Romanzi Express Volume 1 di Giorgio Cavagnaro
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Romanzi Express
Vol. 1
di Giorgio Cavagnaro
Potrei dirvi che l'idea dei Romanzi Express mi è venuta pensando ai romanzi in sei parole in cui si cimentarono Hemingway ed altri mostri sacri della letteratura mondiale. Potrei dirvi che il livello di attenzione del lettore medio su web non va in genere oltre le 1000/1500 battute. Potrei dirvi che la sintesi è la virtù eccelsa dello scrittore, e tante altre credibili, convincentissime balle. Ma la verità è che fin da piccolo sono stato pigro, e l'occasione che mi ha dato La Rivista Intelligente di scrivere queste storie in pillole superconcentrate non potevo lasciarmela sfuggire. Buon divertimento. Giorgio Cavagnaro
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di Giorgio Cavagnaro
L'esecuzione Che nella stanza l'aria fosse cambiata si era capito subito. Il senso del pericolo ce l'aveva innato, non le sfuggiva mai il minimo movimento che potesse rappresentare un elemento di rischio ed ora la spia si era accesa, eccome. Era come se quella enorme massa indistinta (un mostro? un gigante?) si fosse improvvisamente accorta della sua presenza e ne fosse profondamente infastidita, al punto di volerla eliminare cosÏ, subito, senza pensarci due volte, in un accesso di improvvisa follia. Provò a nascondersi, a cambiare continuamente posizione per non dare al nemico un punto di riferimento, ma il mostro non demordeva e ora, anzi, era inequivocabilmente concentrato su di lei con l'intenzione precisa, anche se totalmente immotivata, di distruggerla. Un primo boato, poi un secondo, colpi andati a vuoto che sapevano di tragedia imminente, poi lo schianto decisivo. Una piccola macchia nera appiccicata al giornale, subito gettato nell'immondizia. La breve vita della mosca era finita.
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Un amore
Bertie continuava ad osservare quel volto, di cui ormai conosceva anche le minime sfumature. Una bellezza intelligente, tranquilla, animata però, a ben vedere, da una vaga inquietudine appena tradita dalla piega ironica, quasi impercettibile della bellissima bocca. Eileen non lo guardava, persa in chissà quali elucubrazioni, la testa sormontata da una massa di capelli ramati appoggiata sulle mani, probabilmente viaggiando con la mente in un universo parallelo, gli occhi scuri e vigili di chi non permette a nessuno, neanche a sè stesso, di penetrare così a fondo nei propri pensieri da poter assumerne il controllo totale. Pensieri dritti come spade e come la linea del naso perfetto, disegnato al centro di un viso asciutto e quasi scarno. Eileen è la mia ragazza, si ripeteva incredulo Bertie fino a quando il sonno non lo vinceva e cadeva addormentato, come tutte le sere, davanti all’immagine, che dal computer continuava a non guardarlo, immersa nel suo mondo virtuale e misterioso.
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Bluebird
Il bar a Coniston Water era quanto di più inglese potesse concepirsi e la giornata, grigia nonostante il luglio avanzato, pure. Vicino alla cassa, tre foto in bianco e nero ricordavano il fatto più importante mai accaduto su questo specchio d’acqua argenteo, irrealmente immobile e dritto come un fuso, incastrato nel verde cupo del Lake District: il tragico tentativo di Donald Campbell, verso la fine degli anni sessanta, di battere il record assoluto di velocità sull’acqua. Francois fu attraversato da un brivido rivedendo dopo tanti anni il volto antico e sorridente di quell’eroe che da bambino lo aveva fatto sognare, il guerriero figlio di un tempo in cui la gloria contava più del denaro, l’uomo che col suo Bluebird aveva infiammato un mondo ancora ingenuo con record a ripetizione su terra e acqua, in America ed Australia e venuto a concludere nella sua Inghilterra il folle volo di un’esistenza sempre sul filo del rasoio. In un corsivo sbiadito e non privo di una certa poesia la didascalia di una delle foto diceva che il bolide di Campbell, arrivato a metà della romantica impresa,
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gracefully hovered in the air, si era inspiegabilmente librato in aria con grazia, disintegrandosi in una nuvola d’acqua. Allora Francois capì. Capì cosa lo aveva portato lì, dopo tre ore di vagabondaggio tra laghi e colline sospesi nel tempo, testa vuota, cuore gonfio, un pensiero solo, fisso su Astrid che inspiegabilmente, con grazia, quella mattina lo aveva lasciato per sempre dissolvendosi in una nuvola di pioggia inglese.
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Vecchi amici La porta l’aveva chiusa a chiave, ne era sicuro. Ora invece era appena accostata e il cuore di Sergio sussultava, passando in rassegna nel giro di un paio di secondi tutte le possibili alternative a disposizione.
Alla fine decise come al solito di affrontare la realtà ed entrò esitante nella sua casa di scapolo incallito,buen retiro serale di giornate intensamente vuote, ora roccaforte appena violata. Ma violata da chi? Calma apparente in sala, in corridoio, in cucina. Vibrazioni in aumento in anticamera, ed eccolo là. Seduto sulla poltrona rossa vicino al letto, l’uomo lo guardava in silenzio. Nel paio di allucinanti minuti che seguirono Sergio tentò disperatamente di dare un nome a quel volto duro, cattivo ma con un barlume di familiarità negli occhi scuri e liquidi, da cane braccato.
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“Sono Andrea, ti ricordi?” Andrea. Andrea Ghira. L’assassino più feroce. Il fantasma avvistato in Sudamerica e in mille altri posti negli ultimi trent’anni. Il fascista stupratore del Circeo. Il legionario creduto morto, con tanto di tomba a Gibilterra. L’amichetto delle elementari, dalle suore tedesche di via XXI Aprile. “Ti ricordi le partitelle di pallone in giardino, Se’?” Sergio ricordava, ma non riusciva ad aprire bocca, paralizzato. Aveva visto la grossa pistola nera infilata con noncuranza nella cinta dei jeans . “Eri l’unico, Se’. L’unico a cui potevo chiedere, diciamo così, ospitalità per un paio di settimane qui a Roma.” Fu allora che Sergio capì. Capì che da quel momento le sue giornate sarebbero state meno vuote. Ma poche.
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Roma, Lisbona e Copenhagen Mai stato un solitario, Danilo. Per questo , doppiati i quaranta, si regalò un viaggio in perfetta solitudine. Ora, in genere, per cercare sé stessi e il senso della vita la rotta è quella delle Indie, a tempo indeterminato, mesi, forse anni.
Ma Danilo aveva solo quel week end libero dal lavoro, e puntò dritto all’agenzia viaggi di via del Pantheon, obiettivo un biglietto singolo per Lisbona. Per Fabiana, a ventitré anni vendere pacchetti all inclusive e last minute era il massimo. Adorava stare dietro il bancone dell’agenzia e consigliare posti che non conosceva, se non tramite le cartoline dei clienti soddisfatti. Lisbona era bellissima, abbagliante e povera, proprio come in quel film con l’attore tedesco che si perde ogni giorno di più nel sole accecante e nello spleen struggente del fado. Però condividere la tristezza di un tram che si arrampica su per l’Alfama sul far della sera solo con un panino al baccalà, anche se molto buono, non è cosa. Il viaggio successivo fu a Copenhagen, nel gelo di un novembre grigio e arcigno. Tanto freddo che Danilo e Fabiana non uscirono quasi mai dall’albergo.
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2070
Da quando quel maledetto decreto aveva abolito i "botti", il Capodanno non era piÚ lo stesso. pensava Matteo, 80 anni e 110 chili ben portati tirando fuori con un po' di affanno dal froster una bottiglia di champagne da 30.000 euro e accingendosi a scolarsela da solo, nel silenzio tombale del comprensorio dove viveva con i pochi nativi rimasti. Tutti single anziani e sovrappeso come lui. Dopo la grande crisi erano in pochi a potersi permettere una bottiglia come quella, cara come un vestito in fortex, ma Matteo a certe tradizioni non rinunciava. Il sussidio che il governo concedeva agli inabili al lavoro, in pratica i nativi, tutti ormai privi di qualsiasi capacità attiva, non era cospicuo ma consentiva di vivere con dignità nel comprensorio senza dover fare assolutamente nulla. Matteo si addormentò quasi subito, pensando a quando, solo quarant'anni
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prima, svolgeva il suo onesto lavoro di centurione da fotoricordo, davanti al Colosseo. Tutt'altra atmosfera nel grande attico affacciato sui tetti del vecchio centro, dove la famiglia Lin Tsiao festeggiava in un colpo solo la fine dell'anno, il millesimo miliardo accantonato e l'accordo col sindaco Mohamed Hassan per l'appalto della linea T della metro. Le note degli Ungureanu rimbombavano negli ultravisori di ogni casa, mentre il concerto dal vivo impazzava e migliaia di persone scatenate nel ballo, riflesse nell'enorme specchio della cupola che copriva Piazza del Popolo scandivano in coro le parole del successo dell'anno:" Grazie, Roma, core de sta cittĂ ".
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Anima immobile Povera nonna Flora, così attenta, così educata. Ogni suo gesto sembrava studiato a tavolino, per quanto era misurato. Invece era spontaneo, lei era proprio così di natura. Una vera signora. E poi mi voleva davvero bene, non ci separavamo quasi mai. All’inizio, quando è arrivato, Gianni non mi era simpatico. Musica a palla, feste, amici, donne che andavano e venivano a tutte le ore, quei mobili etnici da poco prezzo e quei rossi, gialli, fucsia dappertutto, che esagerazione. Ma in fondo non era poi così male, l’allegria si sentiva nell’aria insieme agli aromi di dubbia legalità che aleggiavano costantemente in giro. Forse troppi, ha detto quel poliziotto portando via Gianni. Adesso, che dire? La famigliola è a posto, per carità. I rubinetti non perdono più e l’ordine regna sovrano, unico rumore il sibilare delle pattine sul parquet. E il televisore, sempre acceso dalla mattina alla sera. Vediamo che succede quando arriva il bambino, già tremo.
Come? Non mi sta mai bene niente? Avete ragione. Ma anche una casa può sentirsi un po’ depressa, no?
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L'agguato
Aldo avanzava alla cieca, assonnato, un po' inebetito a dirla tutta, in quella mattinata romana di fine agosto già satura di afa e di luce radente, che illuminava il pulviscolo in sospensione rendendo tutto confuso e sfocato. I suoi pensieri stentavano a concentrarsi su concetti precisi, la serata era stata movimentata e ricca di avvenimenti e sostanze che non avevano di certo contribuito a un risveglio sereno e rilassato, mentre la giornata di lavoro lo aspettava al varco con dichiarata perfidia. I quattro erano lì, immobili, confusi nel paesaggio urbano ma nello stesso tempo inconfondibili e inquietanti come statue aliene, angeli luciferini che non conoscono pietà. Aldo capì subito, da un movimento impercettibile di quello che sembrava il capo, che le cose non si mettevano bene e che i quattro ce l'avevano con lui, solo con lui. Tentò un movimento diversivo, svagato, ma fu subito chiaro che non aveva scampo. Doveva affrontarli, e con loro fronteggiare il senso di colpa che quella maledetta mattina lo inseguiva, dal primo divieto colpevolmente infranto. Lo scooter era fermo, da un lato, e le parole fatali risuonarono nel silenzio della piazza assolata: "Patente, prego".
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Non è sera
Il sauté di cozze era rimasto quasi intatto, e l'atmosfera nel locale eccessivamente refrigerato non era delle migliori. C'era qualcosa nell'aria, qualcosa che Ercole non riusciva bene a definire, ma che lo metteva a disagio. Lui. A disagio. Un controsenso. Quasi una contraddizione in termini. Il viavai dei carrelli era continuo e il personale sembrava stranamente attivo, sarà il sabato sera, pensò Ercole che invece non riusciva a staccare gli occhi da quella bionda. Avrà avuto 25, massimo 27 anni, pelle di luna e fisico perfetto, e se ne stava lì da sola in quel posto da vecchi, dove una come lei non avrebbe mai dovuto entrare, non ora almeno, cristo. Ercole chiuse gli occhi per qualche secondo e trattenne il respiro. No, non era sera, non se la sentiva di prendere nessuna iniziativa, non lui, non ora. Con la coda dell'occhio vide passargli vicino il dottor Campigli e ne approfittò subito. Lui, quella sera, l'autopsia non l'avrebbe portata a termine.
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Un attimo
Elsa, ecco mamma che ti prende, c'è il sole, gli spruzzi d'acqua, la sabbia scotta, la maestra mette paura ma Stefano è così carino, anche Mattia però e ti accarezza no, no, fermo, papà è lì ma ora non c'è più papaaaà, il giorno più brutto in questa chiesa orrenda, piove, 109 maledetti meritavi la lode chissenefrega andate tutti affanculo la piazza, piena, i lacrimogeni, la polizia ma io non c'entro, vigliacchi ora chi lo dice a mamma, Valerio, Valerio, sei tutto, sei l'amore io ti sposo davanti a Dio e questa casa buia piccola umida meravigliosa Lavinia tesoro sei il mio tesoro ce la faremo io e te, contro tutti, grazie ingegnere non se ne pentirà, l'aumento, quanto? sì sì sìììì questa è vita, questa, Newyork è la mia città, la mia, città, sì. Non ce l'ha fatta, signorina, deve essere forte, non ha sofferto. E' stato un attimo, mi creda, un attimo.
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Giustizia è fatta Paolo Franzè non ne poteva più. Faceva caldo in quella stanza del cavolo. Triste, e pure senza condizionatore. - Barbarie - pensò spegnendo furtivamente la sigaretta sul muro esterno, affacciato allo spiraglio di finestra buono appena per smaltire il fumo senza far entrare l'afa.
- Qui siamo rimasti ai tempi di Torquemada. Gratta un po' di vernice e trovi sempre le stesse belve assetate di vendetta. Quel Gerardi non c'entrava, era chiaro. Ma come poteva dimostrarlo? Prove autentiche di colpevolezza non ce n'erano, solo indizi. Ma tutti erano contro di lui, una muta di cani feroci. E Franzè era sul punto di capitolare, dopo quattro ore di discussioni senza costrutto. La bionda, Marcelli si chiamava? era la più accanita di tutti e pur di vedere crocifisso quel poveretto avrebbe dato l'anima, se ne avesse avuto una, naturalmente. - Branco di bastardi - soffiò Franzè riprendendo, esausto, il suo posto e accingendosi a firmare il verbale. Non ce l'aveva fatta, la Giustizia stava per subire una nuova, cocente sconfitta. Il vetro del garage lo aveva rotto, con una pallonata, Mattia, figlio decenne dell'ing. Paolo Franzè, amministratore del condominio di via Montichiari 21. Altro che Gerardi e il suo ridicolo motorino.
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Dove vanno i pensieri
Lo scampanìo, in lontananza, finalmente cessò. E Alberto si sorprese intento in considerazioni che non sapeva gli appartenessero. Odiava la religione, tutte le religioni. E più di tutte quella cattolica, il cui simbolo era proprio quel suono così familiarmente, paternalisticamente, subdolamente festoso. Quasi ammiccante, poteva definirsi addirittura corrivo. Eppure quella nenia gli spaccava il cuore, lo lasciava sempre esterrefatto, per i ricordi che riusciva a smuovere. “ Perché quando, all’improvviso , mi torna in mente il fotogramma di un sogno, magari un istante solo, mi commuove fino alle lacrime?” si chiedeva Alba. “Conosci Madame Blavatsky, Alessia? Inventò la società teosofica cristiana,
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ma in realtà era una satanista. Ma in fondo Satana non è che Dio con un carattere peggiore del previsto, no?” “ Non saprei, Franz. In definitiva non mi interessa poi tanto” “Dove andranno a finire i pensieri? Milioni, miliardi di pensieri completamente inutili. Ci sarà una discarica dei pensieri, saranno termovalorizzati, o riciclati? Sono loro i fantasmi che intravediamo negli unici momenti di vera lucidità della vita, quando ci chiamano …matti?” “Stai tranquillo, Alberto, amico mio. Tocca a te, muovi quell’alfiere che hai in mano da un quarto d’ora e sbrigati, anche. Sono stufo di aspettare.Tra poco spengono le luci.”
La videocamera si solleva in volo su un bosco innevato, le voci fuori campo continuano a parlare, sempre più debolmente.
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Nighthawks Il barista sembra l'unico a non curarsi minimamente del clima sospeso che aleggia nel locale, e continua tranquillamente a sciacquare i bicchieri, col pensiero rivolto a chissà cosa, miglia e miglia lontano. Al piccolo Nathan forse, che non vedrà neanche stasera, maledetto turno di notte. O a Thelma, che lo tradisce ormai da più di un anno. La bionda col vestito rosso e il tizio con la sigaretta accesa sono uno spettacolo. Uguali, due esemplari della stessa tribù. Non c'è bisogno di parole, tra loro, si sono già detti tutto da un pezzo. Complici di una notte a pagamento? Forse. Stanchi amanti clandestini, marito e moglie reduci da un party noioso, perfino. Solitudini in vetrina, in una città disperatamente deserta ed indifferente. Col mio cappello, dall'altro lato del bancone, li osservo quasi con invidia. Sono il più abbandonato di tutti.
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Vita di quartiere
La signora col cagnolino era una certezza di Trevor, una delle poche rimastegli. La vedeva ogni giorno dalla finestra, anziana, minuta come il suo cagnolino, vestita con cura quasi maniacale per una persona di quella età, uscire dal suo portone e attraversare guardinga la strada dove abitava per poi svoltare in direzione del supermarket o di chissà dove. Il cagnolino, piccolo e dignitoso come la sua padrona, ogni tanto perdeva la calma e cominciava ad abbaiare un po' isterico verso qualcosa o qualcuno che lo infastidiva, in modo apparentemente inspiegabile. Poi, richiamato appena, recuperava in fretta l'aplomb compassato e decoroso caratteristico della coppia. Il passo della signora diventava ogni giorno un po' più lento e incerto, anche se impercettibilmente. E Trevor avvertiva la sua presenza in modo sempre più ossessivo, come se fosse diventata il suo personale indicatore del passaggio inesorabile del tempo, al punto che era terrorizzato dall'idea di affacciarsi un brutto giorno e non vederla più. Quando questo accadde non fu certo un avvenimento eccezionale, nel quartiere. Al funerale c'erano al massimo una decina di persone: il barbiere, il fruttivendolo, un paio di uomini col cappello in mano, quattro o cinque beghine. E una signora anziana, minuta, con un cagnolino. www.larivistaintelligente.it
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Regalo di Natale Alfio non era un coglione. I suoi settantuno anni li aveva vissuti, eccome. Una vita presa di petto, senza fronzoli inutili, di quelli che piacevano tanto alle sue tre mogli e alle innumerevoli amanti anche di una sola sera. Un vero collezionista, Alfio. Non un coglione, però. Sapeva distinguere bene la natura del gioco amoroso, e la sua sensibilità innata gli consentiva di evitare sofferenze superflue a sè e agli altri: chiarezza, correttezza, capacità di darsi se la situazione lo richiedeva. Ecco la ricetta di una vita sentimentale soddisfacente.
Questo rimuginava Alfio tornando a casa a piedi col referto del laboratorio di analisi in mano, nell' improvviso gelo romano di un dicembre tardivo. Un gelo che lo costringeva a guardare le luminarie natalizie un po' in tralice, sguardo chiaro e assassino infossato negli zigomi ossuti, la figura lievemente piegata in avanti ma ancora snella, intabarrata nel cappotto scuro spinato. - Non c'è niente da fare- pensava '- Certe strade nascono in un modo e gli addobbi le seguono come cagnolini fedeli. Via del Babuino, via Sistina, via Borgognona. Strade meravigliose e festoni sempre di alta classe. Via Condotti, via Frattina, lusso da commercianti, addobbi eccessivi. Via del Corso non ne parliamo proprio, e scivolando in periferia... Pensava Alfio, accingendosi a infilare la chiave nella serratura del suo portone. L'AIDS non l'aveva fregato nemmeno stavolta. www.larivistaintelligente.it
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Abbey Road Blues Suono la batteria, è il mio mestiere, ecco tutto. Senza questi tre sarei un barbiere, o un portuale. O magari sarei già morto in qualche rissa del cazzo, un coltello piantato nella pancia piena di birra e tanti saluti.
Invece eccomi qua, in posa sulle strisce pedonali insieme a tre mostri della musica del secolo. Strana la vita. Questo qui che mi cammina davanti poi, ve lo raccomando: un pazzo completo. Non mi meraviglierei di ritrovarmelo premio Nobel tra una ventina d'anni, o Presidente degli Stati Uniti, o magari guru di una Nuova Religione Mondiale. Il bello qua dietro invece, secondo me non dura. Un signor musicista, per caritĂ , chi lo nega. Ma roba per ragazzine, esaurita la vena si sgonfia come un palloncino. Tutte 'ste storie per 'Yesterday', sai quant'era meglio 'Scrambled Eggs' come titolo, come aveva detto prima. Poi l'attaccamento ai soldi, i
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insopportabile. Georgie sì, mi è sempre andato a genio. Tranquillo, gran chitarrista, peccato la fissa con l'India che gli è presa proprio fitta. Non vorrei che si trasferisse lì a fare l'asceta lasciandomi solo con questi due demòni. Ma io vado con lui, donne e fumo non mancano davvero e, ultimamente, anche certa roba nuova che ti manda in paradiso. Finita? Ok, si torna in sala a registrare. Che palle.
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Eleanor
Ho conosciuto una ragazza inglese, qualche anno fa. Che sballo, era. Pensava solo a divertirsi, sesso, bevute, risate che venivano dal cuore, mai un lamento o una maledizione verso il governo, gli stranieri, i vigili urbani, nemmeno alla luna. Perfetta per me. Portava vestiti comodi, giacche un po' sformate e gonne lunghe, se ne fregava della gente ma era carina lo stesso, perchè chi è bello è bello sempre. Una volta, per sbaglio, mi infilai il suo cappotto nero, scambiandolo per il mio: aveva le tasche piene di riso. Incuriosito, non dissi niente. Ma cosÏ, per scherzo, decisi di seguirla un sabato mattina, uno di quelli in cui usciva per conto suo e tornava senza raccontare niente di preciso.
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La vidi, confusa nella piccola folla all'uscita di una chiesa, raccogliere per terra il riso gettato per festeggiare gli sposi. Cominciai a pensare che qualcosa mi sfuggiva, che il sorriso stampato in permanenza sulla sua bocca non fosse così autentico, che lo conservava da qualche parte per indossarlo solo quando serviva, insomma non mi fidavo più. Ci lasciammo. Beh, per meglio dire, la lasciai. Non mi andava di essere preso in giro, sapete com'è. Da dove viene questa? Cosa le passa per la testa? Non vorrà mica sposarsi? Con me, magari? Però ci penso, ogni tanto. E' sparita dalla circolazione, chissà che fine ha fatto, la piccola Eleanor. Devo chiedere a Father Mackenzie, lui lo sa di certo.
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La rovesciata Ormai non gli succede quasi più. Prima, anni fa, era l'ultimo pensiero prima di addormentarsi, fisso, nell 'unico momento rimasto davvero di sua proprietà. Mezzo ubriaco. O dopo aver fatto l'amore con Ludmilla. O semplicemente dopo un poker durato tutta la notte con altri tre come lui,uguali identici. Klaus va via sulla destra, supera il suo terzino tre, quattro volte, andata e ritorno, andata e ritorno, quanto si divertiva Klaus. Il tunnel a Cesare, che quell'anno giocava con la maglia sbagliata, e finalmente il cross. Un po' troppo arretrato, però. Ma Herbert, messo lì dal destino, la spizza con quella testa piena di capelli biondi, povero Herbert che stai per morire di medicine. E la palla arriva, girando su se stessa, sospesa in aria un metro sopra la testa. La tua, testa, Bruno. E tu sei già partito in volo, l'appuntamento è fissato e sai che non puoi mancare, sai già che il tuo piede colpirà quel pallone nel gesto atletico più bello del mondo, la rovesciata. Un boato assordante, a terra fai appena in tempo a vedere la rete che si gonfia e arriva Luis urlando come un pazzo, poi Daniel, ecco Klaus, ecco Herbert, sei sommerso da una montagna di muscoli felici. E ti addormenti, sereno, in pace con te stesso e con il mondo.
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Sembra un secolo fa. Domani devi ricordarti bene, verso il ventesimo l'arbitro, quel verme di Rocchetti, fischierĂ il rigore che tu batterai centrale, appena appena a destra, Vito bloccherĂ facilmente. E vi spartirete quattrocentomila euro. A fine carriera, mica si buttano via. Per tornare a dormire tranquilli ci sarĂ tempo. E poi, come dice Ludmilla, ci si abitua a tutto.
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La societĂ ideale
Noi non usciamo mai. Diciamo, molto raramente. Se qualcuno ci vede in giro è probabile che sia per sbaglio, o per circostanze davvero speciali. Siamo un gruppo di persone molto esteso e molto aperto, difficile che abbiamo preclusioni per qualcuno. Anzi, non conosciamo proprio la discriminazione, di qualsiasi genere. In effetti non capisco come il nostro modello sociale non sia stato preso ad esempio per costruire finalmente una democrazia compiuta, realizzata concretamente in modo totalmente pacifico. Pensate che non c'è un vero capo, nè un gruppo dirigente o baggianate del genere. Forse siamo un po' anarchici, a modo nostro, nel senso che ognuno si fa i fatti suoi, senza mai intralciare gli altri. E nessuno, dico nessuno in tanti anni, ha mai protestato. Mai un fiato. A dire il vero non siamo dei grandi
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lavoratori, ma abbiamo risolto per sempre i nostri problemi riducendo al massimo desideri e bisogni, e basando la nostra esistenza sulla quiete ed il riposo. Quando vi sarete decisi, siam lĂŹ ad aspettarvi senza nessun pregiudizio, l'ho detto prima. Noi siamo i morti.
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