ho addestrato due miei nipoti al controllo della perfetta linearità mentre io saldo i pezzi. Come in tutte le cose, è fondamentale anche l’esperienza. All’inizio mi accorgevo con il lavoro successivo degli errori fatti in precedenza: mi sono affinato così, facendo tesoro degli sbagli commessi». Nella piccola officina Grava diventa preponderante la com-
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ponente umana e ogni bicicletta, a differenza di quelle costruite in ditta, è diversa dall’altra e, in ultima analisi, unica. “Custom” e “cruiser” sono biciclette di forma fantasiosa, da passeggio, che gli appassionati richiedono spesso personalizzate e su misura: Luca va a spulciare in internet e individua i modelli più curiosi a cui ispirarsi. Stefano li studia, li corregge e li adatta alla propria personalità, concludendo le proprie creazioni con un tocco di fantasia che è come una firma. La soddisfazione maggiore, tuttavia, è riuscire a realizzare delle bici affidandosi esclusivamente, come si diceva, al riciclo. Tranne che in un caso: «Un carissimo amico mi ha chiesto di creargli una “custom” unica e insuperabile e allora sto ordinando, uno dopo l’altro, tutti i pezzi nuovi. Sarà sicuramente
bellissima, ma devo ammettere che è più appassionante partire da zero raccogliendo qua e là pezzi di scarto. La gente butta tante di quelle vecchie biciclette che, con un opportuno restauro, potrebbero diventare pezzi d’antiquariato: mi piacere aprire un’attività in tal senso, ma le tasse e la burocrazia me lo vietano. Così mi limito a costruire biciclette per i tanti per miei nipoti, per pura semplice Passione». È quasi un peccato, perché Stefano Grava è davvero un artista: Sant’Agata è un piccolo nucleo isolato ai confini di tre province, ma è bastato creare un profilo facebook per attirare subito l’attenzione degli addetti ai lavori. «Sono stato contattato anche da alcuni costruttori su larga scala e con altri appassionati c’è sempre uno scambio di consigli. Mesi addietro avevo costruito un ciclo a quattro ruote
davvero fantastico ed erano giunti apprezzamenti da ogni parte, ma poi, anche se a malincuore, ho deciso di disfarlo perché in giardino era troppo ingombrante. Con gli stessi pezzi sto realizzando un mezzo a tre ruote». Fantasia e abilità non mancano davvero e nello scantinato di Sant’Agata trasformato in officina è custodito anche un piccolo sogno nel cassetto, tutt’altro che irrealizzabile: «Ogni anno, ad Amsterdam, si svolge un raduno internazionale di custom, con tanto di ricco premio per il primo mezzo classificato - dice Grava - : lo scorso anno, guarda caso, vinse un italiano con una bicicletta davvero superlativa. Sarebbe davvero bello, magari l’anno prossimo, potervi partecipare». Cuba, Amsterdam: da una parte all’altra del mondo per coltivare un sogno fatto di passione pura.
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Una memoria PER IL FUTURO I 350 ANNI DELLA BIBLIOTECA DI COMO. QUANDO IL SINDACO LINO GELPI APRÌ LA SEDE IN VIA VOLTA, NELLA CASA CHE FU DI PAPA INNOCENZO XI E ALESSANDRO BORTONE ERA LO STORICO BIBLIOTECARIO. IL PATRIMONIO LIBRARIO DEI PADRI GESUITI, L’INTERESSAMENTO DI ALESSANDRO VOLTA E UN LUOGO CHE OGGI DIVENTA PUNTO DI AGGREGAZIONE.
di Alberto Longatti, foto Carlo Pozzoni
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e cinquant’anni fa il visitatore attento, entrando in punta di piedi nella severa Sala Benzi della vecchia Biblioteca comunale presso il palazzo del Liceo Classico, avesse guardato con attenzione ai tavoli attorno ai quali sedevano i lettori del momento, fra di loro si sarebbe accorto di una presenza particolare. Accanto a persone di diverse età intente a compulsare volumi ed a prendere appunti, il nostro visitatore avrebbe certamente visto un signore anziano, magro e un po’curvo, che non leggeva ma sfogliava libri, uno dopo l’altro, con assorto compiacimento. Li apriva, girava le pagine lentamente, accarezzandole, e si soffermava soprattutto sui frontespizi, esaminandoli riga per riga. Un bibliofilo? Un ricercatore accanito? No, quel signore era l’ultimo discendente della più antica casa editrice comasca, la Carlantonio Ostinelli, fondata oltre cent’anni prima e passata poi ad altra gestione. Lui, tranquillo pen-
sionato senza figli, con l’avita ditta non aveva ormai più nulla a che fare, ma gli era rimasta la voglia di cercare tutti i libri pubblicati nel corso degli anni. Così, per spirito di famiglia, amore della carta stampata, specie se porta il tuo nome. Un’impresa non di poco conto, se si considera che i libri targati Ostinelli erano centinaia. La paziente ricerca del signor Ostinelli pronipote s’integrava perfettamente con l’atmosfera un po’ soporifera della sala Benzi stracarica di libri, segnata dal tempo, con i suoi grandi tavoli d’epoca ai quali i visitatori del momento si assidevano, composti, silenziosi, talvolta un poco intimiditi. Come se fossero non in un luogo pubblico, aperto a tutti, ma nel salone di una dimora nobiliare, ricevuti da una sussiegosa padrona di casa con un dito posato sulla bocca a indicare che lì non era possibile alzare la voce, qualunque rumore infastidiva gli altri, intenti a leggere con la stessa riservatezza
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di monaci in ritiro. E questo accadeva ancora cinquant’anni la storia di un’istituzione culturale cittadina che si apprestava fa, quando però tutto stava per cambiare radicalmente, da a compiere tre secoli di attività. quando il sindaco Lino Gelpi, deciso a realizzare una raTrecento anni, un nobile accumulo di eventi, di acquisizioni, dicale operazione di rinnovamento, aveva dato incarico al un interminabile viavai di funzionari, di addetti, di fruitori direttore della Biblioteca di allora, Alessandro Bortone, di dei servizi di un patrimonio di idee in costante espansione. allestire una sede nuova in un antico palazzo di via Volta, Chi meglio di Venosto Lucati, vicebibliotecario emerito, un la casa avita dell’Odescalchi che divenne Papa Innocenzo galantuomo di vasta cultura dal passato di valoroso e geneXI, da trasformare, riadattare, ampliare con un progetto da roso combattente, profondo conoscitore di storia comasca scegliere mediante un concorso a livello nazionale. e conservatore del Tempio Voltiano, poteva adempiere al L’avvocato Gelpi pensava in grande e Bortone, che aveva compito di rievocare tutto quel carico di eventi che trovava all’attivo una carriera universitanuova linfa vitale nell’accogliente ria, studi all’estero e un’esperiensede nuova di zecca della Biblioza editoriale di tutto rispetto, lo teca? E l’ottimo Lucati, con la La biblioteca, luogo privilegiato assecondò in pieno. Il concorso sua forbita penna di ricercatore fu vinto nel 1962 da un trio e pubblicista, stese un resoconper sfuggire ai programmi Tv di architetti napoletani, Mario to succinto, ma nutrito, in un alle troppe chiacchiere inutili Ragozino, Rosalba La Creta e aureo libretto che in copertina, Camillo Gubitosi, tre giovani invece dell’immagine di libri o e riaccendere anche la fantasia ai quali non parve vero di aver di scaffali, inquadra una delicata ottenuto un premio così prestiminiatura cinese settecentesca. gioso e per giunta anche l’incarico di eseguire i lavori. Non Qui si sente la mano di Bortone, bibliofilo raffinato e soci volle molto tempo per erigere l’edificio annesso all’antibrio impaginatore, che mirava a secondare le richieste degli co palazzo, che venne sostanzialmente rispettato: ed anche intenditori piuttosto che a soddisfare il gusto popolare con il trasporto dei libri, l’installazione delle apparecchiature e una presentazione dozzinale. Quella graziosa miniatura non l’arredamento dei locali ben più spaziosi e luminosi di quelli doveva apparire inadeguata all’occasione perché faceva parte della vecchia sede vennero eseguiti a tambur battente. Arrivò delle collezioni conservate in Biblioteca, come del resto le il giorno dell’addio alla sala Benzi, non senza una cerimonia stampe, le incisioni, i fogli manoscritti delle cinquecentidi riconsegna al Liceo Volta che l’aveva in carico. Ma non ne, gli esempi di calligrafie desuete, manifesti e locandibastavano cerimonie, occorreva qualcosa di più per onorare ne, oppure le testate dei giornali ottocenteschi disposte in
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bell’ordine nelle pagine del libretto in bianconero o decorato con colori tenui: guai a calcare troppo per non involgarire l’eleganza dell’insieme. Il testo vergato da Lucati s’inseriva agilmente in questa impostazione grafica precisando con accurate citazioni documentali origini e caratteristiche della Biblioteca, dalla lontana raccolta romana finanziata da Plinio il Giovane, di ignota ubicazione, fino al primo intervento fondativo dei Nobili Giureconsulti quando uno di loro, Francesco Benzi, nel 1663 legò la propria eredità al Collegio detto “dei Dot76
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LA BIBLIOTECA DI COMO OLTRE 400.000 VOLUMI La biblioteca comprende attualmente circa 400.000 volumi ed opuscoli a stampa, di cui 57.000 volumi antichi, anteriori al 1830. Tra questi: 236 incunaboli, 4090 cinquecentine, 3400 seicentine. Di grande interesse sono le seguenti raccolte: - 8000 testi teatrali - 3700 periodici - 4000 spartiti - 800 opere sulla seta, gelsicoltura e bachicoltura La biblioteca possiede altri materiali interessanti, tra cui 1000 opere grafiche di artisti comaschi del Novecento, 250 incisioni relative alla seta, 200 incisioni di vedute e paesaggi di Como e del lago dalle origini al Novecento, 450 carte geografiche e mappe. FONDI SPECIALI La biblioteca ospita un cospicuo fondo miscellaneo generale composto da lettere, manoscritti, codici, autografi, pergamene, carteggi che sono descritti dettagliatamente in un opuscolo sull’argomento. Tra questi, più di 1.000 manoscritti, descritti per autore e soggetto in un catalogo speciale: Catalogo dei manoscritti di Francesco Fossati del 1888
tori” perché fosse istituita una biblioteca “d’uso pubblico”. Poi accaddero molte altre cose, la biblioteca si arricchì con il patrimonio librario dei padri Gesuiti, grazie anche all’appassionato interessamento di Alessandro Volta, quando era reggente delle scuole comasche e all’intervento di nobili cittadini. Sono questi ultimi ad animare particolarmente il resoconto di Lucati, perché di loro merita innanzitutto parlare per lodarne «i nobili sentimenti di civismo» e «la liberalità illuminata», segno di una tradizione «che non ebbe mai a smentirsi nel corso dei secoli successivi». Così lo scrupoloso memorialista, con una punta di ottimismo: ma quando scriveva era vicino il giorno del trasloco della nuova sede. E se ai tempi dei Giureconsulti la Biblioteca era aperta solo per poche ore a giorni alterni, grazie alla benevolenza di un solo custode, oggi la realtà è ben diversa. Grazie all’incremento dei volumi, all’inizio lento poi sempre più veloce (nei primi anni dell’ottocento erano meno di ventimila, nel 1962 si sono già decuplicati), ma anche alla moltiplicazione dei servizi e all’accelerazione delle apparecchiature informatiche. Oggi, a 350 anni dalla fondazione, la Biblioteca adempie, con un personale efficiente anche se in numero limitato rispetto alle necessità, a diverse funzioni parallele: la conservazione e la catalogazione del materiale collocato nella torre libraria e in vari locali destinati ad archivio, la distribuzione di tale materiale al pubblico dietro specifica richiesta, la valorizzazione storico/critica da effettuarsi per le collezioni e le raccolte di particolare valore con studi adeguati, riordino, classificazione. Tutte operazioni complesse, tenendo in considerazione che il cosiddetto “materiale” non è costituito solo da libri, ma anche da giornali, carteggi, raccolte di opere grafiche, fotografie, e persino film. Ne usufruiscono persone diversamente interessate: oltre che i lettori genericamente intesi, gli studiosi che hanno bisogno di assistenza per le loro ricerche agli studenti universitari che si preparano agli esami e gli adolescenti per i quali è stato allestito
FONDI ARCHIVISTICI Consistenza totale: circa 1500 faldoni.
un reparto speciale e che periodicamente vengono invitati a partecipare a corsi di apprendimento sui beni culturali e paesaggistici. Certo, anche a questi ultimi, perché la cultura non ha confini e deve essere divulgata con vari mezzi, anche con lezioni, conferenze, convegni e mostre. A ciascuno degli utenti è riservato un luogo particolarmente attrezzato. Basta entrare nel palazzo di via Indipendenza dal piccolo giardino intitolato al ricordo di Lucati per rendersene conto: persone che leggono giornali, altre che consultano libri, o fanno scorrere le schede sul computer, ognuno per conto proprio, senza disturbare gli altri. Le antiche aule severe non ci sono più, sostituite da un percorso interno in cui non manca anche lo spazio per socializzare, scambiarsi confidenze e idee. La Biblioteca di oggi deve essere soprattutto un centro di aggregazione, d’incontro. Dove domina la presenza umana. È come se le parole e le immagini fossero uscite dai libri stampati o dagli schermi degli strumenti elettronici, circolassero liberamente fra la gente per offrirsi, fonte di conoscenza e di svago. O anche di appagamento personale, oggetti di culto, perché no. Qualche signor Ostinelli, un po’ curvo e tremulo, circola ancora talvolta fra gli scaffali “aperti” disponibili al prestito immediato, mescolandosi ai giovani frettolosi, per frugare con calma fra i libri esposti e avere in mano un ricordo, una figura del passato, uno stimolo a ritrovare se stesso in altri momenti della vita. La Biblioteca è, anche per loro, un invito a non lasciarsi anestetizzare dai fatui programmi televisivi e dalle chiacchiere inconsistenti, ma a riflettere, ad approfondire argomenti, magari a riaccendere la fantasia.
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l racconto appassionato di Augusto Panini sui re d’Africa incontrati, più che a una galleria di ritratti, assomiglia a una Wunderkammer coloratissima e ricca di sorprese. L’imprenditore comasco e collezionista di perle di vetro è un assiduo frequentatore e appassionato studioso della cultura delle regioni occidentali del continente nero. Il suo mal d’Africa è iniziato nel 1979 quando partì alla volta del Benin con suo fratello che invece giurò che non vi avrebbe mai più messo piede. L’Africa non suscita mai indifferenza; o la si ama o la si odia, e quando scatta il colpo di fulmine non si riesce a starne lontani. I sovrani presenti sono depositari di saperi e tradizioni antiche in luoghi che riportano indietro nel tempo e ribaltano abitudini e certezze tutte europee. «Alla fine di aprile - dice Augusto Panini - mi sono recato a Kumasi in Ghana su invito di Otumfuo Osei Tutu II, re degli Ashanti, in occasione del suo decimo anniversario di ascesa al trono. Lo avevo conosciuto nel corso di una serie di incontri con i sovrani che ancora regnano nei Paesi africani che, pur essendo consolidate democrazie, hanno riconosciuto il potere locale di questi eredi di antiche 78
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di Stefania Briccola IL RACCONTO APPASSIONATO DI AUGUSTO PANINI CHE HA INCONTRATO I RE D’AFRICA «SONO DEPOSITARI DI SAPERI E TRADIZIONI ANTICHE IN LUOGHI CHE RIPORTANO INDIETRO NEL TEMPO E RIBALTANO ABITUDINI E CERTEZZE TUTTE EUROPEE» chefferie che governavano prima dell’arrivo degli europei». Il giorno dell’udienza con Otumfuo Osei Tutu II a Kumasi erano presenti i notabili della regione e i rappresentanti diplomatici dei reami vicini. Dopo l’introduzione di rito con musiche e l’intervento dei vari griots (cantastorie) che
HO VISTO UN RE
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«Quando seppi che Behanzin sarebbe diventato re, gli regalai quello che lui voleva la targa della mia auto, che lui ancora conserva»
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tessevano le lodi del sovrano invocando benedizioni è iniziata la sfilata degli ospiti che dovevano comparire al cospetto del re. Ognuno di loro avrebbe dovuto attendere che le spade degli scudieri si alzassero in segno della benevolenza del sovrano nei confronti del visitatore. Anticamente i suoi antenati in caso di disapprovazione tagliavano la testa agli sfortunati ospiti di turno. Gli Ashanti sono stati tra i popoli più sanguinari dell’Africa occidentale e in passato erano grandi cacciatori di schiavi. «Dopo sei ore di attesa sotto un sole cruento - racconta Augusto Panini - arrivo davanti a Otumfuo Osei Tutu II e lo guardo senza proferire parola in attesa dell’agreement. Ad un suo cenno si sono alzate le spade delle sue guardie del corpo, cosa per niente scontata, e ho potuto percorrere tre metri che mi separavano da lui per poi inchinarmi. Dopodiché, qui arriva il bello, ho dovuto retrocedere senza voltare le spalle e senza inciampare in scudieri e gradini. Il mio comportamento è stato così apprezzato dal re che mi ha invitato sul palco tra i notabili autorizzati a tenere un discorso pubblico, con tanto di microfono, rivolto al popolo riunito fuori dalle mura del palazzo di Kumasi. Ho parlato di Sua Maestà con il titolo che gli compete in lingua locale e ripetendo i suoi impronunciabili, lunghissimi e diversi nomi». Spesso gli europei in Africa sottovalutano l’importanza di piccoli gesti che lasciano presupporre che si conosca il proprio interlocutore. È un modo di immergersi con attenzione in una cultura diversa rispettandone usi e costumi. «Sono arrivato in Africa - racconta Augusto Panini trent’anni fa vestito con giacca e cravatta. Dopo due ore ero impresentabile e così ho iniziato ad immedesimarmi con la loro realtà; dagli abiti al cibo fino alla scelta dell’alloggio. Sono passato rapidamente dagli alberghi di cinque stelle con aria condizionata ad alloggi decorosi, ma spartani, nei
quali dormo con un materassino e un pacco di foulard per stiano” a differenza dei sanguinari antenati le cui gesta sono cuscino. Ho iniziato a mangiare pasti, rigorosamente locali impresse nei bassorilievi della reggia con tanto di supplizi e sorprendentemente gustosi. Quando ho trascorso venti inflitti ai nemici. giorni con il popolo nomade dei Peul già mi prefiguravo «Lo conobbi negli anni Ottanta - racconta Panini - in Bescenari apocalittici tra mosche e zanzare invece non ho visto nin ad un incontro sulla festa dei Revenant quando ancora un insetto. Mentre una volta arrivato a Bamako, a casa di faceva il chirurgo all’ospedale di Cotonou. Behanzin discenun amico, dove c’era l’aria condide dall’ultimo re del Dahomey zionata sono stato divorato dalle deposto dai francesi nel 1892 e «Davanti al re dei Kourumba zanzare». proprio nel corso della ricorrenMolti sono i re incontrati dal za in cui gli spiriti dei defunti nella regione del Burkina Faso collezionista in trent’anni di ritornano sulla terra per denunmi sono dovuto esibire nomadismo culturale nel conticiare ai vivi i soprusi subiti evocò nente nero talora in compagnia il suo antenato che lo indicava con una canzone di Jannacci» di giornalisti e documentaristi come successore al trono di Aboche lo vogliono come guida. La mey. Dopo varie peripezie, tra visita al sovrano del Dahomey cui il carcere e una sollevazione teneva fede a una promessa fatta oltre venticinque anni fa. popolare, riuscì a regnare tornando nell’antico palazzo reale. Behanzin III è un medico, laureato in Francia, esperto di Quando seppi che sarebbe diventato re gli feci un regalo farmacopea tradizionale, ha uno sguardo acuto e camaleesaudendo la richiesta di una targa dell’auto che ancora reontici occhi “da furetto”, vive nel palazzo di Abomey con siste e reca un errore di trascrizione “Sa Majestè le Roi du un numero imprecisato di mogli e si dichiara un “buon criDanxomè” invece di “Danhomè”».
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Nel corso di un favoloso soggiorno alla reggia di Abomey l’ospite d’onore comasco ha avuto la fortuna di conoscere l’amazzone ultracentenaria della guardia reale del nonno dell’attuale sovrano che venne tolta dall’ospizio e rimessa a nuovo per l’occasione. Altri ancora sono i ricordi vivi nella memoria del “malato d’Africa”. L’incontro con il re dei Kourumba in Burkina Faso nel palazzo di Aribinda ha sortito un’esibizione canora di Augusto Panini, accompagnato da amici, sulle note di Jannacci in omaggio a sua maestà che concedeva un’udienza speciale ai viaggiatori stranieri. Dopo lunghe attese e difficoltà la canzone “Ho visto un re” intonata con abilità è stata camuffata da inno che ha commosso il sovrano che in lacrime ha ricambiato il dono con una capra viva e un cabalesse ricolmo di arachidi affumicate. «Uno dei riti che ricorrono in Africa - ricorda Panini - è l’anticamera dovuta prima degli incontri con le loro maestà che però è un segno di deferenza nei confronti dell’ospite. Cronache arabe del XIV secolo parlano di attese di mesi». Vari e molteplici sono i sovrani incontrati dal collezionista comasco. Il re dei Peul è un pastore nomade, “forse meno regale di altri per certi aspetti, ma più carismatico” poiché è il grande traghettatore della transumanza delle mandrie al di là del fiume Niger e l’onesto sensale degli accordi tra allevatori e coltivatori in luoghi dove la siccità miete vittime. Il Lamido di Rey-Bouba in Camerun è laureato alla Sorbonne e regna su un territorio grande due volte il Belgio. Di grande impatto è la reggia in cui vive con duecento
PASSIONE D’AFRICA
Immagini tratte dal prezioso album dei ricordi di Augusto Panini nei suoi molteplici viaggi nel Continente nero.
concubine e cinquecento schiavi. Il palazzo di otto ettari è cinto da mura di fango alte otto metri. «Siamo arrivati a Rey-Bouba- ricorda Panini- per la festa del Tabaski, quaranta giorni dopo la fine del Ramadan. Dopo essere stati ospitati per una settimana in un’ala del palazzo abbiamo potuto incontrare il Lamido. Quando ho chiesto delle concubine mi ha risposto che aveva una sola moglie anche se ogni anno i villaggi del reame inviavano in dono le ragazze più belle e virtuose e sarebbe stato scortese rifiutare. Oltre alla sala delle udienze non ci fu permesso di visitare il palazzo perché “quella era casa sua”». Spiccano altri incontri meno nobili come il re dei Kangaba, ormai ridotto a una caricatura di se stesso, che viene avvisato con il cellulare e si veste in costume per l’occasione chiedendo ai turisti un’offerta per la foto. «Occhiali da sole e foulard- racconta Panini - sono sempre doni graditissimi in Africa. Spesso mi giungono lettere e telefonate curiose direttamente dalla viva voce della maestà di turno che mi chiede pezzi di ricambio di auto o di condizionatori di fabbricazione russa o europea ormai introvabili sul mercato da recapitare nelle ambasciate. Riesco quasi sempre ad esaudirli con non poche peripezie».
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he ci fa una gondola veneziana nel Museo della Barca Lariana di Pianello del Lario? Quando nei primi anni ’60 lo storico milanese Gianalberto Zanoletti si prese la briga di girare per le darsene e le ville del lago di Como alla ricerca di barche storiche del Lario per mettere nel suo museo, una vecchia filanda a Pianello, scoprì che in effetti quella gondola era sì veneziana, ma non costruita a Venezia. Nel 1860, infatti, i proprietari della Villa del Balbianello fecero venire le maestranze dell’Arsenale della Serenissima, appositamente per costruire una gondola veneziana doc. Operazione perfettamente riuscita dal punto di vista estetico, per fedeltà alla tradizione lagunare. Ma che ebbe soprattutto un effetto straordinario sull’avvio di un processo che lo stesso Zanoletti paragona all’evoluzione “darwiniana” delle barche lariane, sino a raggiungere la perfezione della “specie”, che ha permesso ai costruttori nautici del lago di Como di primeggiare nel mondo, sia delle corse, sia del diporto. Terminata la costruzione della gondola e tornate a casa le maestranze veneziane, ci si accorse che un conto era navigare sulle acque piatte della laguna e un conto era navigare sul nostro lago, che quando si arrabbia non scherza. Così i nostri costruttori di barche diedero fondo alla loro sagace inventiva, realizzando una gondola lariana, adattan84
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dola alle esigenze del lago per navigare in sicurezza: senza felza, la garitta anticamente ricoperta di felci per ripararsi dal sole, non asimmetriche, più stabile e a quattro rematori, conservavano il tradizionale ferro di prua. Il legame con Venezia, comunque, è sempre stato vivo e proficuo. Tant’è che proprio nel 1790 a Carate Lario (oggi Carate Urio) venne fondato il Cantiere Taroni con il termine veneziano di “squero navale”, che riportava sul suo manifesto pubblicitario: “…per costruire ogni genere di barche avendo imparato l’arte presso l’Arsenale di Venezia, sotto la direzione del Conservatore dei Pubblici Modelli, Angelo Albanese”. Il cantiere dei Fratelli Taroni si afferma ben presto, costruendo barche a vela per la nobiltà e la ricca borghesia milanese. La prima testimonianza scritta di una regata velica organizzata e svolta in Italia risale al 1850, una regata di “... canotti veleggianti avvenne sul Lario il 20 Agosto 1850”. Sulla scia dei Taroni, sorgono altri cantieri nautici. Tra questi, la dinastia dei Riva di Sarnico, con la nascita a Laglio di Pietro Riva, il 12 marzo 1822. Pietro, nel giugno del 1842 parte con il battello per Como, da qui in diligenza fino a Monza, in treno da Monza a Milano, di nuovo in diligenza fino a Bergamo e da lì a Sarnico sul lago d’Iseo, dando inizio all’attività che renderà famosa la discendenza dei Riva. Qualche anno dopo, Pietro ritorna a Laglio per
BARCHE DA MUSEO di Gianfranco Casnati IL PATRIMONIO DI ZANOLETTI CONSERVATO A PIANELLO DEL LARIO. DALLA GONDOLA VENEZIANA ALLE INGLESINE DEL LAGO DI COMO. LA NASCITA DEL “TRE PUNTI”, COPIATA DI NOTTE IN UN CANTIERE SOTTO GLI SPALTI DELLO STADIO SINIGAGLIA E IL CATAMARANO CHE VINSE IL MONDIALE DI FORMULA UNO. imparare bene il mestiere dallo zio Gaetano, poi riparte definitivamente per Sarnico. A Laglio rimane il cantiere nautico di Ernesto Riva, ora portato avanti dal figlio Daniele, diventato famoso per la costruzione dei dinghy classici in legno. Ma intanto l’inventiva dei costruttori lariani “esplode” nell’800, con la realizzazione delle “inglesine” su misura per il lago di Como. La presenza nel museo di una barca a remi originale, che navigava sul Tamigi e una barca a remi più solida costruita sul lago di Como, ne sono la conferma. Per soddisfare il desiderio dei turisti inglesi di farsi portare a passeggio sul lago in barca, infatti, i grandi alberghi non avevano esitato a fare arrivare quelle imbarcazioni. Ma anche in questo caso, essendo predisposte per navigare sulle tranquille acque del Tamigi, non si rivelarono adatte alle onde del nostro lago. Così i cantieri corsero subito ai ripari, copiando la linea degli scafi originali, ma costruendo le barche più alte e robuste, non con uno, ma con due o più vogatori. Il progresso avanza. A fine ‘80 - primi ‘900, tra Carate Lario e Cernobbio nasce la motonautica. Nasce dal mix esplosivo tra il cav. Ferdinando Taroni e il nobile Alessandro Volpi, proprietario della Villa del Pizzo di Cernobbio. Il cantiere Taroni costruisce i “vaporini” e il nobile Volpi i motori, per i quali poi vanterà di essere fornitore ufficiale della Regia Marina. E’ così che il 28 settembre 1902 si corre la prima gara motonautica in Italia. Sul percorso Carate - Cernobbio - Carate, gareggiano dieci “canotti automobili” e vince Giuseppe Dozzio con una barca Taroni sospinta da un motore
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MUSEO DELLA BARCA LARIANA
A Pianello del Lario sono conservate preziose testimonianze della storia della nautica e della motonautica lariana.
Volpi di 20 cavalli. I “vaporini” Taroni, comunque , vanno a ruba. Tant’è che il “Lario”, custodito nel museo di Pianello, viene messo in mostra addirittura all’Esposizione Universale di Parigi del 1905. La Grande Guerra vede il cantiere Taroni impegnato nelle costruzione dei Mas per la Marina, resi famosi dalla Beffa di Buccari. L’unico Mas rimasto di quell’epoca, purtroppo difficilmente recuperabile, giace in fondo al lago a Gravedona, affondato il 17 aprile 1918, quando uscì in prova da Carate, condotto dallo stesso cav. Ferdinando Taroni. L’imbarcazione si spinge fino in alto lago per completare il collaudo, ma all’altezza di Gravedona il motore scoppia ed inizia ad imbarcare acqua, colando a picco in pochi minuti e trascinando a fondo con sé il capo macchinista, il giovane Giovanni Godi. I naufraghi sopravvissuti vengono soccorsi dal battello battipalo della Lariana. L’anno prima, nel 1917, quando la famosa e tragica epidemia della “Spagnola” si portò via la moglie Linda Bassani Silvestri, il nobile Volpi partiva con un Mas, arruolandosi nel Corpo Volontari Motonauti. La straordinaria raccolta di motori messa assieme nel museo da Zanoletti certifica l’evoluzione dei propulsori marini dopo la Grande Guerra. E anche qui c’è la firma dell’inventiva comasca. E’ dal 1925 l’applicazione del compressore anche ai motori marini per scopi sportivi. Superata l’era pionieristica del nobile Volpi, nei primi anni ’30 due dipen86
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denti della Ditta Silvani(distributrice dei motori americani Gray Marine), Alfredo Botta di Lenno e il milanese Carlo Puricelli marinarizzano segretamente i motori Fiat. Il primo di questi è un motore entrobordo di piccole dimensioni, chiamato Lario, adatto a motoscafi di piccolo cabotaggio. Il “Lario” era un bicilindrico da 500 cmc. con inversione di marcia , con avviamento a mano e poi elettrico, che erogava una potenza di 7/8 cavalli. Scoperti dall’ingegnere Eugenio Silvani, i due dipendenti sono licenziati in tronco. Ma è la loro fortuna, perché nasce la Botta-Puricelli- Milano, l’ancora attuale BPM. Alla Fiera Campionaria di Milano dell’aprile 1932 Botta e Puricelli espongono il “Mod.42” un quattro cilindri di 1500 cmc con una potenza di 42 cavalli. Nel settembre dello stesso anno il Mod.42 spinge il cruiser di Attilio Belgir, unico italiano in gara, a battere tutti gli stranieri al IV Concorso Internazionale Motonautico di Venezia. La seconda guerra mondiale mette ancora in risalto la versatilità dei nostri cantieri. Quando le sorti del conflitto volgono al peggio, a Menaggio i Cantieri Cranchi (oggi Cramar a Cadenabbia), costruiscono per la X Mas i così detti “barchini esplosivi”, in termini convenzionali “MTM” (motoscafo turismo modificato), carichi di esplosivo a prua, condotti da due incursori, che lanciano la barca contro la nave nemica, gettandosi in mare cento metri prima dell’impatto. L’esemplare conservato nel museo, dopo la guerra, è stato
trasformato in motoscafo da turismo. Continuando la nostra visita la storia dell’evoluzione cantieristica viene focalizzata dai fuoribordo da corsa del dopoguerra, utilizzati da Carlo Leto di Priolo. Ma più ancora dal “tre punti” Laura I, un motoscafo entrobordo costruito da Guido Abbate e motorizzato BPM, del pluricampione del mondo comasco Mario Verga. Tre punti significa uno scafo che poggia su due scarponcini, che formano un tunnel attraverso il quale l’aria che scorre durante la corsa solleva la barca in modo da limitare l’attrito con l’acqua all’estremità dei due scarponcini e al piede del motore, aumentando di conseguenza la velocità. La nascita del “tre punti” sul lago di Como è grazie alla “trovata” di una mano ignota, che ha carpito il segreto ad un pilota americano capitato dalle nostre parti nel 1949. Robert Boogie era un pilota quarantenne di Los Angeles, tranquillo, educato e leggermente strabico, che aveva combattuto sul fronte italiano ed era stato ferito. Con Boogie, vennero a correre in Italia Richmond Luby e William Rust. Tutto iniziò nel 1948, quando l’ingegnere Achille Castoldi andò negli States a disputare la Gold Cup. In quell’occasione, a nome della FIM, invitò gli americani per l’anno dopo a disputare una serie di gare in Italia. Nel 1949, quindi, Boogie, Luby e Rust vennero a gareggiare in Italia. Si corsero tre gare consecutive: 17 e 18 settembre a Trieste; 24 e 25 settembre a Campione d’Italia; 1 e 2 ottobre a Lecco. In questo “trittico” italiano, solo Bob Boogie fu altezza della sua fama e della sua barca, ma solo nell’unica occasione in cui il suo motore marciò perfettamente. E proprio quella volta diede una lezione a tutti. A Lecco, infatti, Boogie aveva qualcosa in più. Solo con 200 cavalli da spremere, volò letteralmente sull’acqua, segnando la media di 96 km/h, con il giro più veloce a 99.780 km/h: una velocità eccezionale, per i tempi ed il circuito di 2000 metri ad andata e ritorno. Passato il primo momento di sbigottimento da parte dei “nostri”, la cosa apparentemente finì lì, con applausi, premi e complimenti al vincitore. A qualcuno, però, balenò l’idea di correre ai ripari, studiando da vicino quella barca super veloce. La sagace “copiatura” avvenne di soppiatto nottetempo, proprio a Como, nel famoso Cantiere Lariano, sotto i “distinti” dello Stadio Sinigaglia, dove il “Blitz III” di Bob Boogie fu ricoverato, in attesa di ripartire l’indomani. Mentre al Casinò di Campione d’Italia era in corso il gran galà con tutte le autorità, un’ombra furtiva si aggirava silenziosamente in zona Stadio Sinigaglia, diretto nel Cantiere Lariano. Chi fosse stato ad introdursi di soppiatto al buio, quella notte di inizio autunno, con pila, foglio e matita in mano per copiare la carena, non si è mai saputo con certezza. Di voci e smentite ce ne furono tante. Ma il “giallo” della copiatura continuò. Mario Verga, infatti, volle subìto che il Cantiere Lariano, sulla base dei disegni precisi, gli costruisse una barca come quella di Boogie per essere il primo in Italia a correre con quella nuova carena. Però non fu possibile, pare
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I NUMERI DEL MUSEO 200 barche a remi e gondole 100 motoscafi entrobordo da turismo 20 vaporini 50 a barche da pesca e da caccia 3 barche a remi da contrabbando, tra cui una “nav”, la cosiddetta “lucia”, 100 motoscafi fuoribordo 40 motoscafi entrobordo da corsa 80 barche a vela, tra cui la Star “Merope” medaglia d’oro alle Olimpiadi di Helsinki del 1952 con Straulino e Rode, restaurata dal Cantiere Lillia. Due barconi da trasporto, il cui nome esatto è “gondola lariana” Il battello “Balilla” varato ne 1879 6 imbarcazioni già della Finanza e della Marina 80 motori entrobordo Migliaia di oggetti attinenti tra reti, remi, timoni e vele 150 ore di registrazione e interviste di testimonianze a viva voce di personaggi del lago 10 mila diapositive 2000 libri di storia nautica 3000 fotografie 3200 pratiche in archivio, con più di 50 mila documenti alcuni dei quali originali del secolo XIX Migliaia di riviste nautiche
perché il cantiere non avesse risorse economiche sufficienti da investire nel materiale di costruzione. Quei disegni però non andarono troppo lontano, finendo in mano di quel Carlo Puricelli, che assieme al socio e amico Alfredo Botta stava andando a gonfie vele con la BPM, legata in quegli anni da stretti rapporti di amicizia e collaborazione a Guido Abbate, tramite lo stesso Botta di Lenno. Comunque siano andate le cose, sta di fatto che le misure esatte del “tre punti”, di provenienza “comasca” arrivarono al momento giusto nelle abili mani di Guido Abbate, dando inizio ad una lunga stagione di successi. La prova: Mario Verga, il 15 febbraio 1953, sulla base misurata di Campione d’Italia, stabilì con il Laura il record mondiale di velocità con un passaggio a 240 km/h. Altro gioiello conservato è il “Ribot I”, la barca da turismo, ma spiccatamente corsaiola, con la quale Guido Abbate vinse la Centomiglia del Lario nel 1956 e nel 1957. Monta un motore BPM curato nei minimi dettagli da Alfredo Botta. Ma oramai si avvicina il crepuscolo delle barche in legno. Negli anni ’60, infatti, arriva la plastica a risolvere tutti i problemi di manutenzione delle imbarcazioni, anche a scapito della “personalità” di ogni natante in legno. Ma la storia dei nostri cantieri continua. Tant’è che non c’è porto turistico del Mediterraneo e anche oltre oceano, dove qualche Abbate o Molinari o Cranchi o Comitti o Mostes, si distingue da tutti gli altri. Nella motonautica, anche l’anno scorso, a vincere il titolo mondiale della F1 è stato un catamarano “made in Como”. Evidentemente lo strapotere degli sceicchi del petrolio non è ancora riuscito a battere i nostri maestri d’ascia. E forse mai ci riuscirà.
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di Antonio Marino, foto Carlo Pozzoni
LE FORTIFICAZIONI DELLA “LINEA CADORNA” RISALENTI ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE RIPORTATE ALLA LUCE DAGLI ALPINI DEL GRUPPO DI MONTEOLIMPINO. SETTANTA CHILOMETRI DI TRINCEE, POSTAZIONI D’ARTIGLIERIA, STRADE MILITARI, GALLERIE, MAGAZZINI, COSTRUITE NEL 1916 DA VENTIMILA OPERAI.
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xxxxxxApiciet que nim ellatur mosam eos mod que quiam volore consedi ssitatqui derum que excearitata quaectum estem endam quatatibus, accum nos a
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na pagina della Grande Guerra che ripropone oggi, raccogliere fra sponsor e simpatizzanti l’intero finanziamento a quasi un secolo di distanza, non il rombo assordell’opera, che così alla collettività non è costata un soldo. dante del cannone o l’urlo delle truppe all’assalto, Ma perché mai si volle realizzare una linea di fortificazioni perché qui di battaglie non ce ne furono mai, ma posta a fronte di un Paese neutrale come la Svizzera? Perché il silenzio della faticosa salita nel bosco di donne e ragazzi, nell’estate del 1916, in vista della dichiarazione di guerra alla curvi sotto gerle riboccanti di pietre, ai quali, nell’assenza dei Germania e dopo la disinvolta violazione della neutralità belsoldati impegnati al fronte, era affidata dal Genio Militare la ga, ci si accorse che se i tedeschi avessero fatto la stessa cosa realizzazione delle opere di difesa. Sono quelle pietre, sepolte con la Svizzera sarebbero piombati sullo scoperto fianco sisotto la coltre del tempo, nascoste nell’intreccio delle radinistro dell’esercito italiano, impegnato quasi completamente ci degli alberi, che gli alpini del Gruppo di Monteolimpino a est, sul fronte dell’Isonzo, e avrebbero potuto rapidamente insieme a quelli di tanti altri Gruppi comaschi sono andati sfondare le nostre filiformi difese, irrompendo facilmente cercando e hanno riportato alla luce per ricostruire nell’arco su Milano e l’intera pianura padana. Una prospettiva che, di più di due anni - dal gennaio 2011 al maggio 2013 - due comprensibilmente, mise i brividi al Capo di Stato Maggiore postazioni per cannoni della batteria d’artiglieria che era uno generale Cadorna, al quale si deve la decisione di procedere dei punti di forza della “linea Cadorna” nel territorio comacon la massima rapidità - con lavori che durarono un anno e sco. Le due fortificazioni e i locali annessi sono stati liberati da impiegarono più di 20.000 operai - alla costruzione del sisteun fitto strato di terra e alberi, ricostruiti utilizzando gli stessi ma denominato “Occupazione Avanzata Frontiera Nord”, ma elementi o recuperando le strutture ancora intatte, valorizzati noto successivamente con il nome del generale che se ne fece con la riqualificazione ambientapromotore. La Linea Cadorna, le della zona e la sistemazione dei estesa dal Monte Bianco al Pizzo A Monte Olimpino erano pronti del Diavolo nelle Alpi Orobiche, sentieri e sono oggi offerti alla curiosità delle scolaresche e all’indacomprendeva una settantina di dei potenti cannoni in grado gine degli appassionati della stochilometri di trincee, ma anche ria del territorio. Non sono dei postazioni d’artiglieria, strade di distruggere il ponte di Melide chiacchieroni, gli alpini, e così è militari, gallerie, magazzini. Non in caso di avanzata tedesca bastata una sobria inaugurazione, una linea di difesa continua, dunquasi una festa fra amici, a coroque, ma un dispositivo basato sonare un lavoro che non dev’essere prattutto su una serie di “punti stato comunque né agevole né leggero, visto che ha richiesto forti” in grado di fare fronte a un’avanzata nemica. Uno di la fatica volontaria di 67 sabati per complessive 2.600 ore questi era appunto costituito dalla batteria di Cardina, che era lavorative. Ma - mi spiegano - la fatica maggiore è stata forinserita in un sistema del quale facevano parte altre strutture se un’altra, portata a termine con pari impegno: quella di recentemente recuperate dai volontari dell’Associazione Na-
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L’IMPEGNO
Il gruppop degli alpini di Monte Olimpino che ha recuperato le trincee della Linea Cadorna.
zionale Alpini, come il Fortino del Monte Sasso a Cavallasca (complesso di trincee, camminamenti, postazioni per armi pesanti e ricoveri in caverna), le opere difensive sulla vetta del Bisbino e la struttura fortificata a Crocetta di Menaggio. In particolare, nei boschi sopra Monteolimpino, in posizione distanziata le une dalle altre per intuibili motivi, erano collocate quattro postazioni per i potenti cannoni da 149 che avevano il compito - insieme a quelli dello stesso calibro collocati a San Fermo - di battere la conca di Mendrisio e la Val Breggia, ma soprattutto, in caso di avanzata tedesca nel Ticino, di distruggere il ponte di Melide, passaggio obbligato per l’attraversamento del lago di Lugano. Ci sarebbero riusciti? Impossibile dirlo, perché quei giganti da 8 tonnellate d’acciaio, che potevano sparare proiettili pesanti fino a 45 chili, in realtà a Cardina non spararono mai. Anzi, dopo solo un anno di servizio, insieme ai serventi e alle 92
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altre truppe schierate sulla Linea Cadorna, vennero rimossi e inviati in tutta fretta verso Caporetto, dove l’offensiva nemica non era più soltanto una invitante opportunità strategica ma, almeno per gli italiani, una realtà fatta di sbigottimento, di terrore e di angoscia. A Cardina restarono dunque le pietre delle fortificazioni: semicerchi con la parte convessa orientata verso il confine svizzero, al di sopra dei quali oggi cresce folta la vegetazione del bosco, ma che un tempo erano invece sovrastati da un pianoro accuratamente disboscato per lasciare libero il campo di tiro del cannone che spuntava minaccioso dal muro alto un paio di metri. L’arma e gli artiglieri, benché all’aperto, godevano dunque di un minimo di protezione (anche se non paragonabile a quella offerta alle artiglierie in caverna). Per riporre le munizioni di pronto impiego esistevano apposite nicchie nella muratura, che sono state identificate, liberate dai detriti e in qualche caso ricostruite. Quando si parla di ricostruzione mi viene fatto osservare non bisogna cadere nell’equivoco. Quella eseguita dagli alpini è stata un’opera di accurato restauro, portata a termine utilizzando soltanto il materiale (le pietre) ritrovato sul posto nel
MOSTRA CON VISITA Una buona occasione per visitare la mostra fotografica allestita nelle sale dell’Associazione Cardina e dedicata alle opere di recupero delle due piazzole della batteria d’artiglieria sarà offerta il 6 ottobre dalla “festa d’autunno” organizzata dall’associazione stessa. Oltre a quella della mostra sarà possibile effettuare una visita guidata alle fortificazioni, facilmente raggiungibili a piedi dalla sede dell’associazione stessa. Prenotazioni possono essere richieste al presidente, Alberto Schenetti, al 3487820132.
LE FORTIFICAZIONI
I resti della Linea Cadorna, una struttura di trincee lunga settanta chilometri pronta per fermare l’avanzata tedesca attraverso la Svizzera. Una preziosa testimonianza storica recuperata dai volontari degli alpini.
corso degli scavi e senza inserire strutture nuove di completamento, come del resto documenta esaurientemente una interessante mostra fotografica allestita presso la sede dell’Associazione Cardina, che su questo progetto ha volonterosamente collaborato con gli alpini. Lo stesso criterio è stato utilizzato nel recupero dei due ambienti sotterranei, in posizione laterale rispetto alle piazzole, destinati a deposito munizioni e ricovero per il personale non di servizio. Si tratta di stretti cunicoli – oggi visitabili anche grazie a un impianto di illuminazione alimentato da generatori – che si sviluppano fino a un doppio angolo retto (contro il tiro d’infilata) al di là del quale si apre una bassa stanza scavata nella roccia. Un ambiente buio e claustrofobico, ma dotato di pavimentazione in pietra e di pozzetti di scolo per l’acqua, dove non doveva essere particolarmente piacevole trascorrere le ore seduti su una panchetta di pietra in attesa dello scatenarsi del fuoco di controbatteria del nemico. Un’eventualità che, comunque, restò un’ombra di terrore nell’animo dei soldati e non divenne mai un’esperienza reale. E tuttavia, visitare oggi questi ambienti significa cogliere quasi fisicamente stati d’animo, timori, speranze e soprattutto attese, interminabili attese cariche d’interrogativi e di presagi di quei giorni lontani. Un modo particolarmente efficace, soprattutto per i ragazzi delle scuole, di accostarsi a una realtà come la Grande Guerra che rischia altrimenti di restare burocraticamente confinata alla consistenza puramente cartacea dei libri di testo. Anche se a Cardina non s’incontra il tenente Drogo intento a scrutare i prati di Magadino come se fossero il desolato Deserto dei Tartari, qui le vicende di un passato che non ha più spazio nella memoria diretta dei viventi ritrovano un loro spessore concreto. E non sono soltanto e neanche soprattutto vicende belliche, visto che qui la guerra non c’è stata. Ci sono stati però i sacrifici della guerra, pagata come sempre soprattutto dai poveracci - in questo caso essenzialmente dalle donne e dai vecchi - che per sbarcare il lunario in attesa del problematico ritorno degli uomini dal fronte accolsero come una benedizione la possibilità di guadagnare poche sudatissime lire trasportando e accatastando pietre, sradicando alberi, aprendo strade. E ricordarlo oggi è una lezione di storia non meno significativa della ricostruzione di una battaglia che non ci fu. 94
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FINO AL CENTRO DELLA TERRA
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di Franco Tonghini
VIAGGIO ALL’INTERNO DELLA GROTTA PIÙ LUNGA D’ITALIA. 62 CHILOMETRI DI CUNICOLI TRA LA COLMA DI SORMANO, IL PIANO DEL TIVANO E ZELBIO. L’ESPERIENZA DI UN GRUPPO GUIDATO DA ROBERTO SALA, E CLAUDIO PROSERPIO, PRESIDENTE DEL CAI. «LA SPELEOLOGIA NON È PER TUTTI: NON SI VA DA NESSUNA PARTE SE PRIMA NON SI VINCE IL TERRORE DEL BUIO».
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a prima impressione è che manchi l’aria, a dispetto della brezza che ti investe proprio dal buco nero nel quale ti stai per calare. Strano? Mica tanto. È una reazione normale a un’azione che naturale non sembra affatto: quella di andare sottoterra, con tutto il corollario di significati e paure, palesi o meno che siano. Così la prima cosa da fare quando ci si appresta a entrare in una grotta, prima ancora di mettere in pratica le istruzioni impartite dalle guide, è di controllare le proprie emozioni. E bisogna imparare a gestire quel sottile senso di angoscia che sale dallo stomaco e prende la gola, seccandoti la saliva in bocca. La speleologia non è per tutti: non si va da nessuna parte se prima non si vince il terrore del buio. Là sotto, una volta spente le lampade al led o al carburo, ci
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E nelle meraviglie nascoste dentro le profondità della terra gli speleologi di Erba hanno portato anche i bambini si sente soli a galleggiare in uno spazio scuro e senza punti di riferimento, se non fosse per la forza di gravità che ti riporta a paure mai del tutto sconfitte. È più dura per gli adulti. I bambini invece ce la fanno benissimo e subito. Piagnucolosi la sera quando devono chiudere gli occhietti, pur al sicuro nel loro lettino, mostrano di non temere nulla se ci si deve infilare in un luogo sconosciuto. Pronti a tutto, il tempo di mettersi il caschetto e via in fila indiana, disciplinati come soldatini. A quell’età la voglia d’avventura prevale sempre. L’emozione, però, è la stessa, per grandi e piccini. Lo sa chi ha avuto la fortuna di avventurarsi all’interno della grotta più lunga d’Italia, 62 chilometri di cunicoli nella pancia del Triangolo Lariano. Un anno e mezzo dopo l’11 febbraio 2012, data che segna la scoperta appunto del complesso ipogeo della Valle del Nosè (quel giorno è stata trovata la congiunzione tra le grotte Tacchi-Zelbio-Bianchen, di 10,5 chilometri, e la Fornitori Stoppani, di 47,5 chilometri, negli ultimi mesi le esplorazioni sono andate avanti e si sono aggiunti altri quattro chilometri), gli speleologi dello Speleo Club Erba sono tornati sul luogo della loro rivelazione. Questa volta ci hanno portato i bambini e i loro genitori, per un avvicinamento alla cultura della montagna promosso dal Cai di Erba. È un viaggio al centro della terra quello che una domenica mattina di maggio hanno intrapreso un gruppo di famiglie guidate da Roberto Sala, responsabile dello Speleo Club, e da Claudio Proserpio, il presidente del Cai. In realtà pochi passi all’interno della grotta Zelbio, ma sufficienti per capire che cosa vuol dire camminare sotto terra su terreni scoscesi in silenzio e nella più completa oscurità, presenza minacciosa pochi metri oltre la portata delle lampade. È una disciplina poco nota, eppure spettacolare, la speleologia. Si può dire che, al contrario dell’alpinismo, sia
L’IMPRESA
Gli speleoloigi erbesi hanno scoperto la grotta più lunga d’Italia, 62 chilometri di cunicoli nella pancia del Triangolo Lariano.
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ancora agli inizi e che abbia conservato quell’aura eroica che fino alla prima metà del secolo scorso avvolgeva le scalate alle vette più difficili del pianeta. Con la differenza sostanziale che, nel caso dell’esplorazione delle viscere della terra, gli obiettivi non sono mai chiari in partenza. Ci si cala in una fessura e non si sa mai dove si arriverà. Gli speleologi erbesi dal 2003 aderiscono al progetto InGrigna! (la condivisione di forze e obiettivi con altri gruppi lombardi), che ha reso possibile appunto la scoperta di quei 62 chilometri di gallerie che perforano il Triangolo Lariano, tra la Colma di Sormano, il Piano del Tivano e l’abitato di Zelbio. Poco a nord, sul versante settentrionale del Monte San Primo, un’altra sensazionale scoperta, le spettacolari grotte dell’Abisso dei Mondi, dell’Altro Mondo e del Terzo Mondo, un sistema di vasti ambienti sotterranei la cui esplorazione deve essere ancora portata avanti. E, alla base del massiccio, l’impegnativo Buco del Latte che attualmente termina in corrispondenza di profondi laghi sotterranei. È tutta un’altra storia, perché al momento non sembra vi siano punti di congiunzione con il sistema della Valle del Nosè. Sono pochi gli adepti di questa disciplina: lo Speleo Club Erba ne raccoglie una trentina da tutta la provincia. A differenza degli alpinisti più famosi, nessuno qui è un pro-
fessionista: non esistono gli sponsor per imprese che pure sono di valore assoluto. Tutti fanno altri mestieri. Eppure, è con rigore scientifico che questi appassionati affrontano le loro esplorazioni, mettendo a disposizione le proprie conoscenze. C’è Adolfo Merazzi, per esempio, pensionato Telecom, figura storica della speleologia comasca, che per i suoi compagni esegue rilievi “più precisi di un gps”. C’è la varesina Luana Aimar, naturalista, che studia gli organismi che vivono in grotta. In principio per molti speleologia voleva dire Buco del Piombo. Almeno per chi scrive, che di grotte conosce a malapena le informazioni generiche su quelle più famose e accessibili a tutti. Una piccola cavità, tutto sommato, viste le scoperte a cui si è giunti in questi anni, ma con un antro enorme e spettacolare, una spaccatura della montagna sulla destra orografica della valle Bova ben visibile a chilometri di distanza. Ora è chiusa, e nessuno può dire quando mai potrà riaprire: la roccia sopra la volta si sgretola, sembra impossibile metterla in sicurezza. È un peccato, perché la passione di molti per la speleologia nasce da qui e dagli insegnamenti dell’indimenticato Marco Bomman, insegnante di educazione fisica e fondatore nel 1975 dello Speleo Club Erba, morto prematuramente nove anni fa.
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di ELISABETTA BROLI
COLPO DI SPUGNA
QUEI PECCATI VENIALI DI VESCOVO E PREFETESSA Quelle strane dimenticanze e quel girovagare degli ombrelli di casa in casa prestati e mai restituiti
Lo so che è un peccato veniale (e il Catechismo della Chiesa cattolica lo infilerebbe tra quelli d’omissione) e compiuto in buona fede, ma anche il nostro vescovo monsignor Coletti almeno una volta l’avrà commesso, immagino. La moglie di Sua Eccellenza il Prefetto, signora Gloria, sì, perché ne sono stata vittima. E, detto per inciso, non credo se ne sia ancora pentita: per ora non me l’ha restituito, anche se quando l’angiolo si bagna l’ale, poi piove fino a Natale. E qui siamo solo a settembre. Forse la responsabilità è mia, perché più che prestarlo l’ombrello va da subito con silenziosa rassegnazione ceduto, si fa più bella figura e alla fine bisogna comunque comprarne un altro: prestare in genere non è altro che regalare al rallentatore, come disse l’attore Siegfried Lowitz. Alla signora Gloria l’ombrello azzurrino con i cuoricini rossi gliel’ho dovuto controvoglia dare quando, poco prima di uscire da casa mia, aveva cominciato a diluviare. Era di una collega di Roma. Azzurrino con i cuoricini? Certamente l’aveva a sua volta avuto in prestito: il suo è uno stile da dark lady. Avete presente l’inanellamento degli uccelli, per monitorarne i ritmi migratori e non solo? Potremmo utilizzarlo per monitorare i passaggi di proprietà del nostro parapluie e chiederne la restituzione al temporaneo possessore: da una giornalista di Roma ad una moglie di Prefetto di Como.
Altro che gli spostamenti di cardellini e balene! E se è vero, come scrisse Robert Louis Stevenson tra un’Isola del tesoro e un dottor Jekyll, che l’ombrello è strumento per determinare differenze sociali e culturali tra una persona e l’altra, con i prestiti coatti le riflessioni antropologiche che fine fanno? Sul sito “Be-decide” (non riesco a be-decidere se di psicologia o di perditempo) c’è un sondaggio legato a Twitter: mi faccio prestare l’ombrello o no? Non ci sono i percentuali su i sì e i no. Ma il problema non è il farselo prestare ma il restituire. Un po’ come per i libri: giuri e stragiuri di riportarlo dopo averlo letto, ed invece… Comunque. Preventivando che a Como quest’anno in settembre piova soltanto otto giorni come nello stesso mese del 2012, soltanto rispetto ai quattordici del 2009, che tattica metto in campo? Amici miei diletti che a casa mia cenate poi non mi rimenate per quel che vi accadrà Perchè col nuovo inverno non basteran preghiere: neppur a un brigadiere l’ombrello elargirò
Non serviran spergiuri moine o baciamani nè piogge nè uragani: idea non cambierò Gli ombrelli son finiti. Prestati e regalati a consoli e prelati mai più si offriran Prefetesse comprese.
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di EMILIO MAGNI
LE PAROLE CHE NON TORNANO
LA GIMBARDA AMACA DEI CARRETTIERI La storia del Berto e della bella Cesira che non ebbero il tempo di dormire dentro la “gimbarda”
Amaca è parola italiana sempre più frequente nel nostro linguaggio e quindi destinata a durare chissà per quanto, anche perché si associa al riposo, alle vacanze, alla villeggiatura, al tempo libero. Non è però una parola nuova. Viene da lontano. Arriva dalla voce spagnola hamaca ed era usata già dai navigatori del Cinquecento come giaciglio sospeso tra quattro sostegni. La parola è stata adoperata anche dal Manzoni. Il vocabolario Zanichelli informa pure che hamaca è una voce indigena di Haiti: da qui anche al suo vago sapore esotico e quindi di attualità. Una parola che di sicuro non tornerà più è invece il termine “gimbarda” che se nel dialetto milanese non è proprio letteralmente la traduzione di amaca, indica uno strumento che però dell’amaca è parente strettissimo. Avviene talvolta che alcuni, conoscendo la mia passione per il dialetto, mi chiedano il significato di un modo di dire o anche solo di un termine vernacolo. Mi ha fatto gran piacere un amico che qualche giorno fa ha “tirato qua” proprio la “gimbarda”, parola ormai dimenticata. Nel dialetto milanese la “gimbarda” dunque era, per la precisione, quell’attrezzo (un asse, o un grande e robusto telo) che i “caradur” appendevano, a ‘mo di amaca, sotto il carro, tra le ruote. Durante le soste i carrettieri si distendevano sulla “gimbarda” per fare una dormitina.
Ho colto l’occasione per raccontare all’amico interessato al dialetto, anche una storiella che, assieme a molte altre, era di casa nei “conversari” la sera quando i bar sembravano ancora osterie. Un amico raccontava di un suo zio, il Berto, “caradur” e scapolo, il quale all’inizio del secolo scorso faceva i viaggi tra Erba e Milano con il carro carico di merce partendo prima dell’alba. Per essere più sicuri i carri procedevano in convoglio: anche dieci carri, tutti in fila. Solo il primo “caradur” stava sveglio a cassetta. Gli altri cavalli seguivano fedelmente mentre i conducenti dormivano tranquilli, distesi sulla “gimbarda”. Un giorno da Berto si presentò la Cesira, giovane e bella come una dea, la quale gli chiese il favore di essere portata a Milano. “Sì ma come?”, rispose il Berto. “Dormirò nella “gimbarda””, lei rispose. “Ci dormo già io”, replicò Berto. “E allora dormiremo insieme”, concluse la Cesira con sguardo ammiccante. Non ebbero tempo di dormire dentro la “gimbarda”. Solo verso il casello del dazio, Berto si appisolò, ormai vinto dal grande ardore consumato. Al ritorno la Cesira non c’era. Non la vide più. Pensò: “Quella ha fatto una brutta fine”. Invece anni dopo la ritrovò. La vide alla guida di una sontuosa “limousine”, una Bugatti tutta rossa e con dei fanali così luccicanti da acciecare. Era diventata una gran signora. “Complimenti, che macchina splendida”, le scaraventò lì, sorpreso. Lei rispose impavida: “Sì, ma anche nella tua”gimbarda”, quella volta là, fu meraviglioso”. Adesso di “gimbarde” non se ne vedono proprio più. Ma è assai difficile anche osservare carri trainati dai cavalli.
mag 105
106 mag
EVENTI
L’ARTE DI AMARE IL VINO Storia e iniziative dell’Onav comasca, organizzazione nazionale assaggiatori di vino ONAV (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino) è una associazione senza fini di lucro e tra i suoi scopi c’è quello di promuovere iniziative atte a far conoscere l’importanza ed il piacere dell’arte dell’assaggio. Attualmente conta circa diecimila soci in Italia. La creazione della sezione comasca risale agli anni ’70 del secolo scorso ed è stata la prima di Lombardia. Nella sua ormai lunga storia ha diplomato più di mille persone, provenienti anche dalla vicina Svizzera. Molte sono le iniziative portate avanti ogni anno: il corso, le serate mensili di approfondimento, la degustazione a banchi di assaggio “Uno sguardo sul panorama enologico italiano”, tra le più importanti della provincia e giunta alla sua quinta edizione. Gli eventi sono sempre aperti a tutti e non necessita una preparazione particolare per parteciparvi.
Quest’anno si è anche tenuto in gennaio presso la Camera di Commercio di Como il convegno “Vino e salute - Il bere responsabile”. Alla fine degli interventi, Onav Como ha elargito un contributo in denaro al 118 comasco, continuando così nella tradizione di essere vicina ad enti ed associazioni benefiche del territorio. L’evento “Uno sguardo sul panorama enologico italiano” avrà luogo il 20 settembre dalle ore 17 alle ore 22 presso l’Hotel Cruise di Montano Lucino. Il corso per Assaggiatori 2013 inizierà il 30 settembre. Si svolgerà tutti i lunedì e giovedì sera dalle ore 21 alle ore 23 presso il salone del Centro Sportivo di Grandate e terminerà il 2 dicembre con l’esame. Per informazioni como@onav.it 335 423980
mag 107
di ROCCO LETTIERI
EVENTI
IL CHIANINA DAY A LE TOUT PARIS Alberto Proserpio (Albertino per gli amici) è un esempio di come a 80 anni passati si può essere attivi. Ultimo esempio la serata al Ristorante Hotel “Le Tout Paris” nel fascinoso albergo vista lago Grand Hotel Victoria di Menaggio, incontro a tema: “Chianina Day” con circa 150 persone tra Prosecco e Champagne della Perrier-Jouet, Chi ha voluto degustare vino rosso ha trovato l’ottimo Rosso di Montalcino Doc 2008 dell’azienda La Gerla, da 6 litri, servito da trespolo, di proprietà dal 1976 dell’ex pubblicitario milanese Sergio Rossi che ha trovato nell’enologo Vittorio Fiore un validissimo collaboratore per fare vini di altissima qualità. Nel frattempo nei bracieri ardenti di legna di faggio e di ulivo, gli chef facevano spegnere le prime fiamme per ricevere le favolose “fiorentine” di Chianina con tanto di pedigree, carni provenienti dall’Azienda Agr. Ruffo della Scaletta di Narni (Terni) – matricola IT055990016106, vitellone nato l’8.08.2011, di 337 kg di peso, documento di identità n. 64192, macellato il 9.07.2013 nel mattatoio Massa Martana di Perugia. Gli chef hanno saputo domare i fuochi e la carne è stata servita a mò di tagliata, portata in tavola a più servizi con il gustoso olio extra Vergine di casa cru “Olio di Genico”, prodotto da olive lacustri comasche dal proprietario, sempre lui, l’Albertino Proserpio, e in abbinamento un grandioso Brunello Di Montalcino Docg sempre della stessa azienda ilcinese de La Gerla. Il tutto è stato allietato dal duo Umberto Gatti e Aldo Bulgheroni che in questo hotel sono di casa. Armonia e musica da tutto il mondo, ma Napoli e Roma l’hanno fatta da padrona di casa per gli ospiti stranieri. L’Albertino Proserpio è un vulcano. Da pochi mesi ha aperto Wine & Bar Enoteca “Le Tout Paris” un’noteca con specialità francesi e italiane in quel di Sala Comacina.
mag 109
EVENTI
GRAND HOTEL TREMEZZO: HAPPY BIRTHDAY! Il lago, per una sera di luglio, si è trasformato in un firmamento di stelle lucenti che si sono innalzate nel cielo per poi scivolare sullo specchio d’acqua. Un’atmosfera unica creata dallo spettacolo pirotecnico organizzato dalla famiglia De Santis per festeggiare i 103 anni del Grand Hotel Tremezzo. Un evento tra i più glamour dell’estate che ha visto, tra i presenti, il Maestro Gualtiero Marchesi, da tre anni consulente dell’hotel. In un tardo pomeriggio estivo il Grand Hotel Tremezzo si è presentato nella sua magnifi cenza aprendosi al mondo per mostrare anche gli angoli più riservati. Un’atmosfera perfetta che ha esaltato, ancora una volta, la bellezza della struttura, gioiello indiscusso del lago. La famiglia De Santis ha accolto dapprima gli ospiti nella lounge della spiaggia per un divertente aperitivo, poi una visita dei “giardini segreti” dell’hotel e all’innovativa SPA. Al termine tutti a tavola nei ristoranti della location e, quindi, gran finale con il taglio della torta.
110 mag
EVENTI
BUON COMPLEANNO TEATRO SOCIALE Festeggiati i 200 anni con una torta da record, realizzata da CastaDiva e Cometa Un vero evento per tutta la città. Festeggiati i 200 anni della nascita del teatro Sociale. Nell’occasione una targa d’onore del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stata consegnata dal Prefetto di Como Michele Tortora al Presidente della Società dei Palchettisti Francesco Peronese. Protagonista del compleanno la torta dei 200 anni un’opera d’arte disegnata da Erasmo Figini e realizzata dallo chef del Casta Diva Resort di Blevio, Alessio Mecozzi, con l’aiuto dei ragazzi di Cometa. Applausi per il momento musicale che ha visto la pianista Federica Falasconi, una delle colonne del teatro, accompagnare il tenore Saverio Pugliese e il soprano Bianca Tognocchi.
mag
IDEE (S) FASHION
di SERENA BRIVIO
UN AUTUNNO TINTO DI GRIGIO Il nuovo alfabeto grey inizia dalla giacca, che deve essere di taglio sartoriale e perfetto Cinquanta sfumature di grigio: il romanzo cult prossimamente movie, torna protagonista del guardaroba maschile. «È ancora la volta del grigio - conferma Marco Cassina di Peter Ci - colore must di questo autunno. Un evergreen rivisitato nelle texture, nei pesi diversi fra loro e negli abbinamenti. Valido passepartout per ogni occasione, per il look da ufficio e per gli inviti più glamour». Il nuovo alfabeto grey inizia dalla giacca, di taglio sartoriale e perfetto. «Must-have di ogni stagione - continua Cassina - basta abbinarla a pantaloni slim e corti alla caviglia per renderla più understatement. Il tocco in più lo da la maglia ton sur ton sopra la camicia, neo vezzo dandy». Calda e avvolgente, non potrà mai mancare un sciarpa. «Accessorio di punta, sia in lana lavorata sia in pelo, ma sempre in versione maxi». Il grigio dominerà anche altri complementi: le stringate di pelle e camoscio, il borsone h24, portacellulare e porta iPad. «Nel nostro punto vendita - conclude Cassina - siamo pronti a declinare le infinite tonalità di questo colore, dal perla al fumo di Londra».
mag 113
IDEE (S) FASHION
di SERENA BRIVIO
ALLA SCOPERTA DI STILI E TENDENZE Le ultime novità autunno inverno nel mondo delle calzature presentate da STEP shoes Le più belle boutique non solo tornano a far ricerca e selezione, ma mettono in scena i loro prodotti come in un set, coinvolgendo il cliente in un’esperienza multisensoriale. È un’identità molto particolare quella di “STEP shoes” , concept store aperto da Tommaso Giudici a Ponte Chiasso, dopo varie esperienze in realtà legate alla moda e al design. «Mi sono diplomato nel ’96 presso l’ Istituto d’Arte di Cantù - racconta Tommaso- Dopo aver lavorato un paio d’ anni in aziende leader nell’arredo, all’inizio del 2002 sono stato assunto da “Area 2 Rezzonico”, negozio specializzato in moda maschile di alta gamma. Qui, ho accresciuto le mie competenze, fino a quando, nel maggio dello scorso anno, ho deciso di mettermi in proprio e iniziare una nuova avventura». Lo scorso settembre Giudici inaugura “STEP shoes”, con l’intento di trasformare il momento dello shopping in un’esperienza di forte intensità. «Il mio obiettivo è quello di offrire al cliente non solo un’ assistenza personalizzata, ma anche un viaggio alla scoperta di stili&tendenze attraverso una ricca narrazione di articoli: scarpe, borse, cinture, sciarpe, collane, profumi e libri d’arte». Il tutto allestito in una scenografia simile a un palcoscenico, studiato per accogliere le novità dell’autunno-inverno 2013-14.
mag 115
NAVIGAZIONI LARIANE
di LUCA MENEGHEL
ESPLORATORI DELLA DOMENICA Itinerari per escursioni e gite proposti da Vincenzo Gatti «È qualcosa di diverso e qualcosa di più del solito blog, sito o guida turistica. Vuole essere una sorta di reality su un gruppo di persone che - condividendo gli stessi interessi - gira, scrive, fotografa, racconta. Pubblicando sulla rete i propri lavori e le proprie scoperte». Il sito in questione si chiama “Exploratori della domenica” (http://www.exploratoridelladomenica.it/). E a parlare è uno dei fondatori, Vincenzo Gatti. Abitante di Carugo, 56 anni, in compagnia degli altri amici “exploratori” Gatti non perde occasione di girare la Brianza e il Triangolo Lariano a caccia di paesaggi mozzafiato, sentieri inusuali, ma anche storie, antiche ricette e curiosità. Curatori del portale, oltre a Gatti, sono gli stessi autori della guida “Lombardia con i figli” (Grafiche Boffi, 2004). Ogni amico ha una specializzazione, per offrire una panoramica completa dei luoghi vistati: “C’è l’exploratore fotografo, l’exploratore architetto, quello musicista, quello informatico… e così via. C’è perfino - dice Gatti - l’exploratore del mistero specializzato in leggende e fatti occulti”. Il risultato è una guida turistica virtuale, sempre aggiornata, “pensata per chi vuole passeggiare in pieno relax e cerca itinerari interessanti, magari vicino a casa. Per chi desidera sorprendersi oppure è semplicemente curioso”. I collaboratori del portale sono quindici e li trovate tutti nella sezione “Exploratori, chi?”. L’home page - dalla grafica davvero ben curata e accattivante - rimanda subito all’ultima passeggiata: basta un clic per leggere le ultime gesta degli exploratori, guardare video e fotografie. All’archivio si accede sempre dall’home page, cliccando su “Tutte le passeggiate scelte dagli Exploratori della domenica”: e qui non resta che lasciarsi guidare dalla propria curiosità per scoprire angoli incantati a pochi chilometri dalla propria casa. Tra gli ultimi reportage pubblicati spiccano una bella passeggiata ai Corni di Canzo e i prati di Santa Naga a Fecchio, frazione di Cantù: “La zona - scrivono gli exploratori - è ideale non solo per organizzarvi delle passeggiate tranquille, a piedi oppure in bici, ma anche per improvvisarvi un picnic oppure distendersi a prendere il sole”. Non mancano un bel giro “a spasso nel tempo” tra Lurago d’Erba e Inverigo, o una puntata al santuario della Madonna della Neve a Pusiano: “Il fascino di questo percorso sta nella prima parte dove si sale tra le cappelle, silenziosamente. Quasi un’ascesa 116 mag
mistica e muta (muta per mancanza di fiato?): più si sale e più sembra che ci si lasci indietro pensieri e preoccupazioni”. Ogni itinerario - descritto con toni narrativi e un ricco apparato fotografico - è accompagnato da una scheda. Gli exploratori segnalano punto di partenza e di arrivo, la durata della passeggiata (e addirittura la propria velocità media), altitudine minima e massima e infine danno un voto: le passeggiate sono valutate esattamente come gli alberghi, da una a cinque stelle lusso. Per guidare al meglio i lettori, i percorsi sono segnalati anche su pratiche mappe. Da non perdere la sezione “Le ricette di zia Ste”, che insegna a cucinare con le erbe del nostro territorio, e la pagina “Exploratori a fumetti”, in cui i protagonisti del sito si trasformano in personaggi da cartoni. Il sito ha anche una pagina Facebook (https://www.facebook.com/esploratoridelladomenica) dove vengono pubblicate immagini e notizie dalle ultime passeggiate tra la Brianza e il Triangolo Lariano.
SEGNALAZIONI GITE NEI DINTORNI DI COMO digilander.libero.it/felice/Itinerari.htm Una ricca rassegna di passeggiate ed escursioni intorno al capoluogo. FUNICOLARE COMO-BRUNATE www.funicolarecomo.it Il sito della funicolare che collega Como con Brunate, meta di tante escursioni. IN GRIGNA! www.ingrigna.altervista.org Il gruppo speleologico attivo da anni sotto le montagne del Triangolo Lariano. Hai un sito dedicato a Como, al Lario e al territorio circostante? Vuoi segnalare un blog ai lettori del MAG? Scrivi una mail all’indirizzo navigazionilariane@yahoo.it.
di CARLA COLMEGNA
SCAFFALE
c.colmegna@laprovincia.it
UN TAXI FANTASMA PER L’AFRICA Il romanzo di Massimo Bargna dove c’è sempre una speranza Massimo Bargna “Un taxi fantasma per l’Africa” Mursia, 260 pag., 17 euro
Non solo Africa, anche se prevalentemente Africa, ma anche vita vissuta, che, fatte le debite distinzioni, è quella di tutti. Nel libro dell’autore comasco, nonché collezionista d’arte africana, Massimo Bargna c’è il racconto di un percorso personale, del protagonista Jean Pierre che viene preso per la collottola da uno zio, prima che un destino ruvido lo possa trascinare in un limbo senza uscita. Sarà proprio lo zio a offrire al protagonista l’occasione della vita: diventare taxista abusivo. Tutto qua? Si, ma questa opportunità basta e avanza, perché il taxi di Jean Pierre diventerà un terreno di battaglie e amori, di intrecci di vite diverse e tutte a loro modo degne, ma anche di profumi e colori africani. Salgono e scendono le persone dal taxi, che il titolo definisce “fantasma”, ma quando scendono non lo lasciano mai vuoto. Sui sedili resta sempre un po’ dei clienti e dei pensieri e riflessioni del taxista che ci ha dovuto, non senza qualche rischio, fare i conti. Sul taxi
fantasma salgono personaggi a prima vista improbabili, prostitute, uomini d’affari, ubriachi cullati dalla solitudine regalata loro dall’alcol, e molti altri spicchi di mondo. Con un linguaggio chiaro, l’autore fa vivere al lettore emozioni forse provate già in prima persona nei tanti viaggi compiuti in Africa. Il romanzo è costruito come un ventaglio di occasioni da cogliere, ogni capitolo potrebbe essere un racconto. Tante storie che insieme spiegano che c’è sempre una speranza per tutti, anche quando si ha a che fare con la morte, magari violenta, incontrata lungo il ciglio della strada, con la furia della natura. Natura che è madre, capace di salvare i propri figli anche quando sembra non esserci più soluzione.
LA SIRENA E IL MARINAIO C’è una sirena, c’è un marinaio speciale e c’è un amore, grande, inatteso (o forse no) passionale e che sembra impossibile riuscire a riconoscere a se stessi per poi poterlo vivere. Il romanzo di Sue Ellen Ronzoni è una storia di emozioni, tra le quali ha un posto anche la sofferenza, il riconoscimento di una sconfitta dettata dal dover ammettere di aver sbagliato principe; ma hanno un ruolo anche le piccole sensazioni che la quotidianità può regalare, anche solo andando a prendere un caffè e trovando al bar il proprio luogo di liberazione da paure e apprensioni. La storia è d’amore, la trama quella che può far sospirare e sognare, che di sicuro che può essere letta ritagliandosi uno spazio per ri riconoscere, magari senza amri metterlo, che le sensazioni dei m protagonisti sono poi spesso le p proprie. p
ALLE SETTE DI NOTTE Un’esplosione, di un palazzo, ma anche di se stessi, delle proprie certezze e delle proprie titubanze, tutto si sgretola per colpa di uno sguardo, due occhi straordinari che diventano il detonatore di una vita non del tutto conosciuta. Il libro di Ravel Porto, segnalato alla XXV edizione del Premio Calvino, è ambientato a Torino dove un palazzo esplode per cause non ben chiarite. Ma l’esplosione sarà in realtà un’altra, quella del protagonista, della sua musica e di sentimenti che egli neppure immaginava di poter avere, non così, non così potenti. Tutta colpa di Emma che diventa protagonista e causa di tutti i “guai” del protagonista, complice la sua chitarra e una canzone, chissà perché venuta così bene e chissà come mai così apprezzata durante… una festa di condominio. Una storia che corre e che accompagna in angoli del proprio essere pronti ad esplodere per un apparente nonnulla. Forse proprio per una canzone e proprio alle sette di notte.
“La sirena e il marinaio” Galassia Arte, 180 pag., 15 euro
Ravel Porto “Alle sette di notte” Aiep Editore, 256 pag., 13 euro
mag 117
GRANDE SCHERMO
di BERNARDINO MARINONI
QUEL GIORNO SUL LAGO DI COMO Il nuovo cortometraggio del regista comasco Paolo Lipari “Quel giorno sul lago di Como” non è qualsiasi, nell’omonimo cortometraggio scritto e diretto da Paolo Lipari, complici Camera di commercio e Società di navigazione non meno dei personaggi che storicamente nelle ville lariane più celebri albergarono. Le loro voci, il loro mondo, nell’aria del lago risuonano, a echeggiarle è il marinaio di Marco Continanza da un approdo all’altro del battello. Per la storia “quel giorno” è il 30 luglio 1819, utile per un incrocio di illustri personaggi: Silvio Pellico al Balbianello, Antonio Canova, tramite una scultura, a Villa Carlotta, Ugo Foscolo al Grumello, Gioacchino Rossini alla Pliniana, a Moltrasio Giuditta Pasta e Vincenzo Bellini. Sul lago adesso a spirare sono le loro, di arie, tra aneddoti e vicende amorose sullo sfondo di paesaggi magnifici. Di più, attesta “Quel giorno sul lago di Como”: paesaggi belli sempre, che è il migliore, e più veritiero, dei complimenti espressi dall’amabile cicerone in divisa di battelliere. Tanto che il lago potrebbe essere sempre la scena di un film: a dirlo, per interposto interprete, è Paolo Lipari e l’espressione è la sintesi di una frequentazione assidua di cui il regista altrove ha collazionato il multiforme transito cinematografico sul Lario - e dintorni. Sciolto l’ex voto del regista, il piccolo cabotaggio del battello è un “inchino” continuo alle dimore del ramo occidentale del Lario, con doverosa sosta a Villa d’Este. Un po’ di storia e un tanto di immagini che a Lipari riesce di affrancare dall’oleografia, scostandosi con perizia dalla cartolina. Operazione che non riuscirebbe altrettanto bene se le riprese non fossero animate da una sincera passione, tale da sovrastare la commissione del cortometraggio turistico. Operazione in sé meritoria, beninteso; ma il regista comasco scova luci capaci di interpretare il paesaggio ed escogita invenzioni che interpretano il passaggio a distanza ravvicinata dalle ville. Ora quasi virando in monocromia, ora
echeggiando in immagini il ritmo della musica (di Rossini), sempre stabilendo con “quel giorno” la continuità che deriva da un’ambientazione naturalmente nobile, il 30 luglio 1819 come ieri, come oggi. Il cortometraggio è quasi un vincolo, uno strumento di tutela della bellezza che vive anche della sua stessa promozione, funzione primaria e dichiarata di “Quel giorno sul lago di Como”. Ricognizione lieve - “Lago di Como, vita serena”, lo slogan di uno storico manifesto di cui a lungo la Camera di commercio pavesò la copertina del proprio periodico non ha mai avuto inficiato il proprio significato - nella simpatia del personaggio che fa da guida, il cortometraggio è un investimento ulteriore nelle potenzialità del cinema sul lago: tempera l’enfasi, perché basta lo spettacolo delle rive per proclamarla, e ne bordeggia la messinscena fascinosa come un sorriso. Vedere il lago dal lago: forse non ne è mai stato illustrato con altrettanto sentimento il romanticismo, certamente l’invito scavalca il calendario: “Quel giorno sul lago di Como” è fuori del tempo e che a Lipari riesca di rappresentarlo in meno di quindici minuti è proprio per la limpidezza del suo sguardo.
IL SOGNO DELLA FAMME FATALE Al grande schermo la comasca Claudia Gaffuri doveva arrivare, con il credito della Scuola di cinema, a Roma, dopo una formazione cominciata all’Accademia dei Licini di Erba, riferimento che era stato naturale per una giovanissima di Albese con Cassano determinata a fare l’attrice. Il teatro, dunque, poi la televisione - la popolarità è giunta con “Un passo dal cielo”, la serie con Terence Hill, ma Claudia Gaffuri è comparsa, tra l’altro, nel film-tv “Paolo Borsellino” - e il reiterato desiderio del cinema sfociato in un esito perfino superiore alle attese quando l’ha voluta un esordiente sammarinese, Michele Massari che con il cortometraggio “The last alchemist” ha vinto il Best short movie 2013 al Los Angeles Indie Film Fest, una delle maggiori rassegne internazionali dedicate alla produzione indipendente. Merito di soggetto e regia non meno che degli interpreti, e nei titoli il nome di Claudia Gaffuri è al fianco di quello di Franco Nero. Di “The last alchemist”, infatti, l’attrice comasca è la protagonista femminile: nei panni di Lara è pronta a tutto pur di impedire il sacrificio umano che l’alchimista Franco Nero prepara in una grotta con l’intento di assicurarsi altri mille anni di vita. Un thriller in chiave esoterica, a tinte noir: Claudia Gaffuri vi ha un ruolo che la caratterizza, congruo al suo stesso carattere. Però, ha dichiarato, adesso le piacerebbe interpretare una parte giustapposta, “magari una femme fatale, addirittura una serial killer”. A ben vedere il temperamento c’è.
mag 119
di MARINELLA MERONI
ANIMALI
AMORE E FEDELTÀ ANIMALI MAESTRI I cigni selvatici formano coppie inseparabili: se uno muore, l’altro non trova un nuovo partner L’amore è un sentimento meraviglioso e gli animali ne danno spesso dimostrazione. Konrad Lorenz, premio nobel e uno dei fondatori dell’etologia, affermò che gli animali si innamorano, perfino in modo teatrale, e non solo a scopo riproduttivo, in alcuni soggetti il loro affetto dura tutta la vita. La prova palese di questo sentimento è la profonda tristezza manifestata da uno individuo della coppia quando l’altro muore. Ci sono creature che non si innamorano del primo arrivato, ma una volta scoccata la scintilla sarà per sempre. Molti animali tendono a formare unioni monogame per tutta la vita, improntate su’affetto e coesione. Per molti uccelli, come le aquile, la fedeltà è la caratteristica fondamentale della coppia. I cigni selvatici formano coppie inseparabili: quando uno dei due muore, l’altro diventa malinconico e rifiuta di scegliersi un nuovo partner. Monogami sono i pesci e i granchi. I castori stringono unioni di coppia svincolate da impulsi sessuali, i maschi aiutano la compagna durante il parto e curano i piccoli trasportandoli sopra la coda. Anche le coppie di taccole (piccoli corvi) sono monogame: il maschio corteggia gentilmente la “sposa” offrendole ogni tipo di prelibatezza che trova e lei lo ricambia pulendogli dolcemente le penne. Altri sposi esemplari sono i pinguini reali, i “papà”restano per 3 mesi immobili, senza mangiare a covare le uova,quando la “moglie” si allontana per cercare cibo. Durante i mesi di cova vivano uno pigiato all’altro in condizioni climatiche estreme, ma nessuno disturba il vicino. Un altro esempio di amore monogamo lo troviamo nel gibbone, una scimmia asiatica, le madri curano dei piccoli per lo svezzamento ma e’ il papà che gli insegna a camminare e procurarsi cibo, formano una famiglia eccezionale. La credenza del lupo solitario, cattivo e aggressivo e’ solamente una brutta favola! Il legame tra maschio e femmina dura per sempre, allevano assieme i cuccioli che resteranno sempre con loro. Secondo J. Masson, noto psichiatra e studioso delle emozioni degli animali, la vera natura di una coppia di lupi e del suo branco consiste nella gioia di stare assieme. Le coppie di cavallucci marini australiani, oltre a rimanere uniti, tutte le mattine si salutano con una danza, il maschio svezza i cuccioli e li protegge nella sua tasca marsupiale. Alcune specie di pappagalli, come il cacatua, invece sono facili al colpo di fulmine, ma il loro amore durerà a lungo. L’amore degli animali non si limita solo verso i loro simili, ma esistono esempi di affetto e devozione anche nei confronti di altre creature. Ci sono storie di profonda amicizia e amore tra cani e gatti, pappagalli e mici, cani e pecore, elefanti e gazzelle, conigli e cani e tanti altri esempi. E poi esiste l’amore più profondo, quello che lega un cane all’uomo,quanti episodi lo dimostrano, quanti cani salvano i loro padroni, come Bella, una meticcia che ha salvato il suo proprietario caduto in un burrone, scaldandolo tutta la notte, ricambiando il gesto d’amore del suo padrone,che l’aveva adottata dopo averla trovata abbandonata in un cassonetto dei rifiuti. E’ commovente vedere animali così generosi nei confronti dell’uomo, capaci di dimostrarci tutto il loro amore anche a costo della loro vita, per la nostra. La scienza ha dimostrato che le creature amano e soffrono, piangono e ridono, aspettano con fiducia e si disperano,patiscono la solitudine, pensano al passato e sognano un futuro di felicità, si innamorano! Hanno grandi sentimenti e noi abbiamo l’obbligo morale di rispettarli ed amare.
mag 121
IL BELLO DELLA SALUTE di TIZIANO TESTORI Tiziano Testori, Docente Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, Università degli Studi di Milano www.tizianotestori.eu Francesca Bianchi, Laureata in Odontoiatria e Protesi Dentaria, Docente presso il Corso di Alta Formazione in Implantologia Orale IRCSS Istituto Ortopedico Galeazzi - Università degli Studi di Milano
LA MALATTIA PARODONTALE Prevenzione, diagnosi e cura di una malattia talvolta asintomatica La parodontite, spesso indicata con il temine errato di “piorrea”, è una patologia di origine multifattoriale che colpisce i tessuti duri che circondano e sostengono il dente, determinandone una progressiva perdita. Le parodontiti colpiscono in Italia circa 8 milioni di individui, ma spesso i Pazienti ignorano di essere affetti da queste patologie: nella maggior parte dei casi, infatti, la malattia è asintomatica, e solo talvolta i Pazienti riferiscono dolore, alitosi, sanguinamento dalle gengive o mobilità dentaria. Nella pratica professionale capita sovente che un Paziente si presenti all’ osservazione dell’ Odontoiatra per un problema di natura dentale o addirittura ritenendo di non avere alcun problema, quando invece la malattia parodontale ha già colpito i tessuti di sostegno dei denti. Ecco perché spesso i Pazienti apprendono con vero sconcerto che le “fondamenta” della loro dentatura sono state minate, e che occorre intervenire. La diagnosi della parodontite è effettuata attraverso esami clinici e strumentali che permettono di individuare il più precocemente possibile i segni della malattia, anche in assenza di sintomi. L’esame clinico si associa all’esecuzione di un charting parodontale (misurazione della perdita di supporto parodontale) e di una serie di radiografie endorali; le foto cliniche permettono inoltre di obiettivare la situazione iniziale, anche da un punto di vista estetico. In alcuni casi la diagnosi può essere completata da un test microbiologico per indagare i ceppi batterici presenti nella placca del Paziente, e da un test genetico per individuare i markers correlati alla predisposizione genetica alla malattia parodontale. La parodontite può essere prevenuta agendo sui fattori di rischio modificabili, tra quelli che concorrono all’insorgenza della malattia: il controllo della placca batterica (attraverso una corretta igiene orale domiciliare e periodiche sedute di igiene professionale) e la variazione degli stili di vita che possono influenzare negativamente la progressione 122 mag
della malattia. Una volta eseguita una corretta diagnosi, il trattamento non chirurgico della malattia parodontale è il primo step terapeutico. Si tratta dell’accurata rimozione di placca e tartaro sopra- e sottogengivali effettuata attraverso strumenti manuali o ultrasonici, dell’eliminazione di tutti i fattori che facilitano l’accumulo degli stessi, seguita dalla lucidatura e rifinitura delle superfici dentali. In molti casi il trattamento parodontale non chirurgico è sufficiente per ripristinare la salute dei tessuti e per riportare il Paziente in condizione di mantenere un adeguato controllo della placca batterica ed una significativa riduzione dell’infiammazione. In alcuni casi, invece, è necessario ricorrere ad una terapia chirurgica che permetta di correggere i difetti parodontali. L’Odontoiatra e l’Igienista Dentale, poi, stabiliranno la frequenza ottimale con cui il Paziente dovrà essere richiamato per le sedute di controllo e di igiene professionale. La collaborazione e la costanza del Paziente in termini di igiene orale domiciliare risultano in ogni caso fondamentali per il mantenimento dei risultati delle terapie parodontali: imparare le corrette manovre per eliminare la placca non sempre è facile, soprattutto in età adulta, ma è essenziale per la conservazione della salute dei denti e dei tessuti che li supportano. Altrettanto importante è eliminare il fumo di sigaretta e cercare di controllare gli altri fattori (diabete, stress, alimentazione) che contribuiscono al manifestarsi della parodontite. Occorre infine ricordare che esiste una patologia analoga alla parodontite che può colpire i Pazienti con impianti dentali: si tratta della perimplantite, una malattia che porta alla distruzione dei tessuti che circondano gli impianti endo-ossei. Lo screening e le eventuali terapie parodontali in Pazienti candidati all’implantologia sono pertanto importantissimi, così come lo sono le sedute periodiche di controllo e di igiene professionale e- ancora una volta- la collaborazione del Paziente.
IL BELLO DELLA SALUTE di FRANCO BRENNA Medico Chirurgo, Specialista in Odontostomatologia. Professore a Contratto presso l’Università degli Studi dell’Insubria. Libero Professionista in Como, francobrenna@frabre.it
GREEN DENTISTRY E GLI UTILI CONSIGLI Ecco alcuni stili di vita sani, anche dentali, per ricominciare bene l’anno Ci siamo lasciati alle spalle mare, monti e laghi ed eccoci qui con l’uva fra le mani. Settembre, mese dei buoni propositi, è forse il vero capodanno del calendario. Tutti pronti a cambiar vita: dal corso di Tango alla conversione al Buddismo. La scusa è ingannare il pensiero nei confronti del consueto, ovviare alla routine, contrastare l’oscurità che lentamente si prende ragione della luce. Non disperiamo! Il 21 settembre è esattamente uguale al 21 marzo; giorno e notte si equiparano, abbiamo tuttavia ancora un’ora di vantaggio sulla giornata di inizio primavera complice l’ora legale. Quindi, animo! Giusto cambiare fidanzato o fidanzata, corretto amare di più gli animali, superlativo dedicare maggiore tempo agli altri, soprattutto se più deboli. E già qui abbiamo fatto tombola senza neanche passare dalla cinquina. Il sottoscritto, lo sapete, ha il piacere attraverso questa bella paginetta di parlar di sacre zanne e, quindi, soprattutto nel bel mezzo del mese più bello dell’anno - per lo meno sul Lago di Como - eccomi a consegnarvi alcuni rapidi e utili consigli per iniziare bene l’anno con i vostri denti, nella speranza di esservi utile aiutandovi… anche a sorridere.
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Prendete, anche se state bene, un appuntamento con il dentista o l’igienista dentale, non quelli da 20’ ma un appuntamento dove i Professionisti possono osservare, consigliare, intercettare prima che sia troppo tardi, eseguire Prevenzione e quindi…farvi risparmiare. Poi possono anche rendervi più bianchi i denti che con l’abbronzatura estiva si autoesaltano donandovi quel senso di eterna giovinezza. Buttate via le sigarette: la nicotina e tutte le porcherie che nascondono i tabacchi lavorati anneriscono rapidamente i denti, penetrano attraverso le mucose creando basi cancerogene sia locali che sistemiche, minano i tessuti di supporto (gengive e osso) intorno ai denti impedendo una normale vascolarizzazione favorendo l’insorgenza della
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malattia parodontale (piorrea). Chi fuma sigarette di continuo si ammala più facilmente e gli puzza l’alito come a una volpe. Non assumete bevande o cibi acidi. Chi assume con frequenza Cole o pratica diete particolarmente ricche di agrumi (mangiatori di limoni) è facilmente indirizzato in breve tempo a fenomeni di erosione a carico dei tessuti dentali tanto da provocarne la decapitazione delle superfici masticanti con le seguenti nefaste conseguenze: a) diminuzione dell’altezza dei propri denti. b) perdita del controllo masticatorio e occlusale. c) sensibilità dentale spiccata. d) inestetismi associati a gravi problematiche funzionali. Un consiglio importante! Se bevete un bicchiere di Coca/Pepsi Cola con ghiaccio e limone e siete assaliti dai sensi di colpa, non correte immediatamente in bagno a lavarvi i denti, sareste più dannosi che utili. L’acidità insita nelle cole (e in tutti i pasti o bevande acide) (anche gli alcolici lo sono!) provoca, appena ingollato un sorso, quello strano sentore di ruvido sulle superfici dentali: è diabolico, in questi primi minuti, spazzolare con vigore i denti con l’illusione di “cacciar via lo zucchero”. Quello che invece stiamo “cacciando via” è lo smalto dentale deprivato della sua naturale forza dall’attacco dell’acido presente in bocca alle massime concentrazioni nei primi momenti dopo aver bevuto. Spazzola che spazzola…ci troviamo senza denti! Attendiamo almeno 30’ prima di impiegare uno spazzolino morbido e dentifricio oppure, vera New!, spariamoci subito in bocca un nuovo spray che trovate in farmacia a base di bicarbonato di sodio che svolge, a questo proposito, un importante effetto tampone, in modo da riequilibrare l’acidità naturale e non risultare dannosi alle superfici dei nostri sacri smalti. Attenzione! Anche l’uva è acida…e molto zuccherina!
mag 123
IL BELLO DELLA SALUTE di EUGENIO GANDOLFI specialista in Chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica a Como e Lugano - www. eugeniogandolfi.com
“ACADEMIA DAY CLINIC” BELLEZZA OLTRECONFINE Aperto a Chiasso il Centro di eccellenza europeo nelle tecnologie laser
Eccoci di nuovo insieme dopo la pausa estiva per riprendere la nostra rubrica sulla medicina e chirurgia estetica. Sono molto contento che l’ultimo articolo sull’antiaging e sulla medicina rigenerativa vi sia piaciuto e, poiché ha suscitato un grande interesse, presto pubblicheremo un approfondimento. (il testo originale è consultabile alla pagina web www.eugeniogandolfi. com/mag/luglio-agosto2013 ) Oggi però vi voglio parlare del centro di alte tecnologie laser che abbiamo aperto presso Academia Day Clinic a Chiasso. È dal 1995 che io ed il mio collega Dr. Riccardo Forte ci occupiamo di tecnologie laser applicate alla medicina ed alla chirurgia estetica. Solo oggi però, grazie all’unione delle nostre competenze presso una sede prestigiosa, abbiamo ottenuto il grande riconoscimento di venire scelti come centro di eccellenza europea da uno dei massimi produttori mondiali di laser medicali. Questo alto riconoscimento non significa solo esporre una bella targa all’ingresso ma, soprattutto, vuole dire avere a disposizione ,a beneficio dei nostri pazienti, tutte le tecnologie che questa grande azienda ha prodotto.
Ma quali sono gli inestetismi che trovano soluzione grazie alla luce laser? Un rapido elenco comprende le rughe di tutte le parti del corpo e le macchie cutanee causate dal sole ,la cancellazione degli angiomi, della couperose, dei capillari dilatati anche delle gambe dove spesso il laser sostituisce la dolorosa e talvolta controproducente terapia sclerosante. Il laser cancella inoltre, come la gomma fa con i tratti della matita, i tatuaggi di ogni colore senza lasciare cicatrici. Il laser produce la riduzione di visibilità delle cicatrici di qualsiasi natura e talvolta le fa letteralmente scomparire. Il laser è una tecnologia insuperabile per l’epilazione definitiva. Il laser aiuta a ridurre il grasso corporeo attraverso tecniche mininvasive e dolci, come la liposcultura laser, per mezzo di tecniche assolutamente non cruenti (applicazione di laser sulla superficie cutanea senza bisogno di anestesia). Le tecniche basate sull’applicazione della luce possono giovare molto anche a pazienti affetti da acne attiva, oltre che dagli esiti cicatriziali. Tutto questo sembra incredibile ma è reale e si può ottenere con l’ausilio di un raggio di luce. Presso Academia Day Clinic a Chiasso oggi siamo in grado di dare una soluzione tecnologica ed efficace a tutti questi inestetismi. Essere centro di eccellenza però ci impone anche di essere una sede di insegnamento. Dal prossimo mese infatti cominceranno i corsi di avviamento alle tecnologie laser che terremo presso la nostra sede, questi saranno riservati solo a medici specialisti nel settore che vorranno apprendere le ultime novità nell’uso del laser per la medicina e la chirurgia estetica. A questo proposito voglio formulare un invito ai lettori di Mag. Abbiamo bisogno di testimonial per le sessioni didattiche.Tutti coloro che fossero interessati a partecipare come pazienti durante i nostri corsi possono contattare la segreteria di Academia Day Clinic. I trattamenti saranno rigorosamente eseguiti da noi, mentre alcuni medici provenienti da varie parti del mondo assisteranno. Vi aspettiamo presso Academia Day Clinic a Chiasso per farvi più belli con la luce del laser, a presto.
•0039.031.303003 (dall’Italia) 0041916826262 (dalla Svizzera) •Per ogni informazione, contattatemi su www.eugeniogandolfi.com •Per approfondimenti e per leggere il curriculum del Dott. Francesco Marotta www.eugeniogandolfi.com/mag/settembre2013
mag 125
LE STELLE DI COMO ARIETE 21 MARZO 20 APRILE Pochi pianeti vi sorreggono e molte dissonanze vi renderanno piuttosto aggressivi, desiderosi di cambiamenti,proiettati verso tentazioni che mai avreste pensato solo qualche mese fa. Avete “contro” i pianeti più importati ma sarà Urano a garantirvi un’intraprendenza formidabile, capacità di analisi ma mancanza di pianificazione per cui sarà prudente fare attenzione al settore finanze(Giove in quadratura). Evitate la competizione in tutti i campi e cercate invece la misura nelle attività e nei rapporti. Energie in abbondanza vi rendono frizzanti e iperattivi con molto tempo dedicato allo sport e una voglia di attività che favorirà l’insonnia. Cercate più relax perché Mercurio vi rende tesi e nervosi.
TORO 21 APRILE - 20 MAGGIO Marte e Venere si azzuffano e voi ne fate le spese. Sola protezione il saggio Giove e Sole che schiariscono un po’ l’orizzonte. La quadratura di Marte porta una notevole tensione in famiglia con conflitti, battibecchi e incomprensioni. Saturno dissonante non facilita certo le rappacificazioni e la stabilità dei rapporti è molto in dubbio. Il rientro dalle ferie e la ripresa lavorativa saranno resi più difficili perché sia Marte, sia Saturno renderanno l’impresa più ardua. Perciò forza e coraggio. La vitalità subirà un calo e sarà auspicabile conoscere nuova gente, rimandare gli impegni di palestra ad un prossimo mese e non esagerate a fare ore piccole: il vostro fisico ora non regge.
GEMELLI 21 MAGGIO - 21 GIUGNO Finchè Venere rimarrà con voi( 11/9) tutto nella norma ma poi avranno vinto gli altri pi a pianeti a scapito della sfera sentimentale per cui le discussioni saranno interminabili e il rapporto vivrà di monotonia. Buone le energie (Marte) e ambizioni sfrenate ( Urano) che dovrete trattare con un po’ di distacco anche se per voi i soldi e le finanze stanno diventando un chiodo fisso. Comunque avrete nuove opportunità economiche e finanziarie perciò state tranquilli. Desiderosi di vita sociale e di nuove conoscenze con varietà di persone e di iniziative anche se è prudente ricordare che si hanno dei limiti fisici che vanno rispettati.
CANCRO 22 GIUGNO - 22 LUGLIO L’attenzione è ai primi giorni del mese quando Venere dissonante scatenerà gelosie inconsulte e dubbi sul rapporto. Poi l’astro diverrà armonico e le nubi si dissolveranno. Buona la presenza del Sole, di Mercurio e Saturno e Giove che suggeriranno persino decisioni importanti come matrimonio o figli. Sul lavoro Mercurio vi renderà acuti e diplomatici, capaci di dirimere controversie con superiori e concorrenti. Non vi sentirete in ottima forma ma eviterete di impigrirvi completamente ricominciando con camminate brevi e salutari sulle nostre colline con risultati ottimali.
LEONE 23 LUGLIO - 23 AGOSTO Venere in quadratura rende sordi ai richiami d’amore ma in compenso ci sono Marte e Mercurio che vi rendono combattivi e acuti, decisi e pronti persino a cambiamenti definitivi. Meglio il settore lavorativo perché i pianeti vi assicurano espansione nel lavoro, incremento economico, stabilità. Novità allettanti anche se dovrete essere meno nervosi e più tolleranti .Energie in abbondanza con Marte che vi rende competitivi e strabilianti. Dimenticate la pigrizia di agosto e partite col vento in poppa. Il fisico ne risentirà beneficio.
VERGINE 24 AGOSTO - 22 SETTEMBRE Mercurio è con voi tutto il mese con Giove e Saturno. Garantita la presenza alternativa anche di Venere e Sole. Molto intuitivi, saprete interpretare le esigenze del partner senza ce le esprima per una forma di comprensione telepatica che renderà il rapporto piacevole senza bisogno di troppe parole. Negli affari e nel lavoro dovrete essere molto pazienti e tenaci perché Marte non farà mancare i problemi. Vi sentirete depressi e bisognosi di gratificazioni morali e materiali che tarderanno. Forse queste difficoltà faciliteranno la strada verso nuove esperienze in altri campi. Un po’ di stanchezza con muscoli sovraccarichi ma umore alle stelle grazie a Giove e resistenza alla fatica e allo stress. Non esagerate nell’osservazione di regole alimentari.
126 mag
BILANCIA 23 SETTEMBRE - 22 OTTOBRE Marte, Mercurio, Sole, Venere. Troppi e troppo importanti protettori creano confusione. Risultato? Un caos scompaginato e in conclusivo che potrebbe rovinare tutto. Nel campo dell’impegno di ogni giorno avete molti sogni che potrebbero avere più concretezza con Mercurio che facilita i contatti e acuisce la diplomazia, vostre armi vincenti anche se dovrete evitare impegni di capitali e di investimenti che vanno molto ponderati. Avrete manie salutistiche esagerate e inutili: meglio sarebbe mantenere una dieta intelligente e l’esercizio fisico con un po’ di jogging sulle nostre passeggiate a lago.
SCORPIONE 23 OTTOBRE - 22 NOVEMBRE Buona la posizione astrale: Venere, Mercurio, Saturno, trigono di Giove con unica discordanza di Marte che toglierà molto alle vostre fantasie erotiche anche se il partner capirà questa vostra defaillance e, prendendo l’iniziativa darà al rapporto un svolta gradevole e diversa. Critici con chi vi lavora accanto vedrete incompetenza ovunque con uno spirito critico veramente caustico anche se il mese promette possibilità finanziarie e professionali buone con Giove e Saturno che individueranno nuovi contesti di guadagno. Scarso dinamismo e alla mancanza di sport supplirete con molta propensione alla socievolezza finchè Mercurio sarà nel vostro cielo poi vi sarà utile un leggero impegno fisico: anche solo un giro in bicicletta sulle sponde del nostro lago.
SAGITTARIO 23 NOVEMBRE - 21 DICEMBRE Il pianeta rosso riuscirà a darvi sufficienti energie per risolvere i problemi e molte sono le alternative in campo economico da vagliare e ponderare senza fretta per non rischiare. Rimandate verso fine mese le decisioni più gravi quando l’influenza negativa di Mercurio finirà e il vostro fiuto finanziario vi indicherà il meglio suscitando l’ammirazione di colleghi e amici. Lo sport vi interessa, non sentirete stanchezza primeggerete nelle attività di gruppo e vi riprenderete con strabiliante velocità con qualche rischio di dolori articolari che saranno comunque di poco conto.
CAPRICORNO 22 DICEMBRE - 20 GENNAIO Molti i pianeti che vi assistono ma per breve tempo. Non pretendendo troppo da vostro compagno otterrete moltissimo e maggiore serenità. Parecchie insidie vi aspettano sul fronte professionale soprattutto a metà mese con la quadratura di Urano e Mercurio che scateneranno controversie e diatribe mentre l’opposizione di Giove consiglia di rimandare impegni gravi e riorganizzare il lavoro usando diplomazia e capacità di convincimento. Dopo tutto ciò essendo più resistenti e forti, supererete il periodo di introversione con l’aiuto di buoni libri, film e una vita casalinga appagante.
ACQUARIO 21 GENNAIO - 19 FEBBRAIO
Buono Urano voglioso di cerebralità ma negativo nel pratico, poi Marte in opposizione tutto il mese fanno dimenticare le piacevolezze del vivere a due, sostituendole con problemi pratici e di lavoro. Perciò molti battibecchi e discussioni pregiudicanti e rovinose. Pazienza e diplomazia risolveranno tutto. Siete sempre all’avanguardia nei settori di ogni sport ma in questo periodo il vostro fisico e la tonicità lasciano a desiderare al contrario della vitalità mentale desiderosa di cose nuove, nuove mete, viaggi mai fatti dove c’è molta gente. Ciò sarà per voi un buon balsamo e un ottimo relax.
PESCI 20 FEBBRAIO - 20 MARZO Carichi di vitalità, nuove iniziative , legami fortificati col partner.. Sul lavoro andrete a colpo sicuro, quasi infallibili con la sola opposizione di Mercurio che vi farà commettere qualche errore che saprete rimediare con prontezza e decisione. Incremento di affari se siete nel campo delle telecomunicazioni, commercio, del turismo dove le vostre intuizioni saranno preziose. Qualche acciacco di tipo infiammatorio con la complicità di Marte perciò attenzione a sport o attività audaci dove strappi e contusioni sono facili. Desiderosi di novità e nuove conoscenze vi getterete con entusiasmo in tutto ciò che è nuovo specie se farete le ferie a settembre.
Gli aforismi del mese di Federico Roncoroni
LE RELAZIONI SOCIALI La buona società è una cosa necessaria: farne parte è solo una gran noia, ma esserne fuori è una tragedia. Oscar Wilde La politica sociale è la disperata decisione di operare i calli di un malato di cancro. Karl Kraus I problemi sociali non si risolvono mai: invecchiano, passano di moda e si dimenticano. Leo Longanesi Talvolta, vedendo le furfanterie della povera gente e tutti gli imbrogli degli uomini che occupano cariche importanti, si è tentati di considerare la società come una foresta piena di lari, fra i quali i più pericolosi sono proprio gli sbirri incaricati di dare la caccia agli altri. Nicolas de Chamfort E’ falso che l’eguaglianza sia una legge di natura: la natura non ha fatto nulla di eguale. La sua legge sovrana è la subordinazione e la dipendenza. Luc de Clapiers de Vauvenargues La cosiddetta buona società riconosce il valore di pregi d’ogni specie, tranne quelli spirituali: anzi questi sono contrabbando. Arthur Schopenhauer
I rapporti fondati sulla paura e sul terrore che si incute sono i meno saldi: infatti non appena paura e terrore vengono meno, chi smette di temere comincia a odiare. Tacito La società è piena di individui che facendo interiormente e abitualmente il confronto fra se stessi e gli altri, ne inferiscono sempre la superiorità dei propri meriti, agendo di conseguenza. Jean de la Bruyère Imparando a conoscere i mali della natura, si disprezza la morte; imparando a conoscere quelli della società, si disprezza la vita. Nicolas de Chamfort La società va trattata tenendo conto che è composta di persone sensibili alla corruzione, all’adulazione e al disprezzo. Usando queste tre leve non dovrebbe essere difficile dominarla. Ennio Flaiano Tutti i cittadini sono membri di uno stesso corpo, e quando uno di essi viene leso tutti debbono sentirsi offesi. Solone La società è composta di due grandi categorie di persone: chi ha più cibo che appetito, chi ha più appetito che cibo. Nicolas de Chamfort
Una società fondata sul lavoro non sogna che il riposo. Leo Longanesi
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LAST MINUTE
di FRANCESCO ANGELINI
IL DESTINO DEL CENTROSINISTRA NELLE MANI DI LUCINI Il sindaco di Como per ottenere la riconferma nel 2017 contro un centrodestra che si sarà riorganizzato, dovrà fare delle scelte in funzione del mantenimento di una quota di voti moderati L’attesa per il destino di Berlusconi coinvolge anche i moderati comaschi. Un elettorato che resta in larga parte maggioritario nel nostro territorio ma che soffre di un deficit di rappresentanza sempre più ampio. L’assenza di un parlamentare locale di riferimento (con l’eccezione del leghista Nicola Molteni), il bilancio disastroso dell’esperienza amministrativa nel comune di Como della giunta di centrodestra hanno inciso in maniera pesante su questo blocco sociale. Si tratta di parecchi voti che in parte sono andati al centrosinistra – con una preciso mandato al sindaco di Como, Mario Lucini, cioè la soluzione del problema del lungolago – o che sono finiti in congelatore, in attesa di un disgelo politico possibile solo dopo la soluzione del caso legato al Cavaliere. Tra i motivi del clamoroso e storico successo del centrosinistra nelle elezioni comunali del 2012 c’è anche questo scenario. Che però è irripetibile. Nel 2017, quando scadrà il mandato dell’attuale sindaco, è molto probabile che i voti siano stati scongelati e pronti a essere indirizzati verso una coalizione moderata. A meno che il centrosinistra non riesca a convincere queste elettori. Impresa non facile perché il voto di centrodestra è molto più ideologico di quello dello schieramento avversario che tutt’al più trova una motivazione non pragmatica nell’antiberlusconismo che però probabilmente da qui a quattro anni sarà superato dagli eventi. Per questo Mario Lucini ha davanti un compito non facile. Oltre a governare la città, dovrà infatti tentare di mantenere e ampliare i consensi moderati del centrosinistra. Con i fatti. L’amministrazione cioè dovrà tenere conto anche degli interessi di questo blocco sociale, specie una volta che sarà risolto il problema del lungolago. In questo senso l’ampliamento della Ztl, con i nuovi posti blu creati in varie zone della città e l’insurrezione dei commercianti, sembra andare in direzione opposta. Ma il fatto di varare questo provvedimento all’inizio dell’esperienza amministrativa consentirà di metabolizzarlo o magari di correggerlo in corsa venendo incontro ad alcune richieste della città. Il resto è nelle mani di Lucini. L’elettorato moderato chiede soprattutto ordine, pulizia e sicurezza. Como in questo senso non sembra messa molto bene. Tant’è che alcuni malumori nei confronti dell’amministrazione riguardano proprio questi problemi anche irrisolti. Se il sindaco e la sua Giunta riusciranno a dare risposte convincenti, il centrosinistra potrebbe giocarsi la partita con qualche chance di vittoria. Altrimenti la guida della città tornerebbe al centrodestra che ha già qualche nome da mettere in campo per aggregare il consenso. Ma ora lo tiene coperto. Al momento opportuno sarà svelato. La responsabilità di Lucini, perciò, oltre che amministrativa è politica. Il destino della coalizione è nelle mani del sindaco di Como. Un bel grattacapo in più. Come se non ne avesse abbastanza.
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130 mag