Sorgente 100

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PERIODICO A CURA DELL'ASSOCIAZIONE TURISTICA PRO LOCO CAPOSELE FONDATO da NICOLA CONFORTI NEL 1973

facebook La Sorgente Caposele

Anno 47° XLVII -

AGOSTO 2020-

http://issuu.com/lasorgente

Direttore Nicola Conforti

confortinic@gmail.com

Foto di Salvatore Cassese

100

Reg.Trib. S.Angelo dei L. n.31 del 29.1.74 - Sp. in A.P. art.2 comma 20/c L.662/96 Dir. Comm. Avellino -sem.-

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EDITORIALE

on il NUMERO 100 de La Sorgente si avvera un sogno che credevo irrealizzabile.Il cammino non è stato semplice specialmente l’ultimo tratto, irto e pieno di insidie. Ha vinto la tenacia, la passione, la costanza ed il sacrificio di quanti hanno creduto in questa iniziativa, densa di prestigiosi record di continuità e di longevità. Una serie di motivi, legati allo svolgimento dell’intero percorso, sono alla base di questo successo. In primis, l’aver saputo mantenere il livello della pubblicazione al passo con i tempi cadenzandoli in parallelo con l’evoluzione tecnologica della stampa. Nel tempo le caratteristiche della nostra pubblicazione hanno toccato livelli competitivi con le riviste più accreditate. Anzi a differenza di queste ultime, la nostra non è stata mai infarcita di pubblicità, di inglesismi e di pettegolezzi. La sorgente è a tutti gli effetti un giornale di successo. Solo a Caposele viene acquistato da circa duecento persone. Per non parlare delle tantissime richieste da parte di nostri concittadini in Italia ed all’Estero. In più, da alcuni anni, affianchiamo al cartaceo anche la versione on-line e non solo. Disponiamo di una seleteca con centinaia di pubblicazioni di autori caposelesi tra cui i 100 numeri de La Sorgente. “100 e non li dimostra” si legge in un articolo: credo sia proprio vero. Il giornale è fresco, moderno e giovanile. E con i l numero 100 si conclude, dopo la bellezza di 47 anni, il mio lungo e faticoso percorso. E’ con grande tristezza che annuncio il mio commiato da un giornale al quale ho dedicato tanti anni di appassionato impegno. Arriva pure il momento in cui bisogna tagliare il cordone ombelicale che ci tiene legati alle cose belle e care della vita. Mi resta la soddisfazione di aver vissuto una favola meravigliosa ed interessante, portata avanti con amore e devozione. Un ringraziamento lo devo a tutti voi, che avete avuto la pazienza di leggermi, ed in particolare ai miei straordinari collaboratori. A loro affido la continuazione di questo viaggio e la responsabilità di mantenere in vita questo giornale per molti e molti anni ancora. Nicola Conforti

100 numeri di Caposele

È

con vero piacere che saluto gli amici de “La Sorgente”. Ringrazio vivamente la redazione e il suo Direttore l’ing. Nicola Conforti che hanno voluto fortemente un mio scritto per il numero 100 del giornale e sono stati molto pazienti nell’attenderlo. La centesima edizione de “La Sorgente” è un grande traguardo che inorgoglisce non solo il suo fondatore e direttore ing. Nicola Conforti, ma l’intera comunità. Sono certo, infatti, che a livello nazionale, siano rare le pubblicazioni di periodici locali così longeve e partecipate. Come Sindaco di Caposele non posso che plaudere ad un' esperienza come questa, che è oggi patrimonio culturale, memoria storica e testimonianza contemporanea degli accadimenti, delle opinioni e degli slanci di cui è capace la nostra popolazione. Mi auguro che, pur nel rinnovamento, mantenga l’entusiasmo e la tenacia che hanno contraddistinto il suo direttore, e che rimanga, con sag-

gezza ed equilibrio, come è giusto che sia, uno scrigno ricco del contributo di tutti, un luogo ameno, plurale e partecipato, una finestra aperta sulla bellezza del nostro territorio. Porgo, a nome mio e di tutta l'Amministrazione Comunale, sentiti complimenti a tutti i redattori per la grande meta raggiunta e i migliori auguri a La Sorgente ed alla Pro Loco per questi, e per altri 100 numeri a venire. Viva Caposele!

Il Sindaco Lorenzo Melillo


In seconda... 100 Un numero importante Cento. Si parte da Cento.

Giuseppe Silvestri Presidente Unpli Provinciale di Avellino

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uando di recente ho chiesto alla presidente della Pro Loco di Caposele, architetto Concetta Mattia, di scrivere un intervento da pubblicare su Il Quotidiano del Sud insieme ad altri articoli di altre Pro Loco sulle risorse culturali di Caposele, mi segnalò la preoccupazione di organizzare la manifestazione a causa del Covid 19 riguardante il numero 100 cui era giunto il periodico La Sorgente. Si intuiva facilmente che rappresentava non solo la sua preoccupazione ma dell'intera Comunità di Caposele. Il numero 100 è un grande risultato che premia l'intuito del fondatore Nicola Conforti ed inorgoglisce tutte le persone che nel tempo si sono impegnate e si stanno impegnando nella realizzazione. E' un vanto per tutta la Comunità di Caposele, che è molto attiva p e r a v e r a r r i c c h i t o l ' o ff e r t a culturale grazie alla concertazione dell'Amministrazione Comunale e le associazioni con la creazione di vari musei e che attraverso La Sorgente fa conoscere la sua storia, le risorse notevoli delle sorgenti di acqua, le ricche tradizioni, la gastronomia tipica tra cui le matasse, il mulfletto e non per ultimo il Santuario di San Gerardo cui gli irpini sono devoti. L'Irpinia è attraversata da un forte escursionismo e di uno scarso turismo. Le potenzialità dello sviluppo turistico ci sono tutte. Per fermare lo spopolamento delle zone interne è possibile e doveroso sviluppare il turismo. Tutti oggi ne parlano. Ieri non era così. Nell'ultimo ventennio vi è stata una grande attenzione da parte dell'associazionismo e permettetemi di dire anche delle Pro Loco nel far comprendere e conoscere il patrimonio culturale della nostra terra. Faccio i complimenti a nome mio e di tutte le Pro Loco irpine alla Comunità di Caposele, alla Amministrazione Comunale, alla Pro Loco di Caposele, alle associazioni presenti, e in modo particolare al Periodico La Sorgente per aver raggiunto un risultato importante e l'augurio di continuare nell'impegno nella promozione culturale e turistica del territorio coerentemente al pensiero del suo fondatore. L'Unpli provinciale di Avellino seguirà con attenzione il vostro impegno.

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CARO NICOLA.... TI SCRIVO

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iamo a Maggio, il mese romanticamente delle rose e della natura in fiore. E, in effetti, è ciò che si vede attorno a noi. La stagione non ha subito, per sua fortuna, il “lockdown” e sembra che la vegetazione sia più rigogliosa e colorata. Procede libera nella sua codificata evoluzione, in forte contrasto con l’atmosfera malata che ancora ci avvolge, rallentando o congelando progetti e decisioni. Un’altalena di sentimenti e sensazioni, a volte negative a volte positive che si uniscono ad ansia e preoccupazione, per notizie che non avremmo mai voluto ascoltare, consigli e parole in abbondanza su tutto e da tutti e tante contraddizioni. Una prova terribile per tutta l’umanità, dalla quale dovremmo trarre i giusti insegnamenti! Si vive in una sorta di “bolla” in cui tutto sembra sospeso, in attesa della luce in fondo al tunnel, attingendo al serbatoio della speranza, con tanto desiderio di una quotidianità serena, di progetti e di poterli realizzare, di discorsi alternativi, di “voltare pagina”. E allora......anch’io smetto di parlarne! Archivio le famigerate “goccioline” di quell’essere vigliacco e nefasto che ci sta sottraendo un pezzo della nostra vita. Distolgo la mente e mi accingo a rispondere all’invito di Nicola Conforti, Direttore de “La Sorgente”, di scrivere un pezzo per lo straordinario, prossimo N°100. Più che un invito è il “memo” di un impegno a collaborare, già preso tacitamente, quando, a grandi linee, si accennò alla stesura di un programma adeguato all’eccezionalità ed importanza dell’evento, legato appunto alla centesima pubblicazione del periodico di Caposele. Era il 23 dicembre dello scorso anno e la Sala Polifunzionale era affollata per la presentazione del 99° numero de “La Sorgente”. Una bella occasione di incontro di tanti amici e parenti, resa ancora più festosa e serena dall’atmosfera natalizia. In quella circostanza il nostro Direttore annunciò, con grande e meritato orgoglio, misto a commozione, l’imminente, ambito numero 100 . Una pietra miliare, esaltante, di un percorso lungo, faticoso, emozionante, che avrebbe richiesto la collaborazione di tutti per onorare un simile traguardo. Una meta straordinaria che, purtroppo, avrebbe coinciso con l’ultima pubblicazione da lui diretta e quindi definito un necessario passaggio di testimone in altre mani consapevoli di ricevere un’eredità, tanto preziosa quanto onerosa, e di tutelare , nel rispetto del cammino fatto, un così grande patrimonio per consegnarlo, sempre vitale, alle future generazioni.

Anno 47° XLVII - Agosto 2020 N.100

Durante l’intervento guardavo con affetto Nicola. I suoi tratti rivelavano giustamente lo scorrere degli anni, ma il suo spirito era ancora determinato e propositivo. Ascoltavo e, apprezzando la sua puntuale e serena capacità espositiva, coglievo nelle espressioni della voce e del volto i segni dell’infinito attaccamento a Caposele e dell’amore sconfinato per la sua “creatura”: il giornale da lui fondato nel 1973, arrivato gloriosamente alla soglia del N°100. Come Nicola, anch’io, cento numeri fa, ero assai più giovane, da poco sposata con Giovanni, alle prime vacanze estive caposelesi. Nell’entusiasmo condiviso dalla “ bella gioventù” di allora, cooperante, costruttiva, partecipe, nacque il “Ferragosto Caposelese”: un’ esplosione di fervida fantasia e operosa creatività. Idee pensate ed attuate, supportate dalla voglia e dalla forza della giovinezza! Tutto ciò che si organizzava era nuovo, mai proposto prima: una attrazione irresistibile sia per gli abitanti che per i villeggianti. Il Calendario delle manifestazioni era fitto fitto di eventi sportivi, culturali, gastronomici, folcloristici, religiosi. Ciascuno contribuiva con le proprie competenze, peculiarità e tempo libero. Eravamo tanti.. ... C’erano tutti: fratelli, parenti, amici cari ed anche qualche simpaticissimo <s’avessa fa’>. In quel “Rinascimento caposelese” ,” La Sorgente”, ancor giovane, fu portavoce e fedele referente delle varie attività, con un vasto repertorio di immagini, curiosità, articoli . Un bagaglio enorme di materiale, destinato a diventare nel tempo archivio storico di grande interesse. “La Sorgente” è bella di veste e di stampa. E’ importante per i contenuti e per la sua funzione di comunicazione, sempre al passo con le nuove tecnologie. E’ prestigiosa: nessun altro periodico della sua fascia la supera. Custode di memorie storiche, è nel contempo voce propulsiva ed attenta. Spazio aperto a tutti e su tutto, svolge il ruolo di messaggero, nel mondo, della realtà del paese. Tutto ciò è frutto di un grande, costruttivo lavoro di squadra: preziosi collaboratori, affezionati e valenti redattori, tra cui “penne storiche” e “new entry”, che rappresentano le radici ed i nuovi rami: linfa vitale affinché il giornale possa proseguire il suo impegnativo viaggio nei tempi a venire. Esempio di inossidabile, amorevole sinergia tra dedizione e professionalità, “La Sorgente” è riuscita a procedere, attraverso decenni, tenacemente, nel “bene e nel male”, con pagine amene, specchio di momenti felici, e pagine amare e combattive, a ricordo di eventi drammatici della comunità e del territorio. Senza mai arrendersi!!

GIORNALI DI PRO LOCO:

preziosi diari del territorio e delle piccole comunità locali Fra di essi, “La

Sorgente”

di

Caposele è il veterano della regione Campania (Il servizio di Paolo Ribaldone a pag.57)

Direttore Nicola Conforti

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Cultura

Continuiamo con questa serie di racconti brevi. Storie ed aneddoti su personaggi che hanno arricchito l’immaginario di Caposele nel corso dei decenni passati.

IL CORSO DELLE COSE (La macchina che abbola)

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i Don Achille Pizza, parroco di Caposele fino al 1970, ci resta il ricordo di una figura possente e all’apparenza rude e grossolana. Ci raccontano, poi, di una personalità molto disposta alla giovialità, all’allegra compagnia, specie se attorno ad un tavolo per giocare a carte. Viveva la contraddizione di “parroco di campagna” che ha dovuto accompagnare la transizione post-conciliare, cioè dal celebrare ancora messa in latino e poi abituare i fedeli alle liturgie in volgo comune. Nelle sottigliezze linguistiche ci si abitua con la sagacia che rende preziosa ogni intuizione o affermazione, in altri termini, ogni battuta. Capitò anche quel pomeriggio di maggio quando nel bar di Peppe Melillo, miezza ‘a li chianu, di lato alla chiesa madre, dove don Achille stava t’rziann nu tressette a perd. In attesa della funzione vespertina, arrivò Angelo Sturchio con una Fiat 850 nuova di zecca. Angelo si avvicinò a don Achille e gli chiese la cortesia di benedire l’auto appena acquistata. Solo che gli chiese di poterla benedire – per volere di sua madre Maria, devotissima della Madonna - presso la chiesa della Sanità. Con lo sguardo don Achille disse ciò che la sua bocca mai avrebbe potuto pronunciare: ma figliu miu, criri ancora a st’ strunzate ? Interprete della saggezza millenaria della Chiesa, don Achille non poteva non assecondare la credulità, pardon, la credenza popolare e si dichiarò disponibile appena finita la partita. Appena pronto, don Achille fu fatto salire sull’auto di Angelo Sturchio per dirigersi alla Sanità, lungo via Roma in parte sterrata e in parte catramata, comunque piena di buche, tante e tali da far sobbalzare l’auto. Terminato il rito della benedizione con l’acqua santa, riposta la stola in sacrestia, don Achille – interrogato l’orologio da polso – chiese di essere riaccompagnato alla chiesa di San Lorenzo per la celebrazione della messa vespertina. Rifacendo lo stesso tratto di strada dell’andata, don Achille catturò l’attenzione di Angelo Sturchio con un lapidario: “miracolo !!”. Angelo sgranò gli occhi in modo interrogativo.

Don Achille, prolungando la pausa, aggiunse: “hai visto? Dopo la benedizione la macchina abbola, cumm si ‘r buc si fosser acchianate tutt quant”. Neppure nella cinematografia di Bunuel o di Fellini si ritrova una scena così profondamente surreale, ma a Caposele poteva accadere in un sonnolente pomeriggio del mille novecento sessantotto, grazie a don Achille Pizza ed Angelo Surchio alla guida della sua nuova Fiat 850, appena benedetta, che abbolava sopra le buche di via Roma.

(Tra fori e p’rtusi) A proposito di buchi o di fori, ancor meglio di p’rtusi, ci viene consegnato un altro aneddoto su un caro amico, Ezio Caprio, recentemente scomparso e che vogliamo ricordare con particolare affetto. Sempre nel 1968, si era in attesa del completamento della riforma scolastica relativa agli Istituti d’Istruzione superiore. Molti Istituti ambivano all’autonomia con una strutturazione dei propri corsi di studio. Con la prospettiva di candidarsi all’ottenimento di qualche incarico di poche ore in diritto, Ezio Caprio si fece accompagnare dal preside del Professionale di Lioni da un giovane amico già impegnato in politica, esattamente con quella sinistra di base, già potente nell’allora Democrazia cristiana irpina Il preside era Pompeo Pasquale, divenuto molti anni più tardi ondimenticato sindaco di Cassano Irpino. Una volta accomodati nella stanza della presidenza, terminati i convenevoli di rito, Ezio cominciò a delineare il suo curriculum: “ … ed ora, sono avvocato presso il foro di Salerno, patrocinante presso il foro di Roma e Milano, con collaborazioni presso i fori di Napoli, Avellino, Firenze e Perugia…”. Completata la presentazione, Ezio rimase in silenzio, non privo di imba-

parte XVII

razzo nell’attesa che il preside gli chiedesse dell’altro. Questi, invece, prima di parlare, annusò una sigaretta senza filtro, la portò alle labbra, l’accese, inspirò intensamente, sospirò il fumo e disse: “Avvocato, sento che siete occupato in molti fori, ma perché non lasciate a qualcun altro questo che –nel caso nostro- più che un foro è nu p’rtusu?“ Non ci fu altro da aggiungere. Risposta chiara ed inequivocabile.

(Aggiu ntrupp’catu inta ‘ru vacant) Tornando alle buche di via Roma, rispolveriamo un altro aneddoto, già narrato in questo corso delle cose. Aveva a che fare con un altro personaggio molto caro alla memoria collettiva di Caposele: Angelo Meo, N’giulino Papusciu… E si narrava di un pomeriggio qualunque davanti al bar di Faluccio. Chi seduto sul gradino, chi in piedi. Regnava la conversazione vacua e leggera. Ma tutto poteva, all’improvviso, succedere. E quel giorno successe. Infatti, dalla direzione di piazza d’Auria vedemmo scendere Angelo Meo, meglio conosciuto come N’giulino papusciu, che, col suo modo di camminare, solo all’apparenza gradasso, fischiettava un’aria da hit-parade. Quando si rese conto di essere osservato il suo fare si fece più baldanzoso e il fischiettìo più tonante e deciso. Con sguardo fiero e alto nella prospettiva continuò a scendere fino ad avvicinarsi a pochi metri. Tutti ci aspettavamo la solita sua battuta di giornata. Cose sempre amene e leggere su cui ridere. Come fu e come non fu, in un batter di palpebre, N’giulino sfigurò per terra, rovinandosi il viso sull’asfalto ruvido di via Roma. Molti ebbero un moto istintivo di pronto intervento e soccorso. Ma N’giulino fu più veloce e lesto di tutti. Si alzò, si scotolò la maglietta e il pantalone e, col viso scorticato e sanguinante, guardandoci con la fierezza del guerriero che da ragazzo era stato, aggiunse

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di Gerardo Ceres

semplicemente, con calma serafica: “aggiu ntrupp’catu inta ‘ru vacant” (sono inciampato nel vuoto). E se andò in direzione dalla quale era venuto. Così, semplicemente. Il vacante di Angelo Meo mi riporta alla mente un altro vuoto, questa volta a diecimila metri d’altezza, un vuoto d’aria che tradì la malcelata tranquillità di Nannina, moglie di Vitale Giolitti.

(Il vuoto d’aria) Nannina, aveva casa dirimpetto alla mia, in via Ferdinando Palladino. Me la rividi dopo qualche mese di assenza, essendo andata a trovare il figlio in Venezuela. La rividi con un’evidente fasciatura al capo. Alla mia domanda su cosa fosse successo, mi raccontò che durante il volo di ritorno, durante una fase da crociera (quindi senza l’obbligo delle cinture di sicurezza) all’improvviso di presentò una turbolenza che causò una caduta di quota, un cosiddetto vuoto d’aria, tale da far sobbalzare tutti i passeggeri. Anche Nannina si ritrovò sollevata violentemente, andando a sbattere con la testa sotto la cappelliera del Dc 9 dell’Alitalia, la compagnia di bandiera. Solo all’arrivo all’aeroporto di Fiumicino fu adeguatamente trattata con una fasciatura tendente a ridurre un maledetto ematoma. Non sarebbe più tornata in Venezuela, in quel paese mèta, nel dopoguerra, di tanti caposelesi emigrati alla ricerca di fortuna nel nuovo mondo. Anche la famiglia di Nannina fu segnata da questo epocale esodo: Vitale, suo marito, e Gerardo, suo figlio animarono la comunità caposelese di Caracas… ma questa è tutt’altra storia, che ci permetteremo di scandagliare in futuro, nel nostro corso delle cose.

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100… MA NON LI DIMOSTRA di Raffaele Loffa

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eggo con piacere “La sorgente” dagli anni Ottanta del secolo scorso. Proprio nel 1980, nella mia qualità di sindaco di Carife, ebbi modo di conoscere l’ingegnere Nicola Conforti, quale progettista dell’edificio della Scuola Media del mio paese. Ebbi subito modo di conoscere ed apprezzare non solo le sue doti professionali, ma anche quelle umane e morali: una persona sempre pacata, gentile, educata, dal comportamento ineccepibile e dai modi sempre distinti e signorili. I lavori di costruzione della bella e funzionale struttura scolastica, nella quale anch’io ero docente di ruolo di Lettere, furono appaltati proprio nell’estate del 1980, poco prima del terremoto e solo due mesi dopo la mia elezione a sindaco, che era avvenuta nella primavera di quell’anno, nefasto per tutti i paesi dell’Irpinia e non solo. Gli anni che seguirono consolidarono la nostra amicizia ed incominciai a leggere la rivista, che ormai mi viene recapitata costantemente e puntualmente ancora oggi. Siamo arrivati al fatidico numero 100: un traguardo straordinario, che forse all’inizio nessuno osava sognare… Anche se non sono caposelese leggo sempre con infinito piacere e “godimento” La Sorgente, nella quale un cittadino nato a Caposele trova tutto quello che vuole e serve per sentirsi sempre a casa, anche quando le vicissitudini della vita lo abbiano portato lontano, a migliaia di chilometri di distanza dal “natìo borgo”. La vita quotidiana della comunità caposelese, gli eventi cittadini, lieti o tristi che siano, le vicende politiche del paese, i fermenti culturali fortissimi ed evidenti, le istanze sociali, i progressi di molti cittadini che si sono distinti ed hanno avuto successo in ogni campo rappresentano una riserva inesauribile cui attingere a piene mani e costituiscono il lievito madre necessario per far crescere l’amore che lega ognuno di noi al proprio luogo di nascita. Chi è lontano, ma anche chi ha avuto la fortuna di non essere stato costretto ad emigrare, ha bisogno proprio di una rivista come questa, per mantenere integro, vivo, funzionale ed efficace il cordone ombelicale che lega ognuno di noi al proprio paese ed alla gente che vi abita, alla sua storia ed ai propri antenati, alle radici insomma.

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Io gestisco e curo da qualche anno un sito internet dedicato alla storia, alla cultura ed alle tradizioni di Carife, il mio paese di nascita (www.carife.eu) e mi rendo conto quotidianamente che i Carifani, ovunque si trovino nel mondo, sono letteralmente affamati ed assetati di conoscere la storia del proprio paese natale, dei propri antenati, dei quali cercano foto e ricordi, unitamente alle antiche immagini del paese com’era al tempo della loro infanzia spensierata, con i suoi vicoli, con le sue “cupe” con la piazza affollatissima e chiassosa. Spesso purtroppo chi manca da troppo tempo da Carife stenta a riconoscere i luoghi dell’infanzia, tanto il paese è stato stravolto dal terremoto del 23 novembre 1980. Proprio questo compito o ruolo ha svolto con grande successo il periodico “La Sorgente” in tutti questi anni: alimentare il cordone ombelicale della Comunità caposelese, mettendo a disposizione di tutti il proprio amore viscerale ed attaccamento tenace al proprio paese natale, come ha fatto l’amico Nicola Conforti in questi anni, in qualità di Direttore della Rivista, facendo arrivare a 100 il suo indice di gradimento. Ha mantenuto vivo il ricordo del proprio paese e della sua gente in chi è andato via, ma si ostina a non voler tagliare quel cordone o recidere le radici, ed anzi le ricerca costantemente in ogni momento. Molti di noi sono venuti a Caposele per incontrare San Gerardo. Ricordo la prima volta che arrivai a Materdomini: ero poco più di un bambino e vi arrivai a bordo di un camion stracolmo di pellegrini, con mia madre e mio padre: fui affascinato dalle montagne che sovrastano Caposele e, soprattutto, da un maestoso palazzo con tante finestre: non ero mai uscito da Carife e non avevo mai visto nulla di simile. Solo un paio d’anni dopo (era il 1955 e di anni ne avevo ormai undici…), a Caserta, sarei entrato in un edificio ancora più grande per frequentare la Scuola Media prima ed il Liceo Classic dopo: l’Istituto Salesiano, dove avrei passato otto anni, tra i più belli della mia vita: lì avrei conosciuto Don Bosco e San Domenico Savio, un santo morto a 14 anni della stessa malattia di San Gerardo, la tisi, che in passato falcidiava la popolazione.

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Ma veniamo alla mia prima volta a Caposele. C’era tanta gente quel giorno a Materdomini e tante bancarelle che vendevano di tutto, immagini del Santo, giocattoli che non avevo mai visti, filze di nocciole, arachidi, grossi taralli zuccherati, biscotti di colore marrone fragranti e saporiti, che mia madre chiamò subito “Tatuni”, “copete” e torroni a pezzi sistemati l’uno sull’altro. Guardavo con gli occhi sbarrati e non riuscivo a capire come mai la gente comprasse fagioli, ceci, origano, formaggio, tutte cose che a casa nostra non mancavano. Il disastroso terremoto del 23 novembre 1980, purtroppo, cancellò molto di quell’atmosfera magica che avvolgeva il Santuario: le tante comodità che oggi si hanno a Materdomini, gli spazi immensi che circondano la nuova e moderna Chiesa, la comodità degli accessi stradali, il fruscìo dell’acqua che si sente sempre di meno (non perché io sia diventato sordo per l’età…) hanno un po’ offuscato ed appannato l’incanto che una volta circondava il Santuario: solo la facciata della vecchia Basilica, la sua scalinata ed i tanti pellegrini che si aggirano per la frazione di Caposele evocano il posto dell’anima…che vidi da bambino e ricordano che il fascino esercitato da San Gerardo è immutato nel tempo”. Carissimo Nicola, in tutti questi anni, con la “tua” Rivista, hai portato in giro per il mondo le “Chiare, fresche et dolci acque” della Sorgente di Caposele, della sua cultura della sua storia, della sua umanità, della sua gente ed hai consentito a tutti noi di berne a volontà.

Per questo ti ringrazio e mi auguro che la Rivista possa aggiungere altri cento numeri alla già ricca e prestigiosa collezione.

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La pagina del Presidente

OGNI TRAGUARDO È (ANCHE) UNA RIPARTENZA

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pesso si dice che la realtà supera la fantasia, e come non essere d’accordo soprattutto oggi? Chi avrebbe mai potuto immaginare tutto quello che è successo e che ancora succede? Addirittura una Pandemia, e ancora una volta, i nostri piani, i piani di tutti, sono stati stravolti e ancora una volta, abbiamo dovuto trovare soluzioni, non tanto peggiori o migliori ai problemi che si sono presentati, ma alternative, creative e diverse sì, perché la vita, con tutto quello che comporta, va avanti e il tempo passa, chiedendo a tutti di fare appello a una delle nostre migliori e più importanti qualità: La nostra resilienza! La nostra capacità (che abbiamo tutti, chi più e chi meno, ma tutti), di “riprendere forma e funzionalità” di ricostruirci e di ricostruire, di ricominciare con rinnovato vigore e con modi o forme più utili, nonostante gli ostacoli, gli stravolgimenti, i blocchi e quant’altro si sia potuto intervenire dall’esterno. Forse, poche cose come la nostra Comunità, l’associazione Pro Loco e il periodico “La Sorgente” ne sono la dimostrazione concreta. E certamente, se c’è un complimento che voglio continuare a fare a queste realtà, è proprio questo: Sono state e sono grandi esempi di resilienza! Parlando solo di “associazione e giornale”, in quanti avrebbero mai scommesso che si sarebbe arrivati a stampare (e ad accompagnarne la realizzazione) 100 numeri di un giornale che parla solo di un piccolo paese in provincia di Avellino? Eppure, eccoci qui, nonostante tutto, a tagliare questo primo importante traguardo! Magari non è tutto proprio come avremmo voluto ma piuttosto com’è stato possibile, comunque, sempre con lo stesso attaccamento, rispetto e dedizione verso questa pubblicazione, che è sì della Pro Loco, ma di più, è patrimonio collettivo di noi caposelesi, per quello che ha sempre rappresentato e rappresenterà, oramai per sempre, per la storia del nostro paese. Semplicemente leggendo gli articoli del n. 99 ci si rende conto di quanto abbiamo dovuto e di quanto ancora dovremo modificare dei nostri programmi: Scrivevo in quel frangente, di cerimonie e festeggiamenti articolati, di inviti importanti, di radunare e raggiungere amici vicini e lontani, di discussioni con esperti sul tema dell’editoria locale, che ci avrebbero aiutato a traghettare verso il futuro del nostro periodico, di testimoniare questo traguardo concretamente in un luogo di Caposele, ma anche semplicemente della continuità funzionale dell’associazione, di una nuova sede, dei progetti in corso e in cantiere per i prossimi anni, di come far continuare feste e celebrazioni tradizionali che ci distinguono, del futuro del SIMU Caposele, della scelta, in via di perfezionamento, di diventare una Pro loco APS (associazione di promozione sociale) per avere ulteriori vantaggi ed agevolazioni gestionali, delle elezioni del nuovo comitato direttivo che avrebbe dovuto gestire, con ritrovato slancio tutto questo nei prossimi anni: programmi e piani che potrebbero sembrare esagerati,

ma che invece rispecchiano solo quanto “bolliva in pentola” e che bolle ancora! Ma tutto quanto è stato stravolto, saltata ogni scadenza che pure ci eravamo dati per raggiungere gli obiettivi, e adesso allora? Che si fa? Come si procede? Innanzitutto, come abbiamo fatto e stiamo facendo, si procede, e si cercano non solo altre vie, ma altre possibilità, si ascoltano altri pareri, consigli e si cerca di trovare, pur nella fase di crisi (che è anche una meravigliosa fase di rivelazione, che fa scoprire, ad esempio, il meglio e il peggio di te stesso e di chi ti circonda) l’aspetto utile, positivo e incentivante. I programmi si cambiano e si adattano proprio per essere portati a termine o gestiti nonostante quello che accidentalmente pure accade. E infatti, ripartendo proprio da quando avevamo immaginato e programmato, appena ne abbiamo avuta la possibilità, e anche se è mutata la condizione in cui ci si trova, abbiamo iniziato a risagomare i progetti e le idee, certo anche rinunciando a qualcosa (e nel nostro caso a cose anche importanti), spostando i tempi di realizzazione, ma anche riuscendo a mantenerli, solo con un po’ di sacrificio, di organizzazione e di lungimiranza in più, alla fine; Infatti, ad esempio, questo n.100 esce e sarà festeggiato nel suo periodo naturale, ad agosto, nonostante tutte le restrizioni normative che ci sono, perché si è trovato un modo per farlo, diverso, ma non per questo peggiore o meno decoroso, anzi! Ma non potremo purtroppo, davvero purtroppo, ma voglio scriverlo a chiare lettere per evitare fraintendimenti, realizzare la nostra pur storica Sagra delle Matasse di Caposele, anche se un’ordinanza in merito alle sagre è stata genericamente concepita ed emanata, per il tipo di evento, ma soprattutto per la conformazione e l’ampiezza dello spazio a disposizione a Caposele, per non parlare di tutti i nuovi requisiti richiesti e i tempi ristretti in cui ci si dovrebbe organizzare, non riusciremo e abbiamo deciso come associazione di non voler proporre un’alternativa arraffazzonata approntata pur di realizzarla a tutti i costi: La nostra, per quanto di una sagra stiamo parlando, è un evento complesso, importante, che richiama molta gente che mangia, beve e balla per le strade del paese, cose queste che contemplano nuove responsabilità sociali e che prevedono ragionamenti e tempi congrui per arrivare a soluzioni utili, sicure e divertenti per la popolazione e gli enti coinvolti. Troveremo una soluzione certamente, ma altrettanto certamente, come purtroppo abbiamo avuto notizia di altre manifestazioni simili nei paesi vicini, pure disdettate, il prossimo 9 agosto non ci sarà la nostra Sagra e prima di pensare a quanto dispiace a voi, provate anche a immaginare quanto sta dispiacendo a noi che da oltre 40 anni la organizziamo e la valorizziamo ottenendo successi e stima da più parti. Stesso identico discorso, abbiamo dovuto farlo con la Corsa dei tre campanili, stesso grande rammarico condiviso con gli amici dell’ARS, ma grandi problemi ancora da risolvere nel settore, ci hanno

impedito di proseguire nell’organizzazione dell’evento sportivo che pure era già partita e per la quale, pure si troverà, speriamo presto, una normativa confacente. Ma ci saranno altre manifestazioni possibili, sulle quali abbiamo ragionato anche con le altre associazioni locali e che proporremo, aggiungendole a quella della presentazione del nostro centesimo giornale, serate di teatro, di cinema, presentazione di libri e altro che renderanno quest’estate comunque una bella stagione da vivere in paese, insieme, nonostante il rischio, di cui dobbiamo sempre e seriamente tenere conto. L’alternativa sarebbe stata quella di non fare nulla, un’opzione zero che avrebbe avuto più il sapore di una rinuncia socioculturale che non credo sia la risposta corretta. Più giusto e responsabile è trovare il modo di unire una comunità facendole passare del tempo insieme in modo attento, sicuro, certo se preferite, contingentato, ma non per forza meno divertente, o culturalmente valido. Sono anche iniziati, finalmente, i lavori per il miglioramento delle strutture del SIMU: Il museo delle macchine di Leonardo Da Vinci è stato adattato alla nuova normativa, sistemato per la fruizione in sicurezza da operatori locali e riaperto al pubblico, anche con l’ausilio di un’audioguida che è l’esempio di quanto i progetti realizzati in passato ritornano utili e, infatti, grazie alle strutture radiofoniche e alla sala d’incisione, ottenute coi progetti “Onde arancioni” e “Radio corrente Sele” siamo riusciti a registrarla “in economia” e con le voci e la competenza di ragazzi di Caposele che ringrazierò sempre per la disponibilità ; Il museo delle acque è oggetto dei lavori per l’efficientamento energetico e lo riavremo, migliorato e multifunzionale, per il prossimo autunno; la riapertura del parco delle sorgenti del Sele è stata un po’più complicata e ci si è anche lamentati con AQP, ufficialmente, come gestori e come amministrazione, ma la stesura dei protocolli idonei per una struttura del genere hanno comportato tempi e autorizzazioni diverse e maggiori, e alla fine, pure si è risolto. Abbiamo contribuito e collaborato con l’assessorato al turismo e il Forum dei giovani di Caposele, subito dopo il lockdown, alla sistemazione della biblioteca comunale e la prossima sede della “casa delle associazioni” in cui avremo un posto utile di rappresentanza; E’ stata programmata, mentre scrivo questo articolo, una riunione dedicata alla discussione su come vogliamo proseguire l’attività editoriale della pro Loco e in particolare dello stesso periodico La Sorgente, pure iniziata mesi fa e che adesso, attende più velocemente una svolta decisionale; Abbiamo fatto negli ultimi mesi, non potendo fare moto altro, un po’ di comunicazione sociale, supportando e divulgando le azioni della protezione civile comunale e dei volontari e attivando in questo senso, una raccolta fondi tra le altre associazioni locali che non hanno fatto mancare il loro supporto, allargata poi anche a tutta la cittadinanza che pure a risposto bene permettendo alle Caritas di Materdomini e Caposele e alla Pubblica Assistenza di aiutare a supportare nuovi bisogni che la situazione straordinaria di questa pandemia ha creato; Abbiamo ripreso e voglio rilanciare anche in questa sede, il tesseramento alla Pro

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di Concetta Mattia Loco Caposele, proponendo una tessera unica, al costo più accessibile di 10€, per potere, anche in questo frangente, fare correttamente le adesioni e prepararci nel migliore dei modi, alle prossime elezioni del comitato direttivo dell’associazione che restano da svolgersi nel prossimo autunno (ci si sta organizzando in tal senso) al più tardi, entro dicembre prossimo e pertanto rinnovo l’invito a sottoscrivere la vostra tessera della Pro Loco e a partecipare per migliorare, integrare e diversificare, se credete, l’azione dell’associazione, in modo democratico e positivo. Resilienza è anche questo e, permettetemi infine, un ringraziamento particolarmente sentito e affettuoso alla persona che, nella sua duplice veste di mio docente di Scienza delle Costruzioni prima, e di Direttore di questo periodico poi, la Resilienza me l’ha insegnata, dimostrandomi giorno per giorno, negli anni, in cosa questa si sostanziava, di quante e quali cose potesse essere fatta, le cose che poi, ho provato a mettere in pratica e che sono diventate anche la storia che ho scritto sin qui. Grazie a te, caro Nicola Conforti, per la tua di resilienza, che oggi, dopo tutto quanto di bello e di meno bello abbiamo condiviso, è anche un po’ la mia e rimarrà quale riferimento per i tempi che verranno. Comunque sia e qualunque altra cosa accada, te ne sarò sempre grata. Resilienza per il futuro, significherà altri modi e tempi probabilmente, altri soggetti, progetti e collaborazioni sicuramente; Almeno questo è quello che spero io, per questo periodico, per la Pro Loco Caposele e per tutto il mio paese. E allora, facendo affidamento sulla forza della nostra memoria e sugli insegnamenti passati, facciamo in modo che la realtà superi ancora la fantasia, gli ostacoli, le resistenze, e che ogni prossimo traguardo, sia una nuova e più entusiasmante ripartenza. Per questi primi 100 e per altri 100 ancora!

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“La Sorgente”: Voce libera eco di tutti

di Milena Soriano

“100” VOLTE AUGURI

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icostruire la storia di un paese attraverso le pagine di un giornale non è sempre facile, se ciò accade è un merito incredibile, dovuto alla bravura dei tanti collaboratori nel raccontare, nel saper ricordare avvenimenti e personaggi che hanno contribuito all’evoluzione della vita di un luogo, che da piccolo borgo, ha saputo valorizzare il suo territorio, promuoverlo, renderlo posto di accoglienza. Nato da un binomio vincente, “La Sorgente” giunge nelle case dal 1973 con la sua bella veste grafica, narrando eventi e tradizioni agli amici lontani, quelli più cari che hanno il paese nel cuore, a quelli vicini, che nonostante condividano giornalmente la vita del posto, cercano riscontri tra le sue riga… ed anche a chi non è nativo del posto e che ha imparato ad apprezzare questo giornale! L’Irpinia, terra ballerina, provò a fermarlo ma, come un’araba fenice, continuò la sua divulgazione con maggiore entusiasmo…ed anche oggi, periodo oscuro e mai vissuto, l’attenzione rivolta alla sua pubblicazione è stata importante, determinata alla realizzazione di questa significativa edizione “Numero 100”! Ed allora: Complimenti ed Auguri a Tutta la Redazione, ma il ringraziamento speciale va al Fondatore e Direttore: Ing. Nicola Conforti, che ha saputo curarlo per tanti anni con l’amore e dedizione che si rivolge ad un “figlio”!

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rimi anni Duemila. Ricordo ancora nitidamente quando fui invitata a pubblicare il mio primo ‘articolo’ sul tradizionale periodico caposelese. Non mi sembrava vero: scrivere sul giornale che avevo imparato a conoscere sfogliandolo a casa, grazie all’abbonamento da sempre sottoscritto da mio marito. Tante erano le emozioni provate: stupore, trepidazione e anche timore dovuto allo scotto del noviziato. Accettai quasi come una sfida, cercando di mettere insieme un testo che riprendesse l’esperienza legata al mio servizio di catechista, presso la nostra comunità parrocchiale. “Nuovo fermento a Caposele” era il titolo che diedi al mio ‘pezzo’. Sì, di fermento nuovo si trattava: avevamo evidenziato nel gruppo delle catechiste la difficoltà di incontrare i ragazzi, dovuta alla penuria degli spazi adeguati dove accoglierli. La mancanza di ambienti idonei è stato sempre un problema senza una concreta soluzione. Tuttavia, questo non scoraggiò noi catechiste: fu avanzata richiesta all’amministrazione comunale di allora di poter utilizzare l’edificio in via Imbriani, situato di fronte alla scuola materna delle Suore Vocazioniste. Questa struttura era stata destinata, nel corso degli anni, a svariati usi: nata come sede del Liceo Scientifico, fu adattata a Sede Comunale dopo il sisma del 1980; successivamente fu deputata ad accogliere la Stazione dei Carabinieri ed, infine, fu convertita a Scuola Elementare. In seguito al trasferimento delle Scuole nella sede attuale e poco distante, questo spazio era rimasto vuoto e inutilizzato. Avevamo individuato la possibilità di adoperarlo, dopo esser stato pulito e sistemato, per le varie attività di Evangelizzazione. Per un certo periodo fu così. Si creò quel “Nuovo Fermento” che pervase tutte noi. Avemmo la percezione che tutto questo avrebbe dato un forte slancio al nostro servizio: nacquero nuove amicizie, una nuova consapevolezza sul ruolo della catechesi, un rinnovato entusiasmo nel coinvolgere non solo i ragazzi, ma anche le loro famiglie. Prendeva corpo l’idea che l’azione evangelizzatrice non poteva e non doveva essere rivolta solo ai bambini e ai ragazzi, ma anche ai loro genitori, primi responsabili della trasmissione della fede; inoltre, si comprendeva

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già allora come la catechesi non era da considerarsi finalizzata esclusivamente ai sacramenti, ma era da intendersi come un cammino sistematico e una scelta di fede. Furono pensate e realizzate tante iniziative, ricordo anche le tombolate e le attività riferite alla scansione dell’Anno Liturgico. Purtroppo, a distanza di non molti mesi, dovemmo prendere atto della fatiscenza dei luoghi, ai quali non poteva essere più attribuita la certificazione di agibilità, venendo meno anche la sicurezza dei ragazzi che ci venivano affidati. Con rammarico fu deciso di lasciare lo stabile, ma quel Fermento che era nato tra noi, le relazioni e l’entusiasmo che ne derivarono non si spensero. Il Fermento aveva prodotto benefici effetti, che perdura fino ad oggi. Da quel mio primo articolo fu stretta una bella e significativa intesa con “La Sorgente”. Essa mi ha accompagnato nel tempo a conoscere più a fondo le tradizioni e le usanze del paese che mi aveva accolto. Percepivo che il rapporto che si andava costruendo mi aiutava a sentirmi meno sola e partecipe di una famiglia allargata. Leggendo le varie sezioni e gli aneddoti, riuscivo ad entrare in quell’idioma dialettale diverso dal mio (se ripenso alle difficoltà iniziali che provavo quando sentivo parlare mia suocera o gli anziani, me ne commuovo! ), ad imparare a riconoscere i volti, ad apprezzare gli stili di scrittura di coloro che negli anni hanno pubblicato storie e vicende personali. La mia crescita umana è passata anche da lì; infatti, poter condividere le esperienze di chi mi viveva accanto e di chi incontravo, anche fugacemente, mi ha insegnato tanto. E’ evidente che tutto questo è stato possibile, perché “La Sorgente” è Voce libera: a ciascuno è data la possibilità di esprimere la propria opinione, senza cadere nella banalità fine a se stessa; di offrire una critica costruttiva, che possa rivelarsi utile alla collettività. Inoltre, dare per scontato e per definitivamente acquisita la libertà di poter affermare, sostenere o confutare le tesi altrui è profondamente errato. L’art. 21 della nostra benemerita Costituzione italiana, che disciplina e sancisce la libertà di opinione, va difeso sempre e strenuamente. Ed è proprio in virtù di questo che ho potuto riscoprirmi più vicina alla mia comunità, anche quando ho avuto l’opportunità di manifestare il mio disappunto circa le questioni politiche che l’hanno interessata. La rilettura delle vicende, il rivisitare le emozioni, l’attraversare la delusione, il superare

di Tania Imparato

l’amarezza di quel periodo, la possibilità di poter fermare sulla carta e rendere il tutto pubblico ha prodotto in me un effetto catartico e liberante. Per questo il mio personale grazie va al fondatore, Ing. Conforti, per l’impegno e la tenacia nel portare avanti la sua creatura. Ringrazio, inoltre, tutta la redazione, che annovera tra i suoi membri il mio giovane amico Luigi Fungaroli. L’augurio che vorrei esprimere è anche un po’ il mio desiderio: che tale patrimonio storico-culturale non venga disperso. Mai. E’ un’eredità pesante, ma significativa per molti. Essa costituisce un legame ancestrale, vivo e forte per coloro che hanno dovuto lasciare il proprio paese. Auspico che la sua eco risuoni a lungo vivida, permettendo di rimanere ancorati alle proprie radici e di vivere con fierezza il senso di appartenenza che dona dignità ad ogni uomo.

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100 NUMERI SU 4 SPALLE o quasi

o mangiato pane e inchiostro, pane e radio, pane e proloco, pane e Caposele. Ho avuto nella mia vita occasioni di studio, di lavoro, ma anche di svago e hobbies. E adesso questi momenti di vita li ripercorro tutti contando da 1 fino a 100 e rivedendo le copertine, scegliendo le foto e gli articoli più significativi, collegando gli eventi e gli scritti ad ogni periodo della mia vita, come si fa quando si ascolta una canzone del passato. Ho una certa età e ricordo bene, grazie anche a queste immagini, tutti i passaggi dei ferragosti caposelesi pieni di vita e di entusiasmo già dal 1974 attraverso una mia presenza costante a mò di ombra rispetto alle tante iniziative che mio padre ed altri mettevano in atto in quei periodi. Caposele era il Paese più bello del mondo in cui, i giochi, gli intrattenimenti, le occasioni di svago non erano paragonabili a nessuna realtà di comunità viciniore. Un Paese in cui si realizzavano giochi sull'acqua (come quelli famosi senza frontiere che vedevamo in TV); mostre di fotografie ed estemporanee di pittura; rally automobilistici e gare di atletica, di

palla a volo, basket, palla a nuoto con la presenza di tanti campioni nazionali (ricordo Sante Marsili medaglia d'argento alle olimiadi); un Paese che aveva, già dal 1974 una Radio che comunicava a due province le proprie manifestazioni e con la sua voce, forte e chiara, invitava le persone a venire in questi luoghi pieni di genuinità e voglia di vita! Insomma un Paese all'avanguardia per civiltà e progresso e invidiato da tutti. Mi arrivano come flash limpidi e scanditi tutte le emozioni vissute nel laghetto artificiale, sul palco degli “artisti alla ribalta” sul palo della cucccagna, tra gli atleti della corsa campestre e ancor prima a bordo di una “bianchina” decappottabile (mannaggia a me!...). Scrivo di queste cose, ma veramente trovo una difficoltà enorme a controllare una botta di nostalgia che mi assale e mi confonde i concetti da riportare su una pagina di questo giornale che ha accompagnato per mano ogni istante del mio percorso di vita. Lo faccio in modo spontaneo, di getto e senza nessun aggiustamento, come quando si improvvisa una canzone da cantare con gli amici! Forse la vita è così, senza troppe corre-

di Salvatore Conforti zioni e da prendere per come viene, proprio come è accaduto con “La Sorgente”. Ogni numero, da quando si impagina abbastanza, non fa nulla! Resta la grande con il computer, passata tra le mie mani soddisfazione di un' operazione enorme e ogni volta con l'entusiasmo e la sponsenza precendenti, e senza possibilità taneità di sempre, con la voglia di dimodi confronti, che Caposele conserverà strare che in questo Paese ci sono delle a lungo e nel tempo; da regalare, come persone in gamba, che senza interesse una grande rendita, ai nostri figli e nipoti. alcuno, profondono, con sostanza ed imLoro troveranno, spero, in queste pagine pegno, il loro tempo a disposizione della e nelle iniziative realizzate un motivo per Comunità! poter analizzare il passato e fare meglio nel loro futuro. Il premio, forse è questo numero 100! Forse questa è stata la missione de Mamma mia ! Sono tantissimi! “La Sorgente”. E questo numero segna la fine di un'avUn abbraccio a tutti e che Caposele sia ventura sociale e culturale fantastica. sempre in primo piano! Bisogna smettere quando si è all'apice, perchè il ricordo rimane più a lungo... Me lo ripeto spesso ripensando alle tante iniziative concrete che comunque rimangono agli atti e che rendono piena giustizia di quanto realizzato. Documentari, cd audio, depliants, la Seleteca fotografica e quella in cui tutte le pubblicazioni di Caposele sono on line! Tutto questo fortunatamente resta e non scomparirà a testimoniare che alcune persone si sono impegnate con il cuore e con l'anima per questo Paese anche sacrificando tempo per la famiglia e il lavoro! Se questo non dovesse essere capito

CAPOSELE E L'IPOTESI DEL "PARCO LEONARDO"

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distanza di un anno dall'inaugurazione del suggestivo dipinto murale di Guido Palmadessa, artista argentino noto per le sue arditezze espressive, ho avuto il piacere di tornare a Caposele per godere della salutare frescura che solo l'alta Irpinia può riservare in certi tempi. I tempi, appunto. Perché è su di essi che si è chiamati a costruire le orditure delle nostre imprese quotidiane. E anche quando il metronomo scandisce battute rapide ai limiti del parossismo, e il groviglio meccanico ruota macerando tessere di ricordi policromi, il processo di sintesi dei fattori umani risulta alterato, compromesso. Un'analisi delle cose fin troppo sbrigativa, direbbe qualche bravo letterato dei nostri tempi. Certo, mi verrebbe da rispondere. Se solo non avessi valutato quanto stretto fosse il nodo che stringe i tempi, appunto, e le vite delle cose. E provare a districarsi tra questioni di nodi, si sa, richiede impegno e le soluzioni, talvolta, risultano impossibili. Ma a Caposele certi innesti nodali partecipano a processi culturali di timbro orfista, forse anche illuminati anche da esiti che scontano il merito di una profonda relazione tra l'uomo e l'ambiente. Le cose di questo luogo, dalle fiorenti sorgenti alle asprezze naturali del paesaggio, si combinano col richiamo di una comunità fortemente condizionata dalla crescita dei propri volumi culturali: e una quota di questo stimolante esempio

di Nicola Barbatelli

di proficua relazione culturale può essere raggiunta proprio con l'istituzione del Museo di Leonardo, un dinamico spazio interattivo che medita sulle imprese più celebri del genio anchiano, che dalla meccanica alla pittura, fino alla guerra e agli studi di anatomia, rendono al visitatore un suggestivo racconto delle divagazioni piu complesse di uno dei maggiori genii prodotti dall'umanità. Iniziative prestigiose, come quella dell'esposizione della cosiddetta Tavola Lucana, il ritratto che alcuni esperti hanno assegnato a Leonardo stesso, motivano, ancora una volta certi sforzi. Che non bastano per assicurare il giusto merito a un museo che ha l'interesse di divulgare il valore della memoria. E allora mi chiedo perché mai sia inaridita l'ipotesi della costruzione del “Parco di Leonardo”, quel percorso tra i rivoli del torrente “Acqua delle brecce” e parco fluviale, che avrebbe offerto la possibilità di immaginare un percorso ideale tra le “carte” di Leonardo, nel complesso mondo degli studi di idrostatica, idrodinamica e idrometria. Ad ogni modo, Leonardo pare sia di casa a Caposele. E non solo per il museo leonardiano o per il corso impetuoso di un torrente che sembra essere direttamente ricavato da uno dei piu interessanti disegni del Codice Atlantico. Leonardo riecheggia in questo luogo per il carattere straordinariamente complesso del ritratto di giovane che appare

Il murale di Pamadessa in via San Gerardo

nell'opera murale di Palmadessa, dove la carica introspettiva, condensata negli incarnati di un volto olivastro di carattere squisitamente popolare, funge da collettore per una novella interpretazione dei ritratti leonardeschi, che dalla Belle Ferroniere, alla Dama con l'Ermellino, sembrano cristallizzare i passi di una modernità detentrice di crudele bellezza.

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Interviste “SPECIALE” DIALOGANDO CON… ING. NICOLA CONFORTI “ L’INGEGNO E LA PASSIONE PER CAPOSELE:

100 NUMERI DE ‘LA SORGENTE’ ”

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crivere è sempre un momento che permette di capirsi meglio, un ascolto interiore che si trasforma in parole... Una lunga serie di dialoghi, questa, che ha lo scopo di ricostruire Caposele tramite volti, storie che l’hanno vista cambiare ed evolversi… Adesso tocca a lui: l’ingegnere e direttore Nicola Conforti, ideatore, padre di questo sogno e di questa bellezza “sfogliabile”. Non è stato semplice, il direttore Nicola Conforti è stato sempre schivo da ogni forma di personale celebrazione. Infatti, ad onor del vero, per la prima uscita della mia rubrica, avevo pensato di intervistare Nicola. L’Ingegnere, entusiasta per l’idea della rubrica “Dialogando con...” mi rispose convinto: “Luigi, meglio di no. Non vorrei mettermi troppo al centro dell’attenzione!”. Io risposi, pur avendo capito benissimo le sue motivazioni, con un deciso: “Comprendo ma non condivido…” per poi lanciare un “patto d’affetto e giustizia” affermando: “Ingegnere, stavolta lasciamo correre, ma per il numero 100 non si discute!”. Una risata simpatica e complice sigillò questa promessa. Chi mi conosce sa che le cose che faccio le ho a cuore; ogni scelta, ogni collaborazione è dettata sempre dalla passione verso chi solca il tracciato con dedizione assoluta, caparbietà, competenza, fantasia e coraggio. Il direttore Conforti ha tracciato un percorso con un aratro d’oro andando sempre avanti, a volte incontrando terreni impervi, salite faticose e rocciose, logorate dalla passività di chi distrugge pretestuosamente. Ha saputo portare vita all’aridità del deserto scoprendo una “Sorgente”, un’oasi limpida e fresca in un luogo dove sembrava dimenticata la volontà di dissetarsi. L’uscita del numero 100, tra l’altro con questa indimenticabile intervista, è come una Festa Patronale per me. Faro, punto di riferimento per chi crea con ingegno e creatività una traccia di bellezza che supera le barriere del tempo, dell’indifferenza e del rancore. Raccontando le nostre meraviglie e le nostre fragilità, il direttore Nicola Conforti, per l’amicizia, i confronti, le parole che “confortano” è una preziosa colonna corinzia del tempio della mia vita, legato alla nostra Città di Sorgente. Le domande che ho posto al Direttore sono state scritte durante la chiusura nei mesi bui che l’Italia e il Mondo hanno e ahimè, continuano a vivere. Spero siano state una carezza all’anima turbata dai dubbi del presente, un viaggio nella vita di un uomo che non solo racconta e ha raccontato la storia di questo paese ma che l’ha fatta e oggi continua a farla… Lasciamoci trasportare dalla massiccia portata della “Sorgente” del tempo. Nient’altro. Lunga Vita a Nicola Conforti e lunga vita alla limpida “Sorgente”! Caro Direttore, sono felicissimo di questa intervista e non nascondo una certa emozione. Avevamo pensato tanto su come celebrare in modo originale questo successo, avevamo mille progetti per la straordinaria festa del 100esimo numero (per ora solo rimandata) ma che pur sempre una festa rimane con la sua pubblicazione. Peccato. L’Italia, la nostra Caposele vive un momento unico ed angosciante dove la normalità che avevamo sembra essere un tesoro perso in chissà quale relitto. Non incontrarsi per tanto tempo, non poter vedere più i nostri anziani sulle panchine in piazza XXIII Novembre con lo sfondo del vociare divertito dei bambini che giocano, ci rattrista. Mi commuove, ad esempio, pensare ai tantissimi nipoti che hanno dovuto dire addio ai loro nonni a causa di questa terribile pandemia. Dall’alto della Sua sensibilità ed esperienza, come vive e ha vissuto le fasi di questa emergenza e cosa pensa

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di fare appena avremo di nuovo trovato il “tesoro della normalità”? In questi giorni di forzata “clausura”, nella più austera solitudine, costretto a leggere , con grande malinconia, le notizie e le disquisizioni sul virus, sul numero sempre crescente dei contagi e dei morti, ho riflettuto molto su quanto sia strana la vita e su come la stessa improvvisamente sia stata stravolta nelle sue abitudini e nelle sue tradizioni: un virus, ha coinvolto ogni aspetto dell’esperienza umana, quella familiare e quella della comunità. Ci siamo inaspettatamente scoperti fragili e vulnerabili, insicuri sul nostro futuro che non sarà più quello che ci aspettavamo. Rimpiango le serate passate con gli amici sulle panchine di piazza XXIII Novembre; la piazza come “anima pulsante del paese” dove ci si incontrava per ascoltare, raccontare e progettare il nostro futuro. Rimpiango le tante occasioni perdute per l’assenza di incontri organizzativi, rimpiango le tante manifestazioni programmate per ricordare l’uscita del centesimo numero de la Sorgente e poi annullate. Abbiamo superato tanti periodi difficili fino ad oggi, ce la caveremo anche questa volta. Nei giorni della quarantena ho riletto centinaia di articoli pubblicati su la Sorgente, da cui ho tratto una “Antologia Caposelese” che riproduce i temi della vita del paese, ricchi di fascino e suggestione, di tradizioni e di storia. Lo presenterò agli amici di Caposele appena possibile. Ho compilato anche un fascicolo di “cento copertine” che sarà allegato al numero speciale de La Sorgente. Mi auguro che appena usciti da questa maledetta pandemia, si possa ritornare sereni alle nostre consuete occupazioni e, si possano riportare tutte le situazioni allo “status quo ante”. 2) Lo sfondo di questi giorni di malinconia è il verde delle nostre montagne, anche se il nostro paese senza i colori e suoni della festa, ci lascia freddamente smarriti. Eppure è Caposele, pur sempre Caposele. Sicuramente Le sarà capitato di tornare indietro nel tempo, qual è il ricordo più lontano del Suo rapporto con Caposele? Stranamente il pensiero di questi giorni torna con insistenza alle grandi tragedie che hanno martoriato il nostro Paese: La seconda guerra mondiale, il terremoto dell’23. 11. 80 e la pandemia di questi giorni. In particolare ricordo i tanti amici di infanzia che, a seguito della grande crisi economica del dopoguerra, partirono per le Americhe: ogni giorno, giovani e meno giovani, lasciavano con immensa tristezza il loro paese per cercare fortuna altrove; purtroppo un viaggio di solo andata. Nessuno di loro fece più ritorno nel paese natio. Restammo soli, nella più desolata solitudine. Passarono anni; ci riprendemmo a fatica ma finalmente “ritornammo a riveder le stelle” e ricominciammo, ciascuno a riprendere

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di Luigi Nerio Fungaroli

L' INTERVISTA

“il lavoro usato”, tornando alle occupazioni di sempre ed a sperare, giorno dopo giorno, che ogni cosa tornasse al posto giusto e che la vita riprendesse i ritmi e la regolarità di sempre. Se dovesse descrivere con una parola o un aneddoto il giovane Nicola Conforti, cosa direbbe?

Una gioventù tutto sommato felice. Mi dedicavo molto al disegno, suonavo l’organo in chiesa, oltre che il mandolino e la fisarmonica. Erano di moda le serenate ed era un grande, se non l’unico diversivo. Mi dedicavo molto alla composizione di brani ecclesiastici che suonavo con successo nelle feste religiose. Componevo anche musiche più orecchiabili per fisarmonica. Giocavo a pallone e organizzavo feste con gli amici. Frattanto studiavo privatamente per poi frequentare a Salerno solo gli ultimi tre anni del liceo. Erano anni difficili e si andava avanti con grandi sacrifici. Ciononostante si viveva una vita spensierata e tranquilla. E sia pure a passo lento si perseguivano buoni risultati in tutte le attività della vita. Sicuramente Nicola ventenne è pieno di volontà, di voglia di apprendere per migliorarsi e migliorare. Così, grazie ai sacrifici della Sua famiglia, dal piccolo paese di provincia approda nella grande città di Napoli per studiare Ingegneria Civile. All’epoca non era facile raggiungere questo obiettivo. Come ha vissuto questo cambiamento e come ricorda i Suoi anni universitari a Napoli, dove sicuramente avrà fatto delle esperienze fondamentali e formative, incontrato amici?

ed elegante durante il rinfresco. A distanza di anni credo che l’emozione nel ricordare momenti importanti non sfumi. Come ricorda quella giornata? Finalmente una giornata felice. Arrivò la laurea tanto agognata. Mio padre aveva superato l’ultima gravissima crisi di qualche giorno prima. Non partecipò al brindisi di Napoli. E fu l’unico cruccio di quella giornata meravigliosa. Sopravvisse però alla mia laurea per ben quattro anni. Da capo famiglia cercai nel miglior modo di sopperire alla mancanza di una guida paterna e, con grande senso di responsabilità portai al diploma i miei due fratelli. Tutto cominciava a filare nel verso giusto. Ero davvero contento: avevo raggiunto il giusto equilibrio; insegnavo Costruzioni nell’Istituto Geometri di Lioni e contemporaneamente svolgevo la libera professione di Ingegnere. Dopo la Laurea in Ingegneria Civile Nicola Conforti diventa “l’Ingegnere Conforti”. È talmente tanta l’identificazione della gente con la Sua professione che così come poteva, ad esempio, succedere con Agnelli, “l’Avvocato”, il titolo di studio sembra aver sostituito Nicola. Per Caposele Lei è stato e sarà sempre “l’Ingegnere Conforti”. Nicola Conforti, però, che solo gli amici e i familiari hanno avuto

“Tu vuoi ch’ io rinnovelli …” non il “disperato dolor” di dantesca memoria, ma sicuramente le preoccupazioni, le ansie e le apprensioni che hanno caratterizzato il mio percorso universitario. “Sii prudente nell’incominciare, ma tenace nel condurre a termine” è la massima cinese che mi spinse a perseverare malgrado le grandi difficoltà economiche della mia famiglia. Mio padre si era gravemente ammalato tanto da vivere “alla giornata” grazie al sostegno continuo ed incessante dell’ossigeno. Ho vissuto momenti di autentico “scoramento psicologico”. Sono andato avanti con il patema d’animo e con la preoccupazione di dover interrompere i miei studi in caso di eventi inaspettati ma possibili. Ma riuscii ad arrivare fin in fondo perseguendo risultati notevoli, ma con gran sudore della fronte. Il 15 Novembre del 1962 è un giorno speciale: il giorno della Laurea. Dalle foto dell’album di famiglia che sensibilmente mi ha mostrato ho avuto modo di vedere delle foto bellissime. Una La ritrae circondato dall’orgoglioso affetto dei suoi familiari ed amici e l’altra insieme a Suo suocero Don Ciccio e alla cara Italia, tanto emozionata

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Interviste modo di conoscere, ama l’arte, la cultura umanistica, il disegno, la musica. Quanto il titolo ha “sopraffatto” Nicola o quanto c’è di “Nicola” nell’Ingegnere Conforti? Ero chiamato più semplicemente “l’ingegnere”. In effetti non ve ne erano altri in tutta una vasta zona. Malgrado l’impegno professionale, non rinunziai ai miei hobby. D’altronde ero troppo legato alle mie tradizioni familiari e portato a fare una serie di cose, spesso di tipo artigianale. Ho curato una serie di disegni (a matita o con il grafos) ritraendo angoli del mio paese a me tanto cari. Quanto prima ne farò una pubblicazione da regalare agli amici. Nei ritagli di tempo mi sono dedicato con passione alla musica ed alla lettura di classici. Arriviamo al 1970. Con ben 1219 voti (raggiunti solamente a Caposele) viene eletto come indipendente di sinistra nelle liste del PCI. Primo eletto nella provincia di Avellino. In questa storia di un’Italia fortemente ancorata alle ideologie politiche c’erano, però, anche tante storie di fedele amicizia che riuscivano a superare le convinzioni ideologiche quando alla base si era spinti dal bene e dalla profonda stima che riesce ad unire in modo autentico, forte e convinto le persone. Nonno Emidio (Emidio Alagia), a tal proposito, storico e accanito sostenitore della D.C. , il quale non si ritraeva ad accesi confronti politici che non si placavano neanche nella tanta agognata pace familiare dei pranzi domenicali e festivi, venne appositamente dalla Svizzera per votare e far votare il suo “rosso” amico fraterno Nicola. Si votava, oltre all’affetto sconfinato, anche le capacità, le competenze, queste indiscusse. Come ricorda quel periodo? Quali qualità crede manchino al mondo politico di oggi? L’anno 1970 l’ho sempre considerato l’anno delle mie vittorie: non mi ero mai cimentato al tiro al bersaglio ma centrai l’obbiettivo vincendo alla grande. A Lioni stravinsi un rally automobilistico. A Roma vinsi il concorso per l’insegnamento delle Costruzioni negli istituti superiori ed infine, dulcis in fundo, risultai il primo eletto in Provincia per l’elezione a Consigliere Provinciale. Qualche anno dopo fui candidato alla camera dei deputati: ma mi resi conto, malgrado il notevole successo di voti conseguito, che la politica non era fatta per me: le mie aspirazioni erano del tutto diverse. Decisi di smettere anche perché nel frattempo si erano create delle divisioni interne alla mia famiglia con candidature in concorrenza, che determinarono il mio definitivo abbandono della politica. Fu un atto di coraggio: avevo rinunciato a qualcosa che poteva in prospettiva darmi delle grandi soddisfazioni e non solo di ordine economico. Ma, tutto sommato, capii che non avevo la predisposizione necessaria a lottare senza scrupoli e senza reticenze. Preferii dedicarmi al lavoro, alla famiglia ed agli amici. Nel 1973 fonda la Pro Loco Caposele (con presidente l’Avvocato Fernando Cozzarelli) e la nostra “La Sorgente” che dirige da allora. Inizia nel 1973 un periodo di Belle Epoque per Caposele. Guardare il “Ferragosto Caposelese” nel video “Un anno a Caposele” con il laghetto artificiale con annessa sabbia di mare, le gare di pallanuoto e nuoto organizzate, il mitico palo della cuccagna sono, a mio avviso, immagini di una straordinaria bellezza

che superano le barriere del tempo. Per non parlare, poi, della novità di Radio Caposele, una frequenza radio di successo messa a disposizione di un’intera generazione di giovani dove questi imparavano dai grandi a fare cultura, un mix di innovazione e tradizione. Per quanto schivo da complimenti, ci penso io: a Lei e alle Sue idee sempre innovative ed originali si deve tutto questo e se Caposele ha dimostrato di essere “avanti” è grazie a Lei e alla Sua cerchia di collaboratori. Ma torniamo alla Pro Loco. Com’è nata ma, soprattutto, perché si è sentita la necessità di fare “Pro Loco”? “Accadde in settembre” del 1973: un anno in cui ebbi molte intuizioni che, grazie alla collaborazione di alcuni amici, si tradussero in fatti concreti e di grande successo. L’idea di costituire un’associazione turistica nacque dalla constatazione che l’estate stava passando in perfetta solitudine: non un caposelese, residente in Italia o all’estero, veniva a passare le sue vacanze a Caposele. Nemmeno il giorno di Ferragosto si avvertiva la presenza di un turista. Caposele, in quei giorni, era un vero deserto. Con la fondazione della Pro Loco e del giornale “la Sorgente”, inizia un periodo che, a ben ragione, hai definito come la “Bella Epoque” per Caposele. Dal 1973 al 1979 ideai e misi in campo una serie di iniziative interessanti e prestigiose. Ne enumero alcune, tra le più significative: Riuscii a realizzare un laghetto artificiale, teatro di tante manifestazioni sportive e culturali. E’ stato il fiore all’occhiello della nostra associazione (vedi a pag.69). Organizzai un rally automobilistico su un percorso di 80 Km, con trenta cronometristi disseminati lungo il percorso. Una gimcana automobilistica sul campo sportivo sanciva la conclusione di una giornata di grande successo. E poi: Cinque estemporanee di pittura con artisti provenienti da ogni parte della Regione. 5 mostre-concorso di fotografia. Un piccolo Conservatorio musicale di pianoforte e chitarra con insegnanti del Conservatorio di Avellino, e relativi concerti finali tenuti nel cine-teatro di Materdomini. La prima corsa campestre del 1974 e la prima sagra del 1979 sancirono l’inizio di una tradizione che ancora oggi è di grande attualità e che richiama gente da ogni parte della Regione. Nel 1974 ideai e misi in campo una radio trasmittente che fece la felicità di tanti giovani e meno giovani. Le trasmissioni domenicali catalizzavano l’attenzione di tutti i Caposelesi, sia per la novità della iniziativa sia per l’attualità dei problemi trattati. Infine, nel 1979, il film-documentario “Un anno a Caposele”. Credo che, ma a giudizio di tutti, sia da considerarsi un pregevole lavoro. Un patrimonio di grande valore storico per le immagini irripetibili e per le persone non più presenti nel nostro paese. Un film girato con mezzi molto rudimentali specie per quanto riguarda la registrazione della colonna sonora. Un miracolo, a quei tempi.

Parliamo, adesso, però, di un gioiello che Lei ha regalato a tutti noi: “La Sorgente”, ovvero, come mi piace dire, il Suo “quarto figlio”. Che dire? C’è tanto da dire. Ma lo lasciamo fare a chi lo ha creato e dopo 47 anni, una vita e mi vengono i brividi al pensiero, continua a dirigere con la stessa passione di sempre. Cos’è per Lei “La Sorgente” e cosa crede abbia significato per la nostra comunità e non solo? “La Sorgente”. Parola magica e densa di significato. Ho dedicato gran parte della mia vita per la riuscita di una iniziativa che tanti hanno tentato senza alcun risultato. Oggi, dopo 47 anni dalla fondazione del giornale, sono alle prese con il mio ultimo tentativo; e lo sto facendo con la stessa passione ed entusiasmo della prima volta. Credo che tutti i Caposelesi abbiano capito l’importanza di una pubblicazione locale ai fini della cultura, della storia, e dell' informazione del nostro Paese. Ricorda l’emozione della prima stampa? Il famoso numero 1 de “La Sorgente”? Quanto e come è cambiato il periodico, a Suo avviso? La prima stampa vide la luce il 23 dicembre del 1973. Un giornale di otto pagine realizzato con la composizione a mano. Per inserire una fotografia bisognava aspettare che il relativo clichè (matrice zincografica) arrivasse da Napoli e naturalmente il tutto procedeva in maniera molto lenta. Ciononostante, l’attesa spasmodica per vedere la prima copia in assoluto, aumentava di giorno in giorno. Il giornale è cresciuto a vista d’occhio: da otto pagine passò rapidamente a 12 poi a 40 infine a 56. Con il numero 100 toccherò un nuovo record con 72 pagine, 70 redattori per circa 100 articoli e, fino alla fine, senza una sola pubblicità. Abbiamo spesso modo di cercarci e di parlare di tante cose. In tanti anni di direzione c’è stato sicuramente un momento, e anche di questo spesso abbiamo parlato, in cui sembrava “finita” la possibilità di continuare. Quando Caposele era sommersa da un cumulo di macerie ed erano crollati anche i cuori dei Caposelesi, “La Sorgente”, invece; come l’araba fenice e come fanno i veri giornali, risorge più forte di prima continuando a raccontare le grida nere di disperazione della propria gente. Ci racconta quel periodo e come è stato continuare quando tutto sembrava essere finito? La Sorgente ha resistito a tutte le” intemperie” sia politiche che economiche ed a volte anche per l’assenza di tanti collaboratori che abbiamo “perduto” strada facendo. Ma la tragedia più grave che ci ha fatto tremare le vene ed i polsi è stata la grande scossa sismica del 23. 11. 80. Dopo uno sbandamento iniziale, ci siamo ripresi dando una svolta alla linea redazionale, per adeguarla alle nuove situazioni post-sismiche. A questo punto il giornale riprende regolarmente il suo ritmo, ma con più forza e vigore di prima. Tanti amici de “La Sorgente”, che l’hanno resa sempre più affascinante sotto tanti svariati aspetti, non ci sono più. Spesso il nostro periodico ha dato voce a tanti ricordi che scaldano il cuore. Con chi Le manca in modo particolare non poter vivere la gioia del 100esimo numero?

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Mancano all’appello del centesimo numero quelli che sono stati i pilastri del nostro giornale. Sono tanti e, per un omaggio alla loro memoria, li cito in sequenza: Francesco Caprio, Ferdinando Cozzarelli, Amerigo del Tufo, don Alfonso Farina, Vincenzo Malanga, Antonio Sena e Donato Conforti. Il loro ricordo continua a darmi forza e coraggio. Mi manca il mio più caro amico, Emidio Alagia, che con l’entusiasmo tipico della sua persona, mi è stato sempre vicino e, con amore e passione, ha collaborato per il bene di quello che ha sempre definito “il paese più bello del mondo”. 100 numeri parlano da sé. Lei è sempre una persona molto pacata, aperta al confronto, qualità, queste, che hanno reso “La Sorgente” il giornale della nostra comunità e di quanti non hanno la possibilità di vivere giornalmente Caposele e che lo fanno grazie alle pagine intrise di ricordi e testimonianze di vita presente e passata. Cosa si sente di dire a chi nel tempo, però, ha criticato e, ma questa è una mia idea, ha usato “La Sorgente” come bersaglio di sterili polemiche? Durante la mia lunghissima carriera di direttore del giornale, un percorso lungo quasi mezzo secolo, ho dato voce a tutti senza esclusioni e senza discriminazioni. La Sorgente, in tanti anni, passo dopo passo, ha tracciato la storia de nostro Paese. Di critiche ne ho subite tante, ma quelle sincere sono state di stimolo e di incitamento a far meglio. Quelle cattive… “non ti curar di loro, ma guarda e passa” Però alcuni episodi mi hanno profondamente addolorato. Ne cito qualcuno: la demolizione, senza motivo, del laghetto artificiale che mi era costato tanto lavoro e tanto impegno. La “cancellazione” della fontana zampillante in piazza XXIII Novembre, tanto voluta da me e da tutti i soci della Pro Loco ed infine il tentativo di demolizione della Chiesa della Sanità. Non conservo rancori, il tempo attenua i contrasti e cancella i brutti ricordi. A chi sente di dedicare questo traguardo? Era l’estate del 1948: Italia aveva appena 11 anni, io ne avevo solo 14 quando nacque un meraviglioso idillio. Sono trascorsi 72 anni: Tutto è ancora come allora. Italia mi ha sempre sostenuto in tutte le vicissitudini belle o brutte della vita. Dedico a lei questo traguardo. “La Sorgente” non si ferma qui, scorre proprio come la nostra acqua, un continuo divenire. Oggi è il tempo della raccolta e della festa (che faremo quanto prima!) per il traguardo che questo numero impone ma da domani ci sarà una nuova semina. Direttore, come immagina “La Sorgente” di domani? Le iniziative che avevamo programmato per solennizzare l’importante evento del centesimo numero de La Sorgente, sono saltate per cause di forza maggiore.Ci limiteremo alla solita ormai tradizionale “presentazione” di rito. E sarà l’ultima che mi vedrà al tavolo della Presidenza. Lascio la direzione del giornale con la speranza che “il cammino intrapreso non si interrompa e che “la Sorgente” resti sempre il luogo vivo e vitale di dibattito, di confronto delle idee, di passione civile”.

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Scienza

LA SCIENZA CI HA PORTATO A QUESTO PUNTO MA PUÒ ANCHE PORTARCI OLTRE

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er celebrare questo speciale numero della Sorgente non possiamo non partire dall’attualità, non per parlarvi delle caratteristiche di questo virus o della sua modalità di trasmissione o quanto resiste nell’ambiente, ma per ripensare a come difendere la nostra salute. Sembra incredibile, ma un paese ed un mondo che da anni parlano di sicurezza hanno appena scoperto che l’unica protezione di cui avevamo bisogno era quella sociale. I medici dell’ospedale di Bergamo hanno scritto una lettera alla rivista “Catalyst” del New England Journal of Medicine, pubblicata il 21 marzo 2020 sollevando diversi interrogativi nati dalla gestione dell’emergenza. Questa pandemia, sostengono, richiede un approccio sanitario rivolto alla comunità prima che al singolo paziente, quella che loro hanno definito community-centered care. Si pone quindi il problema sociale della salute perché, come affermava uno dei padri della Patologia, “se la medicina vuole raggiungere completamente i propri fini, deve entrare nella più ampia vita politica e sociale del proprio tempo”. La protezione della salute pubblica deve passare per la scienza ed essere accolta dalla politica. Finora la scienza è stata utilizzata per migliorare la qualità della vita di alcuni gruppi sociali e di alcuni Paesi per dar loro un vantaggio sui concorrenti. Mai come in questo momento ci siamo ritrovati uguali gli uni agli altri, vale a dire l’uguaglianza di appartenere alla stessa specie. E’ diventato evidente che il mondo intero deve essere riconosciuto come una estesa comunità di pari, poiché per risposte efficaci a problematiche di salute pubblica, come questa pandemia, è necessario un comportamento e atteggiamenti appropriati delle masse. Quindi prima ancora di doverci occupare degli ospedali e dei malati la questione è affrontare gli eventi in maniera preventiva: agire per impedire o per non causare, ancor prima di curare. L’ambiente e la popolazione, la difesa della salute inizia molto prima e lontano dalla comparsa di alterazioni biologiche negli individui e non possiamo più permetterci una politica di breve respiro che non si occupi di inquinamento, di cambiamenti climatici, dei rischi di nuovi spillover, di produzione alimentare sana. Le pandemie non sono causate solo dal virus “in se” ma da eventi come le deforestazioni, lo stravolgimento di interi habitat naturali, l’inquinamento e l’alterazione delle nostre capacità respiratorie, il cambiamento climatico e la desertificazione, le condizioni di vita subumane, la concentrazione di milioni di persone in grandi città ecc. La salute dovrebbe riguardare anche il diritto a non

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essere inutilmente esposti a rischi come quelli che originano dalla deforestazione, dagli allevamenti intensivi o da produzioni che generano gas serra. La comunicazione politica nell’ultimo decennio ha subito una brutale semplificazione, a cui si aggiunge l’aumentata diffusione delle fake news con i loro sistematici colpi alle conoscenze scientifiche. Per fare in modo che la scienza ritorni al centro della nostra vita pubblica e sociale questi due mondi dovrebbero lavorare insieme: da una parte la scienza deve produrre dati ed evidenze sperimentali robuste, saper comunicare in modo coinciso, essere consapevole della rilevanza politica che può acquisire un certo settore di ricerca. Dal canto suo il politico dovrebbe conoscere il modo in cui si formano e si possono usare le prove scientifiche, di come si raccolgono e come si possono utilizzare a fini politici, cercando di impedire il prevalere di interessi del singolo. ________ “Siamo apprendisti stregoni che potranno fare un gran bene a tutti i viventi o addirittura distruggere il pianeta” Margherita Hack _________ In Italia il tema è particolarmente urgente, visto che il Paese sconta non solo un cronico sotto finanziamento della ricerca, ma rispetto agli altri Paesi europei ha una popolazione agli ultimi posti riguardo alla comprensione del metodo scientifico, e alla fiducia nella capacità della scienza di migliorare la qualità della vita, della salute e lo sviluppo. Questo genera inevitabilmente una cittadinanza di creduloni e dogmatici. Ed ecco che compaiono le teorie complottiste, che dubitiamo di cure efficaci come i vaccini o che crediamo alle cura miracolose. La parola scienza deriva dal latino “Scientia” che si riferisce alla conoscenza basata su dati dimostrabili e riproducibili. L’obiettivo della scienza è quello di misurare testare e analizzare i risultati sperimentali. Quindi le idee devono essere dimostrate mediante la ricerca. Quando si conduce un progetto di ricerca è necessario seguire un metodo scientifico, che consiste nella raccolta misurabile, empirica di un risultato sperimentale, che deve essere correlato ad un’ipotesi che possa avvalorare o confutare una teoria. Le domande a cui si cerca di dare una risposta sono perché e come. Come abbiamo purtroppo assistito in questi mesi, la nostra percezione e la nostra fiducia viene orientata dalle emozioni piuttosto che dalle prove, con grande gioia dei manipolatori dell’informazione. Quindi per quello che riusciamo con il nostro bagaglio dovremmo consultare e confrontare più fonti di informazioni e non condividere senza aver verificato, con un uso appropriato del pensiero critico. In questi mesi abbiamo dovuto combattere non solo la Pandemia ma

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anche la disinformazione, per la quale occorrerebbe un analogo approccio di comprensione della diffusione per riuscire a contenerla. Per questo numero speciale ho deciso di continuare a dare il mio piccolo contributo per il sostegno alla divulgazione delle conoscenze scientifiche. Questa volta lo faccio immaginando di sfogliare un piccolo diario nel quale sono appuntate giorno per giorno le scoperte scientifiche che hanno contribuito in maniera significativa all’evoluzione della conoscenza e quindi dell’uomo. Naturalmente come potete immaginare la lista è infinita. Allora pensando alla Sorgente e agli anni della sua fondazione ho chiesto al Direttore Nicola Conforti di raccontarmi quali sono stati i momenti in cui sono stati compiuti dei passaggi, che secondo la sua esperienza e il suo ricordo, sono da considerarsi significativi per quello che poi la Sorgente è riuscita a diventare negli anni. Ripercorrendo insieme a lui questi momenti, che hanno scritto anche la storia della nostra comunità, sono andata a spulciare le riviste scientifiche di quegli anni, per tirare fuori cosa negli stessi anni la scienza stava portando alla luce nel mondo. Partendo dai primi anni ’70, che corrispondono alla fondazione del giornale, anni molto significativi secondo il racconto del direttore, ho ritrovato diverse scoperte scientifiche di grande attualità nel campo delle Scienze della Vita. In quegli anni gli scienziati David Baltimore e Howard M. Temin scoprono che la molecola di RNA può codificare il DNA. Questa scoperta ha cambiato il dogma della biologia secondo il quale il flusso dell’informazione genetica andava in una sola direzione, vale a dire che il corredo genetico degli esseri viventi fosse contenuto nel DNA e da questa molecola poi venisse trasferito all’RNA e poi alle proteine, vale a dire i lego di cui siamo fatti. Questa scoperta ha permesso di comprendere come funzionano i virus che hanno una patrimonio genetico a RNA e trasformano il proprio corredo genetico in DNA, in maniera tale da potersi replicare, sopravvivere e diffondere nelle cellule del soggetto che li ospita. I virus a RNA sono i cosiddetti Retrovirus, come il Sars-Cov-2 o come il virus dell’HIV. Questa scoperta è valsa ai due scienziati il Nobel per la Medicina e la Fisiologia. Negli stessi anni per la prima volta furono scoperti i geni che possono indurre la trasformazione neoplastica, vale a dire lo sviluppo dei tumori. Per la prima volta J. Michael Bishop e Harold Varmus scoprirono attraverso lo studio dei tumori dei polli che il tumore è da considerarsi una malattia causata da alterazioni del nostro patrimonio genetico. Da quelle scoperte abbiamo

di Donatella Malanga

cambiato il modo di pensare a questa malattia cronica e si è dimostrato che sono le mutazioni nel corredo genetico a dare l’innesco e successivamente a sostenere la crescita neoplastica. I due studiosi per questa scoperta furono insigniti del Premio Nobel nel 1989. Nel 1974 il paleoantropologo Donald Johanson portò alla luce Lucy, lo scheletro fossile di un nostro antenato vissuto circa 3.2 milioni di anni fa in Etiopia. Questo ritrovamento rappresenta una delle più significative scoperte in campo antropologico. Il nome che fu dato allo scheletro di questa donna si racconta derivi dalla canzone Lucy in the Sky with Diomonds dei Beatles, che risuonava nel campo della spedizione nei giorni del ritrovamento. Il 25 luglio 1978 i giornali del mondo titolarono “baby is born”, perchè venne alla luce Louise Joy Brown, la prima bambina concepita mediante fecondazione assistita. Questa tecnica ha rappresentato una rivoluzione nella procreazione in quanto permette di stimolare una donna a produrre tanti ovociti che vengono prelevati dalle ovaie e combinate con gli spermatozoi per la generazione degli embrioni, che a questo punto sono pronti per essere impiantati nella madre. A quarant’anni dalla nascita di Louise sono circa 8 milioni i bambini nati nel mondo attraverso la fecondazione assistita. L’esercizio di compilare un diario mi è sembrato un buon metodo di allenamento, appunti da rileggere, riflessioni da annotare e date da ricordare. In tal modo non solo ho potuto seguire i primi anni di storia della Sorgente mettendo in ordine cronologico gli eventi ma anche di non lasciarli confinati a Caposele ma immergerli nella storia del mondo. Auguro alla Sorgente di poterci accompagnare a lungo per raccontare ancora di noi e dandoci anche una finestra sul mondo in cui siamo immersi. Riferimenti nell’articolo At the Epicenter of the Covid-19 Pandemic and Humanitarian Crises in Italy: Changing Perspectives on Preparation and Mitigation, NEJM Catalyst Innovations in Care Delivery, Marzo 2020

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di Gerardo Vespucci

Il numero 100 de La Sorgente una rivista al servizio dello sviluppo di Caposele e dintorni

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’ingegnere Nicola Conforti mi ha generosamente chiesto di contribuire alla realizzazione del numero 100 della creatura che egli ha accompagnato nella crescita, così significativa, per quasi mezzo secolo: la sua stima nei miei confronti - non so quanto meritata – deve essere davvero notevole, e di ciò lo ringrazio. Non so, di preciso, quali titoli possa io vantare per scrivere su un periodico come La Sorgente che si rivolge, in primo luogo, alla comunità di Caposele, ovunque distribuita: a meno che non debba richiamare alla mente dei lettori il mio impegno per 15 anni – 1990/2005 – quale docente prima e Fiduciario dopo, presso il Liceo di Caposele, insieme con l’indimenticabile ed inseparabile Ettore Montanari; oppure quello per tre anni di Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo F. De Sanctis di Caposele. Per queste attività, che facendo i conti sono quasi ventennali, sarebbe stata più giusta la “cittadinanza onoraria”, sempre promessa e mai attribuita (concessa, voglio ricordarlo con un sorriso, a qualche altro – di gran lunga - meno meritevole)!! Ed allora voglio pensare che la presenza di un mio scritto su questo numero sia stato richiesto perché amante della ricerca in genere; sostenitore dei processi di crescita culturale delle diverse generazioni, con i giovani al centro; impegnato da sempre in pratiche del cambiamento del territorio, intese come azioni terapeutiche che fanno seguito a diagnosi, oggettive e scientifiche, che saranno essenziali nei prossimi anni per salvare il territorio; sognatore imperterrito di un mondo nuovo, convinto di non vivere nel migliore dei mondi possibili. Ho parlato di me? Anche! Ma ho descritto soprattutto quello che la rivista La Sorgente ha rappresentato per me e, di sicuro, per migliaia e migliaia di lettori che si sono succeduti negli anni: io l’ho scoperta almeno 30 anni fa e ne ho sempre atteso l’uscita con curiosità, anche semplicemente per leggere dei miei alunni che si laureavano negli anni! E, quindi, non è affatto per lusingare qualcuno che io debba umilmente rendere merito a chi è riuscito, non a far nascere, ma far vivere una operazione editoriale per così tanto tempo: si pensi a quanti giornali blasonati hanno chiuso negli anni, compresa l’Unità, che sembrava eterna! Ed allora onore ai tanti che vi hanno lavorato e speso fin dal lontano 1973, a quelli si sono persi per strada o si sono aggiunti lungo il cammino. Ed allora, e non è un modo per ringraziarlo semplicemente: che sia imperitura la memoria dell’impegno di Nicola Conforti che, essendo riuscito a raggiungere un porto importante, il centesimo nume-

ro, pare voglia cedere il timone! E veniamo al giornale: quello che è stato, quello che potrà essere. Innanzi tutto, bisogna ricordare che è nato nei primi anni ’70, quando l’Italia, come il mondo intero, era stato attraversato da movimenti giovanili ed operai di ogni tipo: studenti ed operai, nord sud uniti nella lotta. Furono anni di contestazioni, di eroici furori, di elogio della pazzia, di engagement, sulla scia dei grandi rivoluzionari alla Sartre. Noi che eravamo già attivi allora e ne siamo rimasti segnati, al punto da poter dire ancora oggi con William Wordsworth, che lo diceva per la Rivoluzione Francese: fu beatitudine in quell’alba essere vivi. Ma essere giovani fu il vero paradiso! Non sto dicendo che a far nascere la rivista fossero quelle idee di cambiamento radicale, questo lo può dire Nicola, ma di sicuro senza il clima generale di quegli anni, in cui ci fu una vera esplosione di soggettività, non credo sarebbe stato possibile concepirlo e farlo sopravvivere così a lungo. Del resto, il titolo sembrava essere propizio: un omaggio al paese da cui prende le mosse il Sele grazie alla sua Sorgente. Una fonte di acqua illimitata, che da secoli, con la sua forza naturale, ha alimentato e modellato l’ambiente, la storia, l’economia, le relazioni tra gli uomini e tra essi e le cose. Eppure, dal mio punto di vista, la Sorgente come produzione letteraria di un gruppo di “invaghiti” è andata anche oltre la incessante opera della manifestazione di una imponente falda acquifera: non sembri strano, ma il gioco di sostantivi, tra natura e cultura, mi ha riportato alla mente ciò che Marx diceva delle api e degli architetti, nel suo Capitale. “L’ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera”, Ecco, Nicola ed i suoi tanti redattori hanno dovuto ragionare per pensare e definire ogni numero, attivare i tanti collaboratori, individuare tematiche, impaginare e… distribuire. Ci vuole un progetto, di un’idea che ti spinga avanti, contro ogni difficoltà, spes contra spem! Lo dico a ragion veduta, avendo scritto continuamente ma quasi mai per molti anni su una stessa testata giornalistica! E veniamo al merito ed al metodo. La rivista ha dato sicuramente spazio alle questioni locali di Caposele e Materdomini: non solo non poteva essere diversamente, ma grazie a ciò, proprio perché ha rappresentato un ottimo strumento di cronaca/storia locale, costituirà per il fu-

turo inesauribili suggestioni storiografiche, così come già si usa ora con lo studio delle micro storie, materiali ed orali, grazie agli insegnamenti della grande scuola francese rappresentata dagli storici di Les Annales. Ma oltre alle vicende paesane, è facile individuare, specie negli ultimi numeri, una visione più generale e territoriale, con un approccio sempre più glocal (globale e locale). L’idea centrale che lo ha animato, mi pare, sia stato proprio quello di evitare un inaridimento della Sorgente: e quindi è stato capace di diventare strumento di confronto anche tra opposte visioni amministrative e politiche; luogo di espressione libera di idee, proposte e programmi, anche i più velleitari, al solo fine di innovare, sviluppare, arricchire Caposele, Materdomini, ma anche l’Alta Irpinia e l’Alto Sele. Andiamo velocemente a parlare alla rivista che verrà, quella che dovrà misurarsi col futuro, Mi permetto di rubare ancora un poco di attenzione, ribadendo, e articolando meglio, ciò che vado sostenendo da un poco. C’è in atto sul Quotidiano del Sud, anche su mia pressione, un dibattito su Se muore l’Alta Irpinia, nato a partire da un editoriale del direttore di quel giornale, Gianni Festa. Bene: senza girare intorno, l’Alta Irpinia sta morendo, avendo tutti gli indicatori in rosso, dal reddito ai posti di lavoro, dai servizi alla sanità ed alle scuole. Tutto ciò è riassunto da un solo dato: la popolazione si riduce progressivamente ed irrimediabilmente, con una componente residua essenzialmente anziana – con gravi problemi di assistenza - e con nascite quasi ridotte a zero, in almeno 15 dei 25 comuni, da Montella a Lacedonia. Da questi dati catastrofici si salvano solo tre comuni: Montella, Lioni e…Caposele! Voglio darvi solo il numero dei vostri bambini iscritti all’infanzia, pari ad 86 totali, con la distribuzione della loro età, ossia di 3, 4 e 5 anni: Materdomini: 4-2-4. Caposele: 21-18-17 (due anni fa feci nascere tre sezioni, da due che erano!) Asilo delle suore 7-5-8 Per capire di cosa stiamo parlando, a Sant’Andrea di Conza, non certo l’ultimo paese d’Irpinia, ci sono 10 bimbi, 4-4-2. Penso che ci sia da essere contenti, da un lato, e da riflettere per il futuro. Se ci sono tanti bimbi, si capisce che ci

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sono coppie più o meno giovani disposte a procreare, quelle che altrove non ci sono più! In linea di massima, sono coppie impegnate in qualche lavoro, o comunque con qualche reddito: il sistema si autosostiene. Ma se conosco un poco la realtà, Caposele ha realizzato – dovrei dire San Gerardo, in verità, ed in senso lato! – un secondo miracolo: ha fatto sì che siano rimasti anche giovani diplomati e laureati, proprio quelli che altrove non restano più. Ma in futuro bisognerà stare attenti: ci sarà sempre più bisogno di lavoro intellettuale, ma tali occasioni dovranno essere orientate, per non dire predisposte a tavolino: ci sarà bisogno in loco di agronomi, più che di avvocati; di informatici più che di geologi o di biologi. Ed abbiamo bisogno di sapere cosa fanno, sia ora che dopo, tutti i nostri giovani, ovunque dispersi: quali competenze posseggano, come possono aiutare, anche a distanza, l’economia ed i servizi dei nostri paesi, facendo nascere lavori oggi non ancora esistenti in assoluto. Ricordo a me stesso che un gruppo di 4 giovani laureati, quasi tutti miei ex alunni del liceo di Caposele, con competenze informatiche e della comunicazione, sono tornati per lavorare da noi: è troppo chiedere che chi può debba partire dalle loro esigenze se si vuole invertire la fuga dei cervelli? Quanto valore aggiunto possono rappresentare? E l’Istituto agrario di Calabritto è un bene di quel paese o di tutta la valle, che è necessario tutelare con politiche coerenti a vari livelli? Ecco: su questi temi e sui tanti che vi si intrecciano a spirale, vedo il ruolo insostituibile di una rivista come La Sorgente, fonte di idee, di proposte, di sogni per agire! Buon anniversario e buon lavoro Gerardo Vespucci P. S: nel libro che ho appena pubblicato per i tipi di Delta3, Segni nel tempo, ho inserito tutti gli articoli usciti su La Sorgente e di ciò ringrazio.

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di Pasquale Cozzarelli

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LA MEMORIA DI UN PAESE

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sono Cento! Credo che nessuno avrebbe scommesso, alla data di fondazione di questo periodico, che La Sorgente avesse potuto tagliare il nastro di questo prestigioso traguardo. Anzi, forse, qualcuno c’era già’. Un visionario, sia detto in senso buono, come il suo ideatore, fondatore e direttore Nicola Conforti. Senza la sua lungimiranza, la sua tenacia, la sua passione nei confronti della “sua” creatura, non penso che il giornale sarebbe durato così’ a lungo. Un giornale che poi, a rifletterci meglio ,si avvia anche a doppiare il giro di boa dei cinquant’anni di vita che, se non erro, toccherà nel 2023. Fontamentale è stata la sua presenza nel contesto civile, sociale, culturale e anche politico del nostro Paese. Bene o male, ha svolto una funzione importante di raccordo tra le varie anime che si rifanno alla “Caposelesita”’. Penso alle generazioni dei nostri compaesani sparse nel mondo, ai tanti concittadini che risiedono nelle regioni del nostro Bel Paese, alle tante persone che hanno affidato le loro emozioni e le loro immagini alle pagine del nostro giomale.Sul quale poi hanno finito per scriverci un po’ tutti. E questo è stato, senza dubbio, un momento di generale crescita politica e culturale per Caposele. Sui settarismi di ogni parte hanno finito per prevalere dunque il confronto civile tra le parti, spesso antitetiche tra loro, la volontà di ricercare soluzioni vantaggiose per lo sviluppo di Caposele, il respingimento della vis polemica e le faziosità inutili. Insomma La Sorgente ha svolto un ruolo considerevole nel tessuto caposelese. Mi sia consentito, infine, concludere questo mio modesto contributo, con un ricordo personale. La prima volta che la mia firma venne ospitata sulle colonne di questo giornale, credo sul numero 2 o 3, fu insieme a quella del mio caro ed indimenticato compagno d’infanzia Filippo Majorana. Scrivemmo, a quattro mani come suol dirsi, un articolo, sotto forma di lettera alla Redazione, che intendeva pungolare l’amministrazione comunale dell’epoca, retta da Francesco Caprio, per risolvere i movimenti franosi che interessavano il campo sportivo Liloia. Ci volle qualche decennio per risolvere il problema. Comunque concludevamo lo scritto con un’espressione colta e forbita, chiedendo di non rinviare alle” Calende greche” la soluzione del problema. Ovviamente l’espressione non fu farina del nostro sacco. Ci venne infatti suggerita dal papà di Filippo ,il segretario comunale Gennaro Majorana. Facemmo bella figura immeritatamente

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ma ormai credo che il reato di” furto d’espressione” si sia estinto. Ora dunque auguriamo altri Cento di questi... numeri

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utti gli eventi più importanti della storia hanno segnato un prima ed un dopo: una sorta di spartiacque che investe tutti i settori e che ci spinge alla ricerca del nuovo. Con questa premessa mi appresto ad esporre alcune riflessioni riguardo la fase che stiamo vivendo. Prima di relazionare sul pre-virus e post virus è doveroso far menzione del traguardo storico che il periodico “La sorgente” ha raggiunto: centesima edizione! Qualcosa di straordinario di cui andare fieri e per cui ringraziare i tanti che hanno fatto sì che tale obiettivo si raggiungesse. Il periodico ci ha permesso di riscoprire e conoscere

Un prima ed un dopo di Giusepe Caruso

E' in stampa L'ANTOLOGIA CAPOSELESE.In essa troviamo i passi più significativi di tanti e plurali autori che hanno alimentato “La Sorgente” diretta, per ben 100 numeri e lungo circa 50 anni di vita, da Nicola Conforti. (dalla prefazione di Gerardo Ceres)

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Caposele nella sua evoluzione storica, ma soprattutto ci permette, con moto perpetuo, lo scambio di idee e visioni per la nostra comunità mostrando, soprattutto fuori dalle mura di cinta del nostro campanile, tutto lo splendore che merita. Ed allora da domani ci sarà sicuramente un prima ed un dopo; l’augurio è che dal 101esimo in poi ci possano essere solo racconti belli per la nostra comunità. Tornando al corpo del testo è giusto sottolineare il momento complesso che l’umanità tutta sta vivendo: emergenza Covid-19. Una pandemia che sta manifestando tutti i suoi effetti nefasti non solo dal punto di vista sanitario, ma anche dal punto di vista economico e sociale. Ed anche in questo caso ci sarà un prima ed un dopo, un po’ come avvenne con il terremoto del ‘80 (a dir la verità io fatico molto, per via della mia giovane età e della fase storica in cui sono cresciuto, ad immaginarmi un prima). Il pre Covid lo conosciamo tutti, la società in cui vivevamo fino ieri l’altro non ha bisogno di molte presentazioni, al massimo di qualche riflessione interiore che ci faccia percepire la sua reale portata. Sul dopo, invece, si potrebbe dire molto cercando di formulare delle proposte concrete. Innanzitutto, dobbiamo dircelo chiaramente che da questa fase non se siamo usciti migliori. Forse ci siamo illusi che un evento esterno potesse produrre una metamorfosi della società. Migliorarsi, invece, costa tempo, impegno e fatica. Ed allora bisogna per davvero acquisire la consapevolezza del dopo e riscrivere le regole per un nuovo Umanesimo. Bisogna, partendo dal piccolo, costruire una nuova società

Giuseppe Caruso Presidente Forum Regionale di giovani

che abbia la capacità di impegnarsi per il bene comune affrontando i singoli problemi per la complessità che meritano. Bisogna ripensare ad una rigenerazione dei poteri dello Stato, ormai sia il Legislativo che l’Esecutivo e il Giudiziario vivono una crisi profonda del loro essere ed appaiono incapaci di governare la loro stessa essenza. Bisogna investire in una società caratterizzata da tre fondamenta: equità, ambiente e cultura. Ci sarà bisogno di rispolverare il legame rivoluzionario che lanciò Adriano Olivetti: Lavoro– Comunità – Cultura; comprendendo la necessità di un’economia che si faccia carico di obiettivi di promozione umana. Un’economia che vada oltre quella del profitto come misura di tutta le cose. Da oggi si può avviare un percorso che miri a costruire una società migliore, ma nulla si farà da solo. Concludo con una breve riflessione che riguarda direttamente la nostra comunità: potremmo uscirne forti ed essere un riferimento per gli altri paesi a noi limitrofi e non solo, se avessimo l’ambizione della programmazione, la capacità di scelte condivise e coraggiose che mirino ad una visione di insieme del nostro territorio, capaci di coniugare benessere, paesaggio e turismo. Questi mesi possono e devono essere un’occasione storica per far fare il salto di qualità alla nostra comunità, il momento è ora! Buona insolita estate e tutti pronti per la prossima edizione sperando di poter scrivere pagine più leggere nel dopo 100 e, si spera, nel dopo Covid.

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Lettere in redazione

LETTERA APERTA AL DIRETTORE DELLA SORGENTE: NICOLA CONFORTI.

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aro Direttore, penso di farti cosa gradita, scrivendoti una lettera aperta, mi spinge la gratitudine che sento nei tuoi confronti e la voglia di " ringraziarti" nell'aver iniziato, condotto e raggiunto la"CENTESIMA EDIZIONE" di un qualcosa che è stato e sarà evento unico nella vita di Caposele. Dagli anni settanta La Sorgente, con le sue due pubblicazioni annuali, è entrata nelle case dei Caposelesi, in quelle sparse nelle tante località italiane, europee ed anche in quelle oltreoceano. Che grande traguardo ! Siamo alla centesima pubblicazione. Non ho scritto molti articoli, ma ho sempre letto, con attenzione, le tante pagine di ogni edizione, ne ho ammirato i contenuti, la storia e le tante foto storiche di "realtà vissuta", di ricordi che riemergono nella mente, che riflettono un territorio di comunità, dove il rispetto delle idee e dei valori si è svolto, si svolge e continuerà a manifestarsi nel rispetto di un dialogo libero, democratico, aperto a tutti. La Cultura e le Tradizioni del nostro essere Caposelesi sono state ampiamente approfondite e promulgate. Le immagini storiche e non, i paesaggi circostanti del nostro "bel paese" ci hanno accompagnato lungo l'arco della nostra esistenza e lo faranno ancora. Come non ricordare i dibattiti e le tante discussioni politiche, alcune riguardanti anche il "sociale", le conversazioni libere, le argomentazioni su aspetti diversi e viventi del nostro paese: hanno trovato sempre spazio nel giornale e grazie ad "esso" si sono potute diffondere dappertutto. Il giornale ha affrontato da protagonista le trasformazioni digitali, andando al passo con il "tempo dei cambiamenti". Quando avverrà il passaggio di testimone tra te e Salvatore tutto proseguirà con la consapevolezza che con tuo figlio le trasformazioni tecnologiche arricchiranno sempre di più questa meravigliosa creatura, che è LA SORGENTE. Grazie ancora, Direttore per tutto quello che hai fatto e farai ancora. La tua perseveranza (perseverantia) è stata continua e persistente. Non temere LA SORGENTE continuerà ad esistere, perché il lavoro vince ogni cosa. "LABOR OMMNIA VINCIT". Con l'affetto di sempre ti saluto caramente. Giuseppe Rosania

TRAGUARDI E CONSUNTIVI in tempo di coronavirus

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hi avrebbe mai potuto lontanamente immaginare che il centesimo numero de LA SORGENTE avrebbe dovuto ospitare tra le sue notizie anche quella riguardante la devastante emergenza epidemica di COVID-19 ? Eppure è accaduto e LA SORGENTE non può fare a meno di parlarne come, d’altronde, ha finora fatto tutte le volte che si è imbattuta in qualche vicenda triste che ha coinvolto direttamente o indirettamente la sua comunità . Il fatto, poiché questa perniciosa epidemia accada in coincidenza col quarantesimo anniversario del sisma del 23 novembre 1980 non fa che accrescere da un lato la tristezza ed il dolore per eventi del genere e dall’altro irrobustire la speranza che anche questa volta ne usciremo presto e bene . Vorrei dire ai tanti giovani, il cui comportamento è stato esemplare che non si deve aver fretta ed in ogni caso bisogna aver pazienza in quanto ogni evento eccezionale ha i suoi perché ma soprattutto i suoi tempi : in fondo quando si imbocca una galleria, si sa che essa ha un termine. Tutto sta a non perdere la forza d’animo e la ragione e a coltivare la speranza con convinzione .Tutti quelli che hanno vissuto e sopravvissuto alla guerra ma anche tutti noi che ci siamo salvati quarant’anni fa da un terremoto ed hanno superato difficoltà ed intemperie di ogni genere certamente hanno compreso le misure di distanziamento e di confinamento domestico imposte proprio perché imposte in nome del valore che bisogna sempre dare alla vita .Ecco perché i giovani devono vincolarsi a questo valore e difenderlo da ogni pericolo. Tutti quelli che sfortunatamente sono “caduti “ per coronavirus ci chiedono di non sfidare la sorte , mettendola a rischio come nel gioco della roulette russa. I giovani, invece, sono attesi in altre battaglie più dure ed inevitabili che riguardano la lotta per il lavoro. Chi si prende la briga di sfogliare i 99 numeri de LA SORGENTE potrà riscontrare l’asprezza dello scontro politico a Caposele negli anni dell ‘emergenza postsismica e della ricostruzione in nome di un’ idea di rinascita .Furono anni di una durezza unica in cui legittimamente si confrontarono punti di vista e progetti, in ogni caso furono anni esaltanti in cui la Politica si sforzò di dare il meglio di sé. Ritornando al nostro giornale, senza esagerazione e senza facili trionfalismi io credo che La Sorgente sia stata

dalle sue preziose produzioni popolari.

di Alfonso Merola

per oltre otto lustri un buon punto di riferimento per i caposelesi vicini e lontani non solo perché si è sforzato di veicolare qualunque genere di notizia riguardante Caposele, ma anche in quanto ha registrato semestre per semestre ed anno dopo anno l’evoluzione sociale del suo paese. Non esiste, d’altra parte, un comune in Campania che può vantare un giornale locale così resiliente che ha avuto anche la fortuna di una continuità nella sua direzione, la cui peculiarità è tutta racchiusa nell’affetto e nell’entusiasmo per il suo paese. Che cosa è stato La Sorgente in tutti questi anni per chiunque lo ha letto ed apprezzato anche in tempi in cui la carta stampata ha dovuto cedere il passo ai giornali online ? Esso è stato innanzitutto lo specchio di vita quotidiana di un paese delle zone interne, una vita che ha alternato giorni di serenità e di dolore, di realismo e di attese, anche di disperazione e speranza.

Noi non ci stancheremo mai di ringraziare Nicola Conforti che da socio fondatore e presidente della Pro Loco Caposele ebbe l ‘idea di dotare la nostra associazione turistica di un periodico di informazione che con tanto sacrificio, dedizione e pazienza ha diretto per così tanto lungo tempo , raggiungendo tutti gli angoli del mondo dove ci fosse un caposelese. Il nostro non è un riconoscimento di facciata in quanto è cosa unica più che rara riscontrare la tenacia di un uomo così attaccato ad un lavoro in nome di un amore per Caposele . Ovviamente siamo in tanti ad auspicare che La Sorgente, superato con successo il traguardo del centesimo numero, prosegua con lo stesso impegno le pubblicazioni, avendo come stella di riferimento il suo instancabile ed insuperabile fondatore, il quale non abbandonerà mai la nave che ha immesso in mare nel lontano 1973 e che siamo sicuri egli accompagnerà nella navigazione ancora per tanto tempo.

Ci ha informati sulla vita istituzionale dell’ amministrazione comunale, sulle attività di una scuola in movimento, sui suoi figli migliori che con opere e lavoro hanno onorato la comunità, sulle pagine significative di una storia dalle antiche radici ma anche sulla cronaca quotidiana che si è col tempo tramutata essa stessa in storia . Esso ci parla di lieti eventi come le nascite, le lauree, i premi e i traguardi personali, di emozioni collettive, senza tacere di eventi luttuosi, di tragedie umane singole o corali. Ha dato voce a poeti e scrittori in erba, la cui freschezza letteraria in molti casi di tutto rispetto, sia che si cimentassero nel recupero e nella rielaborazione di racconti popolari, sia che affrontassero la riflessione politica i progetti originali ed entusiasmanti per Caposele Ha, infine racchiuso nel suo scrigno la memoria storica di un paese di sorgente attraverso la difesa e la trasmissione della sua cultura materiale, ma anche attraverso la ricerca e la conservazione di quel patrimonio immateriale veicolato oralmente da un dialetto e

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Attualità

Caposele dopo il Coronavirus

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’ una situazione in continua evoluzione. Mentre sto scrivendo, a fine giugno 2020, il virus sembra essersi indebolito – come se si fosse preso una pausa per l’estate – e si comincia a vedere una piccola luce fuori dal tunnel. Ma non si può prevedere cosa accadrà in futuro. Nessuno può dire, in questo momento, se a settembre i nostri figli torneranno a scuola ed in che modo faranno lezione, se sarà ancora possibile cenare tranquillamente in un ristorante, se potremo riprendere un autobus, un treno o un aereo senza rischiare di ammalarci. Se il lavoro tornerà ad essere quello di prima. In questi mesi appena passati molti hanno sperimentato l’efficacia del lavoro da casa, lo smart working. Si è passati dai 570 mila in lavoro agile prima della pandemia Covid (stime del Politecnico di Milano), agli 8 milioni con il lockdown. Il tutto nel giro di appena qualche settimana. Sarà stata un’esperienza eccezionale o lo smart working potrà adottarsi stabilmente anche per il futuro? Ma soprattutto, se dovesse stabilizzarsi questo modello di lavoro agile, senza vincoli orari o spaziali, senza la necessità di recarsi tutte le mattine sul luogo

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o scorso 11 luglio, presso l’Hotel Terme Capasso a Contursi Terme si è tenuto l’incontro per l’avvio di questo progetto strategico, alla presenza del Vicepresidente Bonavitacola e della Presidente del Consiglio regionale D’Amelio che ha concluso il suo intervento dichiarando: «Da Caposele al mare, le autonomie locali realizzeranno in Regione, un distretto ecologico per lo sviluppo sostenibile basato su agricoltura differenziata, turismo e artigianato»; Promotori dell’iniziativa l’Ente Riserve Naturali “Foce Sele Tanagro” e “Monti Eremita Marzano” i cui dirigenti hanno commentato quanto sia stato congruo il confronto istituzionale che darà sicuramente un forte impulso al territorio: Un patto fra enti territoriali e operatori privati volto a rilanciare, in chiave sostenibile, i territori compresi nel bacino idrografico dei fiumi Sele, Tanagro e Calore salernitano. Nel rispetto delle disposizioni sanitarie anti Covid 19, la partecipazione alla riunione è stata riservata agli amministratori dei 40 comuni e ai presidenti delle 5 comunità montane locali interessati dai corsi

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di lavoro, non cambierebbe anche il rapporto tra l’uomo e la città? Quanti, tra coloro che sono stati costretti a trasferirsi in una grande città, troveranno ancora conveniente vivere in una metropoli? In un’intervista a la Repubblica l’architetto Stefano Boeri, l’ideatore del “bosco verticale”, grattacieli terrazzati e verdi, archistar di fama internazionale che progetta e costruisce in tutto il mondo dice che l’Italia “è piena di borghi abbandonati, da salvare. Abbiamo un’occasione unica per farlo” e che la sua idea è un grande progetto nazionale di riqualificazione di paesi e piccoli centri abbandonati. Secondo Boeri, in seguito alla pandemia da Covid-19 in Inghilterra già si prevede una grande spinta verso l’abbandono delle zone più densamente abitate e questo succederà anche in Italia. Chi ha una seconda casa ci si trasferirà – abbiamo ormai capito le potenzialità del lavoro a distanza – o ci passerà periodi più lunghi. Ma questo processo andrà governato. Ci sono 5800 centri sotto i 5mila abitanti, e 2300 sono in stato di abbandono. “Se le 14 aree metropolitane adottassero questi centri, con vantaggi fiscali e incentivi… E già ci sono luoghi meravigliosi dove ti danno la casa in un centro storico a un euro, in Liguria, e

lungo la dorsale appenninica” precisa. Per Boeri, dunque, questa esperienza pandemica ci costringe e ci permette di ripensare tante cose. Nel corso dei secoli si sono verificate fasi alterne di deurbanizzazione e inurbamento, ovvero migrazioni di grandi masse di popolazioni dalle campagne alle città e, al contrario, spopolamento delle città da parte di masse consistenti della popolazione che si insediano in comuni limitrofi al centro urbano. Questi fenomeni hanno visto soprattutto spopolarsi i piccoli comuni dell’entroterra come Caposele, i cui abitanti hanno dovuto spesso migrare nelle grandi città italiane o all’estero. La lontananza dai grandi centri – dove è più alta la richiesta di lavoro – non ha poi favorito il nostro comune nei processi di deurbanizzazione, quando masse di lavoratori hanno abbandonato la metropoli alla ricerca di una migliore qualità della vita nelle zone limitrofe. La pandemia del Covid-19, ed il conseguente sviluppo del lavoro agile, potrebbe fornire una nuova opportunità al nostro paese. Assumere una persona che vive a centinaia di chilometri dalla sede di lavoro potrebbe diventare la norma. Una buona amministrazione dovrebbe creare le condizioni affinché una

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famiglia possa trovare conveniente stabilirsi da noi. Occorrerebbe lavorare sulle differenze principali tra una città ed un piccolo centro e provare a ridurle. Occorrerebbe migliorare i collegamenti con le città più vicine, naturalmente, ma non solo dal punto di vista spaziale. Una connessione internet al passo con i tempi è fondamentale. Ma occorrerebbe migliorare la qualità della vita in generale, curando la manutenzione dei luoghi, delle strade, delle montagne, investendo sulle nostre scuole, portando a livelli di eccellenza i nostri impianti sportivi ed aiutando i tanti imprenditori che operano nel turismo ad innalzare sensibilmente il livello della loro offerta. Il lavoro da fare è tanto e andrebbe svolto in sinergia con i paesi limitrofi e gli enti sovracomunali, ma una politica “visionaria” in questo momento è quanto mai necessaria. Prima ancora che si arresti questa grave pandemia, dovremmo riuscire a trasformare questa crisi in un’opportunità.

CAPOSELE NEL CONTRATTO DI FIUME SELE, TANAGRO, CALORE SALERNITANO: UN PATTO TRA AREE INTERNE E COSTIERE PER IL TURISMO E LO SVILUPPO ECOSOSTENIBILE DEL TERRITORIO d’acqua e rientranti nella perimetrazione dell’Ente Riserve. Nei prossimi mesi, l’organizzazione di cinque laboratori tematici su rischi naturali, paesaggio e turismo, urbanistica, agricoltura, gestione della risorsa idrica, preceduti da incontri con gli stakeholder locali: consorzi di bonifica, imprenditori del turismo, agricoltura e zootecnia, terzo settore. Subito dopo, la stipula finale del Documento Strategico, che vedrà la sua forza nella programmazione partecipata. L’obiettivo è recuperare la qualità delle acque, fronteggiare il rischio idrogeologico e porre le premesse per uno sviluppo economico sostenibile, in attuazione della Direttiva Quadro europea 60/2000 sulle acque, con un primo finanziamento per la fase di start up e un successivo percorso che, nella nuova programmazione economica

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regionale, mira ad intercettare numerosi fondi nazionali ed europei. In questo quadro, ha dichiarato Bonavitacola, può affermarsi «un nuovo turismo, che punti a valorizzare le aree interne e i borghi antichi come luoghi in cui rifugiarsi dal mondo e delle nevrosi, c’è una nuova domanda di qualità della vita, mangiar sano, respirare aria pulita, recuperare i tempi lenti e il silenzio di una volta. Il Contratto di Fiume serve anche per andare incontro a queste necessità» e realizzandosi, potrà dare forma ad una vera e propria oasi nel cuore del Tirreno e della Campania interna, esaltando l’identità e i talenti dei territori. Speriamo davvero che, aprendosi questi nuovi fronti di sviluppo, ci siano

Il Vicepresidente della Regione Campania Fulvio Bonavitacola, accanto a lui, la Presidente del Consiglio Regionale Rosetta D’Amelio e Antonio Briscione, Presidente dell’Ente riserva naturale Foce Sele – Tanagro.

altre opportunità per il nostro territorio, per le nostre piccole ma particolari e pertanto uniche realtà e Caposele potrà fare la sua parte concretamente, con le sue risorse, culturali, naturali e intellettuali.

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Attualità

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o riflettuto molto in questi giorni di solitudine cercando un senso, un perché di tutta questa assurda situazione in cui siamo costretti a vivere. Mi mancano mio fratello e le mie sorelle lontani da me, mi manca l’abbraccio dei miei nipotini, il contatto umano, il dialogo, una passeggiata in centro, una cena in qualche locale. Sto vivendo la vita il più semplicemente possibile: guardo la TV, pubblico su riviste provinciali i miei articoli, dipingo su tela fiori e farfalle, leggo libri e soprattutto poesie. In questi giorni mi è capitato di leggere una bellissima poesia, di molto tempo fa, che sembra essere stata scritta ora per tutti noi: “ E la gente rimase a casa E lesse libri e ascoltò E si riposò e fece esercizi E fece arte e giocò E imparò nuovi modi di essere E si fermò E ascoltò più in profondità Qualcuno meditava Qualcuno pregava Qualcuno ballava Qualcuno incontrò la propria ombra E la gente cominciò a pensare in modo differente E la gente guarì E nell’assenza di gente che viveva In modi ignoranti- PericolosiSenza senso e senza cuore Anche la terra cominciò a guarireE quando il pericolo finì E la gente si ritrovò Si addolorarono per i morti E fecero nuove scelte E sognarono nuove visioni E crearono nuovi modi di vivereE guarirono completamente la terra Così come erano guariti loro. La gente è stanca di vedere il mondo capovolto. Si vive in una totale confusione. Si mette in discussione ogni più piccola certezza che ci ha accompagnati lungo il cammino, siamo stanchi delle risse di chi governa e delle scelte sbagliate che spesso fa chi ci dovrebbe rappresentare, siamo stanchi, soprattutto di come viene trattato il pianeta. Il surriscaldamento globale è causa di molte calamità non solo meteorologiche ( bombe d’acqua, siccità, inondazioni ecc.) ma incide sullo scioglimento dei ghiacciai, sull’innalzamento dei mari e su tanti altri parametri: acidità degli oceani, cambiamento della biodiversità, sviluppo di insetti, scomparsa di alcune specie, aumento di altre e crescita delle piante. Le piante crescono di più perché nell’aria c’è una maggiore quantità di anidride carbonica e, come sappiamo, le piante si nutrono di anidride carbonica(CO2) ed emettono ossigeno. Gli studiosi delle emissioni affermano che la CO2 nell’atmosfera

Il valore del tempo e il mondo che lasciamo ai nostri nipoti cresce 100 volte più velocemente rispetto alla fine dell’Era glaciale. L’atmosfera si sta riscaldando a causa dell’effetto serra, dovuto a molteplici fattori, tra i quali la crescita della popolazione, la deforestazione, l’utilizzo di combustibili fossili, le attività umane. I danni si ripercuoteranno su tutta la catena alimentare, quindi sul latte, sulla carne, sui pesci e sulla salute di tutte le specie viventi compresa, naturalmente, quella dell’Homo sapiens. Il riscaldamento globale è un grave pericolo per l’umanità e l’indifferenza generale lo è ancora di più. A fine secolo si potrebbero riscontrare cambiamenti climatici con enormi problemi per la nostra specie. Continuando, quindi, con l’attuale modello di crescita basato sul consumo, sul profitto e su scelte utili a pochi e a danno dell’intera comunità, potremmo giungere nel giro di pochi decenni ad un punto di non ritorno. I governi e le industrie fanno greenwashing , continuano ad esprimere preoccupazione riguardo al riscaldamento globale e all’ambiente, ma finora non hanno intrapreso azioni mirate a stabilizzare il clima e a preservare l’ambiente. Il guaio è che ingannano tutti compresi se stessi, pensando di poter raggiungere un compromesso. La natura e le leggi della fisica non scendono a compromessi , sono quelle che sono. Si ritiene, pertanto, molto importante che le persone e i giovani in particolare siano coinvolti in modo più significativo e che vengano a conoscenza di cosa significa continuare ad estrarre ulteriormente le fonti fossili e riportare in atmosfera quella parte di CO2 che la Terra ha sapientemente nascosto nelle sue viscere.

Il sussulto della terra A voler far l’esame di coscienza, potrei dar tanto ancor a questa gente mia. Son sì terra ferace e di bella presenza, il trucidarmi allor sarebbe una follia. No, non togliete a me l’odor del pesco in fiore, non fatemi versar lacrime acri, non sradicate la pace dal povero cuore di una terra pur sempre radice dei padri.

di Dora Garofalo

Crollan valori antichi, vien meno l’onestà e la mia vita infin nell’Ade vola. Chi ascolta il mio lamento sposi la pietà. Prima che Adam perdesse il suo più puro stato, quel giorno in cui costui si ribellò al Signore. Qualcuno qui benigno con grazia mi ha adagiato. Così ho servito ogni essere col dovuto ardore. Da allora ho conosciuto gaiezze e sofferenze, tempi di dure guerre, di fame e di briganti, di misere allegrie, di affanni e di speranze, di povero lavoro e di cuori emigranti. Tempi di memoria di ingenui miti, tempi di carezze e di aurore bianche, di aquiloni lievi, liberi e puliti di bimbi felici e di mamme mai stanche. Ma quando oggi ho urlato questo mio nome al vento con le braccia protese verso l’azzurro cielo, lui lo ha sibilato come fosse un lamento di donna addolorata sotto corvino velo.

Eppure non protesto, grido solo la mia sorte di terra tristemente poco amata. Sussulto silenziosa per la condanna a morte ingiusta e certamente immeritata. Però di certo non mi do per vinta perché lo devo a voi, figli miei cari. Continuerò a gridare, combatterò convinta acché gli uccelli ancor facciano cori. Ma se dovessi perdere la guerra, se il buio avvolgerà tutti i colori, figli, sarete orfani di terra, di verdi prati, di alberi e di fiori. Ed io non potrò più mirar le stelle, e tu, a cui dirò l’ultimo addio, ricorderai che tra le cose belle un dì passato lì ci fui pur io.

Allora mi domando, chi sono dunque io? Sol gleba desolata senza niun valore? Alcuni mi han risposto: sol di vento fruscio,senza virtù né storia né tanto meno onore. Non posso perciò avere speranza del domani? Ma cosa vuole l’oggi, perché mi ha abbandonato? Per quali estranee colpe signori a me lontani mi hanno duramente condannato? Vive l’assurdo grigio del reale chi non rispetta le regole del creato. La gente corre il rischio di far male se alla vita non dà significato.

La nuova prospettiva non mi consola.

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Sulla nostra "Seleteca" le più importanti pubblicazioni dedicate a Caposele e scritte da autori Caposelesi. Sfoglia liberamente e approfondisci anche la storia del nostro Paese dai numeri de "La Sorgente" h t t p s : / / i s s u u . c o m / l a s o rg e n t e

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Sociale

GENERAZIONI

IL CINEMA DOPO

di Ernesto Caprio

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l virus pandemico, che sta imperversando nel mondo, qui in Italia ha fatto emergere ed ha evidenziato, tra le altre riflessioni indotte, anche la tensione generazionale, che già serpeggiava, e non a torto, fra i giovani nei confronti dei padri e soprattutto della generazione dei nonni: per salvaguardare la vita degli anziani, colpiamo l’economia e quindi il nostro futuro. L’estrema sintesi di un’analisi così limitativa della complessità della realtà, anche nella sua variegata componente economica, rivela nella sua ricerca di verità un presupposto culturale molto “semplificato”: gli studi, le relazioni sociali, le logiche sempre più elementari, corroborate da mezzi tecnologici di informazione sempre più sofisticati e paradossalmente sempre meno idonei a sviluppare un processo attivo e critico nei confronti dei messaggi da essi veicolati, sono stati parte fondamentale nella formazione di questa generazione e conseguentemente nella diversa cultura che essa esprime ed esprimerà. La scuola si è trovata nel mezzo di tale passaggio tecnologico e socio-culturale, e, già indebolita da riforme dominate da considerazioni sociali, che poi si sono dimostrate del tutto errate o addirittura controproducenti, e da improprie valutazioni di improduttività economica, ha subito pesanti tagli nelle risorse ad essa destinate. Si è mossa contemporaneamente in due direzioni: inglobare le nuove possibilità tecnologiche e finalizzarle ad una nuova, e possibilmente migliore, didattica; essere di contrasto alla omologazione verso il basso del suo ruolo formativo da sacrificare sull’altare delle 3 c prima (competizione, conoscenze, competenze) e delle 3 i poi (impresa, informatica, inglese). Insomma è mancata una linea di riforma della scuola che potesse conciliare le nuove conoscenze ed esigenze del mondo che cambia con le fondamentali esigenze formative, che soprattutto in Italia rappresentano, ed hanno sempre rappresentato, il patrimonio più importante e più esportabile, come forzatamente sta accadendo. I defraudati da tali errori sono i giovani, defraudati rispetto alla mia generazione del dopoguerra, che ha usufruito di un percorso scolastico molto organico e fortemente orientato alla formazione: la “riforma Gentile”, pensata e delineata dal suo predecessore al Ministero della Pubblica Istruzione, Benedetto Croce. E già all’entrata in vigore di tale riforma ci fu chi contestò un’eccessiva semplificazione rispetto agli studi precedenti (per esempio l’abolizione delle traduzioni greco – latino al liceo classico). Alle sottrazioni dai programmi gentiliani ci sono state ben poche addizioni: mancano, ad

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esempio, “l’educazione all’immagine”, “l’educazione alla informazione”, “ l’educazione sentimentale”, “ fondamenti di economia e diritto”. Ora la domanda che ci si pone è: a questo punto noi (vecchi, adulti, giovani) che cosa possiamo fare? Io penso che già fare chiarezza sui temi, che in modo così frettoloso ho accennato, possa essere fondamentale per l’acquisizione di una consapevolezza della società in cui viviamo e rappresenta anche un primo passo verso una comprensione delle differenze generazionali. Trovo molto interessante l’iniziativa del “Quotidiano del Sud”, che con cadenza settimanale lascia alla gestione dei “ventenni” la seconda parte del giornale stesso, che è poi anche la più consistente. Insomma è urgente che i giovani trovino, oltre che il lavoro, che è fondamentale, anche dei canali espressivi, quale quello della parola scritta su carta stampata, che implica uno sforzo riflessivo oltre che creativo, e che li renda trasparenti alla società nel pensiero, nelle passioni, nelle visioni, nelle relazioni ed insomma in tutto quanto essi vivono, operano e ambiscono. Il numero 100 de “La Sorgente” è una grande occasione sia di festeggiamento ed omaggio al suo direttore, l’instancabile e tenace ing. Nicola Conforti, sia di progettazione e di prosecuzione di questa esperienza, che tutti ci auguriamo e ci impegniamo a sostenere, e soprattutto, se richiesti, a collaborare umilmente con le nuove generazioni, che mi auguro saranno chiamate a prendere, seppur gradualmente, la gestione del periodico. Perciò grande soddisfazione per il traguardo raggiunto, anche grazie alla collaborazione di tutti i redattori, di cui io da alcuni anni faccio parte, e grande futuro per un rinnovamento, che deve necessariamente nascere dalle nuove generazioni.

Il Palazzo del Comune

Anno 47° XLVII - Agosto 2020 N.100

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nevitabile pensare come sarà dopo, non solo il cinema, ma tutte le attività produttive, ed in particolare il terziario: un salto verso una dimensione virtuale dei rapporti di lavoro e di attività sociale, una perdita di fisicità della vita reale, relegata ad un ambito dedicato e specifico, magari nel week end. Non voglio addentrarmi nella enorme complessità delle nuove configurazioni dell’attività lavorativa, che già prima del virus si prevedeva che sarebbero mutate per il 65% nell’arco dei prossimi 20 anni. La pandemia in atto determinerà un’accelerazione enorme, così come le guerre hanno sempre determinato nello sviluppo tecnologico della società che ne è seguita, con mutazioni radicali nella vita e nell’essere delle persone. Già da tempo intellettuali e filosofi hanno denunciato la trasformazione antropologica conseguente allo sviluppo ed alla diffusione generalizzata dell’uso dei mezzi teleinformatici nelle attività e nella vita degli umani. A riguardo sarà utile ricordare il filosofo francese Paul Virilio, scomparso di recente, e la sua attenzione profonda al tema, come ben testimonia la sua ultima opera “La bomba informatica” . Quale autore cinematografico mi chiedo che cosa sarà del cinema, in quanto forma artistica sviluppatasi con la tecnologia e quindi più soggetta alle facili contaminazioni derivanti dalle nuove possibilità tecniche. Non mi voglio porre come strenuo difensore della pellicola, che ha un uso sempre più ridotto, anche se rimane preferibile per alcune specifiche produzioni. Tra l’altro sono stato fra i primi autori ad addentrarmi nel mondo dell’elettronico: il VHS, il digitale, l’HDV, il 4D sono tutti passaggi della tecnologia della riproduzione dell’immagine in movimento e sono stati al centro dei miei lavori di ricerca e di realizzazione, soprattutto come mezzo di indagine nel mondo giovanile. Nel 1980 grazie alla lungimiranza del regista e storico del cinema Carlo Lizzani, allora direttore della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, anche in occasione della presentazione del primo film italiano girato in elettronico da Michelangelo Antonioni, “Il Mistero di Oberwald”, per la prima volta furono proiettati all’interno della Mostra 3 video selezionati nella sezione “Controcampo Italiano”: il mio, prodotto dalla Regione Lazio, ed altri due, prodotti rispettivamente dalla Provincia di Milano e dal Comune di Venezia. Bisogna dire che già Roberto Rossellini, di cui Carlo Lizzani fu allievo al Centro Sperimentale di Cinematografia, aveva intuito il ruolo diversamente creativo dei “mezzi di ripresa leggeri” e Cesare Zavattini ne aveva teorizzato un futuro aperto alle infinite possibilità dello sviluppo tecnologico. E’ anche da notare come assessorati di enti pubblici

di Ernesto Caprio

di quegli anni avessero recepito le potenzialità comunicative delle quali le nuove tecnologie fossero portatrici. Nella realtà tecnologica attuale la produzione filmica, al di là delle realizzazioni professionali riconosciute, può ed è esercitata quotidianamente dalla maggior parte delle persone che possiedono uno smartphone, per gli scopi più diversi ed a volte fini a se stessi, cioè per una interiore necessità espressiva. Così come è accaduto con l’invenzione della stampa e l’alfabetizzazione di massa, che hanno dato luogo ad una produzione diffusa di letteratura nelle sue varie accezioni: diari, raccolte epistolari, racconti, poesie, romanzi. Ma il cinema, le sale cinematografiche sopravvivranno e come? E se il virus covid-19, dopo l’auspicata sconfitta, che io vedo soltanto attraverso la scoperta e la pratica diffusa del vaccino, si ripresenta in forme mutate dopo una più o meno lunga pausa? Personalmente mi auguro che la sala cinematografica sia in grado di mutare, facendo ricorso a quanto la tecnologia potrà offrire per garantire una fruizione sicura da eventuale contagio, e che sopravviva. Perché la perdita della condivisione in vicinanza fisica con altre persone in luogo pubblico di emozioni e dell’esperienza culturale ad esse sottesa, che ha sempre avuto un ruolo di formazione, educazione e coesione sociale, contribuirebbe sicuramente a quella trasformazione antropologica, di cui già si è detto in precedenza, con una sicura perdita in termini di bagaglio e valori culturali. Quindi, malgrado tutte le problematiche manifestate, il mio sguardo sul futuro rimane ottimista e sicuramente non catastrofico. Penso, perciò, che non bisogna assumere un atteggiamento di pura attesa nei confronti della inesorabile mutazione indotta dallo sviluppo tecnologico, ma all’interno di questa è necessario esercitare la forza che il nostro patrimonio umano e culturale ci dà per salvare quei valori che noi riteniamo imprescindibilmente identificativi dell’uomo. E qui, tornando al mio settore del cinema e dell’audiovisivo, mi auguro che le scuole ed i loro dirigenti siano sempre più aperti alle iniziative volte all’educazione all’immagine dei propri studenti, disciplina ancora assente nelle materie curriculari. A tal riguardo voglio segnalare la nuova legge cinema che da qualche anno finanzia, attraverso la collaborazione del Ministero dei Beni Culturali ed il Ministero dell’Istruzione, progetti nelle scuole di formazione, produzione e cultura cinematografica e dell’audiovisivo, alcuni dei quali già realizzati in Irpinia, quale “La solitudine di chi resta” dell’Istituto Comprensivo di Caposele, allora diretto dal dirigente Gerardo Vespucci. (pubblicato sul Quotidiano del Sud il 14 aprile 2020)

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n giornale locale, che da quasi mezzo secolo è presente nella vita di una comunità e che giunge vivo, robusto e vigoroso al suo centesimo numero, sollecita, di sicuro, più di una riflessione sulle ragioni della sua persistente vitalità, sul suo ruolo, sul senso che può avere nel contesto sociale da cui trae linfa vitale e forza propulsiva. Alcune preliminari considerazioni sulla natura stessa di un giornale, sulle definizioni classiche del termine, sui tratti specifici, sociali, culturali e ambientali, del territorio di cui è voce, possono offrire elementi utili all’analisi, far cogliere caratteri, aspetti ed effetti secondari particolari, portare a piacevoli scoperte. Il vocabolario Treccani, al significato 3.a, definisce così la parola “giornale”: “Pubblicazione giornaliera a stampa, di uno o più fogli, che reca notizie, commenti, articoli e avvisi d’ogni genere sulle più disparate materie…nell’uso corrente odierno, il nome è spesso esteso genericamente a periodici non quotidiani… e… usato anche come titolo di quotidiani”. Nel sec. 18° a questo genere di pubblicazioni era dato il nome di gazzetta, detta così perché costava una “gazzetta” (antica moneta veneziana), “giornale” indicava, invece, le riviste letterarie. Non dissimile la definizione nel dizionario Devoto Oli “Pubblicazione quotidiana a stampa, nella quale sono riportate e commentate notizie e informazioni di interesse pubblico o relative agli interessi di speciali categorie o gruppi di persone…estens. anche designazione di pubblicazioni periodiche…”. In entrambi sono anche elencati e descritti i tanti usi del termine giornale: “g. di bordo, g. di classe, g. di viaggio, g. di ricordi, g. di partito, g. indipendente, g. sportivo…”. Si tratta, quindi, di una modalità comunicativa dalle molteplici funzioni, ben organizzata e strutturata, che informa, documenta, racconta, commenta, descrive, riferisce, illustra, esprime opinioni e ne sollecita la formazione; che fissa su fogli, grazie all’invenzione della stampa, tanto determinante per la loro diffusione, notizie, fatti, storie, eventi, immagini, ricordi; che riflette la temperie culturale di un luogo e di un tempo; che rappresenta per tanti una fonte importante di informazioni, di conoscenze, di cultura, di partecipazione alla vita sociale. E La Sorgente, la voce di Caposele, fondata da Nicola Conforti e da lui ininterrottamente diretta, nei suoi quasi cinquanta anni di vita, da vero giornale, con approccio aperto, di continua relazione e interazione tra dimensione locale e dimensione globale, glocale direbbe Bauman, ha raccontato, con scrupolosa cura dei dettagli e della qualità, fatti e vicende locali, avvenimenti ed eventi significativi, storie di vita quotidiana, consueta e straordinaria; ha ricordato con particolare attenzione i momenti tristi condivisi e quelli felici, anch’essi pienamente condivisi, nei giorni di festa; ha descritto con parole appassionate volti, personaggi e manifestazioni tipiche, luoghi, spazi e ambienti del paese e del territorio; ha riportato biografia e storia di persone a tanti care; ha celebrato l’opera di cittadini meritevoli; ha proposto idee e iniziative; ha dato a tutti la possibilità di esprimersi; ha saputo dare voce ai molteplici e diversi punti vista e alla critica. Ha riservato ampio spazio alla storia e alla cultura, non solo locali, alla scuola, alla scienza, alla ricerca, alla politica. In particolare ha sempre arricchito le sue pagine con evocative e bellissime foto di persone, di luoghi, di cose,

di Maria Caprio di ricorrenze, di eventi, immagini che, tante volte, hanno parlato più delle parole. Ma La Sorgente, a ben guardare, rivela anche altri suoi particolari significati: svolge funzioni aggiuntive non ben palesemente dichiarate, ma pure esercitate, assume un ruolo importante per la comunità caposelese, consegue effetti secondari inattesi, a volte nascosti, ma buoni e positivi; possiede, in una parola, un valore aggiunto che ora proverò, in breve, a descrivere. In primo luogo è la particolarità della materia prima a fornire di continuo argomenti e contenuti di rilievo da riportare nel periodico, che già nel titolo, e non a caso, evoca l’elemento più rappresentativo del territorio,

soddisfazione che si prova, a meta raggiunta, nel sentirsi uniti, utili e parte attiva. Altri effetti secondari che La Sorgente, nelle sue molteplici modalità comunicative, consegue non sono meno importanti. Le sue pagine, nel contenuto e nella forma espressiva, non solo registrano e riportano con puntualità gli eventi locali nel tempo, ma sollecitano anche e con forza la partecipazione al dibattito, la disponibilità all’incontro e al confronto; sottintendono e riflettono, inoltre, in ogni riga, l’importanza identitaria di una comunità e dei suoi legami. E il periodico La Sorgente da “narratore davvero speciale” diventa di fatto palcoscenico di tutte le vicende locali per i Caposelesi residenti

delle sue risorse, delle sue ricchezze naturali e ambientali. E le sorgenti del Sele copiose e possenti, il primo tratto del fiume con i suoi salti fragorosi, la fitta e rigogliosa vegetazione, l’intero parco fluviale, suggestivo anfiteatro naturale, la palazzina e le gallerie, che raccontano la storia del grande acquedotto che da qui parte, diventano spesso, da straordinario scenario naturale quali sono, protagonisti assoluti di tanti eventi e relativi articoli. E così lo spazio e l’azione, uniti in un’unica immagine nella narrazione, non solo attirano l’attenzione di chi legge sugli eventi che in quei luoghi trovano la sede di elezione, ma, allo stesso tempo, con effetto non previsto, diventano un richiamo silenzioso, un faro, una luce accesa sui temi dell’ambiente e delle sue risorse, sulle ricchezze naturali del proprio territorio e sulla loro cura; diventano anche sollecitazione implicita alla Comunità tutta per ulteriori iniziative di sua valorizzazione e promozione. Un’altra importante fonte di valore aggiunto La Sorgente la trova nella Comunità stessa, in ogni sua espressione, nelle sue tradizioni antiche e recenti, nelle sue tipicità, in vari campi che con forza ed entusiasmo si impegna a tenere vive con manifestazioni, eventi e appuntamenti annuali di sempre maggiore eco; nella sua storia e cultura locale, ricche di momenti di vita intensi, di episodi, di vicende umane, vero patrimonio comune del paese, il cui ricordo rinsalda il legame forte e indispensabile tra passato, presente, futuro e rende visibile la concatenazione di tutte le generazioni; nelle mille iniziative di cui la gente di Caposele si mostra capace, iniziative che spaziano in ambiti culturali e sociali sempre più vasti, aperti all’innovazione, a nuove esperienze conoscitive, che danno inizio ad attività ed eventi, sempre condotti con grande coinvolgimento, che piano piano mettono radici nel tessuto sociale e culturale del paese e pertanto destinati a far parte, a pieno titolo, della storia locale; nella particolare devozione per il suo Santo, tante volte ricordata nel giornale in occasione di riti molto cari e attesi, celebrati con solennità in un’atmosfera di forte unione e sentita partecipazione.Ed è proprio da queste pagine che chi legge, a distanza di tempo e di luogo, non solo rivive con nuovo trasporto emotivo il momento di vita paesana già personalmente vissuto, ma ne scopre aspetti nascosti, intenzioni sottese e messaggi indiretti; e coglie, ad un diverso e più lucido sguardo, l’impegno e lo slancio profusi da giovani e meno giovani nel lavorare insieme, il valore della condivisione di percorsi, idee e scelte, l’importanza della collaborazione nella realizzazione di un progetto comune, l’intima

e per i Caposelesi che vivono altrove, in Italia o all’Estero, ai quali puntualmente, due volte all’anno, giunge il tanto atteso foglio di vita paesana che ravviva i ricordi e rafforza i legami. Si potrebbe dire, a questo punto, che La Sorgente è viva e vitale perché è voce di un luogo nel quale si incontrano, in una sintesi davvero speciale, Fede, Ambiente e Cultura e ne respira a pieno l’aria. Ma all’analisi manca ancora qualche elemento. La Sorgente trova la sua forza propulsiva anche nel gruppo dei suoi tanti redattori, molti dei quali da anni offrono notevole contributo di tempo e impegno personale e, nei diversi campi, mettono a disposizione le proprie conoscenze, le specifiche competenze e le loro differenti sensibilità. A ciascuno di essi onore e merito, insieme ad un sentito ringraziamento. Per le innumerevoli e avvincenti storie narrate, per le suggestive e particolari descrizioni di luoghi, persone e momenti, per le rubriche condotte con cura e grande attenzione, per le appassionate pagine di cronaca, per la continuità nell’impegno, per il rigore e il rispetto della verità nel commento e nella critica, per la passione, la partecipazione emotiva e il forte senso identitario che traspare in tante pagine, per lo stile e la coerenza, per lo spirito di gruppo, per il diffuso e condiviso sentimento di unione e di compattezza nella promozione e valorizzazione del proprio territorio, sentimento che si offre come modello comportamentale a chi legge e coglie senso e significati. Una riflessione particolare va fatta, infine, sulla figura fondamentale, protagonista indiscussa, nella storia del periodico La Sorgente e sua vera linfa vitale e forza propulsiva. A Nicola Conforti venne l’idea, nel lontano 1973, in un incontro organizzativo della nascente Pro Loco, di dare vita, con un entusiasmo tipicamente giovanile, ad un periodico locale, una voce che potesse giungere anche ai tanti Caposelesi lontani. La Sorgente fu il titolo dato al giornale, espressione emblematica e simbolica, che rappresentava al meglio la Comunità e il suo territorio, ma anche l’acqua nel suo momento più bello. E Nicola Conforti, per tutti questi anni, senza soluzione di continuità, ne è stato il direttore responsabile, una funzione svolta con grande serietà e accuratezza, con particolare attenzione alla qualità e alla forma, con rispetto per tutti e per la verità, con equilibrio, giusto distacco ed obiettività, ma anche con volontà, passione, impegno personale e dedizione assoluta. Ma c’è tanto altro ancora in quella assunzione di responsabilità.

La Sorgente: IMPORTANZA, FUNZIONE E SIGNIFICATI DI UN PERIODICO LOCALE

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C’è una passione mai doma che spinge la mente e il cuore in ogni iniziativa promossa per la propria Comunità. C’è un impegno tenace e costante che fa superare tutti gli ostacoli del percorso e i momenti di difficoltà. C’è un grande amore per il proprio paese e per ogni sua espressione, per la sua gente, per i suoi luoghi, per le sue bellezze ambientali. C’è un forte sentimento di appartenenza che in ogni modo, in ogni tempo e luogo, ad ogni occasione, con ogni mezzo e soprattutto con intima soddisfazione mira a celebrare Caposele. Altri caratteri, ancora, del direttore hanno fatto diventare grande questo giornale, come lo stile di direzione, elegante e di buon gusto, la linea editoriale, la veste grafica, la scelta dei contenuti e delle immagini; gli editoriali sempre motivati e argomentati, spesso appassionati; i ripetuti e accorati appelli per tenere viva la coscienza collettiva dei Caposelesi sui temi dell’ambiente e della sua salvaguardia, sulle risorse naturali del territorio e sulla loro valorizzazione, sul turismo possibile; le reiterate sollecitazioni all’unità, alla concordia e alla comprensione reciproca; un’attenzione equilibrata alla continuità, alla tradizione e all’innovazione; l’attaccamento, l’amore, l’entusiasmo e la tenacia dedicati, senza risparmio di tempo e di lavoro, al Paese. Per tutto ciò grande onore e grande merito a Nicola Conforti, “il nocchiero accorto”, il vero motore, l’anima e la mente del giornale, sua creatura e come tale condotta, curata e amata. E notevole è l’apprezzamento per la sua opera in tutte le sue forme espressive, editoriali, articoli, libri, filmati, documentari, fotografie. Di certo i suoi “cento passi” hanno lasciato significative impronte a caratteri indelebili! Lasciano testimonianza fedele e documentazione scritta di storia sociale locale, un archivio ricco di documenti vari, registrazioni sonore, materiale fotografico, videoteche, libri, una fonte inesauribile di idee, di notizie, di storia, un vero spaccato della società caposelese, per un tratto non proprio piccolo del secolo breve, un vero patrimonio culturale, una preziosa riserva, anche etica, a cui tutti possono accedere sempre e in vario modo, un ricco e indispensabile bagaglio utile e necessario alle generazioni presenti e ancor più alle generazioni future per conoscere, per capire, per progettare, per ricordare. Quanto mai illuminanti ed opportune le parole di Papa Francesco << Senza memoria diventiamo estranei a noi stessi… passanti… Senza memoria ci sradichiamo dal terreno che ci nutre e ci lasciamo portare via come foglie dal vento… Fare memoria, invece, è riannodarsi ai legami più forti, è sentirsi parte di una storia, è respirare con un popolo>>. E che La Sorgente, forte del suo maestro, e sulle orme lasciate dai suoi passi, continui ad essere viva e vitale, a dissetare la mente e l’anima di sempre più numerosi lettori, a consegnare ancora tante pagine alla storia locale e non solo. Grazie di cuore, Nicola, per la tanta bella scrittura, nel senso più ampio del termine, a cui hai saputo magistralmente dare forma e vita, con coraggio e forza, con voce appassionata, coinvolgente e chiara. La Sorgente avrà sempre il tuo sigillo. Puoi con orgoglio indicare il cammino a chi proseguirà sulla strada da te intrapresa, pienamente soddisfatto e fiero del tuo lavoro.

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con grande orgoglio che mi accingo a scrivere queste parole. Parole che sento pesanti, importanti, come quelle di ogni altro contributo al numero 100 della Sorgente, importanti per la Storia del nostro paese. Importanti perché non c'è Storia senza fonti scritte e non c'è nulla, da cinquant'anni a questa parte, che incarni meglio della Sorgente la Storia di Caposele. Essere caposelese va oltre il sentirsi parte di una comunità, essere caposelese non è solo una questione identitaria. Usando una metafora a me cara Caposele è la terra in cui affondano le mie radici. Molti di noi sanno che dalla terra, oltre a trarre i nutrienti essenziali, le radici prendono anche la forma. Le radici crescono in base a ciò che le circonda, alla terra, ai sassi, per cui è un operazione difficile faticosa trapiantare le radici di quell’albero in un’altra terra. L’albero non sarà più lo stesso. E la Sorgente, come un manuale di botanica, ha raccolto i momenti della crescita di ognuna delle nostre radici, di ognuno di noi. In tutti questi anni ha raccolto l’insieme di ricordi e pensieri, delle immagini, delle esperienze vissute da ognuno di noi. Così facendo ha contribuito in modo importante alla costruzione di una memoria collettiva. Un ruolo importante, fondamentale. Ancora più difficile dopo che l’evento traumatico dell’80 ci ha privato delle strade e delle facciate, i luoghi fisici che solitamente sono il simbolo, la pietra angolare su cui si tiene in piedi la memoria collettiva. Caposele negli anni non ha perso il forte senso di comunità e appartenenza. Ci accorgiamo adesso, anche dai parenti lontani, dai social media, che il senso di comunità continua sempre ad essere presente in tutti noi. La percezione dell’essere caposelese in un certo senso non è mai cambiata. Mi sento caposelese io come si sentiva caposelese il mio bisnonno, che non aveva internet, non aveva il telefono, non aveva la televisione ne mezzi di trasporto che lo portassero in città in meno di un giorno di cammino. Personalmente credo che la fine della mia esperienza politica mi abbia aiutato a ragionare meglio su cosa significhi per me essere caposelese. Nei dieci anni trascorsi non è stato facile pormi da osservatore sulla nostra comunità, pesava la difficoltà dei rapporti interpersonali e il senso di responsabilità che deriva dal ruolo di primo cittadino. Adesso, a mente fredda, ho ripensato a come la nostra storia personale sia intimamente legata a quella del nostro paese e alla storia dei nostri padri e delle generazioni

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100 gocce nel passato, 100 gocce nel futuro che ci hanno preceduto. Molte delle persone importanti nella mia vita mi hanno dato esempio di quanto forte possa essere l’attaccamento di un individuo verso una comunità. Tra queste quella a me più cara è mio padre Angelo. Durante gli anni trascorsi in New Jersey mio padre ha lavorato duramente per garantire un futuro a me ed a mio fratello Armando. Non ha mai pensato di restare là, di diventare cittadino americano, nonostante la società americana era in quegli anni quanto di meglio un essere umano potesse desiderare. Mio padre, per anni, ha stretto i denti in attesa del giorno del ritorno a casa, non ha voluto mai imparare la lingua inglese, ha sognato ogni notte di essere di nuovo davanti alla sezione della ProLoco, di poter trascorrere le ore del tramonto a discutere con i suoi amici di Caposele, a Caposele. E dopo diversi anni è tornato a casa, ha rivisto i suoi figli, ha potuto iscriverli all’università e godersi la pensione con i suoi amici di sempre, seduto davanti alla ProLoco. Ha visto i suoi figli realizzarsi, e non dimenticherò mai l’orgoglio fiero dei suoi occhi quel giorno di maggio in cui mi ha visto diventare sindaco. Un secondo grande esempio di cosa vuol dire essere caposelesi me l’ha dato un’altra persona importante, per me così come per molti di voi: Vincenzo Malanga. Voi tutti conoscete bene il maestro Cenzino e non credo ci sia bisogno di dilungarmi su quanto la sua figura rappresenti bene l’essere caposelese. Nella mia esperienza il maestro Cenzino è quell’uomo che mi ha preso per mano quel giorno in cui, ancora troppo piccolo per andare alle scuole, piangevo sulle scale di Via Imbriani. Non mi facevo capace di come altri bambini erano stati ammessi all’età di cinque anni ed io venivo respinto pur avendone quasi sei. Il maestro Cenzino ha rappresentato per me e per tanti la bontà e la lungimiranza di Caposele verso le nuove generazioni. Il riscatto sociale che molti caposelesi di origini più modeste hanno trovato nell’istruzione. Quasi tutti questi caposelesi hanno studiato, sono diventati dei rispettati professionisti prima, la classe dirigente del paese poi. Per la mia generazione, credo qui di parlare a nome di molti, ripercorrere da professionisti le stradine in cui da piccoli giocavamo “a pallone” è stato il senso di un’intera vita. Personalmente ripongo molta fiducia nelle generazioni nuove, anche se

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riconosco che il mondo è cambiato profondamente ed è diventato più difficile essere caposelesi. I giovani vivono un mondo nuovo, globale, collettivo. Un mondo in cui si sono imposti modelli di massa che con la loro velocità tagliano fuori i piccoli paesi e le realtà di un tempo. Nel mondo moderno, insomma, è molto più conveniente essere berlinesi, milanesi, parigini piuttosto che essere caposelesi. Eppure riconosco nitidamente che i giovani caposelesi hanno preso coscienza del problema e non intendono abbandonare la nostra nave. Si riconoscono ancora in Caposele e sono entusiasti nel mettere a frutto le proprie competenze per valorizzare il nostro territorio. Conoscono il mondo e hanno ben chiari i settori in cui Caposele eccelle. Durante gli anni della mia amministrazione è cresciuta in tutto il mondo la sensibilità alle tematiche ambientali. Allo stesso tempo si sono affermati nuovi tipi di turismo. L’impronta che noi come amministrazione abbiamo voluto dare è partita dall’istituzione del “Piano Turistico Comunale”: Un viaggio tra Fede, Ambiente e Cultura (F.A.C.). Gestito in modo mirabile dalla Proloco con visita al tempio artistico di S. Lorenzo, alle Sorgenti del fiume Sele, al museo delle macchine di Leonardo da Vinci, al Parco Fluviale (dove ogni anno si celebra anche la Festa della Musica). E Caposele che si era assopito si risveglia, le sue strade si popolano di scolaresche, di turisti, di pellegrini che finalmente scendono a Caposele. I giovani prendono coscienza delle enormi risorse naturalistiche di cui dispone il nostro paese e riscoprono “la muntagna”. Le bellezze del Parco Regionale dei Monti Picentini sono tra le gemme più brillanti del paesaggio dell’intera Campania, il meglio della montagna che la nostra regione possa offrire. A Caposele parte da molti soggetti la spinta alla riscoperta dei sentieri di montagna, del paesaggismo come attrazione turistica. I sentieri che si snodano tra Caposele, Lioni, Calabritto, un tempo battuti e coltivati dai nostri avi, sono stati dimenticati per decenni e lasciati alla natura. Adesso, nel lavoro di riscoperta di questi sentieri, possiamo e dobbiamo avvalerci di una patto. Un patto, e più che un patto una rete tra comuni, è quello di cui tutti

di Pasquale Farina

i piccoli comuni hanno bisogno. L’Irpinia trova la sua identità nel verde delle montagne ma anche nelle eccellenze agroalimentari. Noi non ci rendiamo conto, forse per senso di abitudine, del valore assoluto dei nostri prodotti. E tra l’Aglianico e il Carmasciano, Caposele può giocare un ruolo di primo piano. Penso all’olio, ai prodotti della terra, ai salumi, ai formaggi, al vino, ma penso soprattutto al Mufletto, alle Matasse, agli Amaretti, questi ultimi tre da noi promossi e fatti diventare Prodotti Agroalimentari Tipici di Caposele (P.A.T.) con tanto di riconoscimento con delibera Regionale. Gli amaretti in particolare, riscuotono un successo che varca anche i confini nazionali. Sembrano cose successe molto tempo fa eppure sono passati solo pochi anni. Come esempio mi piace ricordare ancora quando ero bambino, le settimane della raccolta delle ciliegie. Ricordo dei quintali di ciliegie che a fine giornata venivano caricati in piazza Sanità per essere rivenduti sui mercati di tutta la regione, e i fichi di Caposele portati e apprezzati in tutta la provincia. E delle famiglie che in quelle settimane riuscivano a guadagnare cifre consistenti. Per puntare sul settore gastronomico Caposele non deve inventarsi nulla, deve soltanto recuperare quello che si è in parte perso negli ultimi decenni. Come me molti di noi sono cresciuti nella civiltà contadina. La maggioranza ha perso gli usi e i costumi di quel tempo, così lontano dal mondo globalizzato. Coltivare e mangiare i prodotti della propria terra, vivere la natura, misurare le giornate con le campane che rintoccano le ore, tutto ciò che prima era consuetudine adesso non è più. Il “com’era una volta” è una propensione che va oltre le inclinazioni individuali. La vita a ritmi lenti è parte di noi, della nostra identità, è certamente un valore da conservare per senso di appartenenza. Ma non solo. La vita a Caposele è un modello di vita molto apprezzato da chi non riesce a vivere ai ritmi dei centri urbani. Da chi magari un giorno verrà in visita a Caposele da molto lontano, e si innamorerà delle nostre terre, del nostro cibo, della nostra comunità.

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Attualità

OBBLIGATI A CAMBIARE

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l destino ha voluto che il numero 100 de La Sorgente coincidesse con la stagione probabilmente più difficile dal dopoguerra ad oggi quasi un salto nel buio vista la non conoscenza che abbiamo della pandemia da Covid 19. A ben guardare si tratta sicuramente di due momenti storici destinati ciascuno a modo suo a segnare la nostra esperienza quotidiana. Il primo rappresenta un percorso di vita comunitaria lungo quasi cinquant’anni che ci coinvolge in pieno come singoli e come caposelesi, ci costringe a riflettere, ci invita al ricordo, ci riavvicina ai sentimenti e alla fine ci sprona senza obbligarci a fare un bilancio. Ciascuno lo può fare come meglio crede nella più assoluta libertà ma certo lo potrà fare solo grazie al lavoro certosino e puntuale fatto da chi ha voluto e immaginato uno strumento divulgativo e di ricerca come La Sorgente, lo scandire delle stagioni attraverso le parole e le immagini della nostra comunità credo rappresentino l’eredità che dobbiamo preservare per il futuro. Certo, si era immaginato di festeggiare il traguardo raggiunto in altro modo magari in maniera più festosa ma credo che in fondo il modo migliore per celebrare qualcosa sia quello di esserci e il numero 100 credo possa testimoniare la volontà di continuare. Il secondo momento storico che stiamo vivendo per dimensioni e effetti va ben al di là dei nostri confini e ci condizionerà per tanto tempo fino a stravolgere le nostre abitudini, anche quelle più consolidate. Niente è rimasto come prima e non c’è stato bisogno di scatenare la terza guerra mondiale è bastato un virus di cui non conoscevamo nulla e poco o nulla conosciamo adesso. Sta di fatto che per causa sua abbiamo dovuto rinunciare alla socializzazione quella che ci è più congeniale e ci piace manifestare in tutte le sue forme. Lo abbiamo fatto a tutto vantaggio dei cosiddetti “social” un mondo che niente ha a che vedere con la nostra esperienza di vita precedente o comunque solo in minima parte. Non potendo sfiorarci, toccarci, abbracciarci abbiamo delegato tutto a questo universo virtuale che ci fa credere di avere il mondo a nostra disposizione, di poterlo dominare ma che in realtà ci impoverisce dentro e fuori. Il cambiamento non è da poco e non basta dire che in fondo ci stiamo adeguando all’evoluzione dei tempi perché si è andato molto più in là quando ci è stato detto,a ragione, che i ragazzi, gli studenti , dovevano restare

a casa privandoli del contatto con i compagni, del calore della classe,della comprensione e disponibilità dell’insegnante. I ragazzi credo l’abbiano fatto con grande dedizione nella piena consapevolezza del momento dando una preziosa testimonianza di crescita e maturità ma nel contempo hanno dovuto sperimentare un nuovo modo di vivere la scuola e l’apprendimento. Hanno dovuto sperimentarlo insieme ai docenti ed è stata io credo una sperimentazione difficile per entrambi perché sono emersi fino in fondo tutti i limiti di un’organizzazione, di una rete e di un progetto che ha dovuto scontrarsi con le falle di una connessione inadeguata e di una dotazione di risorse e strumenti assolutamente insufficiente. Solo il loro impegno e la voglia di fare ha consentito di salvare un anno scolastico destinato ad essere ricordato per sempre. Stesso destino dei figli è toccato ai padri e le madri dovendo essi stessi adeguarsi a una realtà fatta di smart working, chiusure forzate, riorganizzazione della vita domestica e familiare su basi completamente nuove senza aver avuto il tempo di prepararsi e di sperimentare soluzioni efficaci. Sono cambiati gli orari, è cambiato il rapporto con i figli, sono cambiati gli approcci, persino gli argomenti di discussione hanno subito una brusca accelerata nel momento in cui l’intera famiglia ha dovuto darsi una spiegazione di quello che stava succedendo a volte riuscendoci in altri casi trasmettendo ai propri figli l’angoscia, lo smarrimento e la preoccupazione per le conseguenze della pandemia. La coesistenza forzata per quasi tre mesi senza soluzione di continuità ha si favorito la conoscenza reciproca tra le coppie e tra di loro e i figli ma in alcuni casi ha anche prodotto l’effetto opposto allontanando le persone, rendendole insofferenti persino spingendole verso una qualche forma iniziale di depressione. Molti di noi che hanno avuto la fortuna di non conoscere la guerra hanno sentito parlare per la prima volta dei cosiddetti buoni spesa che in qualche modo segnano un brusco ritorno al passato perché i ricordi dei nostri genitori e dei nostri nonni ci parlano di qualcosa di molto simile in tempo di guerra e di miseria. Non per ultimo pensate a cosa è cambiato nel mondo del lavoro e a quello che cambierà in futuro per effetto dello sconvolgimento di questi mesi, di fronte al calo dell’occupazione (inevitabile in questi casi) ci toccherà riscrivere e riorganizzare anche a livello locale

di Antonio Ruglio

quella cintura di protezione sociale, di assistenza, di cura della persona che deve rappresentare un forte baluardo di difesa rispetto alle sacche di povertà che sono già presenti nella nostra comunità. Di tutto questo mi piacerebbe che la Sorgente del futuro riuscisse a parlare con continuità e senso pratico scegliendo che ruolo giocare nella ricostruzione della nostra quotidianità in perfetta sinergia con l’istituzione Scuola e le altre che con grande merito operano sul nostro territorio. Abbiamo la necessità e il dovere oggi di scoprire, capire, ricostruire l’identità della nostra gente non solo attraverso la ricerca in senso stretto fatta di documenti, reperti storici, antiche pubblicazioni ma soprattutto attraverso la comprensione autentica e immediata della sensibilità delle persone. Mi piacerebbe per esempio poter raccogliere la testimonianza diretta di quelle categorie, parlo in particolare di giovani e anziani, che si sono trovati loro malgrado al centro dello sconvolgimento generale perché insieme alle donne rappresentano il nostro futuro e lo strumento per poter costruire qualcosa di utile e duraturo. Sono certo che Caposele e i caposelesi sapranno dare come hanno già fatto in passato un prezioso esempio di come si possa sopravvivere alle difficoltà e attraverso passaggi complicati raggiungere traguardi impensabili cui attingere con equilibrio e ragionevolezza.

Uno Scorcio della Chiesa della Sanità

Interno della Chiesa della Sanità

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Politica

IL COVID

NON DEVE FERMARE LO SVILUPPO

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ggi, 28 giugno 2020, sono trascorsi cinque mesi dall’arrivo in Italia del Covid – 19, sono stati cinque mesi tremendi, abbiamo vissuto momenti difficili, non tanto per le condizioni di vita che seppure sacrificanti (lockdown) non sono stati gli unici che ci hanno dato forti preoccupazioni. Non abbiamo avuto problemi di sopravvivenza, né condizioni di salute particolarmente disagiate, l’unica vera privazione è stata il rimanere chiusi in casa per tanto tempo. In fondo noi caposelesi potremmo quasi definirci dei miracolati, non avendo avuto nessun caso di infezione dal virus e neppure nessun decesso, al cospetto di tanti altri comuni italiani, specialmente del nord, ed in particolare in Lombardia, in cui la perdita di tanti persone, amici e familiari, è stato veramente un dramma sociale e collettivo. Tante persone anziane, nella più completa solitudine, hanno sofferto e molto spesso l’epilogo è stata la loro straziante morte. Ma quello che ci ha sconvolto di più e tuttora ci sconvolge è pensare al nostro futuro, è pensare alle macerie che il virus ci ha lasciato sul campo. E così è stato. L’Italia è stata forte, certo, ha affrontato con coraggio e nel migliore dei modi la pandemia, non tutto è stato perfetto ma le scelte necessarie sono state coraggiose e tempestive. Questo ha evitato che il numero già enorme di perdite di vite umane potesse diventare di gran lunga maggiore. Noi campani, in verità, siamo stati abbastanza fortunati sia perché il virus è tardato ad espandersi verso sud, sia perchè il governatore campano, Enzo De Luca, è stato particolarmente inflessibile ed è riuscito a mantenere sotto controllo una situazione non facilmente gestibile, considerando che il popolo napoletano, in particolare, non gode della fama di essere un popolo molto ligio al rispetto delle regole. Oggi, fortunatamente, apprendiamo che il numero di decessi giornalieri diminuisce di giorno in giorno, che i nuovi contagi ugualmente scendono di numero e che aumentano velocemente i guariti. Questo significa che, almeno per adesso, possiamo ritenerci fuori dalla pandemia. Ci preoccupano, invece, i dati che ci pervengono da altri nazioni, da altri continenti, e questo potreb-

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be significare che siamo ancora in zona pericolo in quanto si potrebbe verificare, come ci dicono i virologi, un fenomeno di ritorno del contagio. Ma noi incrociamo le dita. Questa difficile situazione che si è venuta a creare ha modificato il nostro modo di vita, oggi: no assembramenti, no riunioni, no manifestazioni, distanza sociale, mascherine. Tanti divieti che rendono sicuramente più sicura la nostra incolumità ma danneggiano la nostra vita di relazione. Un particolare danno è stato inflitto anche al nostro periodico LA SORGENTE che con la pubblicazione del numero 100 voleva essere una tappa importante, un momento di vera partecipazione popolare, una festa. Raggiungere la tappa dei cento numeri, con pubblicazioni senza soluzione di continuità, per quasi 50 anni, è sicuramente un evento che segna un grande ed orgoglioso risultato, in primis per merito del direttore del giornale, Nicola Conforti, che ha saputo, con grande dedizione ed abnegazione mantenere in vita il periodico, ma anche per i suoi validi collaboratori che non hanno mai fatto mai mancare il loro contributo, infine una soddisfazione anche per l’intera comunità caposelese che può vantarsi di avere avuto per tanti anni un giornale che ha scritto la sua storia. Credo, non lo so se lo posso affermare in maniera certa, nella nostra zona nessun altro paese è stato capace di conservare per così tanto tempo una manifestazione culturale di questo tipo. Questo giornale è la storia di Caposele e anche questo numero segnerà un momento storico della nostra vita. Il giornale, nonostante l’impedimento del COVID, riuscirà a raggiungere l’obiettivo. La sua presentazione sarà comunque una grande festa a cui parteciperanno sicuramente tante persone. è riuscirà a darci, con certezza, un valido contributo, con tanta voglia di continuare. Quarant’anni fa il terremoto, quarant’anni dopo una pandemia mondiale. Ovviamente i due eventi, per il nostro comune, sono diversi perché mentre il primo ha significato distruzione di edifici e morte di tanti nostri concittadini, il Covid- 19, invece, pur essendo un evento che ha colpito a livello mondiale in maniera molto grave, per noi è stato sicuramente

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meno drammatico dell'evento terremoto. Io ritengo, però, e purtroppo, senza voler apparire una cassandra, che i guai sono ancora di là da venire. La drammatica crisi economica che ancora non l’avvertiamo nella sua interezza, perché ancora sopravviviamo con risorse che ci provengono da parte dello Stato e della Regione, con il loro esaurimento la crisi mostrerà tutta la sua crudezza. Dovremo affrontare gravi problemi economici, di occupazione e mancanza di risorse finanziarie. Comuni come il nostro, che già soffrivano fortemente una crisi di scarsa occupazione possono precipitare in una situazione sempre più grave. Oggi purtroppo noto che i problemi nel nostro comune anziché essere risolti aumentano perché non vengono adeguatamente affrontati. Non me ne vogliano gli amministratori locali attuali ma credo che bisogna fare qualche sforzo in più per mettere in moto l’economia locale. Troppe situazioni vengono lasciate al caso, non si mette in moto alcuna vera iniziativa, non si ha una chiara visione del futuro. Langue il turismo, languono gli altri settori economici. E’ vero che la situazione del corona – virus ci ha colti di sorpresa ma, il nostro comune, come dicevo, fortunatamente è stato solo sfiorato dal problema, fortunatamente nessuna emergenza grave. Ma oggi bisogna pensare al da farsi. Bisogna mettere in moto la macchina amministrativa per elaborare nuove idee, nuovi progetti. Senza una visione chiara di prospettiva, senza sapere dove si vuole andare, il sistema economico locale rischia di morire. Noi dobbiamo fare in modo di non perderci in una lacrimevole lettura del momento sanitario, non dobbiamo piangerci addosso, dobbiamo reagire facendo ripartire l’economia. Come? Si può ripartire dai problemi di sempre. Dal turismo, per esempio. Il nostro è il comune, all’interno del complesso dei comuni dell’Alta Irpinia, ad avere notevoli potenzialità turistiche legate alla presenza del Santuario di San Gerardo, alla presenza di un numero cospicuo di alberghi e ri-

di Giuseppe Grasso

storanti nella frazione Materdomini, al fatto che il nostro centro storico ricade all’interno del Parco del Monti Picentini, all’avere bellezze naturali invidiabili, all’avere il fiume Sele che attraversa il nostro centro urbano, le cui sorgenti sgorgano al suo interno, con la presenza dell’importante complesso dell’AQP. Tutto, invece, rimane nella più drammatica rassegnazione. Non si muove una foglia se non piccoli ed insignificanti momenti. La sistemazione di una fontana diventa un evento importante, l’individuazione di un percorso montano, senza alcun valido intervento di investimento, diventa un evento eccezionale. Ecco non possiamo accontentarci di questi piccoli risultati, vogliamo un’amministrazione comunale capace di dare un forte impulso all’economia locale. La pandemia è, fortunatamente, passata è tempo di pensare, nel nostro piccolo, al futuro del nostro paese. Altrimenti si vivacchia e si rimane al punto di partenza, mentre gli altri, chi più e chi meno, stanno correndo più di noi.

Uno scorcio della facciata della chiesa Madre

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“Caposele luogo del cuore, OGNI POSTO E’ UNA MINIERA La Sorgente esperienza lungimirante” “Ogni posto è una miniera.

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ualche anno fa un mio cugino dall’Argentina mi fece dono di una foto scattata quando ero poco più di una bambina. Mi ritraeva su una trebbiatrice, in uno dei terreni che il mio nonno paterno, Vincenzo Liloia, possedeva “a le Silici” tra Lioni e Caposele. L’ho incorniciata e messa in camera da letto. Amo molto le fotografie, hanno il potere di catturare un attimo e conservarlo immutato per sempre, e se sono stampate è ancora meglio. A casa è esposta anche un’altra cornice che protegge una foto scattata in terra caposelese. Avevo sedici anni e con alcuni amici di Lioni eravamo venuti a Caposele, passammo un pomeriggio al fiume. Lo facevamo ogni volta ne avessimo la possibilità. Erano tempi spensierati. Purtroppo qualche anno dopo una di quelle amiche rimase sotto le macerie del terremoto, di cui quest’anno – come è noto – ricorre il quarantesimo anniversario. Crescendo, le foto sono cambiate: mi ritraevano a Caposele per convegni e incontri di partito, a Materdomini per iniziative istituzionali, accompagnata da tanti amici e conoscenti che non mi hanno mai fatto mancare la loro vicinanza quando in passaggi fondamentali del mio percorso professionale e politico ho avuto bisogno del sostegno della gente. Una di queste è del compianto Amato Mattia, dirigente del Pci e a lungo collaboratore di Petroselli a Roma. Una di quelle personalità di cui si sente terribilmente la mancanza. Nel corso della mia esperienza di presidente del Consiglio regionale della Campania e di coordinatrice di tutti i Consigli regionali d’Italia, mi è capitato spesso di rivendicare il mio legame con Caposele. Lo faccio sempre con profondo orgoglio. Quando in Regione si parla di acqua o di turismo religioso, due delle più grandi risorse della Campania, io penso a questo paese e inevitabilmente a mia madre, che di Caposele era originaria e che nel 2020 avrebbe compiuto 100 anni. Sono onorata quindi di poter inserire un mio intervento tra i tanti che danno forma a un numero così speciale de “La Sorgente”. Centesima uscita del periodico che dal 1973, per l’intuizione di Nicola Conforti, rappresenta la voce della comunità e delle battaglie per la promozione del patrimonio naturalistico, della tradizione e della cultura locali. Viviamo un tempo particolare, nel quale anche per effetto della diffusione dei social network, i lettori sono disorientati dal proliferare

di On. Rosetta D’Amelio - Presidente del Consiglio regionale della Campania delle fake news e dall’infodemia, cioè la circolazione eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento. Questo rende ancora più importanti realtà come “La Sorgente” che moltiplicando le occasioni di confronto e riflessione contribuiscono a tenere viva la coscienza critica di una comunità simbolo delle aree interne e a spronare i più giovani alla comprensione dei fatti. Credo che uno dei punti di forza di questo giornale sia stata proprio la capacità di rinnovarsi dando spazio a nuove voci, a firme rappresentative di più generazioni e settori professionali. Il nome di questo periodico rimanda all’acqua, risorsa naturale con la quale da decenni la Puglia si disseta. Ma Caposele è anche terra di fede e devozione, di agricoltura di qualità, di matasse, amaretti e muffletto, di tradizioni. Tutti elementi sui quali la Regione Campania ha investito e continuerà a investire nei prossimi anni. Colgo perciò l’occasione per rivolgere a tutti voi caposelesi uno speciale incoraggiamento ad affrontare la sfida, innescata dall’emergenza covid-19, con la consueta determinazione e la vostra straordinaria capacità di accoglienza, caratteristiche che oggi, di fronte a un rinnovato interesse per le aree interne, possono davvero fare la differenza e trasformare la crisi in opportunità di crescita e sviluppo. La presenza a Caposele di un periodico longevo come “La Sorgente”, la cui pubblicazione ha saputo superare difficoltà oggettive come il tragico evento del terremoto dell’Ottanta, una cesura tra vecchio e nuovo per la nostra provincia, e altre proprie del mezzo a partire dalla crisi dell’editoria cartacea, è un fiore all’occhiello per l’Irpinia e testimonia la lungimiranza del suo fondatore e la caparbietà dell’intera comunità. L’auspicio è che questa testata possa raggiungere traguardi sempre più ambiziosi.

Basta lasciarcisi andare. Darsi tempo, stare seduti in una casa da té a osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro d’umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare”.

Questa è una delle parti di un libro di Tiziano Terzani che ho letto tempo fa e che mi è rimasta più impressa. Infatti è proprio così, in ogni angolo, anche in quello più improbabile, puoi trovare qualcosa, stupirti, farlo diventare importante o magari solamente raccontarlo o ricordarlo nel tempo. Io ho sempre pensato che al di là dei luoghi comuni che da sempre contrappongono il piccolo paese alla grande metropoli, come nella favola del topino di campagna e quello di città, c’è qualcosa che rende speciale vivere in questi angoli di terra. Questo giornale rappresenta appieno la miniera a cui fa riferimento lo scrittore. Qui si racchiudono tutti i segreti, i particolari e le personalità della gente che vive a Caposele. Il mio “incontro” con “La Sorgente” è nato un po’ per caso ed è poi diventato fonte di ispirazione, finestra sul passato, presente e futuro di un luogo che sempre mi apparterrà. Ho scritto il primo articolo nel 2013 (edizione n. 87), anno in cui il Sistema Museale di cui facevo parte, aveva cominciato a dare i suoi primi e importantissimi frutti. Non avevo mai scritto per un giornale ed è stata sicuramente una bella esperienza, perché mi ha dato la possibilità di condividere con gli altri, compaesani e non, opinioni, esperienze e pensieri. Sono riuscita a scoprire luoghi nascosti e aneddoti interessanti, cose e persone che prima di allora non conoscevo.

di Gerarda Nisivoccia

“persona”. Non sono stata un’assidua scrittrice negli anni, ma attenta lettrice sempre (una copia mi è addirittura arrivata fino a Londra) e ho potuto apprezzare la semplicità e la caparbietà che contraddistinguono ogni edizione del giornale. Cento numeri per un periodico semestrale sono davvero tanti. Vuol dire cinquant’anni di storia, di racconti, di persone, di ricordi che si fondono nel tempo attraverso le generazioni. Partecipare a questa edizione significa continuare con forza a condividere la bellezza e le tradizioni di un territorio unico, che in tutti questi anni non è passato mai inosservato, ma prima di tutto per sostenere e omaggiare chi ha fatto la storia grazie ad ogni singola pubblicazione. E allora, questa miniera va custodita e coltivata come qualcosa di prezioso, proprio per questo ho già in mente per il prossimo numero una piccola rubrica che darà spazio e voce ai territori che ci circondano e che insieme a Caposele colorano la verde Irpinia e tutta la Valle del Sele.

Sono felice di essere parte di una comunità che, tutto sommato, conserva ancora tanta genuinità, perché in un mondo che va sempre più nella direzione dell’inaridimento dei rapporti, qui dove tutti si conoscono, riesci a sentirti meno “numero” e più

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Attualità

PER NON DIMENTICARE

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n relazione al particolare momento che attraversa l’intero territorio nazionale a seguito del Coronavirus sviluppatosi in particolare in alta Italia, molto meno in Campania , con la completa e fortunata esclusione del nostro Paese, viene spontaneo fare una riflessione: Si premettono alcune note storiche per capire come Caposele sia stato martoriato in passato da eventi disastrosi che hanno provocato distruzione e morte. Il terremoto del 1694 distrusse quasi completamente Caposele coinvolgendo nella distruzione buona parte del vecchio Castello abitato in origine da Alfonso di Aragona e successivamente dal principe di Castellaneta. Nel secolo XVIII i principi di Caposele ripararono il Castello ridando così, allo stesso, l’antico splendore, tanto che il poeta Jacopo Sannazzaro, amico dei principi, vi trascorse i giorni migliori della sua villeggiatura irpina. Nel 1656 , nel mese di febbraio , con i primi 7 morti a Napoli, si manifestò l ‘inizio di una epidemia di peste. Nei mesi successivi, aprile e maggio, si estese determinando numerose vittime. L’epidemia si evidenziava con febbre alta e con la comparsa di bubboni in ogni parte del corpo. Tanta gente si allontanò da Napoli infestando altre località tra cui Caposele, dove si verificarono centinaia di morti, per l’esattezza 650 vittime su un totale di 1200 abitanti. A testimonianza di quanto avvenuto, esiste in via Ogliaro una Croce in pietra che coinvolse tutta popolazione in processione in segno di ringraziamento per la cessata epidemia. E ancora: nel settembre del 1694 un forte terremoto cagionò la distruzione di 150 case , con 40 morti e 60 feriti. Nel 1732 nuove scosse determinarono danni in tutta la provincia e Caposele subì gravi danni alle abitazioni già precarie e poche vittime. L a terribile carestia del 1794 dovuta alle continue nevicate, freddo e gelo creò danni notevoli alla popolazione. Andò distrutto l’intero raccolto, la vendemmia, la frutta e quant’altro. Morirono 363 persone su una popolazione di 1300 abitanti. In conclusione, Caposele nel corso dei secoli, è stata flagellata da una serie interminabile di sciagure. Per non parlare del terremoto del 23.11. 1980 ben noto a tutti noi. Una scossa della durata di 33 secondi di magnitudine 6,9 della scala Richter provocò decine di

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di Antimo Pirozzi

morti e la distruzione di quasi tutte le costruzioni compresa la Chiesa Madre, la Caserma ed altri edifici pubblici. Oggi, ringraziando Iddio e San Gerardo , l’intero territorio di Caposele è stato risparmiato dal contagio del Coronavirus che, diversamente in Italia ed all’estero ha determinato migliaia di morti. In particolare in Italia, specie nel Nord, ha causato il decesso di 160 medici, 9 farmacisti, 42 infermieri e 31.000 persone tra anziani, vecchi e giovani. San Gerardo ha protetto il nostro Paese fin dal 1754 e cioè da quando arrivò a Materdomini dove mori il 16 ottobre del 1755. Di tanto siamo fortemente grati e devoti al grande Taumaturgo.

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opo un inverno lungo e tormentato, anche per motivi extra-climatici, finalmente è arrivata l’estate e con essa il caldo, l’afa e le ondate di calore. L’Italia è uno dei primi paesi europei che ha attivato, già’ a partire dal 2004, un Piano Nazionale di interventi atti prevenire gli effetti sulla salute delle ondate di calore. Tale Piano si basa su un sistema nazionale di previsioneallarme per ondate di calore, che coinvolge 27 città e consente di conoscere, con anticipo di almeno 72 ore l’arrivo di una situazione climatica che reca rischi per la salute specialmente della popolazione anziana e dei bambini. Altre componenti importanti sono rappresentate da un sistema rapido di monitoraggio e di sorveglianza giornaliera della mortalità’ e della morbilità’ correlate al caldo e dall’identificazione di persone

di Salvatore Russomanno

insaturi e perciò’ “buoni”, di minerali e di fibre. - Preparare i piatti con fantasia, variando il colore degli alimenti, che è dato dagli antiossidanti. -Moderare il consumo di piatti elaborati e ricchi di grassi, poiché col caldo l’organismo consuma meno energie. E’ consigliabile, pertanto, moderare l’apporto calorico preferendo una cottura al vapore, che è in grado di mantenere inalterato il contenuto nutrizionale degli alimenti, come minerali e vitamine. Privilegiare cibi freschi e facilmente digeribili e ricchi di acqua e completare il pasto

GLI ECCESSI CLIMATICI : come affrontarli “fragili” verso cui indirizzare, in via paritaria. gli interventi di prevenzione derivanti dai livelli di rischio climatico e dal profilo di rischio della popolazione esposta. Dopo questa doverosa premessa mi accingo umilmente ad esporre, in maniera abbastanza comprensibile e sintetica, le modalità’ pratiche e i consigli per affrontare gli eccessi climatici dell’estate. - In primis bisogna mantenere una corretta idratazione che rappresenta la chiave per reintegrare i liquidi persi con la sudorazione. Ogni giorno bisogna bere due litri di acqua equivalenti ad otto bicchieri e ciò’ vale soprattutto per gli anziani indipendentemente dallo stimolo della sete, che in essi è alquanto precario. I bambini devono bere di più’ per via di un equilibrio idroelettrolitico molto instabile. Moderare il consumo di bevande con zuccheri aggiunti. Limitare il consumo di bevande moderatamente alcoliche, come il vino e/o la birra .Evitare e bevande ad alto contenuto di alcool. -E’ necessario, poi rispettare il numero dei pasti, privilegiando la prima colazione, che è il pasto più’ importante della giornata, ed arriva dopo un digiuno di dodici ore , fornisce il “ carburante” per tutta la giornata ed evita l’eccessiva assunzione di calorie nei pasti successivi. -Aumentare il consumo di frutta e verdure e di yogurt nonché di frutta secca ,come noci e nocelle (a Caposele se ne trovano di ottima qualità’!),ricche di grassi

con la frutta. - Evitare pasti completi, come primo secondo e contorno, ed optare per piatti unici bilanciati che possono fornire nutrienti di un intero pasto: alcuni abbinamenti possibili sono pasta con legumi e/o con verdure, carne/pesce/ uova con verdure. -Consumare poco sale e preferire sale iodato, in quanto la carenza di iodio costituisce ancora un problema nelle nostre zone(ipotiroidismo endemico!).La tiroide condiziona molte funzioni dell’organismo e svolge un ruolo fondamentale nella regolazione dell’omeostasi ormonale e metabolica,per cui necessita del giusto introito giornaliero. -Rispettare le modalità’ e la conservazione degli alimenti,mantenendo la catena del freddo per i i cibi che lo richiedono(borsa termica per il picnic) e ricordando che gli alimenti conservati a lungo in frigorifero rischiano un decadimento dei valori nutrizionali e uri possibile contaminazione da microorganismi patogeni. Convinto e fiducioso nella bontà’ della mia modesta esposizione e dei miei consigli’auguro a tutti una estate serena e priva di sofferenze(ce ne sono fin troppe!). Ma un augurio particolare lo rivolgo al nostro ineffabile e irreplicabile Direttore per il prestigioso traguardo del centesimo numero della Sorgente. A Nicola altri cento numeri ed altre cento estati! Vale!

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Sociale

ANDRA’ TUTTO BENE SE… IMPAREREMO A RICORDARE

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crivere in questo momento particolare, nel quale si susseguono eventi diversi: la presentazione del numero 100 de “La Sorgente”, la ricorrenza del 25° anniversario della fondazione della Pubblica Assistenza, l’Emergenza COVID-19, tutto questo suscita in me una molteplicità di emozioni forti e diverse. Forse, solo pigliando carte e penna, riuscirò a dare forma e vita a questi molteplici stati d’animo; sono situazioni diverse, quelle alle quali accennavo prima, legate da un filo conduttore, che sarà esplicitato, nel corso del mio articolo. In questi mesi trascorsi di lockdown, nel quale l’Epidemia COVID-19 ci ha costretti a stare in casa, volevo trovare un modo di trascorrere le ore che non mi facesse sentire del tutto “sospesa in un tempo indefinito, quasi vuoto”. Un giorno, mi capita di trovare i volumi de “La Sorgente” ed ho iniziato una lettura, quasi quotidiana, che mi ha condotta ad intraprendere un viaggio, che a tratti, somigliava ad un lungometraggio attraverso il quale scorrevano avvenimenti, personaggi, che hanno scandito la vita e la storia di Caposele. Sfogliando le pagine dei volumi e guardando le tantissime foto, queste, a volte, sembravano animarsi e mi coinvolgevano a tal punto che anch’io diventavo protagonista dei tanti spaccati di vita contenuti nelle pagine del periodico. Mi sono trovata, sera dopo sera, a ripercorrere quasi cinquant’anni della vita di Caposele, con i suoi tratti chiari e luminosi ma anche con tratti particolarmente dolorosi, come la sera del 23 novembre dell’80, quando un sisma di una violenza inaudita, sembrò sventrare la nostra terra. Prima di questa data, le pagine de “La Sorgente” parlavano di momenti di pacata tranquillità paesana, di persone semplici e di personalità illustri della nostra terra, ma che tutti avevano contribuito a tessere la storia di Caposele. Come non ricordare “Girardu l’austriaco” che aveva suggestionato la mia adolescenza e lo paragonavo ad una specie di “mago” capace di estrarre un’infinità di oggetti dai tasconi dei diversi indumenti, che infilava uno sull’altro, anche in piena calura estiva. Mi piace ricordare fra i personaggi illustri di Caposele “il maestro Cenzino” (Vincenzo Malanga), che con le sue attente dissertazioni storico-critiche e con le sue belle pennellature poetiche su Caposele ci ha consegnato preziose pagine del nostro paese. “La Sorgente” ha saputo essere, come lo scorrere delle sue acque, lo scorrere di una storia, che altrimenti, avrebbe rischiato di svanire dentro il trascorrere di un tempo che tutto cancella. “La Sorgente” interrompe la sua pubblicazione nel luglio dell’80 per poi riprendere

di Cesara Maria Alagia a luglio dell’81 e lo fece con la pubblicazione del 23º numero a ricordo della tremenda tragedia che aveva devastato la nostra terra, come diceva Nicola “l’Ingegnere” nel suo editoriale. Dopo il 23 novembre dell’80, così come cambiò volto il nostro paese, anche il periodico subisce un profondo mutamento, dovendo rappresentare una realtà devastata non solo nel territorio, ma anche negli animi. Difatti seguì un clima di incomprensioni e di contrapposizioni durate, forse, anzi sicuramente, per troppo tempo. Difatti ci sono voluti molti anni per tentare di recuperare “una parvenza di normalità”, per tentare di riallacciare legami che, purtroppo, continuavano ad essere sfilacciati. Nonostante tutto questo, Nicola, insieme ai suoi collaboratori, ha rappresentato e rappresenta la volontà di essere specchio del passato e cronaca dei nostri giorni, facendo del periodico un “contenitore” entro il quale ciascuno poteva e può esprimere le sue opinioni, in un confronto dialettico e democratico, perché solo così recuperiamo tolleranza e rispetto gli uni per gli altri. Nel 1995 a Caposele nasceva un’Associazione di Volontariato, la Pubblica Assistenza, nasceva perché alcune persone sognatrici, ma cariche di entusiasmo, pensarono di dare concretezza ai loro sogni. Il loro sognare era quello di aiutare le persone in difficoltà e contribuire a realizzare, anche a Caposele, una nuova cultura, quella della Solidarietà, dell’Impegno per gli altri e dell’Inclusione. Il loro sogno aveva messo le radici nell’esperienza devastante del sisma dell’1980 quando vedemmo giungere, all’indomani del terremoto, tantissimi volontari a donarci il loro aiuto, in una totale assenza dello Stato. Le radici del nostro “essere volontari” vennero finalmente realizzate e si concretizzarono una sera, in un’assemblea particolarmente affollata, dove una Cesarina emozionatissima, perché impreparata a parlare in pubblico, presentava la Pubblica Assistenza. A questo punto la Pubblica Assistenza si intrecciava con “La Sorgente” perché

cominciammo a scrivere, sulle pagine del periodico, per dare voce al nostro impegno e alle nostre attività. Anche per la Pubblica Assistenza, quest’anno, ricorre una data importante: i 25 anni dalla sua fondazione. Per noi questo è un traguardo molto importante, perché in tutto questo tempo e, anche con tutti i nostri limiti, abbiamo cercato di rispondere ai bisogni del territorio, sforzandoci di rimuovere forme di disagio e cosa molto importante, abbiamo cercato di portare a Caposele, la Cultura della Solidarietà e della Cittadinanza Attiva. In questo tempo sono accadute anche situazioni (mi riferisco, in modo particolare, all’incendio doloso che nel 2003 distrusse parte della nostra sede) che avrebbero potuto farci demordere, farci abbandonare quanto fino ad allora realizzato. Abbiamo, però, continuato, perché i nostri obiettivi erano più forti della cattiveria di qualcuno e dei pregiudizi gratuiti e lo abbiamo fatto per le tante persone che avevano ed hanno bisogno di noi. Forse, dopo una caduta, ci si rialza più forti, a noi è successo, e le nostre attività sono continuate anzi ne abbiamo fatte di nuove, attività che spaziano dal sociale al sanitario, dalla protezione civile al servizio civile volontario, dalla prevenzione della salute al contrasto della povertà, alla creazione di spazi estivi per bambini, agli incontri su tematiche importanti e tanto altro ancora. Sin dall’ inizio volgemmo la nostra attenzione verso un “Universo Sommerso”, chiuso fra le mura domestiche, invisibile e troppo spesso ignorato; l’universo dei nostri amici diversabili e lo facemmo perché fortemente convinti che avessero diritto, ad essere una vera Integrazione Sociale perché convinti che la diversabilità dovesse essere un’Opportunità e non un Limite. Realizzammo un centro polifunzionale dove i nostri amici e quelli che sarebbero diventati “ I nostri anziani” si incontravano per vivere momenti

di aggregazione e di socializzazione. Ad un certo punto pensammo che non era giusto portarli fuori dalle mura domestiche per poi rimanere al chiuso del Centro, ed allora escogitammo progetti da fare con le scuole, percorsi teatrali e musicali che vedevano l’interazione tra loro e le nuove generazioni. L’anziano, così, diventava soggetto attivo di una vita ancora tutta da scoprire e veniva rispettato quale depositario di valori, di esperienza e di tradizione. “Cercate il consiglio degli anziani, giacché i loro occhi hanno fissato il volto degli anni e le loro orecchie hanno ascoltato la voce della vita” Khalil Gibran. Ad un certo punto però, a causa dell’ esplosione dell’epidemia dovuta al COVID-19, le attività del centro si sono fermate, ma non si è interrotto il nostro rapporto con gli anziani e sebbene a distanza, abbiamo continuato a sentirci telefonicamente, a raccontarci i nuovi vissuti anche per tentare di esorcizzare quel disorientamento che sembrava volesse avere il sopravvento. Da quanto detto si evince come la Pubblica Assistenza, la nostra comunità, tutelino i diversabili e gli anziani che si sono inseriti nel nostro tessuto sociale e ne sono protagonisti attivi. Di contro a questa “bella realtà” il mio pensiero va ad una realtà molto diversa che il COVID-19 ha fatto esplodere e cancellato,

“L’Universo” dei nostri amici anziani e disabili

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Sociale Segue dalla pagina precedente in alcuni territori, un’intera generazione di anziani. Mi riferisco alla situazione delle RSA: oltre 300.000 anziani in 7000 strutture sparse in tutta Italia specialmente al Nord. Quella degli anziani morti nelle RSA è stata una strage silenziosa, una strage degli innocenti che come dicevo prima, in alcuni territori ha cancellato un’intera generazione di anziani. Questi sono morti in totale solitudine, perché le strutture erano state blindate alle visite troppo tardi in quanto il virus ormai era entrato e, spesso, portato da persone già malate che dagli ospedali venivano appoggiate nelle RSA. Il COVID ha fatto emergere che la Sanità, anche la più eccellente, era del tutto impreparata a fronteggiare una situazione così grave, ma lo era anche perché, nel passato aveva privilegiato l’investimento privato rispetto al pubblico e non si erano strutturate RSA capaci di tutelare i propri pazienti e gli stessi operatori sanitari. Sembra che in questa emergenza siano esplose situazioni nelle quali la Sanità e la Politica abbiano ceduto il passo alla logica di un’economia che pressava affinché non si chiudesse tutto e così facendo hanno permesso al virus di circolare in maniera invasiva. Intanto passavano i giorni e i media, nel riferire quotidianamente (in modo crudo, peggio di un bollettino di guerra) il numero dei decessi che aumentava in modo tremendamente esponenziale aggiungevano “che però” si trattava, per la stragrande maggioranza, di persone anziane, quasi che “quel però” attenuasse la gravità della tragedia. Così noi tutti ci siamo quasi “anestetizzati” nell’accettare i numeri di quelle morti, di quelle barre trasportate da lunghe fila di camion mi-

litari. Eppure le morti non erano numeri asettici: riguardavano persone che erano padri, mariti, nonni amorevoli, persone per le quali “l’allungarsi della vita” sembrava essere una colpa perché il sistema sanitario oramai al collasso, doveva decidere chi curare e chi non curare. È stato peggio di una guerra: per i bombardamenti c’erano i rifugi, per gli anziani c’erano le RSA che avrebbero dovuto proteggerli e che sono, invece, diventate le loro tombe. Da più parti è ancora scritto “Andrà tutto bene”, ma tutto bene non è andato per le migliaia di persone morte, tutto bene non andrà se da questa tremenda situazione, qual è stata ed è la pandemia da COVID-19, la Politica, nella sua totalità, e nelle sue diverse accezioni, non saprà trarne un grande insegnamento che è quello di rileggere i veri valori, ai quali, in certe situazioni, bisogna saper dare priorità. Si diceva che “la salute del cittadino viene prima di tutto”, che le persone contano in quanto tali e non per l’età anagrafica ma così non è stato in quanto ai medici, in alcune occasioni, si è chiesto di dover scegliere chi salvare e chi no. Termino riallacciandomi a quando detto all’inizio, c’è un filo che dovrebbe legare i diversi accadimenti della vita, nel loro piccolo “La Sorgente” e la “Pubblica Assistenza”, lo individuano nel rispetto che hanno avuto e che continueranno ad avere per tutte le persone, protagoniste della nostra storia, dei nostri spaccati quotidiani, anche nell’umiltà delle loro azioni, perché il loro vivere è pur sempre un atto di coraggio. In questo modo potremmo dire “andrà tutto bene” quando ciascuno di noi sarà chiamato a fare la propria parte, con senso di responsabilità e di rispetto per l’altro chiunque esso sia. Andrà tutto bene quando un anziano non sarà più considerato un numero e nessuno

La condizione di chi è solo

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l covid-19 ci ha costretti a restare chiusi in casa, lontani dagli altri e per un lungo periodo di tempo. La durezza dell’isolamento ha messo a nudo , tra l’altro, le gravi difficoltà che deve affrontare in queste circostanze chi vive da solo per forza o per scelta. Un tempo chi era solo lo nascondeva. Le donne, per non passare per zitelle, evitavano di parlare e di far conoscere la loro condizione. Ne’ gli uomini ne andavano orgogliosi , specialmente se non più giovanissimi. Lo stato di single, poteva significare incapacità di crearsi una famiglia e di stabilire rapporti duraturi con i suoi simili . In poche parole: un fallimento. Oggi, al contrario, molti esaltano la libertà e l’indipendenza del vivere a modo proprio senza vincoli di sorta. Come stiano le cose in realtà non è dato sapere, ma non è escluso che

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il “single” e la “single” una volta al riparo delle quattro mura, si sentano disperatamente soli. L’uomo è alle prese con problemi pratici che, alla lunga, lo mettono in grosso disagio e deprimono il morale, anche dei più incalliti sostenitori del trascorrere l’esistenza in solitudine. La donna è più autosufficiente in casa ma corre un altro genere di pericolo. Nonostante la conclamata parità, essa viene spesso scambiata per una preda facile. I brutti incontri in cui può incappare le impongono molta attenzione nella scelta degli uomini con cui uscire ed una accurata selezione degli amici da accogliere in casa. Più lo farà più eviterà rischi e brutte sorprese. Un cosa però è certa: chi vive in disparte, ha più probabilità di subire gli effetti negativi della propria condizione nel mancato bisogno. La pandemia che ci ha colpito, ha confermato la indispensabilità di

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sarà costretto a morire in solitudine senza avere la consolazione di chi ti stringe la mano o che ti chiude gli occhi; quando un figlio non sarà costretto a rincorrere un camion militare che trasporta bare, nel dubbio che in quella bara ci possa essere il proprio padre; andrà tutto bene quando ciascuno avrà diritto ad avere le cure necessarie in una situazione di difficoltà. Tutto questo sarà possibile se non cancelliamo dalla nostra memoria ciò che è stato solo pochi mesi fa; i 100 numeri de “La Sorgente” ci indicano, infatti, che la memoria è il motore per costruire un futuro migliore perché solo ricordando ciò che è stato potremmo riscoprire quell’autentico senso civico ed umano, necessario al raggiungimento del Bene di tutti; solo così potremo sperare che davvero “ANDRÀ TUTTO BENE…”

di Rodolfo Cozzarelli

avere accanto a sé qualcuno con cui condividere la vita e l’esigenza di collaborazione nella ricerca di rimedi alle malattie che ci tormentano. Quando la nostra salute vacilla, una delle migliori medicine è l’affetto delle persone che vegliano su di noi. La percezione di essere amati e desiderati, infatti, allungo l’esistenza e induce le persone sofferenti, ad accettare, con più spirito di sopportazione, il loro stato anche se pieno di acciacchi. Il sentimento di solidarietà e di affezione aiuta la vita, la ricerca scientifica la salva. Nella situazione attuale, il virus è stato rallentato dall’isolamento sociale, dalla distanza e di sicurezza e dalla mascherina ma non sconfitto. A dire degli esperti ora occorre un vaccino che vinca la virulenza del covid-19e la sua mortale diffusione. Gli studi, avviati in diverse nazioni, hanno già ottenuto soddisfacenti risul-

tati; l’antidoto , pare, sia già in fase di sperimentazione. L’intelligenza umana e l’investimento nella salute danno sempre buoni frutti. La speranza adesso è che, una volta scoperto il farmaco giusto, non si scateni la corsa all’accaparramento e allo sfruttamento per motivi di lucro. Il prevalere degli interessi sarebbe distruttivo almeno quanto il virus. Concludo ricordando con emozione i cento numeri della “Sorgente “ sotto la guida dell’amico Nicola Conforti, a cui rivolgo un sentito grazie per la competenza , la tenacia e la dignità con cui ha diretto questo giornale. Auguro lo stesso successo a chi lo sostituirà in avvenire.

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Tradizioni

GUIDA ALLA LETTURA DEL DIALETTO CAPOSELESE

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on solo non è semplice rendere per iscritto i suoni del caposelese parlato, non è altrettanto semplice anche il discorso contrario, ovvero far emergere dalla parola scritta la corretta pronuncia della stessa. Va da sé, quindi, che per far sì che lo scritto renda quanto più possibile il parlato, si deve necessariamente ricorrere a espedienti grafici che aiutino a far pronunciare una parola in modo corretto. Due sono i fenomeni fonetici che maggiormente hanno richiesto un intervento specifico: le pause all’interno delle parole e l’esistenza delle vocali brevi e delle vocali lunghe. Analizziamoli nello specifico. Le pause all’interno delle parole: molte parole del dialetto caposelese presuppongono, al loro interno, delle brevi pause quando vengono pronunciate. Valga, come esempio per tutte, la parola italiana ‘predicare’ che in caposelese si dovrebbe scrivere, volendo riportare tutte le lettere che la compongono, in questo modo: ‘prrcà’. Ora, chi si trovasse dinanzi a questa parola scritta in questo modo non capirebbe come debba essere pronunciata. Sembra quasi, infatti, che si debba fare una breve pernacchia ( “prr”) seguita dalla sillaba ‘cà’, ma non è così. Se si vuole pronunciare bene la parola suddetta bisogna quasi sillabarla, in quanto essa ha al suo interno delle pause che devono essere scandite e. quindi, devono per forza essere indicate anche nella forma scritta. Tali pause, in questa come in altre parole, sono state rese con dei trattini. Essi dividono e uniscono le sillabe (anche consonantiche, ovvero composte solo da consonanti) che vanno autonomamente pronunciate nel dire la parola per intero. ‘Prrcà’, perciò, diventa ‘pr-r-cà’, che è anche la sua corretta pronuncia. Le vocali lunghe e le vocali brevi: il caposelese, a differenza dell’italiano. ha mantenuto la distinzione tra vocali brevi e vocali lunghe, tipica del latino da cui si è originato. Facciamo degli esempi per capire meglio: nella parola ‘palla’, che è uguale all’omonima parola italiana, la prima ‘a’ viene pronunciata con la stessa lunghezza di suono della seconda ‘a’. Non così nella parola ‘fàv’ (fave) in cui la vocale deve essere pronunciata con una maggiore emissione di suono.

DAL LIBRO DEI PROVERBI Nella parola ‘ten’ (tiene, possiede) la ‘e’ non va pronunciata come nella parola ‘ten’ (dieci) in inglese, ovvero con la ‘e’ breve: non significherebbe nulla. Si è optato, quindi, per esprimere la maggior lunghezza della ‘e’, di renderla con questa trascrizione: ‘tSn\ dove la ‘e’ con il trattino indica, appunto, una vocale lunga. Altro esempio ancora: la parola italiana ‘spine’, in caposelese non può essere resa nella scrittura semplicemente con ‘spiri’ che implica una pronuncia come l’analoga parola presente, ad esempio, nel nome della nota catena di supermercati ‘Eurospin’, bensì, va scritta nel seguente modo: ‘spiti’’, dato che la T qui si pronuncia come lunga. Insomma, laddove la pronuncia richiede un maggiore attardarsi sulla vocale, si è ricorsi a dei simboli non in uso nella lingua scritta italiana, ovvero le vocali con il trattino sopra, dove il trattino indica, per l›appunto, la maggiore emissione di suono. Le vocali lunghe all›interno delle parole sono state, quindi, riportate nel seguente modo: a, e, I, o, u. Altri fenomeni minori relativi alla pronuncia sono la pronuncia doppia di una vocale e la pronuncia della vocale ‘o’ in alcune parole. Circa il primo fenomeno valga il seguente esempio: ‘luipaga’, in caposelese si dice ‘iddìi paa’, con due ‘a’. Riportando nella forma scritta una sola ‘a’ non si avrebbe la pronuncia esatta. In questa parola, infatti, la vocale ‘a’ deve essere pronunciata due volte in rapida successione, come se fossero due sillabe separate. Non si è, quindi, di fronte a una vocale pronunciata in modo più lungo (‹a›), ma a due vocali che debbono essere pronunciate distintamente. Circa la vocale ‘o’, essa nella pronuncia, oltre a non essere chiusa, in molte parole deve essere pronunciata seguita da una ‘u’ appena accennata. Ad esempio, la parola ‘cora’(coda) ha come pronuncia corretta ‘còu-ra\ in cui la ‘u’, lo si ribadisce, deve essere debolissima. Si potrebbero portare come esempi altre parole in cui questo fenomeno è presente: ‘citròV (cetrioli) che va pronunciata ‘citroul’; ‘varol’ (castagne cotte in un determinato modo) deve essere pronunciato ‘varduV e altre ancora. In tante altre parole, però, questo fenomeno non è presente, si pensi alla parola ‘sora’ (sorella), la cui pronun-

cia non contempla assolutamente la presenza della debole V di cui sopra. Un altro espediente al quale si è ricorso per trascrivere le parole in modo tale che siano quanto più vicine alla pronuncia riguarda l’uso del gruppo consonantico ‘se’. In alcune parole lo si può usare seguendo l’italiano, ad esempio nella parola ‘musciu’ (moscio), in altre si deve necessariamente ricorrere al digramma ‘sh’; per intenderci, quello presente nella parola inglese ‘shampoo’. Questo perché usando il gruppo ‘se’ potrebbero crearsi confusioni. Il termine ‘pisheuni’ (‘pietre’) rende bene nella pronuncia la differenza tra ‘sh e la succesiva ‘e’ gutturale; se fosse stato scritto ‘pisccunV ci sarebbe stata molta più confusione sul come pronunciarlo. La parola mòs-c (‘mosche’) presuppone che le consonanti V e ‘e’ vadano pronunciate

Prof. Mario Sista

separatamente, non così nella parola ‘mòsh’ (moscie). Inutile ribadire che per entrambe le parole vale la regola della debolissima ‘u’ da pronunciare subito dopo la ‘o’. In ultima analisi, si invita il lettore, che vuole avventurarsi nella lettura dei proverbi, a stare attento ai segni grafici testé esaminati, avendo cura, nella pronuncia, di distinguere bene tra vocali brevi e lunghe, di scandire le pause indicate dai trattini e di porre la dovuta attenzione a tutti gli altri espedienti che, di volta in volta, compariranno e il cui senso è, appunto, quello di voler rendere la lettura dei proverbi quanto più fedele alla lingua parlata, dalla quale essi traggono la loro esistenza e la loro bellezza.

Il proverbio è l’olio della vita di Antonello Caporale – (dal libro dei proverbi di Cettina Casale e Mario Sista) Il proverbio è il filo d'olio della vita, è il deposito letterario dell'esperienza comune, il filtro dal quale leggiamo la vita collettiva, il binocolo sociale che illustra le virtù e i vizi. Memoria, giudizio e anche pregiudizio con i quali ci raccontiamo, ora confortandoci ora sconfortandoci. Il proverbio aiuta a riconoscerci e indicare la radice della nostra esistenza. Nella civiltà contadina, della quale siamo figli, e figli di un Sud che ha dovuto sempre arrancare, i racconti, e dunque i proverbi, indugiano sulla condizione prevalente. La povertà, alcune volte la miseria. Le case, la tavola, i vestiti divengono cartine di tornasole di una esistenza spesso grama. I proverbi raccontano le virtù di chi conosce il bisogno, definiscono la cornice della nostra identità, anche della dignità della quale dobbiamo mostrare rispetto. Il proverbio ci dice cosa dobbiamo trascurare e cosa no. Come comportarci, come farci rispettare. E' figlio di una civiltà spesso primitiva dove le diseguaglianze sono travisate, la generosità può essere fraintesa. Il proverbio ritrova nella scala gerarchica, nella differenza tra ricco e povero, una sua peculiarità. Non chiama alla lotta di classe, non indugia sulle ingiustizie ma si allarma sui suoi effetti collaterali. Il proverbio è spesso classista, sigilla alcune volte nel conformismo di una vita “perbene”, i nostri comportamenti. In verità il proverbio non è mai rivoluzionario, ma nemmeno c'è da aspettarselo. Testimonia un tempo, spesso a cavallo tra l'ottocento e il novecento, di una società arretrata, divisa per classi, e chiusa all'emancipazione. Caposele ha la fortuna di leggersi attraverso i ritratti, le piccole e grandi narrazioni dei suoi cittadini. Ha un foglio locale, La Sorgente, che aiuta la comunità ad attivare la memoria. A conoscere le proprie radici e poi a riconoscersi. Io sono oramai un lettore antico e affezionato. Estraneo alla comunità ma, grazie a La Sorgente, dentro di essa. Sfoglio e leggo. E sopra ogni cosa rintraccio i proverbi che Cettina Casale ritrova e ricompone. Il proverbio, cioè il filo d'olio che sgorga dalla pressa di quel grande frantoio che è il nostro mondo.

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ei tempi in cui la medicina era poco sviluppata, la gente cercava di vincere il male invocando la protezione di immagini salvifiche sacre o quantomeno aureolate di sacralità. Immaginiamo, ora, per un attimo di vivere l’attuale momento di diffusa pandemia nelle stesse condizioni dei nostri avi di alcuni secoli or sono. Come ci saremmo comportati? Di certo ci saremmo rifugiati nella solitudine delle nostre case, così come oggi abbiamo fatto. Per il resto, più che sperare nella medicina, purtroppo lontana anni luce dalle capacità curative odierne, avremmo senz’altro invocato la protezione di qualche santo dotato di potere taumaturgico, capace cioè di operare prodigi e miracoli. E così fecero i nostri antenati quando nelle ricorrenti epidemie di peste ricorrevano all’intervento miracoloso di San Sebastiano e di San Rocco. Sebastiano era un funzionario imperiale, che subì il martirio sotto l’imperatore romano Diocleziano. Ferito dagli arcieri, riuscì a sopravvivere grazie alle cure di Irene, una matrona romana. Le frecce che, nelle raffigurazioni del martirio, saettavano veloci verso il suo corpo divennero nell’Europa cristiana del Medioevo il simbolo della peste. Fu nel 654 a Roma che San Sebastiano venne per la prima volta invocato durante un’epidemia di peste. Il culto crebbe, alimentato dalle sue reliquie che dall’826 sono conservate a Soissons in Francia, ancora oggi meta di numerosi pellegrinaggi. La devozione a S. Sebastiano si estese ulteriormente, tant’è che fu al centro del culto popolare negli anni della peste nera, che colpì l’Europa verso la metà del XIV secolo, e in quelli delle epidemie successive. Un altro santo taumaturgo, oggetto di grande venerazione, fu ed è San Rocco, il cui culto è oggi particolarmente seguito anche dai Caposelesi. Rocco nacque nel XIV secolo a Montpellier. Mentre era pellegrino verso Roma, si fermò ad Acquapendente, che era colpita dalla peste, ove si mise a disposizione della comunità locale per assistere gli infetti. Giunto a Roma si trattenne tre anni. Sulla via del ritorno si imbatté di nuova nella peste. A Piacenza fu ricoverato in ospedale, ma ne venne ben presto dimesso per la sua incapacità a sopportare il dolore causato dai bubboni. Si rifugiò allora in una foresta e qui il cielo gli venne in aiuto. Ai suoi piedi improvvisamente zampillò una sorgente d’acqua e un angelo gli si avvicinò e lo curò, mentre un cane ogni mattina lo sfamava con una pagnotta di pane rubata al suo padrone Gottardo. Questi, insospettito dal comportamento dell’animale, lo seguì e scoprì Rocco, che era in via di guarigione. Colpito dal prodigio, Gottardo decise di seguire il Santo, portando con sé anche il cane. Rocco, rientrato a Montpellier, venne scambiato per una spia e fu, quindi, imprigionato. In carcere morì dopo cinque anni. Si narra che alla sua morte un angelo ne illuminasse il cadavere accanto a cui fu trovata una scritta splendente: Erit in pestie patronus. Attorno alla metà del Quattrocento

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SANTI E RE TAUMATURGHI Devozione e politica quando infuriava la peste il culto di S. Rocco taumaturgo iniziò a diffondersi per tutta la cristianità, tant’è che ancora oggi moltissime comunità, tra cui Caposele, ne venerano l’immagine. Alla fine del XVI secolo, la cultura della Controriforma propose alla devozione popolare nuovi modelli di taumaturghi, inserendo il tema della guarigione miracolosa entro un orizzonte di significati assai diversi dai precedenti. Ne sono un esempio S. Gaetano da Thiene e S. Francesco Saverio che furono nominati patroni di Napoli al termine della peste del 1656, la quale, tra l’altro, falcidiò la comunità caposelese dell’80% circa della sua popolazione (2500 decessi su un totale di 3000 abitanti circa), stando ai dati della “Cronista Conzana”, la più importante fonte storica dell’Arcidiocesi di Conza, redatta intorno al 1690. Ma torniamo alla nostra narrazione. San Francesco Saverio era con Sant’ Ignazio di Loyola il cofandatore della Compagnia di Gesù, mentre S. Gaetano apparteneva all’ordine dei Teatini. Francesco Saverio faceva risalire la propria straordinaria fama di taumaturgo all’evangelizzazione dell’India e del Giappone. In Lui il profilo del guaritore era ed è tuttora inscindibile da quello del missionario eroico. Ancora in vita era diventato oggetto di una leggenda agiografica caratterizzata dalla sovrabbondanza di prodigi, esaltati dal ritrovamento nel 1554 del suo corpo ancora intatto, nonostante fossero trascorsi due anni dalla morte. Modello complementare fu San Gaetano da Thiene, la cui missione di evangelizzazione si svolse invece in Italia. Fondatore dei Teatini, San Gaetano trascorse molti anni della sua vita a Napoli, intento ad assistere i ceti più diseredati della città. Gaetano fu per la Curia romana il campione delle direttive del Concilio di Trento che, di fronte al decadimento dei costumi e della religiosità, sollecitavano la rievangelizzazione del popolo. Le figure taumaturgiche di Gaetano e Francesco Saverio sottendevano l’intento politico delle gerarchie ecclesiastiche del tempo, le quali, oltre a comporre il dissidio tra i due ordini religiosi di appartenenza con la nomina di entrambi a patroni di Napoli, diffondevano loro tramite le scelte strategiche della Controriforma. Comparvero poi altre figure di taumaturghi. Si trattava perlopiù di figure femminili: sante, beate o semplicemente venerabili, spesso poco gradite alla misoginia discriminante delle alte sfere ecclesiastiche, ma che avevano largo seguito tra il popolo dei fedeli. È il caso di Santa Rosalia, che divenne patrona di Palermo dopo la peste del 1624, grazie all’entusiasmo e alla forte pressione della gente comune. La cautela dell’arcivescovo fu infatti incalzata senza sosta sia dalle voci che in città diffusero

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il primo apparire dei miracoli attribuiti alle reliquie della Santa, sia dalla frenesia con cui i devoti tentarono di accaparrarsi i frammenti di quelle ossa ritenute salvifiche. Le pressioni furono tali che nel 1630 Papa Urbano VIII inserì Santa Rosalia nel Martirologio Romano. Caso analogo fu quello di Sant’Orsola Benincasa, nata a Napoli verso la metà del XVI secolo. Orsola palesò sin dall’infanzia un’intensa vocazione religiosa. Come molte figure femminili, la cui devozione affiora tuttora nei momenti di calamità collettiva, Orsola era dotata di molte qualità che la resero da subito sospetta all’alto clero: propensioni mistiche accentuate, dono di preveggenza, rapimenti estatici durante i quali gridava le sue profezie di sciagura per la città, che riguardavano un terremoto e un’eruzione del Vesuvio. Orsola incontrò ben presto l’ostilità dell’arcivescovo di Napoli, Annibale da Capua. Intervenne da Roma anche Papa Gregoria XIII, che la fece finanche esorcizzare, pensando che fosse posseduta dal demonio. Ma suor Orsola riuscì sempre a godere dell’affetto della gente e dell’amicizia di molti influenti religiosi. Dopo la sua morte il suo corpo operò immediatamente una serie di trasformazioni miracolose. Sanguinò così copiosamente da permettere all’enorme folla presente di inzupparvi i fazzoletti, che furono così trasformati in preziose reliquie. La devozione verso Sant’Orsola ancora oggi è di grande intensità a Napoli, tant’è che in coincidenza di ogni grave crisi collettiva si ripete il rito di ricorrere all’intercessione della Santa taumaturga. Per noi Caposelesi una figura salvifica di eccezionale devozione è l’immagine della Madonna della Sanità a cui i nostri avi erano soliti ricorrere nelle ricorrenti epidemie di peste che colpivano il Regno di Napoli. Nella Chiesa a Lei dedicata fu posta nel 1859 una lapide, tuttora perfettamente leggibile, con incisa un’epigrafe in memoria del Suo miracoloso intervento in occasione delle mortifere crisi di colera del 1837 e del 1839. Potremmo continuare nell’elenco di santi e sante oggetto di devozione popolare invocati nelle crisi di diffusione di morbi pestiferi, ma la narrazione diventerebbe lunga e come tale tediosa. La devozione verso queste figure salvifiche, capaci di proteggere i fedeli dalle malattie letali, ha sempre delineato nelle ricorrenti crisi epidemiche un orizzonte politico di

di Michele Ceres

consenso e di pacificazione, utilizzato dai ceti dominanti per superare il pericolo di possibili e preoccupanti disordini sociali. Disordini, di cui anche oggi in pieno XXI secolo, si avvertono segni preoccupanti per le conseguenze di ordine sociale causate dall’attuale pandemia. Non solo i santi, ma talvolta anche i re sono stati ritenuti figure salvifiche. Infatti, per alcuni secoli in Francia, chi era colpito dalla scrofola, oltre ad invocare l’intervento salvifico di santi taumaturghi, ricorreva al tocco curativo delle mani del re, in quanto era molto diffusa la credenza che il re avesse la capacità di guarire i sudditi affetti da tale malattia mediante la semplice imposizione delle mani e l’ingiunzione: “Il re tocca, Dio ti guarisca”. Stando all’analisi condotta da Marc Bloch, storico di chiara fama, la pretesa capacità taumaturgica del sovrano trovava le sue finalità nella politica del sovrano medesimo, che in tal modo mirava ad accreditare presso il popolo l’origine sacra del suo diritto di governare il regno, diritto che Dio gli aveva attribuito. E così diffondendosi la credenza che il re di Francia fosse toccato dalla grazia divina, ossia dalla benevolenza di Dio, lo stesso re, oltre a legittimare il suo potere verso il popolo, sottolineava allo stesso tempo la sua autonomia dalla Curia e dalla Chiesa di Roma. Peraltro, questa era una politica coerente anche con gli obiettivi dell’emergente gallicanesimo della Chiesa francese che, in parallelo con la politica del re, si risolveva anch’essa in spinte autonomistiche rispetto al Pontefice romano.

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Società

RISCOPRIRE CAPOSELE E MATERDOMINI AL TEMPO DEL COVID 19 “ L’uomo intelligente risolve i problemi, l’uomo saggio li evita, l’uomo stupido li crea” (Albert Eistein). Noi un problema l’abbiamo, si chiama Covid -19 (COronaVIrus Disease 19). Potrebbe essere stato creato dall’uomo “stupido” o cattivo; non vado oltre perché non intendo dare alcun giudizio di valore, preferendo lasciare questo compito al tempo che verrà. Evitarlo non è possibile, ha messo in ginocchio non solo l’Italia ma l’intero pianeta. A tal proposito il prof. Sergio Cesarotto, ordinario di Economia Politica presso L’università di Siena, già da un po’ di tempo tiene conferenze sulle conseguenze economiche di questa pandemia. Spero nella capacità dell’uomo “intelligente” di trovare un rimedio per risolverlo. Sappiamo tutti che la vita è fatta di sconfitte, di amarezze, dolore e lacrime, come anche di gioie, sorrisi e speranze, ma desidero ricordarlo per esortare tutti a non arrendersi perché la vita non ce lo chiede gentilmente, ma ci costringe ad essere forti ed ottimisti in quanto è il meglio per noi. Ma non è del Covid 19 che intendo parlarvi, lo hanno fatto e continuano a farlo l’OMS e tutti i media quotidianamente, anche se, come medico specialista pneumologo in attività piena a Bologna, città dove vivo e opero da decenni, avrei molto da dire. Mi limito a poco: per prevenire una malattia occorre guardarla in faccia con coraggio nella sua gravità ed osservare le misure di sicurezza prescritte. Questo è l’unico reale contributo che possiamo dare per proteggere noi e coloro che amiamo da questo nemico invisibile. Le grandi epidemie lasciano un ricordo vivo perchè agiscono fulminee come le catastrofi naturali ma, mentre un terremoto si calma dopo alcune scosse, l’epidemia dura mesi e anni. Il terremoto fa tante vittime tutte insieme, l’epidemia ha un effetto cumulativo: prima ne sono colpiti in pochi, poi i casi si moltiplicano e tutti sono testimoni di come la morte avanza impietosa. Partecipiamo così a una lunga battaglia con un nemico invisibile, non possiamo colpirlo, ma lui colpisce noi. Quindi, per poter vincere la battaglia, serve la ragione, serve mettere in campo l’astuzia dell’intelletto. Ragioniamo con arguzia, non facciamoci accerchiare dal nemico e affidiamoci alla scienza: è tutto quel che serve per vincere, oltre a buon colpetto di fortuna che non guasta mai.

Le epidemie ci sono sempre state (ce lo insegna la storia) e continueranno ad esserci seminando morte. Cosa c’è di nuovo nella storia? Niente, perché la storia per sua caratteristica si ripete inesorabile. Allora cosa è cambiato? Siamo cambiati noi. Oggi è impensabile poter morire di influenza che colpisce ogni anno soggetti particolarmente fragili, gli stessi che oggi stanno morendo di Covid 19, ma con un’incidenza maggiore dovuta alla maggiore aggressività di questo virus e al fatto che è sconosciuto e, quindi, il nostro sistema immunitario, in alcuni casi, si difende con maggiore difficoltà. Di progressi scientifici ne sono stati fatti negli ultimi 50 anni eppure continuiamo a morire per uno dei microrganismi più piccoli che ci permette di comprendere i motivi dell’ansia e della paura vissuta. Abbiamo paura di ciò che non possiamo controllare e non ci rendiamo conto che tutta la nostra esistenza è costellata di vari eventi che sfuggono al nostro controllo. Abbiamo perso anche la consapevolezza che la morte fa, a tutti gli effetti, parte della vita, della nostra vita di tutti i giorni. La medicina ha un limite intrinseco perché attività tipicamente umana. Nella vita sociale quello che è avvenuto ci ha dato un’opportunita’a cui non siamo abituati: rallentare. Rallentare non vuol dire smettere di lavorare, o smettere di avere relazioni, ma avere l’opportunità di fare le stesse cose privilegiando l’essenziale, e accorgendoci di quanto siamo fortunati. Devo comunque constatare con gioia che tanto Caposele quanto Materdomini devono essere considerati un’oasi felice perché non colpiti dal Covid 19. Tra lotte e speranze siamo giunti all’estate, stagione resa calda dal sole che splende alto nel cielo e che dona energia e vigore a tutta la natura. E’ periodo di vacanza,un’occasione per riposare o allargare i propri orizzonti , viaggiando, per conoscere luoghi, persone e culture diverse. Quest’anno, però, la vita che generava sempre azione e fermento, a causa del problema Covid 19, ha lasciato spazio alla solitudine e spesso alla morte. Più della metà degli italiani si è vista costretta a disdire le prenotazioni fatte per le vacanze verso località montane, marine e viaggi soprattutto all’estero. Mi cruccia il pensiero che le bellezze della nostra amata Irpinia e, nello specifico, di Caposele e Materdomini possano essere godute da pochi. Pertanto intendo parlarvi degli eventi

che si svolgeranno anche quest’anno a Caposele, nel mese di dicembre, che rappresenterebbero una possibilità per quanti,costretti a rinunciare alle vacanze estive, potrebbero programmare quelle invernali proprio in Irpinia ( con la speranza che per quel periodo si sia tornati alla normalità) . E’ con entusiasmo, ossia, con quello stato d’animo profondo e potente, con quel risvegliarsi di una forza che ci invade e tramite la quale ogni meta diventa possibile e ogni collettività ne può essere coinvolta, che desidero parlarvi di un albero di Natale “ speciale”. Collocato alla curva della Sanita’, si tratta dell’albero di Natale più alto d’Europa, un abete greco alto 33 metri che la comunità di Caposele da otto anni addobba con amore nel segno della solidarietà. Al tal proposito mi piace ricordare che fu realizzato in seguito al desiderio espresso dalla mia amatissima cugina Gerardina Malanga. Questo albero vuole rappresentare il ricordo di chi ci ha lasciato, la speranza e la forza di volontà di coloro che combattono, nel quotidiano, mali devastanti come il tumore. Trovo nobile e profondamente umano il suo obiettivo. Infatti i il ricavato di tutte le attività che intorno ad esso si svolgono viene interamente devoluto in beneficenza per la ricerca e la prevenzione del cancro. Intorno all’albero si svolge il mercatino di Natale, che prende inizio ai primi di dicembre con la sua accensione. Detto mercatino prevede tantissimi stands di piccolo artigianato che propongono oggetti unici ed esclusivi utilizzabili per regali natalizi assolutamente originali. E’ possibile inoltre dare gioia al palato con prodotti da forno, tartufi, formaggi, insaccati,olio, vino e tante altre specialità autoctone, il meglio della tradizione della nostra Irpinia, il tutto allietato da Gruppi musicali e folcloristici itineranti. Ci sono inoltre molte animazioni per bambini particolarmente sensibili alla magia dello spirito natalizio.

di Cettina Ciccone

Per loro viene appositamente allestito “l’Ufficio Postale di Babbo Natale”. Un Elfo li accoglie, li aiuta a scrivere e decorare le letterine che in seguito consegneranno direttamente a Babbo Natale. Essi si divertono come non è possibile immaginare, se non si è stati presenti almeno una volta. Sono previste anche visite guidate alle tante attrattive che Caposele e Materdomini offrono: Le Sorgenti del Sele, Il Museo di Leonardo, il Santuario di San Gerardo Maiella, la Chiesa di San Lorenzo e la Chiesa della Sanita, il tutto vissuto nel puro spirito natalizio. Questa manifestazione autofinanziata si prefigge anche di incrementare lo sviluppo turistico in un periodo in cui è tendenzialmente basso o assente. Un plauso volgo all’amministrazione Comunale per il suo quotidiano impegno a favore dello sviluppo di Caposele. Desidero infine esprimere il mio più sentito ringraziamento all’Ing. Nicola Conforti, fondatore e direttore de La Sorgente, per aver dato vita a un periodico che con questo numero vanta la sua centesima uscita e di averlo diretto in modo encomiabile, profondendovi impegno, tempo e dedizione. Ritengo che la longevità rappresenti per i posteri una conferma tangibile della vita locale ormai trascorsa e incrementi il livello di conoscenza del proprio territorio, basato sul vissuto delle persone nelle condizioni sociali, economiche e culturali del proprio tempo. Per questo numero 100, traguardo importante, auspico fortemente un prosieguo di tale divulgazione con tutti gli interessanti contenuti di carattere storico-culturale a cui hanno sempre contribuito con valida professionalità i vari collaboratori locali. Lunga vita a “La Sorgente”! Con queste parole mi accomiato da quanti hanno avuto la pazienza di leggermi ed auguro Buon Ferragosto 2020 !

Piazza Di Masi. In primo piano la fontanina e sullo sfondo la Chiesa Madre

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La Sorgente, mezzo secolo di storia locale

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a Sorgente, il periodico curato dall’associazione turistica Pro Loco Caposele, fondato nel 1973 dall’ing. Nicola Conforti, giunge in questa edizione al suo centesimo numero. Circa cinquant’anni di narrazione, mezzo secolo di storia locale raccolta con dedizione esemplare e rara. Nonostante la straordinarietà del momento, lo stato di emergenza sanitaria che abbiamo vissuto in acuto questa primavera, che stiamo ancora vivendo e che sarà traccia di memoria collettiva per la quale certamente saranno realizzati numerosi film e capitoli di storia nei prossimi decenni; nonostante le innumerevoli argomentazioni di agenda e prospettiva amministrativa, per il ruolo istituzionale che ricopro, per l’impegnativa delega alla cultura di cui sono semplice portavoce ma soprattutto per l’affetto che mi lega al foglio stampato che ho avuto la fortuna di poter sfogliare, sin da bambino, sin dal suo primo numero, questo mio contributo, in questa occasione, non poteva che avere come oggetto il giornale stesso e il suo Direttore. La Sorgente è stata da sempre uno specchio della nostra comunità, in tutti i suoi possibili riflessi. Una tela su cui è stato riprodotto il paesaggio culturale da più punti di vista, pennellate da più prospettive e con diverse sensibilità di tratto e tecnica. I suoi fogli hanno indiscutibilmente arricchito il nostro archivio culturale lasciando ai lettori un ricordo da conservare, un fatto da tramandare o storie di personaggi che hanno anch’essi calpestato le sponde del Sele ma lasciandone segni che, grazie al narratore, sono impressi in forma indelebile. Prima di Facebook, prima di Instagram, nel lontano ’73, il giornale è stato una finestra su Caposele, il primo social network tra il paese e le sue numerose comunità di emigrati all’estero. Unico canale di connessione su ciò che accadeva e tra i volti familiari che, col tempo, lentamente mutavano. Dal Nord Italia alle Americhe, passando per la Svizzera e la Germania per arrivare in Australia, centinaia di nostri concittadini sfogliando La Sorgente restavano in contatto, vicini seppur lontani al paese d’origine, aggiornati sui suoi cambiamenti e sulle naturali trasformazioni. Negli anni ‘70 il giornale si è rivolto principalmente a loro, a chi aveva per necessità lasciato la terra natia ed a cui si augurava un futuro ritorno, e nel frattempo la Sorgente registrava un tempo che non sarebbe più tornato.

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Il giornale ha raccolto la memoria di un luogo che, a distanza di pochi anni, sarebbe stato sventrato dall’evento sismico dell’80. Una catastrofe che ha segnato la vita dell’intera comunità, modificando la geografia del paese, cancellando luoghi, azzerando abitudini, deviando bruscamente il corso delle cose, trasformando irreparabilmente il presente ed il futuro di migliaia di persone. E’ spaventosamente profetica la realizzazione dell’opera audiovisiva “Un anno a Caposele” realizzata a firma degli stessi autori del giornale che documenta la vita, gli eventi, gli ambienti e le abitudini delle genti di Caposele a pochi mesi dalla sciagura. La Sorgente è anche questo, memoria preziosa di un luogo che non sarebbe stato più lo stesso, la fotografia di quel che era il paese prima del terremoto, raccontando della maestosa Chiesa Madre e dei riti religiosi che si svolgevano nel corso dell’anno, del vecchio centro storico, delle botteghe degli artigiani, di quella che era “la piscina” di allora e tanto, tanto altro. Le fotografie sulla distruzione causata dal sisma hanno un’inestimabile valore scientifico e sentimentale ed infatti sono numerose le pubblicazioni, le mostre e gli utilizzi di questi reperti. La foto è quindi sempre stata il valore aggiunto del giornale e l’intero patrimonio fotografico de La Sorgente, prodotto e raccolto con gusto in questo mezzo secolo, è divenuto una preziosa ricchezza che ha impresso la storia del paese. Poi la ripresa, gli anni ’80 e ’90, l’interminabile fase del post terremoto e la ricostruzione, il ritrovato fermento politico sociale e La Sorgente non ha smesso di raccogliere lo scorrere della vita in tutte le sue sfaccettature. In quegli anni il giornale diventa più sicuro di sé, più impegnato, e rivolge il suo sguardo soprattutto ai lettori/ elettori locali, prendendo anche delle inequivocabili posizioni sul modello di ricostruzione da adottare del paese (com’era, dov’era! Era un tipico slogan di quell’epoca). Il giornale diventa, agli occhi di molti, partigiano ed i suoi numerosi redattori indicano una linea politica prevalente che, possa piacere o meno, è consuetudine in ogni organo di informazione. Dalle macerie sono state erette e fotografate nuove costruzioni, nuovi spazi, nuovi assetti che hanno trovato vita anche e sempre nelle pagine del giornale. Ogni evento ha avuto uno spazio in cui essere registrato e conservato:

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la realizzazione di qualsiasi opera pubblica o qualsiasi manifestazione, il benvenuto alle nascite e il cordoglio per le scomparse, la genealogia, la politica locale, e, non per ultimi, gli espedienti per preservare la lingua dialettale in tutte le sue sfaccettature. Pagine e pagine di ricordi, giorni e giorni di lavoro per la riuscita di ogni singolo numero. Cento pubblicazioni frutto di dedizione e impegno da parte del suo unico Direttore, della sua costanza, intelligenza, sensibilità e capacità di guardare oltre e lontano. Mezzo secolo di attenzione per

di Armando Sturchio Vicesindaco Caposele

custodire, con sacrificio, la memoria storica di Caposele. Questo enorme lavoro merita di essere conservato con la stessa cura e di avere un posto di rilievo nella Biblioteca comunale dove le prossime generazioni potranno attingere liberamente testimonianze della loro storia recente.

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' stato inaugurato dalla A.C. un nuovo spazio pubblico denominato "piazzetta delle sorgenti". E' di fatto un allargamento di piazza Sanità che consente di aprire un pezzo dell'area di proprietà A.Q.P. e restituirla ai Caposelesi. All'interno panchine, aiuole e una fontana zampillante che è stata ristrutturata e resa più moderna da zampilli e luci colorate. La "riconquista" di pezzi del territorio e la loro riqualificazione è un'operazione importante che sta continuando con la nuova gestione amministrativa. Speriamo non si interrompa.

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Storia

Una foto, tracce di una storia di uomini e donne

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a Sorgente, tra i tanti pregi della sua lunga storia, ci ha fatto dono di un patrimonio indefinibile, per quantità, di fotografie. Per questo numero speciale ne ho scelta una tra tante, simbolicamente, perché in essa e con essa è possibile contestualizzare una storia di uomini (ma anche di donne) che, ciascuno a modo proprio, ha segnato un’epoca. In questa foto è possibile, in particolare, recuperare un ricco racconto di storie politiche, di umanità personali, di figure capaci di segnare una fase storica particolare. La foto, di suo, non è tecnicamente di alta qualità. Il fatto, però, è che in essa vengono fissati volti che ancora oggi suscitano ricordi ed emozioni, ciascuno dei quali può essere alla base di un racconto proprio e ciascuno protagonista, con ruoli diversi, di impegno nella fase successiva al terremoto. Intanto, in premessa, va detto che siamo nel febbraio del 1981, cioè qualche settimana dopo lo sconvolgente terremoto che rase al suolo molti paesi dell’Irpinia e dell’Alta Valle del Sele, tra cui Caposele. Inoltre, che decine e decine di persone si raccolsero per la visita del Segretario Generale del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, nel luogo dove insisteva la sezione del Partito e dove persero la vita 14 iscritti, per lo più anziani, intenti come ogni domenica sera a giocare a carte e a discutere del più come del meno, che fosse politica o amenità varie. Ancora, che quella foto fu scattata, insieme ad alcune altre, da un sacerdote della comunità redentorista di Materdomini. Che, ahinoi, dato significativamente triste, molte delle persone in essa riprese oggi non ci sono più. Utilizziamo questo criterio per scorgere i vari protagonisti: dividiamo la foto in tre parti orizzontali e scorriamo da sinistra verso destra. La parte bassa è poco significativa perché tutti sono stati ripresi di spalle. Nella parte centrale, sempre da sinistra, è riconoscibile Sergio Monteverde con la sua folta barba e il cappuccio. Appena dietro Sergio, a fatica, riconosco anche metà del mio viso. Poco più dietro, col passamontagna, riconosco Angelo Farina, padre dei miei amici, dottori Pasquale ed Armando. A lato, scorrendo verso destra, riconosciamo il cappello e metà del viso di Amerigo Del Tufo, storico medico condotto della seconda parte del novecento, influente figura delle dinamiche politiche locali per tanti decenni. Ripartendo da Sergio Monteverde, sempre scorrendo verso destra, è rico-

noscibile Salvatore Damiano, figlio dell’indimenticato Giuvann lu guardiu, poi – con la sigaretta in bocca - Giovanni Freda, figlio di Gemmino Diaz. Sempre scorrendo riconosciamo il cappuccio, ma col viso coperto dalla punta di altro cappuccio, di Raffaele Alagia, storico militante del partito locale. A fianco, col passamontagna riconosciamo Peppino Curcio, imprenditore edile, in passato consigliere comunale ed assessore, grande narratore di proverbi e detti di antica cultura caposelese. Dietro Peppino è riconoscibile Ferdinando Mattia, consigliere comunale anch’esso per lungo tempo, fratello di Rocco e Amato – altri caposaldi di impegno nel partito comunista a vari livelli. Dietro Ferdinando, c’è Angelo Del Malandrino, anche detto Paglietta. Salendo verso l’alto, è riconoscibile la fronte di Generoso Notaro e poi il viso di Angelo Daniele, papà di Benny e Salvio; ancora, a seguire, quello di Salvatore Monteverde l’Intend. Veniamo adesso alla parte centrale, quella dove spicca il profilo di Enrico Berlinguer. Intorno al leader comunista sono chiaramente riconoscibili Nicola Conforti, direttore de La Sorgente e Presidente della Pro Loco. A lato di Nicola Conforti troviamo un emozionato Donato Mazzariello, storico segretario di sezione e per lunghi anni vice-sindaco di Caposele. Alla sinistra di Berlinguer riconosciamo l’allora Segretario della federazione provinciale del Pci, Michele D’Ambrosio, negli anni successivi deputato, voluto proprio dal partito nazionale, a rappresentare le esigenze del cratere terremotato. D’Ambrosio anche negli anni successivi mantenne un legame particolare con Caposele, anche in ragione della sua amicizia con Amato Mattia e con Alfonso Merola. Alle spalle di Berlinguer, col passamontagna bianco, ritroviamo l’avvocato Fernando Cozzarelli, fino ad un anno prima sindaco di Caposele, dopo la morte di Francesco Don Ciccio Caprio. Dietro Fernando Cozzarelli, con gli occhiali da vista, riconosciamo uno stretto collaboratore di Berlinguer, Pio La Torre, segretario regionale del Pci siciliano, eroe nella lotta alla mafia e ucciso dalla mafia palermitana qualche tempo dopo, esattamente il 30 aprile

di Gerardo Ceres

del 1982, promotore della legge sulla confisca dei beni alle famiglie mafiose. Nella parte in alto, dietro il gruppo di carabinieri e militari, riconosciamo il mio grande amico Gualfardo Montanari, poi la folta capigliatura di altro amico, Giuseppe Aiello, attuale comandante della polizia municipale di Lioni, ancora Antonio Cetrulo, catarattu, e Antonio Ciccone, figlio di Tirucciu ‘r pecuranguoddu. Completiamo questa carrellata concentrandoci, in ultimo con la fila di donne collocate in alto nella parte destra. Sono tutte donne del Ponte. Tra esse riconosco di certo la moglie di Antonio Cetrulo catarrattu, mamma di Pietro, Cenzino, Gerardo e Massimo. Poi la moglie di Donato Ilaria, lu callalaru, nonché mamma dell’assessora al Bilancio Teresa Ilaria. Poco più a destra, scorgiamo Crescentina, moglie di Gerardo Guarino, martulluzzu d’oro, nonché mamma di Rocchino lu sbirru. In estremità destra, in alto, coperta da uno scialle e nu maccaturu nero,

riconosciamo Feduccia, la mamma di Alfonso Merola, che sarà sindaco di Caposele dal 1985 al 1992. Può sembrare una noiosa elencazione dei protagonisti di una foto, così come se ne potrebbe fare di tante altre, di elencazioni fotografiche. Questa, in particolare, si concentra su un periodo storico particolare, che seguiva un’immane tragedia come il terremoto, che fissava e consegnava alla storia figure che hanno lasciato il segno nella storia di Caposele e che con una certa emozione vogliamo ricordare. Inoltre, Berlinguer e Pio La Torre hanno lasciato il segno nella storia nazionale e nelle emozioni di tanta parte di popolo, non solo appartenente al partito di cui sono stati indimenticabili dirigenti. Averli avuti a Caposele, in una giornata di febbraio del 1981, non può non essere riportato negli annali in cui La Sorgente è stato il luogo della narrazione storica. La Sorgente, appunto, senza la quale anche questi

Una foto del 1981: Enrico Berlinguer con intorno una gran folla di Caposelesi

Enrico Berlinguer con intorno, da sinistra: Raffaele Alagia, Nicola Conforti, Antonio Sena, Michele D’Ambrosio e Gerardo Ceres

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Urbanistica

Storia Urbanistica e Sociale di un Comune Terremotato

nuova toponomastica CAPOSELE ELENCO STRADE

nuova toponomastica

PIANI

AREA PATRIMONIO ED URBANISTICA

Via Aldo Moro Via Piani Via Giacomo Leopardi Via Pomigliano D’Arco Via Baviera Via G. Palatucci via Comunità Evangelica Via Milano Via Terracina Vai Don Guanella Via S. Egidio Via Mons. Luigi Liegro Via Trani Via Priverno Piazza Città dei Ragazzi Piazza Norvegia Largo della Speranza Via Corbetta e Magenta

CASE POPOLARI

D.A.L.M.

FRAZIONE MATERDOMINI

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nuova toponomastica CAPOSELE capoluogo

dal n. 1 al n.

nuova toponomastica

MATERDOMINI

PER FONDO VALLE SELE

CAPOSELE CENTRO

dal n. 2 al n.

Corso S. Alfonso Via San Michele Via Santuario Via Madre Teresa di Calcutta Via Muro Lucano Via Duomo Via Don Luigi Milani Via della Divina Misericordia Via Giovanni XXIII Via della concordia Via della solidarietà Piazza vecchia fiera Piazza del Santuario

PIAZZA DEL SANTUARIO

Caposele, la nuova toponomastica

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Via della Concordia

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zione delle acque del Sele sono stati chiusi molti mulini, tintorie ed altre attività. Negli ultimi 30 anni via Roma e Corso Europa hanno acquistato sempre più importanza ed intorno a quest'asse si è verificata un'espansione disordinata ed accidentale

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La nascita di questi nuovi nuclei edilizi è dovuta all'incremento delle attività silvo-pa-storali. Nel XVII secolo esistevano a Caposele numerosi edifici di culto: oltre alla Chiesa Madre ed a quella di S. Francesco, infatti, vi erano altre Chiese dedicate a S. Lucia, a S. Maria Matris Domini, a S. Maria di Pasano, S. Vito, S. Angelo. Sempre di questo periodo è la carta del Regno di Napoli stampata dal Magini a Bologna nella quale Caposele rientra nel Principato Citra. Ma il XVII secolo è stato anche un periodo funesto per Caposele: la peste nel 1654 ed il forte terremoto del 1694 hanno provocato numerose vittime e distruzioni. Dalla fine del XVII secolo al XVIII secolo la storia dello sviluppo urbano di Caposele è stata segnata molto da alcune famiglie locali soprattutto di estrazione artigiana le quali curavano gli interessi del feudatario e godevano rilevanti vantaggi dal fatto che Caposele fosse considerato dal 1494 un' "Università", cioè un Comune libero capace di darsi delle leggi proprie. In questi secoli sono stati costruiti i principali palazzi gentilizi come quelli dei Cozzarelli, dei Ceres, degli Ilaria, dei Santorelli, dei Masi, dei De Rogatis, dei Be-nincasa, dei Bozio e dei Russomanno. La tipologia prevalente di questi edifici era a corte con alle spalle spazi verdi utilizzati ad orti o a giardini. Nei primi anni del XVIII secolo è stata anche edificata una nuova Chiesa dedicata alla Madonna della Sanità vicino alle sorgenti del Sele. Europa che diventeranno l'asse di collegamento tra i due nuclei storici. I lavori dell'Acquedotto Pugliese hanno provocato anche la demolizione dell'originaria Chiesa della Madonna della Sanità della quale è rimasto solo il Campanile mentre l'edificio è stato spostato di alcune decine di metri nell'attuale Piazza della Sanità. Le principali opere dell'acquedotto sono state eseguite in otto anni e nel 1915 l'acqua del Sele era già giunta in 27 Comuni del barese. Purtroppo in seguito alla capta-

CAPOSELE CENTRO

l centro abitato di Caposele sorge a 415 metri s.l.m. ad est del monte Arialunga, contrafforte del Cervialto, dove nasce il fiume Sele dal quale prende il nome. Le prime notizie di Caposele risalgono all'XI secolo quando è stato costruito un Castello a forma di torrione quadrato a base piramidale in trachite sulla collina. In quel periodo vi erano anche alcune case sparse ed un borgo di pescatori, cacciatori, contadini e mugnai a "Capo di fiume". Con il feudatario Filippo di Balvano (1160) è stato possibile edificare nel XII-XIII secolo alcune costruzioni intorno al Castello nella parte bassa della collina e secondo l'andamento del suolo. Queste case, abitate da soldati, fornai, fabbri, contadini, erano attaccate l'una all'altra e solo ogni tanto vi era qualche strettoia che portava al Castello e che di notte veniva chiusa con robusti portoni ("portella"). Nei primi anni del XIV secolo la confraternita dei Francescani-Antoniani ha realizzato il proprio Convento vicino al Castello con annessa la Chiesa S. Francesco di rilevanti proporzioni. Al centro del pavimento di tale Chiesa vi era una botola che conduceva nei sotterranei dove i monaci seppellivano i morti. Nel XIV-XV secolo da un lato cresceva l'insediamento di "Capo di fiume" che diventava sempre con maggiore evidenza il quartiere popolare più produttivo, dall'altro vi era uno sviluppo edilizio anche nella zona del Castello, ora trasformato in fortezza, dove con nuove costruzioni si concludeva la particolare cinta muraria e si edificava la vera Chiesa Madre del centro dedicata a S. Lorenzo. Questa Chiesa è stata demolita nel XIX secolo e spostata nel sito della Chiesa del Convento dei Francescani-Antoniani. Sempre nel XV secolo è sorto un nuovo borgo "il Pianello" lungo una delle strade di accesso al Castello. Nel XVI secolo Caposele ha avuto un'ulteriore espansione non solo nel centro ed a "Capo di fiume" ma anche nelle zone ad esse limitrofe quali principalmente i Casali e le Grotte.

Via

I

dai quaderni di restauro

U.T.C. CAPOSELE


Politica

CAPOSELE, UN'AMMINISTRAZIONE CHE NAVIGA A VISTA!

A

pprofittando

dell'invito, che come sempre è gradito, in questo numero del "la Sorgente" mi preme illustrare per dovere politico le attività messe in campo dalla maggioranza Consiliare. Oramai siamo quasi al famoso giro di boa, e delle cose dette e promesse in campagna elettorale dall'amministrazione in carica, non se ne vede nemmeno l'ombra. Mi viene da dire un'amministrazione "non pervenuta". Alla luce dell'ultimo bilancio presentato, non si vede nessuna prospettiva politica, né progettuale, solo un tirare a campare. Onestamente dopo il lungo periodo di lockdown, a causa del covid-19, con effetti devastanti sull'economia mondiale, figuriamoci su quella locale, mi sarei aspettato dopo proclami e articoli sbandierati qua e là, un bilancio con misure tutte a sostegno delle attività commerciali di Caposele e Materdomini. Invece le mie aspettative, come quelle di chi ha investito tempo, soldi e sacrifici nelle proprie attività, lavorando senza mai guardare l'orologio, si sono vanificate in un Consiglio Comunale di circa due ore (sparito dal web dopo pochi minuti dalla fine dello stesso, chissà perché?), durante il quale dopo aver assistito al l'illustrazione delle linee guida del bilancio (quasi una copia di quello dell'anno precedente, fatto rilevare dallo scrivente), ho avanzato proposte affinché venisse costituito un fondo a favore delle attività commerciali (bar, ristoranti, pizzerie,B & B, hotel,e tutti i soggetti che nella frazione Materdomini vendono prodotti tipici locali), di almeno 50. 000 euro per sostenerle in una stagione oramai compromessa, dove nella

migliore delle ipotesi, si lavorerà al 30% della produzione solita. Inoltre ho proposto, con fervore, uno sgravio di almeno del 30% su base annua e per tutte le attività commerciali, sulle tasse comunali :IMU, TOSAP e TARSU, avendo constatato che in piena emergenza covid, la giunta comunale al completo aveva confermato le aliquote dell'anno precedente. Purtroppo oggi registro con molta delusione e amarezza che alle mie proposte e leale collaborazione, per dare sostegno alle attività commerciali, è prevalsa la caparbietà e la saccenza di chi, con un atto di forza,(a scapito dei cittadini), anziché ritornare sui propri passi e accettare proposte valide, è andato avanti. Questo è il contesto amministrativo in cui ci troviamo oggi: un'amministrazione che NAVIGA A VISTA nelle migliori delle ipotesi, e che oltre a Twit è Post vari, può solo "vantarsi" di aver ricevuto finanziamenti grazie ai progetti avanzati da amministratori precedenti, e di aver perso tanti finanziamenti e opportunità di sviluppo importantissime, soprattutto per il turismo. Non ultima "l'umiliazione" subita per l'assenza di almeno un sito del nostro comune, nel progetto avanzato dalla provincia per la valorizzazione di siti di interesse culturale, storico e religioso. Anche in questo caso non è servita a niente la disponibilità della minoranza al fine di fa inserire uno dei siti di Caposele (almeno il Santuario di San Gerardo), per una votazione unanime del progetto. Prima di concludere mi sento di parlare del PD locale:che fine ha fatto e cosa rimane oggi? A quanto pare oramai nessuno ha più interesse a parlarne, né

di Donato Cifrodelli

soprattutto a tenere in vita l'unico strutturato circolo politico locale, (lasciatoci in eredità da persone che hanno fatto la Storia politica di Caposele e da tanti militanti), invidiatoci fino a una decina di anni fa, periodo in cui è iniziato un forte declino, fino ad assistere a una chiusura notte tempo della sezione, nel pieno silenzio (a dir poco imbarazzante) di chi ne ha fatto solo esclusivamente un uso non pubblico per raggiungere scopi futili e fallimentari. E' stato dilapidato storia e patrimonio culturale-politico del Paese, ma evidentemente chi lo ha fatto non se ne è accorto. Insieme a un gruppo di amici abbiamo tentato più volte di aprire "quella porta" ma a nulla è servito. E' stato messo un bavaglio alla democrazia, e tutto ciò fa male alla nostra comunità. Spero di far rivivere questa sezione insieme all'aiuto concreto di tanti amici e sostenitori. Con l'auspicio che qualcosa possa cambiare in meglio, approfitto dell'occasione per fare gli auguri al Direttore e a tutto lo staff della Sorgente per l'obiettivo raggiunto:N. 100. Saluto con affetto e auguro una buona estate a tutte le lettrici e lettori della Sorgente e a tutti i Caposelesi.

A Caposele un sistema di videosorveglianza per la sicurezza dei cittadini viene utilizzato per controllare i cassonetti in luoghi, tra l'altro deputati ad altri usi. Anche questa è una battaglia che stiamo conducendo dai banchi della Minoranza consiliare.

Padre Salvatore da Caposele

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iamo venuti solo di recente a conoscenza, della profonda devozione di un gruppo di cittadini del comune di Montoro per padre Salvatore da Caposele, di cui l’ultimo articolo di uno di questi, che dichiara di essere stato miracolato per ben due volte da questo nostro concittadino sulla via della beatificazione, un frate francescano, nato nel 1778 e morto nel 1868, proprio nel convento di Santa Maria degli Angeli di Montoro dove, ancora oggi, tutte le sere, anche in diretta sui social, la congrega si raccoglie in preghiera davanti alla sua immagine. Cercheremo ovviamente di avere altre informazioni sull’uomo e sulla sua stimata vita religiosa. CENTOCENTOCENTOCENTOCENTO CENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTO

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Sport Giovani

L’appuntamento è solo rimandato

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di Giovani Viscardi

n questo periodo avremmo voluto far un resoconto sull’edizione appena realizzata, avremmo voluto parlare di numeri, risultati, di emozioni e di persone. Quest’anno, purtroppo, per le cause che tutti conosciamo, non è andata così. Il doveroso rispetto delle misure di sicurezza e di prevenzione ha impedito che questa edizione potesse esser realizzata; sarebbe stato snaturato l’evento nella sua essenza e nella sua forma. La festa della musica da sempre è un momento di aggregazione per i giovani, vive e si nutre del contatto tra persone e del calore umano; sarebbe stato impensabile immaginare un’edizione senza tutto questo, senza che il parco fluviale e le sponde del fiume Sele potessero essere inondate di gente. Senza contare che la manifestazione si regge da sempre su sponsorizzazioni di attività commerciali e imprenditoriali di Caposele che stanno soffrendo tanto economicamente per l’emergenza Covid e, pertanto, con rispetto e solidarietà, ci sembrava inopportuno chiedere un loro contributo economico. Detto ciò, questa situazione diventa l’occasione giusta per immaginare il futuro, per ripensare e programmare ciò che ci aspetta nel 2021. Un primo auspicio è che l’emergenza Covid possa essere un’opportunità per rivedere, a livello politico, le linee guida in materia di sicurezza degli eventi (nei contesti piccoli delle aree interne non è possibile assicurare la sicurezza rispondendo a tutte le misure pensate per i contesti cittadini) e per ricordare il ruolo fondamentale che le associazioni hanno nel ridare vita alle nostre piccole comunità. L’evento della Festa della Musica è cresciuto in maniera esponenziale nelle ultime edizioni, raggiungendo numeri e presenze considerevoli e questo periodo sabbatico diventa il momento giusto per ripensare a come, nei prossimi anni, possa ancora evolversi. Di certo, di base, dovrà essere essenziale, come stato sinora, la concertazione e la collaborazione con le altre associazioni, con il comune di Caposele e con tutta la cittadinanza. E’ sempre importante ribadirlo, oggi più che mai, che nulla e nessuno si muove da solo, ma che solo con l’unione e l’armonia si può lavorare per migliorarsi e migliorare la propria comunità. Se a far da motore ai processi di condivisione e collaborazione non mancherà il naturale entusiasmo e la disinteressata passione del fare, che da anni contraddistingue chi partecipa all’organizzazione dell’evento in qualsiasi forma e modalità, più annosa diventa la questione della sicurezza; il Parco Fluviale, nello stato attuale, ha dimostrato i propri limiti

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strutturali e per questo diventa importante, a un anno dalla prossima edizione, ripensare al verde che costeggia il fiume Sele con interventi che siano a vantaggio dell’aggregazione sociale e a supporto dell’organizzazione dell’evento stesso. Poter ospitare un numero maggiore di persone, poter aver la possibilità di far esibire band e artisti che porterebbero un maggiore afflusso di gente, ampliando gli spazi destinati all’evento, potrebbe essere certamente una direzione su cui lavorare. Ciò, ovviamente, senza far venire meno quel connubio tra natura e musica, difficile da trovare altrove, che ha distinto negli anni la manifestazione. Non bisogna dimenticare, ancora, che la “Festa Europea della Musica” è un circuito nazionale ed Europeo, promosso in Italia dal Ministero dei Beni culturali, a cui ogni anno il comune di Caposele aderisce, demandando poi all’associazione di Caposele la direzione artistica. Dopo 9 anni di sperimentazione, potrebbe esser importante immaginare già da ora come rafforzare tali passaggi di competenze e ruoli, lavorando fin da subito a un progetto programmatico di lungo termine, che non si esaurisca annualmente; potrebbe esser utile immaginare di affiancare alla già consolidata sinergia tra il Comune di Caposele e l’associazione Festa della Musica, una maggiore responsabilità di intenti e una maggiore sostenibilità nel lungo periodo. Questi sono solo alcuni dei punti su cui immaginiamo di poter lavorare; intanto, nell’attesa che si ritorni alla normalità, a Caposele fortunatamente sono nati nuovi artisti, alcune band stanno sviluppando qualche nuova idea molto interessante; insomma, anche senza la Festa della musica di Caposele, la musica continua inesorabilmente a scorrere nella nostra comunità. D’altronde questa caratteristica di Caposele è alla base della genesi di questa manifestazione. L’auspicio è che anche la Festa della Musica possa tagliare traguardi importanti, magari prendendo come esempio proprio questo periodico, che con il N. 100 dimostra, in modo inconfutabile, che, anche nelle nostre piccole comunità, con impegno disinteressato e con passione costante si può raggiungere qualsiasi risultato. Quindi l’appuntamento è solo rimandato al 21 giugno dell’anno prossimo, con la speranza che il virus possa diventare solo un brutto ricordo: “che il mondo e, nel suo piccolo microcosmo, anche Caposele, possa tornare a vivere con leggerezza e con il sorriso, ascoltando la musica, nelle notti del solstizio d’estate, sulle sponde delle sorgenti del Sele.”

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di Concita Meo

UNA SERATA D’ESTATE CHE NON DIMENTICHEREMO!

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Jazz&Wine all’ombra del Campanile, VI edizione.

uesta sesta edizione ha visto la straordinaria partecipazione del grande artista, Enrico Rava. Anima multiforme, tra i nomi più importanti del panorama del jazz italiano ed internazionale, in procinto di festeggiare i suoi primi 80, il Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, ha teso un bilancio di una lunga, ma appagante carriera artistica-professionale. Un portento della natura, un personaggio assolutamente straordinario. Il 21 maggio 2019, l’artista torinese è stato insignito dell’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Un riconoscimento che aggiunge ulteriore valore all’anno particolare, celebrato dall’artista con il tour mondiale Enrico Rava 80th Anniversary – Special Edition. Nelle numerose date che hanno toccato, oltre all’Italia, anche Belgio, Germania, Lussemburgo, Polonia, Stati Uniti e Argentina. Gli organizzatori, sono stati orgogliosi di ospitare questo eccezionale concerto (gratuito) a Caposele: una magica e storica location quella di Borgo Saure che vorremmo vedere sempre più spesso così vitale, dall’atmosfera esclusiva, nel parco, adiacente alle antiche cantine scavate a ridosso delle rocce, da cui sgorga l’acqua limpida del Sele, invasa da centinaia di spettatori entusiasti, provenienti anche da fuori regione, per due ore di magnifico e straordinario spettacolo musicale! Nulla è lasciato al caso, cura ai minimi dettagli ed allestimenti realizzati con materiali di recupero/ riciclo. Lo spettacolo, da sempre mira a celebrare lo straordinario connubio tra sonorità musicali di alto livello e le tipicità enogastronomiche di Caposele e dell’Irpinia, tra cui taglieri di affettati e salumi, e “Muffletti” caposelesi, ed altri prodotti enogastronomici a chilometro zero, presentati Presidio Slow Food Alta Irpinia. In degustazione i pregiatissimi vini delle cantine campane e non, con percorsi cuciti ad hoc da professionisti del settore. La manifestazione, presente ormai su tutti i motori di ricerca e recensita da

tutte la riviste specialistiche del settore musicale e di intrattenimento, viene organizzata grazie alla collaborazione storica tra l’Associazione culturale e musicale “Musicalmente”, lo staff del Ristorante Albergo 7Bello, con il patrocinio del Comune di Caposele, ha potuto vantare un altro primato. La scelta, sin dalla prima edizione del 2013 di dare battaglia alla plastica, ricorrendo ad utensili di vetro e ceramica e legno, si è concretizzata quest’anno, con l’adesione ufficiale alla campagna “Plastic Free” lanciata dal Ministero dell’Ambiente, per proseguire il percorso sulla sensibilizzazione, sull’educazione e rispetto dell’ambiente. L’organizzazione della settima edizione, nonostante le trattative iniziate dal mese di gennaio 2020 con i grandi nomi del panorama jazzistico, verrà rinviata al 2021 a causa dei postumi dell’emergenza sanitaria e dalla necessità di rispettare il distanziamento sociale. Gli organizzatori, impegnandosi a fare sempre meglio per non deludere le alte aspettative dei propri ospiti, salutano affettuosamente con un arrivederci, tutti gli amici di Jazz&Wine Caposele, dando appuntamento al prossimo anno.

Il Maestro Cavalier Enrico Rava, che ritorna in Irpinia ospite di Jazz&Wine all’Ombra del Campanile 2019 VI Edizione a Caposele il 6 agosto

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Io e “La Sorgente”

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n genere, la narrazione di vicende vissute da protagonista potrebbe essere scalfita dalla soggettività della memoria a scapito dell’oggettività dell’analisi storica. Consapevole del rischio, cercherò di declinare in modo imparziale la ricostruzione di ciò che accadde circa cinquant’anni or sono, sperando che, sia pure limitatamente a qualche particolare, non prevalga l’emotività del ricordo. La nascita de “La Sorgente” va collocata in un particolare momento del contesto politico locale, da cui non penso di poter prescindere per procedere nel racconto. Ma, veniamo ai fatti! Nella primavera del 1970 ero il segretario politico della locale sezione della Democrazia Cristiana. Caposele era amministrata sin del 1952 da una lista civica, denominata nella sua ultima versione “Stretta di mano”, già in precedenza “Bilancia” e prima ancora “Leone”, costituita da una coalizione di socialisti e comunisti con dei civici, la cui presenza serviva a conferire alla compagine un aspetto di rappresentatività globale della popolazione. All’opposizione vi era la Democrazia Cristiana. Il Sindaco era Francesco Caprio, detto Ciccio, che era stato eletto nel 1964, già segretario comunale e prima ancora segretario del Partito Nazionale Fascista, partecipante nell’ottobre 1922 alla “marcia su Roma”. Nella seconda metà degli anni Sessanta la locale sezione del Partito Socialista Italiano viveva una crisi di identità, che raggiunse l’apice nelle elezioni politiche del 1968, quando il candidato socialista al Senato della Repubblica ebbe soltanto poco più di centocinquanta voti a vantaggio del candidato comunista Francesco Quagliariello, genero del sindaco Ciccio Caprio. Il candidato socialista era, comunque, Manlio Rossi Doria, scienziato di economia agraria di chiara fama, a cui il Governo De Gasperi aveva conferito nel 1950 l’incarico di delineare i contenuti della riforma agraria. L’esito non soddisfacente di Rossi Doria, se da un lato palesava ciò che da sempre caratterizzava l’elettorato di sinistra di Caposele, ossia la quasi identificazione dei socialisti con i comunisti, dall’altro offrì il destro alla minoranza del Partito, rappresentata da Tonuccio Corona, Peppino Melillo, Gigino Casale e da altri giovani emergenti, di scatenare contro la direzione del Partito un’energica campagna di delegittimazione, che si concluse con la nomina di Tonuccio Corona a Commissario della locale Sezione. Ciò determinò l’uscita dal Partito Socialista dei suoi storici dirigenti: Nicola Conforti, Amerigo Del Tufo, Donato D’Auria e qualche altro esponente di primo piano, seguiti dalla maggioranza degli iscritti, che confluirono in gran parte nel Partito Comunista. Sembrava che fosse ritornata in auge l’antica contrapposizione del notabilato locale, con i loro seguiti,

delle arcinote “Tre C”. In effetti a più di qualcuno piaceva riproporla, pensando di sfruttarla per fini elettorali. E così nel 1970 avvenne la svolta della politica locale che, per le conseguenze che ebbe, possiamo definire epocale. Noi della Democrazia Cristiana, che storicamente costituivamo il contraltare dell’Amministrazione Comunale, nella speranza di ribaltare gli esiti elettorali, fino ad allora sfavorevoli, decidemmo di costituire un’alleanza con il nuovo Partito Socialista. Dopo lunghe ed estenuanti trattative si giunse alla formazione di una lista, che annoverava come capolista il commissario della Sezione socialista Tonuccio Corona. Rispetto alla lista avversaria – Stretta di Mano, la nostra aveva una forte caratterizzazione politica, espressa già nel simbolo: lo scudo crociato della DC e la falce e martello con libro del PSI, circoscritti da una circonferenza. L’iniziativa suscitò un enorme entusiasmo, specie tra i giovani. Ma nel 1970 i diciottenni ancora non votavano! Un errore più grande, noi della DC ed io in particolare, quale segretario politico, non potevamo commettere. Pensavamo che una lista di ampio respiro politico, supportata dalla rappresentanza parlamentare irpina dell’uno e dell’altro Partito, non poteva non avere la meglio su una lista ibrida di Civici e Comunisti. Ma non avevamo fatto i conti con la resurrezione dei bacini elettorali, di cui accennavo prima, legati alle antiche clientele delle élites locali. Non avevamo considerato nella giusta dimensione il fatto che Tonuccio Corona, per buona parte dei Caposelesi, era l’erede del gruppo Corona che già nelle prime elezioni amministrative del dopoguerra si era contrapposto con esito disastroso all’altro gruppo capeggiato da Amerigo Del Tufo, contro cui andavamo a cozzare. Il risultato elettorale fu infatti catastrofico. Oltre a perdere le elezioni amministrative, dovemmo assistere al largo suffragio conseguito da Nicola Conforti al Consiglio Provinciale e da Francesco Quagliariello al Consiglio Regionale. Fu, in sostanza, il trionfo di Ciccio Caprio e della vecchia dirigenza socialista. Ma non fu tanto la sconfitta ad essere indigesta per noi democristiani, quanto la delusione per un risultato che manifestava la persistenza delle vecchie logiche di lotte paesane dure a morire. Per di più, ci preoccupava il fatto di aver politicamente reso credibile un nuovo personaggio della politica caposelese, che con il tempo avrebbe potuto esercitare una forza attrattiva verso quei non pochi nostalgici democristiani che nel 1946 avevano sostenuto la lista di suo padre. Poi nel 1972, nella circostanza delle elezioni politiche, scoppiò la crisi, che comunque da tempo covava sotto la

cenere e che un pretesto qualsiasi l’avrebbe fatta esplodere. E il pretesto fu ben presto offerto dalla vicenda dell’istituzione del Liceo Scientifico a Caposele. Su mandato del Direttivo della Sezione della Dc mi incontrai con il Sindaco Francesco Caprio per notificargli la disponibilità della DC e del suo Gruppo Consiliare ad una distensiva collaborazione diretta a sollecitare l’istituzione a Caposele di un liceo scientifico, interessando a tanto la nostra deputazione parlamentare. L’iniziativa, non condivisa dal capogruppo consiliare di minoranza Corona, fu il fattore occasionale della crisi. Fu, però, recepita con entusiasmo dal Sindaco e dalla sua maggioranza e costituì la base per una fruttuosa distensione tra la DC e l’Amministrazione Comunale della Stretta di Mano, distensione che conseguì utili realizzazioni per la Comunità caposelese. Il progetto di avere un liceo a Caposele, ormai è storia, andò in porto, ma non fu facile. Dovemmo vincere, infatti, presso i vari organi di programmazione scolastica, l’ostilità e la concorrenza di comuni viciniori che avevano prodotto analoga richiesta. Il 21 settembre 1973 De Mita mi comunicava che il liceo era stato istituito. Nel frattempo, però, il clima di collaborazione distensiva, in termini di pacificazione della Comunità, era andato ben oltre l’istituzione del liceo ed aveva determinato la fondazione della “Pro Loco Caposele”, il cui primo Consiglio direttivo fu eletto, guarda caso, la sera del giorno stesso della comunicazione di De Mita e, solo per inciso, vigilia del mio matrimonio. In una delle prime riunioni del Consiglio Direttivo decidemmo di dar vita ad un giornale, che fosse espressione della pluralità culturale di Caposele. Su proposta del nostro parroco, don Vincenzo Malgieri, gli fu dato il nome “LA SORGENTE”, di cui fui il primo Direttore Responsabile. La mia partecipazione alla Pro Loco e a “La Sorgente” durò solo due anni, perché mi avvidi che la mia presenza, a contatto con gli avversari storici del mio partito, seppure all’origine di importanti conquiste per il Paese, favoriva lo spostamento di non pochi democristiani verso le posizioni del Partito Socialista, il quale, aveva gioco facile nel propagandare un colossale bugia, che, oggi, nel linguaggio dei social verrebbe definita una palese “fake news”, ossia il tradimento dei vertici della DC nei riguardi del suo tradizionale elettorato. La verità era che la politica di distensione non era capita da una parte dell’elettorato democristiano, forse ancora non pienamente maturo a recepire un modo nuovo e costruttivo di fare politica. Non era altresì capita, forse perché poco interessati a volerla capire, dai vertici

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di Michele Ceres

della Stretta di Mano, i quali, nostalgici anch’essi delle ataviche contrapposizioni, spinsero inconsapevolmente parte dell’elettorato democristiano, storicamente avverso a loro, ad ingrossare le file socialiste. Iniziò allora un lungo periodo di forte e non elegante polemica de La Sorgente nei miei riguardi e del partito che rappresentavo, specie da parte di un fantomatico “osservatore locale”. Una polemica che sfiorava, talvolta, l’offesa personale e che cessò soltanto quando un grafico della DC, che firmava Alcino, raffigurò in alcune vignette l’osservatore locale con le fattezze dell’asino più asino tra gli asini. Qualche vignetta, ancorché sbiadita dal tempo, ancora dovrebbe trovarsi tra i vari documenti del mio archivio. Poi il dopoterremoto. Anche in quell’occasione La Sorgente fu portavoce di una parte politica ben definita che si identificava sempre con la Stretta di Mano, che era all’opposizione nel quinquennio amministrativo 1980 – 85. Poi, per farla breve, col passare degli anni, ed anche su sollecitazioni di Nicola, che mi invogliava a tornare a scrivere su “La Sorgente”, i miei rapporti con il giornale e con il suo Direttore hanno subito una lenta ma continua evoluzione. Un’evoluzione che era nell’ordine delle cose e che interessa chiunque, quando, in un particolare momento della sua esistenza, si pone una domanda sul suo operato: cui prodest? (A chi giova?). E così, tacitamente, entrami, Io e Nicola, abbiamo seppellito un periodo di polemiche per lo più sterili ed inutili. A beneficio di Nicola, avverto comunque il dovere di sottolineare che anche nei periodi in cui la linea editoriale de “La Sorgente” non era molto coerente con i criteri della neutralità, sempre ha spinto amici e meno amici a scrivere sul suo giornale e, rispettoso della libertà di chiunque di esprimere le proprie idee, mai si è permesso di censurare articoli scritti da avversari politici, quantunque di tono e di sostanza poco favorevoli a lui e alla sua parte.

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Poesia

ANGOLO DELLA POESIA VENIRE di Domenico Patrone

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e poesie di Domenico Patrone, con questo omaggio per i 100 numeri de “La Sorgente”, preziosa memoria storica, sono scene, attimi e sensazioni della nostra vita. Sono il momento in cui, con gli occhi socchiusi mentre la nostra canzone preferita si sfuma tra i pensieri, si ricordano e riscoprono i sentieri che abbiamo percorso, le persone che abbiamo incontrato, le emozioni che abbiamo vissuto. Sono il “Benvenuto“ e “l’addio“, la “partenza” e il “ritorno”, il “fremito d’ali” del racconto lieve e sussurrato di chi siamo... Luigi Fungaroli

Se un giorno ti verrà voglia di me, non cercarmi! Se ti accorgerai del mio immenso amore, non cercarmi! Se vorrai ancora darmi il tuo corpo, non cercarmi! Se vorrai ancora sentire parole d’amore, non cercarmi! Se il tuo corpo giace, se la tua vita fugge, chiamami, amore mio, verrò da te.

NOTTE D’ESTATE di Domenico Patrone Dolcezza di un incanto che svanisce Incantesimo di un cielo romantico Che porta via un volto tanto amato, plenilunio di stelle che fioriscono accompagnato da ricordi che si perdono silenzio di notte addormentata che si fonde col dolore di distacco, sonnolenza privata di labili sogni che si sposa con la mia solitudine. PERCHÉ di Domenico Patrone Perché l’immagine tua si perde nella mia mente? Perché non ricordo i tuoi gesti, le tue carezze? Perché svaniscono nella nebbia le parole che mi dici i baci che mi doni? Tu non sei nella mia mente, Amore mio, tu vivi nel mio cuore! L’ADDIO di Domenico Patrone In tanti modi si dice “addio”: con un gesto, con un abbraccio, con una stretta di mano, forse con un batter di ciglia; non facendosi più sentire, non scrivendo più, scomparendo. Il mio addio, Amore mio, semplicemente viene dal mio cuore, è il cuore che morendo ti dice addio; è la mia giovinezza lontana che ti abbandona; sono i miei rimpianti che ti cancellano; è la mia debolezza che ti dimentica; è la mia vecchiaia che ti rimpiange!

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Samuel Patrone

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amuel Patrone, nipote di Domenico Patrone, è un ragazzo dalla grande sensibilità. Questa poesia che ha scritto per la scomparsa della nonna Mena arriva dritta al cuore di chi legge. Caro Samuel, grazie per averci fatto conoscere tua nonna con questi versi di chi conosce l’amore, l’autenticità del valore che si tramanda dal passato. Nei tuoi versi ascoltiamo la melodia del vostro rapporto e i profumi della nostra terra. Siamo convinti che tua nonna, che ti guarda da un’alta terrazza lassù, non può che essere felice ed orgogliosa di te... Luigi Fungaroli Sarai con me Di Samuel Patrone Sarai con me, nei profumi di maggio, nelle cerase rosse, nel millefiori della pastiera pasquale, nella fragranza del basilico e della mentuccia. Sarai con me, nel dolce pippiare del ragù, nello schiocco della buatt ‘e pummarole, nello scrocchiante infrangersi della sfogliatella, nel suono della tua lingua che intrppicann parlerò, negli accordi stonati con la chitarra di nonno, nel cantare do’ cardillo: “Reginella, è vulata, e tu vola, vola e canta, nun chiagnere ccà!” Sarai con me, quando le mie mani toccheranno la terra, e si sporcheranno di torba, quando pianterò un ciccillo di patata o

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una scardulilla di gelsomino, e mi meraviglierò del miracolo della vita, quando sentirò il freddo dell’inverno dentro le ossa, quando il caldo estivo brucerà sulla mia pelle. Sarai con me, nel caffè che sarà sempre ciucculata, nella parmigian e mulignane, nelle pizzelle fritte e nei fiori di zucca, nella scarola riccia e nel baccalà, nel rhum del babà. Sarai con me, nel mio sguardo innamorato della vita, nelle mie lacrime per l’assenza di una persona amata, quando guarderò e pann’ stise in cielo e verrà la pioggia, quando godrò ad occhi chiusi il calore del sole, quando parlerò alla luna, al tramonto, rossa rossa, comm o ffuoco do’ Vesuvio. Sarai con me, negli abbracci che mi scunucchierann tutt’e l’ossa, negli uh, mamma mia! e nelle risate di gioia, negli e che cazzarole! e nelle birole e’ butteglie, nella barca imbriacata di questo mondo in lacrime, nel lilli cantilenato che accompagnerà dolcemente il mio cammino. Sarai con me, e il tuo cuore batterà all’unisono con il mio e nel mio. E non sarà assenza, ma presenza, poiché in tutta la mia vita, con tutti e cinque i miei sensi, ti sentirò vicino, dietro l’angolo, ad aspettare me, o uaglione, per abbracciarmi ancora.

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Racconti IN QUESTA RUBRICA INTENDIAMO FAR RIVIVERE VECCHI TEMI DELLA VITA DEL PAESE, RICCHI DI FASCINO E SUGGESTIONE. RACCONTEREMO FATTI, LEGGENDE, USANZE, COSTUMI POPOLARI, CANTI PAESANI E POPOLARI, COMUNI A TANTI PAESI DEL NOSTRO CIRCONDARIO.

T 'a mangiata la saraca...

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n quegli anni i maschi e le femmine vivevano in due mondi separati, con frequentazioni diverse, e incontrarsi, anche per scambiare qualche parola o darsi un appuntamento, presentava difficoltà a volte non facilmente superabili. Una occasione d'incontro era il ballo, che si organizzava in ogni possibile occasione di festa, matrimoni, compleanni. Più avanti nel tempo i balletti li organizzavamo quasi tutte le domeniche, quando qualche parente ci metteva a disposizione una stanza. Poi riuscimmo a convincere un nostro maestro elementare che ci mise a disposizione, anche perché forse interessato per via di una nipote da accasare, un bel salone con un comodo giradischi e tanti dischi. Allora c'erano i 78 giri (Fonit, Cetra, La voce del padrone ecc.) grandi e fragili che si dovevano usare con precauzione. D'incanto finirono tutte le nostre ambasce e avevamo tutte le domeniche assicurate. Si potevano intrecciare incontri, fare progetti un pò più a lungo termine, conoscersi meglio. Abbiamo tentato, spesso riuscendoci, noi giovani studenti, di instaurare una vita di gruppo, più libera e aperta e il ballo era, per quei tempi, la migliore occasione per socializzare. Si ballava fino a stancarsi a ritmo di tanghi, valzer, samba, polka, ma anche baion, fox trot, cha-cha-cha, i primi swing di Rabagliati e Natalino Otto. Portammo per la prima volta in paese il rock' n' roll, che nacque in America a metà degli anni cinquanta, (il primo 33 giri di un materiale meno fragile fu il famoso, Rock around the clock) ed anche il Twist e il primo cerchio di plastica per ballare l'Ula Op. Abbiamo consumato molte scarpe al ritmo di celebri tanghi come la Cumparsita, a Media Luz, Poema,che era il mio preferito, La Paloma, ma anche L'allegro baion e Rosamunda e Speranze perdute, per il quale un nostro amico letteralmente impazziva e, nel vortice sfogava le delusioni e i dispiaceri d'amore della ragazza del tempo che, secondo lui, non lo corrispondeva abbastanza. Il ballo era anche un'occasione per stare fisicamente vicino ad una ragazza, di stringerla un po', se "ci stava" di sussurrarle parole dolci e a farle la corte. Il sesso, però, molti lo hanno praticato per la prima volta nelle famose case chiuse, per accedere alle quali occorreva avere 18 anni compiuti ed essere muniti di tessera di identità. Al compimento della fatidica data, si andava al Comune per la richiesta portando tre fotografie che aveva fatto Eugenio il fotografo. Per avere la tessera passava sempre un'infinità di tempo, perchè don Gerardino, l'applicato comunale, pareva ci godesse un mondo a tirarla per le lunghe. A que-

sto scopo alcuni, i più furbi, anticipavano la richiesta di qualche settimana. Ad Avellino "quelle case" erano in via Campane, strada nella quale affacciavano le finestre del nostro professore di Storia e filosofia, che , spesso, da dietro i vetri controllava il via vai sottostante allo scopo di beccare qualche suo alunno. E mal gli colse al compagno Corella che, per festeggiare la buona interrogazione di filosofia, se ne andò in via Campane. Mal gliene colse perché il professore lo vide, e il giorno dopo lo pizzicò impreparato e gli affibbiò un bel tre sul registro. Quanto tempo è passato! Ci separa un abisso e i costumi sono divenuti così liberi e i rapporti tra i sessi così disincantati che molti condannano l'uso spregiudicato del sesso dei minorenni che ha perduto poesia e intimità. In tante scuole ormai sono a disposizione degli alunni, anche delle medie, i profilattici. Si comincia a criticare la sconsiderata libertà sessuale e a rivalutare alcuni principi che avevano ispirato la morale del secolo scorso. In paese la condizione di studente era, allora, particolare. Chi superava le medie era considerato un fortunato, se continuava gli studi per cui si avviava a divenire un professionista, che una volta laureato, difficilmente avrebbe sposato una ragazza non diplomata o laureata! Non era vero, ma su questo si è speculato moltissimo. E allora le ragazze, per la stragrande maggioranza, non venivano avviate agli studi, né al lavoro perché dovevano solo pensare a maritarsi e a farsi il corredo. Altri che non avevano la possibilità di recarsi ad Avellino si arrangiavano in loco, come potevano. Le ragazze, poi, una volta superate le iniziali difficoltà, si facevano più audaci e sempre attente a non combinare "Y inguacchio". Mica c'era la pillola del giorno dopo! I ragazzi avevano una bella faccia tosta e il loro pensiero ossessionante era il corpo femminile che si conosceva pochissimo. Non si frequentavano le spiagge, la minigonna venne molto più tardi e la televisione, quando finalmente arrivò nei nostri paesi, presentava spettacoli più che castigati. Mica c'erano le veline e la prima volta che, in uno spettacolo di varietà, comparve una ballerina che indossava una stretta calzamaglia color carne, scoppiò uno scandalo violentissimo che durò molti mesi. L'episodio che stiamo per raccontare rileva, più di molte analisi e trattati psico -sociali, l'ambiente, il contesto sociale, la formazione mentale, il modo

di vivere di quegli anni. Si era alla fine della guerra e, presso alcuni parenti che abitavano "a la otata", sfollavano due sorelle napoletane, non particolarmente belle, che nella loro città sarebbero passate inosservate ma che in paese alimentavano la fantasia dei tanti ragazzi che si improvvisavano impavidi corteggiatori. La loro maniera di vestirsi, più alla moda "cittadina" che paesana, il modo di esprimersi in un dialetto napoletano meno sboccato, la loro ritrosia a familiarizzare con le coetanee del posto, le mettevano in grado di fare la loro bella figura ed essere all'attenzione dei numerosi ragazzi che, con l'intento di attaccare bottone, intensificavano i loro passeggi nei pressi della loro abitazione. Allora le iniziative dell'"acchiappanza" le prendeva sistematicamente il maschio. In quei paraggi si portava, un giorno, anche Cesavo un ragazzo contadinotto e sempliciotto che sbocconcellava un enorme "urolo" di pane di "gradinio" bagnato d'olio, con in mezzo una grossa saraca, aringa affumicata, che costituiva la merenda quotidiana. Alla vista di tanto ben di dio, le ragazze, che a Napoli seguivano anche molto la moda, ma mangiavano meno, accolsero con sorrisi e cinguettìi le avances che Cesaro, preso il coraggio a due mani, rivolgeva loro. Stettero al gioco volentieri e chiesero di assaggiare l'insolita, per loro, colazione. Un morso tira l'altro, la fame e i buoni denti ebbero presto ragione del pezzo di pane, duro e pesante, che scomparve in un batter d'occhio dalle loro mani. Cesaro rimase per un po' interdetto, poi, attìngendo all'ultima parte del coraggio che, nel frattempo si era accresciuto per la confidenza che gli pareva aver acquisito, disse ad una di loro: "T 'a mangiata la saraca? 'mmefaifa nu picca 'nzocal". ( Che oggi si tradurrebbe in: mi fai fare un po' di sesso?). Frase che, ancora oggi, resta un elegante, poetico e romantico grido d'amore! Altro episodio di cronaca locale, divenuta storia, è quello di alcune teatranti che, in quegli anni difficili, capitavano spesso, in paese. Facevano parte di quelle compagnie di attori napoletani che giravano di paese in paese, tentando di sbarcare il lunario alla meno peggio. Molti di loro più che artisti di strada, categoria oggi rivalutata, si arrangiavano nei mestieri più disparati, pur di mettere qualcosa di solido sotto i denti. Alloggiavano tutti alla Casa dell'Eca che , dopo la recita diveniva camera da letto collettiva. I giovani si davano un gran da fare per cercare occasioni di avventure, scalciando noi piccolini, dai loro conciliaboli e progetti. Puntavano subito su quelle che non abbassavano gli occhi quando le guardavi fisso e chiaramente si capiva che avrebbero ceduto più facilmente. Non sempre erano "per la quale", a volte si presentavano attempate e prive di grazia o, peggio, prive di una qualsiasi provocante

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di Nino Lanzetta

avvenenza. I tempi, però, erano magri e, in paese l'offerta nulla e la domanda infinita, e non era il caso di fare gli schizzinosi. Il problema era dove portarle dopo lo spettacolo, che spaziava dalle tragedie classiche di Shakespeare alle commedie di Goldoni, o Dumas, rivisitate alla napoletana e alla buona e ai testi napoletani più appetibili ed esilaranti, passando dal tragico al comico, a volte in maniera molto spregiudicata, anche per i palati semplici degli spettatori di allora. Zi Artico, che imparava il mestiere di sarto dal Presidente, aveva la chiave della sartoria e diverse volte il rude e duro bancone di sartoria ha visto consumare atti collettivi e fugaci di amore comprato. Una volta un' attempata "artista" combinò loro un brutto scherzo, perché si offrì -sicuramente per fame- pur sapendo di essere "indisposta". Fu una grande delusione e la paura che il "masto", potesse accorgersi di quello che succedeva nella sua sartoria, di notte ed a sua insaputa -che non avrebbe mai tollerato - ispirò sentimenti di vendetta. Messe a posto le cose e passato qualche giorno, pensarono di prendersi la rivincita. Blandirono un omone grosso e tarchiato, alla Bud Spencer, con una barba folta ed ispida che era sordo muto dalla nascita e non vedeva donne da una vita e organizzarono l'incontro. Sul più bello dei preliminari, ad un cenno, fecero entrare il muto, come tutti lo chiamavano in paese. La forza bruta dell'energumeno ebbe facilmente ragione della indifesa donna, che invano si dibatteva sul duro banco di legno. La sera successiva fu per loro uno spettacolo nello spettacolo veder recitare la malcapitata con un occhio tumefatto e con evidenti difficoltà di deambulazione.

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La sorgente sia un punto di partenza e non di arrivo

di Giuseppe Casale

di Vito Rosania

Cari lettori, come è ormai consuetudine, “La Sorgente” riserva sempre uno spazio per dar voce alla nostra associazione, uno spazio in cui proporre le nostre idee, i nostri progetti per il futuro e le iniziative prese e che intendiamo prendere. Doveroso risulta quindi un mio ringraziamento a tutta la redazione del giornale, a tutti coloro che, lavorando per questo giornale, ci permettono di esprimerci, ci permettono di far risuonare la nostra voce. L’ultima volta che ho scritto su questo giornale mi ero appena insediato insieme al nuovo direttivo, avevamo progetti e idee che abbiamo poi portato avanti, in poco tempo dal passaggio di consegne siamo riusciti a organizzare un torneo di pallavolo che ha riunito più di 100 giovani, e abbiamo portato per la prima volta una cena con delitto, che ha riscosso grande successo con la partecipazione di più di 130 caposelesi di ogni età.

in quel periodo si trovava a rispondere ad una emergenza sanitaria senza precedenti, siamo diventati partner del blog “Irpinia World” che racconta il nostro amato territorio sul web, diffondendo la nostra identità e le nostre tradizioni.

Nel dicembre 2019 il forum è stato ospite dell’assemblea d’istituto dell’IISS F. De Sanctis, un’opportunità per discutere di erasmus + e politiche giovanili, incentrando il dibattito sull’importanza dei giovani nella vita associativa del paese. Peculiarità dell’incontro è stata l’impronta informale che si è voluta dare per una partecipazione più attiva a cui i ragazzi hanno risposto positivamente, l’assemblea ha infatti superato i canoni tipici del convegno, gli studenti non erano solamente ascoltatori, ma coloro che portavano avanti la discussione. Al termine dell’incontro, l’interesse suscitato nei ragazzi è stato tale da spingere diversi di loro ad entrare nel forum dei giovani di Caposele, confermando la fama di cui gode il nostro paese, quella di essere un paese con una gioventù molto attiva. Al termine di questo evento eravamo già pronti con altre iniziative, ma ci siamo trovati faccia a faccia con un evento di portata mondiale che ci ha costretto a rivedere i nostri piani. Il lockdown tuttavia non ci ha fermati, in questo periodo di chiusura abbiamo rafforzato la rete che ci lega agli altri forum irpini attraverso l’iniziativa “Alla ricerca della speranza nascosta”, una caccia al tesoro virtuale attraverso la storia e la cultura della nostra terra, al termine della quale abbiamo effettuato una donazione di oltre 1300 euro all’Ospedale Sant’Ottone Frangipane di Ariano Irpino, che proprio

Colgo l’occasione infine per fare gli auguri a “La Sorgente”, nella speranza che questo periodico continui a raccontare le nostre tradizioni attraverso gli occhi di chi le vive quotidianamente e che il numero 100 sia un punto di partenza e non un punto di arrivo.

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L’estate che è appena arrivata sarà sicuramente un’estate atipica, un’estate a cui non siamo abituati, basti pensare all’annullamento della Festa della Musica, che ormai da anni è una degli eventi più attesi, e che ogni anno fa riversare nel Parco Fluviale migliaia di ragazzi e adulti con la passione per la musica; questa situazione però non ci fermerà e torneremo più carichi che mai con idee e iniziative fuori dagli schemi. Come sempre il forum garantisce e garantirà la cooperazione con ogni associazione del territorio, per qualsiasi tipo di attività, con lo scopo di favorire l’inclusione e l’aggregazione.

ONORE ALLA SORGENTE

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iamo arrivati al numero 100 della sorgente dopo 47 anni. La sorgente è stata fondata nel 1973. Io ho un bel rapporto con la sorgente; lo leggevo fin da quando ero ragazzo poi sono diventato collaboratore e scrittore di questo giornale da 10 anni a questa parte, l’ho fatto sempre con grande partecipazione Per me la sorgente rappresenta il giornale di Caposele dove sfogliando le pagine trovo tutte le notizie e curiosità che riguardano il mio paese. Non lo leggo dalla prima all’ultima pagina, copio sul mio computer alcune cose che mi interessano, la maggior parte copio le poesie degli amici oppure la storia di un evento avvenuto a Caposele da conservare sul mio computer per poi studiarlo nel corso del tempo, poi copio tutti i detti pubblicati da Cettina Casale, copio tutte le poesie dedicate a Caposele

Un due e tre.. la paura tocca te!

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a destra si è riempita di consensi con un’ insistente campagna mediatica nutrita di odio, di razzismo, di violenza e di disprezzo nei confronti degli avversari e di chiunque potesse rappresentare una prospettiva politica, sociale e umana fondata su diversi valori. Ha spudoratamente inondato i social e i media compiacenti di menzogne costruite a tavolino per impedire che si potesse formare una qualsiasi forma di sostegno alle scelte non facili del governo. Hanno giocato e giocano allo sfascio e anche nei giorni di preoccupazione collettiva hanno continuato a degradare senza ritegno la comunicazione politica per uccidere sul nascere ogni accenno di dialogo tra le parti. Oggi è, però, confusa e inutilmente sbraitante. Giocare sulle paure non serve, perché la stragrande parte della

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che vengono pubblicate sul giornale e altro ancora. Dagli anni novanta fino a oggi ho sempre partecipato in prima persona alla presentazione del giornale sia ad agosto e sia a dicembre che è considerato uno degli eventi fissi e di aggregazione di Caposele dove si ritrovano molte persone che ti salutano volentieri e li vedi soltanto in questa occasione. Spero con tutto il cuore che la sorgente continui a essere tra di noi per molti anni ancora a informare gli eventi che accadono al nostro paese come ha sempre fatto fino ad oggi anche con la guida diversa dall’ingegnere Nicola Conforti qualora decidesse di lasciare ad altre persone. Per quanto mi riguarda io continuerò a leggere e a scrivere sulla sorgente fino a quando Dio vuole; in conclusione faccio i miei auguri per il centesimo numero della sorgente in bocca al lupo per il futuro.

di Gelsomina Monteverde

società è impaurita di suo. Ha paura per il lavoro, ha paura per la propria vita, ha paura per i propri cari, ha paura per il futuro. In questi momenti e ancora per molto tempo, la nostra società avrà bisogno di qualcuno che dia speranze, di qualcuno che sappia fare proposte fondate e ragionevoli, di qualcuno che rassicuri per competenza e moderazione, di qualcuno che abbia la solidità morale e intellettuale per gestire la complessità drammatica di una inedita situazione emergenziale. La destra non è riuscita a formulare una proposta che non fosse un infantile gioco al rialzo sulle scelte del governo. Si è servita in contrapposizione al governo della teatrale, insistita e lamentosa insoddisfazione delle regioni del Nord a guida leghista, che a norma di costituzione vigente, hanno completa ed esclusiva competenza in materia di sanità e che, come si incomincia a comprendere, non hanno dimostrato di sapere venire a capo delle loro responsabilità. La Lombardia, in mano al centro destra da 25 anni, la parte più consistente del suo patrimonio politico, che avrebbe dovuto passare per testimone, per prova della capacità amministrativa della Lega è miseramente naufragata in un disastro di inaudite proporzioni. Si è visto la fragilità del suo sistema sanitario, saccheggiato nella lunga gestione di Formigoni, impoverito a favore delle strutture private, guidato con

evidente, pubblica approssimazione. Si è vista la piccolezza del suo ceto dirigente, pavido rispetto agli interessi delle piccole e delle grandi aziende e irresponsabile nella gestione delle strutture di assistenza degli anziani, alla quale si devono addebitare in colpa le decine di morti che si sono riscontrate. Il governo, di cui ci si vuole sbarazzare e al quale non si vuole rendere giustizia per l’impegno, la serietà e la prudenza con cui ha affrontato una sfida mortale, di grandi proporzioni e inedita nella storia degli ultimi 70 anni, ha fatto per intero il proprio dovere, in un contesto che prevede le responsabilità delle regioni, operando tra l’altro in un clima di aperta ostilità del sistema mediatico e dell’opposizione. In confronto ad altri reclamati ed apprezzati governi ne esce vincitore, pur avendo affrontato per prima l’epidemia e pur non disponendo di indirizzi sicuri da parte del mondo scientifico. Solo falsari di professione possono mettere sullo stesso piano le incertezze, spiegabilissime, del governo e la rozza e violenta incapacità politica e amministrativa della destra. Questa gente non avrà il coraggio di dirlo, ma le persone perbene sì: se la fortuna, se il caso o se la stupidaggine di Salvini non ci avessero messo sul nostro cammino il governo Conte2, oggi tutta l’Italia sarebbe come il Pio Albergo Trivulzio.

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Per

Storia La Cronaca suddetta getta nuova luce sul titolo di Principe di Caposele, a quanto pare già esistente nel 1577. Di fatto si è sempre pensato che il primo a fregiarsi di tale titolo fosse stato Inigo Rota, che ebbe tale titolo il 4 Maggio 1692 da Carlo II di Spagna.

A

pochi passi da corso Umberto I, in una delle zone più popolari della città di Napoli, sorge una piazzetta che ancora oggi porta il nome del monastero che qui vi sorgeva: Sant’Arcangelo a Baiano. In verità il monastero ancora esiste, ma è difficile riconoscerlo da chi vi dovesse passare dinanzi, ridotto com’è ad appartamenti privati e sfigurato da abusi edilizi che interessano finanche la facciata dell’antica chiesa. Questo monastero, fondato nel XIII secolo da Carlo I d’Angiò, fu posto sotto la protezione di san Michele Arcangelo, protettore della casata angioina. Esso, nel corso dei secoli, accolse giovani provenienti dalle più prestigiose famiglie partenopee. Ci è pervenuta una cronaca di questo luogo sacro che racconta alcuni avvenimenti accaduti tra le mura del monastero nella seconda metà del Cinquecento. Fatti di amori illeciti, di vendette e assassinii che portarono alla chiusura del monastero, ricostruiti sulla base di documenti d’archivio e pubblicati, con la prefazione di Stendhal, in un piccolo volumetto dal titolo “Cronaca del convento di Sant’Arcangelo a Baiano”1. Questi fatti hanno visto coinvolto anche uno dei principi di Caposele2. Correva l’anno 1577 e Giulia Caracciolo e Agnese Arcamone erano due giovani monache che vivevano all’interno del suddetto monastero. Esponenti di nobili e potenti famiglie, Giulia univa alla sua bellezza straordinaria un carattere inflessibile e un’intelligenza arguta mentre Agnese, meno bella e intelligente di Giulia, possedeva un carattere mite e buono tale da essere amata da tutte le consorelle verso cui si mostrava sempre benevola. Costrette a farsi suore dalle proprie famiglie, queste due ragazze mal sopportavano il velo imposto loro dai propri parenti e cercavano di rendere meno penose le giornate claustrali; quelle stesse giornate che, se per le altre monache che avevano avuto la fortuna di avere davvero la vocazione erano un morso di Paradiso, per loro, che di vocazione non ne avevano nemmeno un’unghia, erano un vero e proprio Inferno sulla terra. Nei lunghi mesi scanditi dalla preghiera e dal silenzio, accadde che Agnese iniziò ad affezionarsi molto a Giulia, la quale divenne ben presto la sua amica del cuore. L’amicizia, però, ben presto andò oltre e le due giovani suore iniziarono ad avere un legame tale non potersi più definire soltanto amicale. Il rapporto tra le due, diventato estremamente esclusivo, iniziò a destare in alcune consorelle, anch’esse poco dedite alla vita spirituale e molto al chiacchiericcio, dapprima delle gelosie e poi dei veri e propri sospetti: si iniziò a dubitare sull’innocenza stessa di quel legame che le stringeva l’una all’altra. Chi più di tutte nutriva sospetti era suor Eufrasia d’Alessandro, dei duchi di Pescolanciano. Questa volle rendere edotta la badessa, madre Costanza Mastrogiudice, dei dubbi «sulla natura e i motivi della intimità che legava le due amiche». Eufrasia fece

2016 dal Sant’Arcangelo a Bajano. nella Napoli del ‘500”, ed.

questo lavoro ci si riferisce alla edizione del

titolo

“Cronaca

del convento di

Vita di clausura tra sesso e passioni Intramoenia. La prima edizione della cronaca vide la luce nel 1820, seguirono quella del 1848 e, infine, quella del 1860, tutte clandestine. L’ autore è anonimo. prof. Mario Sista

AMORI E OMICIDI IN UN MONASTERO DI NAPOLI NEL XVI SECOLO questo passo non certo mossa dalla volontà di riportare le due consorelle sulla via della vocazione - che non aveva nemmeno lei - ma solo per alimentare l’ennesimo pettegolezzo e per screditare agli occhi del monastero le due suore nonché le rispettive nobili famiglie. Madre Costanza ascoltò tutto e congedò suor Eufrasia. Anima generosamente votata a Dio, la Superiora, nonostante la sua solida e sincera vocazione era, purtroppo, debole di polso e tale debolezza mal si addiceva a un ruolo di responsabilità come il suo. Ella era, inoltre, poco vigile ed estremamente buona con le suore a lei sottoposte. Circa le cose riferitele da suor Eufrasia, la badessa non si mosse con quella saggezza e quella delicatezza che il caso richiedeva, ma commise una grossa imprudenza che di lì a poco avrebbe portato il monastero di Sant’Arcangelo alla soppressione. Riferì, infatti, quanto aveva appreso alla famiglia di Giulia, alla quale non tacque nemmeno il nome della delatrice. La famiglia di suor Giulia si limitò a dare della rimbambita alla badessa, dato che mai avrebbe creduto alle chiacchiere di una suora probabilmente gelosa né, tantomeno, messo in dubbio la ‘genuina’ vocazione della loro congiunta. Tuttavia, i Caracciolo non tennero per sé la cosa ma pensarono bene di avvertire Giulia su quanto si mormorava su di lei e su Agnese. Saputa la cosa e il nome di chi aveva osato riferirla alla badessa, suor Giulia Caracciolo giurò vendetta contro suor Eufrasia. Anche suor Eufrasia d’Alessandro era legata da una forte amicizia con suor Chiara Frezza ma «i loro rapporti erano di tutt’altra natura che quelli di Giulia e Agnese». Si divertivano, noncuranti dei voti che avevano fatto ed entrambe avevano, fuori dalle mura del monastero, degli amanti. Conservavano, in tutte le loro scappatelle, una calma e un sangue freddo encomiabili e, furbe com’erano, erano sempre riuscite a non destare nessun sospetto nella superiora e nelle altre monache. Le suore provenienti da famiglie nobili avevano il ‘privilegio’ di avere, all’interno del monastero, delle suore converse non di estrazione nobiliare che facessero loro da serve: suor Chiara Frezza ne aveva una, di nome suor Orsoletta. Questa serva sospettava che la sua padrona e l’amica avessero fuori dal monastero degli amanti ma non l’aveva mai colta in flagrante dato che Chiara, furba com’era, riusciva sempre a depistarla. Giulia, nel suo desiderio di vendetta, aveva bisogno di una spia che captasse i movimenti del nemico; capì che Orsoletta poteva fare al caso suo per cui iniziò a trarla dalla sua parte sia con costosi regali, sia accendendo maggiormente in lei la curiosità sui movimenti della sua padrona. Orsoletta, ghiotta di regali, cedette ai piani di Giulia e si mise ad investigare. Chiara ed Eufrasia, però, continuarono ad agire in maniera tale da non destar mai nessun sospetto. Giulia allora, dinanzi a tale bravura, stava quasi lì per lì per cambiar piano quando un giorno si vide raggiungere da suor Orsoletta, la quale le riferì che quella stessa notte, alle quattro, suor Eufrasia e suor Chiara avrebbero introdotto nel monastero i loro due giovani amanti, Francesco Spiriti e

Giuseppe Piatti e che i due giovani sarebbero entrati dalla porta del giardino. Immediatamente Giulia capì che era giunta l’ora della sua vendetta e informò della cosa suo cugino Pietro Antonio Mariconda secondogenito del principe Antonio Mariconda di Garagusa, giovane audace e che aveva anch’egli una relazione con una suora del convento. Questi, prima che le quattro di notte suonassero si recò presso la porta del giardino con altri cinque uomini armati e suo fratello. Di questo appostamento, Giulia non aveva detto nulla ad Agnese la quale sicuramente l’avrebbe distolta da una tale operazione di vendetta. Poco prima delle quattro, Giulia vide due ombre che scendevano nel giardino: erano Chiara ed Eufrasia. Corse, allora, alla cella della badessa che svegliò nel cuore della notte. Madre Costanza Mastrogiudice, messa al corrente di quanto stava per accadere, vestitasi in fretta e furia scese non vista da nessuno nel giardino, dove si pose in attenta vigilanza. Giulia, invece, non volle scendervi ma preferì osservare dalla finestra di uno dei piani superiori quanto sarebbe di lì a poco accaduto. La badessa a un certo punto vide le due suore andare verso la porta del giardino, le riconobbe e le riprese: «Chiara, Eufrasia, pazze!... empie! così dunque servite il nostro divin Salvatore? Rientrate nelle vostre celle!». Le due giovani suore, allora, sbigottite per il richiamo inaspettato della badessa, cercarono nell’oscurità la strada per tornare nelle loro celle ma un trambusto, che nel frattempo era iniziato presso la porta del giardino che dava sull’esterno, le fermò: i due amanti erano arrivati e si erano imbattuti negli uomini armati di Pietro Antonio Mariconda. A un certo punto, inorridite, le due videro la porta del giardino che si spalancava di botto e i loro amanti che, coperti di sangue, cadevano morti ai loro piedi. Altro orrore, però, si aggiunse a quella sciagurata notte. Il giovane Domenico Lagni, principe di Caposele, amante anch’egli di una suora del monastero, suor Camilla Origlia, era stato da poco «liberato dagli arresti impostigli per molti mesi a causa delle violenze che egli commetteva ogni giorno», emulo in questo del suo antenato Alfonso Lagni che, sotto il viceré Filiberto di Chalons si era abbandonato agli eccessi più violenti senza mai esserne stato punito. Domenico, però, la punizione l’aveva ricevuta eccome e, nonostante ciò, sfacciato com’era si vantava di «andare nel convento a vedere le innamorate che aveano pronunziato i voti». Pur essendo principe, era carico di debiti, era un attaccabrighe e cattivo e queste ‘qualità’ avevano fatto sì che suor Camilla, durante la prigionia di questo suo losco amante, avesse mutato animo nei confronti di lui. Era intenzionata a far sapere, quindi, al principe di Caposele che non era più disposta a voler avere una relazione con lui, dato che il suo cuore si era legato ad un altro ragazzo, ovvero a Pietro Antonio Mariconda, proprio a colui al quale Giulia Caracciolo si era rivolta per mettere in atto la sua vendetta. Domenico conosceva molto bene Pietro Antonio: era

suo cugino. Una confidente di suor Camilla di nome Laura Sanfelice, saputo che Domenico era a piede libero, credette bene di informarlo dei nuovi propositi di suor Camilla, dato che Domenico voleva andare in monastero dalla sua amante. Sperava che il giovane principe, alla notizia che Camilla lo aveva ‘lasciato’, desistesse dai suoi propositi e, lasciando in pace la suora, si sarebbe messo da parte. Alla notizia il principe, invece, fu accecato dalla rabbia e dalla gelosia e decise di affrontare suo cugino per l’onta ricevuta di essere diventato l’amante di suor Camilla. Si mise, perciò, a spiare i passi di Pietro Antonio, gironzolando particolarmente intorno al monastero dove sperava di incontrarlo mentre andava a fare visita alla sua amata. Lo beccò la sera stessa della vendetta di Giulia; Domenico, che non sapeva nulla della presenza di altri sei armati, si imbatté in suo cugino mentre questi stava per consumare il delitto ai danni degli amanti di suor Chiara e suor Eufrasia. Visto, quindi, Pietro Antonio presso la porta del giardino del monastero, gli si avventò contro con un pugnale e lo uccise con due colpi ben assestati, ricevendo anch’egli una ferita alla gamba durante la mischia che ne seguì con gli altri convenuti. Fu in questo momento che Francesco Spiriti e Giuseppe Piatti, assaliti dagli sgherri del Mariconda e colpiti a morte, riuscirono a varcare la porta del giardino del monastero che era semiaperta e a entrarvi per spirare poi, di lì a poco, ai piedi delle loro amanti e della badessa allibita. Francesco morì per primo ai piedi di suor Chiara mentre Giuseppe qualche minuto dopo. Chiara rimase fredda e impassibile dinanzi a tanto orrore mentre Eufrasia, devastata dal dolore, non lasciava di abbracciare e baciare il cadavere del suo amante del quale tenne come pegno il pugnale insanguinato che lo aveva colpito a morte. Il principe di Caposele Domenico Lagni riuscì a fuggire e i tre cadaveri furono affidati, prima che facesse giorno, al principe di Mariconda, che li fece sotterrare in gran segreto. Suor Camilla, messa al corrente della morte del suo Pietro Antonio, rosa dall’odio contro il principe di Caposele, fu colpita da una profonda malinconia che non la lasciò più. Questi scandali e altri fatti orrendi che emersero poco dopo, tra cui l’avvelenamento della badessa Costanza Mastrogiudice, portarono, di lì a poco, all’intervento graduale della Chiesa partenopea. A nulla valsero i richiami e le parole di fuoco di Sant’Andrea Avellino, mandato dall’arcivescovo per investigare e riportare ordine e osservanza nel monastero: il gruppo di monache ribelli riuscì a farlo addirittura allontanare da Napoli. Questo loro trionfo, però, durò poco dato che l’Arcivescovo decise, poco tempo dopo, di usare il polso duro e decretò la definitiva soppressione del monastero nonché la punizione esemplare delle monache coinvolte negli scandali. Ancora oggi un’aria sinistra avvolge le finestre di quello che fu uno dei più nobili monasteri di Napoli.

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Storia

VIAGGIO nel TEMPO! Un

u

n viaggio costitue una fonte, un tesoro, una ricchezza incalcolabile.”

Nella vita non mancherà mai qualcuno che tenta di inferiorizzarti, e dietro attiduni di supposte superiorità intellettuali, fisiche e economiche si nascondono alme insolenti colme di falso moralismo. Dal porto partenopeo il 3 dicembre del 1959, alle 21, la nave Provence, bandiera francese, zarpa per il versante Sud. Napoli s’allontana sempre di più. Una forte stretta al cuore, a tutti un ciao e all’amabile Patria che se non fosse cosíbella, il dolore di lasciarla sarebbe più tollerabile. Di questo male in quel momento ne sentii la gravità. Limbarcazione è zeppa, un balbettare babelico a bordo, gente girovagando. Le acque son tempestuose nel “Mare Nostrum”. Approdiamo per prima a Marsiglia poi Barcellona. e quindi Stretto di Gibilterra. Sulla nave nessun dorme che, maestossa, va in direzione a Dakar. Adesso inizia la traversata più lunga. Saranno dieci giorni solo cielo e mare per raggiungere il Brasile (Santos). Nel plenilunio di una notte, come miraggio, sento una voce calda cantarellare “ciao, ciao, bambina”, grande successo di Modugno. È una linda brasiliana di accento ispanico, stravagante, scendere con sublime leggerezza, le scalinate per approdare al gremito spazio della mia terza classe. Spigliata, esclamò: “Buonasera!”, e con mosse graziose, elegante, viene al mio incontro. Il suo profumo era marcante e, sottovoce mi disse: “questa sera voglio vivere la vostra allegria ch’è contagiante!” Insinuava se avevo lasciato un cuoricino a palpitare per me, in Italia. Rimasi imbarazzato, ma mi fè pensare alla biondina dagli occhi verdi, influenziata dai genitori di non lasciarla andare lontano. Conclusi che mi era svanito un sogno, ma sentivo l’arrivo di qualcosa meravigliosa, un nuovo amore. L’amore è bello quando, d’improvviso, arriva” Io, riservato, osservo il compiacimento della simpatica psicologa. Ci distanziamo dai bollenti spiriti della giventù e appoggiati sul parapetto, contempliamo il mare con le sue tremulanti acque. Una furbesca luna splende nell’immenso firmamento. Tra di noi un mutuo sguardo ardente, un esplosivo abbraccio, un’altro ancora, un bacio sulle guance, sulle mani e a domani! Irrazionale era il desiderio di continuare. Lei nulla diceva, erano i suoi splendidi occhi che espressavano tante cose, in quella notte gloriosa e i miei occhi, avidi, rispondevano. Lei era d’una amabilità inverosimile, una mentalità aperta, pronta in aiutare chicchessia. Altura mediana, una gioviale apparenza che mostrava un’età indefinibile. Il suo sguardo mi restituiva l’allegria perduta. Gusti raffinati, capelli castano scuri, occhi espressivi, un vantaggioso seno sporgente e tanti altri attrattivi. Era un incanto e per le sue peculiarità la denomino Carmen. Sorriso di festa, era degna d’un sequestro passionale! Entusiasta per la sua amicizia, colsi l’occasione di fargli un invito, una cena al ristorante Paris, in prima classe. Accettò. Mi preparo nei migliori modi possibili

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Umberto Gerardo Malanga

Umberto Gerardo Malanga ugmmaterdomini@gmail.comr

per il tanto desiderato appuntamento. Nell’ora precisa, Carmen m’appare radiante. La sua splendida presenza chiuse le mie labbra, offuscò i miei occhi, trattenne il mio cuore! Una cena memorabile con un fondo musicale de “La Vie en Rose”. Plus tarde uscimmo ad ammirar le stelle. Parliamo di cose personali, abbracciati e ben uniti, godendo la perfezione d’un momento, conquistando l’infinito e cercando nell’amore il balsa-

mo della vita. Che splendida età, lontana dai dolori. Ci guardavamo nella profondità degli occhi, galleggiando nello spazio, avvolti in un fremito, perdutamente appassionati in un diluvio d’amore. Soli, in silenzio, recinti solo dal mormorio del mare e il sussurrar del vento, incapaci di dirci a domani, perchè così forte era il desiderio di rimanere insieme. L’amore trasforma!

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LaSorgente

"IL SUCCESSO È LA SOMMA DI INNUMERI SFORZI RIPETUTI GIORNO DOPO GIORNO"

LaSorgente

Alla Pro-Loco Caposele, all’Ing. Nicola Conforti e Collaboratori de COMPLIMENTI per la meta raggiunta: N.o 100 = 50 anni! Felicidades!

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E la nave salpa, serena, nel pacifico Oceano Atlantico. Carmen, sempre pronta a sublimare il mio stato d’animo, e nel darci la buona notte, mi dice: “Rubio, non lasciarti trascinare dal disanimo, devi mostrarti forte. È l’inizio d’una nuova vita, e aggiunse: “Quel che ti sopranza è virtù da cui nulla si ripara”. È il 18 dicembre 1959, sono le nove, la nave strombazza, avvisando l’arrivo. Una confusione per lo sbarco. Prima di scendere vado da Lei per abbracciarla ed confermare l’indirizzo a San Paolo. Non incontravo modi per esprimergli tutto l’affetto che sentivo per Lei, una immensa gratitudine di avermi apparsa durante il viaggio. Il brillare dei suoi occhi parlavano ed i miei espressavano, dicendogli quanto gli ero grato che da quel giovane che ero mi trasformò in un uomo. Era una passione di donna, una bellezza ispanica con fascino brasiliano Ed ecco che i militari prendono possesso, è la dittatura. Le relazioni con Carmen diventavano difficili. Lei sempre in viaggio per congressi, quì e all’estero,

io avevo messo su una tipografia. Lei era una sognatrice. contestava le autorità vigenti creandosi seri problemi. Dovette sparire. Si passarono due anni di non aver notizie di Lei. Stavo in preda di una depressione, ma amministrando la mia tipografia con più di quaranta dipendenti, non mi permetteva una infermità elitaria. Un dì, tra le tante corrispondenze ricevo una busta anomala. La calligrafia non m’era estranea. Chiedo di non disturbarmi per un’ora. Entro nel mio ufficio, chiudo la porta, mi accomodo su una poltrona, apro delicatamente la busta e leggo: “12 maggio di 1966. Caro Rubio (biondo in spagnolo), mentre ti scrivo, le mie mani tremolano di emozione, non riesco a esprimerti quanto dolore mi recano questi pochi righi. Conoscerti, per me, fu una cosa meravigliosa. Adesso lamento tanto di avermi assentata per lungo tempo, rimpiango e confesso: sono schiava dei miei ideali. Non voglio illudermi di poter vivere una vita insieme, che per me sarebbe un dono,, ma l’esistenza di tanti ostacoli ci tolgono questa possibilità. Conserviamo nei nostri cuori questo sogno di amore sublime. Per me non importava che tu fossi quel che sei, ma quel che mi è più crudele è la differenza di età: sono tanti. Riprendi il tuo cammino. Ovunque starò, sentirò la tua voce, resterai per sempre nel mio cuore. Infiniti baci da... adoro essere chiamata di Carmen! Pensai, stasera morirei con te, Carmen! Infiniti tentativi per rintracciarla. Lei era la prospettiva d’un sogno d’amore,ma tutto fu interrotto all’improvviso. Procurarla era difficile, rischioso. Giammai la incontrai.

L’amore è come un fiume, incontrarà un nuovo cammino sempre che incontrar un’ostacolo.

Buon FERRAGOSTO! CENTOCENTOCENTOCENTOCENTO CENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTO


Salute

Azione dell’attività fisica sui fattori di rischio cardiovascolari e mossa vincente nella protezione anticovid 19

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fattori di rischio cardiovascolari sono ormai contezza per una vasta area di pubblico e a maggior ragione per gli addetti ai lavori, quali medici, divulgatori scientifici, e così via. Tra questi fattori di rischio annoveriamo senza indugio alcuno le dislipidemie, in particolare l’ipercolesterolemia, il diabete mellito e la sindrome metabolica comprensiva di ipertensione arteriosa con anche l’alcoolismo, il tabagismo le tossicodipendenze e la disfunzione endoteliale. In siffatte situazioni il regolare esercizio fisico aerobico è in grado di modificare la totalità dei fattori di rischio cardiovascolari. Adifferenza dei farmaci che agiscono su uno, massimo due fattori di rischio, l’attività fisica agisce contemporaneamente su tutti i fattori di rischio in senso favorevole. Ebbene, entrando in una disamina attenta ed analitica, posso affermare con certezza, anche in relazione alla mia lunga attività di medico di “Medicina Generale” e di specialista in medicina dello sport, nonché in base a dati di evidenza clinica riportati nella letteratura medica e scientifica più accreditata, che l’attività fisica dovrebbe sempre accompagnare la terapia del soggetto con rischio cardiovascolare e come per i farmaci l’attività fisica deve essere prescritta con ricettazione assimilabile alla farmacoterapia. Ma, se andiamo con ordine possiamo d’abord dare cominciamento all’esame dei diversi fattori di rischio. L’alcoolismo e le tossicodipendenze sono i maggiori rischi per la popolazione giovanile. i dati istat sono inequivocabili: tra 15 e 24 anni l’uso di alcool si attesta intorno al 25-30%. Per il tabagismo relativamente alle fasce di età indicate i dati sono intorno al 30%. Le tossicodipendenze sono sotto gli occhi di noi tutti sia per la quantità esponenziale di quanti sono assuntori abituali sia per la devastante mortalità. In questi casi l’esercizio fisico con statistiche ormai consolidate e validate, si è dimostrato utile nel controllare e ridurre l’uso di alcool e tabacco nonché l’assunzione di stupefacenti. Il meccanismo è stato chiarito e consiste fondamentalmente nel migliorare significativamente la qualità della vita (ci si sente meglio, si avverte benessere, e si diventa dipendenti dello star bene, della cosiddetta cenestesi e non dei tossici). Se passiamo a considerare gli altri fattori di rischio per essere chiari e sintetici, l’esercizio fisico aerobico induce: calo dei trigliceridi e delle lipoproteine

che li trasportano, lieve riduzione della colesterolemia totale con aumento certo e netto delle hdl (colesterolo buono). Il meccanismo con cui avvengono questi fenomeni, tra gli altri, risiede in un aumento dell’enzima lipoproteinlipasi con aumento della lipolisi. In queste situazioni è necessaria una costante pratica di attività fisica aerobica per almeno 40 minuti tre volte alla settimana o meglio se quotidianamente per un consumo settimanale di 35004000 Kcal. Proseguendo con la disamina di cui innanzi, un’analisi di 14 trials ha documentato che l’attività fisica, nel diabete mellito, porta ad una riduzione dell’emoglobina glicata, anche in presenza di trattamento non soddisfacente con ipoglicemizzanti orali, comprese le ultime arrivate sul mercato farmaceutico, le incretine. L’attività fisica porta ad un miglioramento della funzione diastolica del ventricolo sinistro, in genere compromessa nei diabetici. Studi armai acquisiti hanno dimostrato che l’attività fisica determina una modesta riduzione del peso corporeo ma una considerevole riduzione del grasso intra-addominale che, ove presente in eccesso, diventa cofattore per l’insulino-resistenza, l’intolleranza glucidica, il diabete mellito. Nel diabete tipo i l’attività fisica migliora il profilo lipidico, riduce la pressione arteriosa e influisce positivamente sul sistema cardiovascolare. Le conclusioni definitive ci dicono che l’attività fisica regolare, la riduzione del peso corporeo, l’abolizione del fumo possono essere utili nella prevenzione del diabete mellito. Tuttavia i diabetici di tipo i e ii durante l’attività fisica possono andare incontro ad episodi di ipoglicemia per eccessiva mobilizzazione di zuccheri per cui essi prima di intraprendere attività fisica devono essere valutati dal diabetologo di concerto con il medico specialista in medicina dello sport. Proseguendo nell’esame dei fattori di rischio cardiovascolare, i dati sull’obesità sono allarmanti: in Europa ci sono 200 milioni di obesi. In Italia oltre il 30% dei bambini tra 7 e 11 anni è obeso. Per quanto attiene alla sindrome metabolica, trattasi di condizione in cui possono repertarsi obesità addominale, ipertrigliceridemia, basso livello di hdl colesterolo, ipertensione arteriosa, iperglicemia a digiuno (superiore a 110 mg), aumento ac. urico, condizione pro-coagulativa e proinfiammatoria, disfunzione endoteliale, ecc.

Almeno 3 di queste manifestazioni danno o configurano la sindrome metabolica. L’American Heart Association ha affermato che la sindrome metabolica è certamente un fattore di rischio cardiovascolare. Ha proposto una strategia terapeutica fatta di incremento di attività fisica con una corretta alimentazione. La disfunzione endoteliale consiste in una ridotta vasodilatazione dell’endotelio a livello delle coronarie e del microcircolo che provoca ischemia: l’esercizio fisico costante migliora la funzione endoteliale attraverso lo stress di parete (shear stress) che porta ad un aumento della liberazione di ossido nitrico endotelio-dipendente il che induce un rilasciamentoi della muscolatura liscia e quindi vasodilatazione. In queste condizioni si effettua un’attività fisica moderata svolta per almeno 150 minuti alla settimana, privilegiando il difetto metabolico più pesante; il medico sportivo predisporrà programmi individualizzati adatti al contesto clinico e sociale del singolo paziente: sic itur ad astra! diceva il poeta e in tal guisa si otterrà la migliore glam compliance del paziente. Venendo all’ azione dell’attività fisica quale elemento protettivo contro il coronavirus devo preliminarmente dire che la malattia ipocinetica (sedentarietà) produce un deficit a livello cellulare della carica elettrica negativa con il conseguente instaurarsi di numerose patologie. Di contro l’attività fisica ripristinando ioni negativi porta ad un ringiovanimento cellulare, rallentando in tal modo i fenomeni legati all’ invecchiamento. Ormai è noto a tutti che l’attività fisica potenzia le nostre difese immunitarie che sono il primo scudo-barriera contro virus, batteri, protozoi. Esiste una immunità innata che produce interferone ed altre sostanze che competono con il probiota intestinale attivo contro cellule colpite dal virus e una immunità acquisita che comporta fagocitosi del virus in arrivo e riconosciuto e eliminazione delle cellule infettate tramite meccanismo di apoptosi. Questi tempi di pandemia virale ci impongono di “fare”, “saper fare” e “far sapere” In siffatta maniera forse ricorderemo “positivamente” questa epidemia: Forsan et haec olim meminisse juvabit (Virgilio - Eneide).

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Dott. Salvatore Ilaria Medico chirurgo Specialista in Medicina dello sport

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Turismo

2020 anno di svolta

La nuova Caposele turistica

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ono sempre stato convinto che i periodi di crisi rappresentino periodi di grandi opportunità, e la grave emergenza sanitaria che stiamo vivendo lo è sicuramente. Allora, è necessario arrivare pronti per affrontare le nuove sfide che il turismo mondiale ci chiede, andando a lavorare su quegli aspetti che possano permetterci di cogliere le opportunità che conseguiranno a questo particolare momento storico. Da queste pagine, che rappresentano un altro momento storico della nostra comunità, ossia il centesimo numero de La Sorgente, voglio raccontarvi cosa vedremo nel nostro Comune all’interno del settore turistico, nel 2020, per provare a ripartire con maggiore solidità nei servizi e più consapevolezza delle nostre risorse. Dopo due anni di Amministrazione, e dopo l’approvazione del Piano Strategico del Turismo Caposele 2023, da quest’anno inizieremo a vedere i frutti di ciò che è stato seminato proprio grazie a quanto proficuamente programmato con il Piano. Su tutte, la trasformazione della

frazione di Materdomini, che con i lavori alla rotonda di ingresso della superstrada ed il rifacimento di Corso Sant’Alfonso, avrà un nuovo volto ed una conformazione urbanistica molto diversa dall’attuale, ancora più accogliente. Continueremo ad investire su Via del Santuario, dove sarà aperto l’infopoint turistico in sinergia con la Provincia di Avelino, un servizio in più per i nostri visitatori che, grazie all’adesione alla Fondazione Sistema Irpinia, ci permetterà di avere una vetrina speciale per i nostri prodotti turistici e per tutte le bellezze di Caposele e dell’Irpinia, in un’ottica di rete da sempre auspicata e finora mai attuata. Entro la fine dell’anno avremo la nuova immagine turistica del Comune di Caposele, grazie ad un nuovo logo turistico, un nuovo sito web responsive, nuovi materiali promozionali e, sopratutto, una nuova segnaletica turistica (grazie ad un finanziamento ottenuto dal nostro GAL “I Sentieri del Buon Vivere”) che sostituirà l’attuale, purtroppo completamente avulsa dal contesto in cui è inserita, scoordinata nei colori e nelle forme e,

Michele Merola

Cecchino rosso Da lontano sei arrivato con la forza delle ali il tuo vento spira forte ad ogni angolo di strada fai paura, e non ti accorgi del male che tu porti. Resti un punto nella storia dove il mondo si è fermato annullando i nostri intenti sei una voragine nel tempo. Con la tua presenza c'è tanta indifferenza chiusi in una stanza ci hai portato l'uguaglianza. Per sfuggire alla tua danza spingi i cuori alla distanza e gli amori alla speranza nell'atipica! Funesta primavera.

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lasciatemelo dire, assolutamente senza senso. Infine, i Musei di Caposele. Sono partiti e si concluderanno entro la fine dell’anno i lavori al Museo della Acque, che museo non era (viste le condizioni in cui versava), per renderlo dapprima una struttura solida e senza infiltrazioni, e infine un luogo in cui il turista possa vivere la vera esperienza di ciò che rende speciale Caposele: l’acqua. In questo modo il nuovo Museo diventerà un’esperienza vera nel mondo delle acque, un luogo che rimarrà nei ricordi di chi lo visita, e non un’accozzaglia di fotografie. All’interno del Museo avremo una riproduzione della Caposele di fine ‘800, una stanza immersiva delle acque, una dedicata al ciclo delle acque, all’educazione al non spreco, e un laboratorio della tradizione, dove saranno riprodotti e raccontati i prodotti agroalimentari tradizionali del nostro Comune. Allo stesso modo, ad oggi, sono stati già conclusi gli interventi di miglioramento del Museo di Leonardo, con la ristrutturazione completa delle

di Ernesto Donatiello

Capogruppo di Maggioranza e Consigliere Delegato al Turismo e alla Promozione del Territorio.

macchine, la costruzione di barriere a tutela delle stesse e la produzione di schede informative anche per non vedenti, oltre alla realizzazione di un’audio guida al suo interno. L’obiettivo finale per i Musei è una riforma totale del sistema che possa rendere gli stessi facilmente fruibili anche senza accompagnamento. La strada è ancora lunga, ma costruire un sistema turistico serio è cosa complessa, che richiede visione, strategia e tempo, non solo aperture casuali di pagine Facebook fake, duplicate e confuse, che non solo non bastano, ma sono anche dannose. Per rilanciare il turismo bisogna partire dalle fondamenta (dissestate da anni di malgoverno e assenza di lungimiranza), costruire servizi eccellenti e sistemi di accoglienza diffusa, prima di promuovere un territorio. Ciò che, con fatica, questa Amministrazione sta facendo; e, presto, i risultati si vedranno.

Il libro di poesie di Michele Merola dedicato a tutti i Caposelesi

Sulla nostra "SELETECA" (catalogo delle pubblicazioni caposelesi), è stato caricato anche il n. 92 de "LA SORGENTE" tutto a colori. La raccolta multimediale, prevede la possibilità di ritrovare in un unico contenitore, tutti gli scritti su Caposele e degli autori di Caposele. Il progetto della "seleteca" è in continua evoluzione. Grazie a tutti per la collaborazione. http://issuu.com/lasorgente/docs/sorgente_92_w/1

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Tradizioni

I proverbi di Caposele

dal libro "Statti cittu… ca mò tu lucondU …"

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proverbi sono un patrimonio dell’umanità. Da sempre, infatti, ogni popolo ha sentito la spontanea esigenza di condensare in brevi massime la sapienza che, man mano, andava acquisendo grazie alle esperienze della vita. Basti pensare alla saggezza orientale, spesso espressa in proverbi o, ancora, al Libro detto appunto dei Proverbi della Bibbia, testo che per Ebrei e Cristiani ha i crismi della sacralità. La brevità, il denso messaggio chiaro e contestualizzato, espresso con paragoni e metafore aventi per lo più come base di partenza il mondo rurale, ha fatto dei proverbi un mezzo formidabile, nell’ambito della comunicazione tradizionale, per esprimere non solo dei consigli, dei modi di vedere ma anche, e soprattutto, per analizzare le più varie situazioni di vita. Anche Caposele ha i suoi proverbi che tuttora si usano nel linguaggio parlato. Già, perché i proverbi, lungi dall’essere reliquie morte di un passato che non c’è più, sono elementi vivi e vivificanti del dire, nonostante - e questo nella stragrande maggioranza dei casi - facciano riferimento ad una realtà sociale di stampo agricolo che non permea più la realtà del paese come nel passato. Questo libro nasce da un duplice intento: fissare una volta per tutte sulla carta queste perle della sapienza caposelese, nel timore di una loro irreparabile perdita e, soprattutto, offrire ai caposelesi e a chiunque voglia sfogliare queste pagine, un variegato mosaico relativo alla condizione dell’esistenza umana così com’è stata percepita, meditata ed espressa in massime nel corso dei secoli a Caposele. Dicevamo che i proverbi sono ancora in uso nel linguaggio parlato e questo grazie ad una tradizione ben ancorata. Tradizione da intendere come uso vivo di questi detti che sono stati trasmessi di generazione in generazione, secondo quel bellissimo concetto del tradere (da cui traditio), del consegnare con responsabilità, tanto caro all’antichità romana e alla cristianità; tanto cara anche a noi caposelesi. Volendo dare uno sguardo veloce ai proverbi di Caposele, c’è da dire che essi dipingono, con brevi pennellate, stili di vita, situazioni, momenti vissuti nell’ambito di una cultura contadina caratterizzata dai più disparati elementi. Molti sono i proverbi che si soffermano, ad esempio, sulla necessità di avere una casa sempre piena di ogni

ben di Dio, oppure che incitano ad essere operosi nel lavoro. Accanto a questi, tanti altri analizzano gli affetti, gli amori, le persone; altri il comportamento umano, le situazioni, i modi di essere, altri ancora si ispirano a fatti storici o a personaggi che, purtroppo, non ci è dato più di conoscere. Insomma, sono tanti gli argomenti trattati e tantissime le situazioni in cui essi possono essere usati per cui è davvero difficile classificarli. Nonostante i proverbi siano stati riportati nel presente lavoro in ordine alfabetico, si è comunque voluto offrire al lettore delle voci - riportate nell’indice - che potessero raggrupparli, seppure a grandi linee, in maniera tale da poter procedere speditamente a una loro facile consultazione. Ci si è resi conto che diversi proverbi raccolti in questo volume e in uso a Caposele sono diffusi in tutto il Meridione d’Italia; non bisogna stupirsi di una tal cosa: da sempre, oltre alle merci, circolano anche le idee e, con queste, anche i modi di dire e i detti. Essi sono una minima parte rispetto a quelli autoctoni, nati, cioè, nel nostro paese, che sono la stragrande maggioranza. Basti pensare soltanto a quelli che richiamano o località del territorio comunale o attività tipiche del nostro paese. Questo libro, volendo sostenere la trasmissione della nostra identità di caposelesi, trae la sua vita dalle generazioni più grandi di età, quelle più avvezze a usare i detti in oggetto nel loro parlare quotidiano, per rivolgersi in particolar modo alle generazioni nuove. Viviamo in un mondo caratterizzato dai modi di comunicare più disparati, globalizzati e globalizzanti. Orbene, con questo lavoro si vuol offrire, quindi, ai giovani l’opportunità di riflettere sul fatto che essere cittadini del mondo significa prima di tutto essere cittadini del proprio piccolo paese che da secoli usa i suoi di mezzi di comunicazione, tra l’altro efficacissimi: si pensi alla immediatezza del dialetto, alla semplicità delle sue espressioni, alla brevità mnemonica dei proverbi. Un mondo globalizzato non significa certo un mondo livellato, bensì un mondo armonizzato nelle sue multiformi espressioni culturali e provenienze; un mondo visto come un’orchestra che, lungi dall’essere composta da un solo tipo di strumenti, genera la sua melodia dal concorso dei più disparati strumenti musicali perfettamente accordati tra di loro. In ultima analisi, noi crediamo che si è cittadini del mondo quando non ci si dimentica della casa dalla quale si muovono i primi passi, della casa, cioè,

di Cettina Casale Mario Sista

a partire dalla quale questo mondo si osserva e si vive: Caposele. Saper valorizzare appieno le proprie tradizioni, la propria identità, la propria sapienza e, soprattutto, saperle vivere, risulta essere un bellissimo e doveroso impegno per tutti. Si spera, dunque, che le nuove generazioni, opportunamente guidate dalle precedenti, facciano propri nel loro parlato i detti e i proverbi del paese, così illuminanti in tante situazioni di vita. Qualche esempio: 1. A Abbrìlu ogni goccia nu varlìru. (Ad Aprile ogni goccia un barile) La pioggia di Aprile è molto preziosa per l’agricoltura. Specialmente le viti ne traggono giovamento. Il proverbio è di buon auspicio per un’abbondante produzione di vino. 2. A Aùstu portiti lu mbrellu appriéssu. (Ad Agosto portati dietro l’ombrello) Il detto sottolinea come il tempo può essere imprevedibile. 3. A casa mia sìmu abbituati a mangià ind’a sètt piatti: sei vacàndi e unu r capu sotta. (A casa mia siamo abituati a mangiare dentro sette piatti: sei vuoti ed uno girato al contrario)

Il detto sottolinea la mancanza assoluta di viveri in una casa. Tale triste realtà, tipica dei secoli trascorsi, è riferita in modo quasi scherzoso: nella prima parte sembra che nella casa di cui si parla ci sia abbondanza; nella seconda, invece, rivela il vero stato di cose: sei dei sette piatti sono vuoti e il settimo è riposto, anch’esso vuoto, al contrario, quindi non c’è nulla da mangiare. 4. A casa r zì Runàtu chi zuòppu e chi cicàtu. Ddui nginn’è-r-n bunariélli: unu cu na uàll-ra e n’atu cu lu shcartiéllu. (A casa di zi’ Donato chi è zoppo e chi è cecato. Due ce n’erano abbastanza sani: uno con l’ernia ed un altro con la gobba) Questa filastrocca si usa per dire che, in una famiglia, tutti i membri sono pieni di difetti fisici. Il detto si cala ad hoc in una realtà, quella paesana, in cui spesso parlare (e sparlare) sulle famiglie è una consuetudine abbastanza radicata.

Il tavolo della Presidenza durante la predentazione del libro dei proverbi. da sinistra: Concetta Mattia, Mario Sista, Giuseppe Caruso il presentatore, Nicola Conforti e Cettina Casale

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el dicembre del 1973, quasi mezzo secolo fa, nasceva da un’idea innovativa di un giovane gruppo dirigente della Pro Loco il nostro giornale “La Sorgente”. Tanta strada da allora è stata percorsa, molte le storie raccontate, tanti gli articoli racchiusi sulle sue pagine eppure nel momento in cui ci accingiamo a festeggiare il 100° numero della Sorgente mi accorgo di quanto la sua formula sia oggi superata e non più rispondente alle esigenze attuali. Scrivere nel momento di una ricorrenza come il raggiungimento di un traguardo così importante quale il 100° numero del nostro giornale è impegnativo e difficile , ma lo è sicuramente di più se tutto quello in cui fino ad ieri credevamo è stato spazzato via da un virus in soli novanta giorni. È indubbio che le nostre vite in pochi giorni sono drammaticamente cambiate, tutto quello a cui eravamo abituati, tutto quello in cui credevamo è stato messo in discussione, le nostre regole, le nostre certezze sono venute meno facendo emergere molte criticità. Oggi siamo chiamati a rivedere le nostre vite e non solo. Il tempo post pandemia è un tempo in cui dovremo avere molta pazienza, un tempo in cui dovremo rimettere insieme tutti i pezzi, uno ad uno. Sta solo a noi decidere come ricominciare, come ricostruire le nostre vite e questo vale anche per il nostro giornale. Il Covid, questo maledetto virus, ha messo in luce tutta l’inadeguatezza del suo formato cartaceo. Nessuno potrà dirci se saremo migliori o peggiori, ma sta solo a noi decidere se venirne fuori completamente cambiati o se rimanere aggrappati alle vecchie abitudini. Solo prendendo coscienza di quanto è accaduto e di quanto ci sta ancora accadendo ci darà la possibilità di costruire e guardare avanti. Guardare indietro è pericoloso, vivere nella nostalgia di quello che era è devastante e sicuramente deprimente. Nel momento in cui l’intero pianeta si connetteva e faceva viaggiare le notizie noi eravamo invisibili pagando pegno per esserci fermamente legati a schemi di editoria ormai ampiamente superati. Un giornale ben impaginato, lo ammetto, rimane un piacere ma sta di fatto che lo apriamo sempre meno e sempre meno persone lo fanno. Ricordo quando studente universitario andavo in metro per recarmi in facoltà e non vi era giorno che non comprassi il giornale per leggerlo durante il tragitto, oggi, invece, in una qualunque linea della metropolitana la grandissima maggioranza dei viaggiatori o è assorta sul proprio smartphone oppure è intenta a leggere sul suo ereader. Non è un caso se le maggiori

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È tempo di nuove sfide

Cento e li dimostra testate giornalistiche hanno affiancato alla versione cartacea una versione digitale complementare. Oggi che la comunicazione avviene in tempo reale gli abbonamenti della versione digitale hanno superato il formato cartaceo. Per troppo tempo abbiamo fatto prevalere per il nostro giornale l’immutabilità, nulla che si potesse cambiare, eppure il mondo intorno a noi cambiava e cambiava, per poi cambiare nuovamente. Da quando nel 1973 il nostro Direttore ci consegnò il primo numero della Sorgente ad oggi, al suo centesimo numero, il mondo ha visto cambiamenti straordinari. Molti degli articoli scritti per quel primo numero furono scritti con una macchina da scrivere portatile Olivetti Studio 45 mentre oggi tutti sono stati scritti e impaginati con un notebook o un laptop di ultima generazione. In questi cinquant’anni abbiamo assistito alla caduta del muro di Berlino e di tutto ciò che esso rappresentava con la riunificazione della Germania, l’uomo ha iniziato a viaggiare nello spazio, la medicina ha compiuto inimmaginabili passi in avanti grazie anche alla diagnostica per immagini e alla telemedicina, siamo passati dall’ascoltare la musica dal mangiadischi, alle cassette, ai CD per approdare al digitale, eppure mentre il mondo cambiava “La Sorgente” è rimasta immutata e immutabile. Quante storie, quante vite, avremmo potuto raccontare nei giorni di lokdawon, eppure ci abbiamo rinunciato, nel ricordo di un’idea che era per i suoi tempi geniale e che oggi dimostra tutto il peso dei suoi anni. Ecco allora che questo traguardo deve inevitabilmente farci riflettere, ripensare alla gestione del nostro giornale in modo diverso, attualizzandolo ai tempi che viviamo abbandonando definitivamente il ricordo di tempi che furono. È giunto ormai il tempo di guardare avanti non dimenticando però quanti come il nostro Direttore in questi quarantasette anni hanno dedicato una parte importante della loro vita per farci godere della lettura della Sorgente, raccontandoci i migliori anni della nostra comunità, anni in cui abbiamo anche tanto sofferto, come dopo il terremoto, ma dove abbiamo saputo reagire con fierezza o parlandoci del tempo antico ricordandoci la nostra storia e quell’essere figli di una terra d’acqua. Però oggi dobbiamo traguardare il nostro sguardo oltre il tempo che fu e pensare al tempo che verrà, perché

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di Raffaele Russomanno

non farlo significherebbe condannare il giornale all’oblio. Questa, indubbiamente, è la sfida che attende il gruppo dirigente della Pro Loco che verrà e a cui spetterà traghettare velocemente “La Sorgente” nel XXI secolo. A tutti noi, invece, di essere a loro vicini continuando a raccontare le nostre vite e gli accadimenti di un paese ma in modo dinamico e facilmente fruibile da tutti.

DISTOPIA COVID-19

di Sina Merino

L’autunno scorso vidi una serie televisiva, la quale trama distopica mi colpì molto, oltre l’adattamento dal libro «Il racconto dell’ancella» di Margaret Atwood. Il suo romanzo tratta di uno stato totalitario, deciso per colpa di una fuga di veleni da un deposito per armi chimiche e biologiche inquinando le acque, da cui nasce un virus causando la sterilità ai maschi. Non immaginavo per niente, che all’inizo dell’anno un virus avrebbe messo in ginocchio l’intero mondo, anzi, vedendo nel notiziario che la Cina fu la prima ad essere colpita, non ero meravigliata per le prelibazie straordinarie di animali selvatici che arrichiscono il palato asiatico. Siamo stati colpiti da un’arma letale e fetente, di nome Corona Virus. Siamo entrati in guerra contro il nemico invisibile, ha capovolto la vita di tutti, non ha risparmiato né ricchi né poveri. Non c’è paese, nazione che non ha da combattere e imparare a conviverci con il virus. Abbiamo subito e vissuto mesi in quarantena totale, come nella serie, si usciva solamente per fare degli acquisti o per visite mediche con l’autocertificazione in tasca. Ed è uscita una nuova forma di convivenza: il distanziamento sociale. I governi si sono visti confrontati con un grave problema mai esistito prima e non facile da risolvere. Il «Lockdown» necessario ha trasformato la democrazia in uno stato totalitario, chi non rispetta le regole, viene punito. Abbiamo vissuto una distopia. Scrivo queste parole nella fase due, impariamo tutti a comportarci con buon senso e ad accettare che il virus farà parte della nostra vita quotidiana per una lunga durata e sarà una battaglia. Perché questa è la terza guerra mondiale. Ma in ogni crisi o guerra c`è anche qualcosa di meraviglioso: la voglia di vivere e sopravivere. Molti hanno riscoperto la vita rusticale, restando a casa, in molti si sono scoperti da cuochi e pasticcieri, cantando insieme via Zoom con gente sconosciuta, cantando sui balconi canzoni bellissime. Auguro a tutto il popolo, che almeno possano gustarsi il Ferragosto. Gli italiani non hanno da preoccuparsi per le vacanze, vivete nel paese più bello del mondo, avete tutto: alpi, montagne, colline, fiumi, laghi, mare e buon cibo. Sicuramente in tanti si sono chiesti, cosa ci vuole insegnare questo virus? Per conto mio ho il mio punto di vista; abbiamo sentito migliaia di opinioni, ma in fondo non sappiamo la verità! Non sappiamo se sia stata una fuga del virus da un laboratorio cinese, non sappiamo se fosse un’arma chimica creata proprio per degli affari attorno milliardi di dollari e i sanguisuga sono pronti a lavarsene le mani. Sappiamo solamente che questo virus ti toglie il fiato e ha l’alito della morte.

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Storie

CLEMENTINO E LA PARTITA DI PALLONE

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lementino ha fatto colazione nella Terra dei Padri. Ha assaporato cornetto e caffè. Un ottimo cornetto alla crema, ed un ottimo caffè ristretto. Alla Caposelese, ha commentato, scherzando, il barista della Pro Loco. Non poteva mancare l’umorismo solare dei meridionali, pensa lui. Poi, dopo aver pagato il conto, abbordabile, rispetto ai prezzi altissimi del Nord, ecco ricominciare l’esplorazione del paese. La strada continua, dolcemente, a scendere, costeggiando un muraglione alto parecchi metri. Chissà, pensa Clementino, magari sono i resti di un muro di cinta di un fantastico castello medioevale. Un castello con decine di torri, mura merlate, ponte levatoio, abitato da una potente famiglia, affiancata da aristocratici, uomini di stato, scrivani e contabili, uomini di chiesa e generali di corpo d’armata. Preso da tali pensieri, Clementino non si accorge di un’ape che attraversa velocemente la strada maestra. L’autista, con coppola in testa, camicia aperta a far respirare l’irsuto petto, maniche malamente accorciate, gli impreca qualcosa. Ancora una volta, come già accaduto a Materdomini, Clementino non capisce nulla di quanto urlato. Riesce però a percepirne l’intonazione. Non ha nulla a che fare con la parlata del barista, o delle persone assembrate all’ingresso del bar. Sarà di sicuro un dialetto sconosciuto ai più. Forse una parlata italica, o di origine saracena. Secondo Clementino, infatti, l’abitato ha certamente origine araba. Scusandosi in italiano, scostandosi ed agitando un fazzoletto bianco, in segno di pace, Clementino continua il cammino. Alla destra del muraglione sorge una sfilza di negozi. Tutti abbastanza piccoli. Tutti stranamente chiusi e sprangati. Clementino pensa che molti di questi siano in realtà soltanto attività di copertura. Che nel retro dei locali sorgano nascondigli e magazzini pieni di sigarette di contrabbando. Forse addirittura laboratori per la distillazione di alcoli e liquori segreti, magari a base di erbe allucinogene. Quindi svolta in una curva a gomito, affiancata da un campanile ed una chiesa. Anche qui Clementino immagina siano i resti di un centro fortificato. Forse una Cattedrale sconsacrata costruita su resti di un tempio pagano. Una Cattedrale appartenuta ad ordini monastici

eretici. Forse Valdesi. Forse andata in rovina dopo l’ennesima invasione Saracena. Tutto sommato la cosa piace a Clementino. La presenza di tali edifici prova l’origine antica, seppure dibattuta, di Caposele. La Terra dei Padri ha una sua Storia. Man mano, scendendo lungo lo stradone, Clementino si accorge che il muraglione prima intravisto non è solitario. Altri ne sorgono sulla destra e, poi, più in giù, sulla sinistra. Di sicuro la fortezza doveva avere più file di mura di cinta. Ogni mura difendeva una certo tipo di abitanti. Verso l’esterno i commercianti e gli artigiani, più dediti agli affari ed agli scambi. Più all’interno notabili, medici e farmacisti. Famiglie istruite, molto sagge, alla ricerca di sangue blu. Poi, nel centro del castro la famiglia nobile, i potenti di Caposele, i detentori del Potere. Chissà, pensa lui, di sicuro anche detentori dello ius prime noctis, rituale arcaico ed oramai superato nel Nord Italia. Ma, pensa Clementino, di sicuro ancora in vigore negli abitati del Sud. E, quindi, anche a Caposele. Preso da questi pensieri, superato un incrocio, circondato da altissimi palazzi, svoltato a sinistra, ecco un enorme boato riecheggiare nell’aria. Clementino crede, all’inizio, si tratti di una registrazione, di una traccia audio emessa da radio a tutto volume. Oppure di un antifurto di nuova generazione. Forse qualche ladro approfitta del caldo estivo per raggranellare soldi o automobili usate. Ma poco dopo, un nuovo boato. Ancora più forte del precedente. Proviene certamente dalla strada lì davanti. Clementino è curioso. Si incammina. Ecco che, a lato di un ponticello, appare uno spettacolo dantesco. Avvolti da una nube irta e polverosa, con turbini e tempeste, un campo di gioco. Ed al suo interno una mischia indistinta di atleti. Atleti, forse gladiatori. In quell’ambiente così innaturale Clementino non pensa a semplici persone. Gladiatori mandati a morte da mercanti arabi. Frutto delle loro scorrerie nell’abitato di Materdomini o nei Paesi limitrofi. Questi atleti così strani rincorrono, in un gioco a rimbalzo, un pallone. Un pallone dev’essere, pensa Clementino. Ma potrebbe essere anche un cocomero, o addirittura altra cosa impensabile. E poi, tutt’intorno alla nube polverosa, avvolti anch’essi,

una marea indistinta di urlatori. Mai Clementino aveva visto scene così concitate. Gente in piedi che urlava contro o a favore di atleti, probabilmente presi da scommesse clandestine. Donne e giovani ragazzi seduti su sedili in legno, presi a sbaciucchiarsi o a confabulare tra loro in un chiacchiericcio continuo. Il tutto sotto un sole accecante, con pochi alberelli, o meglio arbusti, malandati e rinsecchiti, a far da barriera alla nube polverosa. Dall’altro lato del campo, nascosti da fronde lussureggianti, file di atleti, chi in piedi, chi seduti, tra loro in lotta verbale. A ben vedere, nota Clementino, il campo non è neppure regolamentare. Sembra avere cinque lati, non quattro. E la lunghezza e la larghezza non sono di certo normali. Si tratta certamente di una lotta tra gladiatori. Pensa di nuovo tra sé Clementino. Ora ne è certo. Preso da questi pensieri, ecco avvicinarsi un signore, stranamente ben vestito. Ma nell’aria polverosa non riesce bene a distinguerlo. Con parlata simpatica ma tono acceso, gli blatera qualcosa sul ponticello. All’inizio Clementino non comprende. Forse ce l’ha con qualcun altro, pensa lui. Forse parla un dialetto italico. Poi gli si avvicina e con un bastone in mano gli intima di lasciar libero il passo. Deve uscire un’ape, dice il tipo, e lo spazio è poco. In effetti da quell’ammasso di grigio ed urla, riappare l’autista di poco prima. Sempre con coppola in testa, tutto sudato, con la camicia appiccicata, con il vano interno ed esterno pieno zeppo di ragazzini schiamazzanti. Clementino crede di avere un miraggio. Non è possibile che tutto ciò sia vero. Non si potrebbe permettere un simile scempio. Un’ape non è adatta a tanti passeggeri. E, poi, in caso di incidente, chi potrebbe giustificarli. Forse a Caposele esiste una licenza particolare per famiglie numerose. Forse il coppolaro riveste un ruolo speciale in quella comunità. Forse, ma a Clementino sembra strano, si tratta del grande muftì, del capo religioso. Nel frattempo la nube polverosa si estende sempre più. Il gioco, o la lotta, si fa cruenta. Le urla aumentano. Il sole batte sempre più forte. La gola si fa secca. Clementino rischia uno sfinimento. Se non bastasse, ecco allora un colpo forte lo stordisce. Se non fosse già stordito. Un colpo così forte da fiaccargli il collo. Clementino crede di svenire. In un attimo viene circondato da decine di persone. Forse ha infastidito il gran muftì.

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di Michele Ceres

Forse qualche Materdominese ha dato ordine di sbarazzarsene. Nel vociare dei ragazzini, comincia a comprendere una parola. Si rende conto di essere stato colpito da un pallone. Sì, proprio quello dei gladiatori. Ed ecco che tra un nugolo di mani, riappare la sfera biancheggiante. Un urlo di gioia, misto a fretta ed attesa, si leva dagli spalti. Il pallone rientra in campo. Il gioco può ricominciare. Clementino, ancora mezzo stordito, si allontana. Ma questa scena, quella del gioco, avvolto da urla e polvere, la racconterà. Quindi sfugge il ponticello, seguendo il fiume. Seguendo una forma di vita, più tranquilla, più lenta, meno rumorosa. D’altronde è proprio il contatto con la natura che cercava. Il richiamo della natura. La natura dei Padri.

All’acqua di Michele Ceres ‘76

Notti di primavera quando la mammola fiorisce e la talpa svanisce cinguetta il passero rotea la rondine scivola via dolce ridendo il rivolo d’acqua quanta acqua! d’alta montagna fresca zampilla per poi quetare sbotta ride strofina la roccia il sasso anche lui balla notte e giorno senza fatica è la primavera è la primavera che sta per svanire

...”a chi ama lo scorrere dell’acqua (...e del tempo)”

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Attualità

EMERGONO NUOVE EVIDENZE

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di Angelo Ceres

mergono nuove evidenze della connessione diretta tra l’invasività delle attività umane sulla natura e l’insorgere di pandemie come il Covid-19. A confermare lo stretto legame è adesso uno studio condotto da un team di ricercatori della UC Davis School of Veterinary Medicine, in California, pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B. Secondo lo studio, gli animali selvatici a rischio di estinzione a causa delle attività dell’uomo o per la perdita del loro habitat trasportano il doppio dei virus rispetto agli altri animali. In generale gli animali selvatici prossimi a estinguersi sono in numero ridotto, motivo per cui comportano un basso rischio di trasmissione di malattie infettive a meno che il bracconaggio, il commercio e la vendita negli affollatissimi wet market (mercati umidi, dove il “salto di specie” è enormemente facilitato) e la conseguente perdita di habitat naturale non li spingano verso un contatto con le persone. L’attuale emergenza Coronavirus, sommata ad altre malattie che negli ultimi anni hanno avuto origine negli animali diffondendosi attraverso un loro contatto con gli esseri umani – come Sars, Mers ed Ebola – stanno dunque confermando, per chi non l’avesse ancora capito, che la nostra salute dipende direttamente dalla salute degli animali e da quella del pianeta. Fatta questa premessa necessaria ed importante, vorrei porre l’attenzione su un aspetto. A determinare le sorti del Covid-19 della sua facile diffusione è stato, ancora una volta, l’egoismo, l’ingordigia e la voglia di accumulare maggiore ricchezza. La Regione Lombardia, in Italia, può essere considerata l’esempio scolastico dell’esasperazione dell’economia, dell’economia spogliata della ragione, della sensibilità e del limite, elementi necessari e fondamentali che consentono agli uomini di crescere, di fare bene, o meglio, di errare il meno possibile. Un’economia senza la saggezza dell’uomo, aiutata da una assoluta cecità della classe dirigente lombarda. Brutalmente: si è scelta la morte alla vita. I cieli tersi, le acque dei fiumi e del mare limpide, gli animali selvatici che si sono riappropriati degli spazi, sono soltanto un’illusione, un momento transitorio da cancellare immediatamente perché riconducibile alla chiusura e al blocco totale. Adesso dove tutti possiamo uscire, dove abbiamo ripreso la vita di sempre quelli sono solo brutti ricordi: questa è la vera illu-

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sione. Intanto, in Italia nascono nuovi focolai. In un macello tedesco vengono contagiati 1.500 addetti dell’impianto. Una situazione senza precedenti che ha causato scalpore in Germania. I macelli sono nell’occhio del ciclone, non solo negli Stati Uniti, dove hanno rappresentato un grande veicolo di contagio fra gli addetti, ma anche nella vecchia Europa. Facendo nascere interrogativi sempre diversi sull’industria della carne e sui danni provocati da una produzione sempre meno rispettosa nei confronti di animali e persone. Con consumi di carne che sono in continua discesa e con acquirenti sempre più attenti al benessere animale, ma anche alla loro salute. La velocità delle operazioni di macellazione, necessaria per ottenere carni a basso costo, è una delle cause di sofferenze e maltrattamenti agli animali. La pandemia di Covid19 sta mostrando un dietro le quinte che era sconosciuto. L’industria delle carni, le fabbriche di proteine, e gli enormi costi in termini ambientali e di sofferenza sono arrivati in modo chiaro anche al grande pubblico, che non può più far finta di non sapere come sia prodotta la carne. I consumatori queste sofferenze non le vogliono, di conseguenza molti colossi dell’alimentare rivolgono la loro attenzione anche a prodotti vegetariani e vegani. Modificare le scelte alimentari sarà un comportamento sempre più diffuso, essendo aumentata la consapevolezza. Più si è diffusa l’informazione delle persone sulle questioni ambientali ed il benessere degli animali e meno giornali e TV potevano e possono continuare a ignorare il problema. Questo processo è iniziato da qualche anno portando i grandi marchi a diversificare. Per non correre il rischio di arrivare tardi in quello che è ritenuto un mercato in espansione: quello delle proteine vegetali. Nessuno crede, ovviamente, al fatto che sia davvero una folgorazione ecologista. Sono solo scelte di mercato, che tendono ad anticipare le preferenze future delle persone. Ecco, noi tutti possiamo influenzare scelte, modi e processi di trasformazione ecologici. Questo n. 100 de La Sorgente non poteva sfuggire alla riflessione Covid19. Caposele con le risorse naturali ha, in proporzione del suo territorio, un ruolo importante. Negli ancestrali modi di fare e pensare abbiamo scolpita l’idea che la natura e l’ambiente siano sottomessi al nostro volere, padrone e servo. Abbiamo il pensiero che le cose che accadono nel resto del modo non ci appartengano (ovviamente non generalizzo) o hanno una dimensione

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diversa. Succede con la risorsa acqua, con la tutela dell’ambiente, con la deregulation in montagna e com’è successo durante il periodo Covid19, dove troppe persone non avevano ben inteso cosa stesse succedendo. Essere in grado di saper veicolare questi errori o false concezioni è un compito doveroso ed importante, ma accade che chi dovrebbe insegnare non educa, non istruisce e non spiega. Chiudo con un ultima considerazione: in Italia i morti per Coronavirus

sono stati circa 35.000, ma ogni anno gli italiani che muoiono per inquinamento atmosferico sono circa 84.000. Eventi che hanno lo stesso punto di partenza: la tutela, la protezione dell’ambiente e del nostro Pianeta. Continuiamo a far finta di niente?

L’ANGOLO DI LECLERC La Malva Sylvestris

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ualche anno fa, studiando per l’esame di botanica, fui affascinata da una particolare pianta, la Malva Sylvestris. Mi colpì soprattutto la bellezza del suo fiore e decisi di approfondire i miei studi. I primi a riportare notizie sulle sue proprietà benefiche furono i Greci, i quali la chiamavano Malachè “rendere morbido”. Alcune testimonianze si ritrovano anche nelle opere di Cicerone e Marziale e nella Scuola Sanitaria Salernitana fino a studi più recenti condotti da Lèmery, chimico e medico francese della seconda metà del Settecento. Nell’ aspetto esterno, la malva è caratterizzata da un bellissimo fiore color lilla attraversato da piccole striature violacee, le foglie sono di verde brillante a forma palminervia con 5 o 7 lobi. A molti sarà capitato di incontrarla senza saperlo, poiché gli ambienti naturali in cui si può trovare sono i prati e i luoghi incolti dell’Europa. Già dall’etimologia del nome, dal latino malva “rendere molle”, questa pianta è alla base di numerosi medicamenti per la cura della stipsi. I vari principi attivi, presenti nei fiori e nelle foglie, così come riporta la F.U. XI, sono i seguenti: - le mucillagini, che in seguito ad idrolisi portano alla formazione di composti come arabinosio, galattosio, glucosio ecc. ; - i tannini; - la malvina; - i flavonoidi; - potassio, ossalato di calcio, pectina; - vitamine varie. Per quanto riguarda le numerose proprietà fitoterapiche attribuite alla malva, si possono ricordare:

di Gerardina Spatola

antiflogistiche;

lassative.

Tra questi il principale uso terapeutico è quello lassativo: le mucillaggini, una volta ingerite, si rigonfiano e vanno a comprimere le pareti dell’intestino, stimolandone così le contrazione e favorendone lo svuotamento. Si utilizzano maggiormente preparazioni per via orale come tisane, infusi e decotti. Per la preparazione di una tisana a base di fiori di malva occorrono 2-3g di droga essiccata, aggiungiamo 200 ml di acqua bollente e lasciamo in infusione per circa 5-10 minuti. Si filtra e si aggiunge zucchero a piacere. La malva non ha tossicità riconosciute e può essere assunta anche in gravidanza ed allattamento, sebbene è giusto ricordare che prima di qualsiasi assunzione di medicamenti fitoterapici o chimici è importante chiedere consiglio al farmacista di fiducia o al medico curante.

• proprietà antinfiammatorie, soprattutto a carico del cavo orofaringeo; •

proprietà emollienti e lenitive;

anticatarrali;

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Cronaca

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li scorsi mesi abbiamo assistito a qualcosa di particolarmente scioccante. E’ accaduto qualcosa che ha messo in discussione le nostre abitudini, il nostro modo di fare, le nostre relazioni, andando a limitare la quotidianità di gran parte degli abitanti di questa terra, più o meno colpiti dalla pandemia. Evitando ogni commento sulla parte scientifica, che lascio agli esperti, vorrei dapprima contestualizzare gli eventi, partendo da inizio gennaio 2020, quando l’OMS ha dichiarato che le autorità sanitarie cinesi avevano individuato un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato prima nell’uomo, classificato in seguito ufficialmente con il nome di SARS-CoV-2 (sindrome respiratoria acuta grave). La forte penetrazione in Italia del virus, è iniziata con i primi casi dei due turisti cinesi a Roma, per poi dilagare con i primi casi di trasmissione locale di infezione in Lombardia, Veneto, Piemonte e Emilia Romagna. La crescita esponenziale della pandemia e dei contagi si è arrestata solo a maggio, portandoci alla Fase 2, e facendo registrare un bilancio drammatico in 4 mesi con circa 250.000 contagi accertati (si prevede possano essere 3-5 volte di più i casi reali) e circa 35.000 morti, di cui oltre il 40% nella sola Lombardia. Da quando l’OMS ha sancito l’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale, il Consiglio dei ministri e le varie regioni hanno attivato in maniera più o meno coordinata le varie contromisure per tracciare i contatti e frenare il contagio, ma purtroppo non sono bastate, forse perché lente, forse perché non rispettate da tutti, forse per alcune sottovalutazioni. Reputo inutile ogni commento su colpe o mancanze, che ci sono state sia nei governanti che nei cittadini, ma è importante sottolineare la diversa propagazione nelle regioni, con un Sud molto meno colpito del Nord, e la diversa attenzione avuta dalle persone sulle misure restrittive imposte dal governo, così come è doveroso un ringraziamento a tutti gli operatori sanitari che in questi mesi, senza soste e pause, hanno lottato per salvare vite umane, molto più di quanto non facessero già in precedenza. Ciò detto, la mia riflessione vuole evidenziare come questa pandemia, pur generando un numero di morti sensibilmente inferiore rispetto ad altri fenomeni altrettanto tremendi (fumo, cancro, alcool, fame, incidenti), abbia cambiato in modo irreversibile il contesto socio economico nazionale, mondiale e locale, oltre alle nostre abitudini.

Un nuovo mondo …

dopo la pandemia La chiusura di tante aziende o piccole attività commerciali ha sicuramente generato disoccupazione, difficoltà economiche in molte famiglie, minor fiducia nel futuro e necessità di inventarsi qualcosa di diverso per vivere o quanto meno limitare i danni. Nel nostro comune si è registrato un calo significativo di pellegrini e turisti, che continuerà per tutto l’anno, modificando completamente le aspettative dei tanti lavoratori nel settore turismo di Caposele e Materdomini. Le misure del governo con contributi a cittadini e piccole imprese sono state essenziali per gestire l’emergenza di questi mesi ma è indubbio che il turismo, principale fonte di ricchezza e lavoro a Caposele, sia il comparto più colpito. Abbiamo inoltre dovuto imparare a relazionarci in modo diverso con i nostri cari e con i congiunti, a vivere e interagire protetti da una mascherina, a non abbracciarci, a non scambiare liberamente chiacchiere al bar prendendo un caffè. Abbiamo dovuto gestire i bimbi chiusi in casa sofferenti per l’assenza di contatti con amichetti e insegnanti, che hanno dovuto sperimentare le lezioni a distanza, importanti ma sicuramente non in grado di compensare le numerose attività didattiche e ludiche svolte a scuola. Abbiamo soprattutto imparato a dover rispettare delle regole imposte a cui non eravamo abituati, e questo senso civico ha prevalso nella stragrande maggioranza dei cittadini di Caposele, motivo di orgoglio e certamente causa principale dell’assenza di contagi fino ad ora. E non possiamo ancora ritenerci liberi come prima, se mai lo saremo, perché alcune precauzioni dovranno restare nella nostra quotidianità ancora per un po’. Fin qui abbiamo descritto un fenomeno che abbiamo subito, di cui siamo stati purtroppo solo delle vittime passive. Tuttavia ci sono altri aspetti che ci hanno visti in troppi casi, sia in Italia che a livello più locale, attori protagonisti di sciacallaggi sui social, di disinteresse verso il bene comune e i più deboli, di fazioni tra nord e sud, di accuse gratuite tra esponenti politici e imprenditori, di frizioni per singoli interessi. Beh questa è la parte su cui credo che tutti i cittadini italiani debbano farsi un grande esame di coscienza, a cominciare dalla classe politica, perché

in un momento in cui bisognava essere uniti, comprensivi e rigidi, abbiamo dovuto assistere a manifestazioni o celebrazioni non autorizzate, a continue critiche di chi stava comodamente nel proprio salotto a giudicare, di chi pensava al proprio orticello non curante dei rischi di salute pubblica. Il Covid non è un problema del premier, non è un problema dei lombardi, non è un problema di chi ha perso qualcuno, ma è un problema di tutti, così come di tutti sono le conseguenze che dovremo gestire da ora in avanti, grazie ad un indebitamento pubblico schizzato sopra il 150% del PIL, alle numerose casse integrazioni o perdite di lavoro, e soprattutto alle 35.000 vittime. Personalmente ammetto di aver vissuto una situazione surreale a Milano, con la consapevolezza di avere un privilegio per non essere stati toccati dal virus e per ricevere sempre incoraggianti notizie da Caposele e dai paesi dell’entroterra irpino (poche eccezioni). Ho avuto inoltre il privilegio di vivere in prima persona un’esperienza in azienda al servizio del Paese, del sistema sanitario e dei più bisognosi, donando farmaci, competenze, servizi di telemedicina, dispositivi di protezione e volontariato al numero verde della protezione civile. L’iniziativa “Roche si fa in 4” ci ha permesso di toccare con mano, anche se indirettamente, storie di vita e difficoltà in questi mesi, regalandoci preziosissimi insegnamenti di cui far tesoro. Guardando al futuro voglio far prevalere l’ottimismo fondato sui valori di tanti cittadini italiani (sono la maggior parte senza dubbio) che hanno avuto il buon senso di vivere questa pandemia rispettando le regole e chi stava lavorando per il bene comune. Dobbiamo essere bravissimi a cogliere le opportunità legate a questo shock

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di Giuseppe Malanga

socio economico, e quindi cercare di trovare nuovi modi di fare business e di produrre ricchezza, senza abbandonare i valori e i punti di forza del nostro territorio, dalla parte rurale a quella turistica. Non restiamo ancorati a quello che era il nostro mondo prima della pandemia, mettiamoci in discussione per vivere al meglio una nuova normalità, senza fermarci nell’attesa di un sussidio statale che seppur presente nel 2020, non sarà mai sufficiente. Cerchiamo di dare sempre più valore e rispetto alle persone, a quelle che sono state sempre presenti nella nostra vita e a quelle che abbiamo riscoperto in questo periodo di lockdown, è troppo importante il circuito sociale che ci circonda per affrontare al meglio queste nuove sfide e per vincerle bisogna essere uniti più che mai.

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CAPOSELE 45


Salute

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er il numero 100 della “Sorgente” avevo pensato di parlare della pace del mondo, la pace il bene più prezioso che l’umanità possa desiderare. Per questo Paolo VI istituì la giornata mondiale della pace il primo gennaio di ogni anno. Per ottenere la pace serve la buona volontà e l’impegno di tutti mentre per scatenare la guerra basta la volontà di uno solo. Voglio solo sottolineare l’aspetto più importante che impedisce il mantenimento della pace: la diversità che esiste tra le nazioni, una parte del mondo vive nel benessere assoluto, mentre l’altra, la maggioranza, muore di fame. La stretta attualità mi spinge a scrivere del mio impegno medico alla Don Gnocchi di Tricarico. Avevo più volte parlato in varie aziende delle precauzioni da prendere per prevenire le patologie trasmesse da coronavirus, secondo le indicazioni del Ministero della Salute. Rispettare le indicazioni sull’igiene delle mani, eseguire frequentemente il lavaggio con acqua e sapone o frizione con gel idroalcolico, mantenere una distanza di sicurezza con le altre persone di almeno 1 metro, indossare la mascherina chirurgica, indossare i guanti. Essere in primo piano a diretto contatto con i malati di coronavirus è completamente diverso. Il coronavirus è un virus subdolo, un po’ vigliacco; la sua caratteristica è di essere molto contagioso. Ma la cosa peggiore è che moltissimi di coloro che vengono contagiati non si ammalano e non presentano alcun tipo di sintomi. Questo vuol dire che un numero molto alto di persone, soprattutto giovani e bambini, sembrano non avere niente e invece lo possono trasmettere senza rendersene conto agli altri, in particolare anziani e persone malate. L’Italia è un paese con un numero molto alto di anziani; siamo la seconda nazione al mondo per numero di vecchi con un quarto della popolazione che ha più di 65 anni. L’elevata mortalità è dovuta anche a un altro aspetto che rischia di compromettere una delle parti più belle della nostra vita, cioé il fatto che in Italia le famiglie sono molto più unite che altrove; spesso i piccoli sono affidati ai nonni dai genitori che lavorano; i giovani più dinamici si spostano nelle città hanno molti contatti, viaggiano, ma continuano a frequentare i genitori e anche gli anziani che vivono vicino, mentre gli adulti fanno i pendolari nei luoghi di lavoro, ma poi, la sera, tornano nelle case di provincia dove abitano e tornano a vedere anche i genitori anziani; a noi italiani piace stare insieme, in famiglia e abbiamo molti contatti tra generazioni. Questa cosa bellissima, in questo momento, può aumentare i contagi e le malattie gravi per questo dobbiamo essere responsabili: sospendere un po’ i contatti per difendere le nostre bellissime famiglie. Quando il responsabile della Don Gnocchi mi chiede di andare in trincea sto leggendo sul giornale: “in Italia record dei medici contagiati in corsia e anche di morti. Sono perplesso. Ho paura.” Mia moglie dice: “tu pensi agli altri e a me chi pensa?” e mio figlio aggiunge “alla tua età dovresti essere assistito e non assistere altri”. Davanti a me la statuina della Madonna salus

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DIARIO DI UN MEDICO infirmorum, sembra sorridermi. Mi sento bene e decido di andare non senza aver prima manifestato alla famiglia tutto il mio affetto. Durante il viaggio non ho incontrato una sola autovettura. A un certo punto un cartello lampeggiante “Alt zona rossa”. Ho pensato a quanti problemi ha creato e crea un piccolo virus: emergenza sanitaria, emergenza economica, cambiamento totale delle abitudini di vita. Pensavo a come l’Europa si è presentata divisa all’inizio di questa epidemia. Sarebbe stato bello se fin dall’inizio le decisioni le avesse prese l’Europa e non i singoli stati. L’Europa è troppo interdipendente per consentire ai singoli paesi, anche ai più forti, di sopravvivere da soli. Gli stati europei non si possono presentare disordinatamente sui mercati in concorrenza fra loro per raccogliere i fondi necessari. La crisi del coronavirus dimostra la cecità e il vuoto di pensiero dei cosiddetti sovranisti. Nessuna parte dell’Europa è in grado di sopravvivere da sola, né è in grado di isolarsi da una epidemia come quella del coronavirus. All’indomani della seconda guerra mondiale le coscienze più illuminate, sia fra i vincitori che fra i vinti, vedevano la risposta nell’Europa e attribuivano i guai già vissuti al nazionalismo che oggi si chiama sovranismo. “Ex malo bonum” diceva Sant’Agostino. Dalla crisi (crisi in greco significa separare decidere) le menti più illuminate diranno in che modo creare istituzioni europee più solide e più capaci di difendere gli interessi di questa vasta comunità di cittadini. Con tale marea di pensieri che mi frullavano per la testa sono arrivato a Tricarico. Di Tricarico in provincia di Matera conoscevo un po’ di storia e nulla più. Sapevo che è una città arabo-normanna con uno dei centri storici medioevali meglio conservati della Basilicata. È una delle diocesi più piccole di Italia, il Vescovo Monsignore Giovanni Intini è particolarmente impegnato nella lotta contro il virus. Arrivo a Tricarico domenica 29 marzo 2020. La Don Gnocchi è un fabbricato su 5 piani. I primi due sono uffici e palestre; il terzo è una RSA. Quarto e quinto sono centri di riabilitazione. Dal 28 marzo 2020 Tricarico è, con ordinanza del Presidente della regione Basilicata, diventata “zona rossa” a causa di circa 40 casi di covid19 presso la fondazione Don Gnocchi. La Fondazione è parte integrante dell’ospedale visto che condivide il laboratorio analisi, radiologia, farmacia, cucina, bar, mensa, camera mortuaria. I covid sono fortunatamente concentrati su un solo piano, il quarto. Quando arrivo alla Don Gnocchi domenica 29 marzo al quarto piano vi sono tutti ammalati covid: li ricordo ad uno ad uno; sono tutti stampati nella mia mente e impressi nel mio cuore. Il responsabile della sicurezza, un ragazzo giovane, ma molto preparato mi

spiega come accedere al piano incriminato che è completamente isolato dal resto della struttura; dopo la restrizione salire da un lato, visitare gli ammalati, aggiornare le cartelle, lasciare gli indumenti inquinati e scendere dall’altro. Gli occhiali e la visiera che non sono monouso vanno disinfettati prima di uscire dal reparto. È come se entrassi in un luogo pieno di fango, diceva il responsabile della sicurezza, per non portare il fango in tutta la struttura, prima di uscire bisogna liberarsi delle sovra scarpe e di tutti i vestiti sporchi. Si è fatto tardi e per non visitare la prima volta di notte gli ammalati covid mi faccio dare notizie dall’infermiere di turno, persona molto disponibile, mi faccio dire nome, età, motivo del ricovero (questo è un centro di riabilitazione), stato clinico attuale di tutti i ricoverati. Per semplificare le cose l’infermiere mi manda via WhatsApp frontespizio della cartella e terapia attuale. Anche le cartelle cliniche non possono uscire dal reparto perché potenzialmente infettanti. Prima cosa da fare è quella di aggiornare la terapia. Chiamo a telefono la dottoressa che seguiva i ricoverati prima di finire in isolamento domiciliare perché positiva al coronavirus e, secondo il protocollo nazionale, aggiungiamo un antinfiammatorio e un antibiotico. Come voi sapete i virus sono resistenti agli antibiotici ma questo tipo sembra avere anche un’azione virale, prescrivo analisi di laboratorio un poco a tutti per tenere la situazione sotto controllo. La prima notte scorre senza intoppi; purtroppo sarà l’unica. Mi conforta un video di bambini africani che, sorridendo, incitano in coro l’Italia a tenere duro perché il nostro paese ha vissuto momenti difficili nella storia e li ha sempre superati. Il lunedì mattina mi reco all’Oasi del Carmine a meno di un km dalla Don Gnocchi. Quello del Carmelo è un antico convento risalente al ‘600. La diocesi lo ha recentemente riorganizzato ed è diventato sede della Caritas locale. Al piano superiore le stanze, dapprima adibite a ritiri spirituali ora ospitano soggetti positivi al coronavirus che non hanno bisogno di assistenza medica. La mia stanza è completamente separata da quelle che ospitano i covid. Dopo qualche ora di riposo incontro il Vescovo Monsignore Intini che mi racconta che l’isolamento non è vissuto bene dalla popolazione per lo più anziana che è abituata a incontrarsi nelle strade e nelle piazze. Per questo utilizziamo, dice il Vescovo, tutti i canali legali possibili per mantenere vive le relazioni come ad esempio la messa trasmessa su YouTube. La messa diventerà così vero ospedale da campo. Nella tarda mattinata sono di nuovo in ospedale e incomincio a conoscere i ricoverati. I vecchietti della RSA sono quasi tutti in discrete condizioni tranne una signora che qualche giorno dopo avrei trasferito all’ospedale di Matera. Hanno trovato un certo equilibrio anche spirituale e sono consci della situazione. Il primo giorno una vecchietta mi disse: “tu non puoi salire al quarto piano perché

di Giovanni Vuotto

là c’è il virus”. Quando mi ha conosciuto come medico mi ha ringraziato per il lavoro svolto. I ricoverati del quinto piano sono una trentina, la metà ha subito un intervento ortopedico per frattura o protesi da artrosi o osteoporosi grave, l’altra metà ha avuto un ictus celebrare. Di pomeriggio ho il primo impatto con i malati covid. Prima di andare da loro è necessaria una vestizione particolare con sovra scarpe, doppia tuta, copri casacca, doppia cuffia in testa, mascherina e doppio paio di guanti e visiera. Ho ricevuto un sorriso dalla maggioranza dei ricoverati è questa è stata la mia prima grande soddisfazione. Mi sono rivestito la notte per visitare un ammalato che desaturava (diminuiva la quantità di ossigeno nel sangue). Dopo opportuna terapia è migliorato e sono sceso nella stanza. Il mattino dopo sono stato di nuovo nella Caritas dove ho visto la televisione locale che intervistava due africani che collaboravano con gli operatori locali per assistere i bisognosi: bell’esempio di integrazione prima e collaborazione poi. Sarà l’ultima volta che rimango qualche ora all’Oasi del Carmelo perché negli altri giorni sarò sempre nell’ ospedale, mattino, pomeriggio e notte. Tutto il pomeriggio di martedì 31 marzo lo dedico ai covid, ascolto storie, problemi familiari. Ho una parola di incoraggiamento per tutti ma anche io ricevo sostegno morale soprattutto dai malati più gravi. Un grazie ricevuto da loro è stato ed è tutt’ora fonte di soddisfazione e stimolo a fare sempre più e sempre meglio. Dicevo prima che questo è un virus insidioso. Alcuni che sembrano in buone condizioni, improvvisamente peggiorano e incominciano a desaturare; fortunatamente si riprendono dopo opportuna terapia. Arriva il mese di aprile; spero vi sia un miglioramento per tutti. Così non è purtroppo. Sono costretto a trasferire a “Malattie infettive” di Matera un signore della mia età affetto da paresi emilato sinistro per ictus celebrare. L’ossigenazione che normalmente è 97% scende al di sotto di 90%. Non ha altri problemi particolari ma, siccome noi non siamo attrezzati per terapie speciali al di fuori di somministrazione di ossigeno e farmaci, sentito il parere del suo medico curante, lo trasferiamo in reparto per acuti. Ho attribuito la desaturazione all’ictus pregresso e non soltanto al virus. Il pomeriggio ascolto le storie di altri ammalati, tutti hanno qualcosa da dirmi o da chiedermi. Non ho molte risposte da dare ma solo una parola di incoraggiamento per tutti. Un ragazzo della Costa d’Avorio di 23 anni ha un tumore al midollo osseo. Dalle analisi risulta una emoglobina molto bassa. Richiedo due Continua alla pagina

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Ambiente ....segue dalla pagina precedente

sacche di sangue che arrivano in tarda serata. Le trasfusioni procedono bene durante la notte senza reazioni avverse. Il giorno dopo, la situazione è complessa; solo due ricoverati sono senza febbre, quasi tutti lamentano mal di testa e anche mal di pancia con nausea. Per non caricare lo stomaco aggiungo in flebo farmaci antalgici. I risultati sono buoni ma c’è chi si lamenta del vitto e chi della impossibilità di comunicare. Faccio parlare con i familiari un signore sprovvisto di telefonino. Mi ringraziano sia i familiari che il degente. Per così poco. Dopo pranzo, il primo pomeriggio, sono di nuovo fra i malati. Nella prima stanza un albanese di meno di 40 anni che sta abbastanza bene mi chiama per dirmi che il suo vicino di letto ha difficoltà respiratorie. Per fortuna non è così; l’ossigenazione è buona e non ha febbre; si è spaventato perché lo ha sentito tossire più volte.

La tosse è un sintomo che interessa quasi tutti i ricoverati e quasi tutti fanno ricorso ai sedativi. Dopo aver esaminato le cartelle in cui gli infermieri scrivono la situazione clinica di ognuno, ora dopo ora, aggiungo in terapia la vitamina D in gocce. Avrebbe effetti positivi sul virus e comunque non fa male e non appesantisce lo stomaco. Il ragazzo della Costa d’Avorio non ha avuto grandi benefici dalle due trasfusioni, l’emoglobina è salita da poco, ha sempre febbre, le cosce sono spastiche e gonfie; attribuisco tale fenomeno al tumore midollare ma ha tutto l’aspetto di un versamento ematico. Decido di trasferirlo; con molta difficoltà riesco a trovare posto in malattie infettive di Matera ove può essere inquadrato clinicamente. Da noi tutte le indagini strumentali, ecografie, raggi, tac, risonanze magnetiche sono sospese. Di ritorno nella mia stanza chiamo gli operatori sanitari positivi al coronavirus che sono a casa in quarantena: stanno tutti

bene; solo uno di loro ha un po’ di febbre. Il mattino dopo di buon ora, guardando i pazienti tutti sofferenti e affaticati decido di aggiungere in terapia un antivirale aspecifico che si usava per combattere l’HIV, il virus responsabile dell’AIDS. Lo prescrivo a tutti tranne che per un ragazzo di 32 anni che non ha mai avuto sintomi né febbre né tosse né dolori. La richiesta va fatta alla farmacia di Matera tramite fax, uno per ogni paziente, una compressa al giorno dopo pranzo per 7 giorni. Una scatola di 30 compresse costa 900 euro, ma credo che i soldi siano l’ultima cosa di fronte alla salute delle persone. “Quando c’è la salute c’è tutto” diceva mia madre. Il ragazzo di cui parlavo prima mi chiede sempre: “io sto bene, quando posso andare a casa? Non c’entro nulla con il coronavirus”. Gli rispondo: ”pure da casa non puoi uscire; adattati a questa situazione, tra qualche giorno ripeteremo il tampone e, se negativo per 2 volte, puoi tornare a casa”.

Oggi passiamo il tempo a guardare la televisione e a vedere i messaggi telefonici. Messaggi e video ci tengono informati su tutto; una finestra sul mondo che ci fa viaggiare anche solo col pensiero. Possibilità infinite. Pensate che molti di noi non conoscono tutte le potenzialità del nostro smartphone. Quando ero piccolo ho avuto il morbillo in maniera particolarmente aggressiva. Sono stato una settimana a letto sotto le coperte senza fare niente. Ogni tanto veniva mia madre a controllarmi: il tempo è passato in fretta. Qualche mese fa mi sono operato di ernia ed emorroidi; sono stato una settimana a letto con televisione, telefonino, visite varie: il tempo non passava mai. Nel primo caso ero sereno e mi bastava la visita di mamma per rassicurarmi. Nel secondo caso ero insofferente e nulla mi andava bene, neanche il trattamento degli operatori sanitari che erano tutti miei amici.

Quando le meraviglie le teniamo proprio intorno a noi

L

a biodiversità è un bene prezioso, è una ricchezza da preservare. Vivere in un territorio dove si realizza tale condizione non può che essere un onore, oltre che un piacere per gli occhi e per lo spirito e vivere a Caposele è anche questo. Siamo immersi in un’area dove gli strumenti di tutela normativa, per fortuna, hanno certificato la presenza di un patrimonio naturale stupefacente: rientriamo nella perimetrazione del Parco Regionale dei Monti Picentini e, proprio per questo, il nostro territorio è tutelato anche paesaggisticamente; un’altra porzione del nostro paese ricade nell’area della Riserva Naturale del foce Sele Tanagro, Monti Eremita Marzano. Inoltre, un’ampia superficie del territorio comunale rientra nella perimetrazione della Zona di Protezione Speciale dei Monti Picentini (ZPS - IT8040021 Picentini) e nella Zona Speciale di Conservazione del Fiume Sele (ZSC - IT8050049 - Fiumi Tanagro e Sele). Queste due aree rientrano nella Rete Natura 2000 che è il principale strumento dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. Essenzialmente è una rete ecologica estesa sull’intero territorio dell’Unione, costituita da queste zone di tutela, Zona di Protezione Speciale e Zona Speciale di Conservazione, funzionale a garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario. Quindi, già per il fatto che sul nostro territorio insistono ben due aree appartenenti a questa rete dovremmo avere chiara la valenza ecologica dei nostri luoghi, l’importanza che rivestono ai fini della tutela ambientale. Ma vorrei parlare, in particolare della ZPS Picentini che si estende su quasi tutta la nostra area

montana, interessando, per alcuni tratti anche una porzione del centro urbano di Caposele. L’intera ZPS si sviluppa su un’area di 63.727,5 ettari e interessa i territori comunali di 20 comuni della Provincia di Avellino e 13 della Provincia di Salerno. È certamente fra le più estese aree della Rete Natura 2000 della Regione Campania, e, soprattutto, è una delle più pregiate in assoluto, con una ricchezza enorme di habitat e specie protette. Addirittura gli habitat individuati sono ben 18 (per intenderci, la media delle altre aree è di 6/7). Tra questi vi è anche un habitat “prioritario”, che sta ad indicare che è stato valutato, nell’intero territorio dell’Unione, come particolarmente minacciato e, pertanto, oggetto di maggiore livello di attenzione. Il nostro habitat prioritario è il “6210* - Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda fioritura di orchidee)”, il quale è mediamente diffuso in Italia, ma è raro e di ridotta estensione a livello europeo e questo rende ancora più significativo il contributo che anche Caposele fornisce per la conservazione di questo habitat all’interno della Rete Natura 2000. E le specie protette? Giusto qualche nome: Nibbio Reale, Nibbio Bruno, Falco Pellegrino, Tritone Crestato, Salamandrina dagli occhiali, tante specie di pipistrelli rarissimi, tutte specie inserite nelle liste rosse di tutela perché in condizione di vulnerabilità. Ne ho elencata giusto qualcuna, ma sono decine le specie presenti nella ZPS Picentini. E qui da noi ci sono, alcune di passaggio, altre in maniera stabile, ma ci sono e la loro presenza non è banale, non è ovvia, ci sono perché il nostro territorio è incontaminato rispetto alle loro esigenze, il nostro territorio è pregiato, ma non sono certa che, qui a

Caposele, abbiamo piena contezza di tale speciale condizione. Per intenderci, quello che ci sembra ovvio e scontato durante una passeggiata in montagna non lo è, quello che ci sembra ovvio e scontato è un patrimonio da tutelare con forza, da difendere per la conservazione di queste meraviglie che abbiamo sotto i nostri occhi. E non lo dice solo chi è appassionato, lo dice la normativa nazionale ed europea.

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di Antonella Di Vincenzo

Questa foto è stata scattata qualche giorno fa sulle nostre montagne: siamo fortunati davvero ad avere tutto questo. Non è banale, ma è stupefacente!

La montagna di Caposele, il bosco Difesa

La vecchia cascata della Madonnina Anno 47° XLVII - Agosto 2020 N. 100

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PICCOLA CRONACA di Concetta Mattia

ATTIVITA’ DELLA CONSULTA DELLE DONNE DI CAPOSELE La consulta delle donne del comune di Caposele, tra le attività realizzate, ha iniziato lo scorso febbraio, il progetto del Caffè letterario, che nell’incontro d’esordio, ha ospitato il bel libro “Mariuccia, l’amore che mi fu negato”, scritto da Lella Mattia, che ha cordialmente incontrato la cittadinanza con la formula molto rilassante di presentazione pubblica che è stata organizzata. Una discussione che si è svolta in assoluto relax, nei locali del “caffè Fuori giri” accompagnata dalla distribuzione di bevande calde e corroboranti, davvero un bel modo per ritrovarsi, discutere dei temi e confrontarsi sulle varie questioni. Aspettiamo gli altri appuntamenti!

MASTER DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA A CAPOSELE

“PARTITI I LAVORI DEL PROGETTO” DALL’OFANTOALSELE, TRA FIUMI E MUSEI IRPINI”

“Architettura e progetto per le aree interne Ri_ costruzione dei piccoli paesi” è il titolo del Master di II Livello promosso e organizzato da DiARC - Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, dalla Regione Campania , dal Consiglio Regionale della Campania e dal Forum Regionale dei Giovani. Questo Master, ha assunto come area-studio i territori ed i paesaggi irpini, incentrando, alcuni momenti della didattica, incentivando il rapporto diretto con i territori di alcuni paesi dell’Alta Irpinia, tra cui anche Caposele, sede di uno dei laboratori di progettazione. I giovani architetti infatti, elaboreranno studi e proposte, basate sui molteplici punti di vista derivati dal confronto con le comunità e gli attori locali, tra cui anche la nostra Pro Loco. Una buona opportunità per la valorizzazione del nostro territorio. Aspettiamo gli ulteriori sviluppi!

Nello scorso numero, avevamo, riportato la notizia del progetto di valorizzazione turistica territoriale (fondi POR Campania, misura 7.5.1) realizzato in partenariato con il Comune di Lioni, che, preparando la connessione con il percorso più grande della ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, prevede, tra l’altro, l’ammodernamento con efficientamento energetico della struttura di Casa Houston e la predisposizione di una stazione per la ricarica elettrica di bici con pedalata assistita. I lavori sono iniziati ufficialmente lo scorso giorno 11 giugno e si prevede che saranno ultimati in un paio di mesi. Non vediamo l’ora, quali gestori pro tempore dei servizi SIMU, oltre che da cittadini, di poter sperimentare i nuovi servizi e di riavere, rinnovato e a disposizione dei visitatori, il museo delle acque di Caposele, che con nuovi spazi, dedicati anche a laboratori (sui temi dell’acqua e delle Matasse) racconterà e farà capire meglio un pezzo importantissimo della nostra storia!

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Generazioni a confronto in un laboratorio per insegnare la tecnica dinamica per la realizzazione di una Matassa di Caposele al 100% Lo scorso gennaio, siamo andati nei locali gentilmente messi a disposizione dal ristorante 7 Bello con un gruppo organizzato dall’associazione turistica Info Irpinia, che ha imparato l’arte, da una storica matassara della Pro Loco Caposele, la nostra Mimina Nesta! Un’esperienza che riesce sempre a dare grandi soddisfazioni, sia a chi insegna che a chi apprende….e poi assaggia!

SISTEMATA L’AREA D’ACCESSO ALLA FONTANA DELLA SORGENTE SANTA LUCIA A TREDOGGE E’ stata realizzata la sistemazione dell’area d’accesso alla Fontana della Sorgente Santa Lucia a Tredogge con una pavimentazione e dei rivestimenti in pietra, è stato reso il luogo più accessibile e per dare maggiore decoro ad un punto d’ingresso del Parco Fluviale. Un intervento necessario, anche vista l’affluenza di cittadini e visitatori che passeggiano lungo il fiume o che vogliono imbottigliare l’acqua, che potranno vivere questo luogo in modo più comodo e piacevole. Speriamo che con quest’ultimo intervento, confidando nella buona educazione di tutti, si riesca anche a tenere l’area sempre pulita e ordinata.

ASPETTANDO IL 2021, QUANDO POTREMO RIFARE IN SICUREZZA LA SAGRA DELLE MATASSE DI CAPOSELE

In allestimento l''Antologia Caposelese. In essa troviamo i passi più significativi di tanti e plurali autori che hanno alimentato “La Sorgente” diretta, per ben 100 numeri e lungo circa 50 anni di vita, da Nicola Conforti.

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Purtroppo a causa delle prescrizioni normative e ai protocolli anti covid-19, non potremo svolgere la nostra oramai celeberrima Sagra elle Matasse, ma la nostra associazione, rimane a disposizione per la realizzazione di altri laboratori, in attesa di poterci ritrovare per le strade di Caposele alla prossima manifestazione! Contattateci o seguiteci sui social per informazioni. Vi aspettiamo. Sempre Evviva le Matasse di Caposele!

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Piccola cronaca Sele, molto bello! Un’esordio positivo per questa manifestazione che oltre all’organizzazione puntuale ed attenta, ha avuto il merito di radunare i tanti imprenditori di settore, molti anche di Caposele, che si sono ritrovati ad esporre le loro produzioni in uno spazio enorme e con la giusta enfasi. Complimenti a tutti per la passione e la professionalità e speriamo che la “Sele in wedding” diventi un’appuntamento fisso!

bisogno di altro astio e rancore ma di lungimiranza, capacità e voglia di fare, insieme, per il paese. Crediamoci!

GIUSEPPE COLATRELLA, UN BELL’ESEMPIO IN POLIZIA lo scorso 6.06.2020, nello spazio Instagram poliziadistato_officialpage, è stata riportata questa bella avventura: “A Firenze una signora di 87 anni ha atteso invano il rientro della badante per cena. Con il figlio lontano, si è ritrovata sola in casa e costretta a letto per via della sua patologia. Mentre in lei montava la disperazione ha avuto l’idea di chiamare la Polizia. Una Volante è andata a Coverciano dove risiede la donna e, grazie ad un vicino, i poliziotti sono riusciti ad entrare in casa con sua grande gioia. I due agenti se la sono cavata bene ai fornelli e hanno preparato un bel piatto di ravioli al sugo che la signora ha mangiato in compagnia. Anche questo è il nostro esserci sempre”. Già il lieto fine della storia ripagherebbe ogni cittadino, ma a renderci particolarmente orgogliosi, è che uno dei protagonisti, è il nostro compaesano Giuseppe Colatrella, un giovane agente dal quale, evidentemente, bisogna prendere esempio e che, siamo sicuri, non mancherà di dare altre soddisfazioni alla Polizia di Stato e al suo paese, complimenti! LA PRIMA FIERA CAMPIONARIA DEL WEDDING A CAPOSELE Grazie alla collaborazione tra due imprenditori locali, Gelsomino D’Elia con la sua Lì Style e Gerardo Vita, con la De Vita Eventi e la Confartigianato Avellino, è stata immaginata e realizzata, il 14 e il 15 dicembre scorso, negli ampi e funzionali spazi del centro fieristico comunale, la prima Fiera Campionaria del Sele dedicata al mondo dei matrimoni e delle cerimonie formali: “Sele in Wedding”. Davvero una bella iniziativa, con un programma ricco di iniziative, anche video e musicali, che ha offerto una panoramica, effettivamente ampia, di possibilità nel settore. Nulla è stato lasciato al caso: addobbi floreali e allestimenti, proposte per pranzi, cene, location, abiti, gioielli e altri accessori, automobili, viaggi di nozze! Di tutto e per tutti gusti, in questo lancio dello stile wedding irpino e della valle del

PRIMO INCONTRO DAL PROVVEDITORE GIUSEPPE D’ADDATO PER IL RISARCIMENTO DEI DANNI PROVOCATI DALLA COSTRUZIONE DELLA PAVONCELLI BIS.

CONFERMATO NEL RUOLO IL VICESINDACO ARMANDO STURCHIO

Si è finalmente chiusa la vicenda giudiziaria del ricorso al tribunale di Avellino della minoranza consiliare del Comune di Caposele, per far dichiarare l’incompatibilità del vicesindaco Armando Sturchio. Secondo loro, andava dichiarata la sua incompatibilità alla carica, sussistendo il vincolo di affinità con il sindaco Melillo e nonostante ci fosse una pronuncia di divorzio, intervenuta anni prima, a far superare la condizione. Con la decisione dello scorso 11 giugno però, il tribunale di Avellino ha respinto le richieste dell’opposizione ed ha dichiarato legittima, creando un precedente giurisprudenziale, la nomina del vicesindaco Armando Sturchio che ora potrà, nella pienezza della nomina, continuare la sua attività amministrativa per il paese, con maggiore tranquillità e rinnovata responsabilità. Speriamo che quanto accaduto, faccia continuare, senza ulteriori strascichi, l’azione amministrativa comunale e che si possa arrivare ad immaginare che l’amministrazione tutta, si impegni per il bene della collettività. Le campagne elettorali sono finite, chiarito definitivamente ogni dubbio di legittimità, ora si vada avanti con coraggio, con proposte concrete, con abnegazione e collaborazione. I cittadini non hanno

Qualcosa si muove per il Comune di Caposele che chiese tempo fa il risarcimento dei danni per la Pavoncelli bis. Il Provveditorato alle Opere Pubbliche, sembra ritenere legittime le ragioni dell’ente, e il Provveditore Giuseppe D’Addato ha infatti riunito le parti interessate al completamento della galleria idrica “Pavoncelli bis” tra cui anche il Comune di Caposele, riconosciuto come parte interessata all’esito finale del cantiere e delle opere. Non c’erano l’ex commissario straordinario Roberto Sabatelli e il responsabile unico del procedimento. Scopo della riunione, sbloccare il completamento e la messa in esercizio di un’opera giunta sulla soglia del collaudo nel maggio 2019, interrotto per il mancato rinnovo della struttura commissariale. Il Provveditorato campano alle Opere Pubbliche, subentrato come nuova stazione appaltante, sta tentando di portare a termine il complesso iter dell’opera strategica per gli schemi idrici pugliesi. Sono stati annunciati una serie di incontri e colloqui bilaterali, per entrare nel vivo delle singole questioni illustrate. Il sindaco di Caposele, presente all’incontro, spera però che si vada anche oltre la questione del risarcimento, pensa alla gestione della galleria e della centrale idroelettrica evidenziando che «La delibera del Cipe del 2006 stabilisce che la produzione di elettricità della centrale idroelettrica deve essere trasferita gratuitamente al Comune per efficientare gli edifici pubblici del paese». Speriamo, anche noi cittadini e, in particolare, noi che come associazione Pro Loco chiedemmo a suo tempo, con una nota ufficiale al commissario Sabatelli, che si provvedesse anche alle operazioni di inserimento paesaggistico dell’opera, che si risolva in tempi congrui e positivamente questa annosa vicenda e che venga restituita per la fruizione nelle migliori condizioni possibili, questa parte strategica e distintiva del territorio comunale.

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IL TREKKING DELLE 7 FONTANE Incamminandosi sulle nostre montagne si incontrano, immerse nei boschi, queste le 7 fontane storiche di acqua sorgiva: Fontana Pignuolo, Fontana San Biagio, Fontana Sarracino, Fontana Cirasulu, Fontana Mauta, Fontana/ pozzo r’ Carmnella, Fontana Canale: Insieme formano un anello naturale di circa 13 Km e segnano un fantastico percorso per il trekking amatoriale già abbastanza frequentata da diversi turisti e cittadini di Caposele. Negli ultimi mesi sono stati eseguiti dall’amministrazione comunale, interventi di pulizia delle radure, recupero e ripristino dei muri a secco e dei canali, recupero delle acque nelle fontane mediante la loro pulizia. Nelle prossime settimane verranno anche risistemate e migliorate le aree picnic. Un discreto totale di chilometri di strade sterrate sistemate, che permetteranno la fruizione moderata di questi luoghi incantevoli ed incontaminati, che vi invitiamo a percorrere sempre con la giusta cautela ed il dovuto rispetto del luogo e della natura. Una buona alternativa turistica e di benessere! FARE PREVENZIONE ANCHE CON LA VIDEOSORVEGLIANZA Con l’obiettivo di monitorare e prevenire i comportamenti vietati dalla legge e individuare gli autori di eventuali abusi nel pieno rispetto della privacy dei cittadini, il Comune di Caposele ha installato e attivato, con Delibera del 22 maggio 2020, un nuovo sistema di videosorveglianza, spesso richiesto dai cittadini che rende, finalmente, il nostro paese più sicuro. Le videocamere sono state, preliminarmente, puntate sulle aree di raccolta rifiuti per contenere il fenomeno di sversamenti illeciti ad opera dei nostri cittadini e degli abitanti dei paesi limitrofi. Anche le aree giochi di piazza Sanità e del Polo Scolastico sono state dotate di impianti di videosorveglianza per prevenire atti di vandalismo e di bullismo. Speriamo davvero che con questa iniziativa, ci sia anche una maggiore attenzione verso il corretto conferimento dei rifiuti, la tutela dell’ambiente e più rispetto per il patrimonio comunale. Caposele è di tutti e tutti dovremmo fare la nostra parte (anche senza le telecamere!) per poterci vivere meglio e con maggior sicurezza.

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Sport

ALMANACCO GS OLIMPIA CAPOSELE: 1986-2020

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vevo pensato ad un articolo diverso per questo memorabile numero 100: pensavo alla storia dei campionati di categoria a cui ha partecipato Caposele con le varie società. Ho raccolto i dati e li ho messi da parte, pensando ad un lavoro obiettivo e super parter intervistando i protagonisti principali di ogni società. Poi un poco per l’emergenza Covid-19 che ha reso difficili le varie interviste, un poco perché è difficile essere obiettivi quando si è parte in causa come me in questa situazione, ho soprasseduto. Lo farò più avanti forse. I dati sono registrati comunque. Pertanto resto nel mio piccolo e grande orticello: quello della GS Olimpia. Per questo Centenario, sul quale mi soffermerò in chiusura dell’articolo ho deciso di parlare di un lavoro ed un prodotto che presto condividerò con chi ha giocato o amato l’Olimpia Caposele attraverso un evento pubblico (quando lo si potrà fare): L’ALMANACCO DELLA GS OLIMPIA: OLTRE 30 DI CALCIO…. DI STORIA DI VITA. DAL 1986 AL 2020. Un lavoro statisticamente pronto già da un poco di tempo, ma ancora non completato perché prima dell’emergenza non trovavamo tempo per niente, neppure per noi stessi e per le cose che amiamo. Se vogliamo cercare qualcosa di buono in quello che è successo credo sia il fatto che, costretti a stare in casa, abbiamo avuto il tempo per pensare e lavorare ad alcune cose importanti messe in stand by. Forse ne usciremo migliori, forse no. Ho completato questo almanacco. C’è veramente una vita dentro. L’almanacco arriva fino al 2016, ma non vuol dire che l’Olimpia si è fermata. Anche quest’anno (basta controllare il registro CONI) e per il Quarto anno consecutivo (2016-2020) siamo rimasti affiliati al CONI ed ad un nuovo ente sportivo: l’AICS (Associazione Italiana Cultura e Sport), associazione emergente in questi anni ed il fatto di averla scelta anticipando tante società (siamo stati fra i primi in Irpinia) significa che anche stavolta abbiamo visto bene: quindi SIAMO A QUOTA 34 ANNI CONSECUTIVI! In questo ultimo periodo abbiamo lasciato spazio a nuove forze locali, agli amici del Real Caposele nello specifico in FIGC, mettendo comunque a disposizione le nostre risorse di materiale, di esperienza e di lavoro. Ad esempio quest’anno l’Olimpia ha pienamente appoggiato le attività sportive calcistiche, dalla scuola calcio alla Categoria. Personalmente sono tornato ad allenare, i Giovanissimi, dopo tre anni dall’ultima partita guidata dalla panchina: la mia terza finale, GS OLIMPIA – VIRTUS AVELLINO per la categoria Allievi; ho messo a disposizione quel che so, in maniera ovviamente volontaria e gratuita, a nuovi giovani. Purtroppo il nostro lavoro è stato interrotto ad inizio del girone di ritorno. Ci rivedremo in campo presto, ma sono molto soddisfatto comunque del lavoro fatto e della crescita dei ragazzi. In questi ultimi anni dicevo sono state tante le iniziative dell’OLIMPIA per Caposele: il progetto #NOI CON VOI OLIMPIA oramai alla sua quarta edizione: ci ha portati ad AMATRICE (1), a donare al nostro Comune un DEFIBRILLATORE

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(2), a donare alla nostra scuola DIVISE, CASACCHE, MATERIALE e PROTEZIONI IN PALESTRA (3) alle colonne. Quest’anno siamo stati vicini all’ANPAS ed alla CARITAS con una DONAZIONE BENEFICA PER L’EMERGENZA (4). Tutto questo, ripeto, in maniera volontaria e totalmente gratuita mettendo a disposizione la nostra passione. Ma torniamo all’Almanacco. Le domande sorgono spontanee e tutte avranno una risposta supportata dai dati raccolti: - Chi ha fatto più gol in categoria nei 16 anni? - Chi ha fatto più presenze in categoria nei 16 anni? - Chi ha fatto più presenze negli oltre 50 campionati giovanili? - Chi ha fatto più gol nel settore giovanile? - Chi ha il maggior numero di presenze collettive nei 30 anni? Foto, immagini, dati, di una vita data per Caposele. L’almanacco è un lavoro nato dalle statistiche a cui noi Notaro siamo da sempre molti attenti e fedeli: papà (dopo aver già guidato in panchina la US per tre anni) dagli anni della fondazione nel 1986 al 2001/2002 anno dell’ultima stagione della prima fase, ha tenuto un diario e quadernoni nei quali c’è di tutto attraverso la perfetta scrittura stampatello manuale che lo contraddistingue: marcatori, presenze, anche voti (quelli li omettiamo )! La stessa abitudine l’ho raccolta io dal 2005, dopo tre anni di transizione nei quali la società è restata comunque affiliata al CONI. Dal 2005 dicevo, ho raccolto io l’eredità, spendendo tutte le forze nel Settore Giovanile per oltre dieci anni ancora, raggiungendo risultati importanti che tutti

conoscono. Anche statisticamente, stavolta aiutandomi con le moderne tecnologie, ho seguito il lavoro precedente. Di questi anni ho praticamente tutto. Mettendo insieme i due faldoni si è ottenuto il risultato. I numeri talvolta parlano da sé e riescono ad andare oltre a tutto. Siamo alla nona amministrazione da quando facciamo sport, anche per questo ogni tanto ci permettiamo di dare qualche consiglio. Ora la mia e nostra intenzione è quella di stare al fianco di chiunque voglia continuare a fare calcio a Caposele. L’almanacco, quindi, racchiude sedici anni ininterrotti di Campionati di Seconda Categoria, oltre 50 campionati giovanili (delle 30 estati di tornei locali dedicate al paese ne parleremo successivamente). Racchiude il Partenio, una finale storica. E poi ancora un’altra l’anno dopo sempre al Partenio. E poi un’altra ancora dopo soli sette anni, accompagnando in finale un nuovo gruppo cresciuto dai Pulcini. Racchiude un Campionato Regionale Storico, brillante nel quale arrivammo fra le prime e rivaleggiammo alla pari contro città e grandi centri, con la ciliegina del titolo Fair Play Regionale, davanti al Napoli. I nostri ragazzi, apro una breve parentesi, hanno rivissuto con me, partita per partita, durante la quarantena quel meraviglioso percorso. Per sentirci uniti, vicini, forti, aiutandoci con la memoria e con le emozioni in un momento più duro di quanto vogliamo ricordare. Quindi, ci siamo. A breve la pubblicazione dell’almanacco che racchiude veramente tanto. Il completamento di una vita sportiva. Ma poi avanti ancora, a disposizione di tutta una comunità. Quando avevo poco più di sedici anni scrissi per la prima volta su “La Sorgente”. Parlando di calcio ovviamente, quasi un destino obbligato oltre che un piacere.

di Roberto Notaro

Il primo di tanti articoli scritti su questo giornale: credo di averne fatti trenta, quaranta non saprei. Ho sempre potuto dire ciò che volevo: avere avuto spazi per dire, scrivere, confrontarsi proporre è stata una grande ricchezza, soprattutto prima dell’avvento dei social. Certamente, anche per questo e per tanti altri motivi, “La Sorgente” è stata una ricchezza per Caposele, sia nel momento in cui ciascuno di noi ha scritto oppure ha letto, sia per ciò che rappresenta ora: un patrimonio di testimonianze delle nostra comunità e delle nostra gente. Caro Ingegnere, le faccio i complimenti più sinceri per questo traguardo raggiunto. 100 volte bravo a Lei. Complimenti, inoltre, a Salvatore che in questi anni ha messo a disposizione la sua professionalità e la sua competenza nel Giornale rendendolo sempre piacevole anche da un punto di vista estetico. So bene, per quanto ho raccontato precedentemente, quanto sia importante per noi figli e per me nello specifico, difendere il patrimonio sociale creato da un proprio genitore. Complimenti ai tantissimi redattori, scrittori che hanno lasciato le loro mani ed i loro pensieri sul giornale; per tutti cito due persone a cui ho voluto molto bene fra quelli che ci hanno lasciati: il mio maestro Cenzino e Berto.

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CAPOSELE IN CARTOLINA

ALL'INTERNO DELLA "SELETECA FOTOGRAFICA" DE LA SORGENTE POTETE RITROVARE TUTTE LE IMMAGINI PIÙ BELLE E LA SERIE COMPLETA DELLE CARTOLINE DEDICATE AL NOSTRO PAESE. WWW.FLICKR/LASORGENTE

LE ATTIVITA’ DELLA PUBBLICA ASSISTENZA CAPOSELE

I

l 2020 era iniziato con la nostra, oramai decennale “Tombola di beneficenza“ che aveva aggregato, la sera del primo dell’anno, un gran numero di persone, d’età svariata, unite dalla voglia di stare insieme e divertirsi. Le nostre attività in seguito, procedevano come di solito; emergenza sanitaria, trasporti non in emergenza, accompagnamento presso il SerD di Grottaminarda, centro anziani e centro diversabili, Centro di riuso Meno è Meglio, segretariato sociale, distribuzione di ausili e presidi sanitari, banco alimentare. Agli inizi di febbraio, quando non sapevamo cosa, di lì a poco, sarebbe successo, la Pubblica Assistenza ha organizzato un convegno dal titolo “Curare e Prendersi cura - Per una medicina ed un volontariato UMANIZZATI”. Il convegno ha avuto come tema centrale il paziente e la rete di cura, di vicinanza ed umanità, che si deve creare intorno a lui, a partire dal medico che deve saper offrire al paziente competenza, umanità e capacità ed ascolto, altrimenti, come diceva Umberto Veronesi: Un medico si riduce ad essere solo un bravo tecnocrate. Il convegno ha visto la partecipazione del Dottor Carlo Iannace, Senologo della Brest Unit del Moscati di Avellino, che ha fatto della sua professione, un atto di umanità e solidarietà, diventando (grazie ai suoi innumerevoli appuntamenti per visite senologiche gratuite) “un volontario tra i volontari” delle AMDOS e AMOS Irpine. Hanno partecipato al convegno anche Pina Martina, Presidente dell’AMDOS Alta Irpinia che ha condiviso il suo toccante racconto del percorso durante la malattia, e

l’ematologo Dott. Giovanni Vuotto, sempre sensibile a tematiche sanitarie e sociali. Questo convegno, nel delineare la figura del medico che sa prendersi cura, ha anticipato quello che di li a poco, sarebbe diventato, purtroppo, un tema d’attualità, l’importanza della figura degli operatori sanitari in una situazione devastante ed imprevedibile, quale sarebbe stata la pandemia dovuta al virus covid-19. Questa pandemia, ha stravolto la vita di tutti e anche la Pubblica Assistenza ha dovuto cambiare il suo modo di operare: abbiamo dovuto interrompere alcuni servizi, modificarne altri e realizzarne di nuovi, utili a rispondere alle particolari esigenze previste dai decreti emanati in funzione del contenimento del COVID-19. Ad esempio, abbiamo dovuto chiudere il Centro per anziani e, per cercare di star loro vicini comunque, abbiamo e stiamo ancora realizzando, un’attività diversa: l’attività “vicini a distanza” che consiste nel chiamarli telefonicamente quasi quotidianamente, per raccontare e farci raccontare com’è andata la giornata, come si sono trovati a stare obbligati in casa, cosa sono riusciti a fare e ovviamente, se avevano bisogno di qualcosa . Abbiamo fatto nuove esperienze operative da quando, la Pubblica Assistenza è stata inserita ufficialmente nel COC attivato come prevede il piano di protezione civile comunale ed ha avuto assegnata la responsabilità di due funzioni, quella “Volontariato” e quella “Assistenza alla popolazione”. Seguendo le prescrizioni normative e oltre alle attività ordinarie sempre svolte, sono state realizzate per conto dell’amministrazione comunale, le atti-

vità di recupero in Regione e consegna porta a porta delle mascherine per i cittadini, il punto consegna a Caposele e Materdomini delle mascherine per bambini, il servizio di consegna a domicilio di farmaci e spesa per chi era impossibilitato a muoversi, e il supporto alla polizia municipale nella sorveglianza generica per evitare gli assembramenti. In questa fase, ci teniamo ad evidenziare che abbiamo registrato l’avvicinamento di diverse persone spinte dalla volontà di aiutare la comunità che sono state e saranno preziose anche in futuro a cui va il nostro riconoscimento. Abbiamo anche risposto al bisogno straordinario di donazioni di sangue per gli ospedali, in questo periodo, organizzando, nel rispetto delle norme previste dal DPCM del 9 marzo 2020, nell’ambito delle iniziative del COC e in raccordo con l’Avis “V. Palmieri“ di Lioni, una giornata di raccolta sangue che ha visto la partecipazione di oltre 80 donatori che pure ringraziamo, ancora una volta. Come ogni anno, siamo riusciti a raccogliere fondi per l’AIRC, distribuendo, in occasione della festa della mamma, le Azalee della Ricerca, ma quest’anno, abbiamo dovuto attivare un servizio di prenotazione e vendita attraverso internet; La Pubblica Assistenza, si è occupata di effettuare un unico ordine ed ha poi consegnato a domicilio la pianta, riuscendo a contribuire anche in questa fase, anche grazie alla disponibilità dei cittadini. Siamo riusciti infine, a dare qualche risposta concreta ai nuovi bisogni ed alle nuove emergenze che il covid-19 ha evidenziato; Grazie all’aiuto di una raccolta fondi proposta

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dalla Proloco coi Comitati festa e tutte le associazioni, allargata poi ad esercenti e cittadinanza, abbiamo avuto mezzi da destinare alle famiglie assistite dalle sezioni Caritas di Caposele e Materdomini e dalla nostra associazione. Sono stati raccolti quasi 2000 € che sono stati utilizzati per risolvere diversi problemi concreti che si sono manifestati. A questo proposito ringraziamo anche in questa sede, quanti hanno contribuito a realizzare questo bel gesto di solidarietà concreta tra cittadini. La Pubblica Assistenza, i suoi volontari, hanno cercato, come sempre, di fare la propria parte in questa fase problematica, confermando di essere vicini a chiunque abbia bisogno di aiuto, con presenza e operatività. Se occorre, ci siamo, ma anche solo per curiosità, informatevi, seguiteci sui social, telefonate o passate in associazione, vi aspettiamo!E ricordiamo infine a tutti, che non siamo ancora usciti dalle criticità dell’epidemia, e solo seguendo le norme e le indicazioni di sicurezza, insieme, supereremo anche questo periodo nel migliore dei modi.

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Sport

Gymnasium

Riceviamo dal Vice Sindaco dott. Armando Sturchio e pubblichiamo PIANO ECONOMICO DI RILANCIO PER LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE E PROFESSIONALI DEL COMUNE DI CAPOSELE

U

na sorta di cambio di paradigma, osservata dopo il lungo periodo di riduzione dei nostri preziosi spazi esterni, quasi fantasiosamente inseguita per giorni sui balconi irradiati beffardamente da un sole e da una primavera incalzanti, ha riguardato la pratica sportiva anche nella nostra piccola realtà di paese. Di questo irriducibile bisogno di libertà, di ritorno alla normalità, lo sport, nella sua accezione più completa, si è fatto via via interprete e mediatore. Tale rinnovato interesse si manifesta quotidianamente attraverso corse e camminate di concittadini di ogni età tra le strette ed assolate curve di “Pontesele” durante le ore del meriggio. Inoltre, un crescente numero di appassionati di ciclismo, si cimenta per km lungo i vari percorsi, fatti di continui sali e scendi che in maniera suggestiva conducono nelle verdi valli e nei paesi del vasto territorio irpino e della valle del Sele. Allo stesso modo, questo desiderio di vivere all’ aperto ed in armonia con ciò che circonda la nostra vista giornaliera da ogni punto di Caposele porta ad apprezzare le escursioni, il trekking di montagna attraverso sentieri che si inerpicano dalle immediate sponde delle sorgenti ( trekking delle 7 fontane di Caposele) fino a vette poste oltre i 1500 metri di altitudine in un susseguirsi di castagni, faggi secolari, origano selvatico, timo, fragoline di bosco, lamponi e dove l’ incontro con la fauna di montagna rende puramente autentica l’esperienza. La riflessione e l’ ovvia domanda nascono da tali osservazioni: sarà un mutamento temporaneo, un entusiasmo verso la pratica sportiva indotto da una forzata chiusura all’interno del proprio spazio domestico oppure un’ ascesa oramai irrefrenabile? Appare superfluo e superato citare ricerche che ne evidenziano gli effetti benefici, oppure prendere come esempio le popolazioni del Nord Europa, dove le condizioni climatiche sono anche ben

di Daniele Caprio – Presidente ARS Caposele

più dure, in cui l’ individuo e lo sport rappresentano un’ unica monade. Si potrebbe, invece, compiere un excursus storico che porta direttamente nella culla della civiltà, l’ antica Grecia, analizzando la parola Gymnasium. Tale termine stava ad indicare un luogo dove i ragazzi si educavano alla pratica sportiva ma anche alle arti musicali, alla letteratura ed alla filosofia. I greci svilupparono la consapevolezza della forte relazione esistente tra atletica, istruzione e sanità. Il mantenimento della salute e della forza fisica venivano considerate alla stregua e quasi propedeutiche al tempo dedicato alle lettere e alla musica per educare in maniera completa l’ individuo alla morale ed all’etica. Ai nostri giorni il termine ginnasio riveste il medesimo significato intrinseco indicando i primi due anni di studi classici, due anni di sviluppo delle facoltà intellettive e fisiche funzionali ad affrontare il percorso di formazione liceale. In conclusione, camminate, corse, trekking e qualsiasi pratica sportiva continueranno a svolgere il loro prezioso ruolo di rigenerazione mentale, susciteranno esperienze intense, stati d’animo ed emozioni per una vita che sia completa. Pompeii gymnasium, from the top of the stadium wall.

Nei limiti e nel rispetto degli equilibri di bilancio è intento dell’Amministrazione Comunale introdurre ogni misura idonea a supportare le attività economiche costrette alla chiusura a seguito delle disposizioni Covid-19. Queste misure approvate sono volte a garantire il sostegno economico di attività produttive, studi professionali e famiglie, dirette a contemperare le esigenze delle attività commerciali ad adeguarsi alle vigenti disposizioni normative in materia di distanziamento imposte dai DPCM e dalle ordinanze del Presidente della Regione Campania, nonché ad alleggerire il peso della tassazione locale sulle attività economiche medesime. Per questo motivo, in data 01/07/2020, la Giunta Comunale ha deliberato di proporre al Consiglio Comunale l’agevolazione, in via straordinaria ed eccezionale, della TARI dovuta per l’anno 2020 per una RIDUZIONE COMPLESSIVA ANNUALE della Tariffa del 43,33% Il soggetto passivo della Tassa, per ottenere l’agevolazione, deve presentare apposita dichiarazione al Comune, su modello predisposto dall’Ufficio tributi, entro il termine perentorio del 31/07/2020. L’agevolazione è applicata al soggetto in regola con i pagamenti della TARI degli anni precedenti al 2020 L’Amministrazione Comunale, inoltre, al fine di promuovere la ripresa delle attività turistiche, danneggiate dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 e considerando che le imprese di pubblico esercizio titolari di concessioni o di autorizzazioni concernenti l’utilizzazione del suolo pubblico sono ESONERATI dal 1° maggio

fino al 31 ottobre 2020 dal pagamento della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) ha ritenuto di intervenire in merito, AMPLIANDO il periodo di agevolazione previsto dalla norma e INTRODUCENDO per il periodo di chiusura forzata dei mesi di marzo e aprile 2020 e per il periodo novembre e dicembre 2020, una RIDUZIONE del 90% della Tassa dovuta. • I titolari degli esercizi commerciali dovranno presentare al Comune apposita istanza di occupazione del suolo pubblico con acclusa planimetria con la proposta dello spazio da occupare e indicazione della motivazione dell’occupazione; • lo spazio concesso dovrà essere utilizzato in modo tale da non limitare o disturbare l’esercizio di diritto altrui; • il concessionario dovrà adottare tutti gli accorgimenti con riferimento agli aspetti di safety e security, comprensivi di tutti i dispositivi e le misure strutturali per garantire le migliori condizioni di sicurezza nonchè l’ordinato svolgimento dell’occupazione a salvaguardia della pubblica incolumità; • il concessionario, dopo l’orario di chiusura dell’esercizio, dovrà rimuovere obbligatoriamente le strutture posizionate; L’agevolazione è applicata ai soggetti che siano in regola con i pagamenti della TOSAP degli anni precedenti al 2020 Su Albo Pretorio del sito del Comune di Caposele sono pubblicati i particolari delle delibere

La partenza della corsa dei Tre Campanili del 2019

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Questa

rubrica è disponibile per chiunque volesse pubblicare foto dei

propri eventi felici.

La redazione de "La Sorgente" è a vostra disposizione per tutto il materiale che VOI ci inviate in tempo utile prima dell'uscita del giornale. le foto publicate sono il segno della vostra collaborazione.

Giorni Lieti

Bottiglieri Lorenzo di Gerardo e Michela Campione, nato il 04.03.2020 Ambra Mansi di Alfonso e di Mariangela Sturchio nata il 13.03.2020

“Tre cose ci sono rimaste del paradiso: i fiori, le stelle e i bambini” (Anonimo) Elisabeth Del Guercio, di Antonio e Micaela Spatola. Nata a Burgdorf (Svizzera) il 4 febbraio 2020

Massimo Chiaravallo e Nunzia Pallante sposi- 28.12.2019

Ginevra Longo di Roberto e di Rocchina Grasso - 20.02.2019

Carmine Luongo di Toni e Filomena Malanga - 4.05.2020

Dario Corona di Salvatore e - Natasha Smishna, nato 801 2020

Francesco Contino di Rosario e Gerardina Feleppa nato il 11.05.2020

Diego Pallante di Pierlorenzo di Cristina Chiaravallo -12.04.2020- nella foto insieme al fratellino

MARIKA CASTAGNO – LAUREA IN FARMACIA E FARMACIA INDUSTRIALE – UNIVERSITA’DEGLI STUDI DI SALERNO – 26.03.2020

Gerardo Malanga di Giuseppe e Gerardina Russomanno nato il 20.06.2020 con la sorellina

FLORIANA NESTA E MARIA TOBIA – PER ENTRAMBE, LAUREA IN PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE – UNIVERSITA’ “G.D’ANNUNZIO” DI CHIETI/PESCARA – 19.12.2019 Sozio Silvia di Gianni e di Annarita Testa - 19.04.2020

Rosa Russsomanno e Giuseppe Toriello in occasione 41 anni di Matrimonio

ANGELA ROSANIA - LAUREA MAGISTRALE IN SICUREZZA E QUALITA’ DELLE PRODUZIONI ANIMALI – UNIVERSITA’ ALMA MATER STUDIORUM DI BOLOGNA, CON VOTI 110/110 e lode – 17.03.2020

Mariarita Cibellis Laurea in Ostetricia 25/05/2020 conseguita presso - Università degli Studi di Salerno Tesi sull’ importanza dello stile di vita e della continuità assistenziale per la donna in menopausa

CONTINO CARMINE DI MICHELE E ANGELA MELILLO 05/06/2020

70 anni di matrimonio Il 17.12. 2019 Giovanni Cuozzo e Carmela Nesta

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Giorni tristi

LA REDAZIONE ESPRIME LE PIU' SENTITE CONDOGLIANZE A TUTTI I PARENTI

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In memoria di... RICORDO DI

DON ALFONSO FARINA di Giuseppe Casale Vescovo di Foggia

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Grazie Agnese

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gnese Malanga per tantissimi, “cumma Agnese”, ha rappresentato per tutti, il sano attaccamento al nostro paese, alla sua storia, alle sue tradizioni socioculturali, religiose, alimentari. Da sempre, anima allegra e instancabile che ha ispirato manifestazioni come la nostra Sagra delle Matasse, oramai un evento che distingue Caposele nel territorio. Da sempre, sostenitrice della Pro loco, delle sue attività che ha collaborato a realizzare fino alla fine dei suoi giorni, come dimostrano i suoi scritti, preparati anche per questo numero de “La Sorgente”. Per sempre, la ricorderemo, ogni volta che parleremo di Caposele e delle sue tradizioni, che insegneremo a fare le matasse e gli amaretti, racconteremo il perché si preparano i tagliolini al latte per l’Ascensione o perché festeggiamo S.Lucia a maggio e non a dicembre. Con lei abbiamo perso un valido ambasciatore, un pezzo dell’essenza caposelese, ma è grande l’eredità che ci ha lasciato e tanti gli insegnamenti. Per quanto hai fatto, grazie cara Agnese.

Ricordo Carmine Zarra

L

a morte di Carmine Zarra ha lasciato un po’ tutti nello sconforto. La notizia della sua dipartita ci è giunta come fulmine a ciel sereno. Se ne andava l’uomo che, con grandi sacrifici, aveva realizzato un Ristorante di ottimo livello e che per ragioni di salute sua e principalmente di sua moglie dovette chiudere innanzi tempo. Grande fu la delusione di quanti erano abituati alla sua cucina tipica e genuina ed alla disponibilità di tutto il suo staff familiare. Carmine ti accoglieva sempre con il suo sorriso bonario e con l’accoglienza tipica del gran signore. Ci mancherà il suo garbo, il suo modo di fare sempre amichevole e gentile, la sua disponibilità. Gli amici conserveranno di lui il ricordo di un uomo buono , onesto e perbene.

PER MARIA (L’INGLESE)

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entre ancora speravamo di vederti ritornare a Caposele, come avevi promesso, questo maledetto virus ti ha portato via, ma la tua allegria, il tuo sostegno incondizionato alla Comunità, la forza e la capacità di essere sensibile e solidale, rimarranno per sempre nei pensieri di tutti i tuoi amici della Pro loco, che non hai mai smesso di supportare, e di questo paese a cui eri affezionata.

i può vivere in vari modi l’attaccamento alla propria terra, alla propria gente. Ci sono i campanilisti, per i quali non vi è al mondo paese migliore del luogo natio. Sono nostalgici, vivono in un ricordo sterile, gretto, di pretesa superiorità. Anche se vanno per il mondo, sono incapaci di cogliere le ricchezze presenti in altre comunità. Non hanno memoria, ma vivono di rimpianti. Perchè la memoria è un legame che non chiude, non isola, non isterilisce. Ma, apre al dialogo, all’incontro, alla comunione. La memoria vive con intensità i valori presenti nella propria esperienza, li arricchisce, li rende capaci di diventare esperienze universali. La memoria non blocca la crescita della persona e della società, ma favorisce un processo dinamico e stimola una osmosi che diventa pienezza di vita. Nel solco di una memoria viva e feconda si colloca l’amore di don Alfonso Maria Farina alla sua Caposele. Egli si proclama un Caposele, quasi identificandosi con la sua terra. Si definisce un Caposelese verace. Quando si accinge a tracciare il ricordo di donna Alfonsina Santorelli, egli indica con estremo rigore il rapporto tra persona e ambiente di appartenenza. “E’ risaputo che persone, cose e circostanze, in mezzo alle quali si vive, influiscano sensibilmente sulla formazione di un individuo, come nei quadri il paesaggio o le prospettive architettoniche in lontananza ambientano le figure o le scene. Sicché, per comprendere appieno, nel caso nostro, la personalità di Alfonsina Santorelli, gioverà non poco la conoscenza dello sfondo da cui si stacca luminosa, come da un trittico medioevale “.

“Pane e lavoro e sogni sconfinati ha la mia gente”. Si staglia nitida la figura del padre. “Ei vuole il giusto ed odia la malizia, a tutti si concede, generoso”. La povertà della casa paterna non intristisce il cuore, ma fa scoprire ricchezze superiori a quelle economiche. “Eri una reggia, povero mio nido”. In tempi in cui si parla tanto di ambiente, le parole di don Alfonso suonano anticipatrici e impegnative. “Volta del tempio era l’immenso cielo, il cor l’altare, l’organo un piumato, le faci gli astri, i fiori sullo stelo l’addobbo, il fasto dell’amor spiegato... Oh! Figlio, la natura a Dio somiglia... La terra è sacra all’animo avveduto”. Condotto dalla volontà di Dio nel Cilento benedettino, don Alfonso visse i tratti fondamentali della sua appartenenza nel nuovo ambiente. Apprezzò e si fece esaltatore della uova famiglia, dedicandosi a celebrare la novità umana, creata dai figli di Benedetto. E, quando fu chiamato ad inserirsi in una comunità più vasta, non esitò a donare alla diocesi di Vallo della Lucania la sua testimonianza di uomo, maturato nella fede perciò, capace di donare sempre e a tutti le inesauribili ricchezze del Vangelo di Cristo. Più ripenso a don Alfonso, ai numerosi incontri avuti con lui, alla delicatezza con cui esprimeva la sua devozione verso il Vescovo, il suo ricordo devoto per i Bendettini, suoi educatori, la sua amicizia fraterna verso tutti i sacerdoti, l’attenzione ai suoi figli spirituali il rispetto per le autorità civili, e più ringrazio il Signore che mi ha fatto il dono manifestarsi a me attraverso un sacerdote, che mi ha fatto percepire la Sua presenza nella storia degli uomini.

In questa linea, il suo ricordo di Caposele si fa attento alle persone, colte nei loro valori di fondo: i valori spirituali, che si fondano sul profondo senso di fede, sulla forte religiosità, sulla professione, concepita come servizio alla comunità, sulla tradizione, rivissuta con un apporto creativo e personale. Soprattutto ne “I canti del Padre” tornano con insistenza, espressi in linguaggio poetico, i temi di fondo di una civiltà dell’uomo, aperta alla dimensione piena della persona, della famiglia, dell’ambiente, della comunità.

n.26.06.1930 - m.23.12.2019

Si rimane commossi nel leggere, espressi in felice sintesi, le aspirazioni di un popolo preoccupato del necessario per la vita, ma aperto alle grandi speranze.

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Il libro "Gente di Caposele" di Nicola Conforti stampato e distribuito nel 2019

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Cronaca

L’Irpinia che cresce sul web:

Irpinia World

RICORDI DI GUERRA

a cura di Salvatore Corona figlio di Gerardo di Chiara Nisivoccia e Gerardo Rosania

I

n pieno lockdown, precisamente nel mese di marzo, il Forum dei Giovani di Caposele ha ricevuto la proposta di entrare a far parte di un progetto ambizioso e senza precedenti: raccontare il proprio paese attraverso gli occhi di noi giovani. Abbiamo accolto con entusiasmo l’invito di Gerardo Megaro, ragazzo di Conza della Campania fondatore del blog, e ci siamo attivati affinché anche Caposele facesse conoscere all’intera Irpinia le proprie bellezze. L’obiettivo del blog è di ridare voce alla nostra verde Irpinia e di far scoprire le sue bellezze, molto spesso sottovalutate. Gli scrittori di Caposele che si sono cimentati in questa nuova esperienza sono Chiara Nisivoccia e Gerardo Rosania. Adesso lasciamo la parola ai due ragazzi che ci spiegheranno il progetto nei dettagli. “Il progetto nasce nel marzo 2020 quando Gerardo Megaro ha iniziato a raccogliere adesioni al progetto, e il 19 aprile la piattaforma di Irpinia World è stata lanciata sul web. Al momento del lancio i paesi coinvolti erano 21, tra cui Caposele, e in soli due mesi siamo quasi 60 paesi con molti ragazzi coinvolti. La piattaforma è cresciuta in modo esponenziale, oltre ogni più rosea aspettativa, raggiungendo le 50000 visite mensili di cui oltre 5000 provenienti dall’estero. I motivi che ci hanno spinto a scrivere di Caposele sono diversi. Uno tra tutti è quello di voler raccontare con parole semplici le tradizioni, i luoghi, le persone e la cultura del nostro paese, ampliando sempre di più le nostre conoscenze e scoprendo tutti quegli elementi che, troppo spesso, sono ignorati o addirittura sconosciuti da noi stessi caposelesi. Sin da subito l’idea di un blog online riguardante i nostri piccoli paesi ci ha entusiasmati molto perché l’abbiamo presa come una specie di “possibilità di riscatto” offerta alla nostra terra, ma anche perché per la prima volta, noi semplici giovani studenti, siamo stati chiamati a dar voce al nostro territorio. Non credevamo che fosse così bello ed emozionante far conoscere il paese in cui viviamo e cercare di rendere omaggio a tutto il verde che ci circonda, ma la cosa che più ci piace, e che alimenta la nostra volontà di scrivere per questo blog, è il coinvolgimento di ragazzi giovani. Capita spesso di sentirci persi nei nostri piccoli paesi, e perciò pensiamo di scappare chissà dove, ma Irpinia World ci dà la possibilità di guardarci intorno, di scoprire che cosa c’è di bello qui, di non guardare con superficialità i nostri ambienti, di confrontarci con altri territori e di condividere con tutti il fascino della nostra terra. Detto ciò, con una punta di orgoglio e di gratitudine, speriamo vivamente che questo progetto vada avanti il più possibile, coinvolga altri paesi ed altri ragazzi e cresca sempre di più, proprio come ha fatto fino ad ora.

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er non dimenticare i tempi bui della nostra storia, la seconda guerra mondiale. Molti Caposelesi hanno fatto la guerra, sono stati mutilati, imprigionati nei campi di concentramento soffrendo di stenti e maltrattamenti fino ad ammalarsi e nessuno oggi li ricorda. Questi nostri eroi nostrani che hanno combattuto contro il nazifascismo in nome della libertà meritano gratitudine e riconoscenza per quello che hanno fatto. Testimonianza di Gerardo Corona classe 1917: deceduto nel 2010 Partito per il militare (guerra) destinazione Gorizia, ero in servizio come artigliere a Postumia sul confine Jugoslavo, il 09-091943 dopo la firma dell’armistizio siamo stati abbandonati e lasciati a noi stessi, in quella situazione abbiamo cercato di fuggire verso la stazione per tornare a casa. Alla stazione di Gorizia però ci presero i famigerati fascisti e ci consegnarono ai nazisti come traditori. Ci chiusero nei vagoni e ci frustarono come bestie, poi fummo trasportati nei campi di concentramento in Germania, lo fui rinchiuso nello STALAG MI A presso Luckenwalde. Ci facevano lavorare nelle fabbriche belliche, solo a chi lavorava veniva dato da mangiare per gli altri era prevista la fucilazione. Da mangiare ci davano bucce di patate e barbabietole anche crude o brodaglia con un po’ di pane rancido, a volte sul fondo della gavetta rimaneva uno strato di sabbia. Quando arrivai, sotto la sorveglianza dei nazisti con i fucili spianati e dei loro cani rognosi, ci fecero dormire per terra sotto una specie di tenda e successivamente dentro vecchie baracche fatiscenti e piene di pulci. I compagni che venivano fucilati o morivano per fame venivano buttati dai propri compagni nelle fosse comuni senza onori militari, a volte erano già in decomposizione e pieni di vermi, era tutto un inferno. Noi nei campi eravamo identificati come I.M.I. (intemati militari italiani) o schiavi di Hitler, come tali fummo sottratti alla possibilità di controllo da parte della Croce Rossa Internazionale e alla tutela della Convenzione di Ginevra del 1929, dopo la cattura 600.000 circa tra ufficiali e soldati italiani furono costretti a scegliere se continuare a combattere a fianco dei tedeschi nella Repubblica di Salò o essere inviati nei campi di detenzione tedeschi, solo il 10% di loro accettarono di combattere con i tedeschi. Si calcola che nei campi morirono circa 30.000 I.M.I., questi grandi uomini scelsero di rimanere prigionieri nei lager piuttosto che combattere per Mussolini e ad ogni rifiuto le pene venivano inasprite sempre di più. Il 22 aprile 1945 i tedeschi abbandonarono il campo e fummo liberati dall’Armata Rossa. Qualche tempo dopo la Liberazione fummo consegnati agli alleati e dopo strazianti trasferimenti ritornai a casa nel settembre del 1945. Decorato con la Croce di guerra. Dopo 9 anni di servizio allo Stato italiano sono tornato invalido, e dopo 15 anni riconosciuto come invalido civile. Ricordare-ricordate. Gerardo Corona classe 1917

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Spero che un giorno Caposele ricorderà gli I.M.I. Caposelesi creando uno schedario di tutte quelle persone che non si sono piegate al nazifascismo e hanno lottato per la libertà.

UNA RADIO PER IL FUTURO di Francesco Ceres

“La radio che scorre” è il claim scelto dai ragazzi che hanno partecipato allo start up del progetto Radio Corrente Sele, alludendo alle acque del nostro Sele che, con la loro freschezza, danno vita all’intera valle. Ma cos’è Radio Corrente Sele? Si tratta di un progetto radiofonico nato a fine 2019 grazie alla fusione di due precedenti progetti. All’interno del primo, presentato dalla Pubblica Assistenza di Caposele, in partenariato con il Comune di Caposele e il Forum dei giovani di Caposele, nell’ambito del Bando Microprogettazione Sociale 2014-2015 del Centro Servizi per il Volontariato “Irpinia Solidale” di Avellino, si tenne nel 2017 un Laboratorio di comunicazione radiofonica. L’obiettivo di “Onde arancioni”, questo il nome dell’iniziativa, è stato quello di creare uno spazio innovativo attraverso il quale promuovere la cultura della partecipazione, dell’impegno civile e solidaristico. Oltre alle lezioni teoriche, molto entusiasmo ha suscitato la visita agli studi di Radio Punto Nuovo. Grazie ai fondi di questo progetto è stato possibile acquistare buona parte della strumentazione, ora utilizzata anche da Radio Corrente Sele. Venendo al secondo, si tratta di un progetto dell’Associazione di promozione sociale “pro_MUOVERE”, con il contributo del Forum Regionale dei giovani, del Forum dei giovani di Caposele e della Pubblica Assistenza di Caposele, presentato in risposta al bando “ANGinRadio” dell’Agenzia Nazionale per i Giovani. Con “ANGinRadio” i podcast sono diventati lo strumento attraverso il quale informare e ascoltare le nuove generazioni sulle opportunità messe in campo dalle istituzioni. Le chiacchierate all’interno dei 25 podcast hanno toccato le innumerevoli opportunità offerte ai giovani dalle istituzioni europee, si pensi ai programmi di scambio Erasmus o al Servizio Volontario Europeo. A tal fine, molto preziosi sono stati i contributi dei tanti ragazzi che hanno raccontato le loro esperienze formative in giro per l’Europa. Prima di passare a scrivere dei propositi

di Radio Corrente Sele, c’è da premettere che, sebbene la diffusione del web abbia rivoluzionato anche il mondo della radio, si tratta pur sempre di uno strumento non semplice da utilizzare. Se da una parte basta accendere l’autoradio o, oramai, cliccare play da un’app, dall’altra c’è un mondo fatto di strumenti, mixer, software il cui utilizzo non è alla portata di tutti. Anche per questo, Radio Corrente Sele ha ancora bisogno di tempo per diventare una vera e propria webradio che trasmetta contenuti e musica h24, ma i presupposti per creare uno spazio in cui fare informazione e intrattenimento ci sono tutti. Se è vero che l’idea di Radio Corrente Sele nasce da due progetti rivolti ai ragazzi, non si può pensare che non siano loro a portare avanti questo progetto. Proprio per questo, il primo passo, già a dicembre dello scorso anno, è stato quello di coinvolgere gli studenti del Liceo di Caposele che hanno risposto con entusiasmo alla chiamata. Purtroppo, l’emergenza sanitaria e il conseguente lockdown hanno modificato anche la nostra tabella di marcia e solo con l’arrivo dell’estate siamo riusciti a incontrarci per ripensare le attività da compiere. Gli spunti da cui partire sono stati tanti e stimolanti. Grazie alla varietà degli interessi e delle passioni dei ragazzi, ci sono tutti gli elementi per offrire una programmazione completa, con spazi dedicati all’intrattenimento e all’approfondimento tematico sul mondo dello sport e del teatro, sulle novità cinematografiche e musicali, con un’attenzione particolare ai fatti e agli eventi che riguardano Caposele, l’Irpinia e la valle del Sele. Nell’attesa di mettere in piedi un apparato che faccia diventare Radio Corrente Sele una vera e propria webradio, la diffusione dei contenuti avverrà attraverso i podcast che, avendo natura on-demand, possono essere ascoltati in ogni momento, oltre che sul nostro sito, anche sulle piattaforme più commerciali come Spotify o Mixcloud. Nel frattempo è sicuramente opportuno continuare a coinvolgere non solo ragazze e ragazzi, ma tutti coloro che ritengono di poter contribuire con idee nuove al progetto. Ovviamente, queste sono solo le prime tappe di un percorso che speriamo sia lungo e soddisfacente. Questo progetto ha fatto venire alla mente a tanti di noi, pur avendola conosciuta solo attraverso i racconti dei nostri padri e zii, ciò che Radio Caposele è stata per tante generazioni: luogo di aggregazione e di identità collettiva. Ci auguriamo che tutti i lettori de La Sorgente possano, in futuro, apprezzare anche la programmazione e i contenuti di Radio Corrente Sele, “la radio che scorre”.

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Dicono di noi

Giornali di Pro Loco: preziosi diari del territorio e delle piccole comunità locali

Fra di essi, “La Sorgente” di Caposele è il veterano della regione Campania Pro Loco editrici di un giornale: una su cento ce la fa

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na delle esigenze connaturate con l’attività di ogni Pro Loco è quella di COMUNICARE. Comunicare sia con i propri iscritti, che in generale con il territorio che le ospita. Dotarsi di un giornale è uno dei modi per soddisfare l’esigenza di comunicazione. Così nel passato sono nati, come funghi nel bosco, i giornali di Pro Loco. Da iniziative estemporanee, scollegate le une dalle altre, senza regie dall’alto. La vita di molte di queste iniziative editoriali è effimera: esce il numero uno, e poi spesso non si arriva neanche al numero due. Gestire e, soprattutto, mantenere economicamente in piedi un giornale è infatti cosa tutt’altro che semplice, in assenza di ogni sovvenzione esterna. Inoltre, le associazioni Pro Loco sono entità talvolta litigiose, spesso non in grado di garantire la continuità di gestione necessaria per editare un giornale. GEPLI, di cui tratteremo fra poco, da qualche anno ha cominciato a monitorare questi giornali, seguendone le pubblicazioni. Da questo monitoraggio, risulta che i giornali attivi sono oltre sessanta. Una considerazione che ora possiamo fare è che, essendoci a livello nazionale oltre 6.000 proloco, in media solo una su cento è editrice di una testata giornalistica. Parafrasando Gianni Morandi, “una su cento ce la fa”. Questa sessantina di giornali, sparsi per l’Italia, sono preziosi diari del territorio e delle comunità che li ospitano.

Distribuzione geografica, età, periodicità di uscita

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er quanto riguarda la dislocazione di questi giornali, ci aiuta la figura che ne mostra la distribuzione geografica: la maggior presenza è nel Triveneto, con una ventina di testate, seguono Piemonte e Campania con otto giornali ciascuno. Per quanto riguarda l’inizio pubblicazioni, dalla nostra anagrafe risulta che 10 di questi giornali sono nati prima del 1970, e vantano quindi mezzo secolo di attività. Alle loro spalle, al-

tre 11 testate nate negli anni 70; fra queste La Sorgente, nata nel 1974, è la più anziana fra le 8 testate di Pro Loco censite nella Regione Campania. L’ultima tabella che presentiamo è quella relativa alle periodicità di uscita. Le frequenze più diffuse sono, come si può notare, la trimestrale (20 testate) e la mensile (16 testate).

Qualche accenno su GEPLI

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EPLI è un acronimo che sta per Giornali Editi da Pro Loco d’Italia. Cos’è GEPLI? Diciamo prima cosa non è: non è un’ente o un’associazione, non è e non vuole essere un doppione o un’emanazione di UNPLI. La risposta giusta è: GEPLI è una comunità virtuale su Internet (volendo usare il termine inglese, una “community”) che mira a mettere in contatto e far interagire le persone che si occupano, a vario titolo, di giornali di Pro Loco.

quest’attività dura, senza interruzioni, da oltre quarant’anni, il caso è poi da record. Nella foto qui sotto, la consegna di una targa a Nicola Conforti, per la sua pluridecennale attività di direttore de La Sorgente, in occasione dell’Incontro GEPLI a Palma Campania nel giugno del 2016. Paolo Ribaldone – coordinatore GEPLI

GEPLI è nata da un’idea della Pro Loco di Caselle Torinese, che pubblica dal 1972 il mensile Cose Nostre e ha organizzato nel 2012 il primo raduno di questi giornali.

Premiazione di Nicola Conforti

L’attività di GEPLI si esplica tramite tre strumenti: il sito ( www.gepli. com ), una newsletter mensile, un raduno annuale, ogni anno ospitato da una delle Pro Loco dotate di giornale che si rende disponibile. Finora le Pro Loco ospitanti sono state, nelle prime otto edizioni dal 2012 al 2019, le seguenti: Caselle (TO), Spilimbergo (PN), Sant’Omero (TE), Ruvo di Puglia (BA), Palma Campania (NA), Castroreale (ME), Tiggiano (LE), Mortegliano (UD). Il raduno del 2020, previsto ad Assisi a giugno, è stato rinviato causa Covid-19.

Direttori da record

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er i giornali di Pro Loco, come per i giornali in genere, la figura del Direttore Responsabile è una posizione delicata. Talvolta a ricoprirla è una figura di facciata, quasi un prestanome. In altri casi invece il Direttore conduce effettivamente le attività del giornale, di cui talvolta è anche il fondatore. Questo è il caso di Nicola Conforti e del suo giornale. Quando

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bbi la ventura di conoscere Vittorio Gigliotti, l’ing. Gigliotti ideatore di questo piccolo gioiello della moderna architettura religiosa che oggi viene donato alla Comunità di Caposele, nei primi mesi del 1988 durante un mio viaggio di lavoro negli Stati Uniti. Eravamo ospiti dello stesso albergo, il Waldorf Astoria di Manhattan a New York, nel cui atrio c’incontrammo una mattina per puro caso; e da buoni meridionali, lui salernitano io napoletano, subito simpatizzammo. Nacque così un sentimento, destinato a durare negli anni, di grande rispetto e stima reciproci – ma che, almeno da parte mia, non esiterei a definire di sincera amicizia – sentimento che, per gli interessi culturali che ci accomunavano non solo nel campo della Ingegneria, ci portò a dedicare a quest’opera, la “Chiesa sulla sorgente”, non poche delle rispettive energie professionali. L’ing. Gigliotti era dunque a New York nel 1988, in occasione di una prestigiosa Mostra Internazionale di Architettura che vedeva la partecipazione di 150 progettisti di chiara fama, ventinove dei quali italiani, prescelti in tutto il mondo da un Comitato presieduto dal Preside della Facoltà di Architettura della Columbia University. E Vittorio Gigliotti era stato chiamato a parteciparvi con la sua piccola “Chiesa sulla sorgente”, il cui progetto egli aveva concepito, almeno nello spirito e nella impostazione, già da due anni, nel 1986. Il sorprendente riconoscimento ed il successo conseguito da questo progetto in una così importante Mostra Internazionale, per il suo esaltante significato architettonico e biblico, fu posto in grande rilievo anche dalla prestigiosa rivista di architettura “Oculus” di New York, che è l’organo ufficiale dell’American Institute of Architectur. La Chiesa di San Lorenzo in Caposele rientrava già allora nel filone della ricerca che Vittorio Gigliotti, da oltre vent’anni, andava sistematicamente sviluppando in progetti ed opere architettoniche. Così, la sua appassionata ricerca gli valse a Londra nell’anno successivo, il 1989, un nuovo riconoscimento con l’assegnazione del Premio “Gairn”, che la Comunità Economica Europea attribuiva ogni due anni all’ingegnere europeo che avesse fornito un contributo rilevante all’ingegneria contemporanea. Ed in concomitanza con la consegna del Premio, il 2 marzo del ’90, venne allestita presso l’Istituto Italiano di Cultura di Londra una mostra fotografica delle opere di Vittorio Gigliotti, tra le quali non poteva mancare naturalmente il progetto della Chiesa Madre di Caposele. Nel progetto della Chiesa Madre di San Lorenzo l’ing. Gigliotti ha trasfuso il suo profondo sentimento religioso. L’acqua ne costituisce il motivo dominante. La nuova chiesa sorge infatti sullo stesso sito del preesistente tempio ottocentesco distrutto dal terremoto del 23 novembre’80, a poca distanza dalla sorgente del fiume Sele. E pertanto egli ha voluto chiamare la sua opera la “Chiesa sulla sorgente”; e vi ha inserito nella facciata una roccia da cui zampilla una vena d’acqua, intendendo così ricordare la fonte naturale e la figura biblica della pietra da cui sgorga la vita.

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LA DEDICAZIONE DELLA CHIESA MADRE Prof. Luigi Adriani Nell’immaginario poetico dell’Autore l’acqua, secondo le parole del profeta Ezechiele, “scaturisce dal tempio” per portare la vita, poiché “dove giungono le acque del santuario tutto rivive e viene risanato”. Nella religione cristiana l’acqua possiede soprattutto la virtù di purificare l’uomo dalle impurità della vita terrena, poiché “ciò che vi viene immerso muore per risanare senza peccato”. Con tale intento il progetto Gigliotti prevedeva che l’acqua sgorgante dalla roccia confluisse nella vasca battesimale per la purificazione e la rinascita; anzi, come dalle indicazioni di Ezechiele, doveva giungervi scorrendo in un canale da realizzarsi appositamente a lato dell’edifico. Purtroppo però, a causa di difficoltà di ordine costruttivo, non è stato possibile conseguire questo obiettivo simbolico. Ma l’esaltazione del “genius loci” dell’acqua si riconosce anche nella conformazione a struttura sinuosa dell’edifico. Per la complessa articolazione dei volumi delle piccole cappelle laterali, che si susseguono in una teoria di corpi semicilindrici vuoti e pieni, esso può essere considerato una scultura eseguita sul terreno e nella roccia. L’ondulazione continua e regolare avvolge in un unico spazio anche l’antico campanile, visibile all’interno della sala di preghiera, come parte integrante della terra e della pietra. Le strutture della copertura, sia all’esterno che all’interno, evocano anch’esse con le loro linee e le loro ombre i fletti fluidi ed i vortici dell’acqua fluente. Vi si riconoscono tre gusci a contorno pressappoco ellittico – una sorta di barche capovolte – oltre all’ultimo, più grande, a forma di esagono curvilineo che, sormontato da un lucernario, copre la zona dell’altare. E lo spazio della sala di preghiera viene plasmato, per così dire, dal fascio di luce che dalla cupola esagonale scende sull’altare, quasi a materializzare visivamente l’intervento divino; mentre i raggi di luce minori che provengono dalle cupolette in corrispondenza delle piccole cappelle laterali – le “absidiole”, come amava chiamarle Gigliotti – vanno a definire i nitidi volumi dell’interno e la copertura a gradini che disegna le ellissi del soffitto. L’ing. Gigliotti si è in più di un’occasione autodefinito un “Ingegnere architettonico”, intendendo indicare con questa locuzione colui che ha avuto la possibilità di integrare felicemente e con piena soddisfazione, nel campo professionale, le attitudini e la formazione culturale proprie dell’ingegnere e dell’architetto. Io, in verità, lo considero piuttosto ed essenzialmente un “artista”. Ed è per questo che quando, tra la fine del 1995 e i primi mesi del ’96, mio figlio Diego ed io ci accingemmo ad elaborare il progetto strutturale della “Chiesa sulla sorgente”, nel quale esigenza primaria era quella dell’uso plastico del cemento armato come l’ “artista” l’intendeva – esigenza resa più difficile dall’ardito disegno, specie della copertura – quando dunque ci

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accingemmo a quest’impresa, forte era in noi il timore di sbagliare nel confezionare un prodotto che, per essere “cantierabile”, doveva risultare del tutto comprensibile alle maestranze addette alla realizzazione dell’opera. Ed allora, malgrado fossimo tutt’altro che dei neofiti, le telefonate di verifica con l’ “artista” erano quotidiane e lunghissime. Devo confessare che mai, come in questa occasione, mi sono sentito solo un homo faber, l’umile artigiano cioè al quale era affidato il compito di tradurre in linguaggio cantieristico, curva dopo curva, gradino dopo gradino, la scultura dell’ “artista”. E in questo spirito si rese necessario costruire preliminarmente nel nostro studio di strutturisti un plastico dell’edificio, un modello di legno a grande scala (1:50), per poterne prima comprendere compiutamente e poi disegnare, calcolare e rendere realizzabili tutti i difficili particolari costruttivi. Il plastico – consegnato durante i lavori alle imprese esecutrici, ma poi per fortuna rientrato alla base perché mio figlio ed io siamo ad esso sentimentalmente legati – ha costituito anche in cantiere un utilissimo strumento operativo. Non è il caso di dilungarsi troppo in questa sede sulle caratteristiche del progetto strutturale. Dirò solo che la piccola “Chiesa sulla sorgente” è in realtà un edifcio con area di ingombro di quasi 650 mq (m 36 x m 18 circa), la cui sala di preghiera è capace di accogliere i fedeli con 250-300 posti a sedere e 500 /600 unità, compresi i posti in piedi, nelle grandi occasioni. Essa ricalca lo schema del preesistente tempio ad una navata, sulla stessa area e con lo stesso ingombro volumetrico della Chiesa distrutta dal terremoto, ma naturalmente con un impatto architettonico totalmente innovativo. La sala di preghiera è contenuta in un involucro scatolare di forma pressappoco rettangolare, con sviluppo delle pareti perimetrali in cemento armato praticamente continuo e planimetricamente alquanto articolato, a formare le cosiddette “absidiole”, ma simmetrico rispetto all’asse principale. Funge da coperchio della scatola la elegante copertura – costituita da un guscio in c.a. leggero strutturale, di spessore 20 cm circa, gradonato sia all’estradosso che all’intradosso – che nella dimensione trasversale si presenta mediamente con il profilo di una volta ribassata, mentre nella dimensione longitudinale appare con un profilo ricco di “picchi” e di “gole” peraltro non molto pronunciati rispetto ad un piano orizzontale. Il fondo della scatola, infine, è un solaio latero-cementizio che funge da calpestio della sala di preghiera, posto ad una quota di poco superiore a quella media della piazza antistante l’edificio. Con tali premesse è sembrato logico, dal punto di vista strutturale, esaltare il comportamento scatolare dell’insieme

con la creazione di una sorta di “doppio fondo” della scatola, mediante il quale, abbassando il baricentro complessivo delle masse e irrigidendo il blocco di base, potesse conseguirsi l’obiettivo di rendere per quanto possibile uniformi le azioni trasmesse dal manufatto al piano di posa: evitando così quelle dannose concentrazioni di tensioni che sono presenti tutte le volte che le azioni sismiche orizzontali vengono affidate ad un numero limitato di elementi strutturali verticali ed alle relative fondazioni. E’ stata perciò concepita una fondazione diretta, poggiante cioè direttamente sul piano di posa dell’edificio, costituita da un blocco di elevatissima rigidezza, a sua volta scatolare, con un’altezza complessiva di poco superiore ai 4 metri e quasi completamente incassato nel terreno. Il blocco è delimitato superiormente dal solaio di calpestio della chiesa, inferiormente da una robusta platea di base in c.a. e lateralmente da pareti verticali in c.a. con l’identico articolato sviluppo planimetrico di quelle superiori, che formano, come si è detto, l’involucro della sala di preghiera. La suddetta articolazione delle pareti perimetrali nel loro sviluppo planimetrico longitudinale conferisce all’involucro della chiesa una buona rigidezza “da forma” anche in direzione trasversale; mentre per il blocco scatolare di fondazione l’irrigidimento è stato reso ben più significativo mediante la realizzazione di travi-parete trasversali portanti il sovrastante solaio latero-cementizio ed incastrate alle due estremità nelle pareti a forma di corona semicircolare (le basi delle “absidiole”). Le suddette lastre-pareti trasversali delimitano nel piano interrato sette ampi comparti, tra loro comunicanti attraverso larghe aperture che in esse sono state previste: sicché in seguito si potrà forse, con idonei accorgimenti, rendere fruibili tali locali per la catechesi ed i servizi comunitari offerti dalla Parrocchia. Alla luce di quanto si è detto il descritto complesso scatolare entro terra è riguarda- bile come un “unicum” indeformabile, assimilabile quindi ad una sorta di “fondazione a scatola nervata” dell’edifcio fuori terra, nella quale possono considerarsi incastrati gli elementi verticali (pareti delle “absidio-le”) che sostengono la copertura. Quest’ultima è costituita, come si è

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visto, da un guscio in c.a. leggero fortemente scalettato, destinato a portare, oltre al peso proprio, il sovraccarico da neve, nonché a trasmettere le azioni sismiche alle pareti verticali curve che rappresentano i veri elementi sismo-resistenti. E poiché le suddette azioni sismiche sono praticamente proporzionali al peso proprio, si è rivelata vincente l’idea di realizzare l’intera copertura in calcestruzzo leggero strutturale – di notevole resistenza caratteristica (Rck30) ma con un peso di 1750 kg/mc inferiore del 30% rispetto a quello di 2500 kg/mc caratteristico del cls ordinario – che permette di conseguire notevoli economie insieme ad un significativo aumento del coefficiente di sicurezza globale. Tanto più che, pur trovandosi il Comune di Caposele in zona sismica di 2^ categoria, nei calcoli è stato assunto, secondo la vigente Normativa, un coefficiente d’intensità sismica maggiorato del 50% poiché l’edifcio prospetta su spazi interni ristretti di un centro abitato. Mi piace aggiungere, a proposito del progetto strutturale, che essendo stato esso redatto all’incirca 12 anni orsono,

quando non erano correntemente disponibili gli odierni sofisticatissimi programmi di calcolo automatico, il dimensionamento è stato effettuato con successive modellazioni strutturali, tese, attraverso una serie di tentativi, a simulare un comportamento del modello che risultasse il più possibile rispondente all’effettivo comportamento fisico di un organismo complesso, quale solo la matita di un “artista” poteva concepire. Analogamente a carattere artigianale – anche questo lo dico con un certo compiacimento – sono tutti i disegni del progetto, redatti rigorosamente a mano ma da disegnatori provetti. Ad un’ultima riflessione, che in qualche modo si collega alla tecnica costruttiva impiegata nel progetto che ho appena illustrato per sommi capi, mi spinge la lettura dell’invito pervenutomi per l’odierna cerimonia. Mi ha colpito infatti un concetto espresso da S. Agostino, ivi richiamato, allorché sviluppa il parallelo tra la Chiesa, intesa come comunità cristiana, e la Chiesa intesa come edifico, materiale luogo di culto. “Quando i cristiani vengono battezzati, catechizzati, formati” – dice S. Agostino – “sono come le pietre che vengono sgrossate, squadrate, levigate fra le mani degli artigiani e dei costruttori”. E come le pietre devono essere solidamente connesse tra loro, così i cristiani “non diventano casa di Dio se non quando sono uniti insieme dalla carità”. Orbene, in questo edificio la struttura portante non è costituita da un insieme di pietre che occorre solidamente connettere fra loro, ma è costituita addirittura da un blocco interamente in cemento armato, un “unicum” cioè che, per definizione stessa,

Inaugurazione della Chiesa: parla il Sindaco, presente il Vescovo e altri Prelati

è continuo, solidale, indeformabile e resistente, almeno lo spero. E spero ugualmente, alla luce delle parole di S. Agostino, che, al di là dei simbolismi, un uguale, granitico sentimento di carità possa cementare l’unione di tutto il popolo dei fedeli che si ritroveranno in questo tempio, anzi dell’intero popolo di Caposele. Prima di concludere questo mio intervento sento di dover esprimere la più profonda riconoscenza a chi della materiale realizzazione di quest’opera è stato il vero artefce: il vostro don Vincenzo, anzi, se me lo consentite, il nostro don Vincenzo, al quale mi sono profondamente legato in tutti questi anni, ammirato come sono stato e sono tuttora del suo impegno, della sua abnegazione, dei suoi sacrifici. Quante sono le porte alle quali egli ha bussato, quante sono le volte in cui è stato respinto o, nella migliore delle ipotesi, ha ricevuto risposte evasive…… Perfino al Presidente della Camera dei deputati egli si rivolse, con accenti accorati ma fermi, allorché nel 1995, a 15 anni dall’evento disastroso, indirizzò, insieme ai parroci di Conza della Campania, di Calabritto, di Senerchia, una petizione al Presidente Irene Pivetti. Nella lettera – è doveroso farlo presente – nel mentre si denunciava che “nei nostri riguardi la tragica vicenda si va mostruosamente intrecciando con l’umana ingiustizia, aggiungendo la beffa al danno, in quanto risultano tuttora disattesi i criteri di assoluta priorità”, veniva al tempo stesso ricordato che “le nostre popolazioni hanno pagato il maggior prezzo in termini di vite umane, che furono sepolte dalle macerie, che certamente

prezzo non hanno e che rivendicheranno perennemente il sacro luogo che le rigenerò alla vita cristiana e risuonò anche dei loro canti nella lode del Signore”. Se si volessero raccontare tutti gli ostacoli, le traversie, il disinteresse, la noncuranza che don Vincenzo ha incontrato nel suo cammino dovremmo stare qui per ore. Ma alla fne il progetto, sia pure con enorme fatica, è stato approvato; i finanziamenti, sia pure col contagocce, sono arrivati; le difficolta con le Imprese esecutrici sono state superate; e la Chiesa è stata dotata di splendide opere d’arte, il magnifico Cristo di bronzo e poi l’altare, l’ambone, la sedia, tutti di marmo massiccio. Ci son voluti 28 anni da quel tremendo terremoto del 23 novembre ’80, ma la perseveranza di don Vincenzo è stata infine premiata. Amici di Caposele, domani 10 agosto ricorre la festività di San Lorenzo e sarà la notte delle stelle. Per un’antica credenza popolare si dice che se si esprime un desiderio nell’istante in cui si vede cadere una stella, il desiderio si avvererà. Orbene, qui a Caposele una splendida stella è già caduta, con un giorno di anticipo ma dopo 28 anni: è la Nuova Chiesa Madre, finalmente Vostra. Amici, onoratela, ma principalmente amatela! Caposele, 09 agosto 2008 Luigi Adriani

Il prof. Adriani, progettista delle strutture

La via laterale alla Chiesa che porta al Castello

“C’ero anch’io” E’ il titolo della foto che ritrae una gran folla di fedeli in occasione della inaugurazione.

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Il vecchio Battistero trapiantato nella nuova Chiesa

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GENEALOGIA CAPOSELESE a cura di Pasquale Ceres

La famiglia Benincasa di Caposele Nello scorso articolo, incentrato sulla famiglia Caprio, non ero riuscito ad inserire, per motivi di spazio, il numeroso ramo Girolamo Benincasa-Alfonsina Caprio. Per questo motivo ho deciso di recuperare e di trattare la famiglia Benincasa di Caposele. La difficoltà maggiore è stata l'assenza dal paese di persone con il cognome Benincasa cui fosse possibile appoggiarsi per le ricerche. La famiglia Benincasa, infatti, pur presente e nota a Caposele nella prima metà del secolo scorso, man mano si è spostata in altre zone, fino all'abbandono definitivo del paese di origine, rappresentato dalla vendita del palazzo Benincasa sito in via Pietraquaresima, poco prima del terremoto del 1980. Nell'800 esponenti della famiglia sono stati sindaci di Caposele, ad es. Nicola Benincasa, chirurgo, dal 1835 al 1838, e Donato Maria Vincenzo, farmacista, dal 1864 al 1870. Ci sono stati maestri con il cognome Benincasa, ad es. Don Giovanni, maestro elementare, dal portamento alto e con un metodo di insegnamento all'antica, un po' rigido; e Don Camillo, anch'egli maestro elementare, che insegnò fino agli anni 40. Di lui voglio ricordare la protesta coraggiosa, in pieno fascismo, in occasione della rivolta del 1939 contro l'esproprio delle acque del Sele: all'epoca mostrare dissenso non era una cosa da fare a cuor leggero, ed infatti fu punito come gli altri che osarono protestare: lui fu mandato al confino a Montefalcione. Finita la II Guerra Mondiale, riprese ad insegnare a Caposele fino agli anni 40 circa (fu maestro anche del direttore della Sorgente, l'ing. Nicola Conforti). Anche dopo aver spostato la loro residenza, alcuni Benincasa continuarono a tornare nel loro paese natio, almeno d'estate: si ricorda Donna Rosa (figlia dell'insegnante Don Giovanni), la quale sposatasi nel 1945 con un giovane avvocato di Mercato San Severino, Giuseppe Guercio, si trasferì a Roma. Tornò per anni a godersi le vacanze estive in un'ala del palazzo Benincasa, insieme alla famiglia (aveva almeno tre figli), fino agli anni 60.

Scolaresca all'altezza di Piazza XXIII Novembre, in epoca fascista. In primo piano a sinistra è riconoscibile l'insegnante Donna Antonina Benincasa (figlia di Girolamo C1). Al centro del gruppo, sulla destra, in nero con il cappello in testa dovrebbe essere l'insegnante Don Giovanni Benincasa (nipote di Giovanbattista A). (l'immagine per un effetto strano di stampa, risulta doppiata)

Proprio la storia recente del palazzo Benincasa mi ha permesso di trovare una chiave di lettura sulla storia della famiglia a partire dall'800: a metà del '900 la casa di famiglia risultava suddivisa in 3 parti, appartenenti a rami diversi ma collegati (vedi il grafico). E' una situazione che si vede spesso quando un bene appartenuto ad antenato comune, un bene che ha un valore affettivo e simbolico elevato, piuttosto che essere lasciato ad uno solo dei discendenti, viene suddiviso in parti più o meno uguali tra i diversi figli. Infatti la famiglia continuò a dimorarvi nei suoi diversi rami costituiti da cugini rimasti a Caposele (e cui ho accennato brevemente all'inizio dell'articolo), fino a quando questi non mancarono: • ala sinistra: vi dimoravano Francesco "Don Ciccio" Benincasa (1887 - ~1965, figlio di Girolamo C1), con la moglie Angela Papio. In tale parte del palazzo dimoravano anche alcuni dei molti fratelli e sorelle di Francesco: il parroco don Donato; Marietta e Silvia, nubili; • ala centrale: apparteneva inizialmente a Giuseppe Benincasa C3; in seguito vi abitò il figlio: l'insegnante Don Camillo Benincasa (1889-1947) insieme a sua moglie Ersilia Sturchio. Poco dopo la morte del marito, Ersilia si spostò vicino alla chiesa di San Lorenzo, e l'ala del palazzo rimase disabitata; la proprietà passò ai fratelli di Don Camillo, Donato ed Alfonso; • ala destra: vi abitò l'insegnante Don Giovanni Benincasa, poi sua figlia Donna Rosa, saltuariamente d'estate; Tra gli anni 50 e 60 la vecchia generazione dei Benincasa, ancora legata a Caposele e al palazzo Benincasa, venne a mancare; gli eredi vendettero le diverse ali del palazzo alla fine degli anni 70 (l'ultima parte poco prima del terremoto). Prima di addentrarci nella storia recente della famiglia per cercare di avere un quadro di insieme sui diversi rami recenti, facciamo un passo indietro alla storia dei secoli precedenti. Le origini della famiglia Benincasa a Caposele non sono certe, né lo è il legame con altri esponenti noti con quel cognome (basti citare Santa Caterina da Siena (Siena, 1347 - Roma, 1380), e Sant'Orsola Benincasa (Cetara, 1547 - Napoli, 1618). Mi limito a riportare che in famiglia si tramanda che l'origine dei Benincasa di Caposele discenderebbe da Montalto Uffugo, in Calabria, o da Pescara. Anche la parentela con Santa Caterina da Siena veniva data per assodata in alcuni rami, ma messa in dubbio in altri. Purtroppo gli studi e le ricerche per appurare tali legami esulano dall'ambito hobbistico e richiederebbero ben altri sforzi e risorse. Si crede che la famiglia Benincasa, insieme ad altre famiglie (Ceres, Santorelli, etc.), sia giunta a Caposele al seguito della conquista spagnola, con gli Aragonesi, ma confesso di non avere alcuna fonte al riguardo. I primi Benincasa di cui si hanno notizie Passiamo ad un'epoca più recente, per la quale sono disponibili più agevolmente delle fonti. Il primo Benincasa di Caposele di cui si trovano tracce nei documenti è Francesco Antonio Benincasa, menzionato in un atto del notaio Donato Miano nel 1636 (notaio a Caposele, i suoi documenti coprono gli anni 1638-1673, e sono conservati nell'Archivio di Stato di Avellino). Questo non vuol dire che Francesco Antonio sia il primo ad essere giunto in paese (molto probabilmente i Benincasa erano presenti già da molte generazioni), bensì che è il primo di cui si è trovata una traccia. In altri documenti di poco successivi compaiono tre fratelli: non è chiaro chi siano i genitori, né quale rapporto ci sia tra loro e Francesco Antonio. A partire da loro, con i documenti a disposizione è possibile ricostruire la storia successiva dei Benincasa di Caposele. I tre fratelli erano: • Giovanni Battista Benincasa (~1630 - dopo il 1656). Sua moglie era Catarina Panico. Nel suo testamento non sono citati discendenti; • Decio Benincasa (~1635 - ~1698). Sua moglie era Porzia Ricciardelli di Calabritto; • Francesco Antonio Benincasa (~1638 - dopo il 1656). Era prete, come spesso si usava per i fratelli minori delle famiglie benestanti; Visto che i due fratelli Giovanni Battista e Francesco Antonio probabilmente non ebbero discendenti, tutti i Benincasa di Caposele traggono origine da Decio Benincasa. Egli ebbe 5 figli ma di questi solo un maschio: Giovanni Battista (prese il nome dello zio, che non aveva avuto eredi). Egli sposò Catarina Cafullo, e per i figli e le loro famiglie finalmente possiamo avere più fonti (catasto onciario del 1754 e registri parrocchiali), e quindi più informazioni. Si delineano i tratti tipici di una famiglia benestante dell'epoca: • i coniugi erano spesso di altri paesi, anch'essi appartenenti a famiglie benestanti (es. Panico, Famiglia Benincasa di Caposele: dalle origini note fino a Ricciardelli); Nicola Benincasa (1774 - 1841) • spesso uno dei figli veniva avviato alla vita religiosa; • la professione era di quelle che garantivano un certo tenore e livello sociale: chirurgo, barbiero (o barbiere; all'epoca l'accezione era molto più ampia di quella attuale: grosso modo era un precursore del dentista). Anche se Giovanni Battista ebbe sette figli (come risulta dai vari atti notarili: testamenti e contratti matrimoniali), nel catasto onciario compaiono le famiglie di solo quattro di loro: 1.

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Giovanna (~1700 - 1785), sposata con Innocenzio Petruccio (sarto);

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GENEALOGIA CAPOSELESE

a cura di Pasquale Ceres

2. Donato (~1706 - 1784), chirurgo, sposato con Anna Maria Rugieri di Lioni; la

I Benincasa di Caposele nell'800-'900 Nicola Benincasa (1774 - 1841) seguì la professione medica come da tradizione familiare: era cerusico, cioè chirurgo. Non si sa in quale casa nacque (nell'atto di battesimo conservato nella parrocchia di San Lorenzo non viene indicato), ma nell'atto di morte (stato civile) del 1841 viene indicato che mancò nella casa di sua proprietà in via Pietraquaresima. Anche se non viene indicato il numero civico, penso si riferisca al palazzo Benincasa. Da lui la casa di famiglia passò di mano in mano fino a giungere ai I discendenti di Nicola Benincasa (1774 - 1841) e Grazia Radice: tutti i discendenti vissuti nel '900. Coprì la carica di sindaco di Caposele per diversi anni. Egli Benincasa vissuti a Caposele nel '900 discendono da loro. In grassetto i sposò Grazia Radice, ed ebbe 3 figli: rami con una quota di proprietà del Palazzo Benincasa nel '900 A. Giovanbattista Girolamo Donato Benincasa (1808 - 1870), medico; ebbe numerosi figli, i cui discendenti vivevano ancora a Caposele fino ad inizio '900. Tra questi il nipote Don Giovanni Benincasa, maestro elementare, e sua figlia Donna Rosa, entrambi citati all'inizio dell'articolo. Donna Rosa era in possesso di un'ala della casa di famiglia. Aveva due fratelli: Decio, medico chirurgo (ho trovato un documento militare del 1942 in cui viene promosso ad ufficiale di complemento in ambito medico) e Carlo, avvocato (di lui ho recuperato due lettere indirizzate alla Sorgente, datate 1974 e 1977, da cui emerge il suo amore e la nostalgia per il paese di origine, in cui era nato e aveva trascorso i primi anni della giovinezza). Purtroppo fino ad oggi non sono riuscito a rintracciare alcuno dei loro discendenti, per cui questo ramo risulta incompleto; B. Girolamo Donato Gabriele Benincasa (1810 - 1823); morì giovane, prima di aver compiuto 13 anni; C. Donato Maria Vincenzo Benincasa (1812 - 1897), farmacista; da lui si dipartono tre rami principali che originano: 1. dal figlio Girolamo Benincasa (1854 - 1907) e dalla moglie Alfonsina Caprio. E' un ramo molto numeroso i cui esponenti non dimorano più a Caposele: è stato trattato brevemente anche in un precedente articolo sui Caprio (num. 99, pagina 26, "Le famiglie Caprio di Caposele"); tra i numerosi figli cito don Donato,il quale fu parroco di Caposele dal 1949 al 1953, Don Ciccio (Francesco) Benincasa, Alfredo (i cui discendenti gestiscono l'hotel Orso Grigio a San Candido (BZ)), Antonina (l'insegnante in foto, moglie di Giuseppe Corona "Pepp r lu nutaru"), Linda ed Aminta. 2. dalla figlia Adelia Benincasa (1856 - 1942) e da suo marito Lorenzo Russomanno; la farmacia del padre passò al cugino di Adelia (figlio dello zio Giovanbattista): Nicola Benincasa. Questi purtroppo non ebbe discendenti a Caposele, e quindi la farmacia tornò a questo ramo con Raffaele Russomanno, figlio di Adelia e nonno dell'attuale farmacista, suo omonimo; 3. da Giuseppe Benincasa (1859-1904), sposato con Filomena Maffucci; i loro tre figli presero tutti strade diverse: • Donato, laureato in giurisprudenza, fece carriera come funzionario pubblico, ed arrivò a dirigere l'ufficio imposte di Venezia. I suoi discendenti vivono a Padova; • Camillo, è il maestro delle scuole elementari che fu mandato al confino nel 1939; • Alfonso: emigrò negli USA e lì fece fortuna come agente di viaggio e cambista di borsa. La figlia Edna, che vive negli USA, fu tra gli ultimi della famiglia a possedere una parte Filomena Maffucci (moglie di Giuseppe Vincenzo del palazzo Benincasa; tale quota fu venduta poco prima del terremoto dell'80 insieme al Benincasa C3) con (a partire da sinistra) i tre figli Alfonso, Camillo e Donato Benincasa giardino annesso, che apparteneva allo zio Donato.

GENEALOGIA CAPOSELESE

famiglia Benincasa a Caposele continuerà con i suoi discendenti: prima con il figlio Girolamo, poi con il nipote Nicola (1774 - 1841). I Benincasa presenti a Caposele a inizio '800 fanno tutti capo a lui; 3. Francesco (~1716 - 1785), barbiero, sposato con Giuliana Marano; dei vari figli risulta sposata solo la figlia Girolama con Francesco Cleffi, quindi il cognome Benincasa si perde. Da lui discendono: un ramo Cleffi in Uruguay, un ramo La Fera e la numerosa famiglia di Nunziata Sturchio e Giovanni Ceres; 4. Ippolita (~1717 - 1764), sposata con Giuseppe D'Elia;

Mi scuso se ho omesso qualche persona o interi rami: tracciare tutti i discendenti non sempre è stato possibile. Ringrazio per la stesura dell'articolo: il mio amico John Rendfrey per le sue preziose ricerche sugli atti notarili; Italo Caprio e la sig.ra Mariarosaria Molfese, l'ing. Giovanni Caprio, la sig.ra Franca Veralli, per la ricostruzione del ramo di Girolamo Benincasa C1 ed Alfonsina Caprio; le sig.re Edna Benincasa e Marina Levante, per la ricostruzione del ramo di Giuseppe Benincasa C3 e Maria Filomena Maffucci; Pasquale Russomanno di Raffaele per la ricostruzione del ramo di Adelia Benincasa C2 e Lorenzo Rossomanno.

Si può contribuire alla crescita dell'albero genealogico di Caposele: • contattandomi per email all'indirizzo pasquale_c@hotmail.com • sul gruppo Facebook "Genealogia caposelese" • registrandosi sul sito contenente l'albero online navigabile ( http://ars.altervista.org/PhpGedView/index.php ), e contribuendo direttamente all'inserimento dei dati

C3) discendenti di Giuseppe Benincasa e Maria Filomena Maffucci Per chi volesse approfondire, una ricostruzione più dettagliata dell'albero dei Benincasa di Caposele è reperibile consultando l'albero online nel sito indicato sotto. Si può contribuire alla crescita dell'albero genealogico di Caposele: • contattandomi per email all'indirizzo pasquale_c@hotmail.com • sul gruppo Facebook "Genealogia caposelese" • registrandosi sul sito contenente l'albero online navigabile ( http://ars.altervista.org/PhpGedView/index.php ), e contribuendo direttamente all'inserimento dei dati

A) grafico parziale dei discendenti di Giovanbattista Benincasa e Cristina Sturchio

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GENEALOGIA CAPOSELESE

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GENEALOGIA CAPOSELESE

1a generazione: Girolamo Benincasa C1 (1854-1907)

2a generazione: Alfredo Benincasa (figlio di Girolamo C1) e Flora Hellensteiner il giorno delle loro nozze (11 maggio 1926)

3a generazione: Alfonsina Benincasa di Alfredo, nipote di Girolamo Benincasa C1, prende il nome dalla nonna paterna

C1) discendenti di Girolamo Benincasa e Alfonsina Caprio

C2) grafico parziale dei discendenti di Adelia Benincasa e Lorenzo Rossomanno

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Racconti

PRO LOCO CAPOSELE: UN’ESPERIENZA DA FARE!

A

nche quest’anno accolgo con piacere l’invito del Direttore Conforti a scrivere un articolo per il periodico La Sorgente. Questa volta, il desiderio di scrivere è molto più forte in quanto è il numero 100 di un giornale che, oramai dal lontano 1973, racconta la storia di Caposele e dei Caposelesi, un giornale che è stato capace di resistere a tutti e a tutto, come all’enorme tragedia del terremoto (unico periodo in cui il giornale si è fermato per riprendere nel luglio del’81) e capace pure, per il suo numero 100, di non fermarsi neppure di fronte ad una pandemia come quella del covid-19. In questa occasione, vorrei parlare della mia esperienza (due mandati) all’interno del Direttivo della Pro Loco Caposele, periodo durante il quale ho ricoperto anche il ruolo di tesoriere dell’associazione! Non vi nascondo, senza nulla togliere ai componenti del Direttivo precedente, che all’inizio non è stato tutto semplice, l’associazione è sempre stata impegnata in molte attività e la gestione amministrativa ed economica non sono attività facili, la normativa è vasta e abbiamo dovuto adattarla ai nostri progetti, a quello che volevamo fare per il futuro e, piano piano, siamo riusciti a farlo. All’inizio dell’avventura, con il nuovo Presidente eletto Concetta Mattia, e con il resto della squadra dei consiglieri, abbiamo cercato di capire le diverse situazioni presenti, e come poterle gestire al meglio. In verità poi non ci è voluto così tanto tempo, anche perchè, a differenza mia che ero alla prima esperienza nella Pro Loco, altri già avevano più esperienza che hanno messo a disposizione. La prima cosa che abbiamo fatto come nuovo consiglio è stata quella di programmare le nostre attività ed alcuni obiettivi da raggiungere sui 4 anni di mandato, associando la metodologia da utilizzare per farlo. Mi ricordo che immediatamente abbiamo distribuito le diverse attività, le diverse responsabilità, ai membri del Direttivo. C’era chi si occupava del tesseramento (coadiuvato da soci storici della Pro Loco), chi dei rapporti con l’amministrazione e le altre associazioni, chi si occupava del “nuovo” settore ambiente, chi della gestione della sede, e così via. Una delle prime esperienze che come direttivo abbiamo affrontato, è stata quella legata alla collaborazione con l’amministrazione comunale dell’epoca per la gestione del museo delle macchine di Leornardo Da Vinci. Ricordo che, con entusiasmo, organizzammo un corso per accompagnatori volontari al quale parteciparono numerose persone e tutti eravamo spinti dalla voglia di fare e dalla voglia di intraprendere questa nuova esperienza. Ricordo poi le prime attività che realizzammo per riattivare la passione per le tradizioni locali, il Premio “Quartiere del fuoco”, legato alle nostre celebrazioni per S.Antonio e i Laboratori della tradizione, dedicati a valorizzare uno dei nostri prodotti tipici, le Matasse e realizzati con la campagna divulgativa “ Ti piacciono le Matasse, ma non le sai fare? Impara con la proloco!” Questo entusiasmo toccò sicuramente il suo massimo quando, nel 2014, organizzammo una delle iniziative più grandi e importanti che si siano mai fatte a Ca-

posele, la mostra Ritratti di genio che ha permesso, grazie alla disponibilità del dott. Nicola Barbatelli direttore del Museo delle antiche genti di Lucania a Vaglio (Pz) e quella dell’amministrazione comunale, l’esposizione pubblica, presso il nostro Museo delle macchine di Leonardo, della “Tavola Lucana” l’ultimo autoritratto attribuito a Leonardo Da Vinci. Un grandissimo successo con migliaia di persone che visitarono la mostra. Caposele fu per qualche giorno, una Capitale della cultura! Un altro grande successo che abbiamo avuto è sicuramente quello legato alla realizzazione, insieme all’Amministrazione Comunale, del SIMU, sistema museale del Comune di Caposele che inseriva in un unico minitour (proposto a tutte le scuole e a tutti i tour operator) il parco e le sorgenti del Sele, il Museo delle Macchine di Leonardo, il Museo delle acque, il Tempio artistico S.Lorenzo, e il parco fluviale. Questo sistema, ancora oggi operativo, porta a Caposele oltre 5000 visitatori all’anno dimostrando che fu una buona idea per valorizzare il nostro paese, che ancora funziona. L’inizio della nostra avventura fu un inizio ricco di cambiamenti, riferiti soprattutto ai nostri “eventi classici” per i quali provammo a sperimentare nuove soluzioni che ci hanno dato ragione; ad esempio, la sagra delle Matasse e dei fusilli, che fu realizzata, in un primo momento, in piazza XXIII novembre e non più in piazza Dante e successivamente, anche in virtù del crescere esponenziale dell’interesse suscitato, in piazza Sanità, dove decidemmo di abbinare la tradizione culinaria (le Matasse) con quella folcloristica (la tarantella Batticulo) per farne un evento unico e molto caratteristico; E la corsa dei tre campanili, di cui, grazie alla preziosa e fortemente voluta collaborazione con l’associazione ARS (Amatori Running Sele), oltre a spostare la data (non più 15 agosto ma il 13) fu spostata anche la zona della partenza, che dalla vecchia sede della Proloco su via Roma passò alla nuova area di piazza Sanità e fu adeguato

anche il percorso, per poter inserire la nostra manifestazione nei circuiti professionistici regionali, che oggi raccoglie oltre 150 atleti senior e oltre 70 tra ragazzi e bambini che fanno gare associate in quello che è diventato un appuntamento sportivo collettivo molto seguito e divertente. Per la data fu fatta qualche riflessione in più, fu cambiata, anche ascoltando le forze di polizia municipale che avevano posto qualche evidenza in merito al blocco della frazione di Materdomini in concomitanza con la giornata di Ferragosto; la scelta di piazza Sanità invece, fu fatta anche per enfatizzare il 40° anniversario della gara in uno spazio rinnovato e anche molto più funzionale. Quello che abbiamo sempre voluto e cercato di fare, anche se non sempre lo abbiamo verificato da subito, è stato valorizzare e migliorare le attività radicate e caratteristiche di Caposele, considerando il supporto e i consigli di tutti e coi mezzi che avevamo. Iniziammo a dare la giusta importanza anche ad una giornata particolare come il 22 marzo giornata mondiale dell’acqua, che è da sempre la nostra risorsa più importante; la nostra prima esperienza la facemmo con l’organizzazione di una giornata evento in collaborazione con l’Amministrazione comunale, l’IC “F.De Sanctis” di Caposele e il Rotary Club di S.Angelo dei Lombardi, in cui si svolse anche un contest fotografico regionale sul tema dell’acqua, che vide vincitrice la nostra concittadina Elisa Malanga. Un’altra decisione importante, fu quella di lasciare la vecchia sede. Quella scelta non certo indolore, avvenne in seguito a due assemblee dei soci nelle quali furono spiegate e discusse le opzioni possibili. La motivazione principale che ci spinse, fu sicuramente quella del costo del fitto che non eravamo più in grado di sopportare, soprattutto alla luce del calo delle iscrizioni che l’associazionismo in genere stava subendo. Lasciammo la vecchia sede per spostarci in una sede, si più piccola ma più funzionale al numero di soci iscritti.

di Michele Cuozzo

Dopo qualche edizione mancata, iniziammo ad riassegnare, di nuovo il “Premio Caposele” confermando il principio che la nostra associazione promuove il territorio anche attraverso un premio dedicato all’affermazione dei suoi cittadini in diversi campi di impegno. Realizzammo e presentammo (a Materdomini) un Calendario “Il 2015 a Caposele” che racchiuse tutti quei giorni in cui ci sono ricorrenze, usi, cerimonie religiose, civili e manifestazioni locali moderne o che si tramandano di generazione in generazione, modi di segnare o verificare previsioni meteorologiche legate alle tradizioni agricole o alla ciclicità delle stagioni, proverbi e altre storie che contraddistinguono Caposele dagli altri paesi. Creammo un oggetto utile, come le informazioni che conteneva, che fu insieme strumento di promozione e divulgazione, nonché un modo diverso di conservare la memoria locale anche per i giovani. Quando un gruppo di giovani propose di far aderire il comune di Caposele al progetto della Festa europea della Musica, la Pro Loco non fece mancare il suo sostegno tecnico-pratico finchè non nacque l’Associazione “Festa della Musica” di cui siamo divenuti poi soci. Iniziammo anche una collaborazione con l’associazione “Un albero per tutti” che ci ha visto, e che ci vede ancora, protagonisti di visite guidate presso le sorgenti e i musei il cui ricavato viene interamente donato alla Ricerca. Un nuovo programma di divulgazione turistica, fu portato avanti con la collaborazione di associazioni come Irpinia Turismo, del compianto Agostino Della Gatta, con cui, oltre a diversi servizi televisivi su reti

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Racconti segue dalla pag. 63

regionali e nazionali, la Pro Loco Caposele fu presente, con un suo stand, a manifestazioni come: BIT Milano, Borsa del turismo Mediterraneo, Paestum - Sagra delle Sagre, Sant’Angelo dei Lombardi - Made in Campania Expo, Centro fieristico Ariano Irpino e la Fiera interregionale di Calitri. Realizzammo, in collaborazione con il Comune di Caposele e la Comunità Montana del Terminio-Cervialto un evento dal titolo “Le nevere e gli Antichi Mestieri della Terminio-Cervialto” finanziato con i fondi dell’Unione Europea, toccò tanti comuni e il percorso volse alla riscoperta sia delle “Nevere”, antiche strutture utilizzate nel mondo rurale per la conservazione del ghiaccio anche nei mesi caldi, sia degli antichi mestieri che animavano i borghi dell’Irpinia nei secoli passati, con racconti, rievocazioni, degustazioni e canti popolari. Abbiamo partecipato, come partner, con il Comune di Caposele e la Pubblica Assistenza Caposele al progetto MENOèMEGLIO finanziato da Fondazione con i Sud, con l’obiettivo generale di incentivare la riduzione dei rifiuti indifferenziati sul territorio dei Comuni partecipanti e di tutta la provincia di Avellino, attraverso alcune azioni pilota che realizzarono a Caposele, seguendo la politica Rifiuti Zero, il Centro di Recupero e Riuso tessile e Raee, “MENOèMEGLIO” ancora oggi funzionante nella sede vicina alla Pubblica Assistenza, il martedì e il venerdì, dalle ore 10:00 alle ore 12:00. Uno dei successi più belli ed emozionanti che abbiamo ottenuto come Pro Loco Caposele però, è stato quello del progetto “Festival Art – Giovani per il paese dell’acqua” finanziato dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile per un importo di 200.000 € di cui 10.000 € di cofinanziamento dal

Comune di Caposele e 10.000 € dalla Pro Loco Caposele. Ricordo ancora la telefonata di Concetta che mi disse che era pervenuta da parte del dipartimento una pec con la quale ci comunicavano che il nostro progetto era stato finanziato e che dovevamo recarci a Roma per la firma della convenzione. Fu un’emozione unica! L’obiettivo generale di questo progetto fu la valorizzazione dei beni del Comune di Caposele e l’attività che maggiormente riguardò il progetto fu quella relativa alla formazione ed informazione sul patrimonio storico culturale di nostri giovani che attuarono gli interventi di divulgazione presso varie scuole della Campania e di giovani che svolsero l’attività di accoglienza degli studenti informati presso i nostri beni culturali e ambientali. Vennero svolti incontri preliminari con gli insegnanti, si organizzarono degli eventi pubblici conclusivi e fu realizzata l’elaborazione di materiale informativo e didattico - multimediale (video e/o fotografie, ecc.) con una sezione di attività dedicate ad includere studenti con esigenze particolari (video racconti sul territorio nel linguaggio dei segni e audio descrizione dei luoghi per ipo e non vedenti). Furono acquistate anche attrezzature e prevista la sistemazione di alcune aree museali per migliorarne l’accessibilità e la fruizione (esterni del Museo delle Acque), la realizzazione di una mostra e altre attività divulgative e promozionali del territorio. Tutte attività che allargarono la conoscenza di quanta bellezza ed opportunità esistono nel nostro territorio. Un’esperienza importante, da ripetere appena se ne ripresenterà l’occasione. Ho descritto solo le attività più importanti che abbiamo svolto in questi anni, quelle che

hanno lasciato un segno tangibile nella storia del nostro paese, ma a queste attività, vanno aggiunte sicuramente tutti gli altri progetti che stiamo ancora realizzando (ad esempio “Benessere Giovani” grazie al quale, abbiamo realizzato diversi laboratori per ragazzi e stiamo contribuendo alla realizzazione della “Casa delle associazioni”di Caposele), le numerose presentazione di libri legati al nostro territorio, le numerose manifestazioni nelle quali siamo stati partner, nonché le collaborazioni con alcuni Istituti scolastici di Caposele, S.Angelo dei Lombardi, Vallata e Avellino, che hanno visto l’esperienza della nostra Pro Loco, utile per lo svolgimento dei percorsi misti scuola-lavoro nel settore turistico. Siamo anche riusciti a migliorare la strumentazione in nostra dotazione, acquistando diverse attrezzature da cucina per svolgere più facilmente le nostre attività come la sagra, tavoli, panche, gazebo, set per videoproiezioni, ecc. che abbiamo messo a disposizione delle attività comunali e di tutte le altre associazioni locali e/o a privati che le hanno richieste. Negli ultimi due anni abbiamo anche realizzato, un nuovo progetto in piena sinergia con il Comune di Caposele e anche grazie al contributo degli esercenti e ristoratori di Materdomini il “Festival degli artisti di strada” immaginato per la vigilia della prima Festa di San Gerardo (prima domenica di settembre), che offre ai tantissimi pellegrini, una serata diversa, all’insegna del divertimento tra giocolieri, mangiafuoco, trampolieri, statue, musicisti itineranti, mimi e gonfiabili. La nostra gestione, non senza errori ma fatta di programmazione, di progetti, di scelte mirate, di gestione costante delle spese, ha portato innanzitutto alla situazione econo-

L’ASSASSINO

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otevo avere tredici o quattordici anni, non ricordo se avevo già finito la scuola. Un giorno si venne a sapere che erano morti due ragazzi in montagna, la voce si sparse per tutto il paese. Erano figli di una famiglia povera, facevano i pecorai, ma di poche pecore che di solito portavano in montagna per farle pascolare e i due ragazzi, otto e dieci anni, accompagnavano il padre, ma a volte rimanevano soli con le pecore e la sera il padre li passava a prendere. Questi due ragazzi furono trovati morti in fondo ad un burrone, li trovò il padre quando andò a riprenderli la sera. Per parecchi giorni non si parlava d’altro. La polizia scientifica che curava il caso, accusò il padre perchè gli avevano trovato delle macchie di sangue addosso. Lui diceva che le macchie se l’era procurate abbracciando i figli, appena li aveva visti morti, non aveva nemmeno pensato alle conseguenze che avrebbe avuto il suo gesto e quindi li ha abbracciati e si è macchiato, cosa del tutto plausibile, ma la polizia non gli credette. Certamente non era una famiglia benestante, era una di quelle famiglie un po’ ai margini, poche amicizie, un po’ isolati, non credo che avessero fatto niente di male, ma non li conoscevo personalmente. Dopo un po’ di giorni sevizie

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e torture da parte della polizia per farlo confessare, il padre, stanco, confessò. Ricordo che quando fu portato via passando in mezzo alla folla che si era radunata in piazza, molte persone gli sputavano addosso gridandogli “Assassino!”. Tutti erano convinti che lui fosse il colpevole. Per il paese fu una cosa veramente brutta, non era mai successo che un padre ammazzasse due figli, almeno a Caposele. Di solito quando succede una cosa così grave, specialmente nei piccoli paesi, le male lingue, sempre pronte ad accusare, ne dicevano di tutti i colori. Anche qualche incredulo, visto che lui aveva confessato, doveva attenersi ai fatti. Quando successe questo fatto così atroce, anche gli altri paesi si sfogarono parlando male di Caposele, dicevano che eravamo peggio degli animali, anche se l’assassino era uno solo e non tutto il paese, nonostante l’intero paese lo accusasse. Passò un po’di tempo, ma evidentemente sia tra la polizia che tra i giudici non erano proprio sicuri della sua colpevolezza e continuavano in segreto a seguire le indagini. Dopo un po’ di tempo si venne a sapere che era innocente. Un farabutto di un paese vicino al nostro, uscito dal carcere dopo sedici anni

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mica attuale, di grande tranquillità e aperta a nuove possibilità progettuali. Per me una vera soddisfazione, pensando che solo qualche mese fa, per alcuni miei problemi di salute, mi sarebbe stato impossibile scrivere questo articolo! Per me è stato un esercizio mnemonico che mi ha fatto bene, perchè nel cercare materiale sulle attività della Pro Loco dal 2012 ad oggi (ricerca tra l’altro fatta anche grazie alle edizioni passate del nostro giornale, uno dei prodotti più importanti della storia associativa, dal punto di vista della storia recente che del recupero della memoria di Caposele), nel mio cervello, tantissimi ricordi sono riaffiorati, anche se non so se tutti. Con questo mio articolo non ho voluto certo giudicare nessuno, ma anzi far riflettere su tutte le gestioni precedenti della Pro Loco che hanno avuto alti e bassi, com’è capitato a noi, ma soprattutto, sono riuscite a rimanere un riferimento sul territorio, e infatti, tra un paio d’anni la Pro Loco festeggerà i suoi primi 50 anni (una delle Pro Loco più longeve dell’Irpinia). Allo stesso tempo non vuole essere “una passerella” per mettere in mostra l’operato della nostra gestione, ma semplicemente un voler mettere in risalto il fatto che, quando le persone sono motivate, e spinte dalla voglia di fare qualcosa per il proprio paese, i risultati e le soddisfazioni, non tardano ad arrivare. Quindi lascio a tutti, giovani e meno giovani di Caposele l’invito della nostra campagna di tesseramento speciale per il 2020: Iscrivetevi alla Pro Loco! ripartiamo dal PAESE, ripartiamo dal TERRITORIO, ripartiamo dalla STORIA, ripartiamo dai PRODOTTI, ripartiamo dalle COMPETENZE, RIPARTIAMO DA NOI!

di Mario Sista

per omicidio, aveva sposato una donna di Caposele, e vennero a vivere qui. Nello stesso periodo in cui trovarono i ragazzini nel burrone, a poca distanza da quel posto, c’erano una quindicina di operai che pulivano e piantavano piante nel bosco e lui era fra questi. Erano lavori per la difesa del bosco che facevano anche per far lavorare i disoccupati. Siccome la polizia sapeva che oltre che assassino era anche un pedofilo, vennero a sapere che lui il giorno dell’omicidio, all’ora di pranzo si era assentato dal posto di lavoro per più di mezzora, tempo in cui aveva abusato dei due ragazzi e per non farli parlare li aveva buttati nel burrone. Lo portarono in galera per interrogarlo, lo torchiarono e scoprirono che era lui il colpevole e gli diedero l’ergastolo. Per colpa di un maledetto pedofilo, quel povero Cristo aveva dovuto sopportare, oltre la morte dei figli, anche il disprezzo di tutto il paese che lo considerava un mostro, anche le sevizie che gli aveva fatto la polizia, tirandogli i peli, bruciandogli la pelle con le sigarette e tante botte prese anche dopo in carcere, con gli altri carcerati che non accettavano un mostro simile. Queste cose le raccontò lui quando uscì dal carcere. Anche se tutto il paese si rese conto che lui era stato solo una vittima, nessuno ebbe il coraggio di chiedere scusa.

DUE SACCHI DI GRANO Durante il periodo della guerra in Italia, per mancanza di grano, oltre a poter aggiungere il 20% di patate nell’impasto, si pensò di razionare il pane. Dal 1941 fino al 1945 il comune rilasciava ad ogni famiglia una tessera,” la tessera annonaria” e ogni giorno con quella tessera si potevano prendere 200 grammi di pane. Molta gente si dava da fare con il contrabbando, il mercato nero. Nel ‘43 mio padre con un suo amico decisero di andare a comprare due sacchi di grano, uno ciascuno, in un paese prima della Puglia, non ricordo il nome. Partirono di notte, un amico gli aveva prestato un asino, non so quanti chilometri dovettero fare. Mio padre aveva portato con sè una bottiglia di olio da regalare a chi gli avrebbe venduto il grano, oltre ai soldi s’intende; con sé aveva anche una bottiglia di vino e una bella colazione: più di un chilo di pane con dentro una bella frittata di uova, salsicce e peperoni. Si svuota il pezzo di pane, si riempie con la frittata e si copre con il pezzo di mollica che è stato tolto prima e si lega ben stretta dentro un tovagliolo di cotone. Dopo aver fatto un bel po’ di chilometri a piedi verso la mattina, mio padre iniziò a

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Storie dire al suo amico Giovanni: “Quando vuoi ci fermiamo a fare colazione” e lui non rispondeva, dopo più di mezz’ora mio padre gli ripeteva la stessa cosa e lui continuava a non rispondere, alla terza volta mio padre chiese perché non diceva niente e lui, a stento, vergognandosi, gli rispose che lui non aveva niente per fare colazione. Mio padre capì la situazione e facendo finta di niente disse: “Ma di che ti preoccupi, la mia colazione è abbondante, mica la posso mangiare da solo, adesso ci fermiamo e la mangiamo assieme!” e così fu. Arrivati sul posto in tarda mattinata, andarono in campagna da dei contadini che qualche amico aveva suggerito a mio padre, si misero d’accordo sul prezzo e presero i due sacchi di grano. Prima di caricare i sacchi sull’asino, mio padre prese la bottiglia di olio che aveva portato con sè e la regalò ai due contadini che rimasero molto contenti, si vede che da loro l’olio mancava; alchè, poiché era l’ora di pranzo, la signora d’accordo con il marito invitarono mio padre e il suo amico di rimanere a pranzo con loro che accettarono di buon grado e mangiarono insieme a tutta la famiglia anch’essa numerosa. Nel pomeriggio caricarono l’asino e partirono ,così potevano viaggiare di notte. Quando la mattina dopo sono arrivati nei pressi di Caposele, qualcuno che conosceva mio padre lo avvisò che c’era la finanza che stava girando per il paese , di stare in guardia perché se li avessero presi gli avrebbero sequestrato tutto, anche l’asino e oltre a una multa salata gli avrebbero fatto passare anche qualche nottata in galera, così dovettero cambiare strada e rifugiarsi in un posto più sicuro, lontano dalle strade principali per poi riprendere il viaggio la notte seguente, sempre per le strade di campagna come gli era stato suggerito. Finalmente la mattina dopo, molto presto, arrivarono a casa e riuscirono a portare questi due sacchi di grano per poter sfamare le relative famiglie. Era un periodo in cui alcune persone pur di avere qualche chilo di patate o di fagioli, erano disposti a regalare un lenzuolo o qualche cosa simile. Noi ogni tanto ai nostri amici vicini di casa riuscivamo a regalare qualche chilo di patate o fagioli o frutta quando era la stagione adatta, senza aver preteso mai niente in cambio. La vera amicizia si vede nel momento del bisogno. Il MESTIERE Avevo tredici anni, facevo l’ultimo anno di scuola e siccome avevo capito che non potevo continuare gli studi per mancanza di un reddito fisso della mia famiglia, allora decisi di andare ad imparare il mestiere di sarto. Andai dal maestro Salvatore Ceres, c’era stato già mio cugino Pasquale, lui aveva finito il suo corso già due anni prima. Era un sarto abbastanza capace, aveva imparato il mestiere a Napoli. In quel periodo a Caposele c’erano una decina di sarti, tutti si facevano il vestito su misura e ogni sartoria aveva parecchi allievi. Nella nostra sartoria eravamo in tre, Lorenzo Petrucci, Ciccio Ventura ed io. Lorenzo ed io eravamo coetanei, invece Ciccio aveva due anni in meno. Mastro Salvatore oltre

a fare il sarto aveva anche il negozio di merceria e tessuti e biancheria, sempre nello stesso locale. Era il tempo che le mamme facevano la dote di biancheria per le loro figlie e lui forniva loro la migliore qualità. Era un omone alto, ben piazzato, di buona famiglia, benestante, aveva due figli, Maria e Lorenzo, quasi nostri coetanei, infatti eravamo amici. Nei piccoli paesi, il mestiere si impara dalla a alla zeta, prima il calzone poi il gilet e infine la giacca e tutto il resto, poi dipende dall’estro che ha ognuno di noi. Il mestiere del sarto su misura è abbastanza difficile, si fa prima a diventare laureati che un buon sarto diplomato e poi bisogna sempre continuare a studiare e aggiornarsi. Al mio maestro, pur essendo bravo, mancava questa ultima qualità, non si rinnovava molto e non seguiva le mode. Io ogni tanto andavo a trovare gli altri miei amici nelle varie sartorie, anche per vedere il modo di lavorare che facevano loro. Purtroppo anche se vedevo qualche metodo che mi piaceva di più, e anche qualche cosa che volevo cambiare io stesso, non potevo dire niente perchè il mio maestro non l’avrebbe presa bene, ma mi è servito nel futuro. Lorenzo ed io cercavamo di apprendere il mestiere prima possibile, infatti molte volte la sera, finita la giornata alla nostra bottega, andavamo da un altro sarto che faceva vestiti più da donna che da uomo. Il sarto si chiamava Nicola Vetromile, iniziava a lavorare verso le dieci del mattino e finiva verso mezzanotte. In quegli anni, con la mia famiglia ci eravamo trasferiti in Via castello, in una casa con tutte la comodità a trecento metri dalla sartoria di Nicola. Noi andavamo ad aiutarlo sia per imparare a confezionare i vestiti da donna, ma anche per il fatto che con lui ci divertivamo molto, perchè era un comico naturale e ogni cosa che raccontava ci divertiva. A me aveva lasciato il compito di fare le asole ai vestiti sopratutto quelli da uomo, perchè ero più bravo, anche lui aveva tre allievi, ma io ero un po’ più avanti. Anche tutto questo mi è servito nel futuro. Bisogna precisare che noi non prendevamo nessun salario, nè da Salvatore, nè da Nicola, solo una volta Nicola mi portò in regalo una maglietta rossa da Napoli e mi fece molto piacere. Lui in sartoria aveva la radio e poi anche la televisione, cosa che ci piaceva molto perchè non in tutte le case le avevamo. Ricordo che i primi tempi che uscì la televisione, quasi tutti l’andavamo a vedere nel bar in piazza, specialmente quando c’era Lascia o Raddoppia, con Mike Buongiorno, oppure il Giro d’Italia, o le partite di calcio, per tenerci aggiornati. Poichè non prendevamo soldi e le nostre famiglie ancora non ci potevano dare la famosa settimana, soldi non ce n’erano e quei pochi che c’erano servivano solo per le cose necessarie. All’età di quindici anni, un paio di mesi prima di Natale, per guadagnare un po’ di soldi da spendere per le feste e per altre cosette, Lorenzo ed io che già sapevamo fare i calzoni, prendevamo dei calzoni da confezionare dalle altre sartorie e di notte, dalle dieci di sera alle tre del mattino a casa di Lorenzo, li confezionavamo e ci davano trecento lire a calzone. Lo facevamo a casa di Lorenzo perché il padre faceva il calzolaio e quindi aveva la macchina per cucire, ma potevamo utilizzarla solo quando non serviva

a lui, ossia di notte. Era un sacrificio che dovevamo fare perchè solo così potevamo permetterci qualche soddisfazione e non sentirci inferiori agli atri più ricchi di noi. Un altro episodio che ricordo: avevamo sui sedici anni, ancora non avevamo imparato a confezionare tutta la giacca, ci mancava l’attaccatura delle maniche. Una volta venne a Caposele un furgone pieno di stoffe, dicevano che se ne era bruciato un deposito. Per far vedere che era vero, avevano bruciato qualche metro di stoffa e qualche cimosa, il bordo del taglio della stoffa, così per poter recuperare un po’ di soldi per sopravvivere, la vendevano a metà prezzo, cioè tremila lire anziché seimila, ogni taglio di tre metri e molta gente abboccava e la comprava. In effetti era stoffa che valeva poco, quando si stirava, emanava un brutto odore, dicevano che era fatta con la ginestra. Uno di questi signori che l’aveva comprata, un po’ più grande di noi, data una certa amicizia, ci chiese se potevamo fargli il vestito. Noi, sempre per guadagnare un po’ di soldi, accettammo. Io già avevo imparato a tagliare il vestito e così incominciammo a confezionarlo, alla fine le maniche della giacca ce le imbastì mastro Nicola e noi lo terminammo. Gerardo, il cliente, rimase molto contento, ma quando gli consegnammo il vestito, ci disse che per i soldi dovevamo aspettare un po’ di giorni, quei giorni diventarono mesi. Era passato quasi un anno e un giorno Lorenzo mi chiese: “Se io riesco a farmi dare i soldi da Gerardo,quelli che riesco a prendere, posso tenerli tutti perchè a casa ci servono?” Io gli risposi che per me andava bene. Dopo tanta insistenza riuscì a prendere qualcosa, ma la cifra totale, quattromila lire, non l’abbiamo mai più vista… Erano tempi duri per tutti. Nel 1954 ancora non era iniziato il boom economico. Si sentiva ancora lo strascico della guerra e anche se molte persone avevano incominciato ad emigrare e qualcuno riusciva a mandare un po’ di soldi a casa, le famiglie erano numerose e quindi quel poco che ricevevano non cambiava molto. Ho parlato poco di Ciccio, l’amico con cui studiavo per diventare sarto, perché lui veniva da una famiglia più benestante e non aveva bisogno di fare gli stessi sacrifici che facevamo noi, ma anche perché lui stava un po’ più indietro di noi due, non apprendeva molto. Ricordo che spesso gli facevamo degli scherzi. Specialmente d’inverno portava delle salsicce che cuocevamo sotto la cenere del braciere che serviva per riscaldarci, quando le salsicce erano cotte, lo mandavamo a fare qualche servizio fuori dalla sartoria, e nel frattempo noi mangiavamo almeno un paio di salsicce e quando tornava ci lamentavamo che ne aveva portate poche! Erano scherzi bonari, e qualche volta che si trovava con noi qualche altro amico, finiva che le salsicce le mangiavamo quasi tutte. Lui ci rimaneva un po’ male, ma non diceva niente, comunque siamo stati sempre buoni amici. In seguito da grande andò in Australia e cambiò mestiere.

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Nel 1956 Lorenzo ebbe la fortuna di andare in America del nord, nel New Jersey vicino New York, allora era come vincere un terno al lotto. Io ormai avevo già imparato a tagliare e confezionare un abito e altro e un paio di mesi prima delle feste di Natale, come già negli anni precedenti insieme a Lorenzo, presi un po’ di lavoro a cottimo dagli altri sarti e mi misi da solo a lavorare a casa. Mio fratello più grande, Alfredo stava esercitando il mestiere di calzolaio dentro casa e io potevo usare la sua macchina da cucire, era una Singer, a me bastava. Non solo facevo i calzoni presi a cottimo, ma incominciavo a fare anche qualche vestito per gli amici dei miei fratelli più grandi. Un giorno, con la scusa di comprare della fodera per calzoni, andai a trovare il mio principale e in quella occasione gli dissi che io non sarei andato più a lavorare da lui perché avevo bisogno di guadagnare qualcosa anch’io a casa, che ormai ero diventato grande e dovevo fare la mia parte. Mastro Salvatore capì la situazione e, siccome mi voleva bene, una volta davanti a tutti predisse una cosa che mi fece molto piacere: ” Io già immagino Mario con una bella sartoria in una grande città!” e fu un veggente! Oltre ad approvare la mia decisione, mi diede anche dei consigli come un padre di famiglia e gli ho portato sempre rispetto, e in seguito, quando ero già a Roma da diversi anni, gli scrissi una bella lettera di ringraziamento per quello che aveva fatto per me e per tutti i consigli che mi aveva dato. Gli fece così piacere quando la ricevette che la faceva vedere a tutti, era la prima volta che riceveva una lettera come quella! Mentre ero ancora a Caposele, dopo un po’ di tempo che lavoravo dentro casa, un mio zio partì per l’America del nord con la famiglia, mi lasciò l’appartamento e d’accordo con il proprietario delle mura continuai a pagargli io l’affitto e mi misi a lavorare lì in casa. Il lavoro non mi mancava, ormai si era sparsa la voce, cercavo già di fare qualcosa di più moderno, infatti fui il primo a fare la giacca con gli spacchi laterali. Ormai molti amici erano andati via, oltre che Lorenzo, anche Rocco Baldi, pure lui in America del Nord e altri amici. Anche i miei fratelli uno alla volta erano partiti, prima Gerardo, dopo Pasquale, poi Lorenzo dopo Alfredo, a casa eravamo rimasti i miei genitori ed io. E’ vero non mi mancava niente, nel ’57 tante persone erano partite e anche alcuni sarti e si incominciava a stare bene. Io ero riuscito già ad avere una bella clientela, ma molti clienti non pagavano subito il vestito e questo non mi stava bene. Anche i divertimenti non mancavano, oltre al gioco del pallone, qualche gita, qualche cena, canti e balli, avevamo formato anche una compagnia teatrale e ci divertivamo, ma a me non bastava, avevo altre aspirazioni, il paese mi stava stretto, così decisi di andare a lavorare in città. Chiesi ad un mio amico che studiava a Salerno se mi trovava un posto di lavoro e così fu, dopo qualche mese disse che l’aveva trovato e a metà settembre mi accompagnò da un sarto con cui ho lavorato per un anno e dopo sono venuto a Roma. Ma questa è un’altra storia!

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Teatro

È

in quell’esatto momento. Quando, passeggiando per Corso Europa con i tanto amati sampietrini sotto le suole perdendo gli occhi tra le nuvole, tra il verde delle foglie, tra il blu delle acque, saluti la gente del tuo paese; quando ti dai appuntamento con i tuoi amici di sempre in piazza, osservi il chiacchiericcio dei passanti pensando, in realtà, soltanto al voler fare qualcosa di diverso rispetto al giorno prima; quando, quasi per caso, ti si accende una disinteressata emozione provando ad interpretare un personaggio seduta in una stanza con i tuoi compagni, ancora ignari dell’avventura che stava per aprirsi a noi di lì a poco. È stato proprio in quell’esatto momento che, quattro amici al bar, hanno deciso di creare un’associazione teatrale. La Compagnia Teatrale Amatoriale “La Forgia” si è costituita poco più di un anno fa, il 12 Giugno 2019; ma sono anni che “forgiamo emozioni” in noi stessi e nella fucina altrui. Nel Dicembre del 2018 sul nostro amato palco Caposelese ci rendemmo conto, ben presto, della nostra e altrui necessità di sperimentare, creare, innovare sempre più; quindi annunciammo a tutti la decisione di diventare una vera e propria Associazione. Ma cos’è che ci convinse realmente a fare quest’importante passo?! Forse ogni Forgiaro, a questo punto, avrebbe una risposta diversa da dare. Dal canto mio, direi il suono. Sì, alcuni suoni in particolare: la risata e il battito. Potrei ancora sognarle le fragorose e meravigliose risate di quel Dicembre Caposelese! Sono proprio quelle che ti portano davvero a credere nell’Altro. A credere nel Rinascimento Caposelese e nella risalita di tutte le nostre piccole realtà. A credere soprattutto nei sentimenti e nelle emozioni dei giovani, che non sono soltanto rivolti ad uno schermo di un cellulare, ad una chiacchiera da bar o ad un “social distancing”, che in questo caso non è intenso come quel “distanziamento sociale” che purtroppo conosciamo ma ad una distanza-social, che i social media creano distanziandoci gli uni dagli altri dalla nostra vera essenza. A causa di questo anno funesto, di cui non mi soffermerò a parlare, la vita è irrimediabilmente cambiata; per tutti e in ogni cosa. Di certo non potremo più, per ora, avere tutti voi amici in una sala al chiuso per ore come è accaduto nel Dicembre scorso. Prima dell’inizio di quest’anno da dimenticare, mettemmo in scena Miseria e Nobiltà, celebre commedia in tre atti di Eduardo Scarpetta; un successo incredibile a detta di tutti! Percirca 3 ore e più e per tre repliche ci siamo impegnati al massi-

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LA FORGIA

di Clelia Conforti

Dagli attori “infamis” dell’antichità ai “forgiaris” di Caposele

mo, curando nel dettaglio non soltanto la dinamica scenica, ma i costumi, la scenografia, le acconciature e il trucco; insomma un’impresa portata a termine brillantemente. A parte le altisonanti parole pronunciate per mesi da chiunque ci recapitasse, i numeri ci parlano di un evento teatrale mai realizzato prima con record di presenze, un vero e proprio successo comunitario. Caposel ha gioito insieme a noi a Dicembre, incredibile! Ci sarebbero chiaramente così tante parole da spendere, tante emozioni da raccontare, non basterebbero questa pagina o anche mille, servirebbe una commedia di minimo 3 ore proprio come Miseria e Nobiltà per trasmettere a tutti ciò che noi proviamo pensando alla Forgia. Fondamentale aspetto da sottolineare a mio parere, riguarda invece l’attenzione rinnovata per il teatro qui a Caposele. Ci si rende conto fortunatamente sempre di più, dell’importanza e della bellezza del teatro come collegamento diretto alle nostre più intime e profonde emozioni. Cercherei un posto privilegiato in platea per godermi lo spettacolo della logica che si schianta contro l’imprevedibilità dell’emozione suscitata dal teatro.

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Gli attori in Grecia, ad esempio, venivano addirittura venerati come divinità, erano al centro della vita sociale, culturale e politica Ateniese; non erano “solo attori”, il teatro aveva un valore paideutico (pedagogico) fondamentale, educava ed insegnava agli adulti il giusto vivere; come ci racconta Aristofane ne “Le Rane”. Nell’antica Roma, diversamente, gli attori erano visti soltanto come dei giullari, erano buffoni che intrattenevano i cittadini nella giornata di festa; Venivano chiamati e considerati “infamis”. Sull’ingiusta scia romana, spesso, anche oggi in un mondo che sembra puntare sempre più al pragmatismo fine a se stesso e sempre meno alle emozioni della cultura, lo stesso “voler fare l’attore” in alcuni contesti retrogradi, non viene neanche considerata una passione meritevole, un reale mestiere, soprattutto se svolto a livello “amatoriale”. Consci del fatto di possedere una delle passioni più antiche e nobili, la nostra missione è anche questa: limitare nelle nostre realtà tutto ciò che potrebbe limitare ancor più la bellezza che crea il palco, piantando il seme della cultura che guida ed ispira il mondo. Speriamo e confidiamo nell’Uomo,

affinchè la visione dell’attore Ateniese possa tornare ma ciò che tentiamo quotidianamente e strenuamente di fare, nel nostro piccolo, è unicamente e semplicemente questo: suscitare EMOZIONI. Un sussulto, un palpito, un brivido, un sorriso, una smorfia, una riflessione; tutto ciò e molto di più ci nutre, ci dà la voglia di continuare a fare sempre di più e meglio, ci fa credere che la “missione” di asservire la ragione esaltando quelle emozioni, è completa. Ancora oggi perciò, dopo anni di gioie e di dolori in scena continuiamo a remare. Anche se a volte contro corrente, in tempesta, proseguiamo il nostro viaggio, deflettendo oltre il finito impostoci. Risospinti senza posa nel passato di Caposele, volgendo il cuore al futuro. In conclusione, con la consapevolezza e la speranza di seguire la via tracciata dai nostri genitori e nonni prima di noi, navighiamo. Ancora e sempre.

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Avvenimenti RAFFAELLA AMENDOLA VINCE ALLA QUINTA EDIZIONE DEL CONCORSO TOTALIFE ONLUS

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aro Direttore, In questi giorni avremmo dovuto discutere delle varie manifestazioni per dare il giusto valore e significato al numero 1oo de La Sorgente. Purtroppo dal mese di febbraio siamo tutti presi dal “male invisibile” che sta infettando il mondo intero. Frattanto sono state emanate delle norme ministeriali restrittive al fine di contenere il contagio e l’espansione di questo maledetto virus. Allo stato attuale oggi, 15 marzo, tutta la nostra penisola è sotto stretta sorveglianza ad evitare consequenziali contagi e quindi la necessità indispensabile ed improrogabile di limitare la libertà delle nostre abitudini anche per una passeggiata salutare. Sulla emotività di questa situazione e con la speranza che la stessa non si aggravi, le manifestazioni previste non si potranno sicuramente tenere. A tal proposito ed in compenso, la Sorgente dovrà dare molto spazio ad articoli che tratteranno questo argomento. In alternativa il Direttore del giornale ed il figlio Salvatore avranno sicuramente l’opportunità di illustrare il coinvolgimento del nostro Paese in rapporto a quanto sta avvenendo, anche in considerazione che Caposele, sede di un importante Santuario, non può ospitare migliaia e migliaia di fedeli, stante la chiusura momentanea della Chiesa e l’impedimento a celebrare messa. Tutto ciò che verrà riportato nel prossimo numero 100 , rimarrà a futura memoria per chi verrà dopo di noi. Purtroppo la nostra “venerabile” età non ci consente di fare programmi a lunga scadenza. Siamo però in prossimità di un traguardo che ci vedrà sicuramente presenti e protagonisti come nelle passate edizioni. Per tutti questi motivi, caro ingegnere, mi permetto questo scritto , atteso che non è consigliabile un incontro ravvicinato. “verba volant, scripta manent”

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l concorso, realizzato in collaborazione con l’Universita’ “Luiss-Guido Carli” di Roma che quest’anno affrontava il tema: Sviluppo economico, povertà e giustizia sociale: contraddizioni del mondo contemporaneo e nuove prospettive, si è nuovamente affermata la passione della nostra Raffaella Amendola, studentessa del 3°A dell’IISS “Francesco De Sanctis” sede associata di Caposele (Av), che continua a darle soddisfazioni e a renderci orgogliosi quali suoi amici e compaesani. Ha presentato un elaborato per la sezione di fotografia intitolato “Il piacere della libertà” con il quale ha vinto classificandosi al secondo posto! Queste le sue motivazioni: La libertà è un principio unico proprio dell’essere umano. Ogni essere umano dalla nascita dovrebbe essere considerato libero nella società in cui vive, ma in realtà al giorno d’oggi pochi rispettano il diritto alla libertà. Sentirsi libero significa essere in grado di scegliere secondo i propri principi e la propria educazione, significa avere libertà di professare la propria religione, il proprio pensiero, sentirsi libero di poter andare a scuola e quindi di imparare. Se vogliamo essere uomini liberi dobbiamo lasciare vivere in assoluta libertà ogni uomo

della terra senza alcuna distinzione di razza, sesso, lingua, religione e costumi. Ogni uomo ha diritto a realizzarsi come meglio crede e nessuno dovrebbe ostacolarlo. Impariamo a vivere nella libertà e soprattutto lasciamo vivere gli altri secondo il loro modo di percepire la vita. Ho deciso quindi, attraverso questi 10 fotogrammi di poter dar vita al piacere di sentirsi liberi.” La premiazione è avvenuta il 2 luglio scorso presso l’hotel de la ville di Avellino. Ad majora Raffaella, speriamo per te sempre maggiori successi e tante altre belle immagini!

Allestimento del numero 99 de La Sorgente. Nella foto: Salvatore Conforti, Chiara Fungaroli, Clelia Conforti, Luigi Fungaroli, Nicola Conforti e Antimo Pirozzi.

La Sorgente on line viene sfogliata in tutto il mondo grazie alla nostra piattaforma su "ISSUU". Migliaia di lettori che posssiamo verificare nei report informatici. Una bella soddisfazione

Con l’affetto di sempre Antimo Pirozzi Materdomini, 16 marzo 2020

Il Cristo in bronzo opera del grande scultore Toffetti

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Turismo

SUL RICONOSCIMENTO DI CAPOSELE NEL PROGETTO TURISTICO PROVINCIALE

“SISTEMA IRPINIA” La provincia di Avellino sta lavorando da quattro anni per realizzare un progetto culturale da sei milioni di euro. Il territorio è stato diviso in 25 distretti culturali da promuovere e inserire nei grandi circuiti turistici internazionali. Per realizzare questa mission ambiziosa, è stata realizzata la Fondazione provinciale “Sistema Irpinia”, che gestirà un progetto che punta alla convergenza di enti e istituzioni così da garantire il successo del nuovo sviluppo del territorio e che partirà con la digitalizzazione di ogni emergenza territoriale, promettendo tra le altre cose, che “dalla più piccola biblioteca al sito culturale più importante, tutto sarà in rete!” Sarebbe davvero una buona occasione per lo sviluppo turistico irpino e, ovviamente, anche il nostro comune ha aderito all’iniziativa, approvando, nella seduta di Consiglio comunale straordinario del 4.06.2020, la “presa d’atto del progetto di sviluppo territoriale approvato con deliberazione di consiglio provinciale n. 188 del 03 dicembre 2019 con approvazione dello schema di accordo quadro” un accordo, che prevede anche di posizionare, per i servizi di tutto il distretto di competenza, proprio a Materdomini, un Info point turistico (che sarà operativo a breve e gestito da personale qualificato), ritenendo giustamente, il luogo di strategica importanza per la zona. In consiglio però, c’è stato il parere discordante dei consiglieri di minoranza, non tanto verso il progetto in quanto tale, ma verso il giusto riconoscimento delle altre diverse emergenze storico-culturali e ambientali di Caposele che, secondo loro, non è stato dato in quanto non specificato nello schema di relazione dove compare un elenco generale di classificazione di tutte le emergenze turistiche irpine per le quali intercettare anche fondi per progetti europei, cosa che li ha portati comunque ad un voto contrario in Consiglio, e alla stesura successiva di una richiesta di inserimento negli elenchi, direttamente al presidente della provincia.

fa esplicito riferimento all’aggiornamento mensile delle emergenze che i comuni aderenti dovranno perfezionare e pertanto nessun bene culturale o ambientale, neanche quelli minori, verrebbero dimenticati o non valorizzati, rimanendo nei tempi di realizzazione del progetto. Come associazione, ovviamente, speriamo che quanto prima si possa procedere col miglioramento dell’infrastrutturazione turistica di Caposele e della zona e, per quanto sicuri dell’interesse di tutti i consiglieri verso la valorizzazione del nostro paese, continuiamo a chiedere loro di operare insieme in futuro, per rafforzare le proposte politiche e i progetti futuri in questo settore di cui obbiettivamente si riconosce l’importanza.

Dal canto suo, l’amministrazione, attraverso il delegato di settore, rivendicando l’importanza dell’adesione al progetto e la strategicità della localizzazione a breve termine dell’infopoint territoriale a Materdomini, ha evidenziato che sperava in un’adesione unanime del Consiglio in quanto, nella determina della Provincia approvata, si

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CAPOSELE IN CARTOLINA CENTOCENTOCENTOCENTOCENTO CENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTOCENTO


Album

Rocco Caruso e Angelo Farina

Mario Nesta Edicolante storico

Corona e Cibellis Don Vincenzo Malgieri e il gruppo delle suore Vocazioniste

Il laghetto artificiale: non solo teatro di manifestazioni sportive e culturali ma anche bello dal punto di vista panoramico. Realizzato nel 1975, distrutto, senza motivo, nel 1981

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Avvenimenti

Occorre fare un progetto turistico di Gabriella Testa

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cco siamo arrivati al numero 100 !Un traguardo importante, la Sorgente per cento volte è stata scritta e stampata. Una grande soddisfazione ed un grande merito all’Ing. Nicola Conforti che con la sua tenacia ha fatto si, che un pezzo di storia del nostro paese venisse raccontata attraverso gli articoli di questo straordinario giornale. Io personalmente scrivo da pochi anni, ci sono persone invece che hanno contribuito alla realizzazione dei numeri della “Sorgente”da diversi anni , un grazie va anche a tutte loro. In questo numero parlerò di “Turismo”, si la parolina magica, che spesso noi caposelesi pronunciamo. Tutti noi sappiamo bene che negli ultimi mesi, causa pandemia “COVID”, il turismo è quello che ne ha risentito di più, anche se per fortuna a Caposele come in altri paesi dell’Irpinia non ci sono stati casi. Le persone si sono intimorite, l’afflusso che c’era una volta non c’è più, ora si spera che con il tempo tutto riprenda il suo corso. Offerta turistica. Questo evento mi ha portato più di prima, a pensare che un paese come Caposele, posto all’interno del Parco regionale dei Monti Picentini, con sorgenti d’acqua e natura incontaminata, possa essere una vera e propria meta turistica, dove poter trascorrere qualche giorno in tranquillità. Ma per poter avanzare una campagna di promozione turistica occorre però fare prima un vero e proprio Progetto Turistico , coinvolgendo anche i comuni vicini, che con la loro offerta arricchirebbero anche la nostra , creando così una sorta di collaborazione e di risveglio del nostro territorio. Intanto occorre che ogni comune agisca per mettere in campo una buona offerta . Come ? Semplice, valorizzando quello che ha. Iniziamo col dire che in un paese come il nostro , dove la natura la fa da padrone , andrebbero create più aree verdi. Mi sembra impossibile pensare che non si possa passeggiare tra la natura , in aree vicine ai centri abitati. Le 2 aree importanti come il villaggio Duomo a Materdomini ed il villaggio

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S.Caterina a Caposele andrebbero bonificate al più presto e andrebbero create aree verdi e parcheggi di servizio. A Caposele, per esempio , andrebbe reso fruibile “tutto” il parco fluviale, a partire dalle sorgenti fino ad arrivare al campo sportivo Liloia, l’ ingresso alle passerelle in legno sul fiume e le zone di sosta attigue, sono ostruite ed andrebbero liberate e la vegetazione lungo tutto il percorso andrebbe curata. Tutta l’area del campo da calcio Liloia, compresa l’area occupata dall’attuale campo di bocce e aree attigue andrebbe riprogettata e creata una area sportiva e ludica . La riprogettazione di strade e la rivalutazione del centro storico di Caposele, compreso le cantine “Catapano”. Nel nostro comune ci sono eterni cantieri edili aperti, impalcature e recinzioni di cantiere che imbruttiscono il luogo. Occorre che vengano fatti rispettare i tempi fissati dalla legge, entro i quali il cittadino deve obbligatoriamente rimuoverli. L’ultimo tratto di corso S.Alfonso dovrebbe diventare un terrazzo panoramico con veduta sulla bellissima valle del Sele , realizzando una pavimentazione in pietra lungo tutto il tratto ed eliminando i parcheggi da ambo i lati della carreggiata, per permettere di passeggiare tranquillamente e godersi la veduta della vallata. Magari permettere solo da un lato dei parcheggi per disabili. Quelle poche bancarelle di metallo attualmente esistenti andrebbero sostituite con chioschi in legno. Poi dovrebbe esserci anche l’obbligo di non parcheggiare i propri mezzi agricoli all’interno del centro urbano. La cura del verde in tutto il territorio caposelese dovrebbe essere d’obbligo! IL centro storico andrebbe risvegliato ! Dare dei vantaggi a coloro che aprono delle attività commerciali nel centro storico; a coloro che creano degli eventi musicali e culturali. Sarebbe auspicabile che venissero istituiti eventi periodici nelle diverse piazzette per dare vita al centro storico. Come pure sarebbe molto carino che venissero sostituiti, all’interno del centro storico, gli infissi in alluminio con quelli in legno, con la

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stessa tipologia per tutte le case, per dare una certa uniformità. Quando parlo di centro storico parlo anche della zona che si trova al di sotto di piazza Sanità. La ristrutturazione del vecchio mulino Russomanno, un’altra piccola chicca e una rivalutazione di tutta la zona di via “Ogliaro”, donerebbe a Caposele un valore aggiunto inestimabile . Infatti nelle storia del nostro comune i mulini hanno rappresentato una caratteristica fondamentale della storia delle nostre origini. Inutile dire che anche le cantine in località Catapano come la strada che porta alle stesse andrebbero riprogettate e ristrutturate. Problematica rifiuti. Un problema che Caposele si trascina da anni sono i cosiddetti “cassonetti dei rifiuti”. L’implementazione di cassonetti a scomparsa ed l’eliminazione

indecente che purtroppo spesso lo abbiamo visto negli ultimi tempi. L a creazione di percorsi naturali, percorsi di trekking, piste ciclabili, percorsi vita negli auspicabili “parchi” da realizzare, darebbero una vera e propria svolta al nostro turismo. Nell’area di Caposele ci sono diversi prefabbricati risultati abbandonati. Perché non creare delle vere e proprie residenze turistiche e far versare nelle casse comunali gli affitti che permetterebbero ulteriori interventi per un miglioramento del decoro urbano? Patto di collaborazione con i comuni e fondi da destinare alla promozione. All’inizio ho parlato di una collaborazione con i comuni vicini, sarebbe straordinario creare dei pacchetti turistici in cui si dia valore oltre alle nostre risorse naturalistiche e storiche

La foto ritrae il vialone delle Sorgenti con tutte le opere pittoriche di Leonardo. In fondo il “Trenino Turistico”

di molti di essi con la raccolta porta a porta potrebbe essere una vera e propria rivoluzione. Promuovere il territorio anche con uno sguardo aperto alle problematiche ambientali sarebbe cosa buona e giusta. Il cittadino che produce una bassa quantità di rifiuti indifferenziati , andrebbe premiato con uno sconto sul costo della tassa annuale dei rifiuti, perché vorrà dire che ha contribuito durante l’anno ad una lodevole raccolta differenziata. Ogni famiglia dovrebbe avere una tessera da permettergli di aprire e riporre il sacchetto dell’indifferenziata in appositi cassonetti capaci nello stesso tempo di pesare il sacchetto riposto. Per la carta, la plastica ed il vetro dovrebbe esserci il ritiro porta a porta . Così facendo eviteremmo di offrire ai turisti che verranno a soggiornare a Caposele /Materdomini lo spettacolo

anche all’enogastronomia. Visite guidate in aziende agricole irpine con degustazioni in loco dei prodotti. Il programma di collaborazione dovrebbe prevedere anche un costo comune per la promozione turistica. Sì, perché sappiamo che senza una buona promozione turistica, ma in primis senza una buona offerta, non può esserci una visione più ampia del significato della parola “ Turismo” . Per cui nei bilanci annuali di previsione, dovrebbero esserci dei fondi destinati unicamente alla promozione turistica e ad una progettualità studiata con persone del settore.

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Storia

Olimpiadi 1950 Carissimo Nicola, Ho ricevuto con molto entusiasmo, ed orgoglio nello stesso tempo l’invito di inviare delle foto ricordo delle Olimpiadi 1960,in occasione della mia partecipazione come tedoforo, da inserire e divulgare agli affezionati lettori della rivista “la Sorgente” che, con la prossima emissione, coronerà una non invidiabile sequenza di numero “100”,e che rende felici tutti noi lettori, che da anni seguiamo con tanto a simpatia le vicende della nostra simpatica e beneamata cittadina Caposele.

In tutto siamo eguali La mia è stata una lunga e piacevole esistenza, per le tante occasioni che la vita mi ha riservato: la gente del mondo mi ha reso felice, con le loro espressioni ed io spesso ho imitato i loro modi di atteggiarsi!:

Rocco freda e Amerigo Del Tufo

Rocco al Km 85 di Ponte Sele

Noi siamo eguali in tutto;non aspettiamo che “il coronavirus” distrugga le nostre esistenze!: vegliamo insieme, noi tutti, aspettando segnali veri di fratellanza, che valgono più della nostra vita:questa è la vera terra da solcare...

Il momento, però, non sarebbe proprio dei più favorevoli alle ragioni di questo invio, vista la situazione mondiale attuale che attraversiamo, e che ha determinato lo sconvolgimento generale di tutti gli avvenimenti sospendendo ogni forma di vita collettiva. Sono certo, però, che con la tua ferma volontà di non interrompere un avvenimento già di per sé compromesso, questo sia un auspicio al mondo intero, ed un augurio per eliminare tutte le contrarietà che ci affliggono in questi frangenti, Con questo augurio e, con la certezza che le notizie che divulgherete con la prossima uscita de”La Sorgente” si risolverà tutto il malessere esistente nel mondo, auguro ogni fortuna a “La Sorgente”, a te e famiglia tutti indistintamente i miei concittadini di Caposele, ed al mondo intero!

Loro hanno un’anima ed un cervello per poter ragionare,come noi,e tutti attendono che presto si apra la porta dell’Europa, chiamata la “porta di Dio”!; grande è l’attesa per il loro futuro; vivono sempre felici,e trasfondono fortuna, gioia, e speranza di restare accanto a loro!

Luigi

La banda Musicale di Caposele in una prova che provocò l’accensione dei fuochi preparati dagli amici di Calabritto accorsi per la stessa occasione

Ti abbraccio con il mio solito ed imperituro affetto Pordenone,27 Maggio 2020 Rocco Freda

Rocco in piena azione

Rocco festeggiato dagli amici di Caposele

Un folto gruppo di Caposelesi accorsi a PonteSele per assistere al passaggio della Fiaccola Olimpica

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Turismo

Le foto del nostro archivio su La SELETECA fotografica

Cenni generali Caposele, stretto tra il monte ed il fiume, cerniera tra le valli del Sele e dell’Ofanto, modella le sue stradine e le sue piccole piazze tra il verde riposante ed incombente ed il luccicante alveo di un rivolo che si fatica a vedere. Porta inciso sulle sue pietre, nei suoi toponimi e sui volti dei suoi abitanti i fasti di un’antica ed umile “Città di Sorgente” che in nome della solidarietà tra le genti rinunciò all’unico suo bene: l’acqua. Caposele, situato a ridosso delle Sorgenti del Sele ed ai piedi del monte Paflagone con il suo territorio prevalentemente collinare, esteso Kmq 41,50, su un’altitudine compresa tra i 1568 metri di Calvello ed i 250 metri di Temete, costituisce, di fatto, la testata della Valle

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del Sele. La popolazione è concentrata per lo più nel centro capoluogo e nella frazione Materdomini. Le notizie storiche sul paese risalgono all’XXI secolo, epoca in cui fu costruito un castello appartenuto di volta in volta a vari feudatari tra i quali Balvano, i Sannazzaro ed i Gesualdo. Sicuramente preesisteva al nucleo abitato di origine feudale il borgo di Capodifiume, legato alle attività che si svolgevano intorno al Sele. Nel XIV secolo, con la realizzazione di un complesso monastico da parte degli Antoniani e l’espandersi del borgo feudale, l’area del Castello assunse compattezza edilizia. Nei successivi secoli XV e XVI da un lato proseguì lo sviluppo urbanistico verso Portella, Casali e Grotte e dall’altro si irrobustì il tessuto edilizioproduttivo di Capodifiume. E solo nel XVII secolo Caposele si arricchisce delle insule che fanno corona all’attuale piazza Tedesco, anche con la costruzione di pregevoli palazzi gentilizi. Il Novecento è segnato da due eventi che costituiranno un punto di svolta per il territorio di Caposele: la costruzione dell’Acquedotto Pugliese e la crescita della frazione Materdomini (attorno al complesso monastico dei Redentoristi ove visse e morì Gerardo Majella)

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Il Castello

Come si è detto, nel secolo XI, fu costruito un castello a forma di torrione quadrato a base piramidale, per provvedere alla difesa del borgo. Quello che oggi è semplicemente un rudere, un tempo ospitò famiglie illustri; qui festeggiò, le sue nozze Margherita D’Aragona.

La Chiesa Madre

La Chiesa dedicata a S.Lorenzo Martire, ricostruita dopo il terremoto del 1980 sul sedime dell’antico complesso monastico Antoniano, è stata relalizzata dallo studio GigliottiPortoghesi. Essa, con discontinuità architettonica, si inserisce in un pezzo significativo del Centro Storico, andando a completare la cortina di edifici intorno alla più originale delle piazze di Caposele.

Il Bosco Difesa

L'ngresso al Museo delle macchine di Leonardo

Le cascate del Parco fliviale

La chesetta della Madonna della Sanità

Santuario di San Gerardo

I LUOGHI DA VISITARE

on line

Santuario di San Gerardo

Le Sorgenti del Sele

Luogo di notevole attrazione turistico-religioso è la frazione di Materdomini, situata sulla sua collina a quota 600 metri s.l.m. Il borgo deve il suo nome alla Mater Domini, piccola chiesetta dedicata alla Madonna, poi inglobata nel complesso del Santuario di San Gerardo. Nel 1746 S.Alfonso Maria dei Liguori eresse un convento dove vi morì, nove anni dopo, Gerardo Majella proclamato Santo nel 1904. Da allora l’affluenza di pellegrini da ogni parte del mondo ha trasformato la frazione in uno dei centri devozionali più importanti del Sud. Di notevole interesse architettonico sono la restaurata Basilica del 700, l’ardimentosa e moderna Chiesa del Redentore e il Collegio Redentorista. Costituisce attrazione per pellegrini e studiosi il Museo Gerardino (con annessi siti in cui è vissuto il Santo), la Biblioteca Gerardina e la mostra permanente del Presepe.

Sono le più importanti dell’Italia Meridionale, e hanno incantato poeti antichi e moderni per la grandiosità dei volumi d’acqua; acqua captata e incanalata in un acquedotto che resta, una delle opere umane “di cui il mondo non ricorda l’eguale”. Ma le acque residuali, consegnano al visitatore una natura rigogliosa che esplode incontaminata in una piacevole tonalità di colori stagionali segnando il variegato territorio caposelese. Resta a memoria di un tempo in cui copiose acque scorrevano libere nell’alveo il Campanile del Settecento cui era annessa la Chiesa dedicata alla Madonna della Sanità ( poi ricostruita identica nell’attuale posizione.

La frazione, si presenta ospitale con la sua fitta rete di esercizi commerciali e di attrezzature ristorative e ricettive.

Il toponimo Difesa non ha nulla a che vedere con scopi militari. Fu il più illuminato dei Borboni, Carlo, a costruire una difesa naturale costituita da boschi che riparassero il clima mite della valle del Sele dalle correnti gelide della valle dell’Ofanto. Esteso circa 80 ettari, esso costituisce un patrimonio di specie botaniche in estinzione, ma soprattutto un luogo di dolce refrigerio per residenti e turisti.

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