Antologia Caposelese di Nicola Conforti

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ANTOLOGIA CAPOSELESE

Prefazione Gerardo Ceres

Viaggio de La Sorgente verso lidi che ci parlano della vita del paese, ricchi di fascino e di suggestione


PREFAZIONE

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olo chi ha dato corpo ed anima ad un’esperienza unica ed irripetibile come “La Sorgente” poteva prima immaginare e poi realizzare questa preziosissima Antologia.

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In essa troviamo i passi più significativi di tanti e plurali autori che hanno alimentato “La Sorgente” diretta, per ben 100 numeri e lungo circa 50 anni di vita, da Nicola Conforti.

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La sensazione che si prova sfogliando questo libro è di maneggiare un’opera titanica, che si è potuta costruire solo grazie ad un intenso, appassionato e meticoloso lavoro artigianale di cesellatura giornalistica. Mezzo secolo è un tempo infinito, durante il quale anche le tecniche di realizzazione e composizione di un giornale si sono trasformate ed evolute, dall’iniziale stampa a piombo alle tecniche dei più recenti applicativi grafici.

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Nelle pagine che seguiranno, e che si consegnano – mi sia consentito – alle future generazioni di Caposele, è facilmente rintracciabile, al di là dei temi trattati, un semplice denominatore comune: l’amore per questa terra, l’amore per Caposele. Questo libro infatti può ambire ad essere una sorta di summa fatta di storia, di cronaca, di narrazione, di politica, di poesia, di fotografia (tanta foto­ grafia). Decine e decine di autori, costantemente nel tempo motivati e spronati dal direttore a scrivere, a provarci, a lasciare il segno. Così si è potuto realizzare questo anomalo miracolo che è stato “La Sorgente”.

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Dopo averla letta, auspico che questa Antologia possa albergare nelle librerie di ogni casa abitata da un caposelese, in ogni latitudine e longitudine, così da ritrovarvi un senso di appartenenza e di identità che prende ognuno che sia nato, anche soltanto nato, a Caposele o che vi risieda da lungo tempo. Ho sempre pensato a due azioni ideali da compiere al momento della nascita di un bambino: piantare un albero e regalare un libro. Per questo secondo gesto, consiglio di regalare (a futura memoria) ad ogni nascituro una copia di questa Antologia, perché resti traccia, attraverso le pagine de “La Sorgente” diretta da Nicola Conforti, di ciò che siamo stati e di ciò che vorremo essere, in una dimensione (Caposele) piccola (geograficamente), ma (emotivamente) grande come il mondo.

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A LE TE C SE LA Caposele,centro storico 1975 Antologia Caposelese

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1973 ATTO DI NASCITA DELLA PRO LOCO CAPOSELE Caposele 20 Settembre 1973 RELAZIONE INTRODUTTIVA DELL’ING. NICOLA CONFORTI NEL SALONE DELLA SCUOLA MATERNA NEL CORSO DELLA PRIMA RIUNIONE.

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( Questo atto sancisce l’inizio della lunga e gloriosa storia della Pro Loco Caposele. Alla data di oggi è ancora in vita e, in piena attività, conserva alcune tradizioni nate negli anni settanta come la Sagra delle matasse e la corsa dei Tre Campanili)

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mici di Caposele, vi ringrazio innanzitutto per aver aderito al mio invito per una riunione alla quale attribuisco notevole importanza, non fosse altro che per l’ importanza che rivestono i problemi che dovremo discutere. Farò una breve relazione per chiarire i motivi di questa riunione e per fornire alcuni elementi o argomenti di discussione su cui fondare successivamente la costituzione dell’associazione Pro Loco. Vorrei chiarire subito che cosa è e quali fini persegue un’associazione di questo tipo; è una domanda che mi è stata rivolta in questi giorni da molti degli invitati a questa riunione. La Pro Loco è un’associazione che riunisce intorno a sé tutti coloro che hanno interesse allo sviluppo turistico della località. La Pro Loco si occupa in particolare di tutte quelle iniziative che servono a facilitare e ad incrementare il flusso turistico, valorizzando le bellezze naturali della zona, studiando il miglioramento dei servizi, e promuovendo festeggiamenti, gare, sagre, convegni e spettacoli. Un apposito statuto regolerà in particolare tutte le funzioni della Pro Loco, come pure la elezione delle cariche sociali, ed i limiti di giurisdizione della stessa. Spetterà poi all’assemblea dei soci formulare tutte quelle proposte ed iniziative capaci di polarizzare il flusso turistico nella nostra zona. Fatta questa premessa, è giusto chiedersi se esistono le condizioni per uno sviluppo turistico a Caposele, o se esiste la capacità di organizzare turisticamente la località. A questo proposito posso dirvi che l’amministrazione comunale ha già fatto dei passi in questo senso incaricando una équipe di tecnici per lo studio di tutte quelle opere necessarie allo sviluppo turistico di Caposele. La relativa relazione sarà presentata quanto prima agli amministratori per l’approvazione e per la predisposizione di un programma di intervento.

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Io mi auguro che dal dibattito che seguirà, venga fuori qualche elemento nuovo o contributo positivo per la soluzione di questi problemi. La condizione prevista dal decreto ministeriale 7/1/1965 è che la presenza di una PRO LOCO in una località sia giustificata dalle trattative turistiche e da un minimo di attrezzature ricettive, con particolare riguardo agli esercizi pubblici. Ma, faceva notare l’assessorato regionale al turismo in un convegno nazionale sulle PRO LOCO, “la condizione perché ci sia una PRO LOCO deve consistere essenzialmente nella capacità di utilizzare il territorio in funzione del turismo nelle sue varie accezioni estivo, invernale, residenziale escursionistico, da ottenersi mediante la valorizzazione dei beni monumentali, artistici, culturali, l’attrezzatura di impianti ricreativi, sportivi, le attrezzature ricettive alberghiere ed extra alberghiere, la dotazione di strutture pubbliche per la cultura e lo spettacolo, ogni iniziativa, comunque, che sia capace di richiamare e di soddisfare la domanda turistica in tutte le molteplici articolazioni di cui essa si compone”. Esistono certamente a Caposele delle attrattive turistiche che bisogna opportunamente valorizzare, esistono zone di notevole adattabilità all’ espansione di una concreta attività turistica estiva, ed esiste, credo, anche la capacità e la volontà di utilizzare il territorio in funzione del turismo. Il Comune di Caposele è incluso nel comprensorio turistico del Terminio e dei monti Picentini ed è uno dei quattro comuni della Provincia di Avellino, insieme ai Comuni di Bagnoli Irpino, Ariano Irpino e Mercogliano, ufficialmente considerato di particolare interesse turistico. Inoltre, Caposele occupa geograficamente una posizione di equidistanza tra due località già affermate turisticamente come Laceno e Contursi Terme. Ciò naturalmente faciliterà il compito di convogliamento del traffico turistico nella nostra zona sempre-ché sapremo offrire qualcosa di genuino e di originale e sapremo adeguatamente organizzare ed attrezzare il nostro paese. Ma vediamo ora concretamente su quali attrattive possiamo far leva per iniziare un’azione promozionale in questo senso. A parer mio, tre sono i poli che dovremo adeguatamente sfruttare: 1) Materdomini, che già da molti anni richiama migliaia di pellegrini e devoti non solo per motivi religiosi ma anche per la eccezionale bellezza della collina e per lo stupendo panorama che offre; 2) le sorgenti del Sele, naturalmente per quel poco che rimane, e l’acquedotto pugliese per l’importanza che riveste in campo mondiale come opera idraulica; 3) il Bosco Difesa che è una nuova località, ancora tutta da scoprire. Si dovrebbe poi aggiungere Caposele centro per la possibilità che ha di creare attrezzature di impianti ricreativi, sportivi, culturali oltre che la possibilità di costituire la cerniera di collegamento e coordinamento per uno sviluppo ordinato di tutte le attività turistiche. Antologia Caposelese

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Esiste, evidentemente, ed in maniera prioritaria il problema viario: la costruenda strada Caposele-Materdomini avvicinerà notevolmente la frazione al capoluogo e ciò determinerà delle prospettive di sviluppo di proporzioni enormi. Bisognerà poi collegare la frazione Materdomini con il bosco Difesa (ed a questo proposito posso dirvi che è già stata avviata la pratica per la realizzazione di questa strada). Dovrà essere infine ultimata la strada di collegamento Oppido-bosco DifesaCaposele. Completate queste strutture di primaria importanza, si potrà dare inizio a tutta una serie di opere atte a facilitare ed incentivare il flusso turistico nel nostro paese. Ed a questo punto mi limiterò a dare soltanto qualche indicazione su ciò che dovrebbe farsi. Alla PRO LOCO poi il compito di approfondire, ampliare ed integrare questi problemi. 1) Esiste innanzitutto il problema del verde a Materdomini: è qualcosa a cui bisognerebbe pensare immediatamente requisendo almeno due aree da sistemare e verde attrezzato. 2) Esiste il problema della sistemazione del bosco Difesa che consisterebbe essenzialmente nella costruzione di stradette interne, nella scelta di una fascia da lottizzare per la costruzione di piccoli villini, nella realizzazione delle infrastrutture di prima necessità oltre che nella costruzione di alcune attrezzature di richiamo come il campo di tiro a piattello. 3) Esiste, infine, il problema delle attrezzature ricettive a Caposele come per esempio impianti ricreativi, sportivi, culturali, alberghieri; La sistemazione di una strada di circumvallazione in modo da rendere il traffico di transito più agevole e contemporaneamente assicurare un pò di quiete e di serenità a chi viene a villeggiare nel nostro paese; creare delle zone di verde attrezzato; abbellire le zone vicino al fiume, migliorare le attrezzature sportive e creare altre come la piscina ed il campo da tennis; ci sono ancora altre possibilità: poco a monte del ponte Tredogge, per esempio, e vicinissima alla costruenda strada per Materdomini, esiste una zona stupenda, ricca di verde, facilmente trasformabile. in laghetto artificiale; è quella una zona che la PRO LOCO dovrà prendere in esame per un primo passo verso la bonifica di aree meravigliose, ma sconosciute ed abbandonate. Anche a valle del ponte (e qui mi rivolgo in particolare ai fratelli Pallante) potrebbe sorgere un ristorante su palafitte con delle vasche attrezzate per la pesca privata. Sono solo alcune proposte, certamente soggettive, da prendere in esame se le riterrete valide; a queste, altre se ne potranno aggiungere e mi auguro che questo

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avvenga questa sera qui nel dibattito che dovrà seguire questa mia relazione. Mi si chiederà quale funzione avrà la PRO LOCO nella soluzione di questi problemi. Ebbene, il ruolo primario resterà sempre affidato al Comune, ai futuri enti comprensoriali ed alla Provincia. Ma la PRO LOCO, come organismo di base dovrà svolgere un’azione promozionale allargando la partecipazione democratica, intorno ai temi del turismo ed alle sue prospettive di sviluppo, a tutti i cittadini che amano il loro paese. Le PRO LOCO restano per il momento delle associazioni di fatto e non di diritto come è nello spirito del codice civile, ma esiste in questo senso l’impegno della regione perché le PRO LOCO assumano un ruolo importante di carattere promozionale. Esso dovrà essere definito dalla legge regionale anche nella previsione della costituzione dell’albo regionale. Nell’ambito poi della programmazione le PRO LOCO potranno attivarsi per la realizzazione degli obiettivi fissati dalla programmazione stessa. A questo punto io concludo la mia relazione; e concludo con l’augurio che la nascita della PRO LOCO Caposele ci veda tutti uniti sul terreno dell’ impegno serio e costruttivo, con la convinzione di poter effettivamente risolvere i problemi del turismo con realizzazioni concrete, in uno spirito unitario, animati soltanto dall’amore che tutti abbiamo per il nostro Paese.

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EDITORIALE - La Sorgente n.1 - dicembre 1973 Progetti e prospettive Nicola Conforti

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( Nasce in questa data “La Sorgente”: le varie tappe del suo lungo percorso sono sinteticamente descritte nei tanti articoli riportati in que­ sta pubblicazione e che coprono un arco temporale che va dal 1973 al 2019)

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on l’uscita di questo primo numero del giornale, abbiamo voluto mantenere uno degli impegni assunti in sede di formulazione del programma di attività della Pro Loco Caposele. Sentiamo, pertanto, il dovere di ringraziare tutti coloro che hanno voluto collaborare per una iniziativa come questa, unica nel suo genere nel nostro paese. E’ nostro vivo desiderio mantenere in vita questo giornale, che non vuole avere la pretesa di dire grandi cose ma, crediamo, potrà certamente portare la voce del nostro paese fuori dei suoi confini, allacciando un rapporto amichevole con chi è costretto a stare lontano da Caposele e con chi di Caposele conosce appena il nome e, forse, la posizione geografica. Antologia Caposelese

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Ci occuperemo in particolare dei problemi del turismo, ma non tralasceremo argomenti di attualità, problemi sociali e fatti di cronaca locale. Tenteremo di stabilire un dialogo con tutti i nostri emigrati all’estero, cercando di portare sul nostro giornale le loro esperienze quotidiane in terra straniera e facendo loro conoscere i fatti salienti del nostro paese. Una parte del giornale sarà dedicata ai problemi scolastici, ed a questo proposito invitiamo gli alunni delle elementari, delle medie e del liceo a collaborare con noi, prospettandoci i loro problemi e facendoci pervenire dei compiti particolarmente significativi su temi di attualità. Lo stesso invito, naturalmente, lo rivolgiamo agli insegnanti di tutte le scuole del nostro paese, perché utilizzino il giornale anche per fini didattici. A tal uopo, suggeriamo di costituire dei piccoli comitati di redazione, limitatamente ad una classe od a gruppi di classi, onde avviare un lavoro di gruppo da pubblicare periodicamente sul giornale. Ci occuperemo, inoltre, della storia di Caposele: sarà istituito un apposito comitato di studio per ricerche sul nostro paese. Non mancherà la pagina sportiva, né quella dedicata ai “Poeti in erba”. La collaborazione è aperta a tutti coloro che hanno a cuore il progresso di Caposele e che con linguaggio semplice e leale sanno darci una testimonianza del loro schietto interessamento per i problemi del nostro paese. Non accetteremo posizioni faziose o di parte, né daremo spazio a coloro che subdolamente potrebbero colorare politicamente un giornale, che, tra l’altro, ha come obbiettivo l’unione e la concordia di tutti i Caposelesi.

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Il LICEO SCIENTIFICO A CAPOSELE La Sorgente n. 1 – dicembre 1973 Michele Ceres (Dalla collaborazione delle forze politiche in campo, tradizionalmente avverse, nascono alcune iniziative degne di nota, tra cui l’istituzione del Liceo Scientifico. Come dire”nella concordia si vince.)

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’istituzione del Liceo Scientifico rappresenta una fondamentale conquista dei caposelesi, tesi verso traguardi culturali e sociali una volta impensabili. L’ indiscutibile che nello spazio di poco più di venti anni l’Italia ha conosciuto una rivoluzione nel campo dell’istruzione pubblica. La scuola che non oltre venti anni orsono era appannaggio di pochi preferiti o fortunati, perché nati da genitori che potevano permettersi lo sforzo finanziario di avviare i loro figli agli studi, è oggi accessibile a tutti, qualunque sia la provenienza sociale degli

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studenti; accessibile grazie anche al decentramento dei centri scolastici, che ha permesso a paesi rurali, come Caposele, di avere oltre alle scuole dell’obbligo anche degli istituti di istruzione secondaria. La popolazione scolastica, pertanto, è aumentata vertiginosamente nel breve spazio di pochi anni, con notevoli conseguenze circa il modo di pensare delle giovani generazioni. Questo il fatto più significativo dell’istituzione del liceo scientifico, che sarà sicuramente uno strumento idoneo per evolvere la tipica mentalità paesana, sprovincializzandola, per rendere le masse coscienti dei loro diritti ed anche dei loro doveri, non essendo più ancorate ad inveterati pregiudizi che da secoli hanno rappresentato se non il principale, uno degli ostacoli per lo sviluppo del mezzogiorno. Infatti, l’odierna prospettiva sociale della scuola, in seguito alle rapide e profonde trasformazioni tecnologiche, è impostata su una duplice esigenza: da un lato ampliare gli orizzonti delle coscienze per vincere i pregiudizi di razza, di nazione e di classe, attuando concretamente una sempre migliore giustizia sociale per tutti, e dall’altro di aiutare gli individui nella complessa vita quotidiana, ad adattarsi operosamente nel modo più proficuo per sé e per la società, alle nuove strutture. Il liceo scientifico, oltre ad essere importante per Caposele quale istituzione in sé, acquista un notevole valore per i paesi viciniori, le cui popolazioni possono abbastanza agevolmente frequentarlo, senza essere costrette a lunghi spostamenti e senza sopportare eccessive spese. Il corso di studi articolato, come risaputo, in cinque anni permette, una volta conseguita la maturità, il libero accesso a tutte le facoltà universitarie. E’ un corso di studi moderno, in quanto oltre alle tradizionali discipline classiche, sono oggetto di studio, particolarmente, quelle scientifiche, atte quindi a rendere completa la preparazione dei frequentanti che potranno accedere ai corsi universitari, senza difficoltà. Il nostro augurio va agli alunni volenterosi, affinché con profitto si avvalgano di questa scuola, che altri prima di loro, forse non meno volenterosi, per ragioni economiche, non hanno potuto frequentare. Il nostro augurio va anche ai professori, che con la loro opera contribuiranno, con affetto, ed elevare culturalmente la nostra gioia. Particolare esortazione la Pro Loco rivolge ai caposelesi, affinché sorreggano il liceo con costante interessamento, perché soltanto nella più sincera collaborazione tra scuola e cittadini si promuove nella famiglia consapevolezza e saggezza per la migliore educazione dei figli, affinché possano valere nella comunità democratica, nella piena maturità di attori autonomi e consapevoli e non soltanto col peso numerico della loro massa.

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1974 UN DISCORSO CHE PROSEGUE La Sorgente n.2 - Febbraio 1974 Ferdinando Cozzarelli (La sorgente nasce per operare, in uno spirito di collaborazione fra tutti, il miglioramento ed il progresso del paese, giacché vuol essere una palestra nella quale, escluso l’esibizionismo, tutti, con la modestia, che è la prima virtù, possono cimentarsi apportando il loro concreto contributo.

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“La Sorgente”, un nome, una iniziativa, come tante altre. Sorse così, la “Pro Loco”, pochi mesi addietro, in una serata di amichevole conversazione, quando a Caposele, meraviglioso ed amato paese d’Irpinia, nelle tiepide serate estive ci si riunisce tutti, avanti ad un bar o in un angolo di strada, “rimpatriati” dai luoghi lontani di lavoro. Fu un’iniziativa egregia, portata subito a realizzazione, con traguardi non lusinghieri, ma con programmi obbiettivamente raggiungibili nei limiti del suo statuto, specialmente se assistita dalla collaborazione, come già fino ad oggi ne è stata data prova delle autorità locali, provinciali, regionali e centrali. In egual maniera, come per caso, sorse l’idea di un foglio dì informazione (inserito nel programma della “Pro Loco”) che appunto non poteva essere denominato se non ‘La Sorgente”. Un’altra realtà, oggi, un’altra conquista della volontà, un punto “cancellato” del programma che dischiude contemporaneamente nuovi e più vasti orizzonti. E’ un giornale, perché così si usa chiamare ogni forma di pubblicazione periodica a stampa che intenda divulgare, anche oltre certi confini ambientali e territoriali, fatti, notizie e cronache; ma è un giornale che, se pur non ospita, almeno net suo sorgere, firme “qualificate”, tuttavia ha la certezza di non tradire gli scopi per cui è nato: operare, cioè, in uno spirito di collaborazione fra tutti, per il miglioramento ed il progresso del paese, giacché vuol essere una palestra nella quale, escluso l’esibizionismo, tutti, con la modestia, che è la prima virtù, possono cimentarsi apportando il loro concreto contributo. La certezza che ne deriva, alimentata invalicabilmente dalla ferma volontà di perseguire alcuni ideali — quelli intramontabili che non subiscono mai l’usura del tempo né l’azione denigratrice di pochi — sarà la linfa che quotidianamente alimenterà te migliori azioni. E, con la certezza, l’augurio che questa meravigliosa iniziativa trovi sempre lo stimolo e la sorgente inesauribile di nuove idee, di altri pensieri, di altri fatti concreti. Inoltre un ringraziamento: a tutti quelli che non si sono risparmiati nell’’offrire la loro collaborazione, materiale e morale, valida e produttiva; agli amici che hanno creduto fermamente dandoci coraggio e sprone; a quelli che ci hanno, sentendone l’eco, fatto pervenire la loro adesione ed il loro incitamento.

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A tutti, ripeto, un sentito ringraziamento che, toccando il profondo dell’animo, si tramuta anche in un grato pensiero ed in una promessa: quella cioè di vivificare l’ambiente, di contribuire a risolvere i problemi locali ed a far si che gli stessi trovino neh” immediatezza del tempo la loro soluzione, di non venir meno alle aspettative riposte da molti e che sono di tutti, a non abiurare a taluni principi che sono sacri, di non lesinare nell’affermare la verità per la difesa dei valori morali e sociali. Infine un saluto: ai lettori, ai cittadini, amici, conoscenti, a quelli lontani — e particolarmente a questi —, nelle varie regioni d’Italia, di oltr’Alpe e nelle Americhe che con il loro sacrificio ed il loro proficuo lavoro contribuiscono a rendere sempre più prestigioso il tradizionale nome del nostro paese.

FERDINANDO COZZARELLI – Napoli, 24/3/1974 – La Sorgente n.3

(Tutto è frutto di un divenire logico che ha le sue radici nella con­ cretezza dei fatti, nella premessa seria delle azioni, nella fondatezza delle buone idee)

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aro Direttore, ti ringrazio per aver ospitato, ed in prima pagina per giunta, il mio intervento, sul giornale “La Sorgente” da te sapientemente diretto. Ringrazio, ovviamente, anche il responsabile, amico Ceres Michele, e tutti quelli che mi hanno letto. Ti prego, ora, in un angolo questa volta, di ospitare anche le presenti poche righe intendendo rivolgere a te il mio fraterno augurio nonché il compiacimento per il lusinghiero successo che già ha avuto il giornale. Mi riferisti, invero, nel nostro ultimo breve incontro, del tuo meravigliato rallegramento per aver dovuto preventivare, tale è stata la risonanza e la richiesta del giornale, la tiratura di ben mille copie. Anch’io ti ascoltai con stupore non disgiunto da una frenata gioia. Credimi, non per incredulità o titubanza! Solamente atteggiamento riflessivo della mente e moderata proiezione dell’animo alla percezione di tale notizia. Oggi, a distanza di qualche giorno, nella serenità della valutazione della notizia che mi desti, traggo la conseguenza - apparentemente in contrasto col primo impulso espressoti - che tutto è frutto di un divenire logico che ha le sue radici nella concretezza dei fatti, nella premessa seria delle azioni, nella fondatezza delle buone idee, talché è facile dedurre, senza peccare di formalismo, che lo stupore, Antologia Caposelese

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la meraviglia e la gioia, pur nel loro immediato tumultuoso arroventarsi, non sono altro che le componenti di un’unica espressione che garantiscono il riconoscimento all’opera dell’uomo. E la tua opera, pur nella attuale dimensione, è apprezzabile, è degna di lode: perché il giornale, così come concepito, (anche bello nella sua veste tipografica) che consente l’ingresso a tutti, oltre ad essere, nei tempi attuali, il primo e vero simbolo della libertà e della indipendenza dei valori morali e spirituali, si da garantire la pienezza delle espressioni, ed essere per molti dei nostri compaesani, costretti per esigenze di lavoro a trovare sistemazione altrove, il vero ed il più idoneo dei legami che ristabilisca il contatto con la terra di origine, è certamente il mezzo più efficace, oltre a tanti altri pregi che è superfluo elencare, per proiettare nello spazio le notizie del nostro ambiente e con esso la propaganda non utilitaristica, della presenza in loco di strutture e bellezze naturali tali da garantire al turista più qualificato un soggiorno estivo ed invernale, comodo, distensivo e ricreativo. Essa, però, é anche ardua e nello stesso tempo impegnativa: da insidie, critiche, lotte, non sarai probabilmente graziato. Queste potranno logorare, far titubare, disarmare e far rovinare il magnifico edifìcio delle idee e delle azioni che vai erigendo. So però che non ti fa difetto, né il coraggio, né l’impegno: anzi, come nel tuo costume, con la compostezza mentale che ti distingue, così come non innalzerai orgogli, ugualmente sarai cosciente che il cammino è ancora lungo e che ogni meta raggiunta altro non è se non l’inizio di una nuova tappa da percorrere. Ad majora.

HA UNA STORIA CAPOSELE?

Michele Ceres – La Sorgente n.2 – Febbraio 1974

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uasi certamente le origini di Caposele non sono recenti. E’ luogo comune che il nostro paese abbia una sua storia, anche se incerte e discusse sono le origini. Ad eccezione di una pubblicazione del Santorelli “Il Sele e i suoi dintorni” che accenna molto sommariamente a qualche notizia di carattere storico, non esistono altre opere degne di particolare rilievo, miranti ad un’indagine storica accurata ed approfondita. Infatti se discutibili ed incerte sono le origini della nostra cittadina, ciò è dovuto essenzialmente al fatto che mai ci si é preoccupati di avviare degli studi sistematici. Erroneamente, ad esempio, per molto tempo si è ritenuto che l’arma civitatis di Caposele fosse un leone, dalla cui bocca sgorga acqua in abbondanza; anche erroneamente si è pensato, in seguito, che l’emblema fosse costituito

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da tre vette di monti e da un drago alle basi, dalle cui fauci sgorga un profluvio di acque ed intorno si legge: “Silaris spectabile Caput”. Infine su richiesta dell’Amministrazione Comunale l’Istituto Araldico ha ritenuto quale legittimo emblema del comune di Caposele la seguente blasonatura: D’Azzurro, a 26 bisantini d’argento, gli ultimi 6 posti sulla destra e sinistrati da una testa e collo d’aquila al naturale uscente in banda dal canton sinistro della punta; a tre gigli d’oro in capo, ordinati in fascia, ciascuno in corrispondenza ai bisanti centrali della prima fila. (V. foto dell’emblema e relativa relazione dell’Istituto Araldico). Questo esempio è sufficiente a convalidare quanto affermato precedentemente sulla contraddittorietà di certi luoghi comuni, quando non sono illuminati ed avvalorati da una seria ricerca storica. Il voler svolgere un’indagine in tal senso è cosa alquanto difficile, in quanto fa difetto la ricerca delle fonti, l’analisi dei documenti, una rievocazione storica precisa sul ruolo dalla nostra gente nel processo di sviluppo e di evoluzione della società meridionale; ragion per cui si richiede l’apporto e la collaborazione di quanti in possesso di quei pochi documenti, utili e validi ai fini del nostro studio. Voler fare una storia di Caposele, significa, quindi, tracciare le linee della partecipazione del popolo alla formazione della proprietà e del reddito, il modo con cui ha reagito ai vari eventi che l’hanno interessato, in quanto compito della moderna storiografia è quello di studiare attentamente le classi sociali, lo sviluppo economico, la spiritualità la religiosità le varie forme di superstizione della società. I documenti di cui potrebbe avvalersi il nostro studio non saranno abbondanti, ma per quanti pochi possano essere saranno sufficienti per delineare un disegno storico della nostra terra, se consultati con serio impegno scientifico da quanti abbiano interesse a collaborare.

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LA PRIMA FESTA DELL’EMIGRANTELa festa del ritorno e dell’incontro - Agosto 1974 – La Sorgente n. 5 di Ezio Maria Caprio (Prepariamoci a celebrare tutti uniti questa festa che per la prima vol­ ta si organizza in Caposele, in questa verde culla di civiltà, e ritroviamoci, tentando anche insieme I’ ardua ascesa verso . . . l’albero della cuccagna!)

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ientra in questi giorni l’emigrante. C’è chi era partito dal paese ancora ragazzo e vi ritorna dopo lunghi anni a ritrovarvi la vita, e viene da molto lontano, da sponde un Antologia Caposelese

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EZIO MARIA CAPRIO

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tempo raggiunte su vecchi piroscafi e con in mano la famosa “mappatella” ed in cuore una grande tristezza ed una sola speranza: quella del ritorno. C’è chi si è spinto meno lontano: è partito in lunghi treni con la valigia di cartone meglio chiusa con lo spago, a volte per il solo giovanile desiderio d’evasione e per l’ansia di conoscere un mondo nuovo, più spesso per una esigenza di sopravvivenza, ma sempre portando con sé un comune struggente ricordo e imparando a conoscere il nuovo amaro sapore d’un pane diverso. C’è, infine, chi non è andato al di là dei nostri confini; magari è partito col diploma o perfino con la laurea ed è anche questi emigrante, perché identica è la causa che lo ha sospinto a partire, della stessa natura è la nostalgia del proprio paese, medesima la ragione che lo vede tornare. Nasce così una nuova sorta di emigrazione e il nostro paese esporta sempre più “materia grigia” mentre i cervelli che rimangono, per non divenire sottoproletariato intellettuale, si cimentano nel tentativo, a volte vano, di sfuggire all’ammasso e al rischio di porsi all’asta ed alla mercè dei politicanti di turno. Ed è quest’ultima la più tragica realtà e l’aspetto socialmente più rilevante e preoccupante. Ma intanto cerchiamo tutti di trarre le opportune e doverose conclusioni. Ciascuno, infatti, ritorna intanto e, ritornando, ritrova se stesso e gli amici e quivi attinge nuove vitali energie per gli ulteriori sbalzi di maggiori e più proficui successi. Qualcuno ha incontrato meno fortuna o, forse, ha imparato ad ostentare meno l’agiatezza raggiunta e dimostra così di aver conquistato un bene più importante ed una più civile regola di vita. Ebbene, da tutti costoro, nostri amici di ieri e di sempre, ci viene un insegnamento qualificante che noi dobbiamo cogliere nel suo più profondo significato: essi, che ormai si sentono e sono cittadini del mondo divenuto senza confini, essi, che ci testimoniano in ogni modo la loro presenza o il loro ricordo e che onorano il nostro paese, essi, che hanno in cuore sempre un bene comune — Caposele — ci invitano ad una generale concordia e ad una sostanziale unità e ci sembra ammoniscano quelli che sono rimasti a non essere e a non sentirsi stranieri in patria, veri emigranti erranti negli aridi deserti mentali. Caposele e Materdomini In questo spirito e con questo animo prepariamoci a celebrare tutti uniti questa festa che per la prima volta si organizza in Caposele, in questa verde culla di civiltà, e ritroviamoci, tentando anche insieme I’ ardua ascesa verso . . . l’albero della cuccagna! Ciò che è in palio — ricordiamolo, naturalmente, a noi stessi — non e però un personale successo o tornaconto, ma il progresso di tutto il paese che certamente a tutti sta a cuore.

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1979 UN ANNO A CAPOSELE – Ottobre 1979 – La Sorgente n. 21 di Luisida Caprio (Con la bella poesia “Mia Terra, mio Paese”, sulle note della Sinfonia di Rachmaninof alla quale, assieme ad altri stupendi brani di Chopin, Schu­ bert, Chaikovscky, è affidata la colonna sonora, prende “il via” il film.)

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l Ferragosto, quest’anno, ha riservato per i suoi ospiti una lieta sorpresa, un film documentario dal titolo: “Un anno a Caposele”, dedicato alla compianta ed indimenticabile figura del Sindaco Francesco Caprio. L’attesa e la curiosità iniziali sono state compensate al termine della proiezione da un grande successo, sottolineato da sentiti e calorosi applausi e dall’unanime convinzione di aver assistito ad un’opera di livello professionale che merita di superare gli angusti spazi riservati al film d’amatore. Il merito di aver pensato alla realizzazione di questo lavoro va a Nicola Conforti, il quale l’ha potuto portare a termine grazie alla perizia di validi collaboratori quali Antonio Maresca e Nicola Conforti junior, per le fotografie e le riprese cinematografiche, Vincenzo Malanga, per il commento e le poesie, quasi tutte sue, Donato Conforti, per la “voce” fuori campo. Un’ora e più di spettacolo che scorre velocemente, senza concessione alcuna a stanchezza e noia, con sequenze concatenate in maniera logica, colori splendidi, inquadrature suggestive sottolineate da osservazioni curiose e frasi poetiche dette in tono caldo ed espressivo. Ottima la sceneggiatura che ha affidato il filo conduttore alla natura che testimonia, con il ritmico alternarsi delle stagioni, il trascorrere del tempo. Veramente un film professionale con contenuto denso ed esauriente che bene giustifica il sottotitolo: “Impressioni di un turista”. Con plasticità le immagini si susseguono passando da scene idilliche a scorci di vita quotidiana, da episodi folkloristici a ricorrenze religiose: tutto ciò che in un paese può colpire l’interesse e la fantasia di un visitatore, ma che solo un vero “figlio” di Caposele poteva rendere così permeato di sentimenti di amore, attaccamento, riconoscenza. Con la bella poesia “Mia Terra, mio Paese”, sulle note della Sinfonia di Rachmaninof alla quale, assieme ad altri stupendi brani di Chopin, Schubert, Chaikovscky, è affidata la colonna sonora, prende “il via” il film. E’ Primavera, la cinepresa indugia tra il verde tenero dei prati ed i primi fiori serrati intorno ai rami degli alberi, scoprendo con il suo occhio curioso i particolari della Chiesa Madre, la vetustà della Croce di Sant’Angelo, le vestigia del Castello che acquistano sapore di documento di storia dell’arte. Suggestive nella malinconica dolcezza del crepuscolo le immagini della processione del Venerdì Santo con l’accompagnamento dell’antico suono del crepitacolo ed il mistico sfilare della statua di Cristo deposto. Antologia Caposelese

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L’ampio respiro delle successive scene del lavoro dei campi, il rito del governo degli armenti, del ritorno augurale degli uccelli è interrotto da sequenze di un’irruenza incontenibile: le acque del Sele che precipitano con tutta la loro forza nel vecchio letto del fiume, finalmente libere, anche se per breve tempo; sono le acque in eccedenza che non vengono convogliate nell’acquedotto Pugliese, ma che si sperderanno a valle, sino al mare. Ancora immagini di tripudio e solennità per la festività del Corpus Domini, inquadrature divertenti e coloratissime per la Fiera di Santa Lucia ed ecco che l’anno avanza mentre la cinepresa fissa immagini di giochi di bimbi al termine delle fatiche scolastiche e di interminabili passeggiate in via Roma. Intanto la natura si riveste di verde intenso, la terra dà i suoi frutti migliori, in campagna fervono i lavori della raccolta del grano. Caposele si prepara alla grande Estate e l’Estate non può essere identificata se non nell’ormai celebre “Ferragosto Caposelese”. Il commento musicale cambia, da dolce e romantico diviene scherzoso, quasi un “salterello” per accompagnare scene esultanti di incontri sportivi, di vittorie agognate e conquistate, flash veloci di giochi in piazza e di avvenimenti ormai consueti nel calendario delle manifestazioni estive. Sono inquadrature veloci, testimoni di momenti di spiensieratezza: gli ultimi, quasi a significare che con Agosto si chiude una parentesi di evasione e che a Settembre la vita operosa riprenderà dopo la pausa estiva. Ed a conferma di ciò ecco la drammaticità delle scene successive, volutamente contrastanti. E’ il documento filmato di un evento accaduto e purtroppo sempre minaccioso: un violento nubifragio abbattutosi con tutta la sua forza distruttrice sul paese e sulla campagna circostante. Sono immagini di devastazione, ma nel contempo immagini di solidarietà umana che si rivestono poi di fervente religiosità quando, nel mistico raccoglimento della Chiesa di Materdomini, con devozione si ringrazia il Santo per lo scampato pericolo. La poesia del Carducci sembra aver ispirato le scene dell’Autunno. “La nebbia agli irti colli” ed infatti il film ci offre visioni di alberi spogli, stormi di uccelli pronti a migrare, carri traboccanti di grappoli d’uva, camini che fumano in una luce smorzata che attenua tutti i colori e che bene si addice alle scene seguenti dedicate al giorno dei Morti, quando tutto Caposele rende omaggio a chi non c’è più. La macchina da presa si posa sulle tombe fiorite, su quelle dimenticate, sui volti dai quali traspaiono gli stessi sentimenti di mestizia, dolore, nostalgia. Ma la vita continua ed anche il film non si ferma. E’ inverno. Il Freddo invita a stare nel tepore delle pareti domestiche: un’ottima occasione per aprire una parentesi di carattere culinario. Ed ecco il rituale dell’uccisione del maiale, che, nutrito e accudito amorevolmente tutto l’anno, è ridotto poi in succulenti prosciutti, “sopressate”, capicolli, tra la festante esultanza di tutti. Seguono gustosissime riprese di esperte massaie che si cimentano nella fattura di prodotti

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caratteristici: i fusilli e le matasse. Quella del film è una matassa gigantesca, lavorata con abilità eccezionale e l’occhio della cinepresa indugia con golosità sul veloce scorrere tra le dita del “filo” di pasta che diventa sempre più sottile, senza mai spezzarsi, in cerchi via via più larghi. “Sembra una ruota di un camion” qualcuno ha commentato in sala. La pellicola volge alla fine. La neve cade lieve e silenziosa. La fotografia si adegua acquistando la suggestione del bianco e nero, mentre le inquadrature rendono perfettamente l’immagine del paese che ha vissuto intensamente un lungo anno e che ora ha desiderio di riposarsi. Tutto è quiete, pace; unico segno il fumo che esce grigio e gonfio dai camini di ogni casa: il respiro del paese che pare addormentato.

OTTO MESI DOPO IL TERREMOTO EDITORIALE Nicola Conforti – La Sorgente n. 23

(L’entità del disastro ci appare ora nelle reali dimensioni: un paese sconvolto da lutti e distruzioni, un tessuto urbano cancellato o irrime­ diabilmente alterato.)

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opo otto mesi da quella terribi­le sera del terremoto, riprendono lentamente tutte le attività, ripren­ de “La Sorgente”, riapre la Pro Lo­co. Questa edizione speciale del gior­nale porta il numero che ricorda, fatalmente, la data di una catastro­fe che tanto dolore e tanta coster­nazione ha seminato nelle famiglie di Caposele. Più di sessanta vittime ed oltre il sessanta per cento delle case di­strutte, sono il tragico bilancio del terremoto del 23 novembre scorso. L’entità del disastro ci appare ora nelle reali dimensioni: un paese sconvolto da lutti e distruzioni, un tessuto urbano cancellato o irrime­ diabilmente alterato. Resta la grande forza morale e di operosità dei Caposelesi. Ci sostiene l’amore e l’attacca­mento per ciò che rimane del no­stro paese. Ci incoraggia il ricordo delle vittime della catastrofe e lo spirito di solidarietà e di abnegazione di amministrazioni e organizzazioni di ogni parte del mondo. Da questi sentimenti sapremo trarre la forza, la volontà e l’impe­gno per una grande opera di rina­scita e di ricostruzione.

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1981 CAPOSELE:ricordi e pensieri – La Sorgente n. 23 - Luglio 1981 di Vincenzo Malanga

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La luna splendeva nel cielo furibonda, sembrava impazzita, presaga, quasi voleva avvertire che, dopo poco, ci sarebbe stata la catastrofe; con la sua luce chiara dava essa alle cose un aspetto inconsueto e suggestivo”). E’ il componimento poetico e suggestivo scritto da Vincenzo Malanga all’indomani del terre­ moto e che fa da commento al documentario “Caposele, ricordi e pensieri” girato nel gennaio del 1981.

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ol tremito del devoto che apre il reliquario, mi accingo, dopo nove mesi circa dalla terribile sera del terremoto, a percorrere, col pensiero che mi segue furtivo e leggero come un’ombra, benché lo scacci continuamente, la fisionomia del mio paese di prima, quello che era prima del tragico, inatteso evento. Nella mia mente, e credo nella mente di tutti, Caposele, fuor di retorica, appare ancora come un gioiello, un rubino incastonato nelle nuvole. Ognuno di noi per essa era preso da gran fiamma di passione; ci appariva giovane, e la sua giovinezza sembrava potesse resistere contro tutte le corruzioni, persistente a somiglianza di un metallo inalterabile, di un aroma indistruttibile. Ognuno di noi si abbandonava tranquillo, pago a godere i colori dei suoi piccoli quartieri, ad ammirare la freschezza delle sue case, si soffermava ad assistere ai giochi dei bimbi nelle piazze, all’abbandono dei fanciulli che esprimevano fantasie piene di grazia, di freschezza e di ardore. D’estate, chi era costretto “a sciogliere il proprio destino altrove”, tornando in questa terra tornava all’unità delle forze, dell’azione primitiva, della vita; riconquistava la confidenza e la spontaneità che riperdeva appena fuori di Caposele. E non era una fallace purificazione, ma un’elevazione del sentimento verso la casa degli antenati, la casa nuova costruita o ricostruita con sacrifici, verso gli amici dell’infanzia, verso la mamma o gli altri familiari; era un’elevazione del sentimento per la giovinezza lontana: chi tornava sapeva dire a mente il colore e, qualcuno, anche il numero delle pietre delle strade, e sapeva descrivere nei dettagli i punti, gli angoli, la forma delle porte prospicienti i vicoli, che ora, sono solo un ricordo. Ammirava la piazzetta del piano, tondeggiante. candida, ampliata dal candore delle case e della chiesa intorno, raggiante come un’acropoli olimpica sul paese silenzioso. E l’anima si riempiva di godimento e di commozione proprio dinanzi alla chiesa, che, divina, sovrastava tutte le cose, e, sotto, si apriva la tazza della piccola fontana zampillante il cui puttino, semidio, con le mani incrociate sugli

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occhi, si difendeva dallo zampillo che una rana scherzosa gli spruzzava con puntiglio, e intorno alla tazza tanti altri zampilli convergenti. Era elevazione del sentimento la vista del castello; esso appariva un gigante posto a guardia del passato, nume tutelare del larario della stirpe vetusta di Caposele; la sua solennità augusta riempiva l’anima di orgoglio. Poi, venne quella triste sera... La luna splendeva nel cielo furibonda, sembrava impazzita, presaga, quasi voleva avvertire che, dopo poco, ci sarebbe stata la catastrofe; con la sua luce chiara dava essa alle cose un aspetto inconsueto e suggestivo. E tutti noi, ignari, avvertimmo un’insolita tranquillità. La luce della luna divenne quasi vermiglia. La terra tremò per quasi 90 secondi. Subito dopo tutte le cose biancheggiavano come una sola, unica selva informe, perdute in un vapore di polvere, avvolte da un’immaterialità inesprimibile, in un chiarore agghiacciante che si fermava ai confini del paese senza poter fendere l’oscurità: e gli alberi sembrava rameggiassero in un’altra atmosfera o in un’acqua cupa, in un fondo marino simili a vegetazioni oceaniche. Tutto apparve come una composizione di straordinaria potenza fantastica, una danza di scheletri nel cielo notturno, guidata dalla morte flagellatrice. Ora, sulla faccia impudica della luna correva una nuvola nera, mostruosa. Intorno a noi l’attitudine del terremoto, tetro corifeo del momento, si esprimeva con un’indicibile vitalità nella realtà spirante, mai raggiunta da altro artefice di morte. E fummo invasi da angosciosa impotenza; in ginocchio, increduli, come avvolti nelle spire di un sogno cattivo. La realtà, non fu più realtà. Camminammo sui morti sparsi nelle vie, in croce sulle macerie, affioranti dai sassi e avvolti nella polvere, schiacciati nelle automobili. Fummo soli, freddi, arsi, in cerca di pietà, della nostra pietà, di noi stessi. Mi chiedo se a distanza di nove mesi ci siamo ritrovati. In parte sì. Ma vi è ancora tanto cammino da fare. E la strada da percorre è in salita... Noi dovremo percorrerla con i più piccoli sulle spalle; a loro non dovremo lasciare l’eredità di questo terribile evento. Dio ci darà la forza di superare gli ostacoli e, sia pure non in tempi brevi, riavremo la nostra Caposele bella e ridente come prima, consapevoli che la vita vince la morte, che l’amore vince l’odio, che la bontà vince la cattiveria. E’ già sono evidenti i segni: intorno all’amata terra è l’azzurro metallico dei suoi monti, l’occhio vigile e protettore del Santo della collina; vicino è il cuore dei caposelesi, un cuore i cui palpiti sono di ansia sincera per la rinascita e la ricostruzione.

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“FIORI TRA LE ROVINE – Ottobre 1981 –La Sorgente n.24 di Luisida Caprio Dopo un anno dal terremoto il paese è ancora coperto qua e là di ma­ cerie. “ Le rovine giacciono ancora, mute testimoni dolorose, ma quanti fiori sono nati fra di esse!”

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’atmosfera di quel giorno di novembre non poteva essere diversa: il dolore, la disperazione, l’incredulità di una simile tragedia appena compiutasi, tormentavano l’animo di ciascuno e niente di raccontato o letto era paragonabile a ciò che con crudo e spietato realismo si offriva agli occhi feriti da tanta distruzione, ma pur sempre ansiosi di vedere. Ho trovato Caposele, in quella visita fatta come al capezzale di un caro moribondo che in vita ti è stato vicino ed ha dato momenti sereni, immerso in un desolante abbandono, percosso da un vento gelido ed impetuoso. Le ruspe avevano iniziato la loro implacabile e fredda opera tra le macerie che emanavano riflessi spettrali. Figure incappucciate si aggiravano senza meta apparente, mentre, più in là, si stavano organizzando i soccorsi. Qualche parola, qualche cenno, cercando timidamente di esprimere il proprio sentimento e la desolante sensazione di non riuscirci, come se non si fosse degni di partecipare, neanche con le parole, al lutto che tanto crudelmente ed impietosamente aveva colpito il paese. Al momento del distacco, poi, la consapevolezza della propria nullità, dell’esiguità dell’essere umano di fronte a simili, incontrollabili forze della natura, un infinito rispetto e tanta pietà per chi non c’era più e per chi doveva incominciare tutto daccapo. I mesi sono trascorsi, tante cose sono state dette e scritte e l’immagine di come poteva essere Caposele era andata via via formandosi sulla scia delle parole ora sentite ora lette. Giunta l’Estate e con essa Agosto, non si poteva mancare, per infinite ragioni, all’appuntamento caposelese. La sera dell’arrivo era calma e serena; la strada interpoderale sembrava ancora più tortuosa e sconnessa. In alto, prima di imboccare l’ultima curva che ostacolava la vista del paese cercavo di indovinare ciò che avrei visto, ma nella mente si sovrapponeva sempre la drammatica immagine di quel lontano giorno di Novembre. Dal fondo della valle tante luci accolsero per prime lo sguardo e, man mano che l’auto si avvicinava, ovunque si potevano scorgere testimonianze di una vita ripresa, segni tangibili di un caparbio, legittimo desiderio di rinascita che dapprima infondevano un senso di incredulità e poi di commosso stupore ed ammirazione. Ed il giorno dopo, una giornata di sole esultante e di cielo limpido, la conferma: Caposele non era morto, il ricordo di quel triste

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giorno poteva quindi essere rasserenato dalla realtà ben visibile e significante. Non più desolante groviglio, ma una visione più composta delle cose distrutte e di quelle da salvare: strade sgombre e percorribili, mezzi pesanti carichi di materiale e macchine da lavoro in funzione, mentre in zone diverse il sorgere di razionali ed efficienti villaggi per gli abitanti in attesa di ritornare nelle proprie case. Qua e là, accanto ai resti della tragedia si sta rientrando con coraggio e volontà, nello scorrere normale della vita, impegnandoci nella ripresa delle molteplici attività quotidiane, nel ritrovamento sia per i grandi che per i piccoli, del proprio posto nella famiglia e nella società, nella ardua e difficoltosa fase di ricostruzione. Certo le ferite sono presenti, dolorose e vive più che mai, certo la comprensione, la collaborazione, la pazienza dovranno essere infinite, come infinita sarà la nostalgia di Caposele com’era: il suo aspetto da Presepe, le caratteristiche stradine tutte gradini, le sue case in pietra viva. Ma le campane della vecchia Chiesa Madre suonano ancora, la passeggiata in via Roma è ancora rituale, come le ultime chiacchiere sugli scalini della scuola e la sosta davanti alla Pro Loco che, sorprendentemente ripristinata, ha riaperto i suoi ospitali battenti. Le rovine giacciono ancora, mute testimoni dolorose, ma quanti fiori sono nati fra di esse!

UNA QUESTIONE MORALE dicembre 1981 –La Sorgente n. 25 di Alfonso Merola

(Terremoto, questione morale per molti, affare privato per alcuni.

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Sappiano questi satrapi che il giuoco diventerà sempre più pericoloso e sempre più difficile sarà uscirne.)

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icordiamo con emozione l’ampia solidarietà democratica dispiegatasi all’indomani della catastrofe. Fu un moto esemplare, una gara commovente per supplire la carenza organizzativa dello Stato e il naufragio di tutti quegli organismi preposti alla protezione civile. Abbiamo sentito per quasi un anno il sostegno morale e materiale di questa formidabile solidarietà, la quale andava attenuandosi sempre più con l’avvio alla normalizzazione, con quella che definirei la fase dell’istituzionalizzazione delle baracche”. Attorno al cratere ora sta calando una nebbia fastidiosa, benefica solo per chi Antologia Caposelese

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non intende essere disturbato nelle manovre. Mi riferisco agli organi d’informazione, impegnati nella difesa dei soli santuari del terremoto, che hanno imposto sui restanti comuni, pure disastrati, uno strano silenzio-stampa. Mi riferisco all’affannosa gara di ministri, commissari, sindaci, unanimi nello assicurare che l’emergenza è finita e che frattanto chiedono che Zamberletti resti per un altro anno. A fare cosa? Costoro obiettivamente allentano la necessaria tensione politica e morale del Paese. Hanno scelto di vivere in eterno sotto un comodo protettorato. La stessa classe operaia, stretta nella morsa dell’inflazione, della disoccupazione, della cassa integrazione, pare che perda interesse per il problema del terremoto. La strada Pomes di Buoninventre è stata completamente travolta dalla frana. Stessa sorte hanno subito una quindicina di case rurali. A nulla è valso il tentativo di consolidamento di aree terremotate dal resto del paese. La nostra rinascita avverrà nella misura in cui queste debolissime aree interne saranno in grado di collegarsi alla nazione. Al di fuori di ciò ci sarà solo e comunque assistenza. Ma tutto ciò implica anche una franca riflessione: le disponibilità finanziarie della legge 219 ovvero il sacrificio di tanti lavoratori italiani sono state e saranno spese con equità, oculatezza, senza sprechi e sperperi. Una lira volutamente spesa male è una lira in meno per la ricostruzione. La legge 219 non è un pozzo senza fondo. Il Belice insegna: chi insegue pericolose fantasie urbanistiche, non costruirà una casa. Troppi miliardi sono stati divorati da avventurieri del cemento “disarmato”, da famelici e fantomatici progettisti, da interessi speculativi, da società e cooperative-fantasma, da tangenti e tangenziali, da cosche delinquenziali. Terremoto, questione morale per molti, affare privato per alcuni. Sappiano questi satrapi che il giuoco diventerà sempre più pericoloso e sempre più difficile sarà uscirne. Vorremmo sentire su questo con più forza e chiarezza la voce della Chiesa affinché la speranza non diventi inutile rassegnazione... Come pure la voce di alcuni partiti: le loro sedi pare che siano più dei centri ricreativi che di discussione e i loro dirigenti i lacchè del potere. Ci dicano il loro punto di vista sui lauti banchetti delle progettazioni, direzioni, appalti, sup-appalti, profitti... Non si ricostruisce Caposele col mutismo e la caparbietà. Nessuno può arrogersi il diritto di strappare deleghe o abdicazioni. La migliore idea possibile di Caposele potrà essere disegnata solo dalla stragrande maggioranza dei Caposelesi.

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EDITORIALE LA SORGENTE ANNO XVI – Marzo 88 – La Sorgente n. 36 Editoriale – Nicola Conforti (Una voce libera, non legata ad alcun carro politico né soggetta a per­ sonaggi di comodo. Una voce che si è levata sempre contro le ingiustizie di vecchia e nuova matrice, contro le arroganze di ogni tipo e contro ogni tentativo di distruzione o di stravolgimento del tessuto urbano del nostro Paese.)

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ono passati 15 anni, sono tanti, da quando decidemmo di dare vita a questo giornale. In quindici anni di impegno continuo hanno “visto la luce” ben 36 numeri de “La Sorgente” per un totale di circa 600 pagine. Bastano queste cifre a dare il senso e la misura di un impegno editoriale di grande rilevanza. Dal 1973, anno di fondazione del giornale, abbiamo visto “nascere e morire” una molteplicità di testate dello stesso tipo. La Sorgente, a distanza di tanti anni, continua a vivere, proseguendo nell’assolvimento dei compiti che le furono assegnati dai suoi fondatori e riconfermati, negli anni, dai suoi associati. Una voce libera, non legata ad alcun carro politico né soggetta a personaggi di comodo. Una voce che si è levata sempre contro le ingiustizie di vecchia e nuova matrice, contro le arroganze di ogni tipo e contro ogni tentativo di distruzione o di stravolgimento del tessuto urbano del nostro Paese. Ed ha sempre tratto vigore e forza e ispirazione ideale e linfa vitale dallo spirito di abnegazione e sacrificio di quei pochi che fermamente hanno creduto in questa difficile iniziativa e che fortemente hanno voluto che “La Sorgente” continuasse a scorrere limpida e fresca come “acqua di fonte”. Alcuni, i migliori tra noi, nel frattempo sono venuti a mancare: ci inchiniamo alla loro memoria sapendo di poter trarre dai loro insegnamenti maggiore entusiasmo ed impegno. Il loro ricordo resterà emblematicamente scolpito nella nostra memoria ed indelebilmente acquisito alla “storia” del nostro giornale. La Sorgente riacquista oggi nuovo vigore: le sue pagine, tornate alla periodicità trimestrale si attendono altri consensi e nuova affettuosa accoglienza. Noi riprenderemo con rinnovato slancio “l’antico” cammino e lo faremo con la passione e l’orgoglio di chi ama il suo Paese e che per la crescita morale e civile del suo Paese è disposto ad andare ancora avanti.

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1989 PELLEGRINI – La sorgente n. 40 – dicembre 1989 di Antonio Sena (I flussi di questa estesa “peregrinatio”, nel tempo e nello spazio, non accennano a diminuire malgrado la spregiudicatezza di troppi “culti” ad­ domesticati, malgrado la venale e ottusa intraprendenza di troppi monaci interessati, malgrado la solerte politica alberghiera di troppi assessori affittacamere.)

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ungo il percorso immaginario che va dai “vincoli” agli “svincoli”, si diparte un sentiero tortuoso, ma non meno suggestivo, battuto da una turba plurimillenaria, variopinta e diversificata di pellegrini che si dirigono di volta in volta e con varie motivazioni verso luoghi sacri e religiosi: Lamasserie Tibetane, Santuari del Cattolicesimo pre e post-conciliare, Mecche Islamiche, Terresante varie, Monasteri Zen, Oracoli Delfici multimediali, Recinti di megalitici riti druidici, Orissiane di Bahia, Pagode Kmehr, svariate Piramidi e Ziguratt, qualche Chiesetta da Pasquetta, quasi tutte le Cattedrali Argotiche con un pozzo che penetra nelle viscere della terra e i pinnacoli delle guglie che si innalzano fino al cielo. Fuori luogo, oltreché specioso, sarebbe voler spiegare che il potere di attrazione di questi siti (alcuni dei quali ridotti oramai ad un mucchio di ruderi) a volte è riposto nella loro pianta a forma di croce celtica o ansatica, a volte nel rapporto armonico della base con l’altezza, a volte perché si trovano collocati nei famosi punti di incrocio dei Leys, quasi sempre è frutto di fanatismo e di integralismo, quasi mai è favorito dalle strutture ricettive dei luoghiTanto è vero che i flussi di questa sì estesa “peregrinatio”, nel tempo e nello spazio, non accennano a diminuire malgrado la spregiudicatezza di troppi “culti” addomesticati, malgrado la venale e ottusa intraprendenza di troppi monaci interessati, malgrado la solerte politica alberghiera di troppi assessori affittacamere. Accertato in definitiva che il potere di attrazione dei Luoghi Sacri esiste ed è forte, a questo punto, a qualcuno potrebbe interessare sciogliere il dilemma se il pellegrino è anche turista o no. Per brevità di discorso è opportuno rifarsi innanzitutto a un tipo di pellegrino a noi più vicino, quello, per intenderci, che da circa un millennio batte le strade del nostro vecchio continente per raggiungere: Roma, Santiago de Compostela, Canterbury, Colonia, Gerusalemme, solo per citare i luoghi più famosi, e che le cronache antiche ce lo descrivono vestito solo con una tonaca di tessuto povero, un bastone e una certa trascuratezza dell’aspetto fisico. Ogni agio, perfino la comodità del giaciglio notturno, il ristoro di un buon pasto, doveva essere fuggito poiché poteva richiamare alla mente le tentazioni della carne. Questa era, per così dire, la regola.

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Ma già tra il quarto ed il quinto secolo S. Gerolamo lamenta che a Gerusalemme si concentra “.... una tale folla di pellegrini di ambo i sessi che ogni tentazione che potrebbe in qualche maniera essere altrove evitata si trova qui presente”. Certo nulla fa pensare che la Terra Santa di quei tempi fosse una sorta di Las Vegas sfrenata, dissoluta e irriguardosa dei buoni costumi, ma sicuramente il timor di Dio e lo spirito di penitenza dei pellegrini alto-medioevali lasciavano spesso il posto a qualche tentazione di troppo. Dieci secoli più tardi Erasmo da Rotterdam scaglierà gli strali delle sue parole contro quella che definisce una vera e propria escursione turistica (sic!) ben lontana dallo spirito originale. Ma questa turba di pellegrini è stata sempre innumerevole e diversificata, perché se all’inizio il pellegrinaggio verso i Luoghi Sacri del Cristianesimo rappresentava un atto di devozione generalmente volontario, dopo il nono secolo, quando la Chiesa Cattolica accetta il principio del viaggio ai luoghi sacri come opportunità per espiare colpe e peccati, il traffico di “pentiti” sulle strade si intensifica. Una terza figura, con il passare del tempo, si unisce alle altre due. Potremmo definirla “pellegrino per incarico”, quindi non necessariamente un devoto. Egli veniva inviato, da nobili e commercianti, a procurare indirettamente la protezione dei Santi a Compostela o sulle tombe di Pietro e Paolo. Naturalmente il servizio era pagato con generosità, come pure il disagio del viaggio era ridotto al minimo. Una quarta categoria di pellegrino nacque ufficialmente il 27 novembre del 1095, quando, durante il Concilio di Clermont, Papa Urbano II dichiarò aperta la “peregrinatio” (chiamata molto tempo dopo crociata), che durò per due secoli. Certo, non ci si discosta troppo dalla realtà se si pensa che gran parte di un’armata di soldati-pellegrini-crociati non fosse completamente “ispirata” e nemmeno tanto dedita alla mortificazione della carne o di qualsivoglia altra passione terrena. Ma, per tornare alle tre categorie di pellegrini “tradizionali”, grandi erano le difficoltà: il freddo, i briganti, le bestie feroci, oltre che il passaggio dei fiumi e la sopravvivenza in termini di letto e di cibo. È lecito pensare che incominciavano a nascere delle organizzazioni atte a rimuovere tali difficoltà e a creare una rete di servizi sempre più confortevoli (scorte armate, locande, traghetti, negozi di souvenir); pertanto, man mano che questa rete (specialmente in un’epoca in cui cominciava a venir fuori una società mercantile) si infittiva, venivano meno le regole di austerità e frugalità e il pellegrino diventò, pur esso, una merce, trasformandosi così sempre più in turista. Questo fatto trova fondamento storico nella lettura di una vera e propria guida di viaggio di una cinquantina di pagine per facilitare il cammino dei pelAntologia Caposelese

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legrini a Compostela. Venne redatta tra il 1140 e il 1150; si chiamava “Guide du pelerin de Saint Jaques”, in essa si forniscono ragguagli utili quali i tempi di percorrenza, la localizzazione di ponti e ospizi, i costi di pedaggi e traghetti, i luoghi da evitare per la presenza di insetti, infezioni varie (malarie, pestilenze etc), di truffatori e predatori. C’è la segnalazione, inoltre, di ristoranti con menù di pregio e di città di particolare interesse artistico, storico e ambientale. Non manca il capitolo “Cosa comprare e dove”. Tutto questo è molto sorprendente, pensare cioè che il dilemma posto all’inizio è stato sciolto da quasi mille anni. Le strade che portano ai Santuari Cristiani sono oggi lastricate di asfalto o, peggio ancora, i Luoghi Sacri sono circonvoluti dalle spire di qualche “free way” e dai suoi seducenti svincoli, non mancano, in alcuni casi, gli eliporti e i moli per l’attracco dei panfili. Il pellegrino contemporaneo dorme (ma in alcuni casi viene anche stipato) in camere “accoglienti”, si nutre con menù turistici “tutto compreso” o “tutto escluso”, comunque arriva alla meta in torpedone “Gran Lusso”, fa man bassa di souvenir e ciarpame vario. A un millennio di distanza, dal punto di vista commerciale ed in barba alle antiche regole di espiazione e di devozione, il turismo religioso si conferma formula che non passa mai di moda. Tra Lourdes e Capri c’è da giurare sulle cifre vincenti della prima meta come affluenza e giro di affari. In conclusione è sufficiente che gli operatori del settore si chiariscano chi debba essere il soggetto dei loro investimenti e delle loro iniziative; in altri termini quale aspetto tipologico del pellegrino-turista privilegiare: quello che ha come riferimento la devozione/ espiazione o quello che riduce l’ardore mistico e la foga religiosa al consumo della “merce da bancarella”. Sicuramente c’è anche qualche sfumatura intermedia. E allora ci può stare di tutto e sempre di più: immaginette e santini, ex voto e flagellazioni, bancarelle e shop centers, superstrade che arrivano in bocca ad altari maggiori e discoteche “heavy metal”, “fast food” e “fast visit”, velocità di arrivi e velocità di partenze, parchi e parcheggi, “vù cumprà” e circensi, escursioni e banchetti; anche perché non sempre lo spirito può trionfare sulla carne.

Caposele, Bosco Difesa

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1989

L’esame di questi passi ha un duplice scopo: da un lato dovrà convincerci che Nicola Santorelli non è un puro erudito, ma è un vero storico in quanto non tradisce mai la sostanza dell’autentico proce­ dere storiografico, avendo sempre massima cura per l’accertamento filologico e la spiegazione degli avvenimenti; dall’altro dovrà darci un’idea del suo eccezionale spessore culturale, facendoci apprezzare in lui non solo lo storico dalla sicura acribia interpretativa, ma anche l’illustre medico, l’onesto scienziato, il profondo umanista, il fecondo poeta e, perché no, il magnanimo benefattore dei poveri e della Chiesa.

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IL FIUME SELE EI SUOI DINTORNI La Sorgente n. 40 – Dicembre 1989 Presentazione di Lorenzo Malanga

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uando, poco più di un anno fa, l’amico ing. Nicola Conforti mi disse che stava elaborando un progetto per celebrare degnamente quest’anno il 90° anniversario della morte di Nicola Santorelli, confesso che rimasi molto perplesso. Carneade: chi era costui? Sì, perché noi Caposelesi dobbiamo onestamente ammettere che di Nicola Santorelli, della sua vita, e soprattutto della sua opera, avevamo tutti scarne e confuse notizie. Per quanto mi riguarda, il nome di Santorelli era legato ad alcuni vaghi ricordi della mia infanzia che si fermavano alla sbiadita figura di donna Alfonsina (morta, mi pare, nel ‘44 e ritenuta dagli abitanti della borgata di Materdomini una santa donna) e alla casa da lei abitata, che è poi quella che conserva ancora il nome di Casa Santorelli e che è situata di fronte alla Casa del Pellegrino. L’amico Conforti vinse però subito il mio scetticismo, parlandomi a lungo del suo fortunato incontro col qui presente mons. Farina (altro eminente figlio della nostra terra, di cui pure si erano perdute le tracce) geloso custode delle numerose e notevoli opere scritte da Nicola Santorelli. La proposta, allora, mi piacque e promisi all’ing. Conforti che gli avrei dato una mano nel portare avanti il suo nobile disegno. Debbo dire in verità che tutta la mia collaborazione in questi mesi è consistita nel parlare con lui tre o quattro volte del problema..., fino a quando, alcuni giorni fa, mi fece omaggio di questo libro e mi invitò a presentarlo. Non potevo non accettare l’invito: anche per farmi perdonare di non aver fatto praticamente niente in tutto questo tempo. Altra meraviglia, nel trovarmi fra le mani questo ponderoso volume! Credevo si trattasse di un opuscoletto di poche decine di pagine, come quei librettini di massime morali che un tempo i parroci erano soliti donare ai ragazzi che frequentavano le lezioni di catechismo. Invece, dovetti prendere atto che avrei avuto a che fare con un’opera di circa 450 pagine fitte. Tutto qui. In altre parole, la cerimonia di oggi, e tutto ciò che c’è voluto per prepararla, vanno intestati esclusivamente all’ing. Nicola Conforti. Al quale, a questo punto, debbo rivolgere un vivo ringraziamento: non per Antologia Caposelese

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aver affidato a me l’incarico di presentare il libro: questa è poca cosa; ma debbo ringraziarlo pubblicamente per aver concepito e realizzato questo momento culturale estremamente significativo per la storia di Caposele perché recupera alla memoria di tutti noi e dei nostri figli uno dei personaggi più illustri (se non il più illustre) della nostra terra. Ma Nicola Conforti non è nuovo a queste imprese. Dal lontano 1973 (anno della sua fondazione) la Pro Loco Caposele, attraverso il suo presidente, ha sempre svolto una funzione di promozione culturale, in senso lato, altamente meritoria. Basti pensare alla pubblicazione del periodico La Sorgente che, aperto alla collaborazione di tutti, in questi anni ha raccolto centinaia di testimonianze e documenti vari afferenti la storia di Caposele e affidati alla voce del Tempo Lungo, secondo la felice espressione usata dal Sindaco nelle pagine introduttive al libro che ci accingiamo a conoscere. Ma c’è da ricordare anche l’organizzazione del Ferragosto Caposelese, giunto ormai alla XV edizione. Altro appuntamento di grande rilevanza culturale: di una cultura locale (ma non per questo minore); di una subcultura, se volete; che però, per nostra fortuna, non diventa recessiva grazie proprio ad iniziative di questo tipo, miranti cioè al recupero del passato, delle nostre radici. Il quale recupero rivitalizza il presente, ce lo fa apprezzare di più, e ci fa meditare sulla necessità, anzi sul dovere, di non disperdere i preziosi tesori culturali del nostro tempo, ma di raccoglierli tutti insieme e consegnarli intatti alle generazioni future. Ecco perché mi permetto di insistere nel sottolineare la funzione storica della Pro Loco Caposele. In alternativa alla quale, peraltro, c’è soltanto il vuoto! E allora, caro Nicola, continua in questi preziosissimo impegno, senza curarti troppo di qualche critica che pure viene rivolta alla tua gestione: ma più per il gusto del pettegolezzo che per intimo convincimento. Io che vivo un poco al di fuori delle fazioni locali, che sono, per così dire, ul­ tra partes, possono assicurati che i Caposelesi apprezzano obiettivamente tutte le iniziative culturali della Pro Loco; alcuni non hanno il coraggio di dirlo... non possono dirlo.. E si instaura così una specie di rapporto di odio-amore. Un po’ come accade a molti giovani di oggi rispetto alla letteratura e alla poesia: essi ne sono segretamente innamorati, ma si vergognano di ammetterlo..., forse ritenendo che la letteratura e poesia si identifichino tout court col Romanticismo: e il romanticismo, oggi, non è di moda. A questo punto, rivolgiamo la nostra attenzione al libro da presentare. Prima, però, debbo fare qualche premessa. Debbo innanzitutto avvertire me stesso e voi di alcuni rischi che comportano le manifestazioni celebrative. Il primo è la trappola della retorica, della esaltazione eccessiva, del tono a volte ridicolmente encomiastico; è cioè la trappola del sentirsi in dovere di parlar bene dell’oggetto della celebrazione (personaggio o opera che sia), anche quando cento ragioni consiglierebbero di denigrarlo. Ed io in questa trappola cercherò di cadere in meno possibile.

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L’altro rischio è quello insito proprio nel rapporto tra noi e l’opera: un libro, un quadro, una scultura, ecc. Quando ci si accosta ad un’opera in veste di critico, o almeno di interprete, non si può evitare di fare, comunque, violenza all’autore. E questo è un male peggiore del primo. Come si può, infatti, penetrare fino in fondo l’animo dell’autore per leggervi chiaramente dentro e comprendere esattamente il suo mondo interiore? Del resto, se questo rischio non fosse reale, non ci sarebbero le continue smentite che la stessa critica ufficiale è costretta a fare rispetto a certe sue precedenti valutazioni. Voi mi direte: ma nel nostro caso si tratta di un libro di storia e non di un testo poetico! A parte il fatto che anche un libro di storia va non soltanto letto, ma anche interpretato (l’imparzialità assoluta dello storico è ancora tutta da dimostrare), nel caso del libro di Santorelli // Fiume Sele e i suoi dintorni ci troviamo, manco a farlo apposta, di fronte ad un testo concepito in maniera originalissima, e cioè: ogni descrizione storica è seguita da uno o più componimenti in versi, che ne ripetono il racconto in forma poetica. Tali componimenti a volte sono dello stesso autore, più spesso appartengono al fratello Lorenzo, sacerdote e poeta. Ma andiamo direttamente al testo del Santorelli, esaminandone prima di tutto le caratteristiche tecniche. Per fare ciò, dobbiamo ricordare un dato fondamentale: e cioè che Santorelli scrive questo libro nella seconda metà dell’Ottocento, in pieno Positivismo, e proprio mentre si definiscono i canoni del metodo storico. Il metodo storico, come molti sanno, si prefigge di realizzare una ricostruzione critica, controllata dei fatti e dei personaggi del passato. Con esso viene cioè definitivamente consacrata la liberazione della storia da ogni subordinazione alla morale, alla teologia, alla letteratura, alla creazione artistica, ecc. Grazie al metodo storico, insomma, la storia si fa veramente scienza. Questa circostanza agevola e nel contempo rende più difficile l’impegno del Santorelli: lo favorisce perché gli indica con precisione i binari lungo i quali procedere nella sua ricerca, ma gli impone con altrettanta precisione e con estrema chiarezza le norme alle quali lo storico deve scrupolosamente attenersi. Tali norme sono: a) la ricerca delle fonti (detta alla greca euristica); b) la loro interpretazione critica, sulla base dei confronti; e) l’esposizione chiara ed inequivocabile dei fatti. Nicola Santorelli non si spaventa certo di fronte al dettato del metodo storico. Anzi, egli compie un’operazione che soltanto pochissimi storici possono vantare: cioè la sua storia la scrive sul campo! (Vedremo più avanti come ciò sia vero). Ancora: il metodo storico impone che la storia si avvalga anche di tutti i sussidi particolari e di tutte le discipline ausiliarie della storia stessa, e cioè (per ricordarne solo alcune): 1) l’etnologia (che risale alle prime manifestazioni della civiltà alla luce Antologia Caposelese

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degli avanzi pervenutici: tombe, utensili, ecc.); 2) la numismatica (che studia le monete); 3) la sfragistica (che studia i sigilli); 4) l’epigrafìa (che studia le iscrizioni); 5) la filologia (che studia i monumenti letterari, le lingue parlate e quelle scritte, ecc.); 6) l’economia (che ci fa conoscere come le società umane si siano organizzate per sopravvivere e per migliorare il proprio tenore di vita); 7) il diritto (che studia le leggi (scritte) e le consuetudini (non scritte); 8) ed infine la geografia, (che studia l’ambiente nel quale gli uomini hanno agito...); Il lavoro dello storico, dunque, è di carattere rigorosamente interdisciplinare, o, almeno, pluridisciplinare. E solo se è condotto in questo modo, si può veramente mettere in atto l’avvertimento che Cicerone, nel “De oratore”, rivolge allo storico: “Primam esse historiae legem ne quid falsi audeat... deinde ne quid veri non audeat...” (Prima legge della storia è che non osi dire nulla di falso... quindi non esiti a dire quanto è vero...”). E Nicola Santorelli è in grado rispettare l’ammonimento di Cicerone perché può in qualche modo spaziare sul territorio di tutte le discipline ausiliarie della storia. Del resto, che egli fosse versato in numerosi campi del sapere lo dimostrano in maniera inconfutabile le molteplici sue opere di varia umanità, date alle stampe ed oggetto di apprezzamento da parte degli addetti ai lavori. Quindi, sotto il profilo della scientificità, questo libro è perfettamente in regola. E lo è anche per la lingua e per lo stile, come vedremo in seguito. Potrebbe essere censurabile (ma chi lo può veramente dire?) per la singolarità di avere una struttura composita di essere cioè un libro di storia che si arricchisce anche di pagine poetiche. Le quali tuttavia (va subito precisato) non intendono affatto sostenere il racconto storico, che procede ben saldo sulle proprie gambe. Siamo fermamente convinti, infatti, che molti di noi, dopo aver letto il libro, vorranno approfondire l’incontro con la propria terra per penetrare nel suo passato, illuminandone magari aspetti particolari: sociali, economici, religiosi, ecc. È questa una certezza ed insieme un augurio: che rivolgiamo in modo più diretto ai giovani perché, accogliendo essi il messaggio nascosto nel libro di San torelli, si sentano spinti ad indagare la storia di Caposele, che, accanto alla storiografia canonica, scritta col cervello, può fiorire anche una storiografia in versi (o in musica, se volete): scritta cioè col cuore e senza pretese scientifiche. Evidentemente noi qui ci limiteremo ad esaminare alcuni passi delle pagine di storia, tralasciando la poesia: anche se i brani in versi costituiscono un versante molto suggestivo.

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L’esame di questi passi ha un duplice scopo: da un lato dovrà convincerci che Nicola Santorelli non è un puro erudito, ma è un vero storico in quanto non tradisce mai la sostanza dell’autentico procedere storiografico, avendo sempre massima cura per l’accertamento filologico e la spiegazione degli avvenimenti; dall’altro dovrà darci un’idea del suo eccezionale spessore culturale, facendoci apprezzare in lui non solo lo storico dalla sicura acribia interpretativa, ma anche l’illustre medico, l’onesto scienziato, il profondo umanista, il fecondo poeta e, perché no, il magnanimo benefattore dei poveri e della Chiesa. Ma l’indagine servirà soprattutto a stimolare la nostra riflessione ed a suscitare il nostro interesse così ricco di avvenimenti notevoli. Il libro è diviso in due parti; e per la storia di Caposele la parte più interessante è la prima. La seconda ne è un’integrazione, mentre allarga il perimetro geografico della ricerca, comprendendovi tutti i paesi che in qualche modo hanno, o hanno avuto nel passato, rapporti col fiume Sele. Disquisendo, all’inizio del libro, sulle origini del nome del Sele, il Santorelli espone, per così dire, il piano dell’opera: Mi fermo su i paesi esistenti e su i distrutti, su le loro antichità ed iscrizioni, su i notabili fatti intorno ad essi avvenuti (P- 17). Maneggiando con disinvoltura, ed a volte confutando, storici greci e latini, antichi e moderni: da Strabone a Livio a Plinio, dal Muratori al Mommsen, comincia a riferire, subito dopo, alcuni fatti clamorosi che proiettano il fiume Sele e i suoi dintorni nello sconfinato scenario della storia di Roma antica. Egli ricorda infatti, rettificando alcuni dettagli, la battaglia combattuta presso le foci del Sele tra l’esercito romano, comandato da Crasso, e il famoso gladiatore Spartaco, che ne uscì sconfitto (71 a.C.) (p. 23). Cita poi una serie di altri avvenimenti di notevole importanza storica per affermare ... che non è a maravigliare se del fiume Sele sì frequente menzione fecero gli antichi, tanto greci che latini, poeti e prosatori (p. 27). Segue la descrizione storica particolareggiata di singoli luoghi e personaggi ragguardevoli. Tale descrizione (che, come ho accennato, è sempre volta subito dopo in versi), là dove non riguarda elementi di natura strettamente storica, si veste di una leggiadra forma letteraria e diventa essa stessa pagina di poesia, con forti richiami ai grandi della nostra letteratura. Vediamo, ad es., nel racconto delle Sorgenti del Sele (p. 29) : ...sgorgano le chiare e limpide acque del fiume Sele.... Non risuonano forse gli echi petrarcheschi delle Chiare, fresche e dolci acque dove le belle membra pose colei che sola a me par donna? E più oltre (p. 30): Ah sì! Son qui le orme di quegli spiriti immortali, che il Creatore pose a custodia di ogni bell’opera sua. Acque che cadon di sopra s’incrocicchiano con altre, che sbattute a terra si rialzano, e tutte sembran fremere orribilmente ed azzuffarsi tra loro!... Né ciò è tutto. Fragore delle onde Antologia Caposelese

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che percuoton su i sassi, scroscio di altre rovinosamente cadenti, svariati suoni, orrendi rumori da far tremare di paura e fuggirne la gente. Non c’è qui tutto Dante del 3° canto dell’Inferno? leggiamone qualche verso: Quivi sospiri, pianti ed alti guai / risona-van per l’aere senza stelle / perch’io al cominciar ne lacrimai. / Diverse lingue, orribili favelle /parole di dolore, accenti d’ira / voci alte e fioche, e suon di man con elle /facevano un tumulto, il qual s’aggira / sempre in quell’aura senza tempo tinta. Ma anche quest’altra descrizione, riferita alla famigerata Pietra dell’Or­ co, non è molto dissimile dalla rappresentazione di tanti altri cupi paesaggi dell’Inferno dantesco: “In vece di steli, di spighe e degli avanzi delle gialle lor chiome,... scabri massi terminati a punte irregolari, alcuni a metà divelti dalla costa... (p. 88). Torna agevole accostare queste immagini a quelle della selva dei suicidi. Stessi versi del Manzoni del 5 Maggio’! Vediamo: Fu vera gloria? ... noi / chiniam la fronte al Massimo /Fattor, che volle in lui / del creator suo spirto / più vasta orma stampar. Non mancano poi visioni dantesche. Eccone una, carica di foschi accenti e spaventose immagini (pp. 53-54): Le onde, precipitando per diversi canali, piombano in un grande recinto che tien forma di antro. Varie correnti, sboc­ cando dalle fenditure laterali del di dentro, si urtan d’obbliquo, mentre altre, opponendosi a diametro, XIII): Non fronda verde, ma di color fosco, / non rami schietti, ma nodosi e involti; / non pomi v ‘eran, ma stecchi con tosco. E poi c’è il Foscolo dei Sepolcri: ...Te beata! (esclama il Santorelli alla vista di una isoletta lambita dal Sele) cui il Silaro porge con le sue acque aure pregne di vita! (p. 62). E il Foscolo... Te beata (Firenze), gridai, per le felici /aure pregne di vita, e pei lavacri / che dai suoi gioghi a te versa Appennino. Spostando l’asse della nostra indagine nuovamente in direzione della storia vera e propria, notiamo in primo luogo la minuziosa descrizione che il Nostro fa del colera che alla fine di luglio del 1837 colpì la nostra Caposele e moltissimi altri paesi del regno di Napoli. Apprendiamo anche che, due anni dopo, ci fu una recrudescenza dell’epidemia che seminò la morte specie a Valva e a Laviano, lasciando miracolosamente immune il nostro paese. La ragione di questa immunità? Non v’è dubbio: l’intervento taumaturgico della Madonna della Sanità:... / Caposelesi ne uscirono salvi in fede della protezione di S. Maria della Sanità. Onde con grato animo eressero una chiesetta in capo alle sorgenti del fiume... (p. 79). La scoperta della lapide del dio Silvano alle falde dell’Oppido da parte del Santorelli conferma la presenza in lui di due delle importanti doti da noi evidenziate: quella relativa alla ricostruzione storica fatta sul campo e l’altra circa la competenza che il Nostro possiede in svariati settori dello scibile. Infatti, la

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scoperta del monumento scolpito in pietra ( 1834) è esclusiva opera del Santorelli, che si avvale soltanto dell’ausilio materiale di alcuni contadini, come egli narra : Giunta una notizia da Roma, Maggio 1834, che alle falde del monte Oppido dovevan trovarsi sepolte molte antichità, vi andai, conducendovi molti villani forniti di zappe e di picconi... Del testo latino della lapide il Santorelli dà innanzitutto la interpretazione esatta (da vero epigrafista!); poi, attraverso un attento studio del monumento, arriva a ricostruire le origini e le ragioni della fondazione del Tempio dedicato al dio Silvano. Dall’esame filologico del testo scolpito ricava infine una serie di indicazioni che gli permettono di ricomporre importanti pezzi di storia: non solo locale, ma anche riguardante alcuni avvenimenti risalenti all’epoca dell’imperatore Domiziano (1° sec. a.C). Parimenti, le rovine di Oppido (p. 121) costituiscono per il Nostro la base storica per la ricostruzione in situ delle guerre combattute fra gli Irpini (Sanniti) e i Romani (4° sec. a.C.) e culminate con la distruzione della fortezza e dell’abitato di Oppido, appunto, e della vicina città e fortezza di Ferentino, in territorio di Lioni. Per sostenere la tesi secondo la quale proprio presso Ferentino avvenne la disfatta di Pirro (275 a.C.) il Santorelli (questa volta in veste di numismatico!) si serve, tra l’altro, di una moneta d’argento, da lui ritrovata fra le rovine di Ferentino, che presenta su una faccia l’immagine di Pirro e sull’altra quella di un elefante (pp. 134-135). A questo punto, avendo esteso le sue ricerche oltre lo spartiacque della collina di S. Vito, il Santorelli interroga, per così dire, il fiume Ofanto, gemello del Sele, perché gli narri i fatti notevoli che lungo le sue rive si sono svolti nel corso dei secoli. Il fiume gli parla allora dapprima della lunga e feroce guerra combattuta fra i Romani e i Sanniti (p. 151), con la disfatta di quest’ultimi, e poi del terribile scontro, presso Canne, tra l’esercito romano e quello dì Annibale,, conclusosi, com’è assai noto, con una vera e propria strage di cavalli e soldati romani (216 a.C:): Vi restarono uccisi il console P. Emilio, Lucio Furio e L. Attilio questori, moltissimi Tribuni militari, Pretori consolari ed edilizi, 80 primari senatori, 40 mila fanti e duemila settecento cavalli (p. 158). Torna nuovamente il Santorelli nella propria terra e si sofferma a parlarci della Cappella di San Vito (p. 167), della venuta di S. Alfonso a Caposele e della fondazione, ad opera sua, di una casa religiosa (pp. 171-172) e ancora: di alcuni ricordi S. Gerardo Majella e dei giovani missionari redentoristi. Ci presenta quindi l’antica chiesa di Caposele, con la maestosa statua di S. Lorenzo (p. 197). Con eccezionale realismo descrittivo riporta subito dopo un avvenimento funesto, che a noi che abbiamo la sventura di viverlo personalmente, appaAntologia Caposelese

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re in tutta la sua diabolica e terrificante potenza distruttiva. Si tratta del terremoto che il 9 aprile 1853 colpì le nostre contrade ed ebbe come epicentro proprio Caposele. Leggiamone qualche brano: / monti che coronano il paese sono oscurati da folta nebbia... e corre per l’aria un fremito di vento come per imminente tempesta!... Il letto delle acque delle sorgenti del Sele si abbassò circa un palmo pria del tremuoto e le acque si resero calde... L’orologio battè le due pomeridiane, e, previo un sotterraneo muggito che pareggiò lo scoppio simultaneo di più cannoni, il suolo tremò con moto vario e continuo per circa 15 secondi! Le scosse verticali e orizzontali nei primi istanti, si mutarono negli ultimi in circolari e giranti, e furono di maggior rovina al paese che fu centro della scossa; onde il tremuoto fu detto di Caposele (pp. 200-207). Le analogie tra il terremoto del 1853 e quello nostro del 1980 si intrecciano e corrono insieme lungo lo stesso binario della distruzione e della morte: a dimostrazione che le tragedie hanno tutte il medesimo volto. Ma sorprendenti analogie si scoprono anche nel modo in cui la gente vive il dopo-terremoto. Vediamo cosa scrive il Santorelli: Tutti non vollero dipartirsi, come da luo­ go sacro, dalla cerchia, dall’ordine e dalla foggia delle pristine abitazioni (p. 211). Anche nel 1853, dunque, i Caposelesi scelsero di ricostruire le proprie case dov’erano e com’erano prima dell’evento sismico. Questa particolare coincidenza ci induce almeno a tre riflessioni: 1) la natura dell’uomo non muta col mutar del tempo; 2) i valori veri (antropologici) sono fissi nella coscienza collettiva, anche quando cambia il modo di interpretarli; 3) la religione della casa (come direbbe Verga), là dove la moralità più schietta e pura è radicata nella consuetudine della vita quotidiana, rappresenta un sicuro elemento di aggregazione, che tien lontano l’uomo da ogni tentazione scioccamente modernista: ad onta di un certo sociologismo di maniera che ha decretato da tempo la morte della famiglia. Con le notizie sul terremoto termina, nella prima parte del libro, la storia di Caposele. La narrazione continua toccando via via Calabritto (in particolare il culto ella Madonna del Fiume - tanto cara ai cugini calabrittani) (p. 229), il castello di Quaglietta (p. 233), le acque solfuree di Oliveto e Contursi (p. 236), ecc., fino alla famosa e gloriosa Paestum, i cui templi, annota Santorelli, sono certamente gli avanzi più insigni della più remota antichità dei dintorni del Sele (p. 257). La prima parte del libro si chiude con la descrizione poetica dello sbocco del Sele nel Tirreno. È una pagina che commuove e avvince per il ritmo frenetico dell’azione, appena smorzato dalla sapiente varietà del tono: ora elevato come un inno, ora mesto come un’elegia:... Ed anzi quando entra nel mare, più d’o­ gni altro spicca il corso del Sele; perciocché dopo la pioggia vi mantiene il suo corso per l’andar di tre miglia... Rompono allora le onde del mare (contro le

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acque del Sele), e, sebben queste le cozzino, pure esse non frangonsi, oh mara­ viglia!, per corso sì lungo. E dissi tra me: ‘che son giunto a vedere!, qual nuova battaglia è mai questa?... Ma tale scena, che fa sorpresa all’occhio dello spet­ tatore, vien mistica forma al mio pensiero! Come il fiume nelle sorgenti parve render l’immagine dell’età giovanile, così l’intiero suo corso mi pone a vista tutto l’andar della vita, e quando si batte col mare, per non venirne disfatto, mi rende l’immagine della lotta di ciò che vive col pelago della morte! (p. 263). La seconda parte del libro, che, come abbiamo accennato, è una continuazione ed integrazione della prima, si apre con un poemetto dedicato ai Martiri del fiume Sele composto di circa duemila endecasillabi sciolti! (pp. 11-72). I Martiri sono tre: S. Vito, Santa Crescenza e S. Modesto, e di essi il Nostro canta in versi vita, miracoli e martirio. Seguono importanti notizie sulla morte del proconsole Tiberio Sempronio Gracco (1° sec. a.C.) (p. 73); sul castello di Valva (p. 78); sul castello di Postiglione (p. 83), fondato da Giovanni da Procida nel sec. XIII, parlando del quale il San torelli ricorda anche il sacello di Gregorio VII nel Duomo di Salerno (m. 1085), il famoso papa che umiliò l’imperatore Enrico IV a Canossa e che prima di morire pronunciò una frase-testamento (Semper dilexi iustitiam et in odio habui iniquitatem: propterea morior in exilio) che noi affidiamo alla meditazione dei nostri giovani. Vi sono poi interessanti dati sulle rovine di Picenza (p. 87), (paese interamente distrutto dai Romani nel corso delle guerre puniche) e su luoghi e reperti molto utili per chi voglia.e sappia sentire l’eco dell’antichità correre lungo le rive del nostro Sele(pp. 90-193). Avviandosi alla conclusione, l’autore torna a parlare di Caposele, a compimento dei cenni storici presentati nella prima parte del libro (pp. 141-151), il quale si chiude con un’appendice di carattere patriottico: il discorso commemorativo dell’eccidio di Dogali (1887), tenuto due mesi dopo dal Santorelli nella sala del Municipio di Caposele ed accresciuto poi di alcuni particolari storici conosciuti frattanto dall’autore. Una testimonianza di sano patriottismo, in tempi di grandi fermenti politici e sociali, non poteva mancare da parte dello storico Nicola Santorelli: un uomo, del resto, che amò con pari intensità Cristo, i poveri, la famiglia, il paese natio, la patria. Muovendoci anche noi verso la conclusione di queste modeste note, ci sembra necessario ordinare meglio quei riferimenti di carattere formale cui abbiamo qua e là fatto cenno. I passi che via via abbiamo citato rappresentano già di per se stessi la cifra e la misura anche della lingua e dello stile di Nicola Santorelli. Abbiamo, peraltro, esplicitato anche qualche precisa caratteristica parlando, ad esempio, di realismo descrittivo e di chiarezza espressiva. Resta da aggiungere che la prosa del Santorelli è essenziale, lineare e geometrica (secondo la migliore tradizione illuministica) e tuttavia capace di esprimere una grande forza evocativa che Antologia Caposelese

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spesso conferisce alle parole una incomparabile carica suggestiva. Vi è poi in qualche brano quella schietta, immediata plasticità rappresentativa che sembra quasi anticipare la cosiddetta tecnica cinematografica, ossia la capacità di fermare lo svolgimento diacronico e rendere contemporanei gli avvenimenti. In virtù di tutti questi requisiti, e di altri non meno rilevanti, la lettura del libro riesce spesso a proiettare il lettore nel bel mezzo dei fatti raccontati (in medias res, come dicevano i Latini), coinvolgendolo interamente: con la mente e col cuore. Personalmente, confesso di aver partecipato ad alcune vicende, soprattutto umane, ora di questo ora di quel personaggio: di Spartaco, del console P. Emilio, del papa Gregorio VII... Come vedete, sono stato suggestionato più dagli eroi sconfitti che dai forti vincitori. Forse per il prevalere in me di quel romanticismo perenne, che vive in ciascuno di noi, che nessuna avanzata tecnologica potrà mai travolgere e del quale mai dovremo vergognarci.

I BISOGNI DI UNA GENERAZIONE – La Sorgente n.41 –Agosto 1990 di Gerardo Ceres

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(L’occasione di lavoro resta un fatto episodico, saltuario, che determina disagio in un modello di società che, seppure per effetto della ricostruzione, sta conoscendo un alto livello di consumi e, quindi, di bisogni)

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a sempre, in questo spazio, ci siamo preoccupati di mostrare fedelmente tutto ciò che nella sfera giovanile si muoveva, con tutte le contraddizioni, certo, con tutte le intuizioni e le aspettative maturate con la esperienza dell’emergenza post-sismica. Anche Caposele, oggi, non sfugge ad un quadro ancora non del tutto definibile, ma che tendenzialmente presenta, tra i giovani, sacche di insoddisfazione, di incertezza per un futuro ancora oscuro. Il lavoro, soprattutto. Oggi le sole occasioni sono date per lo più dal settore edile, settore di per sé instabile e che non garantisce continuità occupazionale. Qualche caso ancora sporadico lo si registra nell’occupazione delle aziende insediate ai sensi dell’art. 32 della legge 219. Ricordiamo, ancora, che molti nostri giovani amici hanno preferito collocarsi nel settore alberghiero in quel di Limone sul Garda, dove alcuni, oltre il lavoro, incontrano pure gli amori decisivi di una vita. Per il resto, l’occasione di lavoro resta un fatto episodico, saltuario, che determina disagio in un modello di società che, seppure per effetto della ricostruzione, sta conoscendo un alto livello di consumi e, quindi, di bisogni. Senza vo-

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ler inserire artificiosamente elementi allarmistici, pensiamo, solo per un istante, ad immaginare le contraddizioni che possono scoppiare una volta terminata la contingenza della ricostruzione. Ciò nonostante si è parlato di bisogni. Il bisogno di elevare per quantità e soprattutto per qualità il livello del vivere quotidiano. Non è una novità che in questa direzione l’iniziativa privata può dare risposte solo parziali: può essere il bar attrezzatissimo, la discoteca, il cinema e quant’altro di simile. Più ardua si presenta l’iniziativa pubblica. In genere non tutti gli amministratori pubblici sono convinti della bontà di tali scelte da ritenere ormai prioritarie. È un problema di scelte, di indirizzi e di capacità programmatiche ed organizzative. Non si può più pensare al tempo libero, allo sport e alla cultura come momenti episodici; bisogna assumere scelte organiche ed articolate. È passato più di un decennio da quando le giunte di sinistra delle grandi città tentarono quegli esperimenti che poi divennero modelli che fecero scuola: “L’Estate Romana” a Roma, “I parchi alla città” a Torino e così via. In dieci anni molto è cambiato in Italia, ma quei modelli sono ancora oggi di grande attualità. Ora, per venire a Caposele, l’amministrazione uscita vincente dalle ultime elezioni nel suo programma ha posto grande attenzione al tempo libero e alla cultura. Si legge in un passaggio della carta programmatica che: “l’azione amministrativa sarà orientata in interventi diretti (campo sportivo, area polivalente attrezzata, centro giovanile Nicola Santorelli), ed indiretti”. Con gli interventi indiretti si “intende favorire lo sviluppo dell’associazionismo giovanile, la nascita di clubs cui devolvere finanziamenti per attività di pubblico interesse”. Su questo ci sarà la scommessa vera, quella del coinvolgimento e dell’aggregazione; su questo si compirà anche la prima verifica degli impegni programmatici. Sono stati sottolineati, finora, questi aspetti, perché a Caposele da tempo stanno emergendo forti potenzialità aggregative: non sono più un caso la formazione di clubs e di bands che rispondono alle necessità ed ai bisogni innanzi dette. Allora l’apertura di spazi di credibilità ai Warriors, ai Vartix, ai Mandela, al Tennis Club, ad ErreciClub, può significare una crescita complessiva del vivere civile a Caposele; significa assicurarsi competenze e coinvolgimenti sociali per la futura città e per la sua futura classe dirigente. “Insomma - come si rileva ancora dal programma della giunta comunale - un impegno per la politica del domani”. Da parte nostra, per ora, “Buon lavoro”. Che presunzione ad ErreciClub! Devono essersi proprio montati la testa! Vogliono fare radio, per la verità anche con intuizioni discrete e poco comuni, ma che vogliano sostituirsi ad operatori turistici ci pare un po’ esagerato. Pensate: hanno organizzato una gita di tre giorni a Taormina, caricando sul pulmann di Vitale (alias Ze’ Peppa), 57 persone tra pensionati, coppie feliAntologia Caposelese

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cemente sposate, alcune tristemente non sposate ed una ventina di giovani di entrambi i sessi. Costoro ci raccontano ora della visita ai crateri dell’Etna dove addirittura due temerarie signore hanno avuto l’ardire, noncuranti del divieto delle guide, di allontanarsi all’interno della Valle del Filosofo, dove si trova, tanto per intenderci, il cratere ritenuto più attivo di tutto il vulcano. Altro che il caffé di Napoli! Sull’Etna, al rifugio posto ai 2900 metri, si può assaggiare il migliore caffè d’Italia. Sempre che l’informazione risponda al vero. Strana la luce negli occhi di Peppino quando ci dice delle antichità greche di Taormina; lui che aveva conosciuto sempre e solo quelle di Paestum, tuttalpiù, quelle di Pompei. O quando narra dell’ottima, irripetibile, zuppa di pesce appena pescato, da Giovanni sulla spiaggia di Mazzarò. L’attenzione passa al racconto dei ragazzi cotti dal sole siciliano, i quali, pare, si siano resi protagonisti, sulla spiaggia di una Taormina notturna e presenzialista, di una serie di balli folk come tarantelle e quadriglie comandate, accompagnati non da strumenti musicali ma unicamente dai vocalizzi di Antonello (D’Orazio). Ma che caldo a voler compiere tali gesta! Quanta fatica! Ma tant’è. Si sussurra di un nuovo progetto per un altro viaggio, questa volta per Venezia e Padova. Una raccomandazione agli amici di ErreciClub ci permettiamo di farla: non perdete stimoli nel fare, nel migliorare la radio. Lo sapete meglio di altri: il fare una buona radio è come fare un lungo, affascinante viaggio. Arrivederci al ritorno da Venezia.

LA RIVOLTA DELLE ACQUE di Pasquale Cozzarelli – La Sorgente n.42 - Dic. 1990

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’avvenimento che qui intendo riportare alla luce accadde a Caposele una mattina dell’aprile del 1939. In pieno regime fascista vi fu il tentativo da parte dell’Autorità Governativa, d’intesa con l’Acquedotto Pugliese, di aumentare la portata delle acque in Puglia di circa 200 litri al secondo. L’acquisizione doveva avvenire tramite una vendita delle acque, richiesta dal regime fascista, da parte del Comune di Caposele, all’epoca guidato dal podestà Giuseppe Di Masi, all’Acquedotto Pugliese che avrebbe dato, in cambio, la somma di 1 milione di lire al Comune e di lire 300.000 ai privati per risarcirli di eventuali danni. Tutto ciò, ovviamente, a scapito della popolazione di Caposele a cui veniva a mancare una importante fonte di sostentamento, soprattutto per ciò che atteneva al funzionamento dei mulini, allora fiorenti. L’episodio, inoltre, va inquadrato nello strisciante antifascismo di cui era per-

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PASQUALE COZZARELLI

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meato lo spirito libero di colui che si può, senza ombra di dubbio, ritenere il vero capo di. quella rivolta: Don Pasquale Ilaria. Figura mitica e stravagante nel panorama dei caposelesi celebri; geometra, capitano e poi generale in congedo del Corpo del Genio, unico antifascista dichiarato a Caposele in quel periodo, aveva subito già nel passato diverse “attenzioni” da parte della dittatura imperante. Ciononostante quella mattina, insieme ad altri personaggi significativi di Caposele, quali Don Camillo Benincasa, insigne maestro elementare ed educatore di molte generazioni del nostro Paese, Donna Ersilia Sturchio, moglie del Don Camillo, Antonio Farina ed una moltitudine di caposelesi, non si preoccupò di capeggiare una vera e propria sommossa popolare, al grido di “Non si vende, non si vende” contro quella decisione apparsa antipopolare e provocatoria. In “mezzo al piano”, o per meglio dire in Piazza Plebiscito, poi Piazza Di Masi, vi furono tafferugli e scontri con i Carabinieri. Il Prefetto dell’epoca, il Dottor Tamburrini, accorso a Caposele urgentemente, venne salvato dalle forze dell’ordine e portato nella sede comunale sita in Via Ernesto Caprio. In particolare pare fossero le donne di Caposele ad essere le più attive e pericolose, così come oggi del resto. A tal proposito è emblematico l’episodio che vide protagonista Concetta Farina, la battagliera Titina, che si azzuffò con il Brigadiere dei Carabinieri di Caposele, tal Pappacena, procurandogli contusioni e ferite che lo costrinsero a stare a letto per circa una settimana. Quella sorta di rivolta, della quale diede notizia persino la celebre Radio Londra, si risolse in uno smacco per il regime che così non potè acquisire, bonariamente, le acque di cui aveva bisogno. Successivamente, però, poco dopo lo scoppio della guerra, dette acque furono prese dallo stesso regime per scopi bellici. I capi della rivolta ed i più facinorosi furono duramente puniti dalle Autorità. Don Pasquale Ilaria, infatti, fu arrestato una settimana dopo a Materdomini e confinato alle Isole Tremiti, dove restò fino alla fine della guerra; Don Camillo Benincasa fu trasferito con l’insegnamento a Montefalcione; Antonio Farina restò in carcere per cinque giorni ad Avellino e gli altri protagonisti furono diffidati dalla Polizia. La sommossa popolare di Caposele fu una delle rare manifestazioni antigovernative che vi furono in quegli anni bui; l’unica addirittura in tutto il Meridione d’Italia. Questo avvenimento, dimenticato o sconosciuto dai più, rappresenta una delle pagine più belle della storia del nostro Paese e, anche per questo, ho pensato di riproporlo. Avrei voluto essere più preciso e più ricco di aneddoti e di riferimenti, ma il fascicolo giudiziario che riguardava tale avvenimento è andato perduto nella distruzione del vecchio Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, dove era custodito, a causa del sisma del 23 novembre 1980. Antologia Caposelese

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EDITORIALE

DIECI ANNI DOPO... Editoriale Dicembre 1991La Sorgente n.44 Nicola Conforti La critica cattiva e maligna che la stampa del nord riser­ vò alla ricostruzione irpina, ci amareggiò profondamente. Si parlò di sprechi, di brogli e di altre ingiuste e poco veritiere falsificazioni.

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Le polemiche furiose e selvagge che la stampa nazionale ha riservato, in questi ultimi mesi, ai nostri martoriati paesi, hanno reso il ricordo di quel lontano 23 novembre oltre che triste anche amaro. In un baleno sono tornati alla mente i ricordi dei primi giorni: i soccorsi, le gare di solidarietà, gli aiuti morali e materiali, l’emozione profonda di tutto il Paese per l’immane tragedia che aveva provocato distruzione, disperazione e morte. In quei giorni abbiamo scoperto un’Italia pulita, un’Italia che non si arrende davanti alle catastrofi e che sa esprimere un profondo senso unitario all’appuntamento col “dolore”. Oggi, a distanza di dieci anni, quei “donatori” sembra si siano pentiti di avere donato: di quella solidarietà rimane un’eco sommessa, un pallido ricordo, un fatto emotivo e niente altro. Dilaga lo scandalismo, si fa strada il tentativo di criminalizzare tutto e tutti e di fare di ogni erba un fascio. Rimane, indistruttibile, la grande forza morale di un Popolo che ha profondamente sofferto e che intende, malgrado le campagne false e denigratorie, portare “con forza” a compimento la grande opera di ricostruzione. E, siamo certi, ci riuscirà in pieno.

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1991 MESTIERI E ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELLA TRADIZIONE DI CAPOSELE La Sorgente n. 44 – dicembre 1991 di Pietro Ceres In genere l’esecuzione del lavoro decorativo seguiva il disegno dell’ar­ chitetto, ma spesso il decoratore svolgeva la sua opera sulla base di schiz­ zi fatti da sé ed ispirandosi ad un proprio stile. Essendo un’arte, quella del decoratore in stucco richiedeva un’adeguata inclinazione anche nel disegno, non disgiunta da una buona dose di versatilità.

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i si accinge, in tal sede, ad iniziare una breve indagine su attività e su mestieri caratteristici di Caposele, in ispecie quelli che un tempo erano fiorenti e di cui oggi, per trasformazioni socio-economiche che ben si prestano ad uno studio sociologico, rimane poco o nulla. Le digressioni che seguiranno nel corso di tale indagine sono lungi dalla pretesa di essere compiute ed esaurienti e tali non sono se non un modesto tentativo di introspezione di un aspetto della nostra realtà caposelese, facendo anche qualche passo addietro nel tempo, senza nutrire altro scopo che quello di sbirciare un pochino nella nostra tradizione locale. Per la stesura di questo articolo sono stati intervistati Angelo ed Amerigo Conforti, ai quali vanno i più cordiali ringraziamenti. LO STUCCATORE DECORATORE Attività intimamente legata all’arte figurativa fu a Caposele quella del decoratore in stucco. La decorazione riguarda tutto quello che in una costruzione completa la sua struttura essenziale, sia all’esterno che all’interno di essa, arricchendola e adornandola; nondimeno il suo ruolo talora si è spinto al di là del suo mero valore esornativo, compenetrandosi profondamente con l’architettura, cui la decorazione è sempre stata legata da un vincolo di interdipendenza tanto da seguirne gli stili ed il gusto. Nell’architettura moderna criteri di razionalità e di organicità e l’uso del cemento e di altri materiali, hanno finito per far perdere alla decorazione tradizionale la sua importanza, essendo essa sovrapposta ed estranea alla struttura: piuttosto la decorazione odierna si risolve, ove richiesta, tanto nel risalto delle lìnee architettoniche funzionali quanto nell’evidenziazione o nel contrasto dei materiali costitutivi dell’edificio. Ma dal periodo classico dell’architettura fino al nostro secolo, la decorazione è sempre stata decisiva nell’esito estetico finale. A Caposele, e nei dintorni, fino a prima della II guerra mondiale fu prassi usuale l’intervento del decoratore sia come epilogo esornativo alla costruzione sia come momento di rinnovamento esteriore per quanto riguarda la facciata e/o l’androne di una casa. S’intende che la richiesta di tali lavori ornamentaAntologia Caposelese

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li proveniva dal ceto benestante: in ogni tempo i più facoltosi hanno risposto all’impulso di far trasparire la propria nobiltà, o forza, o ricchezza che fossero, dal decoro dei propri palazzi; e se da un lato non nuoce ricordare che fino a poco tempo fa la considerazione degli uomini non era affidata prevalentemente alla stima delle qualità individuali ma al presunto onore della stirpe, da un altro lato si può notare che nell’ipotesi in cui nel mondo i più forti o nobili o ricchi non avessero fatto a gara nel tentativo di materializzare il proprio vanto nello splendore dei propri possedimenti, l’arte non avrebbe mai raggiunto forme eccelse di espressione. Ma questa è una parentesi che non riguarda tanto, e solo per qualche sfumatura, le nostre zone interne. Chi scrive non è in grado di affermare nulla di sicuro sull’antichità più remota dell’attività di stuccatore decoratore a Caposele, dove, per certo si sa, nel 1849 venne Michele Conforti da Calvanico, un paese che si pensa avesse una tradizione consolidata di stuccatori decoratori, per contribuire a dei lavori edilizi riguardanti la vecchia Chiesa della Sanità (allora vicina al campanile) ed inoltre per procedere alla sua decorazione. Trattasi, dunque, di un’attività importata dall’esterno, almeno relativamente al secolo scorso, attività che venne continuata dai figli e dai nipoti di Michele. Quella del decoratore in stucco può essere considerata una vera e propria arte, che richiedeva l’osservanza dei canoni fondamentali dell’architettura: l’intervistato Angelo Conforti mi dice che suo nonno Michele aveva come manuale di riferimento un testo stampato nella prima metà del secolo scorso, una delle tante edizioni successive dell’opera teorica intitolata “Regola delli cinque ordini di architettura” di Jacopo Barozzi da Vignola, architetto italiano vissuto fra il 1507 ed il 1573, il quale studiò e misurò i monumenti dell’antichità classica, deducendone regole e fondamenti intorno agli ordini di architettura: Dorico, Ionico, Corinzio, ai quali i romani aggiunsero il Composito ed il Tuscanico (derivazione del Dorico in Etruria). Le conoscenze degli ordini di architettura erano necessarie nel campo della decorazione per la già riferita interazione fra le due discipline. Del resto la necessità di tali conoscenze si giustifica qualora si pensi ad un elemento di decorazione come la parasta, in forma di pilastro a leggero aggetto, addossata ad una parete liscia e avente la funzione di rompere la monotonia di una superficie muraria estesa: potendo essere ornata Dunque in un’area anche abbastanza vasta, in relazione alla lentezza dei mezzi di trasporto di un tempo, non c’era concorrenza: il mestiere era raro e solo qualche muratore eclettico avrebbe potuto tentare abbozzi decorativi senza peraltro sortire risultati apprezzabili, non essendo avvezzo ad un esercizio regolare di tale attività né disponendo delle conoscenze artistiche necessarie. Mi si riferisce che in un’epoca grossomodo coincidente con la fine del secolo scorso e l’inizio di questo secolo, il guadagno giornaliero di un decoratore era di 30 lire contro le 5 o 6 di un muratore.

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In genere l’esecuzione del lavoro decorativo seguiva il disegno dell’architetto, ma spesso il decoratore svolgeva la sua opera sulla base di schizzi fatti da sé ed ispirandosi ad un proprio stile. Essendo un’arte, quella del decoratore in stucco richiedeva un’adeguata inclinazione anche nel disegno, non disgiunta da una buona dose di versatilità. A proposito di versatilità, l’intervistato Angelo Conforti mi fa notare che la sua famiglia, a partire da suo nonno Michele, attraverso suo padre Nicola e suo zio Pasquale, fino ai suoi fratelli, era specializzata anche nella costruzione di volte a mattoni, come quella costruita nella Chiesa Madre di Montemarano (da loro decorata nelle trabeazioni e nei capitelli corinzi) che richiese l’impiego di 20.000 mattoni, venendo poi decorata e provvista di cornici e di cassettoni, volte che venivano costruite senza la preparazione preliminare - da altri praticata - di un sostegno ligneo fungente da guida. L’attività dello stuccatore decoratore non era diffusa nei dintorni, quindi nella zona veniva considerata caratteristica di Caposele. Questo può dare un’idea della stima dell’attività di decoratore e di quanto essa rendeva rispetto ad altre più diffuse e comuni. Lo stucco usato era un impasto di “calce grassello” e sabbia bianca che una volta asciugato diventava durissimo. Gli attrezzi del mestiere erano pochi: lo stuccatore decoratore usava molto le mani nell’opera di modellamento. Infatti se da una parte il decoratore lineare era specializzato nelle cornici, dall’altra il più eclettico si cimentava anche nel dare forma agli ornati: facce d’angelo, corone, spade e simili che spesso ricorrevano nell’ornamento delle superfici interne ed esterne degli edifici destinati al culto religioso. Ben si comprende l’abilità richiesta a chi si dedicava a tale professione, che se esigeva estro e raffinatezza manuale, comportava altresì il rispetto delle proporzioni e l’applicazione di certi rapporti matematici che il decoratore trovava in una guida teorica come quella di Jacopo Barozzi da Vignola, dove, tra l’altro, era illustrato preliminarmente alla trattazione specifica anche un compendio di regole di geometria. Considerando i limiti dell’istruzione obbligatoria specialmente a Caposele e dintorni in un’epoca come quella che va dalla fine del secolo scorso al primo ventennio di questo secolo, non è difficile immaginare quale predisposizione personale fosse necessaria per colmare le lacune dell’istruzione a chi nel proprio mestiere avesse a che fare anche con la geometria elementare. Comunque, circa gli attrezzi del mestiere, il decoratore usava il martello, la cazzuola, lo squadro, la livella ed una spatola particolare composta da un rigonfiamento nel centro atto ad impugnarla, da uno scalpellino ad un lato e da una lamina all’altro la quale era lo strumento per dare forma ad oggetti come le foglioline di acanto che sono parte dei motivi ornamentali del capitello. Angelo Conforti mi racconta che l’equipe familiare costituita dal padre e dai fratelli eseguiva per lo più lavori ispirati allo stile classico, ma anche al barocco. Essi erano specializzati nelle riproduzioni: in una chiesa, per esempio, c’erano migliaia di pezzi da comporre e allora usavano degli stampi. Questi ultimi Antologia Caposelese

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li realizzavano in argilla, ma più tardi, per non eseguire questa operazione ogni volta, presero a prepararli definitivamente a mo’ di tasselli con materiali rigidi, in modo che la ripetizione innumerevole degli stessi motivi ornamentali, per lo più sui fregi delle trabeazioni, comportasse meno fatica. Senza alcuna velleità celebrativa o di esaltazione, bensì per scrupolo di cronaca nostrana e con l’intento di porgere degli esempi concreti di decorazione in stucco, non tanto alle nuove generazioni che per ovvi motivi non possono ricordare, quanto ai caposelesi più anziani che forse in parte ne conservano memoria, vogliamo ora citare i lavori che a Caposele tennero i Conforti, i soli che nel nostro paese si dedicarono dal secolo scorso all’attività di stuccatore decoratore: — Partecipazione di Michele Conforti ai lavori edilizi del 1849 della vecchia Chiesa della Sanità e decorazione di questa ad opera dello stesso; — Chiesa della Sanità ricostruita più a valle (quella attuale): decorazioni interne ed esterne ad opera di Nicola e Pasquale Conforti; — Palazzo del giudice Pallante: decorazione esterna ad opera degli stessi; — Palazzo Bozio in Piazza F. Tedesco (poi divenuto palazzo Ilaria): decorazione della facciata con cornicioni, mensole ed altri elementi; — Palazzo Bozio in Via Imbria-ni: cornicione con medaglioni rifatto poi nel 1929 ad opera di Nicola e Pasquale Conforti; — Palazzo Cozzarelli: facciata semplice; — Antica casa degli Ilaria in Via Pianello: decorazione con cornicioni su dei colonnati interni; — Qualche decorazione sulla facciata di casa Merola in Corso Garibaldi; — Decorazione della Cappella dei Miracoli a Materdomini ad opera di Nicola Conforti; — Realizzazione di due archi presso il Campanile della Basilica di Materdomini ad opera di Salvatore Conforti. Un cenno a parte merita la Chiesa Madre di S. Lorenzo a Caposele: nel 1855 fu ampliata con la costruzione di due navate laterali e di una volta a crociera ad opera di Michele Conforti. In epoca antecedente essa era un convento antoniano, di cui un residuo si può notare ancora oggi sulla sinistra. Per la costruzione della navata destra fu necessaria la demolizione di un’ala del palazzo Sepa. Nicola e Pasquale Conforti nel 1917, sotto l’Arciprete Ilaria, iniziarono i lavori interni prolungatisi fino al 1924; nel 1929, sotto l’Arciprete Malanga, Nicola Conforti e figli attesero alla decorazione della facciata dove fino a prima del sisma del 1980 si poteva apprezzare un cornicione fregiato con capitelli di ordine composito. Molti altri lavori, di cui omettiamo l’enunciazione, furono realizzati dagli stuccatori decoratori Conforti in diverse località dell’Irpinia e della Valle del Sele ed anche ben più lontano.

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EDITORIALE EDITORIALE –La Sorgente n.50 -dicembre 1993 Nicola Conforti Una celebrazione nel ricordo di tanti amici e collaboratori scomparsi nel corso di 20 anni di amicizia e di lavoro insieme.

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ggi celebriamo l’uscita del numero 50 de La Sorgente. Lo facciamo senza trionfalismi e con una punta di malinconia e di amarezza: tanti compagni di cordata sono scomparsi lungo il percorso di questo incredibile, meraviglioso viaggio che dura da oltre venti anni. Francesco Caprio, Amerigo del Tufo, Vincenzo Malanga, Don Alfonso Farina, Fernando Cozzarelli: amici che ci hanno dato forza, coraggio e prestigio. Da loro abbiamo raccolto l’esempio a perseverare, l’incitamento a non demordere, la spinta a non dimenticare le radici umane e sociali del nostro Paese. Dai loro insegnamenti abbiamo tratto la capacità di saper rinascere dopo ogni crisi, la forza di saper sopravvivere alla scomparsa di tanti collaboratori, la volontà di saper continuare anche quando, tristemente, i giovani lasciano o se ne vanno. Con loro abbiamo assunto l’impegno morale di resistere: quell’impegno diventa oggi sfida, che si carica di nuovi valori e di altre energie. Gli obiettivi di oggi restano quelli di allora: stimolare il confronto democratico delle idee, informare, ricercare nel nostro ambiente per scoprirne le radici storiche, valorizzare le potenzialità locali, considerare “La Sorgente” come testimonianza dei tempi che stiamo vivendo. Crediamo di non aver deluso le aspettative di chi ha creduto nel nostro lavoro, al di là di qualche critica, profondamente ingiusta, di faziosità o di appartenenza partitica. Resta l’amarezza per il velenoso clima di odio e di tensione che pervade da qualche tempo il nostro Paese. C’è chi punta alla discordia ed alla disgregazione. E’ proprio vero che “quando l’ombra dei pigmei si allunga, siamo al tramonto”. Ma verrà presto il nuovo giorno e quindi la chiarezza, il ridimensionamento dei valori, dei ruoli e delle responsabilità. Non ci saranno risentimenti e vendette ma solo disprezzo o, forse, solo indifferenza. Dai segnali che si avvertono a distanza ed anche dai messaggi che emergono dalle pagine di questo numero speciale, sono già evidenti i segni del cambiamento, del ritorno alle battaglie democratiche ed al confronto civile.

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1993 CAPOSELE: che fare?- Dicembre 1993 –La Sorgente n.50 di Antonio Corona –Sindaco I tanti problemi da risolvere non debbono e non possono essere ignorati od accantonati, come purtroppo sta avvenendo, ma neppure può bastare at­ taccare e dare l’assalto alla diligenza, senza tenere conto che la ruota della politica sta girando in Italia e che bisogna fare i conti con le mutate condi­ zioni politiche e finanziarie nelle quali i Comuni sono chiamati a svolgere la loro attività.

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aposele si trova al bivio e deve fare le sue scelte. Non occorre essere “oppositore di professione” per riconoscere ed affermare che le condizioni generali del nostro Comune si sono abbassate ad un livello mai prima toccato. Non mi farò tentare dalla voglia di fare od aggiornare l’elenco dei mali che affliggono Caposele, sia perché non potrei che ripetere cose in gran parte risapute sia perché la lista delle carenze e dei ritardi, di cui sono certo hanno coscienza anche gli amministratori, non è quello che mi interessa in questa sede; e tuttavia, non si può non riconoscere che, a distanza di tredici anni dal terremoto, centinaia e centinaia di Caposelesi vanno liberati da una emergenza durata oltre ogni previsione e che all’intera popolazione, ai giovani come gli anziani, va offerta una prospettiva di vita più confortevole e più sicura, alla quale hanno diritto. E ‘ da questa necessità che bisogna partire, invertendo la logica del “muro contro muro” e scoraggiando tanto lo spirito di arroccamento quanto il gusto della rivincita. Tredici anni di esperienze ed i risultati conseguiti, nel bene e nel male, consentono ad ognuno di fare un bilancio e sono certo che, al di là di ogni interpretazione partigiana o interessata, ogni persona in buona fede non può non concludere che, in definitiva, a pagare per tutti, e per gli errori che ciascuno può aver compiuto, è l’intero paese le cui notevoli e persistenti possibilità di ripresa e di sviluppo sono state molte volte sacrificate ad una polemica dettata più da motivi personalistici che da situazioni reali. Per queste ragioni ritengo che, oggi, la prima domanda da porsi sia “Che fare? “E mi spiego :i tanti problemi da risolvere non debbono e non possono essere ignorati od accantonati, come purtroppo sta avvenendo, ma neppure può bastare attaccare e dare l’assalto alla diligenza, senza tenere conto che la ruota della politica sta girando in Italia e che bisogna fare i conti con le mutate condizioni politiche e finanziarie nelle quali i Comuni sono chiamati a svolgere la loro attività. Il biblico periodo delle “vacche grasse” è finito, ormai, e non si può illudere la gente che tutto possa continuare come prima.

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E‘ da qui che bisogna partire e dalla necessità di mettere ordine in una situazione abbondantemente confusa. Non basta più chiedere per ottenere (a Caposele come a Napoli o a Roma) e neppure sarà più possibile confondere l’abuso con l’autonomia; se ciò è vero, non bisogna essere profeti per capire e prevedere che i tempi si faranno sempre più difficili per tutti e soprattutto per chi sarà chiamato ad amministrare: come rispondere alla richiesta dei giovani che vogliono avere l’occasione ed il luogo per vivere la loro giovinezza? E come dare soluzione ai bisogni di una vecchiaia la cui solitudine non può essere solo combattuta dalla onnipresente illusione televisiva? E come assicurare una scuola al passo dei tempi e delle crescenti esigenze delle nuove generazioni? E come riprendere e rilanciare un possibile e realistico turismo nel nostro Paese? Ed infine, ma senza voler chiudere il discorso, come impostare e riproporre una ipotesi di sviluppo ordinato ed equilibrato di Caposele, nel quale l’aspirazione legittima di ciascun cittadino al benessere, alla dignità, al lavoro sia rafforzata e guidata da un quadro di riferimento e da un insieme di regole senza le quali può trionfare solo la prepotenza, la furbizia o la soggezione? Di fronte all’incalzare dei problemi, come si potrà fare fronte agli stessi? E con quali priorità? E allora, ritorna la domanda iniziale: “Che fare”? La risposta che posso dare, in coscienza e senza condizionamenti, è una sola: basta con i giochi degli addetti ai lavori! Si scoprano le carte e si awii una nuova partita, che permetta di chiudere il capitolo doloroso del dopo-sisma e di proiettare Caposele verso il futuro. Pur tra mille difficoltà, in costante crescita

Caposele, piazzino Imbriani grafico di Salvatore Conforti

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EDITORIALE

EDITORIALE Dopo la tempesta – luglio 1994- La Sorgente n.52 Nicola Conforti Nell’immediato dopoterremoto imperversarono in Caposele cattiverie e gelosie di ogni genere. Due nostri amici ammini­ stratori furono ingiustamente fatti segno di infamanti accuse. Ma la verità arrivò in tempo e fece giustizia, evitando brutti guai ai due malcapitati.

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’ tornato il sereno: Caposele si riprende, finalmente, da un incubo durato quasi due anni. Il tempo ha ridato il giusto valore alle cose ed il corretto significato agli avvenimenti. La brutta vicenda capitata ad Alfonso Merola ed a Gerardo Cirillo ci appare ora solo come un brutto sogno. Ci resta purtroppo lo sconcerto per quanto è accaduto, il risentimento per le persone che hanno ingiustamente tramato contro altre persone, la preoccupazione per il clima di odio che le stesse hanno creato nel nostro Paese, l’amarezza per la divisione profonda che le loro azioni malvagie hanno segnato nella nostra società civile. Ma con il sereno è tornata anche la consapevolezza che ci si può rialzare dalle brutte cadute e riprendere il cammino interrotto per recuperare i ritardi accumulati in due anni di crisi, di paura, di tensione, di sofferenza. “Il tempo è galantuomo, fa giustizia”: e galantuomini sono risultate le persone cui i Caposelesi avevano affidato la guida amministrativa del Paese e che “piccoli uomini” volevano infangare. Passata la tempesta bisogna riprendere il lavoro con lena, con coraggio e con determinazione: sono tante le iniziative interrotte, tanti i problemi irrisolti, tanti i programmi da condurre tenacemente a termine. Ora bisogna guardare avanti: le brutte vicende appartengono al passato ed al passato appartengono anche gli uomini che hanno seminato odio e divisione. Caposele ha bisogno dei suoi uomini migliori per riprendere il posto di prestigio che gli compete e per avanzare sulla strada del progresso e della pace sociale.

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1994 ITINERARI IRPINI – CAPOSELE – Dicembre 1994 La Sorgente n.53 di Emilia Bersabea Cirillo Ma è là, accoccolato sui sassi, il Sele, con le sue acque che ricordi ar­ gentate. Lo riconosci nel buio dal ritmo confuso. Il suono ha una voce così remota che il paese potrebbe perfino svegliarsi.

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evi aspettare che diventi buio. Che le donne riportino le sedie in casa, che gli uomini raccolgano le carte dal tavolo del caffè, che taccia la televisione e ogni commento del giorno, che le parole si dissolvano nell’aria sempre più lievi, sempre più lontane. Devi avere pazienza. Restare seduto, magari sdraiato non lontano dal Campetto di calcio. Fa conto che è una notte d’agosto, una notte di festa e non vuoi dormire. Tu segui le stelle, i grilli lontani prendono il posto delle voci, ogni tanto un sussulto, uno scoppio di risa come un petardo nel cielo accompagna il tuo tempo. Pian piano la calma, il silenzio. Nell’aria muta c’è un solo suono che guida i tuoi passi. Schlap, schlap, il fiume, lo senti, finalmente, il fiume ritorna. Per il momento è solo una voce. Convalescente. Debolissima. Vorrebbe dire di più e rompere il vuoto. Ma è là, accoccolato sui sassi, il Sele, con le sue acque che ricordi argentate. Lo riconosci nel buio dal ritmo confuso. Il suono ha una voce così remota che il paese potrebbe perfino svegliarsi. Tutto tace e continua a dormire, perchè a dolore si aggiunge dolore e da poco ha smesso di tenere gli occhi per terra. Il paese ha case nuove, finestre nuove, forse anche una testa nuova. Il cuore sembra ormai a posto. Ma il sangue, cosa resta del sangue? Non ha più note, non ha più vigore il sangue, pensi, mentre il fiume riprende il suo posto nel flusso dei ricordi. Ci vorrebbero dita lievi come farfalline instancabili su un piano per rintracciare il sangue, per ritornare al cuore il fiume è lontano da noi. E’ vicino. Ci lambisce. Prende altre strade. Emigra. Come han fatto tanti. Ritorna, ma non è più lo stesso. Il fiume nasce nel paese, sotto la montagna.ma non appartiene più a se stesso. Scompare quasi subito, come il figlio delfino di un re capetingio condannato a portare la maschera di ferro. Del fiume resta ancora il ricordo del suo suono, quando scorreva sotto le case. Ma non si può ricordare in eterno e accarezzare le nostalgie come se fossero brandelli funebri. Il sangue è sottratto, deviato, incanalato in vasche di pietra Docile prende altre strade. In quelle case, sotto la montagna, invalicabili, il fiume perde il suo suono per sprofondare con vuoto boato. Il rumore copre le parole. La sorpresa e il fragore levano il respiro. “Il bello non è che l’orrendo al suo inizio”, pensi entrando nel camerone, dove l’acqua appena nata si raccoglie, furiosa, creanAntologia Caposelese

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do mulinelli, saltando di forza lo stramazzo, ruggendo disperatamente contro la prigione che l’accompagna per un percorso scuro, infinito. Invano il fiume aspetterà colle sue piccole onde, col suo greto nudo, scoperto, l’acqua alla luce. Sono troppi gli anni che le cose vanno cosi. Caposele è diventato un nome paradossale. Capo del Sele inizio di cosa, pensi, se il fiume si intravvede appena e bastano pochi rumori del giorno per coprire la sua voce. Solo una musica può svegliarci. Un pifferaio che con le sue mani esperte suoni qualcosa che ci scuota dalla rassegnazione. Che come nella favola ci liberi dai topi invasori fino ad annegarli nel fiume. Solo un suono ci può aiutare, un suono di schlap, schlap, schlap. ma intenso; un finale con fuoco, un concerto barocco ondeggiante, che abbia fragore di spuma e di rabbia, di forza d’acqua che lavi le pietre, un suono che prenda in una mano cuore e sangue, che ricomponga i nostri desideri, un suono che riporti altre estati, e la pesca alle trote, e i giochi nell’acqua. E’ l’alba. Inutilmente cerchi di risentire quel suono che ti ha fatto compagnia, durante la notte un riflesso d’argento ti acceca. Speri che il fiume stia tornando a casa. Ma è solo la luce del mattino che muove le foglie.

Presentazione del libro: CAPOSELE, UNA CITTA’ DI SORGENTE – di Nicola Conforti e Alfonso Merola – La Sorgente n. 53- dic. 94 Padre Ciro Vitiello

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ono convinto che la presentazione di un libro spetti all’autore. Nel caso specifico: nessuno, meglio di Nicola Conforti e Alfonso Merola, potrebbe presentare “CAPOSELE, una città di sorgente”. Il volume vibra del profumo della loro terra, risente di tradizioni e di storia locale, esprime entusiasmo per un bene che si possiede e di cui si fruisce, apre ad una speranza concreta e orizzonti futuri. Queste prerogative, riverberano nelle luci di questo volume a tutto immagini. LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI Il linguaggio delle immagini è antico quanto il creato. L’uomo ha imparato a conoscere osservando quello che lo circondava. E cosi ha dato nome ad ogni essere vivente.

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In tempi più recenti il linguaggio delle immagini ha assunto dimensioni ed espressione di grande arte. Gli artisti, dotati di virtù espressive straordinarie, hanno tradotto in immagini pensieri e fatti altrimenti incomunicabili. In campo religioso le espressioni figurative venivano chiamate: “Bibbia dei poveri”. In un’epoca in cui l’analfabetismo imperava, artisti come Cimabue, Giotto, Lorenzetti, Simone Martini..., hanno offerto in immagini la lettura degli episodi della Bibbia o della vita dei santi e anche della storia civile. Certamente l’immagine non si sostituisce alla cultura, piuttosto ne costituisce un settore, e ai nostri giorni, un settore incidente ed efficace, si parla infatti di “cultura dell’immagine”. Parlare di “linguaggio dell’immagine”, sottolineando il fatto del “dire”, l’atto del comunicare, significa assumersi in ogni caso la responsabilità di ciò che si dice o si ha da dire, della sua capacità comunicativa, della sua significatività e della sua verità referenziale, come in ogni altro contesto umano. In questa prospettiva si può dire che il linguaggio delle immagini, come atto, come fatto linguistico è sottomesso a precise regola, come ogni altro fatto di lingua di cui si occupano le scienze umane. D’altro lato, però, il “linguaggio” in quanto espresso “in immagini”, ha un suo preciso orientamento, gravitando intorno ad una sua specifica costellazione, che è di carattere storico-sperimentale. Sul versante di questi due movimenti, l’uno fondamentalmente culturale e l’altro pratico, si è compiuto un lungo cammino: da una parte, la linguistica, la semantica, la filosofia del linguaggio hanno raggiunto uno sviluppo tale da imporsi all’attenzione di tutta la cultura contemporanea, dall’altra, la storia e la sperimentazione sembrano trovare una direzione più unitaria e raggiunge una maggiore maturità che permette e sollecita un dialogo più vero. I contributi offerti dal volume di Conforti e Merola respirano fondamentalmente questo clima di maggiore maturità e di inizio di assestamento, anche se naturalmente la ricerca prosegue in tutta la sua ampiezza. II volume si ferma ai “tiempi belli ‘e na vota”, ci sono anche tempi meno belli, che occorre “fotografare”, per un servizio completo alla verità storica, e quelli di oggi, che non sono meno belli... “OR FU SI’ FATTA LA SEMBIANZA VOSTRA?” Comunque il volume offre un contributo straordinario alla comunità caposelese e irpina, anzi mi permetto di dire, nazionale. A usufruirne per primi siamo certamente noi. In ogni immagine è fissata una memoria, che non è semplice ricordo di un passato: personaggio, strada, casa... E’ qualcosa che rivive, che si fa storia, che si fa vita, vita nostra, qui e ora. Un passato senza il quale non esiste presente e non può esistere futuro. Ora, se la prima finalità è quella di gettare un ponte tra passato e futuro, Antologia Caposelese

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la seconda è quella che ripropone dall’interno il problema della mediazione storico-culturale, in cui la fotografia non è solo un fatto di passione o di tecnica, ma anche parola che deve farsi carne e tradurre le aspirazioni, le intenzioni, i sentimenti dell’uomo e della comunità. Queste linee fondamentali potrebbero però a loro volta apparire soltanto degli aspetti generici, se non trovassero nelle pagine di questo lavoro uno sforzo serio di precisazione e di concretizzazione, unitamente ad uno sforzo altrettanto generoso per evitare ogni tipo di retorica, puntando sull’essenziale. Ciò allo scopo di animare e di suscitare nei lettori, e nei giovani in particolare, la curiosità, ma meglio, l’anelito alle cose che furono, e farli esclamare, sorpresi e interessati, come Dante nel Paradiso: “Or fu sì fatta la sembianza vostra?” (Par. XXI, 108). Ma per facilitare la lettura di questa pubblicazione, frutto di appassionato ed intenso lavoro, bello nella veste tipografica, vorrei sfogliarlo velocemente. Gli autori, oltre a far parlare le immagini, con precisa ed intelligente scelta hanno selezionato testi di autorevoli scrittori, moderni e contemporanei, per allietarne la lettura e arricchirne il commento. Ciò ha reso l’opera più calda e poetica, trasportando il lettore in un mondo di sogni, che non falsano, ma tingono la realtà di colori diversi e la rendono perciò stesso più accessibile. Dicevamo: più poetica... Se il “far poesia” significa comunicare, esprimere, provocare, giocare, ricercare... secondo i casi e i bisogni, tutto questo ha un preciso riscontro nel testo che presentiamo. La gente, le persone, le donne sull’uscio di casa, gli uomini al lavoro, i bambini... e poi, le strade, le case, le chiese, i campanili... la terra, la vegetazione, l’acqua, la luce... costituiscono le coordinate di una fenomenologia della percezione e dell’espressione, che vengono ripensate attentamente e vengono riproposte come provocazione non soltanto per una cultura dell’ambiente, ma anche per una nuova possibilità etica e morale. In tutto questo riesco a cogliere la finalità dell’opera e l’intento degli Autori. “UNA CITTA’ DI SORGENTE” Ed è questo l’aspetto che maggiormente mi sembra vada sottolineato. La cultura italiana, da oltre duemila anni, è cultura romana, e da circa duemila anni, è cultura cristiana. Anche se non si fa riferimento ad essa direttamente, se ne respira l’aria che alimenta il sangue e diventa vita. “...Gli antichi di Caposele ebbero a cuore la Cattolica Religione, talché, in questo Comune, fu pur degna di nota quell’unione, che in antico era sì salda nei Comuni Italiani delle patrie libertà con la Religione; Già il libro degli Statuti, e delle Immunità prende gli auspici dalla SS. Triade, come ho detto. Ma è ancora da notarsi, che Ercole Rangone, Arcivescovo di Gonza, scelse Caposele.

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1996 AMMUINA R’ QUATRARI – dicembre 1996 – La Sorgente n. 58 di Antonio Sena Le trame dei nostri giochi si articolavano su versioni localistiche che in alcuni casi posso­ no essere riconducibili all’acchiappino, al nascondino, alla cavallina, altri, invece, ad arcane rappresentazioni di avvenimenti cosmici da attualizzare o di un ordine naturale da celebrare.

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rima che l’Hi-Tech trasferisse gli svaghi dei fanciulli dalle strade e dalle piazze dei nostri paesi alle multisale zeppe di videogames sempre più accattivanti ed imponenti, come “pazziavano” i Caposelesi? a che cosa si “pazziava”? dove si “pazziava”? Non sono queste domande inutili, se è vero che il gioco può essere più antico della cultura, se è vero che il suo dominio si estende dallo stato ricreativo puro e semplice alle rappresentazioni sceniche e liturgiche, se è vero che se ne ritrovano fertili innesti in certi comportamenti individuali e sociali; non sono domande inutili, se è vero che ogni lingua o dialetto, nel distribuire l’espressione di tale attività in molte parole diverse, ne ha dilatato o ristretto i margini di significato, se è vero che la radice di “pazziare” oscilla tra 1 ‘ uscir di senno e lo svago della mente, proprio della Magna Grecia, legato all’età fanciullesca (paizein); non sono domande inutili, se è vero che il gioco si isola dalla vita quotidiana, ma nello stesso tempo, traendone regole e forme di comunicazione, si fissa subito come parte integrante del “genius loci”, se è vero che si svolge entro certi limiti di tempo e di spazio e ne resta indissolubilmente legato, se è vero che, giocato una volta permane nel ricordo come una creazione o un tesoro dello spirito, se è vero che esso è tramandato e può essere ripetuto in ogni momento. Allora, tralasciando i giochi che si svolgono con l’ausilio di strumenti quali la palla o le carte, come “pazziavano” i Caposelesi da fanciulli, diciamo fino a vent’anni fa? Sicuramente molto similmente a tanti loro coetanei sparsi nelle aree geografiche più diversificate dell’Italia centro meridionale e, perchè no, anche settentrionale e oltre. Infatti, le trame dei nostri giochi si articolavano su versioni localistiche che in alcuni casi possono essere riconducibili all’acchiappino, al nascondino, alla cavallina, altri, invece, ad arcane rappresentazioni di avvenimenti cosmici da attualizzare o di un ordine naturale da celebrare. E’ ormai un’ardua impresa far riaffiorare dalla coltre dell’oblio quelle autentiche rappresentazioni con lo stesso ordine, tensione, movimento, solennità, fervore. Innanzitutto era creato una sorta di linguaggio specialistico per indicare luoghi, situazioni, convenzioni, unità di misura: lu singu (sito segnato come luogo Antologia Caposelese

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da custodire o da conquistare),parare (stare sotto passivamente), francu tuttu (evocazione che rendeva liberi ed esenti da qualsiasi imposizione), parmu (misura dal pollice all’indice), z’tacchiu (misura dal pollice al mignolo), mazza (misura da un’estremità all’altra del bastone con cui si batteva), migliaru (pari a ventuno mazze), scacatu (imperfetto, ma anche annullato, ridotto senza alcun bene), a ciammiellu (perfetta aderenza e corrispondenza), z’llia (pretesto litigioso), terza z’Ma (limite massimo per non essere considerato un guastafeste), tuoccu (conta con le dita delle mani), sc‘rzià (eludere l’avversario, senza fermare la corsa, con una finta o con un repentino cambio di direzione). Poi, ad ispirare particolari forme ludiche (individuali o a squadre, di giorno o di notte, d’estate o d’inverno), c’erano i siti urbani, larghi o stretti, aperti o chiusi, con anfratti o sottopassi, con strett’la’ o chiazziunu, sempre e comunque sgombri da automobili; poi c’erano, ancora, i portoni e le soglie di pietra liscia, i piani inclinati e la variabilità dei percorsi; poi c’era soprattutto una certa densità di popolazione in ogni quartiere ed una vasta reperibilità di coetanei. In tal modo non mancava proprio niente era pronto per iniziare a “pazziare”. Trendunusalvattutti : uno parava e contava fino a trentuno, nel frattempo gli altri si nascondevano all’interno di uno spazio predefinito e cercavano, senza farsi scorgere, di conquistare lu singu, che veniva difeso da chi parava; la variante a squadre di questo gioco, si chiamava guerra a tri tri. Vieni: chi parava, cercava di acchiappare gli altri che si potevano muovere solo in uno spazio predefinito. Il rincorrersi poteva anche svolgersi su delle linee, che erano dei percorsi obbligati (come la stella disegnata “miezzu a lu chianu”), oppure su quattro cantoni, oppure “a la cicata” (ad occhi bendati), oppure per colori che si portavano addosso. La variante a squadre si chiamava mariuoli e carabbinieri ma aveva un ambito più vasto, a secondo del numero dei componenti delle squadre che permetteva, in tal modo, di fare una battuta di ricerca in piena regola per tutto il paese ed in genere in notturna. Unu ‘bonda a la luna: pantomimica filastrocca numerata (da uno a ventuno), evocatrice di cicli agro-lunari, dove uno parava in posizione cavallina con le mani sulle ginocchia, gli altri a turno saltavano a scavalcare poggiando le mani sulla schiena di chi parava e proponendo ad ogni numero una figura diversa; chi sbagliava andava sotto e si ricominciava. Ouatt’ quatt’ottu: gioco a squadre; la squadra che parava, in posizione cavallina, formava una catena con il primo elemento che giustapponeva la testa nel grembo della “mammana”, che aveva la funzione di arbitro e di ammortizzatore; l’altra squadra montava in groppa saltando, disponendosi in ammucchiata anche su un solo elemento della catena; chi parava non doveva “sconocchiare”, chi montava in groppa doveva rimanere immobile senza toccare il terreno fino al salto dell’ultimo elemento che doveva pronunciare quanto più

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presto possibile, e senza sbagliare, quatt’ quatt’ottu, la palla nell’otto, gira ca sì, scar’ca no. La bella ‘nzalatina: altra variante del salto alla cavallina; tutti saltavano e tutti paravano in forma ciclica, senza apparente competizione, se non quella di eseguire con più classe, stile, prestanza e resistenza l’esercizio del salto che si svolgeva su un percorso lungo e qualche volta con un impervio saliscendi (“p’ la purtedda am-mondu”). C’erano giochi che richiedevano l’ausilio di alcuni rudimentali strumenti, non reperibili nei negozi; era richiesta, pertanto, un’abilità ed una maestria nel costruirli pari alla destrezza nel loro maneggio. La mazza e lu pezzuru: contesa, che avveniva preferibilmente in Piazza Sanità, a suon di mazzate sferrate su un pezzetto di legno appuntito alle due estremità, che servivano a farlo saltellare, appena toccato, sul “singo” prima di essere colpito a volo con energica veemenza. L’avversario si poneva dalla parte opposta e cercava di afferrare “lu pezzuru” e di rilanciarlo verso la mazza che, nel frattempo, era stata riposta sul “singu”. Vinceva chi riusciva ad aggiudicarsi cinque o dieci “migliari”, vale a dire l’ammontare di tutte le mazze che si contavano dal punto in cui cadeva il “pez­ zuru” rilanciato dall’avversario fino al “singu”; chiaramente chi riusciva a toccare la mazza nel rilancio del “pezzuru”, acquisiva il diritto alla battuta. In altre regioni tale contesa assunme (o assumeva) denominazione differenti: ciril in Toscana, ciangol nel Comasco, mangiugghia in Sicilia, mazza e pundolo nel Veneto, a la rella in Lombardia, a cebo e vegna nel Friuli, a mazzapicchio nel Lazio, tutte indirette conferme dell’antichità del gioco che era praticato anche dai Tartari e che presenta singolari attinenze con l’inglesissimo cricket e V americanissimo base-ball. A Caposele “la mazza e lu pezzuru” era molto popolare tanto che, come si racconta, durante la grande neve del ‘56 fino a che tutti i campi non furono sgomberi e praticabili, ogni giorno ed a tutte le ore Piazza della Sanità era affollata da tanta gente (anche di una certa età) che nel suo ozio forzato si divertiva accanitamente a sferrare “pezziri” e a contare “migliari”. Lu ruociulu: oggetto ruotante su sé stesso, consistente in una trottola di legno a forma conica molto schiacciata e levigata, terminante con una punta di ferro (“pun-tarulu”) intorno alla quale si avvolgeva dello spago (“la funa”), che velocemente ed abilmente tirato imprimeva un vorticoso moto rotatorio; se il lancio era perfetto, il “ruociulu” ruotava (“ruciuliava”) in equilibrata posizione verticale che gratificava molto il lanciatore-costruttore che, in casi di estrema abilità, riusciva a farselo passare sulla mano e a fargli eseguire addirittura “la fitta “ngimma a l’ogna”; c’era anche la sfida a spaccare il”ruociulu” dell ‘avversario con un colpo deciso del proprio strumento sulla testa di quello avversario mentre ruotava, saltellava e cambiava continuamente direzione. Antologia Caposelese

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Lu carruociulu: un asse di legno disposto su cuscinetti a sfera (anticamente su ruote in legno); era un vero e proprio skateboard; qualcuno dovendolo adattare alle impervie discese di Caposele vi aveva anche installato un rudimentale sistema frenante ed un dispositivo per cambiare la direzione di marcia o di corsa. Lu squicchiarulu: autentica ed originale arma ad aria compressa caricata a ghiande (“cerz”’), costituita da un pezzo di legno di sambuco cilindrico che veniva liberato all’interno dal midollo, per la giustapposizione di uno stantuffo di legno più duro perfettamente adattato (“allazzatu”) alla cavità. Tra i giochi che si praticavano nella strada ce n’erano alcuni, per così dire, d’azzardo, nel senso che comportavano l’impiego di monetine (cinque o dieci lire, nichelle o quatt’ soldi) ma anche di bottoni o di “furmell”’. Tuzz’e muru: si trattava di scagliare (possibilmente di taglio) contro il muro (possibilmente liscio) una monetina che si cercava di indirizzare con maestria verso le altre precedentemente lanciate; se si riusciva ad avvicinarsi ad esse ad una distanza pari ad un “parmu” o ad un “z’tacchiu” si guadagnava quanto stabilito, si aveva diritto ad un altro lancio e si eliminava l’avversario dal gioco il quale, però, poteva rientrare mettendo in gioco altre monetine. Lu quadratu: un quadrato, disegnato col gessetto o col carbone, diviso in quattro parti da una croce, la cui grandezza era graduata in base all’abilità dei giocatori che dovevano preventivamente “azzeccare” le monetine ad una “p’trella”; colui che riusciva ad avvicinarsi di più al segno prestabilito guadagnava il diritto a rilanciare le monetine (tutte insieme) verso il quadrato. Le monetine venivano intascate da chi al primo lancio o mediante successivi e sapienti colpi di dita riusciva a farle entrare in uno dei quattro quadranti senza intaccare minimamente le linee che ne delimitavano il disegno.

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EDITORIALE – La Sorgente n.60 - dicembre 1997 Nicola Conforti Tre volumi (raccolte) de La Sorgente raccontano circa 25 anni di storia del nostro Paese. La Sorgente ha rappresentato e rappresenta la memoria storica di tutto quanto è accaduto in quest’ultimo quarto di secolo.

Prima di accingermi a scrivere questo editoriale, ho voluto sfogliare i tre volumi che raccolgono i primi 25 anni di pubblicazione de “La Sorgente”, Ho provato una grande emozione: è stato come verificare la crescita di un albero da un piccolo seme gettato tanti anni fa quasi per gioco. In un momento mi sono tornati alla mente i ricordi di tanti avvenimenti che hanno contrassegnato la storia del nostro paese in quest’ ultimo quarto di secolo: uno scorcio di vita vis55

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suta dalla gente comune all’ombra di grandi eventi storici, la storia di uomini, periodi felici, momenti difficili. La Sorgente ha rappresentato e rappresenta la memoria storica di tutto quanto è accaduto. Ad essa affidiamo il compito di trasmettere fatti, emozioni, sentimenti, analisi e ricerche alle future generazioni. Molto tempo è passato: proseguire alla guida del giornale è diventato compito gravoso e difficile. Spetta ad altri il compito di raccogliere l’eredità del passato ed averlo come punto di riferimento per costruire il “futuro”. Mi auguro che siano i giovani a farlo. E che fra 25 anni ci saremo anche noi, gruppo storico della Pro Loco, a festeggiare le “nozze d’oro” de “La Sorgente”.

CHI SIMU … da La Sorgente Lu garzonu r’ li scigliati

In questo lungo elenco sono riportati tutti li stuortinomi delle famiglie caposelesi. Ancora oggi molte persone vengono individuate solo grazie a questi nomignoli.

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i a vava e tata addummannati, str’ppegn e sturtinomi vi cont’n ‘nzrtati. Ma prima r’ accum’nzà cu l’ati, chi stai scr’venn’ apparten’ a lu garzonu r’ li scigliati. Asciuogliu, Asciutta, Ardonu, Animalucciu, An’macotta, Anomalonga, Ag ‘ tella, Artumisia, Africanu, Americanu, Austriecu Battalemmu, Battosciu, Baccaronu, Braccialu, Burruchicchiu, Burraccieddu,Callararu, Carulicchiu, Carlucieddu, Cacanu, Carnieddu, Calandrieddu, Cacagliusu, Cacaporta, Cacacritu, Cafaia, Capon’, Callozza, Carm’nella, Caccesa, Campagnesa, Carpatu, Casciunaru, Catarattu, Cat’rinonu, Chioppa, Chiaravallieddu, Ciccuzza, Cicchiddu, Cucuzzieddu, Cierzu, Cienduriendi, Ciupparonu, Coccula, Cola, Cunzesa, Curtella, Crapariellu, Cuglittu, Culecchia, Faillu, Farconu, Fanfarieddu, Fasolu, Frasconu, Frasculiddu, F’rm’nieddu, Faluccieddu, Fuluppieddu, Furciddu, Furciddonu, Furcinedda, Fichella, Furnarieddu Furmcaru, Ferr’paglia,F’rrieru,Fiscinaru, Gaddoccia, Giaccaglinu, Ciachetta, Gattarieddu, Giosa, Grancascieri, Giammaruca, Giuannuolu, Grandiddio, Gilardiellu,Giorgiu,Gilormu, Irmiciaru,Iangonu, Innariellu, Lacriss, Lanott, Lapaccia, Larezza, Lanicchia, Lapenta, Lavammana, Lapustera, Lafurmica,Lap’rnici, Laucinesa, Larossa, Laianca, Lamparulu, Lintendi, Lumiìitu, Lepr, Lic’si, Liggieri, Liroccu, Lustrambu, Lustancu, Lumusciu, Lunìuru, Luguardiu, Luviendu, Lurannatu Antologia Caposelese

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Maciocia, Maddamma, Mascagna, Mar’nonu, Mash’catu, Matalienu, Mastusuonnu, Mast’ al iggi, Mast ‘ s’miggi, Mastutoru, Mastupeppu, Maslubrish’cu, ‘Mbruogìiu, ‘Mbeca, ‘Mbiciò, Murieta, Mineta, Minuocchiu, M’nicone, M’n’straru, M’salettu, Mieuzu, Murresu, Mussutu, Marcìanu, Moccia, Maggioru, Macchieddu, Musciddu, Maruchieddu, ‘Nduosh’cu, ‘Ndriccicciu, ‘Nzaìata, P’curiellu,P’tt’lona,P’tturicddu, P’nncccia, P’toia, Pricchiacca, Puntella, Pilota, Paglietta, Panupersa, Pirniciola, Piericorta, Pirocc’la, Procchia,Pietritroscia, Presca, Pasqualonu, Pasqualicchiu, Pietrupintu, Pilipesciu, Parlachianu, Pagannanti, Pasuonnu, Piruonzu, Peppandoniu, Peppucera, Puppinonu, Paternu, Parmesu, Pistacchionu, Pippa, Pizzapizza, Pizzettalli, Raf’lonu, Ruzza, Riedda, Sh’cavetta, Sciambagna, Sciatobba, Sciora, Scerpa, Scibbitalu, Scialapopulu, Sciuscittu, Sciabbulicchiu, Salamonu, Siluca, Spatulicchiu, Santillu, Sicari eddu, Sichettu, Siggiaru, Strupp’licchiu, Scutesa, Sdrenga, Spangedda, Scazzosa, S’ppuccia, Senzaculu, Spizz’la, Suffriggi, Suricella, Sdropp’la, Sfocattata, Stambonu, Taratappa, Tiroccia, Tabbonu, Tirisella,Titta,Tufara,Turacchia, Taccinu, Trezzumbi,Taturicchiu, Trentasei, Turlu, Turlicchiu, Varl’raru, Varvarulu,Vardaru, Vlasi.Vituscella, Vangilista, Vic’nzodda Zaccaria, Zuoddulu, Z’cchinu, Zuzarieddu.

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IL FASCINO DI CAPOSELE – Sorg. n. 60 Dicembre1997 di Emilia Bersabea Cirillo

Un tempo era un paese d’acqua, Caposele. Il fiume non inondava mai le case, le circondava. Se ne udiva il rumore, questo sì. Qualcuno mi ha raccontato dei tuffi nel fiume, spuma d’acqua gelata e grida.

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Caposele si arriva per una strada interna e romantica, quella del Bosco Difesa, passando tra castagni e faggi, rincorrendo le curve della strada, fermandosi tra cespugli di more alberi di selvatici, tra rami, bacche e silenzio. Il fascino del viaggio verso Caposele è tutto nelle curve del bosco, che si attraversa proprio come la vita, luci e ombre si susseguono, spazi aperti e nodi oscuri si incrociano coi nostri passi. Il tempo di abituarci a questo andirivieni, che la valle si apre, e il bosco è ormai alle nostre spalle, cerchiamo di arrivare presto alla luce, la luce della pianura dove un paese mite e solitario si raccoglie intorno al fiume. Proprio quel gruppo di case tutte nuove, dove pochi sono i buchi ancora da riempire è Caposele. Ormai lo conosco a memoria. La Chiesa verdina della Sanità, il Campanile della vecchia Chiesa della Sanità, immerso nel verde della

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montagna del Paflagone col tetto a scaglie gialle e verdi, la piazzetta davanti, il giardino recintato e la casa dell’acquedotto Pugliese , Via Roma, la casa di Nicola il giardino della casa di Nicola, il Caffè Roma e il bar Fuschetto, la Pro Loco, il Municipio, le case nuove, una in fila all’altra, bianche, beige, con le loro misure di un tempo ricostruite dal cemento armato, lo slargo dove si balla d’estate, i gradini che portano in alto, verso il palazzo Cozzarelli, e ancora in Via Roma, la casa di Alfonso, il negozio di Sturchio, il cantiere della Chiesa di San Lorenzo, l’oleificio Mattia da un lato, la strada in discesa verso la scuola elementare dell’altro. Tutto questo, a mia memoria, è Caposele, un paese dove ho trovato affetto, ospitalità, amicizia. Un tempo era un paese d’acqua, Caposele. Il fiume non inondava mai le case, le circondava. Se ne udiva il rumore, questo sì. Qualcuno mi ha raccontato dei tuffi nel fiume, spuma d’acqua gelata e grida. Non c’era altro, d’estate. I Caposelesi il mare lo hanno immaginato. Ma non è mai loro mancato. Avevano il fiume. Era quella la loro acqua. Tutto succedeva sul fiume. Era la loro vita. Venivano dai paesi vicini a vedere l’acqua uscire dalla montagna. E’ stata una leggenda, il Sele, così impetuoso, così calmo. Ora Caposele vive un’altra leggenda. Drammatica. Reale. Un paese dove l’acqua del fiume non fa a tempo a nascere che viene incanalata e scompare, di nuovo sottoterra. Un paese che è rimasto dove era, per volontà di molti, ma che lentamente, sta traslocando in una zona aperta, ariosa, vicina a Materdomini, i Piani. Un paese che, come tutti quelli interni d’Irpinia, vive d’estate la sua parte migliore. Le altre stagioni sono sonnolenti, tranquille, fredde, solitarie. I paesi diventano proprio come vuole il tempo meteorologico, non avendo fatto, a tempo, a costruirsi un progetto a protezione. E’ d’estate che trascorro a Caposele il Ferragosto. In quei giorni, la vita sembra un lento rassicurante movimento. E in quei giorni, sbucando dal Bosco Difesa, sembra che una luce azzurrina si concentri ancora di più nella pianura, sui tetti di Caposele.

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di Domenico Patrone

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Dov’è la neve del mio Natale? I pastori del mio presepe? Tutto é rimasto là, al mio paese: La fanciullezza, la gioia, l’amore. E’ rimasto l’affetto dei miei; E’ rimasto il mio primo amore; Son rimasti gli amici più cari; I canti dolci della notte Santa. E’ rimasto anche il mio cuore! II mio Natale in citta!: La gente va in fretta, senza guardare. Le vetrine ricche di luci, son senza calore; La pioggia leggera che cade dal cielo, Penetra nelle ossa, fredda, gelata. Cammino solo, in una strada illuminata, Assorto in ricordi struggenti: Guardo l’ora: mezzanotte!

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PACE di Domenico Patrone

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Serata d’estate Calda di mille dolcezze. Non conto le stelle, Non guardo la luna. La notte che viene Mi porta il profumo di te. Ti sento dolce e tranquilla Piena di languidi amplessi. Scorro il tuo corpo adorato Con lieve carezza di gioia. Così mi addormento In questa serata d’estate Calda di mille dolcezze!


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E venne un giorno del Signore spaccato di sole malinconico. La luna splendeva nel cielo furibonda; nella polvere i ruderi apparvero giganti e il sangue scorse tra le pietre inondando gli occhi sgranati d’ombre che appena prima erano rubini incastonati nelle nuvole. Chiedemmo la pietà di Dio e nostra vagando in cerca dei perduti suoni di campane. Poi l’acqua nel fiume tornò chiara, e non ferve ora lavoro ed opra: gli occhi sono ancora sgranati d’ombre sui rubini caduti dalle nuvole.

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E’ VENNE UN GIORNO di Vincenzo Malanga

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CAMPANILE D’ACQUA di Vincenzo Malanga

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Compresso nella pietra d’anni, squadrato nel verde d’infinite primavere; sentinella sventrata di arcate ombre nelle notti di luna o affrescata di sole nei meriggi tiepidi, sorridono le bocche fruscianti ai tuoi piedi d’acqua. Simbolo! Lontano dalle preci che chiami e che si levano nell’anno soltanto d’agosto. Selvaggio! — Marcato di silenzio sulla vita d’un cammino irreversibile. Memoria a chi scioglie altrove il destino: sogno che si desta all’appuntamento d’ogni sera ... e ascolta nei frastuoni il canto della tua unica campana.

Caposele, le cantine e il campanile

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1997 FIDUCIA E SPERANZA considerazioni del sindaco Corona – Dicembre 1997- La Sorgente n.60 L’anno che si chiude è stato difficile per tanta gente : penso ai nume­ rosi lavoratori disoccupati, agli anziani e disabili costretti in condizioni di disagio ed, a volte, di abbandono, ai baraccati ancora in attesa di una casa, agli studenti non sempre convenientemente sistemati ai giovani senza occasioni e luoghi di incontro; e così via dicendo.

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accolgo volentieri l’invito rivoltomi dal direttore de “La Sorgente”, che ringrazio, per dare un augurio affettuoso a tutti i Caposelesi e per comunicare qualche informazione, necessariamente sommaria, sullo stato delle cose nel campo della amministrazione comunale. L’anno che si chiude è stato difficile per tanta gente : penso ai numerosi lavoratori disoccupati, agli anziani e disabili costretti in condizioni di disagio ed, a volte, di abbandono, ai baraccati ancora in attesa di una casa, agli studenti non sempre convenientemente sistemati ai giovani senza occasioni e luoghi di incontro; e così via dicendo. A tutti costoro sento il dovere di dire una parola di fiducia e di speranza nella convinzione che il 1998 possa portare un miglioramento nelle generali condizioni di vita anche grazie agli sforzi che l’Amministrazione Comunale sta portando avanti nei vari settori, tra mille difficoltà e senza strombazzamenti. Nel campo dei servizi sociali è sorta e sta prendendo piede una associazione di volontari di cui da tempo si sentiva la mancanza, come la straordinaria partecipazione di giovani dimostra, ed i numerosi interventi posti in essere e le frequenti iniziative a favore delle persone più bisognose e delle categorie più deboli, come i portatori di handicap, stanno vincendo la diffidenza e le riserve anche dei più scettici. All’Associazione ed alla sua responsabile sig.ra Cesarina Alagia l’Amministrazione ha dato e sta dando il suo appoggio e conta di poter contribuire a rafforzarne la presenza e 1’azione. L’inizio del 1998 vedrà una ripresa ed uno sforzo nel campo della ricostruzione pubblica e privata. Si sta lavorando a sbloccare i lavori, mai iniziati, di urbanizzazione di Caposele-centro con l’obiettivo di rendere pienamente e finalmente fruibili le numerose abitazioni ricostruite e di riportare il paese alla sua fisionomia e alla vivacità di un tempo; nel campo privato, la primavera prossima dovrebbe vedere l’avvio della fase conclusiva della ricostruzione e così pure l’edilizia residenziale pubblica dovrebbe fare i primi passi, governo permettendo, dopo che l’Amministrazione ha fatto per intero la propria parte rendendo disponibile ed utilizzabile l’area dell’ex villaggio bavarese. Passando al villaggio “Fornaci”, uno spiraglio finalmente si apre per le nuAntologia Caposelese

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merose famiglie da trasferire altrove per rendere possibile il completamento edile a servizio di Materdomini ed ora, anche, di Caposele. Abbiamo richiesto un collegamento diretto anche con Caposele centro e su questo intervento integrativo si sta lavorando in questi giorni, a seguito del convegno tenutosi in ottobre nel nostro comune; ma lo svincolo servirà soprattutto a valorizzare e potenziare lo sviluppo di Materdomini, in occasione ed in vista del Giubileo. Per Materdomini è partito un programma di interventi che puntando a potenziare i servizi dell’ accoglienza e con il contributo dei numerosi operatori nel campo del turismo, a cominciare dal ruolo primario ed insostituibile della Comunità religiosa dei padri liguorini, permetterà di qualificare e valorizzare la grande vocazione turistica del nostro comune, vocazione certamente ed innanzitutto religiosa ma che, con la necessaria gradualità, non dovrà trascurare le grandi potenzialità ambientali, paesaggistiche e culturali della valle del Sele e dell’Ofanto. Si tratta di un impegno non facile e non breve al quale ogni forza, individuale e collettiva, è chiamata a dare il proprio contributo di passione e di idee, senza rancori e senza meschinità localistiche e personali. Un esempio vorrei additarlo ed è costituito dal comportamento del Presidente della locale Associazione di promozione turistica, ing. Pasquale Di Masi, il quale, nella difficile fase di preparazione del programma di inserimento nel piano nazionale del Giubileo del 2000,ha preferito lavorare in silenzio anziché dare sfogo alle sempre possibili e sterili polemiche. A questo punto, la speranza è che qualcosa fiorisca per Materdomini e per il turismo, in genere, nel nostro paese. Sulla scuola o, meglio, sull’edilizia scolastica credo che il peggio è passato : dal 1998 in avanti dovremmo tutti pedalare in discesa con i lavori di avvio del “polo scolastico” ormai imminenti e con la possibile e dignitosa soluzione del problema del liceo scientifico al quale il Comune di Caposele offre una sistemazione nell’ex palazzo scolastico di piazza Dante e, medio tempore, una migliorata ed in zona Piani. Senza avere la pretesa di esaurire il discorso, che resta certamente aperto al dibattito ed al contributo di tutti ed in tutte le sedi a cominciare da quella consiliare, un ultimo accenno voglio fare al problema più difficile e doloroso, quello che vede numerosi nostri concittadini, da lungo tempo, in attesa di lavoro. Si tratta di un problema complesso che sarebbe sbagliato affrontare in un’ottica municipale: il Comune non è una azienda e non può dare posti di lavoro; e tuttavia ogni sforzo va compiuto, in un rapporto di collaborazione soprattutto con le organizzazioni sindacali e senza schemi ideologici o politici, chiamando chi ha i mezzi e il potere ad invertire la tendenza attuale al ristagno economico. E’ possibile che la costruzione di alcuni alloggi popolari progettati, finanziati, appaltati non può partire perchè, in nome del contenimento della spesa pubbli-

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L’EREDITA’ COMUNE La Sorgente n. 60 – Dic. 1997di Antonio Ruglio

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ca, i fondi assegnati e disponibili sono “bloccati “ dal ministro competente? Il problema non è solo locale ma riguarda l’intero Mezzogiorno d’Italia, e allora occorre qualcosa e qualcuno che “sblocchi” questo come altri interventi produttivi e davvero socialmente utili. L’invito e la sollecitazione è di lasciare cadere le divisioni puramente politiche e di muovere insieme, compatti, a difendere le nostre ragioni. Il mio augurio è che il nuovo anno segni una inversione di tendenza in questo senso.

Così, in maniera quasi inevitabile, abbiamo imparato ad apprezzare certi angoli del nostro Paese che altrimenti avremmo ignorato e molti di noi, an­ che quelli più distratti, hanno potuto cogliere alcune sfumature di un passato recente che difficilmente si ritrovano oggi alle soglie del duemila.

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iascuno di noi, come è logico che sia, ha una propria storia personale fatta di gioie, dispiaceri, amarezze, vittorie e sconfitte maturate nel corso degli anni. Siamo un tutt’uno con essa, ne siamo i gelosi custodi e gli eventi che tanti sentimenti hanno prodotto in noi nel bene e nel male un fardello pesante da portare. I ricordi, il cosiddetto passato, e il presente che scorre proprio mentre ne parliamo hanno avuto e hanno uno svolgimento ininterrotto nell ‘ ambito di una dimensione temporale e spaziale ben precisa. Caposele, per molti di noi, è stato l’orizzonte nel quale la nostra vita ha potuto concretizzarsi e ne ha scandito anche i tempi. Così, in maniera quasi inevitabile, abbiamo imparato ad apprezzare certi angoli del nostro Paese che altrimenti avremmo ignorato e molti di noi, anche quelli più distratti, hanno potuto cogliere alcune sfumature di un passato recente che difficilmente si ritrovano oggi alle soglie del duemila. Ma ciò che più importa abbiamo imparato a dare un volto a tutto, anche alle cose che ci sembrano inanimate e che in realtà non sono altro che la testimonianza diretta del passaggio di persone che come noi hanno condiviso lo stesso orizzonte ma in stagioni e condizioni diverse. Diventa perciò inevitabile pensare agli amici, alle persone care, ai cittadini di Caposele che hanno cessato di vivere ma che con la loro presenza fisica e spirituale hanno dato e danno significato e valore alla vita di ciascuno di noi. Ma la storia di una Comunità è fatta anche da persone che non abbiamo conosciuto Antologia Caposelese

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direttamente e di cui ne distinguiamo i lineamenti attraverso foto sbiadite e il ricordo di chi non dimentica. Se qualcosa di vero è ancora rimasto lo dobbiamo a loro. Chi avesse per un minuto il buon senso di ascoltare imparerebbe a conoscere e a capire la vita di tanti ventenni di Caposele chiamati a morire in guerra secondo le leggi umane di un destino atroce. Venivano costretti a partire, non c’era una scelta da fare, la strada era quella e solo quella. Molti di loro sicuramente erano contrari all’uso delle armi, per principio, per indole, per fede, ma nel fondo della propria coscienza custodivano forte anche il senso della Patria, il convincimento che morire per essa e per la libertà era un dovere e al tempo stesso un grande onore. Ritrovarsi periodicamente davanti al monumento che li ricorda è uno dei momenti più alti dell’identità storica e civile di una Comunità. E che dire di loro, le donne e gli uomini che in tempi difficili, di carestia, di fame e di stenti inimmaginabili hanno saputo piantare radici forti, hanno gettato le basi per una società sana e onesta? Grazie al loro esempio tutto ciò che era patrimonio comune, sensibilità comune, tradizione, ha potuto crescere sempre più e durare nel tempo. Questo significa fare una Comunità, viverla profondamente, sentirsi partecipe di essa. Il loro senso di appartenenza era così forte da non temere ostacoli, il loro orgoglio civico di Caposelesi così alto da poter aspirare a qualsiasi risultato. La percezione di questo fatto è così forte in me da costringermi a fare un esame di coscienza per capire in che misura il nostro senso di appartenenza possa essere paragonato a quello dei nostri nonni per esempio. Mi accorgo che una risposta chiara e netta non è possibile. La nostra comunità, quella di oggi, è un grande mistero anche per noi che ne facciamo parte. Non sappiamo, per esempio, se di fronte ad un dramma civile e umano che fosse in grado di alterare i normali equilibri di vita, Caposele sarebbe in grado di reagire con dignità, con coerenza, con misura. Non sappiamo se principi come quello di solidarietà (solidarietà concreta s’intende) trovino effettivamente spazio nella nostra coscienza collettiva, se abbiamo un patrimonio tale di valori comuni da metterci al riparo da qualsiasi insidia morale e materiale. Non sappiamo, in sostanza, se la nostra sensibilità è tale, se il nostro bagaglio di esperienze è così ricco e variegato da consentirci di esprimere qualcosa di importante laddove a gioire non è il singolo, ma l’intero Paese, non sappiamo se la nostra esistenza potrà essere garanzia di crescita civile per le generazioni future. La verità è che non siamo più abituati ad interrogarci, proviamo fastidio quando dobbiamo dire la nostra su questioni spinose, scomode, impegnative. Riteniamo superfluo ogni tentativo di riflessione comune soprattutto quando c’è

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in gioco il nostro tornaconto personale. Di tutto questo mi piacerebbe parlare con serenità, senza pregiudizi e con la massima disponibilità ad ascoltare perchè non vada dispersa la preziosa eredità che abbiamo ricevuto. Di tutto questo vorrei parlare senza essere accusato di voler creare scompiglio e di voler alterare il tranquillo fluire della vita caposelese. Essere cittadino di Caposele è certamente un privilegio, ma è anche una grande responsabilità, bisogna essere all’altezza, bisogna essere degni come lo sono stati altri in tempi peggiori del nostro. Noi oggi non sappiamo chi siamo e la colpa è solo nostra.

IN PRIMA LINEA PER MIGLIORARE SE STESSI di Giuseppe Rosania Sorg. n. 61 giugno 1998

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lle porte del Terzo Millennio, lo si voglia o no, viene richiesto a ciascuno di noi uno sforzo di fantasia, un impegno maggiore e più diretto nella vita sociale. Ciascuno ha l’opportunità di manifestare il proprio pensiero, di far proposte, e nel fare questo corre un grosso rischio. La conseguenza è che tutto rimanga sulla carta come testimonianza autentica delle proprie buone intenzioni. Tuttavia, una comunità che non sia malata di egoismo, deve quantomeno cercare di pianificare il proprio futuro, di ragionare in prospettiva se non vuole smarrire la propria identità. Tanto per cominciare deve dedicare grande attenzione al futuro dei bambini, degli adolescenti, delle nuove generazioni, come si è solito dire, partendo dal basso, una volta tanto, stando con i piedi per terra. Ci siamo posti in quest’ottica e abbiamo fatto qualche riflessione. Abbiamo subito pensato all’evoluzione dei piccoli, alla loro crescita emotiva. caratteriale, ma anche fisica. Gli interrogativi non sono mancati e non abbiamo potuto fare a meno di domandarci, ad esempio, qual è il rapporto delle nuove generazioni con lo sport. Che cosa è cambiato oggi rispetto a trent’anni fa’? E’ cambiato il modo di concepire lo sport, oppure le nostre esigenze di allora sono le stesse dei giovani di oggi? Per molti di noi fare dello sport significava riunirsi in Piazza Sanità o al campo sportivo “Liloia” a giocare a calcio nel tempo della bella stagione: era sufficiente muoversi, correre. Tutto, o quasi, era affidato al caso. Oggi l’attività motoria non può essere concepita come quella di una volta. Lo sport, nelle sue Antologia Caposelese

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manifestazioni dinamiche, è entrato a far parte della vita di ciascuno di noi a maggior ragione in quella dei ragazzi in età evolutiva. Anche la scuola è cambiata nei suoi modelli di riferimento, nella sua organizzazione e non la si concepisce più come “un mondo a sé”, ma un tutt’uno con l’ambiente e con lo sport. La pratica sportiva è così vissuta con maggiore serietà, maggiore impegno e partecipazione che non qualche decennio fa. E allora? “Che senso ha costringere le scolaresche a praticare lo sport con la stessa precarietà di un tempo?” Può bastare il campo sportivo, una piccola palestra e una piscina, peraltro ben gestita, per entrare a testa alta nel terzo millennio? Perché non pensare alla creazione di infrastrutture per la pratica di più discipline (atletica leggera, basket, pallavolo, pallamano, pista ciclabile) tendenti allo sviluppo psicomotorio del futuro individuo? Inoltre, qual è il ruolo attuale delle Associazioni sportive e quale dovrebbe essere per il futuro? Potranno mai diventare degli “interlocutori seri” per la definizione di programmi di intervento in questo settore? Di tutto questo vorremmo che si parlasse seriamente a Caposele. Noi crediamo che investire nello sport equivalga a investire nel futuro di un ‘ intera comunità; sprecare tempo prezioso non avrebbe senso per nessuno. Vorremmo, altresì, che in questa auspicabile pianificazione venisse coinvolta anche la scuola, perché non rimanga solo un dovere civico da assolvere necessariamente, ma diventi un vero e proprio disegno strategico, i cui effetti avranno modo di dispiegarsi nel corso dei prossimi anni. In conclusione, non possiamo avere la sensazione che il tempo si sia fermato e che anche lo sport, con il lavoro, la convivenza e la qualità del vivere, siano delle chimere destinate a rimanere tali per sempre.

LA SORGENTE: I PRIMI 25 ANNI spunti dalla manifestazione un breve excursus sui 25 anni de “la sorgente” Sorg. n. 61 giugno 1998 Nicola Conforti

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nnanzi tutto un saluto ed un ringraziamento a voi tutti per aver aderito al nostro invito per questo incontro “celebrativo” di 25 anni di attività editoriale. Non voglio assumere i toni trionfalistici di chi, avendo fondato il giornale, lo ha poi portato avanti e guidato ininterrottamente per così lungo tempo. Mi piace ricordare, a questo punto, le persone che insieme a me si prodigarono per fondare il giornale: parlo di Michele Ceres e di Don Vincenzo 67

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NICOLA CONFORTI Malgieri. Percorsero, però, solo i primi passi sulla strada che ci ha portato al traguardo di oggi. Nel corso di questi lunghi anni ho avuto tanti validi collaboratori, ma tanti ne ho perduti di volta in volta, o perché sono venuti a mancare, o per loro scelta. A tutti loro va il mio ringraziamento. In questa occasione non posso non ricordare la collaborazione affettuosa, altamente qualificata, del Direttore della Tipografia Valsele, Padre Antonio Pasquarelli. Ha curato tutti i numeri de “La Sorgente” dal lontano 1973 ad oggi. E lo ha fatto con pazienza, con grande professionalità e con impegno. A lui un grazie di cuore.

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Inoltre voglio ricordare chi, materialmente, fin dal primo momento, è stato presente oltre che artefice delle pubblicazioni: intendo parlare del tipografo Peppino Cetrulo, prima con la composizione a mano e poi con la “Linotype”, del tipografo Mario Pallante, compositore pure lui e stampatore alle prese con la indimenticabile “Saturnia”. Ed infine Giuseppina Nesta, eclettica per le sue capacità e sempre presente in molteplici attività nell’ambito della Tipografia. Non intendo questa sera fare la storia di questo giornale. Ne sarei davvero tentato. Ma 25 anni sono tanti da raccontare per cui vi esonero da questo lungo e forse tedioso discorso. Ritengo, però, che alcune cose vadano dette, precisate e sottolineate, sia pure fugacemente. Abbiamo raccolto in tre volumi tutto il materiale pubblicato fino ad oggi. L’ultimo volume comprende anche il n. 60 che presentiamo questa sera. Sfogliare questi volumi è come ripercorrere idealmente le vicende del nostro paese in quest’ultimo quarto di secolo, dai momenti di grande serenità e di normale svolgimento della vita paesana degli anni settanta, ai momenti difficili e intensi insieme del terremoto, a quelli meno turbolenti ma pur delicati e impegnativi degli anni ‘90. La “fondazione” de La Sorgente si inquadra in quel primo periodo degli anni settanta, quando la vita caposelese scorreva lenta e monotona, senza avvenimenti eccezionali o sconvolgenti, nella serenità e nel profumo di un piccolo ed accogliente paese agricolo, con i suoi costumi, le sue tradizioni, la sua storia, il suo folklore. In questo periodo “La Sorgente” riporta notizie, documenti e testimonianze allo scopo di ricostruire la storia del paese, per dare un contributo alla conoscenza ed all’approfondimento di una realtà ambientale che rischiavamo di ignorare, di non apprezzare abbastanza, di trascurare o alterare senza speranza. E, poi, venne il terremoto. Ci ritrovavamo un paese sconvolto da lutti e distruzioni, un tessuto urbano cancellato o irrimediabilmente alterato. Una comunità che aveva lentamente e faticosamente costruito la sua “storia”, la vedeva crollare in poco più di un minuto di sussulti sismici. A questo punto l’impostazione del giornale subisce una brusca inversione di tendenza; cambia lo scenario, cambiano i problemi, cambiano gli indirizzi. “La Sorgente” affronta con apertura e fermezza la situazione drammatica del nostro paese, con esiti di grande equilibrio e di notevole saggezza. Fa leva sulla grande forza morale dei Antologia Caposelese

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Caposelesi e si adopera perchè possa trarne da essa la volontà e 1’ impegno per una grande opera di rinascita e di ricostruzione. Le vicende legate alla ricostruzione creano, purtroppo, un clima di odio e di intolleranza, con conseguenze disastrose e drammatiche per alcuni. Il tempo, come sempre, è galantuomo e fa giustizia. Il clima ridiventa sereno e le attività riprendono il loro normale e naturale svolgimento. “La Sorgente” ricomincia ad occuparsi di fatti e personaggi del nostro paese, di cronaca e varia umanità, di storia. “La Sorgente” continua a rappresentare uno strumento importante di comunicazione con una sua particolare specificità: quella di parlare solo di Caposele e di rivolgersi a Caposelesi sparsi in Italia e nel mondo. E vi assicuro che non è facile, in un giornale di 24 pagine, parlare sempre ed esclusivamente di Caposele. Attraverso le pagine de “La Sorgente” scorrono da sempre le informazioni dei momenti più significativi della vita del nostro paese, si ricordano le figure dei “grandi” Caposelesi del passato, si richiamano diverse iniziative di particolare spessore ed altro ancora. Ed a proposito di “Grandi Caposelesi” abbiamo fatto scoperte davvero interessanti; abbiamo approfondito conoscenze di uomini e cose, abbiamo arricchito notevolmente il nostro patrimonio culturale. Non molti sapevano, per esempio, che il filosofo Tommaso Zancha, Rettore dell’ Università di Napoli, è nato a Caposele nella seconda metà del XVI secolo. Non era noto a tutti che Daniele Petrucci di origine caposelese è stato un pioniere nel campo della fecondazione in vitro. Non tutti avevano sentito parlare di un illustre figlio di Caposele, Padre Antonio Del Guercio, morto in concetto di santità e sepolto nella chiesa di S. Francesco in Ravello. Per non parlare del nostro “genius loci” e cioè di Nicola Santorelli, cui pure abbiamo dedicato molto spazio su “La Sorgente”. E poi ancora le rubriche sul dialetto Caposelese, sui Caposelesi nel mondo, sui fatti del passato.

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E’ un giornale cha ha mantenuto fede ad una impostazione iniziale e, salvo piccoli aggiustamenti, ha conservato sempre la stessa linea e lo stesso taglio. Sicuramente non è nato in contrapposizione a qualcosa od a qualcuno: sarebbe fallito immediatamente e miseramente. “La Sorgente” è nata per 1’affermazione di Caposele e dei suoi valori più genuini. Il giornale che vi presento questa sera chiude un ciclo. Io mi auguro che se ne apra subito un altro e che “La Sorgente” possa avere ancora una funzione importante per i Caposelesi di tutto il mondo ed in particolare di quelli che si sentono indissolubilmente legati alla nostra terra.

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2001 UN IMPEGNO CHE CRESCE, UNA RESPONSABILITA’ DA CONDIVIDERE La Sorgente n. 66 - luglio 2001di Cesarina Alagia Continua a crescere a Caposele, la cultura delle buone intenzioni e delle belle parole che poi però, rapportate alla concretezza, all’operatività ed an­ che allo sforzo delle azioni, si frantumano irrimediabilmente.

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rmai la Pubblica Assistenza a Caposele è diventata una presenza costante ed una risposta concreta ai bisogni sociali presenti sul territorio ed in quest’ottica abbiamo lavorato e continuiamo a farlo, a volte in maniera palese, a volte in modo meno visibile, ma non per questo meno importante ed incisiva. Quest’anno il nostro operare si muoverà in uno scenario diverso in quanto nel contesto politico – sociale (a livello nazionale) si sono verificate delle grosse novità, mi riferisco alla legge 328, che modifica sostanzialmente il settore dell’assistenza. Difatti questo settore, finora ancora modellato sulla legge Crispi del 1890, con la nuova legge per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, subirà una radicale trasformazione in quanto introdurrà un’assistenza su misura, nell’ottica della prevenzione, dell’inclusione e dell’affermazione dei diritti connessi alla protezione sociale. Si tratta quindi di una legge che caratterizza il suo “promuovere interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritto alla cittadinanza, previene, elimina e riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociale e condizioni di non autonomia”. Come si può facilmente capire si tratta di una legge che caratterizza la sua innovatività proprio sulla radicale trasformazione dello stato sociale ed oggi per effetto di questa legge, le politiche sociali, lungi dall’essere un optional per le diverse amministrazioni locali, diventano un impegno concreto, che basandosi sulla specificità dei bisogni territoriali, e sulle risorse della comunità, deve sapersi tradurre in piani e progetti, necessari a dare delle risposte concrete a dei bisogni effettivamente esistenti e maturati nel territorio, tutto quanto in una prospettiva di decentramento e di rispetto delle autonomie e specificità locali. Il ruolo del terzo settore, e quindi anche del volontariato, in questo nuovo scenario, acquista una rilevanza notevole in quanto gli Enti locali, le Regioni, e lo Stato dovranno garantire azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore, i quali quindi partecipano, attraverso specifiche forme di concertazione alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali previsti nel Piano di Zona Sociale. A questo proposito noi della P.A. vogliamo ribadire la nostra intenzione a Antologia Caposelese

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potere e a volere essere coprotagonisti di questa forte innovazione e di questa nuova sfida dello Stato Sociale, pertanto ci stiamo adoperando e preparando in modo adeguato, anche frequentando corsi di formazione che ci vedono impegnati nello sforzo di acquisire capacità progettuale innovativa tale a potersi collegare ad una progettualità reticolare sempre più ampia. Ovviamente il decollo della legge e quanto essa comporta, implica tempi un tantino dilatati, il nostro invito all’amministrazione comunale è quindi che intanto voglia e sappia coinvolgerci in questa nuova visione del sociale, dandoci sempre maggiore legittimazione sostenendo adeguatamente le nostre iniziative, in modo da garantire e permettere il prosieguo delle nostre attività. Questa mia ultima affermazione deriva dal fatto che, molte volte, i nostri servizi ed interventi non trovano il dovuto riconoscimento da più parti, e pertanto, spesso, ci troviamo in difficoltà che rallentano le nostre iniziative, che pure sono a vantaggio dell’intera collettività, - un esempio su tutti è rappresentato dal servizio quotidiano ed ininterrotto di Pronto Soccorso con l’ambulanza, che comporta uno sforzo tecnico ed organizzativo non indifferente-Eppure credo che la nostra associazione meriti una considerazione maggiore ed una partecipazione più numerosa di cittadini in quanto siamo riusciti con grande sforzo, a dare dei contenuti concreti al concetto di Solidarietà ed anche un contributo alla crescita culturale del nostro paese. Nella nostra associazione vengono inoltre svolte, (grazie all’apporto di volontari giovani ma non per questo impreparati al loro compito) attività di animazione nei confronti di bambini e fanciulli (dai 4 ai 14 anni) ed attività di accoglienza nei confronti di bambini da 8 mesi a 3 anni; sempre presso la nostra associazione è stato attivato il servizio SAM (servizio di assistenza ai minori) che si avvale della consulenza settimanale di una sociologa e di una psicologa. Tale servizio riesce a dare risultati apprezzabili, in quanto ci si adopera per svolgere un’analisi attenta del territorio da cui spesso emergono problematiche diversificate a carico dei minori che poi vengono sottoposte all’attenzione e alla soluzione da parte degli operatori sociali della legge 285, dato che questi servizi rientrano in un progetto consorziato tra diversi comuni, dei quali il nostro fa parte e che ha come comune capofila Montella. Stiamo elaborando, con altre P.A. un progetto a favore di minori a rischio (compresi nella fascia d’età compresa tra i 14 ed i 18 anni) e tale progetto ha come finalità prioritaria quella di contrastare il ricorso a sostanze come droga, alcool e tabacco (condotta deviante che spesso è causa di fenomeni di marginalità sociale) ricorso indotto da mancanza di ideali, mancanza di fiducia nel futuro, e difficoltà di socializzazione. Il progetto, pertanto, si propone di orientare questi giovani verso attività qualificanti e gratificanti al fine non solo di recuperare ma anche di prevenire; il progetto consentirà di creare presso la P.A. un polo di attrazione, aggregazione sociale e culturale. Va inoltre detto che nel nostro territorio viene avvertita da parte di anziani che si vivono situazioni di disagio e solitudine, la necessità di una Casa di Riposo.

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Noi intendiamo che tale necessità possa trovare una forma concreta di realizzazione : basta la disponibilità di una struttura e la costituzione di una cooperativa o Impresa sociale. L’amministrazione comunale ci ha riferito che la struttura la si può reperire, e le persone qualificate e capaci di costituire Imprese sociali pure ci sono, in tale senso abbiamo infatti anche fatto un monitoraggio sul territorio; nel frattempo ci stiamo adoperando a stendere una scheda - questionario per censire l’intenzione e la disponibilità degli anziani ad usufruire della suddetta opera, la quale vedrebbe così contemplate e realizzate due necessità: il soddisfacimento del bisogno dell’anziano ad avere una Casa di Riposo e nel contempo, l’esigenza lavorativa delle persone preposte all’erogazione del servizio. Ultimamente la nostra associazione ha realizzato due importanti incontri, uno sulla “legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” e l’altro avente come tematica “Promuovere i diritti dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia per costruire un futuro migliore”. Sono stati entrambi occasione di confronto e di arricchimento, con la presenza di relatori molto qualificati, che hanno saputo dare il migliore contributo alla discussione. Da questi incontri sono emerse delle problematiche aperte che la P.A. intende considerare, quale, ad esempio, l’opportunità di realizzare dei Corsi e dei Gruppi di lavoro sul ruolo che l’essere genitore oggi comporta, specialmente alla luce delle trasformazioni che hanno investito la nostra società anche all’interno del “sistema famiglia”. Alla fine di questo mio “excursus” su quanto abbiamo realizzato e su quanto si intende ancora realizzare, devo, purtroppo affermare che nonostante abbiamo sempre sostenuto che la nostra associazione vuole essere un punto di incontro di gente partiticamente diversa ed anche di credi religiosi differenti, affiancata nello sforzo comune di rendere la nostra società più umana, vivibile e credibile, dicevo, nonostante le nostre porte continuino ad essere aperte, vediamo e subiamo la poca partecipazione. Assistiamo, quotidianamente all’ impoverimento ed al decadimento dei valori della solidarietà e della partecipazione anche da parte di gente, che ricoprendo nella società determinati ruoli, dovrebbe essere maggiormente partecipe di tipo sociale ed umanitario. Continua a crescere a Caposele, la cultura delle buone intenzioni e delle belle parole che poi però, rapportate alla concretezza, all’operatività ed anche allo sforzo delle azioni, si frantumano irrimediabilmente. Bisogna quindi che ci sia, da parte di tutti gli operatori politici, sociali, religiosi e scolastici una maggiore forma di partecipazione, di condivisione anche critica, in tutte le attività volte al benessere dell’intera collettività, in modo da prevenire quei disagi e problemi che ci vedono magari uniti come società solo nella fase più eclatante del loro manifestarsi, ma che non si traducono in azioni concrete e continue nel tempo.

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2002 Il CASTELLO

Antimo Pirozzi Sorg. n.67 Gennaio 2002

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l “Castello” di Caposele, come è noto, è stato costruito intorno all’anno 1000. Come molti sanno, esso è stato teatro di avvenimenti notevoli; in particolare le nozze di Margherita D’Aragona, un placito tenuto da Folco D’Este, il possesso dello stesso da parte di Jacopo Sannazzaro. Oggi, purtroppo, i resti di quello che fu un simbolo per Caposele, sono abbandonati a se stessi e i tragici accadimenti degli ultimi anni poco hanno fatto rimanere di quelle mura pregne di storia e di cultura. La Pro Loco, sempre sensibile a questo tipo di problematiche, aveva programmato, nell’ambito del Ferragosto Caposelese, una serie di concerti di musica classica da tenersi appunto nell’area di sedime di quella vetusta costruzione, prevedendo, naturalmente, lo sgombero delle macerie che ivi ancora insistono e la sistemazione di quei pochi resti che ancora affiorano dal terreno. Tale iniziativa, purtroppo, non trovava il consenso dell’Amministrazione Comunale che, giustamente, palesava la preoccupazione della possibilità di caduta di qualche pietra, tra l’altro già avvenuta, e quindi il pericolo per la pubblica e privata incolumità. Di qui la necessità di differire tali manifestazioni. Oggi la Pro Loco reitera la richiesta all’ Amministrazione affinché si compiano tutti i passi necessari per rendere l’area idonea a tali scopi, valorizzando un luogo sicuramente suggestivo dal punto di vista scenografico, certa che questo tipo di manifestazioni portano lustro e vanto ad un Paese che da sempre apprezza e promuove manifestazioni di cultura e di civiltà.

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BUON COMPLEANNO A “LA SORGENTE Trent’anni… una vita – La Sorgente n. 68 – Dicembre 2002 di Luisida Caprio Chi scrive fa parte del gruppo di “pionieri” che nel lontano ‘73, anno più anno meno, si fece coinvolgere in quella iniziativa, diventata oggi una piacevole e scontata consuetudine. Inevitabili i ricordi…

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enso, ricordo: un’estate di trent’anni fa, un gruppo di giovani, nella spensieratezza di una vacanza estiva, tra una partita e l’altra, una passeggiata su e giù, inizia a dissertare sul mese d’Agosto, su ciò che si potrebbe fare in paese per movimentare il periodo estivo. E’ un turbinio d’idee e di proposte e ciascuno, chi più chi meno, partecipa mettendo a disposizione competenze e collaborazione con grande entusiasmo e desiderio di fare. Frutto speciale di quel periodo, fecondo di iniziative, il periodico “La Sorgente”, voce

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di Caposele, ha seguito da allora, fedele testimone, l’intenso cammino del paese attraverso tutto ciò che il destino avrebbe avuto in serbo per lui, nel bene e nel male. “Padre fondatore” e “motore” è stato ed è, come tutti sanno, Nicola Conforti cui va un affettuoso ringraziamento per quest’opera che tutt’oggi porta avanti con dedizione ed amore, coadiuvato da preziosi e rari collaboratori, superando difficoltà e contrattempi. Ritornando ad allora, alla nascita de “La Sorgente”, viene immediato, naturale, parlare di un’altra creatura” concepita in quegli anni: “Il Ferragosto Caposelese”. Esso si concretizza in due settimane nel cuore d’Agosto, che vedono il ritorno di amici e parenti: appuntamento sottinteso che prescinde da telefonate o impegni scritti e verbali, perché tanto, si sa, ci si ritrova, giorno prima o giorno dopo. Da trent’anni è implicito che il periodo di vacanza al paese sia cadenzato dal programma del ferragosto, puntualmente pubblicato da “La Sorgente” ed ora anche riportato sulle pagine regionali di alcuni quotidiani. Sono giorni che vedono l’impegno della Pro Loco, la quale propone un calendario d’iniziative, in accordo con quelle dedicate alle festività religiose e con altri eventi organizzati nel territorio. Chi scrive fa parte del gruppo di “pionieri” che nel lontano ‘73, anno più anno meno, si fece coinvolgere in quella iniziativa, diventata oggi una piacevole e scontata consuetudine. Inevitabili i ricordi…inevitabile il raffronto. Allora era diverso… per tanti, differenti motivi: novità, atmosfera, partecipazione, coinvolgimento… Però, che squadra ragazzi! E quanto lavoro! Ma soprattutto che entusiasmo e quanta collaborazione! Quando nacque la “folle” idea del “Ferragosto Caposelese”, fatto di tanti appuntamenti popolari, sportivi, culturali, culinari, il paese rispose incuriosito, compatto, partecipe. Interamente e letteralmente messo sottosopra, dal fiume al laghetto, dal campo sportivo alle cantine, dal bosco a Materdomini, dalla Sanità alle Contrade più lontane. Grandi e bambini impegnati in giochi ingenui e spensierati, di terra e di acqua, corse, gare, rally e gimkane automobilistiche, balli in piazza, sagre, albero della cuccagna, concerti, mostre di artigianato e di fotografa, estemporanee di pittura, cacce al tesoro. Di tutto e di più....! Emozioni semplici, immagini colorate, festanti, chiassose, profumate, allegre, solidali. Immagini oggi sconosciute a molti, ma, per fortuna, ben custodite nelle pagine de “La Sorgente” e nel film “Un anno a Caposele”, documenti insostituibili di “come eravamo”. Già, come eravamo noi e come era Caposele. Caposele prima… Caposele dopo… Non serve aggiungere altro, il pensiero Antologia Caposelese

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vola subito là. Impossibile dimenticare l’enorme voragine di sentimenti, di tormenti, aperta nel 1980, che ha ferito così profondamente il paese. A questo, inevitabilmente, la vita ha poi aggiunto il suo carico di dolore che ha toccato tutti. Guardando vicino ed intorno a noi facciamo il conto di chi non c’è più e di chi ci manca immensamente. Siamo diversi? Certamente il tempo ha fatto il suo lavoro. Ma quando ci si incontra e si chiacchiera dei bei tempi estivi passati, ecco che salta fuori lo stesso entusiasmo, seppure velato da nostalgia, un “amarcord” collettivo che porta a dire: “si potrebbe organizzare…, se ci fossi tu..., se avessimo più tempo…,” e poi a sorridere insieme sulla considerazione che il presente, anagraficamente parlando, crea qualche problema. Caro giornale, grazie per il tuo impegno lungo trent’anni. Il tuo compleanno mi ha fatto riflettere su quanto e come la tua presenza sia stata vigile e costante nel tempo, un affettuoso filo di continuità, un legame saldo con chi è vicino, ma soprattutto con chi è lontano, magari “fuori terra”. Mi ha fatto tornare indietro, sfogliando pagine di vita: un percorso variegato di ricordi e sentimenti. Augurandoti di camminare ancora a lungo e di non mollare mai, ti affido un pensiero. Se trent’anni fa un gruppo di giovani, ormai quasi tutti nonni, si faceva volentieri coinvolgere dando vita ad iniziative che non pensava potessero perpetuarsi nel tempo, è possibile auspicare che oggi altri gruppi propositivi, operativi, portino in questo paese ormai ricostruito, idee innovative, linfa vitale, aria nuova, con coraggio, armonia e apertura alle collaborazioni, raccogliendo, in definitiva, per consegnarlo poi, il “testimone” di tanto “antico” entusiasmo.

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UN ANNO A CAPOSELE Dicembre 2002 –La Sorgente n.68 Nicola Conforti Impressioni filmate di un turista Nella sede della Pro Loco, affollata come nelle grandi oc­ casioni, il 10 agosto u.s. è stata presentata la versione in vi­ deocassetta del film “Un anno a Caposele”. Dopo una breve introduzione del Presidente della Pro Loco geom. Rocco Mattia, il Direttore de “La Sorgente” ing. Nicola Conforti ha illustrato le varie fasi filmate, soffermandosi in particolare sugli aspetti tecnici e storici della pellicola. infine l’avv. Giuseppe Palmieri ha relazionato nel merito del film sottolineando in particolare il significato storico e documentaristico del filmato

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rima di dare inizio a questa mia esposizione mi corre l’obbligo di ricordare una persona che in modo appassionato e poetico ha dato voce, colore e significato alle immagini: VINCENZO MALANGA. A lui va il nostro pensiero affettuoso. 75

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Il mio excursus si limiterà a poche considerazioni di carattere tecnico e possiamo dire anche storico, atteso il lungo lasso di tempo trascorso dalle riprese del film ad oggi. L’intero filmato è stato girato nell’anno 1978. La prima proiezione avvenne nell’agosto del 1979 nel cinema S.Gerardo di Materdomini e subito dopo, all’aperto, in piazza Dante. Il film è stato proiettato un mese dopo il tragico evento del 23 novembre 1980 nella sala dell’Hotel S.Martino di Paestum alla presenza di tantissimi Caposelesi sfollati a seguito del terremoto ed in lacrime per l’emozione destata dal filmato. L’idea di far conoscere il nostro ambiente, le nostre tradizioni, la nostra storia, mi indusse in quell’anno a scrivere la sceneggiatura e quindi il titolo per un breve cortometraggio. Ne parlai con i miei collaboratori, in primo luogo con il mio omonimo Nicola Conforti da Sorrento, appassionato di riprese cinematografiche, con Vincenzo Malanga primo redattore de “La Sorgente” e autore di scritti e poesie su Caposele e con Donato Conforti noto per le sue trasmissioni su radio Caposele e quindi con una voce adatta al commento. Antonio Maresca ci fornì il bagaglio tecnico necessario per tentare questa avventura: a lui abbiamo dedicato la regia del film. Nasce il film documentario “UN ANNO A CAPOSELE”, articolato in tre tempi per la durata complessiva di circa 90 minuti. Le scene scorrono su un filo conduttore musicale tratto dall’adagio del 2° concerto per pianoforte e orchestra di Sergei Rachmaninoff. Mi preme sottolineare che utilizzammo attrezzature di tipo amatoriale con notevoli difficoltà per il montaggio e per la registrazione della colonna sonora. Riporto in successione alcune note della scenografa. Il film ipotizza la visita di un turista che registra, nel lento scorrere dei giorni e delle stagioni tutti gli avvenimenti di rilievo, le tradizioni, l’ambiente, la storia, i giochi. Dopo alcune inquadrature panoramiche il film apre con immagini sulla Chiesa Madre, l’altare maggiore, il soffitto settecentesco, il battistero, e poi il vecchio Torrione del Castello e le case intorno. Uno scenario del Centro storico completamente spazzato via dal terremoto del 1980. E’ PRIMAVERA: Si vedono campi fioriti, uccelli che si rincorrono e nella mota impastano i loro nidi, l’acqua del Sele che irrompe prepotente nell’alveo del fiume, le trote delle sorgenti, i giochi nei pressi del laghetto e infine la processione del Venerdì Santo con il suono dell’ormai dimenticato crepitacolo (la trocca). La visione di alcuni bambini, oggi affermati professionisti ci dà l’esatta sensazione del tempo trascorso. La visione, invece, di tante persone non più tra noi ci rattrista profondamente. Primavera inoltrata: ed ecco la festa di Santa Lucia con la fiera, le giostre, la banda locale, il falò di Sant’Antonio, i canti popolari e la processione del Corpus Domini. Quest’ultima manifestazione religiosa ci fa visitare alcune strade di Caposele che ormai sono Antologia Caposelese

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solo un ricordo. ARRIVA L’ESTATE E quindi i giochi di ferragosto, i costumi locali, i vestiti da sposa anni venti, le mostre di artigianato, di pittura e fotografia, il torneo di calcio, Materdomini, i ristoranti, le bancarelle i pellegrini e la grande folla. Infine un brutto naufragio si abbatte con tutta la sua forza distruttiva sul paese e sulle campagne circostanti. Sono immagini di devastazione e insieme di solidarietà umana, simili a quelle vissute alcuni giorni fa, nella stessa zona e nello stesso periodo climatico. ARRIVA L’AUTUNNO: Ritornano le scene di vita paesana: la donna che fa i fusilli , quella che prepara le matasse, il fabbro che lavora il ferro, la fornaia che impasta e inforna le panelle di pane, la pastorella che fa il formaggio e le ricotte. Infine l’atteso arrivo di S. Gerardo che in processione percorre le vie del paese, seguito da una folla immensa. Poi la scena si fa triste: la visita al Cimitero il giorno dei morti. Lo sguardo si posa sulle tombe fiorite e su quelle dimenticate, sui cumuli di zolle “segno di povero o scordato” dice il commento. E POI… L’INVERNO: Un’ultima scena cruda e violenta dell’uccisione del maiale e poi la neve. Qui il commento si fa poesia: Caposele riposa sotto la neve e nel suo riposo ricorda e sogna: è l’inizio di questo meraviglioso componimento poetico. E mi piace concludere con le parole con le quali Luisida Caprio concludeva una sua recensione sul film: la pellicola volge alla fine. La neve cade silenziosa, la foto­ grafia si adegua acquistando la suggestione del bianco e nero, mentre le inqua­ drature rendono perfettamente l’immagine del paese che ha vissuto intensamente un lungo anno e che ora, ha desiderio di riposarsi. Tutto è quiete, pace, unico segno il fumo che esce grigio e gonfio dai camini di ogni casa: il respiro del paese che pare addormentato. A distanza di 24 anni dalle prime riprese, sollecitati da tantissime richieste, siamo riusciti, con gli stessi mezzi rudimentali a riversare il film su videocassetta, rifacendo per intero la colonna sonora che col tempo si era molto degradata. Quest’ultimo compito è stato svolto egregiamente da Salvatore Conforti. Nella videocassetta è inserita una recensione a firma di Luisida Caprio apparsa sul n. 21 de “La Sorgente” datata ottobre 1979. In 24 anni abbiamo proiettato più volte il film in originale. Ogni proiezione ha suscitato sempre l’emozione e l’entusiasmo della prima volta. Trattasi di un documento storico irripetibile.Credo che ogni famiglia caposelese debba conservarne copia. Sono immagini che suscitano sensazioni straordinarie e che ci riportano indietro con la mente in una visione nostalgica di un paese distrutto ma non dimenticato.

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EDITORIALE UN ANNO TRISTE –Editoriale del dicembre 2001 Nicola Conforti

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’anno che sta per concludersi lascia una traccia profonda ed indelebile nell’animo dei Caposelesi e segna un brutto momento nella storia del nostro Paese: una immane tragedia ha ferito a morte quattro famiglie e ha sconvolto e addolorato l’intera cittadinanza. Un anno triste, una storia di dolore e di fragilità umana: quattro giovani hanno perduto la vita in un incidente d’auto alle porte di Caposele. Quattro vite spezzate in così giovane età hanno gettato nel lutto, nel dolore e nella disperazione l’intera comunità. E’ stata, dopo quella del terremoto, la più grave sciagura verificatasi nel nostro Paese, la più crudele delle disgrazie capitata a quattro nostri giovani e promettenti concittadini. Il Paese tutto, unito e solidale come non mai, si è stretto intorno ai familiari delle vittime ed ha pianto con loro la scomparsa di tante giovani vite. Alfonso Sozio, Donato Sozio, Lorenzo Viscido e Maurizio Corona resteranno sempre nel nostro cuore e nei nostri ricordi.

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UNO SCHIANTO, UN GRIDO La Sorgente n. 69 –dic.2003 di Vania Palmieri

Domenica 1° giugno, nella chiesa della Sanità di Caposele, insieme alla Madonna hanno pianto quattro mamme sulla sorte dei loro quattro figli cro­ cefissi. Quattro croci sono cadute sulle spalle di quei genitori che le trasci­ neranno all’infinito.

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na corsa nella notte, come in un gioco a rimpiattino con la morte. Poi lo schianto! La dea vestita di nero, mai sazia, ha preteso le sue vittime. Ancora una volta ha colpito. In quella notte di allegria, le risate si sono trasformate in lamenti, in singhiozzi. L’alba per i quattro giovani di Caposele non è mai spuntata. Sull’erba e sull’asfalto, brandelli di corpi, lamiere contorte, silenzi senza più speranze di voci e di vita. Sbigottimento, incredulità, angoscia hanno avvolto Caposele e l’Irpinia. La notizia della dipartita di MAURIZIO Corona, LORENZO Viscido, DONATO Sozio e ALFONSO Sozio ha colpito le orecchie ed è scesa dolorosamente fin nella parte più intima del cuore. La dea vestita di nero ha ghermito senza pietà quattro esistenze che programAntologia Caposelese

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mavano lunga e felice la linea del futuro. Per loro non ci saranno più stagioni, albe, emozioni, sogni. C’è stato solo un unico tragico tramonto che ha inghiottito il breve giorno spalancando la porta ad una notte infinita. Noi tutti ci siamo fermati per un attimo a rivivere le sensazioni, a ripercorrere le emozioni, a meditare. E con noi i tanti giovani che spesso percorrono le strade con l’incoscienza dell’età, senza rendersi conto che il piede pigiato sull’acceleratore dell’auto può essere l’inizio di una tragedia e la fine della spensieratezza, della felicità, del futuro. Domenica 1° giugno, nella chiesa della Sanità di Caposele, insieme alla Madonna hanno pianto quattro mamme sulla sorte dei loro quattro figli crocefissi. Quattro croci sono cadute sulle spalle di quei genitori che le trascineranno all’infinito. Il pianto silenzioso dei presenti si è trasformato in una nenia malinconica che ha accompagnato l’ultimo viaggio di Maurizio, Lorenzo, Donato e Alfonso. Dei quattro amici sempre insieme, anche nella morte. Quando è calata la sera, i ricordi tenuti fino a quel momento lontani, nascosti nelle pieghe di una veste nera, sono tornati, per accarezzare la fronte di chi non ha più lacrime. Piange Caposele, ancora legata a quelle quattro meravigliose piante sradicate, recise. I quattro giovani dormono il sonno eterno in un altro giardino. Nelle loro case, trasformate in piccoli santuari, la gente mormora l’ultima preghiera. Poi il silenzio! Ma nel silenzio, all’improvviso, uno schianto ed un grido disperato: MAMMA!.

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2004 QUALE PROLOCO? La Sorgente n. 70 – dicembre 2004 di Raffaele Russomanno E’ sulla strada della cooperazione che si dovrà operare superando bar­ riere ideologhe e di fazione, confrontandoci con quanti oggi operano sul ter­ ritorio, nel rispetto comune, anteponendo il bene di tutti ai singoli vantaggi, affinché si possano innestare politiche di sviluppo.

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uale Pro Loco per il prossimo futuro o quale futuro per la Pro Loco? Questa è la domanda che oggi si impone con prepotenza fra tutti noi e pertanto merita di essere analizzata. Per oltre trent’ anni della vita della nostra comunità la pro-loco è stata punto di riferimento per residenti ed immigrati, non a caso questo giornale è al suo 70° numero, e per molti anni è stata l’ unica protagonista di piacevoli “agosti caposelesi” trascorsi tutti in armonia. Vivo è in me il ricordo di quando da ragazzo combattevo la mia personale battaglia in famiglia per non allontanarmi da Caposele nel periodo estivo perché i momenti che vivevo erano molto belli e intensi, sicuramente erano vissuti nella coralità di un intero paese che basava il proprio essere su valori e sentimenti diversi da quelli odierni. Erano gli anni di quando molti dei papà dei miei amici rientravano, dopo un duro inverno, dalla Svizzera, terra che molto ha dato ma che tanto duramente ha preso, erano gli anni di quando le pannocchie venivano messe ad asciugare al sole in piazza e le donne della piazza ci controllavano a mo’ di chiocce. Ora però tutto questo non esiste più. Il paese è cambiato, i suoi abitanti sono cambiati. Le nuove generazioni devono confrontarsi con problematiche più complesse delle nostre. Pertanto le richieste sono diverse e le risposte devono essere modulate di conseguenza. La prima risposta che va data è ai giovani ed ai lori problemi, non possiamo più assistere impassibili al problema devastante della droga nel nostro paese, è ora che tutti coralmente affrontiamo questo mostro che tanto silentemente sta traviando la vita dei nostri figli. È ora di dare una risposta ai giovani i quali ci hanno pubblicamente chiesto il nostro aiuto. Essi ci hanno scritto per segnalarci il problema, anche se poi dicono che non vogliono sapere il perché tutto questo avvenga, mi sembra che forse con uno sforzo comune dovremmo invece capire proprio perché tutto questo avvenga. Una pro-loco partecipe alla vita del paese deve necessariamente affrontare problematiche inerenti il recupero del patrimonio artistico e culturale della propria terra. La valorizzazione delle antiche cantine, presenti nel nostro comune, uniche nel loro genere, la costruzione delle stesse come oggi ci sono Antologia Caposelese

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RAFFAELE RUSSOMANNO

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pervenute sembra essere riconducibile all’ occupazione francese sotto Murat, deve essere uno degli impegni da assumere. Così pure la ricerca della valorizzazione dell’ olio, attraverso corsi che possano formare agricoltori che siano in grado di produrre un olio certificato e che domani siano essi stessi i soci di un consorzio che possa battersi per il riconoscimento del marchio DOP. Una società che cresce ha bisogno, come linfa vitale, di cultura. Ecco allora che vanno incentivati spettacoli musicali e teatrali, dibattiti e confronti. Le istituzioni scolastiche dovranno essere partner privilegiati, con i nostri giovani studenti dovremmo collaborare e realizzare progetti comuni, come ripetere l’ esperienza di alcuni anni fa quando accompagnavano il pubblico nella visita alle sorgenti del Sele. Dovremo confrontarci necessariamente con la Pubblica Amministrazione, perché il fne ultimo di entrambe le parti è la crescita del paese, nella certezza di ottenere gli stessi risultati positivi dei Comuni viciniori, i quali attraverso una attenta politica del territorio hanno visto incrementare le presenze dei visitatori e rivalutare i propri prodotti locali. E’ sulla strada della cooperazione che si dovrà operare superando barriere ideologhe e di fazione, confrontandoci con quanti oggi operano sul territorio, nel rispetto comune, anteponendo il bene di tutti ai singoli vantaggi, affinché si possano innestare politiche di sviluppo. Ma perché tutto questo avvenga è necessario che nuove forze entrino in essa, non è possibile pensare ad un futuro in cui le donne, con il loro gentile ma risoluto cipiglio, ed i giovani, con tutta la loro irruenza e la loro verve, non siano tra di noi e con noi. E’ bene che le persone che hanno profuso le loro energie in questa associazione, non solo nei momenti di massimo splendore, ma anche nei momenti di difficoltà siano sempre vicini a coloro i quali dovranno operare, poiché la loro esperienza è un patrimonio da salvaguardare e non disperdere. L’ impegno di tutti noi non può che andare in questa direzione, perché se così non fosse finiremmo per doverci chiedere solamente quale futuro potrebbe esserci per la nostra pro loco e non quale pro loco per il prossimo futuro. Non so di quale colore politico sia questa battaglia, né se questa battaglia abbia un colore politico. E nemmeno mi interessa. Credo, comunque, che sia una battaglia giusta.

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2005 IL NOSTRO TERREMOTO PRIVATO – - dicembre 2005 –La Sorgente n. 71 di Alfonso Sturchio Il tempo addolcisce i ricordi e si ripensa, finanche con piacere, ai giochi organizzati dai volontari di Don Guanella, alle partite di calcio vicino alle roulotte, ai giocattoli distribuiti nelle baracche per Natale o alle mense im­ provvisate con i soccorritori. Poi, però, si comprende che quella precarietà è durata per troppi anni…

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a vita di ciascuno di noi, come la storia imparata a scuola, non procede mai per piccoli passi graduali, ma si sviluppa attraverso strattoni, impreviste accelerate, frenate brusche, intime rivoluzioni. L’inaspettata chiamata per un posto di lavoro, la perdita improvvisa di un genitore, o semplicemente il trasferimento in un’altra città, un colpo di fulmine, o solo una grossa vincita al lotto. Sono tanti piccoli terremoti che improvvisamente trasformano la tua vita che, da un giorno all’altro, è totalmente diversa da com’era. Un giorno ti considerano ancora un moccioso ed il mattino successivo devi occuparti dell’intera famiglia. Una notte d’estate passeggi spensierato con i tuoi amici, e la notte successiva la passi a preparare il latte caldo al tuo neonato. Una domenica sei a casa tua, con l’intera famiglia raccolta intorno al caminetto, e la domenica successiva ti ripari in una roulotte, primo elemento precario di vent’anni del tutto precari. Tra le tante rivoluzioni personali che accompagnano la vita di ciascun caposelese, il terremoto del 1980 – ed i convulsi dieci, quindici anni che ne sono seguiti – si colloca, senza dubbio, ai primi posti. Nessuno di noi, da allora, è rimasto uguale a prima. Ma quel terremoto, rispetto alle altre accelerazioni descritte, possiede una sua peculiarità: è riuscito a sconvolgere, contemporaneamente, l’esistenza di migliaia di persone, ha mutato le abitudini, le inclinazioni, i caratteri di intere comunità e, da un istante all’altro, non solo te stesso, ma tutto intorno a te, non è stato più come prima. Credo che nessuno possa negare questa metamorfosi. Allora, nelle conversazioni tra amici, ci spingiamo a chiederci quale sia stata, fra tutte, la generazione che più ha pagato questa rottura. Quale generazione ha subito il maggior trauma per questo sconvolgimento che si è protratto ben oltre le scosse di assestamento, e che solo oggi, a distanza di venticinque anni, può dirsi sopito. Forse a pagare di più sono stati gli anziani di allora: coloro che, dopo una vita di lavoro e sacrifici, avrebbero avuto diritto ad una vecchiaia più serena. Avrebbero preferito, certamente, restare nelle loro case, a pochi passi dal centro del paese e dalla chiesa. Avrebbero continuato, perché no, a frequentare i caffè o le panchine di un tempo, a passeggiare e conversare sostando in quei punti precisi, stabiliti da Antologia Caposelese

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consuetudini di mezzo secolo, anziché confinarsi in villaggi di prefabbricati o ricominciare a combattere per un contributo, per un metro quadro in più o semplicemente per un attacco della luce. Oppure potremmo pensare agli adulti di quegli anni. A coloro che si sono visti franare, letteralmente ed improvvisamente, il mondo addosso. Da un giorno all’altro hanno dovuto cambiare il proprio modo di pensare, il proprio modo di lavorare, i propri obiettivi, e finanche il proprio linguaggio. D’un tratto hanno dovuto avere a che fare con emergenze, legge 219, vuoti tecnici, faglie e suppellettili, stati di avanzamento ed accolli spese. Un’accelerazione repentina ai propri ritmi, una deviazione improvvisa dei percorsi di vita propri e collettivi che hanno trasformato l’intera comunità. Molti hanno la sensazione che da allora, per tanti anni, una diffusa avidità ha appreso gli animi dei caposelesi ed una malefica febbre dell’oro ha avvelenato i rapporti tra le persone. Gli adulti di allora, purtroppo, sono stati le vittime ed i protagonisti di questa corsa. Ma io direi che a pagare il prezzo più alto sono stati i bambini ed i giovani di allora. Il terremoto, e gli anni che ne sono seguiti, rappresentano una ferita che non potrà mai rimarginarsi: nessuno gli potrà restituire quegli anni sottratti ad una vita normale, nel pieno della formazione. Il tempo addolcisce i ricordi e si ripensa, finanche con piacere, ai giochi organizzati dai volontari di Don Guanella, alle partite di calcio vicino alle roulotte, ai giocattoli distribuiti nelle baracche per Natale o alle mense improvvisate con i soccorritori. Poi, però, si comprende che quella precarietà è durata per troppi anni, che per troppi anni il sisma è stato il protagonista di tutti i discorsi, che le lezioni nelle scuole prefabbricate sono durate fin troppo, al pari delle macerie ai bordi delle strade e delle continue privazioni in un paese in eterna emergenza. E quella precarietà, a molti, è rimasta dentro. Possiamo compiacerci a dire che le difficoltà forgiano il carattere, ma io non augurerei ai ragazzi di oggi di crescere in quella situazione, ripeto, del tutto anormale. Non gli augurerei di crescere in mezzo alle ruspe, ai regali di Zamberletti e nella palestra delle Saure. Sono contento, invece, che i ragazzi di Caposele, oggi, abbiano ricostituito un’esistenza normale e vivano in un ambiente più decoroso. Che non debbano considerarsi dei terremotati. Mi piace la capacità degli adolescenti di oggi di confrontarsi con l’esterno, con le altre città italiane o europee, e di arricchire, così, il paese di origine. Mi piace il loro sguardo più sereno e sicuro di fronte al mondo. Per quelli della mia generazione, che sono cresciuti in contesti eternamente provvisori, è una gioia vederli frequentare una scuola degna di questo nome, vederli maturare in mezzo a strade sgombre di brutti ricordi, e vederli, in tutto e

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L’ANGOLO DEI RICORDI – dicembre 2005La Sorgente n. 71 - di Vincenzo Di Masi

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per tutto, simili agli altri ragazzi occidentali. Dopo venticinque anni abbiamo tra di noi la prima generazione post-terremoto. Dobbiamo preservare questi ragazzi come una cosa preziosa: i primi a non essere figli di un dio minore, ed i primi a dover restituire a Caposele una serena convivenza tra le persone.

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l primo mio scritto è rivolto a Voi, miei cari compaesani Caposelesi, a coloro che adesso, mentre mi accingo a raccontare fatti ed avvenimenti, di persone e cose, sono fanciulli o ragazzini che si affacciano alle vita o anche giovanetti o studenti ai primi impegni di studi, appartenenti ad entrambi i sessi, ma tutti di famiglie che hanno avuto origine o trovato legami, alle pendici del monte ”Plaflagone”, sovrastante la valle del Sele e le limpide acque di quello che era l’omonimo fiume, prima che venissero convogliate nell’Acquedotto Pugliese, il quale a tutt’altra regione appartiene (Campania), fuorché alle Puglie, di cui disseta unicamente le popolazioni o irrora le fertili terre. Ma questo scritto è rivolto anche ai nati di Materdomini, frazione di Caposele, posta sulla stupenda collina che trovasi dall’altra parte della valle, sede dell’omonimo Santuario e meta, da sempre, di pellegrinaggi provenienti da tutte le Regioni meridionali e devoti di ogni parte del mondo, località che specie in questi ultimi anni, dopo il devastante terremoto dell’80, ha assunto un’importanza turistica e devozionale di grandissimo rilievo, per San Gerardo Maiella, frate dell’ordine religioso creato da San Alfonso dei Liguori, oggi con strutture alberghiere, di conforto e ristoro di grande importanza, paragonabili a quelle di San Giovanni Rotondo, nel foggiano, ma di molti secoli più antico. A Voi, come ho detto, giovani e fanciulli di Caposele, prima ancora che ad altri Caposelesi già maturi d’età o addirittura vecchi, mi rivolgo per esortarvi a mantenere vivo il ricordo di tutti Coloro che ora non son più su questa Terra e che furono artefici di avvenimenti e fatti della vita del nostro amato paese. Sento doveroso precisare che nelle vostre mani, per opera di nostri anziani concittadini, avete uno strumento importantissimo, che se riuscirete – come vivamente auspico – a tenere operante e vivo, potrete assolvere alla funzione che ho detto in premessa. Antologia Caposelese

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Mi riferisco essenzialmente al periodico che Voi tutti conoscete, che costituisce una rarità ed un gioiello d’informazione ”aere perennius ” – come diceva Orazio in una delle Sue più belle ”odi”- di cui principale artefice – e doveroso dirlo - è 1’ing. Nicola Conforti, insieme con i componenti della locale ”PRO LOCO”, tutti benemeriti cittadini di Caposele e Materdomini, a cui si devono tante nobili iniziative, in particolare ferragostane, che hanno avuto il grande pregio della qualità culturale e della memoria storica del paese, che MAI VOI DOVETE FAR ASSOPIRE. Mi riferisco, ovviamente, al rotocalco ” LA SORGENTE”, un tempo periodico mensile, ’poi bimensile ed, attualmente, attribuito alla sana iniziativa dei già detti componenti della PRO LOCO e, segnatamente, dell’ing. Conforti pochi altri concittadini, che tra l’altro concorrono a sopportarne le spese finanziarie e la diffusione. Eppure – devo dirlo con rincrescimento – pochissimo ci vorrebbe per farlo crescere e prosperare! Basterebbe, infatti, che gli Amministratori comunali – di cui non dubito minimamente le buone intenzioni, a partire dall’attuale Sindaco, dott. Giuseppe Melillo - stanziassero una sia pur minima somma, tra quelle straordinarie del Comune, e ciascun cittadino di Caposele rinunciasse ad un ”misero” euro, non dico giornaliero, ma settimanale, per far si che il detto periodico sopravvivesse e si affermasse in via definitiva. ”LA SORGENTE” - lo ripeto con forza e convinzione – deve sopravvivere, e VOI giovani dell’attuale e delle future generazioni, ne dovrete assumere il carico morale e materiale. Iddio tenga in vita Caposele e consenta a tutti Voi di vivere e prosperare felici! Da ora e da qui parte la mia collaborazione col suddetto periodico. Con tanto amore ed affetto per tutti.

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SELETUDINE – agosto 2006 – La Sorgente n.72 di Gerardo Ceres Il silaro non è gagliardo, non s’innamora delle dispute. Non sa essere guelfo e ghibellino, bianco e nero. Tranne che per un piccolo tratto della storia recente, non si lascia trascinare più di tanto nell’agone che si svolge nella polis. Non è sua l’attitudine al combattimento e alla tenzone. Preferisce, al più, osservare e commentare le gesta d’altri e riderci sopra.

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o cercato per mesi negli occhi di qualche anziano e poi negli occhi di uomini e donne di mezza età e, ancor di più, in quelli di alcuni bambini nel tentativo di scorgere, di cogliere e rilevare delle differenze. Vanamente. Al punto che in ciascuno ho colto un carattere assolutamente omogeneo. C’è, infatti, qualcosa di immarcescibile che si trascina nel tempo e che prende 85

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ognuno che sia nato, anche soltanto nato, a Caposele o che vi risieda da lungo tempo: è la seletudine, che tende ad esaltare dei valori etnici e culturali propri della genìa che vive sulle due rive del Sele e, in modo particolare, nel tratto prossimo alle sorgenti. Descritto così questo sostantivo pare voglia evocare qualcosa di altamente nobile, almeno come gradirebbe il mio amico Antonello Malanga, fine etimologo dai profondi e mai esauriti studi. Al contrario l’accezione che io preferisco è quella un po’ sdrucita, quella che tende ad indagare i lati oscuri, a volte anche indicibili, perché quando detti alienano simpatie ed amicizie. Detto ciò, incuranti come sempre, addentriamoci in questa ricerca dagli esiti ignoti. L’idea di addentrarsi (forse la stessa che ebbe il Santorelli quando invocava l’Angelo santo perché delle vedute del Sele gli facesse intendere “qualche cosa più addentro”), per quanto casuale ed involontaria, è sintomatica di una prima verità: il silaro è un cavernicolo che non solo abita nelle caverne (oramai non più) ma che nella sua estensione antropologica è persona poco socievole oppure rozza e dozzinale. Il suo habitat esterno è un cuneo di territorio che penetra sul fianco la montagna e ne forma uno spazio racchiuso, molto più che raccolto. Il sole tende anzitempo ad adagiarsi sull’altro versante della montagna, oscurando ben presto i vicoli e le strade. La vegetazione rigogliosa e selvaggia, solo appena contenuta da una bizzarra urbanizzazione, circonda decisa ogni movimento del silaro. In questo contesto geografico si sviluppa una storia del popolo delle sorgenti del Sele, per l’appunto il silaro. Millenni di storia che ne hanno edificato una caratteristica tolemaica assolutamente originale: il selecentrismo. Ma anche in questo mi viene in soccorso un altro amico, Nicola D’Auria, che anni fa coniò questa definizione per evidenziare l’assoluta incapacità del silaro di essere nel mondo se non per proiettare le sue azioni su uno schermo ideale che egli immagina collocato in piazza della sanità. In modo tale da non riuscire che ad essere sé stesso, il suo sé stesso di sempre, quello che ritiene che Times Square o i Campi Elisi o il molo di Tangeri siano delle mere propaggini di Piazza Di Masi o Via Roma o il Ponte di Tredogge. Riassuntivi di questa verità sono quattro versi contenuti in un’ode di Vincenzo Malanga: “Vedo il mio paese: / non ne uscirò più! / Come sei mio…/ paese dove nacqui e vivo!”. Qui vi si ritrova l’idea dell’autosufficienza. Per il silaro, e Vincenzo Malanga lo fu di coriacea scorza, Caposele è il mondo, il solo mondo possibile. E se questo, appunto, non è selecentrismo, come lo si può diversamente definire? Il silaro è un conservatore. Guai a chiunque voglia prospettare innovazioni di vario tipo. Il suo è un andamento davvero lento, lumacoso. La vorticosa accelerazione della società dell’information technology è vista con fastidio, anche se solamente osservata attraverso qualche canale televisivo. Ci sovviene la curiosa teoria di qualche mio altro beffardo e caustico amico: Antologia Caposelese

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non c’è altro luogo al mondo nel quale le grandi istituzioni che formano l’élite sociale di una comunità siano rimaste per così tanto lungo tempo immuni ai cambiamenti, almeno nei posti di maggiore responsabilità. Nel nostro caso abbiamo avuto per venti anni lo stesso comandante dei carabinieri; abbiamo da trentacinque anni lo stesso parroco; ugualmente da trentacinque anni la stessa generazione politica che amministra, a livello municipale, la cosa pubblica. Guai, guai, solo a prospettare il cambiamento, al quale, peraltro, nessuno si candida. Il silaro non è un esteta, non ama il bello. Infatti basta volgere lo sguardo intorno per non trovare un segno o un tratto di coerenza. Ci si lascia prendere da soluzioni inverosimili, che si tratti dei colori delle abitazioni, degli infissi, dei balconi o solo le insegne dei negozi. Come nell’abbigliamento che si apprezza lungo le strade nelle ore del passeggio: nulla più del normale e del comune. Le strade e le piazze sono preda di anarchiche invasioni di auto, cassonetti dell’immondizia, cartacce che frullano nei vortici del vento che soffia da Boiara, monumenti collocati come ciglia posticce e, peggio, abbandonati al degrado del tempo che non rimedia. Basta guardare come è oggi collocato il luogo per eccellenza della seletudine, in cui si mescolano mito e identità del silaro: le sorgenti. Nulla al confronto con ciò che vi si osservava centocinquanta anni fa, quando il Santorelli vedeva spuntare e spero per rispecchiarsi nelle acque delle fonti del Sele, quando le donzelle di Caposele del medio e basso ceto corrono ad attinger l’acqua dove rampolla il fiume. Oggi quel naturale e concavo anfiteatro è nascosto allo sguardo di chi passa a lato. Nell’unico punto dove si potrebbe ammirare l’incanto vi sono i contenitori, che non sempre riescono a contenere, della raccolta differenziata. E poi quei tristi e dolenti alberi di mimose che chiedono di scomparire… per donare la visione di ciò che oggi è negato alla vista del passante. Il silaro non ama le liturgie. Al punto che il gesto pubblico più esaltante della liturgia cattolica, la processione, viene vissuto – estremizzando - come una passeggiata al luna park, con il gelato in mano o le patatine e la lattina di coca cola. Essa diventa, almeno per le due ali di donzelle che precedono il santo, l’occasione per un vero e proprio defilè, utile a mostrare l’ultimo vestito e ben disposte, altresì, a comporre (sempre secondo il Santorelli) gli occhi al sorriso e brillan di luce le loro pupille a favore di quei licenziosi giovinastri che attendono il passaggio del sacro rito. Il silaro è ben strano, quando in una sua rara mutazione genetica accetta addirittura lo spostamento della festa di San Vito, perché non compatibile col business che si realizza nei ristoranti e tra i souvenir di Materdomini: è l’economia, bellezza, è l’economia… Nel suo corpo maggioritario più che anticlericalismo nel silaro si esalta l’agnosticismo. Retaggi di una società che ha saputo ospitare logge massoniche che a loro volta hanno seminato un atteggiamento di indiffe-

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renza verso il sacro con radici via, via sempre più profonde. Il silaro non è gagliardo, non s’innamora delle dispute. Non sa essere guelfo e ghibellino, bianco e nero. Tranne che per un piccolo tratto della storia recente, non si lascia trascinare più di tanto nell’agone che si svolge nella polis. Non è sua l’attitudine al combattimento e alla tenzone. Preferisce, al più, osservare e commentare le gesta d’altri e riderci sopra. Non vi si comprenderebbe per il silaro tanto cancan, come invece è accaduto qualche anno fa a Calabritto, per stabilire il come e il perché trasferire, andata e ritorno, la statua della madonna della neve; se il parroco doveva restare oppure andar via; se il vescovo poteva o no assicurare la sua prolusione al popolo fedele. Il silaro non è interessato a tutto ciò. Egli chiede solo di ascoltare ed osservare, possibilmente seduto su una panchina, su uno scalino o attorno al tavolino di un bar. Un ignoto autore di versetti affissi notte tempo sui muri di Caposele ebbe a scrivere che il silaro “di tutti parla e con malizia…” e questo gli basta pur che il tempo passi, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Il silaro sono io, siamo noi, quelli che mai potrebbero immaginare una vacanza agostana se non per viverla a Caposele; quelli che attendono l’uscita di questo giornale pensando che sia l’unica cosa importante che possa segnare davvero l’estate; quelli che restano sulle panchine di piazza sanità fino all’ultimo minuto utile prima del pranzo, pur di lasciarsi accarezzare da un insolito scirocco che solo sotto quelle piante sa essere fresco e piacevole; il silaro è colui che prova fastidio, con fare snob, all’arrivo di foresti che manifestano una tiepida volontà all’integrazione. Il silaro è quello che pensava di scrivere di sé immaginando una prosa blues e che nel corso di un breve viaggio, sapendo dei tempi molto stretti concessi dal direttore, si è dovuto adattare a dei riferimenti che sono punti fermi e non aggirabili della seletudine come Nicola Santorelli e Vincenzo Malanga. Questi due esempi alti di uomini colti, in due secoli differenti, con amore filiale e poetico, hanno donato un pezzo del loro tempo per raccontarci con le parole l’aria, i colori, gli odori, i fruscii del Sele e dei suoi dintorni. Sono loro i cantori della seletudine, di quel senso che nasce aprendosi alla vita e che ci portiamo ovunque fino all’istante finale che si chiude, per sempre, alla vita.

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2009 INSTANCABILI CAMPIONI – La Sorgente n. 78 - Agosto 2009 di Donato Gervasio E’ la straordinaria favola dell’Olimpia Caposele. Una favola di qualche decina di ragazzi poco meno che maggiorenni, poco più che adolescenti, che da un anno in qua stanno tenendo orgogliosamente alto il nome di questo piccolo, piccolissimo, ma grande, grandissimo paese. L’Olimpia Caposele, il 20 giugno scorso, trionfa di nuovo.

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l prato diventa giallo all’improvviso. Anche il verde dell’erba sembra voler adeguarsi alla festa. Caposele è di nuovo campione provinciale. Come un anno fa. Cambiano soltanto i colori. Dal rosa-nero dell’anno scorso al giallo di quest’anno, appunto. Tutto il resto è esattamente identico. E’ la straordinaria favola dell’Olimpia Caposele. Una favola di qualche decina di ragazzi poco meno che maggiorenni, poco più che adolescenti, che da un anno in qua stanno tenendo orgogliosamente alto il nome di questo piccolo, piccolissimo, ma grande, grandissimo paese. L’Olimpia Caposele, il 20 giugno scorso, trionfa di nuovo. Questa volta la troupe alla guida dell’anche lui giovane, ma così straordinariamente già vecchio di vittorie e successi, mister Roberto Notaro, si è proclamata campione nella categoria “Allievi”. Una favola fatta di passione, di tifo, di emozioni. Caposele dunque, un anno dopo la prima, storica vittoria in assoluto in ambito calcistico, nella categoria “Giovanissimi”, con la stessa squadra, con lo stesso coraggio, la stessa passione, e la straordinaria partecipazione di tifo di tanti compaesani, si riconferma e ritorna esattamente lì dove l’anno scorso l’avevamo così incredibilmente lasciata. La provincia torna dunque di nuovo ai nostri piedi. Sarà capitato a pochi, e siamo sicuri capiterà a pochi altri, che un paese con una così bassa “offerta” dal punto di vista di giovani, riesca a vincere, addirittura per due anni di fila, un campionato provinciale con atleti dello stesso paese. Basti pensare che, moltissime delle squadre affrontate durante il campionato, che tra l’altro appartenevano a comuni almeno due volte più grandi del nostro, erano delle vere e proprie selezioni di giovani di più paesi. Caposele invece, oltre ad aver espresso soltanto atleti locali, ha vinto addirittura per due anni consecutivi con la stessa squadra, tranne pochissime eccezioni. Un gruppo di ragazzi impeccabili insomma. Una storia straordinaria, che merita, al di là di tutto, di essere raccontata e lasciata agli archivi. Sotto la guida “paterna ” dell’inossidabile presidente Generoso Notaro, con lo straordinario e meticoloso lavoro di mister Roberto Notaro, l’Olimpia Caposele approda, dopo un cammino straordinario, accompagnato costantemente da un tifo commuovente di ragazzi di ogni età, al Partenio di Avellino. E’ la finale. Di nuovo, come l’anno scorso. Quest’anno di fronte c’è il Ciccia-

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no, “selezione” napoletana stranamente iscritta al campionato provinciale avellinese. Misteri delle regole. Un motivo in più comunque per prenderci noi la coppa e non lasciarla andare in posti che nemmeno gli apparterrebbero. Sulla solita tribuna Montevergine del Partenio questa volta ci sono centinaia di caposelesi. Una tribuna molto più gremita rispetto all’anno scorso. Ed il colore che la riempie è uno solo: il giallo, il colore sociale di quest’anno dell’Olimpia. Striscioni, palloncini, le solite magliette indossate di consuetudine da tanti tifosi ad ogni partita. E’ una marea gialla. E da essa incitati, i ragazzi caposelesi spazzano via, dopo i 90 minuti di gara, il Cicciano, con un secco 2-0. E’ il nuovo trionfo, è la nuova esplosione della gioia, della festa, del delirio, dell’orgoglio caposelese. E’ la storia che si ripete, un verissimo e tangibilissimo deja-vu. Lo sport che ricolloca sopra a tutti un comune di cui molti nemmeno ricordano l’esatta collocazione geografica. Una storia bellissima per Caposele. Un Caposele di cui ci sentiamo, ancora una volta, così teneramente e vivamente fieri ed orgogliosi.

IL TURISMO CHE VERRÀ di Raffaele Russomanno Sorg. n.74 Agosto2007

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È spaventoso osservare come nessun comune dell’Irpinia abbia sentito la necessità di offrire il proprio sostegno ai comuni in rivolta perché stanchi di essere lo sversatoio dei rifiuti del na­ poletano. Anziché affratellarci con loro si è fatto finta di nulla ritenendo che tanto non era un problema che ci riguardava.

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ra città e città c’è molta natura, ed è bello godere dello spettacolo di una ridente campagna oppure di ampi scorci di costa incontaminati. Invece in Italia la situazione è radicalmente diversa ed in particolare una volta arrivati alle porte di Napoli si vedranno solo capannoni, cancellate, lampioni cadenti, viadotti stradali mai ultimati: non esiste in Europa un’intera area maggiormente deturpata. Il paesaggio in questi ultimi anni è profondamente cambiato, dove un tempo sorgevano una florida campagna e baie incontaminate oggi sorgono capannoni industriali abbandonati, immondizia e terreni mai bonificati dall’amianto. Autorevoli commentatori ritengono che tutto questo degrado sia dipeso ieri dalle scelte sbagliate della politica, che ha ritenuto di portare l’industria chimica nelle zone costiere, con il suo inevitabile inquinamento, oggi dall’interpretazione tutta italiana di “autonomia”. Ognuno fa ciò che vuole. Antologia Caposelese

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Ogni ente si considera il centro del mondo, ogni comunità montana, parco, ente o agenzia sfoggia progetti suoi, progetti che verranno regolarmente bocciati da chi invece sceglie di non scegliere. È di questi giorni la notizia che il 90% circa dei progetti non vengono portati a termine a causa delle difficoltà burocratiche. Nessuno dispone di autorità sufficiente per fare le cose, ma tutti hanno abbastanza forza per bloccarle. Qui da noi al Sud la situazione è peggiore rispetto al resto d’Italia: s’innestano incuria, incoscienza e incompetenza. La Campania è soffocata dai rifiuti, non a caso la nostra popolazione ha la più alta percentuale di tumori rispetto al resto della nazione, eppure assistiamo impassibili a tutto questo. È spaventoso osservare come nessun comune dell’Irpinia abbia sentito la necessità di offrire il proprio sostegno ai comuni in rivolta perché stanchi di essere lo sversatoio dei rifiuti del napoletano. Anziché affratellarci con loro si è fatto finta di nulla ritenendo che tanto non era un problema che ci riguardava. Eppure, se si continua con questa politica, tra un po’ altri siti dovranno essere individuati e forse quel sito dove depositare milioni di metri cubi di “munnezza” potrebbe essere proprio nel nostro Comune. Allora viene spontaneo porsi una domanda: “Fra cumuli di immondizia e siti mai bonificati quale sarà il turismo che verrà e chi dovrà governare i processi di sviluppo”. Difficile dare una risposta al quesito appena posto, eppure la nostra è una terra ricca di bellezze naturali e di storia. Personalmente ritengo che spetti alle comunità locali governare i processi di sviluppo visto che a livello centrale gli organi sono latitanti. Pertanto è bene evidenziare a chi aspira al governo del nostro Comune che inizi a pensare sin da ora ad una politica di sviluppo del turismo per l’intero territorio comunale e non più per una sola parte di esso. È ora che i flussi turistici vengano governati e indirizzati, sicuramente questo significa costruire una politica del turismo ed abbandonare la filosofia del fai da te. Le politiche di sviluppo sono politiche complesse e pertanto è necessaria una visione unitaria dell’intero territorio da parte di colui che è chiamato ad attuarle. Per fare solo un esempio la prossima Amministrazione dovrà affrontare, tra i tanti problemi, anche quello del rinnovo del Piano Regolatore Generale ormai scaduto, quale occasione migliore per costruire, utilizzando uno strumento di indirizzo generale, una politica di sviluppo del nostro turismo che ricada sull’intero territorio. John Fitgerald Kennedy ha scritto: “Non chiedete che cosa il vostro paese

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può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per il vostro paese”. È ora forse che tutti noi incominciamo a comprendere che oltre a nuove idee occorre un generale impegno, perché nessuno ci farà dono di alcunché, anzi le comunità viciniore faranno di tutto per attrarre presso di loro una parte o la maggior parte di questo flusso e allora a noi toccherà guardare impotenti al loro sviluppo ed al nostro impoverimento. Più volte mi sono sforzato di evidenziare le problematiche del nostro Comune, come il continuo decremento della sua popolazione, ritenendo che la sua analisi potesse essere almeno motivo di riflessione, invece nulla è successo, si è continuato ad andare avanti tra polemiche e reciproci dispetti, fra boicottaggi e aspre critiche per mancati premi, o quanto meno ritenuti tali. Ancora una volta non posso che chiudere esortando alla comune collaborazione per una proficua programmazione al fine della governance del nostro turismo quello vero, quello che deve ancora venire.

DACIA MARAINI A CAPOSELE di Antonio Ruglio Sorg. n.74 Agosto2007

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Non era affatto scontato che uno scrittore di fama accet­ tasse di trascorrere un’intera giornata insieme a noi e a mag­ gior ragione non lo era per un personaggio come Dacia Ma­ raini conosciuta in tutto il mondo come giornalista, scrittrice e autrice di autentici capolavori tradotti in tutto il mondo.

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o scorso 28 di maggio chi ha avuto la lungimiranza di recarsi presso 1’Auditorium dell’Istituto Scolastico Comprensivo “F. De Sanctis” di Caposele mostrando di credere in qualcosa di diverso ha avuto il privilegio e la fortuna di confrontarsi con Dacia Maraini. Come se non bastasse, ha potuto aver chiara l’idea che non si sarebbe trattato di un evento unico ed irripetibile bensì dell’inizio di un progetto ambizioso e proiettato verso il futuro. A Caposele non era mai capitato prima che si decidesse di scommettere sulle parole e di conseguenza, sulla figura dello scrittore come artista e acrobata della parola, capace di offrire qualcosa di importante. Alla fine, l’esperimento ha funzionato e non per caso. Probabilmente, ha funzionato perché è buona l’idea ma sicuramente ha funzionato perché è stato grande il lavoro certosino fatto da un ristretto gruppo di temerari. Citarli non è un peccato ma un dovere sacrosanto: Il Preside Silvano Granese, Salvatore Conforti, Rosa Maria Ruglio. Intanto, il battesimo del fuoco c’è stato e si è trattato di un successo clamoAntologia Caposelese

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roso. Non era affatto scontato che uno scrittore di fama accettasse di trascorrere un’intera giornata insieme a noi e a maggior ragione non lo era per un personaggio come Dacia Maraini conosciuta in tutto il mondo come giornalista, scrittrice e autrice di autentici capolavori tradotti in tutto il mondo. Invece, l’abbiamo conosciuta per quello che è veramente, senza veli e senza reticenze. Non ha posto condizioni e ha voluto un confronto a tutto campo con i ragazzi e i ragazzi hanno risposto. Attraverso la scuola e grazie alla scuola molti studenti hanno avuto modo di leggere, capire, rapportarsi in maniera diversa a certe tematiche di valore universale. Ne è scaturito un confronto serrato e appassionato che ha spaziato dalla scrittura al teatro, dalla poesia al bisogno di cultura che c’è nella società, dalla condizione attuale della donna alla precarietà dei giovani che spesso non hanno la possibilità di inseguire i propri sogni. Idelma Di Masi, Giovanna Spatola, Concetta Russomanno. Ci hanno creduto e i loro sforzi sono stati premiati. L’idea originaria, cioè quella di incentivare la lettura e di proporre un nuovo modo di pensare il futuro attraverso la fantasia e l’immaginazione, ha fatto nascere un’Associazione culturale (Sorgenti di Sapere) pronta a scommettere sulla nostra gente. Dunque, non solo eventi culturali , incontri con scrittori e artisti , ma anche iniziative sociali e ricreative che possano offrire ai nostri ragazzi nuove opportunità di confronto, di scambio, di partecipazione. Nei prossimi mesi l’Associazione avrà modo di concretizzare il suo programma secondo un calendario che di volta in volta verrà reso pubblico. L’Auditorium, la mattina del 28 maggio, l’ho visto gremito di gente interessata e partecipe, gente viva e motivata, per Caposele e non solo per Caposele si è trattato di un grande punto di partenza. Stesso discorso per l’incontro serale con le Istituzioni e con la gente laddove Dacia Maraini non si è sottratta alle domande della platea e non ha risparmiato alle autorità presenti un riferimento chiaro agli errori del passato. In particolare, quello dell’industrializzazione forzata delle nostre zone che ha rappresentato un vero e proprio sopruso come avviene tutte le volte in cui si vuole calare dall’alto e dall’esterno qualcosa che niente ha a che fare con il contesto nel quale dovrebbe operare. Un successo pieno, dunque. C’è però un altro aspetto che ha reso questa giornata indimenticabile. L’aspetto più intimo e riservato, quello vissuto al di fuori dal contatto diretto con il pubblico, nei momenti e nei gesti consueti di una giornata qualunque. Quello che è emerso è la semplicità, la dolcezza, la sensibilità e la profondità di una persona veramente speciale che con le sue parole e il suo esempio ha fatto riflettere intere generazioni.

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Dovendo fare un bilancio di questa prima esperienza due sono le principali considerazioni da fare. La prima. Abbiamo avuto la dimostrazione inequivocabile che quando Associazionismo, Scuola, Sponsor e Istituzioni pubbliche (Regioni, Province e Comuni) collaborano seriamente in vista di un traguardo comune per il bene della collettività non c’è risultato che non si possa raggiungere. La seconda. Abbiamo capito, anche grazie a Dacia Maraini, che sempre e comunque bisogna avere il coraggio delle proprie idee, che vale la pena lottare per esse perché anche gli altri possano esprimere le proprie in piena libertà e autonomia. Lottare per le proprie idee vuol dire anche lottare per gli altri. E’ questa la strada da seguire e “Sorgenti di Sapere” ha scelto di percorrerla fino in fondo per il bene di tutti.

CHIESA MADRE, LUOGO DELLA MEMORIA Agosto2007 – La Sorgente n. 74 di Mario Sista

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vvicinandosi il fausto giorno della consacrazione della chiesa madre di Caposele, distrutta dal sisma del 23 Novembre 1980 vorrei, in questo e negli articoli che seguiranno, offrire una ricostruzione storica di quelle che sono state le vicende di questo luogo di culto così caro ai caposelesi. Premetto che questo lavoro non pretende di essere esaustivo: documenti atti ad arricchire maggiormente le informazioni in nostro possesso possono sempre venire alla luce nel corso del tempo. La chiesa, nel panorama sociale ed urbanistico di un centro abitato, riveste da sempre una importanza del tutto particolare. Essa, infatti, è da considerarsi non solo come luogo fsico del culto, in cui la comunità cristiana locale si ritrova per la celebrazione della liturgia, ma anche come luogo della memoria personale e collettiva. La Messa domenicale, le feste patronali, i matrimoni, i battesimi e le altre celebrazioni che coinvolgono i credenti sia nella loro dimensione familiare che in quella comunitaria, necessariamente rimandano allo spazio in cui esse - con tutta la loro dimensione affettiva - vengono celebrate. Nulla di strano, quindi, se la chiesa per sua natura si imponga all’attenzione di tutti. All’amico che viene a visitarci si mostra dulcis in fundo la chiesa, perché la sua bellezza riassume quella dell’intero paese; l’emigrato che torna dopo molti Antologia Caposelese

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anni al luogo natìo quasi istintivamente si reca, dopo aver riabbracciato i propri cari, a rivedere la chiesa. Anche qui le lacrime rigano il suo volto: è la sua seconda casa, le cui mura sono gravide di ricordi come quelle del proprio tetto. Si può affermare che essa in un certo qual modo esprima tutto il sentire storico, artistico, devozionale ed affettivo di un paese. Non a caso alcune cartoline di Caposele riproducono, ancora oggi, l’antica chiesa madre con la graziosa fontana in primo piano. Quando un terremoto o un incendio privano la collettività di questo prezioso scrigno della memoria, di questo insostituibile punto di riferimento, è naturale che tale perdita venga avvertita come una ferita dolorosa, uno strappo lancinante. Purtroppo tutto questo è successo a Caposele: in quei tremendi cinque minuti di quella sera di Novembre di ventisette anni fa il terremoto uccise, oltre a tante persone, anche la chiesa madre, il castello, le cappelle di Santa Lucia, di San Vito e la basilica di Materdomini. La chiesa madre si ergeva, nella sua maestosità, a guardia spirituale del paese, elegante visione per chi, scendendo per via Roma, giungeva in piazza Di Masi. Per le sue tre porte, simboleggianti la Trinità, la comunità entrava nel Mistero della fede cristiana. Era la casa di Dio frequentata da tutti: bambini, giovani ed anziani. Era la casa delle lacrime: di gioia per i nuovi bimbi nati alla fede, di mestizia per chi salutava per l’ultima volta la sua amata Caposele. Moltissimi ancora ricordano con grande nostalgia la sua facciata, semplice e delicata nelle sue forme ottocentesche, il suo antico soffitto ligneo rappresentante S. Antonio in gloria, la teoria delle immagini dei Santi delle sue cappelle laterali, la magnificenza del suo altare maggiore al di sopra del quale vigilava, a perenne difesa della sua amata città, la venerata immagine di Lorenzo, levita e martire, da sempre invocato dai caposelesi come protettore e patrono. Cinque minuti e tutto fu ridotto in un cumulo di macerie. Solo il possente campanile, come anche quelli della chiesa della Sanità e di Materdomini, oppose fiera resistenza ai distruttivi sussulti della terra. Per ventisette anni ha continuato a chiamare, orfano della propria chiesa, la comunità cristiana alla partecipazione alla vita liturgica. A quel breve, distruttivo lasso di tempo seguirono lunghi anni di polvere e cantieri frenetici, e Caposele lentamente rialzò il suo volto umiliato dal suolo. Al grido di “ricostruzione” le case pian piano iniziarono a riempire quei vuoti edilizi lasciati dalle scosse sismiche; con esse sono risorte la cappella di San Vito, la basilica gerardina e, ultima, la chiesa madre in nuova, diversa veste architettonica. Al castello, vecchio di più di mille anni, ed alla cappella di Santa Lucia Caposele purtroppo ha dovuto dare il suo ultimo e definitivo addio. Oggi, Anno Domini 2007, la riedificazione del paese può dirsi completata. La polvere dei cantieri non si deposita più su alberi e prefabbricati, non si ode più l’assordante rumore degli autocarri carichi di materiali. Non è più, quindi, il

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tempo della frenesia edilizia e Caposele è chiamata a scrivere una nuova, briosa pagina della propria bimillenaria storia. Tra le tante cose belle da scrivere in questo venerando libro c’è anche quella del recupero e della ricostruzione della memoria. Solo riappropriandoci della nostra storia possiamo non solo leggere ed interpretare i segni dei tempi, capire il presente e plasmare con forza e sicurezza il nostro futuro, ma anche essere grati nei confronti di chi ha messo nelle nostre mani il proprio paese, col compito di consegnarlo, più bello e vivibile, a chi ci seguirà in questa affascinante avventura della vita. Caposele ci è stata data in prestito dai nostri antenati per i nostri figli. Questo è il senso della ricerca storica: se essa non spinge all’amore per il proprio paese ed al desiderio di migliorarlo non solo esteticamente ma anche e soprattutto moralmente, allora non serve a nulla. La storia è maestra di vita, non è futile e noiosa cronaca. Ritornando alla chiesa madre, fra non molto il grande campanile darà ancora una volta l’annuncio festoso dell’apertura al culto della nuova chiesa, splendida nelle sue forme moderne. Questo intrigante viaggio verso la scoperta del passato di Caposele vuol partire proprio da qui, da questo tempio che, distrutto dai terremoti, è sempre risorto più bello e spazioso di prima. Prima di passare, però, alla narrazione dei fatti prettamente storici bisogna spendere qualche parola sul concetto di “chiesa madre”. Perché questa definizione? Forse che nel panorama ecclesiale di un paese esistano anche delle chiese, potremmo dire, “figlie”? Ovviamente il discorso non è così banale. L’appellativo di madre lo si dava nel passato a quella chiesa in cui l’Arciprete, in forza del suo ufficio di Parroco, esercitava le sue funzioni sacerdotali. Uno degli elementi che distingueva la chiesa cosiddetta madre dalle altre era la presenza del fonte battesimale che generava nuovi cristiani (circa il fonte battesimale tutti si ricorderanno che esso era presente soltanto nella chiesa di san Lorenzo e non nelle altre chiese del paese). Come si può osservare, il termine madre teologicamente parlando non riguarda tanto l’edificio di culto in sé, quanto la Chiesa vera e propria, ovvero la comunità cristiana che, per mezzo dei suoi ministri, continuamente fa nascere nel battesimo nuovi figli al Padre celeste. Appunto come una madre. Nel corso dei secoli due sono state le chiese che qui a Caposele hanno svolto la funzione di chiesa matrice. Infatti, il tempio che noi abbiamo conosciuto, crollato nel 1980, in principio era una piccola chiesa dei Frati Minori Conventuali dedicata a San Francesco. La chiesa madre di San Lorenzo era in un altro luogo. Ma dove? E, soprattutto, in quale circostanza fu distrutta? Per dar risposta a questi interessanti quesiti e anche per rendere il racconto delle vicende chiaro e scorrevole bisognerà parlare prima dell’antica, vetusta chiesa madre di San Lorenzo e poi della chiesa dei Conventuali che, ad un certo Antologia Caposelese

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punto della storia fu, fatte le debite modificazioni, trasformata in chiesa madre, in quella chiesa cioè, che tutti noi abbiamo conosciuto. Ridando voce alle scritture ingiallite dei documenti che, accatastati in polverosi archivi e biblioteche, custodiscono gelosamente la memoria scritta del nostro paese, cercherò di narrare più che la storia le storie dei diversi luoghi di culto che nel corso del tempo sono stati la chiesa madre di Caposele. Nel prossimo articolo, perciò, entreremo insieme nell’antica, scomparsa chiesa di San Lorenzo che, ripeto, non era quella mmiezzu a lu Chianu. Ne osserveremo gli altari, verificheremo lo stato di conservazione della struttura, faremo, insomma, un salto indietro nella storia del nostro paese di circa trecento anni. Conosceremo i preti che c’erano a Caposele e che celebravano in quella chiesa, in particolare avremo modo di incontrare qualche antico predecessore dell’attuale Arciprete don Vincenzo. Vorrei concludere questo mio primo intervento con un piccolo riferimento personale. Io la chiesa madre, come anche la basilica di Materdomini, la ricordo “cumm’ si foss’ nu suo-nnu”: avevo solo quattro anni quando il terremoto me la portò via. Ora dopo lunghi, interminabili e, oserei dire, assurdi ventisette anni la vedo risorta, quasi pronta per l’appuntamento con la comunità. Mi si offre agli occhi non più immagine nebulosa e vaga come quand’ero bambino, ma chiara e distinta. Invidio in senso buono chi, nato prima di me, ha potuto ammirare appieno la bellezza della precedente, bellezza tra l’altro riconosciuta anche da chi, pur non essendo di Caposele, me ne parla tuttora con accenti di elogio perché ne conserva nella memoria l’immagine. Dinanzi a tali encomi, che in un certo qual modo mi fanno sentir fero di essere caposelese, vale veramente la pena, quindi, di investigare e raccontare la storia di un’opera architettonica che è stata non solo espressione della fede e del lavoro dei caposelesi, ma anche manifestazione di quella particolare sensibilità alla bellezza di cui essi, nei secoli trascorsi, hanno dato prova. CHIESA MADRE, LUOGO DELLA MEMORIA seconda parte di Mario Sista ra la tarda mattinata del 9 Aprile 1853. La Pasqua era trascorsa da pochi giorni e a Caposele ancora si respirava il clima della festa. Verso le tredici una violenta scossa di terremoto si abbatté furiosa sul paese, distruggendolo in gran parte. La polvere, le urla della gente, le strade ingombre di macerie, i morti: Nicola Santorelli descrive molto bene nel suo “Il fiume Sele e i suoi dintorni” l’incubo che i caposelesi vissero in quegli attimi tremendi. Se

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l’antico castello resistette a quello che passerà alla storia come il “terremoto di Caposele”- in quanto solo il nostro paese fu colpito e distrutto dal sisma - non così fu per la già vetusta chiesa madre. Un vero e proprio scrigno di tesori e di arte fu sgretolato in pochi attimi. Il tempio, le cui prime notizie certe risalgono al 1333, sorgeva nella zona posta tra la Portella e il ponte. Ancora oggi si narra di enormi quantità di ossa appartenenti ai defunti seppelliti nei sotterranei della chiesa, trovate decine di anni fa all’inizio dell’attuale strada selciata che conduce appunto alla Portella. Le sue fondamenta erano costruite su una grossa sporgenza calcarea lambita dalle acque turbolente del fiume Sele. Oltrepassato il ponte, il viandante che giungeva a Caposele si ritrovava quasi di fronte all’imponente edificio sacro, con il suo alto campanile a quattro registri. Nel 1736 Don Vincenzo Fungaroli, parroco di Caposele, si premurò di descriverla nei minimi particolari. Nella sua descrizione la chiesa appariva isolata; non aveva, cioè, case che la circondassero o che fossero attaccate alle sue mura. Solo due strade, “una che va e viene dal loco detto la Costa, e l’altra che va al ponte” la sforavano, collegandola al paese arroccato intorno al castello. La facciata guardava verso Ovest, vale a dire verso la località San Giovanni, mentre l’abside con l’altare maggiore era rivolto verso Est, ossia verso l’attuale via San Gerardo. Sotto di essa vi era un’altra chiesa sotterranea dedicata a Santa Caterina, utilizzata successivamente per le sepolture. La chiesa era a tre navate ed aveva tre porte. L’entrata principale era in marmo rustico e su di essa era posta la lapide dedicata al patrono: “Divo Laurentio Tutelari Templu. hoc jamdiu dicatu., nunc meliorem ad formam redigi pia Silarinae Universitatis munifcentia curavit anno D.ni” (a San Lorenzo patrono, questo tempio già da tempo dedicato, ora a migliore forma la pia munificenza della Università Silarina ha ricondotto. Ha curato nell’anno del Signore [manca l’anno]). La porta, in legno intagliato, introduceva il visitatore nella navata centrale, in fondo alla quale si alzava, nella sua maestosità, l’altare maggiore. Ma quanto era grande l’antica chiesa madre di Caposele? La sua lunghezza era di circa ventidue metri e mezzo, l’altezza della navata principale raggiungeva i nove metri mentre la sua larghezza era di quasi sedici metri. Il pavimento era di calcina “attraversato per mezzo da gradini di pietre”. La navata centrale presentava un soffitto di tavole dipinte, in mezzo al quale vi era “un quadro ad olio di S. Lorenzo in gloria, la SS.ma Triade, la Vergine ed altri Santi”, dipinto nel 1723 dal noto pittore e decoratore Michele Ricciardi. Il tempio era dotato di ben tredici finestre: la facciata ne contemplava tre, cinque il lato sinistro parallelo al fiume, tre quello settentrionale e quattro il lato rivolto ad Oriente; da ciò si può dedurre che l’interno doveva essere alquanto luminoso. Le vetrate delle finestre erano protette con grate di ferro battuto. Altre fineAntologia Caposelese

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strelle contribuivano a dar luce alle navate laterali. Entrando, subito a sinistra vi era il fonte battesimale “con la sua pila di marmo bianco sopra il piedestallo di marmo”. La copertura della pila era “di noce intagliato con figure, e sopravveste di tela tenta con frangia”. Sopra di essa vi era una croce di legno mentre l’interno era “foderato d’armesino (seta leggera molto preziosa, chiamata così da Ormuz, città della Persia dalla quale proveniva) a color di latte”. Nella pila era situato “un vaso capace di rame stagnato col suo coperchio, ove si conserva l’acqua battesimale”. Molto probabilmente esso era il fonte che, prima del terremoto del 1980, si trovava nella chiesa madre sita al Piano entrando a sinistra, ivi trasportato dopo la distruzione della chiesa di cui stiamo parlando. Verso il fondo della navata centrale, prima dell’altare maggiore, vi era il coro, vale a dire quella parte del presbiterio racchiusa da una balaustra di legno dove, durante le ore del giorno, i sacerdoti si recavano per le preghiere comunitarie. Esso era costituito da un muro di legno intagliato, addossato alle pareti laterali dell’ultimo tratto della navata e diviso in dieci stalli, cinque per ogni lato, dove ogni sacerdote poteva sedersi per la recita del breviario. Siccome i sacerdoti di Caposele erano, nel 1736, ventiquattro, dinanzi ad ogni stallo erano stati posti degli scanni per quelli che rimanevano in piedi. Anche sul coro il soffitto era in tavole dipinte come quello della navata principale, ed anche qui era presente un quadro con cornice dorata, raffigurante San Lorenzo nei tormenti del martirio. In un lato del coro vi era l’organo in noce intagliato a nove registri, che era situato prima sull’entrata della chiesa. In fondo alla chiesa si trovava l’altare maggiore attaccato al muro. Su di esso tre nicchie custodivano tre statue intere dei santi diaconi Lorenzo, Stefano e Ciriaco. La statua di San Lorenzo, di legno, era posta, ovviamente, nella nicchia centrale, ed era protetta da una porta di cristallo, mentre le altre due statue, poste ai lati, erano di stucco. Sotto la nicchia del santo patrono si ergeva, superbo, l’altare maggiore in marmo rustico e stucco; esso era sopraelevato rispetto al pavimento. Un oggetto particolare colpiva chi vi si avvicinava: un “bauletto d’avorio, ed ebano lavorato a modo di piramide con figure d’avorio intagliate alla gotica” posto al di sopra della mensa. In questo scrigno erano conservate fin dal 1659 le reliquie donate alla chiesa madre dal dottore Donatantonio Parente, illustre studioso e filosofo di Caposele. Tali reliquie consistevano in frammenti ossei dei santi martiri Addone, Pargenzio, Arsilia, Donato, Secondina, gorgonio, Antero, Cesario, Aureliana, Ponziana, Abunnio, Antiano, Beatrice, gabino, Artemia, Calipodio, Biagio ed Antonino. Oltre a queste reliquie nel suddetto cofanetto si conservava anche una lettera autografa di Sant’Andrea Avellino, spedita da questi ad una sua figlia spirituale di Caposele. Ricavato nel muro laterale della chiesa, in corrispondenza di uno dei lati dell’altare maggiore, vi era un armadietto contenente “i vasi di stagno di Fian-

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dra” con gli olii santi, ed un vaso d’argento per l’olio degli infermi. Davanti all’altare maggiore, a motivo delle reliquie quivi conservate, i caposelesi facevano ardere in onore dei santi martiri una lampada ad olio che scendeva dall’arco trionfale che separava il corpo della navata centrale dal coro. Scendendo i gradini dell’altare maggiore e oltrepassata la balaustra, addossato al primo pilastro di sinistra vi era il pulpito di legno intarsiato sul quale, nel maggio 1746, salirà Alfonso Maria de’ Liguori per predicare la Parola di Dio al popolo di Caposele. L’abside della navata laterale di sinistra, andando verso la porta, ospitava l’altare del Santissimo Sacramento. Questo era “di marmo lustro di più colori, cioè bianco torchino, e gialletto connesso con la sua mensa, palliotto e pradella d’uno pezzo nuovamente costrutto in quest’anno 1736”. Sopra l’altare vi era anche “il sacro ciborio di marmo fino di più colori, cioè gialletto, verde antico, pietre di Frangia, ed altro lavorato in Napoli, e posto in opra nell’anno 1730, con por-tellina d’ottone dorata”. In esso vi erano conservate “due pisside d’argento dorate, la più piccola delle quali serve per il sacro viatico all’infermi, ambedue coverte di drappo prezioso”. Sovrastava il ciborio, ovvero la custodia eucaristica, un prezioso baldacchino con frangia. La suddetta cappella era protetta da una artistica inferriata, e dinanzi vi ardeva di continuo la lampada ad olio che indicava al visitatore, allora come oggi, la Presenza del Signore. A motivo della sua importanza, questa cappella aveva il pavimento di “reggiole colorate”. Dinanzi a questo altare molte volte si fermerà, in profonda preghiera ed adorazione, Gerardo Majella allorquando scenderà da Materdomini a Caposele per la “via vecchia” che sbucava presso il ponte, e quindi presso la chiesa madre. Da questa cappella si snodava tutta una serie di altari laterali dedicati alla Madonna dei Sette Dolori, a San Michele Arcangelo, a San Giuseppe e al Santissimo Nome di Dio. gli altari laterali della navata di sinistra erano dedicati, invece, ai Santi Pasquale Baylon e Filippo Neri, all’Immacolata, ai Santi Pietro e Paolo ed a San Rocco. In un angolo della Chiesa vi era, infine, il cappellone dedicato alle Anime del Purgatorio, con le immagini della Madonna, di Sant’Erberto di Conza e di San Gaetano “in un quadro ad olio con icona di legno bene intagliata, e dorata”. La soffitta era di tavole dipinte con in mezzo un quadro raffigurante la Madonna. In questa cappella si riunivano i molti caposelesi che appartenevano alla Congrega dei Morti. Da qui si accedeva alla Sacrestia, nella quale si conservavano, in tre nicchie, le statue a mezzo busto di San Lorenzo (l’attuale statua del Patrono), di Sant’Addone e di San Filippo Neri, che venivano portate in processione il 10 Agosto. Il campanile, infine, era composto “di tre registri, oltre la base, con tre campane, una grande, e due mezzane, e vi si saglie con gradinate di Antologia Caposelese

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legno; la campana grande fù fatta nell’anno 1509, di nome Laurentina, e le due da pochi anni”. Questa, a grandi linee, era la chiesa madre di Caposele così come l’hanno vista i nostri antenati, nonché San Giovan Giuseppe della Croce, Sant’Alfonso de Liguori e San Gerardo Majella. Di essa, materialmente, non resta nulla: anche la roccia sulla quale si ergevano le sue possenti fondamenta, cantate da Lorenzo e Nicola Santorelli, è stata distrutta, forse dalle forze congiunte delle alluvioni e dei caposelesi. La chiesa, inoltre – e dicendo questo introduciamo il tema del prossimo articolo – era ricca di stoffe, di argenti, di vasi e di paramenti sacri che, tutti insieme, costituivano il patrimonio di San Lorenzo. Se, nonostante le calamità, i paesi vicini hanno conservato nel corso della storia cospicue testimonianze delle cose preziose offerte al proprio patrono, non così purtroppo è stato per Caposele. Contemporaneamente al crollo del 1853 contemporaneamente sparì quasi tutto ciò che di prezioso il popolo, durante i secoli, aveva offerto in dono a San Lorenzo. Ma di quali oggetti era costituito tale patrimonio, e in che numero? Cercheremo di dare una risposta a questo interrogativo illustrando quello che si potrebbe definire, in piccolo, il “Tesoro di San Lorenzo”, frutto della millenaria devozione di un popolo per il suo patrono; violato dal terremoto e dagli uomini. I SOGNI POSSONO DIVENTARE REALTA’ – La Sorgente n. 75 - DICEMBRE 2007 di Gerardo Monteverde

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Noi Caposelesi, a mio modesto parere, e leggendo un po’ della nostra storia locale, riusciamo e preferiamo agire individualisticamente o, quanto meno, inte­ ragire con poche persone piuttosto che unirci e lavorare insieme, anche quando l’importanza della posta in gioco per il paese è molto alta. I più preferiscono il tanto peggio, tanto meglio, pur di non unirsi per creare la sinergia necessaria al raggiungimento dello scopo.

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Premessa siste una verità che va oltre l’abituale modo di pensare, che travalica ogni senso comune: Caposele non ha mai individuato, tracciato un percorso rigoroso, scaturente da un’analisi precisa e corretta su un possibile sviluppo del proprio territorio, sviluppo che oggi non può prescindere dal fatto di essere sostenibile e armonioso con la bellezza naturale di cui la nostra terra, senza tema di smentita, è provvista.

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Una pianificazione territoriale ed urbanistica ed un’attenta progettazione nell’ottica dello sviluppo sostenibile ed eco-compatibile dovrebbero, invece, venire prima di ogni altra cosa. Capisco che per accingersi a tale compito bisogna essere un pluri esperto, ma il fatto di essermi candidato a guidare le sorti del paese mi incoraggia ad esprimere le mie idee al riguardo e a vivere la mia eventuale esperienza politicoamministrativa al meglio, mettendo a disposizione impegno e passione. Le mie idee, certamente, non difetteranno di constatazioni ed attenta lettura del territorio perché al di là di ogni credo politico, un figlio motivato e legato al proprio paese, preoccupato ed impegnato a dare un diverso futuro alle prossime generazioni non deve tralasciare di cogliere questa verità, di guardare oltre i propri limiti. Chi si propone alla popolazione per dirigere le sorti del proprio Comune, oggi, più che mai, deve individuare ed iniziare a mettere in campo tutto quello che è necessario per raggiungere l’obiettivo. Bisogna mettere da parte barriere preconcette, privilegiando i contenuti, deve far sentire la propria voce per dire che è possibile un mondo diverso, un mondo fatto di nuovi orizzonti e nuove prospettive. L’obiettivo non solo deve essere individuato da un progetto che preveda le fasi della sua realizzazione, ma deve passare attraverso un rapido ricambio di mentalità affinché possa essere acquisito e fatto proprio dall’intera comunità dei Caposelesi. (Scelte univoche e condivise, supportate dall’impegno dell’associazionismo e del consorzismo, sono fondamentali in questo senso). Progetti ambiziosi hanno bisogno di grossi sforzi che possono essere esercitati solo con l’unità d’intenti. Noi Caposelesi, a mio modesto parere, e leggendo un po’ della nostra storia locale, riusciamo e preferiamo agire individualisticamente o, quanto meno, interagire con poche persone piuttosto che unirci e lavorare insieme, anche quando l’importanza della posta in gioco per il paese è molto alta. I più preferiscono il tanto peggio, tanto meglio, pur di non unirsi per creare la sinergia necessaria al raggiungimento dello scopo. Se pensassimo, invece, di essere ognuno di noi, tanti fili colorati e ci mettessimo insieme, formeremmo certamente il tessuto meraviglioso di una nuova realtà e daremmo l’addio a quella ipocrisia sottile che serve solo a giustificare il proprio tornaconto. Idee guida Il tema che sto cercando di sviluppare è un argomento essenziale, che coinvolge i Caposelesi di oggi quanto quelli di domani. Non dobbiamo rassegnarci a vedere un paese che, senza occasioni di lavoro, si spopola o rimane abitato da soli vecchi, come purtroppo già succede in altre realtà vicine alla nostra. Ogni sforzo deve essere fatto per ritrovare una dimensione nella globalizzazione e fare del territorio una vetrina delle proprie risorse e potenzialità senza rassegnarci a Antologia Caposelese

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delegare ad altri la risoluzione di queste importanti e risolutive problematiche. So che lavorare sulla mentalità e sulle coscienze degli uomini è cosa difficile, ma non proibitiva e per questo bisogna tentare. Bisogna accrescere in ognuno di noi il radicamento al paese facendo un’ operazione culturale che arricchisca il senso di appartenenza, che recuperi la memoria dentro la comunità; la conoscenza della nostra storia deve alimentare l’orgoglio di appartenere a questa bellissima terra. E’ attraverso la conoscenza che si può superare la tentazione della diffidenza e far maturare una solidarietà nuova, consapevole e motivata. Ed è sulla proposta di identità, valori e progetti che si può basare la ripresa culturale e socio-economica di una intera comunità. Fino ad adesso è vero che i vari terremoti hanno rovinato i segni concreti della nostra storia, ma a volte quello che non ha fatto la forza della natura l’ha fatto l’uomo. Oggi, siamo poverissimi anche dal punto di vista delle testimonianze del nostro passato. Con l’ultimo terremoto siamo stati tanto incoscienti da portare bellissimi portali in pietra nella discarica, perdendo con essi anche parte della nostra storia. Ed è difficile far capire alle nuove generazioni l’importanza del concetto di comunità o come sia possibile mettere insieme le radici e il futuro. Leggevo : “le testimonianze del passato danno la consapevolezza della necessità di evolvere navigando nel futuro della comunità di appartenenza”. In questi giorni, pensando a questo, è cresciuto in me il rammarico (senza voler esprimere giudizi col senno di poi) che se qualcuno o qualche Amministrazione Comunale, prima del sisma dell’ottanta, avesse, per esempio, considerato l’ipotesi di una ristrutturazione del castello con destinazione pubblica, oggi avremmo potuto godere della vista del manufatto le cui pietre avrebbero potuto ancora parlare a chi ha occhi per leggere la storia. Alla luce di quanto sopra ricordato un forte plauso deve essere in verità, riservato a quel gruppo di Caposelesi che si sono costituiti per far conoscere le tradizioni contadine dei nostri avi ed in particolar modo le varie espressioni di canto, suono e ballo ( tarantella, batticulo) che hanno accompagnato la dura vita quotidiana delle passate generazioni. E’ un’operazione questa che va incoraggiata e finanziata perché parla ai nostri giovani, e non solo, delle nostre radici di cui dobbiamo essere fieri. Bisogna sempre ricordare che per capire dove andare dobbiamo sapere da dove veniamo. Il recupero dell’importanza della comunità tra tradizione e memoria fa da apripista ad un altro valido discorso, quello della filiera della ruralità, orientata alla salvaguardia paesaggistica, al recupero degli antichi mestieri, alla valorizzazione dei prodotti tipici, attraverso la conoscenza di quella che era la semplice e naturale alimentazione di una volta. Lo scopo sarà quello di creare una diversificazione di offerte sul territorio per

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farne un pacchetto da divulgare, per costruire le basi per fare sistema sul territorio ed avviare un piano di promozione turistico-culturale attraverso laboratori di mestieri, proiezione di filmati, recupero dei costumi, degustazione di prodotti tipici e quant’altro. Per questo progetto nessuno può permettersi il lusso di delegare; vitale è la partecipazione perché partecipando si può dare il proprio fattivo contributo umano e culturale. Non bisogna sciupare, quindi, la ricchezza ideologica trasmessa dai nostri avi. Essa ci darà forte energia interiore per affrontare le sfde del futuro. Lettura del territorio Il territorio di Caposele si estende per una cinquantina di chilometri quadrati con un andamento orografico prettamente collinare e con la presenza di numerose fonti di acqua. Non a caso parte del territorio di Caposele è stato incluso nel parco regionale dei monti Picentini, ciò a testimonianza della esclusiva bellezza naturale dei nostri luoghi, che nulla hanno da invidiare a tanti altri più rinomati e visitati da turisti. Zone più alte sono state, in gran parte, utilizzate a pascolo mentre quelle più a valle hanno trovato la loro vocazione in seminativo, viticoltura, olivicoltura. Anche alberi da frutta, quali fichi, ciliegi, peschi, meli, peri, susini ed altro hanno caratterizzato la produzione agricola del nostro territorio. E’ grazie alla produzione dei vari frutti che molti Caposelesi in passato, e ancora oggi, vanno vendendo i loro prodotti nei paesi in cui era ed è ancora assente una simile produzione. Questo quadro produttivo e socio-economico è stato, prima degli anni ottanta, sempre assecondato e mai nessuno ha cercato di guidarlo verso nuove e più consone sfide. L’agricoltura, vista la estrema parcellizzazione dei fondi, si è quasi sempre caratterizzata per garantire il sostentamento delle famiglie , grazie ai prodotti ricavati dalla terra. Oggi si registra un abbandono graduale della terra coltivabile, sicché sempre più numerosi sono i campi che restano incolti. I giovani, non potendo trarre un reddito sufficiente per vivere dalla lavorazione dei loro campi, sono costretti, in mancanza di altre opportunità, ad allontanarsi dal paese natio. Bisogna allora puntare a creare un efficace sistema di opportunità formative e di qualificazione delle persone, mirato ad un costante innalzamento della qualità dei prodotti selezionati per assicurare opportunità lavorative alle nuove generazioni. Altra ricchezza, secondo me non ancora sufficientemente assecondata e sviluppata, è il turismo religioso presente a Materdomini. Tale fenomeno, molte volte in passato visto come una sgradevole intrusione di gente sul nostro territorio che si continuava a ritenere, a torto, territorio puraAntologia Caposelese

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mente agricolo, è stato lasciato a se stesso ed alla sola volontà e forza economica dei Padri Redentoristi. II processo, compreso quello urbanistico della frazione, andava guidato da mani esperte, secondo un progetto di più ampio respiro. La sfida Credo che oggi un’Amministrazione lungimirante non può non fare una accurata analisi del nostro sistema socio-economico e non accettare la sfida che ne deriva. La posta in gioco è così grande ed importante che non ci si può nemmeno permettere il lusso di peccare per omissione o per sottovalutazione della situazione. Sono in gioco le sorti delle future generazioni Caposelesi e del destino stesso di Caposele . Tutte le menti devono partecipare alla preparazione ed alla realizzazione di un’idea che dovrà portarci fuori delle secche delle mancate opportunità di lavoro che oggi affliggono tanti giovani e meno giovani. Tutti i cittadini devono sentirsi parte attiva della Casa Comunale, centro propulsore di ogni attività amministrativa. Politica ambientale e territorio Al di là del fatto che il rispetto dell’ambiente più che predicato va praticato, propedeutica al progetto, che è del tutto un progetto basato sulle potenzialità turistiche di Caposele, deve essere una sana e corretta politica ambientale .In passato il territorio ha subito, anche per l’assenza di un piano regolatore generale, delle mortificazioni antropiche che oggi si fa fatica a risanare, dove è ancora possibile farlo. Però, se non si fa questo, si condanna Caposele a restare senza un progetto anche nei prossimi anni con tutte le conseguenze negative che oggi riusciamo a intravedere. Le azioni da intraprendere dovranno, perciò, essere rivolte al miglioramento della qualità dell’ambiente naturale e di quello urbanizzato ultimando quanto già posto in essere per la messa in sicurezza del territorio comunale, promovendo la salvaguardia e la valorizzazione delle fonti di acque locali e dei luoghi di ristoro, la difesa dei beni comuni, la riprogrammazione dei servizi e delle politiche sociali. Progetto L’idea parte da una situazione di fatto consolidata: il grosso flusso turistico di tipo religioso presente, ogni anno, al Santuario di S. Gerardo. Come è possibile che delle centinaia di migliaia di persone presenti a Materdomini nessuna viene richiamata a visitare Caposele con le sue ricchezze naturalistiche?. La risposta va ritrovata nell’assenza di attrattori turistici valorizzati, mancanza di servizi adeguati, di strutture di accoglienza e mezzi di collegamento. La traccia da seguire è oltremodo evidente : le sorgenti, il fiume, le attività dell’uomo con la forza dell’ acqua . A questo deve essere aggiunto un elevato standard della qualità della vita, rispettoso e a contatto con la natura. Su tale operazione gli amministratori comunali degli ultimi anni hanno iniziato a lavorare con fatica grazie a tale impegno, oggi, si sta concretizzando l’idea di un parco flu-

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viale all’interno del quale è situata anche una scuola-museo delle acque. Non c’è bisogno dell’occhio dell’esperto per accorgersi della bellezza di tali opere e delle potenzialità che esse offrono. Spettacolo unico da ammirare nella forra del Tredogge è lo zampillar dell’acqua tra le fessure della roccia calcarea, stesso spettacolo, chiaramente molto più abbondante, che le sorgenti del Sele in passato offrivano ai nostri compaesani alla fine dell’ottocento. Per il futuro occorre mettere in progetto un ampliamento di tale parco estendendolo lungo il torrente S. Vito-Palmenta e verso il corso del fiume a valle del campo sportivo . Andrebbe completata la battaglia combattuta con l’AQP; in verità dovremo incalzare i politici della nostra Regione anche per la realizzazione delle opere di messa in sicurezza delle stesse per renderle visitabili . Al momento si potrebbero piazzare delle telecamere nei cunicoli di captazione per riportare il sonoro e l’immagine nel museo delle acque o nella gualchiera ad acqua da realizzarsi lungo il fiume e di cui il Comune ha già redatto il progetto esecutivo. Altra opera da attivare sarebbe un mulino ad acqua per dare ai visitatori un parziale quadro di quelle, che in passato, furono le attività produttive di Caposele, allorquando la forza sprigionata dalle acque, muovendo tante ruote, permetteva la macinatura del grano e delle olive e la battitura dei panni. Sempre nel rispetto dell’ambiente, essenziale dovrebbe essere la valorizzazione del primo tratto del fiume Sele. Nell’area delle “Scuole Norvegesi” potrebbe essere esplorata la fattibilità tecnico-economica di realizzare un grosso acquario per rettili e pesci di acqua dolce che potrebbe risultare un altro forte attrattore turistico. Anche la montagna ed il bosco andrebbero rivalutati con attrezzature, percorsi vitae e piste per trekking o per andare a cavallo, e sfruttati per i loro prodotti. Tutti gli spazi pubblici devono essere arricchiti con arredi e caratterizzati da opere eseguite da artisti di chiara fama nazionale e/o internazionale per diventare luoghi di attrazione e di sviluppo. Non si dovrà, comunque, dimenticare il recupero del centro storico e delle periferie sempre più abbandonate a se stesse e alla solitudine. Bisognerà, altresì, rimettere in sesto un nuovo e vivo discorso legato alla politica giovanile, creando e/o adeguando infrastrutture e punti di aggregazione. Coloro che guideranno tale processo dovranno incentivare tutti a tenere pulito il paese ed il territorio anche con politiche di co-fnanziamento per alcuni interventi ( tipo un piano colori per rendere gradevole nell’insieme il panorama di tutto il paese e un piano verde attrezzato). Materdomini, dicevo, ha il suo grande attrattore che è la figura di S. Gerardo, ma anch’ essa ha bisogno di qualificare e migliorare l’accoglienza dei pellegrini. La qualificazione urbanistica di via Santuario, della via Nazionale e dello spazio davanti all’attuale sede del liceo, oltre alla qualificazione degli spazi con opere valide artisticamente, dovrebbe prevedere un’idonea area commerciale ben inserita anche dal punto di vista ambientale. Per evitare l’intasamento in alcune giornate dell’anno, andrebbero costruiti, Antologia Caposelese

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all’uscita della super strada, un ampio parcheggio ed un anello stradario tramite la via Serro Della grotta per far scendere i pellegrini all’altezza della piazzetta Caselle con ritorno del bus vuoto al parcheggio. gli sforzi maggiori devono, comunque, portare soprattutto alla trasformazione di un turismo mordi e fuggi in un turismo stanziale e all’inserimento del centro urbano nel circuito delle visite e del soggiorno perché la ricaduta economica sia avvertita anche dagli operatori a valle. Politiche e strutture turistiche Nel tempo sono state realizzate varie strutture ricettive nella frazione di Materdomini sicchè oggi abbiamo la presenza di centinaia di posti letto negli alberghi e più di un migliaio di posti nelle sale dei vari ristoranti e trattorie. Caposele centro dovrebbe attrezzarsi con piccole osterie, con country house, con negozi di prodotti tipici per intercettare le nuove e diverse forme di turismo. A tale vocazione potrebbero essere dedicate, tra l’altro, le cantine di Catapano, cui sarebbe di enorme vantaggio l’apertura al pubblico della zona a verde ultimamente recintata dall’AQP. Per la riuscita di tali interventi dovrebbe, prima di ogni cosa, essere vinta l’ostilità ingiustificata a consorziarsi nelle varie attività. I tentativi finora fatti con gli operatori turistici purtroppo non hanno dato grossi risultati, per quanto si sia insistito sul fatto che , vista la piccola entità del nostro territorio, è vitale consorziarsi per competere da ogni punto di vista con altre realtà che, pur meno dotate, riescono ad intercettare grossi flussi turistici. Dobbiamo riuscire a scrollarci di dosso questa atavica mentalità che ci penalizza fortemente e che , se perdura, non ci permetterà alcun decollo, anzi impedirà ad ogni progetto di concretizzarsi. Abbiamo la necessità, oltre all’esigenza, di essere capaci di trasformare i nostri prodotti agricoli per immetterli su un mercato che è presente sul nostro territorio. Non si può accettare che la quasi totalità del venduto oggi arrivi da fuori, quando, organizzandosi, può essere prodotta in loco, migliorando di molto la qualità e creando occupazione e sviluppo in tutti i settori. Bisogna mirare a consorzi con le giuste figure professionali e che, supportati anche dagli enti pubblici, possano mettere in moto un’ agricoltura di prodotti da trasformare e/o confezionare . All’uopo, una accorta politica delle acque con creazione di microinvasi può dare la possibilità nelle aree fertili e a vocazione di un prodotto di essere irrigate per una produzione di qualità. Stimolata deve essere, anche, la creatività dei giovani con aiuti e supporti per la produzione di oggetti artigianali e tipici del posto, cose sempre più ricercate in un mondo globalizzato. Anche la nascita di gruppi folkloristici e culturali che ci radicano nel passato sono necessari e coadiuvanti alla riuscita del progetto. Obiettivi Se si riesce, nel tempo, a crescere e a concretizzare gli sforzi così programmati , riusciremo a creare occupazione e benessere sostenibile per tutti, dando certezze per il futuro ai nostri giovani. Questi ultimi devono essere gli attori

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principali di tale operazione a breve e medio termine. Se impegnati, essi sapranno mettere in campo capacità, inventiva e progettualità finora tenute nascoste per mancanza di fiducia nelle istituzioni che, purtroppo, sono state a loro poco vicine. Mezzi e Risorse Ogni buon progetto se non prevede il reperimento delle risorse necessarie è inattuabile, resta carta straccia. Volendo fare affdamento sulle sole casse comunali significa continuare a fare solo teoria. Infatti ,come tutti sanno ,le entrate comunali riescono a mala pena a far fronte alle spese correnti e a coprire parzialmente i costi di quei servizi indispensabili per una comunità. L’ avere, invece, un buon progetto può aprire le porte dei finanziamenti europei e regionali . - Bisogna pur riconoscere che con la presenza del Commissario prefettizio e l’assenza di una volontà politica si è bloccata tanto la progettazione che la programmazione di qualsiasi cosa e si è già in ritardo per sfruttare appieno le occasioni e i finanziamenti offerti dal POR 2007-2013.Tutto questo potrebbe costituire l’occasione mancata, e che purtroppo non si ripeterà più, per la crescita economica del nostro paese; il danno sarebbe incalcolabile perché ricadrebbe su tutti noi-Altra forma di finanziamento può essere la piena attuazione della convenzione del 1997 siglata tra il Comune di Caposele e l’Acquedotto Pugliese; in particolare per quel che concerne le spese per la sistemazione della piazza Sanità ed altro le cui somme potrebbero essere destinate a concorrere ad altri progetti. Un’entrata a cui va data la dovuta attenzione e la dovuta azione di lotta è il ristoro della risorsa o delle mancate opportunità per il trasferimento delle sorgenti della Sanità alla regione Puglia. Riconoscere a Caposele il danno delle mancate potenzialità che essa avrebbe avuto , se non fossero state chiuse le acque delle sorgenti della Sanità, galleria Pavoncelli, potenzialità di enorme portata per lo sviluppo industriale, agricolo, paesaggistico e turistico, è di una evidenza estrema, per cui occorre richiedere il ristoro con forza , lottando anche contro le istituzioni e contro chi, senza fare grossi sforzi mentali, continua a trincerarsi dicendo che le acque sono demaniali (bella scoperta che Caposele e i Caposelesi hanno fatto ed accettato dal lontano 1905).L’acqua è un bene comune che va condiviso, ma il territorio ,vincolato e privato,, che offre tale risorsa va ristorato e va risanato idrogeologicamente per la salvaguardia di tale ricchezza .già nel lontano 1903 , nella sentenza della Corte di Appello di Napoli, veniva riconosciuta la servitù prediale a favore del nostro Comune. Bene, dunque , ha fatto la legislatura in questi ultimi anni a riconoscere e il ristoro dell’ambiente e quello della risorsa o delle mancate opportunità. Malgrado tale riconoscimento la nostra classe politica fa fatica a digerire tali concetti. Le amministrazioni Arcobaleno hanno lottato strenuamente per questo, facendolo inserire nell’accordo di programma che attualmente è sul tavolo dei ministri Antologia Caposelese

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delle infrastrutture e dell’ambiente a Roma .L’accordo prevede che la quota del ristoro della risorsa va riconosciuta al territorio in cui avviene la captazione. Da quel che si sa, la proposta della Regione Puglia, disponibile a riconoscere una quota pari a 0.5 centesimi a metro cubo, si tradurrebbe per le casse comunali in un introito che va ben oltre i seicentomila euro annui, a patto che ci si accontenti. Conclusioni Le proposte fin qui avanzate rispecchiano solo alcuni aspetti del nutrito programma che andrebbe messo in campo dalla prossima Amministrazione. Considerata la perdurante marginalità del nostro territorio rispetto alle grandi scelte di sviluppo , certo non possiamo aspirare all’impossibile, ma questo non ci impedisce di impegnarci per interventi mirati e fattibili. Bisogna pur riconoscere che la misura di ciò che finora si è fatto non è dipesa tanto dalle singole scelte adottate, quanto da un consolidato clima di fiducia ,collaborazione e partecipazione che ancora non si respira a pieno. Per prima cosa, allora, occorre ricucire il tessuto della partecipazione e della condivisione delle scelte, a cominciare dai temi del bilancio e dell’urbanistica partecipata. L’invito è rivolto soprattutto a quanti hanno a cuore le sorti di Caposele e ,indipendentemente dalle appartenenze politiche, vogliono far sentire la propria voce ,attivarsi per la realizzazione dei progetti, la rivitalizzazione del patrimonio edilizio ,l’armonico sviluppo sociale e culturale. Tanti fi li colorati formano il tessuto meraviglioso della vita. E Caposele deve tornare a vivere. “ Mi hanno detto che bastano poche gocce per far crescere un fiore nel deserto ed io ci credo” Auguri natalizi Per quanto mi è dato di sapere, questo articolo uscirà nell’imminenza delle feste natalizie per cui sento forte il sentimento di comunicare a voi tutti ed ai compaesani all’estero un messaggio di pace e speranza. Trascorriamo un santo Natale facendo pulsare il nostro cuore, racchiudiamo in esso le nostre povertà e le nostre speranze perché col suo calore possa trasformarle in ricchezze e certezze. Tale operazione riesce solo accettando il Bambino che nasce nella mangiatoia per amor nostro. Godete delle cose materiali nella giusta misura senza scordarvi che il superfluo può essere cosa vitale per altri esseri umani meno fortunati. Che il Signore Gesù ci benedica a conclusione delle nostre fatiche affrontate nell’anno che va via , ci protegga e ci fortifichi per le realtà che ciascuno di noi dovrà vivere nell’anno che entra, quando i sogni possono diventare realtà con il concorso di tutti.

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2007 LE SORGENTI: LA NOSTRA IDENTITA’, LA NOSTRA RICCHEZZA – dicembre 2007 – La Sorgente n. 75C di Pasquale Farina – Sindaco

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11 “furto delle Acque” ha ucciso quel piccolo paese industrializzato degli inizi del 900 quando le sue industrie erano mosse dall’acqua e portavano ricchezza e benessere a Caposele, siamo anche d’accordo che l’acqua deve servire per scopi più nobili, ed è un bene di tutti; ma un territorio l’Irpinia su cui si regge l’approvvigionamento idrico in Puglia, non può sopportare che quando si bandiscono concorsi in Puglia o addirittura in Irpinia per i posti comuni: manutentori, fontanieri, operai comuni; e per specializzati: esperto chimico, biologo ecc… è richiesta la residenza nelle province pugliesi, noi questo non possiamo tollerarlo.

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uesto è il primo di una serie di incontri con la popolazione che ci proponiamo di organizzare, in preparazione di una campagna elettorale che si presenta lunga e credo serena, ma come si dice chi ha tempo non aspetti tempo. Abbiamo voluto partire dalla questione delle acque che a Caposele è una questione fondamentale, perché essa si incontra e talvolta si scontra con quel colosso europeo che è l’Acquedotto Pugliese. La nostra storia è segnata da questo Acquedotto e spesso ci ha visti soccombenti, almeno in un’epoca in cui i comuni non avevano l’importanza che hanno oggi. Oggi che i comuni hanno voce in capitolo perché soggetti costituzionalmente riconosciuti con prerogative un tempo impensabili, credo che debba cambiare anche l’atteggiamento dell’Acquedotto Pugliese nei nostri confronti e il nostro verso l’Acquedotto Pugliese. Per intanto chiediamo il rispetto delle convenzioni stipulate nel 1970 e nel 1977, con annesse tutte le opere previste. In verità c’è molto più apprezzamento per quella del 1970, stipulata allora con la collaborazione della minoranza e maggioranza, che misero da parte rancori politici e interessi di partito per pensare soltanto a quello che dovrebbe essere l’interesse di chi amministra cioè il bene del proprio paese. I due partiti erano DC e PCI i cui eredi oggi sono nella coalizione del centro sinistra, che è parte integrante della lista “Caposele nel cuore”. In quella convenzione inoltre non c’era limitazione all’uso dell’acqua per scopi civili, produttivi, turistici ed economici; cosa che invece non appare nella convenzione del 1997, anche se in cambio c’erano promesse di opere mai realizzate; inoltre, e non è cosa da poco, in quest’ultima è prevista l’installazione dei contatori a partire dalle zone rurali per poi arrivare all’installazione degli stessi nel centro urbano, e già soltanto questo meriterebbe un altro incontro con tutti voi, perché su questo problema già in passato ci sono stati scontri. Ma non è solo sulle convenzioni che noi questa sera ci vogliamo soffermare, Antologia Caposelese

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perché ci sembra molto riduttivo. Noi vogliamo invece recriminare e chiedere assicurazioni al governo, Regione e AQP su questioni molto più delicate che riguardano: 1) Sostenibilità ambientale 2) Sicurezza del territorio e delle risorse idriche 3) Sostegno dell’AQP allo sviluppo del territorio 4) E ultimo, Compartecipazione economica agli utili di una spa che non è più un ente autonomo. Punto numero uno: Sostenibilità Ambientale L’AQP deve assicurare il rilascio in alveo e in modo costante del quantitativo di acqua fissato dalla legge per non far morire il Sele, cosa che si sta verificando ovunque l’AQP gestisce fonti di prelievo. L’AQP non deve dimenticare che Caposele fa parte sia del Parco dei Monti Picentini che di quello del Sele, e un parco senza acqua non è un parco. Punto numero due: Sicurezza del Territorio e delle risorse idriche 10 so che qualche amministratore uscente è dispiaciuto che il tribunale delle acque ha bocciato la Pavoncelli bis per mancanza della valutazione sull’impatto ambientale. Noi invece notiamo con piacere che tutto sommato L’AQP non è più quel mostro a cui tutto è permesso e tutto è concesso, ed inoltre non vogliamo correre il rischio di un disastro ambientale cosa che si provocò, sempre per la Pavoncelli bis, nel 1992, quando si tranciarono le sorgenti del Sele. In ogni caso quando si realizzerà la Pavoncelli bis nella galleria non deve scorrere un litro in più di quello concesso per legge. Comunque, qualunque nuova o vecchia concessione accordata da regione o dallo stato (accordo di programma) deve garantire per Caposele sicurezza del territorio e delle risorse idriche. Questo vuol dire: 1) Che un territorio mangiato dalle frane necessita di interventi idrogeologici non solo a tutela dei centri abitati ma anche delle stesse sorgenti, che per la loro delicatezza e negli stessi interessi dell’AQP non possono essere aggredite da frane. 2) Se l’AQP preleva gli enormi quantitativi che preleva deve rendersi garante di piani di forestazione annuali a tutela della riproducibilità delle acque. Punto numero tre: Sostegno dell’AQP allo sviluppo del territorio E qui apriamo un capitolo doloroso. 11 “furto delle Acque” ha ucciso quel piccolo paese industrializzato degli inizi del 900 quando le sue industrie erano mosse dall’acqua e portavano ricchezza e benessere a Caposele, siamo anche d’accordo che l’acqua deve servire per scopi più nobili, ed è un bene di tutti; ma un territorio l’Irpinia su cui si regge l’approvvigionamento idrico in Puglia, non può sopportare che quando si bandiscono concorsi in Puglia o addirittura in Irpinia per i posti comuni:

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manutentori, fontanieri, operai comuni; e per specializzati: esperto chimico, biologo ecc… è richiesta la residenza nelle province pugliesi, noi questo non possiamo tollerarlo. Noi invece diciamo che a ristoro del danno arrecato, requisito di ammissione a questi concorsi dovrebbe essere la residenza in Irpinia, e in particolar modo la residenza dovrebbe essere a Caposele. Ma questo è il meno. L’AQP società per azioni, dal momento che non è più un ente autonomo deve ripensare i suoi rapporti con Caposele. 1) Mi chiedo e vi chiedo, ha senso o non ha senso che l’ufficio geologico stia a Bari invece che stare dove deve stare cioè in Irpinia? 2) Mi chiedo e vi chiedo, ha senso o non ha senso che il laboratorio di analisi chimico fisiche e batteriologiche sul prelievo alla sorgente deve stare a Bari invece che stare dove deve stare cioè dove c’è la sorgente? 3) Mi chiedo e vi chiedo il Reparto Operativo ha più senso tenerlo a Calitri o dove ha inizio L’Acquedotto Pugliese, cioè a Caposele? Punto numero quattro: Compartecipazione economica agli utili. Se per la Lucania sono stati previsti indennizzi annuali a ristoro per le acque sottratte a un territorio, lo stesso trattamento dovrebbe essere previsto anche per i comuni Irpini. Come vedete c’è tanto da approfondire nei prossimi mesi in un confronto con le varie autorità e istituzioni ed anche con la popolazione, non certamente con qualche amministratore uscente, che come abbiamo anche avuto modo di sentire nell’intervento preciso e professionale dell’ex presidente dell’ATO, on. Pasquale Giuditta, tutto ha a cuore, eccetto l’interesse dei caposelesi sulla questione delle acque e questo a riprova di quanto noi già pensavamo da tempo. A parte questo e avviandomi alla conclusione, io ritengo che il prossimo programma elettorale noi dobbiamo scriverlo alla luce del sole attraverso questi incontri in cui uniamo partecipazione popolare e contributi specialistici di persone che credono nelle istituzioni e si adoperano per il bene della gente, per il lavoro e per il progresso del paese, i quali tutti insieme scommettono su un punto e cioè che anche un piccolo comune che ha grandi risorse da difendere e da valorizzare, se sa muoversi e sa muoversi bene, è in grado di fare gli interessi di una comunità che attende fiduciosa.

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EDITORIALE – La sorgente n. 77 -Agosto 2008 Nicola Conforti

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n questo numero La Sorgente registra una serie di importanti avvenimenti destinati ad essere ricordati nel tempo: primo fra tutti, l’inaugurazione della Chiesa Madre che, finalmente ricostruita, sarà riaperta al culto nei prossimi giorni. All’inaugurazione che avverrà il giorno 9 agosto interverranno oltre al Vescovo, numerose altre importanti personalità del mondo civile e religioso. Don Vincenzo può dire di aver vinto definitivamente la sua battaglia. Bisogna dargliene atto. Ha resistito contro tutte le avversità. E sono state tante e di non poco conto: dai problemi creati dalla Soprintendenza a quelli ancora più gravi dovuti ad imprese di poco scrupolo, a quelli, infine, di carattere economico per finanziamenti che stentavano ad arrivare. La nuova Chiesa, interessante sotto l’aspetto architettonico oltre che strutturale, progettata dall’ing. Vittorio Gigliotti con calcoli statici del prof. Luigi Adriani, Ordinario di Scienza delle Costruzioni dell’Università di Napoli, costituisce per la sua importanza, un punto di richiamo non solo religioso ma anche turistico. Rivedere la Chiesa di San Lorenzo, ricostruita sia pure “dov’era e non com’era” ci appare oggi come un miracolo. Degli altri avvenimenti, daremo conto nelle pagine interne. Si tratta di argomenti molto significativi che hanno coinvolto la partecipazione dell’intera popolazione caposelese a partire dalla vittoria elettorale della lista “Caposele nel cuore”, dai successi del Centro Nuoto Caposele che ha primeggiato in campo nazionale per finire alle squadre di calcio locale che hanno raggiunto risultati ragguardevoli in tutta l’Irpinia.

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2008 LA NUOVA FRONTIERA SI CHIAMA CULTURA di Antonio Ruglio – La Sorgente n.77 -Agosto 2008 – Dall’incontro con Dacia Maraini “abbiamo deciso di partire per un viaggio avventuroso ma ricco di prospettive. Abbiamo immaginato che una presenza del genere potesse essere la prima di una lunga serie e che proprio queste presenze potessero fungere da volano per un progetto ben più ampio e articolato. Cioè legarle al nostro territorio, renderle partecipi della nostra storia, della nostra identità e con il loro aiuto pensare a una vera e propria rinascita”.

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e c’è un motivo, tra i tanti, per il quale è utile e importante investire in cultura esso è sicuramente legato al concetto di sviluppo, di crescita, di ricchezza. Il riferimento non è solo alla crescita formativa e alla maturazione delle coscienze individuale e collettiva ma anche allo sviluppo e alla produzione di ricchezza in senso stretto. Fino a qualche anno fa pochi credevano che la cultura potesse diventare un fenomeno di massa senza perdere il suo carattere elitario e ancor meno erano quelli disposti a credere che i due aspetti, apparentemente antitetici, potessero tranquillamente coesistere. La smentita, clamorosa, è arrivata puntuale e inesorabile. Molte realtà, anche piccole, hanno capito che per rilanciarsi non sarebbe stato sufficiente una mera operazione di lifting senza una sostanziale riscoperta della propria storia e della propria identità. Ciascuna comunità, tra quelle che ci hanno provato seriamente, ha avuto il coraggio di mettersi davanti allo specchio e domandarsi – Chi siamo e dove andiamo. Ma non solo. Ha fatto mente locale e dopo aver individuato la propria vocazione ha pensato di investire su di essa ingenti risorse con risultati più che soddisfacenti. E’ così che si programma e si scommette sul proprio futuro. Quando abbiamo immaginato la nostra Associazione, “Sorgenti di Sapere”, abbiamo provato a ragionare in questi termini. Nel nostro piccolo abbiamo deciso di provarci. Abbiamo chiesto aiuto alla nostra risorsa più forte e autentica, i ragazzi, ricevendone un sostegno convinto ed immediato. Grazie a loro Dacia Maraini ha potuto conoscere un piccolo pezzo di mondo per lei completamente nuovo e Caposele ha potuto confrontarsi con una delle figure più prestigiose del panorama culturale internazionale. Da quell’incontro tutti noi abbiamo deciso di partire per un viaggio avventuroso ma ricco di prospettive. Abbiamo immaginato che una presenza del genere potesse essere la prima di una lunga serie e che proprio queste presenze potessero fungere da volano per un progetto ben più ampio e articolato. Cioè legarle al nostro territorio, renderle partecipi della nostra storia, della Antologia Caposelese

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nostra identità e con il loro aiuto pensare a una vera e propria rinascita. Dopo Dacia Maraini è stata la volta di Paola Gassman, lo scorso 30 di aprile, e l’emozione è stata forte allo stesso modo perché eravamo consapevoli di entrare in un mondo, quello del teatro, affascinante e misterioso al tempo stesso ma pur sempre riconoscibile per il suo essere riservato a pochi. Pur sapendolo, non ce ne siamo preoccupati anche perché un’Associazione culturale seria non può porsi alcun limite e deve andare a scandagliare anche laddove sarebbe rischioso spingersi. L’abbiamo fatto, siamo andati avanti e non possiamo che esserne soddisfatti. Abbiamo scoperto un personaggio, Paola Gassman appunto, che al di fuori del solito cliché che la vuole altera e diffidente per il solo fatto di essere attrice di teatro nonché figlia del mattatore il grande Vittorio Gassman, si è dimostrata persona generosa, disponibile e sensibile, conquistando tutti nessuno escluso. Questo a conferma di quanto bugiardi possano essere i luoghi comuni. Con il passare dei mesi ci stiamo sempre più convincendo che tutto è possibile e che anche personaggi di questo calibro possono trovare molto stimolante una permanenza ancorché breve nelle nostre zone arrivando al punto di condividerne le abitudini finanche le speranze. In quest’ottica, riteniamo fondamentale il coinvolgimento della gente. Per questo, la nostra Associazione ha voluto aprirsi all’esterno seguendo una duplice direttrice. Favorire le adesioni individuali e coinvolgere sponsor privati che siano capaci e disponibili a cogliere l’originalità della proposta. Le adesioni sono già arrivate e al gruppo storico si sono unite molte persone motivate e partecipi. Nel prossimo mese di agosto è prevista un’Assemblea dei potenziali soci per dare un assetto organizzativo definitivo all’Associazione. Per quanto riguarda invece, le sponsorizzazioni siamo fortemente impegnati nello spiegare ai titolari di imprese turistiche e di attività produttive in genere l’importanza di questo tipo di investimento con la possibilità, attraverso la collaborazione con Enti istituzionali e Associazioni, di produrre ricchezza e migliorare la qualità della vita. Attraverso la creazione di veri e propri pacchetti turistici da far circolare in rete grazie ad internet sarà possibile vedere nelle nostre strade turisti consapevoli di aver scelto una vacanza rilassante in un contesto ambientale sano ed incontaminato. Ma l’Associazione non può perdere di vista quella che è la sua ragion d’essere e che rappresenta la vera molla che ci ha fatto partire. Avvicinare i giovani, i nostri ragazzi, alla lettura, farli riavvicinare al senso profondo delle parole, consentire loro di crescere attraverso la riscoperta di un mezzo di comunicazione universale. In questo senso abbiamo pensato, qualora la collaborazione con gli Enti istituzionali della nostra provincia riesca a concretizzarsi, a veri e propri corsi di scrittura creativa di primissimo livello con la possibilità di finalizzare il lavoro

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dei ragazzi in modo concreto e tangibile. Poc’anzi abbiamo fatto cenno alla prospettiva di legare personaggi della cultura e dello spettacolo alle nostre realtà locali per dare continuità e gambe solide al nostro desiderio di progettare il futuro. Ebbene, a legittimarci in questa nostra aspirazione e a confortarci nel convincimento di aver fatto la scelta giusta giunge la notizia che nella prima metà del prossimo mese di ottobre Dacia Maraini sarà nuovamente a Caposele per presentare il suo ultimo libro “Il Treno dell’Ultima Notte”. Inutile sottolineare la nostra emozione e la nostra soddisfazione. Il merito va a chi ha creduto fin dall’inizio alla possibile realizzazione di un sogno. In qualità di portavoce dell’Associazione “Sorgenti di Sapere” rivolgo a tutti i cittadini di Caposele l’invito a condividerlo insieme a noi e a lavorare, impegnarsi, ciascuno a seconda delle proprie possibilità, perché possa mettere radici solide e perché la cultura possa rappresentare, anche per noi fonte di ricchezza e strumento di riscatto sociale.

OLIMPIA CAPOSELE CAMPIONE PROVINCIALE – La Sorgente n. 76 – agosto 2008

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Ancora non riesco a esprimere pienamente l’emozione e la gioia per questo grande traguardo che abbiamo raggiunto; preferisco ricordare il nostro titolo di CAMPIONI PROVINCIALI attraverso un articolo tratto da Caposeleonline e firmato Jerry Holland che ho trovato molto appassionante.

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L’Olimpia Caposele si laurea campione provinciale della categoria Giovanissimi al termine di una gara emozionante conclusa ai calci di rigore. Esodo dei tifosi che invadono la tribuna del Partenio e grande soddisfazione in paese. OI-VO-GLIA-MO-QUESTA-VIT-TO-RIA!!! L’urlo da guerra del tifo organizzato caposelese è riecheggiato tra le mura del Partenio per tutto il pomeriggio fino a trasformarsi, dopo due ore di battaglia agonistica e 18 calci di rigore, in un esplosione di gioia irrefrenabile. Una squadra di giovani caposelesi era là, sul terreno di uno stadio che anni prima era stato calpestato da Falcao, Zico, Platini, Rummenigge, Mara-dona, Gullit, a festeggiare la vittoria di un campionato provinciale, un sogno talmente grande che pareva azzardato soltanto farci un timido pensiero. È difficile tramutare in parole tutta l’emozione che è passata attraverso i miei occhi ieri pomeriggio, troppo fresca è la vittoria per poterla analizzare freddamente, troppo valore ha questo successo per farne cogliere appieno l’importanza a chi leggerà queste poche righe.

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Bisogna innanzitutto togliersi il cappello davanti a questi meravigliosi ragazzi, i “giovani leoni dell’Olimpia” come li avevo battezzati felicemente qualche mese addietro. Coraggiosi ed indomiti come i leoni (almeno come la visione letteraria che si ha dei leoni perché quelli veri in realtà sono animali pigrissimi!), mai un segno di cedimento e piena convinzione nei propri, straordinari, mezzi. Hanno vinto il girone eliminatorio con una facilità irridente, 14 vittorie su 16 gare e due sole sconfitte venute dopo che il divario con le inseguitrici era già incolmabile. Poi è venuta la seconda fase, quella ad eliminazione diretta, quella in cui vince chi, oltre alla tecnica, ha pure carattere e voglia di primeggiare. Sono venute quattro vittorie ed un pareggio, 5 partite epiche. Nei quarti un 1-0 difeso con i denti a Lacedonia ed un sofferto 1-1 alla Palmenta. Le semifinali,poi, sono partite con l’apoteosi della iella: infortunio di Panariello e Nisivoccia nei primi minuti. Ma i nostri ragazzi non sono gente che si arrende. Hanno stretto i denti e vinto 1-0 in casa e cercato di difendere, rimaneggiatissimi, il vantaggio a Cimitile contro i Future Boys. Erano sotto 2-0 a cinque dalla fne ma ci hanno creduto ed hanno ribaltato il risultato andando addirittura sul 2-3! Roba che era già una vittoria. Ieri tutto sembrava perduto. Tutto sembrava avviarsi verso un “grazie lo stesso, siete stati comunque stupendi” con i tifosi pronti a tributare l’applauso consolatorio destinato a chi perde non meritandolo. Ma i nostri ragazzi non sono gente che si arrende. Si erano trovato in svantaggio nel primo tempo a causa di un rigore inventato di sana pianta. Avevano giocato pure maluccio a dire il vero. Ma nella ripresa è entrata in campo un’altra squadra, la squadra che avevamo ammirato nelle precedenti partite, la squadra che il mister Roberto ha forgiato per crederci sempre, fno all’ultimo. Hanno preso l’Eclanese e l’hanno chiusa nella sua metà campo, hanno conquistato palloni su palloni per andare all’assalto della porta avversaria ma niente, la palla non voleva sapere di entrare. Erano ormai passati tre minuti da quando l’arbitro ne aveva concessi quattro da recuperare quando Salvatore Russomanno ha ricevuto palla nella sue metà campo, ha alzata la testa ed ha lanciato la corsa di Gerardo Nisivoccia con un fatato colpo d’esterno a scavalcare la difesa. Nisivoccia si è prodigato in una progressione impressionante sulla fascia sinistra, e, poggiando su un ginocchio che defnire malconcio è un eufemismo, ha lasciato tutti dietro ed è entrato in area. Giuseppe Caruso, entrato da poco, ha fatto quello che dovrebbe fare sempre un centravanti , ha capito un’ora prima degli avversari cosa stava per succedere. Si è smarcato a centro area ed ha aspettato l’assist che è arrivato nel momento giusto. Tocco di sinistra a centro di Nisivoccia, tocco di piatto destro di Caruso e palla nel sacco. 1-1 a quaranta secondi da fischio finale! Gli spalti, che erano ormai un appendice della Palmenta, sono esplosi, i ragazzi si sono abbracciati e tutto è sembrato avere finalmente senso! Nei supplementari i nostri hanno continuato ad avere il pallino del gioco ma senza riuscire a trovare la zampata vincente. Poi i rigori hanno fatto giustizia..“NOI-VO-GLIA-MO-QUESTA-VITTO-RIA!!” è diventato “I CAMPIONI DELL’IPRINIA SIAMO NOI!”. Gli eroici giovani campioni sono corsi sotto la tribuna a fare festa con i tifosi, la sofferenza di una gara che sembrava

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non finire mai è diventata gioia irrefrenabile. Non si è capito più niente. E’ comparso pure un riganetto sugli spalti! Tutto talmente bello da non sembrare vero. Dopo la consegna della coppa i nostri sono rimasti sul prato a fare festa con i tifosi e probabilmente sarebbero rimasti li tutta la notte se i custodi glielo avessero concesso. Poi tutti sul pullman per il ritorno festante in paese dove c’era una folla in tripudio ad attendere i giovani campioni. Ed ancora cori cantati a squarciagola, sfilata a piedi con la coppa per le strade del paese. Una gioia infinita. Hanno vinto tutti, abbiamo vinto tutti. Ma hanno vinto soprattutto i nostri ragazzi, eroici. Ed ha vinto il loro tecnico Roberto, alla seconda esperienza da allenatore e già campione dell’Irpinia. Ha avuto il merito di forgiare una squadra vera, fatta di tecnica, tattica e attributi. Ed ha vinto il presidente Generoso che da cinquant’anni è nel mondo del calcio e con la sua Olimpia ha fatto giocare a pallone varie centinaia di caposelesi. Non è un caso che ci fossero tanti giovani sugli spalti. La stragrande maggioranza di loro ha almeno un aneddoto da raccontare sulla propria partecipazione a qualche gara dell’Olimpia. Girgia ha fatto giocare tutti e continuerà a farlo e questa soddisfazione è anche, finalmente, un premio alla carriera. Ed ha vinto tutto lo staff dirigenziale dell’Olimpia che ha messo i ragazzi in condizione di giocare a pallone senza pensare a nient’altro. Ed hanno vinto gli straordinari tifosi che si sono attaccati a questa meravigliosa squadra.

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LA CHIESA MADRE -Dedicazione – La Sorgente n. 77 – dicembre 2008 – Prof. Luigi Adriani

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bbi la ventura di conoscere Vittorio Gigliotti, l’ing. Gigliotti ideatore di questo piccolo gioiello della moderna architettura religiosa che oggi viene donato alla Comunità di Caposele, nei primi mesi del 1988 durante un mio viaggio di lavoro negli Stati Uniti. Eravamo ospiti dello stesso albergo, il Waldorf Astoria di Manhattan a New York, nel cui atrio c’incontrammo una mattina per puro caso; e da buoni meridionali, lui salernitano io napoletano, subito simpatizzammo. Nacque così un sentimento, destinato a durare negli anni, di grande rispetto e stima reciproci – ma che, almeno da parte mia, non esiterei a definire di sincera amicizia – sentimento che, per gli interessi culturali che ci accomunavano non solo nel campo della Ingegneria, ci portò a dedicare a quest’opera, la “Chiesa sulla sorgente”, non poche delle rispettive energie professionali. L’ing. Gigliotti era dunque a New York nel 1988, in occasione di una prestigiosa Mostra Internazionale di Architettura che vedeva la partecipazione di 150 progettisti di chiara fama, ventinove dei quali italiani, prescelti in tutto il Antologia Caposelese

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LUIGI ADRIANI

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mondo da un Comitato presieduto dal Preside della Facoltà di Architettura della Columbia University. E Vittorio Gigliotti era stato chiamato a parteciparvi con la sua piccola “Chiesa sulla sorgente”, il cui progetto egli aveva concepito, almeno nello spirito e nella impostazione, già da due anni, nel 1986. Il sorprendente riconoscimento ed il successo conseguito da questo progetto in una così importante Mostra Internazionale, per il suo esaltante significato architettonico e biblico, fu posto in grande rilievo anche dalla prestigiosa rivista di architettura “Oculus” di New York, che è l’organo ufficiale dell’American Institute of Architectur. La Chiesa di San Lorenzo in Caposele rientrava già allora nel filone della ricerca che Vittorio Gigliotti, da oltre vent’anni, andava sistematicamente sviluppando in progetti ed opere architettoniche. Così, la sua appassionata ricerca gli valse a Londra nell’anno successivo, il 1989, un nuovo riconoscimento con l’assegnazione del Premio “Gairn”, che la Comunità Economica Europea attribuiva ogni due anni all’ingegnere europeo che avesse fornito un contributo rilevante all’ingegneria contemporanea. Ed in concomitanza con la consegna del Premio, il 2 marzo del ’90, venne allestita presso l’Istituto Italiano di Cultura di Londra una mostra fotografica delle opere di Vittorio Gigliotti, tra le quali non poteva mancare naturalmente il progetto della Chiesa Madre di Caposele. Nel progetto della Chiesa Madre di San Lorenzo l’ing. Gigliotti ha trasfuso il suo profondo sentimento religioso. L’acqua ne costituisce il motivo dominante. La nuova chiesa sorge infatti sullo stesso sito del preesistente tempio ottocentesco distrutto dal terremoto del 23 novembre’80, a poca distanza dalla sorgente del fiume Sele. E pertanto egli ha voluto chiamare la sua opera la “Chiesa sulla sorgente”; e vi ha inserito nella facciata una roccia da cui zampilla una vena d’acqua, intendendo così ricordare la fonte naturale e la figura biblica della pietra da cui sgorga la vita. Nell’immaginario poetico dell’Autore l’acqua, secondo le parole del profeta Ezechiele, “scaturisce dal tempio” per portare la vita, poiché “dove giungono le acque del santuario tutto rivive e viene risanato”. Nella religione cristiana l’acqua possiede soprattutto la virtù di purificare l’uomo dalle impurità della vita terrena, poiché “ciò che vi viene immerso muore per risanare senza peccato”. Con tale intento il progetto Gigliotti prevedeva che l’acqua sgorgante dalla roccia confluisse nella vasca battesimale per la i e la rinascita; anzi, come dalle indicazioni di Ezechiele, doveva giungervi scorrendo in un canale da realizzarsi appositamente a lato dell’edificio. Purtroppo però, a causa di difficoltà di ordine costruttivo, non è stato possibile conseguire questo obiettivo simbolico. Ma l’esaltazione del “genius loci” dell’acqua si riconosce anche nella conformazione a struttura sinuosa dell’edificio. Per la complessa articolazione dei volumi delle piccole cappelle laterali, che si susseguono in una teoria di corpi semicilindrici vuoti e pieni, esso può essere considerato una scultura eseguita

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sul terreno e nella roccia. L’ondulazione continua e regolare avvolge in un unico spazio anche l’antico campanile, visibile all’interno della sala di preghiera, come parte integrante della terra e della pietra. Le strutture della copertura, sia all’esterno che all’interno, evocano anch’esse con le loro linee e le loro ombre i filetti fluidi ed i vortici dell’acqua fluente. Vi si riconoscono tre gusci a contorno pressappoco ellittico – una sorta di barche capovolte – oltre all’ultimo, più grande, a forma di esagono curvilineo che, sormontato da un lucernario, copre la zona dell’altare. E lo spazio della sala di preghiera viene plasmato, per così dire, dal fascio di luce che dalla cupola esagonale scende sull’altare, quasi a materializzare visivamente l’intervento divino; mentre i raggi di luce minori che provengono dalle cupolette in corrispondenza delle piccole cappelle laterali – le “absidiole”, come amava chiamarle Gigliotti – vanno a definire i nitidi volumi dell’interno e la copertura a gradini che disegna le ellissi del soffitto. L’ing. Gigliotti si è in più di un’occasione autodefinito un “Ingegnere architettonico”, intendendo indicare con questa locuzione colui che ha avuto la possibilità di integrare felicemente e con piena soddisfazione, nel campo professionale, le attitudini e la formazione culturale proprie dell’ingegnere e dell’architetto. Io, in verità, lo considero piuttosto ed essenzialmente un “artista”. Ed è per questo che quando, tra la fine del 1995 e i primi mesi del ’96, mio figlio Diego ed io ci accingemmo ad elaborare il progetto strutturale della “Chiesa sulla sorgente”, nel quale esigenza primaria era quella dell’uso plastico del cemento armato come l’ “artista” l’intendeva – esigenza resa più difficile dall’ardito disegno, specie della copertura – quando dunque ci accingemmo a quest’impresa, forte era in noi il timore di sbagliare nel confezionare un prodotto che, per essere “cantierabile”, doveva risultare del tutto comprensibile alle maestranze addette alla realizzazione dell’opera. Ed allora, malgrado fossimo tutt’altro che dei neófiti, le telefonate di verifica con l’ “artista” erano quotidiane e lunghissime. Devo confessare che mai, come in questa occasione, mi sono sentito solo un homo faber, l’umile artigiano cioè al quale era affidato il compito di tradurre in linguaggio cantieristico, curva dopo curva, gradino dopo gradino, la scultura dell’ “artista”. E in questo spirito si rese necessario costruire preliminarmente nel nostro studio di strutturisti un plastico dell’edificio, un modello di legno a grande scala (1:50), per poterne prima comprendere compiutamente e poi disegnare, calcolare e rendere realizzabili tutti i difficili particolari costruttivi. Il plastico – consegnato durante i lavori alle imprese esecutrici, ma poi per fortuna rientrato alla base perché mio figlio ed io siamo ad esso sentimentalmente legati – ha costituito anche in cantiere un utilissimo strumento operativo. Non è il caso di dilungarsi troppo in questa sede sulle caratteristiche del progetto strutturale. Dirò solo che la piccola “Chiesa sulla sorgente” è in realtà un edificio con area di ingombro di quasi 650 mq (m 36 x m 18 circa), la cui sala Antologia Caposelese

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di preghiera è capace di accogliere i fedeli con 250-300 posti a sedere e 500 /600 unità, compresi i posti in piedi, nelle grandi occasioni. Essa ricalca lo schema del preesistente tempio ad una navata, sulla stessa area e con lo stesso ingombro volumetrico della Chiesa distrutta dal terremoto, ma naturalmente con un impatto architettonico totalmente innovativo. La sala di preghiera è contenuta in un involucro scatolare di forma pressappoco rettangolare, con sviluppo delle pareti perimetrali in cemento armato praticamente continuo e planimetricamente alquanto articolato, a formare le cosiddette “absidiole”, ma simmetrico rispetto all’asse principale. Funge da coperchio della scatola la elegante copertura – costituita da un guscio in c.a. leggero strutturale, di spessore 20 cm circa, gradonato sia all’estradosso che all’intradosso – che nella dimensione trasversale si presenta mediamente con il profilo di una volta ribassata, mentre nella dimensione longitudinale appare con un profilo ricco di “picchi” e di “gole” peraltro non molto pronunciati rispetto ad un piano orizzontale. Il fondo della scatola, infine, è un solaio latero-cementizio che funge da calpestio della sala di preghiera, posto ad una quota di poco superiore a quella media della piazza antistante l’edificio. Con tali premesse è sembrato logico, dal punto di vista strutturale, esaltare il comportamento scatolare dell’insieme con la creazione di una sorta di “doppio fondo” della scatola, mediante il quale, abbassando il baricentro complessivo delle masse e irrigidendo il blocco di base, potesse conseguirsi l’obiettivo di rendere per quanto possibile uniformi le azioni trasmesse dal manufatto al piano di posa: evitando così quelle dannose concentrazioni di tensioni che sono presenti tutte le volte che le azioni sismiche orizzontali vengono affidate ad un numero limitato di elementi strutturali verticali ed alle relative fondazioni. E’ stata perciò concepita una fondazione diretta, poggiante cioè direttamente sul piano di posa dell’edificio, costituita da un blocco di elevatissima rigidezza, a sua volta scatolare, con un’altezza complessiva di poco superiore ai 4 metri e quasi completamente incassato nel terreno. Il blocco è delimitato superiormente dal solaio di calpestio della chiesa, inferiormente da una robusta platea di base in c.a. e lateralmente da pareti verticali in c.a. con l’identico articolato sviluppo planimetrico di quelle superiori, che formano, come si è detto, l’involucro della sala di preghiera. La suddetta articolazione delle pareti perimetrali nel loro sviluppo planimetrico longitudinale conferisce all’involucro della chiesa una buona rigidezza “da forma” anche in direzione trasversale; mentre per il blocco scatolare di fondazione l’irrigidimento è stato reso ben più significativo mediante la realizzazione di travi-parete trasversali portanti il sovrastante solaio latero-cementizio ed incastrate alle due estremità nelle pareti a forma di corona semicircolare (le basi delle “absidiole”). Le suddette lastre-pareti trasversali delimitano nel piano interrato sette ampi comparti, tra loro comunicanti attraverso larghe aperture che in esse sono state

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previste: sicché in seguito si potrà forse, con idonei accorgimenti, rendere fruibili tali locali per la catechesi ed i servizi comunitari offerti dalla Parrocchia. Alla luce di quanto si è detto il descritto complesso scatolare entro terra è riguarda bile come un “unicum” indeformabile, assimilabile quindi ad una sorta di “fondazione a scatola nervata” dell’edificio fuori terra, nella quale possono considerarsi incastrati gli elementi verticali (pareti delle “absidiole”) che sostengono la copertura. Quest’ultima è costituita, come si è visto, da un guscio in c.a. leggero fortemente scalettato, destinato a portare, oltre al peso proprio, il sovraccarico da neve, nonché a trasmettere le azioni sismiche alle pareti verticali curve che rappresentano i veri elementi sismo-resistenti. E poiché le suddette azioni sismiche sono praticamente proporzionali al peso proprio, si è rivelata vincente l’idea di realizzare l’intera copertura in calcestruzzo leggero strutturale – di notevole resistenza caratteristica (Rck30) ma con un peso di 1750 kg/mc inferiore del 30% rispetto a quello di 2500 kg/mc caratteristico del cls ordinario – che permette di conseguire notevoli economie insieme ad un significativo aumento del coefficiente di sicurezza globale. Tanto più che, pur trovandosi il Comune di Caposele in zona sismica di 2^ categoria, nei calcoli è stato assunto, secondo la vigente Normativa, un coefficiente d’intensità sismica maggiorato del 50% poiché l’edificio prospetta su spazi interni ristretti di un centro abitato. Mi piace aggiungere, a proposito del progetto strutturale, che essendo stato esso redatto all’incirca 12 anni orsono, quando non erano correntemente disponibili gli odierni sofisticatissimi programmi di calcolo automatico, il dimensionamento è stato effettuato con successive modellazioni strutturali, tese, attraverso una serie di tentativi, a simulare un comportamento del modello che risultasse il più possibile rispondente all’effettivo comportamento fisico di un organismo complesso, quale solo la matita di un “artista” poteva concepire. Analogamente a carattere artigianale – anche questo lo dico con un certo compiacimento – sono tutti i disegni del progetto, redatti rigorosamente a mano ma da disegnatori provetti. Ad un’ultima riflessione, che in qualche modo si collega alla tecnica costruttiva impiegata nel progetto che ho appena illustrato per sommi capi, mi spinge la lettura dell’invito pervenutomi per l’odierna cerimonia. Mi ha colpito infatti un concetto espresso da S. Agostino, ivi richiamato, allorché sviluppa il parallelo tra la Chiesa, intesa come comunità cristiana, e la Chiesa intesa come edificio, materiale luogo di culto. “Quando i cristiani vengono battezzati, catechizzati, formati” – dice S. Agostino – “sono come le pietre che vengono sgrossate, squadrate, levigate fra le mani degli artigiani e dei costruttori”. E come le pietre devono essere solidamente connesse tra loro, così i cristiani “non diventano casa di Dio se non quando sono uniti insieme dalla carità”. Orbene, in questo edificio la struttura portante non è costituita da un insieme di pietre Antologia Caposelese

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che occorre solidamente connettere fra loro, ma è costituita addirittura da un blocco interamente in cemento armato, un “unicum” cioè che, per definizione stessa, è continuo, solidale, indeformabile e resistente, almeno lo spero. E spero ugualmente, alla luce delle parole di S. Agostino, che, al di là dei simbolismi, un uguale, granitico sentimento di carità possa cementare l’unione di tutto il popolo dei fedeli che si ritroveranno in questo tempio, anzi dell’intero popolo di Caposele. Prima di concludere questo mio intervento sento di dover esprimere la più profonda riconoscenza a chi della materiale realizzazione di quest’opera è stato il vero artefice: il vostro don Vincenzo, anzi, se me lo consentite, il nostro don Vincenzo, al quale mi sono profondamente legato in tutti questi anni, ammirato come sono stato e sono tuttora del suo impegno, della sua abnegazione, dei suoi sacrifici. Quante sono le porte alle quali egli ha bussato, quante sono le volte in cui è stato respinto o, nella migliore delle ipotesi, ha ricevuto risposte evasive…… Perfino al Presidente della Camera dei deputati egli si rivolse, con accenti accorati ma fermi, allorché nel 1995, a 15 anni dall’evento disastroso, indirizzò, insieme ai parroci di Conza della Campania, di Calabritto, di Senerchia, una petizione al Presidente Irene Pivetti. Nella lettera – è doveroso farlo presente – nel mentre si denunciava che “nei nostri riguardi la tragica vicenda si va mostruosamente intrecciando con l’umana ingiustizia, aggiungendo la beffa al danno, in quanto risultano tuttora disattesi i criteri di assoluta priorità”, veniva al tempo stesso ricordato che “le nostre popolazioni hanno pagato il maggior prezzo in termini di vite umane, che furono sepolte dalle macerie, che certamente prezzo non hanno e che rivendicheranno perennemente il sacro luogo che le rigenerò alla vita cristiana e risuonò anche dei loro canti nella lode del Signore”. Se si volessero raccontare tutti gli ostacoli, le traversie, il disinteresse, la noncuranza che don Vincenzo ha incontrato nel suo cammino dovremmo stare qui per ore. Ma alla fine il progetto, sia pure con enorme fatica, è stato approvato; i finanziamenti, sia pure col contagocce, sono arrivati; le difficoltà con le Imprese esecutrici sono state superate; e la Chiesa è stata dotata di splendide opere d’arte, il magnifico Cristo di bronzo e poi l’altare, l’ambone, la sedia, tutti di marmo massiccio. Ci son voluti 28 anni da quel tremendo terremoto del 23 novembre ’80, ma la perseveranza di don Vincenzo è stata infine premiata. Amici di Caposele, domani 10 agosto ricorre la festività di San Lorenzo e sarà la notte delle stelle. Per un’antica credenza popolare si dice che se si esprime un desiderio nell’istante in cui si vede cadere una stella, il desiderio si avvererà. Orbene, qui a Caposele una splendida stella è già caduta, con un giorno di anticipo ma dopo 28 anni: è la Nuova Chiesa Madre, finalmente Vostra. Amici, onoratela, ma principalmente amatela!

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2008 QUANT’È BELLA MATERDOMINI – La Sorgente n. 77 – dicembre 2008 Giuseppe Palmieri Si fanno scoperte sensazionali se si osservano con attenzione (e non ci si limita a guardare) gli angoli del paese che pur conosciamo molto bene perché li “vediamo” (ma distrattamente) tutti i giorni. Dalla piazza antistante la Basilica, guardando a sinistra verso la vallata, le cime dei monti picentini disegnano il profilo di una donna adagiata (supina) su un letto (identica figura, la c.d. “dormiente”, disegnano le cime di alcuni monti del beneventano).

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uesti i versi di un anziano devoto di San Gerardo del Frusinate che annualmente, nel periodo estivo, faceva visita al Santuario (per vero, egli cantava: quant’è bella Materdomini …). Alloggiava presso il convento dei Padri Redentoristi. Lui ricambiava l’ospitalità facendo un “discreto” (nel senso di poco appariscente) servizio d’ordine in Chiesa. Lo si vedeva, tutti i giorni, durante la pausa pranzo, risalire, con qualche fatica, data l’età, lo stradone che dal parcheggio conduce al Corso Sant’Alfonso. Si avvicinava ai tanti astanti che a quell’ora stazionavano davanti ai bar, canticchiando il solito ritornello: quant’è bella Matredomini … C’era sempre qualcuno pronto ad offrirgli il caffè e a dedicare un po’ di attenzione alle sue esternazioni tese a magnificare la nostra terra. Colpiva la convinzione con la quale rimarcava la bellezza del nostro Paese, quasi si fosse accorto di quanto poco ne fossimo consapevoli e volesse convincerci. Sarà stata la ripetitività di questo motivo canticchiato tutti i giorni, sarà stato il trasporto col quale questo anziano signore parlava della nostra terra, sta di fatto che cominciai a chiedermi se effettivamente Materdomini fosse così bella, come lui diceva. Decisi, allora, di “guardarla” con l’occhio del viandante attento; di chi vede un posto per la prima volta. Ed il pensiero andò subito a Sant’Alfonso che aveva voluto e realizzato in questa terra una sua Casa. Ci sarà stato un motivo, pensai, se scelse questo luogo. Un luogo che rendesse giustizia della funzione che era chiamato ad assolvere: sede di un convento di Redentoristi, missionari con la precipua missione di evangelizzare le popolazioni rurali. Presi allora ad osservare con occhio più attento ogni angolo del nostro paese. Si fanno scoperte sensazionali se si osservano con attenzione (e non ci si limita a guardare) gli angoli del paese che pur conosciamo molto bene perché li “vediamo” (ma distrattamente) tutti i giorni. Dalla piazza antistante la Basilica, guardando a sinistra verso la vallata, le cime dei monti picentini disegnano il profilo di una donna adagiata (supina) su un letto (identica figura, la c.d. “dormiente”, disegnano le cime di alcuni monti del beneventano). Guardando, spalle alla Basilica, di fronte, maestoso ci sovrasta (e quasi ci ingloba) il monte Paflagone, dalle cui pendici sgorgano rigogliose le sorgenti del Sele. Antologia Caposelese

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A destra, lo sguardo viene catturato da una costruzione realizzata in cima ad una roccia: la chiesetta di San Vito. Strano, penso, costruire un manufatto dedicato al culto su una roccia e per di più poco e difficilmente accessibile. Verosimilmente, però, chi ha pensato a questa costruzione abbarbicata sulla roccia ha voluto simboleggiare con la chiesa la tensione e l’anelito dell’uomo verso l’Alto. Un luogo di culto, quindi, dal profondo valore simbolico, prima che storico – architettonico. Più in là, si intravede il valico che fa da spartiacque tra la valle del Sele e quella dell’Ofanto. Alle spalle, come detto, la Basilica di San Gerardo, restituita al suo antico splendore dopo i lavori di restauro successivi al terremoto dell’80. La facciata è di una semplicità disarmante; la linearità delle forme la rende bella a prima vista e ci richiama immediatamente alla sua funzione. Non credo potesse essere dedicata a San Gerardo una Basilica con una facciata più complessa, con ghirigori e quant’altro. E’ in linea con la semplicità del Santo. E poi la piazza. In precedenza, l’accesso era delimitato da un manufatto con due archi laterali ed al centro una bella statua di San Gerardo. Si aveva netta la percezione che si entrava in un luogo di culto. Mi son sempre chiesto (senza, però, riuscire a darmi una risposta) il perché della mancata ricostruzione di quel manufatto. Risalendo via del Santuario, si giunge al Corso Sant’Alfonso e se si volge lo sguardo a valle (tra una baracca e un’altra) si gode un panorama meraviglioso: un lento degradare di colline verso il mare; il corso del nostro fiume (fluente e sinuoso come un serpente) che disegna (e forse, nella pratica, ha disegnato) il tracciato della fondo valle Sele. E’ il posto che amo di più: spazzato dal vento buona parte dell’anno, costituisce l’accesso al mare; è la via che ci apre al resto del mondo. Spesso amo dire che il nostro clima temperato è dovuto all’influenza benefica dell’aria del Golfo, che risale proprio attraverso questa vallata. Sempre lungo il corso (ma procedendo nella direzione opposta) ci si imbatte in un filare alberato che nella mia immaginazione (eccezion fatta per i luoghi di culto) costituisce il logo (il segno distintivo) di Materdomini. Molti anni fa (e ahimè, lo ricordo bene) in quel punto finiva il centro abitato ed iniziava la campagna, ovvero qualcosa di altro rispetto a Materdomini (anche l’illuminazione pubblica terminava in quel posto). Ricordo ancora oggi lo stupore e la meraviglia che mi destavano sentire gli abitanti delle “Caselle”, quando uscivano di casa, dire: vado a Materdomini! Quasi abitassero un altro paese. E poi piazzetta Caselle … quasi uno slargo, con al centro una bella fontana con una vasca che si sviluppava in senso longitudinale e che serviva da abbeveratoio per gli animali. Risalendo la nazionale, in direzione dello svincolo e guardando in direzione dei monti, soprattutto nel periodo autunnale, è una esplosione di colori: dal verde intenso (irpino) al marrone, con tutta una serie di sfumature di giallo. Giunti in prossimità dello svincolo c’è solo l’imbarazzo della scelta: a destra e a sinistra si aprono incantevoli scenari e paesaggi di incomparabile bellezza. Non ci credete? Provare, per credere!

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EDITORIALE EDITORIALE – La Sorgente n. 78 – Agosto 2009 Nicola Conforti

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l nostro giornale con questo numero registra trentasette anni di vita: un percorso a tappe attraverso i momenti più significativi della storia del nostro piccolo Paese. Non intendiamo accendere candeline, come pure sarebbe giusto fare per augurare un buon compleanno o per celebrare un successo. Vogliamo invece tentare con i nostri lettori vecchi e nuovi, una riflessione per informarli sui fili conduttori di un palinsesto fatto di storia, ricordi, ricerche, cronaca, informazione, che nell’arco di quasi quarant’anni ha offerto uno sguardo complessivo sulle varie problematiche locali sufficientemente ampio e portando la nostra pubblicazione dal giornaletto iniziale, nato per caso e per gioco, alla attuale rivista di buon livello. Il palinsesto si arricchisce di nuove iniziative culturali di cui diamo in anteprima notizia: 1. “La Storia di Caposele”: finalmente il nostro Paese avrà un libro di Storia, non quella fatta per sentito dire ma quella basata su documenti storici. Se ne occuperà Mario Sista, uno studioso di grande cultura, grande appassionato di storia locale. La Sorgente gli offre tutta la collaborazione necessaria oltre che l’appoggio morale e materiale. 2. “ Il Leon del Sele”: La Sorgente ha rispolverato e rielaborato l’Inno di Caposele scritto e musicato oltre 70 anni fa dal nostro concittadino d’America il barone Gerardo Cetrulo e riarrangiato per l’occasione da Salvatore Conforti. Un Coro tutto caposelese diretto da Carmela Malanga, lo eseguirà la sera di sabato 8 Agosto nel Centro Storico del Castello. 3. “Caposele, una città di Sorgente” è un film-documentario, edito da “La Sorgente”. Sono pagine di storia, di folclore, di poesia. Le immagini scorrono sul filo del ricordo nostalgico di una sorgente sepolta, accecata, imprigionata, ma sempre viva nel ricordo dei caposelesi. Il film sarà proiettato, in anteprima, la sera di sabato 8 agosto nel Centro Storico del Castello dopo l’esecuzione dell’inno “Il Leon del Sele”. Tra le novità più significative di quest’anno annoveriamo l’adesione di oltre 70 giovani alla Pro Loco Caposele. La Sorgente esce rinforzata e potenziata da questo nuovo apporto di linfa giovanile. Le premesse ci sono tutte per poter sperare in un domani denso di iniziative e di soddisfazioni. Antologia Caposelese

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CAPOSELE – I MESTIERI DI UNA VOLTA La Sorgente n. 78 – Agosto 2009 Mario Sista La bottega di questa o quella persona, le immagini, i rumori, gli odori che si sentivano passando magari davanti al fabbro o al barbiere sono rimasti nel cuore e nella memoria di tante persone che ancora ricordano, magari con un po’ di nostalgia, ciò che era Caposele al tempo della loro gioventù.

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erte volte mi fermo a guardare Caposele dalla località Piani. Il mio paese è sempre lì, allo stesso posto, accovacciato ai piedi del Paflagone, da secoli. Eppure tale fissità è ingannevole, in quanto essa non consegna alla storia sempre lo stesso volto: Caposele cambia continuamente nel corso dei decenni, degli anni. E cambia perché cambiano le persone che hanno la fortuna di viverci. In questo articolo vorrei proporre all’attenzione dei caposelesi quella che era la Caposele di cinquanta, sessanta anni fa. Cercherò, insieme al lettore, di fare una passeggiata per le strade del paese alla scoperta di quelle realtà che, dal punto di vita sociale e lavorativo, animavano la vita locale: parlo delle diverse attività artigianali. La bottega di questa o quella persona, le immagini, i rumori, gli odori che si sentivano passando magari davanti al fabbro o al barbiere sono rimasti nel cuore e nella memoria di tante persone che ancora ricordano, magari con un po’ di nostalgia, ciò che era Caposele al tempo della loro gioventù. Mi si scuserà se qualche volta, per dare una indicazione precisa della ubicazione delle attività e delle persone oggetto della trattazione, farò riferimento a persone, ad attività o ad abitazioni attualmente esistenti in paese. Come pure chiedo venia per l’uso degli stuortinòmi di famiglia, convinto che essi, lungi dall’essere un qualcosa di offensivo per chi ha la fortuna di averne uno siano, al contrario, un elemento di identificazione formidabile, se è vero che ancora oggi spesso riusciamo a capire di chi si parla in un discorso solo con un preciso riferimento al soprannome. Non chiedo invece assolutamente scusa per l’uso che farò qui e là del dialetto, convinto come sono che esso sicuramente darà maggior gusto alle cose narrate. Per facilitare la lettura di questo viaggio alla riscoperta di una Caposele che fu, indicherò di volta in volta le attività sulle quali verrà focalizzata l’attenzione. Buon viaggio SCARPÀRI Abbiamo parlato di passeggiata per le strade del paese, e per camminare c’è bisogno delle scarpe: è normale perciò che la prima categoria di artigiani che prenderò in considerazione sarà quella dei calzolai. Ad essi era demandata la cura dei piedi dei caposelesi: le loro abili mani creavano cianfrùni, scàrp cu r cintrédd, scarpìni, zuòcchili e tanto altro ancora. A Caposele i calzolai erano ben otto. Ma partiamo con ordine circa la loro collocazione nel paese: Rocchinu Farina aveva la sua bottega ubicata a lu Chiazzìnu r lu guàrdiu, poco più sotto di piazza Di Masi.

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Più avanti, in un angolo meridionale di piazza Dante, c’era invece Pèppu chiamato, proprio per il suo mestiere, lu scarpàru. Giràrdu Farina, invece, si trovava giù per la discesa che attualmente mena al polo scolastico. Nella parte bassa della zona Purtèdda era situata la bottega artigianale di Pashcàlu Manente, precisamente dopo la seconda curva a gomito. Anche via Bozio aveva il suo scarpàru nella persona di Cìcciu lu scarpàru appunto, che aveva il suo locale a metà via, di fronte a dove attualmente ci sono la fontanina e l’atrio che immette in uno dei culti evangelici di Caposele. Falùcciu Faleccu si trovava, invece, in via Ogliaro, ma poi optò per la professione di barista che svolse nel locale dov’è oggi il bar Roma il quale, negli anni Sessanta, era conosciuto con il nome di Cremlino, in quanto spontaneamente lì si adunavano gli aderenti all’allora Partito Comunista. Inifne, erano scarpàri anche Lauriènzu Pallante e Romèu r Casciunàru: il primo si trovava in via Roma, il secondo aveva la sua bottega in via Pallante. SARTI E PANNAZZÀRI Undici erano coloro che per professione avevano a che fare con i tessuti: mi riferisco ai sarti e a coloro che i tessuti li vendevano. Partendo dalla parte bassa del paese, alla Purtèdda c’era Giràrdu Farina alias Jangònu, situato appunto in Corso Garibaldi di fronte alla fontana. Più su, in via Castello e precisamente nella strèttla r lu Castiéddu, accanto alla chiesa madre, nel primo vano entrando ra lu Chianu c’era Nicola Vetromile. Mmiézzu a lu Chianu invece c’era Viciènzu r Roccu Ilaria. Lasciando invece questa piazzetta e salendo in via Santorelli (la via dov’era la vecchia caserma) c’era Giràrdu Petrucci. Poco oltre Piazza Di Masi, suppergiù dov’è attualmente il negozio di Mariolino, c’era Tubìa r Savèriu, col suo negozio di vestiti, al quale poi subentrò sua figlia Finùccia, chiamata appunto r Tubìa. Tirucciu r la Carifana vendeva, invece, i suoi tessuti in piazza Tedesco nel suo negozio raggiungibile salendo in fondo alla piazza, appena iniziava la salita del Casale. Scialapòpolo invece aveva il suo di negozio in Corso Europa di fronte alla casa dell’Ing. Nicola Conforti. Salvatòru Ceres esercitava, invece, in piazza XXIII Novembre, lì dove fno a pochi mesi fa c’era l’alimentari di Auriemma. Nella parte del paese andando verso la Sanità c’erano infine tre sarti: Gaitànu lu simpàticu, sito alla Preta r la ténta, e Roccu e Fònzu r la Pustèra, dove attualmente c’è il Maff, cioè a fine corso Europa. FALIGNÀMI E CASCIUNÀRI Anche la falegnameria era molto sviluppata a Caposele, cosa comprensibile, questa, in un’epoca in cui i mobili già pronti non esistevano. Sèggie, panche, càsce, tavulini, buffètte, scanntiéddi e quanto altro ancora serviva per la casa doveva essere per forza fabbricato in loco da loro. I falegnami erano sei, così distribuiti: Lì Roccu vicino all’arco di Sant’Elia in prossimità di piazza Dante, che poi allora si chiamava piazza della verdura; Ruccùcciu r’Art’mìsia, nel primo tratto di strada tra lu Chianu e piazza Dante, lì dove anche prima del terremoto c’era ancora la scala esterna alla sommità della quale cinquanta anni fa sorgeva la sua falegnameria; Robèrtu r la Luna invece si trovava immediaAntologia Caposelese

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tamente prima della Croce di Sant’Angelo, andando verso la Sanità sullo stesso lato. Particolarmente simpatico era poi tra questi Matteo Mattia, sito in via Pallante, il quale, dopo aver fatto nu ndìcculu (si, insomma un pezzettino di legno per chiudere le imposte) affermò: “Arte, perché non parli?”. Matteo divenne poi barista. Farinèlla invece stava prima nella baracca delle Lavanghe, poi in vicolo Santa Lucia, salendo sulla destra a circa venti metri da via Roma. Infine, Petrùcciu r Minzion, aveva la sua falegnameria in via Roma. Sempre nell’ambito del discorso relativo alla falegnameria rientra anche la figura dei casciunàri, i quali si interessavano della fabbricazione dei granai in legno (li casciùni appunto) per la conservazione del grano. Casciunàri erano: Giuànnu r Ciuòlu che abitava e lavorava in via Santorelli, di fronte al forno di Juccia, e Laurienzu r Casciunàru, in via Bovio. FURNÀRI Quattro erano le fornaie a Caposele; la preparazione del pane a Caposele è stata sempre una prerogativa tutta femminile. I forni storici erano quelli di Falùccia r lu castiéddu, in via Castello, del quale già ho abbondantemente parlato in un mio precedente articolo; di Juccia la furnàra all’imbocco di via Santorelli salendo sulla destra; di Pippinella r Tirisèlla in via Bovio e, infine, di Ze’ Mina (la mamma di Ze’ Peppa, quest’ultima scomparsa da pochi anni) situato alla Croce di Sant’Angelo. MULUNÀRI Grazie alla notevole disponibilità di energia idrica, da sempre Caposele ha registrato una forte presenza di mulini, gualchiere, oleifici e di altri edifici ospitanti macchine mosse dalla forza motrice delle acque. Per quanto riguarda i mulini, Caposele nel periodo considerato ne contava ancora cinque, quasi tutti però animati ormai dalla corrente elettrica e non più dall’acqua. Salendo lungo il fiume il viandante che dal Ponte entrava nel paese poteva ammirare il mulino di Zi Lauriénzu r Patiérnu, un casotto a ridosso del fiume per raggiungere il quale si scendeva giù per una strada da sotto al Ponte, sulla riva destra del Sele. Più su c’era il mulino di Mattia, ubicato in prossimità dell’attuale mulino di Elvira, e del quale a quanto pare esiste ancora il canale per l’acqua. Salendo per via San Gerardo, Gilardiéllu aveva il suo mulino dove ora è il garage di Casillo all’angolo di via Peschiera, conosciuta cinquanta anni fa coll’epiteto di via degli Assessori. A Capodifume infine, e precisamente dove oggi c’è il capannone per materiali edili di Nesta, c’era il mulino di Ulìndu r’Amatuccètta. Il quarto ed ultimo mulino era quello di Falùcciu lu Mulunàru a Materdomini, situato in via Santuario scendendo sulla destra, poco prima dell’attuale chalet. FRUTTAIUÒLI, CHIANGHIÉRI E PUTIÀRI I venditori di frutta, verdura, alimentari, carne ed altro erano ben quattordici: una realtà alquanto animata era, dunque, quella di Caposele sotto questo punto di vista. Tutti si può dire omogeneamente distribuiti per il paese. Comunque, partendo dalla parte bassa di Caposele, salendo per la Purtedda ammòndu la prima putèja che si incontrava era quella di T’rsùccia la vèrua in corso Gari-

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baldi. Tra piazza di Masi e piazza XXIII Novembre c’erano rispettivamente: Lorènzu Pizza in piazza Di Masi, esattamente dove ora sono i medici Russomanno. Lorènzu vendeva generi vari. Il suo negozio prima di essere tale era stato un bar. Salendo per la strada principale del paese si incontrava sulla destra la barracca r Crapariellu, sita esattamente dov’è l’attuale Comune e nella quale si vendevano principalmente frutta e verdura, poi, successivamente, anche alimenti; nell’intermedia piazza Dante erano invece ubicati i negozi di Gesummìnu r mast’Alìggi, il quale vendeva elettrodomestici e bombole, e di Girardìna r Garòf’nu con i suoi dolci, i confetti e pure il baccalà in inverno. II suo alimentari era situato in piazza Dante dov’è l’attuale cartoleria di Colatrella. Nel vicino vicolo Sant’Elia c’era invece Dianìsia. Proseguendo per via Roma si incontrava l’angusta bottega r la Pirniciola che offriva ai clienti le sue verdure. Tale negozietto si trovava all’inizio di vicolo Santa Lucia, salendo sulla sinistra, e faceva ad angolo con via Roma sulla quale si affacciava, del resto, la sua entrata. Esso era scherzosamente conosciuto con il nome de “la Rinascente” per le sue minute dimensioni; salendo ancora per vicolo Santa Lucia in via Bovio, all’altezza della piazzetta dedicata alla santa, c’era il negozio di generi alimentari di S’ppùccia. Le due macellerie di Caposele erano anch’esse ubicate su via Roma. La prima era gestita da Austìnu r Innariéllu, il quale conduceva anche un negozio di generi alimentari. Una curiosità: la macelleria si trovava esattamente dove oggi cla macelleria di Sergio: uno dei pochi, dunque, esercizi caposelesi a non aver mai mutato di posto. Sempre per restare in tema, la seconda macelleria era invece quella di Falùcciu r Silvio sempre in via Roma. Ho detto che Austìnu aveva anche un alimentari, quest’ultimo si trovava in via Imbriani. Anche il suo parente, Tatòru r Innariéllu gestiva un negozio di alimentari e diversi sito in via Roma, nel locale subito dopo l’attuale bar di Giulio. Completavano questa nutrita carrellata di commercianti Vicienzu r’Annarella in piazza Francesco Tedesco, salendo sul lato sinistro della piazza prima r lu purtònu r lu Scigliàtu; Ròn Savìnu Russomanno, in via Caprio appena salendo sulla destra, e Ulìndu Capriu chiamato mastu Brìshcu, il quale originariamente era un barbiere, e solo successivamente divenne gestore di un emporio dove si trovava un po’ di tutto.

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2009 CAPOSELE: UN PAESE CHE VORREI PIÙ SOLIDALE La Sorgente n.78 – Agosto 2009 di Rodolfo Cozzarelli In qualche decennio la popolazione è drasticamente diminuita ed i gio­ vani abbandonano i loro luoghi di nascita perché non trovano lavoro e sono costretti a cercarlo altrove. Chissà perché il lavoro si trova sempre fuori! Si dice che le istituzioni devono essere più vicine alla gente ma intanto i posti di lavoro restano lontani.

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hi vive lontano dal proprio paese pensa alla bellezza dei luoghi e sogna di ritornare. Rivive i bei momenti del tempo felice della giovane età e la lontananza arricchisce questi ricordi di un fascino struggente. La gente, spontanea e cordiale, si inserisce perfettamente in questo quadro che la mente nostalgicamente dipinge. Quando il sogno del ritorno si realizza, si scoprono tanti problemi che affiggono gente e luoghi e che si pensava riguardassero il mondo esterno. I paesi vivono anni difficili. In qualche decennio la popolazione è drasticamente diminuita ed i giovani abbandonano i loro luoghi di nascita perché non trovano lavoro e sono costretti a cercarlo altrove. Chissà perché il lavoro si trova sempre fuori! Si dice che le istituzioni devono essere più vicine alla gente ma intanto i posti di lavoro restano lontani. Anche l’agricoltura sopravvive grazie alla buona volontà di pochi e alle associazioni di categoria, l’artigianato è quasi scomparso, il commercio langue. Il quadro che ne deriva non è consolante ma Caposele ha delle potenzialità che bisogna sostenere. Ha una popolazione adulta attiva è laboriosa ed un numero elevato di diplomati e laureati, a dimostrazione della tenacia nel perseguire i propri obiettivi e l’intelligenza di saperli portare a termine con successo. Bravi, presi individualmente, meno nella veduta d’insieme delle cose che abbiamo in comune: la natura che ci circonda, l’acqua, il Santuario. Ognuna di queste cose è essenziale per lo sviluppo di Caposele . Curiamo l’ambiente che è la nostra casa comune e attira per la sua bellezza. L’acqua, che è un bene indispensabile, non si nega a nessuno ma nemmeno può essere considerata solo un limite per le persone e per il territorio dove essa sgorga. Nel nostro secolo, dedicato proprio all’acqua, si impone una legge più equa che tenga conto delle esigenze del luogo da cui l’acqua proviene. L’acqua porta vita e sviluppo dove arriva, e allora, non si capisce perché non vi sia un minimo ristoro per coloro che, in maniera solidale, la donano. Il Santuario richiama migliaia e migliaia di persone e ciò ha consentito al nostro paese di essere considerato, con la legge regionale n.5 bis del 04/02/2008, un comune equiparato a quarantamila abitanti con tutti i benefici che ne possono derivare. Ai problemi si cerca una soluzione, alle potenzialità uno sviluppo sicuro. La soluzione dei problemi e lo sviluppo delle potenzialità si affidano alle istituzioni e agli uomini che le rappresentano.

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In un sistema democratico il potere di guidare i giusti cambiamenti non può essere affidato nelle mani di un solo uomo o favorire il bene privato a discapito della comunità. E’ la comunità intera che deve crescere socialmente, culturalmente, ed economicamente. La società civile contribuisce, da parte sua, a costruire il proprio futuro con scelte oculate fatte al momento del voto in cui, le forze in campo, si propongono agli elettori con i loro programmi. Si sceglie così, obiettivamente, in base alle proposte ritenute migliori e non in base all’immagine che i vari candidati, a torto o a ragione, hanno saputo dare di sé. Chi vince darà conto cosi del proprio operato e, in caso di promesse non mantenute, rischia di perdere ogni credibilità nella tornata elettorale successiva. L’alternanza diventa una vera salvaguardia della democrazia in quanto non rafforza il malgoverno e obbliga i vincitori a mantenere fede a quanto dichiarato in campagna elettorale. Chi vota per partito preso o per tessera non sceglie in base al ragionamento ma in base alle proprie emozioni che cozzano spesso con gli interessi generali. L’invito che rivolgo a tutti è di essere più solidali nel ricercare la soluzione dei problemi che affiggono il paese e nel cercare di ottenere lo sviluppo delle potenzialità del luogo. Così si lavora per migliorare il presente ed il futuro dell’intera popolazione e si lascia un segno indelebile nel tempo.

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PRO LOCO CAPOSELE: LA STORIA – 1973-1981 Nicola Conforti Note storiche generali: Caposele, 10 settembre 1973

In Italia governa il Centro - sinistra: Presidente del Consiglio Mariano Rumor - A Caposele amministra una giunta civica denominata “Stretta di mano”: Il Sindaco è Francesco Caprio.

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aposele vive gli ultimi giorni di spensierata e monotona vacanza ferragostana. A Napoli, in una situazione di atavica miseria e di grande arretratezza, in condizioni igieniche disastrose, scoppia il colera. La notizia rimbalza in un lampo sulle prime pagine di tutti i giornali. A Caposele si vivono giorni di panico: gli studenti non rientrano a Napoli : i villeggianti, in vacanza a Caposele, sono costretti a prolungare, forzatamente, il loro soggiorno malgrado gli impegni di lavoro e di studio. In una delle consuete passeggiate serali, unico passatempo disponibile all’epoca, alla scoperta dei suoni e dei colori della notte, tra un aneddoto ed un detto paesano raccontato o inventato per trascorrere qualche ora di svago, nasce l’idea di organizzare l’Associazione Turistica Pro Loco Caposele. Con Fernando Cozzarelli, uno dei tanti obbligato al prolungamento della vacanza, mettiamo a punto l’iniziativa. Detto fatto: parte l’invito per una riunione organizzativa da tenersi nel salone della Scuola Materna. Antologia Caposelese

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Partecipano molte persone. Alcuni dei presenti, intervenuti forse con il solo scopo di ostacolare i lavori, contestano vivacemente. Motivazione: non avevano ricevuto l’invito da parte degli organizzatori. Dopo i dovuti chiarimenti, iniziano i lavori. La relazione introduttiva viene tenuta dal sottoscritto: l’intero intervento, dal titolo “Atto di nascita della Pro Loco Caposele” è riportato sul primo numero de “La Sorgente” uscito qualche mese dopo. Mi limito a riportare alcuni stralci, i più significativi, anche perché ancora attuali. “La Pro Loco è un’Associazione che riunisce intorno a sé tutti coloro che hanno interesse allo sviluppo turistico della località. La Pro loco si occupa in particolare di tutte quelle iniziative che servono a facilitare ed a incrementare il fusso turistico, studiando il miglioramento dei sevizi e promuovendo festeg­ giamenti, gare, sagre, convegni e spettacoli. Esistono certamente a Caposele attrattive turistiche che bisogna opportuna­ mente valorizzare, esistono zone di notevole adattabilità all’espansione di una concreta attività turistica estiva, ed esiste la capacità e la volontà di utilizzare il territorio in funzione del turismo. Il Comune di Caposele è incluso nel comprensorio turistico del Terminio e dei Monti Picentini ed è uno dei quattro comuni della Provincia di Avellino in­ sieme ai Comuni di Bagnoli Irpino, Ariano Irpino e Mercogliano, ufficialmente considerato di particolare interesse turistico. Inoltre Caposele occupa geogra­ ficamente una posizione di equidistanza tra due località già affermate turistica­ mente come Laceno e Contursi Terme. Ciò naturalmente faciliterà il compito di convogliamento del traffico turistico nella nostra zona sempre che sapremo of­ frire qualcosa di genuino e di originale e sapremo adeguatamente organizzare ed attrezzare il nostro Paese. Ma vediamo ora concretamente su quali attrattive possiamo far leva per iniziare un’azione promozionale in questo senso. A parer mio, tre sono i poli che dovremo adeguatamente sfruttare: 1. Materdomini, che già da molti anni richiama migliaia di pellegrini e devoti non solo per motivi religiosi ma anche per la eccezionale bellezza della col­ lina e per lo stupendo panorama che offre. 2. Le sorgenti del Sele, naturalmente per quel poco che rimane, e l’acque­ dotto per l’importanza che riveste in campo mondiale come opera idraulica; 3. Il Bosco Difesa che è una nuova realtà, tutta da scoprire”. La relazione offre inoltre notevoli spunti per la discussione proponendo alcuni temi di particolare interesse come: a) il verde a Materdomini; b) la sistemazione del Bosco Difesa; c) il problema delle attrezzature ricettive a Caposele, ed ogni altra iniziativa che sia capace di richiamare e di soddisfare la domanda turistica in tutte le molteplici articolazioni di cui essa si compone. Dopo un acceso e costruttivo dibattito, viene formulata la proposta di iscrizione alla costituenda associazione con una quota concordata in lire Cinquemila. Scoppia una nuova polemica da parte degli stessi contestatori di prima che pretendono sia fissata una quota “popolare” non superiore alle mille lire. Quest’ultima proposta, respinta a larghissima maggioranza, determina l’allontanamento spontaneo dall’aula dei “contestatori”. Gli stessi, dopo alcuni giorni, indicono una riunione presso il Cinema Sele (attuale sala polifunzionale) per

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la costituzione di una seconda Pro Loco. Ma il tentativo fallisce miseramente, come miseramente fallisce tutto ciò che nasce “contro “. E a questi fallimenti ne seguirono altri, tutti con le stesse finalità. Avremo modo di parlarne in seguito. L’atto costitutivo della Pro Loco Caposele redatto dal notaio Adolfo Cannavale e registrato a S.Angelo dei Lombardi il 17 settembre 1973, riporta in allegato lo statuto sociale frmato dai soci fondatori: Nicola Conforti, Americo Del Tufo, Michele Ceres, Donato D’Auria e Fernando Cozzarelli. La prima assemblea generale dei soci ha luogo nella sede della Scuola Materna in data 21 settembre 1973. Ritengo utile ed importante riportare l’elenco dei primi 55 iscritti, soci fondatori a tutti gli effetti, che hanno dato vita ad un sodalizio che ancora oggi, a distanza di 36 anni, vive una vita tranquilla ed operosa. Scorrendo l’elenco riportato di seguito un senso di sgomento e di malinconia mi assale nel constatare tante assenze importanti, tante persone non più in mezzo a noi. Segue l’elenco in ordine di iscrizione: Caprio Rocco Caprio Giuseppe Farina Domenico Conforti Nicola D’Auria Donato + Sturchio Angelo Casillo Gennaro + Sica Gerardo Russomanno Salvatore di Aless. + Zarra Carmine + Conforti Donato + Cozzarelli Ferdinando + Cetrulo Gerardo Manzillo Giuseppe Testa Salvatore + Conforti Fiorenzo + Melillo Giuseppe + Curcio Giuseppe + Melchiorre Giuseppe + Alagia Emidio + Russomanno Gerardo Caprio Alfonso Biondi Vincenzo + Caprio Francesco + Del Tufo Amerigo + Russomanno Pasquale Di Masi Gelsomino Casillo Girolamo + Caprio Manfredi Ceres Michele Antologia Caposelese

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Caprio Ezio + Nesta Mario Russomanno dott. Salvatore Montanari Pasquale + Sozio Salvatore + Majorana Gennaro + Ceres Vincenzo Pallante Pietro + Aiello Giovanni Curcio Salvatore Russomanno Vincenzo + Malgieri Vincenzo Caprio Salvatore + Mazzariello Donato + Cozzarelli Franco Daniele Angelo + Sozio Arturo + Vetromile Emidio + Mattia Matteo + Spatola Pino + Conforti Amerigo + Cibellis Gerardo + Russomanno Nicola + Farina Angelo + Testa Nicola +

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(nel lungo elenco dei soci fondatori, riportati con un crocetta a fianco, 34 persone decedute)

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Il primo consiglio di amministrazione registra le seguenti cariche sociali: Avv. Ferdinando Cozzarelli Presidente Ing. Nicola Conforti Vice Presidente Rev. Don Vincenzo Malgieri – cons. Ins. Michele Ceres – cons. Geom. Salvatore Caprio delegato del Sindaco Sig. Matteo Mattia – cons. Sig. Gerardo Russomanno – cons. Il Consiglio dell’Ente Provinciale per il Turismo presieduto dall’avv. Ernesto Amatucci, con atto n. 31 del 8.11-1973 all’unanimità delibera di approvare la costituzione dell’Associazione Turistica Pro Loco Caposele e di ratificare la nomina del Consiglio di Amministrazione. Il programma di attività, predisposto dal primo Consiglio di Amministrazione prevede una serie di iniziative molte delle quali saranno felicemente portate a termine nel corso dell’anno successivo. Il programma prevede tra l’altro: - Sagra di prodotti locali; - Costruzione di un invaso (piccolo laghetto) per lo svolgimento di giochi e sport vari; - Fontana zampillante artistica in piazza XXIII Novembre (già p.zza D’Auria) ;- Vincolo di pesca per il ripopolamento del tratto di fiume dalle Sorgenti

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al Ponte - Realizzazione del giornale periodico”La Sorgente” - Gara di Pittura estemporanea - Intervento presso l’EEAAP per la eliminazione del muro di cinta delle Sorgenti - Festa dell’Emigrante - Veglione di Capodanno A soli tre mesi dalla nascita dell’Associazione si realizza il primo importante traguardo: esce il primo numero de “La Sorgente”. Non è molto, ma siamo certi che questo traguardo è il primo gradino per i successi di domani. La sua fondazione nasce sotto i migliori auspici: sarà destinata a vivere a lungo. Molti pronosticano per la Pro Loco un vita molto breve, data la eterogeneità della composizione del gruppo dirigente e le finalità “poco credibili” che l’Associazione si ripromette di raggiungere. Ma a dimostrazione che La Pro Loco e “La Sorgente” sono nate non “contro” qualcuno o qualcosa, ma a vantaggio delle cose belle e buone del nostro Paese, parlano i risultati raggiunti, la resistenza a tutte le “intemperie”, (politicamente parlando) la longevità e la grande vitalità dimostrata in tanti anni di attività. Inizia così un “meraviglioso e affascinante viaggio” che ci porterà molto lontano. E’ il caso di dire: “Il tempo è galantuomo”. Ristabilisce la verità e ripaga dei sacrifici e degli sforzi sostenuti. Anno 1974 E’ un anno pieno di entusiasmanti iniziative alcune delle quali, molto contestate, come avremo modo di spiegare, avranno una durata, nostro malgrado, limitata nel tempo. Il nuovo clima di armonia e di collaborazione apporta notevoli vantaggi al nostro piccolo Comune: fervono una serie di iniziative amministrative tendenti alla realizzazione di varie opere pubbliche. Il risultato più significativo viene raggiunto con l’istituzione del Liceo scientifico. Una delle prime realizzazioni promosse dalla Pro Loco è la costruzione del laghetto artificiale nei pressi del campo sportivo. Vi si svolgono manifestazioni di vario genere: gare di nuoto, gare di pesca, partite di pallanuoto, e divertentissimi giochi sull’acqua. A laghetto svuotato, si svolgono partite di pallacanestro, dimostrazioni di arte marziale, pattinaggio e altro. Il notevole successo di questa iniziativa è dimostrato, in un filmato sui giochi di Ferragosto, dalla grande partecipazione di folla assiepata ai bordi del laghetto. Purtroppo quest’opera, frutto di impegno e di sacrificio di tante persone di buona volontà, verrà “barbaramente” distrutta nel gennaio del 1981 dall’amministrazione Corona insediata da appena qualche mese. Bisognava cancellare in qualche modo i fastidiosi segni di un passato glorioso. Restano i filmati; e tanto ci basta. Nell’anno 1974 si verificano altri eventi ed altre iniziative molto prestigiose: Antologia Caposelese

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Anno 1975 Note storiche generali

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Il primo Rallye Automobilistico su un percorso di 84 chilometri e Gimkana automobilistica finale sul campo sportivo. Gara molto prestigiosa che mette a dura prova le capacità organizzative dei nuovi dirigenti. La prima mostra di Pittura Estemporanea richiama pittori da tutta la Regione. La prima Festa dell’Emigrante con la presenza di artisti di fama .Festa contestata dai soliti ignoti. Altro importante traguardo: la costruzione in Piazza D’Auria (ora XXIII Novembre) dell’artistica fontana zampillante. Anche quest’opera verrà distrutta nel 2006 e sostituita con una discutibile piramide con appiccicata, in maniera poco rispettosa e poco decorosa, la lapide dei morti del terremoto. Anche questo segno del passato bisognava cancellare,

Elezioni Amministrative. A Caposele vince nuovamente la lista della “Sretta di Mano”. Francesco Caprio è eletto per la terza volta Sindaco. In Italia grande avanzata del Partito Comunista. In arretramento la Democrazia Cristiana.

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La Pro Loco avverte un piccolo scossone: a seguito di una delusione elettorale alcuni soci, tra cui Michele Ceres, escono dalla Pro Loco e dal giornale. Ci dispiace molto per quest’ultimo: Vi rientrerà, con grande soddisfazione di tutti, dopo circa trenta anni. Di altri se ne sono perse definitivamente le tracce. Tutto sommato, non è stata una grossa perdita. Ciononostante l’Associazione va regolarmente avanti come pure “La Sorgente”. L’Associazione raggiunge le 158 iscrizioni: una punta molto alta a dimostrazione del notevole gradimento dimostrato da parte della popolazione attiva e operosa. Continua il successo delle mille iniziative sempre nuove e sempre interessanti: è l’anno di Peppino Bruno, detto Graziella, che vince alla grande la corsa campestre del 15 agosto e che stabilisce un record sul percorso destinato a durare molti anni. La corsa dei ciucci, la corsa nei sacchi, il palio della cuccagna, il tiro alla fune dalle piattaforme galleggianti e tanti altri giochi rendono l’estate caposelese interessante, divertente e spensierata. Sono lontani ormai i tempi dell’apatia, della noia e dell’assenza più assoluta di turisti e di nostri concittadini, vacanzieri altrove, e quasi dimentichi del loro paese di origine. Nasce, tra l’entusiasmo generale, “Radio Caposele” inizialmente in un’aula della scuola elementare, successivamente, ospitata da Angelo Petrucci, nell’agenzia “Max in Tour”, poi in un locale di Donato D’Auria in Piazza Dante e dopo altre dispendiose peregrinazioni, (in un prefabbricato prima ed in un locale del Comune poi) a venti anni suonati chiude i battenti.

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Anni 76-78 Gli anni 76-78 vedono la conferma di tutte le iniziative di successo con l’aggiunta di altre non meno interessanti: programmi di tutto rispetto che abbracciano la cultura, l’arte, il folklore, la musica e lo sport. Voglio ricordare in particolare le estemporanee di pittura con la partecipazione dei pittori più affermati della Regione ed i concorsi di fotografa su temi che riguardano gli aspetti tipici e paesistici di Caposele, le mostre di artigianato locale, il teatro all’aperto, il piccolo Conservatorio di musica di pianoforte e chitarra, il ripopolamento del tratto interno del fiume Sele. Tantissimi nostri concittadini residenti in Italia o all’estero, sensibili al richiamo de “La Sorgente” e delle tante iniziative estive, riprendono contatto con il loro paese di origine e nel periodo di ferragosto affollano le vie del centro. Tra gli ospiti d’onore che in questi anni visitano il nostro Paese, registriamo una presenza di grande prestigio: il campione olimpionico Sante Marsili che, con la modestia tipica dei “grandi” dà a noi tutti un saggio di nuoto nel laghetto artificiale. Ospite sempre molto gradito è il cantante napoletano Amedeo Pariante: le sue frequenti visite a Caposele riempiono piacevolmente le serate ferragostane. Il 1978 è l’anno in cui una equipe di appassionati di storia locale guidata dal sottoscritto e composta da Nicola Conforti junior, Donato Conforti e Vincenzo Malanga mette a punto le scene del film “ Un Anno a Caposele”. Un film destinato a diventare patrimonio storico del nostro Paese e come tale fiore all’occhiello della Pro Loco. Sarà ripetutamente proiettato all’aperto nel 1979 e, maggiormente, dopo il terremoto del 1980 suscitando sempre grandi emozioni. Anno 1979

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Note storiche generali Il 20 gennaio del 1979, all’età di 74 anni, muore il sindaco Francesco Caprio. Gli succede, per poco più di un anno, l’avv. Fernando Cozzarelli, La presidenza della Pro Loco viene assunta dall’ing. Nicola Conforti.

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La Pro Loco, subisce un brutto colpo: viene meno la persona che più di tutti ha sostenuto moralmente e materialmente l’Associazione. La “Sorgente”, listata a lutto, esce in edizione straordinaria Si chiude un ciclo importante; vengono meno come vedremo in seguito, oltre che l’incoraggiamento ed il sostegno morale, i contributi del comune. Anno 1980 Note storiche generali In Italia Governa il Centro-Sinistra con a capo Cossiga e poi Forlani. Un’ondata di attentati terroristici e tragedie senza precedenti affligge l’Italia. A Caposele le nuove elezioni assegnano la vittoria alla lista della “Sveglia” . Il nuovo Sindaco è l’avv. Antonio Corona. Il 20 novembre un tragico avvenimento sconvolge il nostro Paese procurando circa 70 morti. Il terremoto semina lutti e dolore in tutte le famiglie di Caposele. Antologia Caposelese

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NICOLA CONFORTI Pro Loco - La storia – seconda parte Nicola Conforti

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el corso della prima parte della “ Storia” (1973 -1979) ho tracciato per grosse linee, a partire dall’”Atto di nascita della Pro Loco Caposele”, le tappe principali di un percorso fatto di conquiste e di successi sul piano della vita sociale del nostro Paese. Ho sottolineato in particolare gli eventi di maggiore impegno che hanno riscosso il plauso e l’apprezzamento di gran parte dei Caposelesi. Al solo scopo di riepilogare le tappe principali del primo percorso, per riprendere il discorso interrotto e per non dimenticare i risultati raggiunti, riporto in sintesi i principali temi trattati: - Fondazione del giornale periodico “La Sorgente”; -Realizzazione del laghetto artificiale distrutto nel 1981; -Realizzazione dell’artistica fontana zampillante in piazza XXIII Novembre di­ strutta nel 2006; -Realizzazione del film ”Un anno a Caposele”; -1° Rallye automobilistico e Gimkana finale sul campo sportivo; -Ripopolamento del tratto interno del fiume Sele; -Mostre varie di “Pittura Estemporanea” ; -Murales a Materdomini ; -Mostre varie di fotografia sugli aspetti artistici e paesistici del nostro Paese; -La sagra dei fusilli e delle matasse, manifestazione diventata tradizionale ; -La corsa dei “TRE CAMPANILI” , diventata tradizionale; -Radio Caposele: nata il 1975 per venti anni ha allietato le case dei Caposelesi -Scuola di Pianoforte e di Chitarra ovvero il “Piccolo Conservatorio musicale” ; La Storia riprende con l’anno 1980 Anno 1980

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Note storiche generali In Italia governa il Centro-Sinistra con a capo Cossiga e poi Forlani. Un’ondata di attentati terroristici e tragedie senza precedenti affligge l’Italia. A Caposele le nuove elezioni assegnano la vittoria alla lista della “Sveglia”. Il nuovo sindaco è l’avv. Antonio Corona. Il 23 Novembre un tragico avvenimento sconvolge il nostro Paese procurando oltre 70 morti. Il terremoto semina lutti e dolore in tutte le famiglie di Caposele. L’anno 1980 non nasce sotto i migliori auspici: da ogni punto di vista.Tutto comincia ad andare storto. Due episodi in rapida successione (ne seguiranno presto altri), ci riportano ad una triste realtà: tutto ciò che fino ad oggi era sembrato facile, possibile e condiviso, diventa improvvisamente difficile, incomprensibile, ingiusto. Andiamo per ordine: 1)- Dopo un mese dall’insediamento della nuova Amministrazione un gruppo

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di ragazzi, alcuni dei quali minorenni, senza l’autorizzazione del Sindaco, come solitamente facevano non appena il caldo diventava insopportabile,” si permettono “di forzare una piccola paratoia per riempire, a scopo di balneazione e di gioco, il laghetto artificiale. Piombano come furie due guardie accompagnate da un consigliere comunale e, rilevata la “grossolana infrazione” elevano verbale a danno dei malcapitati giovani, cui segue una denuncia all’autorità giudiziaria. Non ci fu modo da parte di alcuni genitori di indurre il Sindaco a ritirare la denuncia. Ma, data la ridicola inconsistenza delle motivazioni poste a base della denuncia, la stessa viene archiviata di ufficio. Però da quel momento il laghetto non avrà più ragione di esistere: se ne impedirà l’uso per l’estate in corso ed entro qualche mese sarà definitivamente distrutto. Tanto lavoro e tanto impegno svaniscono in un attimo. A pensarci bene c’era da aspettarselo. 2) Ci avviciniamo frattanto alle vacanze ferragostane e, come ogni anno, il Presidente della Pro loco fa richiesta al Comune del contributo annuale che fin dalla fondazione dell’Associazione era stato fissato in lire 1.200.000 all’anno. Il Sindaco molto “cortesemente” ci comunica, per iscritto, che la Pro Loco è da considerare alla stregua degli altri comitati festa locali e che pertanto il contributo non può che limitarsi a lire 300.000. Il Sindaco, pensammo, o non conosce i compiti di istituto della Pro Loco o è in mala fede. Una cosa sembra certa: persiste ancora, dopo tanti anni dalla costituzione della Pro Loco, tanta animosità e tanto antico e risentito livore verso un’Associazione che opera in nome e per conto del luogo. Ma non è tutto: l’Amministrazione comunale nel corso dell’Estate si sostituisce anche ai comitati festa e organizza, in concorrenza con la Pro Loco, manifestazioni in Piazza Sanità consistenti in un incontro di box ed in uno spettacolo musicale con il famoso complesso dei “Romans”. Questi ultimi, per ironia della sorte, arrivano dopo mezzanotte, quando oramai la gente aveva abbandonato la piazza. Un vero FLOP Anche questa voleva essere una manifestazione “contro” e quindi destinata a fallire. La Pro Loco, pur accusando il colpo dovuto al diniego del contributo ed alla concorrenza sleale ,non fosse altro che per la disparità enorme dei mezzi a disposizione, riesce ugualmente e dignitosamente a portare avanti le manifestazioni previste dal programma di attività per il 1980. I due avvenimenti descritti determinano però un clima di tensione e di contrapposizione tra l’Associazione ed il Comune. La cosa non giova al Paese, e di tanto ne siamo davvero rammaricati. Passa l’estate e, con l’autunno, arriva il terremoto. Il tragico avvenimento porta lutti e distruzione in tutte le case di Caposele. Il clima di disperazione e di lutto imperante ci fa dimenticare i dissapori ed i contrasti di qualche mese prima. La parola d’ordine diventa “volemose bene”. Ed è in questo clima che, nella qualità di tecnico più anziano, vengo chiamato dall’Amministrazione con l’incarico di accertare la pericolosità delle poche case rimaste in piedi e, di conseguenza, decidere se proporre o meno la demolizione. Eravamo ancora accampati tra piazza Sanità e Cantiere EAAP quando arriva Antologia Caposelese

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un pulmanino attrezzato ad ospedale da campo: serve uno spazio adatto allo scopo. Il Sindaco, non trova di meglio che ordinare la demolizione della Chiesa della Sanità e creare così lo spazio adatto allo svolgimento del compito sanitario cui l’Ospedale da Campo era destinato. Avvertito di quanto stava succedendo, nella qualità di responsabile del settore, mi precipito in Piazza Sanità: le ruspe stavano per “aggredire” l’edificio. Don Vincenzo era lì a supplicare i pompieri di salvargli almeno il quadro della Madonna. In effetti non si trattava di un quadro ma di una preziosa immagine scolpita su una pietra incastonata nella muratura. Segue uno scontro violento con il Sindaco sulla inopportunità di demolire una Chiesa non gravemente danneggiata. Riesco nell’intento di salvare la Chiesa ma ne pago lo scotto. Il giorno successivo sarò esonerato dall’incarico ricevuto in quel clima di apparente e falsa concordia. Ma, tutto sommato, mi sta bene. Comincia l’era della ruspa selvaggia: si ruspano finanche le fondazioni dei fabbricati gravemente danneggiati, tanto che in alcuni casi non si riescono più ad individuare nemmeno le delimitazioni delle aree di sedime. I soldati tedeschi eseguono con molto scrupolo tutto ciò che viene chiesto loro di demolire. Nessuno, però, difende quello che c’è da recuperare della vecchia Chiesa Madre. I tre portali, una parte del soffitto e l’intero altare maggiore, tutte opere di grande valore storico ed architettonico, sono barbaramente ruspate e trasportate a rifIuto. Purtroppo l’Amministrazione è assente e don Vincenzo pure. Si chiude così, in maniera molto malinconica l’anno 1980. E si torna al clima di contestazione e di contrasto di prima del terremoto. Solamente molti anni dopo, grazie al Sindaco Melillo si tornerà a rapporti civili di collaborazione e di reciproca stima. La Pro Loco e “La Sorgente” verranno presi nella giusta considerazione: inizierà finalmente la pacificazione del Paese. Ed è un merito che riconosceremo pubblicamente al Sindaco Melillo. Anno 1981

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Note storiche generali La sede della Pro Loco in via Roma risulta gravemente danneggiata. I soci tutti hanno perduto un importante punto di riferimento. Gli sforzi del direttivo si concentra in una unica direzione: ridare al più presto una sede all’Associazione. In tempi record viene presentato il progetto di ristrutturazione e dopo alcuni mesi, esattamente il 9 agosto, viene inaugurata la sede rimessa a nuovo. Per l’anno in corso la Pro Loco decide di non organizzare alcuna manifestazione: il clima di lutto e di disperazione diffuso in tutte le famiglie, consigliano il più decoroso silenzio. Tutto ciò che accade da questo momento in poi è fin troppo noto a tutti i caposelesi -

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2009 GIOVANI, TURISMO E PRO LOCO GIOVANI di Ernesto DonatielloLa Sorgente n.78-Agosto 2009 Sappiamo tutti che il turismo a Caposele, ma soprattutto a Materdomini, è un elemento trainante dell’economia, ma i veri cambiamenti possono arrivare solo dai giovani in Proloco e non. Se non vogliamo vedere il nostro turismo morire, dato che siamo una fase di maturazione del nostro prodotto turistico e la successiva fase è il declino, c’è bisogno di rilanciare il prodotto stesso.

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ue mondi a confronto che si uniscono per portare una ventata di novità nel territorio di Caposele: i giovani e il mondo del turismo. Argomenti assai complessi che uniti possono rivelarsi un grande successo, ma anche un completo fallimento. Ma chi sono i giovani, e cos’è il turismo? Possiamo parlare di questi argomenti senza saperne il significato? Troppo spesso, infatti, sentiamo parlare di mondo giovanile e di turismo in maniera superficiale senza andare a fondo riconoscendogli la giusta importanza. La Carta Europea della Partecipazione dei Giovani alla Vita Locale e Regionale, unico documento ufficiale che disciplina la “gioventù” in Italia, non essendoci al momento nessuna legge regionale o nazionale che disciplina le politiche giovanili, riconosce il giovane come individuo centrale della vita comunitaria e regionale, ma soprattutto individua tutti gli strumenti per la partecipazione dei giovani alla vita locale. Il turismo invece è definito dal WTO (World Tourism Organization) come “ l’attività di coloro che viaggiano e soggiornano in luoghi diversi dal proprio ambiente abituale per un periodo di tempo che va da almeno due giorni (minimo un pernottamento) ad un anno, per svago, lavoro e motivi diversi dall’esercizio di un’attività remunerativa all’interno dell’ambiente visitato”, ma soprattutto individua il turista come “chi soggiorna per un periodo superiore alle 24 ore, o almeno per una notte, al di fuori della propria abituale residenza”, altrimenti si parla di escursionismo. Sono due argomenti che possono convivere e combinarsi? I giovani hanno la possibilità di essere protagonisti attivi in questo settore? Tutto ciò necessita di molte riflessioni. In primo luogo ritengo che il mondo giovanile attuale sia fortemente influenzato da fattori esterni che ne limitano l’azione e la creatività. I giovani sono spesso solo nominati, ma troppo spesso non coinvolti, o coinvolti molto limitatamente e con poca possibilità di proporre le loro idee e opinioni. Ciò determina un completo allontanamento degli stessi da qualsiasi forma di partecipazione inducendoli ad una forte apatia e rassegnazione. Il giovane Caposelese però è anche fortemente votato alla critica e spesso non agisce, è capace di sottolineare le falle del sistema senza esporsi in prima persona per risolvere le questioni. Ma ci sono anche ragazzi che vogliono fare e non ne hanno la possibilità. Il mondo del turismo invece è un settore molto complesso che ha bisogno Antologia Caposelese

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dell’apertura mentale dei giovani per sopperire alle problematiche tipiche che lo stesso ha sotto diversi punti di vista, a partire dalla stagionalità fino a arrivare alla forte elasticità della domanda. Per affrontare e superare tali problematiche, tipiche anche del turismo Caposelese e di Materdomini, c’è assoluto bisogno di una serie di novità nell’ambito delle iniziative turistiche e di progettualità pluriennale da porre in atto per Caposele. Il ruolo del giovane in quest’ottica è centrale e fondamentale. Considerando i principi della Carta Europea della Partecipazione dei Giovani e le caratteristiche del turismo, infatti, è obbligatorio dar fiducia alla popolazione giovanile. Solo il giovane infatti ha una prospettiva diversa, ha la capacità di avere una visione futuristica della realtà tale da rendere possibile la stesura di una programmazione di lungo periodo con obiettivi perfettamente definiti. Sappiamo tutti che il turismo a Caposele, ma soprattutto a Materdomini, è un elemento trainante dell’economia, ma i veri cambiamenti possono arrivare solo dai giovani in Proloco e non. Se non vogliamo vedere il nostro turismo morire, dato che siamo una fase di maturazione del nostro prodotto turistico e la successiva fase è il declino, c’è bisogno di rilanciare il prodotto stesso. Penso che le parole chiavi siano quindi programmazione, quanto meno triennale, ma soprattutto interazione tra gli attori. Lo sviluppo turistico passa necessariamente dalla definizione di un obiettivo comune da raggiungere in un determinato arco di tempo, dall’analisi e dall’individuazione delle risorse disponibili per arrivare alla definizione dell’azione collettiva da intraprendere. Questo processo deve coinvolgere i giovani, le istituzioni, la Proloco, il Forum dei Giovani, ma soprattutto i privati, nella creazione di quello che in materia viene definito SLOT (Sistema Locale di Offerta Turistica), che ingloba tutti gli stakeholder del settore turistico per portarli a remare in un’unica direzione al fine di promuovere e quindi offrire “la località e i suoi servizi turistici” sotto un’unica immagine, quella di Caposele e di San Gerardo, apportando benefici all’intera comunità. Analizzare il turismo esistente è il primo passo; spesso sento parlare di interazione tra turismo religioso e turismo naturalistico, cosa che credo sia solo forzatamente esprimibile dato che sono due forme di turismo assolutamente differenti che hanno esigenze e capacità di spesa assolutamente diverse. Conseguentemente necessitano di due programmazioni diverse dove la domanda e quindi i servizi da offrire cambiano. Credo sia molto più facile legare l’attuale turismo religioso a quello congressuale. L’obiettivo primario da raggiungere è rendere Caposele un paese attraente tutto l’anno puntando a tre segmenti di mercato: turismo religioso, naturalistico e congressuale. Bisogna però lavorare in modo diverso per ogni segmento valutando le peculiarità di ogni singolo turista per soddisfarlo sotto vari punti di vista e creando economia per la comunità. E’ chiaro che tutto ciò diventa di difficile applicazione senza risorse di ca-

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rattere economico, fattore che è spesso elemento di freno di qualsiasi nuova iniziativa. In quest’ottica diventa importante per la Proloco giovani essere il nuovo punto di riferimento per la comunità caposelese e il turismo in genere, deve fare da pungono affinché si risponda a bandi provinciali, regionali e europei nell’ambito turistico a fine di moltiplicare le risorse economiche a disposizione. Si deve ricominciare a lavorare nell’ambito del circuito Unpli (Unione Nazionale delle Proloco Italiane) anche per reperire risorse umane grazie al servizio civile che tale circuito propone e mette in atto annualmente. Se si fa parte di un circuito perché non lo si utilizza? L’importante è avere le idee e le capacità progettuali, perché se i progetti sono validi, non c’ è parte politica che tenga, essi devono essere finanziati. Negli ultimi anni questi elementi sono davvero mancati alla nostra comunità. Di queste problematiche bisognerebbe iniziare a parlare con i giovani, con l’obiettivo di superare gli individualismi proponendosi sul mercato come una collettività e non come una somma di più operatori della filiera turistica, che agli occhi del turista appare sempre più divisa e non comunicante. I giovani a Caposele hanno iniziato questo processo inserendosi nel sistema Proloco, ma ora è tempo di dare una svolta al futuro di questa comunità se vogliamo avere tutti un futuro. Perché noi giovani semplicemente rivendichiamo spazio, il nostro spazio, perché questo nostro spazio negatoci oggi porta alla normale conseguenza della negazione del nostro futuro qui alle foci del Sele, perché questi giovani a settembre vorrebbero ripartire e non partire!

CAPOSELE CITTA’ DI SORGENTE Storia, poesia, folclore -Film Prof. Raffaele Loffa- La Sorgente n. 79 –dicembre 2009

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Le immagini scorrono veloci, la voce del narratore è suadente, la colonna sonora che suppor­ ta il racconto è costituita da musiche scelte con estremo buon gusto: vieni rapito e portato in riva a quel che resta dell’antico fiume. Le bellezze naturali, il gorgoglìo delle limpide, freddissime acque, la cultura, l’arte, le tradizioni, il folclore, le processioni beano la tua vista ed accarezzano la tua anima.

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gregio Ing. Conforti, ho molto apprezzato il DVD “Caposele città di sorgente”: l’ho guardato il giorno stesso in cui mi è arrivato e devo dirti che mi è piaciuto immensamente. Il Film Documentario rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei migliori momenti dell’attività della vostra Pro Loco, e corona degnamente gli sforzi che state facendo da tanti anni, soprattutto con la rivista “La Sorgente”, per valorizzare l’enorme patrimonio umano e culturale del vostro “natìo borgo selvaggio”. Antologia Caposelese

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Ho ricevuto fn dagli Ottanta la vostra rivista, l’ho letta sempre con molto piacere e spesso vi ho trovato materia e spunti di riflessione assai interessanti: talora mi sono anche commosso leggendo la corrispondenza dei vostri lettori e non ho fatto fatica a sentirmi uno di voi. Ho sofferto per i vostri lutti, ho gioito per i matrimoni e per le nascite dei bambini, mi sono emozionato per i tanti vostri giovani che sono arrivati al prestigioso traguardo della laurea, ho letto racconti e poesie scritte da Caposelesi, ho visto foto dei ricordi, delle sagre, ho letto dei sentimenti dei vostri emigrati e spesso un brivido ha percorso le mie membra e mi è venuto un groppo alla gola (non solo perché ad una certa età si è più inclini alla commozione…del resto senectus ipsa morbus, dicevano i Latini). Il documentario, bellissimo per immagini, suoni e narrazione, costituisce una struggente dichiarazione d’amore per Caposele, il suo fume, il suo ambiente, la sua storia, la sua gente. Le “chiare fresche e dolci acque ove le membra pose” la vostra splendida cittadina oggi, purtroppo, sono solo un ricordo rivissuto attraverso la memoria degli anziani; le immagini del film suscitano sentimenti di malinconia e nostalgia, e non si fatica molto ad associarsi alla vostra rabbia per il vero e proprio furto patito dalla collettività caposelese. E’ anche vero però che la vera e propria mutilazione patita da Caposele, resa contemporaneamente vedova ed orfana della sua Sorgente e del suo fume, servì a dissetare una regione che era priva d’acqua. Davvero strano il destino della nostra Provincia: diamo acqua “umile, preziosa e casta” a tanta gente e a ben due Regioni ed ora vorrebbero riempirci di discariche… E forse il simbolo più emblematico, più eloquente e più evidente del disagio e dello stato d’animo dei Caposelesi è dato proprio da quel campanile rimasto tristemente solo in prossimità della Sorgente: la sua deliziosa e preziosa chiesetta, compagna di tante cerimonie e ragione della sua stessa esistenza, fu smontata e ricostruita altrove per far posto alle opere di captazione. Gli Americani faranno ancora di peggio durante la seconda guerra mondiale: dopo aver completamente rasa al suolo la prestigiosa Abbazia benedettina di Montecassino, sganciando su di essa tonnellate e tonnellate di bombe, dopo di aver desertificato l’intero monte su cui essa da secoli si ergeva superba, per tacitare le loro coscienze la ricostruirono com’era, pezzo dopo pezzo, pensando di poter essere perdonati. E’ come proporre un matrimonio “riparatore” ad una donna, dopo averla violentata contro il suo volere… Purtroppo era mio compaesano l’Avv.to Vito Schirillo, un alto funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici, che curò e seguì la pratica dell’Acquedotto Pugliese. Forse proprio al vostro splendido fiume pensava Silio Italico quando, nei suoi “Punica”, elencando le forze in campo con Annibale contro i Romani nella battaglia di Canne, scrisse: “... unaque ìuventus

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Lucanìs excìta ìugìs, Hìrpìnaque pubes horrebat telìs, et tergo irsuta ferarum. Hos venatus alìt. Lustra incolue-re, sìtimque avertunt fuvìo, somnìque labore parantur”. (Punica VIII, vv 569-572). I nostri antenati, che si procuravano il sonno lavorando duramente, placavano la sete bevendo direttamente dal fume. Non a caso poco più avanti, il poeta, che tanta ammirazione e rispetto nutriva per gli Hirpini, feri ed irriducibili nemici dei Romani, continua dicendo: “Nunc Sìlarus, quos nutrìt aquìs, quo gurgite tradunt Durìtìem lapìdum mersìs ino-lescere ramìs”. (Punica Vili, w. 580-581). (Silio Italico evidentemente riferisce quanto troviamo anche in Strabone (1, 6) e in Plinio (Naturalis Historia, 1. 2, C. 103), secondo i quali era peculiarità del Fiume Silarus (Sele) conferire la durezza delle pietre (pietrificare) ai rami che venivano immersi nelle sue acque, conservandone tuttavia colore e forma).

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Le immagini scorrono veloci, la voce del narratore è suadente, la colonna sonora che supporta il racconto è costituita da musiche scelte con estremo buon gusto: vieni rapito e portato in riva a quel che resta dell’antico fiume. Le bellezze naturali, il gorgoglìo delle limpide, freddissime acque, la cultura, l’arte, le tradizioni, il folclore, le processioni beano la tua vista ed accarezzano la tua anima. Sei affascinato ed ammaliato da quel mondo che scorre nelle immagini: insetti in cerca di nettare, un bombo si aggira su uno splendido fiore di campo e lo impollina fecondandolo, una trota aspetta la preda nell’acqua cristallina, gatti sonnecchiano sui muri, i rintocchi della campana, voce dell’anima, immediatamente riconoscibili da chi qui è nato ed è dovuto andar via per cercar fortuna altrove. E mentre le immagini scorrono man mano ti coglie un brivido di piacere, che ti entra fin nell’anima, ti tocca il cuore, ti fa venire la pelle d’oca… e ti fa sentire meglio. E provi invidia per un paese che è tanto amato dai suoi figli e pensi che tutti i nostri paesini, proprio tutti, dovrebbero avere cittadini che li amino allo stesso modo. E poi, come un triste ritornello, ritorna il rimpianto nostalgico per l’acqua che non c’è più e il disperato appello alla sua restituzione. Una delicata, elegante e variopinta farfalla vola e si posa intanto su un altro lussureggiante fiore di campo alla ricerca di nettare, in un paesaggio quasi del tutto intatto, fortunatamente. La fanno veramente da padrone la natura ed il paesaggio di Caposele, in tutti i loro aspetti: rigogliosi e ridenti in primavera o d’estate, un pò tristi, ma sempre bellissimi, con i colori d’autunno o imbiancati dalla neve d’inverno. Ti suscita emozioni particolari e procura sensazioni diverse. Anche quei gatti sornioni, che si godono il sole sonnecchiando sui muretti, Antologia Caposelese

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sembrano parte integrante di un paesaggio, che non potrebbe fare a meno di loro. Chi va a Materdomini per incontrare San Gerardo e ritrovare la pace dell’anima, per ritrovare anche quella della mente non può non tuffarsi nella quiete dei vicoli puliti e delle viuzze eleganti, ordinate, armoniche di Caposele, disastrata dal terremoto del Novembre 1980, ma guarita e ricostruita bene. Ho avuto il piacere di farlo una sera e mi sono trovato a mio agio: una sagra bene organizzata e ben riuscita, attrezzi di una civiltà contadina che non c’è più, serenate con l’organetto, un’ottima cucina, persone cordiali e sorridenti, un mondo a misura d’uomo mi hanno incantato. Una parola a parte meritano gli splendidi portali in pietra, bellamente mostrati nel filmato. Guardando quei portali si è indotti a pensare a quanti hanno varcato quelle porte, magari portando nel cuore tanti sogni o speranze e poche certezze; si pensa a quelli che son partiti per terre lontane e non sono tornati più qui, a quelli che sono partiti per la guerra ed ora il loro nome è scritto su una lapide, a quelli che son tornati ed hanno visto realizzati i loro sogni, magari in una felice famiglia; si pensa a quelli che hanno varcato la soglia di casa in una bara, per finire “all’ombra dei cipressi”, per il riposo eterno. Quei portali insomma ne hanno viste di cotte e di crude, di belle e di brutte, hanno visto di tutto e di più: sogni riposti in un cassetto svanire nel nulla all’alba, speranze andare deluse, rientri a sera di gente distrutta da una giornata di duro lavoro, gioie infinite, dolori immensi ed inenarrabili, nastri rosa e nastri azzurri, barili colmi d’olio e di vino, sacchi di grano e di patate, derrate alimentari, valigie di cartone legate con lo spago…la vita insomma. Il documentario rende infine giustizia ed omaggio anche a tutti i luoghi (Ristoranti, trattorie, ecc. ) in cui è possibile trovare anche i prodotti tipici della cucina irpina, e trovare il benessere fisico. (Provo una grande invidia anche per quel cane che può tuffarsi indenne in quelle limpide e gelide acque…). La Comunità caposelese, defraudata, derubata, rapinata, privata della sua Sorgente e del suo Fiume dall’alto e dalla necessità di… dar da bere agli assetati non ha smesso insomma di lottare. Forse un giorno il rumoroso crosciare dell’acqua che correva precipitosamente a valle, per riposarsi nella piana di Eboli e trovar pace nel mare da cui proveniva, tornerà a farsi sentire con forza e a deliziare i discendenti di coloro che avevano scelto questo paradiso per costruirci un paese ed abitarci. Credo valga la pena citare, non certo per sfoggio di erudizione o per retorica, alcuni pezzi del bellissimo Cap. XVII de “I promessi sposi” del Manzoni: Renzo, per sfuggire ai guai che non è andato lui a cercare, deve raggiungere il Fiume Adda, oltrepassarlo e straregnare al sicuro. Molti sono i suoi pensieri, in

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cima ai quali c’è il Fiume e la salvezza che esso rappresenta: “L’Adda ha buona voce; e quando le sarò vicino, non ho più bisogno di chi me l’insegni…”. Il suo viaggio continua “nella strada fuor dell’abitato, si soffermava ogni tanto; stava in orecchi, per veder se sentiva quella benedetta voce dell’Adda… Tutto tacendo intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un mormorìo d’acqua corrente…Fu il ritrovamento d’un amico, d’un fratello, d’un salvatore…La stanchezza quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer libero e tepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia de’ pensieri, e svanire in gran parte quell’incertezza e gravità delle cose, e non esitò a internarsi sempre più nel bosco, dietro all’amico rumore… Arrivò in pochi momenti all’estremità del piano, sull’orlo di una riva profonda; e guardando in giù tra le macchie che tutta la rivestivano, vide l’acqua luccicare e correre”. Renzo è Caposele e il fiume è il Sele, che urge e scorre nelle vene e nel DNA di ciascuno dei cittadini di questo paese. Non c’è che dire: il documentario “Caposele città di sorgente” coglie pienamente nel segno ed è auspicabile che abbia ampia diffusione, soprattutto tra i Caposelesi sparsi nel mondo, per i quali potrebbe costituire un’ottima strenna natalizia. Complimenti davvero a tutto lo staff che ha curato la realizzazione dello splendido film documentario!

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UN NUOVO FILM-DOCUMENTARIO Mario prof. Sista Sorgente n. 79 Dicembre 2009

Ecco che ora una nuova, fresca valanga di colori e di sensazioni ci attende in questo nuovo video: “Caposele, città di sorgente”. Fresca perché la protagonista indiscussa di questo film è l’acqua.

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distanza di trent’anni un nuovo video documentario su Caposele entra nelle nostre case. Eravamo abituati, ma in effetti non ci si abitua mai, alle belle immagini di “Un anno a Caposele”, un viaggio tra i vicoli, i volti, le tradizioni e gli appuntamenti annuali di una Caposele di prima del sisma del 1980. Ecco che ora una nuova, fresca valanga di colori e di sensazioni ci attende in questo nuovo video: “Caposele, città di sorgente”. Fresca perché la protagonista indiscussa di questo film è l’acqua. Un susseguirsi vivo di scintillii, di particolari, di cascate, di rivoli narrano, in questo video, come tutto ciò che il nostro paese è, lo si deve alla presenza di questo prezioso elemento. È proprio grazie al fiume Sele che il paese è nato, ha Antologia Caposelese

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conosciuto una precisa conformazione strutturale (belle le riprese della Sanità e del Castello, nonché delle strade del paese) ha una storia da raccontare (vedi i primi piani di Palazzo Cozzarelli, del Castello, della Chiesa Madre, di San Vito, di Materdomini) ed un futuro da vivere. Tutto, qui, porta il sigillo dell’acqua. Acqua, però, che è quasi dimenticata perché imbrigliata, captata, sottratta alla vista. Il fume vive però, nel cuore dei caposelesi, nelle bellissime liriche di Vincenzo Malanga, il poeta di Caposele che, con Lorenzo e Nicola Santorelli tramanda, nella delicatezza dei suoi versi, non solo l’amenità di questo luogo, ma anche e soprattutto il mai assopito amore per la nostra piccola città, “piccola per l’umanità, ma grande nel cuore di chi la ama”. Fa dunque riflettere e non poco questo affascinante viaggio che Nicola Conforti ed i suoi collaboratori ci hanno proposto. Nel film anche quando le scene sembrano discostarsi dal fiume (ad esempio quando hanno come soggetto Materdomini o le strade del paese o gli edifici pubblici) pur tuttavia sono in qualche modo legate ad esso: il fiume ritorna sempre interrompendo con forza quasi in alcuni punti le riprese legate agli spazi creati dall’uomo. Perché? Sembra quasi che ci sia negli autori del film il voler ricordare allo spettatore che tutto ciò che si vede qui lo dobbiamo al freddo e bellissimo Sele che generosamente dalle viscere del Paflagone e che da cento anni purtroppo una cupa ed oscura galleria inghiotte e porta in Puglia dove viene bevuto “goccia a goccia come il rosolio di un tempo” come poeticamente afferma in una sua poesia Vincenzo Malanga. Il film non vuole assolutamente fomentare polemiche con l’Acquedotto circa la gestione dell’acqua ma vuole rinfocolare questo mai assopito dei caposelesi nei confronti di queste sorgenti che inutile dirlo non solo sono nascoste ma come ho scritto in un mio componimento in dialetto addirittura ‘carcerate’. I Caposelesi, infatti, non contestano l’invio delle acque del Sele in Puglia, bensì il fatto che la sorgente, da luogo di spettacolo naturale, qui a Caposele è in realtà un carcere oscuro di deturpata bellezza, la cui fruizione turistica poi è semplicemente assurda. Fa rabbia infatti, pensare che in Israele, dove il terrorismo è una minaccia costante, si possono visitare le sorgenti del fiume Giordano nella più assoluta libertà, senza permessi e autorizzazioni, nel loro incantevole scenario naturale, e che a Caposele invece tutto questo è assolutamente impensabile. Le sorgenti del Giordano, contese tra Siria e Israele, ben più imponenti ed importanti di quelle del Sele, sgorgano infatti naturalmente in una sorta di parco ai piedi dell’Hermon dove tutti, Israeliani, Palestinesi, Siriani, possono passeggiare per vialetti ed assistere sotto i loro piedi all’erompere dell’acqua dalle viscere della terra. II parco è dotato inoltre di aree pic nic, di giochi per bambini, di opere d’arte; a valle, a circa due chilometri dalle sorgenti, ci sono poi le opere di captazione

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in cemento armato. Un ipotetico terrorista potrebbe tranquillamente versare del veleno nell’acqua ed avvelenare città come Tel Aviv, Gerusalemme ed altre ancora. Ma nulla di ciò accade. L’acqua infatti qui affratella tutti e vige un sacro rispetto per questo elemento datore di vita. Ma ragionando per assurdo, qualora anche qui a Caposele ci fosse accesso libero alle sorgenti, beh, francamente, il turista rimarrebbe colpito certamente dalla massa d’acqua che sgorga, ma non certo (e questa è cosa detta e ridetta da tutti gli amici forestieri che ho portato alle sorgenti) dal brutto canale collettore e dalle paratoie mastodontiche che tra l’altro ostacolano la vista. Insomma, diciamocelo francamente: le opere di cento anni fa non sono, turisticamente parlando, granché, anzi! Oggi dappertutto, anche grazie all’Unione Europea che spinge in questa direzione, si assiste ad una lodevole opera di valorizzazione delle bellezze antropiche e naturali locali. Basti pensare al settecentesco borgo di Quaglietta, che sta ritornando al suo primitivo splendore. Proviamo solo ad immaginare cosa sarebbe l’area delle sorgenti se fosse possibile (e con le moderne tecnologie lo è, basta solo volerlo) ricreare il lago naturale com’era e dov’era. Magari protetto dalle intemperie e dall’uomo da una enorme, artistica cupola di vetro e, perché no, abbellito da opere d’arte. Cassano Irpino vanta una simile struttura in cemento, perché Caposele non dovrebbe impreziosirsene? A questo punto faccio mie le parole del film, perché cadono a pennello: “La sorgente se c’è deve vedersi, il fiume se c’è deve scorrere!”. Son passati solo cento anni, e le strutture di captazione non è che siano poi tanto antiche da non poter essere assolutamente toccate. Io penso che questo sia il sogno dei Caposelesi: di vedere, di sentire, di avvertire di nuovo la propria ricchezza, l’acqua. Di poterla salutare nel suo giusto viaggio verso le Puglie, di poter essere feri di poter contribuire al benessere di popolazioni che altrimenti rimarrebbero senza questa risorsa. Speriamo che l’Acquedotto pugliese, con tutti gli introiti che ha, si ricordi una volta per tutte di Caposele e contribuisca al rilancio turistico, con l’abbellimento delle sorgenti, di questo nostro paese. Stiamo ancora aspettando da cento anni un bellissimo monumento al Sele da erigersi nella zona delle sorgenti, monumento del quale una volta, anni fa, ho visto il progetto. Io ci credo al sogno che da sempre coltivo, di poter vedere cioè, in un giorno lontano, scintillare di nuovo alla luce del sole nel suo laghetto l’acqua, il più bel monumento che la natura ha dato a Caposele e che ora, a dispetto di altre sorgenti tutelate, visitate, valorizzate nella loro bellezza, qui nel nostro paese da cento anni giace sepolta. Speriamo di poter portare un giorno i nostri bambini al risorto lago delle Antologia Caposelese

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CAPOSELE SORGENTE di acqua e di Fede Giuseppe Palmieri – La Sorgente n.79 – Dic. 2009

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sorgenti e magari dire loro le stesse parole che Vincenzo Malanga ha lasciato in consegna a noi: “Guarda come scorre il fiume e come le gocce saltellano sulle pietre più chiare e rotonde, venute da lontano, chissà da quanti anni…” Purtroppo, per ora bisogna constatare, e il film lo sottolinea, che “è pugliese ormai quell’acqua”, soltanto pugliese, e non ancora, come è giusto che sia, caposelese.

Le sorgenti prima libere e poi forzatamente costrette in anguste gallerie. L’acqua, la sua lim­ pidezza, la sua trasparenza, i suoi colori, il suo fluire. Immagini che colpiscono e lasciano una traccia indelebile nello spettatore attento.

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’ultimo Ferragosto Caposelese, in ordine di tempo, ovvero quello del corrente 2009, sarà ricordato soprattutto per la presentazione al pubblico del film documentario Caposele, Città di Sorgente. Innanzitutto, per lo scenario che ha fatto da “sipario” alla manifestazione e poi per la qualità delle immagini ed i contenuti del filmato. Lo scenario è stato quello di piazzetta Castello (ndr, la denominazione è mia); angolo suggestivo e poco valorizzato del nostro Paese. I commenti sono stati arricchiti con poesie di nostri illustri concittadini. Prima di andare con la mente alle suggestioni che ho provato vedendo il filmato, una considerazione fatta a margine della serata: siamo stati capaci di ricacciare in un angolo (quasi inaccessibile) l’anima e il cuore pulsante del nostro Paese: l’acqua. Anziché farne risaltare la presenza, l’opera dell’uomo, negli anni, l’ha occultata. Il visitatore ignaro di questa nostra grande ricchezza, non si accorge che si trova nel Paese dell’acqua e fatica a credere nella centralità di questo elemento della natura per la nascita e lo sviluppo della nostra comunità. Anche il fiume (poco più che un rigagnolo, ormai), oggetto negli anni di oltraggio e scippo, scientificamente programmati, sembra svanito nel nulla; bisogna cercarlo per poterlo scorgere; bisogna impegnarsi per poterlo ammirare. Insomma, una antologia dell’incuria dell’uomo che non preserva e valorizza i luoghi simboli della propria storia. D’altra parte (e veniamo alle suggestioni del filmato), la lapide all’ingresso delle sorgenti e l’area adiacente le stesse, ne sono la prova tangibile. Io non credo che la bellezza del documentario sia (solo) frutto della bravura del reporter e del commento

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(molto ben curato) che lo accompagna. Penso per davvero che le immagini ritraggano luoghi incantevoli che non hanno nulla da invidiare a siti molto più rinomati e conosciuti. Per vero, la conformazione morfologica dell’abitato, com’è andato implementandosi negli anni, tradisce se non una vera e propria chiusura verso l’esterno di queste bellezze, quantomeno una certa gelosia nel preservarle e nasconderle agli altri. Questa ritrosia ad aprirsi all’esterno fa da contraltare alla natura propria del bene primario del nostro Paese, l’acqua, che per vocazione, è un’entità non chiusa ma aperta. Essa, naturalmente, dopo un lungo peregrinare va a morire in un luogo assolutamente diverso e distante da quello di nascita. L’acqua, quindi. Elemento fondante ed assolutamente caratterizzante il filmato. Le sorgenti prima libere e poi forzatamente costrette in anguste gallerie. L’acqua, la sua limpidezza, la sua trasparenza, i suoi colori, il suo fluire. Immagini che colpiscono e lasciano una traccia indelebile nello spettatore attento. Ma Caposele non è solo città di sorgente d’“acqua”. E’ anche sorgente di “fede”. La Basilica di San Gerardo e il Convento dei Padri Redentoristi ne sono una tangibile testimonianza. Il luogo dove sono ubicati ne esalta la funzione e la bellezza. Materdomini, scelta da Sant’Alfonso de’ Liguori come sito di una sua “casa” è situata su una collina che domina l’Alta Valle del Sele. Da un lato è dato scorgere il paese capoluogo, dall’altro, il sinuoso (e per certi tratti, tortuoso) cammino dell’alveo del fiume Sele che corre in direzione del mare Tirreno, verso l’antica Paestum. Posto incantevole, climaticamente favorito dall’influenza delle correnti del Golfo di Salerno. E’ qui che sorgono la vecchia e la nuova Basilica: due modi di concepire il luogo di culto (ovviamente condizionato dalla diversa epoca di realizzazione), oltre al convento. All’interno del complesso, la stanza di San Gerardo (ovviamente, riprodotta) con il necessario per la vita del Santo: un letto, un crocifisso, un teschio, un lavabo e gli strumenti per infiggersi penitenze corporali. La tomba di San Gerardo, nella Basilica vecchia, dove sono custodite le spoglie del Santo. E poi la processione di San Gerardo, con la statua del Santo preceduta dalle “Gerardine” e seguita dalla folla dei fedeli. La banda musicale. La Materdomini commerciale, ricca di ristoranti, alberghi ed altri esercizi commerciali con la mercanzia esposta, segno di una vivacità economica troppo spesso mortificata dalle istituzioni o comunque da queste non sufficientemente supportata. La chiesetta di San Vito che si inerpica su una roccia e rimarca l’anelito e la ricerca del Regno dei Cieli. Un’immagine quasi plastica della aspirazione dell’uomo verso l’Alto. E poi le immagini suggestive del Paese che fu col Castello e le vecchie costruzioni a farvi da corona. Antologia Caposelese

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GIUSEPPE PALMIERI

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Una struttura la cui impronta prima del terremoto era ben visibile e che invece oggi è ridotta a pochi ruderi. Una struttura e un sito che forse è il caso pensare di recuperare. La nuova Chiesa Madre, secondo alcuni un’opera d’arte, con la copertura che richiama i movimenti dell’acqua (e ad altri le lungaggini per averla). Le nuove costruzioni realizzate dopo il terremoto, con i portali in pietra recuperati dalle macerie, ma con le porte in alluminio. La Madonnina di Piazza Francesco Tedesco. Una piazza che andrebbe valorizzata perché è una delle poche di forma rettangolare e chiusa a tutti i lati. Insomma (il documentario) una bella opera d’arte frutto dell’amore profondo per il proprio paese. Un’ultima osservazione, rispetto alle tante frettolosamente messe insieme in precedenza. La presenza (nel filmato) di persone non più in vita induce ad una riflessione e ad un proponimento. La riflessione: la caducità degli esseri umani rispetto all’eternità di ciò che ci circonda. Il proponimento: preservare il nostro patrimonio ambientale alle future generazioni.

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BENVENUTI A CAPOSELE Gerardo Viscardi

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In un tempo non molto lontano, invece, anche se non mancavano gli scon­ tri e i confitti individuali, ci si riconosceva per uguaglianza. C’era più espe­ rienza condivisa da cui derivavano molte più possibilità di dire “noi siamo”. Ci si sentiva accomunati dal lavoro fianco a fianco, dal senso inequivocabile delle stagioni, dall’impronta fisica dei luoghi, dal frutto del lavoro nei campi. Semplicemente, ci si cercava per appartenenza.

In un tempo non molto lontano essere caposelesi significava tutt’altra cosa rispetto a ciò che ciascuno di noi può sperimentare oggi. Era chiaro a ognuno cosa comportasse vivere nella stessa comunità perché tutti partecipavano, più o meno consapevolmente a un naturale progetto di grande condivisione sebbene non vi fosse la possibilità di stare in contatto, come avviene oggi, sempre e ovunque. Niente facebook, niente sms, niente di niente. Eppure, eravamo più vicini di quanto lo siamo oggi. Esisteva una ritualismo da cui nessuno poteva evadere. Una realtà fatta di momenti universali che travolgevano inevitabilmente tutti. Il lavoro dei campi, le feste comandate, i santi in processione. Momenti che, vuoi o non vuoi, si riversavano nel vissuto di tutti andando a costituire quel meraviglioso bagaglio che ogni individuo assorbe nel corso della propria esperienza di vita e da cui si origina la sua identità. Che

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cos’è, infatti, l’identità di una persona se non l’insieme delle sue esperienze di vita ? Un tempo, le possibilità che aveva un soggetto per definire la sua identità potevano essere immaginate come un curriculum che conteneva al massimo una decina di voci: età, residenza, sesso, professione, titolo di studio e poco altro. Oggi cento voci non basterebbero. Pensateci bene, quante cose in più può essere uno oggi ? Può essere un impiegato di terzo livello, fan di Claudio Baglioni, può essere stato in vacanza a Londra e a Madrid, milanista, abbonato a sky, membro facebook del gruppo di quelli che amano rompere il bicchiere di plastica dopo aver bevuto, azionista di minoranza, alle prese con l’istallazione del decoder del digitale terrestre, può conoscere il tedesco, può essere esperto d’informatica, dark, di tendenza e fuori corso all’Università. Una miriade di esperienze possibili che generano identità multiple e frammentate. Va da sé che è più facile rapportarsi l’un l’altro per differenze. Io sono più preparato di Tizio, ho un’auto meno spaziosa di Caio, suono meglio di Sempronio. Ed è così che ci si riconosce, per differenze. La partecipazione sociale, anzi, avviene proprio attraverso la loro ostentazione. Fino a non molto tempo fa “essere alla moda” era un complimento, oggi è un’offesa. Taluni si aspetterebbero addirittura che Armani metta in vendita un solo capo di quel pantalone perché hanno paura che, se dovessero indossarlo anche altri, il pantalone perderebbe di valore. Un tempo, invece, nel mese di ottobre c’era la vendemmia. Riguardava giovani e anziani, maschi e femmine, caposelesi e materdominesi, senza che nessuno si ponesse il problema di che tipo di pantaloni indossasse compare Nicola, con buona pace dello stilista … e di Nicola. Questo cambiamento alla base delle relazioni sociali non è certamente imputabile a un mutamento antropologico. Non siamo affatto più cattivi o più stupidi di un tempo, abbiamo solo più occasioni di auto-definizione, più opportunità di dire “io”. I sintomi della voglia di relazionarsi come io, sono evidenti nell’isterismo che esibiscono gli individui sulla scena pubblica, in una gara sfrenata che punta all’ostentazione di sé. Ecco, allora, spiegato il successo di youtube, di facebook, dei talk show e reality televisivi che fondano il loro successo sull’ostentazione delle identità più eccentriche. Non sono da meno le istituzioni, anch’esse adeguatesi alle esigenze di questo processo di moltiplicazione degli “io”: il sistema televisivo ha calibrato la propria offerta in base alla scomposizione del pubblico offrendo centinaia di canali adatti a ciascun tipo di audience. Lo ha dovuto fare dal momento in cui gli spettatori sono diventati troppo esigenti per essere riuniti sotto un unico canale. Anche i partiti politici hanno deciso di cavalcare l’onda e puntare sulle identità a discapito delle propensioni onnicomprensive dell’ideologia. La Lega Nord fonda la sua ragion Antologia Caposelese

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d’essere sulle presunte peculiarità culturali delle genti padane. Il partito italiano più votato chiede il voto in nome delle capacità imprenditoriali del suo leader e ricorre all’affascinante storia personale di un uomo che si è fatto da sé che, all’occorrenza, può diventare operaio, pensionato, casalinga e chi più ne ha più ne metta. Insomma, il portato più subdolo della modernità, a cui non poteva essere immune nemmeno l’insieme delle persone che abitano alle pendici del Monte Plafagone, è la crescita delle possibilità di sentirci altro rispetto ad altri. E’ accaduto così che anche noi abbiamo, pian piano, imparato a riconoscerci per differenze. Lo spartiacque epocale di questa trasformazione, il momento che ha segnato “il prima e il dopo”, lo si potrebbe collocare in quella fatidica data del 23 novembre 1980. Dopo esserci sentiti accomunati dall’immane sciagura, dallo scherzo crudele del destino a cui nessuno poteva sottrarsi, abbiamo iniziato a costruire, a poco a poco, assieme alle case, delle strane barriere. Barriere immateriali che ci consegnano oggi un paese integro nelle abitazioni ma spaccato sul piano dei rapporti sociali, incapace di ragionare come comunità e pronto ad animarsi solamente ogni qual volta si presenta l’occasione buona per sentirsi opposti a qualcuno o diversi da qualcos’altro. Ne sono esempi l’animosità delle recenti dispute elettorali che si trascina per anni e che inasprisce i rapporti interpersonali, la rivalità spietata che anima le nostre imprese commerciali, la frattura tra Materdomini e Caposele, la separazione tra centro e periferia, la distanza tra generazioni, le rivalità tra gruppi all’interno della stessa generazione, sempre più concentrati, come accade, a definirsi punk piuttosto che reggae, buoni piuttosto che fessi. In un tempo non molto lontano, invece, anche se non mancavano gli scontri e i confitti individuali, ci si riconosceva per uguaglianza. C’era più esperienza condivisa da cui derivavano molte più possibilità di dire “noi siamo”. Ci si sentiva accomunati dal lavoro fianco a fianco, dal senso inequivocabile delle stagioni, dall’impronta fisica dei luoghi, dal frutto del lavoro nei campi. Semplicemente, ci si cercava per appartenenza. Che fare, allora? Ad aprile scorso, settantotto ragazzi caposelesi hanno fatto una scommessa, quella di provare ad animarsi per unire piuttosto che per dividere. Partecipare piuttosto che assistere. Condividere piuttosto che escludere. Creare un pretesto per dire “noi” piuttosto che “io”. Così è nata la Pro Loco Giovani, un movimento non politico che si pone come obiettivo primario la creazione di momenti di partecipazione e di promozione culturale disinteressata, nella speranza che l’insieme delle esperienze vissute in prima persona e condivise con la collettività possano essere riposte in quel magico fardello di esperienze a cui attingiamo per costruire la nostra identità.

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Abbiamo guardato alla riscoperta delle nostre tradizioni perché è lì che è radicato il senso di ciò che eravamo ed è li che bisogna attingere per capire ciò che saremo. Le abbiamo coniugate con lo spirito di innovazione che inevitabilmente contraddistingue le nuove generazioni con l’obiettivo di dare vita a delle esperienze condivise che ci facciano ricordare il passato e pensare al futuro come “noi”, perché siamo convinti che qualsiasi progetto di sviluppo turistico o culturale di un paese non può prescindere da un coinvolgimento pieno dei membri della sua comunità. E’ accaduto così che, per la prima volta, ci siamo ritrovati insieme alla generazione delle nostre nonne nel rito della preparazione dei fusilli e delle matasse nei giorni della sagra. E’ accaduto così che ci si è ritrovati a ingrassare il palo della cuccagna e che padri e figli abbiano ne abbiano tentato la scalata, rivivere sottoforma di Donkey Race la tradizionale “corsa dei ciucci”di cui ci hanno parlato i nostri genitori, ballare nella più grande quadriglia che Caposele abbia mai visto, appiccicare i manifesti per le strade di Battipaglia, ritrovare il nome di Caposele sulle pagine dei quotidiani non solo per fatti di cronaca ma per un evento musicale degno di essere riportato come è lo è stato Ammuìna Music Fest. E’ accaduto così che ci siamo sentiti molto più vicini di quanto lo fossimo mai stati, accomunati dalla stessa etichetta, quella “caposelesità” degna di essere esibita al di fuori dei nostri confini geografici, senza complessi d’inferiorità e senza divisioni di sorta. Non più destra o sinistra, giovani o anziani, maschi o femmine, Materdomini o Caposele, bensì parte attiva di uno stesso progetto, quello di restituire integro al nostro paese quello che il nostro paese ci distribuisce in pezzi. Lo abbiamo fatto con impegno, sacrificando ore di lavoro, di studio e rinunciando alle vacanze. Ricorrendo a mille peripezie per sopperire alle mancanze organiche che il nostro paese si trascina oramai da anni. Mi riferisco all’assenza di reali politiche di sviluppo sociale e alla carenza di risorse economiche e strutturali con le quali abbiamo dovuto fare i conti. Lo abbiamo fatto con l’aiuto di bar, ristoranti, pizzerie, imprese, officine e commercianti, perché la storia passata e recente ci insegna che “senza soldi non si cantano messe”. Lo abbiamo fatto con grosse difficoltà soprattutto perché fatichiamo a pensarci come comunità noncuranti del fatto che qualsiasi discorso sullo sviluppo passa attraverso il sostegno e la partecipazione di tutti gli attori che la abitano. Cittadini, imprese, istituzioni, associazioni, debbono prendere coscienza del fatto che è necessario recitare ciascuno la propria parte all’interno di uno stesso copione. Nessuno si senta escluso. Perché solo quando impareremo a superare le fratture che ci tengono divisi e a camminare fianco a fianco, potremo dire … benvenuti a Caposele”.

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LA SCRITTURA, LA PASSIONE, L’INDIGNAZIONE E IL CORAGGIO di Antonello Caporale

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crivere significa anche organizzare un pensiero, fargli imboccare una strada, delineare un percorso, suggerirgli un approdo. Scrivere significa organizzare le idee, affiancarle, sostenerle, difenderle. Un giornale contiene tanti pensieri e segna nel tempo un’idea di vita e comunità. La Sorgente, nei suoi ottanta numeri – parecchi dei quali ho sfogliato e anche amato – ha raccolto la vita di Caposele. Imperdibili per chi come me analizza la società anche e soprattutto attraverso i segni minimi che essa esibisce, gli spazi dedicati ai luoghi comuni, i detti e i contraddetti, il topos della nostra memoria, la saggezza forse banale ma sincera di una vita lenta e nascosta dai centri vitali e metropolitani dell’economia e della politica. Ogni comunità, per sentirsi tale, dovrebbe godere del suo punto di incontro, crocevia della memoria collettiva. Ogni paese dovrebbe avere un suo giornale, un suo diario. Invece non è così, purtroppo. Perciò è tanto più preziosa, da apparire ineguagliabile, la tenacia e la tempra che negli anni hanno portato Nicola Conforti a raccogliere, leggere, rileggere, e infine stampare. Ai disattenti questa dedizione verrà equiparata a un hobby personale, un modo singolare per sentirsi vivo e utile, centrale, determinante. Invece non sa che La Sorgente è un’opera che – si potesse – dovrebbe venire accompagnata da ogni riguardo, da ogni speciale attenzione. Io penso che le persone si dividano in due sole categorie: i talentuosi e i mediocri. Ho scritto un libro per approfondire la questione, e sono convinto che il mediocre non sia un fesso ma colui che sa stare in fila. Aspetta silente il suo turno, appoggia la sua mano su una corda e attende che qualcun altro, il capo cordata, la tiri. Il mediocre aspira all’immobilismo, evita ogni competizione, non approfondisce, non studia, non s’impegna. La mediocrità conserva e sclerotizza. Mentre il talento innova ed espande. Se ogni comunità avesse un suo giornale, come Caposele ha la sua Sorgente, ci sarebbero di sicuro meno mediocri in giro. Di sicuro la classe dirigente sarebbe meglio selezionata, verrebbe meglio sostenuta o anche (e per fortuna) compiutamente contestata. Noi tutti abbiamo la colpa di scambiare la cabina elettorale per una cabina da mare. Senza responsabilità votiamo. E spesso votiamo i peggiori. Non ci allarmiamo, non ci indigniamo, non ci battiamo. Ignavi e con la schiena sempre piegata.

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ANTONELLO CAPORALE

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Lo facciamo perché siamo mediocri, perché non abbiamo passioni. Guardiamo alla Campania, al letamaio di comportamenti, alle biografe di chi dovrebbe organizzare la nostra vita, il nostro futuro. Sono profili spesso compiutamente criminali ai quali diamo appoggio e perfino plauso. Questa è la nostra responsabilità. Avesse avuto questa regione tante piccole sorgenti di pensiero, forse qualcosa di meglio, appena più potabile e civile, avrebbe generato. Sant’Agostino, se non erro, diceva che la speranza ha due piccoli figlioletti: lo sdegno e il coraggio. Sperare significa coltivare passioni, lottare, impegnarsi, avere senso e rispetto per il bene comune. Significa alzare la voce avanti l’Autorità costituita se essa si prostituisce ed emigra nei sottoscala della civiltà. Auguro a La Sorgente mille e mille altri numeri. Mille e mille altre parole. Una raccolta e sistemazione di ogni pensiero. Di destra e di sinistra. Alto e basso. Devoto o ateo. Un pensiero di passione, di denuncia, di indignazione. Di speranza. LA SORGENTE: LUCI ED OMBRE EDITORIALE- N. 80 – Agosto 2010 Nicola Conforti

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Sono alla guida di questo giornale da quasi quaranta anni. Solo qualche dato: ottanta numeri, migliaia di pagine e di immagini raccolte in cinque volumi raccontano la vita, la storia, le tradizioni e le esperienze del nostro popolo. In tanti anni abbiamo raggiunto molti obiettivi e accumulato un bagaglio di esperienze che ci consentono di guardare avanti con fiducia e con ottimismo. Tante soddisfazioni e qualche rammarico: luci ed ombre come in tutte le attività della vita. Le luci sono chiaramente visibili nelle 56 pagine di questo numero speciale, che rappresenta il “top” del nostro lavoro oltre che il traguardo che intendevamo raggiungere. Le ombre sono rappresentate dall’assenza di tante persone che purtroppo non ci sono più, e che hanno reso più arduo e difficile il nostro compito. Questa volta una ragione in più è venuta a rattristarci : un folto gruppo di giovani aveva bussato alle porte della nostra organizzazione. Erano entrati in punta di piedi e ne sono subito usciti sbattendo la porta. Antologia Caposelese

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EDITORIALE

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Avevano preteso “tutto e subito” incuranti delle regole che sono alla base di qualsiasi seria organizzazione. Io sono certo, o almeno me lo auguro, che da parte dei giovani ci sarà un ripensamento e che, con un piccolo sforzo di umiltà, sapranno ritornare sui loro passi e considerare con maggiore “obiettività” le motivazioni che sono state alla base di un “ assurdo” dissidio. Noi, fosse anche per forza d’inerzia, andremo ugualmente avanti. Non si è ancora spento l’entusiasmo e la volontà di produrre qualcosa a favore del nostro Paese, convinti come siamo che per essere utili alla comunità è necessario e sufficiente impegnarsi con o senza cariche di comando.

ALMA TERRA NATIA La Sorgente n. 80 – Agosto 2010 Cettina Ciccone

Le mie radici e la mia infanzia, sono rigorosamente caposelesi e siccome soltanto chi è lontano dal proprio paese di origine sente la nostalgia della terra d’origine, mi accingo quindi a manifestare, su queste pagine, il mio sentimento nell’intento di risvegliare ricordi sopiti in chi vi è nato ma che per scelta o per altri casi che la vita riserva a tutti noi, ha dovuto allontanarvisi.

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on mia grande soddisfazione ho ricevuto dal Direttore Ing. Nicola Conforti l’invito a riportare, su queste pagine, alcuni miei pensieri da dedicare all’ottantesimo numero del pregevole periodico “LA SORGENTE ed a tutti i miei conterranei che, come me, vivono e lavorano lontani dal loro luogo di origine. Sono ben lieta di portare il mio modesto contributo nel segno della profonda stima e sincera amicizia che ci unisce. Ammirare, oggi, Caposele e la sua bella frazione di Materdomini, non può non ridestare in me un insieme di sensazioni e di sentimenti contrastanti: da un lato il rapido sviluppo che ha caratterizzato questo territorio negli ultimi anni con la presenza di apprezzabili alberghi, ristoranti, iniziative turistiche, culturali e manifestazioni religiose legate soprattutto al Santuario di San Gerardo Maiella, dall’altro lato il riportarmi ai più teneri ricordi dell’epoca della mia infanzia. ”LA SORGENTE” è ora compagna fedele, testimonianza precisa, puntuale ed inequivocabile di tali trasformazioni. E’ sufficiente osservarne la bellissima veste editoriale e tipografica, gli interessanti articoli, le memorie storiche e tutto ciò che colpisce l’animo del lettore, è genuina appassionante come solo lo sanno essere le storie vere, che riguarda-

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no la vita quotidiana di tante persone, con le loro gioie ed i loro dolori, le scelte e le nostalgie. A tutto ciò si aggiunge lo stupendo DVD “Caposele città di Sorgente”, film documentario “CineFoto Archivio Conforti” dove, oltre alle bellissime vedute panoramiche e le zone urbane, si può apprezzare il commento realizzato con voce suadente e coinvolgente. Desidero quindi portare il mio pensiero, che spero sarà gradito ai lettori. Le mie radici e la mia infanzia, sono rigorosamente caposelesi e siccome soltanto chi è lontano dal proprio paese di origine sente la nostalgia della terra d’origine, mi accingo quindi a manifestare, su queste pagine, il mio sentimento nell’intento di risvegliare ricordi sopiti in chi vi è nato ma che per scelta o per altri casi che la vita riserva a tutti noi, ha dovuto allontanarvisi. La mia vita infatti mi ha portato lontana da questi nostri amati luoghi, quando ancora ero poco più di una bambina, per poter svolgere gli studi ai quali mi sono dedicata con continuità. Ho lasciato il capoluogo all’età di circa tre anni e mezzo per trasferirmi con i miei genitori a Materdomini. In quell’epoca erano molti gli abitanti di Caposele che lasciavano la loro terra in cerca di lavoro e di una vita che potesse fornire loro un futuro migliore, ma io mi ritengo fortunata poiché la mia famiglia è riuscita ad affrontare bene le difficoltà di quel tempo e poi, negli anni successivi, per ragioni di studio, ho dovuto trasferirmi altrove per diversi anni ed ho quindi potuto rivedere Caposele-Materdomini soltanto nei periodi delle vacanze scolastiche. Ricordo quando da piccola percorrevo a piedi il ripido sentiero del bosco ricco di rovi, unico percorso breve che dal piazzale antico del Santuario conduceva a Caposele, in compagnia della indimenticabile nonna Concetta che mi teneva per mano per evitarmi di cadere. Ogni tanto vedevo qualche serpentello nero probabilmente un orbettino, che mi spaventava. A quei tempi non esistevano brevi strade, agevoli e ben pavimentate, ma soltanto una lunga strada carreggiata di qualche chilometro, tuttora esistente, che dal colle di San Gerardo conduceva a Caposele. Ancora oggi, affacciandomi dal piazzale su questo versante mi ritornano alla mente le parole del Carducci: “...solenne, vestita di nero parvemi riveder” nonna Concetta che spesso mi raccontava favole entusiasmanti. “Deh come bella, o nonna, e com’è vera è la novella ancor! Proprio così e quello che cercai mattino e sera tanti e tanti anni in vano, è forse qui...” Nel tempo ho notato che l’aspetto della cittadina con la sua ridente frazione sita sulla collina stava lentamente iniziando il proprio sviluppo e ciò ha aumentato in me il desiderio di ritornare più spesso a Materdomini dove risiedeva la mia famiglia e quindi anche a Caposele, per incontrare le persone amiche. Antologia Caposelese

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Ogni volta ho sempre avuto modo di osservare e constatare il miglioramento urbanistico, la nascita di attività turistiche e di sviluppo commerciale, nonché le migliorie che man mano venivano apportate a tutte le strutture preesistenti. Terminati gli studi liceali a Sorrento non è mai venuto meno in me il desiderio di poter riscontrare periodicamente tali meravigliosi mutamenti anche se, sempre per motivi di studio, mi sono trovata a continuare, a completare presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna fino alla specializzazione esercitando poi ,sempre in tale città, l’attività che ancora adesso svolgo. Ho sempre sentito la nostalgia per la terra delle mie origini recandomi, ogni volta che gli impegni me lo hanno consentito, a respirare la dolce aria della Terra Irpina. Ho notato la crescita di quel territorio che, un tempo e con poche risorse, andava invece man mano progredendo in tutti i suoi aspetti. Purtroppo questa mia gioia è stata improvvisamente cancellata in una soleggiata giornata bolognese. Era il 24 novembre, un lunedì mattina non lo scorderò mai! Ecco il resoconto di quel giorno. Come tutte le mattine acquisto il quotidiano locale IL RESTO DEL CARLINO, che, a caratteri cubitali, riporta sulla prima pagina testuali parole: “Disastroso terremoto nel Sud, centinaia di morti fra le macerie”. Il terremoto? Ma dove? Leggo d’un fato con il cuore in gola, più sotto si parla di palazzi crollati a Napoli ed in Basilicata. Ma notizie particolari su Avellino non ne trovo. Cerco ripetutamente per telefono le persone della mia famiglia ma senza esito perché tutte le linee telefoniche sono interrotte. Raccontare oggi tale evento potrebbe apparire non credibile, i cellulari purtroppo all’epoca non esistevano. Via via notiziari drammatici continuano a citare Conza della Campania, Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Caposele, Muro Lucano ecc. segnalando numeri imprecisi di morti. Viene comunicata anche l’impossibilità di raggiungere queste località: Ofantina bloccata, ponti crollati, strade interrotte. Telefono a Lorenzo Sozio a Bellinzona dove lavora chiedendo se ha notizie, ma anch’egli non è informato. Non rimane altro da fare che partire alla volta di Caposele. Lorenzo arriva in breve tempo a Bologna ed insieme a lui e mia sorella raggiungiamo Materdomini. A fatica superiamo una colonna di soccorritori in un paesaggio surreale di macerie fumanti che non riconoscevo più. Quando ho visto i miei genitori, la nonna Concetta ed i parenti tutti sani e salvi nel piazzale retrostante il Santuario, sono esplosa di gioia. Ritornandovi in quei giorni ho provato solo grande amarezza nel non trovare

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quelle cose con le quali avevo familiarizzato. Ahimè la Basilica di San Gerardo era un cumulo di macerie, a Caposele non esistevano più la Chiesa parrocchiale, il fabbricato delle scuole, le abitazioni di numerose persone conosciute e tutto quanto era rimasto impresso nei miei ricordi. Superata la commozione per la scomparsa delle persone e delle cose da me tanto amate, mi è rimasta la consolazione di constatare la presenza della mia mamma, che è ora quasi novantenne ed in buona salute, dei miei fratelli con le rispettive famiglie, gli altri parenti e gli amici più cari coi quali, tanto io quanto i miei genitori, abbiamo condiviso periodi felici. Indimenticabile è la carissima zia Elisa, personaggio di eccezionale originalità, sempre informata su tutti gli episodi della vita locale e sempre pronta ad elargire aiuti a chi ne ha bisogno. Non meno intensamente il mio pensiero va a coloro che in seguito al cataclisma del 23 novembre del 1980 hanno perso la vita. Penso però anche a chi ha dovuto lasciare forzatamente i nostri bellissimi monti Picentini e le armoniose sorgenti del Sele per emigrare verso terre sconosciute, soffrendo di nostalgia nel partire e vedere allontanarsi il paesaggio tanto amato che ha dato loro i natali. Ricordo in particolare con piacere il nostro conterraneo Umberto Gerardo Malanga che vive a San Paolo in Brasile, il quale nonostante il suo grande successo nell’ambito della propria attività lavorativa e nel personale percorso di vita, è sopraffatto continuamente dalla nostalgia per la sua terra natale, espressa nel suo ricco repertorio di poesie, dove, quasi alla maniera del grande maestro Virgilio, ne esalta la bellezza dell’ambiente campestre e boschivo. Alcuni dei suoi scritti sono comparsi su qualche numero de “La Sorgente”. A mia volta ho avuto modo di leggere ed ascoltare anche talune sue composizioni musicali che rendono ancora più struggenti le sue belle espressioni. Immagino infne quanti, non avendo avuto la possibilità di ritornare in Patria e rivedere i luoghi cari, giunti al termine della propria vita avrebbero voluto poter dire leopardianamente: “ALMA TERRA NATIA, LA VITA CHE MI DESTI ECCO TI RENDO”

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2010 LA SORGENTE: il giornale di tutti Sorgente N.80 –Agosto 2010 di Rodolfo Cozzarelli

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Mi piace rammentare che questo giornale unisce nel ricordo tanti nostri concittadini che vi­ vono altrove ma che hanno mantenuto un pezzo di cuore legato indissolubilmente al loro piccolo paese natio e lo ritrovano rappresentato, con grande emozione e commozione, nel giornale che non considerano più solo della Pro Loco ma espressione e proiezione della loro terra di origi­ ne. Riconosciamone come loro l’importanza e accompagniamone la crescita con suggerimenti e consigli.

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ondata nell’ormai lontano 1973 da un gruppo di persone che ne previde l’importanza, essa ha conosciuto uno sviluppo ed un successo sempre crescenti nel tempo dovuti all’impegno costante e appassionato profuso dal suo Direttore. “La Sorgente” in quasi quaranta anni di vita e ottanta numeri di edizione, ha accompagnato la vita di tutti noi facendo informazione e da memoria storica di fatti e avvenimenti altrimenti perduti. Mi piace rammentare che questo giornale unisce nel ricordo tanti nostri concittadini che vivono altrove ma che hanno mantenuto un pezzo di cuore legato indissolubilmente al loro piccolo paese natio e lo ritrovano rappresentato, con grande emozione e commozione, nel giornale che non considerano più solo della Pro Loco ma espressione e proiezione della loro terra di origine. Riconosciamone come loro l’importanza e accompagniamone la crescita con suggerimenti e consigli. In un paese che offre poche possibilità di aggregazione e di comunicazione “La Sorgente” rappresenta un’occasione di progresso culturale e sociale da non perdere. Il numero notevole di laureati, di diplomati, di persone colte ed intelligenti, è un segno forte e tangibile delle potenzialità di sviluppo che può conseguire Caposele. Purtroppo ognuno corre da solo o contro gli altri. Occorre cambiare questo modo di pensare e di cercare invece di collaborare, di stare insieme nel rispetto reciproco e nell’accettazione dell’altro anche se diverso. Si può anche non essere d’accordo con le idee dell’altro ma questo non deve indurre nessuno a considerarlo un “nemico”. Dove finisce la democrazia e la tolleranza quando non accettiamo la diversità di idee di opinioni? Anche la competizione elettorale, che è il momento più infuocato dello scontro politico, rappresenta scelte diverse ma tutte volte a conseguire lo sviluppo del posto in cui siamo nati; una volta terminate le votazioni torniamo ad essere tutti cittadini della stessa comunità che vogliamo più vivibile e progredita. In qualunque modo la pensiamo tutti abbiamo un solo scopo il bene del nostro piccolo paese natio. Odi e rancori portano con sé divisioni e contrasti che avvelenano il luogo dove viviamo. Comprendiamo finalmente e con umiltà che le sole strade da per-

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RODOLFO COZZARELLI

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seguire sono quelle del dialogo e dell’accettazione dell’altro. Avremo un paese migliore e più moderno. L’ultimo incontro promosso dai giovani di Caposele nella sala polifunzionale ha confermato la loro vivacità intellettuale, la loro volontà di fare e di partecipare alla formazione ed alla costruzione di un ambiente più proficuo per tutti. Impegniamoci a tradurre in fatti il loro desiderio di impegno e accompagniamo le loro aspirazioni di miglioramento senza contrastarle. Mi ha colpito un concetto espresso da un giovane partecipante e cioè che Caposele è un paese più pronto allo scontro che all’incontro. Più propenso alle divisioni piuttosto che all’unione. C’è molta parte di verità in questa affermazione, ma è proprio questo che ci deve spronare a cambiare tale mentalità considerando che essa ci frena ed impoverisce tutti. A chi giova lo scontro? Credo a nessuno. La pace acquieta gli animi e volge le menti a cose più utili e costruttive. “La Sorgente”, riconosciuto come il giornale di tutti, può assumere un ruolo fondamentale di trasformazione e crescita culturale e sociale del nostro piccolo mondo, ma deve diventare sempre più autonoma ed imparziale, espressione di tutte le idee in cui l’intera collettività si possa riconoscere ivi compresi quelli che la contestano ritenendola di parte.

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UNA NUOVA FASE PER IL TURISMO A CAPOSELE – Sorg. n. 80 Agosto 2010 di Alfonso Merola

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Il turismo è un’attività economica che consiste nella libera circolazione di persone per svago, per scopi istruttivi, per interessi spirituali. Questa attività, appunto economica implica che il sofisticato meccanismo della domanda intercetti quello dell’offerta ( e viceversa ) sulla base di un prodotto che è terzo rispetto al servizio negoziato .

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DIFENDERE IL TURISMO RELIGIOSO ino a qualche decennio fa, era un’eresia parlare di turismo religioso, quasi che si trattasse di mettere insieme “diavolo e acqua santa”. In era globale, però, il moltiplicarsi di “ fenomeni epifanici” legati a figure di Santi e di Madonne che si rivelano con una certa assiduità, anche l’economia tenta di esplorare nuovi lidi. Sembra, così, insediarsi una sorta di industria della fede, la quale, miracolo nel miracolo, contribuisce ad alleviare antiche e moderne povertà di territori storicamente molto sfortunati. Deve, a questo punto, mutare l’atteggiamento di Comuni, sede di antichi santuari, i quali per una sorte di inerzia ma anche per il rispetto di Antologia Caposelese

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un consolidato modello devozionale non si attivano abbastanza per evitare di essere stritolati da nuovissimi circuiti di pellegrinaggi, tra l’altro indotti e sostenuti pesantemente anche a livello mediatico. Ovviamente un piccolo o medio comune può fare ben poco, se le sue opportunità intese come “focolai di sviluppo” non sono ricondotte ad un’ammagliatura con enti territoriali di livello sovra comunale (comunità montane, province, regioni etc. ) soprattutto quando questi ultimi inseguono ipotesi poco realistiche. E’ esplosa la moda, ad esempio, di inventare percorsi virtualmente turistici, rispettabili quanto si vuole, ma che, in genere, si attestano su presenze turistiche molto discutibili, sottovalutando la portata dei territori in cui i fruitori ci sono già ed in modo rilevante, pronti a riversarsi oltre i siti devozionali. Come a dire che non è la stessa cosa se si semina in un terreno già dissodato o in un pascolo ancora da convertire alla coltivazione. Le istituzioni che presidiano il territorio non dovrebbero, quindi, sottovalutare questo aspetto se sono interessate a processi di crescita occupazionale “vera” e non a progettazioni / investimenti a “vocazione municipalistica”. Intanto questo peculiare settore turistico (in crescita a livello mondiale) ha numeri paragonabili a veri e propri budgets di multinazionali e di “questa torta ”almeno cinque miliardi di euro interessano l’Italia: è del tutto logico, allora, che si scatena un moto concorrenziale tra i big ( S.Giovanni Rotondo, Assisi, Padova, Pompei ), mentre i santuari minori sono condannati a “non crescere” anche per le politiche aggressive messe in campo dai più forti. E come si è detto, la lotta è impari : i piccoli santuari lasciati a se stessi subiscono la penalizzazione a livello provinciale ( perché ritenuti non degni di attenzione pubblica) e quella nazionale ( perché tivù pubbliche e private scatenano vere e proprie campagne “pubblicitarie” a favore dei luoghi di devozione più sponsorizzati). Le gerarchie ecclesiastiche, ovviamente, non amano contrapposizioni e forse per questo non si preoccupano eccessivamente di quanto sta accadendo, in base ad una tesi condivisibile ma incompleta. “Nel santuario il pellegrino è portato ad amare il fratello che vede per adorare il Dio che non vede” sostiene il teologo Gianni Gennari “ ed è per questa ragione che questi siti sopravviveranno comunque”. Ma è proprio questo che preoccupa di più un laico moderno. Se la tradizione e la devozione non muoiono ed i pellegrini non fanno eccezione tra i luoghi silenti della Fede e quelli in cui la fede è assediata da una confusa e frastornata modernità, dobbiamo attendere un lento logoramento dei santuari minori senza fare nulla? O piuttosto è necessario che le istituzioni ci aiutino a reagire con strumenti moderni che consentano di difendere presenze devozionali (e non solo), ancora interessate a luoghi evocativi e simbolici in cui l’uomo contemporaneo ricerca risposte alle sue domande?

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CHE COS’È IL TURISMO? Il turismo è un’attività economica che consiste nella libera circolazione di persone per svago, per scopi istruttivi, per interessi spirituali. Questa attività, appunto economica implica che il sofisticato meccanismo della domanda intercetti quello dell’offerta ( e viceversa ) sulla base di un prodotto che è terzo rispetto al servizio negoziato . Firenze ( il Rinascimento), Cortina (la neve), Taormina (il mare), Assisi (S.Francesco), quindi, senza le loro peculiarità non avrebbero la spiccata vocazione turistica di cui godono. Questa vocazione, però, diventa realtà turistica se produce servizi che soddisfano l’utenza. Ecco perché il turismo è una attività umana classificata nel cosiddetto settore terziario. CAPOSELE HA VOCAZIONE TURISTICA Venendo alle nostre cose, possiamo sicuramente affermare che Caposele ha una sua vocazione turistica legata per lo più al fenomeno religioso che ormai da oltre mezzo secolo attrae centinaia di migliaia di persone alla tomba del santo nella frazione Materdomini. Quindi, è all’ombra del Santo e grazie al Santo che è nato quel complesso di attività ricettivo-ristorativo-commerciale di cui un “ turista di scorrimento” attratto dai circuiti direzionali non può fare a meno. Se ci riportiamo alla storia non tanto recente di Caposele, possiamo rilevare che a Materdomini, a ridosso di un romitorio, S.Alfonso Maria De’ Liguori fondò una “casa redentorista” presso cui dimorò e morì un umile fraticello di nome Gerardo prodigo di azioni caritatevoli in vita, acclamato beato fin da quando esalò l’ultimo respiro e più tardi elevato al rango di santo. Col passare del tempo i pellegrinaggi che all’inizio riguardavano comunità ristrette si irrobustirono fino a comprendere l’intera area meridionale-peninsulare. Le forti emigrazioni del Sud verso le Americhe, poi, completarono il quadro delle devozioni, nel senso che il culto del Santo divenne patrimonio comune di tanti italiani approdati nel Nuovo Mondo per “fame ed in cerca di fortuna”. I pellegrinaggi di devozione, però, cominciarono ad assumere una prima valenza economica negli anni cinquanta e sessanta: l’Italia, uscita da una guerra disastrosa, era impegnata nella difficile fase della ricostruzione post-bellica e di lì a poco sarebbe esploso il cosiddetto boom economico. Le prime “contaminazioni “ commerciali, però, non furono un fenomeno autoctono: ad impiantare una prima e precaria rete di consumo ci pensarono alcuni commercianti dell’hinterland avellinese, seguiti, poi, a ruota da qualche coraggioso ed intraprendente “contadino” pronto a riconvertirsi alle “nuove” occasioni offerte da quei flussi di devoti che accorrevano in periodi precisi dell’anno (luglio–ottobre). La frazione Materdomini, così, da borgo rurale pian piano si trasformò in piccolo centro turistico-religioso il cui nucleo fu rappresentato dal rilevante patrimonio spirituale e materiale dei Padri Liguorini che rappresentavano per la comunità caposelese un “vero e proprio focolaio di sviluppo”. Antologia Caposelese

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EDITORIALE – La Sorgente n. 81 Dic. 2009 Nicola Conforti

Caposele, Città di Sorgente, da sempre paese dell’acqua, ha rivendicato con forza i suoi diritti inalienabili su un bene offertoci generosamente da madre natura.

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’ imminente scadenza della convenzione tra il Comune di Caposele e l’Acquedotto Pugliese, ha acceso un vivace dibattito a tutti i livelli, con incontri e convegni, cui sono seguite proposte e suggerimenti da ogni parte della società civile. Mentre è in corso la “guerra mondiale dell’acqua”, Caposele, città di sorgente, da sempre paese dell’acqua, ha rivendicato con forza i suoi diritti inalienabili su un bene offertoci generosamente da madre natura. Il nostro giornale non poteva rimanere indifferente, né poteva ignorare l’importanza e l’attualità del problema, atteso che la posta in gioco, oltre che di grande interesse, è di vitale utilità per il nostro piccolo Paese che, in tempi non lontani, traeva da questo bene non solo le risorse necessarie al sostentamento della popolazione, ma anche l’energia necessaria allo sviluppo dell’industria, dell’agricoltura e del turismo. E’ vero: l’acqua è un patrimonio dell’umanità, è fonte di vita per l’ecosistema: un bene che appartiene a tutti gli abitanti della terra. Ma è ugualmente vero che Caposele, che tanto ha donato alle popolazioni assetate della Puglia, nulla ha ottenuto in cambio. Le nostre ragioni sono state ampiamente espresse sulle pagine di questo periodico da amministratori, legali, politici, storici e da semplici cittadini. I lettori se ne faranno una ragione e, dal momento che i giochi sono ancora aperti, potranno, con cognizione di causa, portare doverosamente il loro contributo di idee nelle prossime assemblee, sicuramente aperte alla partecipazione di tutta la cittadinanza.

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FRAMMENTI DI STORIA La sorgente n. 81 dic.2010 di Gerardo Ceres La storia non è un totem intorno al quale celebrare riti tribali. Le vicende della storia servo­ no ad evocare il tema della continuità. Oggi infatti, mentre guardiamo al nuovo, al futuro della nostra comunità, dovremmo sapere che tutto ciò che faremo origina da quello che prima di noi è stato già fatto.

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a storia. Dannazione degli umani quando essa si cela in arcani mai risolti e non risolvibili. Oppure quando l’incuria e la non curanza degli uomini ne fa disperdere tracce essenziali per la narrazione delle vicende che segnano il divenire dei popoli o anche solo delle piccole comunità. Caposele è vittima di questo processo. Nei secoli non si è riusciti a preservare una struttura informativa sugli accadimenti più significati che hanno scandito la sua evoluzione. In molti sottolineano – ed è ovvio convenire - la condanna divina che si è abbattuta su Caposele attraverso i terremoti, le pestilenze, gli incendi che hanno colpito quei luoghi in cui generalmente si conservano gli archivi. L’esito sconsolante è che oggi siamo svuotati di quel bene prezioso che è la memoria collettiva. Privi, cioè, di memoria storica. Certo la ricerca storica è cosa complessa e delicata. Intanto ci sarebbe bisogno di una caparbia volontà di dedicare (anche solo per passione) parte del proprio tempo all’indagine e alla ricerca archivistica, con metodiche non estemporanee e casuali. Ma poi c’è un problema legato alla scarsità delle fonti. La Biblioteca Provinciale di Avellino, gli Archivi dello Stato di Salerno e Napoli non paiono offrire più di tanto. Se così fosse saremmo nell’impossibilità di volgere in qualche modo il nostro sguardo al passato. La storia non è un totem intorno al quale celebrare riti tribali. Le vicende della storia servono ad evocare il tema della continuità. Oggi infatti, mentre guardiamo al nuovo, al futuro della nostra comunità, dovremmo sapere che tutto ciò che faremo origina da quello che prima di noi è stato già fatto. E’ come girare intorno ad una boa: mentre viriamo per affrontare il nuovo tratto, l’occhio – e il pensiero – guardano al percorso già fatto. E questo genera grande forza e nuove motivazioni. Allora, come e, soprattutto, cosa fare? La risposta, anzi una delle risposte possibili, la troviamo sul web, nel grande corpo (babilonico) dei motori di ricerca. Dunque, internet. Dove con un poco di arguzia e tanta, tanta pazienza, si possono trovare frammenti di un possibile gioco di puzzle, tutto da comporre sotto il profilo almeno della consequenzialità cronologica. Per esempio se su Google si digita “Caposele + Regno di Napoli” ritroviaAntologia Caposelese

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mo un prezioso testo, estraibile dalla Biblioteca digitale di Google. book, scritto nel 1798 per mano di Giuseppe Maria Alfano e che ha come titolo: “Istorica descrizione del Regno di Napoli diviso in dodici province”. In questo libro “si fa menzione delle cose più rimarchevoli di tutte le Città, Terre, Casali, Villaggi, Fiumi, Laghi, Castelli, e Torri marittime in esse contenute con le Badie del Regno; Le di loro Giurisdizioni Ecclesiastiche e politiche; la qualità dell’aria d’ogni Paese; ed il numero delle rispettive Popolazioni”. Nonché “Vi è in fine la Serie cronologica di tutt’i Sovrani di Napoli; Ed un Elenco alfabetico degli Uomini Illustri del Regno colle di loro Patrie”. Di Caposele veniamo a sapere che nel 1798 faceva parte della Provincia del Principato Citra (attuale provincia di Salerno) e che, dunque, “Caposele, terra: al capo di essa vi sgorga il fiume Sele, onde prende tal nome, e forma moltissime bocche, che precipitandosi da rupi altissime, fa uno strepitoso fragore. Diocesi di Conza, Principato della casa Rota, d’aria mediocre, fa di popolazione 3414”. Null’altro si aggiunge in questo importante libro di circa duecento anni fa. Scorrendo l’elenco degli uomini illustri del Regno non ce n’è uno soltanto riconducibile alla nostra terra, a Caposele (così come pure dei paesi a noi limitrofi). Il nome di Caposele, per varie e diverse ragioni, ricorre in diversi documenti che vengono letteralmente “sputati”, seppure alla rinfusa, dalla bocca vulcanica dei diversi motori di ricerca. Tra quelli che hanno suscitato il mio interesse v’è un documento che, peraltro, risolve un antico dilemma circa la contraddittoria (a mio parere) attribuzione geopolitica di Caposele alla provincia di Avellino. Questo documento, relativo alle vie di comunicazioni nel Principato Citeriore, ci fa capire come Caposele (ma anche Calabritto, Quaglietta, Senerchia e, dall’altro versante dei Monti Picentini, Montoro) siano stati comuni soggetti a palleggiamenti nei diversi riassetti “giurisdizionali” intervenuti in date ben precise della storia del regno di Napoli. Con il regesto di Carlo II d’Angiò del 1299 Caposele è riportato nell’elenco dei comuni “a serris Montorii citra Salernum”. Con l’abolizione dell’antico sistema feudale avvenuto nel 1806, con l’arrivo dei francesi e l’avvio della parentesi “murattiana” Caposele, insieme agli anzidetti comuni dell’alta valle del Sele, passò al Principato Ultra. Soltanto nove anni dopo, nel 1815, con la restaurazione borbonica vennero restituiti al Principato Citra. Infine, nella seduta del 29 settembre 1861, cioè pochi mesi dopo l’avvenuta Unità d’Italia, il Consiglio provinciale del Principato Citra deliberò il definitivo passaggio alla Provincia di Avellino (che da quel momento acquisisce tale denominazione). Resta il giudizio di attribuzione istituzionale ed amministrativa poco armonica con l’assetto puramente geografico di Caposele, Calabritto e Senerchia ( il cui bacino idrografico di riferimento è per nove decimi tutto salernitano).

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Ma nel 1861 accade una vicenda che ancora oggi è elemento di forti polemiche storiche. Da qualche mese l’esercito borbonico di Francesco II è assediato nella città di Gaeta. Cento giorni di un assedio violento e cruento costringono i Borboni alla resa. Che viene firmata nel pomeriggio del 13 febbraio nel quartiere generale del Comando Piemontese, posto nella “Villa Reale di Caposele”, di proprietà dei Reali di Borbone che l’avevano espropriata alla Marchesa Olimpia De Mari, figlia di Don Carlo de Ligny, principe di Caposele. Si può segnalare che lo stesso Vittorio Emanuele II l’8 dicembre del 1860 aveva alloggiato nella stessa villa in occasione di una visita sul campo per rendersi conto di persona su come procedeva l’assedio della fortezza di Gaeta. Dunque, l’atto che metteva fine al Regno delle Due Sicilie e alla monarchia dei Borboni, viene suggellato in un luogo che richiama il nome di Caposele ed appartenuta a Carlo de Ligny che era succeduto nel titolo di Principe di Caposele alla famiglia dei Rota. Anche in questo caso segnaliamo soltanto una cosa nota a molti e che, forse sempre grazie ai de Ligny, vuole ancora oggi il porticciolo turistico di Formia portare il nome di Caposele. Completiamo questo “volo d’uccello” sulla documentazione che ci offre la rete con la sottolineatura di un altro riferimento a Caposele che non mi era per nulla noto. C’è un Palazzo storico nella città di Portici, da decenni sede della prestigiosa Facoltà di Agraria, che porta il nome “Principe di Caposele”. Anche in questo caso il riferimento è sicuramente a qualche titolo e ruolo avuto dalla Famiglia di Ligny nella città alle pendici del Vesuvio. Potremmo continuare con tanti altri richiami minimali che la rete ci offre. Ma il punto non facilmente risolvibile è come dare continuità, attraverso anche un rigore più scientifico, ad una ricerca che resta assolutamente indispensabile. Dovremmo pensare ad un luogo dove convogliare tutte queste informazioni, favorendo la costituzione di un team di appassionati ricercatori e curiosi della storia caposelese. Dovremmo sistematizzare le informazioni e trovare il modo più efficace per assicurarne la conservazione ma anche l’accesso e l’utilizzo. Il Comune di Caposele, la Pro Loco e le Istituzioni Scolastiche dovrebbero cooperare alla realizzazione di questo progetto. Lo stesso Acquedotto Pugliese deve poter assicurare l’accesso al suo archivio storico (ricchissimo di documenti e di fotografe) in modo da recuperare pezzi documentali di sicuro inediti) degli ultimi cento anni Questa è la prospettiva per la quale nascono queste righe. Questa è la prospettiva per dare senso, attraverso il passato, al nostro futuro.

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LA NOSTRA MEMORIA La Sorgente n. 81 Dic. 2010 Salvatore Conforti

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Finalmente due generazioni unite dall’esigenza di dare uno slancio po­ sitivo e in avanti alla propria realtà, al proprio territorio, due generazioni che si uniscono per riuscire a farlo. Gli studenti hanno realizzato un filmato con alcune interviste a cittadini di Caposele sulla loro esperienza in quel periodo, composto un reportage di fotografe, raccolto articoli, scritti e letto commoventi diari di studenti che all’epoca del sisma avevano la loro stessa età.

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l 2010 non poteva certo essere un anno come tutti gli altri, non per le comunità altirpine come la nostra, che si sono preparate, ognuna a suo modo, a celebrare la ricorrenza dei 30 anni dal terremoto che nel 1980 cambiò per sempre le sorti dei nostri paesi. A Caposele è stata fatta una scelta di campo condivisa e partecipata da tutta la comunità. Si è scelto di guardare alle pietre della memoria, un po’ come se fosse l’ultima volta, consapevoli del dovere civico di doversene distaccare per concretizzare il necessario rilancio del paese. Si è scelto di incontrarsi, prima di tutto come comunità, in maniera corale, per raccontarsi storie di vita ed esperienze passate ricordando i nostri cari amici e i parenti che il terremoto ci ha tolto ma che rimarranno vivi nel nostro cuore anche per farci tenere a mente sempre l’importanza della vita, di una vita piena, soddisfacente, impegnata. Grazie ad una serie di incontri coi rappresentanti delle istituzioni ed associazioni locali si è giunti alla definizione del palinsesto della manifestazioni previste per il giorno 23.11.2010 Apportando ognuno il suo contributo di idee ed opinioni, si è pensato di realizzare diverse attività che, nell’arco della giornata, potessero coinvolgere tutte le fasce di popolazione. Così è nato il nostro giorno della Memoria. E si è sviluppato seguendo un programma che, ha voluto contemplare e quasi analizzare i diversi aspetti di quell’esperienza terribile, esigenza questa avvertita quasi come imprescindibile da tutti, probabilmente perché dopo 30 anni si è capito quanto sia necessario decidere di chiudere i conti col passato e concentrarsi sul futuro e sul rilancio positivo delle nostre nuove realtà. Operazione non facile certo, ma necessaria proprio per costruire concretamente quella vita piena e soddisfacente che è stata concessa a chi è rimasto. Questo slancio civico lo dobbiamo non solo a chi non c’è più, ma soprattutto a noi stessi e a chi verrà dopo di noi. Le celebrazioni hanno avuto inizio con un incontro tra la comunità scolastica, l’amministrazione comunale, i volontari della Pubblica Assistenza Caposele e

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i rappresentanti del comune di Priverno (Lt), il comune, oggi anche gemellato con Caposele, che per primo portò soccorsi organizzati e coordinati al nostro paese, impiantando con personale volontario, oltre che un servizio tecnico amministrativo di supporto all’amministrazione dell’epoca, un centro socio-educativo per bambini nel villaggio a S.Caterina. Già, i volontari, forse l’unico aspetto positivo da ricordare di quel periodo, resero visibile e tangibile il significato della parola solidarietà, cercando con la loro disponibilità e sensibilità di ricostruire il senso di comunità che il terremoto aveva disgregato insieme alle case e che nella fase dell’emergenza, del dolore, delle mutate priorità, ha corso davvero il rischio di scomparire per sempre. Grazie al loro intervento, mosso allora solo dalla compassione, non tutto è andato perduto, e anzi qualcosa è stato riscoperto. Ci si è ritrovati a Materdomini, in un gremito ed attento auditorium del liceo scientifico e socio-psico-pedagogico, anche con i ragazzi e i docenti della scuola media che per oltre due ore hanno parlato, ascoltato, letto e guardato i materiali raccolti e proposti al pubblico dimostrando quanto fosse importante, se pur solo tradotto dai racconti, dalle testimonianze e dagli articoli trovati, recuperare il valore di questa memoria anche per loro e, oggi, a trent’anni da quell’evento, è stato curioso e confortante allo stesso tempo, verificare che per i ragazzi la memoria è importante per gli stessi motivi dei loro genitori. Finalmente due generazioni unite dall’esigenza di dare uno slancio positivo e in avanti alla propria realtà, al proprio territorio, due generazioni che si uniscono per riuscire a farlo. Gli studenti hanno realizzato un filmato con alcune interviste a cittadini di Caposele sulla loro esperienza in quel periodo, composto un reportage di fotografe, raccolto articoli, scritti e letto commoventi diari di studenti che all’epoca del sisma avevano la loro stessa età. C’è stato poi il confronto col presente, gli interventi delle Istituzioni, dei volontari e degli amministratori di Priverno che si sono abbandonati al ricordo della propria esperienza definita fondante anche per loro stessi e per la loro vita che è rimasta comunque segnata, e dei volontari di Caposele che sono nati, come gran parte delle associazioni in meridione, sull’onda di quell’esperienza. La manifestazione si è chiusa rimandando i presenti all’appuntamento del pomeriggio in aula polifunzionale. Dalle ore 16.30 la comunità si è ritrovata nella sala polifunzionale comunale dove era stata allestita con l’ausilio di alcuni video, una rassegna di immagini di Caposele prima, durante e dopo il terremoto che si sono susseguite durante tutta la serata. L’incontro, denominato “Caposele 1980/2010: come ci ha cambiato il terremoto” è iniziato ufficialmente alle 17.00 con la proiezione del i “Ricordi e pensieri” sul 1980. E’ stato infine distribuito un DVD realizzato per l’occasione contenente le immagini della mostra fotografica. Terminata questa fase narrativa, i convenuti si sono portati all’esterno, in piazza 23 novembre nei pressi del monumento dedicato ai caduti del terremoto, dove in memoria, sono state deposte da parte delle amministrazioni di Caposele Antologia Caposelese

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e di Priverno, due composizioni di fiori. La popolazione si è successivamente mossa con un corteo lungo via Roma, fino a piazza Dante, davanti alla casa comunale dove è stata scoperta una lapide commemorativa attendendo insieme lo scoccare del fatidico orario: le 19.34 che segnalano i trent’anni dalla disgrazia, scanditi nel silenzio sceso tra la folla, da 30 rintocchi della campana della chiesa di S. Lorenzo Martire. Dopo la sosta davanti alla lapide, a conclusione delle celebrazioni, è stata celebrata una messa in suffragio allietata dal canto della corale di S.Lorenzo. Una celebrazione collettiva dunque, intima, tutta locale, senza convegni, bilanci, statistiche per i quali ci sarà sempre tempo e spazio. In questa occasione è stata preferita la memoria tradotta dalla narrazione e dal confronto costante, un confronto dal quale è apparso evidente e necessario che si debba ripartire, come riportato nel manifesto dedicato alle celebrazioni…con l’auspicio che sulle pietre della memoria si mantenga ancorata e salda la volontà di tutti i caposelesi di crescere e di affermarsi positivamente come comunità educante, votata verso un prossimo futuro che dall’esperienza passata, costruisca concretamente una migliore qualità della vita per questo nostro paese.

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LA SORGENTE, compagna di viaggio – La Sorgente n. 81 - dic. 2010 di Tania Russomanno

Il giornale, nei giorni che seguono la sua uscita, è presente pressoché in tutte le case dei caposelesi. Non è inconsueto, specialmente durante le visite che animano il periodo natalizio, trovare un numero del giornale in bella vista nel soggiorno dei nostri amici, ed approfittarne per dare un’occhiata, commentare le foto o approfondirne un argomento.

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Quale significato ha assunto La Sorgente nella nostra comunità? E quale ruolo può assumere negli anni a venire? Sono questi, in buona sostanza, gli interrogativi sui quali sono stati chiamati a rispondere i lettori del giornale per un sondaggio apparso sull’ultimo numero. La prima riflessione che viene in mente esaminando le risposte è felicemente scontata. La Sorgente ha conquistato una diffusa popolarità e desta curiosità in tutto il paese ed anche tra i nostri emigranti. I lettori più anziani ricordano esattamente l’uscita del primo numero e da allora non si sono persi un’edizione. Molti conservano ordinatamente (e gelosamente) le copie del giornale e, si presume, considerano la collezione un vero e proprio archivio di dati ed immagini del proprio paese. I lettori più giovani analogamente dichiarano di sfogliare il giornale da sempre, un pò come accade con i libri di scuola, inizialmente

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guardando le foto e poi, da grandi, addentrandosi negli articoli. Il giornale, nei giorni che seguono la sua uscita, è presente pressoché in tutte le case dei caposelesi. Non è inconsueto, specialmente durante le visite che animano il periodo natalizio, trovare un numero del giornale in bella vista nel soggiorno dei nostri amici, ed approfittarne per dare un’occhiata, commentare le foto o approfondirne un argomento. Quando è stato chiesto ai lettori di esprimere un giudizio sulla rivista le risposte sono state più variegate. Molti hanno giudicato positivamente la possibilità offerta dal giornale, attraverso foto o racconti, di far rivivere periodi felici del passato. Altri hanno sottolineato l’importanza, per gli emigrati, di mantenere un contatto con il proprio paese e di apprendere le novità che lo riguardano. Ma di tutte le opinioni voglio ricordare quella espressa da Armando Cione, il quale ritiene il giornale “importante perchè ci aiuta a conoscere come era­ vamo e come viviamo oggi”. Oggi viviamo un tempo in cui i mezzi di comunicazione, le tecnologie, il lavoro, gli svaghi, ci obbligano ad andare sempre più veloci ed a non soffermarci troppo su ciò che siamo e sulla realtà che ci circonda. Eppure solo una conoscenza profonda del proprio passato rende gli uomini consapevoli e capaci di affrontare le esperienze della vita. La Sorgente, in questo senso, ha da tempo assunto in maniera quasi esclusiva la funzione di raccontare la nostra storia, di consolidare un’identità comune che altrimenti rischierebbe di disperdersi e di divulgare ai caposelesi - attraverso volti, paesaggi, resoconti - il percorso che ci ha portato ad essere quello che siamo. Con le nostre tradizioni, le nostre abitudini, le nostre parole, il nostro comune sentire. In ultimo veniva richiesto ai lettori di formulare qualche suggerimento per migliorare il giornale. Molti si sono astenuti spronando la redazione a “continuare così”, sottintendendo una positiva valutazione della rivista. Altri hanno chiesto “uscite più frequenti” (Umberto Gerardo Malanga) o addirittura una funzione più squisitamente giornalistica con “interviste ai cittadini per quartieri e per zone rurali al fine di conoscere le loro problematiche e portarle a conoscenza dell’Am­ ministrazione Comunale” (Claudio Russomanno). Ma una fetta importante degli intervistati ha suggerito una maggiore apertura del giornale all’esterno. “Aprirsi, ancora di più, al contributo di tutti, con la necessaria salvaguardia dei criteri di buon gusto e correttezza” (Ezio Maria Caprio). E soprattutto aprirsi dando “più voce ai giovani” (Rosaria Palumbo), “aprir­ si di più al mondo giovanile” (Amerigo Malanga), “dare più spazio alle voci giovani” (Tania Imparato). Io credo che il suggerimento sarà preso nella dovuta considerazione dal direttore responsabile il quale, ad onor del vero, già da tempo chiede il contributo di nuove leve nella stesura degli articoli. Sarà questa nuova linfa a dare ulteriore vigore al giornale ed a renderlo nostro compagno di viaggio per tanti anni ancora

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CAPOSELE TURISTICA EDITORIALE – Agosto 2010 di Nicola Conforti A partire da questo numero della nostra rivista vo­ gliamo impegnarci in una ricerca metodica e sistematica su quelle che sono le potenzialità insite nel nostro co­ mune e che, opportunamente valorizzate, costituiranno grandi attrattive per un vero turismo a Caposele.

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sservando questa meravigliosa cascata, (foto in prima pagina del n.82) il pensiero corre a paesaggi incantevoli di località turistiche lontane e di affascinante bellezza, a località amene ricche di una natura incontaminata. Questa località è a due passi da noi: è il tratto terminale dell’Oasi della Madonnina. A partire da questo numero della nostra rivista vogliamo impegnarci in una ricerca metodica e sistematica su quelle che sono le potenzialità insite nel nostro comune e che, opportunamente valorizzate, costituiranno grandi attrattive per un vero turismo a Caposele. Alcuni personaggi locali, interpellati a riguardo, si sono mostrati scettici oltre che critici sulle possibilità che ha il nostro Paese di assurgere al posto che merita nella graduatoria dei paesi più progrediti in questo settore. Altri hanno mostrato entusiasmo e grandi aspettative per la bellezza dei luoghi e per le attrattive che gli stessi offrono a chi visita il nostro Paese. Noi siamo certi che, partendo dalle piccole cose esistenti, si possa in tempi brevi pervenire a risultati ragguardevoli. E non si tratta, per la verità, di cose tanto piccole: Il Santuario di San Gerardo prima di tutto e poi le Sorgenti del Sele, la chiesa di San Lorenzo con la reliquia di San Gerardo, il Parco fluviale, il museo delle acque, il bosco Difesa, il museo delle macchine di Leonardo di prossima apertura, l’oasi della Madonnina con la meravigliosa cascata a monte, rappresentano un insieme di cultura, paesaggio, natura e fede che difficilmente si riscontra altrove. E’ un punto di partenza straordinario e strategico al tempo stesso, ma che ha bisogno di collaborazione, di passione e di impegno da parte di tutte le persone che credono in questo progetto turistico e che hanno a cuore le sorti del nostro paese. E’ un punto di partenza, sicuramente importante, ma che richiede unità di intenti e concordia generale, senza stupide divisioni e contrapposizioni, atteso che è in gioco l’interesse dell’intera collettività ed il progresso del nostro paese.

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2011 TURISMO: ACCENNI DI LIBERE RIFLESSIONI La Sorgente n.82 Agosto 2011 di Gerardo Ceres Il Comune di Caposele, seppure in una situazione economica pesantissima, aggravata da una peculiare condizione meridionale, riesce a fronteggiare meglio di altri la dinamica dello spo­ polamento e della moderna emigrazione verso altre aree della penisola. Non sfugge a nessuno che gran parte della ragione sta nella capacità di Materdomini di produrre reddito diffuso (pur diseguale nella sua distribuzione) per un numero consistente di famiglie del lavoro autonomo e di tanti prestatori d’opera. Non è difficile immaginare cosa sarebbe oggi Caposele senza il turismo religioso.

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nnanzitutto cerchiamo di capire di cosa dobbiamo parlare. E, dunque, iniziamo a sfogliare un dizionario qualunque. Scopriremmo alla parola turismo che essa è un sostantivo maschile e che significa: ”viaggiare, per istruzione o per svago” (fare del turismo; il turismo all’estero, il turismo verde) e che nella sua forma estensiva è il “complesso delle attività e delle organizzazioni atte a favorire e a incrementare il turismo” (lo sviluppo del turismo in Italia, una rete di servizi per il turismo). Chiarito a me stesso a cosa ci si riferisca quando utilizziamo la parola turismo, vengo brevemente ad alcune riflessioni, complementari a tante altre che saranno ospitate in questo numero pressoché tematico. Turismo a Caposele e a Materdomini? A questa domanda verrebbe voglia di rispondere: passiamo ad altro. Nel senso che su questo tema ci si è esercitati per decenni, addirittura prima ancora del terremoto. Inoltre non sono un esperto e quindi non voglio avventurarmi in ragionamenti poco disciplinati dal punto di vista tecnico. Ho solo da basarmi su delle impressioni che si sono rafforzate e stratificate negli anni. Intanto credo vada sottolineato il fatto che la struttura della domanda (turistica) sia essenzialmente legata al richiamo religioso della figura di San Gerardo Majella. E che le presenze legate invece alle caratteristiche ambientali (l’acqua, le sorgenti, il fiume, i prodotti gastronomici) di Caposele sono talmente marginali nei suoi effetti economici che preferiamo sorvolare. Il vero nodo invece a mio giudizio risiede nella debolezza dell’offerta, sia nei suoi aspetti quantitativi sia in quelli qualitativi. La miopia sta nel fatto che si pensi (che tutti pensino, sciaguratamente) che solo la prossimità a via Santuario possa decretare il successo di un’iniziativa economica. Che sia la bancarella, il bar, il ristorante, l’albergo, non ha importanza: tutto racchiuso in quel chilometro quadrato, quasi fosse il miglio d’oro dell’Eldorado brasiliano. Ne consegue una sostanziale congestione nelle giornate di punta, ma oramai anche nelle domeniche di buona parte dell’anno. Tutto scaricato sulla dorsale di corso S.Alfonso e di via Santuario, a cominciare dal traffico e dai pochissimi Antologia Caposelese

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parcheggi. Sotto il profilo urbanistico Materdomini è una tragedia plastica, da proporla addirittura come caso di scuola per giovani urbanisti, su come non può essere concepita una città o solo un piccolo agglomerato urbano. La risposta poteva essere quella di prevedere sul piano della strumentazione urbanistica uno sviluppo oltre S. Michele, oltre lo svincolo delle Fornaci e lungo la fascia orientale di zona Duomo. Ma anche prevedendo uno sviluppo dell’offerta e dell’accoglienza orientando flussi lungo via Aldo Moro fin giù alle sorgenti di Caposele. L’idea, peraltro ripresa in tutti i programmi elettorali degli ultimi vent’anni, di congiungere le due risorse di pregio che possiede Caposele e farle divenire complementari l’una all’altra è la sola, unica possibilità per far crescere opportunità fino ad oggi inesplorate. Questa idea, tuttavia, non è stata mai nell’agenda degli amministratori di ieri e di oggi, ma temo anche di quelli che verranno in futuro. Chiarendo che non si intende attribuire agli amministratori responsabilità diverse da quelle della programmazione, della infrastrutturazione pubblica, della cura e del decoro urbano, forse dell’ideazione di un Piano di marketing. Il resto è responsabilità degli operatori economici che fermi nelle loro deboli certezze, vedono fumane di persone lasciare, ad una certa ora, Materdomini per andare a pranzo nei ristoranti di Scalo di Morra, del Goleto, di Nusco, di Montella, di Oliveto Citra e Contursi Terme. Da questo dato bisognerebbe ripartire per una riflessione più aggiornata ed attuale. L’offerta non riesce più a soddisfare, in quantità e qualità, la domanda. E se resta sempre vero che il richiamo religioso resti sempre alla base di chi sceglie di passare una giornata a Materdomini, va pure preso atto che non si è più in presenza del “pellegrino” stipato in pullman, costretto a muoversi sotto la guida del “capogruppo”. Oggi il pellegrino è autonomo, si muove con la propria autovettura. E’ un pellegrino maturo, che conosce, è informato, si guarda intorno, misura il rapporto costo-qualità, richiede confort. C’è, invece, in molti operatori economici di Materdomini l’idea del pellegrino-massa che affollava i fine settimana di settembre ed ottobre degli anni sessanta e settanta. L’altro storico ostacolo, mai affrontato e superato, è che tra i portatori di interessi economici (commercianti, ristoratori, albergatori) non si è mai riusciti a fare “rete, squadra, lobby”. Ciascuno corre per sé. Inguaribili solisti del proprio individuale destino. Da qui nasce anche la difficoltà a delineare e a far maturare una visione comune sulle cose necessarie da farsi, immaginando finanche l’apertura di una vertenza sugli aspetti di competenza pubblica (comunale, provinciale e regionale). Il Comune di Caposele, seppure in una situazione economica pesantissima, aggravata da una peculiare condizione meridionale, riesce a fronteggiare meglio di altri la dinamica dello spopolamento e della moderna emigrazione verso altre aree della penisola. Non sfugge a nessuno che gran parte della ragione sta nella capacità di Materdomini di produrre reddito diffuso

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(pur diseguale nella sua distribuzione) per un numero consistente di famiglie del lavoro autonomo e di tanti prestatori d’opera. Non è difficile immaginare cosa sarebbe oggi Caposele senza il turismo religioso. Ma sforziamoci solo un momento a pensare cosa potrebbe essere, se solo tutti fossero consapevoli della necessità di mettere in campo una strategia e un progetto per la qualificazione dell’offerta turistica. Aggiungo soltanto che, ogni fine settimana, dalle città (anche campane) decine di migliaia di persone scappano alla ricerca di luoghi e spazi dove ritrovare momenti di serenità e di svago, pernottando e mangiando. Caposele intercetta poco o nulla di questi flussi. Segnalo, infine, che l’Umbria di San Francesco d’Assisi, di Santa Chiara e di Santa Rita da Norcia, ha saputo sfruttare la misticità dei luoghi diversificando l’offerta e facendo leva su un patrimonio ambientale pareggiabile al nostro, alla buona cucina e ad una elevata capacità di accoglienza. Lo stesso, notiamo, stanno dimostrando di saper fare nella Pietrelcina di Padre Pio, con effetti positivi sull’intero Sannio. Siccome nessuno ha mai certificato il fatto che noi si sia figli di un dio minore, non resta che avviare una riflessione collettiva, fuori da ogni strumentalità, tipica della macelleria elettoralistica, e darsi da fare per indicare strade e percorrerle nell’interesse di chi investe e offre opportunità di lavoro e di reddito. Dunque nel più largo interesse della collettività. CAPOSELE e il SUO TURISMO - di Raffaele Russomanno – La Sorgente n.82 - Ag. 2011

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La capacità attrattiva di un’area e l’apprezzamento di quanti ne fruiscono derivano dalla valorizzazione sinergica delle diverse risorse disponibili (religiose, paesaggistiche, naturali, gastronomiche, ecc.), il tutto garantito dalle competenze dei nostri operatori, i quali già oggi offrono un sistema qualità elevato, ma questo deve essere espresso in modo complessivo, quindi non solo più al solo livello aziendale ma anche e soprattutto a livello di sistema.

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ista la richiesta del direttore di focalizzare la nostra attenzione per questo numero sulla questione turismo riparto da quanto già affrontato in precedenti miei articoli, in cui la mia attenzione si è posata sulla questione turismo e sviluppo per Caposele. Caposele, Materdomini e tutto il suo territorio, sono ormai da lungo tempo meta di un elevato numero di visitatori, perché le potenzialità del nostro territorio sono per una particolare coincidenza uniche: il Santuario di San Gerardo, le Sorgenti del Sele, la nuova Chiesa Madre, il parco fluviale, il Museo delle Antologia Caposelese

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Acque, il Bosco Difesa e speriamo a breve anche il centro fieristico, l’oasi della Madonnina ed il Museo delle macchine di Leonardo, il tutto incorniciato dalla bellezza del luogo, che fanno del nostro paese uno dei luoghi in Irpinia con le maggiori potenzialità di sviluppo turistico. Eppure solo in parte queste potenzialità sono espresse appieno. Solo Materdomini con il suo Santuario riesce a rispondere alla domanda di un turismo religioso, mentre, sono in essere tante potenzialità di sviluppo, e qui giova ricordarlo, la sperimentazione effettuata di convogliare una parte di tali presenze anche sul capoluogo attraverso l’organizzazione di visite guidate presso le sorgenti del Sele ha dato buoni risultati, anche se la mancanza di un accordo programmatico con la direzione dell’Acquedotto Pugliese non ci ha permesso di portare a regime quanto sperimentato. Penso che per Caposele valga quanto sostenuto in un recente convegno sul turismo a Napoli dall’assessore regionale al Turismo, Giuseppe De Mita, il quale sostiene che il rilancio del sistema turismo deve partire dalla base per finire con una sapiente gestione delle risorse. È giunto il momento di dar vita ad un “sistema locale del turismo”, è ora che tutti coloro che operano nel mondo del turismo locale e le istituzioni presenti sul territorio diano vita ad un tavolo di concertazione in cui programmare strategie ed eventi che possano ampliare e diversificare le presenze sul territorio. È ora di pensare di concepire un marketing che possa dare risultati soddisfacenti per Caposele, per questo tutti, indistintamente, dall’Amministrazione Comunale, alla Pro Loco, alle Associazioni presenti sul territorio, ma soprattutto agli operatori turistici, albergatori, ristoratori, pensino ad una politica turistica comune, a fare sistema e a non “vendersi” più ciascuno separatamente, ma questo richiede un lavoro di cooperazione che vada al di la delle nostre convinzioni politiche e personali, ma soprattutto delle nostre divisioni. Caposele in questo momento è un paese fortemente diviso, e per questo facile preda di quanti fanno del disfattismo la loro arte migliore, eppure qui sono in gioco gli interessi di un’intera collettività, non abbiamo più il tempo per temporeggiare, occorre pensare a strategie di marketing che possano incentivare le presenze, distribuendo l’offerta sull’intero territorio, ampliando e contemplando quando già esistente. Non a caso da un po’ di tempo sollecito che, nelle more della stipula della nuova convenzione tra il nostro Comune e l’Acquedotto Pugliese, si sottoscriva un accordo che disciplini la visita alle Sorgenti del Sele, permettendo una programmazione, ma soprattutto un’offerta, delle stesse nel mercato del turismo, sperando di riuscire ad offrire, un circuito in cui Sorgenti, museo delle macchine di Leonardo, museo delle Acque, parco fluviale e Chiesa Madre possano rappresentare

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un primo pacchetto da proporre a quanti vogliono accostarsi al mondo del turismo paesaggistico e naturalistico così da affiancare, completandola, l’offerta del turismo religioso già fortemente radicata. Per raggiungere questi obiettivi sarebbe opportuno che noi caposelesi anteponessimo il senso di appartenenza al nostro territorio alla faziosità dei vari gruppi, poiché ritengo che la base di partenza per creare una situazione ambientale favorevole allo sviluppo, da perseguire con strumenti come cooperazione, marketing e comunicazione, sia la pacificazione sociale. La capacità attrattiva di un’area e l’apprezzamento di quanti ne fruiscono derivano dalla valorizzazione sinergica delle diverse risorse disponibili (religiose, paesaggistiche, naturali, gastronomiche, ecc.), il tutto garantito dalle competenze dei nostri operatori, i quali già oggi offrono un sistema qualità elevato, ma questo deve essere espresso in modo complessivo, quindi non solo più al solo livello aziendale ma anche e soprattutto a livello di sistema. Pertanto è ora che a fronte di tante potenzialità, di un patrimonio turistico così ricco, si proceda al confronto ed alla cooperazione, e qui mi sento di invitare la nostra Amministrazione ad aprire, a breve, un tavolo in cui tutti i soggetti legati al mondo del turismo possano sedersi per cooperare e coordinare quelle iniziative che possano essere utili a favorire il turismo, facendo si che ognuno, nella propria specificità, faccia la sua parte, perché dove questo è avvenuto ha dato risultati positivi con ricadute occupazionali buone, basta guardare alle zone del centro e del nord Italia dove il numero delle presenze non solo si è consolidato ma è andato progressivamente crescendo nel tempo. /

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PELLEGRINI NEL MONDO – La Sorgente n. 82 - Agosto 2011 di Cettina Ciccone

Una qualsiasi popolazione è sempre sopravvissuta salvando le proprie tradizioni, unendosi con lo spirito ai simboli religiosi tipici della cultura locale e che hanno simboleggiato eventi importanti della propria vita o di quella della comunità di appartenenza.

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’ necessaria una riflessione su come sia oggi interpretato e praticato dal punto di vista della devozione religiosa, il pellegrinaggio. Occorre però risalire nel tempo per qualche millennio ed inoltrarci nelle motivazioni e nei luoghi che hanno successivamente tramandato tale fenomeno del pellegrinaggio. Fin dall’epoca degli antichi egizi era praticato, pur con le grandi difficoltà nell’effettuare spostamenti di persone, accessori e vettovaglie attraverso i vari territori, per raggiungere i luoghi che hanno attirato la devozione da parte di Antologia Caposelese

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ogni ceto sociale e secondo il proprio credo religioso verso i simboli più significativi dedicati ai loro dei. Nell’antica Grecia erano numerosi i santuari, spesso meta di pellegrini verso luoghi ed in periodi dell’anno ben definiti, per onorare le numerose divinità protettrici. Spesso il raggruppamento delle popolazioni in tali centri ed in quei periodi esigeva ovviamente, da parte di ogni partecipante, un comportamento improntato alla massima devozione. Celebri i pellegrinaggi che tuttora si svolgono nell’ambito di religioni induiste e che sono fra quelli maggiormente frequentati, con immersioni nelle acque del Gange e dove il canto comunitario si eleva con grande esternazione di folla. Sarebbe interminabile la citazione di altri rituali dei quali la storia passata e recente è ricca di notizie. Occorrerebbe invece inoltrarci nel nostro tempo e nei territori nei quali viviamo, esaminare il sentimento sublime che pervade l’animo del pellegrino di fede cattolica. Questo infatti si ispira ad una spiritualità indispensabile a mitigare le umane difficoltà. Una qualsiasi popolazione è sempre sopravvissuta salvando le proprie tradizioni, unendosi con lo spirito ai simboli religiosi tipici della cultura locale e che hanno simboleggiato eventi importanti della propria vita o di quella della comunità di appartenenza. Pellegrinaggio è un termine che, com’è noto, deriva dall’abbinamento di due vocaboli di origine latina e precisamente: “per” (al di là) e “ager” (inteso come territorio), stando così ad indicare un fenomeno di provenienza da altre zone allo scopo di onorare chi o qualcosa che, nel passato, ha rappresentato eventi straordinari di carattere prevalentemente religioso. La Basilica di MATERDOMINI, con tutta la sua storia, rientra fra le mete prescelte da fedeli dediti a tale forma di devozione. Nel trascorrere degli anni sono mutate le modalità di svolgimento, le strutture organizzative e di ricettività, i mezzi di trasporto adeguandosi ai tempi ed ai desideri sempre più manifestati dagli aspiranti pellegrini ma purtroppo, per alcuni di questi è andata scemando la vera funzione del pellegrinaggio fatta anche di sacrificio. Nei secoli trascorsi questi fedeli, pur di meritarsi ciò che per un cattolico osservante rappresenta un meritato premio, percorrevano, “pedibus calcantibus”,grandi distanze carichi di vettovaglie, pernottando in luoghi improvvisati e quasi mai confortevoli, pur di riprendere il faticoso viaggio alle prime luci dell’alba, come si racconta sia accaduto al piccolo ed esile GERARDO MAIELLA,accompagnato dalla madre nell’anno 1740. I meno poveri potevano permettersi di viaggiare a dorso di mulo trascorrendo poi la notte in qualche modestissima locanda. I fedeli benestanti, che erano pochissimi, viaggiavano invece in carrozza o servendosi di comode diligenze (la “freccia rossa”dell’epoca) e comunque sem-

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pre assistiti da assidua servitù, ma il premio Divino (indulgenza o altro) era meritatamente riservato ai poveri. Oggi tutto è mutato e qualche sedicente pellegrino non intende sottoporsi a fatiche estenuanti, sofferenze e privazioni; pretende invece, in alcuni casi, di essere inserito nello splendido mondo dei vacanzieri che praticano il turismo religioso patrocinato spesso da strutture ben organizzate. Codeste sono in grado di offrire viaggi in partenza da numerose città d’Italia ed alla portata di tante possibilità economiche. E’ stato calcolato che ogni anno partecipano ai suddetti viaggi, dotati dei più moderni e confortevoli mezzi di trasporto, circa 7 milioni di persone alle quali vengono somministrati vitto ed alloggio in rinomati alberghi e ristoranti del luogo di destinazione. Tutto ciò, ovviamente ha un costo non trascurabile ed il soggiorno potrebbe distogliere il pellegrino da un comportamento consono allo scopo che ha animato una così lodevole iniziativa. Anche MATERDOMINI è meta di pellegrinaggio, meno sfarzosa ed economicamente più accessibile sia per quanto riguarda il viaggio per potervi accedere, sia per i costi delle strutture ricettive contenuti nella giusta misura. Ricordo che a Materdomini negli anni 50, oltre ad un unico albergo denominato “ Casa del Pellegrino”, apprezzabile opera architettonica annessa al Santuario, esisteva anche una locanda, il cui proprietario mi risulta essere stato un certo Pietro Malanga. Anche in questa piccola struttura convergevano pellegrini che portavano al loro seguito alcune cibarie e si accontentavano oltre ad un modesto pernottamento anche la possibilità di poter acquistare un bicchiere di vino per arricchire il frugalissimo pasto. Lo sviluppo ha favorito successivamente il sorgere di ottime strutture alberghiere e di rinomati ristoranti senza però alterare, se non in misura adeguata ai tempi, la spiritualità del luogo. Vi convergono infatti tante persone provenienti principalmente da località limitrofe ma anche da altre più lontane. Il Santuario di MATERDOMINI si eleva in una posizione incantevolmente panoramica, viene ivi venerata una statua alta meno di un metro raffIgurante la Madonna genuflessa in preghiera ed in questo luogo operò, in veste di collaboratore, Gerardo Maiella per accogliere e per incrementare la ricettività dei pellegrini di quell’epoca. Vi dimorò fino all’ultimo giorno della sua vita 16 ottobre 1755 e venne canonizzato nel 1904. A leggere la storia di questo Grande Santo, molto noto per il famoso dono dell’ubiquità, la scienza infusa, le estasi, le visioni ed i numerosi miracoli effettuati con la sua intercessione, sembra un racconto avvincente soprattutto per bambini. Antologia Caposelese

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Infinite erano le sorprese che avvenivano per mezzo di Lui, ad esempio un Arcangelo che gli porta la Santa Comunione, una statua che improvvisamente si anima, ceste vuote che si riempiono immediatamente di pane, un uccello che sfreccia nell’aria per posarsi sul suo dito e cantare per un bambino in pianto ecc. Mi sono sempre state impresse nella mente le “gesta” di San Gerardo Maiella denominato “il Pazzerello dell’Eucaristia”, che rappresenta un sostegno morale notevole, considerate i grandi dolori patiti nel corso della sua brevissima vita. Durante le prove più difficili chi si rivolge al Santo ha la sensazione di sentirsi guidato come se Egli volesse dire: ”non temere io proteggerò il tuo cammino”. Oggi in un mondo contrassegnato da stress, morti, violenze e paure di vivere, ritengo ci si possa rivolgere a questo Santo, che, morto giovanissimo all’età di 29 anni di Tubercolosi, provato inoltre da sofferenze di ogni tipo, resta un faro di luce contro le tenebre della vita. San Gerardo MAIELLA è riconosciuto quale protettore delle mamme, dei bambini e di tutti i poveri. Una visita a MATERDOMINI è raccomandabile ... ..ma da VERI PELLEGRINI!

Ricordi, riflessioni e qualche proposta – La Sorgente n. 82 dicembre 2011 di Ezio Caprio

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Carissimi allievi, Vi riconosco tutti, ad uno ad uno, e Vi sono grato per l’arricchimento umano e personale che mi avete inconsapevolmente trasmesso in anni per me difficilissimi e che hanno poi segnato i successivi sviluppi della mia esperienza di vita. Tu, Battista di Quaglietta e tu Pa­ squale Farina (ora impresario teatrale, nipote del compianto D.Alfonso Maria Farina) e tu Ceres (detto anche Sivori, di recente premiato per la fedeltà al lavoro in Fiat) e tu Competiello Antonio, emigrato in Canada, e tu Tobia Montanari, emigrato in Bologna e tu Lardieri Bonaventura (che venivi a piedi da Buoninventre, dotato di superiore quoziente intellettivo), tu Fortunato (da Ma­ terdomini) e tu Mario Feleppa (anzitempo trasmigrato all’altro mondo ma, prima, emigrato a Londra, dove, per caso ti incontrai in un ristorante nei pressi del Tamigi e dove non volesti farmi saldare il conto) e tu Rocky, ora rinomato acconciatore in Patria, con settimanali escursioni nella vicina Teora!

L’invito, esteso agli abituali collaboratori, del “nostro” Direttore Ing. Nicola Conforti a voler inviare in redazione “un articolo su Caposele” mi ha provocato un benefico effetto, come l’ossigeno in chi ha fame d’aria. Questa volta ho voluto chiedermi il perché ed ho cercato scavarne le motivazioni, rileggendo a ritroso il mio “vissuto” caposelese. Partendo dall’infanzia, intensamente trascorsa nelle campagne e nel tessuto urbano caposelese, allora concentrato nella Piazza, in stretta connessione con i quartieri satelliti (non periferici).

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La prima (e sola) palestra di vita era allora la strada, non ancora asfaltata; le rive del fiume Sele, sino al Ponte Minuto. La prima assemblea , la più eterogenea, era la Scuola Elementare, arroccata al Castello, in aule affollatissime, con il solo guardiano Gennaro, intento anche a preparar la legna per alimentare le stufe in ferro, sulla cui piastra si abbrustolivano castagne. Poi, a dieci anni, arrivava il primo bivio. Si varcava, spesso per la prima volta, il confine di paese salpando per paesi più fortunati, dotati di Scuola Media, ove si sosteneva il primo vero esame: quello di “ammissione”. Ed era quello il primo passaporto. Poi iniziava la diaspora, per lo più presso parenti “cittadini” o, più spesso, presso Collegi laici e religiosi, più o meno severi, più o meno ortodossi, sempre molto costosi e, a volte, troppo selettivi. Ognuno di noi si lasciava alle spalle “un piccolo mondo antico”, fatto di cose semplici ed essenziali, di usanze comuni, di frequentazioni socialmente “aperte”. I rientri, natalizi, pasquali ed estivi, segnavano e scandivano momenti di incontro e confronto. Per i più fortunati e/o più dotati vi era un prosieguo universitario più o meno tortuoso, più o meno impegnativo, scandito da successi condivisi o da naufragi solitari. Sempre, la regia di ogni passaggio era sottoposta al vaglio finale ed implacabile dell’intera collettività paesana: la vox populi, sussurrata o conclamata, spesso cattiva e/o approssimativa, a volte però anche corrispondente alla realtà consolidata e verificata. Poi venne la prima riforma della Scuola Secondaria: ovvero la istituzione della “Scuola Media Unica”, nell’anno scolastico 1962-63. Le foto che documentano questo significativo evento epocale (dal punto di vista scolastico e sociale) e ne segnano il passaggio – e che sono a corredo di questo mio intervento – ritraggono appunto le due classi “ad esaurimento” della seconda e terza Avviamento dell’anno scolastico 1962-63. Carissimi allievi ivi rappresentati, Vi riconosco tutti, ad uno ad uno, e Vi sono grato per l’arricchimento umano e personale che mi avete inconsapevolmente trasmesso in anni per me difficilissimi e che hanno poi segnato i successivi sviluppi della mia esperienza di vita. Tu, Battista di Quaglietta e tu Pasquale Farina (ora impresario teatrale, nipote del compianto D.Alfonso Maria Farina) e tu Ceres (detto anche Sivori, di recente premiato per la fedeltà al lavoro in Fiat) e tu Competiello Antonio, emigrato in Canada, e tu Tobia Montanari, emigrato in Bologna e tu Lardieri Bonaventura (che venivi a piedi da Buoninventre, dotato di superiore quozienAntologia Caposelese

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te intellettivo), tu Fortunato (da Materdomini) e tu Mario Feleppa (anzitempo trasmigrato all’altro mondo ma, prima, emigrato a Londra, dove, per caso ti incontrai in un ristorante nei pressi del Tamigi e dove non volesti farmi saldare il conto) e tu Rocky, ora rinomato acconciatore in Patria, con settimanali escursioni nella vicina Teora! Senza dire, infine, delle grandi qualità umane e professionali dei Colleghi: nelle foto è riconoscibile il dott. Pasquale Russomanno, Docente di Scienze Naturali e Matematiche, che con la Sua sola distaccata e signorile presenza conferiva autorità e prestigio alla Cattedra che ricopriva. Naturalmente, quanto sopra succintamente esposto (volutamente evitando eccessivi riferimenti autobiografici) rende conto a me stesso della domanda iniziale che mi ero posto. Ma, ovviamente, non è tutto! Caposele, ora, non è più la stessa ed è forse un bene che sia diversa: importante, però, è ritrovarne l’anima! A questa ricerca ed a questa riscoperta occorre dedicarsi, toto corde: senza distinzioni di ceto, di censo e di cultura ma con un solo massimo comune denominatore: Amore incondizionato, irrazionale (come tutti gli amori) per la propria fonte, sorgente di vita: Caposele! Fatte le suesposte divagazioni introspettive, per conferire maggior concretezza a questo mio contributo, vorrei accennare a qualche considerazione, pur senza avere la pretesa di elargire pseudo-analisi socio-pedagogiche. Ma – mi domando – non sarebbe meglio ritornare al vecchio sistema di scuola Media “selettiva”? Mi piacerebbe, su questo argomento, aprire un dibattito-confronto, con il qualificato contributo del Mondo della Scuola. Magari, potrebbe ravvisarsi la opportunità di convertire la tendenza sin qui mantenuta ed optare per la istituzione di un Istituto tecnico agrario, specialistico nelle colture da noi più praticate! Invito, all’uopo, il Consiglio Comunale di Caposele a manifestare una precisa volontà in tal senso, previo uno Studio qualificato, ad iniziativa del competente Assessorato alla Pubblica Istruzione. Ma vogliamo o no riconoscere che il Liceo Scientifico risulta troppo spesso una fabbrica di disoccupati, se non, peggio, di illusi da effimeri traguardi, non più al passo con i tempi? Se ciò non è vero, me ne compiaccio e chiedo scusa agli illustri concittadini. Ma temo di non essermi troppo allontanato dalla realtà! E, comunque, ho detto ciò che penso. Si potrebbe cominciare, a mò di esempio, con la valorizzazione di beni disponibili ma del tutto abbandonati ad un triste destino. È sotto gli occhi di tutti, infatti, (anche dell’ignaro turista o pellegrino che sia) lo “scempio” – è proprio il caso di affermarlo – di quello che è stato luogo

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sacro, ovvero il “vecchio Cimitero”, poi divenuto Campo Didattico con entrostante ed elegante fabbricato, ora ridotto a ricovero occasionale o di fortuna, con esposizione frequente di bucato abbandonato ed offerto, senza pudore, allo sguardo dei passanti che attraversano la panoramica variante S.S., che collega cioè le Sorgenti al Santuario e viceversa. Si potrebbe (ma sono tentato di dire “si dovrebbe”) recuperare quel bene al patrimonio Comunale (invero già lo è!) ed adibirlo magari a museo delle attività rurali ed artigianali perché, infatti, non di sola acqua ha vissuto e vive Caposele! Museo, ristoro antico con caffetteria immersa nel verde ed avvolta nell’aria antica, con obbligo al gerente di turno di manutenzione rigorosa, con il rispetto dell’ambiente e dei canoni estetici del buon gusto. Ed ora mi impongo uno stop alle riflessioni (che andrebbero oltre i limiti) ed attendo risposte attuative e non solo meramente dichiarative.

IL TURISMO NATURALISTICO…E NON SOLO Sorg. n. 82 Agosto 2011 di Michele Ceres

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Un’avveduta programmazione dei flussi turistici dovrebbe essere finalizzata all’integrazione del turismo religioso di Materdomini con quello vacanziero dell’altopiano di Laceno o, esten­ dendo il discorso all’alto Sele, con quello termale di Contursi Terme. Si tratta in buona sostanza di creare un percorso dell’accoglienza che favorisca il collegamento e l’integrazione dei vari aspetti dei flussi turistici interessanti mete diverse.

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Il concetto di turismo negli ultimi anni si è ampliato. Alle antiche forme di turismo culturale, religioso e prettamente “vacanziero” si è aggiunto il turismo enogastronomico, il turismo terminale o della salute, il turismo musicale ed infine quello ambientale o naturalistico. Di qui il marketing del territorio attraverso iniziative di vario genere, tutte tendenti a valorizzare le attrattive locali tramite l’organizzazione di festival musicali, spettacoli teatrali, sagre di prodotti tipici, escursioni naturalistiche. Di qui l’adozione da parte di Comuni ed altri Enti di progetti finanziati con fondi che l’Europa destina alla aree comunitarie più svantaggiate per facilitarne la crescita e, quindi, l’inserimento tra quelle progredite. Quanti progetti relativi a “vie del grano” e a “tratturi delle transumanze”, quanti interventi riguardanti sistemazioni di piazze, fontane ed altre elementi dei centri storici sono stati realizzati senza che gli stessi abbiano determinato sviluppo economico e crescita culturale! Il contrario è, invece, avvenuto in altri paesi europei, che hanno avuto una maggiore e migliore capacità di spesa Antologia Caposelese

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rispetto alle nostre regioni. Limitando il discorso alla sola Campania, mi è difficile comprendere come, per esempio, un tedesco, dopo aver visitato gli scavi archeologici di Pompei, possa pensare di percorrere un tratturo, ripristinato con fondi europei, solo perché una volta vi transitavano carriaggi, mandrie e greggi, invece di andare a visitare i monumenti di Napoli o trascorrere in serenità qualche giorno in costiera o nelle isole. Questo non significa che l’Irpinia e le altre zone interne non debbano beneficiare dei flussi turistici in entrata nella nostra Regione o del turismo interno alla Regione stessa, significa, invece, che la Regione Campania deve cambiare strategia, destinando ai Comuni, già poli di destinazione di correnti turistiche, i fondi necessari a potenziare e migliorare la qualità dell’accoglienza, più che impiegarli per opere che non innescano alcun processo di crescita. Occorre che Regione ed Enti locali abbiano la capacità di programmare dei circuiti turistici che, partendo dall’esistente, coinvolgano anche le località che si trovano lunghe le direttrici di transito. Occorre, in altri termini, pensare ad un turismo integrato che, effettivamente, riesca a coniugare i vari aspetti che costituiscono, ad esempio, la forza attrattiva del contesto territoriale dell’Irpinia e dell’Alto Sele. Per rendere comprensibile il concetto, ritengo esemplificativo calare il discorso nel particolare di Caposele, così rispondo pure alle domande formulate dal Direttore de “La Sorgente”. Caposele, in ambito provinciale e regionale, costituisce un notevole polo attrattivo di turismo religioso. Un’avveduta programmazione dei flussi turistici dovrebbe essere finalizzata all’integrazione del turismo religioso di Materdomini con quello vacanziero dell’altopiano di Laceno o, estendendo il discorso all’alto Sele, con quello termale di Contursi Terme. Si tratta in buona sostanza di creare un percorso dell’accoglienza che favorisca il collegamento e l’integrazione dei vari aspetti dei flussi turistici interessanti mete diverse. Da questo interscambio si avvantaggerebbero di sicuro i paesi già mete di turismo, ma anche le località situate lungo le vie di percorrenza. L’esempio di Quaglietta, prima della costruzione della Fondo Valle Sele, chiarisce perfettamente il concetto. Una politica di tal genere finirebbe col privilegiare Caposele, perché le sue potenzialità, come ho avuto modo di illustrare ne “La Sorgente” di agosto 2009, potrebbero interessare non solo il turismo di natura religiosa, ma anche quello culturale ed ambientale. Quanto ho detto innanzi in merito al turismo integrato, può essere esteso “sic et simpliciter”, a Caposele. In tal senso, il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di favorire l’incremento delle presenze in loco di visitatori con l’offerta di un pacchetto turistico costituito dall’integrazione del turismo prettamente religioso con quello ambientale e naturalistico incentrato sulle Sorgenti del Sele. Nel concreto andrebbe progettato e realizzato un percorso capace di agevola-

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re lo spostamento dei forestieri dal Santuario di Materdomini alle Sorgenti della Sanità e viceversa, ovvero tra due diverse forme di turismo che si completano vicendevolmente. L’offerta potrebbe ulteriormente essere rafforzata con gli altri elementi di attrazione turistica che il nostro Paese può offrire al forestiero. La piscina comunale, il “parco della Madonnina” in costruzione, il museo Leonardo di prossimo allestimento, il Museo delle Acque in funzione da circa due anni, il Tempio di S. Lorenzo, una migliore e più produttiva utilizzazione del Bosco Difesa, la creazione di una rete di sentieri sulle nostre montagne, già progettata e probabilmente di prossima realizzazione, unitamente ad altri fattori attrattivi già esistenti sono punti di forza della nostra economia che, come tali, andrebbero necessariamente potenziati. Esistono, però, anche dei punti di debolezza, rappresentati massimamente da una strada di collegamento del Santuario con le Sorgenti della Sanità poco agevole per il transito dei pullman, dalla disagevole strada di accesso agli impianti sportivi in località “Pietra di Cola”, dall’assenza di una zona commerciale a Materdomini, dalla eternamente procrastinata sistemazione della bancarelle in via del Santuario, dalla carenza di strutture di accoglienza nel centro di Caposele, dalla pulizia delle strade urbane poco curata, dall’inesistenza di parcheggi e dal traffico a dir poco disordinato. Sono questi gli elementi che ostacolano il turismo nei suoi vari aspetti, da quello “mordi e fuggi”, che oggi interessa prevalentemente Materdomini, a quello relativo a più giorni di permanenza. Eppure basterebbe poco per ovviare quanto meno ad alcuni di tali inconvenienti. Non me ne voglia nessuno, se mi ripeto, riportando uno stralcio del mio articolo dell’agosto 2009. “Un paese sporco viene inevitabilmente disertato dai turisti. È questa una verità lapalissiana, che dovrebbe essere comprensibile anche ai meno accorti. Nondimeno, se volgiamo lo sguardo verso i cassonetti di conferimento della spazzatura assistiamo spesso allo spettacolo poco edificante di cassonetti vuoti e rifiuti posti per terra. Eppure la normativa in materia è piuttosto severa. Il D.L. 172/08 prevede, ad esempio, che “chiunque in modo incontrollato o presso siti non autorizzati abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette nelle acque superficiali o sotterranee rifiuti pericolosi, speciali ovvero rifiuti ingombranti domestici e non, di volume pari ad almeno 0.5 metri cubi e con almeno due delle dimensioni di altezza, lunghezza o larghezza superiori a cinquanta centimetri, e’ punito con la reclusione fno a tre anni e sei mesi; se l’abbandono, lo sversamento, il deposito o l’immissione nelle acque superficiali o sotterranee riguarda rifiuti diversi, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da cento euro a seicento euro”. Basta poco, tuttavia, per evitare queste pesanti sanzioni. In tal senso, è sufficiente che tutti, Amministrazione e Antologia Caposelese

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Cittadini, siano coscienti dell’importanza del problema. Faccio solo un esempio di come si potrebbe ridurre l’entità del disagio nelle more che, in tempi piuttosto brevi, il Comune elimini i cassonetti dalle strade ed organizzi la raccolta differenziata “porta a porta”. La plastica, la carta ed il vetro vengono smaltiti dal Consorzio rifiuti in un giorno stabilito della settimana. E, poiché la plastica, il vetro e la carta non emanano cattivi odori e non deperiscono nello spazio di qualche giorno, Il Comune può stabilire che gli stessi siano conferiti nei cassonetti solo il giorno antecedente a quello stabilito per il prelievo. Se poi qualche reprobo impenitente dovesse persistere in comportamenti incivili, è bene che lo stesso sia sanzionato secondo le norme vigenti. Si tratta, come si vede, di piccole ma utili iniziative. Per concludere, Caposele ha in sé la possibilità di crescere civilmente e di sviluppare la sua economia. Basta solo l’adozione di un’efficiente politica del turismo da parte del Comune, un sensibile miglioramento della qualità dell’accoglienza da parte degli operatori economici del turismo, un po’ di coscienza civica e di buon senso da parte dei Cittadini. Occorre scongiurare che si possa ripetere un caso analogo alla vicenda delle “Dacie”, ove l’interesse generale della collettività, rappresentato da un complesso di costruzioni destinate ai turisti e, quindi, alla crescita economica, è stato sacrificato sull’altare del più becero clientelismo. È necessario, altresì, che il Caposelese acquisisca un diverso abito mentale, affinché non si verifichi l’incomprensione, sfociata spesso in aperta avversione, che in un passato abbastanza lontano si verificò a proposito della piscina, del villaggio dacie, della zona commerciale di Materdomini, dell’allargamento della strada di collegamento del Capoluogo con la Frazione e della valorizzazione ambientale, in termini di vivibilità ed accoglienza, del centro storico.

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VENITE A CAPOSELE, CITTA’ DI SORGENTE EDITORIALE – dicembre 2011 Nicola Conforti

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na piccola “città di sorgente” ricca di storia, di religiosità e di tradizioni è qui ad attendervi: una piccola “oasi” di acqua e di verde, una natura incontaminata, un Santuario di fede e di spiritualità attendono da sempre visitatori da ogni parte d’Italia. Dopo la visita a San Gerardo, doverosa quanto obbligatoria, una miriade di piccoli negozi di ricordi e tante attrezzature di ristorazione attendono di essere visitate. E poi lo svago, la cultura ed il relax. A circa un chilometro di distanza trovate l’elemento centrale della storia di Caposele e di tutto il territorio circostante: le meravigliose Sorgenti del Sele con tutte le grandi risorse ad esse

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NICOLA CONFORTI

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collegate. E’ qui che trovate di tutto: storia, cultura, ambiente, gastronomia. Il museo dell’acqua vi racconta tutto del Sele e delle sue implicazioni di ordine sociale e storico. Il museo di Leonardo (in fase di allestimento) con la riproduzione in scala di tutte le macchine inventate da questo grande scienziato soddisfa gli amanti della cultura. La Chiesa della Sanità con la sua storia ultracentenaria e la Chiesa di San Lorenzo, ricostruita dopo il sisma del 1980, con le sue caratteristiche architettoniche di grande opera moderna sono l’ideale per chi predilige l’arte e la fede. Ed infine, il parco fluviale e l’Oasi della Madonnina con la meravigliosa cascata a monte, per chi ama il fresco, la natura e l’aria pulita e salubre. Tante testimonianze, alcune delle quali riportate all’interno di questa pubblicazione, esprimono con franchezza ed entusiasmo il convincimento che spettacoli naturali come questi è difficile trovare altrove. Infine un invito: venite a Caposele, ”città di sorgente”, dove l’atmosfera di grande ospitalità e di cordiale amicizia saprà trasformare un breve soggiorno in una esperienza indimenticabile.

LA DONNA CAPOSELESE NELLA STORIA di Tania Russomanno

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Tante sono le donne che – in questa fase storica – emigrano per andare a lavorare nelle fabbriche del nord Italia. Altre ragazze con coraggio tentano la fortuna all’estero, scegliendo destinazioni lontane, quali la Svizzera, l’Argentina, gli Stati Uniti, luoghi in cui una volta trovato un lavoro ed una buona sistemazione faranno per sempre abbandonare la speranza di ritornare a Caposele se non da emigrate in vacanza.

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a conquista della parità giuridica tra l’uomo e la donna passa attraverso due tappe fondamentali, distanti quasi trent’anni l’una dall’altra: la prima è costituita dall’articolo 3 della Costituzione repubblicana, insieme alla conquista del suffragio universale; la seconda tappa è costituita dal Nuovo diritto di famiglia (1975). Negli anni sessanta emerge il contenuto più autentico del femminismo e si compie la piena affermazione della donna nel mondo del lavoro, sancita in Italia ufficialmente nel 1971 con l’entrata in vigore della legge che tutela le lavoratrici madri. In seguito a tali riforme si avverte l’esigenza di riorganizzare la società in chiave femminile, basti pensare che negli anni cinquanta le donne occupano la fetta più grande della manodopera nelle fabbriche e sono molto richieste per svolgere la professione di impiegate nel pubblico. Verso la fine degli anni sessanta anche Caposele, seppur in maniera più lenta, Antologia Caposelese

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avverte i primi segnali di tali cambiamenti che si rintracciano soprattutto nella sfera dell’educazione familiare, della formazione scolastica, del lavoro e persino nei comportamenti e nelle abitudini sociali delle caposelesi. Il primo grande cambiamento è la conquista del diritto a un’istruzione completa, obiettivo perseguito con forza e determinazione da molte ragazze di Caposele proprio durante la fine degli anni sessanta. Per le fanciulle di paese fralmente si concretizza il sogno di intraprendere una carriera professionale e di aspirare a vivere un futuro diverso da quello che finora veniva pianificato dai propri padri o dalla realtà sociale e territoriale che si presentava. In passato la donna che conseguiva un titolo di studi superiore rappresentava l’eccezione in una società locale tutta strutturata intorno ai professionisti maschi. Invece, negli anni sessanta, aumenta sensibilmente il numero delle giovani caposelesi che fanno le valigie per spingersi oltre i confini locali e andare a vivere in una città dove è possibile conseguire un diploma – non essendoci scuole superiori a Caposele almeno fino agli anni settanta – o per frequentare l’Università. Le Facoltà di studio verso le quali le ragazze si indirizzano sono generalmente quelle di lettere e filosofia, essendo l’insegnamento la professione più ambita dalle donne poiché si concilia bene con la gestione della famiglia. Le studentesse caposelesi di solito si trasferiscono a Salerno, o a Napoli, le città universitarie più vicine al nostro territorio. Tuttavia, rispetto ai maschi, poche vanno a vivere da sole. Di solito trovano una sistemazione presso abitazioni di amici e parenti, o presso le case di studio gestite da suore: insomma si cerca una formula di alloggio più appropriata all’esigenze della fanciulla di provincia, che ancora paga una condizione di inferiorità rispetto ai ragazzi. Se nel passato la consuetudine dei piccoli centri imponeva alle donne di stare in casa con i propri genitori fino all’età matrimoniale, in seguito alle rivoluzioni sociali degli anni sessanta anche Caposele vede la scelta di molte ragazze di abbandonare il proprio paese per andare a conquistare le metropoli, che di sicuro offrono maggiori possibilità di lavoro. Tante sono le donne che – in questa fase storica – emigrano per andare a lavorare nelle fabbriche del nord Italia. Altre ragazze con coraggio tentano la fortuna all’estero, scegliendo destinazioni lontane, quali la Svizzera, l’Argentina, gli Stati Uniti, luoghi in cui una volta trovato un lavoro ed una buona sistemazione faranno per sempre abbandonare la speranza di ritornare a Caposele se non da emigrate in vacanza. Attualmente come si presenta la condizione femminile nel nostro paese? Ebbene è uno scenario completamente rivoluzionato in cui la società e persino la politica locale, si tingono spesso di rosa. L’inserimento della donna nel mondo del lavoro avviene a trecentosessanta gradi. Non ci sono più professioni esclusive degli uomini, nè pubblici uffici, cariche politiche o altro. Oggi le giovani caposelesi diventano medici, avvocati, biologi, commercia-

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listi, ingegneri, infermiere, ostetriche ed altro. Scelgono le città di tutta l’Italia per frequentare le Università di ogni tipo e seguono i corsi di studi all’estero con il progetto Erasmus. Girano il mondo da sole o in compagnia, fanno esperienze di lavoro e master nelle grandi città europee, conseguono borse di studio, si specializzano ed organizzano la loro vita in funzione della propria carriera. Anche i modelli di comportamento sono completamente uniformati a quelli dei ragazzi. La dimostrazione più evidente sono i bar del paese – che prima erano una prerogativa degli uomini – e che oggi rappresentano il punto di ritrovo di tutti i giovani. Molte donne di Caposele sono protagoniste della vita locale, sono moderne ed emancipate, piene di idee: si inventano i giochi estivi all’aperto, le giornate della pulizia del fiume, le rappresentazioni teatrali e tanto altro. Molte di loro sono impegnate attivamente nel sociale, organizzano attività culturali dentro o fuori la scuola, tengono lezioni di catechismo e sono promotrici di eventi politici e culturali. Passeggiando lungo le strade principali di Caposele si può notare che molte attività commerciali sono gestite dalle donne, ereditate dai propri genitori o sorte grazie alla propria iniziativa. In definitiva oggi la donna di Caposele vive al passo con i tempi tra le acrobazie della famiglia e del lavoro e incarna perfettamente gli aspetti e le qualità della donna moderna.

TRAGUARDI DI GRANDE INTERESSE Editoriale / La Sorgente n. 84 – Ag. 2012

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Abbiamo tanto insistito, sulle colonne di questo giornale, sui punti di forza del nostro turismo, ed i risultati si incominciano ad intravve­ dere in maniera tangibile ed incontestabile. E’ il caso di dire “tanto tuonò che piovve” e che sempre si vince quando non ci si arrende.

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’anno quarantesimo de “La Sorgente” non poteva avere un esordio più importante e significativo dal punto di vista storico: due eventi, entrambi verificatisi ad inizio estate, rappresentano traguardi di grande interesse per lo sviluppo economico e sociale del nostro piccolo Paese. L’accordo con l’Acquedotto Pugliese e l’inaugurazione della mostra permanente delle macchine di Leonardo, hanno aperto nuovi orizzonti in prospettiva economica e turistica di un territorio, povero di risorse economiche ma molto ricco di attrattive naturali e ambientali. Oltre cinquemila persone in poco più di tre mesi hanno visitato la Mostra di Leonardo, le Sorgenti del Sele e la Chiesa Antologia Caposelese

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di San Lorenzo: è solo l’inizio di un percorso che dovrà portarci sicuramente verso cime molto alte di popolarità e di successo. Le notevoli risorse maturate a seguito dell’accordo con l’Acquedotto Pugliese ci mettono in grado di progredire sul piano delle conquiste sociali e del lavoro. Abbiamo tanto insistito, sulle colonne di questo giornale, sui punti di forza del nostro turismo, ed i risultati si incominciano ad intravvedere in maniera tangibile ed incontestabile. E’ il caso di dire “tanto tuonò che piovve” e che sempre si vince quando non ci si arrende. La Sorgente, come una goccia d’acqua che scava la pietra, da quarant’anni batte il chiodo del turismo e di altri problemi sociali e finalmente gli effetti positivi sono a portata di mano, ad onta di chi, da sempre, cerca di frenare il naturale sviluppo di queste iniziative. “Chi ha sete venga” dice il manifesto dell’Amministrazione: L’acqua che un tempo muoveva l’intera economia del nostro piccolo Paese, adesso può restituire un futuro prospero a tutti i Caposelesi.

IL SELE NELLA STORIA- La Sorgente n. 83 – dicembre 2011 di Gerardo Monteverde

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La denominazione più antica sembra sia ( Seila ) come si legge in una medaglia di Paestum e come pressappoco si pronuncia ancor oggi, ma i Greci dissero ( Silaris ) e i Romani Silarus o Siler 3. Gli antichi gli attribuirono la proprietà di mutare in pietra qualunque oggetto ligneo che restasse immerso nelle sue acque per qualche tempo.

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inomatissimo è stato sempre questo fiume presso gli antichi scrittori; sulle sue rive varie pagine vi ha scritto la storia. Lievemente deformato nelle lingue dei vari popoli che si sono succeduti nella regione, il nome ha avuto pressoché sempre il suono di quello attuale. Probabilmente glielo imposero i Siculi, in tempi protostorici, allorché furono costretti ad abbandonare il Lazio per trasferirsi nelle più sicure terre del Sud , in ricordo di altro fiume omonimo del loro paese di origine . La denominazione più antica sembra sia ( Seila ) come si legge in una medaglia di Paestum e come pressappoco si pronuncia ancor oggi, ma i Greci dissero ( Silaris ) e i Romani Silarus o Siler 3. Gli antichi gli attribuirono la proprietà di mutare in pietra qualunque oggetto ligneo che restasse immerso nelle sue acque per qualche tempo. Cominciò Aristotele, il sommo filosofo greco fiorito nel IV sec. A.C. , che però lo chiamò Ceto : “ dicono che questi luoghi siano tenuti dai Lucani e che

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vi sia in questi posti un fiume di nome Ceto, nel quale le cose che vi si gettano, in un primo momento galleggiano e poi si induriscono come pietre “Anche il geografo Strabone dice quasi la stessa cosa, chiamando il fiume col suo vero nome: “i virgulti (ramoscelli) immersi nelle sue acque sassificano pur conservando la forma e il colore primitivo“. Il naturalista Plinio è più dettagliato nella sua pur breve notizia: “similmente nel fiume Sele oltre Salerno , si trasformano in pietra non solo i rami che vi si immergono, ma anche le foglie. Con due bellissimi versi Silvio Italico volle trasmettere ai posteri questo singolare fenomeno : “ con quei che beon del Silaro che i rami , / come si narra , entro a suoi gorghi impietra “. E l’ultimo grande poeta nostro del Rinascimento, così cantò : Quivi insiem venia la gente esperta del suol che abbonda di vermiglie rose, là ove, come si narra e rami e fronde Silaro impetra con mirabil onde Il geografo Raffaele Valaterrano riferisce che il fiume Sele, scorrendo dai monti Sanniti (voleva dir forse lucani) ha questa proprietà , che i rami in esso immersi, pietrificano . Agli inizi del 700 un ecclesiastico capaccese scrisse : Il fiume Sele è quello, che dagli antichi, sia Greci che Latini fu chiamato Silaro, di cui ha esperienza che cangi in pietra ciocché in esso si gitta, avverandosi quello che da Plinio, da Silio Italico , e da Aristotele sotto il nome di Ceto si riferisce; che ne dica in contrario il Cliverio . L’ottimo barone Antonini non si accontentò della notizia e volle sperimentare personalmente la cosa, venticinque anni dopo. Riuscì a spiegare, in termini scientificamente validi per i suoi tempi le reali dimensioni del fenomeno. Non trovo di meglio che riferir per intero qui il suo discorso: Ho voluto in varie maniere sperimentare , se ancora duri nelle acque del Silaro quella qualità , che da tanti attribuita gli viene di pietrificare i legni; ed ho in ciascuna volta trovato non già pietrificarsi , ma che intorno ad essi attacchi una certa scorza, o sia crosta , che facendo più grosso il legno , niente al didentro cangia la natura di quello . Ecco quel che in ciò io ho potuto riflettere : L’acqua del Silaro è sempre alquanto torbida; onde che seco trae un certo loto glutinoso, che attaccandosi al legno, quando poi e asciutto, lo fa parere come se fosse di pietra. Aggiungesi che un bastone stando nel fiume un mese di inverno (allorchè l’acque sogliano essere torbide) fa assai più che per tre mesi d’està. Ho provato ancora a far in un luogo stesso stare uniti due bastoni , uno liscio e senza scorza , e l’altro noderoso , crespo e non levigato: Levatoli dopo alcun tempo dall’acAntologia Caposelese

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qua, ho trovato , che al liscio s’era attaccata meno crosta dell’altro. L’acqua di questo fiume presa in tempo d’està, e quanto per pioggia non siasi intorbidata, posta in un vaso con un pezzo di legno dentro appena v’imprime il segno di corteccia. Quella fatta torbida per pioggia ve n’imprime moltissima, e quando depone nel fondo del vaso è cosi pesante e duro, che eguaglia i sassi, e il ferro. Ho similmente osservato, che questi legni stati nel fiume, e cosi pietrificati, tanto più duri diventano , quanto più s’asciugano, e l’acqua con l’umido si dissipa.

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LA PRO LOCO, UNA TAPPA DELLA MIA VITA. di Raffaele Russomanno –La Sorgente n.84 – Agosto 2012

Il mio primo obiettivo, come Presidente, è stato quello di avviare nella Pro Loco un cambio generazionale, sperando in una transizione graduale basata su un comune intento: la crescita della nostra Associazione e con essa del nostro Paese.

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a nostra vita è costellata da eventi che come tappe, a volte obbligate, altre volte scelte, ne segnano il percorso. Sei anni fa, nell’accettare la carica di Presidente della Pro Loco, iniziava per me un’avventura entusiasmante da condividere con vecchi e nuovi amici, intrapresa, sinceramente, fra mille incognite e doverosi dubbi, ma tutti sicuramente inferiori alla passione che mi animava. Non mi aspettavo di incamminarmi per una strada in discesa, ma francamente non sarei mai stato in grado di immaginarla così impervia, come si è rivelata in alcuni momenti. Ma sono proprio le asperità della vita a farci da stimolo e a non farci demordere dal realizzare le cose in cui più crediamo. Il mio primo obiettivo, come Presidente, è stato quello di avviare nella Pro Loco un cambio generazionale, sperando in una transizione graduale basata su un comune intento: la crescita della nostra Associazione e con essa del nostro Paese. Ho creduto in questo e ho lavorato affinché tutto ciò si realizzasse: tanta gioia nel vedere arrivare i giovani nella Pro Loco, ma indicibile amarezza nel vederli andare via senza che si riuscisse ad arrivare ad una soluzione di comuni intenti. Questo è il passato. La vita della Pro Loco è continuata con le forze e le energie di quelli di sempre ma anche con la linfa vitale di pochi giovani. Fortunatamente lo scorrere del tempo e gli eventi che si susseguono ci obbligano ad andare avanti e guardare oltre. Durante quest’inverno, dopo un periodo di calma, ho cercato di riprovare a dare una nuova svolta alla nostra Pro Loco proponendo al consiglio direttivo di rimettere il mandato per facilitare e agevolare il cammino

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del rinnovamento e riprendere, così, il dialogo con i giovani. Questo era il mio obiettivo quando ho incominciato, lo stesso rimane attualmente per me e la Pro Loco tutta. Tutte le esperienze della vita, analizzate nella loro interezza, riservano sempre delle positività. L’esperienza “presidenza della Pro Loco” ha rappresentato per me una grande palestra di vita che mi ha permesso di capire a fondo gli animi umani. Quante delusioni per aver sopravvalutato alcuni non comprendendone da subito l’animosità, solo perché ben celata, ma anche tante soddisfazioni nel toccare con mano il sostegno materiale e la condivisione di idee di tanti. Non potrò ringraziare mai abbastanza quei soci che, all’indomani delle infinite polemiche con i giovani, mi aspettavano di buon mattino vicino alla sede della Pro Loco pronti per lavorare, come d’altronde avevano sempre fatto per l’allestimento della sagra, non rivendicando per questo titoli e posizioni in consiglio. Mi sembra doveroso ringraziare Emidio Alagia, che sin dall’inizio del mio mandato mi ha incoraggiato con affetto, dimostrandomi stima e sostegno in ogni momento difficile, ma soprattutto per avermi insegnato, insieme a tutti quei soci armati di chiodi, martello e tavoloni, che non si è giovani per età anagrafica ma che si è giovani quando lo spirito d’iniziativa e la passione animano la nostra vita. E come non ringraziare tutte le donne, che sotto la sapiente guida di Anna Casale ed Agnese Malanga, senza richiedere onori e glorie hanno sempre permesso, e spero sempre permetteranno, alla Pro Loco di portare avanti la tradizione della cucina caposelese. Ringrazio, inoltre, quanti in questi anni hanno condiviso con me nel consiglio direttivo i momenti di gioia, sostenendomi in quelli di difficoltà . Al nuovo Presidente, l’arch. Concetta Mattia, a cui so di lasciare un compito gravoso, va il mio augurio affinché con la vitalità, la capacità organizzativa e la professionalità che la contraddistinguono possa traghettare l’associazione verso quel passaggio generazionale in cui avevo riposto tutte le mie aspettative e di andare oltre. A noi tutti il lavoro di portare a compimento quanto appena iniziato: il museo leonardiano, le visite alle Sorgenti del Sele ed al parco fluviale, l’arricchimento e l’approfondimento della formazione dei giovani che hanno partecipato al primo corso di guide turistiche locali, ragazzi a cui va tutto il nostro ringraziamento per l’impegno e la passione che hanno profuso per far partire il museo stesso. Se oggi gruppi di turisti attraversano Caposele centro lo dobbiamo anche all’opera di questi giovani. Mi permetto di suggerire a voi, giovani guide locali, di non dare ascolto a quanti, con insulsi e velenosi commenti, cercano di delegittimare il vostro imAntologia Caposelese

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FIRMA DELLA CONVENZIONE La Sorgente n. 84 - Agosto 2012 Pasquale Farina – Sindaco

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pegno: vi ricordo che offrire il proprio tempo al servizio della collettività è il più alto gesto di civiltà per l’uomo. Al neo Presidente ed al nuovo Direttivo attendono, come sempre, nuove e più avvincenti sfide, che sicuramente verranno affrontate con impegno, ben consci che la crescita della nostra Pro Loco viaggia di pari passo con la crescita civile e sociale del nostro paese, cosa, mai come ora, necessaria per superare tutte le difficoltà del momento.

Oggi, questa Convenzione raccoglie una sfida in cui le parti stipulanti, si dichiarano recipro­ co impegno, da onorare sulla base della riformulazione di comportamenti, prima verso l’Acqua, e poi verso le legittime attese dei relativi amministrati.

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uona sera a conclusione di questa giornata che noi tutti Caposelesi ricorderemo. Intanto, un saluto e un sincero benvenuto al dott. Massimiliano Bianco direttore generale dell’Acquedotto Pugliese, all’ing. Ivo Monteforte amministratore unico dell’Acquedotto Pugliese, all’avv. on. Fabiano Amati assessore opere pubbliche, lavori pubblici della Regione Puglia, all’avv. on. Giuseppe De Mita vicepresidente della Regione Campania e, ovviamente al Presidente della regione Puglia l’on. Nichi Vendola. Un saluto e un sincero benvenuto ancora, alle autorità a vario titolo presenti, ai cittadini irpini e pugliesi che ci hanno voluto onorare, partecipando da testimoni ad un evento significativo per i Caposelesi, evento che suggella un antico legame, ormai secolare, tra il Comune di Caposele e la Regione Puglia, stretto in nome della solidarietà, di quella solidarietà, per capirci, che si esterna con atti concreti e non semplicemente con parole o con impegni vaghi. Noi innanzitutto apprezziamo che per la prima volta, nelle consolidate relazioni con l’EAAP di ieri e l’AQP di oggi, la sottoscrizione della Nuova Convenzione avvenga a Caposele e di questa sensibilità istituzionale noi ringraziamo l’ass. Fabiano Amati e il presidente Nichi Vendola, che hanno autonomamente saputo cogliere il valore simbolico di un atto, la cui forma è anche sostanza. Non ci saremmo doluti se la firma di questa convenzione con l’AQP e quella non meno importante dell’Accordo Morale con la Regione Puglia, fosse stata apposta a Bari; di certo questa opzione ci è gradita per due ordini di motivi. Trattandosi di acqua, cioè di un bene comune dell’Umanità, da amministrare in nome e per conto delle generazioni attuali e future; rifuggire dai palazzi per privilegiare i luoghi “alla luce del sole” consegna un messaggio inequivoca-

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bile di chiarezza e di coraggio sugli usi di questa risorsa naturale, refrattaria, ribadisco refrattaria intimamente alla nozione di proprietà e di padronanza. In secondo luogo, la presenza dell’on. Vendola, presidente dei pugliesi oltre che della Regione Puglia, testimonia un elemento di discontinuità col passato, in quanto, dà un valore al dialogo con i territori, riconoscendo ad essi una dignità ed un ruolo da esaltare, proprio nel momento in cui avanza con incertezza la stagione politica del federalismo regionale. Questa discontinuità, vorrei dire a tutti gli Irpini, è una traccia utile a tutti, quando sono in ballo “Risorse Territoriali” intimamente legate a “comunità di destino”, ormai in caduta demografica, comunità che in ogni caso sono un presidio umano necessario alla tutela degli stessi interessi delle città. Un euro speso ed investito qui, è un euro speso ed investito bene, è un contributo al risparmio di tanti euro necessari alla complessa gestione di un Servizio Idrico Integrato pianificato altrove. Ecco perché c’è bisogno che la politica rinnovi i suoi approcci, riscoprendo le funzioni ed i ruoli dei territori che non vanno mai frettolosamente sacrificati in nome di emergenze altrove, anche se vere ed incontestabili a nessuno venga in mente che a Caposele oggi si sottoscrive un atto di vendita delle acque. L’acqua non è, e non sarà mai una merce, essa resta un valore, e se ha un valore, questo resta implicito nei costi di gestione e nei doveri di investimento e di comportamenti a tutela, che ne derivano.

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Questa Convenzione, che ci ha impegnati per alcuni anni in un confronto leale con l’AQP, mediato dalle energie profuse dall’ass. Regionale Fabiano Amati, cui va il mio ringraziamento, unitamente al dott. Massimiliano Bianco, dicevo questa Convenzione ha dovuto correre sui binari stretti concessi a noi dalla complicata e spesso esuberante legislazione di settore, del tutto assente negli anni ’70 quando l’EAAP riparò, con un’altra convenzione, ad un’ingiustizia perpetrata dal Fascismo, ingiustizia che aveva provocato rivolte, arresti e lacerazioni tra Caposele e la Puglia. Oggi, questa Convenzione raccoglie una sfida in cui le parti stipulanti, si dichiarano reciproco impegno, da onorare sulla base della riformulazione di comportamenti, prima verso l’Acqua, e poi verso le legittime attese dei relativi amministrati. Sapere che l’acqua sarà disponibile al criteriato uso delle famiglie di Caposele e a sostegno del nostro sviluppo con l’aggiunta di entrate da investire nella salvaguardia delle aree di protezione delle sorgenti, il che significa, per la conformazione urbana, Caposele centro e dintorni, non può che far piacere ai Caposelesi. Prendere atto, inoltre che AQP si apre con concessioni in comodato d’uso di suoi beni patrimoniali a sostegno del Progetto Turistico in un Comune che è già una realtà col suo Santuario, al quale aggiungeremmo le potenzialità Ambientali, nonché la realizzazione di un’area museale-laboratoriale di cui Antologia Caposelese

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l’acqua è il genius loci, va oltre le nostre aspettative ed anche in questo caso traccia il solco di un futuro da costruire, magari in sinergia con la Regione Puglia e la Regione Campania. Strappare, infine, un impegno comune della Regione Puglia e della Regione Campania, il cui vicepresidente on. Giuseppe De Mita saluto affettuosamente, e ringrazio per la presenza, un impegno, dicevo, affinché la fragilità di questo territorio che nelle sue viscere protegge il più strategico accumulo idrico dell’intero bacino Mediterraneo, sia attenzionata con mirati interventi di riforestazione e di risanamenti idrogeologici, di più non potremmo sperare. In quest’ottica, e proprio a tal proposito, l’Accordo Morale di cui si rende oggi garante la più alta carica della Regione Puglia con la sottoscrizione, rappresenta non solo l’impegno della Regione Puglia alla tutela del nostro territorio, ma anche l’adesione ad un comune progetto a difesa dell’acqua, sia che scorra nell’alveo, sia che venga destinata a dissetare comunità pugliesi che riteniamo sorelle. Noi siamo convinti, e lo sono tutti i Caposelesi da sempre, che solo l’ascolto e il dialogo sono in grado di risolvere problemi che a prima vista, sembrano insormontabili, perché con l’ascolto cresce la fiducia e si vince la diffidenza, perché con il dialogo si costruisce la condivisione e l’empatia, senza le quali nessuno potrà mai fare troppa strada. Noi ci siamo sempre inorgogliti quando i pugliesi attraverso le parole di un vecchio avvocato di Trani, l’indimenticabile Vincenzo Caruso, definirono Caposele “il più generoso paese d’Italia”; di ciò andava fiero anche un compianto sindaco di Caposele, Francesco Caprio. E noi ci rallegriamo ancora di più quando Caposele è visitata dai Pugliesi che numerosi accorrono al Santuario di S. Gerardo, lucano di nascita e irpino d’adozione e frequente visitatore della Capitanata. Per così dire, i Pugliesi sia che siano chiamati qui per realizzare le loro opere acquedottistiche, sia che vengano da turisti, si devono sentire a casa, perché l’Irpinia è terra di accoglienza e di autentica solidarietà. Da questo punto di vista, ci auguriamo che l’evento di cui è protagonista in prima persona, oggi, l’on. Nichi Vendola, sia accolto nella sua terra eccezionale, come un invito ai suoi conterranei a conoscere questi luoghi di sorgente che cent’anni fa ed oltre, vincendo le asperità delle dorsali appenniniche, contribuirono con l’acqua al riscatto, alla rinascita e allo sviluppo della Puglia. Ancora grazie … a tutti … a nome dei cittadini di Caposele per questa giornata.

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IN MARGINE AD UN MARGINE DI... FERRAGOSTO CAPOSELESE. di Salvatore Ilaria Sorg. n. 35 - 1987

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n tempi in cui in ogni Comune o addirittura frazione di Comune si festeggia il Ferragosto, è impresa assai ardua trovare un distinguo che caratterizzi il XIII Ferragosto Caposelese. Ad una prima disanima superficiale e poco attenta parrebbe, per noi che l’abbiamo vissuto, come negli anni passati, che il tutto possa collocarsi in un ambito di giustezza e di totale soddisfazione nei confronti di un evento che, checché se ne dica, rimane l’unico sussulto percettibile in un paese che per altri undici mesi langue in maniera preoccupante. Ed infatti eideticamente il concorso spontaneo e policromatico dei Caposelesi, l’effetto socializzante e, direi, terapeutico della sagra dei fusilli, le ben note riconosciute capacità psico-stimolanti dell’evento festaiolo in sé, non debbono farci dire che tutto va bene se fatto in questa maniera. Mi sembra di avvertire, per la verità già da qualche anno, i segni di una stanca generale, di una formula che abbisogna di un rinnovamento nei contenuti e nei tempi, pena uno scadimento ulteriore ad una trita e stucchevole festa paesana. Ab assuetis non fit passio... ! È chiaro che determinati contenuti quali la sagra dei fusilli o il palio della cuccagna, o la corsa campestre o la gara dei murales, non vanno eliminati, tenendo conto della realtà sociale del nostro Comune, ma il tutto va rimescolato in maniera tale che si privilegi un contenuto a valenza culturale che solo in quanto tale può rivitalizzare una manifestazione e fare da richiamo per gente di oltre tenimento ed avere nel tempo una capacità di penetrazione oltre che di risonanza a livello regionale. In sostanza si tratta di dare ai nostri concittadini in pasto non soltanto dei fusilli intesi come glicidi o del vino inteso come alcool, ma anche e soprattutto dei contorni culturali, degli stimoli o dei momenti che facciano da volano sui nostri spiriti e sulle nostre coscienze. Bisogna, infatti, dire con tutta franchezza che per quanto attiene a codesti ultimi stimoli, Caposele è andata paurosamente peggiorando negli ultimi anni senza scusanti di sorta. E qui si deve citare l’evento terremoto nei confronti del quale se pur con soddisfazione stiamo risalendo la china per quanto riguarda la ricostruzione degli immobili devastati, non così si può dire per l’effetto di disgregazione sociale ed umana patito da noi tutti. Nei confronti di quest’ultimo dobbiamo francamente affermare, senza tema Antologia Caposelese

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di smentite, che siamo a zero o quasi. Se è vero che pecunia non olet, è altrettanto vero che il mero aspetto economico non deve essere a tutti i livelli considerato un cieco fine, ma un mezzo per diventare diversi e non uguali a prima. È qui il nocciolo delle mie modeste considerazioni: l’essere diversi e non uguali, di hegeliana memoria. La negazione diventa superamento della condizione precedente, continuo miglioramento della popolazione in senso non solo economico, ma soprattutto civile. Questo richiede, naturalmente, impegno da parte di tutti, ed il Ferragosto Caposelese può e deve essere, in questo senso, un tassello di questo mosaico che va nel tempo ad essere realizzato. Questo significa eliminare la mentalità dei “sì”, dei “mò subito”, dei circa, dei “non appena. ..”, dei denigratori ad ogni costo, dei sapientoni dell’ipse dixit... “Derideri...merito potest, qui sine virtute vanase exercet minas”. Bisogna che si formi una mentalità nel pensare e neh” agire che sia tassativa e non possibilistica; questo significa, in pratica, (caveant consules!) dare un campo sportivo degno di tale nome ai giovani (lo sport è l’unico iperstressante positivo), riattare o ricreare un ambiente da adibire a cinema o a centro di incontri o dibattiti nel più breve tempo possibile. Questo significa, per esempio, agganciare il discorso della sagra dei fusilli ad un convegno sulla dieta mediterranea di cui si trovano tracce negli scritti del nostro compaesano, patologo Prof. Nicola Santorelli; avviare uno studio sui nostri concittadini illustri, da portare in un pubblico convegno al quale invitare esperti, industriali alimentari e pastai, sponsors vari. Nel contempo si potrebbe fare uno studio sulle eccellenti qualità dell’olio di oliva di Caposele da inserire, il tutto, in un discorso turistico in senso lato, teso a valorizzare l’incantevole bellezzadei nostri luoghi, la dolcezza unica del nostro clima, la bontà delle nostre acque. Naturalmente si dovrebbero costruire dei vari momenti-polo da distribuire nell’arco dell’intiero anno con possibilità di incremento progressivo, con un intreccio tra avvenimenti sportivi, gastronomici e convegnistici. Credo che questa sia la direzione giusta per un Ferragosto serio e rispettabile, che questo debba costituire il senso ermeneutico dei fatti. Altrimenti rischiamo il pericoloso dualismo di una “marina asciutta”, aqquartierata ed isolata nei confronti di una “marina bagnata” lasciata al proprio ingiusto destino. Altrimenti ritorniamo al titolo di queste mie modeste note: in margine ad un margine di ... Ferragosto Caposelese. ...Homo sum, nihil humani a me alienum puto...

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2012 UNA VISITA A CAPOSELE, LA BOMBONIERA DELL’IRPINIA. Mario Sista romano- La Sorgente n.84 – Ag. 2012 Se tu, turista vuoi passare un week end oppure un’intera settimana a Ca­ posele e Materdomini hai solo l’imbarazzo della scelta: oltre le bellezze na­ turali, l’aria buona, la calma, il verde, l’acqua fresca e pura, ottimi alberghi, dal più grande a quello a conduzione familiare, e ristoranti, agriturismi, pub dove potrai gustare alcune prelibatezze culinarie del luogo ancora fatte a mano.

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arissimo Direttore, caro Nicola, non vedo l’ora che arrivi il mese di Agosto per passare i miei soliti quindici giorni a Caposele. Tu lo sai con quanto amore ogni anno torno al mio Paese, per ritrovare gli amici di sempre. Quando mi hai telefonato e mi hai detto che al Museo di Leonardo stanno affluendo numerosi visitatori, sono rimasto molto contento, perchè i nostri discorsi di puntare sul turismo per migliorare le sorti del paese incominciano a dare i primi frutti. Quando arrivo sarà la prima cosa che farò, la visita al Museo di Leonardo. Parlo spesso con i miei amici di Roma delle bellezze di Caposele, la Bombo­ niera dell’Irpinia, è così che la chiamo io e i miei amici romani che l’ hanno visitato mi danno ragione: spero di portarne altri. Adesso permettimi di rivolgermi ad un ipotetico turista che non conosce il nostro paese e fargli un po’ da Cicerone. Io vivo a Roma da oltre cinquant’anni e ho avuto modo di visitare molte città e paesi d’Arte, grandi e piccoli ma ti posso assicurare che sono pochi i paesi che con soli cinquemila abitanti vantano così numerosi luoghi degni da essere visitati. Se tu, turista vuoi passare un week end oppure un’intera settimana a Caposele e Materdomini hai solo l’imbarazzo della scelta: oltre le bellezze naturali, l’aria buona, la calma, il verde, l’acqua fresca e pura, ottimi alberghi, dal più grande a quello a conduzione familiare, e ristoranti, agriturismi, pub dove potrai gustare alcune prelibatezze culinarie del luogo ancora fatte a mano. Se sei un turista religioso, la prima cosa da fare appena arrivi a MaterdominiSan Gerardo è una passeggiata lungo la strada che porta alla vecchia entrata della Basilica di San Gerardo Maiella. Un milione di visitatori circa all’ anno. Vedrai tutta la strada piena di bancarelle con immagini del Santo ed altro genere di cose. Soffermati cinque minuti Dalla terrazza ammira il panorama una vasta vallata sempre verde, la fantasia un quadro ci ricama Antologia Caposelese

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la vista in lungo e in largo si disperde. Come un gabbiano pronto per volare che accompagna il Sele verso il mare . Pochi metri ancora e arrivi alla piazzetta dove c’è la vecchia scalinata che porta all’originale portale d’ingresso della Basilica scampato al terremoto dell’Ottanta. A proposito, fino agli anni Cinquanta e oltre alcuni fedeli salivano quella scalinata in ginocchio. Aspetta ancora un pò, sulla sinistra vedrai un altro panorama, le case in collina che arrivano fino al paese. Quello è Caposele, contornato da montagne sempre verdi, una fitta vegetazione verde scuro che si avvicina al blu, un polmone di ossigeno che ti vien voglia di saziarti d’aria pura. Dopo che hai visitato la Basilica, decidi tu se scendere subito giù al paese o riposarti e farlo più tardi. Sono solo due chilometri di strada, si possono fare anche a piedi per godere di più del panorama. Appena finita la discesa, pochi metri prima di arrivare al fiume, potrai visitare l’Oasi della Madonnina, così chiamata perché, durante dei lavori, venne trovata un’immagine somigliante la sagoma della Madonna sulla faccia di una grande pietra scavata. Un itinerario di tre quattrocento metri e rimarrai affascinato dalla vista, già da lontano, di una cascata d’acqua fresca e cristallina che esce da una roccia, scroscia rimbalza e scende a precipizio nel fiume Sele. Dal monte Paflagone va alla foce calando giù dai monti alla pianura, ti pare di sentire qualche voce che ti accarezza e poi ti rassicura. Sorgenti e ruscelletti fanno a gara che simili a vederne è cosa rara. Non puoi fare a meno di notare una fitta vegetazione di piante fluviali con foglie larghe e numerose trote che risalgono le acque. Una volta entrato al paese avrai ancora molti luoghi importanti da visitare, a partire dalla Chiesa di San Lorenzo, patrono del paese, ricostruita solo pochi anni fa dalla distruzione del terremoto del 1980, con un’architettura modernissima e avveniristica. Alla Proloco ti daranno tutte le indicazioni per visitare il Museo delle acque e il nuovo Museo Leonardo, aperto ad aprile 2012, che in pochi mesi ha avuto già cinquemila visitatori, mica male. Durante il tragitto per il paese vedrai molte fontane, ad ognuna fermati a sorseggiare l’ acqua fresca, ti si gelano i denti, è buonissima, io lo faccio sempre! A proposito di acqua, dall’anno scorso hai la possibilità di visitare, accompagnato da una guida, il grande Acquedotto Pugliese, il più lungo d’Europa, con i suoi 243 km, un’opera colossale che ha la capacità di dissetare tutta la Puglia. Oltre le cose già citate di notevole importanza potrai fare una scappatina al bosco a quattro chilometri di distanza attrezzato coi barbecue per una scampagnata con gli amici. In più se capiti d’estate potrai godere di numerosi giorni di feste con sagre paesane folkloristiche, con cibo di tradizione paesana fatto a mano come si faceva una volta. Fermati a parlare con i paesani, sono persone

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schiette semplici e sincere con il senso dell’ospitalità, c’è stato sempre un buon rapporto con il forestiero, lo ricordo da quando ero ragazzo. Ti accorgerai che Caposele non è solo un paese per vecchi, ci sono molti giovani che ci vivono, studiano e hanno tanta voglia di dar vita al paese. Non posso prolungarmi molto per questione di spazio però penso che dopo aver visitato quanto sopra descritto tornerai a casa soddisfatto per il cibo, l’acqua, l’aria buona e tutto il resto e porterai con te un po’ di cultura in più, il che non guasta, ed un buon ricordo per tutto il resto della tua vita, augurandoti di passare parola e perchè no di ritornarci. Caro Nicola, spero che questo invito a visitare Caposele lo leggeranno molte persone e che possa servire ad incrementare il flusso turistico al nostro tanto amato paese. Un ringraziamento lo voglio fare al Sindaco Pasquale Farina, perché, dopo tanti Sindaci che nel corso degli anni si sono succeduti, è stato il primo a capire ed a iniziare a dare un volto nuovo a Caposele. Alla Proloco e a te in particolare che attraverso la “Sorgente” fai avere a tutti i paesani sparsi nel mondo le notizie e gli avvenimenti di tutto il paese, un caloroso abbraccio e un arrivederci a presto. Cordialmente

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«IL SOGNO DEL PAESE CHE VORREI» LETTERA A CAPOSELE Di Concita Meo – La Sorgente n. 85 dicembre 2012

Vorrei che non vi sia nessuna discriminazione dettata dall’appartenenza politica. Vorrei che ognuno sia veramente libero di decidere da che parte stare, senza per questo essere additato e giudicato da chi la pensa diversamente. Vorrei che i toni che da oggi in avanti dovranno essere usati, siano pacati, ed educati. Vorrei che vi sia un rifio­ rire di valori quali l’amicizia, il rispetto, l’educazione, la solidarietà, da far scendere in piazza, dando la dimostrazione di essere degni figli tuoi.

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aro Caposele, paese mio, ti scrivo questa lettera pensando a tutti coloro che per un istante nel tempo ti hanno condiviso, a quelli che oggi ti porti addosso, a tutte le persone che hai visto passare, a quelli che un giorno abbraccerai, come un tenero padre e da subito impareranno ad amarti. Anche a chi è stato solo di passaggio, hai lasciato un segno profondo e indelebile nella memoria e nel cuore. Penso a quante storie hai visto ed hai fatto vivere! A quanti amori hai visto sbocciare! A quanto dolore hai dovuto assistere? Quante volte hai dovuto rialzarti dalle macerie e tornare ad erigerti nel tuo splendore? Sì, paese mio, perché per me tu sei uno splendore, con le tue meraviglie naturali, sei la perla dell’Irpinia! Non si può non rimanere incantati quando ci si immerge nel verde delle tue Antologia Caposelese

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terre o nel lento scorrere dei caldi colori delle stagioni. I boschi, le montagne, la collina, silenzi, pace! Non si può restare impassibili sulle fresche sponde del tuo carissimo e preziosissimo fiume, ricco di acque pure, trasparenti, cristalline. Quanti hanno potuto dissetarsi, rinfrescarsi, nelle tue acque? Penso a tutti i fedeli, ai pellegrini che hai visto pregare presso il Santuario del Santo, Gerardo. Ognuno di loro ha lasciato una speranza, una preghiera, chiedendo un conforto, una possibilità. Io non sono in grado di descrivere l’orgoglio, la fierezza che ho ad essere nata qui, tra le tue braccia. Mi sento solo tanto fortunata, caro paese mio! In te ho realizzato tutti i miei sogni! Ed oggi, penso a te, alle tue aspettative, ai tuoi desideri, e mi chiedo… ma tu, li hai davvero realizzati i tuoi sogni? Se è vero che racchiudi in te tutti i canoni del paese ideale, non vedo altrettanto tra noi, i tuo figli! Vedo incomprensioni, divisioni, freddezza nei rapporti umani. Vedo capitale umano dalle altissime potenzialità attive e partecipative, che si scontra allontanandosi sempre di più, invece che unire queste forze per un unico e semplice obbiettivo: valorizzarti e renderti ancora più bello! Non si può dirti di amarti, di volerti bene, se si spreca il poco tempo che abbiamo, quest’ “attimo” di passaggio in questo mondo, solo a dibattere e a scontrarci su ciò che ci divide, invece di impegnarci e concentrarci in uno sforzo comune su tutto ciò che ci accomuna! “Se sognare un poco è pericoloso, la sua cura non è sognare meno, ma sognare di più, sognare tutto il tempo” (Marcel Proust), io voglio sognare e continuare a farlo. Caro paese mio, in questi periodi, in cui gli animi cominciano a scaldarsi per i prossimi impegni elettorali, io avrei una umile richiesta, un sogno che vorrei si realizzasse per me e per quelli, tanti, che ti amano veramente. Vorrei che tutti i tuoi figli, giovani, anziani, tutti, avessero la libertà e la possibilità di decidere della propria vita e delle proprie azioni, di dubitare, di sbagliare se necessario, senza essere limitati tranne che nel rispetto e nella inviolabilità delle altrui libertà. Vorrei che non vi sia nessuna discriminazione dettata dall’appartenenza politica. Vorrei che ognuno sia veramente libero di decidere da che parte stare, senza per questo essere additato e giudicato da chi la pensa diversamente. Vorrei che i toni che da oggi in avanti dovranno essere usati, siano pacati, ed educati. Vorrei che vi sia un rifiorire di valori quali l’amicizia, il rispetto, l’educazione, la solidarietà, da far scendere in piazza, dando la dimostrazione di essere degni figli tuoi. Gli ostacoli sono tanti, ma dobbiamo impegnarci a superarli avendo sempre in mente un unico scopo: il tuo benessere, e di conseguenza, quello nostro, tuoi

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umili figli; abbiamo il dovere di guardare dentro di noi, riscoprire e difendere questo sogno di unione. Se possiamo, iniziamo da ora dimenticando vecchi rancori, chiarendo le incomprensioni, guardando con fiducia al futuro che dovremo lasciare ai nostri figli. Qualunque sia l’esito delle prossime amministrative, l’impegno comune da perseguire deve restare lo stesso: fare cerchio attorno all’idea di partecipazione per il miglioramento di questa eredità da tramandare. Più si persegue il sogno, più esso avrà la possibilità di essere realizzato. Uniamoci quindi nelle idee e nei propositi, perché se è vero il detto che quando le formiche si mettono d’accordo spostano un elefante, anche noi, paese mio, potremo fare di te “il sogno del paese che vorrei”!

UN’IDEA DI CAPOSELE – La Sorgente n.85 Dicembre 2012 di Emilia Cirillo

Ritorno volentieri a Nusco, Bagnoli, Montella, paesi ricchi di storia e di fascino. Ma amo, per motivi assolutamente sentimentali, il paese di Caposele, di cui ho ricordi indimenticabili per le estati trascorse tra le feste nei boschi con l’organetto e le danze popolari e per le iniziative che la proloco organizza tutt’ora, facendo conoscere a chi viene da fuori i sapori della tradizione Caposelese.

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a fila delle automobili fa sembrare l’uscita dell’autostrada Avellino Est quella di una metropoli. Le auto provengono da Napoli e dal suo interland, una fuga domenicale ormai consueta verso la nostra Irpinia, che con la sua offerta gastronomica-paesaggistica attrae sensibilmente gli abitanti della grande città. A qualche chilometro dal casello comincia la grande magia delle nostre montagne e degli altipiani, dei nostri castagneti, dei paesi ormai ricostruiti e tutti da riscoprire. Perché possiamo dirlo, chi arriva in Irpinia e percorre l’Ofantina bis si trova immerso in una natura miracolosa, che procede incontaminata da Volturara fino a tutta la valle del Calore e dell’Ofanto e del Sele. L’offerta turistica è varia: ristoranti, nuovi agriturismi, bed and breakfast ai quali si aggiungono i musei locali, le chiese, i conventi e i palazzi restaurati o ricostruiti. Direi che siamo ad una svolta, perché ci siamo ormai quasi definitivamente lasciati alle spalle trent’anni di precarietà e di incertezze, l’Irpinia è stata quasi totalmente ricostruita e restituita al corso delle cose. Non c’è quindi più da lamentarsi, ma solo da fare i conti con le risorse disponibili e con quello che, politicamente voluto, è stato realizzato. Sembra assurdo che proprio ora, in questo nuovo interesse turistico nato per l’Irpinia, se pure mordi e fuggi, si sia deciso di chiudere il tratto ferroviario della Avellino- Rocchetta, che avrebbe potuto funzionare Antologia Caposelese

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egregiamente come percorso turistico su rotaie. Molte più persone avrebbe potuto raggiungere e conoscere i nostri paesi lasciando l’auto a casa ed evitando di perdersi nelle interminabili file al casello, perché molte sono le località da vedere e grande è l’imbarazzo della scelta. Ritorno volentieri a Nusco, Bagnoli, Montella, paesi ricchi di storia e di fascino. Ma amo, per motivi assolutamente sentimentali, il paese di Caposele, di cui ho ricordi indimenticabili per le estati trascorse tra le feste nei boschi con l’organetto e le danze popolari e per le iniziative che la proloco organizza tutt’ora, facendo conoscere a chi viene da fuori i sapori della tradizione Caposele ( pasta fatta a mano tra cui le matasse con i ceci, i fusilli rigorosamente caposelesi, i salumi, le braci di capretto, le trote del Sele, gli amaretti e i deliziosi tarallini all’olio). A Caposele si arriva finalmente con una bella strada a scorrimento veloce, che da Lioni raggiunge Contursi, offrendo a chi va in macchina un nuovo panorama del paese, situato in una valle dominata dal Santuario di San Gerardo Maiella e a ridosso delle sorgenti del Sele, tanto che si potrebbe dire che ci sono due Caposele: la città di Dio in alto e la città degli uomini in basso. E’ silenzio e tranquillità nel paese. Si siede fuori le porte delle case, d’estate, su curiose panchine di legno a chiacchierare la sera, d‘inverno l’odore della legna accesa nei camini impregna le strade. E’ la cupola neo barocca della chiesa di San di Lorenzo, ricostruita all’interno del centro storico su progetto degli architetti romani Portoghesi e Gigliotti, a delineare e configurare il nuovo paesaggio di Caposele. Una chiesa, di cui è valsa la pena l’attesa, per aver saputo introdurre un elemento di alta architettura in Irpinia e che sarebbe giusta meta di un itinerario turistico culturale per le suggestioni che evoca. Ma le sorprese di questo paese così irpino ma anche proiettato verso il salernitano, sono molte. Una visita alle sorgenti del Sele costituisce ancora e sempre un’ attrazione particolarissima per quanti arrivano a Caposele, definita giustamente città di sorgente. La quantità dell’acqua imbrigliata nelle condotte, unita al rumore possente, resta un’esperienza indimenticabile per quanti non conoscono la forza primitiva nascosta nelle viscere delle montagne irpine. Quest’acqua, che ha ispirato Ungaretti e tanti altri poeti e scrittori, disseta da oltre cento anni il tavoliere delle Puglie ed è ancora oggetto di una battaglia politica per il suo sfruttamento. Ma l’acqua è di Caposele, perché qui nasce e scorre, connota il territorio, diventa risorsa economica, resta nella memoria di chi è partito e di chi è rimasto.

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2012 LE DONNE DI CAPOSELE La Sorgente n.85 dic.2012 di Milena Soriano Il cielo rischiara, ed il paese prende vita. Il silenzio è rotto da colpi sordi di zoccoli di muli sul selciato. Due donne, con il capo ricoperto da un fazzo­ letto scuro, camminano mute affiancando gli animali. Dalle some sbucano vanghe e zappe, legate tra sacchi e fardelli di panno dalle cocche annodate. La piccola carovana scende verso i campi fuori porta, e l’eco sordo dello scalpiccio si disperde decrescendo.

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l sole non è ancora all’orizzonte ed il paese, adagiato tra i due colli, dorme ancora. Ma, negli stretti vicoli lastricati in pietra, già si rincorrono le voci delle donne che preparano l’antico rito. Nella gialla e foca luce dei lampioni, dritte nel busto e con le mani posate ai fianchi, si avviano verso il forno del paese. Il nero e caldo antro le inghiotte una ad una e, dalle ceste in equilibrio sulle loro teste, emergono le pagnotte farinose e soffci che spariscono nella bocca infiammata. Al ripetersi del miracolo del pane, le vestali della casa ritornano ancora, e con amore e allegra confusione, si dividono il sacro carico dorato. In fine, ciarlando soddisfatte, rientrano nelle abitazioni, mentre “panelle” e muffetti, avvolti in candidi e fumanti panni, spandono per la via il dolce e stimolante effluvio. Il cielo rischiara, ed il paese prende vita. Il silenzio è rotto da colpi sordi di zoccoli di muli sul selciato. Due donne, con il capo ricoperto da un fazzoletto scuro, camminano mute affiancando gli animali. Dalle some sbucano vanghe e zappe, legate tra sacchi e fardelli di panno dalle cocche annodate. La piccola carovana scende verso i campi fuori porta, e l’eco sordo dello scalpiccio si disperde decrescendo. Nelle abitazioni si spengono le luci, si spalancano le finestre, e la mattinata fluisce nel consueto svolgere dei mestieri di casa. Ad un tratto, un gran vociare anima la piazza e le donne accorrono all’invito del banditore. Dalla strada principale giungono carretti e furgoni colmi di frutta e verdura. Nel mercanteggiare delle parti, si alza una voce, si ode una risata, il richiamo di un bambino…e, nella gaia baraonda, le donne, reggendo fagotti incartati, ritornano a casa soddisfatte. Sul greto del fiume, nel frattempo, Lorenza agita i panni nelle limpide acque. Prona, le gambe immerse fino alle caviglie, la sottana arrotolata sul davanti e fissata alla cintura - sbiancando e sterilizzando con la cenere - immerge ed eleva a galla la biancheria; l’arrotola, sgrondando l’acqua, e la distende sull’erba, sotto il sole ormai alto. Infine, raggiunge le comari, e divide con loro frutta, pane duro e vino. Da lontano giunge smorzato lo scrosciare di una cascata, ed una leggera brezza smuove gli angoli delle lenzuola, s’insinua al disotto di esse, le gonfa al centro, poi si ritira appiattendole al suolo, con un moto lieve e discontinuo. Oggi Antologia Caposelese

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le donne torneranno a casa presto! In paese, Gerardina è già da qualche tempo nella sua cucina. Il fuoco scoppietta nella “fornacella” rivestita di mattonelle bianche, e il ragù sobbolle nella pentola di rame affogata nei mattoni. Sul tavolo di servizio la spianatoia di legno offre all’aria le matasse di pasta, da asciugare. Sulla credenza “la ‘ngattinata” riposa in un piatto ovale; al suo fianco, fanno bella mostra di sé, la pizza di granuriniu , una forma di pecorino e, sotto una campana di vetro, una montagna di fragranti amaretti. Gerardina versa nell’acquaio una pentola d’acqua calda e soda, e si appresta a rigovernare le stoviglie. In soggiorno sua madre, seduta accanto alla finestra, con destrezza infila l’uncinetto nel suo lavoro, intrecciando il sottile filo di cotone nelle maglie della trama. Il serpente di filet si allunga, e il suo disegno prende forma sotto le sue veloci dita. Quando sarà terminato, quel prezioso pizzo guarnirà il corredo della nipotina e, quando essa sarà sposa, potrà essere sfoggiato anche al balcone, nel giorno della Santa Processione! Nelle case, dopo pranzo, le madri, stirando o rammendando biancheria, vigilano sui bambini chini su quaderni e libri. Lucia è una di loro, è la maestra del paese, ed i suoi figli sono davvero fortunati. Una gran parte delle donne non ha un’istruzione, ma nonostante ciò, la loro presenza costante è un gran conforto, e quando i loro piccoli saranno adulti, ricorderanno con infinita tenerezza quei momenti! Intanto un rotolare di ruote giunge dalla strada. Le massaie, che hanno portato olive ai frantoi e grano ai molini, tornano con carretti carichi d’olio e farina. L’orizzonte si è tinto di rosa, e sul sagrato della Chiesa Madre Maria sosta un attimo, poi, con un gran sospiro, riprende il cammino verso casa. In bilico sul cencio arrotolato sul suo capo, un’esagerata fascina di sterpi e rami secchi - ordinatamente legata in un ingannevole groviglio - resta immobile ad ogni passo. La legnaiola è fuori dalle prime luci dell’alba, ed è stanca e infreddolita, ma i suoi figli, l’indomani, avranno cibo per sfamarsi! La giornata dei paesi di montagna inizia presto, quando è ancora buio, ma termina, anche, presto. All’imbrunire, alcune donne si attardano alle fontane pubbliche con grandi conche di rame. Nelle cucine spirali di fumo s’innalzano dai fuochi accesi, le pietanze sfrigolano nelle pentole, e le famiglie sono nuovamente riunite dal convivio. Nella sua casa, nonna Rosina è seduta davanti al camino, e scuote la padella forata sul treppiedi. Sorridendo versa le castagne in un vassoio e il profumo dolce ed acre di caldarroste si spande per la stanza. Fra trilli d’allegria e timore di osare, i nipotini, soffiando sulle mani, fanno a gara nel divorare i bollenti frutti. Le donne rimettono ordine in cucina, poi sorvegliano i letti ingobbiti dai preti . Ed il tepore di brace e cenere s’irradia nei giacigli, approntando i nidi caldi per la notte.

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Terra di Caposele - La Sorgente n. 85 – dicembre 2012 LA NOSTRA STORIA COME NON È STATA MAI RACCONTATA di Alfonso Sturchio Il libro si apre con un’ampia ricostruzione degli eventi che hanno caratterizzato il nostro territorio sin dall’epoca romana, approfondendo i fatti a mano a mano che ci avviciniamo alla nostra epoca grazie alla maggiore disponibilità di fonti scritte. Si apprende della prima diffusione degli opifici azionati con la forza dell’acqua sin dall’anno 1000 e della successiva presenza dei cavalieri normanni nelle nostre terre a ridosso della fine del periodo longobardo.

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a curiosità e la sete di conoscenza riguardo alle proprie origini è umana. E per origini non intendo semplicemente la ricerca genealogica dei propri ascendenti, ma anche la ricerca delle proprie radici culturali, di come gli eventi storici hanno forgiato il territorio ed il carattere della comunità in cui si vive. Chi ama Caposele e vuole provare a conoscere ed approfondire gli elementi che lo hanno reso, nel corso dei secoli, il paese che oggi si presenta ai nostri occhi, non può prescindere dal libro “Terra di Caposele” di Gerardo Monteverde. Il volume, pubblicato postumo quest’anno, colpisce subito per la cura dei dati raccolti e per l’enorme lavoro di ricerca che si intravede dietro la miriade di notizie ed osservazioni riportate. Si resta letteralmente sbalorditi dalla quantità di informazioni inedite trascritte sin dalle prime pagine e dall’estrema accuratezza con la quale si esaminano fonti finora ritenute attendibili, per sottoporle alla puntuale analisi della critica storica. Il libro si apre con un’ampia ricostruzione degli eventi che hanno caratterizzato il nostro territorio sin dall’epoca romana, approfondendo i fatti a mano a mano che ci avviciniamo alla nostra epoca grazie alla maggiore disponibilità di fonti scritte. Si apprende della prima diffusione degli opifici azionati con la forza dell’acqua sin dall’anno 1000 e della successiva presenza dei cavalieri normanni nelle nostre terre a ridosso della fine del periodo longobardo. Vengono individuati i Balbano (o Balvano) come i primi feudatari delle terre di Caposele dopo il periodo longobardo e la nostra appartenenza al Ducato di Puglia. Per la prima volta, per quanto mi è dato sapere, si afferma la partecipazione di militi caposelesi alle crociate, a seguito dell’invio in Terra Santa nel 1187, da parte del conte Filippo di Balbano, di uomini armati e fanti provenienti da Caposele. La precisione della narrazione è supportata da dati e fonti incontrovertibili, recuperate nei labirinti degli Archivi di Stato di Napoli e Salerno. Apprendiamo, per esempio, della condanna comminata nel 1416 dalla Gran Corte della Vicaria all’università di Caposele al pagamento di 100 once d’oro, ed al pagamento di 60 once d’oro per alcuni cittadini che avevano illecitamente occupato Antologia Caposelese

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le terre di Pasano. Vengono, altresì, elencati i signori che nel corso dei secoli sono entrati in possesso delle terre di Caposele e lo sviluppo della popolazione ed il suo decremento a seguito di malattie e catastrofi naturali. I circa 600 abitanti del 1494, diventavano 728 nel 1545, 1012 nel 1545 e 1284 nel 1561. La peste tuttavia colpì la nostra terra nel 1656, quando la popolazione aveva raggiunto il numero di 1200 abitanti, e ben 642 caposelesi ne perirono. Si legge che l’anno successivo, quando l’epidemia ebbe termine, i 500 superstiti eressero su un basamento una colonnina di pietra sormontata da una croce viaria in pietra: la Croce dell’Angelo che ancora oggi si trova in via Ogliara. Ma la vita ricomincia e, nonostante i vari terremoti, pestilenze e carestie puntualmente descritti (la carestia del 1764 provocò ben 329 morti), Caposele nel 1789 – l’anno della Rivoluzione Francese – contava ben 3512 abitanti. Molto interessante è anche la parte centrale del volume, quando l’autore – attraverso un’analisi delle fonti storiche – ricostruisce in maniera meticolosa le origini di Caposele, del suo nome e dei suoi simboli. Le attività dei suoi abitanti, la presenza dei greci sul territorio, l’evoluzione della comunità con la costruzione delle prime case nella zona Capo di fume e la prima lavorazione delle stoffe, la presenza dei primi pellegrini ed il miracoloso sviluppo di Materdomini. Chi è interessato massimamente alle origini della propria famiglia troverà nel libro una ricerca ed un’esposizione dei nomi e cognomi dei caposelesi iscritti nei registri parrocchiali ed in quelli dell’anagrafe civile dal 1748 al 1900 a dir poco eccezionale. Solo con un lavoro ciclopico si potevano sfogliare uno ad uno questi antichi registri, estrarne le singole informazioni riguardanti tutti gli iscritti e farne una statistica sui ceppi familiari. Qual era il nome femminile più diffuso a Caposele in quegli anni? Naturalmente Maria, il cui nome è stato attribuito alle neonate caposelesi – senza contare le sue numerose variazioni – 1912 volte. Con il nome del nostro Santo Patrono, Lorenzo, sono stati invece battezzati in quell’arco temporale ben 1308 caposelesi. Quali erano le famiglie caposelesi con più componenti in quei 250 anni? Ebbene dal 1748 al 1900, 571 neonati furono iscritti con il cognome Ceres, 573 Lo scopo che si è proposto è stato la ricerca del bene di tutti attraverso le idee ed i programmi di sviluppo da realizzare a Caposele rifuggendo dalle false promesse tese ad ingannare i cittadini. La vita di Gerardo è un esempio di altruismo e dedizione da seguire, gli scritti un dono per tutti ma in particolare per le nuove generazioni che ritroveranno in essi la storia del loro Paese, storia che grazie a Gerardo, non andrà più sicuramente perduta.

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2013 EDITORIALE – La Sorgente n. 86 – Agosto 2013 Nicola Conforti Oltre cento studenti europei, hanno animato per due giorni le stra­ de del nostro Paese, hanno gustato i piatti tipici della nostra cucina ed hanno ammirato e apprezzato la straordinaria bellezza del nostro territorio.

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er una di quelle curiose coincidenze che fanno la “storia”, si sono verificati, in questa prima parte dell’anno in corso, una serie di eventi che hanno caratterizzato e movimentato la vita monotona e tranquilla del nostro piccolo paese. Non mi riferisco alla vittoria elettorale del Sindaco Farina, che pure ha segnato un record di consensi, quanto al successo di alcune iniziative che, per importanza, hanno varcato i confini provinciali e regionali. Tutto ciò che è avvenuto, è la sintesi di quanto è stato pensato e programmato in precedenza: una politica di salvaguardia dell’ambiente e del territorio, unitamente a tante iniziative di incentivazione in favore del settore turistico, hanno dato i frutti sperati. Oltre cento studenti europei, hanno animato per due giorni le strade del nostro Paese, hanno gustato i piatti tipici della nostra cucina ed hanno ammirato e apprezzato la straordinaria bellezza del nostro territorio. Un dipinto originale di Leonardo, esposto per alcuni giorni nei locali della mostra delle macchine del grande genio, ha attirato migliaia di turisti. La Festa Europea della Musica, ha mobilitato migliaia di giovani di ogni parte della regione e coinvolto decine di complessi musicali di ogni genere. A questi eventi ne sono seguiti altri che hanno avuto il loro epilogo o il loro inizio nello stesso arco di tempo: l’inaugurazione di via del Santuario, l’inizio dei lavori di piazza Sanità e della Cappella della Sanità, il ripristino della fontana di Santa Lucia, il completamento della toponomastica, i campetti playground e la sistemazione della zona Saure, sono le opere più significative messe in campo con entusiasmo, con passione e con amore. “Niente di importante è stato mai fatto al mondo senza passione!” Non è tutto, ma dal punto di vista turistico è tanto. Abbiamo lanciato nelle acque immobili di uno stagno un sassolino che continua a propagare le sue onde a cerchi concentrici. Ogni iniziativa, però, merita di essere potenziata e migliorata: mi riferisco in particolare all’oasi della Madonnina, alla cascata e all’intero parco fluviale. Il tutto rappresenta una grande attrazione oltre che l’inizio del meraviglioso percorso del Mini Tour. Siamo sulla buona strada. Il turismo tanto sognato in passato è a portata di mano. Sono certo che il futuro ci riserverà piacevoli sorprese. Antologia Caposelese

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2013 PRESENTAZIONE V VOLUME DE LA SORGENTE – Agosto 2013 dì Alfonso Merola Questo giornale periodico, intanto, ha un suo primato a livello regionale, é il più longevo tra la stampa locale: non è un primato da poco conto, senza supporti finanziari significativi, garan­ tire ininterrottamente l’uscita de “La Sorgente” per così tanto tempo.

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uest ‘anno “La Sorgente” si avvia a festeggiare il suo quarantesimo compleanno da quando vide la luce nel settembre 1973. La pubblicazione di questo quinto volume rientra, quindi, a pieno titolo, nelle celebrazioni del quarantennale di questo giornale periodico per molti versi caro a tutti i Caposelesi, anche a quelli che ne parlano male, ma che in fondo provano tanta invidia per non essere stati parte di questa avventura culturale. Questo giornale periodico, intanto, ha un suo primato a livello regionale, é il più longevo tra la stampa locale: non è un primato da poco conto, senza supporti finanziari significativi, garantire ininterrottamente l’uscita de “La Sorgente” per così tanto tempo. Ma la cosa più strabiliante é il livello qualitativo della pubblicazione che, avendo trovato il suo tema centrale ineludibile in “Caposele”, questa piccola comunità che, riconoscendosi nel suo “genius loci “, si sente città di sorgente. Sicuramente “La Sorgente” ha risentito delle varie stagioni politiche locali di cui spesso é stata una protagonista battagliera, però non ha mai debordato dalla sua missione di promozione del territorio e dalla sua professione di amore per Caposele di cui ha sempre registrato in tanti lustri gli eventi più significativi, i suoi dibattiti appassionati, le contrapposizioni spesso esagerate.......momenti tristi accanto ad altri felici, appuntamenti istituzionali di tipo democratico o celebrativi, ma anche incontri popolari non meno interessanti ed intensi: le cifre, d’altra parte, parlano da sole: 85 numeri dati alle stampe tra il settembre 1973 ed il dicembre 2012, oltre 2000 pagine, racchiuse in 4 volumi già ‘pubblicati ai quali oggi se ne aggiunge un quinto. Ci si può non inorgoglire quando si constata che la raccolta di un periodico locale sia divenuto oggetto di consultazione da parte di tante persone vicine e lontane che mostrano un interesse. La Sorgente, ad esempio, é stata anche un sussidio per alcuni giovani alle prese con tesi universitarie e ricerche di vario genere, grazie al suo distendersi nel tempo delle microstorie locali, alla stregua di un almanacco che include e non esclude niente e nessuno. Da questo punto di vista il quinto volume che oggi é presentato, si offre come uno spaccato del quinquennio 2007/2012 e della complessità vissuta da una piccola comunità quando é stretta da una perniciosa crisi economica globale. Questo volume registra così timori, fobie ed attese, realtà e speranze, ascese e discese di classi sociali in movimento le quali in ogni caso si rifiutano di tornare indietro riformulando modelli di vita,.........

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ALFONSO MEROLA

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un micromondo ormai orfano di riferimenti, costretto a fare i conti con se stesso e a proprio rischio e pericolo. Sempre questo volume, però, non registra solo la crudezza del fatalismo economico ma anche la positiva reattività dei Caposelesi, i quali abituati a confidare solo in se stessi riscoprono il valore delle loro “riserve auree “che altri non hanno .... Ecco allora come i cavalli di battaglia di tanti anni de “La Sorgente” ritornino in campo! Acqua e devozione al SANTO si fondono in un progetto non solo unico ma anche senza alternative : un progetto di rinascita su cui questa volta non si può sbagliare pena il declino, unità di intenti e concordia nelle azioni diventano decisive, nella misura in cui istituzioni e presenze sociali organizzate non si muovano come elefanti in una cristalliera... Ma se oggi noi possiamo parlare di tutto questo dobbiamo riconoscere che é merito di una sola persona che nell ‘arco di quarant ‘anni ha ricoperto il non tanto facile ruolo di direttore del giornale: Nicola Conforti é stato ed é il nocchiero accorto e convinto di questa avventura, nel senso che “La Sorgente” é Nicola Conforti e senza Nicola non sarebbe esistita. E Nicola di idee in cantiere per la sua Sorgente ne ha ancora tante, ma tutte le volte che le espone e se ne discute il suo realismo lo spinge a chiudere il confronto con una affermazione quasi stoica : “ Questo è l’ultimo volume dopo chissà.......” ed io gli rispondo prontamente :” questa frase te l ‘ho sentita dire sei anni fa ,caro ingegnere ...non poniamo limiti alla provvidenza! “ Vero é che chi come noi ha superato il giro di boa di ogni aspettativa di vita, conta le attese in anni e non in decenni ed allora è legittima la speranza di augurare tanti altri lustri di esistenza ad una creatura che chiede, per confermare la sua missione, un impegno corale di tanti giovani e meno giovani, i quali per fortuna a Caposele ci sono e sono in grado, se lo vogliono, di continuare una esperienza nata forse per caso e che per il prodotto offerto merita per davvero di continuare a vivere.

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2013 CHE TIPO DI TURISMO VOGLIAMO? La Sorgente n.86 – dic.2013 di Giuseppe Caruso

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Oggi, nel mondo globalizzato, le persone scelgono le mete turistiche attra­ verso internet, attraverso la pubblicità, oppure con altri mezzi di comunica­ zione, il turista, attraverso le informazioni ricevute, può’ scegliere la località turistica anche in base alle esigenze ambientali, alla qualità dei servizi, i prodotti tipici locali e, in base alle esigenze economiche e altro. Se vogliamo crescere come paese e come attività turi­ stica, prima dobbiamo chiederci che tipo di turismo vogliamo per la comunità come la nostra, vogliamo il turismo mordi e fuggi come è stato fino a oggi oppure il turismo permanente dove le persone possono rimanere qui per una settimana oppure 15 giorni.

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nnanzitutto dobbiamo sapere che tipo di turismo vogliamo a Caposele. In ogni città o piccoli, grandi paesi del mondo c’è un turismo diverso: -turismo religioso -turismo culturale -turismo ambientale -turismo sportivo e tanti altri. Noi a Caposele abbiamo la fortuna di avere due realtà turistiche: quello religioso, dedicato al Santuario di San Gerardo a Materdomini e quello ambientale, cioè le sorgenti del Sele e tutto quello che ruota intorno all’acqua e al fiume Sele, Negli anni passati, in questo paese, abbiamo assistito alla crescita e allo sviluppo turistico di Materdomini, grazie alla presenza del santuario, che porta a Materdomini, ogni anno, migliaia di persone che provengono da tante regioni italiane ma, il tutto, ruotava intorno al Santuario di Materdomini, cioè la visita al santuario, la passeggiata sulle strade di Materdomini ad osservare gli oggetti dei ricordi del santo oppure i prodotti tipici locali, in Via del santuario e Corso Sant’Alfonso, e la degustazione di piatti tipici in uno dei ristoranti di Materdomini, poi di sera il ritorno a casa. Abbiamo avuto anche la presenza di alcune squadre di calcio che vengono in ritiro precampionato alloggiavano qui a Materdomini e si allenavano al campo sportivo Palmenta, ma tutto finiva qui. Quindi, abbiamo assistito, ad un turismo mordi e fuggi. Da un annetto, le cose sono migliorate perché si è iniziato a sviluppare una meta turistica anche a Caposele. Con l’ausilio del trenino che fece contento pure a mamma e a me quando siamo saliti per Materdomini senza prendere la macchina nella scorsa estate, grazie al trenino le persone hanno potuto scendere a Caposele per poter visitare le sorgenti, il museo delle acque e di Leonardo, Piazza Sanità ,Tredogge, Corso Europa e la Chiesa San Lorenzo Martire, accompagnate da guide turistiche preparate, cosa che negli anni precedenti non era mai accaduto. Tutto questo è stato possibile grazie all’attuale amministrazione comunale che ha saputo trovare le idee giuste nonostante qualche critica e dissenso da parte di alcune persone. Nel vocabolario Zanichelli la parola turismo significa: attività consistente nel fare gite, escursioni, viaggi, per svago oppure a scopo istruttivo. Oggi, nel mondo globalizzato, le persone scelgono le mete turistiche

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attraverso internet, attraverso la pubblicità, oppure con altri mezzi di comunicazione, il turista, attraverso le informazioni ricevute, può’ scegliere la località turistica anche in base alle esigenze ambientali, alla qualità dei servizi, i prodotti tipici locali e, in base alle esigenze economiche e altro. Se vogliamo crescere come paese e come attività turistica, prima dobbiamo chiederci che tipo di turismo vogliamo per la comunità come la nostra, vogliamo il turismo mordi e fuggi come è stato fino a oggi oppure il turismo permanente dove le persone possono rimanere qui per una settimana oppure 15 giorni. Secondo me noi dobbiamo cominciare a sviluppare il turismo permanente, ma per fare questo bisogna allargare l’attività turistica, non basta più la presenza del museo di Leonardo o il museo delle acque. A queste persone dobbiamo offrire di più. E qui ci vogliono idee e progetti nuovi; innanzitutto bisogna costruire parcheggi fuori dal centro abitato di Materdomini, perché non è giusto che i pullman debbano passare in mezzo alle persone che passeggiano, per la strada per andare a parcheggiare nel parcheggio del santuario; bisogna costruire un grande parcheggio in località fornaci, per pullman e intorno a questa struttura si costruisce un servizio igienico, servizio alimentare e un distributore di benzina, poi ci deve essere sempre un servizio navetta chiamato trenino per accompagnare le persone al centro abitato di Materdomini, evitando il traffico di pullman e automobili in Corso Sant’Alfonso. Oltre a questo, a Materdomini, vanno potenziati i servizi di centro permanente, oltre ai ristoranti e bar ci vuole una casa o un locale dove le persone possono mangiare il panino al riparo dal freddo e dalla pioggia con dovuti servizi igienici. Per una famiglia o un gruppo di persone che vogliono rimanere a lungo in questo paese, che non vogliono alloggiare nel ristorante, il comune deve dare a queste persone la possibilità di un alloggio prefabbricato vacante ubicato alle Dace. Così facendo, questo gruppo di persone oltre a visitare il santuario e le sorgenti del Sele, possono avere anche la possibilità di fare shopping sia Caposele e sìa a Materdomini, portando beneficio economico al nostro paese, soprattutto al settore alimentare e manifatturiero e facendo una bella pubblicità al nostro paese quando tornano nelle loro case. Per quanto riguarda Caposele, ci vogliono altre idee, se vogliamo potenziare e aumentare la presenza di persone che scendono da Materdomini per andare a Caposele e farli rimanere per tutta la giornata. Oltre al museo di Leonardo e il museo delle acque, bisogna costruire aeree di pic-nic e bar in via Aldo Moro, dove la gente quando scende da Materdomini, prima di arrivare a Caposele, può fermarsi in un posto per rinfrescarsi e riposarsi, lontano dal luogo affollato delle strade di Materdomini. Se fosse per me, nella zona Tredogge, allestirei il museo delle acque all’aperto, dove le persone possono visitare e ammirare le sorgenti del Sele, come se fossero in mezzo al fiume e con una passerella, farli camminare sull’acqua, Antologia Caposelese

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senza mai toccarla, fino ad arrivare al museo di Leonardo, facendoli passare per la zona cantiere, dove oggi ci sono i capannoni inquinanti di proprietà dell’AQP. Oltre al museo delle acque e di Leonardo, farei qualcosa per sviluppare la zona Saure, facendola diventare una meta turistica vera e propria, sfruttando le cantine come luogo da poter visitare, soprattutto nel mese dedicato alla vendemmia, non per cantare o per ballare, come è stato fatto negli scorsi anni, ma per valorizzarle, attraverso una presenza turistica guidata da una persona o da un operatore turistico, che spieghi a queste persone tutte le cose che riguarda la vendemmia, da come si mancina l’uva fino a come si imbottiglia il vino e, inoltre a questo, le cantine devono essere valorizzate, perchè sono un patrimonio storico per Caposele, e attraverso filmati e documentari, raccontare la storia antica e tutto quello che è successo nel passato in questa zona che, era luogo di culto religioso per la presenza della chiesa della Madonna della Sanità, prima di trasferirsi nell’attuale destinazione. Oltre a questo, dobbiamo potenziare, l’informazione è la pubblicità: non solo attraverso i manifesti, le cartoline e internet per farci conoscere come paese, ma bisogna girare un film a Caposele, da proiettare, poi, nel cinema. In conclusione, come tutti sanno, Caposele è un paese turistico a tutti gli effetti e invidiabile ai paesi vicini, grazie alla presenza del Santuario di San Gerardo, alle sorgenti del Sele e, negli ultimi anni, si è aggiunto il museo di Leonardo. Se vogliamo crescere come paese, dobbiamo potenziare il turismo che è una grande risorsa economica, e tutto ciò che ruota intorno al turismo, creando occupazione, benessere e sviluppo; per fare questo bisogna che ognuno faccia la propria parte: il comune, la proloco, le associazioni e gli operatori turistici, per far si che Caposele possa crescere e competere con le altre realtà turistiche, basta una buona volontà di tutti e anche noi diventeremo una grande realtà turistica.

Caposele, centro storico 1977

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EDITORIALE EDITORIALE – La Sorgente 87 – dicembre 2013 Nicola Conforti L’entusiasmo ed il fervore che hanno animato le nostre esaltanti iniziative nella prima metà di questo anno, si sono alquanto affievolite. Un’aria di insoddisfazione e di diffuso malumore serpeggia nel nostro ambiente.

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o sempre sostenuto, dalle colonne di questo giornale, che per dare più forza alle iniziative e più vigore alle idee, fosse importante essere uniti e collaborativi oltre che concordi nel volere raggiungere importanti obiettivi. “Vis unita fortior”; è una locuzione latina di saggezza popolare, che ci invita ad unire le forze per essere più forti. Da sempre la sinergia ha dato i suoi buoni frutti. Questa è la premessa per fare qualche amara considerazione: nel nostro paese manca l’armonia tra le persone e di collaborazione nemmeno a parlarne. L’entusiasmo ed il fervore che hanno animato le nostre esaltanti iniziative nella prima metà di questo anno, si sono alquanto affievolite. Un’aria di insoddisfazione e di diffuso malumore serpeggia nel nostro ambiente: un’opera pubblica importante che aveva già preso il via, è stata bloccata sul nascere, creando sgomento e delusione in tutti i cittadini. Purtroppo quando qualcuno rema contro, rallenta, frena o addiritturannulla gli sforzi di quanti lavorano con passione e con impegno per il bene comune. E’ successo così in questo scorcio di anno, che era incominciato sotto i migliori auspici. L’appello all’unità, alla concordia ed alla comprensione reciproca, non vale, purtroppo, per chi non vede di buon occhio un paese che cresce e progredisce. Ma non è il caso di scoraggiarsi: il tempo è galantuomo e col tempo i buoni principi sono destinati ad affermarsi ad onta di false meschinerie e di ipocriti proclami. Caposele, non lo dimentichiamo mai, è un paese straordinario, ricco di risorse e di gente per bene; Caposele, nonostante tutto, andrà felicemente avanti.

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2013 L’ULTIMA MUGNAIA DI CAPOSELE Mario Sista– La Sorgente n.87 – dic. 2013 Caposele, terra di acqua, è stata ab immemorabilis anche terra di mulini. E non solo di questi, ma anche di opifici per la lavorazione del ferro, di gualchiere, di tintorie, di oleifici, di tutte quelle attività, insomma, i cui macchinari traevano la propria energia dall’acqua. Le prime testimo­ nianze scritte della presenza dei mulini a Caposele risalgono al 1557.

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l 27 Dicembre 2011 è una data che in modo silenzioso ha lasciato il segno nella piccola storia di Caposele. In quel giorno di due anni fa, infatti, con la chiusura dell’ultimo mulino del paese, la Storia ha messo la parola fine ad una ininterrotta tradizione che aveva reso il nostro paese famoso in tutta la valle del Sele. Una tradizione, quella legata alla molitura del grano, le cui testimonianze risalgono a tanti secoli addietro. Non sappiamo i nomi di chi, anticamente, iniziò presso le rive del Sele la nobile arte della molitura; sappiamo, però, il nome degli ultimi cultori di quest’arte: quello del signor Ferdinando Mattia (01-011948 / 29-09-2006), il cui ricordo è ancora vivo nella nostra comunità, e quello di sua moglie, la signora Elvira Cione che, pur non provenendo da una famiglia di mugnai come i Mattia - il papà di Elvira, infatti, era barilaio - ha mandato avanti con dedizione questa attività artigianale, distinguendosi per professionalità, premura e cortesia. La Storia ha voluto che proprio la signora Elvira fosse l’ultima mugnaia di Caposele. Passare per via San Gerardo e non vederla più, magari infarinata dalla testa ai piedi, che ti salutava con un sorriso, o i veicoli che scaricavano sacchi di grano e caricavano sacchi di farina beh, a dire il vero provoca il suo effetto. Percepisci che qualcosa manca al paese, ed è un qualcosa di caro, di antico, di familiare, di evocativo di epoche in cui dire la parola mulino significava dire Caposele. Elvira non voleva chiudere il suo mulino, se fosse stato per lei avrebbe continuato la sua attività che, lungi dall’essere in passivo, assicurava un equilibrato sostentamento alla sua famiglia. La chiusura è stata dettata dalla mancanza di spazio nei suoi locali, divenuti troppo angusti per poter stipare i duecento quintali e più di grano che si macinavano da lei. Questi locali, inoltre, soffrivano di quella umidità che è una seria minaccia per la farina la cui qualità è garantita dall’essere conservata in ambienti secchi e non umidi. Il lavoro di Elvira, come si dirà più avanti, si era trasformato nel tempo, e richiedeva nuovi spazi con nuove esigenze. Non potendo soddisfarle lei ha preferito chiudere l’attività invece che venire meno alla qualità. Ah, se fosse stata realizzata l’area artigianale di Santa Caterina di cui tanto si è parlato in passato! Ancora avremmo potuto usufruire di un’arte che, seppur perfezionata ed automatizzata dalla tecnologia, tuttavia aveva il suo fascino e la sua indiscussa genuinità in termini di prodotti. Non so quali siano stati i problemi, gli interessi e quant’altro che hanno portato alla non realizzazione dell’ope-

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ra, so solo che questo è stato un altro bersaglio mancato per il nostro paese. Se le cose fossero state fatte come si sarebbero dovute fare avremmo potuto ancora godere del lavoro della nostra amata mugnaia, oltre che della sua gentilezza e della sua cortesia. Ci sono rimaste le seconde, e non è poco, e non il primo. Ma così va il mondo, così va Caposele. Caposele, terra di acqua, è stata ab immemorabilis anche terra di mulini. E non solo di questi, ma anche di opifici per la lavorazione del ferro, di gualchiere, di tintorie, di oleifici, di tutte quelle attività, insomma, i cui macchinari traevano la propria energia dall’acqua. Le prime testimonianze scritte della presenza dei mulini a Caposele risalgono al 1557. Precisamente, nell’Inventario di tutti i beni del Venerabile Monastero di San Guglielmo al Goleto (Inventarium omnium bonorum Venerabilis Monasterii Sancti Gulielmi de Guglieto) redatto il 6 Gennaio di quell’anno, si legge che “In Capo ad Sele ge sono certe molina, barchere, ferrere che se dice che antichamente erano di Sancto Guglielmo, et lo Conte de Conza selle have pigliate e selle tene che non recognosce l’abatia de cosa nesciuna et have guastate quelle molina antiche e ce le have fatte più a basso”. Il documento lascia intendere che già da secoli addietro a Caposele si praticavano attività legate alla forza impetuosa dell’acqua. Queste attività, lungi dallo scemare, sono andate sempre più forendo nei secoli a venire, restando, però, appannaggio dei Signori feudali che nel corso del tempo hanno dominato il nostro paese. Bisognerà attendere l’eversione della feudalità, col decennio napoleonico, per veder sorgere i mulini privati a Caposele, con gran dispetto dell’ultimo principe Carlo di Ligny-Rota. Dall’inizio dell’Ottocento fino agli inizi del Novecento a Caposele il numero dei mulini andò sempre più aumentando. Poi, la captazione dell’acqua del Sele da parte dell’Acquedotto Pugliese segnò la progressiva diminuzione degli stessi. Ad ogni modo, intorno alla metà del secolo scorso, ancora diversi erano i mugnai a Caposele: scendendo dalle sorgenti del Sele, c’era il mulino di Funzicchio Russomanno, che a dire il vero non era un mulino, bensì un’agliara (oleificio); più giù, all’incirca di fronte all’attuale offcina dell’elettrauto, il signor Gerardo Vitale, c’era il mulino di Olindo Russomanno, alias Amatuccetta, uno dei più antichi. Qui avevano sede anche alcune gualchiere (i cui resti ancora si vedono). All’altezza della curva r Ginnarinu Casillu c’erano il mulino di Lorenzo Linarduccio e quello di Gerardo Russomanno alias Gilardieddu gestiti in comune da entrambi. Da questa zona fno alla Costa non c’erano più opifici. I mulini ricomparivano più a valle. Di fronte alla Costa, sulla sponda sinistra del Sele sorgeva l’antico mulino r Vardarieddu che negli anni Cinquanta era già diruto e le cui poche vestigia sono oggi totalmente occultate da rovi. Quasi di fronte, sulla sponda destra, sorgeva il mulino dei Mattia e, infne, passato il ponte, sorgeva il mulino r Pa­ ternu, ovvero di Raffaele Cleffi, al termine di una stradina che scendeva verso il fiume. Antologia Caposelese

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L’ultimo mulino ad acqua funzionante a Caposele è stato quello della famiglia Mattia. Decisamente il più famoso. Ad esso sono ispirati anche due proverbi della tradizione caposelese. I Mattia sono stati una famiglia di mugnai da secoli. La memoria familiare riesce ad andare indietro almeno di quattro generazioni: Antonio, Ferdinando, Antonio e infine Ferdinando, lo sposo di Elvira, l’ultima mugnaia. Il mulino Mattia, che sorgeva sotto via San Gerardo e si affacciava sul fiume Sele, era dotato di un canale largo quasi due metri (lu caminu r l’ac­ qua) che, partendo dalla zona occupata dal Culto evangelico, portava l’acqua che serviva ad azionare le macine; l’acqua, aperto lu purt-llonu, con un grande vortice precipitava ind’a lu nfiernu (nell’inferno), ovvero nell’inghiottitoio che poi la indirizzava alle pale. Lungo questo canale, intere generazioni di donne caposelesi si sono recate a lavare i panni: quanti panni e quanti pezzi di sapone di maiale venivano risucchiati e poi recuperati più a valle! E quanti amori pure saranno nati, chissà… Il fabbricato che ospitava il mulino era ampio più di cento metri quadrati ed era sviluppato in lunghezza: al piano terra c’erano il mulino e l’oleificio, al primo piano un deposito e al terzo piano una pagliera, ovvero una soffitta coperta con embrici anch’essa a mo’ di deposito. All’interno del mulino, precisamente sulle presse dell’oleificio, c’era un piccolo angelo di legno intagliato che, secondo alcuni, ispirò il proverbio “arri arri ciucciu miu ca a l’abbaddi t’aiuta Diu e a l’ammondu Angiulu Mattia”. La versione più accreditata, però, riferisce che il nome “angelo” si riferisse ad un antenato dei Mattia di nome Angelo appunto. Non manca, però, la versione che si riferiva a “l’angiulu r li Mattia”, ovvero alla statua di legno. Ad ogni modo, il mulino cessò defnitivamente la sua attività verso gli anni ’50 - ’60 col mugnaio Antonio Mattia. Questo perché in quegli anni tutti i mugnai di Caposele decisero di consorziarsi, per cui dov’era il mulino di Linarduccio e di Gilardieddu fu creato un mulino unico a corrente elettrica (chiamato, per la novità, lu mulinu a currenta) che, però, non ebbe successo. Nel 1963 Antonio Mattia, scioltasi la società, decise di aprire un mulino elettrico per conto suo, l’attuale mulino gestito fino a poco tempo fa dalla signora Elvira. L’antico mulino rimase chiuso ed inattivo e si trasformò in un deposito. Non solo, il tempo gli diede gli ultimi colpi: nel 1971 il fabbricato, già fatiscente, con un solaio già sfunnatu, franò nel suo lato verso il Ponte in seguito ad una forte nevicata e, nel 1980, fu completamente disastrato dal sisma. Oggi di esso rimane solo un tratto di volta a lamia ed un pezzo di canale. Quel che resta del canale all’esterno è stato riempito da una colata di cemento e trasformato in viuocciulu. Una delle macine in granito francese di questo mulino antico la si può ammirare dinanzi alla pizzeria “La nuova Fornace” a Materdomini, donata dal signor Ferdinando al signor Lorenzo Bottiglieri proprietario del ristorante. Il ‘nuovo’ mulino Mattia ha funzionato, azionato dalla forza elettrica, ininterrottamente dal 1963 fino al 2011: quasi cinquant’anni di indefessa attività. La

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gestione del mulino passò alla signora Elvira e al signor Ferdinando nel 1974 i quali, in quell’anno, lo comprarono dai genitori di Ferdinando a prezzo di enormi sacrifici: Ferdinando dovette andare per un periodo a lavorare addirittura in Venezuela per raccogliere la somma necessaria. La signora Elvira iniziò a lavorarci nel 1978. C’era a servizio del mulino un operaio, il signor Malanga Giovanni, il quale il sabato con la sua lambretta girava per il paese raccogliendo il grano dai privati e riconsegnandoglielo, poi, una volta macinato. Il signor Giovanni restò al servizio del mulino fn dopo il terremoto. Molti portavano per proprio conto il grano al mulino, ripassando poi a prendere la farina non appena questa fosse pronta. Anche io ricordo di essere passato molte volte, con mia mamma o mio padre, a caricare i sacchi di farina di grano o di mais diligentemente prodotta nel mulino Mattia. Il mulino apriva alle sette del mattino e chiudeva a seconda del lavoro e delle consegne da effettuare. Una volta liberato dai sacchi, il grano cadeva in una tramoggia, una specie di bocca di legno leggermente rialzata da terra e, tramite un elevatore a tazze azionato con una cinghia, saliva nel pulitore dove veniva setacciato, cirnutu. Questo pulitore era a tre strati; la vezza, ovvero le prime impurità del grano, restava incastrata nei buchi che poi venivano puliti. Un’altra cinghia a tazze portava il grano ripulito nel mulino vero e proprio. La molitura era a tre passaggi, al primo passaggio sotto i quattro rulli di acciaio il chicco veniva schiacciato, poi di seguito ad altri passaggi, il macinato veniva raffinato. Esso passava nel cosiddetto planzister, un setaccio che lo setacciava: il macchinario era dotato di otto setacci e produceva quattro tipi di macinato: la crusca (caniglia), il fiore di farina, la farina più scura e il cruschetello (fartiellu). Ogni ora si macinavano dai tre ai quattro quintali di grano; per il grano duro si impiegava più tempo. Per il mais la produzione era di un quintale di farina ad ora. Da un quintale di grano si ricavavano sessanta, settanta chili di farina, tutto dipendeva dalla qualità del grano. Se questo era scarfatu, cioè con più scorza a discapito della parte bianca, la resa in farina era minore. I prezzi della macinazione erano abbastanza contenuti: sette euro a quintale se il grano da macinare era grano tenero, otto se era cappella, ovvero grano duro; nove euro a quintale se era mais. Il mais veniva molito in un mulino apposito dotato di macine di pietra. Ogni sera bisognava compilare il registro dei corrispettivi sul quale bisognava annotare la quantità di grano macinato. Dopo la parentesi disastrosa del terremoto il lavoro per il mulino Mattia aumentò, anche perché era crollato interamente il mulino di Lioni. Molti venivano dalla signora Elvira per comperare direttamente la farina. Anzi, dopo il terremoto sempre meno gente si recava al mulino a macinare il proprio grano, anche a causa della trasformazione in atto nella società, sempre meno rurale e contadina e più altro (su cui sorvolo), preferendo comprare Antologia Caposelese

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direttamente l’ottima farina a prezzi modici: 0,70 euro ogni chilo di farina di grano tenero, 0,80 se di grano duro, 0,80 euro al chilo per la farina di mais non setacciata, 1,40 euro per quella cirnuta. I prezzi ovviamente si riferiscono agli ultimi praticati prima della chiusura. Ogni anno il mulino Mattia vendeva non meno di duecento quintali di farina. Davvero tanti. I giorni della molitura si erano assottigliati a due: il mercoledì ed il sabato. Aumentando la richiesta diretta di farina, questa abbisognava di essere preparata e stipata: la mancanza di locali idonei a tale scopo, come si è detto, è stata la causa della chiusura dell’attività della signora Elvira. Non erano solo i Caposelesi coloro che si servivano del mulino Mattia per approvvigionarsi della farina necessaria alle proprie necessità. Venivano clienti anche da Castelnuovo di Conza, Lioni, qualcuno da Morra de Sanctis, tanti da Conza della Campania, e poi ancora da Santomenna, Valva, Calabritto, Senerchia. Un cliente addirittura veniva da Baronissi: ogni anno si recava a macinare a Caposele il grano comperato a Castelnuovo di Conza. Il bacino di utenza era molto ampio e davvero tanti i clienti. Purtroppo anche le cose belle finiscono, e se proprio devono finire almeno c’è la consolazione per il fatto che finiscono in bellezza, in termini di soddisfazione e di dignità del lavoro: l’ultimo cliente servito dalla signora Elvira è stato un signore che attualmente gestisce un agriturismo a Morra de Sanctis. Questi non era mai venuto al mulino di Caposele e, sentendo parlare dell’esistenza di esso, la mattina del 27 Dicembre 2011 ci portò a macinare due quintali di grano. Rimase talmente soddisfatto per la pulizia, la qualità del lavoro e la professionalità di Elvira che glielo manifestò dicendole soddisfatto: “E’ la prima volta che vengo qui” al che Elvira subito replicò: “Purtroppo è la prima ed ultima” e gli riferì che quello era l’ultimo giorno di attività. Il signore rimase molto male alla notizia, e tuttavia volle ritornare di nuovo a Caposele: nel pomeriggio di quello stesso giorno riapparì al mulino con altri due quintali di grano da macinare. Lo stesso giorno, all’atto di apprendere da parte di Elvira che l’attività sarebbe cessata il giorno dopo, un altro cliente di Teora si era emozionato al punto tale da mettersi quasi a piangere per il dispiacere. Aveva chiara la consapevolezza che il territorio si sarebbe impoverito di un’attività lavorativa che aveva dato lustro a Caposele. Le stesse lacrime di dispiacere dovrebbero velare i nostri occhi per la perdita di un’attività così antica e nobile che ha contraddistinto il nostro paese nei secoli passati, identificandolo non solo come il paese dell’acqua, ma anche dei mulini. Alla famiglia Mattia in generale ed alla signora Elvira in particolare, penso che davvero debba andare tutto il nostro grazie per aver fornito alle nostre tavo-

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FOTO RICORDO E L’ODORE DEL PASSATO

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Dora Garofalo – La Sorgente n. 87 – Dic. 2013

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le, col proprio lavoro faticoso, tutte quelle tonnellate di buona farina che è stata trasformata poi, dalle mani magiche delle nostre nonne e delle nostre mamme, in pane, pasta, matasse, muffletti, p-zziddi, cavatieddi, pizz cu la pummarola e tante altre cose ancora. Abbiamo perso, quel 27 Dicembre 2011 non solo secoli di sana tradizione mugnaia ma anche la qualità di tanti nostri cibi. Riflettiamoci su queste cose in un’epoca in cui la qualità e la genuinità diventano sempre più un bene raro.

Lo scatto fotografico è un ricordo tanto bello quanto amaro, che ha il potere di raccontare una triste pagina del nostro vissuto. E’ il dicembre del 1980 e, con amici di Sant’Angelo e di Caposele, stiamo intorno ad un falò di sera, vestiti con abiti di fortuna forniti da associazioni umanitarie, le donne e i bambini seduti su tavole disposte a mo’ di sedili, io col più piccolo, a me avvinghiato, col braccino ed il busto ingessato.

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ra le foto scattate alla fine degli anni Settanta e ai primi dell’Ottanta, che più volte rivedo volentieri perché mi sono care e mi ricordano la spensieratezza di una giovinezza vissuta in armonia con i figli ancora piccoli, con amici e parenti vari, mi sono capitate tra le mani due che mi richiamano alla memoria pensieri, visioni ed odori molto stridenti tra loro. La prima riguarda una pasquetta trascorsa nel Bosco Difesa di Caposele, che è un angolo di mondo nascosto tra gli alberi, terra di antica storia, punto d’incontro tra valli, montagne e pianura, dove trovano accoglienza tanti corsi d’acqua che generosamente attraversano il bosco. In quegli anni si era soliti trascorrere il lunedì di pasquetta in quel luogo che distava da Lioni e da Sant’Angelo solo pochi chilometri di strada non sempre asfaltata. La fotografia riporta sul retro la data del 23 aprile 1980. Fu una giornata bella perché condivisa da grandi e piccoli, gioiosa perché ci si poteva immergere nel verde brillante dei prati e dissetarsi presso la fontanella da cui scaturisce, da tempi immemori, un’acqua argentina, prezioso tesoro di quel territorio. Il pasto si consumava all’interno del bosco, appollaiati o distesi su tronchi nodosi caduti ad opera dell’usura del tempo. Il territorio offre emozioni indimenticabili. Il bosco racchiude nel suo grembo qualcosa di magico e di arcano: non si sente che la campana delle mucche, il canto degli uccelli e il fruscìo del vento tra quegli alberi secolari che alzano al cielo le robuste braccia. Poi, camminando, l’orizzonte si apre all’improvviso e si sente solo la musica dell’acqua che gorgoglia cercando il suo letto. Tutto, allora, aveva la cadenza di una danza e si svolgeva in allegria tra chiacchiere, canti e opinioni varie assaggiando biscottini Antologia Caposelese

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e leccornie olezzanti di buona cucina. Ricordo ancora quel soave profumo del bosco in primavera e il discorso accattivante di un contadino del posto, che si era avvicinato per curiosare, sull’acqua di Caposele quale fattore di ricchezza e di depauperamento. Ricchezza perché la natura aveva voluto beneficiarli di una risorsa di cui in altri luoghi si avvertiva drammaticamente la mancanza, depauperamento perché solo qualche rudere era rimasto degli opifici artigianali ed industriali (frantoi, mulini, gualchiere, tintorie) che, prima della captazione delle sorgenti, assicuravano agli esercenti del posto un reddito di tutto rispetto. Poiché la storia, raccontata con tanta dovizia di particolari, era piaciuta anche ai bambini che avevano smesso di rincorrersi, il fotografo dell’allegra brigata volle immortalarci insieme al gradito ospite. Quel giorno, nel bosco, c’era il sole negli occhi di tutti, quel sole che brillava anche a Paestum quando ho conosciuto Nicola Conforti, persona gentile, disponibile, sensibile, autore di preziosissimi scatti, immagini simbolo di storia paesana e di ritratti dal valore altamente emotivo. Una di queste immagini era la seconda foto che mi ritrovavo fra le mani, sbiadita e rovinata un po’ dal tempo e dall’uso, regalatami di recente proprio da Nicola. Lo scatto fotografico è un ricordo tanto bello quanto amaro, che ha il potere di raccontare una triste pagina del nostro vissuto. E’ il dicembre del 1980 e, con amici di Sant’Angelo e di Caposele, stiamo intorno ad un falò di sera, vestiti con abiti di fortuna forniti da associazioni umanitarie, le donne e i bambini seduti su tavole disposte a mo’ di sedili, io col più piccolo, a me avvinghiato, col braccino ed il busto ingessato. Ci apprestavamo a passare un Natale opaco e scolorito, illuminato solo dalle fiamme del fuoco, nei prefabbricati del villaggio Bosco, cosiddetto dal nome del costruttore che ci aveva ospitato, lontani da persone care, da parenti ed amici, molti dei quali non c’erano più. Nonostante lo scintillio del fuoco, un brivido freddo correva nelle nostre ossa. Le cose materiali, l’impegno di chi svolgeva un mestiere, una professione o, comunque, un’esistenza dignitosa, erano cose e gesti che in quel momento non ci appartenevano. Si era rotta la normalità della vita fatta di cose semplici, di lavoro quotidiano, di ritorno a casa, di incontri con amici. Di notte le casette messe a nostra disposizione diventavano un frigorifero per l’umidità che scendeva e veniva dal mare. Eravamo tutti ancora così impauriti, soprattutto i piccoli, che la notte non chiudevamo la porta esterna e dormivamo vestiti perché qualsiasi cosa sarebbe potuta diventare un impedimento ad una eventuale fuga. Tra noi terremotati nacque a Paestum, in quel triste dicembre, un’amicizia bella, leale e rassicurante perché si diffuse subito un sentimento meraviglioso di solidarietà e di speranza. Quella foto è un ricordo di un momento difficile che riporta alla memoria quel fatidico 23 novembre dell’80. Quella foto è un lacerante solco di dolore dal sapore amaro, ma anche un inno alla vita; non ritrae il prato verde del Bosco Difesa, dove piacevolmente ci si può distendere d’estate, ma la fiamma che fa sperare anche quando il buio ci attanaglia. La foto, anche se evoca la paura che incute ancora oggi lo sciame sismico, può insegnare

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che nella tragedia l’uomo può essere messaggero di fiducia. La memoria corre inevitabilmente alle tante persone che persero la vita in quella calda notte di una domenica che ha seminato morte e distruzione per 90 secondi a Lioni, Sant’Angelo, Caposele, Calabritto, Conza, quando i cadaveri in mezzo alle strade non si contavano, quando grida di aiuto arrivavano da sotto montagne di pietre. Erano grida che, purtroppo, sentiremo per sempre. Ma, grazie a Nicola, ogni qualvolta guardo quella foto di amici e familiari accanto al fuoco, penso che al mondo possono crollare tutte le strutture ma mai i valori. Penso che pur nel fondo tenebroso di una calamità non bisogna mai dimenticare che oltre le nubi fosche le stelle continuano a scintillare. Anche se non ci sono più le gioie di un tempo, abbiamo il dovere, per i figli, per i nipoti, per le nuove generazioni, di non sprofondare nel dolore nel giorno del 33esimo anniversario del sisma, ma dobbiamo continuare ad essere portatori di pace e serenità per impedire che la speranza muoia e per credere sempre in un’alba e in una meta migliori.

PICCOLI PASSI VERSO LA CRESCITA DEL TURISMO LOCALE –Sorg. n 87 – Dic. 2013 di Gerarda Nisivoccia

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Le aspettative di coloro che scoprono per la prima volta il nostro paese sono sicuramente ben ripagate dallo spettacolo che gli viene offerto dalla natura e dalla cordia­ lità di chi li accompagna. Motivo per cui chi saluta questo paesino lo fa con soddisfazione e gra­ titudine, per aver potuto ammirare ed apprezzare cose che per molti sono ancora sconosciute.

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hi conosce il termine turismo sa bene che ci troviamo di fronte ad un concetto tanto interessante quanto complicato. Interessante perché il turismo suscita sempre delle belle sensazioni, come il desiderio di scoperta, la voglia di conoscenza, il piacere di sapori nuovi. Allo stesso tempo complicato, sia per chi lo fa, sia che per chi lo riceve. Chi fa turismo programma il viaggio in base alle sue esigenze, ai suoi sogni, alle sue aspettative. E sono proprio le aspettative quelle che contano di più in questo settore. Il motivo viene subito spiegato dal fatto che quando l’esperienza risulta essere pari o addirittura superiore alle proprie aspettative si ha un livello di soddisfazione che porta con sé tutti i suoi benefici, non solo per il turista ma anche per il luogo che lo ha accolto, e viceversa sotto il punto di vista negativo, poiché un turista non soddisfatto non spenderà di certo belle parole. Chi riceve turismo, quindi, si trova a dover soddisfare nella maniera più completa possibile tali esigenze e tali aspettative. Antologia Caposelese

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Per Caposele, così come per Materdomini, il nodo della questione è anche questo. Non è facile portare un piccolo centro ad alti livelli di fruibilità, in quanto le barriere che si incontrano sono sempre troppe e molto spesso difficili da superare. C’è da dire però che negli ultimi anni sono cambiate tante cose, sia in maniera positiva che in maniera negativa, e chi vive a Caposele conosce bene certi cambiamenti, che vanno sicuramente letti sotto un punto di vista oggettivo e mai soggettivo. Io preferisco guardare il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto, ed è per questo che penso che ogni passo, anche se spesso compiuto in maniera impercettibile, possa servire in qualche modo, non a riempire quel bicchiere -cosa decisamente poco realistica e molto utopica - ma a far crescere di valore il liquido al suo interno e a rendere le aspettative di chi visita il nostro paese sempre più soddisfacenti. A questo punto mi sembra doveroso fare riferimento ad uno di quei passi di cui poc’anzi accennavo: il sistema museale, che integrando l’offerta turistica presente al momento, riesce a proporre cultura, natura e tradizione, tutti elementi ricercatissimi dal turista attuale. Si è lavorato tanto intorno a questi elementi per ottenere risultati concreti e c’è da dire che in soli 18 mesi il riscontro è stato positivo, soprattutto se pensiamo che per i primi 12 l’ingresso alle strutture era libero e solo da maggio scorso si è passati al sistema con un contributo d’ingresso: c’è stato un incremento delle visite dall’anno scorso ad oggi che fa ben sperare. Nel citato periodo Maggio-Novembre sono stati contati poco più di 2000 ingressi di diversa natura (studenti di vario ordine, gruppi organizzati, singoli cittadini, scolaresche, associazioni, enti) Sicuramente c’è ancora tanto da fare, i progetti in corso sono molteplici, ma le soddisfazioni e un indotto concreto cominciano a venir fuori a piccole dosi. Tutto ciò è stato possibile grazie al contributo di tanti ragazzi, che con passione e in maniera del tutto volontaria, hanno reso possibile la crescita di questa piccola realtà. Le aspettative di coloro che scoprono per la prima volta il nostro paese sono sicuramente ben ripagate dallo spettacolo che gli viene offerto dalla natura e dalla cordialità di chi li accompagna. Motivo per cui chi saluta questo paesino lo fa con soddisfazione e gratitudine, per aver potuto ammirare ed apprezzare cose che per molti sono ancora sconosciute. Ed è proprio questo ciò che intendo quando dico che il bicchiere va osservato con ottimismo, poiché alla base dei successi ci sono sempre certe piccole soddisfazioni. E poi anche perché, se chi ha creduto di poter creare un piccolo turismo a Caposele ci è riuscito, vuol dire che è possibile fare tanto altro. E con tanto altro intendo un sistema più ampio, che possa far crescere ed abbracciare non solo le attrattive di Caposele e il turismo religioso di Materdomini, ma anche le bellezze dei paesi a noi vicini.

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2013 NOI, LA GENERAZIONE PERDUTA? di Gelsomina Monteverde – La Sorgente n.87 – Dic. 2013 La verità è che si è creata una generazione disoccupata, o al più preca­ rizzata e sottopagata, sotto gli occhi compiacenti o indifferenti delle genera­ zioni precedenti. Forse, se non cambiano le cose, quando moriranno i padri, c’è il rischio che questa generazione affonderà perché non sarà in grado di sopravvivere.

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’ex premier Monti riferendosi alla mia generazione, ha detto: «Abbiamo creato una generazione perduta». Sostanzialmente una generazione per la quale non c’è soluzione. Il pensiero corre subito all’importante precedente letterario. Generazione perduta (Lost Generation) è la definizione resa da Ernest Hemingway, nel suo primo romanzo “Fiesta”, per riferirsi alla generazione che, nel superare il ricordo degli orrori della guerra di trincea, oppose alla disciplina e al rigore l’egoismo e la pigrizia mentale, godendosi il benessere e il divertimento, all’insegna di edonismo e materialismo. Parafrasando una canzone, sarebbe come dire: una generazione che fa l’amore ma non lavora! E c’è addirittura chi eccelle per banalità e demagogia, liquidando il problema dei giovani senza lavoro con un “vadano a scaricare le cassette al mercato” (Renato Brunetta). Ma andiamo con ordine: di cosa parliamo? La disoccupazione giovanile è oltre il 38%. Il precariato è la costante: non c’è altro che contratti atipici per il 53% dei giovani (fonte Ocse). Ma di contro i dati parlano pure del fatto che il 71% dei giovani under 35 è disponibile ad accettare qualsiasi lavoro, purché remunerato(fonte Cisl), mentre il 25% dei laureati si è adattato benissimo a svolgere un’occupazione con bassa o nessuna qualifica, e oltre il 30% svolge un’occupazione del tutto diversa da quella per la quale ha studiato (fonte Bankitalia). La verità è che si è creata una generazione disoccupata, o al più precarizzata e sottopagata, sotto gli occhi compiacenti o indifferenti delle generazioni precedenti. Forse, se non cambiano le cose, quando moriranno i padri, c’è il rischio che questa generazione affonderà perché non sarà in grado di sopravvivere. Chiedere quantomeno d’essere pagati, fosse anche per il più umile mestiere, vuol forse dire esser “choosy”, schizzinosi, come ci ha definiti la Fornero? In questo clima di incertezza di crisi globale, non solo economica, è sempre più difficile vedersi in prospettiva, dare una direzione chiara al proprio futuro. Noi, “la generazione perduta”, siamo invitati velatamente - di fatto e a volte con scherno - ad accettare con rassegnazione un destino senza speranze, senza futuro, salvo addossare a noi ogni responsabilità. Sarebbe colpa nostra il fallimento delle politiche del lavoro, e per venire al noAntologia Caposelese

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stro territorio, il fallimento delle politiche di industrializzazione post-sisma che oltre a consumare risorse e territorio hanno disarcionato definitivamente un modello economico ancorato alle risorse territoriali, nel segno dello sviluppo? Dobbiamo rigettare questa tesi. Dobbiamo cominciare da qui, dalle nostre comunità prima che sia davvero troppo tardi. Prima che la desertificazione demografica, non ci renda troppo aridi. Dobbiamo ritrovarci, contarci, aggregarci e non delegare ancora ad altri il compito di scrivere il nostro futuro. Dobbiamo impegnarci a scrivere per noi e per il paese un destino diverso, perché siamo una risorsa per il nostro paese, e non un peso come vogliono farci credere. Ma dobbiamo fare i conti anche con il fatto che il livore della precarietà ha compromesso il sistema di solidarietà. Io credo che recuperare la comunità della solidarietà e del bene comune sia la chiave per dare futuro a generazioni come la nostra, che fa di tutto per “tenersi” legata al proprio paese. Serve però una rivoluzione culturale, serve mixare tradizione e innovazione, serve ridare dignità a luoghi straordinari come i nostri paesi e puntare a nuovi modelli di sviluppo sostenibile, partendo dalla valorizzazione delle risorse locali, e abbandonando l’idea di trapiantare modelli di sviluppo che aggrediscono e consumano il territorio. Penso a un modello di sviluppo locale basato essenzialmente sul “rispetto” di noi e del territorio, a partire da: turismo (nel nostro caso: eco-turismo, turismo enogastronomico e turismo religioso); manutenzione del territorio secondo i principi dell’ingegneria naturalistica (con materiali che possono essere reperiti e lavorati dal e nel territorio); politiche di “vantaggio fiscale” (imposte statali e locali modulate per avvantaggiare i giovani, le nuove coppie, chi decide di intraprendere specie nel campo delle produzioni locali, del turismo, e del cosiddetto “ciclo corto” (ovvero qui produco e qui consumo); e svantaggiare chi detiene patrimonio evitando di metterlo “in rete”, tenendolo quiescente). E tanto altro ci sarebbe da mettere in campo. Invece, spesso la politica è assente, è solo il contenitore per rincorrere ambizioni personali, in contrapposizione agli obiettivi di collettività. Ma noi bisogna osare, reagire, non fermarsi di fronte alle sole promesse. Dobbiamo costruire una comunità che accoglie le nuove intelligenze, che sappia far crescere il seme di una pianta che si chiama futuro. Ma dobbiamo farlo dettando - e non facendoci dettare - l’agenda politica, e soprattutto decidendo noi altri il nuovo codice di struttura di società. Un codice fatto di rispetto, merito, impegno, fiducia. Il rispetto per le nostre idee, e l’innovazione che siamo capaci di portare. Il merito e l’impegno come strumento di selezione e modello di dimensione di vita. E infine la fiducia in noi altri che anche noi stessi dobbiamo recuperare. Noi non dobbiamo starci a essere trattati come il boccale che gli altri possono colmare a piacimento; perché noi siamo la “sorgente” che deve portare alla luce un flusso vitale di acqua, che deve rinascere fresca, chiara, dinamica e rigogliosa, per togliere al nostro paese la sete di progresso!

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EDITORIALE EDITORIALE – La Sorgente n. 88 – Dic. 2014 Nicola Conforti Tanti giovani e meno giovani hanno reso possibile la realizza­ zione di questo “miracolo” dell’editoria: 56 pagine dedicate quasi esclusivamente a Caposele, senza alcun contributo da parte di enti o associazioni e senza l’apporto economico della pubblicità.

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“Nulla Dies sine linea” è la frase che Plinio il vecchio riferiva ad un celebre pittore che non lasciava passare un giorno senza una pennellata, con il significato della necessità dell’esercizio quotidiano per raggiungere i risultati prefissati. Mi sono ispirato a questo “principio” fin dal lontano 1973, anno di fondazione de La Sorgente. In oltre 40 anni di impegno costante, continuativo e senza interruzioni, la Sorgente ha raggiunto un livello di tutto rispetto, sia per la qualità dei servizi forniti e sia per il livello tecnologico della stampa. Questo risultato è stato raggiunto con meticolosità, con passione, ma con tanta fatica: ogni pagina richiama un ricordo, suscita un’emozione, esprime una soddisfazione. Ogni foto, ogni evento passato, ogni racconto, rappresenta una ricerca prodotta giorno dopo giorno, instancabilmente. Tanti giovani e meno giovani hanno reso possibile la realizzazione di questo “miracolo” dell’editoria: 56 pagine dedicate quasi esclusivamente a Caposele, senza alcun contributo da parte di enti o associazioni e senza l’apporto economico della pubblicità. Questa lunga premessa ha l’unico scopo di incitare i giovani ad adottare lo stesso “principio” che, in sostanza significa impegno paziente, certosino, minuzioso e costante. E’ la chiave di volta per la soluzione di tutti i problemi. E’ l’ augurio che faccio a me stesso ed a questa gloriosa testata, che ho avuto l’onore di portare avanti per quasi mezzo secolo. L’augurio perché una luce, accesa tanti anni fa, possa continuare a brillare per molti e molti anni ancora.

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ALLA DIREZIONE DEL GIORNALE La Sorgente” n.89- Agosto 2014 Antimo Pirozzi

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gregio e caro Direttore, il 27 marzo scorso hai compiuto silenziosamente 80 anni. Casualmente ne sono venuto a conoscenza perché in tale data venni a consegnarti del materiale per il giornale e notai il clima di festa che circondava la tua casa. Nel ripensare l’avvenimento, ho ripercorso i tanti anni da che mi onoro della tua amicizia affettuosa. Nel 1972 mi trovavo in servizio ai seggi elettorali a Battipaglia quando lessi il tuo nome quale candidato alla Camera dei Deputati e divenni da allora tuo simpatizzante politico. Fui tra i primi iscritti alla costituenda Pro Loco Caposele, malgrado abitassi a S.Angelo dei Lombardi. Nel corso di oltre 40 anni di attività si sono avvicendati una infinità di avvenimenti in cui sei stato sempre il “trainer” di tutte le manifestazioni. Della tua carriera di docente ricordo tanti episodi, alcuni sono raccontati come aneddoti come quello che recita che tu da insegnante non sapevi bocciare, tanto amavi i tuoi allievi. Chi ti ha conosciuto ha avuto modo di apprezzare la tua saggezza, la tua elevata professionalità, la tua modestia. Solo con la tua tenacia si poteva far vivere un giornale come “La Sorgente” per tanti anni. So bene quali e quanti sacrifici si sopportano per portare a compimento ogni numero di giornale: fino ad oggi ne sono usciti 87e non ti sei mai arreso di fronte a difficoltà di ogni tipo. So che, per reticenza, a malincuore forse, pubblicherai questo mio scritto, ma ti prego vivamente di farlo. Non intendo con questo farti un elogio di maniera, ma soltanto esternarti tanta amicizia e tanto affetto e riconoscimento per le tante cose che hai realizzato e non solo nella professione di ingegnere, ormai Senatore dell’Ordine, di cui ricordo lavori molto prestigiosi come la Prefettura di Avellino e le tantissime case rimaste in piedi dopo il terremoto. Altri si occuperanno di scrivere una tua biografia completa; a me preme farti giungere un augurio speciale e particolare: che tu possa continuare per molti anni ancora a trasmettere alle nuove generazioni la storia vissuta, scritta e fotografata di Caposele e principalmente il tuo amore per il Paese. Auguri di cuore.

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IL CUORE… OLTRE L’INFINITO di Tania Imparato Sorg. n 98 Agosto 2019 Quanta bellezza! Contemplandola, poggiandosi sul parapetto, è possibile quasi poter afferrare con le mani il paesaggio antistante. Seguire il corso del fiume fino alla sua foce…

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8 maggio 1819-28 maggio 2019, duecento anni dalla pubblicazione de l’Idillio perfetto a cui Giacomo Leopardi diede il titolo de “L’infinito”. Riecheggiano i versi declamati nel film “Il giovane favoloso”, grazie ai quali il cuore e la mente spiccano il volo. Si va oltre la siepe, si va oltre il medesimo infinito, fino all’orizzonte. Il vento e lo stormire delle foglie consentono al poeta, ma anche a chi, con umiltà e un po’ di timore, si accosta al testo, di immaginare mondi sconosciuti e irraggiungibili. Dal luogo natìo, caro perché amato e vissuto, si prende il largo fino ad avvertire una sensazione che sa di paura. Confine sottile tra brivido e piacere: attimo in cui si respira il senso di eternità. Rileggendo queste rime superbe, a distanza di anni, ho ritrovato alcune similitudini tra il colle Tabor, facente parte delle proprietà dei conti Leopardi, e la terrazza, meno famosa, ma non per questo egualmente suggestiva, dalla quale il nostro caro santo protettore Gerardo soleva contemplare il Creato. Sì, mi riferisco proprio alla camminata adiacente alla Basilica dedicata alla Mater Domini, mèta di passeggiatori e pellegrini. Durante le sere d’estate, e non solo, è facile farsi rapire dalla profondità della valle che ospita il fiume Sele. Questo spettacolo mi consente di andare indietro nel tempo e, con l’immaginazione, giungere all’epoca del caro nostro grande santo, quando dalla sua umile celletta osservava il panorama che si spalancava davanti a lui. Mi piace pensare che tutto ciò gli provocasse il desiderio di conoscere, di andare incontro ai bisognosi, alle famiglie in difficoltà, ai poveri della valle. Quindi spinto ad andare oltre il proprio spazio, la propria delimitata realtà. Quanta bellezza! Contemplandola, poggiandosi sul parapetto, è possibile quasi poter afferrare con le mani il paesaggio antistante. Seguire il corso del fiume fino alla sua foce… E qui si fa avanti il mio cuore; i ricordi così affiorano lenti, dolci, sereni di quando con la mia famiglia si decideva di risalirne il corso e raggiungere questi luoghi, dove poter rigenerare lo Spirito. I miei genitori e i miei zii pianificavano settimane prima l’andata a San Gerardo. Questi con la sua semplicità, l’amore verso i suoi simili, aveva conquistato il nostro cuore, facendolo diventare uno di noi, uno di famiglia. Per cui risultava piacevole prendere l’auto e affrontare in pellegrinaggio la Antologia Caposelese

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TANIA IMPARATO

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strada lunga e tortuosa. Una volta giunti, si posava l’auto, facendo attenzione a non lasciare la mano dei bimbi (la mia, di mio fratello, dei miei cuginetti) che potevano perdersi tra la folla e, tra bancarelle e negozi, attraverso il corso principale, si arrivava, finalmente, alla famosa camminata. C’erano, allora, due archi e la gioia dei più piccoli colmava quando vedevamo venirci incontro un cavallino che ci avrebbe portato in groppa per fare un giro. Mio padre, memore delle mie lamentele durante il viaggio, mi portava per mano e mi indicava la strada che avevamo percorso per salire fin quassù, proprio dal parapetto proteso sulla valle. Gli occhi diventavano curiosi e voraci, facevano imprimere nel cuore immagini mai più rimosse. Avrà pietà di me, tapina, il grande poeta caro compagno dell’età mia nova. Avrà pietà anche dell’azzardo perpetrato alla sua memoria. Il desiderio di mettere per iscritto queste mie emozioni era così forte, da farmi andare oltre, per giungere anch’io a quei mondi sconosciuti “ove per poco il cor non si spaura”. DIECI ANNI DI FORUM DEI GIOVANI di Francesco CeresLa Sorgente n. 88 – dicembre 2014

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NUOVO Coordinatore Vincenzo Iannuzzi Consiglio direttivo: Ceres Emanuele, Viscardi Giovanni, Ceres Francesco, Ceres Giuseppe

In questi dieci anni di vita del Forum ho apprezzato la dinamicità con cui tanti ragazzi, nonostante le grandi difficoltà che costantemente una comunità giovanile trova sul proprio per­ corso, hanno pensato e poi portato avanti le loro iniziative, fatte di sacrificio ma certo, anche di passione.

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osa c’è di più attrattivo, per un giovane, del divertimento? Io direi un “divertimento alternativo”, che miri a raggiungere obiettivi importanti, il cui scopo finale è l’aggregazione sociale. Questo fa il Forum dei Giovani di Caposele da ben dieci anni. Era infatti il lontano 2004, quando anche a Caposele si decise di costituire un organo che avvicinasse i giovani alle istituzioni, promuovendo il dialogo e il confronto tra essi. Dell’ inizio di questa esperienza, io e gli altri amici del direttivo ricordiamo ben poco, vista la nostra età all’epoca, ma qualcosa di quegli anni è rimasta. Mi riferisco a quelle attività che, come una consuetudine, ci ritroviamo a riproporre

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ogni anno: “CineForum”, “Caccia al tesoro”, “campagna Telethon”. Ma anche altro è stato fatto in questo primo decennio, e vorrei citare la partecipazione alla prima Scuola di Cittadinanza provinciale e l’organizzazione delle tante rappresentazioni teatrali. In questi dieci anni di vita del Forum ho apprezzato la dinamicità con cui tanti ragazzi, nonostante le grandi difficoltà che costantemente una comunità giovanile trova sul proprio percorso, hanno pensato e poi portato avanti le loro iniziative, fatte di sacrificio ma certo, anche di passione. Nello scorso maggio, il Consiglio Comunale ha modificato il nostro Statuto, portandoci alle elezioni per il rinnovamento delle varie cariche che compongono il Forum. Ricordo con piacere questi ultimi due anni in cui, grazie al lavoro del coordinatore e amico Giuseppe Caruso, il Forum di Caposele è emerso a livello provinciale con l’assegnazione di vari progetti che, con i finanziamenti ricevuti, ci hanno permesso di svolgere al meglio le attività in programma. Ci ritroviamo ad affrontare questo nuovo ciclo con tanti nuovi amici e sotto il coordinamento di Vincenzo Iannuzzi, oramai veterano del Forum. Proviamo a partire in quarta poiché la stagione estiva è da sempre il nostro periodo più florido. Oltre agli appuntamenti consolidati già citati prima, l’intenzione per quest’anno è di organizzare una giornata di festeggiamenti per il decimo compleanno. Per fare questo, però, speriamo nell’aiuto economico da parte del Comune, di cui noi, e lo voglio ricordare a chi se ne fosse dimenticato, facciamo parte cosi come previsto dalla Carta europea della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale. A nome del Forum dei Giovani di Caposele, vi invito a partecipare, ad intervenire, a contribuire con idee e proposte a tutte le attività in programma per questi mesi, che sono in continuo aggiornamento. Vi aspettiamo, dunque, alla nostra festa per spegnere tutti insieme le dieci candeline e accendere, ancora di più, la vostra voglia di fare.

Caposele, via Castello 1977

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2014 FORZA E CORAGGIO.... E UN PO’ DI STABILITA’ NON GUASTEREBBE Concetta Mattia –Presidente Pro Loco Caposele La Sorgente n. 88 Agosto 2014

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. Non è solo un “appello energetico” il mio ma l’esigenza di scrivere per esternare e fissare quello che ultimamente, e sempre in più occasioni si sta dibattendo anche nella nostra o attraverso la nostra associazione, cosa che ritengo utile non solo al dibattito, che pure è necessario, ma a tutto il percorso socioculturale da affrontare.

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el mio scorso articolo, che riprendo per una forma di tradizione che si sta consolidando, scrivevo dei tempi e dei modi nuovi che dovremmo implementare come Comunità per non perdere la sfida del miglioramento della qualità della nostra vita a Caposele, obiettivo da condividere responsabilmente e al quale concorrere, ognuno per sua competenza, e che non certo può o vuole essere perseguito solo dalle associazioni come la nostra, anche se questa sfida è parte integrante della nostra missione. Scrivevo, affrontando il discorso genericamente, che “alle decisioni e alle azioni utili si arriverà, ci si dovrà arrivare solo insieme, in modo solidale”. E ne sono ancora profondamente convinta, ma certo non posso dire, oggi, che non ci serva almeno un pò d’incoraggiamento. Voglio ancora metterla così, non per una forma malsana di buonismo di maniera, ma per una (altrettanto malsana?) profonda convinzione rispetto al riscatto sociale che si concretizza solo “dal basso” da chi per primo avverte certe necessità, quotidianamente. Spero di tradurre correttamente il mio pensiero, intendendo questo incoraggiamento, come collettivo, di comunità. Non è solo un “appello energetico” il mio ma l’esigenza di scrivere per esternare e fissare quello che ultimamente, e sempre in più occasioni si sta dibattendo anche nella nostra o attraverso la nostra associazione, cosa che ritengo utile non solo al dibattito, che pure è necessario, ma a tutto il percorso socioculturale da affrontare. E allora, visto che il “quanto di competenza” della Proloco Caposele è fatto fondamentalmente di iniziative diverse, di progetti realizzati anche a scopo divulgativo, di collaborazioni ma anche di tentativi, di prove tecniche, di lanci che, si può obiettare, non sempre danno il risultato sperato ma, altrettanto onestamente, di dovrà ammettere che sono sempre fatti con le migliori intenzioni, vorrei aggiornare i lettori sulle nostre attività recenti, sempre nella speranza e con l’intento, dichiaratissimo, di avvicinare e integrare altre opinioni, supporto, idee e proposte da rilanciare e mettere a disposizione della nostra collettività, sempre rivendicando il nostro ruolo sociale che, anche se non sempre si riesce ad assolvere esclusivamente (ci stiamo lavorando, non dipende solo da noi!) sappiamo non dovrebbe essere di tipo sostitutivo rispetto ad operatori, enti od esercenti ma sempre più

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promozionale, di coordinamento e valorizzazione della realtà locale. Innanzitutto il nostro contributo alla gestione del SIMU Caposele, sistema museale che lo scorso aprile ha compiuto il suo primo anno di attività sperimentale e che ha, pur con alcuni suoi, speriamo solo temporanei, limiti (burocratici, logistici) superato con discreti risultati le aspettative iniziali. In generale posso testimoniare che il mini-tour ha continuato, anche dopo l’immissione del contributo d’ingresso, a riscuotere consensi e grande successo, tanto che si è rilevato un forte incremento delle visite rispetto al 2012. Infatti le presenze registrate da maggio 2013 a marzo 2014 sono state circa 3000, a fronte di oltre 120 visite guidate (in genere prenotate per tutto il mini tour). I gruppi organizzati, provenienti principalmente dalle regioni limitrofe (Puglia in primis, ma anche Campania, Calabria e altre zone con pacchetti turistici integrati a cui hanno associato anche la nostra offerta) sono stati composti spesso minimo da 50 unità mentre i gruppi scolastici spesse volte sono stati anche più numerosi. Ricordo per correttezza e completezza, che il servizio, si basa su visite guidate da soggetti formati a tale scopo, che su base volontaria prestano la loro opera e su prenotazione (obbligatoria, per il momento) accompagnano i visitatori. E’ tutt’ora in corso il terzo corso di formazione che cercherà di garantire un turn-over migliore per il servizio. Colgo nuovamente e con piacere l’occasione per ringraziare i ragazzi che ci stanno supportando con reale abnegazione e passione anche in questo percorso, gli operatori di Materdomini che con pazienza, valutandolo positivamente, stanno integrando nei loro servizi anche questa proposta, e gli operatori locali di AQP, che nei confronti di questo servizio (e dei ragazzi in particolare) stanno sperimentando un senso di vera e propria cura! Grazie davvero. Bisogna però che tutti sostengano questa attività, ognuno per quanto di sua competenza ma, soprattutto, non solo nelle fasi di start-up, quando l’entusiasmo è tanto e magari ci sono più risorse, ma nel tempo, per farle radicare utilmente, istituzioni ma anche cittadini informati, che, ad esempio, possono supportare questo sistema ancora (per sua natura) non ordinatissimo, con la corretta informazione riguardo alle possibilità e modalità di visita, diventando tutti, moltiplicatori di buona accoglienza e promozione di tutte le possibilità offerte al visitatore che viene nel nostro comune, ma anche da fruitori locali di queste possibilità, che pertanto aiutano a curarle e le difendono perché avranno inteso profondamente che sono davvero patrimonio di tutti. Un nuovo risultato che segnalo con piacere è l’inizio del progetto “Meno è Meglio” realizzato grazie a diversi partners in tutta la provincia e ad un bando di Fondazione con il Sud dedicato alla buone pratiche in materia di educazione promozione ambientale i cui obiettivi generali sono: 1. Avviare processi virtuosi di riduzione della produzione di rifiuti, sensibilizzando le nuove generazioni di cittadini verso comportamenti che puntino alla valorizzazione del “rifiuto” e al rispetto delle ricchezze ambientali del territorio interessato; Antologia Caposelese

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2. Ridurre i quantitativi di rifiuti indifferenziati nei Comuni partecipanti al progetto, grazie alla diffusione di buone pratiche di differenziazione e di sistemi di premialità; 3. Valorizzare le risorse naturali, con particolare attenzione alle risorse idriche, patrimonio naturale del territorio interessato, facilitando nel contempo buone pratiche di riduzione degli imballaggi. Il percorso vedrà, a Caposele, in collaborazione con l’Amministrazione comunale e i ragazzi della Pubblica Assistenza (ma anche di quanti altri vorranno partecipare) l’attivazione del Centro per il riuso dove si farà attività di recupero, riparazione e risistemazione di vari beni e oggetti come vestiti, mobili, elettrodomestici e materiale elettronico, evitando di mandarli a discarica e mettendoli a disposizione delle famiglie più bisognose, delle associazioni e della comunità del territorio. Ancora però, come pure dicevo qualche tempo fa, non si è abbandonata del tutto la tendenza a dare più importanza a chi pianta la bandierina che non alla bandierina stessa, a chi fa la cosa e non a cosa, a come o a per chi la fa… e questo, ripeto, è controproducente e deleterio. Riconoscere e sostenere la bontà di un’iniziativa o, di contro, evidenziarne i limiti ma preventivamente (e non solo dopo il fallimento, per trarne non si sa quale compiacimento) sarà il livello etico da raggiungere… .proviamoci almeno! Per quanto ci riguarda, stiamo continuatamente cercando di adoperare tutti gli strumenti a nostra disposizione oltre la vita associativa: “La Sorgente” innanzitutto, con elementi aggiuntivi sempre nuovi, come l’ultima evoluzione che presentiamo in occasione di questo 88° numero, la “Seletèca”, riferimento informatico per approfondire ricerca e cultura locale, ma anche la diffusione di materiale promozionale (eventi, social ecc.) le feste stagionali, la presentazione di progetti che coinvolgessero diverse realtà locali e comprensoriali per la gestione e la valorizzazione territoriale, le altre iniziative puntuali. La Proloco Caposele, senza manie di grandezza e in piena disponibilità verso tutti coloro che sposeranno questa causa, continuerà ad operare, come e quando potrà, coi suoi limiti ma anche con le sue tante competenze, capacità, lo slancio e la sua naturale propensione alla valorizzazione del territorio e del paese. Ritengo e riteniamo che avere a disposizione, da mostrare, ma anche da vivere e condividere, spazi, storie, tradizioni, produzioni, strutture e luoghi, sia elemento positivo e da incentivare e non solo con l’obiettivo di favorire il turismo locale - che rimane comunque una opzione reale e una potenzialità da sfruttare al meglio - ma con l’idea costante di migliorare la qualità della vita nelle nostre realtà, un’idea per la quale credo che ognuno possa e debba spendersi senza il timore di avere sprecato il suo tempo. Insisto, la vera rivoluzione oggi è fare squadra, essere solidali, partecipare, confrontarsi e riuscire a mediare costantemente per la migliore soluzione per tutti senza offendere o svilire il contributo di nessuno! E allora: forza, coraggio e, certo, un po’ di stabilità non guasterebbe! Buona estate Irpina a tutti !

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2014 … NON DIMENTICARE CAPOSELE Di Luisida Caprio – La Sorgente n.88 Agosto 2014 Il pensiero torna al primo documentario “Un anno a Caposele” del 1979, anch’esso molto bello ed apprezzato, il cui filo conduttore era il trascorrere delle stagioni illustrato con immagini suggestive, commentate da Donato Conforti, voce indimenticabile, a cui è dedicata questa pelli­ cola. Caposele com’era: un’onda di ricordi che ciascuno si conserva nel cuore.

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“ ........ ma soprattutto non dimenticare Caposele” è la frase di chiusura di un bel flm-documento che ancora una volta Nicola Conforti, regista e soggettista, ha voluto offrire al suo paese. Credo che pochi paesi siano oggetto di così grande affetto come Caposele e l’accorato appello finale è significativo. Come significativi sono stati il successo ed il gradimento manifestati dal pubblico al termine della proiezione avvenuta sulla terrazza alle spalle della Chiesa Madre in una sera di Agosto. Ciò che emerge dall’opera è amore, profondo attaccamento, un tributo di riconoscenza nei confronti di questo sito ameno che l’autore del film sente e vuole trasmettere a tutti: Caposele si deve amare comunque e dovunque, perché é il proprio paese, la culla delle proprie radici e tradizioni. Peraltro, è stato anche graziato da Madre Natura che benevolmente l’ha dotato di un tesoro immenso: l’acqua. Ed è lei la grande protagonista di questo film, girato dalle mani esperte di Nicola Conforti junior e Carmela Caruso. Inizia così una sorta di viaggio intorno al fiume Sele, la sua dimensione storica, paesaggistica, funzionale; un viaggio colorato, emozionante, a volte nostalgico, dolente, che fa riflettere. Il pensiero torna al primo documentario “Un anno a Caposele” del 1979, anch’esso molto bello ed apprezzato, il cui filo conduttore era il trascorrere delle stagioni illustrato con immagini suggestive, commentate da Donato Conforti, voce indimenticabile, a cui è dedicata questa pellicola. Caposele com’era: un’onda di ricordi che ciascuno si conserva nel cuore. In mezzo l’immane tragedia del sisma che ha inciso in modo doloroso su tutto e su tutti. Caposele oggi, narrato in questo film da Andrea De Nisco, con una selezione di testi belli ed efficaci di ottimi autori già apprezzati attraverso le pagine del periodico “La Sorgente”, punteggiati dalle toccanti poesie di Vincenzo Malanga, che più di tutti ha saputo interpretare la sua terra descrivendone sentimenti ed impressioni con parole di amore filiale. Anche in questa nuova opera grande spazio è dato alla vita del paese, alla sua fisionomia dopo la ricostruzione, ai ritmi, alle tradizioni, alla gente. Caposele paese di fede, con la processione di S. Gerardo che dal Santuario di Materdomini scende ed è portato in religioso trionfo per le vie, il culto della Antologia Caposelese

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Madonna della Sanità, la devozione a S. Lorenzo nella nuova imponente Chiesa Madre, la suggestione della cappella di S. Vito. Caposele paese di tradizioni gastronomiche e di ospitalità: soppressate, matasse, fusilli e tante altre golosità offerte da alberghi, ristoranti, trattorie, negozi e bancarelle, caratteristici piatti sfiziosi che trovano grande apprezzamento nel classico, attesissimo Ferragosto, festeggiato dai caposelesi e da tanti turisti. Caposele e la sua veste architettonica: quella storica e quella attuale. Ciò che di significativo è rimasto dell’antico tessuto urbano, che viene con curiosità cercato dai turisti: un patrimonio da tutelare ed esaltare maggiormente con iniziative adeguate e ciò che è stato ricostruito, senz’altro più razionale e comodo, ma come tutte le cose rifatte, quasi sempre perdente rispetto alle immagini del passato. Ma soprattutto “Caposele città di sorgente”. Qui il film si esprime con ampio respiro, inquadrature che ricordano pregevoli tele di impressionisti e si alternano a nostalgiche foto d’epoca in bianco e nero. Le immagini a volte galleggiano, a volte si adagiano su una colonna sonora che si sposa armoniosamente, con brani musicali scelti tra modernità e classicità. Cascate, rifessi luminosi, trasparenze, crepacci. La cinepresa scruta tra la vegetazione, cerca l’acqua tra i tronchi ed i sassi, la rincorre attraverso fitte cortine di rami, voli di farfalle, macchie coloratissime di fiori, in realtà semplici, che sullo schermo acquistano un grande fascino. In forte contrasto con la leggerezza delle immagini, la voce narrante diventa la voce di Caposele che esprime il profondo rimpianto di quando il fiume scorreva impetuoso, abbondante, libero ed era “tutto” del paese, fonte di vita quotidiana e motore di attività operose ormai scomparse. Grande imputato è l’Acquedotto Pugliese, la cui colossale opera di captazione e trasporto delle sorgenti, ha in parte sottratto il prezioso tesoro a chi aveva diritto di goderlo, ma che ha fatto diventare Caposele, fin dal lontano 1906, forse anche contro la sua volontà, un paese tra i più generosi al mondo per la sua offerta a terre all’epoca assetate. Nel film si parla di un bene legittimamente posseduto di cui desiderare in qualche modo la restituzione, uno sfogo di sentimenti espressi con parole di profondo affetto verso questo fiume nascosto, non cosa ma persona, le cui sorgenti “chiuse tra lamine” non vedono più la luce del Sole, ma viaggiano imbrigliate verso altri lidi. Solo una piccola parte di quell’acqua fresca e cristallina è lasciata andare alla sua naturale “corsa di vita” verso il mare, animando così il paesaggio con il suo protagonismo e facendo ricordare che Caposele è terra di fiume. Certamente il dono dell’acqua, questo atto di grande generosità, andrebbe più conosciuto a tutti i livelli e soprattutto più riconosciuto dai maggiori beneficiari di tanto bene, al di là di ogni considerazione materialistica, come sempre soggetta a valutazioni personali e quindi opinabili. E certamente sarebbe bello, giu-

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sto, gratificante leggere nelle pagine che illustrano le grandi opere dell’uomo’ “Acquedotto Caposelese” in omaggio alla sua indiscussa origine. Tuttavia, sarebbe mai possibile immaginare oggi la non esistenza di questa colossale opera? O che un bene così indispensabile, vitale, non sia condiviso con chi ne ha veramente bisogno? Caposele ha ancora il suo fiume, se pur “ferito” nel portamento, ma non nell’orgoglio e nella consapevolezza del suo mandato altamente umanitario. Ne sono testimoni le splendide sequenze del film. Valorizziamo maggiormente quello che è ancora un grande patrimonio, rispettiamolo, proteggiamolo, incrementiamo la sua fruibilità con progetti mirati. Molto è stato fatto in merito, ma c’è troppo affetto intorno a questo Sele perché non si pensi di esaltarne ulteriormente le bellezze e la peculiarità di attrazione, sia come habitat, sia come meta turistica. Facciamo dell’Acquedotto e della sua presenza ingombrante un vanto e sfruttiamo la sua unicità. Il viaggio termina, la voce narrante tace; sulla base musicale che sfuma rimane unico protagonista il mormorio del fiume, lieve, riposante, evocativo.

UNA GIORNATA ECCEZIONALE A CAPOSELE di Milena Soriano – La Sorgente n.87 dic. 2013

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Quell’acqua che nei secoli ha dato vita ad un piccolo grande paese industriale, ricco di mu­ lini, frantoi ed opifici, oggi rinnova la sua generosità continuando a scorrere verso paesi lontani e domani produrrà energia elettrica per il benessere del paese.

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iungendo alle sorgenti del Sele, la prima cosa a catturare lo sguardo sulla collina è un campanile senza la sua chiesetta: S. Maria della Sanità, che doveva il nome ad un affresco della Vergine dipinta, secondo la tradizione, da un monaco di nome Paolo. Durante l’epidemia di peste del 1743 e di colera del 1839, il popolo di Caposele scampò miracolosamente ai morbi per intercessione della Vergine, e fu tale la venerazione per la Madre di Dio da far accorrere pellegrini da ogni paese dell’Irpinia. La chiesa fu sacrificata durante i primi scavi dell’Acquedotto Pugliese, e nel 1910 fu ricostruita nelle vicinanze, più grande e ricca, dalla stessa Società responsabile dei lavori: ma quel campanile solitario, che ancora svetta nel verde verso il cielo, rimane baluardo della fede e dell’antico amore. Dalla strada, il sentiero si snoda verso destra, lungo il corso dell’acqua, protetto da una staccionata in tronchi di castagno, mentre, dal lato opposto s’inerpica verso la sorgente. A quota più bassa, le limpide acque scorrono con un mormorio rilassante; a tratti, nell’aria, lo stormire del fogliame, smosso da una lieve e piacevole brezza, rompe il rumore del silenzio. Più avanti, dipinti sulla Antologia Caposelese

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roccia, si indovinano i lineamenti di una Madonnina che saluta augurando ogni bene. Intorno a Lei, un restauro conservativo, costruisce una piccola abside in pietra sotto il cielo terso. Dei gradini scavati nella nuda terra introducono ad una sorpresa. All’improvviso sovrasta il fragore delle acque e dall’alto sperone di roccia una cascata sgorga spumeggiando e disperdendo l’esubero del fiume. Questo è un paese magico, mentre in altri luoghi fluviali, l’estate porta siccità, e gli alvei nudi mostrano tutte le loro rughe, qui rami diversi dell’acqua piovana, dello scioglimento delle nevi e condensazione di vapori, scivolando silenziosi nelle cavità, si ricongiungono abbondanti per dissetare la terra! Quell’acqua che nei secoli ha dato vita ad un piccolo grande paese industriale, ricco di mulini, frantoi ed opifici, oggi rinnova la sua generosità continuando a scorrere verso paesi lontani e domani produrrà energia elettrica per il benessere del paese. Ci allontaniamo a malincuore da un posto incantato per comprendere meglio come la mano dell’uomo possa piegare la natura rispettandola. Nell’antica costruzione, ristrutturata nel rispetto dell’ambiente, sotto la guida di un vero esperto, che ha dedicato molti anni al suo lavoro presso l’acquedotto, ammiriamo grandi ingranaggi che regolano le chiuse ed il flusso dell’acqua. Spesse lastre di vetro offrono uno spettacolo elettrizzante, e vorrei essere una barchetta di carta, e veleggiare sospinta per tre giorni necessari a ritrovarmi sulle rive pugliesi! Dal pavimento e dalle pareti di vetro, si ammira lo scorrere delle acque. Notevole opera di ingegneria meccanica, dalla sorgente il fiume alla velocità di 4000 l/s, con una pendenza lieve, tipica degli antichi acquedotti romani -convogliato dalle vecchie condotte in due nuovi rami, regala quel bene necessario a Caposele e alla terra di Puglia. Ed un filo sottile lega gli artefici della rinascita del paese al personaggio scelto come emblema di genialità e osservazione della natura. Un intero padiglione, il “Museo delle Macchine di Leonardo”, è allestito per esporre riproduzioni di studi del corpo umano ed una ventina di prototipi realizzati dai disegni di Leonardo in scala, in legno e materiali naturali. Ingranaggi, leve e macchinari - tra cui “il mulino”, “la prova d’ala”, “il cuscinetto a sfere”, “il cambio di velocità” - mostrano la poliedricità di un genio vissuto troppo avanti per i suoi tempi. Pittore, ingegnere, anatomista, scienziato ed inventore, ha lasciato ai posteri un patrimonio notevole e diversificato. Qui tutto affascina, ed ho avuto il privilegio di avere come cicerone la Direttrice del Museo Gerarda Nisivoccia, giovane e brillante. Grande cura è stata data al progetto di formazione giovanile per l’incremento del turismo culturale, ambientale e religioso. Le guide sono tutte gentili e preparate. L’idea di istituire un corso per volontari, ha dato i suoi frutti, ed i turisti sono

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accolti all’ingresso della struttura con sorrisi e competenza. Ma dopo aver appagato mente e cuore, non si può fare a meno di onorare la tradizione culinaria del luogo. “Matasse e ciciri” e una fresca trota alla griglia, sono il perfetto epilogo di una giornata eccezionale. Con dispiacere si lascia un luogo rilassante che mette pace tra uomo e natura. Ci saluta il centro del paese gentile ed accogliente “Agorà” che presto sarà provvisto di nuove zone di parcheggio. Le case tutte linde, seguono il disegno del territorio tra salite, scale in pietra e piazzali. Caposele si distende, sotto un cielo azzurro, tra picchi e colline: paese di fiume, paese di vita! Qui si è scoperta la “pietra filosofale” e, con determinazione e tanta volontà, in questo nostro odierno deludente panorama storico, si attua ciò che l’Italia tutta, a partire dal Meridione, dovrebbe fare: valorizzare il territorio, sfruttare le risorse naturali, amare i propri luoghi rivisitando le antiche tradizioni.

EDITORIALE – La Sorgente n. 90 – Agosto 2015 Nicola Conforti

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“Amare Caposele” è il titolo del film-documentario in uscita a corredo del numero 90 de “La Sorgente”. Ed è significativa la contemporaneità dei due eventi: entrambi dimostrano un grande amore per il paese ed una “inossidabile” volontà di resistere. Novanta numeri in oltre quaranta anni di impegno sono davvero tanti! Le più ottimistiche previsioni non prevedevano una tale “longevità” quando, nel 1973, con un entusiasmo tipicamente giovanile, intrapresi questa meravigliosa avventura. “Da un Anno a Caposele ad una vita per Caposele”, è la sintesi, riportata nelle pagine di facebook, di quattro filmati che raccontano in tempi diversi l’attaccamento, l’amore, l’entusiasmo e la tenacia dedicati, senza risparmio di tempo e di lavoro, al Paese. Con questa importante e significativa pubblicazione, scusate il tono quasi trionfalistico, ho voluto dimostrare che la volontà e la passione superano anche le difficoltà legate all’età, agli acciacchi che ne conseguono ed alle energie che tendono, inesorabilmente, ad esaurirsi. Ed è questo l’unico rimpianto perché, malgrado la ferrea volontà di “resistere”, ritengo sia arrivato il momento di consegnare questo prezioso “testimone” a chi ha dimostrato lo stesso amore per il giornale e per il Paese e che sarà sicuramente in grado di proseguire un percorso iniziato alcuni decenni fa e che non farà spegnere quella fiammella accesa, con entusiasmo e passione in tempi Antologia Caposelese

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EDITORIALE

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molto lontani, e che ancora oggi brilla di luce propria. La redazione, che conta ad oggi oltre 50 collaboratori, sarà in grado di portare avanti questo discorso e saprà farlo con la dovuta dovizia di argomenti di attualità e di storia, con il necessario equilibrio ed obiettività nel mantenimento di scelte in linea con la continuità e la tradizione. E’ tutto quello che oggi riesco a esprimere, sia pure con una punta di malinconia e di nostalgia per un passato ricco di eventi a volte lieti e spesso tristi, ma mai dimenticati.

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IL NUMERO 90 DELLA RIVISTA / TRAGUARDO IMPORTANTE PER CONTINUARNE LA DIVULGAZIONE. di Cettina Ciccone

Mi auguro che i contenuti della rivista siano diffusi tra i giovani con benefici effetti e che in un domani potranno riconoscere le origini della nostra terra.

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n passato sono stata una modesta articolista, avendo avuto il piacere oltre che l’onore di con qualche mia riflessione riguardante la pubblicazione de “La Sorgente”. Ho sempre apprezzato la qualità di espressione di molti collaboratori i quali con lodevole impegno hanno saputo mantenere vivo l’interesse dei lettori residenti in altre regioni d’Italia, in Europa e talvolta oltreoceano. Il merito maggiore va principalmente al direttore Ing. Nicola Conforti che, sapientemente ha saputo coinvolgere i caposelesi lontani dal loro luogo d’origine, i quali hanno sempre apprezzato gli entusiastici contenuti anche se caratterizzati qualche volta da amichevole critica. Mi auguro che i contenuti della rivista siano diffusi tra i giovani con benefici effetti e che in un domani potranno riconoscere le origini della nostra terra. Esprimo pertanto il mio rallegramento per il raggiungimento del N. 90 della rivista, traguardo importante per continuarne la divulgazione. Poiché è prossimo il raggiungimento del numero 100, altamente esemplare tanto per i contenuti quanto per la direzione, auspico fortemente un prosieguo di notizie e di tutto quanto fino ad ora ho avuto modo di costatare in particolare sugli interessanti brani di storia e di vita locale. Ad maiora!

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2015 IL TEMPO SCORRE INESORABILE di Luigi Fungaroli – La Sorgente n. 90 dic. 2015 È difficile raccontare la meraviglia di questo momento. Si tratta della bel­ lezza dei discorsi tipici di Caposele tra personaggi che, ahimè, non vediamo più lungo la nostra stessa strada.

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oglio iniziare con questa frase sperando che, soltanto dopo aver letto fino all’ultima parola, la memoria ma soprattutto il cuore riecheggi gente, volti, parole che il tempo, illusionista, cerca di far scomparire. Una notte a colpi di tamburello, di chitarra elettrica. Una notte a ritmo di musica tra la natura che, immobile, sembra essere spettatrice di tutta quella magnificenza di inizio estate. Inizio estate anomalo, però. Un venticello freddo e insistente sembra volermi svegliare dal sogno di questa estate appena arrivata. Chiudo gli occhi stringendomi tra le mie stesse braccia, lo faccio sempre quando sono infreddolito. Guardo l’iPhone che insistente, vibra più volte. Mi guardo intorno spaesato. Sono solo. Devo aver proprio esagerato! Devo tornare a casa, di corsa! Cammino velocemente per un paese deserto, c’è solo il buio a farmi compagnia. Sono all’affannosa ricerca di qualcosa di vivo che possa accompagnarmi in questo slalom innaturale che mi porterà a casa il prima possibile, almeno spero. Comincio ad avere davvero paura. Un bagliore improvviso illumina Piazza Dante. Sono quasi a casa. “Uaglio’!”. Un brivido scorre dentro le mie vene. Chi sarà mai? Non voltarti, penso. Sarà qualche ubriaco che vuole scherzare, corri. “Nun ti mett’ a fùi! Vieni qua! “. Inquieto, decido di voltarmi. Quest’uomo è lontano, seduto dove, anni prima, c’era la sezione storica della Pro Loco. Mi muovo a passi lenti e cauti. In un cappotto beige, quella che sembrava essere una figura indefinita, comincia a prendere forma. Capelli bianchi, alto, davvero un bel vecchietto. Mi avvicino. No, non può essere. Comincio ad agitarmi. È Emidio Alagia, il mio bisnonno. “Ma è possibile ca nummi viri mai?!? Vuò nu gilato ra Giuliu?” mi chiede. “Grazie ma penso che a quest’ora il bar sia chiuso...” rispondo basito. Ma che cosa dico?!? Non lo so, è tutto così assurdo. Ci fissiamo per un secondo senza fiatare. Noto una sottile somiglianza. Si alza dicendo “Facimuci na camm’nata!”. Si mette sottobraccio e cominciamo a camminare “a’ mmondu”. “In questi giorni sono stato molto impegnato. Sai, è il 90esimo numero!” dice con gli occhi emozionati e curiosi di chi sta parlando di una delle sue passioni più forti. Capisco a cosa si riferisce. Il 90esimo numero de “La Sorgente”. “Abbiamo sempre aiutato io e Donato Conforti il nostro caro ingegnere e continuiamo a farlo anche adesso. È grazie a “La Sorgente” se i caposelesi sparsi nel mondo si sentono sempre “miezzu a lu chianu”, si rivedono giovani alle prese con i primi Antologia Caposelese

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amori, rivedono quello che erano e quello che sono, una vita intera è raccolta all’interno delle sue pagine. Uagliò, tu non sai cosa significa stare lontano dal proprio paese. La nostra famiglia questo lo sa bene, purtroppo.” dice commosso. Stringo forte la sua mano sottile e tremante. “L’ingegnere non mi vede ma lo sa che la passione verso questo giornale, l’amicizia, non viene interrotta da un “chiudere gli occhi”...” aggiunge. Si ferma. Mi fa cenno di guardare avanti. Una delle scene più belle che io abbia mai visto! Li conosco bene quei due. Il maestro Cenzino, alto, imponente nel suo cappotto color cammello, disserta su chissà quale argomento con un altro uomo più basso dall’aria di chi sa ascoltare, Pasquale Montanari, mio nonno. C’è una complicità unica nei loro sguardi, la complicità dell’amicizia vera, disinteressata. Corro verso di loro. Ci dividono pochi centimetri. Quante cose avrei voluto dire, chiedere, avrei voluto sentirmi rassicurato, guardato negli occhi. Continuano a parlare. Osservo i loro occhi completamente presi dai discorsi, dalle risate che a turno rompevano il silenzio di una Via Roma notturna. “Perché non mi vedono?” chiedo commosso a nonno Emidio che sorride dandomi una pacca sulla spalla. “Non possono vederti. Ti hanno donato, però, una scena bellissima: la loro amicizia. Vale più di mille parole, credimi! Scrivulu n’ gimma a lu giurnalu pcchè vi stati scurdann ch’ vol rici ess’ amicu r’ quaccurunu!” risponde. Sorrido. Mi volto per l’ultima volta. Non ci sono più, sono diventati ricordo... Proseguiamo la nostra lenta camminata quando nonno Emidio si ferma di scatto. “Guarda lì attentamente! Ca quistu puru e scriv’ indu a lu giurnalu! Li conosci?” chiede ansioso della mia risposta. “Quei due che sono intenti a leggere “Il Manifesto” sono Ferdinando e suo fratello Matuccio” rispondo sorridendo. “ Il terzo invece, è Mazzariello. Vedi, con che passione parlano di politica! Voi giovani dovete prendere esempio da questi personaggi che hanno dedicato una vita per le proprie idee e per la comunità. Nun v’ n’ assiti che è tutto funutu perché è proprio da voi che deve continuare tutto!” sbotta. Noto che il suo carattere, a tratti burbero, non è cambiato. Il corso del paese si sta animando in questa notte di inizio estate... “Ngiamma rà na mossa! Avima vrè ch’ s’adda fà p’ Austu”. Delle voci si distinguono tra un chiacchierio che man mano sta diventando sempre più insistente. Le conosco bene le donne che hanno appena parlato: Gerardina Cione e Gerardina Malanga. Due donne che hanno fatto del garbo, della dolcezza e dell’attivismo, elementi che hanno contraddistinto la loro esistenza. Le stesse donne che osservavo incantato per la loro passione nella preparazione delle feste dell’Agosto caposelese.

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“Sono belle, dolci, materne. Non si smette mai di essere madri, neanche qui...” penso guardandole. È difficile raccontare la meraviglia di questo momento. Si tratta della bellezza dei discorsi tipici di Caposele tra personaggi che, ahimè, non vediamo più lungo la nostra stessa strada. “Uagliò, mò tè ne jè...” dice nonno Emidio. Avrei voluto dire, come quando ero bambino “Ti prego, altri due minuti!” ma nonno è categorico e non vorrei farlo arrabbiare. Ci abbracciamo forte, un abbraccio che racchiude in sé le mie radici. “Vai, scappa! E scrivi l’articolo! Ca pò lu leggu!” dice fiero mentre annuisco con la tristezza di chi vorrebbe rimanere. Il tempo, però, non cancellerà ciò che nel cuore è stato impresso per sempre... Mentre corro verso casa mi faccio spazio tra visi conosciuti, visi notati in qualche foto in bianco e nero e visi che non ho mai visto prima. Sono quasi arrivato. Mi fermo un attimo. Ho il fiatone. Avverto la strana sensazione che qualcosa sta svanendo e sfocando nell’immagine di una splendida ragazza dai capelli rossi. Tutto in lei è dolce e leggero: un’immagine soave ferma lì, in quell’attimo di eternità...

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TRE EVENTI IMPORTANTI di Giuseppe Grasso – La sorgente n. 86 – Ag. 2013

… finalmente Caposele è salito agli onori della cronaca per queste belle

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iniziative culturali. Io che opero spesso fuori dal contesto locale ho potuto constatare di persona il diverso giudizio che si ha di Caposele da persone esterne al nostro co­ mune e me ne compiaccio. Questo sta a significare che spesso non servono assemblee o convegni su tematiche sociali scottanti, quali per esempio il degrado sociale e giovanile per fenomeni di droga o altro, ma fa molto di più l’impegno sociale diretto. Chi si è impegnato e continua ad impegnarsi per i giovani per stimolarli a partecipare a questi eventi rende un servizio prezioso all’intera collettività locale.

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’anno 2013 fino a questo momento, a Caposele, è stato segnato da tre eventi importanti: le elezioni politiche di febbraio, le elezioni amministrative di maggio e la Festa della Musica Europea di giugno. Partiamo dall’evento che ritengo più importante: l’ampio successo della Festa della Musica Europea al “Lontra Park”. L’appuntamento di quest’anno ha seguito quello dell’anno scorso. Può ritenersi, oramai, un appuntamento annuale che vede coinvolti i giovani di Caposele. L’iniziativa è partita dall’Associazione Radio Lontra e ha coinvolto il Forum dei Giovani di Caposele, l’Associazione Luciano Grasso, la Proloco, il gruppo Silaris e con il patrocinio del Antologia Caposelese

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Comune di Caposele. Tanti giovani coinvolti: tutti disposti a dare il loro contributo sia in termini di idee che in termini di contributo materiale; tutto per un grande obiettivo: favorire la conoscenza delle realtà artistiche musicali, far partecipare intere collettività, sia in maniera diretta, attraverso esibizioni musicali, sia in maniera indiretta, con l’ascolto della musica come interscambio culturale. L’evento è eccezionale perché nasce da un contesto di dimensioni europee (nel giorno del solstizio d’estate – 21 giugno – in tutta Europa si svolgono concerti musicali), ma vede Caposele quale unico appuntamento della provincia di Avellino e uno fra i pochi in Campania. Bisogna veramente dire grazie a tutti gli organizzatori, principalmente per il significato sociale della manifestazione. Dico questo perché Caposele, da qualche tempo, a mio modesto parere, sta dimostrando di avere imboccato la strada giusta sul tema dell’impegno sociale. Non va sottaciuto che Caposele, tempo addietro era, purtroppo, spesso segnalato sulla cronaca provinciale più per i suoi casi di droga che per buone iniziative sociali e culturali. Oggi è cambiato il registro, finalmente Caposele è salito agli onori della cronaca per queste belle iniziative culturali. Io che opero spesso fuori dal contesto locale ho potuto constatare di persona il diverso giudizio che si ha di Caposele da persone esterne al nostro comune e me ne compiaccio. Questo sta a significare che spesso non servono assemblee o convegni su tematiche sociali scottanti, quali per esempio il degrado sociale e giovanile per fenomeni di droga o altro, ma fa molto di più l’impegno sociale diretto. Chi si è impegnato e continua ad impegnarsi per i giovani per stimolarli a partecipare a questi eventi rende un servizio prezioso all’intera collettività locale. Quest’anno la Festa della Musica Europea è stata più bella ed interessante di quella dell’anno scorso, la prossima deve essere ancora più importante, deve coinvolgere ancora più giovani, deve salire ancora di più il livello musicale. Un grande plauso agli organizzatori. Per chiudere questo mio intervento, faccio un breve passaggio sugli altri due eventi: le elezioni politiche e le elezioni amministrative. Le elezioni politiche hanno scontato quello che è stato un fenomeno nazionale: il successo del Movimento 5 Stelle, anche se a Caposele è stato abbastanza contenuto. A mio parere questo sta a significare che i cittadini sono stanchi della politica così come oggi viene percepita. Sul punto andrebbe fatto un approfondimento che non può essere certamente affrontato in queste poche righe. Le elezioni amministrative, invece, hanno assunto un significato diverso, vi è stata una grande partecipazione popolare ed in particolare dei giovani. Questo cosa sta a significare? Che i giovani vogliono partecipare

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CAPOSELE, IVOLUZIONARE… ALMENO I NOSTRI TEMPI E I MODI NOSTRI Concetta Mattia – La Sorgente n.87 dic. 2013 A Caposele credo servirebbe una maggiore chiarezza di intenti e, senza offesa per nessuno, a tutti i livelli: il cittadino (giovane, pensionato, donna, uomo, bambino, diversabile ecc.) deve potersi riconoscere, non in qualcuno ma in un progetto che lo comprende, lo considera e per il quale essere corresponsabilmente impegnato, deve perlomeno intravedere un obiettivo comune sia esso il lavoro, lo sviluppo, il territorio, lo svago, e decidere di testimoniare il suo contributo insieme al resto della Comunità.

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ambiare, nel senso di evolvere, è sempre un processo complesso, che dipende da una serie numerosa di fattori da gestire e controllare, anche e soprattutto in tema di valorizzazione e sviluppo territoriale, dove molte delle variabili devono essere condivise dall’intera comunità. Si capisce facilmente cosa comporta il fenomeno e quanto incide, volente o nolente, su ognuno di noi. Ad esempio, solo restando al mio articolo per questo giornale, tempo fa, avrei scritto perentoriamente e usando formule che traducessero bene l’esigenza di cambiamento e di rivoluzione (culturale soprattutto) che credo necessaria. Avrei scritto qualcosa di simile a: “è arrivato il momento di decidere, di scegliere e di fare, adesso, e con tutti quelli che condividono le scelte!” Oggi, pur essendo sempre fermamente convinta della necessità di operare, non posso fare a meno di mediare con la mia realtà locale, dopo le esperienze accumulate, le cose viste e quelle perse, gli atteggiamenti assunti e subiti, dopo tante persone più o meno “umane” dopo insomma, tanta disgrazia ma anche tanta meraviglia, opto altrettanto perentoriamente, attivando una forma preventiva di preoccupazione generale, per una locuzione credo più adatta: “alle decisioni e alle azioni utili si arriverà, ci si dovrà arrivare solo insieme, in modo solidale”. Ma non posso parlare più solo di questioni legate allo sviluppo territoriale o turistico…questo modo vale per tutto e dunque facciamola questa riflessione generale: Si dà ancora troppa importanza a chi pianta la bandierina e non alla bandierina stessa, a chi fa la cosa e non a cosa, a come o a per chi la fa…e questo è controproducente e, col tempo è diventato deleterio. A Caposele credo servirebbe una maggiore chiarezza di intenti e, senza offesa per nessuno, a tutti i livelli: il cittadino (giovane, pensionato, donna, uomo, bambino, diversabile ecc.) deve potersi riconoscere, non in qualcuno ma in un progetto che lo comprende, lo considera e per il quale essere corresponsabilmente impegnato, deve perlomeno intravedere un obiettivo comune sia esso il lavoro, lo sviluppo, il territorio, lo svago, e decidere di testimoniare il suo contributo insieme al resto della Comunità. Antologia Caposelese

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Ma non ci si fida, non ci si applica, sempre di più si crede che non ne valga la pena, che ci siano interessi subdoli, sempre più spesso ci si appoggia a quei pochi che tentano di sviluppare un’idea o un progetto (che poi, per la logica della bandierina, viene sempre avversato da qualcuno, così per partito preso e mai per fare critica costruttiva o migliorarlo/integrarlo, solo e sempre perché non ci piace chi lo ha proposto) e si trova sempre una giustificazione per non mettersi alla prova…spesso non si tenta nemmeno più di cambiare le cose, tanto…no? Sempre più spesso si sentono frasi (che scavano voragini tra l’individuo e la società anche a Caposele) tipo: Sono tutti uguali, o sono sempre gli stessi (con la variante, fanno tutti schifo), tutti raccomandati, non cambierà mai nulla, decide sempre qualcun altro ecc. e non parlo solo di politica ma di scuola, di lavoro, di ambiente, di società. Quante occasioni preziose si sono perse e si perderanno! Passi per gli anziani una punta di rassegnazione e di paranoia, ma non posso tollerarla negli altri, in noi altri. Non si può fare i rivoluzionari, chiedere solidarietà quando poi non si è disposti a darne o a praticarla: Sono francamente un po’ abbattuta dalla pochezza di argomenti dei detrattori di questa o quella associazione o gruppo: Più chiaramente, se mi avessero dato 1 euro per ogni volta che ho letto o sentito parlar male della Proloco, del gruppo attivo “L. Grasso”, della Pubblica Assistenza, dell’associazione Silaris, piuttosto che di RadioAttiva o RadioLontra, e solo per fare i nomi più gettonati, bè, di sicuro avrei avuto bei soldi da spendere! Ma dico io, non sarebbe meglio che tutta questa energia venisse canalizzata all’interno di queste realtà di fondamentale importanza per un paese -che paradossalmente avrebbero bisogno di supporto e comunque di sostegno? Ma perché non la si smette e magari si inaugura una nuova stagione di partecipazione e di cambiamento? O si preferisce solo gridarlo ogni tanto e in maniera più o meno forte a seconda delle occasioni? Se si crede vero quanto si va blaterando (spessissimo in modo subdolo), perché non ci si assume la responsabilità di quanto si denuncia e per cambiare le cose si lavora in prima persona, facendo qualcosa, chiarendo la propria criticità, proponendo francamente soluzioni senza esigerle dagli altri? D’altro canto, se ogni realtà (e a Caposele sono diverse fortunatamente) preferisce tenersi stretta la sua opinione, il suo gruppo di riferimento, la sua nicchia e non coinvolge (non intendo fare una telefonata per invitare ad un’iniziativa qualcuno, ma spingerlo al confronto e alla discussione sulle questioni per prendere insieme una decisione) tutta la Comunità, non si faranno grandi cose. Bisogna insistere, provare e anche sbagliare, per poi riprendersi e ricominciare cambiando prospettiva, imparando dagli errori commessi, con responsabilità, etica e franchezza, senza farsi limitare dalle circostanze e, men che meno, dai catastrofisti, dai seminatori funzionali di dubbi o dalle “eminenze grigie”

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(più o meno multimediali) di turno. Non sto dicendo che sia semplice, che va tutto bene, anzi, proprio per come stanno oggi le cose, è sempre più ostico il coinvolgimento ma non possono caricarselo, quale operazione culturale, solo le associazioni (che poi sono quelle più soggette alla logica della bandierina!) Tutti, ognuno di noi deve essere portatore sano di partecipazione, proposta e voglia di rivoluzione continua e di -citando un periodico che ha fatto la storia passata (per alcuni versi sempre attuale) del nostro paese - agitazione culturale permanente! E la vera rivoluzione oggi è fare squadra, essere solidali, partecipare, confrontarsi e da questo, trarre la forza sociale (non solo multimediale) di capire i processi e i soggetti per operare cambiamenti, proporre progetti e realizzare nuove opportunità. Bisogna insistere, provare e anche sbagliare, per poi riprendersi e ricominciare cambiando prospettiva, imparando dagli errori commessi, con responsabilità, etica e franchezza, senza farsi limitare dalle circostanze e, men che meno, dai catastrofisti, dai seminatori funzionali di dubbi o dalle “eminenze grigie” (più o meno multimediali) di turno. Ha ragione il poeta Gibran quando afferma che “le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia!” e non intende certo l’accontentarsi delle cose che si hanno ma sprona piuttosto alla ricerca e alla condivisione delle esperienze che fanno crescere! I nostri tempi e soprattutto i nostri modi, cambieranno, è nelle cose. La sfida dunque è quella di capire e riuscire a gestire i nostri piccoli passi, concreti, partecipati e dunque efficaci, rivoluzionari davvero. E’ questo l’obiettivo da centrare e l’augurio che vorrei si concretizzasse nei prossimi anni per la nostra comunità. Buone e serene feste a tutti!

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EDITORIALE- La Sorgente n.89 – dic.2014 Nicola Conforti Il fracasso che producono le cattive maldicenze, oscurano le cose buone che poche persone, senza pretese e senza arroganza, silenziosamente portano avanti, con il solo scopo di far bene al proprio Paese.

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“Un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce ”; è un detto popolare cinese che può significare “un tonfo di sconfitta, un evento che ti scuote e ti fa star male” ma, in modo più estensivo, può significare una cattiveria perpetrata a danno di qualcuno, una critica senza senso, una denunzia il più delle volte anonima che mira a frenare o a rallentare il normale sviluppo delle cose. In questi ultimi tempi si sono verificati episodi che non fanno bene al buon nome del nostro Paese: tutto è sbagliato, tutto è inutile, tutto è funzione di inte­ ressi personali, c’è immondizia dappertutto. Il fracasso che producono queste cattive maldicenze, oscurano le cose buone che poche persone, senza pretese e senza arroganza, silenziosamente portano avanti, con il solo scopo di far bene al proprio Paese. Il Museo di Leonardo, il museo delle acque, le Sorgenti del Sele, il Parco fluviale, Le fontane di piazza Sanità, il parco Saure, l’artistica Chiesa di San Lorenzo, la storica Chiesa della Sanità, l’oasi della Madonnina, sono le attrattive che hanno affascinato tanti turisti in visita a Caposele. Ma si tratta, per qualcuno, solo di turismo di “cartone”. E se questo giornale, evidenzia, come è giusto che sia, le cose belle e buone del nostro paese, diventa, per le stesse persone, il “Gazzettino” dell’Amministrazione. Ci si chiede il perché di tanto odio, di tanta saccenteria e di così poco attaccamento alle proprie radici. Noi continueremo a parlare delle tante cose positive che giorno dopo giorno, silenziosamente, molte persone per bene portano avanti e continueremo ad evidenziare tutte le iniziative che fanno bene al turismo, ritenendo che questa è la “foresta che cresce”, una foresta bella, ricca, affascinante e piena di speranze.

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BENVENUTI A CAPOSELE di Luigi Fungaroli Sorg. n. 79 Dic. 2008 Cosa c’è di più bello di poter far rivivere qualcuno che non c’è più attraverso delle emozioni che la persona stessa ti ha donato? In questo momento non riesco a pensare a qualcosa di più affascinante... “

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ovembre, forse, è uno dei mesi più grigi di tutto l’anno caposelese. Le giornate passano lente, caratterizzate da una pesante aria di noia, che porta a crogiolarti in un caldo plaid. Per combattere questo stato di inerzia, afferro il guinzaglio di Rusty, il mio fratello a quattro zampe, già entusiasta per la passeggiata che lo attende. Percorriamo le strade di un paese semideserto, se non fosse per alcuni simpatici vecchietti che, davanti al bar Giulio, mi chiedono con fare da “mercante in fiera”: “Uagliò, a quanta lu vinni stu canieddu?”. La mia risposta, ripresa da incantevoli reminiscenze del film “ Matrimonio all’italiana” visto la sera prima è (adattata alla situazione, ovviamente) “Mi dispiace. I fratelli non si vendono ! “. La risposta suscita una risata collettiva, che si confonde con gli attacchi di tosse “stagionale”. All’improvviso, passando davanti casa dell’Ingegnere Conforti, immersa in quella che era la “foresta incantata” dei miei giochi infantili, squilla il cellulare. È l’ingegnere Conforti. Rispondo. La sua voce pacata e dolce, mi invita a scrivere su “La Sorgente”. Finalmente una bella notizia, capace di scrollarmi di dosso questa mia noia lenta e monotona. Su cosa scrivere? Infilo la mano nel cappotto. È il tesserino del SIMU. Perfetto. Parlerò di cosa significa essere “guida turistica locale volontaria”. Tutto ha inizio in una calda giornata estiva. Tra l’afa e la voglia matta di un succo ghiacciato al Crystal, incontro una vera e propria “boccata d’aria fresca”: la cara Concetta Mattia, una di quelle persone che, visto il suo forte attivismo, “mun dorme mangu lanott’”. “Ciao,caro!” mi fa. “Guarda che si inizia! A breve il primo incontro ! Sarà una bella esperienza, vedrai!”. Sapevo di cosa stava parlando. Stava per iniziare il corso da guida. Dopo qualche giorno, ci invita a prendere parte al primo incontro. Un bel gruppetto, seduto intorno a un tavolino, deve rispondere (come una sorta di rito di iniziazione) ad una domanda “Perché vuoi intraprendere questa avventura?”. Molti rispondono dicendo di voler conoscere di più il proprio paese ma, quando arriva il mio turno, tutto si fa più complicato da spiegare. “Da dove inizio...” dico emozionato. “Per me questa iniziativa è qualcosa di molto importante. Cosa c’è di più bello di poter far rivivere qualcuno che non c’è più attraverso delle emozioni che la persona stessa ti ha donato? In questo momento non riesco a pensare a qualcosa di più affascinante... “. Tutti mi guardano con aria Antologia Caposelese

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perplessa, non capendo cosa voglia dire. Tutti tranne Concetta. Lei ha inteso. “Questa iniziativa mi porta ad avere un rapporto diretto con una persona: Pasquale Montanari, mio nonno.” dico commosso. Ricordo quando da bambino, seduto insieme a lui su una panchina, iniziava a raccontare storie, come solo i nonni sanno fare. “Nonno, ma questo rumore cos’è?” chiedevo con la curiosità di un bambino di cinque anni. “Questo è il rumore dei motori della galleria. Sai, da qui parte una galleria lunghissima che porta l’acqua fino in Puglia... “. Da qui iniziava la sua storia, la storia di quell’opera che, come dice Ungaretti “Supera qualsiasi altra anche per bellezza” ovvero l’Acquedotto Pugliese. Frequentare questi luoghi a me tanto cari, svolgere il compito di “accompagnatore turistico volontario”, frequentare i luoghi della sua vita, mi porta a sentire mio nonno vicino. Lui è stato la prima “guida”. Era lui che introduceva i “forestieri” alle bellezze del nostro paese, al fascino della storia della nostra acqua. Il corso continua e i partecipanti apprendono importanti nozioni sul territorio. Ricordo la mia prima esperienza da guida, il mio primo “ Benvenuti a Caposele!” e l’emozione che provai insieme a Maria Alifano, mia cara amica (anche di SIMU) e Paola, che ama fotografare la meraviglia negli occhi dei turisti. Sbalorditi non riuscivamo a credere ai nostri occhi. I turisti erano letteralmente rapiti dalla nostra acqua limpida, fresca che si incanalava tortuosa nella galleria, come un adolescente ribelle si dirige verso la strada per la scuola. “Maronna mia! Vir’ vi e’ bellezza! “ dice la signora di Casoria mentre il marito estasiato aggiunge “Jat a vuje!”. Forse, non ci rendiamo conto : siamo portati a vedere Caposele, soprattutto noi giovani, come il paese semideserto in una triste giornata di Novembre. Caposele, in realtà è la tradizione degli amaretti, delle matasse, è la storia del fiume Sele, è il paese che custodisce il primo edificio in cemento armato d’Europa, il paese di Don Pasquale Ilaria, il paese delle gualchiere. Caposele è, come disse un professore di filosofia durante il mini tour, “Un paese che riassume tutta la storia d’Italia! “. Caposele è tutto questo! E sta ad ognuno di noi farlo capire a chi lo ammira e a chi non lo apprezza. Mentre, con Rusty, passeggio attraversando il ponticello a Tredogge, mi rendo conto della straordinaria bellezza naturale e storica del paese, raccontato nelle lunghe passeggiate con nonno Pasquale. E proprio mentre mi perdo nel silenzio di quei sentieri, irrompe la voce del mio bisnonno Emidio dentro me, che, furioso come solo lui poteva diventare, urlava contro tutti quelli che amavano criticare Caposele:” Vriti r’ la fnisci! Caposele è il paese più bello del mondo!”. Mentre sorrido, penso che nonno Emidio aveva proprio ragione...

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CAPOSELE, PIÙ LUCI E MENO OMBRE La Sorgente n. 89- dic. 2014 Giuseppe Malanga

Riguardo alle iniziative all’interno del nostro comune, la più significativa per fascino e risonanza è sicuramente la festa della musica, da qualche anno motivo di orgoglio per gli organizzatori ma anche per tutti gli abitanti di Ca­ posele. E’ emozionante potersi ritrovare all’aperto con tanti giovani e meno giovani che vivono una serata all’insegna della buona musica con un ottimo mix di generi diversi, lasciando alle spalle per qualche ora problemi e dissidi, presi dalla voglia solo di divertirsi fino a tarda notte.

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roppo spesso leggo e sento polemiche e critiche per cose che non funzionano o che andrebbero migliorate, e di sicuro ce ne sono molte, ma mi sembra che si sia perso il senso delle cose se si smette di valorizzare ed apprezzare il nostro bel paese solo perché l’obiettivo primario di alcuni è quello di attaccare la compagine amministrativa; la politica la si faccia in altro modo e non trasmettendo all’esterno un’immagine pessima del contesto caposelese (umano e territoriale). E’ patetico ogni tentativo di attacco politico fatto in questo modo, lo si faccia in modo concreto e su temi politici, non segnalando una buca sull’asfalto o delle foglie sotto gli alberi in autunno (cose che accadono ovunque ma che nel nostro paese si trasformano in tragedia), perché Caposele è ben altro. Infatti mi è capitato altrettanto spesso di vivere e sentire apprezzamenti da esterni sulla bellezza del paese e sulla bontà delle iniziative che in esso ci sono (pubbliche e private). Sono questi i motivi che mi hanno spinto a trattare questo tema e a decantare le invidiabili bellezze del paese, ovviamente con la precisazione che qui non si vuole mostrare l’assenza di margini di miglioramento (ce ne sono moltissimi sia da parte della pubblica amministrazione che soprattutto dei cittadini) o l’assenza di colpe in chi amministra o ha amministrato e in noi che viviamo nel paese (vedi problema parcheggi, dovuto principalmente alle nostre cattive abitudini e al poco senso civico). Iniziamo dal contesto territoriale. Prima di tutto c’è la Valle del Sele, indiscusso paesaggio di enorme spicco e fascino, con quei colori forti e selvaggi, che cambiano con il passare delle stagioni, e si abbinano in modo naturale e spontaneo a tutto il contorno. Genera sempre forti emozioni la vista del Campanile o della chiesa di San Vito o dalla piazza della Basilica di Materdomini verso la superstrada, o ancora dal corso Sant’Alfonso verso il monte Paflagone. Questa valle è fantastica ed è un dono di natura che certamente va tutelato maggiormente DA TUTTI NOI contro le barbarie dei liberi cittadini (da aziende indisciplinate che scaricano nei fiumi, a sciacalli che continuamente si riversano nei boschi per raccogliere abusivamente la legna, a scellerati cittadini che usaAntologia Caposelese

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no posti abbandonati come discariche, pur avendo adeguati centri disponibili in zona, fino a vandali che distruggono fontane e panchine). Poi c’è il territorio comunale. Beh vi assicuro che è motivo di grande orgoglio passeggiare la domenica per le vie di Materdomini e sentire apprezzamenti relativamente al corso Sant’Alfonso con i viali alberati o alla via del Santuario, cuore del turismo paesano, perché nelle immediate vicinanze della Basilica. Una strada bianca, bella, con diversi esercizi commerciali che la rendono colorita e con fiumi di gente che si affolla per recarsi in chiesa o semplicemente ad ammirare la valle. Che dire poi della nuovissima piazza Sanità, motivo di vanto per questa amministrazione comunale, così maestosa, semplice e fresca che da un lato fa da cornice alla Chiesa, dall’altro fornisce un caldo benvenuto nel centro del paese, specialmente quando il gioco di luci e acqua al tramonto possono accompagnare piacevoli passeggiate e chiacchierate sulle panchine. Motivo di enorme vanto sono anche le nostre tradizioni e i prodotti tipici. Quante sono le specialità culinarie tipiche del nostro territorio e notoriamente apprezzate da chiunque? Si fa fatica ad elencare tutte le prelibate delizie per il palato di chiunque (m’nestra e pizza, patan’ sfruculiat’, fusilli, triiddi) e spesso sono anche ufficialmente riconosciute a livello nazionale (matasse, amaretto e mufletto rientrano nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali). Riguardo alle iniziative all’interno del nostro comune, la più significativa per fascino e risonanza è sicuramente la festa della musica, da qualche anno motivo di orgoglio per gli organizzatori ma anche per tutti gli abitanti di Caposele. E’ emozionante potersi ritrovare all’aperto con tanti giovani e meno giovani che vivono una serata all’insegna della buona musica con un ottimo mix di generi diversi, lasciando alle spalle per qualche ora problemi e dissidi, presi dalla voglia solo di divertirsi fino a tarda notte. Quanti ragazzi, caposelesi e non, emigrati (come me) e non, raggiungono Caposele a giugno per partecipare a questo evento, e quanti lo ammirano senza se e senza ma. Sono altrettanto importanti e vanno adeguatamente sostenute le iniziative del gruppo Silaris, dell’Associazione Luciano Grasso e della Pubblica assistenza, sempre vicine al territorio e agli abitanti di Caposele, con servizi e attività socio culturali di indubbio interesse. Vorrei esprimere personale ammirazione per la realizzazione del gigantesco albero di Natale vicino al campanile; non conosco i record in quanto a luci e altezza, ma posso condividere le emozioni che ho provato nel vedere tutto quell’insieme di luci, che mettono ulteriormente in risalto l’incantevole campanile e il verde naturale della nostra terra. Parliamo poi del ferragosto caposelese. Questa estate ho assistito, forse per la prima volta, a qualcosa di stupendo, con serate organizzate da liberi commercianti e da pubbliche associazioni, con il semplice coordinamento dell’amministrazione comunale (ahimè mancato per troppo tempo in passato).

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Ci son state serate diverse, non sempre all’insegna della tarantella o della matassa, con iniziative ben distinte che hanno comunque lasciato un positivo ricordo in tutti noi (per esempio è stata bellissima la partenza della corsa dei tre campanili da piazza Sanità). Ci son state location diverse, identificate appositamente per il singolo evento e abbinate appositamente allo stesso (es. Saure). Si è lasciato spazio ai privati per organizzare qualcosa e da quel qualcosa anche guadagnarci (è questo il senso vero di una comunità). Mi piace sottolineare la serata alle Saure con vino e salumi, frutto di un’ottima idea e di una eccellente organizzazione. Ovviamente non può mancare una nota di merito per la classica “Sagra dei fusilli”, semplice ma sempre ottima per ricordare le nostre tradizioni (tarantella) e i nostri prodotti tipici (fusilli e matasse). Non sono meno importanti altri aspetti che non si trovano facilmente in altri comuni piccoli come il nostro, a partire dall’enorme quantità di gruppi musicali. Mi piace ascoltarli tutti, mi piace vedere la passione dei giovani per la musica, mi piace vedere la loro tensione prima di una esibizione e il sentirsi al centro del mondo nel momento in cui si è sul palco (e si viene ripagati per le tante settimane di prove e sacrifici). Mi piace esaltare anche la passione per il calcio, che nel nostro paese è ben al di sopra del normale, per quello che mi è anche capitato di vedere in giro per l’Italia. Un gran merito va dato sicuramente alla GS Olimpia”, degnamente sostenuto da Roberto, Massimo e Salvatore, per continuare a far crescere nei nostri giovani la passione per il calcio, con qualità e competenza. E’ bellissimo poi vedere decine di ragazzi che ogni estate si affrontano nel classico torneo di calcio locale, ed è ancor più strepitoso partecipare la domenica mattina alla partita di calcio degli over 40 (anche se con l’innesto di qualche giovane per raggiungere il numero giusto) in cui ci si sfoga dalle tossine accumulate durante la settimana, si urla, presi dall’agonismo, e si corre per alimentare quella sana passione per lo sport e la competizione. Non importa che ci sia vento, pioggia o caldo atroce, l’appuntamento è sempre confermato e la partecipazione di molti sempre garantita, ci sono padri che giocano con i figli, nonni che ancora corrono dietro un pallone come ragazzini ... semplicemente stupendo. Voglio concludere dicendo che io sono orgoglioso per le tante cose che ci sono e che si fanno nel nostro paese, spesso invidiate da altri. E’ facile! segnalare una singola bella manifestazione o iniziativa fatta in un altro comune, ma dobbiamo essere anche intelligenti ad ammettere che chiunque può fare una singola iniziativa migliore, la nostra forza sta nel farne tante e buone. Questo è un invito a non perder di vista tutto il bello e buono che abbiamo, a fare sempre di più per migliorarlo e per non perderlo, a non additare la sola amministrazione comunale come responsabile di cose per le quali i primi colAntologia Caposelese

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CAPOSELE NON È UN’ISOLA FELICE Giuseppe Caruso – La Sorgente n. 89 – dic.2014

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pevoli siamo noi cittadini con i nostri modi di fare, a spronare tutta la pubblica amministrazione per fare di più e meglio. I problemi ci saranno sempre, le incomprensioni anche, si potrà discutere per decenni sulle scelte di un’amministrazione (dalla convenzione al parcheggio) ma solo se non si perde di vista la realtà e se si lasciano ai margini gli autori di stupidi giochi politici o di continue e mirate denigrazioni e critiche non costruttive, si può migliorare tutti insieme. Non lasciamo che le poche ombre offuschino le tante meravigliose luci che danno colore e vita al nostro paese. Proviamo tutti insieme ad accenderne altre, e non a spegnerle.

Basterebbe spostarci qualche chilometro più in là per scoprire realtà simili alle nostre che se pur non avendo le nostre straordinarie potenzialità, per una serie d’ingegni amministrativi o meglio ancora per scelte trasparenti ed oculate, ottengono straordinari risultati. Forse in noi vive uno spirito auto celebrativo ad un livello alto o forse uno spirito involutivo assoluto.

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ingrazio in primis il direttore che anche in questo numero mi ha dato la possibilità di raccontare, dal mio punto di vista, la comunità caposelese. Forse sarà una voce fuori dal coro, ben desumibile già dal titolo, questo mio articolo, ma Caposele non è un’isola felice come qualcuno cerca di far credere! Basterebbe spostarci qualche chilometro più in là per scoprire realtà simili alle nostre che se pur non avendo le nostre straordinarie potenzialità, per una serie d’ingegni amministrativi o meglio ancora per scelte trasparenti ed oculate, ottengono straordinari risultati. Forse in noi vive uno spirito auto celebrativo ad un livello alto o forse uno spirito involutivo assoluto. Basterebbe considerare che siamo in un paese con due potenzialità invidiate da tutto lo stivale: le sorgenti del Sele e il Santuario di San Gerardo Maiella. Collegate inevitabilmente l’una con l’altra. Per le seconde ci ritroviamo dinanzi ad una corresponsabilità tra amministratori in tunica ed amministratori pubblici. Per quelli in tunica potremmo colpevolizzarli di un’apatia inverosimile negli ultimi anni, ma non nel passato (meritano un doveroso riconoscimento per aver dotato Materdomini delle uniche strutture di accoglienza ai tanti pellegrini). Ma , almeno per questo numero, non entro nel merito del campo ecclesiastico lasciando il corso delle cose, oserei dire, alla Divina Provvidenza. Ciò che mi preme analizzare è l’operato amministrativo pubblico, sorretto

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da un disinteresse senza eguali. Risultato?!? Morte del turismo, ma non una morte istantanea ma una lenta eutanasia che tra qualche anno ridurrà notevolmente l’afflusso dei pellegrini nel nostro comune. Giustamente oserei dire! Voi andreste in un Paese dove per trovare un parcheggio (molto spesso gestito da abusivi o con tariffari che nemmeno nei pressi delle migliori piazze italiane si riscontrano) bisogna aspettare ore ed ore di fila; con traffico gestito da leggi primordiali “del guidatore più forte”; con la totale assenza di bagni pubblici; o, ancora, andreste a comprare un souvenir in bancarelle che hanno vita da ormai 40 anni decorate da nobili cassette per la frutta (poveri commerciati che non solo devono affrontare la crisi economica, ma si trovano costretti ad esercitare la propria attività in delle “favelas”). Mia nonna per anni è stata in quelle condizioni misere, su suolo pubblico pagando pedissequamente tutte le rate imposte dal comune, e mai usufruendo di suolo privato come qualcuno voleva far crede in tempo di elezioni. Quel qualcuno che ormai come Giove con i suoi satelliti si trova in un’orbita di attrazione con diversi rinvia a giudizio, allora mi vien il dubbio che forse sia il tizio ad aver confuso privato con il pubblico. Semplici accorgimenti non farebbero regredire il turismo a Materdomini e allora cosa ci ferma? La risposta potrebbe essere scontata: la mancanza di fondi, giustificabile se i fondi si fossero cercati e se la natura non ci avrebbe donato Caposele delle sorgenti del Sele. Quel 19 febbraio 2012 qualcuno non ha voluto porgere l’orecchio ai consigli dei tanti caposelesi, e già, c’era una campagna elettorale da vincere! Da quella convenzione, che preferirei chiamare contratto, abbiamo avuto le seguenti conseguenze: abbiamo accettato 200 mila euro per i vari inadempimenti di oltre un secolo da parte dell’ Aqp (non da una organizzazione non lucrativa di utilità sociale, ma da una società per azione con milioni di euro di fatturato all’anno, e a parer la cifra risulterebbe molto lieve rispetto ad inadempimenti di oltre un secolo!); poi, per abili capacità contrattuali, abbiamo accettato diverse rate da 1350000 (accettato, ma che ha visto già nuovamente inadempiente AQP , considerato che ancora non sono pervenute completamente alle casse comunali) accollandoci la manutenzione della rete idrica in eterno che stando alle stime non è lontana di molto alla somma poco anzi citata; abbiamo ceduto il nostro diritto di uso sui 363 l/s accollandoci il pagamento dell’ acqua, spiegabile con questo esempio: NOI DIAMO LA NOSTRA ACQUA ALL’ AQP, L’AQP CE LA RIDA’, NOI PAGHIAMO L’ACQUA SU CUI AVEVAMO UN DIRITTO D’USO (363 l/s), MA CHE ABBIAMO CEDUTO ALLA PUGLIA, ALLE STESSE TARIFFE DEL LONTANO SALENTO. Le conseguenze di quest’ultimo punto sono chiare a tutti, basta farsi una passeggiata per Caposele e vedere fontane centenaria chiuse da rubinetti o leg-

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gere il bando di gara relativo alla istallazione dei contatori: questo passaggio merita un po’ di attenzione altrimenti il lettore, preso da bravi “machiavelliani”, si lascerebbe affascinare dalla tesi mistica del risparmio idrico per l’accesso in paradiso. È vero, Caposele ha un consumo idrico maggiore rispetto a Comuni 5-6 volte più grandi. Pienamente d’accordo, ma se permettete da caposelese il corso di educazione civica e di risparmio dell’Acqua a casa nostra lo dovremmo fare noi e non una società per azioni che viene ad imporci determinati controlli. Paesi che si portano a paragone per consumo idrico a Caposele negli anni hanno avuto la possibilità di espandersi non avendo restrizioni idrogeologiche, Caposele è e resterà nella dimensione attuale per i secoli avvenire. Infine, il maggior risultato ottenuto dalla convenzione, a parer del sindaco nell’ultima intervista, è la visita alle sorgenti del Sele! Con questa meritata riconoscenza patriottica chiudo la questione acqua e ne apro brevemente una ad essa collegata: quella relativa alla Pavoncelli bis. Sorvolando su impatto ambientale e sul suicidio delle trote per protesta, siamo l’unico paese ad ospitare un’opera così importante, anche dal punto di vista economico, e siamo anche l’unico paese ad accontentarci che qualche operaio prenda il caffè nei bar locali. Per qualcuno è ottenere tanto, in altri paesi per lavori molto inferiori hanno avviato processi evolutivi di sviluppo. Poiché siamo nell’approssimarsi del Natale mi sono limitato ad analizzare questi due aspetti con la speranza che si risvegli la voglia di cambiare e di rivedere il modus operandi. Non estendo la discussione sul sociale e sulle politiche giovanili perché, scoprire tristi realtà, sarebbe mortificante per i lettori, nel periodo che dovrebbe portare più serenità durante l’anno. Con l’augurio BUON NATALE E BUON ANNO 2015 A TUTTI VOI, CARI LETTORI! Mi affido ad una nuova stella cometa affinché guidi chi si è smarrito, per far partire Caposele in un nuovo ciclo, creando con le attenzioni migliori una vera isola felice e abbandonando l’idea, dell’ormai, isola che non c’è.

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2016 SIAMO TUTTI NELLA STESSA BARCA D’IPOCRISIA... di Gelsomina Monteverde – La Sorgente n. 93 Dic.2016

“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. irandello avrebbe avuto molto materiale a disposizione, oggi più di ieri, per parlare di maschere ed ipocrisie... Gli sarebbe bastato scorrere la sua home per poter scrivere trattati infiniti su quei travestimenti indossati dagli esseri umani...Facebook, il contenitore di link volti ad esaltare anche il più bieco degli esseri umani con pensieri preconfezionati, ne è un esempio. Ma si sa, è storia vecchia...L’uomo ama fingere di essere quello che nemmeno lontanamente è, ama trasmettere un’immagine completamente differente da ciò che realmente sente. E per quale ragione? La risposta è lapalissiana. In un mondo ipocrita, per ottenere dei vantaggi, o più semplicemente, per permettere che la vita possa scorrere in modo agevole, senza scossoni e colpi di scena di qualsiasi genere, bisogna fingere. Si impara a mentire da bambini, si impara ad essere ipocriti da giovani. Al diavolo, la sincerità del bambino non esiste più! L’ingenuità, la purezza del fanciullo, è morta sotto la corruzione della società odierna. Infatti, già da piccoli ti dicono cosa devi dire e cosa devi tenere per te. O meglio, ti dicono che mentire è “peccato”, ma se dici quello che pensi realmente e non è conforme a quel “pensiero unico”, ti lanciano dei messaggi per nulla velati, volti a farti chiudere velocemente la bocca o ad edulcorare ciò, che in molti casi, dovrebbe essere sbattuto in faccia senza esitazione. A scuola, sai già che scrivere: «La mia maestra è bella e buona», anche se pensi tutto il contrario, ti porterà dei vantaggi. E poi, basta accendere la televisione, guardare pochi minuti un semplice talk-show, dove persone pagate profumatamente da noi, fingono di preoccuparsi del nostro presente e futuro, per cambiare velocemente canale o spegnere definitivamente quel contenitore di falsità, in cui si dedicano minuti di silenzio per lutti di persone considerate importanti, dimenticando tutti coloro che soffrono quotidianamente per la sopravvivenza. Faccio solo alcuni esempi concreti, per riportarci tutti coi piedi per terra...L’altro giorno un pensionato che non riusciva ad arrivare a fine mese, è stato colto in fragrante mentre “rubava” una fetta di carne in un supermercato. Io credo che sia ipocrita il commento di una signora impellicciata che si scandalizzava per “il furto”, lei che per la propria vanità, ha “rubato la vita” di qualche animale, per mettersi la sua pelle addosso. Ritengo ipocrita considerare “ladro” chi deve compiere un atto di sopravvivenza e non considerare “ladra” una società che gli ha rubato la dignità. Considero ipocrita chi prima sparla alle spalle di qualcuno e poi lo frequenta. Lo reputa nel peggiore dei modi e poi ci ride e scherza come nulla fosse. È ipocrita il sessantottino che combatteva il baronato ed oggi è barone

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e pretende servilismo in cambio di improbabile carriera. Ebbene sì, viviamo tempi d’ipocrisia... Le parole che ci vengono dall’alto hanno un significato diverso dal loro suono. Eufemismi, understatement, menzogne, soprattutto gli aggettivi sono ipocriti. Prendiamo a caso: c’è chi fa politica contro gli “immigrati clandestini”, ma si sente benissimo che la qualificazione è farisaica. E’ l’immigrato disaggettivato che dà fastidio: razzismo travestito da “law and order”, perché se l’immigrata fa la badante e serve davvero, non è più clandestina, bensì benvenuta. Brutta bestia l’ipocrisia e sottovalutarla è anche peggio. Perché si scivola nel fango dell’ipocrisia? La questione non è nata oggi, non è nata quando la corruzione della società è arrivata a tal punto da far arricciare il naso pure a noi. La questione è sempre esistita. Da quando l’uomo esiste, esiste l’ipocrisia. Per esempio nella Bibbia, gli inganni di Pietro e Giuda nei confronti di Gesù, nell’antica Roma, in cui la virtus era sovrana, l’inganno di Bruto a Cesare. Ma non solo in storia. Che dire di Madame Bovary, uscita dalla penna di Gustave Flaubert, che rivendica il suo ruolo di donna libera, in una società beghina e con una mentalità retriva, che pure la costringerà a un atto estremo. Che dire di don Abbondio? E’ l’ipocrisia per antonomasia, con le sue paure, la sua vigliaccheria, la sua piaggeria, la sua pochezza. Quanto assomigliamo a don Abbondio nei nostri comportamenti quotidiani? Tanto, soprattutto quando fingiamo un sentimento che non proviamo, quando facciamo un complimento che non sentiamo, quando lusinghiamo chi non stimiamo o invidiamo, quando diciamo in occasione del successo di un nostro “amico” o conoscente: “Quanto sono contento per te”, pensando esattamente il contrario, o quando in televisione è tutto uno spropositare di complimenti falsi e menzogneri. Allora, cosa bisognerebbe fare, a parte evitare gli ipocriti, ovvero la maggioranza dell’umanità? Non esiste ovviamente una risposta...Estraniarsi da un ambiente negativo è l’unica soluzione, anche se non è facile. Ridere silenziosamente delle loro vite fasulle, è un atteggiamento che, con il passare del tempo, diventerà abituale. Si tratta di un comportamento difensivo per sopravvivere ad un mondo ipocrita. Circondarsi nei ritagli di tempo, di persone sincere, operando un’accurata selezione ed evitare di competere con gli ipocriti. La vita è troppo breve per perdere tempo con simili individui. Il rendersi conto che la maggioranza degli esseri umani è così, apre la strada ad un percorso nuovo, allontanandosi da tutto ciò che può farci stare male. La natura umana è infida, dobbiamo farcene una ragione. Ciò che importa è stare bene con se stessi, anche nella convivenza forzata con esseri immondi e non smettere mai di sorridere di fronte a simili bassezze. L’ipocrisia poi, in una società tutta basata sull’immagine e la competizione sfrenata, l’inganno e il falso buonismo, sta dietro la porta.

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L’allargamento delle relazioni, il posto di lavoro da difendere, il politico di turno o il portaborse da adulare a fini utilitaristici, rancori mai sopiti da riscattare, frustrazioni, colleghi da incenerire, amici da scaricare, amiche da ridimensionare, si sono moltiplicate le occasioni per dimostrare sentimenti falsi, traendo soddisfazione dalla altrui disgrazia. Ma sì...come disse il grande John Lennon: “Puoi nascondere il tuo volto dietro ad un sorriso, ma c’è una cosa che non puoi nascondere, è quando tu sei marcio dentro”. Più andiamo avanti e più mi è chiara la fine che farà il mio Paese! Chiedo scusa anticipatamente per lo sfogo e per l’indignazione, ma vedere sbriciolarsi giorno dopo giorno intenzioni, sogni, prospettive e sacrifici a causa di un’amministrazione comunale (in toto) inesistente e deleteria, mi fa male sul serio. Che peccato! Assistere ad inutili recuperi in corner sul progetto della ciclovia “Cassano - S. Maria di Leuca”, (questione che risale al 2015) ….; - ad assenze ingiustificate nel Piano di Zona ed in Enti sovra-comunali; - ad un’assoluta trasparenza (nel senso che non ci calcola nessuno) nel Progetto Pilota (siamo fanalino di coda dopo Cairano, Teora e Senerchia nella branca “turismo”); - non riuscire ad intercettare nessun fondo regionale/europeo (e questo è l’ultimo treno); - far agonizzare nelle mani incompetenti, ignoranti e prepotenti di qualche assessore di turno, la questione vitale del Turismo; - assistere impotenti al malfunzionamento costante in tutti gli aspetti, della macchina amministrativa con relativi ed enormi sprechi di denaro pubblico (vigili, uffici, spazzatura, patrimonio….)….. è veramente come quell’inutile presenza, con count-down compreso, ai piedi del MALATO AGONIZZANTE! Sono dispiaciuto ed amareggiato per cotanta superficialità, di chi ci governa, ma anche per l’assenza netta e poco efficace della MINORANZA (minorata da probabili accordi sottobanco), dei PARTITI (il PD), dei MOVIMENTI ed ASSOCIAZIONI, ai quali chiedo, per l’ennesima volta, di organizzarsi in una sorta di “GOLPE” civico, che abbia come scopo principale il SALVARE il SALVABILE. Le feste sono oramai finite; FACCIAMO, adesso UNA ASSEMBLEA PUBBLICA che possa dare spiegazioni e approfondire questioni!Non è possibile che si possa ancora continuare in questo modo, per altri due anni, con il rischio e la responsabilità collettiva di PERDERE OCCASIONI ogni giorno che passa!!! Chiedo ancora scusa per i “francesismi” e l’esasperazione civica, ma mi convinco sempre di più che, solo “a morte certificata”, il Caposelese (italiano mediobasso), si possa indignare, rialzare la testa ed accorgersi che la salita è dura; e noi, purtroppo, restando a guardare, non siamo ancora partiti!

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2017

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MALGRADO TUTTO … SI RIPRENDE La Sorgente n. 95 Dic. 2017 Nicola Conforti - Editoriale

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er la prima volta, dopo tanti anni, qualche difficoltà legata a varie situazioni particolari, ha fatto temere un ritardo nella presentazione del giornale e quindi di saltare questo numero. Fortunatamente dopo questo piccolo accenno di “fibrillazione” dovuto a stanchezza o forse ad una “crisi di crescenza”, la Sorgente ha ripreso a correre con più vigore e forza di prima, pronta a risalire la china e, senza rinunziare agli standard di qualità raggiunti nel tempo, puntare dritto al prestigioso traguardo dei 100 numeri. Anche questa Sorgente, malgrado le difficoltà iniziali, si presenta ricco di articoli, interessante per i temi trattati, bello nella forma e, come sempre, puntuale nel rispetto delle date di uscita. Il tema dominante, riscontrabile nelle varie pagine del giornale, riflette un po’ il clima che si respira da qualche tempo, dovuto all’imminenza delle prossime elezioni amministrative. In tutti gli articoli che si occupano di politica locale, si avverte l’auspicio per un futuro diverso e di superamento dei tanti ostacoli e problemi accumulati negli anni scorsi. Tutti si augurano un cambiamento di rotta ed un impegno serio e concreto a favore del nostro Paese. Da parte nostra, parliamo della Sorgente, puntiamo in particolare ai tanti problemi irrisolti del Turismo. Dai futuri amministratori ci aspettiamo, al di là delle promesse elettorali, dimostrazioni di vero attaccamento per il nostro Paese. Dare cioè l’importanza che meritano alcuni problemi che rappresentano i punti di forza e di partenza per un turismo non soltanto religioso. Ripristinare la cascata della Madonnina, valorizzare l’intero parco fluviale, sistemare in via definitiva la pavimentazione della strada principale del paese, riprendere i lavori del parcheggio, valorizzare lo svincolo di Materdomini. E tanto altro ancora. Sosterremo con forza coloro che si faranno carico di questi problemi. Speriamo bene.

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EDITORIALE – Il nuovo sindaco è Lorenzo Melillo La Sorgente n. 96 Agosto 2018Nicola Conforti

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“Passata è la tempesta..”, ma non nel senso meteorologico di Leopardiana memoria, ma nel signific� cato più allegorico di campagna elettorale, che pure aveva scosso in qualche modo la quiete e la serenità di questo piccolo borgo. Finalmente è’ tornato il sereno e, come non accadeva da tempo, con il sereno è tornata la speranza e la fiducia piena in chi ha vinto in maniera così netta le elezioni amministrative. Sarà perché chi solitamente è avvezzo a protestare ed a contestare si era già ”imbarcato” sul carro dei facili vincitori, o sarà, più probabilmente vero che la popolazione tutta ha raggiunto un buon grado di maturità politica e culturale, disposta quindi ad accettare i risultati positivi o negativi che siano. Sono orientato per questa seconda ipotesi. Mi permetto, però, di dare un consiglio al Sindaco ed ai suoi collaboratori: operare con la massima giustizia e nel rispetto di tutti, ben sapendo che le vittorie, specie se eclatanti, (è storia recente) portino in sé il seme di future sconfitte. “Una vittoria non è tale se non mette fine alla guerra”, recita un vecchio adagio; guerra in senso metaforico come dissidi, contrasti, contrapposizioni strumentali e cose simili. Ma il clima sereno cui si è parlato trova riscontro negli atteggiamenti positivi di vincitori e vinti, tutti disposti ad operare per il bene comune, disposti cioè a curare il bene del Paese più che il vantaggio provvisorio e precario del proprio partito. Ed è’ ciò che traspare dalle posizioni, anche più disparate politicamente, che emergono da questo giornale. Con profonda soddisfazione prendo atto di questa favorevole situazione e con cauto ottimismo mi attendo importanti passi in avanti sul piano della crescita civile del nostro Paese. Le promesse elettorali non sono state assurde né impossibili, ma caute ed alla portata di persone oneste e positive. Ci auguriamo che il turismo sarà uno dei punti di forza del programma amministrativo. Come “Sorgente” sosterremo tutte le iniziative che saranno adottate ai fini di un potenziamento dei due Santuari della Fede e delle Acque. I problemi sono gli stessi di sempre. Ne elenco alcuni : il lavoro per i giovani, la sistemazione delle strade interne i parcheggi il Centro Fieristico lo svincolo di Materdomini il parco fluviale la cascata della Madonnina. Non è tutto naturalmente, ma è quanto basta per giudicare positivamente un’Amministrazione. I Caposelesi si aspettano questo ed altro ancora. Auguri. Antologia Caposelese

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2018 RIFLESSIONI DAL FINESTRINO DI UN TRENO Donatella Malanga – La Sorgente n.96 Agosto 2018

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Orgogliosamente direi, ho fatto da guida per tour caposelesi allo sco­ po di mostrare loro questo nostro piccolo borgo. Il verde intenso delle nostre primavere, lo scroscio del fiume, la vista della Valle del Sele da Via Santuario o da San Vito forse sembrano scontate e banali, ma per chi ha avuto il piacere di visitare questi luoghi non lo sono affatto. Orgoglio­ samente direi, ho fatto da guida per tour caposelesi allo scopo di mostrare loro questo nostro piccolo borgo. Il verde intenso delle nostre primavere, lo scroscio del fiume, la vista della Valle del Sele da Via Santuario o da San Vito forse sembrano scontate e banali, ma per chi ha avuto il piacere di visitare questi luoghi non lo sono affatto.

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Da dove cominciare a riempire questa pagina bianca. D’improvviso mi ritrovo nel banco del liceo con le stesse sensazioni che provavo davanti ad un tema d’italiano. Cerco di essere razionale come se stessi davanti ad uno scritto scientifico, che per ovvi motivi mi è più congeniale. Ma questa volta invece prevale l’istinto e automaticamente la mente mi porta a riempire d’ inchiostro queste pagine con parole che affiorano naturalmente quali donne, viaggio, ritorno e Caposele. Termini pieni di significato, che sappiamo bene meriterebbero più di settemila caratteri, ma ci accontenteremo di qualche pensiero. Primo problema da affrontare: come mettere insieme questi concetti. Gli spunti potrebbero essere tanti ma in questo caso c’è un punto che li fonde insieme ed è la constatazione che chi vi scrive è una donna, che viaggia per lavorare, che riesce a farlo perché viene da questi luoghi e a queste sponde ritorna. Il nostro borgo mi ha consegnato metaforicamente carta e penna, grazie al riconoscimento che ho generosamente ricevuto la scorsa estate si è generato un effetto domino, che ora costringe anche voi cari lettori a sedervi e leggere le mie riflessioni. Il viaggio permette di avere tanto tempo per pensare. Guardi fuori dal finestrino, ti osservi riflessa, ascolti una canzone oppure ti immergi nelle pagine di un libro...e mi sono ritrovata più volte in uno di questi viaggi a soffermarmi a riflettere. Per chi come me vive due vite parallele come binari di un treno, in cui difficilmente le due realtà si incontrano, ci si ritrova un po’ sospesi e senza avere il tempo e la possibilità di immergersi a fondo nella vita sociale di nessuna delle due. Il viaggio può assumere tanti significati: di piacere, d’avventura, conoscere nuove culture, nuove popolazioni. Certamente al di là del significato metaforico che possiamo attribuire alla parola viaggio, quello che realizzo continuamente sui binari di un treno è spinto dal voler cercare qualcosa di nuovo che mi appaghi e voler realizzare i miei obiettivi, quindi possiamo dire viaggio come esigenza, che entra poi a far parte della quotidianità della vita. Tanti piccoli viaggi che permettono non solo di lavorare, considerandolo

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come un bene primario, ma anche la possibilità di apportare piccoli cambiamenti interiori. Proprio per come siamo fatti, esperienze di vita come quella che vivo ogni giorno ci consentono di recepire e assimilare da ciò che ci circonda, tante esperienze di vita vissuta che sicuramente mi rendono una donna più ricca... così arriviamo a me come donna, donna di provincia, donna di Caposele e subito mi vengono in mente le mie compagne di genere. Sicuramente Caposele ha avuto tanti padri illustri. Molti di loro sono stati celebrati e vengono annoverati spesso nelle cronache locali. A me piace pensare anche a tante donne, madri, maestre, che sono assolutamente da considerare tutte valorose e autorevoli. Non dobbiamo necessariamente pensare alle donne che hanno permesso di tracciare nuovi pensieri e nuove ideologie, alle rivoluzionare, alle grandi letterate o scienziate. Guardiamo alle nostre mamme e alle nostre nonne, un po’ di rivoluzione la troverete anche lì. Pensate alle donne che vivono il nostro borgo e a chi di loro lo costruisce e lo arricchisce giorno per giorno. Due sono le parole che mi sovvengono: perseveranza e dedizione. Annoso argomento questo di grandi studiosi e sociologi da decenni. Ma vi assicuro che chi vive e lavora in ambienti competitivi, storicamente e culturalmente radicati al genere maschile la percezione che è che ci sia tanta strada ancora da fare per noi ragazze. Basti pensare che nelle carrozze del treno i compagni di viaggio, che ormai hanno dei volti familiari, sono per la maggior parte maschi e lo sguardo delle persone che conosci e a cui racconti la tua vita di viaggiatrice per il lavoro è sempre lo stesso, un misto di sorpresa e velata disapprovazione per il marito o compagno che si lascia a casa da solo. Naturalmente non mi arrendo e ogni volta che si affronta il dibattito sul mondo del lavoro che sta cambiando, il messaggio che cerco di lasciare è che sposare una vita del genere ti permette anche di non fare mai la stessa cosa per due giorni di fila e quindi rinunciare alla stabilità. Un “precariato” della quotidianità, nel senso più libero e spiazzante del termine. Faticoso ma certamente poco noioso... Proprio queste esperienze di lavoro mi hanno permesso di relazionarmi con persone anche di nazionalità diverse e mi sono ritrovata spesso ad ospitare tanti amici nella nostra Caposele. Orgogliosamente direi, ho fatto da guida per tour caposelesi allo scopo di mostrare loro questo nostro piccolo borgo. Il verde intenso delle nostre primavere, lo scroscio del fiume, la vista della Valle del Sele da Via Santuario o da San Vito forse sembrano scontate e banali, ma per chi ha avuto il piacere di visitare questi luoghi non lo sono affatto. Orgogliosamente direi, ho fatto da guida per tour caposelesi allo scopo di mostrare loro questo nostro piccolo borgo. Il verde intenso delle nostre primavere, lo scroscio del fiume, la vista della Valle del Sele da Via Santuario o da San Vito forse semAntologia Caposelese

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brano scontate e banali, ma per chi ha avuto il piacere di visitare questi luoghi non lo sono affatto. Ecco perché il ritorno... Molti di noi, più o meno giovani hanno necessariamente il desiderio di “prendere il mare”, perché animati e spinti dalla ricerca di nuove esperienze oppure per necessità. Questa ricerca faticosa procura certamente arricchimento. Nonostante ciò, anche per chi va via per poco o molto tempo che sia, si percepisce una gran fretta di rivedere questi luoghi, di riabbracciare i familiari; in alcune occasioni saremmo pronti a piantare tutto in asso pur di ritornare nell’ambiente che a noi è più familiare. Dalle riflessioni scambiate con amici e conoscenti che vivono lontani c’è sempre la sensazione di rimanere sospesi e non appartenere mai fino in fondo al luogo in cui si va a vivere. Per la mia esperienza seppur parziale, la sensazione che più manca è quella di non appartenenza, incontrare le persone e sapere che loro non sanno chi sei, chi sono i tuoi genitori, quali sono le tue origini. Temi più che mai dominanti e attuali se pensiamo allo straniero e alla migrazione dei popoli e alle condizioni esistenziali tipiche dell’epoca contemporanea. Tutte queste riflessioni mi hanno portato a fare una piccola ricerca e ha ritornare in un ambito a me più congeniale, quello dei geni...come mi aspettavo ci sono tutta una serie di studi che cercano di spiegare quale sia l’origine genetica del nostro impulso innato ad esplorare e a fare nuove esperienze. Ebbene si... l’inquietudine dei geni.... non a caso al gene identificato è stato dato il nome di “wanderlust”, che significa voglia di girovagare. Naturalmente, senza tediarvi con discorsi troppo tecnici, sembra che chi possegga questa variante genetica avrebbe una spiccata curiosità e irrequietezza e sarebbe più disposto a correre rischi, a esplorare nuovi luoghi e idee e ad accettare con entusiasmo il movimento, il cambiamento e l’avventura. Naturalmente non ne dobbiamo sopravvalutare il ruolo, sicuramente non basta il gene “dell’avventura” a spiegare una realtà complessa come l’esigenza umana di esplorare. Ho cercato anche studi che aiutino a spiegare anche la voglia del ritorno...ma finora non ne ho trovati...ma continuerò a cercare e a viaggiare.

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2018 RITORNARE A CREDERE di Tania Imparato – La Sorgente n. 96 Ag. 2018 Mettendo ordine e dando un nome alle percezioni avvertite, sono rientrata in me stessa. Fer­ marsi a scandagliare il proprio animo, riscoprirsi umana tra gli umani, prendere coscienza di essere fragile tra i fragili: l’approdo finale. Certo i rigurgiti di questa umanità ferita e dolente sono ancora presenti in me. Tuttavia sono diventata capace di ricacciarli indietro.

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’invito a scrivere qualcosa da pubblicare sul periodico “La Sorgente” mi ha piacevolmente interpellato. Il sempre disponibile ing. Nicola Conforti più volte mi ha offerto uno spazio sulla sua “creatura”, affinché potessi condividere riflessioni e opinioni sulla mia esperienza di vita caposelese. Ecco la mia esperienza di vita qui, in questo contesto. Mi sono sempre chiesta cosa ci facessi qui; cosa avrei potuto condividere con un ambiente tanto diverso dal mio, tanto diverso dalla mia Battipaglia; quale il mio ruolo; quali le aspettative nutrite dai caposelesi. Eppure durante lo scorrere degli anni, trenta ormai, di vita matrimoniale, ero riuscita a capire, a comprendere, anche con gli occhi della fede, il progetto che Dio avesse su di me. Sì, il progetto di Dio su di me. Infatti, da circa ventidue anni, sono catechista nella mia comunità. Tanti ragazzi e giovani, spero ricordino, quando al sabato pomeriggio o al venerdì sera, cercavo di accoglierli e di trasmettere loro ciò che per me era importante, ciò che tentavo di vivere con coerenza, più o meno riuscendoci, in famiglia. Ho imparato tante cose in questi trent’anni. Ho cercato in tutti i modi e senza mai svendere la mia persona, di “portare onore” (come soleva ripetere mia suocera) alla famiglia che mi aveva accolta poco più che ventenne, inesperta, ma desiderosa di vivere la vita in pienezza, accanto alla persona da sempre amata. L’impegno profuso nel farmi conoscere e accettare aveva sortito l’effetto voluto: la stima e l’apprezzamento da parte di tanti. Ero riuscita a creare quelle condizioni di vita favorevoli per la crescita dei miei figli. Crescita non legata soltanto ad uno sterile materialismo, ma orientata ad un’apertura mentale e culturale, volta al superamento di steccati e schemi, a mio parere, che avrebbero distorto o mistificato il senso autentico del vivere. Difficoltà tante, cadute anche, ma infinite piccole e grandi soddisfazioni hanno caratterizzato il mio percorso di vita qui; traguardi raggiunti personali e familiari; numerose opportunità vissute, anche oltre Caposele. In questo mio lungo viaggio ho cercato di apprezzare la ricchezza di incontri stimolanti. Essi hanno donato gioia al mio cuore, lo hanno dilatato, facendo entrare aria fresca e pulita nei polmoni. Incontri che fungono da balsamo sulle ferite, dando nuovo vigore alle membra stanche e provate dalle vicende, a volte molto pesanti, propinate dalla vita. Mi riferisco in particolare agli avvenimenti legati Antologia Caposelese

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all’ultima tornata elettorale. Non è mia intenzione dissertare sulla politica, o pseudo tale (lascio campo libero con grande piacere a chi crede di saperlo fare); vorrei solamente e semplicemente fermare per iscritto le mie sensazioni. Il “ciclone elezioni comunali” (mi piace definirlo così) abbattutosi su Caposele e i suoi abitanti mi ha consentito di ridimensionare, di rivedere, di rileggere la mia esperienza legata a questa terra, che tanto ho amato. Il paese nel quale avevo tanto creduto, dando tutta me stessa, all’improvviso diventava l’Inferno da cui scappare. Quante sensazioni vissute in questi mesi: delusione, rabbia, dolore profondo, alle quali non sapevo dare risposta. Durante la fase preelettorale mi colpiva l’ingenuità di tanti nel voler credere con forza alle reiterate e scontate promesse. Nonostante ci si rendesse conto dell’incapacità di mantenerle, non per cattiva volontà, ma semplicemente perché umanamente impossibile, ci si accapigliava per carpire la buona fede degli elettori. Scene viste e riviste troppe volte nelle nostre terre del sud. Nelle aree dove prospettive future positive non se ne intravedono è ( forse? ) “inevitabile” parlare alla pancia ed è ( forse? ) “vitale” voler credere all’inverosimile. All’indomani del clamoroso risultato ho avvertito un profondo sbandamento, oso dire stordimento, come un pugile che si trova al tappeto senza forza per potersi rialzare. Tutti i punti di riferimento saltati. Le certezze sulle quali avevo costruito i legami di amicizia tutte sgretolate. Mi chiedevo: avrò peccato di ingenuità anch’io? O forse eccesso di presunzione? La mia sensibilità, la capacità di giudizio e la lucidità necessarie tutto al vento. Avevo la sensazione, durata un bel po’, di aver vissuto in una bolla di sapone. Nel frattempo, però, nella mia famiglia era un susseguirsi di momenti di festa, di soddisfazioni alle quali mi aggrappavo. Il frutto di un lavorio faticoso, attento, quotidiano, fatto di dialogo sincero, aperto e senza ipocriti nascondimenti, vedeva la sua realizzazione. Eppure in tutto questo marasma di sentimenti, in questo caos la Parola di Dio, alla quale mi abbandonavo con filale fiducia, mi veniva incontro. In particolare, nei momenti più difficili, ripetevo a me stessa: « Maestro, ho faticato tanto tutta la notte e non ho preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» (cft. Lc 5,5); oppure « Non temere, sono con te tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (cft Mt 28,20). Questo abbandono all’ascolto, dopo fasi di intensa ribellione, mi ha educato, nel senso più profondo del termine. Ho avuto modo, così, di riflettere, aiutata dal mio grande compagno di vita. Mettendo ordine e dando un nome alle percezioni avvertite, sono rientrata in me stessa. Fermarsi a scandagliare il proprio animo, riscoprirsi umana tra gli umani, prendere coscienza di essere fragile tra i fragili: l’approdo finale. Certo i rigurgiti di questa umanità ferita e dolente sono ancora presenti in me. Tuttavia sono diventata capace di ricacciarli indietro. La tentazione di lasciarsi andare a moti di stizza sono mitigati, annullati da alcuni fattori già in parte

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esplicitati: fragilità umana, amore incondizionato di Dio Padre e, non meno importante, la consapevolezza che la mia famiglia solo in questo ambiente avrebbe potuto trovare la propria realizzazione. Questo percorso tanto tortuoso ha consentito di creare quelle condizioni favorevoli a cui accennavo all’inizio di questa mia condivisione. E ora? Ora cosa mi suggerisce il cuore? Dove sono? Sono in ricerca… Sempre… Meno affannosa… Mi conforta la certezza che l’aver agito con semplicità in tutti questi anni, abbia dato maggior forza ai miei valori. L’essere stata, per quanto possibile e con i pochi mezzi di cui disponevo, al servizio di questa comunità, che mi ha accolta tanti anni fa, mi rende caparbia nel riprendere il cammino. E’ proprio vero che non si finisce mai di imparare, tutto è esperienza che, se affrontata con umiltà e necessario disincanto, arricchisce e fortifica. I volti, gli sguardi, gli atteggiamenti, le parole hanno sempre qualcosa da insegnare. Vedo un paese diviso, profondamente. Con tristezza rilevo l’annaspare di molti nelle comuni difficolta. Con speranza credo che soltanto insieme si possano risanare le fratture. Con fiducia faccio appello alla cosa inscritta nella coscienza di ogni uomo: il desiderio di amare ed essere riamati. A questo appello rispondo rialzandomi, riprendendo il mio viaggio al fianco della mia famiglia e della nuova “riamata” Caposele. Per questo, con rispetto e ritrovata stima, consegno a me e a Lei, nella quale intendo fermamente ritornare a credere, una citazione del grande scrittore Boris Pasternk: « Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno mai inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita » . Il Teatro è sempre stata una delle tante passioni caposelesi. Una nuova e fresca compagnia di amici presentano la commedia napoletana per eccellenza del maestro De Filippo. Il nostro augurio affinché questa passione possa continuare nel tempo.

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“LEGAMI DI SANGUE, VINCOLI D’AMORE” di Cesarina Alagia Sorg. n. 97 Dic. 2018

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Qualcuno potrà dire che il mio scritto sia stato troppo intimistico e che nulla abbia a che fare con gli scritti di questo giornale. Non è così, io penso che, a volte, sia necessario e quasi terapeutico esprimere i propri sentimenti. Farlo sulle pagine del giornale e non sui social è importante perché le parole sulla carta assumono un significato diverso e si può tornare ad esse quando si ha bisogno di ritrovare i ricordi, quando si ha bisogno di capire, come in questo caso, che la malattia e la fragilità delle persone a noi care meritano una vicinanza e un accompagnamento in un tempo ed in uno spazio dove sembra esserci posto solo per il dolore ma un tempo e uno spazio riempiti d’amore e da parole, a volte ascoltate e comprese, a volte no, ma comunque necessarie.

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erché scrivere di mio padre e di mia madre in uno spazio pubblico? Forse perché condividendo alcuni sentimenti, che dovrebbero far parte della nostra sfera privata, si ha l’impressione di rendere più comprensibili alcuni vissuti o forse, perché i nostri spaccati di vita, a volte, possono esprimere spaccati in cui altri possono ritrovarsi. Ho riflettuto prima di scrivere, ma poi ho pensato che la nostra vita è scandita da impegni, da rapporti con altre persone, dal desiderio di impegnarsi in qualcosa, ma credo sia molto importante, in alcune situazioni, dare molto più spazio ai nostri sentimenti e soffermarci su questi. D’altra parte ci stiamo abituando troppo a parlare del “problema”, del “tema” non ricordando che dietro tutto questo ci sono persone. In questo contesto parlo di persone a me care e ciò connota, forse, l’aspetto intimistico del mio scritto. Di mio padre devo parlare al passato perché è da tempo che non c’è più, ma c’è qualcosa che lo accomuna ai sentimenti che sto provando rispetto allo stare male di mia madre. Con entrambi il mio rapporto è stato abbastanza difficile, ma con tutte e due il loro stare male ha scoperto una tenerezza, forse da sempre cercata ma che, per ragioni diverse, non si era mai palesata abbastanza. Papà non mi aveva mai perdonata di averlo deluso non conseguendo quella laurea che per lui avrebbe rappresentato un orgoglio, un riscatto ai tanti anni vissuti come migrante. Lessi nel suo sguardo una punta di orgoglio, però, quando ormai al termine dei suoi giorni, presentai nell’aula polifunzionale “La Sorgente” , il tanto amato giornale che insieme alla Pro Loco avevano rappresentato la possibilità di riappropriarsi delle sue origini, del suo paese tanto amato e rimpianto negli anni della sua forzata lontananza prima in Argentina, poi in Svizzera. Quel giorno sembrò riconoscere che anche io pur senza laurea, avevo un piccolissimo ruolo nella nostra comunità, ruolo che mi veniva, per così dire, legittimato dall’ incarico che mi era stato affidato. Quel giorno, nonostante il doloroso proseguire della sua malattia, si era fatto aiutare dal nipote prediletto per indossare quei panni ormai troppo larghi per un corpo divenuto sempre più scarno e fragile.

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Doveva scendere perché non poteva mancare alla presentazione de “La Sorgente”, doveva rivedere i suoi amici, in modo particolare Nicola, l’ingegnere, il cui nome tornava ricorrente nelle sue giornate scavate da un dolore sempre più devastante. Quel giorno disse, con una forza che, contrastava con l’enorme pallore del suo viso, che bisognava procedere alla distribuzione del giornale e poi pensare anche alle spedizioni. Tutto questo gli aveva dato la forza di scendere nell’aula polifunzionale e sedersi sofferente nelle prime file ma con la gioia di un bambino negli occhi. Incominciò la presentazione del giornale che quel giorno, come ho detto prima, toccava a me farla perché Nicola aveva capito che quella sarebbe stata per Emidio l’ultima occasione per essere presente, e con la sensibilità e l’affetto che mostrava per papà aveva voluto fagli un regalo. Per tornare alla malattia di papà, durante l’ultimo periodo, si affidava a me come un bambino spaventato ed insieme ritrovavamo un rapporto che prima nessuno dei due aveva saputo dimostrare, abbandonando quella scorza di duro per dare spazio ad una grande dolcezza. Mamma è a letto da quasi due anni, vive in un’alternanza di ritorni e di fughe in un passato che la vide figlia, sorella e giovane sposa. Le giornate sembrano scorrere a volte lente, a volte troppo rapide perché le impediscono di riappropriarsi della sua vita di madre e di nonna, ma quando lo fa, ritroviamo una tenerezza che si manifesta anche semplicemente con uno sguardo, con uno scaldarmi la mano infreddolita. Ritorna così una madre che sa accogliere i figli nel suo grembo, nonostante la sua fragilità fisica che la fa assomigliare ad un uccellino ferito e bisognoso di cure ed affetto. A me, egoisticamente, sembra che prolungando i suoi mesi, i suoi giorni pur nella sofferenza del suo stare male, voglia dare la possibilità di ritrovarci come madre e figlia, finalmente riconciliate. La sua vita somiglia ad una candelina che sembra spegnersi per poi riaccendersi anche se fiocamente. Fino a quando tutto questo durerà non lo so, ma posso dire che la sua lunga malattia sia stata un gesto d’amore, capace di cancellare incomprensioni che si perdono in un tempo che sembra lontano e proiettato, invece, in questo fugace presente. Qualcuno potrà dire che il mio scritto sia stato troppo intimistico e che nulla abbia a che fare con gli scritti di questo giornale. Non è così, io penso che, a volte, sia necessario e quasi terapeutico esprimere i propri sentimenti. Farlo sulle pagine del giornale e non sui social è importante perché le parole sulla carta assumono un significato diverso e si può tornare ad esse quando si ha bisogno di ritrovare i ricordi, quando si ha bisogno di capire, come in questo caso, che la malattia e la fragilità delle persone a noi care meritano una vicinanza e un accompagnamento in un tempo ed in uno spazio dove sembra esserci posto solo per il dolore ma un tempo e uno spazio riempiti d’amore e da parole, a volte ascoltate e comprese, a volte no, ma comunque necessarie. Necessarie perché è bello continuare a pensare che la vita dà sempre la possibilità di poterci ritrovare se soltanto riuscissimo a liberarci di rimpianti e di pensare che le cose sarebbero potute andare diversamente... Antologia Caposelese

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EDITORIALE

NUOVE RUBRICHE - Editoriale – La Sorgente n. 97 Dicembre 2018 Nicola Conforti -

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on il numero 97 La Sorgente compie 45 anni di vita. Raccontarne la storia è impresa gravosa e difficile: è la storia di quasi mezzo secolo di vita vissuta dalla “Gente di Caposele”, storia di momenti a volte felici e più volte tristi, ma che hanno segnato importanti risultati e prestigiose dimostrazioni di attaccamento alle radici, di volontà, di passione e di cultura. In un arco di tempo così ampio, La Sorgente ha descritto puntualmente le vicende del nostro piccolo Paese, raccontando di Caposele l’evoluzione sociale, economica e culturale, senza mai allontanare lo sguardo dal “campanile” e senza mai tradire l’amore per il proprio territorio. L’intera opera editoriale, formata da una raccolta di circa tremila pagine è riportata in sei voluminosi libri. Ogni pagina suscita emozioni, ricordi, pensieri e tradizioni. Tanto tempo è passato da quel lontano 1973, anno di fondazione del giornale. La Sorgente si è rinnovata continuamente, seguendo, da una parte, l’evoluzione tecnologica della stampa, (dalla composizione a mano, alla linotype e infine alla digitalizzazione dei testi), dall’altra adeguando i vari contenuti ai tempi in continua e costante mutamento. Rileggendo i giudizi che tanti giovani e meno giovani hanno espresso in un nostro mini-sondaggio (riportato alle pagine 42e43) abbiamo acquisito la certezza che siamo sulla buona strada e che il giornale così com’è piace e non necessita di modifiche sostanziali o di stravolgimenti. Alle tante rubriche che, anno dopo anno, si sono aggiunte a quelle classiche, in quest’ultimo numero ne inauguriamo una nuova, sulla scienza e sulla ricerca. Sarà Donatella Malanga, dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, a trattare questa difficile materia in modo semplice e comprensibile, ben sapendo, e ce lo insegna Manzoni, che non esistono concetti difficili che non possano essere spiegati con parole facili. In seconda pagina trova spazio una seconda piccola rubrica: “l’angolo dei nonni”. Quest’ultima rubrica servirà ad ampliare la “platea” dei nostri collaboratori “piccoli e grandi”, di età, naturalmente. Con queste premesse guardo con fiducia ad un futuro de La Sorgente che, sono certo, andrà oltre il traguardo dei cento numeri. Ed è ciò che auguro a me stesso ed ai lettori tutti.

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DISCORSO DI INSEDIAMENTO DEL SINDACO MELILLO La Sorgente n. 96 Luglio 2018 Garantisco ai cittadini di Caposele che svolgerò il mio ruolo con umiltà, dedizione e passione civile, senza rigorosi formalismi. Farò quanto è nelle mie possibilità per ascoltare tutti e per es­ sere sempre al fianco dei più bisognosi, lasciandomi guidare dai principi dell’imparzialità e del perseguimento del bene comune come valori al di sopra di ogni cosa.

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uona sera a tutti i Consiglieri, a tutti i presenti e a tutti voi cittadini di Caposele. Nel primo Consiglio Comunale che ho l’onore di presiedere, il mio pensiero è rivolto innanzitutto ai cittadini che hanno eletto quest’assemblea che, a partire da oggi, rappresenterà tutti i caposelesi per i prossimi cinque anni. A voi rivolgo un sentito ringraziamento per la larga fiducia che ci avete accordato, per aver creduto nelle nostre idee e per la stima che avete riposto nelle persone che le sosterranno con i metodi e gli strumenti che questo consesso consente. Vi ringrazio soprattutto perché il risultato che abbiamo conseguito dimostra che il grande lavoro fatto in questi anni e il necessario sforzo di unione per il bene di Caposele e per la ricerca della pace sociale sono stati riconosciuti e accolti con favore da moltissimi elettori. Voglio ringraziare, anticipatamente, tutti i caposelesi che sapranno mettere da parte le naturali contrapposizioni del confronto elettorale e che si tenderanno la mano per iniziare a ragionare come comunità. Ringrazio tutti i cittadini che hanno espresso un voto a sostegno della lista avversaria perché, sebbene non abbiano condiviso la nostra proposta politica, hanno comunque contribuito a questo importante momento di partecipazione e di scelta democratica, in piena libertà di coscienza. Ringrazio tutte le associazioni, i circoli e i movimenti politici che hanno sostenuto questo progetto, e che oggi sono rappresentati in questo Consiglio: Ringrazio innanzitutto il Circolo Arcobaleno per la fiducia che ha manifestato nei miei riguardi in tutti questi anni, nelle vicende che mi hanno visto impegnato come consigliere di opposizione e in tutte le iniziative che abbiamo portato avanti come circolo con passione e determinazione, sempre orientate alla difesa dei diritti di questa comunità. Ringrazio il Circolo del Pd di Caposele, per aver contribuito con coraggio a quest’intesa storica, oggi più che mai necessaria per ricostruire quell’unità di cui questo paese aveva bisogno per crescere come comunità. Ringrazio il gruppo attivo “Luciano Grasso” per la passione dimostrata sul campo nella difesa del nostro territorio e che oggi diventa sensibilità istituzionale all’interno della nostra amministrazione. Grazie agli amici del Movimento 5 Stelle di Caposele con i quali in questi Antologia Caposelese

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anni abbiamo condiviso un percorso importante, immaginando un paese più vivibile, più sostenibile e più vicino ai problemi della gente. Grazie, infine, al movimento politico Fratelli d’Italia, anch’esso degnamente rappresentato in questo consiglio comunale, per aver condiviso e sostenuto il nostro progetto. Come ho già avuto modo di manifestare pubblicamente, ribadisco oggi, in questo momento solenne, che questa straordinaria vittoria, sebbene sia stata conseguita con un largo consenso elettorale che non trova precedenti nella storia democratica di questo paese, non sarà il dominio dei vincitori sui vinti. Io non sarò il Sindaco di una parte, sarò il Sindaco di tutti. Dal momento della nomina ho cessato di essere il candidato sindaco per la lista “La primavera” e sono diventato il sindaco di tutti i cittadini di Caposele. Non è banale retorica, ma una convinzione rigorosa di come intendo la rappresentanza istituzionale. Ritengo, quindi, importante sottolineare questo principio: il sindaco rappresenta tutti i cittadini del Comune e, come tale, sarò ogni giorno a disposizione di tutti, attento ai problemi di ognuno. Garantisco ai cittadini di Caposele che svolgerò il mio ruolo con umiltà, dedizione e passione civile, senza rigorosi formalismi. Farò quanto è nelle mie possibilità per ascoltare tutti e per essere sempre al fianco dei più bisognosi, lasciandomi guidare dai principi dell’imparzialità e del perseguimento del bene comune come valori al di sopra di ogni cosa. Questa campagna elettorale vibrante, a volte con degli eccessi anche sopra le righe, ha permesso a ogni contendente di presentare i propri programmi, le proprie idee, di discutere e confrontarsi con i cittadini, i quali hanno vissuto questi momenti con grande partecipazione e alla fine si sono liberamente espressi con il voto. Ed è proprio sul confronto tra le idee e i programmi contrapposti, tra persone di diversi orientamenti, che si fonda la democrazia. Le società migliorano e le comunità diventano più armoniose quando sanno ricondurre all’interno di un processo di decisione democratica non solo le unità di intenti ma anche le contrapposizioni di pensiero. Prima di oggi, ho parlato molte volte in quest’aula, come Consigliere di minoranza, ma oggi, ritrovarmi qui a parlare da Sindaco scelto da 1626 cittadini, è un’emozione nuova e impareggiabile e, allo stesso tempo, una grande assunzione di responsabilità alla quale non ho alcuna intenzione di sottrarmi e alla quale nessuno dei consiglieri presenti deve sentirsi sottratto. ln questo nuovo percorso amministrativo, che inizia oggi attraverso il giuramento che presto al cospetto del mio paese, vorrei che crescesse sempre di più un rapporto di proficua collaborazione tra Sindaco, Consiglio Comunale e Giunta Comunale. Ritengo fondamentale che tutti i consiglieri, nel rispetto delle appartenenze politiche personali, siano consapevoli che spetta al Consiglio Comunale la

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responsabilità di rappresentare politicamente il nostro paese e che è dovere di ogni consigliere quello di compiere le scelte che verranno, unicamente nell’interesse prioritario della nostra comunità. Dobbiamo agire ogni giorno affinché prevalgano sempre le buone ragioni della nostra comunità, collaborando con le altre istituzioni e non contro le istituzioni. Cari cittadini caposelesi, cari consiglieri, questa sera, ha inizio un nuovo mandato amministrativo affidato a questo Consiglio che rappresenta il risultato di un confronto su idee e indirizzi contrastanti sull’amministrazione del nostro paese e sulla risoluzione dei suoi problemi. Il voto ci consegna un risultato che tutti noi dobbiamo rispettare in quanto espressione libera e limpida della volontà popolare. Adesso tocca a noi raccogliere questo mandato e farlo vivere in questa aula, nelle discussioni sui diversi indirizzi programmatici, negli atti e nei provvedimenti che saranno necessari a far rifiorire questo paese. Credo fermamente nella democrazia come forma di governo e sono consapevole della responsabilità decisionale da parte di chi amministra e sono profondamente convinto che l’azione amministrativa sarà più forte, quanto più forti saranno i partiti, le associazioni e le organizzazioni dei cittadini. E’ il Consiglio Comunale la sede in cui si realizza e si attua la democrazia della rappresentanza. Ed è qui, che a partire da questa sera, siederemo tutti noi che siamo l’espressione diretta della volontà popolare. A partire dal prossimo consiglio comunale, affronteremo le linee programmatiche che vi abbiamo anticipato durante la campagna elettorale e parleremo dettagliatamente delle azioni che intendiamo mettere in pratica per attuarle. Questa sera, vorrei, invece, soffermarmi su un concetto fondamentale che rappresenta il paradigma della nostra visione politica e che vorrei che costituisse il riferimento morale per tutte le nostre azioni future: L’orgoglio di essere caposelesi. Durante la campagna elettorale spesso ci siamo soffermati sulla necessità che abbiamo come comunità, di riscoprire la nostra identità. Socrate, rifacendosi a un motto che era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, sosteneva “conosci te stesso”, ovvero “conosci in primo luogo quello che sei” per suggerirci che, per vivere nel modo migliore, qualsiasi azione politica o pratica deve essere preceduta dalla consapevolezza di ciò che siamo (e di ciò che non siamo). Nel nostro caso, conoscere noi stessi, vuol dire ripartire dalla riscoperta del senso di appartenenza alla nostra comunità e incarnare questa appartenenza in ogni tratto distintivo della nostra identità: riscoprire l’orgoglio di essere caposelesi vuol dire fare delle nostre risorse il nostro simbolo distintivo, da esibire con fierezza dentro e fuori i nostri confini geografici. Essere Caposelesi, in questo momento storico, significa riappropriarci di Antologia Caposelese

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un’identità fondata sull’acqua e intimamente legata all’acqua. Essere caposelesi significa essere nati dove nasce la sostanza che alimenta la vita e che ci rende benefattori verso un’intera Regione altrimenti arida e assetata. Essere caposelesi significa riscoprire il fascino delle gesta di San Gerardo Maiella e l’onore che abbiamo nel custodire i suoi resti mortali nel Santuario eretto sulla sua tomba a Materdomini. Essere caposelesi significa restare affascinati dalla magia incontaminata del nostro paesaggio e esibire con orgoglio i prodotti unici della nostra terra. Essere caposelesi vuol dire vivere con dignità la nostra ruralità. Essere caposelesi vuol dire avere la voglia di riscoprire la maestria dei nostri artigiani e prendere a esempio lo spirito di iniziativa delle nostre imprese. Essere Caposelesi vuol dire prendere consapevolezza delle opportunità culturali legate alla presenza del Liceo Scientifico e delle Scienze Umane, da anni il luogo di formazione delle future classi dirigenti. Come comunità abbiamo molti tratti distintivi che, per certi versi, ci rendono unici rispetto ai paesi vicini, e che dobbiamo preservare con cura. L’epoca della globalizzazione è al tramonto. Viviamo un tempo che sta rigettando la standardizzazione dei prodotti e dei costumi e che ricerca ardentemente la riscoperta delle peculiarità locali. A questa sfida non dobbiamo farci trovare impreparati. Possiamo vincere come comunità decentrata se sapremo salvaguardare la nostra identità locale e se avremo la capacità di rivendicarla nel panorama globale. Non mi riferisco solo alle risorse turistiche o naturalistiche che ci contraddistinguono come territorio. Abbiamo un bagaglio importante di risorse umane che ci identificano come comunità e che molti ci invidiano: basti pensare alle iniziative di successo che sopravvivono grazie all’impegno di molti giovani estrosi e capaci, come la festa della musica appena conclusasi, che è giunta alla sua settima edizione e che è diventata un evento di riferimento regionale, alla sagra delle matasse e dei fusilli, ai mercatini di natale e ad altre iniziative spontanee di successo. Abbiamo un discreto numero di nascite che ci consente di contenere il preoccupante trend di spopolamento che riguarda molti paesi dell’Alta Irpinia. Abbiamo una congenita attitudine alla partecipazione e alla creatività che non solo non dobbiamo disperdere, ma che dobbiamo intercettare e supportare come amministrazione per favorire la crescita di ogni buona opportunità culturale e sociale. Mi piacerebbe che questi nostri caratteri identitari fossero salvaguardati e esibiti con la stessa dignità che si addice a chi è orgoglioso di far parte di una grande famiglia:

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Mi piacerebbe che alla domanda: “di dove sei....?” smettessimo di rispondere: “sono di Avellino” oppure: “abito vicino Lioni”, per poter rispondere con orgoglio: “sono di Caposele e ne sono fiero”. Affinché tutti possiamo tornare a essere fieri del nostro paese, abbiamo bisogno che ogni consigliere, ogni cittadino, che ogni associazione svolga il suo ruolo con grande senso di appartenenza e di dedizione verso il proprio paese. Ai consiglieri di maggioranza auguro di svolgere il loro compito nel rispetto del mandato che i cittadini di Caposele gli hanno assegnato, di lavorare con passione per rendere questo paese un luogo migliore in cui crescere i nostri figli e di percorrere questo nuovo cammino con grande senso di responsabilità. Ai consiglieri di minoranza che mi hanno affrontato in veste di avversari durante la competizione elettorale, auguro di svolgere al meglio il loro ruolo di oppositori con attenzione, lealtà, correttezza e rispetto reciproco, certo che guarderanno sempre al bene di Caposele e dei suoi cittadini. ln ultimo, voglio fare un augurio a tutti i cittadini. Siamo stati capaci di essere uniti in passato e sono certo che torneremo a esserlo nel futuro. A tutti i caposelesi voglio ricordare che a voi spetta un compito fondamentale per il buon funzionamento di una società democratica: siate protagonisti attivi della vita politica e sociale, siate infaticabili protagonisti del confronto, siate fonte di iniziativa e di proposta. Per tutti noi, da oggi in poi, vale la stessa regola: dobbiamo nutrire la democrazia ogni giorno, dobbiamo rendere la partecipazione un metodo di vita e di governo, e non soltanto un appuntamento a scadenza quinquennale con le urne e con il voto. Come sindaco di Caposele mi impegnerò perché il metodo di amministrazione sia condiviso e partecipato. Sosterrò il confronto permanente con l’opposizione e con i cittadini, con le loro organizzazioni e le loro associazioni. Sono profondamente consapevole della responsabilità, che condivido con tutti i nuovi consiglieri, di dover assicurare il buon funzionamento del Consiglio Comunale e di tutta la complessa macchina istituzionale. Sento forte la responsabilità, che mi chiama in causa come primo cittadino, nel sostenere ogni giorno questo paese che è diventato la mia nuova grande famiglia e da buon capofamiglia farò tutto il possibile per farvi essere orgogliosi di farne parte. Voglio chiudere questo primo intervento da Sindaco di Caposele con una citazione di un grande statista americano, Abramo Lincoln, che vorrei fosse di buon auspicio per tutti noi: “Mi piace vedere un uomo orgoglioso del posto in cui vive… mi piace vedere un uomo che vive in un modo tale… che il suo posto sarà orgoglioso di lui…” Grazie e buon lavoro a tutti Antologia Caposelese

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UNA STORIA INCREDIBILE La Sorgente n. 94 Agosto 2017 di Gerarda Nisivoccia “Certe volte è strana la vita: ti trovi a centinaia di chilometri di distanza da casa tua e per caso incontri qualcuno che ti racconta una storia bella ed emozionante che ha come sfondo e cornice il tuo paese. Incredibile, soprattutto scoprire che lí è nato qualcosa di speciale e qualcuno porta nel cuore ancora vivo il ricordo di quel posto”.

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Non saprei dire con precisione quanti italiani ci siano a Londra, so solo che ce ne sono tanti. Li si può incontrare dappertutto: a lavoro, al supermercato, in metropolitana, in palestra, nei pub, a teatro, ovunque insomma. Ma quella che voglio raccontarvi non é una semplice storia di italiani all’estero, bensì un fatto che ha dell’incredibile. Era domenica. Me lo ricordo bene perché di solito la domenica mattina mi alzo presto per andare a correre ad Holland Park. È vicino casa e se ci vai prima delle dieci trovi poca gente, soprattutto sportivi che si godono l’aria fresca e l’atmosfera rilassante del parco. Di solito parto da casa correndo e lo raggiungo in una manciata di minuti. Quel giorno però, non so dire il perché, ho deciso di camminare e arrivare direttamente al parco prima di iniziare a correre. Arrivata davanti al cancello mi guardo intorno. Ci sono poche anime: un signore col cane, due ragazze che camminano, un paio di bambini che giocano sorvegliati dai genitori ed una signora anziana vestita di verde seduta su una panchina distante. Sono pronta, devo solo trovare la musica giusta sul cellulare e partire; ma proprio come nei film, mentre mi accingo a mettere le cuffie e a fare il primo passo, squilla il telefono: è mia madre. Rispondo. Cominciamo a parlare del più e del meno, dei programmi per la giornata, di alcune cose accadute nei giorni precedenti e così via. Intanto cerco di trovare un posticino tranquillo dove sedermi e chiacchierare con calma. Ecco, ci sono, c’è una panchina libera proprio vicino alla signora anziana vestita di verde. La telefonata va avanti per circa una quindicina di minuti. Intanto mi godo il timido sole che ogni tanto si affaccia dietro le nuvole. Provo un senso di pace e relax nel parlare con lei perché la temperatura è davvero piacevole e di fronte a me c’è un giardino pieno di fiori gialli e bianchi che mi ricorda un po’ la casa di Mimma di fronte casa mia a Caposele. Dopo qualche minuto, quando ormai la conversazione è giunta al termine, decidiamo di attaccare promettendoci di risentirci più tardi. Bene, adesso posso rimettermi le cuffie e partire. Ancora una volta però, come nei film, il mio intento viene interrotto da una voce poco distante. È lei, la signora vestita di verde, che mi sorprende improvvisamente con un leggero e composto “Signurì”. Mi giro gentilmente e le faccio un sorriso. Sicco-

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me non ricordo di averla mai vista, per non fare una figuraccia le chiedo come sta e lei, educatamente, mi risponde di stare bene, premurandosi poi di chiedermi scusa per avere interrotto il mio cammino. Non immaginavo nemmeno lontanamente il motivo che l’avesse spinta a fermarmi. Mi chiede inizialmente da dove vengo e confessa poi di aver ascoltato la mia telefonata perché aveva sentito nominare quel paese che le aveva fatto tornare alla mente mille ricordi. Avrà avuto una settantina d’anni, o forse ottanta chissà (non gliel’ho chiesto per educazione). A vederla l’avrebbe scambiata chiunque per la Regina Elisabetta. Sarà stato il vestito verde pastello o la capigliatura bianca con un’acconciatura simile alla sovrana d’Inghilterra; fatto sta che tutto sembrava tranne che italiana e per di più che potesse essere capace di parlare con un accento tipico del sud Italia ancora vivo. In ogni caso mi stupisce e non poco. Decido di sedermi accanto a lei perché sono curiosa di scoprire come mai il paese che avevo nominato, il mio, le era rimasto nel cuore. Comincia così: “Maronna mia, signurì. Che mi hai fatto venire in mente! Saranno passati ormai quasi sessant’anni, ma quando hai nominato San Gerardo il mio cuore ha cominciato a battere forte per l’emozione”. Nei suoi occhi leggo un filo di nostalgia. Intanto continua: “Mio marito è morto pochi mesi fa, ma se fosse stato qui sicuramente sarebbe stato felicissimo di parlare con te. Lui era stato solo due volte a Materdomini, ma ogni tanto, soprattutto negli ultimi tempi, esprimeva il desiderio di volerci andare di nuovo. Non ci è mai riuscito purtroppo”. Quelle parole mi rendono triste perché si intravede tutta la fragilità e l’impotenza di una signora che avrebbe voluto vedere il proprio marito felice ma non ha potuto. Le chiedo di continuare. “C’eravamo conosciuti nel mio paese, un piccolo centro della provincia di Salerno. Lui abitava a qualche chilometro dal mio però veniva a vendere la frutta con suo padre al mercato, quindi lo vedevo ogni settimana. Io ero una ragazzina, avrò avuto quattordici o quindici anni. Lui ne aveva un paio più di me. Quando l’ho visto la prima volta mi sono innamorata perdutamente, lui invece faceva il cascamorto con tutte le ragazze del mio paese. All’inizio facevo finta di ignorarlo, ma poi se n’è accorto che mi piaceva e sai cos’ha fatto? Mi ha regalato di nascosto una vaschetta ‘e strawberry. Le più buone che abbia mai mangiato in vita mia, creriteme signurì.” Mi sono messa a ridere perchè parlando mescolava il dialetto, l’italiano e qualche parola d’inglese. Ero felice di ascoltarla, la storia era diventata intrigante e poi non vedevo l’ora di capire che cosa c’entrasse il mio paese in tutto ciò. “Non eravamo fidanzati, io avrei tanto voluto, ma i miei genitori non me lo avrebbero mai permesso perchè mio padre diceva sempre che il figlio del fruttivendolo non gli piaceva proprio. Antologia Caposelese

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Non sia mai gli avessi detto che ogni tanto mi regalava pure le ciliegie m’accireva ‘e mazzate.” E qui mi feci un’altra risata. “La cosa è andata avanti così per un po’, ci vedevamo ogni volta al mercato e ci scambiavamo timidi sguardi tipici dei ragazzini di quell’età. Poi un giorno, per fartela breve, i miei genitori mi hanno dato la brutta notizia: nel giro di un paio di mesi ci saremmo trasferiti in Inghilterra. Ero disperata, sapevo che non l’avrei più rivisto ogni settimana e che si sarebbe di sicuro fidanzato con un’altra ragazza. A quei tempi non era come adesso, una volta partiti non si sapeva mai quando si sarebbe ritornati.” “Un paio di settimane più tardi, pochi giorni prima di partire, era stato organizzato un viaggio con la parrocchia per andare a San Gerardo. Non ero molto entusiasta perché quel giorno c’era il mercato e sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei visto.” Mentre raccontava la storia, devo essere sincera, sentivo lo stesso magone al cuore che aveva provato quella ragazzina una cinquantina d’anni fa. “Quella mattina partimmo presto. Avevo pianto a casa, ma mia madre non se ne era accorta, altrimenti si sarebbe di sicuro arrabbiata. Per fortuna sull’autobus c’erano anche due mie compagne di classe, infatti il viaggio fu meno duro del previsto. A dire la verità passammo una bella giornata, ma io pensavo a lui continuamente, infatti feci anche una preghiera a San Gerardo chiedendogli di farmi tornare presto per rivederlo ancora una volta. Intanto si erano fatte le quattro del pomeriggio e dovevamo ripartire. All’improvviso, mentre ci stavamo avviando al pullman, vedo lui da lontano. Non credevo ai miei occhi, era proprio lui. Aveva saputo che ero lí e con una scusa inventata a suo padre mi aveva raggiunta subito dopo aver finito il mercato. Avrei voluto tanto abbracciarlo, dargli un bacio, ma i miei genitori erano poco distanti e non potevo assolutamente permettermi di farlo. Lui si limitò a darmi una lettera e a dirmi timidamente che era innamorato di me, aggiungendo che mi avrebbe aspettata e che San Gerardo ci avrebbe dato la forza per sopportare la lontananza. Mentre lo raccontava, immaginavo loro, due timidi ragazzini, vicino ad uno degli alberi che costeggia il viale del Santuario scambiarsi promesse d’amore. Nella mia mente l’immagine che ne conseguiva era bellissima: percepivo l’emozione legata al sentimento che avevano in comune accompagnata dalla paura di essere scoperti. “Quell’istante sarà durato più o meno due minuti, ma è stato intensissimo. Sono partita per Londra pochi giorni più tardi. Ho riletto la sua lettera mille volte prima di partire, diceva che avrebbe fatto di tutto per tenermi lí con lui,

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ma non fu cosí. Gli scrissi anch’io una lettera poco dopo dall’Inghilterra, ma già avevo perso tutte le speranze. Non ricevetti nessuna risposta ed erano passati già tre mesi ormai.” Immaginavo quanto dura potesse essere: innamorarsi di qualcuno, sapere che anche lui lo fosse di te e poi perdersi. “Passarono più di sei mesi dal mio arrivo in questa terra e di lui nessuna traccia. Poi, un bel giorno, me lo ritrovai qui a Londra, davanti casa. Fu una sorpresa bellissima, non ci potevo credere. Era arrivato fin qui da solo.” Cercavo di immaginare e capire come quel ragazzino avesse fatto a trovarla. “Le sue prime parole furono: San Gerardo mi ha fatto la grazia, ho pregato giorno e notte di poterti rivedere e lui alla fine mi ha accontentato.” “Poi lui é rimasto qui ed il resto è inutile raccontarlo. Però la cosa bella è che la sua fede è stata talmente grande che questo sentimento ci ha accompagnato per tutta la vita. Questo solo grazie a San Gerardo. Ecco perché quando ho sentito nominare il paese mi è saltato il cuore in gola.” Che storia speciale pensai, che cosa bella aver incontrato quella signora quella mattina ed aver ascoltato il suo racconto. Si erano fatte le dieci intanto ed io dovevo riprendere la mia corsa. La salutai gentilmente, ringraziandola per il tempo trascorso insieme, e mi allontanai. Intanto, mentre correvo, pensavo: “Certe volte è strana la vita: ti trovi a centinaia di chilometri di distanza da casa tua e per caso incontri qualcuno che ti racconta una storia bella ed emozionante che ha come sfondo e cornice il tuo paese. Incredibile, soprattutto scoprire che lí è nato qualcosa di speciale e qualcuno porta nel cuore ancora vivo il ricordo di quel posto”.

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CAMBIARE TUTTO PER NON CAMBIARE NIENTE”. di Gabriella Testa Sorg. n 96 Agosto 2018 I giovani devono avere il coraggio di esprimere il proprio pensiero e non seguire modelli altrui solo per moda, perché gli altri la pensano così, allora faccio lo stesso anch’io. NO! Cosi cadiamo nel qualunquismo, ed è proprio da questo che bisogna salvarsi.

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er non dover cambiare nulla, in genere si fa finta di cambiare tutto. In una Italia che rivendica venti di cambiamento, assistiamo ad un ritorno al passato. Con il voto del 4 marzo il popolo italiano ha gridato a voce alta di volere un cambiamento. Troppa corruzione, troppi inciuci, troppe inadempienze ed ingiustizie nei confronti degli Italiani. Ma io mi faccio una domanda, ma questo sistema politico che da anni persiste nel nostro paese, e che i giovani politici hanno ereditato ed a loro volta con il passare del tempo hanno tramandato, da chi è stato creato? Non siamo per caso complici di questo sistema? Noi lo abbiamo avallato tutte le volte che siamo scesi a compromessi, per ottenere un risultato, un posto di lavoro o altro. Penso che il voto del 4 marzo sia stato un voto di autodenuncia, siamo tutti colpevoli per essere arrivati fino a questo punto. Per cui inutile gridare all’onestà! Oggi viviamo in una Italia razzista-cristiana. Si Perché non vogliamo gli immigrati, ma ci definiamo cristiani, d’altronde andiamo tutte le domeniche in chiesa, non è buona cosa? Però gli immigrati devono trovare altri posti dove approdare, non in Italia. Viviamo in una Italia dove un Roberto Saviano, viene accusato di essere uno sfruttatore dello Stato, perché gli viene pagata una scorta, per il “SOLO MOTIVO” di denunciare nomi e fatti della camorra, mentre un Salvini di turno diventa il Salvatore della Patria. Oggi dire ciò che si pensa diventa più una condanna, che un merito. Si rischia di essere messi all’angolo, perché sei colui che non la pensa come gli altri e che evidenzi verità scomode. Gli immigrati poi, diventano coloro che in Libia starebbero bene e verrebbero in Italia, via mare, non per disperazione ma per spirito di avventura. Una volta in Italia c’era la differenza tra il meridionale ed il settentrionale, oggi, invece, parliamo di Italiani ed immigrati. L’Italia vuole il cambiamento, ma di quale cambiamento parliamo? Stiamo ritornando indietro nel tempo. Corriamo il rischio di ripercorrere percorsi fatti dai nostri nonni. Se vogliamo iniziare a cambiare le cose dobbiamo iniziare nel nostro piccolo, nelle amministrazioni locali. Riflettendoci su, ho potuto desumere che un vero cambiamento può avvenire solo se prima lo facciamo nella nostra testa. Il nostro modo di pensare poi si rifletterà sul nostro modo di agire. Il cambiamento socio-politico, secondo me lo si può ottenere non dall’età

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GABRIELLA TESTA

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anagrafica di chi governa, ma dai principi di chi governa. Dire che i giovani sono una forza è giusto, ma devono avere anche dei principi saldi per poter fare una buona politica, per poter portare avanti idee proprie . I giovani devono avere il coraggio di esprimere il proprio pensiero e non seguire modelli altrui solo per moda, perché gli altri la pensano così, allora faccio lo stesso anch’io. NO! Cosi cadiamo nel qualunquismo, ed è proprio da questo che bisogna salvarsi. Leggendo, alcune pagine del filosofo Platone ho analizzato alcuni dei principi che costituiscono l’arte di fare politica. Ne ho estrapolati alcuni che ritengo essere fondamentali, secondo il mio punto di vista: 1)LA PRIORITA’ DELLE LEGGI 2)LA PRIORITA’ DELLA VITA COMUNITARIA SU QUELLA INDIVIDUALE 3)LA RICERCA DEL GIUSTO MEZZO 1)Se in una comunità, non si fanno rispettare le leggi, si crea ingiustizia sociale, disordine, malumore, e la vita di ogni cittadino viene minata dal caos, e dal “io faccio quello che voglio, tanto nessuno mi dirà nulla”. Per cui far rispettare le leggi, e non assecondare con dell’inutile buonismo i cittadini, per il solo timore di perdere consenso elettorale, sarebbe un toccasana per una buona convivenza civile. 2)Farsi carico dei problemi della collettività e non solo di quelli individuali, sarebbe a dire che un bravo politico deve saper dare delle risposte alla comunità e non fare clientelismo. Andare tra la gente ascoltare i loro problemi, farsene carico per dare soluzioni che non devono ledere nessuno, ma devono giovare ad un vasto numero di cittadini. 3)La ricerca del giusto mezzo. Questo principio ci dice che per poter ottenere un risultato, occorre intraprendere la giusta strada, non utilizzando mezzi illeciti. Ecco se un politico non scende a compromessi per ottenere dei risultati allora, può ritenersi un bravo politico. Ma secondo voi applicare i principi sopraelencati è cosa difficile? Utopistico? Non penso, il nuovo che ci rappresenta deve essere promotore di un modo di agire diverso da quello passato, allora si che potremo parlare di cambiamento!

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2018 LA MEMORIA – La Sorgente n. 96 - Ag. 2018 di Salvatore Russomanno

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a memoria e’ la capacita di conservare traccia più’ o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte. Dal punto di vista psicologico sono state individuate tre modalità mnesiche principali, distinte ma non separate, delle percezioni o esperienze avute: memoria sensoriale; memoria a breve termine (o primaria); memoria a lungo termine (o secondaria). La formazione della traccia mnesica avviene nel corso dello sviluppo con modificazioni biochimiche delle cellule stesse. Dal punto di vista filosofico la memoria viene definita, nel medioevo un bene prezioso e, più’ recentemente, viene descritta come conservazione dello spirito e perpetuazione del sapere universale. Questo cappello e’ stato necessario al fine di definire con esattezza il mio ragionamento: nessun popolo può aspirare al futuro senza memoriadel passato; le azioni che noi compiamo quotidianamente sono supportate e corroborate da azioni precedenti che, alla luce dell’esperienza, rendono più’ agevole e spedito il nostro cammino. Ciò’ vale per tutti gli avvenimenti della vita ed anche e soprattutto per la politica. Leon Battista Alberti sosteneva che noi siamo dei nani sulle spalle dei giganti. Questo ragionamento ci costringe a fare nostra la lezione di De Gasperi o di Moro o di Berlinguer. Della memoria recente e’ meglio sottacere. In definitiva memoria come luogo dello spirito e delle grandi idee.

IL RISCALDAMENTO GLOBALE di Angelo Ceres – La Sorgente n. 97 Dic. 2018 Caposele ha un ruolo privilegiato ed importante non solo per la sua risor­ sa principale, mai scontata, ma anche per la prossima produzione di energia elettrica pulita. Pragmatismo, conoscenza e vocazione del territorio sono i punti cardini su cui i governanti dovrebbero soffermarsi, ma non lo fanno.

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uali obiettivi devono raggiungere l’economia, la politica e la società per la sopravvivenza del Pianeta? Secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel in Climate Change) dell’ONU, per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C le emissioni di carbonio dovranno diminuire del 285 Antologia Caposelese


ANGELO CERES

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45% entro il 2030, fino ad azzerarle entro il 2050. Il Rapporto GreenItaly 2018, di Fondazione Symbola e Unioncamere, patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e promosso in collaborazione con il Co-nai e Novamont , invita a valutare questi dati a livello mondiale e ricorda che i mutamenti climatici hanno effetti sul futuro. La consapevolezza cresce nelle imprese e la politica dovrebbe essere più accorta. L’esempio che ci viene dagli Stati Uniti d’America non è certo incoraggiante. Ma guardando alle altre nazioni: in Germania i Verdi sono in ascesa, la Cina invia segnali di consapevolezza ambientale. La prestigiosa rivista Nature ha selezionato gli 11 ricercatori emergenti più influenti nel mondo della scienza (tra cui due italiani), e alcuni di loro svolgono ricerche in campo ambientale. I Premi Nobel per la Chimica e per l’Economia assegnati nel 2018 sono colorati di verde. L’Italia fa la sua parte. Le nostre aziende hanno la capacità di cogliere il cambiamento prima degli altri e capire che il green conviene. L’Italia è molto migliorata come input energetico, utilizzo di materie prime ed emissioni atmosferiche, un po’ meno per la riduzione dei rifiuti semplicemente perché andava già molto bene. Sul fronte strettamente economico, il green paga in termini di maggiore export, occupazione e innovazione per le imprese, ovvero in crescita del fatturato. Senza dimenticare che green economy significa rispetto per l’ambiente, tutela del territorio e delle sue risorse. Il valore dell’economia verde è cresciuto negli ultimi anni, e continua a crescere, anche se fino ad un certo punto era visto con una certa ostilità. L’Enel sta facendo un graduale e impegnativo passaggio dalle fonti fossili – che avrà eliminato nel 2050 – alle energie rinnovabili, che si stanno rivelando più competitive. Purtroppo c’è ancora una “economia deviata” che vuole impedire il decollo di quella circolare. Servono quindi regole e vincoli precisi per tutelare le aziende virtuose che esistono, anche al Sud. In Irpinia in termini di rinnovabili diamo molto. Basti pensare all’eolico. Ma, oltre ai generatori presenti, è impensabile immaginarne altri. Oltretutto è un settore che è sotto gli occhi della criminalità. L’altra fonte rinnovabile è l’energia idroelettrica con impianti a bassissimo impatto, a patto e condizione che ci sia un’accurata visione strategica con investimenti che mirino alla tutela dell’ecosistema. Abbiamo la fortuna di trovarci in un territorio dove la natura è molto generosa ma molto spesso viene depredata. Foreste: legna, ossigeno, contenimento del rischio idrogeologico, abbattimento, con quote significative, di anidride carbonica. Acqua pura ed incontaminata, pronta per l’utilizzo umano, senza bisogno di ulteriori tecnologie (e quindi di Antologia Caposelese

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aggiuntivi consumi energetici) per depurarla. Che valore economico vogliamo attribuire alla produzione di queste risorse? Infinite! Caposele ha un ruolo privilegiato ed importante non solo per la sua risorsa principale, mai scontata, ma anche per la prossima produzione di energia elettrica pulita. Pragmatismo, conoscenza e vocazione del territorio sono i punti cardini su cui i governanti dovrebbero soffermarsi, ma non lo fanno. La soppressione del Tribunale forse è l’esempio lampante della visione miope della politica. Ed il progetto pilota sarebbe stato un ottimo strumento di gestione lungimirante. Sarebbe stato! A questo se si aggiungesse, come ho più volte ripetuto, una fiscalità di vantaggio per le aree interne accompagnata da una regolamentazione più attenta verso le risorse naturali che tenda, oltre ad una maggiore tutela, ad una loro implementazione, si avrebbero delle ricadute positive. L’Irpinia ha ancora molto da dire.

PIÙ CHE UN ARTICOLO… di Roberto Notaro – La sorgente n. 97- Dic. 2018

Sarebbe bello, e lancio l’invito alla redazione, che si potesse creare una pagina multimediale nella quale vengano fuori tutti gli articoli fatti da ciascuna delle centinaia di persone che hanno scritto su questo giornale.

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ancano ancora alcuni numeri a “La Sorgente 100” ed in questo momento, anche se in anticipo, io mi sento di fare dei ringraziamenti personali. Al Direttore innanzitutto: che oramai da anni mi invita ad esprimere il mio pensiero sul giornale, avendo sempre anche la premura e l’attenzione di contattarmi personalmente. Nella vita, quello del rispetto ritengo sia il valore principale e credo di averlo sempre praticato: rispettare e (perché no) aspettarsi rispetto per me è basilare. La mia famiglia me lo ha inculcato sin da piccolo questo valore ed io ho fatto miei i loro insegnamenti partendo innanzitutto dal rispettare le persone che hanno più anni di me. Proprio per questo rimango piacevolmente colpito quando chi è più grande e più esperto di vita, si rivolge a me con educazione. Credo di aver scritto su “La Sorgente” per più di vent’anni: il mio primo articolo lo ricordo ancora. Lo feci da neanche diciottenne in un intervento nel quale parlavo di calcio locale, tanto per cambiare.

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ROBERTO NOTARO

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Rimarcavo il lavoro e l’impegno gratuito di papà per Caposele e per i giovani del nostro paese negli anni in cui il panorama sportivo locale era coperto da noi della GS a fare tutto il Settore Giovanile e la Seconda Categoria, e dalla US che militava in Prima. Ma non ho parlato solo di calcio, ma di tante altre cose: di amicizia, del mio maestro, di inclusione, di idee, buone o sbagliate, di progetti: di quello che pensavo. Sempre. Sarebbe bello, e lancio l’invito alla redazione, che si potesse creare una pagina multimediale nella quale vengano fuori tutti gli articoli fatti da ciascuna delle centinaia di persone che hanno scritto su questo giornale. Quindi, chiudo, ringraziando per lo spazio che io e la mia Olimpia abbiamo avuto in tutti questi anni sul giornale. I tanti successi, il Partenio che diventa casa nostra, le nostre battaglie ed i nostri progetti per il sociale hanno avuto sempre spazio sul giornale. Per cui, Ingegnere Vi ringrazio: è stato e sarà un piacere, condividere il mio pensiero.

LA FORZA DI CAPOSELE La Sorgente n. 97 dic.2018 Maria Caprio

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Il fiume Sele con i suoi incontaminati e bellissimi anfratti e angoli na­ scosti, le sue sorgenti fragorose, fresche, limpide, spumeggianti, l’acqua e le tante fontane, le montagne, il verde, i fitti boschi apprezzati particolarmente d’Agosto e … l’aria di Caposele nutrivano, senza parlare, il sentimento di appartenenza che intanto cresceva.

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aro Nicola, accolgo con piacere il tuo invito a mettere per iscritto le considerazioni che ti esponevo in un nostro incontro, anche con azzardato paragone storico, sul mio rapporto con Caposele, sulla tipologia del legame, sulla sua genesi, crescita e piena affermazione. Ci provo, partendo proprio dal riferimento storico proposto che spero possa agevolare e rendere piacevole la lettura. Qualche anno fa, un amico di famiglia appassionato di storia, in un lungo viaggio, tenne viva la conversazione raccontando di una sua recente visita a Nizza per approfondire uno studio, a cui si stava dedicando con particolare interesse, sulla intensa e minuziosa opera di francesizzazione della città ceduta alla Francia da Cavour e sulla lenta e graduale scomparsa della sua italianità. Aveva personalmente verificato la sostituzione dei toponimi ufficiali italiani con nomi francesizzati, conducendo attente ricerche sul cambio dei cognomi sulle targhe di intitolazione di vie, piazze, monumenti e perfino su epigrafe Antologia Caposelese

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cimiteriali. Tutte operazioni, precisava l’amico, di diffusione della lingua francese, orientate all’acquisizione di cultura e identità proprie della Francia. Questo episodio mi è tornato più volte in mente negli ultimi tempi e mi ha portato a intravedere una possibile analogia con la mia esperienza. Forse una storia simile, naturalmente in piccolo, in dimensione minima e con la dovuta distanza, è capitata anche a me. Un’operazione silenziosa, non sempre manifesta, a volte da me contrastata, ma continua, attiva, ferma nel suo intento e diretta alla meta che, parafrasando nei termini quella francese, può essere definita, nel mio caso, un’intensa opera di caposelizzazione. Iniziata nel 1973, anno del mio primo incontro con Caposele e anche anno di nascita del periodico “La Sorgente”, una coincidenza che mi piace citare, si è avvalsa nel suo svolgimento di tanti operatori spesso inconsapevoli, di numerosi elementi fisici e culturali, di vari e diversi eventi e momenti di vita del paese, di figure particolarmente importanti, penso a zio Franco, allora Sindaco. Pieni di entusiasmo e curiosità giovanili i miei primi approcci al paese, poi la piacevole scoperta di una comunità viva, operosa, calda, accogliente e … la scelta importante di farne parte! Le amicizie, le relazioni, le tradizioni e le ricorrenze, gli incontri in particolari occasioni e manifestazioni offrivano, nel tempo, tanta linfa per lo sviluppo e la crescita di un legame che piano piano incominciava a mettere radici. E non erano solo i rapporti umani ad alimentarne lo sviluppo. Anche la natura del luogo svolgeva la sua parte. Il fiume Sele con i suoi incontaminati e bellissimi anfratti e angoli nascosti, le sue sorgenti fragorose, fresche, limpide, spumeggianti, l’acqua e le tante fontane, le montagne, il verde, i fitti boschi apprezzati particolarmente d’Agosto e … l’aria di Caposele nutrivano, senza parlare, il sentimento di appartenenza che intanto cresceva. A ciascuno degli elementi appena citati sono legati tanti momenti ed episodi per me significativi ed indicativi. Uno in particolare. Tutte le volte che giungiamo a Caposele, all’uscita della fondovalle, sulla rampa che porta a Materdomini, si ripete, in qualsiasi condizione atmosferica, la stessa scena (un gesto sempre uguale): Giuseppe abbassa il finestrino e, respirando, a pieni polmoni, esclama: che bell’aria! Con il passare del tempo questo gesto, insieme a tanti altri segni, quali il frequente desiderio di una passeggiata a Caposele per via Roma fino al cantiere, di un incontro con gli amici al bar, di una bevuta alla fontana di Tredogge, di mangiare matasse e ceci, mi faceva capire che non si trattava solo di bontà dell’aria, ma di qualcosa di più profondo, di amore per il proprio paese, di un forte sentimento di attaccamento e di appartenenza alla propria terra, offrendomi, di fatto,

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il modello di legame verso il quale mi stavo incamminando. E questo sentimento di appartenenza che si pensa possa essere provato solo “da chi è cresciuto tra voi”, di manzoniana memoria, piano piano si faceva strada anche in me e si univa a quello per il paese di origine, dando vita ad una identità più ricca ed inclusiva. Me ne accorgevo quando parlavo di Caposele agli amici, quando ne descrivevo in dettaglio usi, costumi, feste, piatti tipici e caratteristiche, quando sollecitavo visite e gite, quando allungavo con piacere i giorni di permanenza nel periodo estivo, quando per le strade del paese mi salutavo calorosamente con tante persone, quando riconoscevo e ripetevo espressioni e termini dialettali propri del posto. Me ne sono resa conto ancora di più quando, giungendo a Caposele, qualche tempo fa, con la famiglia, sulla rampa che porta a Materdomini, ho pensato “siamo arrivati a casa”. Ora il mio legame con il paese è diventato adulto, forte, profondo e consapevole, lo sento presente nelle mie figlie e nei miei generi e lo vedo germogliare nei nipoti che spesso chiedono a me e al nonno “quando andiamo a Caposele?” L’intensa opera di caposelizzazione è compiuta, mi sento anche convinta caposelese. Molti gli operatori in questo lungo processo, persone, luoghi, esperienze, “La Sorgente” stessa, e tra essi, forse, ce ne era uno anche in me e non me ne ero accorta.

LA CASCATA… CHE NON C’È –Editoriale Nicola Conforti- La Sorgente n.98 – Ag. 2019

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Era il 18 Agosto del 2011 quando fu inaugurato l’ultimo tratto del Parco fluviale della Madonnina con la sua meravigliosa cascata a monte: un momento magico che sanciva la legittimazione di una bellezza unica di un paesaggio naturale straordinario. Da qualche anno, quella cascata che aveva affascinato i tantissimi turisti che erano accorsi a visitarla, ha cessato inspiegabilmente di sgorgare. Essa costituiva il punto di partenza per una visita alle Sorgenti e all’intero parco fluviale. Un territorio che, con le sue ricchezze naturali, storiche, artistiche ed ambientali aveva reso la visita turistica un fenomeno ricorrente, quasi naturale che si rinnovava giorno dopo giorno con sempre maggiore partecipazione. Antologia Caposelese

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In altra parte del giornale, quelle dedicate all’ AMARCORD, riportiamo testimonianze importanti sulla bellezza di quei luoghi, una specie di “paradiso naturale” purtroppo abbandonato. E lo facciamo per dare un segnale che serva a risvegliare la coscienza collettiva dei Caposelesi sui temi del turismo e dell’ambiente. Serva inoltre a vigilare sulla conservazione e salvaguardia di un paesaggio bello, vasto, naturale, di grande attrazione. Non ci stancheremo di riportare questo argomento all’ordine del giorno ogni qualvolta se ne presenterà l’occasione. Ci attendiamo assicurazioni in merito da parte degli addetti ai lavori, con la speranza di poter finalmente rivedere, al più presto, uno spettacolo bello, speciale, unico nel suo genere. Ma c’è davvero tanto altro da portare a compimento: a cominciare dal campetto Play-Ground abbandonato da un po’ di tempo a se stesso, dal parco Tredogge il cui progetto di ampliamento e sistemazione giace “inascoltato” nei cassetti del Comune. Questo numero de La Sorgente vuole essere un’esortazione oltre che uno stimolo alla realizzazione di opere semplici ma utili ed essenziali per un turismo di primo impatto, senza perdere di vista quello che è sempre stato un suo specifico interesse per la cultura, per la scienza, per la scuola, per la ricerca e per la storia locale.

LA RUOTA … UN’INVENZIONE SEMPRE STRAORDINARIA di Maria Caprio – La Sorgente n. 98 - Ag. 2018

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E la ruota diveniva luogo di dialogo e di condivisione: i suoi componenti seduti in circolo, in un clima di grande serenità e coinvolgimento, davano vita a lunghe conversazioni e a interessanti racconti che mettevano in comune esperienze, fatti, vicende, viaggi e storie. Era uno scambio di conoscenze che non solo dava continuità alla vita del gruppo, ma, allo stesso tempo, ne rinsaldava anche vincoli e rapporti.

I momenti piacevoli vissuti in gruppo, in un tempo senza fretta e in un luogo familiare, ritornano in mente più di altri e la loro memoria, in modo inconsapevole, continua a rafforzare legami e sentimento di appartenenza. Provo a raccontarne uno in particolare, per la sua piena sintonia con il periodo estivo e perché può diventare opportunità per sollecitare riflessioni e considerazioni, insieme ad una più attenta analisi, a distanza, delle sue finalità possibili. Si tratta di una sosta davanti al bar, ma non di una comune sosta, a conclusione di serata, che, per la forma che assumeva, veniva da tutti detta, con un termine condiviso ed evocativo, “la ruota”.

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Nata, qualche decennio fa, all’inizio come insolito momento di incontro, ben presto si trasformava in piacevole e attesa consuetudine che si ripeteva, con cadenza annuale, nelle calde serate di agosto al termine dell’evento del giorno e di lunghe passeggiate per le affollate strade estive del paese in aria di festa. Era una comune e tacita intesa, in un gruppo legato da solidi vincoli d’affetto e di amicizia che ogni anno si ritrovava a Caposele, quel disporsi in cerchio intorno ad un tavolino prima del rientro a casa. E la ruota diveniva luogo di dialogo e di condivisione: i suoi componenti seduti in circolo, in un clima di grande serenità e coinvolgimento, davano vita a lunghe conversazioni e a interessanti racconti che mettevano in comune esperienze, fatti, vicende, viaggi e storie. Era uno scambio di conoscenze che non solo dava continuità alla vita del gruppo, ma, allo stesso tempo, ne rinsaldava anche vincoli e rapporti. Si parlava di lontani e bellissimi luoghi visitati, di eventi particolari, di argomenti di varia natura, a seconda delle specifiche competenze di chi raccontava, di esperienze personali, di personaggi della storia, di episodi legati alla vita, alle persone e ai luoghi di Caposele. E non era solo il contenuto del racconto a tenere viva l’attenzione di tutti, era l’atmosfera che nel gruppo si instaurava, una sorta di partecipazione empatica, di coinvolgimento emotivo che faceva bene a chi parlava e a chi ascoltava. E la ruota così facilitava la comunicazione, arricchiva la conoscenza reciproca, favoriva la circolazione di idee, rafforzava il gruppo. Tutti potevano raccontare, nessuno “metteva i bastoni tra le ruote”, non c’era “un’ultima ruota del carro”, si poteva anche “andare a ruota libera”. Nel corso degli anni e delle singole serate, la ruota variava nel numero dei componenti; a volte si allargava così tanto da invadere la sede stradale e un solo tavolino non bastava più come centro; a volte era di dimensione più contenuta e tale condizione offriva pretesti per allegre discussioni sulle probabili e improbabili ragioni di ritardi o assenze, con relative ipotesi di possibili giustificazioni. Ai ritardatari veniva sempre riservata una festosa accoglienza. Anche la scelta delle consumazioni dava luogo a vivaci dispute che si placavano subito all’arrivo di tintinnanti bicchieri con fresche bibite e di grandi coppe ricolme di gelato, finemente e sapientemente preparate in versione estiva, belle alla vista e molto buone al gusto. E la ruota diveniva spazio aperto. Accoglieva e sollecitava scambi con chi nella notte avanzata continuava in passeggiate più silenziose e solitarie; si spezzava, apriva varchi, aggiungeva sedie, si arricchiva di nuovi punti di vista. Tutti gli eventi del Ferragosto Caposelese richiamavano, e richiamano tuttora, sempre tanta gente, ma quelli di punta, di lunga tradizione, consolidati e perAntologia Caposelese

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fezionati nel tempo e divenuti elementi imprescindibili, molto più degli altri. Alla gente di Caposele, già notevolmente aumentata nel numero per il rientro estivo di molti, si univano, in queste serate speciali, tante persone provenienti da luoghi più e meno vicini. Poteva così capitare, per tale motivo, di non trovare spazio davanti al bar e allora, nell’attesa, si risaliva di nuovo fino alla Sanità, si percorreva in tutta la sua lunghezza il cantiere, si visitavano angoli del paese più nascosti. A volte, però, stringendosi tutti, si riusciva a sedersi in cerchio accanto ad altri, in eguale modo seduti per la stessa piacevole sosta. E quelle ruote insieme, l’una accanto all’altra, divise nella forma, ma non nella sostanza, aggiungevano altro colore, altro calore, altre gioiose sonorità alle serate di agosto. Ad una sua osservazione a distanza, più distaccata e complessiva, che non può escludere una sua lettura anche in prospettiva pedagogica, l’esperienza della ruota presenta evidenti affinità con quella del “circle time” (tempo del cerchio), una metodologia didattica ed educativa con alte e importanti finalità. Si tratta di un metodo di lavoro introdotto nella scuola di recente, ma già ampiamente collaudato dalla psicologia umanistica negli anni ’70. Un metodo, utilizzato con successo in molte scuole e in altri ambiti, pensato per facilitare la comunicazione e la conoscenza reciproca, valorizzare le competenze dei singoli e del gruppo, favorire l’inclusione e la discussione, promuovere la libera e attiva espressione delle idee, delle opinioni, dei sentimenti e dei vissuti personali, in un clima sereno di confronto e scambio. È un momento di dialogo e condivisione, progettato con cura nei tempi, negli spazi, con una scaletta ben definita degli argomenti da discutere, durante il quale, nella scuola, gli alunni sono seduti in cerchio, in modo che ciascuno possa vedere ed essere visto, insieme ad un insegnante coordinatore/conduttore che, con ruolo di mediatore/moderatore, sollecita e coordina il dibattito. Alunni e insegnanti, in un confronto alla pari e in un ascolto attivo, a turno, potranno dire la loro, aggiungere considerazioni e proporre nuovi spunti, dando vita ad una comunicazione aperta, condivisa e rispettosa delle regole. Il “circle time” può essere, quindi, strumento utile per migliorare l’ascolto della classe, promuovere la partecipazione di tutti al dibattito, anche degli alunni più timidi, aiutare a gestire i più esuberanti, stimolare pensiero e spirito critico, facilitare la costituzione di un qualsiasi nuovo gruppo di lavoro. Ho cercato di raccontare una piacevole esperienza di vita a Caposele, per me molto significativa, nei suoi molteplici effetti benefici, espliciti ed impliciti. Il suo racconto mi ha spinto, forse perché le associazioni aiutano e sollecitano la memoria, ad esporne un’altra, che pure appartiene al mio vissuto, legata ad un luogo nel quale ho trascorso molti anni, che ha lasciato in me tanta traccia di sé.

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Tra le due vi sono affinità, più e meno evidenti, nella forma, nelle modalità di svolgimento, nelle finalità comunque conseguite, di certo già colte da chi legge. Si tratta, però, di due esperienze con differenze sostanziali, strettamente connesse al luogo, al tempo, al contesto, agli attori, alla natura stessa di ciascuna; la seconda è attività didattica, con precise e definite finalità, intenzionalmente perseguita e programmata in un processo educativo. Ma non saranno le osservazioni appena accennate, né sarà il confronto con attività di tipo educativo o la ricerca di significati nascosti ad aggiungere valore all’esperienza della ruota o a modificarne il senso. Essa sarà principalmente l’immagine viva di un felice momento di incontro e di scambio, vissuto in un gruppo, seduto in cerchio, a volte davvero numeroso, coeso e aperto allo stesso tempo, accogliente e coinvolgente, che si racconta, in un clima di grande empatia e in luogo caro a ciascuno, che si sente parte attiva della comunità, che sollecita interventi interni ed esterni e che soprattutto condivide sentimenti di attaccamento e di appartenenza al proprio paese. E come tale il suo ricordo rimarrà nella memoria mia e di tanti; e come tale spero possa occupare un piccolo spazio, tra le buone consuetudini, nella recente storia sociale della nostra comunità

E’ INUTILE PER L’UOMO CONQUISTARE LA LUNA, SE POI FINISCE PER PERDERE LA TERRA

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Ebbene si discute da decenni di cambiamento climatico, con un allarme che più ostinatamen­ te ha iniziato a prendere quota solo dagli ’80. Ma quello che soprattutto la comunità scientifica ha ottenuto è essere etichettata di catastrofismo, denigrata e si è andati avanti con un negazio­ nismo ad oltranza. Negare il cambiamento climatico con tutte le conseguenze che ne derivano significa rifiutare le conclusioni del 97% degli scienziati che si occupano di questi temi. Nella realtà queste etichette hanno solo autorizzato noi a fregarcene senza mai approfondire i temi.

Capisco che parlare e scrivere di emergenza ambientale non è come si dice una storia “buona”, almeno all’apparenza. Ma in realtà è una storia che sa di buoni propositi di ecosostenibilità, il migliore regalo che possiamo farci e fare agli altri per il futuro. Per noi starà per iniziare un nuovo anno, quando vi accingerete a leggere queste righe, ma vi assicuro che per la Terra non ha molta importanza…ne ha visti di anni, parliamo infatti di circa quattro miliardi e mezzo della sua storia naturale. Eppure le attività di questi sette miliardi e mezzo di umani che la popolano, stanno cambiando la storia geologica di questo pianeta, tanto che gli scienziati hanno dato il nome di Antropocene a questa era, vale a dire un’epoca in cui Antologia Caposelese

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l’attività umana ha avuto un influsso dominante sulla Terra. Se la Terra potesse parlare, cosa pensate che ci direbbe? Qualcuno ha provato a mettere giù una lettera ipotetica della Terra all’uomo e dalle parole che ho potuto leggere come darle torto? Ve ne cito solo alcune frasi: “…siete diventati tantissimi, formicolate sette miliardi e mezzo sulla mia pelle, mi pungete con trivelle per succhiarmi olio che io avevo sigillato…sterminate le creature della mia biosfera, che ci ha messo tre miliardi di anni per evolversi…” E ancora direbbe: “…e da un secolo a questa parte sembra che non abbiate più rispetto di me, mi succhiate ogni forza e mi intossicate con i vostri gas, cambiate il clima, mi fate venire la febbre che fonde i ghiacci, mentre aumenta il livello dei mari, mi riempite di plastica, senza curarvi di riciclarla come ogni cosa che faccio io…” ma una cosa che dovrebbe allarmarci sarebbe questa frase che la Terra avrebbe tutto il diritto di poter dire “…attenti che un mio scrollone vi spazza via come fuscelli! Ricordatevi che io non ho bisogno di voi, ma voi avete bisogno di me…” Tutti noi con diverso grado di responsabilità, consapevolmente o per distrazione siamo complici di questa distruzione ambientale perché tutti basiamo il nostro stile di vita sull’uso di combustibili, sull’allevamento intensivo e sulla produzione di rifiuti. Ebbene si discute da decenni di cambiamento climatico, con un allarme che più ostinatamente ha iniziato a prendere quota solo dagli ’80. Ma quello che soprattutto la comunità scientifica ha ottenuto è essere etichettata di catastrofismo, denigrata e si è andati avanti con un negazionismo ad oltranza. Negare il cambiamento climatico con tutte le conseguenze che ne derivano significa rifiutare le conclusioni del 97% degli scienziati che si occupano di questi temi. Nella realtà queste etichette hanno solo autorizzato noi a fregarcene senza mai approfondire i temi. C’è chi definisce quella climatica una crisi della capacità di credere. Il nostro conto corrente con l’ambiente è andato in rosso quindi sarebbe il caso di inserire nelle Costituzioni di tutti i paesi del mondo il pareggio di bilancio, naturalmente per la Terra non certo riferito al denaro; il concetto di “spending review” che sentiamo citare spesso da Cottarelli nei dibattiti politici, dovrebbe includere acqua, energia, biomassa ecc. e non solo il denaro. La quantità di anidride carbonica nell’atmosfera supera di gran lunga 400 parti per milione, che per molti di noi non ha un grande significato. In realtà questo numero è di cruciale importanza perché da questo dipende il riscaldamento globale, che affronteranno i nostri figli e le generazioni future. L’anidride carbonica è un gas a effetto serra, questo vuol dire che più ce n’è nell’aria e

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più fa caldo. Il suo valore normale, vale a dire quello prima dell’avvento della rivoluzione industriale, dovrebbe essere 280 parti per milione. Immaginate di farvi un esame del sangue dove il colesterolo superi di gran lunga il valore di 200mg/dl, il vostro medico sarebbe allarmato e vi rimprovererebbe, avvertendovi che se non cambiate stile di vita l’infarto è dietro l’angolo e noi che facciamo…dieta! O per dirla meglio cambiamo il nostro stile di vita. Per la Terra, la Biosfera, l’Atmosfera funziona allo stesso modo: per correggere il cambiamento climatico in atto dobbiamo sprecare meno energia e passare ad un altro stile di vita. Ecco quali sono le ultime statistiche in merito a chi o cosa incolpare per le emissioni annue di gas serra che provocano lo stravolgimento climatico che si sta consumando già sotto i nostri occhi: consumo di energia elettrica per il 25%; agricoltura in gran parte riconducibile all’allevamento per il 25%; industria per il 24%; trasporti 15%; costruzioni 6% con quel che rimane ripartito su diverse fonti. Quindi questo vale a dire che seppure in questi anni abbiamo concentrato la nostra attenzione sui combustibili fossili (sacrosanto!) in realtà avevamo un quadro incompleto della crisi climatica del pianeta. Infatti il nostro pianeta fondamentalmente è diventato una grande fattoria: 59% di tutta la terra coltivabile è sfruttata per crescere foraggio; 1/3 di tutta l’acqua potabile è destinata al bestiame, pensate che tutta l’umanità ne consuma “solo” un trentesimo; il 70% degli antibiotici prodotti nel mondo sono utilizzati per il bestiame, con tutte le conseguenze che ne derivano per lo sviluppo di resistenze, che li rendono poi inefficaci nelle malattie umane; il 60% di tutti i mammiferi presenti sulla terra sono allevati a scopi alimentari. Il pianeta terra riuscirà a gestire tutti gli effetti dei cambiamenti climatici fino ad un certo punto poi gli affetti si autoalimenteranno esponenzialmente attraverso un circuito molto semplice da capire: i ghiacci sono bianchi riflettono la luce solare, gli oceani invece sono scuri e la assorbono. Con l’effetto del riscaldamento le coltri glaciali si sciolgono, quindi non riflettono la luce solare; nello stesso tempo aumentano gli oceani e le terre emerse che assorbono continuando così ad alimentare lo scioglimento dei ghiacciai: un circolo vizioso che diventa un gatto che si morde la coda. Noi come rispondiamo a tutto questo: la deforestazione. Immaginate che le piante sono come una banca di anidride carbonica. Se distruggiamo le foreste (vedi la foresta amazzonica) è come se una banda di ladri scassinasse la banca e si aprisse un rubinetto. Per non aggiungere che la deforestazione in molti casi serve ad ottenere terreno per la produzione di foraggio e per pascolare bestiame, quindi alimentare ancora di più la “fattoria terra”. Un terra che invece di nutrire popolazioni affamate alleva bestiame per fornire cibo a popolazioni Antologia Caposelese

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ipernutrite! Con questo ritmo, avverte il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), si potrebbe registrare una crescita di 1,5 gradi centigradi tra il 2030 e il 2052. Alcuni dati parlano di un incremento tra i 2,8 e i 5,6 gradi centigradi nell’arco di 85 anni. Che cosa vuol dire «riscaldamento globale»? E cosa rischiamo, ogni giorno, quando la temperatura sale più del dovuto? Cosa vuol dire in pratica? Un innalzamento della temperatura già oltre i 3-4 gradi centigradi signifcherebbe carenza di cibo e acqua potabile, inondazione delle zone costiere (Venezia andrebbe a fondo nell’Adriatico) e aumento esponenziale della frequenza di eventi climatici estremi rispetto ai valori di questi ultimi anni. Qualcosa sta già cambiando, a cominciare dalla sensibilità media dei cittadini. Anche io sensibile a questi temi nell’ultimo anno ho seguito con molto più impegno le problematiche e le possibili soluzioni che possono iniziare dall’azione dei singoli. Sono molto contenta di dire che l’esempio dei cosiddetti Climate Stri-ke, gli scioperi contro il cambiamento climatico lanciati dalla giovanissima attivista svedese Greta Thunberg hanno avuto anche su di me un forte impatto. Gli appostamenti di questa giovanissima ragazza di fronte al Parlamento di Stoccolma, con un cartello di protesta, sono lievitati fno alla dimensione di una mobilitazione globale. Grazie al movimento #Fridays for future oggi il tema ambientale è al centro di agende politiche, tensioni internazionali, strategie economiche e mobilitazioni di massa. Greta oggi è una star ascoltata dalle istituzioni, ammirata da milioni di follower sui social, lei che ha definito la situazione ambientale come un “casa in fiamme” per rendere meglio l’idea dell’emergenza. Ma non vi lasciate influenzare da chi la detestata e l’accusa di essere un prodotto di marketing orchestrato dai genitori. Greta o non Greta tutti gli analisti sono concordi nell’affermare che stiamo assistendo a «qualcosa di incredibile» nella storia politica. Il nostro intento non deve essere quello di mantenere un pianeta sotto una campana di vetro ma di mantenere più a lungo possibile una sana interazione uomo-natura. Molti sostengono, e anche io mi trovo concorde, che un modo per contribuire a salvare il mondo è quello di farlo “prima di cena” vuol dire cambiare le nostre abitudini alimentari: ridurre il consumo di carne, latticini, formaggio; evitare cibi di moda che hanno un costo altissimo per il pianeta; se proprio dovete comprare acqua (ma preferite sempre quella del rubinetto) controllate dove viene prodotta, il suo trasporto impatta sull’inquinamento, quindi scegliete quelle prodotte più vicino a dove abitate…e così via.aspettando Sappiamo cosa fare? SI Lo metteremo in pratica?

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NO o comunque lo stiamo facendo troppo lentamente La stabilità e la resilienza del nostro pianeta sono in grave pericolo. Noi siamo il diluvio e noi siamo l’arca quindi dobbiamo fare in fretta! Vi do un esercizio da fare a casa: da domani anzi da ora chiedetevi quale è e quale sarà la vostra abitudine eco-sostenibile e partecipate alla sfida che attende il mondo. Nota: Il titolo è una citazione di Francois Mauriac Premio Nobel per la letteratura 1952.

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MATERDOMINI: LA VALORIZZAZIONE DEL LUOGO PER AMBIRE AL TURISMO – Sorg. n.99 Dic. 2019 di Armando Sturchio

Il turismo religioso è un settore fondamentale dell’economia locale e deve essere incentivato e sostenuto attraverso la valorizzazione del luogo e la creazione di servizi. I nostri sforzi iniziali e la nostra attenzione sono stati e saranno rivolti in tale direzione per rendere quanto più ospitale e confortevole la località e predisporre e migliorare i servizi idonei all’accoglienza.

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a stagione di escursionismo religioso appena conclusasi, sicuramente anche grazie alle straordinarie condizioni meteo che si sono avute nei mesi di settembre ed ottobre di quest’anno, è stata caratterizzata da un sensibile aumento delle presenze di pellegrini in visita a San Gerardo. E’ un dato, questo, inconfutabile poiché frutto di un lavoro meticoloso di monitoraggio del flusso, attraverso la registrazione settimanale delle prenotazioni fornitoci dagli albergatori e dai ristoratori sia di Caposele che delle strutture ricettive circostanti che ne traggono anch’esse beneficio dalla visita domenicale al Santo della collina. Questo tipo di informazione è per noi indispensabile per poter predisporre strategicamente ed in maniera efficace un piano traffico adeguato e per poter stabilire preventivamente le effettive unità di operatori, nelle molteplici e diversificate mansioni (a partire dal rafforzamento della vigilanza e del servizio di viabilità), necessarie per offrire un servizio minimamente efficiente nella frazione turistica. Non potendoci rassicurare di altre stagioni climatiche altrettanto eccezionali, riteniamo che sia necessario predisporre delle azioni strategiche e di prospettiva per intercettare le attuali richieste e favorire la scelta della nostra meta turistica quale destinazione di richiamo e, ancor più, di ritorno. Il visitatore di oggi non è più il pellegrino di ieri, ha altre aspettative e biAntologia Caposelese

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sogna rispondere a queste attraverso un lavoro ben definito e sinergico tra i soggetti pubblici e privati. Una destinazione che ambisce ad essere turistica deve essere fruibili agevolmente e la ZTL (Zona a Traffico Limitato), il piano traffico, il senso unico, il doppio senso festivo, il servizio navetta, l’area pedonale, la segnaletica verticale ed orizzontale, sono stati pensati e concretizzati per consentire all’ospite di trascorrere delle ore in tranquillità e sicurezza. Dopo aver ascoltato la SS. Messa o dopo aver sistemato il nastro della nascita nella stanza dei fiocchi, permettere alla mamma con il passeggino ed al papà che tiene per mano il bimbo, di passeggiare lungo Corso Sant’Alfonso e per la strada più rilevante del paese, via Santuario, valutando gli acquisti, senza il fastidio ed il pericolo delle auto in transito, è l’accoglienza minima, doverosa da offrire per poter poi anche contare su un loro eventuale ritorno a Materdomini, magari per qualche ora in più e per gustare anche quell’altra prelibatezza letta sul menù. L’etichetta che sponsorizza la matassa, che ogni ristoratore ha esposto all’ingresso della propria attività, è un piccolo escamotage che abbiamo ideato per mettere in vetrina il nostro piatto tipico per eccellenza, per incuriosire il passante ed offrire una notizia immediata sui nostri prodotti agro alimentari tradizionali, poiché chi viaggia è sempre più interessato anche alla tradizione enogastronomica del luogo che visita. Il momento del pellegrinaggio oggi è vissuto sempre di più anche come una occasione di viaggio. All’importante momento devozionale si è aggiunta la richiesta di proposte diversificate, culturali e naturalistiche, un luogo bello, piacevole e preparato all’accoglienza. Il turismo religioso è un settore fondamentale dell’economia locale e deve essere incentivato e sostenuto attraverso la valorizzazione del luogo e la creazione di servizi. I nostri sforzi iniziali e la nostra attenzione sono stati e saranno rivolti in tale direzione per rendere quanto più ospitale e confortevole la località e predisporre e migliorare i servizi idonei all’accoglienza. Nell’ottica di incrementare le presenze con azioni diversificate, anche quest’anno, grazie pure al contributo degli esercenti lungimiranti, abbiamo riproposto la serata d’intrattenimento che precede la prima festività di San Gerardo. All’immagine triste e desolante di Materdomini nel sabato sera della vigilia di San Gerardo di settembre, il villeggiante di quest’anno si è trovato in un’atmosfera di festa insieme ad una folla divertita di passanti, lungo tutto Corso Sant’Alfonso, dove si alternavano gli spettacoli. E’ stato così creato un nuovo appuntamento, quello del Festival degli Artisti di strada, che è nostra volontà fissare, riproporre e ampliare. Così come dobbiamo ampliare le possibilità che ci offre il Centro Fieristico, che abbiamo voluto inaugurare in tempi stretti proprio per iniziare da subito una fase di rodaggio e di esperienza nella gestione della nuova struttura. La scelta di dislocare a Duomo la tradizionale fera, risponde alla necessità di

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creare un luogo dedicato ad essa, in prossimità del centro, un posto indiscutibilmente più adatto rispetto ad una strada impervia, in una zona abitata e sprovvista dei requisiti minimi di sicurezza. La fera è certamente un ulteriore motivo di visita e di richiamo e quindi di entrate per l’ente. Il doveroso aggiornamento delle tariffe agli ambulanti, insieme all’aumento del numero dei posti assegnati, ha fatto registrare un sensibile incremento di entrate agli uffici, cosicché la fera, subita ormai negli anni anche come un costo ed il fastidio dell’immondizia disseminata per le strade nelle ore successive, sia vissuta come ulteriore risorsa da accrescere. L’area dedicata a Duomo, dopo che è stato anche tolto il rudere, sarà man mano ottimizzata con la rimozione dei prefabbricati, la sistemazione delle piazzole e dei marciapiedi. Nei prossimi mesi avranno inizio anche i lavori per la sistemazione della rotonda alle Fornaci, per avere un ingresso monumentale del paese. Verrà sistemata l’aiuola di spartizione del traffico e collocata un’opera scultorea particolarmente significativa e distintiva del luogo. In corrispondenza del filare alberato di corso Sant’Alfonso, oltre ai lavori di messa in sicurezza del muro e della strada provinciale, verrà realizzata una balconata panoramica con vista sul Santuario così da creare quel piazzale che è sempre mancato nel pieno centro di Materdomini. Una località a vocazione turistica deve presentarsi bene, deve essere bella come una cartolina. Come quelle cartoline di una volta, quelle in pila nei negozi di souvenir, che si scrivevano a parenti ed amici e si imbucavano nella cassetta postale. Più il posto visitato era bello, più s’impiegava del tempo per scegliere l’istantanea migliore. Dovremmo fare di Materdomini, uno di quei luoghi da cartolina, da vivere e rivivere, da ammirare e fotografare il Santuario che si erge dirompente al cielo, via Santuario adornata e illuminata a festa all’imbrunire, piazza della Basilica libera dalle auto con bambini che giocano ed anziani che si rinfrescano alla fontana, e creare tante altre immagini e scorci da catturare e fissare.

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ASPETTANDO IL N. 100 – Editoriale La Sorgente n. 99 Ag. 2019 Nicola Conforti Di sicuro è stata una storia meravigliosa che, con il numero 100, segnerà, per me, la fine di un percorso, e scusate l’immo­ destia, ma anche il raggiungimento di un risultato più unico che raro e, credo, quasi irripetibile.

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iamo in prossimità di un traguardo straordinario: un evento che mi riempie di gioia e di soddisfazione. Non voglio sventolare bandiere, né accendere candeline, ma solo esprimere il compiacimento di non essermi mai arreso di fronte ai tanti ostacoli incontrati in quasi mezzo secolo di attività editoriale e di avere con coraggio creato “una voce libera, aperta al dibattito, senza preclusioni e senza pregiudizi”. Una voce che ha dato a tutti la possibilità di esprimersi garantendo, in tal modo, partecipazione, continuità e legame con il territorio. Ho ripercorso, idealmente a ritroso, il lungo cammino dal 1973 ad oggi, non per valutare lavoro e sacrifici, non per contare le pagine destinate alla storia locale ed alla cultura, ma per verificare se i miei passi hanno lasciato significative impronte. Lascio ai lettori le relative considerazioni di apprezzamento o di critica. Di sicuro è stata una storia meravigliosa che, con il numero 100, segnerà, per me, la fine di un percorso, e scusate l’immodestia, ma anche il raggiungimento di un risultato più unico che raro e, credo, quasi irripetibile. Molte luci e qualche ombra, come in tutte le manifestazioni della vita. In tanti anni ho resistito a tutte le “intemperie“ sia di carattere politico che economico, alle tante dolorose dipartite di preziosi collaboratori e all’abbandono di altri che spontaneamente se ne sono andati. Purtroppo gli eventi locali hanno determinato, nel tempo, incomprensioni e forse qualche discriminazione. E di tanto mi scuso con tutti. Oltre cinquanta redattori hanno fatto grande questo giornale che non ha mai deluso le aspettative di quanti, in Italia o all’Estero, ricevono puntualmente, due volte all’anno, il tanto atteso foglio di vita paesana. Il ricco archivio, formato di migliaia di foto e di centinaia di documenti, costituisce una fonte inesauribile di idee, di notizie, di storia. Quelli che mi seguiranno in questo lavoro avranno a disposizione un percorso in gran parte tracciato e spianato. Mi auguro che saranno tenaci nel condurre in avanti questa nuova fase del giornale e che faranno della costanza la loro parola d’ordine per durare nel tempo.

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2019 STELE A DIO SILVANO di Salvatore Conforti Sorg. n. 99 Dic. 2019 Oggi abbiamo la possibilità di recuperare per noi e per i nostri figli un pezzo di memoria, e non dobbiamo lasciare abbandonare l’idea. Un appello lo voglio fare, come in altre occasioni al fine di spronare chi ha voglia di non far morire pezzi della nostra storia e, spero che le Istituzioni accoglieranno tale desiderio.

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i questo importante reperto storico ritrovato in agro di Caposele ed oggi conservato, in bella mostra, presso il Museo Provinciale di Avellino, abbiamo parlato spesso. Molte le storie e le indicazioni importanti che accompagnano il “pezzo” di pietra di oltre 2 mt. di altezza. Tante volte è stato protagonista in racconti suggestivi nelle poche indicazioni storiche riferite a Caposele e agli avvenimenti che hanno caratterizzato il nostro territorio. Anche questo massiccio pezzo di pietra, come altre piccole occasioni di memoria non distrutte dal tempo, erano state inserite in un progetto di recupero che qualche anno fa si sarebbe potuto collocare, a mò di piccole tessere in un mosaico culturale, nei nostri luoghi del Paese. La stele originale non è sicuramente elemento che si possa riportare e custodire a Caposele, ma una riproduzione identica da affidare a un bravo scultore farebbe in modo che il recupero di un pezzo di storia potesse avvenire con grandi risultati. La riproduzione non costerebbe troppo, ma quello che racconterebbe alle nuove generazioni e ai visitatori su Caposele, luogo di passaggio e di importanti incontri storici, sarebbe veramente magnifico. Caposele ha già subìto, un reset dal tremendo terremoto del 1980, e poche cose siamo riusciti a mantenere in vita. Oggi abbiamo la possibilità di recuperare per noi e per i nostri figli un pezzo di memoria, e non dobbiamo lasciare abbandonare l’idea. Un appello lo voglio fare, come in altre occasioni al fine di spronare chi ha voglia di non far morire pezzi della nostra storia e, spero che le Istituzioni accoglieranno tale desiderio. Capisco che, in un momento di grande difficoltà questo progetto potrebbe sembrare “fuori luogo”, ma se si pensa all’utilità non solo di ricostruzione della storia, ma anche di quanto si potrebbe beneficare su tali operazioni nel tempo, utilizzando questo pachwork culturale a fini turistici... beh, è il caso di parlarne! Infatti, dopo un po’ di tempo mi sono reso conto che dal semplice tour culturale al museo delle macchine di Leonardo dal 2012, sono stati introitati dal Comune decine di migliaia di euro che hanno, se pur in piccola parte, movimentato un introito anche a beneficio di qualche giovane. Antologia Caposelese

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E allora... impegniamoci e RECUPERIAMO la STELE, la FONTANA DEL VIGNOLA, il “MOCCIO DI FONTANA” e tutte le pietre che sono patrimonio di una intera Comunità. E’ una sorta di delitto sociale e storico lasciare e dimenticare i nostri ricordi scolpiti su quelle pietre. Sarebbe bello che la scuola, un comitato istituito ad hoc, la Proloco, il Comune potessero insieme avviarsi in un’operazione semplice, ma di grande beneficio culturale ed economico. Basta rimettere in moto un progetto già avviato e solo per stupide interferenze politiche abbandonato.

EFFETTO “FARFALLA”

di Angelo Ceres Sorg. n. 99 Dic. 2019

Nella metafora della farfalla si immagina che un semplice movimento di molecole d’aria ge­ nerato dal battito d’ali di una farfalla possa causare una catena di movimenti di altre molecole fino a scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza.

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l rapporto Global Witness denuncia che nel 2018 in tutto il mondo sono state uccise almeno 321 persone tra donne e uomini, impegnati nella difesa dei diritti umani e delle risorse naturali. Nel solo Brasile di Bolsonaro ce ne sono stati venti di morti. Il presidente che rivendica il suo incessante lavoro per “liberare il Paese dall’ambientalismo che lo soffoca”. Però a soffocare sono i Brasiliani, per il momento. A Rio Branco, capitale dello Stato di Acre, più di cinquantamila persone sono state ricoverate per disturbi respiratori causati dalla nube di fumo sprigionato dai roghi della foresta. Caposele, lontanissima dal Brasile e dalla foresta Amazzonica dista oltre 9.000 km, sembrerebbe immune da questa catastrofe. Si parla di persone che non ragionano con la testa ma con la pancia. Per questi pensatori, e ce ne sono troppi, noi (italiani) staremmo al sicuro, sotto una campana di vetro. Ma, ovviamente così non è. Come tutto il mondo siamo legati indissolubilmente alle sorti del Brasile, dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania. Ogni mutamento che avviene in un continente, in uno Stato, in una regione, in un Comune ha una portata di rilevanza mondiale. Può sembrare assurdo, ma non lo è. Può sembrare banale, ma la normalità degli equilibri è la condizione più difficile da mantenere difronte alla bramosia e ottusità del genere umano. “Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?” fu il titolo di una conferenza tenuta da Lorenz nel 1979. Nella metafora della farfalla si immagina che un semplice movimento di molecole d’aria generato dal battito d’ali di una farfalla possa causare una catena

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di movimenti di altre molecole fino a scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza. Ed il disastro ambientale che sta avvenendo in Brasile, e molti altri disseminati nel mondo, cosa comporterà? Gli effetti di una modifica delle condizioni climatiche, forse, si stanno già verificando (disposizione delle alte pressioni, il jet stream, la corrente del golfo, l’aumento di forza degli uragani, delle precipitazioni, della temperatura ecc.) e con queste ultime catastrofi verranno amplificati. Di sicuro l’incremento di alcune malattie è il sintomo evidente che le forme dell’inquinamento ci stanno sempre di più circondando e colpendo. Le responsabilità sono globali. L’Europa, primo partner commerciale di Brasilia, potrebbe ad esempio bloccare l’iter di approvazione del trattato di libero scambio Ue-Mercosur. I modi ed i metodi si possono trovare. Anche la nostra comunità potrebbe contribuire a costruire un Mondo sostenibile, basterebbe ricominciare con le buone pratiche e le corrette azioni (soprattutto amministrative). Maggiori controlli, omogeneità ed equità degli interventi risolverebbero la gran parte delle argomentazioni che in un passato non molto lontano si erano iniziate a sviscerare. E su un ragionamento programmatico con le conseguenti azioni, partite qualche anno fa, inspiegabilmente interrotte, ed oggi ancora inceppate, che bisogna insistere. Tenendo fermi la tutela del territorio e la salute dei cittadini. Si, proprio il benessere personale che parte dal livello più basso, quello amministrativocomunitario. Dal 2012 è fermo il piano per la raccolta differenziata, basterebbe riesumarlo ed aggiornarlo e nel giro di 6/7 mesi finalmente vederlo realizzato, con evidenti benefici in termini igienici ed ambientali. Come si era iniziato il discorso sul biologico. Oggi Legambiente “La Voce della Terra” ha inoltrato una richiesta, ancora senza risposta, rivolta all’amministrazione comunale per l’abbandono dei prodotti chimici usati in agricoltura.Risvolti positivi sull’ambiente e sulla nostra salute sarebbero indiscutibili, con minori costi per chi sostituirebbe la chimica con il biologico. Adottare il facile provvedimento “Plastic free” per liberarci dalle plastiche, microplastiche ed il monouso. Sono soltanto alcune delle scelte importanti che si possono fare. Occorre avere un forte spessore per attuarle, sostenerle e mantenerle. Obiettivi importanti e significativi che migliorerebbero la qualità della vita, faremo la nostra piccola parte. Come il battito d’ali della farfalla scatenerebbe un uragano in una parte del mondo, le corrette azioni, le buone pratiche iniziate a Caposele potrebbero riverberarsi a catena tra gli altri paesi! Antologia Caposelese

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2019 VERSO IL NUMERO 100 - La Sorgente n. 99 – Dic. 2019 di Salvatore Conforti Ho trascorso ogni momento relativo al passaggio storico e tecnologico del giornale a partire da un impaginazione manuale fino a raggiungere nel 1993 una composizione al computer e ogni periodo ha procurato nella mia mente una speciale casella nella quale ritrovo la mia vita e quella di tanti che da protagonisti diretti ed indiretti sono stati attori e portatori di ogni singola immagine scritta nel giornale.

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on è stato uno scherzo! Tutto quello che raggiunge una veneranda età ed è frutto di sacrifici, tempo, passioni, delusioni e soddisfazioni, deve essere in qualche modo evidenziato ed anche festeggiato. Questo è il caso! Il n. 100 non è questione di poco conto! E’ da molto, infatti, che rifletto su siffatta “disponibilità”, riferendomi al tempo personale utilizzato e da tutti i redattori che si sono susseguiti negli anni; una valenza straordinaria che attiene alla nostra storia, ai nostri costumi, usi, immagini e modi di pensiero descritti e vissuti di una Comunità in un range di 45 anni. Ho trascorso ogni momento relativo al passaggio storico e tecnologico del giornale a partire da un impaginazione manuale fino a raggiungere nel 1993 una composizione al computer e ogni periodo ha procurato nella mia mente una speciale casella nella quale ritrovo la mia vita e quella di tanti che da protagonisti diretti ed indiretti sono stati attori e portatori di ogni singola immagine scritta nel giornale. Rileggere questioni e momenti di vita che si ritrovano nei 99 numeri de La Sorgente mi procura una forte emozione che va al di là di un ragionevole e passeggero viaggio nel passato. E’ molto di più! E’ il chiaro dipinto della storia di una Comunità che ha saputo raccontarsi imprimendo sulle pagine di un giornale ogni momento della sua vita politica, sociale, ludica. La Sorgente ha una forza straordinaria ed è ancora più incredibile se si pensa che ininterrottamente i suoi racconti sono un GRANDE ed UNICO patrimonio che si lascia ai posteri. Le nuove generazioni spero capiranno l’importanza di un’operazione complicata e meravigliosa regalata alla nostra Comunità. Immagini, storia, racconti, cronaca, video, oggi sono, tra l’altro, con le nuove tecnologie, alla portata di tutti e con un solo clic possiamo rivedere magicamente, on line, dal 1973 ogni angolo anche sperduto e perduto di Caposele, quello che era e che ha rappresentato nella sua lunga storia. Un grande catalogo. La sorgente è un grande catalogo unico ed irripetibile e soprattutto non clonabile. Molti tentativi di giornali locali e bollettini abbiamo visto passare nelle varie comunità viciniore, ma mai e sottolineo mai con una costanza e durata di questo genere. A volte non ci si accorge di questa straordinaria operazione compiuta, perchè è

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diventata dopo tanti anni, una sorta di ordinaria abitudine che ogni Caposelese ritrova, come sorpresa natalizia o di ferragosto nella propria casa, ma mi piacerebbe che per tutti fosse un grande orgoglio, una bandiera e un modello da esportare oltre i confini, a dimostrazione - perdonate la mancanza di modestia- che si possono affrontare sfide del genere anche nelle piccole comunità. La mia ricerca nel riscontrare lavori di questa portata, mi ha procurato, tra l’altro, altre soddisfazioni nel verificare che pochi esempi di editoria sono durati così tanto a lungo in Italia. Caposele ha quindi, un altro grande primato! Mi sembra impossibile, ma conoscendo bene il motore di tutto questo, ne individuo immediatamente la caratteristica principale e il carburante che produce ancora oggi, a distanza di tanti anni, uno stimolo incredibile a proiettarsi anche oltre il n. 100: Passione, Tenacia e Amore per il proprio Paese, le condizioni uniche ed imprescindibili per riuscire in una impresa di questo tipo. Rifletto sulla storia ma anche sul futuro che dovrà vedere per la pubblicazione del n. 100 la partecipazione di tanti che hanno compreso tale straordinaria operazione realizzata per l’intera Comunità. Penso al modo di come poter presentare questo traguardo e trasmetterlo oltre confine. Un convegno, una festa, una serie di operazioni promozionali, ma soprattutto un comitato organizzativo, che insieme alla redazione potrà affrontare, con grande capacità ed efficacia, questo evento importante. Mi piace pensare a un numero SPECIALE costituito da 100 pagine a colori, con 100 redattori, per 100 articoli di storia e di cronaca; con 100 foto per altrettante 100 emozioni. Mi piace pensare alla partecipazione dell’Ordine dei giornalisti regionali o nazionali; al coinvolgimento delle scuole che possono da sempre beneficare di una enciclopedia dinamica della storia del Paese; alla possibilità di raggiungere via posta o via web tutti, nessuno escluso, i Caposelesi all’estero. Di affiancare alla pubblicazione del numero straordinario 100 un DVD che è in preparazione da molto, costituito da un database attivo con tutti i numeri del giornale da utilizzare come e dove si vuole. Insomma una serie di eventi per i quali, naturalmente si rende necessaria la partecipazione attiva di tutta la nostra Comunità, delle Istituzioni anche extra comunali e di tanti di buona volontà che contribuiscono, anche con poco, alla realizzazione di un numero più unico che raro. Il numero 100 sarà anche il passaggio di consegna, che ho sempre, con forza, ostacolato ogni volta che papà riportava l’argomento nella discussione familiare; ma sono sicuro, che se avverrà, sarà morbido, indolore, fluido, perchè quel motore di cui parlavo prima, resta sempre acceso e sarà, come tradizione vuole, affiancato da un nuovo propulsore con tecnologia moderna, ma che porterà a bordo il nuovo e il vecchio per lanciare il cuore oltre l’ostacolo Antologia Caposelese

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2019 CAPOSELE 2020: UN PAESE APERTO … La Sorgente n.99 – Dic. 2019 di Gerardo Vespucci La mia fiducia nelle possibilità del nostro territorio, Alto Sele ed Alta Ir­ pinia, per il quale ho vissuto ogni mia attività nella scuola di ogni ordine e grado, mi spinge ancora a credere in un futuro in cui anche qui sia possibile sentirsi cittadini europei, in grado di viaggiare ovunque, ma con un biglietto di ritorno sempre pronto.

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ari lettori della Sorgente è con immenso piacere che ho accettato l’invito dell’amico Conforti di contribuire, con un mio scritto, alla realizzazione della rivista che ormai veleggia spedita verso il numero 100. Ho pubblicamente dichiarato di apprezzare la linea editoriale della Sorgente, proprio perché, pur esprimendo un chiaro punto di vista su Caposele e Materdomini, non si perde nel localismo conservatore, bensì si apre a riflessioni che spaziano sulle tematiche più disparate: ho parlato di approccio glocal, globale e locale insieme, ossia di uno strumento culturale con i piedi ben piantati nel vostro paese, ma con la testa libera di guardarsi intorno, oltre i confini nazionali, verso l’Europa ed il Mondo grande e terribile, di cui parlava Gramsci. Questa volta, però, voglio essere io il localista, spero al punto giusto, poiché – pur in presenza di segnali inquietanti di tipo economico, culturale e sociale provenienti dai nostri paesi – continuo a pensare che Caposele (con Materdomini, ovviamente!) sia una delle poche realtà con indicatori economici e demografici accettabili ed una speranza per il territorio circostante. Per meglio comprendere il mio pensiero, vi offro alcuni dati demografici elaborati dall’ ISTAT relativi alla Popolazione di quasi tutti i paesi dell’area Pilota, Alta Irpinia, mettendo a confronto 2010 e 2019: I moderni studiosi delle società, per esprimere il loro grado di sviluppo, utilizzano concetti che appartengono ad altre sfere del sapere: alla fisica, per esempio. In tal modo, i paesi, le città, sono assimilabili ai sistemi termodinamici. Come sanno gli allievi delle superiori, i sistemi termodinamici si distinguono in : aperti, chiusi ed isolati, ed essi sono caratterizzati da un progressivo aumento di entropia, ossia di equilibrio, ossia di morte termica, ove non accade più nessuno scambio di energia e materia: ovviamente, per i sistemi urbani, la materia è rappresentata dalle “persone”, l’energia da tutto ciò che è “monetizzabile”! I tre tipi di sistemi termodinamici si distinguono per il flusso di materia ed energia: i primi, aperti, scambiano con l’esterno materia ed energia, come gli organismi viventi; i secondi, chiusi, solo energia, come il nostro Pianeta che riceve luce dal sole; i terzi, isolati, né materia e né energia, come l’Universo, e, per approssimazione, le città Feudali: ebbene, l’entropia è minima nei sistemi

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aperti, massima in quelli isolati. In linea di principio, ogni paese del nostro territorio dovrebbe essere un sistema “aperto”, specie dopo l’arrivo dei miliardi di lire post sisma. In realtà essi sono più simili a quelli “chiusi”, e da dieci anni in progressiva tendenza a diventare “isolati”: arrivano ancora energie dall’esterno (stipendi, pensioni) ma di persone in ingresso neppure l’ombra. I valori relativi ai due anni distanti dieci anni, al di là dell’impressionante calo della popolazione complessiva, specie in alcuni paesi, mostrano un ancor più preoccupante dato proprio nelle classi di età tra 0 e 14 che rappresentano i ragazzi e le ragazze nell’età dell’obbligo scolastico, i giovani del futuro: dei 5471 cittadini mancanti tra il 2010 ed il 2019, ben 1717 appartengono a questa fascia d’età, oltre il 31%, e la gran parte manca nell’Alta Irpinia che volge ad Oriente: a Sant’Andrea di Conza si è passati da 201 a 97, il 52% in meno! I 411 ragazzi che vivono ora a Caposele in questa fascia d’età [9% in meno rispetto ai 444 del 2010] sono più numerosi di quelli di Calitri con 4506 abitanti e sono confrontabili con quelli di Bisaccia che ha, però, 500 abitanti in più e che nel decennio ha perso il 15%. Come ho sempre sostenuto, Caposele riesce a trattenere i suoi giovani, anche laureati, perché tra i tre paesi più vivi [Montella, Lioni e Caposele], è quello più capace di intercettare energia (danaro!) e materia (persone in quantità notevole). Questo significa diverse cose, su cui qualche sociologo potrebbe sbizzarrirsi; per quanto mi riguarda voglio segnalare solo cinque elementi virtuosi già operanti e su cui si può fare ancor di più leva: a) La natura benigna di Caposele e dell’intera Alta valle del Sele, ricca di acqua. b) La presenza di un Santuario, quello di San Gerardo che richiama centinaia di migliaia di pellegrini. c) Una possibilità non remota per i giovani di trovare lavoro in loco, anche per diversi laureati del liceo di Caposele, che mantengono alti i bisogni di una qualità della vita di stile europeo. d) La tenuta di una sezione staccata di liceo che ha alimentato anche diverse attività culturali e ricreative. e) L’attività di diverse associazioni a sostegno delle istanze sociali delle persone più deboli. Queste premesse mi spingono a credere ancor di più in Caposele come sistema aperto, ossia pieno di vita, al servizio degli altri comuni del territorio, agendo da cerniera tra Alto Sele ed Alata Irpinia. E come sempre, mi affido ai giovani, con l’illusione che almeno una di queste dieci provocazioni possa diventare realtà. Ed allora li sfido ad agire per: 1. Definire un accordo con Padre Alex Zanotelli per fare di Caposele il paese Antologia Caposelese

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dell’Acqua. 2. Costruire un Museo dell’acqua, con una serie di exibit scientifici, anche in collaborazione con Città della Scienza. 3. Stabilire un accordo con i padri redentoristi di Materdomini per fare di quel luogo sacro il centro di incontro annuale delle Religioni del Mediterraneo con lo slogan: Caposele paese della Pace. 4. Trasformare la fiera di San Gerardo in una esposizione del Mediterraneo con la presenza annuale di uno stand gastronomico e culturale di una Nazione del mediterraneo ospite, nel nuovo centro fieristico. 5. Fare del Centro Fieristico un piccolo Beaubourg tipo centre Pom-pidou ove allestire mostre d’arte varia (pittura, scultura, fotografa, multimedia) di livello nazionale ed internazionale, in accordo con i centri espositivi italiani e stranieri. 6. Pubblicizzare meglio le iniziative della festa musicale del primo giorno d’estate. 7. Ripristinare il festival di jazz nel bosco con grandi artisti italiani ed internazionali da far culminare nella serata jazz e wine 8. Stabilire un programma di incontri tra associazioni, amministrazione locale e Liceo, a su vari livelli, a cominciare da incontri scientifici mensili di livello nazionale (anche al posto delle assemblee studentesche). 9. Trasformare la giornata del libro dell’IC De Sanctis in una iniziativa ancora più significativa: magari una mostra stile Fiera del libro di Torino. 10. Attivare l’ accoglienza di giovani europei nelle strutture ricettive di Materdomini, stile Erasmus… La mia fiducia nelle possibilità del nostro territorio, Alto Sele ed Alta Irpinia, per il quale ho vissuto ogni mia attività nella scuola di ogni ordine e grado, mi spinge ancora a credere in un futuro in cui anche qui sia possibile sentirsi cittadini europei, in grado di viaggiare ovunque, ma con un biglietto di ritorno sempre pronto.

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2019 UN ALBERO PER TUTTI: LA STORIA Concita Meo – La Sorgente n.99 – Dic. 2019

L’Albero di Caposele, sia orgoglio e patrimonio di tutto un paese e di tutti coloro i quali vorranno perdersi nella sua speciale atmosfera!

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ono passati ormai alcuni anni, ma, nel mio ricordo sento ancora il timbro della sua voce, la luce dei sui occhi. Di lei ammiravo la bellezza, i tratti dolci del viso, la sua coinvolgente allegria, la voglia e la capacità di “aggregare”, di portare innovazione in ogni cosa prendesse a cuore. Quando ripenso a lei ho due immagini indelebili, reali, come se le avessi vissute solo qualche giorno prima. Lei, bellissima, gioviale, con le guance rosa dovute alla lietezza di un ballo, felice e ridente con un enorme fascio di mimose gialle, tenuto stretto in un abbraccio. Decine di altre donne le giravano intorno sulle note di un allegro brano e lei ballava spensierata al centro, individuando la successiva danzatrice che avrebbe preso il suo posto al centro del cerchio umano.. Era un 8 marzo, eravamo 200 donne unite in una sala di un ristorante. Come dimenticare la scenetta rappresentata poco prima? Aveva scritto i testi di una parodia di una trasmissione tv e con altre “ragazze” l’avevano inscenata, riscuotendo tantissime risate da parte di tutte noi. Poi ricordo quel pomeriggio dove tutto ebbe inizio! Frequentavo la sua casa poiché portavo mio figlio a ripetizione di matematica da una delle sue figlie. Era reduce del secondo intervento e sedeva sul divano rosso del soggiorno. I capelli cortissimi, lo sguardo stanco. C’era il camino acceso. Mi chiese se desideravo un caffè, ma come al solito i minuti erano contati ed io dovevo scappare al lavoro. Si informò di come stessero andando i preparativi l’evento natalizio che stavamo organizzando quell’anno. Poi, quella richiesta! – Sai come sarebbe bello se l’abete alla curva alla Sanità, venisse addobbato! Tante luci ad illuminare le nostre festività!- Eh si che sarebbe stato davvero molto bello! Andai via, ma le promisi che avrei tastato un poco le possibilità per tentare qualcosa in proposito. In effetti qualche giorno dopo, mi recai al comune di Caposele per avere informazioni.. passai per una visionaria! Ed avevano pure ragione! Ci trovavamo a novembre, ci sarebbero voluti del tempo e soprattutto disponibilità economica: si era già fatto un addobbo qualche anno prima su quell’albero, ma era costato tantissimo ed ovviamente, come spesso accade, non vi erano fondi comunali disponibili. Non riuscii ad ottenere nulla! Non si poteva. L’inverno passò freddo e malinconico, con passo lento e stanco, lasciano spazio all’aria più mite e profumata, al volo di farfalle, alla rugiada sulle prime timide fioriture. E, mentre la terra si apprestava a rinnovarsi a nuova vita e a rifiorire Antologia Caposelese

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in tutta la sua magnificenza, lei smise di soffrire. Smise di combattere la lunga battaglia contro quel male che aveva avuto la meglio sula sua freschezza e sulla sua giovinezza. Un intero paese si strinse alla famiglia, distrutta dal dolore per la scomparsa di GERARDINA. Non avevo avuto tempo per elaborare la sua richiesta e questo pensiero continuava a girarmi nella testa, stavo male per non essere riuscita a realizzare quel timido desiderio sussurrato silenziosamente.. Ne parlai con Lorenza, sua amica da sempre che, guardandomi emozionata, mi disse: proviamoci, vediamo che riusciamo a fare. A quel punto coinvolsi Annalisa, una delle figlie con cui avevo più confidenza e, anche da lei ottenni la promessa di aiuto. Iniziammo ad organizzare la squadra di lavoro, eravamo pochi, io, Lorenza, Annalisa, Vincenzo, Letizia, Antonio Cifrodelli. Quest’ultimo, reduce della sua battaglia contro “la Bestia”, a proporre di devolvere tutto il ricavato alla ricerca sul cancro. Il progetto prendeva forma, ma pari passo, aumentavano anche le difficoltà, le spese economiche in primis. Fu a quel punto che cominciò, capeggiata da Angela la Fioraia, una grande raccolta popolare di fondi. Tantissimi accolsero favorevolmente la nostra causa e si prodigarono, con i mezzi necessari alla copertura finanziaria dell’addobbo. Decidemmo che quell’Albero avrebbe avuto un significato, lo avremmo dedicato al RICORDO di chi ci ha lasciato troppo prematuramente perché il ricordo, fa bene al cuore, migliora il nostro stato d’animo, le nostre giornata, ci mantiene uniti a chi non c’è più: esso rappresenta un ponte incrollabile tra noi e loro, tra la Terra e la vita eterna. Ma sarebbe stato anche simbolo di SPERANZA! Il sentimento di fiducia in un futuro sempre più prossimo in cui ogni malattia fatale possa essere debellata. Quell’anno, il 2013, ci fu la prima accensione. Una cerimonia intimissima, poche persone unite insieme nella fredda notte del 13 dicembre, giorno di S. Lucia, la Santa della luce, desiderando dedicare la luce dell’Albero alle tante assenze che hanno lasciato un vuoto in ogni uno di noi. Da qui il nome dell’associazione e della relativa manifestazione: “Un Albero per Tutti”. Nel frattempo, negli anni, tanti, troppi cari, amici conoscenti, ci hanno lasciati prematuramente. Siamo sempre più numerosi sotto l’Albero ad accendere la luce, che speriamo possa illuminare le tenebre della sofferenza, per noi e per chi ha bisogno di essa, per ricavarne un sostegno e nuova forza da usare contro le ostilità della vita. Siamo ostinati a proseguire il cammino intrapreso e supportare, grazie alla generosità di tanti, la prevenzione, unica arma a disposizione per combattere malattie distruggenti e la ricerca medica, come rimedio o soluzione possibile di vita. L’Albero di Caposele, sia orgoglio e patrimonio di tutto un paese e di tutti coloro i quali vorranno perdersi nella sua speciale atmosfera!

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2019 LA PRO LOCO CHE VERRA’

di Concetta Mattia La Sorgente n.99 – Dic. 2019

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Quello del 2019 non sarà solo un articolo che racconta il bilancio consuntivo di un anno di attività, in effetti tra aprile/maggio 2020 scade il mio secondo mandato da presidente della proloco Caposele e, nell’ottica del voler garantire il necessario rinno­ vamento nella gestione associativa, quello che farò, per correttezza e senso etico del ruolo, è il bilancio generale dell’attività svolta che sarà lasciata in eredità a chi dovrà giustamente sostituirmi in questo incarico, molto bello e gratificante ma anche sempre più multifunzionale e complicato.

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a mia è stata senza dubbio un’esperienza positiva, non sempre bella o semplice ma educante senz’altro, una discreta sfida, sia rispetto a chi mi ha preceduto e portato questa associazione ad essere punto di riferimento socioculturale nel paese, che verso i nuovi soggetti che hanno collaborato con me e portato la proloco dov’è oggi (nonostante tutto, ancora un punto di riferimento socioculturale, ancora propositiva, impegnata, integrata e aperta verso il territorio), ed è giusto che ne dia conto a questo punto, e che mi interroghi sul prossimo futuro, facendo qualche considerazione sul mio e nostro percorso. Oggi gestire, anche solo amministrativamente, un’associazione senza scopo di lucro, alla luce della nuova normativa vigente, è davvero un impegno serio e non sempre facile: tenere registri, bilanci, tracciabilità dei fondi e delle spese, relazionare ai vari livelli, progettare e realizzare per poter rimanere nell’elenco regionale delle Proloco ed ottenere così fondi regionali che, anche se pochi, aiutano ad andare avanti e ad avere una buona organizzazione (noi, ad esempio e come riportato dai decreti regionali visionabili da tutti, siamo passati negli ultimi anni, da un punteggio che ci faceva ottenere poco più di 1000€ a contributi annui dall’EPT di circa 2500€ anche se stanziati con un ritardo medio di circa un paio d’anni, che non aiuta) e, ad esempio, abbiamo anche dovuto aprire una partita iva per poter realizzare, come da nuova normativa, le nostre attività e/o progetti, aggiungendo altri impegni e responsabilità. Quello dei fondi poi, è un problema generale, e anche se la rete nazionale dell’UNPLI (Proloco d’Italia) garantisce e agevola su diversi aspetti questa gestione, ce ne sono sempre meno per questo settore e non certo, possono bastare per tutto i proventi dal tesseramento e quindi, tra le prime cose, abbiamo dovuto lasciare la sede storica della proloco e trovarne una meno costosa, una scelta logica ma per quanto partecipata, non è stata condivisa da subito e pertanto non poco sofferta. Ma fu necessaria. Come necessario è stato rinnovare, pur nella continuità, l’organizzazione di alcuni eventi che per Caposele non sono solo di svago ma veri e propri elementi identitari, come la Sagra delle Matasse di Caposele, la corsa dei tre campanili e il Premio Caposele, che oggi sono eventi molto più ampi e seAntologia Caposelese

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guiti ma che, soprattutto la sagra, si realizzano con sempre maggiori sacrifici e tra mille impedimenti spesso legati a prese di posizione insensate di alcuni che però si tollerano “per quieto vivere” e francamente, non penso si possa andare avanti così, servirebbe uno slancio collettivo, come pure fanno e piace sottolineare, in altri paesi. Ma da noi non è ancora così, ed è ancora più facile trovare qualcuno che pontifica sul “si poteva o si doveva”, che uno che si accorci le maniche e operi il cambiamento, che proponga e partecipi per realizzarlo. Purtroppo. Del resto, uno dei detti più antichi di Caposele recita “ru parlà è arta leggia”….e quanto è vero! Vorrei poi ricordare un altro esempio positivo di collaborazione, che grazie al coordinamento della proloco (questo da sempre e con un discreto impegno) a Caposele realizza questo periodico, La Sorgente, che nel 2020 raggiungerà i 100 numeri pieni solo di storia locale, un record più che un traguardo, che è stato possibile raggiungere con il supporto dei tantissimi che scrivono e raccolgono informazioni, che producono Memoria storica. Certo, anche questa attività importantissima ha bisogno di essere sostenuta e magari integrata, ma invece pure è stata vittima di becera critica distruttiva (quasi sempre anonima) che fortunatamente non ha fermato nessuno di noi ma certo, dovrebbe far riflettere.

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Grazie alla progettazione integrata abbiamo realizzato diverse attività, per tutti, e coperto le nostre spese fisse, realizzando risultati che hanno lasciato concretamente strutture al paese (il Centro di recupero e riuso del progetto “Meno è meglio” e ultimamente, grazie al bando “Benessere giovani” l’arredo della futura Casa delle associazioni, che si aprirà nel palazzo della casa comunale) e attrezzature che restano nella disponibilità dell’associazione e di tutti coloro che ne hanno bisogno (tavoli e panche, proiettori e pannelli, impianto di amplificazione, gazebo, materiali da cucina) ma anche concrete e legali (che non guasta di questi periodi) esperienze lavorative per diversi, giovani soprattutto, sia nel Centro di riuso che nel progetto “Festivalart, giovani per il paese dell’acqua” (il primo esempio di progettazione nazionale su cui proloco e comune hanno investito, che ha gestito positivamente, circa 200.000€ realizzando anche preziosi supporti per migliorare l’accessibilità ai musei e alle sorgenti - ad esempio, le nostre audiovideo guide su tablet, per persone con difficoltà visive e/o uditive - coinvolgendo tutte le associazioni locali, a riprova del fatto che certi tentativi si possono fare!). E ancora, per quanto sia stato lungo il percorso burocratico, abbiamo riattivato la possibilità di avere impegnati giovani in servizio civile, che in questo ultimo anno hanno aiutato la proloco ma, soprattutto, il servizio comunale di accoglienza presso il sistema museale di Caposele, il SIMU che da quando è stato istituito e nonostante sia ancora in attesa di una valorizzazione strutturale, è cresciuto in modo esponenziale e assicura, come solo la passione e la dedizione possono fare, la possibilità di visita presso sorgenti, musei e altre valenze locali, un servizio fatto così bene che la nostra proposta di tour dell’acqua, è stata inserita in ben due cataloghi nazionali nel settore del turismo scolastico (direi bene, no?) dimostran-

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do, anche in questo caso, che qualcosa si può fare e magari sarebbe ora di puntare, insieme e concretamente, sulla stabilizzazione di qualche giovane per assicurare un servizio strategico come questo. Ma di Proloco Caposele posso anche dire, senza timore di essere smentita, che come gruppo abbiamo sempre cercato, e quasi sempre anche trovato, il modo di collaborare con altre realtà locali e non, di condividere esperienze ed attività convinti, che in una piccola ma potenzialmente validissima realtà come la nostra, si debba operare insieme e non solo per “stare sul pezzo” ma per migliorare, per creare vere opportunità, per dare qualche alternativa almeno valutabile, che argini lo spopolamento e migliori la qualità della vita a Caposele. Abbiamo sempre collaborato, collaboriamo e spero continueremo a collaborare con ogni amministrazione comunale, snodo fondamentale per la realizzazione delle attività e dei vari progetti e per quanto possa dire di aver avuto sempre rapporti positivi, non nego che mi piacerebbe che si desse maggior attenzione, anzi meglio, un’attenzione organica e costante alle tematiche legate all’accoglienza turistica e alla valorizzazione territoriale, non solo alla nostra associazione sia chiaro, ma a tutto il settore, ai soggetti e al territorio proprio per facilitare la collaborazione.

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Come già succede per la collaborazione col Forum della gioventù, con cui ci siamo naturalmente ritrovati e insistiamo nella progettazione e realizzazione di attività uno a supporto dell’altro e sempre rispettosi della natura e delle idee “di connessione” che vengono fuori. Non abbiamo mai fatto mancare la nostra collaborazione ai progetti delle istituzioni scolastiche locali (sia con l’IC che con l’IISS) che riguardano la scoperta e la lettura del nostro territorio, l’accoglienza e la valorizzazione turistica, come anche alle fondamentali attività sociali della Pubblica Assistenza e, da qualche anno anche di altre associazioni nate con scopi sociali come “Un albero per tutti” a cui contribuiamo attraverso le attività gratuite del SIMU per le visite guidate. Sosteniamo e supportiamo le iniziative culturali delle compagnie teatrali locali, degli scrittori, degli artisti, degli sportivi o dei giovani gruppi musicali e quest’anno abbiamo aderito con piacere all’invito a collaborare del nuovo Comitato feste religiose, un altro bel gruppo di cittadini impegnati nel mantenere vive le nostre tradizioni religiose con cui è stato naturale operare. Il principio (impegnativo ma giusto) dovrebbe essere che dove c’è Caposele, ci deve essere Proloco e viceversa, e dove non si riesce a presenziare, si diffonda e si valorizzi. Noi ci proviamo e operiamo con questo senso, sempre e comunque, anche se meno spesso, siamo stati chiamati a collaborare da altri allo stesso modo. Ed è un peccato (oltre al fatto che non è molto bello essere contattati solo quando serve qualcosa e non per fare quel qualcosa insieme) non una critica o un rinfacciare supporto, mancherebbe, ma un vero peccato in termini di valore, di coralità dei risultati e anche di gioia di fare le coseinsieme, e spesso le motivazioni non esistono, sono più sottovalutaAntologia Caposelese

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zioni o usi consolidati da cambiare, in quanto una Proloco, e anche la nostra, deve statutariamente operare per e con tutto il territorio. Pensiamoci e magari proviamoci o riproviamoci come, ad esempio, sta succedendo per le attività e gli eventi a Materdomini a cui la nostra associazione, con grande soddisfazione, dopo anni in cui sembrava non si riuscisse ad organizzare nulla di diverso per quella frazione, è stata chiamata a coordinare iniziative al fianco dell’amministrazione comunale e per conto degli operatori e degli esercentilocali. Il loro è stato un fondamentale contributo ed essendo notoriamente impegnati e pertanto impossibilitati a gestire interventi collettivi, hanno giustamente demandato queste attività che sono state però ponderate insieme, dando buoni risultati, come nel caso del neonato Festival degli artisti di strada alla vigilia della prima festa di S.Gerardo, un evento che è divenuto la giusta alternativa per valorizzare e integrare l’offerta turistica religiosa. Dimostrando ancora una volta che si può fare, e insieme si riesce meglio, che si può controbattere alla tendenza ad ostacolare, a criticare senza impegnarsi o ad operare in circuiti chiusi, che si possono mettere a disposizione di tutti le competenze che ci sono, per realizzare sempre meglio attività per il paese.

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Di certo il nostro gruppo dirigente, sempre per il senso etico della gestione di un’associazione e perché crediamo sia necessario oltre che giusto, organizzerà, da gennaio in poi, una serie di incontri pubblici funzionali ad avere vicino più gente, ascoltare pareri, disponibilità, nuove idee e classe dirigente da mettere in campo per la Proloco che verrà, e per capire chi effettivamente voglia mettersi in gioco e impegnarsi affinché finalmente si radichi il senso dell’operare per il territorio tutti insieme, veramente. Il mio contributo ci sarà come c’è sempre stato, presidente o meno. Perché credo nel valore di questo paese, quanto credo che il limite più grande di Caposele, siano gli atteggiamenti di noi cittadini e le nostre abitudini troppo spesso tese ad operare a tenuta stagna, ognuno per il suo obiettivo e spesso in antitesi senza motivo (o peggio, per motivi che non si affrontano e quindi non si risolvono) perché le proloco aiutano i comuni e devono essere patrimonio di tutti, devono essere uno strumento utilizzato dalla Comunità. E visto che il periodo è quello giusto, quello che mi auguro non tanto per me, ma per tutti, è che si capisca finalmente quanto sia importante per un piccolo paese come il nostro, collaborare ed essere solidali, che si sperimenti quanto sia naturale e semplice oltre che più funzionale, per tutti. E se davvero si tiene alle nostre tradizioni, usi, costumi, valori e possibilità, si passi dalle parole ai fatti (dalle tastiere alla presenza fisica) e si dia una mano, attraverso una nuova idea di Proloco, al nostro paese affinché cresca e diventi un luogo, non solo dove tornare ogni tanto, ma dove vivere bene. Fatevi avanti signori!

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2020 Dal Brasile Umberto Gerardo Malanga

Ciao a tutti!

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Ciao, Caposele, monti, valli, campi... Siete i primordi della mia vita. Conservo di voi, ricordi giocondi, amori sublimi, sentimenti profondi, anche, se da tanto lontano!

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Ciao, Materdomini! Il tuo visuale non lo scordo mai. Vivi, in me, incondizionatamente. M’hai insegnato ad amare e, sempre, i miei pensieri, a te, mi conducono!

Ciao, Parenti, Compaesani! Nel sentirvi, assai m’allegro, in quel balsamico linguaggio. Son vecchi richiami d’infanzia, che fremono, palpitano in me!

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Ciao, bel fiume Sele! Indimenticabile, amabile amico, legittimo cittadino del luogo

Lo scroscio delle tue cristalline acque, amorevolmente, ancor mi dondola!

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Ciao, Italia! Di questa bellissima terra, io sono. Paese ricco di cultura, di arte, di storia. Seppur risentita d’una barbarie condotta, Italia, sei grande... e sempre lo sarai!

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CONCLUSIONI

CONCLUSIONI:

NON È UN EDITORIALE di Nicola Conforti

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n conclusione di questa antologia è d’obbligo fare alcune considerazioni di merito: la pubblicazione nasce in un periodo di grande preoccupazione per l’imperversare in tutta Italia di una pandemia che ci ha costretti a vivere chiusi in casa ed a difendere a denti stretti la nostra vita da un nemico invisibile. Al momento di andare in stampa, non si sono ancora dissipate le paure per eventuali possibili contagi. La situazione del tutto improvvisa ed inaspettata, ha scoraggiato e ridimensionato i grandi progetti che avevamo in mente per l’uscita del numero 100 de La Sorgente. Il tutto nasce in coincidenza con la mia decisione di mettere fine al lungo percorso che ha caratterizzato gran parte della mia vita. E’ con grande tristezza che annuncio il mio commiato da un giornale al quale ho dedicato molti anni di appassionato impegno e di affettuosa dedizione.

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Un cammino lungo quasi mezzo secolo che, passo dopo passo, ha tracciato la storia del nostro Paese. Ma arriva, purtroppo , il momento in cui occorre tagliare il cordone ombelicale che ci lega alle cose care e belle della vita, che hanno pur esse , necessariamente, una loro fine. Lo dico con grande amarezza pur nella consapevolezza di aver operato sempre nel migliore dei modi e che quello che ho fatto lo rifarei volentieri. E’ stata un’esperienza meravigliosa, un’avventura interessante e prestigiosa, portata avanti con tantissimo amore e con dedizione asassoluta.

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Lascio la direzione del giornale con la speranza che il cammino intrapreso non si interrompa e che La Sorgente resti sempre il “luogo vivo e vitale di dibattito, di confronto delle idee, di passione civile. Un ringraziamento particolare va a tutti i miei straordinari collaboratori. A loro affido la continuazione di questo viaggio e la responsabilità di mantenere in vita questo giornale per molti e molti anni ancora.

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A LE TE C SE LA Antologia Caposelese

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INDICE INDICE Pag. 1 Pag. 3 Pag. 6 Pag. 7 Pag 8 Pag. 10 Pag. 11 Pag. 12 Pag. 14 Pag. 16 Pag. 17 Pag. 19 Pag. 20 Pag. 22 Pag. 23 Pag. 26 Pag. 35 Pag. 37 Pag. 40 Pag. 44 Pag. 45 Pag. 46 Pag. 47 Pag. 51 Pag. 55 Pag. 56 Pag. 57 Pag. 59 Pag. 59 Pag. 60 Pag. 61 Pag. 62 Pag. 64 Pag. 66 Pag. 67 Pag. 69 Pag. 72 Pag. 73 Pag. 75 Pag. 75 Pag. 78 Pag. 79

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Gerardo Ceres Nicola Conforti Nicola Conforti Michele Ceres Ferdinando Cozzarelli Ferdinando Cozzarelli Michele Ceres Ezio Caprio Luisida Caprio Nicola Conforti Vincenzo Malanga Luisida Caprio Alfonso Merola Nicola Conforti Antonio Sena Lorenzo Malanga Gerardo Ceres Pasquale Cozzarelli Pietro Ceres Nicola Conforti Antonio Corona Sind. Nicola Conforti Emilia Cirillo Antonio Sena Nicola Conforti Lu garzonu r’ li scigliati Emilia Cirillo Domenico Patrone Domenico Patrone Vincenzo Malanga Vincenzo Malanga Antonio Corona sind. Antonio Ruglio Giuseppe Rosania Nicola Conforti Cesarina Alagia Antimo Pirozzi Luisida Caprio Nicola Conforti Nicola Conforti Vania Palmieri Raffaele Russomanno

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Prefazione Atto di nascita della Pro Loco Progetti e prospettive – Editoriale il Liceo scientifico a Caposele Un discorso che prosegue Lettera al Direttore Ha una storia Caposele? La prima festa dell’emigrande Un anno a Caposele Otto mesi dopo il terremoto Caposele, ricordi e pensieri Fiori tra le rovine Una questione morale La Sorgente anno XVI – Editoriale Pellegrini Il fiume Sele ed i suoi dintorni I bisogni di una generazione La rivolta delle acque Mestieri e attività produttive La Sorgente n. 50 – Editoriale Caposele: che fare? Dopo la tempesta – Ediitoriale Itinerari Irpini: Caposele Ammuina r’ quatrari Sfogliare tre volumi – Editoriale Chi simu… IL fascino di Caposele Natale Pace E venne un giorno Campanile d’acqua Fiducia e speranza L’eredità comune In prima linea per migliorare se stessi La Sorgente: i primi 25 anni Un impegno che cresce IL Castello di Caposele Buon compleanno a la Sorgente Un anno a Caposele Un anno triste Uno schianto, un grido Quale Pro Loco?

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INDICE Pag. 81 Pag. 83 Pag. 85 Pag. 88 Pag. 90 Pag. 92 Pag. 94 Pag. 97 Pag.101 Pag.110 Pag.113 Pag.113 Pag.116 Pag. 118 Pag.124 Pag.127 Pag.131 Pag.132 Pag.139 Pag.142 Pag.145 Pag.149 Pag.152 Pag.154 Pag.158 Pag.159 Pag.160 Pag.163 Pag.165 Pag.168 Pag.169 Pag.172 Pag.174 Pag.176 Pag.177 Pag.179 Pag.181 Pag.184 Pag.187 Pag.190 Pag.191 Pag. 193 Pag. 194 Pag.196 Pag.198

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Alfonso Sturchio Vincenzo Di Masi Gerardo Ceres Donato Gervasio Raffaele Russomanno Antonio Ruglio Mario prof. Sista Mario prof. Sista Gerardo Monteverde P. Farina Sindaco Nicola Conforti Antonio Ruglio Roberto Notaro Luigi Adriani Giuseppe Palmieri Mario prof. Sista Rodolfo Cozzarelli Nicola Conforti Nicola Conforti Ernesto Donatiello Raffaele Loffa Mario prof. Sista Giuseppe Palmieri Gerardo Viscardi Antonello Caporale Nicola Conforti Cettina Ciccone Rodolfo Cozzarelli Alfonso Merola Nicola Conforti Gerardo Ceres Salvatore Conforti Tania Russomanno Nicola Conforti Gerardo Ceres Raffaele Russomanno Cettina Ciccone Ezio Caprio Michele Ceres Nicola Conforti Tania Russomanno Nicola Conforti Gerardo Monteverde Raffaele Russomanno P. Farina Sindaco

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Il nostro terremoto privato L’angolo dei ricordi Seletudine Instancabili Campioni Il turismo che verrà Dacia Maraini a Caposele Chiesa Madre, luogo della memoria Chiesa Madre… (seconda parte) I sogni possono diventare realtà Le Sorgenti: la nostra identità … Importanti avvenimenti – Editoriale La nuova frontiera si chiama cultura Olimpia Caposele,Campione Provinc. La Chiesa Madre – Dedicazione Quant’è bella Materdomini Caposele: i mestieri di una volta Un paese che vorrei più solidale Pro Loco Caposele: La storia La Storia (seconda parte) Giovani , turismo e Pro Loco Giovani Caposelecittà di sorgente- recensione Un nuovo film documentario - Caposele sorgente di acqua e di fede Benvenuti a Caposele La scrittura, la passione, l’indignazione La Sorgente: luci ed ombre –Editoriale Alma terra mia La Sorgente: il giornale di tutti Una nuova fase per il Turismo I nostri diritti inalienabili – Editoriale Frammenti di storia La nostra memoria La Sorgente, compagna di viaggio Caposele turistica – Editoriale Turismo: accenni di libere riflessioni Caposele e il suo turismo Pellegrini nel mondo Ricordi, riflessioni e qualche ricordo Turismo naturalistico … e non solo Venite a Caposele, città di Sorgente La donna caposelese nella storia Traguardi di grandi interesse - Il Sele nella storia La Pro Loco, una tappa della mia vita Firma della Convenzione

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INDICE Pag.201 Pag. 203 Pag. 205 Pag.207 Pag.209 Pag.211 Pag. 212 Pag.214 Pag.216 Pag.218 Pag.219 Pag.224 Pag.227 Pag.228 Pag.231 Pag.231 Pag.233 Pag.234 Pag.235 Pag.239 Pag.241 Pag.243 Pag.244 Pag.245 Pag.247 Pag.249 Pag.252 Pag.253 Pag.255 Pag.258 Pag.261 Pag.264 Pag. 265 Pag.266 Pag.269 Pag.272 Pag.274 Pag.275 Pag.280 Pag.284 Pag.286 Pag.286 Pag. 288 Pag. 289 Pag. 291

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In margine ad un Ferragosto … Salvatore Ilaria Una visita a Caposele… Mario Sista romano Il sogno del Paese che vorrei… Concita Meo Un’idea di Caposele Emilia Cirillo Le donne di Caposele Milena Soriano Terra di Caposele – la nostra storia Alfonso Sturchio Cento studenti Europei a Caposele Nicola Conforti Predentazione V Volume Sorgente Alfonso Merola Che tipo di turismo vogliamo? Giuseppe Caruso Qualche delusione – Editoriale Nicola Conforti L’ultima mugnaia di Caposele Mario prof. Sista Foto ricordo e l’odore del passato Dora Garofalo Piccoli passi verso la crescita del Tur. Gerarda Nisivoccia Noi, la generazione perduta? Gelsomina Monteverde Nulla dies sine linea – Editoriale Nicola Conforti Lettera al Direttore Antimo Pirozzi Il cuore oltre l’infinito Tania Imparato Dieci anni di Forun dei Giovani Francesco Ceres Forza e coraggio …e un po’ di stabilità Concetta Mattia … Non dimenticare Caposele Luisida Caprio Un giornata eccezionale a Caposele Milena Soriano “Amare Caposele” - Editoriale Nicola Conforti Il n.90 della rivista: traguardo import. Cettina Ciccone Il tempo scorre inesorabile Luigi Fungaroli Tre eventi importanti Giuseppe Grasso Caposele, rivoluzionare … Concetta Mattia Un albero che cade fa più rumore … Nicola Conforti Benvenuti a Caposele Luigi Fungaroli Caposele, più ombre e meno luci Giuseppe Malanga Caposele non è un’isola felice Giuseppe Caruso Siamo tutti nella stessa barca… Gelsomina Monteverde Malgrado tutto … si riprende Nicola Conforti Passata è la tempesta … Nicola Conforti Riflessioni dal finestrino di un treno Donatella Malanga Ritornare a credere Tania Imparato Legami di sangue, vincoli d’amore Cesarina Alagia Nuove rubriche - Editoriale Nicola Conforti Discorso di insediamento – Sind. Melillo Lorenzo Melillo Una storia incredibile Gerarda Nisivoccia Cambiare tutto per non cambiare … Gabriella Testa La memoria Salvatore Russomanno Il riscaldamento globale Angelo Ceres Più che un articolo … Roberto Notaro La forza di Caposele Maria Caprio La cascata … che non c’è – Editoriale Nicola Conforti

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INDICE

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Maria Caprio Pag.292 Donatella Malanga Pag.295 Armando Sturchio Pag.299 Nicola Conforti Pag. 301 Salvatore Conforti Pag.302 Angelo Ceres Pag.304 Salvatore Conforti Pag. 306 Gerardo Vespucci Pag.308 Concita Meo Pag. 311 Concetta Mattia Pag.313 Umberto Gerardo Malanga Pag. 317 Nicola Conforti Pag.318

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La ruota… un’invenzione straordinaria E’ inutile per l’uomo conquistare… Materdomini: la valorizzazione … Aspettando il numero 100 – Editoriale Stele a Dio Silvano Effetto farfalla Verso il numero 100 Caposele 2020: un paese aperto … Un albero per tutti: la storia La Pro Loco che verrà Ciao a tutti Concusioni: non è un editoriale

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ANTOLOGIA CAPOSELESE di Nicola Conforti prefazione di: Gerardo Ceres Progetto grafico: Salvatore Conforti Grafici: Nicola Conforti Edizioni “La Sorgente” 2020 Tipografia Martino - Buccino (SA)

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A Italia, dolce, meravigliosa e preziosa compagna della mia vita.

Euro 10,00

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ANTOLOGIA CAPOSELESE

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NICOLA CONFORTI

2021

Prefazione Gerardo Ceres

ANTOLOGIA CAPOSELESE Viaggio de La Sorgente verso lidi che ci parlano della vita del paese, ricchi di fascino e di suggestione


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NICOLA CONFORTI

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Euro 10,00

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ANTOLOGIA CAPOSELESE

NICOLA CONFORTI

2020

Prefazione Gerardo Ceres

ANTOLOGIA CAPOSELESE Viaggio de La Sorgente verso lidi che ci parlano della vita del paese, ricchi di fascino e di suggestione

Laurea in ingegneria civile, libero professionista e insegnante di ruolo di Costruzioni. Nel 1973 ha fondato la Pro Loco Caposele ed il giornale “La Sorgente”. E' stato Consigliere Provinciale nel 1970. In pensione da alcuni anni, si dedica con passione al giornale, che dirige ininterrottamente fin dalla sua fondazione e ad altre attività culturali tutte finalizzate al progresso civile e sociale del suo paese natio. Ha ideato e diretto quattro filmdocumentari le cui riprese sono state eseguite magistralmente dal cugino omonimo di Sorrento: “Un anno a Caposele” del 1979, “Caposele, ricordi e pensieri” del 1981, “Caposele, una città di sorgente” del 2008, e “Amare Caposele” del 2019. In collaborazione con Alfonso Merola ha curato la pubblicazione del libro “Caposele, una città di sorgente – editore Selino del 1994. Per le edizioni La Sorgente ha curato: “Gente di Caposele”, “100 Copertine” ed infine “Antologia Caposelese”. Inoltre ha raccolto in sette volumi tutti i numeri de La Sorgente dal 1973 al 2020 per complessivi 3500 articoli.

NOTE DELL'AUTORE Questo volume si inserisce in una collana inaugurata con il libro “Caposele, una città di Sorgente” e proseguita con “Gente di Caposele” , con” 100 Copertine” e con la “Antologia Caposelese” . In corso di allestimento: “ Venite a Caposele” e “Caposele nei nostri ricordi”. Continua l'affascinante viaggio de La Sorgente verso lidi che ci parlano della vita del paese, ricchi di fascino e di suggestione. Questo libro, come tutte le antologie, non va letto come un romanzo. Antologia è sinonimo di florilegio: leggete la prefazione di Gerardo Ceres e poi apritela a caso, vi troverete sempre “un fiore da raccogliere”, una “poesia da meditare”, un “ricordo o una storia” che ci parla del tempo e del luogo in cui viviamo. Il libro abbraccia i vari periodi storici che vanno dagli anni 70, anni di serenità e di creatività, agli anni 80 con i disastri del terremoto ed le ansie della ricostruzione, per tornare, negli anni novanta ed oltre, alla piena e più completa normalità.


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