Le vie dell'acqua Michele Ceres

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Al sacrificio di operai e tecnici che persero la vita nei lavori di costruzione dell’Acquedotto Pugliese, opera “di cui il mondo non ricorda l’eguale”.

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COLLANA

1915 – 2015: UN SECOLO DI STORIA TITOLO DEI VOLUMI

N.1 – LE VIE DELL’ACQUA, I GRANDI TRASFERIMENTI IDRICI DELL’APPENNINO MERIDIONALE I Edizione: 2015 ‐ ISBN: 978‐88‐98817‐57‐3 Opere riunite in collana a cura di Arturo Bascetta Copyright 2006‐2015 © Arturo Bascetta Copertina – Progettazione Grafica: Amerigo Ferrara Copyright 2015 © Michele Ceres

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Michele Ceres

LE VIE DELL’ACQUA I grandi trasferimenti idrici dell’Appennino Meridionale

Canale Principale dell’Acquedotto Pugliese

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Noi veneriaamo le sorggenti dei fium mi; dove dal nulla sgorgan no improvvisi immensi corsi d’acqu ua, là sorgono altari.

L Lucio Anneo Sen neca Epistulaee Morales ad Lu ucilium

Caposele, lapide di dedica al a centro dell’A Anfiteatro dellee Sorgenti Mad donna della Sanità

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PREFAZIONE

Questo volume, che analizza sinteticamente le relazioni storico‐politiche e geografiche intercorse tra le risorse idriche ed una vasta area del Mezzogiorno d'Italia, offre una serie di riflessioni al lettore attento alle dinamiche del territorio meridionale e ai suoi quadri di civiltà. L'autore parte dall’esplorazione ambientale dell'Appennino Meridionale, il più povero tra i sistemi orografici italiani, non a caso definito qualche decennio fa "zona dell’osso". Salvo poi a scoprire che in qualche caso è stato letteralmente spolpato delle sue risorse a vantaggio delle esigenze di aree metropolitane al collasso! Concentrandosi, poi, sull’Irpinia, non a torto definita "la più importante riserva idrica dell’intero bacino mediterraneo”, l’autore evidenzia come questa provincia e le sue acque siano state accerchiate, espugnate e "imprigionate” a beneficio di Napoli, della sitibonda Apulia e del territorio cilentano–lucano. Seguendo, infine, tracce e indizi di quest'acqua, che è un Bene che ha un valore, Michele Ceres si imbatte e illustra con dovizia documentaria la storia dell' Acquedotto Pugliese, un' azienda di caratura europea voluta e realizzata dallo Stato per modernizzare il Mezzogiorno attraverso l'intervento pubblico. Il libro mette in risalto almeno tre questioni ancora non del tutto risolte, che possono così riassumersi: in primo luogo la diversità dei fiumi appenninici meridionali e la loro interconnessione a livello di bacini imbriferi, il cui cuore e 6


snodo è l'Irpinia, spingono studiosi e legislatori a riconsiderare criticamente certe scelte avventate del passato recente e remoto, per cui si appalesa necessaria e utile un’opzione di sviluppo che faccia leva sulle vocazioni ambientali che per natura sono portatrici di sviluppo e di benessere condivisi. I corsi d'acqua sono, in tal senso, religiosamente da considerare non come corpi estranei ad un territorio, facilmente mutilabili da esso, ma come “partners” attivi del lavoro umano, in grado di produrre ricchezza diffusa per tutti. Mi verrebbe di dire che la Natura non va rimossa, né deviata e meno ancora dominata, perché se sfidata sa vendicarsi e ritorcersi contro i suoi presunti padroni. Nel caso irpino la vendetta sta nel fatto che si sono arricchiti territori a danno di altri, senza curarsi della riproducibilità delle risorse, i cui tempi non coincidono con quelli dei mercanti d'acqua. La natura invece va tutelata, curata e affidata a un lungimirante governo democratico dell'ambiente che parta dalla montagna e termini al mare. Al contrario la cassaforte idrica irpina continuerà ad essere saccheggiata o mercificata, complici certe relazioni pericolose tra "mercanti del Tempio” metropolitani e i soliti questuanti locali che la Storia di volta in volta ci assegna; ‐ in secondo luogo, la vicenda dell’Acquedotto Pugliese testimonia che il Mezzogiorno post‐unitario conobbe una trasformazione tribolata, ma in qualche caso seppe vincere significative scommesse. 7


La performance storica dell’EAAP, oggi AQP, dimostra che anche al Sud si è capaci di grandi cose se si hanno i giusti stimoli e non si deborda dagli obiettivi prioritari. L'EAAP fu un esempio di modernizzazione del Paese, perché non si limitò al solo ruolo di soggetto erogatore di acqua potabile, ma seppe opportunamente essere anche motore di uno sviluppo più ampio, grazie alla sua positiva ambizione di accumulare un patrimonio di conoscenze e di intelligenze tecnico‐scientifiche. Nel panorama disastrato dell’economia italiana non è un caso se ancora oggi AQP può competere a livello europeo nel settore del ciclo integrato delle acque, spingendosi ad ispirare piuttosto che subire le novità legislative, come ad esempio la legge 36/ 94 e il successivo D.Lgs. 152/2006 che disciplinano l'uso responsabile delle risorse idriche, come a dire che anche il Sud eccelle se non si perde nei labirinti ambigui del potere; in ultimo luogo, l'autore ci consegna problemi aperti che riguardano le prospettive di una risorsa ormai ritenuta unanimemente strategica: bacini idrografici interregionali e relative “authorities”, regioni concorrenti molto stravaganti nel trattare la tutela dei beni demaniali, soggetti gestori in bilico tra interessi pubblici e privati, riforme costituzionali che vorrebbero riequilibrare poteri ed infine enti territoriali ancora non del tutto consapevoli del loro ruolo. C'è di che discutere, dopo aver letto questo bel lavoro di Michele Ceres; ma ci sono anche tante ragioni per agire bene e subito, se non si vuole consegnare alle future generazioni uno 8


stato di fatto in cui un bene comune diventa merce a tutti gli effetti . Alfonso Merola Già Sindaco di Caposele e già componente dei Consigli di Amministrazione dell’E.A.A.P. e dell’A.T.O. Calore Irpino

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INTRODUZIONE I grandi trasferimenti idrici dell’Appennino Meridionale, nella sua parte campana, molisana, lucana e pugliese, costituiscono l’elemento centrale della presente trattazione. Le notevoli disponibilità idriche dell’Appennino Meridionale in specie dei Monti Picentini sono naturalmente strettamente dipendenti dalle caratteristiche climatiche, che presentano, infatti, in maniera abbastanza regolare, un massimo di piovosità in inverno e in autunno. La discreta piovosità genera riserve idriche abbastanza copiose. La buona permeabilità dei terreni permette una diffusa circolazione sotterranea di acqua meteorica, generando fiumi sotterranei, che alimentano alla base dei massicci calcarei vaste zone allagate, ove la pressione esercitata dall’acqua che giunge dall’alto porta questi fiumi nascosti a creare sorgenze e risorgenze. Le acque sorgive che ne scaturiscono, secondo le stime di enti internazionali che si occupano di potabilità, sono di eccellente qualità, ma soprattutto pulite e pure. Tali sono l’origine e la natura delle acque sorgentizie del versante tirrenico dell’Appennino Meridionale, dei Monti Picentini in particolare, affioranti in Irpinia, che attraverso un sistema acquedottistico, tra i più importanti al mondo, vengono trasferite in zone lontane dalle sorgenti anche centinaia di chilometri, in Puglia, Basilicata e fascia litoranea della Campania. 10


Tali sono le sorgenti del fiume Sabato Serino, le cui acque oggi sono destinate a Napoli e ad altri comuni della Campania, ma già in età classica furono utilizzate: parte per sopperire alle esigenze idriche della flotta imperiale romana di stanza a Miseno e di non poche città costiere; parte per alimentare l’Acquedotto “Sannitico”, costruito non si sa se dai Sanniti o dai Romani, probabilmente dai secondi nel II o III secolo d.C. . Acquedotto che, incrementato lungo il percorso dalle acque di Sorbo Serpico e di Altavilla Irpina, riforniva le città di Avellino e Benevento Tali sono le acque sorgentizie del Sele situate nel comune di Caposele (AV), che agli inizi del secolo scorso furono prelevate e incanalate in un sistema misto di gallerie scavate nella roccia, in trincea e su ponti della lunghezza complessiva di 244 chilometri per trasportarle fin nel lontano Salento. Ed ancora, tali sono le sorgenti del Calore Irpino, localizzate a Montella e Cassano Irpino, che agli inizi degli anni Sessanta del Novecento furono convogliate a Caposele, tramite una galleria della lunghezza di circa 16 Km nel Canale Principale (galleria “Pavoncelli”) per giungere nell’assetata Puglia. Tali sono, infine, le sorgenti del Destra Sele di Calabritto, Quaglietta e Senerchia trasferite nel Cilento e nella fascia costiera salernitana. Particolare attenzione è stata rivolta, nel corso della trattazione, anche alle implicazioni sociali ed economiche conseguenti a tali trasferimenti e ai rapporti, non sempre cordiali, spesso conflittuali, tra i territori d’origine e l’Organo di 11


gestione dell’Acquedotto Pugliese, fino al 1999 Ente Autonomo Acquedotto Pugliese (EAAP), oggi AQP SpA, il cui capitale azionario è concentrato totalmente nella disponibilità della Regione Puglia. Prima di entrare nel vivo della trattazione, ho pensato che sia utile fornire al lettore poche e sintetiche informazioni sulle difficoltà di accesso alle fonti idriche in non poche parti del pianeta e sullo sviluppo dei sistemi di trasporto dell’acqua dall’antichità ad oggi. L’Autore 12


PREMESSA A L’acqua è vvita Breve storiia degli acqu uedotti

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L’acqua è vita L’acqua è vita; è la componente principale del “brodo primordiale” delle nostre origini, il sistema circolatorio del nostro pianeta, il composto molecolare di idrogeno e ossigeno che consente la vita sulla Terra. Il nostro corpo, come la terra, è fatto per due terzi di acqua; i nostri fluidi vitali sono salini, come l’oceano. “Se mi chiedessero di dare forma a una religione, userei l’acqua”, scriveva il poeta inglese Phlip Larkin. E infatti, non poche religioni lo fanno, come l’Ebraismo e il Cristianesimo. Il mondo, dice il libro della “Genesi”, è stato portato in vita da un Dio che ha creato “un firmamento d’acqua”. Lo dicevano anche i Babilonesi che credevano in un mondo generato da una mescolanza di acqua dolce e salata. Lo stesso “diluvio universale” è un archetipo acqueo, che fa parte di più culture: mesopotamica, ebraica e, finanche, azteca. Le grandi civiltà sono nate e si sono sviluppate lungo i corsi d’acqua. I primi agricoltori del periodo neolitico costruirono le proprie abitazioni distanti dai corsi fluviali, in quanto temevano le inondazioni che causavano danni ai centri abitati e alle coltivazioni. Quando, poi, l'uomo iniziò a capire che anche l'acqua poteva essere controllata e sfruttata a proprio vantaggio nacquero le prime civiltà fluviali, che si svilupparono lungo i corsi e le valli dei grandi fiumi: Tigri ed Eufrate in Mesopotamia, Nilo in Egitto, Indo e Gange in India, Fiume 14


Giallo, Huang He e Fiume Azzurro, Chang Jang, scritto a volte Yang Tze Kiang, in Cina. Per poter dominare l'acqua nei periodi di piena furono scavati canali artificiali, che permettevano alla stessa di defluire in percorsi forzati. Furono costruite dighe, bacini e cisterne. Opere che permisero agli insediamenti umani di svilupparsi e di beneficiare dei vantaggi della vicinanza dell'acqua, vantaggi che si tradussero nella semplificazione dei lavori dei campi e dell'allevamento, nel miglioramento della qualità della vita e dell'alimentazione, con conseguente sviluppo sociale e culturale. I fiumi, in pratica, segnarono l’inizio della civiltà. Oggi assistiamo a tre paradossi. Il primo è rappresentato dal fatto che, se per un verso la nostra più grande paura è di rimanere senz’acqua per l’esaurimento delle falde acquifere, dall’altro domina la preoccupazione di averne molta, per via dei cambiamenti climatici che stanno provocando, anche in zone tradizionalmente a clima temperato, supertempeste devastanti di intensità spaventosa, provocate dal surriscaldamento dell’aria. Il secondo paradosso è costituito dal fatto che viviamo su un pianeta ricco di acqua, ma il 97% è salata e, quindi, non potabile; il 2% esiste sotto forma di neve o ghiaccio; ne resta soltanto l’1% per coltivare i campi, alimentare le industrie e rifornire le nostre abitazioni. Il terzo, infine, è rappresentato dalle profonde diversità e condizioni di vita nelle diverse zone del pianeta. Se nelle aree ricche basta aprire un rubinetto per avere acqua potabile a 15


volontà, nel n resto del d mondo quasi novvecento milioni di persone non hanno accesso a all’’acqua pulitta e due miliardi m e mezzo non n dispongon no di sistem mi igienici per p smaltire i propri escrementti. L’acqua sporca e la carenza di servizi sanitari uccidono nel mondo o, specie in n Africa, oggni anno, oltre o tre milioni di p persone, peer lo più bam mbini di etàà inferiore aai cinque anni.

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Breve storia degli acquedotti Portare l’acqua pulita vicino alle case della gente è stato sempre ed è tuttora un problema di cruciale importanza per invertire il ciclo della miseria e determinare sviluppo economico e crescita sociale. È stato calcolato che, ancora oggi, ogni giorno, sei milioni di donne percorrono distanze anche di venti chilometri per procurasi l’acqua, trasportando taniche piene di acqua torbida. Nei primi tempi dell’esistenza delle città, le popolazioni si accontentavano di usare le acque che attingevano dai fiumi o dai pozzi o dalle sorgenti. Successivamente, col crescere dei centri abitati, si fece sempre più pressante il problema del trasporto dell’acqua. La costruzione dei primi acquedotti risale alle popolazioni dell’antichità in regioni quali: l’India, la Mesopotamia e l’Egitto, ove si costruirono anche dei sofisticati impianti di irrigazione. Circa quattromila anni fa nella valle dell’Indo, nel Pakistan meridionale, fiorì una grande civiltà i cui nuclei vitali furono due città: Mohenjo Daro e Harappa. Un particolare, che testimonia il notevole livello della struttura sociale raggiunto dall'ignoto popolo di Harappa e di Mohenjo‐ Daro, ha da subito colpito gli archeologi: una piscina coperta lunga 12 metri e larga 7, cui si accostavano un bagno di vapore e un sistema di riscaldamento ad aria calda. Poi dagli scavi è emerso che tutte le case, costruite con mattoni simili ai nostri, 17


possedevano un proprio impianto di acqua corrente, un proprio bagno, propri servizi igienici, non solo al pianterreno, ma anche ai piani superiori, come dimostrano chiaramente le tubature. Il sistema di canalizzazione cittadino era talmente moderno da far dire agli esperti inglesi: "Noi, oggi, non potremmo fare meglio!" Sotto ogni via correvano tubazioni e cloache destinate, queste ultime, a raccogliere l’acqua nera e quella piovana. Non solo nella valle dell’Indo, anche nella mediterranea isola di Creta i Minoici attrezzavano i loro palazzi di bagni con servizi igienici dotati di impianti fognari e acqua corrente, trasportata direttamente dalle sorgenti attraverso tubature di terracotta. Abili costruttori di acquedotti furono le popolazioni mesopotamiche, gli egizi e i greci. Molti furono gli acquedotti in Grecia. Erodoto descrive quello di Samo, costituito da un canale lungo sette stadi (circa 1240 metri), scavato nella roccia su progetto dell’architetto Eupalino nel V sec. a.C. Efficienti sistemi di canalizzazione d’acqua erano in esercizio nelle città Maya, Azteche e Incas già molto tempo prima della conquista spagnola. Fu, comunque, con i Romani che la tecnica di costruzione degli acquedotti raggiunse un alto grado di efficienza. Roma, infatti, ebbe la più grande concentrazione di condotte idriche del tempo: undici acquedotti, lunghi complessivamente circa 350 km, costruiti nell’arco di cinque secoli, utilizzati in parte, ancora oggi, per alimentare le fontane della capitale. Solo 47 km su 18


350 erano costruiti in superficie, i rimanenti erano sotterranei. Il più lungo degli acquedotti romani viene considerato quello costruito nel II secolo a.C. per approvvigionare Cartagine attraverso una condotta di 141 km. Il primo acquedotto in ordine di tempo fu quello della “Aqua Appia”, una condotta sotterranea della lunghezza di circa 16 km realizzata verso il 312 a.C. durante l’amministrazione di Appio Claudio, da cui derivò il nome. L’acquedotto della “Aqua Marcia”, costruito nel 144 a.C. dal pretore Marcio, fu invece il primo acquedotto romano non sotterraneo. Lungo complessivamente circa 90 km, scorreva, in parte, su ponti per la lunghezza di 16 km. Tra gli acquedotti, che i romani costruirono in altre regioni dell’impero, si ricordano quelli di Nìmes in Francia e di Segovia in Spagna. Gli acquedotti romani erano delle costruzioni molto sofisticate, il cui standard qualitativo e tecnologico non ebbe uguali per oltre 1000 anni dopo la caduta dell’Impero Romano. Presso i Romani l’acquedotto era di regola un’infrastruttura ipogea; ma nei lunghi percorsi a valle, ove si preferiva abbreviare il tracciato o nei luoghi caratterizzati da forti dislivelli del terreno, la necessaria continuità di pendenza del condotto non poteva ottenersi per mezzo dei soli cunicoli sotterranei. Occorreva alternare a questi alcuni sostegni, a muro pieno o ad arcate, che tenessero alto il canale in corrispondenza delle depressioni del suolo. Esperti geometri e topografi, detti gromatici, dirigevano la costruzione di queste massicce opere murarie, utilizzando strumenti molto precisi, come la groma, che consentiva di 19


tracciare linee dritte e determinare angoli retti. Gli operai erano in grado di sollevare pesanti pietre grazie a imponenti gru mosse da ingranaggi rotanti azionati da schiavi. Una volta raggiunta la città, l’acqua veniva raccolta in bacini e vasche e quindi distribuita attraverso un elaborato sistema di tubi sotterranei, che alimentavano fontane, bagni pubblici e lavatoi. È significativo, ai fini del nostro studio, notare come già gli antichi Romani utilizzassero, attraverso un efficace sistema di prelevamento e di trasporto, le acque del bacino imbrifero dei Monti Picentini per rifornire la flotta imperiale di stanza a Miseno. Tra il 14 e il 23 d.C., in piena età augustea, le acque delle sorgenti di Serino (AV) furono trasferite con un grandioso acquedotto, impropriamente attribuito fino al 1938 all’imperatore Claudio, verso la Piscina “Mirabilis” di Miseno, attraverso un percorso di 96 chilometri. In realtà la lunghezza complessiva dell’acquedotto era di 145 Km, in quanto tramite sette diramazioni l’acqua raggiungeva anche “Neapolis, Puteoli, Nola, Atella, Cumae, Acerrae, Baie e Misenum, Herculaneum e Pompeii”. Per gran parte del percorso l'acquedotto correva all' aperto su arcate in laterizio, delle quali restano tracce a Napoli nella zona dei “Ponti Rossi”. Nel 324 l’acquedotto augusteo fu ristrutturato dall’imperatore Costantino, come documenta un’iscrizione rinvenuta nei pressi di Serino, ma dopo la fine dell’impero non fu più utilizzato. Un altro acquedotto detto “sannitico”, risalente al 2°/3° secolo d.C. , utilizzava le sorgenti 20


di Serino per rifornire del prezioso liquido le città di Avellino e Benevento. Molte delle esperienze costruttive maturate in epoca romana con la fine dell’impero andarono perse. Fece eccezione la Sicilia, ove gli Arabi ampliarono la rete idrica esistente per le coltivazioni ortofrutticole e per i giardini privati. Nei primi anni del dominio arabo venne realizzato a Palermo il complesso architettonico della “Zisa”, una sorta di monumentale fontana, che fungeva anche da palazzo di rappresentanza, alimentata da un acquedotto interrato, che una serie di cascatelle lo faceva proseguire all'esterno, dove giungeva in un ricco giardino. Molte tecniche idrauliche importate dai musulmani rimasero in uso fino alla prima metà del Novecento. Una ripresa della costruzione degli acquedotti si ebbe a partire dal XIII secolo, quando si riuscì a trasportare l’acqua anche in salita, come a Perugia, Orvieto e Spoleto, ove rimane il cosiddetto Ponte delle Torri, un ponte‐acquedotto alto 82 metri e lungo 220. In particolare, nella città di Perugia venne realizzata la Fontana Maggiore proprio per celebrare la costruzione dell'acquedotto lungo circa cinque chilometri che segnò la riconquista delle antiche tecniche idrauliche romane. Ancora nel XVI secolo il Vasari, nella vita di Nicola e Giovanni Pisano, esprimeva così la sua ammirazione per questo acquedotto: "E avendo (…) i Perugini dal monte Pacciano, lontano due miglia dalla città, condotto per canali di piombo 21


un’acqua grossissima, mediante l’ingegno et industria d’un frate de’ Silvestrini..." Per il resto dell'Europa l'approvvigionamento di acqua continuava, però, ad essere garantito, principalmente, dallo scavo di pozzi. 22


Capitolo Prrimo ‐ L’App pennino Merridionale La morfolo ogia Le strutture idrogeolo ogiche I Monti Piccentini I trasferimeenti idrici in nterregionalli

Monti Picentin ni, ”Oasi Valle della Caccia”, Seenerchia – AV

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La morfologia

L’Appennino Meridionale, a differenza di quello centrale e di quello settentrionale, non costituisce una catena orografica con una direzione da NO a SE, ma si fraziona in rilievi isolati divisi da bacini depressi che sono buone vie di comunicazione. I due versanti, adriatico e tirrenico, sono asimmetrici. Il primo digrada lentamente verso il mare e la zona mediana, fiancheggiata verso l’esterno da una fascia collinosa (Subappennino); il secondo, invece, è caratterizzato da massici più alti, più aspri e più irregolari. Tra il valico molisano di Vinchiaturo (552m) e quello calabrese dello Scalone (744 m) spiccano, relativamente isolati l’uno dagli altri: nella sezione molisana‐campana il gruppo del Matese, culminante nel Monte Miletto (2070m) che, posizionato al centro del massiccio, divide la Campania dal Molise; nella sezione campana il massiccio dei monti Taburno e Camposauro, alti rispettivamente 1393m e 1388m e il gruppo dei Monti Picentini, la cui cima più alta è il Cervialto (1810m); alla sinistra del medio corso del fiume Sele l’imponente massa del monte Alburno (1742m). Nella sezione Lucana, s’innalzano il monte Cervati (1900m), i monti della Maddalena con il Volturino (1836m), il monte Sirino (2005m), l'imponente massiccio del Pollino (2248m) e il Serra Dolcedorme (2271m). A sud del valico dello Scalone, una catena, chiamata comunemente “costiera”, si allunga per circa 60 km fra la valle del fiume Crati e il Tirreno, culminando nel Monte Cocuzzo 24


(1541 m). Il resto dellaa Calabria è formato da quattro altipiani: la Sila, le Serre, il Poro o e l'Asprom monte, i qu uali, per qu uanto di diversa esstensione e e altezza, hanno h carattteristiche comuni: forme cup poleggianti e e ripidi fian nchi, lungo i quali s'avvvicenda una serie di terrazzzi. La sezione dell’Appennino disposta parallelamente alla co osta tirrenicca della Sicilia, compresa tra lo stretto di M Messina e il golfo di Teermini Imereese, viene cchiamata Appennino o Siculo e comprende c i monti: Peeloritani, Neebrodi e Madonie.

Monti Picentin ni, Altopiano Lacceno – Bagnoli Irpino

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Le strutture idrogeologiche Le strutture idrogeologiche dell'Appennino Meridionale presentano potenzialità idrica variabile in funzione delle caratteristiche fisiche delle rocce che lo compongono e del regime pluviometrico, il cui andamento risulta abbastanza regolare con picchi che si registrano nei mesi invernali e autunnali. Nelle rocce predominano, specie nel versante tirrenico, i “sistemi carbonatici”, costituiti da complessi calcarei e dolomitici, che, essendo caratterizzati da un’elevata permeabilità, consentono la circolazione e l’accumulo al loro interno di notevoli volumi d’acqua, dando origine a veri e propri fiumi sotterranei. La diversa permeabilità dei terreni, il discreto regime pluviometrico, la morfologia dei versanti e dei rilievi determinano nell’Appennino Meridionale un sistema fluviale suddiviso in tre gruppi diversi di bacini idrografici, in corrispondenza dei tre versanti: tirrenico, adriatico e ionico. I bacini del versante tirrenico centrale sono di grande dimensione per la notevole distanza della Catena Appenninica dalla costa e per le caratteristiche geolitologiche e strutturali. Gli stessi sono caratterizzati da un regime di deflussi abbastanza irregolare, molto influenzato dall’andamento delle precipitazioni. I principali bacini sono quelli del Volturno, del Liri‐Garigliano e del Sele. 26


I bacini del versante adriatico sono, invece, numerosi, ma di estensione limitata per la minore distanza dello spartiacque dal mare. Tali corsi d’acqua sono caratterizzati dalla tendenza ad avere un regime torrentizio per effetto anche della modesta permeabilità dei terreni affioranti. I principali bacini sono quelli dell’Ofanto, del Trigno, del Biferno e del Carapelle. I bacini tributari del Tirreno inferiore e dello Ionio sono di modesta estensione e presentano un regime spiccatamente torrentizio, con un minimo marcato nel periodo estivo ed un massimo nel periodo invernale. I principali sono quelli: del Sinni, del Noce, del Lao, del Bradano, del Basento, dell’Agri, del Crati e del Neto. I bacini calabresi, ad eccezione del Crati, del Neto e del Lao, hanno un corso molto breve e una piccola estensione, inferiore ai 100 Kmq, e presentano un carattere torrentizio estremo. Sono le cosiddette “fiumare”, caratterizzate da piene violentissime e lunghi periodi di totale mancanza d’acqua.

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I Monti Picentini I Monti Picentini costituiscono, nell’ambito dell’Appennino Meridionale, un’area geografica di circa 63 mila ettari di elevata importanza strategica ambientale e idrogeologica, sia per la Regione Campania sia per le Regioni confinanti. Si estendono tra il corso superiore dei fiumi Calore, Sabato e Sele. A nord il sistema orografico è delimitato dal fiume Ofanto; ad ovest dalla Valle del Sabato fino a Serino, dal torrente Solofrana e dalla Valle dell’Irno; a sud dal fiume Picentino e ad est dalla Valle del Sele. L’intero gruppo montuoso si divide in quattro principali domini. Procedendo da Ovest verso Est si incontrano le strutture: dei Monti Terminio‐Tuoro (1806 m/s.l.m.); dei Monti Mai–Licinici con il Monte Accèllica (1660 m/s.l.m.); del gruppo dei Monti Polveracchio‐Raione (1790 m/ s.l.m.); del Monte Cervialto (1809 m/ s.l.m.). La struttura del massiccio, costituita prevalentemente da calcari, calcari detritici e dolomitici, è circondata, oltre che dai sedimenti vulcano‐clastici e alluvionali, anche e soprattutto da formazioni di argille e argille sabbioso‐silitose di vario colore con inglobati elementi litici di natura calcarea ed arenacea. Le rocce, per loro natura, sono caratterizzate da una permeabilità che, già alta per il grado di fessurazione e fratturazione, dovuta ad eventi tettonici, risulta esaltata dalla presenza di un fenomeno carsico molto evoluto, che ha facilitato l’attacco chimico delle acque meteoriche, attacco 28


che, a sua volta, ha generato un carsismo ancora in fase giovanile che, in superficie, si manifesta con grotte, inghiottitoi, doline ecc. La buona permeabilità delle rocce carbonatiche dei Picentini, circondati, nell’insieme, da materiali argillosi altamente impermeabili, permette l’infiltrazione delle acque meteoriche fin nelle zone profonde, ove trova nelle fratture generate dalle spinte tettoniche una comoda via di penetrazione verso il basso, una specie di autostrada originata anche dall’erosione esercitata dalla corrente acquosa e dall’azione solvente dell’acqua medesima sul calcare con cui viene a continuo contatto. Si formano così veri e propri fiumi sotterranei, che alla base dei massicci, per la presenza di terreni impermeabili, formano vaste zone di deposito idrico, il quale sotto la spinta dell’acqua che giunge dall’alto dà origine alle copiose sorgenti del Sele, del Destra Sele, del Calore Irpino, del Sabato Serino e alle tante sorgenti minori. Tutto ciò rende la catena montuosa dei Monti Picentini il più importante dei serbatoi idrici sotterranei dell'Appennino Meridionale. Oltre 10.000 l/sec. di pura acqua, scaturente dalle sorgenti del Sele, del Serino e del Calore Irpino, insieme a quelle emergenti di Calabritto, Senerchia, Quaglietta, dell’Ausino, di Sorbo Serpico e di Beardo, in agro di Montemarano, quotidianamente alimentano le esigenze idropotabili di oltre quattro milioni di persone al di fuori e all’interno della Regione Campania. 29


Piana di Volturrara Irpina in cu ui si trova l’ingh hiottitoio “Bocca a del Dragone”

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I trasferimenti idrici interregionali Le risorse idriche dell’Appennino Meridionale, fin dagli inizi del Novecento, sono state prelevate per il trasferimento di ingenti quantitativi d’acqua da una regione all’altra e, in particolare, verso la Puglia. È un fiume che, in ogni secondo della giornata, per tutto l’arco dell’anno, assume una portata oscillante intorno al valore di 25.000 l/sec tra acque sorgentizie e lacuali. In sintesi, le analisi condotte per il Piano di Gestione del “Distretto Idrografico Appennino Meridionale” hanno portato a stimare i seguenti trasferimenti idrici:

Regione d’origine

Molise

Lazio

Campania

Basilicata

Fonte di alimentazione

Regione di destinazione

Sorgente di Sammucro Campi Pozzi Peccia Sorgente di S. Bartolomeo Sorgente Biferno Acquedotto ERIM Diga di Occhito Acquedotto ERIM Presa sul fiume Gari Diga di Occhito Sorgente di Cassano Irpino Sorgente di Caposele Diga di Conza Diga di Conza Sorgente di Cassano Irpino Diga di Monte Cotugno Diga di S. Giuliano Diga del Pertusillo Diga di Monte Cotugno

Campania “ “ “ “ Puglia “ Campania Puglia “ “ “ Basilicata “ Puglia “ “ Calabria

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Volumi trasferiti in Mm3/anno 2,58 25,70 26,50 42,54 2,48 104,60 1,98 95,08 22,00 39,20 126,14 30,06 11,05 4,95 146,78 20,00 103,50 11,09


Dall’esame della tabella emerge che la Puglia è, in senso assoluto, al primo posto tra le regioni destinatarie di trasferimenti idrici con un volume di 594 Mm3/anno; al secondo posto si trova la Campania che ne riceve 194,88 Mm3/anno. La Campania occupa, però, anche il secondo posto per i trasferimenti in uscita con un volume di 233,40 Mm3/anno, di cui 170,29 Mm3/anno da Caposele e Cassano Irpino, che costituiscono le uniche acque sorgentizie destinate in Puglia. La sezione dell’Appennino Campano, in cui ricadono le importanti e imponenti sorgenti di Caposele, di Cassano Irpino, del Destra Sele e di Serino, è quella dei Monti Picentini. 32


Capitolo Secondo ‐ I I trasferimeenti idrici dall’Irpinia d verso la Puglia Le premessse della cosstruzione deell’acquedottto pugliesee Gli anni della costruzio one dell’acq quedotto pu ugliese La derivazione delle accque residu uali del Sele La captazio one delle so orgenti di Caassano Irpino e Montella Le dighe su ull’Ofanto L’invaso di Conza dellaa Campania La diga San n Pietro sull’’Osento

Il fiume Sele a Caposele

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Le premesse della costruzione dell’Acquedotto Pugliese Il fiume Sele sorge a Caposele, in provincia di Avellino, alle falde del Monte Paflagone, contrafforte dei Monti Picentini. Nei tempi antichi, il Sele segnava il confine tra gli Irpini e i Lucani. Il bacino di sfioro delle sorgenti è nell’abitato del paese, quasi racchiuso in un’area ad anfiteatro naturale il cui semiarco è dato dalla grande parete rocciosa calcarea, che è il fianco orientale del Monte Paflagone. Le acque, prima della captazione, venivano fuori per stramazzo attraverso i crepacci della roccia a mezza costa del contrafforte, a rivoli numerosi e da polle impetuose. Con le sue copiose, impetuose, limpide e fresche acque il Sele permise, nel corso dei secoli, alle popolazioni rivierasche di sviluppare molte attività produttive, artigianali o protoindustriali, che si incentravano su numerosi opifici: dai mulini ai frantoi, dalle cartiere alle gualchiere, opifici che alimentavano un’economia locale di tutto rispetto. Le sorgenti del Sele, sin dalla metà circa del XIX secolo, hanno interessato autorità periferiche e statali nel tentativo di captarle per corrispondere al bisogno di acqua delle terre pugliesi. Nel 1847 Ferdinando II di Borbone nominò una commissione con l’incarico di studiare la possibilità di rifornire la Puglia di acqua potabile, prelevandola dai territori limitrofi. A far parte della Commissione fu chiamato da Parigi il celebre fisico Antoine Cesar Bequerel, ma l’enorme spesa preventivata dissuase il governo borbonico dall’intraprendere una qualsiasi 34


iniziativa. La natura del suolo e del sottosuolo pugliese è tale da non consentire accumuli o riserve di acqua con le caratteristiche di captabilità naturale o artificiale. Questa natura, non certo benigna, ha condizionato per secoli, fino al primo quindicennio del XX secolo, la vita e le attività dei Pugliesi. Già Giuseppe Maria Galanti, il noto economista allievo di Antonio Genovesi ed insigne esponente dell’Illuminismo napoletano, nominato nel 1791 visitatore generale delle province del Regno, insieme al fratello Luigi, che era geografo, compì un viaggio in Puglia, ove visitò Lecce, Trani e il Gargano. Nella sua relazione a re Ferdinando IV così scrisse: «Gli antichi nostri maggiori non risparmiavano spese per avere buone acque potabili. Dove non si potevano ottenere per mezzo dei pozzi, se la procuravano di lontano con acquedotti murati che costruivano con molta arte e magnificenza. In difetto fabbricavano buone e belle cisterne, per conservarvi le acque piovane, che sono le più salutari, quando si sanno raccogliere e conservare, igienicamente. Perché questi regolamenti non sono curati in tutta la Puglia, generalmente mancano le buone acque da bere, le quali, dove non sono salmastre, hanno un sedimento calcareo. Dove sono cisterne non vi sono purgatoi, sono piene di lordure e accolgono le acque in tutte le stagioni. Non sempre è il vizio dell'aria di cui dobbiamo dolerci, ma per lo più quello del costume... Non si conosce l'uso delle cloache, le quali invece sono quasi da per tutto sulle strade, su cui gli abitanti versano anche i loro rifiuti liquidi insieme ai solidi, dando ad esse un aspetto disgustevole e malsano. E si deve attendere la pioggia per lavarle. Niuno regolamento si adopera nella distribuzione delle strade e delle case, per mantenervi 35


la libera ventilazione e per tenere lontani i fomiti delle nocive esalazioni...».

La situazione non era granché cambiata agli inizi del Novecento. Le scarse risorse idriche esistenti erano prevalentemente utilizzate dalle famiglie nobili o signorili e dalle altre classi sociali privilegiate. Il popolo si arrangiava nel vivere alla giornata, reperendo, dove possibile, l’acqua da madre natura e dalla provvidenza. Il campagnolo e il paesano ricorrevano a ogni sistema per raccogliere e serbare l’acqua piovana, quali: il pozzo in comune, ricavato nel calcare tufaceo o nella roccia a pietra viva, come serbatoio delle acque provenienti dai tetti, dai terrazzi, dai piazzali e dai cortili interni, da utilizzare sia per gli usi potabili sia per quelli irrigui; il cisternone o piscina o grande vasca; il fosso o il fossato scoperto con cunette di drenaggio lungo il ciglio della strada e i colatori per la sedimentazione delle particelle solide in sospensione. Nei centri abitati più progrediti e più attivi nei commerci e nelle industrie, il cittadino disponeva di cisterne pubbliche costruite dalla comunità e poteva usufruire della specifica attività dei venditori d’acqua, che trasportavano il prezioso carico in botti o barili dalle lontane sorgenti della Lucania e dell’Irpinia. Ma era nelle tremende annate di siccità che la penuria di acqua incideva in maniera funesta sulla vita del singolo e della collettività. Nei campi dominava lo squallore e la desolazione, nei centri abitati l’economia crollava, dando luogo alla disoccupazione e alla miseria più nera. 36


La scarsezza di acqua diventava un incubo e costituiva un vero e proprio attentato alla salute della gente, cosicché puntualmente sopravvenivano epidemie con falcidie di intere generazioni di bambini, i primi ad essere colpiti. Ciclicamente compariva il tremendo colera, gravissima malattia infettiva ed epidemica, in stretta dipendenza della mancanza di acqua o del forte inquinamento della stessa, causato dal mancato ricambio naturale e periodico dei depositi idrici. Tali erano le condizioni delle popolazioni pugliesi prima che, attraverso una colossale opera di ingegneria idraulica, immensi volumi d’acqua fossero sottratti all’Irpinia e trasferiti in Puglia. Con l’Unità d’Italia il problema della penuria d’acqua uscì dai confini dei territori comunali per entrare nei dibattiti dei Consigli provinciali di Bari, Foggia e Lecce. Vennero formulate in successione varie ipotesi, ma nessuna di esse fu ritenuta idonea a risolvere, sia pure parzialmente, il problema. La prima voce, che si levò nel Consiglio provinciale di Bari, in una delle sue primissime sedute, il 4 ottobre 1861, fu quella dell'avv. Vito Nicola Ferri, il quale lanciò l'idea dell'incanalamento di tutte le acque potabili e fluenti nella provincia a cominciare dallo sbarramento sul fiume Ofanto. La proposta non fu condivisa dalla maggioranza dei consiglieri, ritenendola non degna di approvazione a causa della scarsezza d’acqua dell’Ofanto in specie nei mesi estivi. Fu la prima di una lunga serie di proposte, intorno alle quali si accesero vivaci discussioni, conferenze, dibattiti, studi, 37


progettazioni, ed insieme anche proteste, comizi sulle piazze e finanche scioperi. Nel 1863 il Consiglio provinciale di Bari chiese al Ministero dell’Agricoltura un contributo per lo studio del problema dell’acqua ad uso alimentare ed irriguo. Era il primo tentativo posto in essere di cointeressare, in forma indiretta, il Governo del Regno all’annoso problema della scarsezza d’acqua in Puglia, giacché le comunità locali da sole erano del tutto incapaci di trovare una soluzione adeguata. La provincia di Bari, in data 19 luglio 1865, bandì un concorso pubblico per reperire e trasferire acqua nel territorio della provincia, stabilendo un premio di lire 11.150. Molti progetti vennero proposti, ma non furono considerati risolutivi del problema. Nel 1865 l’ing. Giovanni Riegler del Genio civile propose la derivazione delle acque del Bradano in Basilicata con un serbatoio a bacino, un canale in traforo e un serbatoio generale sulle Murge. L’ing. Giorgio De Vincentiis presentò, a sua volta, uno studio sulle acque del gruppo montuoso del Matese, tra le province di Benevento, Caserta e Campobasso, che ipotizzava prelievi dal lago montano del Matese ad oltre mille metri, dalle copiose sorgenti del Torano a Piedimonte d’Alife e da quelle del Biferno a Bojano, misurate, queste ultime, insieme a quelle di San Polo di Riofreddo, con punte in magra, rispettivamente, di 3018 l/sec. e di 128 l/sec. . 38


Nel 1868 l’ing. Camillo Rosalba propose, con proprio progetto, di addurre le acque dalle sorgenti di Caposele a mezzo di una grande conduttura in traforo fino a Conza della Campania per superare lo spartiacque appenninico e di un canale lungo la sponda dell’Ofanto verso Andria per volgere a Corato, Ruvo, Bitonto fino a Brindisi. Il Consiglio provinciale di Bari non approvò il progetto per la lontananza delle sorgenti, lontananza che avrebbe determinato un’eccessiva onerosità dell’opera. Il Consiglio provinciale barese bandì, allora, un altro concorso a cui risposero imprese nazionali ed estere. Il 1877 fu l’anno della svolta. L’ing. Francesco Zampari riprese l’dea di Camillo Rosalba e, per portare l’acqua alla provincia di Bari, a cui furono poi associate quelle di Foggia e Lecce, chiese al Governo la concessione della derivazione delle acque sorgentizie di Caposele per proprio conto. Il 23 maggio 1888 ottenne, con rogito notarile, le sorgenti dal Comune di Caposele per l’importo di lire 500 mila, con la clausola che, se entro trenta mesi i lavori non fossero iniziati, il Comune avrebbe avuto la facoltà di recedere dal contratto. Zampari fece più volte il tragitto Bari–Roma; chiese e ottenne varie proroghe della concessione di derivazione delle acque. Acquisì, così, tutti i pareri necessari sulla base di una consistente partecipazione al finanziamento dei lavori da parte di una società di banchieri stranieri, principalmente inglesi, previa garanzia dello Stato degli interessi sul capitale occorrente alla realizzazione dell’opera, stabilito in lire 125 milioni. Il Consiglio Provinciale di Bari, a seguito 39


dell’impegnativa dichiarazione del Presidente del Consiglio De Pretis: “Che però la esecuzione dell’Acquedotto pugliese, costituendo innegabilmente una impresa di grande utilità pubblica, merita di essere favorita anche nelle ristrettezze finanziarie, ed il Governo del Re, che ne ha sempre compresa l’ importanza, vi potrebbe concorrere sotto forma di un determinato numero di annualità fisse” aderì al progetto e con deliberazione del 29 gennaio 1889 bandì il concorso per la conduttura delle acque nella provincia di Bari. Ma, successivamente, di fronte alle incertezze finanziarie del cav. Zampari, derivanti dalla fuga in avanti dei capitalisti inglesi seguiti dai tedeschi, con delibera del 27 aprile 1896 dichiarò la decadenza dello Zampari da ogni diritto. 40


Gli anni della realizzazione Un mese dopo la delibera del Consiglio provinciale di Bari, con la quale il Consiglio medesimo dichiarava la decadenza dell’ing. Francesco Zampari da ogni diritto, intervenne a porre fine alle preoccupazioni dei pugliesi il Decreto del Ministro del LL.PP. del 27 maggio 1896, che nominava una Commissione per lo studio attinente alle acque potabili in generale ed, in particolare, a quelle del Sele, che avrebbero dovuto alimentare l’acquedotto pugliese. Tale decreto costituisce il primo atto ufficiale di intervento dello Stato nella lunghissima fase di predisposizione dell’approvvigionamento idrico della Puglia. Con il Regio Decreto n. 332 del 19 maggio 1898 venne istituito in Avellino, cioè nella provincia nella cui giurisdizione cadevano le sorgenti di Caposele ed i primi territori interessati dal futuro acquedotto, un Ufficio del Genio Civile “per lo studio sul posto e la compilazione del relativo progetto”. Successivamente, con la Legge 5 gennaio 1901 n. 156, il Governo del Regno autorizzava la spesa di lire un milione per il completamento del progetto e per l’accertamento dell’effettiva portata delle sorgenti “Madonna della Sanità” di Caposele, stante l’art. 2 della Legge medesima, che dichiarava “opere di pubblica utilità l’allacciamento di tutte le sorgenti che sorgano nel territorio di Caposele, la costruzione della vasca di presa e scarico ed accessori”. Importante, ancora oggi, per Caposele e i Comuni limitrofi è il contenuto della Legge 5 agosto 1091, con la quale il Governo 41


stabiliva interventi per la tutela della silvicoltura nel bacino del Sele a difesa del futuro acquedotto pugliese, interventi che, manco a dirlo, tuttora non sono stati realizzati. L’avvio definitivo della risoluzione del problema idrico in Puglia fu dato con l’istituzione del Consorzio fra lo Stato e le tre province di Bari, Foggia e Lecce, in virtù della Legge n. 245 del 26 giugno 1902. Questa legge affidava al predetto Consorzio il compito della costruzione, manutenzione ed esercizio dell’Acquedotto Pugliese, stabilendo che “la concessione avrà la durata di novant’anni, decorrenti dall’approvazione del collaudo definitivo dell’opera”. Il Consorzio, in seguito, assunse il nome e le funzioni di “Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese” e divenne, per dettato legislativo, un organismo con personalità giuridica. Nel 1903 si susseguirono con tempestività e nei termini prefissati vari provvedimenti normativi, quali: il R.D. n. 214 del 5 aprile, che approvava il regolamento esecutivo e il capitolato di concessione; il bando, datato 11 giugno, relativo alla gara internazionale per la costruzione e l’esercizio dell’acquedotto; la nomina, in data 14 novembre, della commissione per l’esame delle domande di concessione; il Decreto Ministeriale del 27 novembre che determinava le ditte ammesse alla gara. Ma vi era un ostacolo che il Governo doveva necessariamente superare. Il Comune di Caposele reclamava la proprietà delle acque e, inoltre, aveva, citato in giudizio per danni gli eredi dell’ing. Francesco Zampari. Nel giudizio in corso intervenne, allora, lo Stato per l’interesse che lo stesso aveva di rimuovere 42


qualsiasi ostacolo che fosse di impedimento all’inizio dei lavori dell’acquedotto. Furono intavolate trattative con il Comune per un bonario componimento della vertenza. Il Comune, su parere di insigni giuristi dell’epoca, quali: Gianturco, Grippo, Spirito, Fadda e De Luca, aderì alla proposta del bonario componimento della vertenza, che fu conclusa con la transazione del 2 marzo 1905, stipulata nella Prefettura di Avellino, che integralmente si riporta nella sezione documenti, con la quale il Comune riconosceva “ la demanialità di tutte le acque sorgenti, sgorganti e filtranti a Caposele in località Madonna della Sanità, che costituiscono le sorgenti, tanto apparenti che latenti, del Fiume Sele”, dietro il corrispettivo di lire 700 mila, di cui 75 mila per la costruzione/riparazione di case crollate o danneggiate dalle frante interessanti l’abitato; lire 25 mila per le spese giudiziarie inerenti alla controversia Comune – eredi Zampari; lire 600 mila in rendita del 3,5%, il cui importo copriva l’intero bilancio del Comune. Al Comune, inoltre veniva riservato un quantitativo d’acqua, liberamente defluente nel Sele, di 500 l/sec, riducibile a 200 l/sec nel caso in cui la portata delle sorgenti fosse calata al di sotto di 4 mc/sec, quantitativo che in seguito fu rimodulato in un volume fisso di 363 l/sec. Conclusa la transazione, nel 1906 iniziarono i lavori per la costruzione del canale principale, che costituisce la spina dorsale dell'intero sistema acquedottistico. La Società “Ercole Antico”, che si era aggiudicata la gara di appalto, eseguì i lavori, 43


per la cui realizzazione furono impiegati oltre ventimila tra operai e tecnici. Caposele divenne un immenso cantiere e vide aumentare in misura esponenziale la popolazione residente con gente proveniente da più parti d’Italia, quali: la Liguria, il Piemonte, le Marche, la Toscana, la Puglia e la Sicilia. Questa massa imponente di tecnici e maestranze fu sistemata in alloggi provvisori appositamente costruiti. Furono istituiti corsi di scuola elementare per sopperire alle esigenze di istruzione dei ragazzi; fu costruito in strutture di legno intonacato esternamente un ospedale per rispondere alle esigenze di salute e di pronto intervento per gli incidenti sul lavoro. Questa costruzione è stata poi utilizzata come abitazione da una famiglia del posto fino alla data del terremoto del 1980. Il contatto tra persone di così disparata provenienza non poteva non avere effetti su gli usi e i costumi dei Caposelesi. Ed infatti, ancora oggi, a Caposele sono diffuse abitudini difficilmente riscontrabili nei Comuni vicini. Il Paese, indubbiamente, trasse dei vantaggi dai lavori di costruzione dell’acquedotto, sia di natura culturale sia di ordine sociale. Godette, infatti, di sostanziosi interventi che solo molto più tardi ha conosciuto la gran parte della provincia, quali un sistema fognario, un complesso di scolo delle acque bianche e una rete di alimentazione idrica, realizzata con l’installazione di fontane pubbliche con acqua fluente di continuo, in tutte le strade e piazze dell’abitato. 44


Con la canalizzazionee delle acq que del Seele verso laa Puglia vennero meno, m però, tutte queelle attività economiche, che, sebbene di d non grandi dimenssioni, costittuivano una realtà suscettibilee di crescitaa imprendito oriale e di svviluppo eco onomico. Il 24 aprilee 1915 l’acqua di Capossele giunse a Bari, zam mpillando alta nella fontana di piazza Um mberto I. Ma M la vicen nda non poteva dirrsi conclusaa, perché laa captazione delle Sorrgenti di Caposele e la delimitazione deel relativo bacino idrrografico costituivan no un pressupposto di altri prelevamenti idrici i da parte dell’Acquedotto o Pugliese, che già avveva considerato la possibilità di captare e trasferiree in Puglia le acque deel Destra Sele e quellle delle Sorrgenti del Caalore Irpino.

Caposele, le So orgenti Sanità iimbrigliate

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La derivazione delle acque residuali del Sele, tumulto di popolo a Caposele Il Consorzio Sato – Province pugliesi: Bari, Foggia, Lecce, trasformato nel 1919 in E.A.A.P. (Ente Autonomo Acquedotto Pugliese), oggi AQP S.p.A., fu istituito con Legge n° 245 del 26 giugno 1902. Con R.D. n. 533 del 16 settembre 1906 fu poi approvato lo Statuto che ne regolava l’esercizio. La presidenza del Consiglio di Amministrazione fu affidata all’on. Giuseppe Pavoncelli, animatore instancabile di iniziative parlamentari e di altra natura dirette alla realizzazione dell’acquedotto. Alle pure e semplici prerogative della costruzione, manutenzione ed esercizio perpetuo dell’acquedotto si aggiunsero, nel tempo, oltre a molte altre mansioni, il completamento delle opere di rimboschimento del bacino del Sele (R.D. 226/1907), la loro manutenzione e la possibilità di aumentare il quantitativo d’acqua da trasferire in Puglia, anche mediante l’allacciamento di altre sorgenti ricadenti in Irpinia. Così, nelle mire dell’Acquedotto Pugliese caddero, ben presto, le sorgenti del Calore Irpino e le acque residuali del Sele, consistenti, queste ultime, in un volume di 363 litri al secondo di competenza del Comune di Caposele in virtù dell’atto di transazione del 2 marzo 1905 tra lo Stato ed il Comune medesimo. Si trattava di un atto di vera e propria pirateria consumato a danno di Caposele e dei comuni rivieraschi del Sele. 46


Nel 1937 l’EAAP riprese con più determinazione la sua iniziativa di integrare la portata dell’acquedotto chiedendo al Governo la possibilità di derivare dalle sorgenti “Sanità” di Caposele il volume di acqua che lo Stato, con la convenzione del 1905, aveva assegnato ad esclusivo uso del Comune. Nel novembre 1938, senza nemmeno informare il Comune, l’EAAP dispose una riunione di tecnici nel suo “cantiere” di Caposele per studiare la causa dei movimenti che interessavano l’abitato di Caposele e le opere di presa delle sorgenti. Fu chiaro a tutti che il vero scopo della riunione era di trovare l’appiglio tecnico per il prelievo delle acque residue del Sele. Alla riunione fu, comunque, invitato il Prefetto di Avellino, il quale ufficialmente informò il Comune. Il podestà del tempo, con nota del 29 novembre 1938, fece presente al Prefetto che la popolazione di Caposele non era minimamente disposta a cedere le proprie acque. Ciò nonostante la riunione della Commissione, comunque, ebbe luogo il successivo 19 dicembre. I tecnici giunsero alla conclusione, già annunciata, che queste acque, defluendo nell’alveo del Sele, costituivano “motivo di maggior danno alla frana esistente”, che interessava direttamente le opere di captazione delle sorgenti. Per la Commissione, il problema andava risolto deviando queste acque nel canale principale dell’acquedotto. Forte di tale parere, l’EAAP promosse una riunione a Roma presso il Ministero dei Lavori Pubblici, che si tenne il 4 maggio 1939 alla presenza dei rappresentanti del Ministero, dell’EAAP medesimo e del Comune di Caposele. 47


Furono stabilite, in linea di massima, le modalità del riscatto e le relative indennità a favore del Comune. A sostegno di tale decisione era intervenuto il “Testo Unico sulle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici n° 1775/1933”, che disponeva: “Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, le quali […..] abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse”. Tutto vero, ma non venne considerato il fatto che il Comune di Caposele, già con l’atto transattivo del 1905, aveva riconosciuto la demanialità delle sorgenti “Madonna della Sanità” e lo Stato, che in compenso gli aveva concesso in uso perpetuo le acque residuali del Sele nella misura di 363 litri al secondo. Adesso, con un semplice e banale giro di saracinesca anche questo residuale volume di acqua, prezioso non solo per le persone, ma anche per la sopravvivenza della fauna e della flora del Sele, invece di scorrere verso il Tirreno, sarebbe stato immesso nella galleria dell’Acquedotto pugliese per scorrere verso l’Adriatico. Al Comune sarebbe spettato un indennizzo forfettario di un milione e mezzo di lire più altre trecentomila lire per i privati danneggiati nelle loro attività produttive. Gli esiti della riunione romana non riscossero, però, l’approvazione della popolazione di Caposele. Il malumore incominciò a serpeggiare tra la gente, che a gran voce dichiarava di non essere disposta, ancora una volta, a subire passivamente decisioni che venivano prese sulla sua testa a suo 48


perpetuo danno. Riunioni succedevano a riunioni per stabilire i modi di manifestare la totale disapprovazione. Si era in pieno regime fascista, ossia nel periodo di massimo consenso degli Italiani al fascismo, quando non era facile riunirsi in più persone ed ancor più difficile era manifestare in pubblico contro decisioni prese da autorità governative. Di sicuro, eventuali clamori di popolo non sarebbero stati privi di conseguenze dolorose. Le adunate di popolo erano, infatti, assolutamente vietate; qualsiasi protesta popolare assumeva il carattere di una rivolta contro il regime. Eppure il 27 maggio 1939, a Caposele, successe un qualcosa di unico in tutta Italia. La popolazione ebbe l’ardire di dire no alla cessione della sua acqua. Era stata indetta dal Prefetto di Avellino una riunione sul Municipio di Caposele per siglare l’atto conclusivo dell’incontro tenuto presso il Ministero dei Lavori Pubblici. Al grido di “L’acqua non si vende” fu impedito al Prefetto e alle altre autorità convenute di accedere alla sede del Comune. Furono le donne che, con coraggio e noncuranti delle conseguenze, si interposero tra i Carabinieri e i rivoltosi, impedendo così l’arresto dei loro uomini e degli organizzatori della sommossa, fra i quali primeggiava Pasquale Ilaria, ufficiale in pensione e mutilato di guerra. Al Prefetto e agli altri convenuti non restò che riparare nella vicina, e per loro più ospitale, Calabritto. Dopo qualche giorno i protagonisti della protesta furono arrestati e sottoposti a giudizio. Pasquale Ilaria fu condannato 49


al domicilio coatto alle isole Tremiti, alla stregua di un comune delinquente, da dove poté rientrare a Caposele solo alla caduta del fascismo; altri manifestanti furono condannati a pene più lievi e il maestro elementare Camillo Benincasa, pur fascista fidente, fu trasferito d’ufficio a Montefalcione (AV). L’EAAP non si lasciò intimorire dalla manifestazione di popolo. Nel novembre 1940, per intervento del Ministro della guerra, chiese ed ottenne la provvisoria derivazione notturna delle acque in questione con la motivazione che i riflessi ai raggi lunari dell’acqua fluente nell’alveo del Sele avrebbero potuto indicare agli aerei nemici il luogo esatto delle sorgenti che, comunque, erano state già accuratamente mimetizzate. Con il R.D. 11 maggio 1942 lo scippo fu compiutamente consumato, perché la derivazione da notturna divenne anche diurna. Il Governo concesse all’EAAP per settant’anni, “successivi e continui”, l’uso di tali acque. 50


La captazione delle sorgenti di Cassano Irpino – Montella Sul lato settentrionale della piana di Montella la valle del fiume Calore è molto ricca di acqua. Il primo gruppo sorgentizio della portata di circa 1000 litri al secondo è ai piedi di Cassano Irpino ed è costituito dalle sorgenti “Pollentina” e “Peschiera”. Il secondo gruppo, detto “Bagno della Regina”, ha una portata d’acqua pressappoco come il primo e formava, prima della captazione, un laghetto simile a quello di Caposele. Erroneamente i due gruppi sorgentizi vengono indicati con il nome di sorgenti di Cassano Irpino. Essi sono invece uno di Cassano e l’altro di Montella, il cui territorio termina e confina con quello di Cassano proprio con le sorgenti “Bagno della Regina”. La terza sorgente detta “Prete” o “Lavatoio” ha, insieme alla sorgente “Peschiera”, la modesta portata di circa 300 litri al secondo. La captazione delle sorgenti di Caposele e la delimitazione del bacino idrografico del Sele costituirono il presupposto naturale e geografico per includere nella stessa idrografia le sorgenti del Calore, il cui territorio idrologico già ricadeva nel perimetro di protezione delle sorgenti Sanità di Caposele. La prima istanza di prelevamento delle sorgenti del Calore da parte dell’Acquedotto Pugliese risale al 1902, ma fu lasciata cadere per un’errata interpretazione del fabbisogno idrico dei territori pugliesi. Tuttavia, con l’arrivo dell’acqua di Caposele a Bari il 24 aprile 1915, l’EAAP (Ente Autonomo Acquedotto 51


Pugliese) sollevò il problema della necessità di integrare la portata dell’acquedotto. In un primo tempo si pensò alle acque del “Destra Sele”, cioè alle sorgenti ricadenti nei territori di Calabritto e Senerchia, ma, poiché queste presentavano indubbie difficoltà di sollevamento per essere a quota inferiore rispetto a quelle delle sorgenti “Madonna della Sanità”, ritornarono ad essere privilegiate le acque del Calore, che erano più facilmente convogliabili nel canale principale a Caposele, per essere ad una quota altimetrica superiore. La derivazione delle acque del Calore ha avuto una storia abbastanza travagliata. Già nel 1925 con Decreto Reale del 17 settembre veniva assentita alla Società Idroelettrica Ligure Meridionale (SILM), alla quale succedeva poi La Società Elettrica della Campania (SEDAC), la concessione di quattro impianti idroelettrici per l’utilizzazione delle acque del fiume Calore: impianto di Laceno o del Caliendo, impianto di San Francesco, impianto di San Mango, impianto di Taurasi. Nel 1927 fu inoltrata dall’EAAP al Ministero dei LL.PP. istanza di prelevamento delle acque di Cassano e Montella, in ragione di 2000 l/s, che non fu accolta, in quanto il Consiglio Superiore dei LL.PP. espresse parere contrario. Prendendo spunto dalle continue proroghe che la SILM chiedeva sui termini stabiliti nella concessione, l’Acquedotto Pugliese nel 1938 presentò un nuovo progetto, che, questa volta, fu recepito favorevolmente dal Consiglio Superiore dei LL.PP., anche perché la SEDAC, nel frattempo, aveva rinunciato 52


alla costruzione di tre impianti, limitando la concessione al solo impianto idroelettrico di San Mango sul Calore. Poiché il Ministero dei LL.PP. tardava a emettere il provvedimento di approvazione, in data 31 marzo 1949 l’EAAP ripropose al Ministero dei LL.PP. la formale domanda intesa ad ottenere la concessione di derivare per uso potabile dalle sorgenti tributarie del fiume Calore, in agro di Cassano Irpino e Montella, quantitativi d’acqua in ragione di litri 3140 al secondo pari all’intera portata delle sorgenti. Nel 1950, al tempo dell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, nella programmazione delle grandi opere che l’Acquedotto Pugliese propose alla Cassa, figuravano le opere di presa delle sorgenti del Calore e il loro allacciamento ad integrazione e riserva delle sorgenti di Caposele per una spesa complessiva di lire 4 miliardi e 100 milioni. Contro la richiesta dell’EAAP produssero opposizione le Amministrazioni Provinciali di Avellino e Benevento, le rispettive Camere di Commercio e il Comune di Benevento, affermando che, mentre l’EAAP chiedeva le acque del Calore a scopi di integrazione e di riserva, le due Province reclamavano la stessa acqua esclusivamente per uso alimentare e indicavano la possibilità per l’EAAP di risolvere il problema dell’integrazione con l’utilizzazione delle Sorgenti di Quaglietta e Senerchia, che mediante impianto di sollevamento potevano essere immesse nel Canale Principale a Caposele. Dimenticavano i promotori dell’opposizione che anche Quaglietta e Senerchia, pur costituendo entità geografiche più 53


salernitane che irpine, facevano parte della provincia di Avellino sin dall’indomani dell’unità d’Italia. A tale atto di opposizione fece seguito, in data 11 giugno 1951, la regolare domanda di concessione da parte della Camera di Commercio di Avellino e del Comune di Benevento. Dovettero, quindi, trascorrere circa dieci anni perché fosse emesso il decreto di concessione del 10 aprile 1958 n. 2354 da parte del Ministero dei LL.PP. di concerto con quello delle Finanze. Il Decreto riservava 600 litri di acqua al secondo alla Camera di Commercio di Avellino ed al Comune di Benevento per l’alimentazione dell’acquedotto irpino‐sannita al servizio di Comuni delle province di Avellino e Benevento e autorizzava, ad un tempo, l’Acquedotto Pugliese a prelevare una quantità d’acqua variante da un massimo di 4000 litri al secondo ad un minimo di 1400 litri al secondo con una portata media di 2540 litri al secondo. Le acque del Calore sono molto simili per bontà a quelle di Caposele per i quasi identici caratteri organolettici, batteriologici e chimici. Le opere di captazione dei gruppi sorgentizi di Cassano e Montella sono caratterizzate da canali adduttori e collettori delle acque sfioranti nelle singole sorgenti, in modo tale da poter suddividere i volumi erogati in quello prelevato dall’EAAP, in quello destinato all’ente Alto Calore e, infine, in quello che alimenta l’impianto idroelettrico di San Mango sul Calore. 54


Nel 1964 le acque del d Calore attraverso a la Galleria di d Valico della lungh hezza di cirrca 16,2 Km m confluiro ono a Capo osele nel Canale Principale (gaalleria Pavoncelli), per cui i volumi delle sorgenti Sanità S si accrebbero della metà circa deella loro portata. Nel 1965 il Comune d di Cassano Irpino stipulò una convvenzione con L’Acqu uedotto Pugliese e co on il Consorrzio Alto Caalore, in base alla quale q al Co omune doveeva essere assicurata la piena disponibilittà, per i pro opri usi, di 81 l/sec di acqua, di cui 22 a carico dell’Alto Caloree e 59 a caarico dell’AQ QP, che il Consiglio C Comunale sta cercand do di trarre da quel pocco che può disporre della propria risorsa idrica un minimo di uttile econom mico, che altri, e in ben diiversa dim mensione, avrebbero dovuto riconoscergli.

Cassano Irpino o, Sorgente Pollentina

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ne Puglia – Auto orità di Bacino d della Puglia Fonte: Region

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Le dighe sull’Ofanto Il tema centrale di questo studio, pur costituito dai trasferimenti di acque sorgentizie dal versante tirrenico a quello adriatico, dal massiccio dei Monti Picentini alle limitrofe regioni Puglia e Basilicata e alle zone costiere della Campania, non poteva trascurare del tutto i prelievi interessanti il tratto irpino del fiume Ofanto, ossia l’invaso artificiale di Conza della Campania e quello di Aquilonia e Monteverde. Le sorgenti del fiume Ofanto, pur costituendo un importante corso d’acqua del versante adriatico dell’Appennino Meridionale, sono, infatti, localizzate nella parte a nord‐est dei Picentini sull’altopiano irpino alla quota di m 715 nei pressi di Torella dei Lombardi. L’invaso di Conza della Campania L’invaso di Conza della Campania è originato da una diga in terra, “zonata con nucleo centrale impermeabile e contro fianchi”, raccoglie sull'asta principale del fiume Ofanto l'acqua per uso plurimo. Notevoli sono state le infrastrutture realizzate, affinché si potesse procedere alla costruzione della diga stessa, come la variante stradale e quella ferroviaria. L’ invaso artificiale è costruito in una piana alluvionale naturale. Intorno all’invaso si alzano dei modesti e dolci rilievi sui quali si estendono campi di grano, boschi di roverella, quercia e orniello. 57


Nel periodo estivo il livello delle acque della diga si abbassa di molti metri. Il lago è stato proposto dall’Italia come Sito di Importanza Comunitaria, ai sensi dell’art. 4 della Direttiva 92/43, classificandolo nella Regione biografica mediterranea. La Valle dell’Ofanto rappresenta una delle principali direttrici migratorie dell’avifauna, e il lago di Conza in particolare rappresenta una stazione di collegamento tra il mare Adriatico e il Tirreno, in linea con l’Oasi di Persano (SA). L’area di interesse è caratterizzata da una zona centrale permanente sommersa, circondata da una fascia litorale di acque basse, solo temporaneamente allagate e in parte coperta da una ricca vegetazione igrofila. Le numerose specie animali segnalate nella zona consentono di ritenere il Lago di Conza una delle aree faunistiche più ricche per la sosta, nidificazione e svernamento delle specie migratorie. Originariamente l’acqua dell’invaso era destinata soltanto ad uso irriguo. Alimentava tre consorzi di bonifica, di cui due in Puglia, “Terre d’Apulia” e “Capitanata” per un volume di 30,6 Mmc/anno, e uno in Basilicata, “Vulture Alto Bradano” per un volune di 11,5 Mmc/anno. In data 6 luglio 2012 è stato, però, inaugurato nei pressi della diga un potabilizzatore costruito dalla Regione Puglia, la cui potenzialità è di 1500 l/sec. Una grande opera che si aggiunge a un grande acquedotto, tra i primi al mondo. Nel 2007 il Comune di Conza della Campania ha stipulato con l’Acquedotto Pugliese una convenzione in base alla quale l’AQP S.p.A. gli versa annualmente, fino al 2018, la cifra di € 320 mila, 58


rivalutata sulla base dell’indice di inflazione programmata, cifra decurtata, però, del corrispettivo dovuto dal Comune all’AQP per il consumo di acqua. (V. pag. 138). La diga San Pietro sull’Osento La diga “S. Pietro” è stata costruita sul greto del torrente Osento, affluente di sinistra dell’Ofanto, dal Consorzio per la Bonifica della Capitanata negli anni compresi dal 1956 al 1964 in agro dei Comuni di Aquilonia e Monteverde. Si sviluppa per un’altezza di 49 m, sottende un bacino imbrifero di 70 kmq e forma un bacino artificiale della capacità totale di 17,5 milioni di mc, dei quali 14,5 utili, destinati agli usi irrigui delle terre pugliesi della Capitanata, la cui agricoltura ne ha tratto non pochi benefici. Ma se lo sfruttamento delle acque dell’Osento ha apportato indubbi vantaggi all’agricoltura pugliese, la costruzione dell’invaso ha causato sensibili cambiamenti del microclima locale, che hanno determinato, a loro volta, conseguenze non positive sulle colture tradizionali dell’agricoltura locale, come lamenta la gente del posto, che sopporta sulle proprie spalle lo sviluppo di altre terre senza nulla ricevere in cambio, se non la possibilità, attuata negli ultimi anni, di organizzare nei mesi estivi sullo specchio d’acqua un grandioso spettacolo che ha attirato numerosi turisti. 59


Capitolo Teerzo ‐ I traasferimenti idrici all’intterno della Regione Campania Dall’Irpinia verso Napo oli, le sorgenti di Serino o Dall’Irpinia verso il Cileento, le sorggenti del Deestra Sele: a) Acquedo otto dell’Altto Sele; b) Acquedo otto del Bassso Sele

La Piscina Mirabilis di Miseeno, costruita ai tempi di Augusto, A punto o terminale dell’acquedottto del Serino

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Dall’Irpinia verso Napoli, le sorgenti di Serino Le sorgenti di Serino, notevoli sia per la portata, elevata e costante nel tempo, sia per le caratteristiche della loro acqua, si trovano nell’alta valle del fiume Sabato. Il bacino di alimentazione è costituito dai materiali calcarei dei monti Terminio e Tuoro, ricoperti nel fondovalle da depositi argillosi e da tufi vulcanici. Le sorgenti serinesi sono costituite da due gruppi: le sorgenti“Acquaro‐Pelosi”, dette anche "sorgenti alte", perché situate ad un’altitudine variante da 377° 380 m/slm, ricadenti nel territorio di Santa Lucia di Serino, e le sorgenti “Urciuoli”, dette anche "sorgenti basse", perché localizzate a una quota inferiore rispetto alle prime, 330 m/slm, situate nel territorio di Santo Stefano del Sole. Le acque delle “sorgenti alte” sono raccolte mediante collettori e, dopo essere trasferite in una prima camera di raccolta, sono inviate nella grande vasca di confluenza delle sorgenti “Urciuoli” da cui partono per Napoli, scorrendo in un canale a pelo libero. La composizione delle acque dei due gruppi sorgentizi è identica, perché si tratta di sbocchi a varia altezza di un’unica falda acquifera divisa in rami. Il canale principale è un adduttore a pelo libero costruito in muratura di tufo, pietra calcarea e mattoni. La portata idrica media delle acque convogliate nel canale è di 2000 l/s. Nei momenti di piena delle sorgenti le portate eccedenti la 61


capacità di trasporto del canale vengono deviate nel fiume Sabato, contribuendo in tal modo alla vita del fiume stesso. Dopo l’unità d’Italia, risultando insufficiente e spesso inquinata l’acqua che alimentava Napoli, fu avvertita l’esigenza di dotare la città di acqua pura, tramite un nuovo acquedotto di considerevole portata. E così, ricalcando la scelta già operata al tempo dei Romani, di nuovo, si scelse di ricorrere alle sorgenti di Serino. Fu progettato e realizzato, però, un diverso itinerario per consentire l’arrivo dell’acqua nei quartieri alti di Napoli. La richiesta del Comune di Napoli trovò, com’era prevedibile aspettarsi, l’opposizione delle Amministrazioni pubbliche avellinesi e beneventane. In particolare, il Comune di Benevento reclamò gli antichi diritti dei Beneventani sul fiume Sabato, che erano antichi quantomeno era il proposito della città di Napoli di farne la derivazione a proprio esclusivo vantaggio. Se per un verso, sosteneva il Comune di Benevento, è vero che in tempi remoti le acque di Serino erano servite ad alimentare l’acquedotto di età augustea, è, però, d’altro verso, altrettanto vero che tale acquedotto era da molti secoli non più utilizzato e, quindi, qualsiasi diritto era da ritenersi prescritto. Laddove, invece, erano diritti reali e ancora godibili quelli accordati, ad esempio, nell’Alto Medioevo dal duca Arechi “allorché………fu concesso al Monistero di S. Sofia la casa del mulino denominata l’acqua‐ longa animato dalle acque del fiume Sabato, concessione che poi nell’anno 1028 dai principi Landulfo e Landolfo fu 62


positivamente confermata”. E dopo aver citato alcuni atti notarili attestanti l’uso continuo della acque del Sabato da parte delle comunità rivierasche del fiume, il Comune di Benevento affermava con determinazione che “Da ciò emerge quanto incontestabile e remoto fosse nella città di Benevento il diritto di usare e disporre delle acque del Sabato”. Il Comune lamentava, poi, la preoccupazione che: “inaridito il fiume, resterebbero inutilizzati i mulini e tutti i proprietarii dei medesimi ed insieme con essi tutti i mugnai che vi sono addetti rimarrebbero sul lastrico. Mancando i mulini andrebbe a cessare il commercio dei grani [………]. Inaridito il fiume, tutti i terreni irrigatorii limitrofi alle sue sponde si renderebbero disadatti alla coltura del tabacco e del fogliame e quindi immenso danno ai proprietarii, ai coloni, agli operai e al pubblico intero”. Per di più, sul piano più squisitamente del diritto, Il Comune sannita contestava l’asserzione dei Napoletani, i quali sostenevano che le sorgenti del Serino, poiché ricadenti in un fondo privato, potevano essere cedute dal proprietario del terreno. I Beneventani sostenevano, infatti, che la pretesa derivazione delle sorgenti, in virtù degli articoli 540, 541, 542 e 543 del Codice Civile, non potesse aver luogo, in quanto non era nelle possibilità del proprietario del fondo venderle, giacché le stesse erano gravate da servitù in favore delle province di Avellino e Benevento. Il 14 gennaio 1872 il Consiglio Comunale di Napoli approvava, comunque, il capitolato generale d’appalto dell’opera, che 63


prescriveva l’obbligo per la ditta appaltatrice che “le espropriazioni si dovevano compiere senza privare le province di Avellino e Benevento dei benefici che loro tornavano dall’uso delle acque del Sabato”. Cosicché in data 11 luglio 1877 il Governo emanò il Decreto firmato del presidente De Pretis e dal Ministro dei LL.PP Zanardelli, che stabiliva: “Sono dichiarate di pubblica utilità le opere per la condotta in Napoli delle acque delle tre sorgenti di Serino in Provincia di Avellino, denominate Acquaro, Pelosi ed Urciuoli, per gli usi e bisogni della città stessa di Napoli e villaggi annessi, e dell'attuale suo territorio amministrativo. Le opere saranno eseguite di conformità al piano redatto dal Municipio di Napoli il 3 novembre 1874 e che sarà firmato d'ordine nostro dal nostro Ministro Segretario di Stato pei Lavori Pubblici. Le espropriazioni occorrenti saranno iniziate entro due anni, e compiute entro quattro dalla data del presente Decreto, e nel termine di sei anni dalla stessa data saranno compiuti i lavori”. I lavori dell’esecuzione dell’opera furono affidati nel 1882 ad una delle maggiori imprese edili italiane, la Società Veneta per Imprese e Costruzioni Pubbliche (SVICP), dell’ingegnere e deputato padovano Vincenzo Stefano Breda, che li concluse in circa tre anni. Il 10 maggio 1885 l’acquedotto fu inaugurato dal Re Umberto I, con la città in tripudio. Fu così che Napoli e un gran numero di comuni della Campania non hanno avuto più problemi di approvvigionamento idrico, almeno fino agli anni Cinquanta– 64


Sessanta, al tempo del grande sviluppo demografico dei quartieri alti e di molte cittadine dell’hinterland, quando si è reso necessario costruire altri acquedotti: quello Campano nel 1958, quello della Campania Occidentale nel 1998, e quello di integrazione e riserva di Lufrano realizzato durante il periodo della II guerra mondiale e solo ultimamente potenziato.

Napoli 10 maggio 1885‐ inaugurazione dell’Acquedotto del Serino

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Dall’Irpinia verso il Cilento e fascia costiera, le sorgenti del Destra Sele Il bacino idrologico delle Sorgenti in Destra Sele fa parte del sistema montuoso del Monte Cervialto (m. 1809), che con la vasta zona sorgentizia delle Sorgenti “Madonna della Sanità” di Caposele, si amplia fino a incorporare la massa montuosa del Monte Polveracchio (m. 1790). Queste sorgenti entrarono ben presto, già ai tempi della costruzione del canale principale, nelle mire dell’Acquedotto Pugliese. Ma gli atti progettuali, quantunque approvati nel 1927 dal Consiglio di Amministrazione dell’Ente e mandati più volte al Ministero dei LL.PP, a seguito di richiesta di chiarimenti e adempimenti vari, non furono mai concretizzati. Negli anni Cinquanta, ai tempi della programmazione delle grandi opere da parte della Cassa per il Mezzogiorno, le sorgenti del Destra Sele tornarono ad essere appetibili per l’EAAP. Questa volta, però, intervennero difficoltà di ordine politico a vanificare gli obiettivi dell’Acquedotto Pugliese. Il 4 febbraio 1963, auspice il ministro Fiorentino Sullo, fu, infatti, approvata la Legge n. 129 sul Piano regolatore Generale degli Acquedotti, che, in pratica, sanciva il principio in forza del quale può essere trasferita altrove solo l’acqua che eccede dopo aver soddisfatto le esigenze del territorio in cui sorge. Fu così che le acque del Destra Sele, invece di andare in Puglia, furono utilizzate per alimentare parte del Cilento e molti altri comuni del Salernitano. 66


Diversamente dalle sorgenti di Caposele, tutte raccolte nell’anfiteatro di Piazza della Sanità, quelle in Destra Sele sono un insieme di otto gruppi di numerose sorgenti sparse a diverse distanze, che si distinguono in due categorie: a ) “sorgenti alte”, numerose e sparpagliate affioranti a quote che variano da un massimo di m. 1.340, raggiunto dal primo gruppo, ad un minimo di m. 518 del settimo gruppo; b) “sorgenti basse”, ossia quelle dell'ottavo gruppo, raccolte sotto l'abitato di Quaglietta, affioranti intorno alla quota di m. 187 ed a pochi metri dalla sponda destra del fiume Sele, alla base di uno sperone carbonatico, il quale è in diretto contatto con la struttura carbonatica del Monte Marzano, che si erge alla sinistra del fiume Sele. In realtà, quindi, le sorgenti che prendono il nome della località in cui si trovano, “Quaglietta” (da Aque Electae), non scaturiscono dai Monti Picentini posti a destra del Sele, ma dal massiccio Marzano‐Ogna, ovvero da un unico bacino di accumulo ubicato alla sinistra del Sele. Le “sorgenti basse”, nell’insieme, hanno una notevole portata d'acqua con una media che si aggira intorno ai 3 mila litri al secondo. Fulcri di tutte queste fresche sorgenti sono i territori dei Comuni finitimi a Caposele: Calabritto con la sua frazione Quaglietta e Senerchia. 67


Acquedotto dell’Alto Sele L’Acquedotto “Alto Sele” è alimentato essenzialmente dalle sorgenti “Aquari”, “Ponticchio” e dai gruppi sorgentizi “Abbazzata” e “Piceglie” ubicati nel territorio di Senerchia, la cui portata complessiva media ammonta a circa 400 l/s. L’Acquedotto dell’Alto Sele è interconnesso con quello del Basso Sele, con quello del Cilento e con quello del Tammaro e interessa una superficie di circa 131.620 ettari, servendo circa 120.000 utenti. L’acquedotto alimenta trentadue Comuni della provincia di Salerno: Capaccio, Serre, Acquara, Castelcivita, Castelnuovo di Conza, Colliano, Controne, Laureana Cilento, Laviano, Lustra, Omignano, Ottati, Palomonte, Perdifumo, Postiglione, Prignano Cilento, Ricigliano, Romagnano al Monte, Ruino, S. Gregorio Magno, S. Angelo a Fasanella, Santomenna, Sessa Cilento, Sicignano degli Alburni, Stella Cilento, Torchiara, Valva, Buccino, Altavilla Silentina, Albanella, Giugnano, Ogliastro Cilento; due Comuni della Provincia di Avellino (Calabritto e Senerchia) ed uno (Balvano) della provincia di Potenza. Il ramo principale dell’acquedotto si dirama lungo la direttrice nord‐sud fino a raggiungere i Comuni del Cilento. In prossimità di Palomonte si snoda una condotta che lungo il percorso alimenta cinque Comuni ed arriva fino in Basilicata. Lo sviluppo dell’acquedotto ammonta complessivamente a 165 km. 68


Acquedotto del Basso Sele L’Acquedotto del Basso Sele interessa un’area di circa 61.715 ettari e serve circa 330.000 abitanti, alimentando undici comuni. Esso è approvvigionato dalle sorgenti di Quaglietta, per una portata media di 1630 l/s e integrato dal campo pozzi Tanagro per 700 l/s. Dalle sorgenti al partitore in località pezza Rotonda, l’acquedotto è costituito da un’unica tubazione della lunghezza di 25 km e del diametro di 1600 mm. Poi, dopo il partitore, la condotta si suddivide in due rami, il primo è al servizio dei Comuni di Eboli, Battipaglia, Montecorvino Rovella, Montecorvino Pugliano, Pontecagnano e Salerno, il secondo, con direttrice sud, alimenta i comuni di Serre, Capaccio, Agropoli, Castellabate e si connette in prossimità di Montecorice con lo schema del Cilento. Tale acquedotto è interconnesso in vari punti con quello dell’Alto Sele e, come già detto, del Cilento. Le condotte si sviluppano per una lunghezza totale di circa 115 km.

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Calabritto, Sorgente “Acquari” allo stato di natura

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Quaglietta, Sorgente “Cantariello” allo stato di natura 71


Capitolo Quarto – I lavori di costruzione dell’Acquedotto Pugliese Opere di presa delle Sorgenti Madonna della Sanità Costruzione del Canale Principale Operazione “Colossus” L’attuale sistema di approvvigionamento idrico dell’Acquedotto Pugliese

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Opere di presa delle Sorgenti Madonna della Sanità Le sorgenti del fiume Sele, dette “Sanità” dalla chiesetta “Madonna della Sanità”, sita nelle loro immediate adiacenze, sono costituite da numerose fonti che, tutte insieme, in inverno hanno una portata oscillante da 3,5 a 4,5 mc/sec, ma d'estate raggiungono, non di rado, un livello di oltre 5,0 mc/s, il che sta a indicare che l'acqua impiega circa sei mesi a passare dai bacini imbriferi alle sorgenti. Le “Sorgenti Sanità” si trovano ad un'altezza di 420 m. sul livello del mare. La prima fase dei lavori della loro captazione interessò la determinazione della portata, con la raccolta di tutte le possibili notizie sulle variazioni di regime del flusso e sulla probabile durata delle sorgenti stesse. In precedenza erano state già fatte numerose valutazioni della quantità di acqua sgorgante, con l'impiego di sistemi di misurazione alquanto approssimativi. Tutte, comunque, tendevano a confermare che nel tempo la quantità d'acqua sorgiva era piuttosto stabile e superava, di norma, i 4 metri cubi al secondo, come risulta dalle seguenti misurazioni: 1868 Camillo Rosalba mc./s 4.160; 1880 Liguori mc/s 4.247; 1886 Cortese mc 4.500 mc/s; 1891 Genio Civile di Avellino mc 5.510 mc/s. La cifra più bassa registrata fu di 3,665 mc/s nel novembre 1903, la più alta 5,781 mc/s. nel maggio 1902. 73


Contemporaneamente a queste misurazioni venne effettuata anche un'accurata indagine sulle precipitazioni atmosferiche interessanti l’area del bacino idrografico del Sele. Furono, a tal fine, impiantate cinque stazioni. Se prendiamo come indicativi i risultati della stazione di Bagnoli Irpino tra il 1904 e il 1909, il valore più basso registrato fu di 1.577 mm, quello più alto di 1.730 mm. Prima dei lavori, l'acqua sgorgava dal terreno, affiorando sul bordo di un bacino costituito da uno strato impermeabile di dolomite ai piedi del monte Plafagone. I lavori di presa delle sorgenti risultarono assai facilitati dal fatto che il sottosuolo, immediatamente al di sotto della bocca, era costituito da argilla impermeabile, che al termine dei lavori medesimi formò una barriera naturale perfetta, tanto da impedire all'acqua di infiltrarsi nel sottosuolo o disperdersi nella valle sottostante. Le opere più importanti comprendono: una diga, i canali di raccolta e di avvicinamento, l'ingresso all'acquedotto e diversi canali di derivazione. La diga, che poggia su argilla impermeabile, fu costruita in muratura con uno spessore uniforme di 2 m. La sua sommità si trova a 422,45 m/lmare, cioè a 2.15 m. al di sopra del pelo dell'acqua delle sorgenti ed è pressappoco parallela alle sorgenti, a una distanza da esse di circa 50 m. Il terreno impermeabile tra le sorgenti e la diga si presenta sotto forma di catino poco profondo. Vicino al suo centro fu costruito un canale di raccolta o collettore, in cui confluiscono 74


diversi canali laterali o cunicoli di presa che collegano il collettore ai punti in cui l'acqua sgorga con maggiore abbondanza dal fianco della montagna. I canali laterali sono di diversa lunghezza ma hanno una sezione comune di 0,8 x 1,2 m. Sono costituiti da un fondo naturale, mentre le pareti sono costruite in blocchi di calcestruzzo con un'apertura di 0,15 m. tra l'uno e l'altro, attraverso cui l'acqua può fluire liberamente. Ogni canale è coperto con lastroni di calcestruzzo non cementati. Il canale di raccolta ha una lunghezza di 55 m e un'ampiezza di 3 m all'estremità opposta all'ingresso nell'acquedotto e di 5 m. nel punto in cui si unisce a un altro canale detto di avvicinamento. Il fondo è formato da uno strato di calcestruzzo dello spessore di 0,5 m e ha una pendenza di 1 su 20 verso il canale di avvicinamento. All'estremità di uscita, esso si incurva per unirsi al canale di avvicinamento all'ingresso dell'acquedotto, che ha una lunghezza di 9,55 m. e da una larghezza 5 metri si restringe a 4 m. Come nel caso del canale di raccolta, la pendenza è di 1 su 20. 75


Costruzione del Canale Principale Il canale principale inizia a Caposele e termina a Villa Castelli in Provincia di Lecce, a 244 Km. di distanza. Ad esso si deve aggiungere la ramificazione per Foggia, da Venosa fino alla collina di Posta Alessandra, sovrastante la valle del Carapelle, che, identica come forma di costruzione al canale principale, fu costruita solo tra enormi difficoltà. ll canale principale è costituito da una serie di gallerie vere e proprie e di gallerie artificiali (canali in trincea ed in rilevato), unite fra loro da ponti‐canali e da sifoni per superare gli avvallamenti del terreno. Il canale in galleria è rivestito con muratura di pietrame o di mattoni o di calcestruzzo, a seconda della natura del terreno attraversato, ed è intonacato internamente con cemento fino all'altezza a cui giunge la massa d'acqua liberamente defluente. Il canale in trincea, formato da gallerie artificiali, venne costruito mediante scavi all'aperto: sul fondo della zona escavata e lungo i fianchi della trincea furono costruite la base (arco‐rovescio o platea) e le pareti del canale (piediritti), sulle quali venne gettata la volta (calotta); sulla superficie esterna di questa (estradosso) venne poi distesa una cappa impermeabile di smalto idraulico, a forma di doppio spiovente, per impedire l’infiltrazione delle acque piovane; sulla cappa fu, da ultimo, riversato il terreno di riempimento per un'altezza non inferiore a due metri, e conformato in modo da favorire rapidamente lo scolo alle acque piovane. 76


Il canale in rilevato non è dissimile da quello in trincea, attraversa le non molte depressioni del terreno ed è stato costruito in tutto o in parte sopraelevato al piano di campagna circostante . È stato, infine, ricoperto di terreno e pietre per l'altezza di due metri. La struttura della muratura di rivestimento non differisce da quella del canale in trincea, se non per gli spessori ingranditi in modo da resistere alla pressione dell'acqua e a quella del terreno che vi è sopra riportato. La sezione, sia in galleria sia in trincea, è di forma ovoidale per le tratte ricadenti in terreni argillosi, di forma circolare in quelli esercitanti fortissime pressioni; ha la forma di un rettangolo o di un trapezio sormontato da volta per le tratte in terreni rocciosi. In esso l’acqua scorre liberamente, cioè a pressione naturale, avendo una pendenza costante, ma non uniforme, che oscilla da un minimo del 25 ad un massimo del 40 per mille. Le dimensioni delle sezioni di questo gigantesco condotto variano a seconda dei tronchi in cui è diviso, giacché a mano a mano che da esso si dipartono le diramazioni, diminuisce la sua portata e quindi l'ampiezza della sezione. Quest’ultima ha un'altezza di m. 2.90 per una larghezza di m. 2.70 nella tratta di maggiore portata, mentre in quella di minore portata ha un'altezza di m. 2.19 per 1.85 di larghezza. Nel progetto originale il canale, dopo aver attraversato l'Appennino, avrebbe dovuto girare a nord nella vallata dell'Ofanto, da cui, dopo aver attraversato Rocchetta, Rapolla e Venosa, avrebbe dovuto seguire la catena delle Murge fino a 77


Fasano. Ma la natura del terreno, poco favorevole, suggerì di modificare il tracciato. In base alla modifica suggerita dall'Ing. Maglietta e poi effettivamente adottata, il canale attraversa l'Appennino ad un'altezza maggiore di quella prevista in origine ed è mantenuto su strati di terreni più stabili rispetto a quelli della vallata dell'Ofanto. Il tracciato definitivo comportò la realizzazione di un maggior numero di gallerie, poiché vi erano meno deviazioni. Basti citare, ad esempio, la penetrazione del bastione del Monte Vulture tra Atella e Ginestra. Raggiunta Venosa, il tracciato segue il profilo della catena montagnosa delle Murge fino a Minervino e alla vallata del Locone. Quindi, attraversa un'altra catena di montagne nella vallata di Macenzano, vicino allo storico Castel del Monte, e raggiunge le vicinanze di Fasano attraverso Cassano, Gioia e Noci. Poi, proseguendo taglia le pendici inferiori delle Murge con una serie di gallerie ed emerge tra Martina Franca, Cisternino e Ceglie Messapica per terminare infine a Villa Castelli. Lungo il suo percorso, nei 244 km, dal massiccio dal Monte Paflagone nel Comune di Caposele a Montefellone nel Comune di Villa Castelli (Brindisi), l’acqua defluisce in gallerie per 97 km, corre in trincea per 103 km, si solleva su 93 ponti per altri 8,5 km e scende, infine, in 22 sifoni per più di 7 km. La portata massima del primo tratto di circa 46 km è di circa 6,3 mc/s, che si riduce in seguito a 5 mc/s e diminuisce 78


gradatamente, man mano che l'acqua viene prelevata da diramazioni laterali, fino a 2,3 mc/s . Il primo tratto e il primo segmento della diramazione per Foggia rappresentano le opere che hanno presentato maggiori difficoltà nella loro realizzazione, in quanto attraversano, in prevalenza, terreni in cui, in passato, già si erano verificate molte ed estese frane. Per di più, in molti punti, si verificarono formazioni di grisou e idrogeno solforato, che misero a repentaglio la salute e addirittura la vita degli operai. Inoltre, fu necessario attraversare strati di terreni di argille scagliose, temute dagli ingegneri, poiché la presenza di aria umida le faceva gonfiare a tal punto da esercitare sulle pareti enormi pressioni. Per ridurre al minimo il pericolo fu necessario affrettare al massimo i lavori, evitando di usare attrezzature che potessero inumidire l'aria, come le locomotive. Fu necessario, altresì, rivestire velocemente l’interno della galleria per lasciare la roccia esposta all'aria per il tempo più breve possibile. In un tratto della lunghezza di 102 m, si sprigionò una quantità tale di idrogeno solforato da asfissiare gli operai. Malgrado l'impiego di maschere antigas e la riduzione dei turni di lavoro a poche ore, per portare a termine questo tratto ci vollero dieci mesi. La causa originaria delle difficili condizioni incontrate, probabilmente, risaliva al fatto che la zona interessata dai lavori si trovava nell'area del Vulture, un vulcano estinto. 79


Il tracciato, in effetti, passa attraverso materiali depositati sul letto di due grossi laghi, Vitalba e Venosa, nel periodo in cui il vulcano era in attività. Questi due laghi naturalmente non esistono più. In un altro punto, a 2,6 km dall'ingresso, si incontrarono finanche sabbie mobili, accompagnate da abbondanti infiltrazioni di acqua. Qui, le condizioni di lavoro si mostrarono tanto avverse da determinare una deviazione del tracciato, nonostante che fossero stati già realizzati 2,6 km di galleria. Fu così realizzato un acquedotto che è tra i più grandi del mondo. Oggi, dopo tutti i lavori eseguiti, vanta: • un canale a pelo libero, il Canale Principale, della lunghezza di km 244,1, che si snoda attraverso quattro province fino a Villa Castelli; • la galleria di valico delle sorgenti di Cassano Irpino che si sviluppa per Km 16,2; • le diramazioni principali per Km 920,78; • le diramazioni secondarie per Km 2612; • le diramazioni suburbane per Km 1013; • le reti di distribuzione per Km 6470. I comuni serviti sono circa 444. Da Villa Castelli parte la diramazione primaria per il Salento, che si divide in due rami, uno verso il Leccese fino a Galugnano, l’altro verso Nardò fino a Galatone. Al termine di questi due rami si trovano gli impianti di sollevamento per alimentare i centri abitati delle Murge Salentine. 80


Operazione “Colossus” Nel corso della II guerra mondiale il canale principale costituì per gli Inglesi un obiettivo militare di grande importanza, perché un suo grave danneggiamento avrebbe generato serie ripercussioni nel sistema di approvvigionamento idrico, non solo delle popolazioni civili pugliesi, ma anche delle truppe, che dai porti pugliesi si imbarcavano per i Balcani, per la flotta di stanza nel porto di Taranto e per le altre strutture militari della zona. Il 10 febbraio 1941, trentotto soldati inglesi delle truppe speciali, di cui sette ufficiali, furono paracadutati nei pressi di Calitri. Obiettivo dell’operazione, detta “Colossus”, era il viadotto sul torrente Tràgino, su cui poggia un tratto del canale principale. Secondo gli Inglesi, la distruzione della struttura, oltre a rappresentare danni concreti, avrebbe intaccato il morale degli Italiani. L’operazione ebbe successo, anzi, oltre al ponte sul Tràgino, fu sabotato anche il tratto di canale sul torrente Ginestra. Ma i danni delle esplosioni non ebbero pratiche conseguenze, perché maestranze e tecnici dell’Acquedotto Pugliese, avendo previsto azioni del genere, avevano predisposto nei pressi di ogni ponte‐canale grosse tubazioni di scorta per poter riparare i guasti di un'eventuale azione bellica. Il danno fu, infatti, riparato in soli due giorni e l'acqua, anche per la presenza di serbatoi nei pressi di tutti gli abitati, mancò alla popolazione pugliese solo per poche ore. 81


Il rifornimeento ai portti di Bari, Brindisi, B Gallipoli e Taraanto e a tutti gli aeeroporti pugliesi fu sempre assicurato. Gli incursori inglesi, chee, ad azionee ultimata, aavrebbero d dovuto ragggiungere la foce del Sele a Paesstum, ove saarebbero stati recuperaati da un sommergib bile, furono o tutti fatti prigionieri e uno di lo oro, tale Fortunato Picchi, un u antifascista toscano emigrato in Inghilterra,, fu fucilato per alto traadimento.

I prigionieri deel commando inglese

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L’attuale sistema di approvvigionamento idrico dell’Acquedotto Pugliese Le sorgenti del Sele e del Calore Irpino, sebbene imponenti per la portata, non sono sufficienti a coprire l’intero fabbisogno idrico delle terre pugliesi. L’Acquedotto Pugliese ha, di conseguenza, diversificato le sue fonti di approvvigionamento che, oggi, risultano costituite per il 29% di acque sorgentizie (Caposele e Cassano Irpino), per il 60% di invasi e per l’11% di acque sotterranee locali. Se le acque sorgentizie del Sele e del Calore Irpino necessitano, ma solo perché prescritto dalla legge, soltanto della clorazione per essere servite nelle case per gli usi alimentari, quelle derivanti dagli invasi abbisognano di lunghi, complicati e costosi processi di potabilizzazione. Senza volerci addentrare in questioni squisitamente tecniche, che esulano dalle finalità di questo studio, un impianto di potabilizzazione, in genere, è costituito di grandi vasche per la decantazione o chiarificazione dell’acqua, che, una volta chiarificata, subisce un trattamento di preclorazione per passare, poi, in impianti per la flocculazione a mezzo di specifici reattivi chimici. Questi danno origine all’aggregazione delle particelle in sospensione in aggregati detti fanghi inerti o attivi, che in tempi brevi precipitano sul fondo, grazie anche all’uso, a seconda della qualità dell’acqua, di speciali strumenti detti “pulsator” e “accelerator”. I fanghi vengono, quindi, filtrati attraverso il passaggio dell’acqua su strati di silice quarzifera. 83


Dopo quest’ultima fase, l’acqua prima di essere immessa negli acquedotti, viene di nuovo clorata. Gli invasi che integrano e soddisfano il fabbisogno idrico della Puglia sono cinque: 1. Occhitto (Carlantino, Foggia), sul fiume Fortore, della capacità di 270 milioni di mc; 2. Pietra del Pertusillo (Spinosa, Potenza), sul fiume Agri, della capacità di 150 milioni di mc; 3. Locone (Minervino Murge, Bari), sul fiume omonimo, della capacità di 108 milioni di mc; 4. Monte Cotugno (Senise, Potenza), sul fiume Sinni, della capacità di 530 milioni di mc; 5. Conza della Campania (Conza della Campania, Avellino), sul fiume Ofanto, della capacità di 41 milioni di mc. L’acqua di tali invasi viene resa potabile in appositi impianti di potabilizzazione, che sono i seguenti: ‐ Fortore, della potenzialità di 2400 l/sec, riceve e potabilizza l’acqua invasata nella diga di Occhitto; ‐ Sinni 1, della potenzialità di 6000 l/sec, riceve e potabilizza l’acqua del Sinni, invasata nella diga di Monte Cotugno; ‐ Pertusillo, della potenzialità, di 4500 l/sec, potabilizza l’acqua delle diga Pietra del Pertusillo; ‐ Camastra, della potenzialità di 1050 l/sec, potabilizza l’acqua delle diga Ponte Fontanella sul torrente Camastra; ‐ Montalbano (Sinni 2), della capacità di 350 l/sec, potabilizza l’acqua della diga Monte Cotugno; 84


Conza della Campania, della potenzialità di 1500 l/sec, potabilizza l’acqua dell’omonima diga sul fiume Ofanto. Complessivamente l’acqua depurata dagli impianti di potabilizzazione e immessa nel sistema acquedottistico dell’AQP costituisce un volume di 350 milioni di mc/anno. Quest’acqua risponde totalmente ai requisiti di potabilità, ma essa non è minimamente paragonabile per bontà a quella che sgorga a Caposele e a Cassano Irpino, di cui la natura stessa provvede a compierne il filtraggio, che dura oltre sei mesi nelle visceri della terra. Acque sotterranee locali La natura carsica del territorio pugliese consente l’accumulo di depositi idrici sotterranei, che consentono di emungere dalla falda acquifera oltre 2 mc/sec.

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Capitolo Quinto. Conteenzioso tra il Comune d di Caposele ee l’Acquedottto Pugliese Fasi e temp pi della conttroversia

Caposele, cana ale di scarico deelle sorgenti

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Fasi e tempi della controversia 1) Il Comune di Caposele, con la Transazione del 2 marzo 1905, riconosce la demanialità delle acque. In cambio, un volume di acqua variante da 200 a 500 l/s, determinato successivamente in 363 l/sec, viene lasciato libero di scorrere nell’alveo del Sele per gli usi pubblici e privati del Comune; 2) Il R. Decreto 11 dicembre 1933 n. 1775 approva il T.U. delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, il cui Art. 1 prevede che: “Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse”; 3) l’EAAP avvia una serie di iniziative tra il 1937 e il 1938 per convogliare nel canale principale le acque destinate agli usi pubblici e privati del Comune dalla Transazione del 2 marzo 1905; 4) il 4 maggio 1939 si tiene una riunione presso il Ministero dei LL.PP, in cui si stabilisce che “l’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese pagherà al Comune di Caposele una indennità di £ 1.500.000 (un milione e cinquecentomila lire) in moneta contante e provvederà a liquidare e corrispondere direttamente agli aventi diritto, per utenza 87


dell’ acqua suddetta, la indennità ad ognuno spettante, con la somma aggiuntiva di £ 300.000 (trecentomila lire). L’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese fornirà gratuitamente al Comune la energia elettrica occorrente per la pubblica illuminazione del Comune stesso, a partire dall’anno 1942 “; 5) il 27 maggio 1939 il popolo di Caposele manifesta tumultuosamente al grido di “L’acqua non si vende”; 6) il 21 febbraio 1940 si svolge una riunione nella Prefettura di Avellino tra i rappresentanti dell’EAAP e il Podestà di Caposele, per ratificare i termini dell’accordo, già concordato nella riunione presso il Ministero dei LL.PP. del 4 maggio 1939; 7) nel novembre 1940 l’EAAP chiede e ottiene, per intervento del Ministero della Guerra e del Ministero dei LL.PP. la libera derivazione, solo notturna, delle acque di competenza del Comune, con la motivazione che i raggi lunari, riflessi dal fiume, avrebbero potuto indicare agli aerei nemici la localizzazione delle sorgenti; 8) il 20 dicembre 1941 il Podestà di Caposele approva lo schema di convenzione adottato nella riunione in Prefettura del 21 febbraio 1940; 9) il 6 maggio 1942 la Giunta Provinciale Amministrativa di Avellino approva lo schema di convenzione; 10) l’11 maggio 1942 viene emanato il D. R. n. 1896, con il quale si autorizza l’EAAP per settant’anni a “derivare a scopo potabile dalle sorgenti Sanità in Comune di Caposele medi mod. 3,63 di acqua già di competenza di detto 88


Comune”, obbligando l’EAAP a “provvedere a rendere esecutivo, a mezzo di apposito contratto con il Comune di Caposele quanto venne concordato il 21 febbraio 1940 presso la R. Prefettura di Avellino”; 11) il 27 giugno 1943 il Podestà di Caposele comunica al Prefetto di Avellino di non poter sottoscrivere la convenzione, avendo l’EAAP apportato varianti sostanziali allo schema precedentemente concordato. Propone di rinviare la definizione dell’atto alla fine della guerra, ossia al termine dei motivi bellici posti a base della deviazione nella galleria “Pavoncelli” dell’acqua di competenza del Comune; 12) l’EAAP, di sua iniziativa, trasforma la deviazione dell’acqua da solo notturna in permanente e continua; 13) il 13 dicembre 1952 il Consiglio Comunale di Caposele, delibera: a) di: “respingere l’offerta dei 50 milioni che è stata recentemente fatta verbalmente al Sindaco da parte del Presidente dell ‘A.P., on. Caiati, a tacitazione completa di ogni diritto del comune per la cessione delle acque residuali del Sele”; b) richiedere in via principale all’EAAP che, nel caso non ne avesse ulteriore necessità, potendo risolvere altrimenti il suo fabbisogno idrico, restituisse l’acqua di competenza del Comune”; c) richiedere all’EAAP, in via subordinata, che per la cessione delle acque di competenza del Comune, in rapporto alla concessione ottenuta con il Decreto 11 maggio 1942 n° 1896 per la durata, in esso indicata, di settanta anni, venga corrisposto al Comune un canone annuo, da determinarsi sulla base 89


delle condizioni accettate nello schema di Convenzione già a suo tempo approvato e col rapporto della svalutazione monetaria”; d) richiedere in via più subordinata ed eccezionale che, nel caso l’A.P. voglia insistere per la richiesta, a suo tempo fatta, della cessione definitiva delle acque di competenza del Comune, provveda a rispettare integralmente tutte le condizioni stabilite nello schema di Convenzione proposto nelle riunioni tenute presso il Ministero dei LL.PP. il 4.5.1939 e presso la Prefettura di Avellino il 21.2.1940, […….] confermato nel Decreto di concessione dell’11 maggio 1942 n° 1896 e nel relativo disciplinare moltiplicando le somme rispettivamente indicate in detto schema di convenzione, all’art. 3 e 4, in £ 1.500.000 e in £ 300.000, per l’attuale coefficiente di svalutazione monetario, determinato nella misura media di ottante volte”; 14) il 17 gennaio 1960 il Commissario Prefettizio del Comune di Caposele, con propria deliberazione, modifica la delibera podestarile, adeguandola alla svalutazione monetaria; 15) Il 26.3.1960 l' E.A.A.P. approva integralmente la proposta di convenzione contenuta nella citata delibera commissariale; 16) Il 12 febbraio 1966 il Consiglio Comunale» di Caposele, con deliberazione n. 23, revoca ed annulla la deliberazione Commissariale del 17.1.1960. L’EAAP impugna, con ricorso al Consiglio di Stato e al Tribunale Superiore delle Acque, la predetta delibera del Consiglio Comunale di Caposele; 90


17) Il 10 maggio 1970 il Comune di Caposele e l’EAAP sottoscrivono la Convenzione per la risoluzione della controversia relativa alle acque residuali del Sele: “Il corrispettivo della cessione a suo tempo determinato in L. 1.500.000 (un milione e cinquecentomila) viene rivalutato nella misura media di 81 volte, elevandosi, di conseguenza, a £.121.500.000”, da corrispondere, per tutta la restante durata della concessione, “in rendita annua determinata nella misura forfettaria e transattiva di L. 12.000.000 (dodicimilioni) da corrispondere in semestralità anticipate a cominciare dal 1° gennaio 1968. L’EAAP rimborsa, per il periodo 1.5.1943 ‐ 1 gennaio 1968 il canone annuo che il Comune ha corrisposto alla ditta esercente per la ordinaria pubblica illuminazione. A decorrere dal 1° gennaio 1968 l'importo del canone in questione viene incluso nella rendita annua forfettaria. L' E.A.A.P. corrisponde al Comune di Caposele la somma già a suo tempo concordata ed accettata di £. 300.000 transattivamente rivalutata nella somma di L.30.000.000 per gli indennizzi che il Comune di Caposele dovrà corrispondere agli utenti privati che già usufruivano delle acque residuali cedute allo E.A.A.P.”; 18) il 3 febbraio 1997 il Comune e l’EAAP aggiornano e rinnovano la convenzione del 1970, prevedendo per l’EAAP: gli oneri della manutenzione gratuita degli acquedotti comunali, l’assunzione della gestione della rete fognaria, previa verifica della regolarità tecnica dell’impianto e, nelle more, l’erogazione di un contributo annuo pari al costo di 91


gestione; la redazione di un progetto per il consolidamento dell’abitato di Caposele; la concessione della fruizione turistica delle sorgenti; la fornitura di energia elettrica per gli usi pubblici a seguito della costruzione centrale elettrica nel punto di arrivo delle acque di Cassano Irpino. Il Comune, a sua volta, si impegna, “al fine di assicurare una migliore erogazione del servizio di installare i contatori dell’acqua, conservando il rapporto diretto con gli utenti”; 19) in data 6 luglio 2012 Il Comune di Caposele e l’ AQP S.p.A., stipulano una nuova convenzione per la scadenza settantennale della concessione del 1942. Il Comune si impegna “a non presentare alla Regione Campania autonoma istanza di concessione di derivazione delle acque della Sorgente Sanità e della cessione dei medi moduli 3.63 per la durata della presente convenzione; di sottoscrivere apposita convenzione di approvvigionamento per sub‐ distribuzione secondo quanto stabilito dal vigente Regolamento dell’AQP; a corrispondere il costo del relativo servizio determinato in base alla tariffa vigente per tempo ed eventuali adempimenti successivi pubblicati sul BUR della Regione Campania”. L’AQP si impegna a corrispondere al Comune una somma annua omnicomprensiva di € 1.350.000 aggiornata per gli anni successivi all’indice di inflazione; a cedere gratuitamente per gli usi pubblici di Caposele l’energia elettrica prodotta dalla centrale idroelettrica prevista nel progetto Pavoncelli bis; a liquidare la somma di € 200 mila a compensazione di quanto previsto 92


nelle precedenti p c convenzioni; ; a versare € 1 milion ne per la sistema azione di Pia azza Sanità”.

Caposelee, 6 luglio 2012,, firma della nuova convenzion ne Comune ‐ AQ QP

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Capitolo Seesto. Una nu uova galleriaa La Pavonceelli bis

Caposele, costtruzione della nu uova galleria

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La “Pavoncelli bis” La Galleria di valico dell’Appennino, detta “Pavoncelli” dal nome del suo ideatore, già negli anni immediatamente successivi alla sua realizzazione, sia per le modalità costruttive sia per la natura geotecnica dei terreni attraversati, è stata soggetta a fenomeni di dissesto, che, più volte all’anno, hanno richiesto per la loro riparazione l’interruzione del flusso d’acqua per periodi di due o tre giorni. I continui interventi manutentivi, divenuti sempre più difficoltosi, hanno spinto, già nel 1956, l’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese a presentare al Ministero dei LL.PP. un progetto per la costruzione di una nuova galleria, alternativa alla vecchia “Pavoncelli”. Durante gli eventi sismici del novembre 1980 la galleria riportò danni gravissimi, che hanno richiesto interventi di riparazione della durata di circa cinque mesi e che hanno comportato una spesa considerevole, da parte dello Stato. Secondo il prof. Roberto Sabatelli, commissario straordinario per la costruzione della Pavoncelli Bis, i costi per l’emergenza idrica del 1980 furono di 1.300 miliardi di vecchie lire. I dissesti statici nella vetusta galleria sono proseguiti nel tempo, aggravandosi a seguito dell’impossibilità di adottare interventi risolutivi. Secondo quanto riferisce il Commissario straordinario preposto alla realizzazione dell’opera, “lo stato di degrado statico della galleria si concretizza con l’estendersi delle lesioni orizzontali riscontrabili lungo gran parte del suo sviluppo, a causa di frequenti sollevamenti dell'arco rovescio, 95


che determinano deformazioni anche dei sovrastanti binari ad ulteriore ostacolo degli interventi da attuarsi, nonché con l’incremento delle possibilità di apertura di “fornelli” in calotta che, al pari di quelli verificatasi nel 1999, ove si verificassero, avrebbero effetti disastrosi sulla struttura in muratura della galleria già pesantemente compromessa”. La nuova “Pavoncelli”, oltre a garantire la continuità dell'approvvigionamento idrico delle popolazioni servite dall’acquedotto, consentirà all’Acquedotto Pugliese di ultimare, in via definitiva, la riparazione della vecchia galleria e di avere, quindi, al termine dei lavori, la disponibilità di due gallerie in zone di forte sismicità. Lo Stato, ai sensi della Legge n. 64 del 1986, nel 1988 finanziò l’opera con uno stanziamento di 144,598 miliardi di lire. L'EAAP procedette, quindi, ad espletare la gara d’appalto dei lavori. Ma nel corso dell’esecuzione dei lavori sorsero alcune complicanze di natura idrogeologica, che ne condizionarono fortemente la prosecuzione. Successe che, durante i lavori di scavo, si verificarono forti “venute idriche” di circa 700 l/s, accompagnate da una riduzione della portata delle “Sorgenti Madonna della Sanità”. Il Sindaco di Caposele, al fine di evitare un incalcolabile e irreparabile disastro ambientale, a seguito di comunicazione dell'Assessore alle Acque ed Acquedotti della Regione Campania, emise ordinanza di sospensione dei lavori, che furono così interrotti. 96


Nacque una controversia tra la committenza e la ditta realizzatrice dell'opera, che portò nel 1993 alla rescissione del contratto e al riappalto dell’opera attraverso una nuova gara, espletata al massimo ribasso. Ma, anche con la nuova impresa esecutrice sorse un contenzioso, che sfociò, nel corso del 1997, di nuovo, in una rescissione del rapporto contrattuale. L’EAAP avviò, allora, ai sensi dall’art. 81 del D.P.R. n. 616 del 1977, l'iter di approvazione (in sanatoria) delle opere già realizzate e di quelle ancora da realizzare, che si concluse con il provvedimento del Ministero dei Lavori Pubblici datato 01.08.1997. Per accelerare la ripresa dei lavori fu nominato, con apposito D.P.C.M., un Commissario Straordinario che, dopo breve tempo, fu sostituito con altro Commissario, il quale provvide ad aggiornare il progetto e ad attivare quanto di necessario per la ripresa dei lavori. Verso la realizzazione dell’opera sono state avanzate non poche opposizioni da parte del Parco Regionale dei Monti Picentini, dell’Ato Calore e di altri Enti locali, opposizioni incentrate sul rischio di un dannoso impatto ambientale, sulla preoccupazione dei trasferimenti in Puglia delle restanti e residuali acque dell’Irpinia, data la possibilità offerta dalla nuova galleria di trasportare acqua fino a 9 mc/sec e, infine, sui ritardi della sottoscrizione di un apposito accordo di programma tra le Regioni Puglia e Campania, ai sensi della 97


Legge n. 36 del 5 gennaio 1994, recante “disposizioni sulle risorse idriche” meglio conosciuta come “Legge Galli”. L’esito di tali ricorsi, però, non è stato favorevole ai proponenti. È stata espletata, quindi, una nuova gara di appalto, che è stata aggiudicata alla “Associazione Temporanea di Imprese: Vianini Lavori S.p.A (capogruppo mandatario), Chella S.p.A; (mandante); Antonio e Raffele Giuzio S.r.L. (mandante)”. L’importo dei lavori è di € 100.475.139,15, a cui va aggiunto quello relativo agli oneri per la sicurezza di € 10.505.375,54. In data 05/11/2012 è stata effettuata la consegna dei lavori. L’auspicio di tutti è, tuttavia, che quest’opera strategica d’interesse nazionale non costituisca un’ulteriore iniziativa penalizzante per l’Irpinia.

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Biografie Giuseppe P Pavoncelli Matteo Renato Imbriaani Nicola Baleenzano

Fontana tipica a dell’Acquedottto Pugliese

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La costruzione dell’Acquedotto fu preceduta nelle Aule parlamentari da vivaci dibattiti che testimoniano la forte determinazione, la tenacia e la tensione morale con le quali parlamentari pugliesi e non sostennero la necessità di corrispondere alla sete dei pugliesi con l’adduzione delle copiose sorgenti del Sele dall’Irpinia in Puglia, attraverso un’opera che al “mondo non aveva eguali”, come recita l’iscrizione sulla lapide posta all’imbocco della galleria di valico dell’Appennino a Caposele, dedicata alla figura di Giuseppe Pavoncelli, che, insieme a Matteo Renato Imbriani e Nicola Balenzano, fu tra i principali promotori della realizzazione della grandiosa opera di ingegneria idraulica, che per l’arditezza delle soluzioni tecniche suscitò il plauso e l’ammirazione di tecnici ed esperti del mondo intero. 100


Giuseppe Pavoncelli A Giuseppe Pavoncelli è intestata la grande galleria di valico dell’Appennino, che costituisce il primo tratto della struttura portante dell’intero sistema dell’acquedotto pugliese. Una grande lapide al di sopra dell’imbocco del traforo ne ricorda l’opera. Ma chi era Giuseppe Pavoncelli? Pavoncelli era nato a Cerignola il 24 agosto 1836 da famiglia non ricca. Il padre, Federico, che aveva uno spiccato senso per gli affari, seppe costruirsi una fortuna con il commercio dei grani. Quando Giuseppe assunse la gestione dell’impresa paterna, continuò con successo l’opera del padre con la formazione di un vasto patrimonio di oltre dodicimila ettari di terreno. Era dotato di una complessa personalità, che gli faceva assumere, ad un tempo, atteggiamenti spesso contrastanti: percettore di rendita e contemporaneamente imprenditore aperto alle trasformazioni e agli investimenti. La sua visione concreta della realtà lo portò a sostenere il movimento patriottico, perché riteneva che l’Italia unita avrebbe potuto garantire alla proprietà, alla produzione e al commercio quelle libertà necessarie allo sviluppo non permesse dai vincoli posti dai precedenti governi preunitari. Era a Napoli tra la folla dei notabili, ivi accorsi, ad accogliere Garibaldi. Poco dopo nacque la società “Federico e Giuseppe 101


Pavoncelli” per il commercio del grano, con depositi sparsi in tutta Italia. Dal 1874 al 1910, con l’intervallo 1878 – 1882, fu eletto, di volta in volta, deputato nel collego di Cerignola. In tale veste volle rappresentare gli interessi del suo ceto, ma in un modo poco intransigente, tanto da inimicarsi non pochi elettori del suo stesso ceto sociale. Durante la crisi del grano, il cui prezzo era crollato a causa dell’afflusso di quello proveniente dagli Stati Uniti, in aperta opposizione al ceto padronale, grettamente conservatore, egli propugnò una modernizzazione dell’agricoltura. Avviò nei sui possedimenti una conversione radicale della produzione, sostituendo la coltura dei cereali con quelle industriali del vino, dell’olio e della frutta, che consentivano notevoli profitti. Ma per la diffusione su larga scala di tali colture occorrevano infrastrutture e, in primis, l’acqua, di cui la Puglia ne avvertiva estrema necessità. Nel 1887 fu tra i pochi meridionali possidenti a combattere le politiche protezionistiche del Governo e lo scellerato patto politico‐sociale tra industria del Nord e rendita agricola del Sud. Il suo liberismo pragmatico lo portò, nella fase delle dure lotte tra capitale e lavoro degli inizi del secolo, a sostenere la necessità di un compromesso con le forze sindacali, che soltanto nel 1907 furono riconosciute e legittimate. Allo stesso tempo, allontanandosi vieppiù dal conservatorismo liberista, sostenne il ruolo propulsivo dello Stato nella modernizzazione delle infrastrutture meridionali, che secondo 102


la sua visione si potevano attuare, principalmente, attraverso due progetti: la costruzione di un acquedotto per la Puglia e la bonifica integrale. Alla realizzazione dell’acquedotto Pavoncelli dedicò gran parte della sua attività parlamentare e governativa. Nel 1896 con Decreto del 17 agosto (terzo Governo Di Rudinì) il ministro dei LL. PP. Giulio Prinetti nominò Giuseppe Pavoncelli presidente della Commissione di studio, istituita nel maggio dello stesso anno, per l’approvvigionamento idrico della Puglia. Prinetti e Pavoncelli si recarono, quindi, a Caposele per acquisire conoscenza diretta delle sorgenti del Sele. Dalla visita, entrambi trassero la convinzione che non vi era più tempo da perdere. E così, nel 1898, nominato Ministro dei LL.PP., fece varare il R.D. 19 maggio 1898, che istituiva ad Avellino un Ufficio Speciale del Genio Civile per lo studio e la compilazione del progetto di costruzione dell’acquedotto. Nel 1906, a seguito dell’approvazione dello Statuto del Consorzio Stato‐Tre Puglie (Bari, Foggia, Lecce) fu nominato presidente del Consorzio medesimo, incarico riconfermato nel 1909. La morte lo colse a Napoli il 2 maggio 1910. 103


Matteo Renato Imbriani Matteo Renato Imbriani non era un pugliese di nascita. Era nato, infatti, a Napoli il 28 novembre 1843. Suo padre era il letterato e patriota Paolo Emilio, senatore del Regno d’Italia e Sindaco di Napoli dal 1870 al 1872. Ma fu in Puglia che svolse, prevalentemente, la sua attività politica, ove fu eletto deputato per tre legislature consecutive nel collegio elettorale Bari II. Dalla XIX alla XXI legislatura fu poi eletto nel collegio di Corato. Matteo Renato Imbriani svolse intensamente e con passione la sua attività politica, sempre sensibile agli interessi degli Italiani e sempre vicino alle esigenze delle popolazioni che in più riprese lo elessero deputato. Allo scoppio della II guerra d’indipendenza nel 1859 si arruolò volontario. L’anno dopo partecipò alla “Spedizione dei Mille”; combatté valorosamente a Castel Morrone il 1° ottobre 1860, ove perirono 250 garibaldini. Fu ferito e fatto prigioniero. Nel 1866 prese parte alla III guerra d’indipendenza come luogotenente del 6° Reggimento Granatieri. L’anno successivo fu con Garibaldi a Mentana. L’esito sfortunato della battaglia contro gli zuavi pontifici se da un lato produsse in lui un senso di profonda sfiducia, dall’altro rafforzò i suoi ideali repubblicani, affermandosi tra i principali animatori della corrente patriottica del mazzinianesimo. Nel 1876 si candidò alla Camera dei deputati nel collegio di San Severo, riportando una netta sconfitta, ma non si arrese. 104


Fu un fervente irredente. Stabilì stretti legami con i patrioti trentini e triestini. Condannò la Triplice, definendola alleanza innaturale e contraria agli interessi dell’Italia. L’adozione della tariffa protezionistica nel 1887, l’inasprirsi del conflitto doganale con la Francia, il consolidamento del blocco industriale‐agrario e l’uso dei metodi repressivi di Crispi lo spinsero sempre di più su posizioni di netta opposizione verso le politiche governative. Le conseguenze della guerra doganale con la Francia, che penalizzavano fortemente l’esportazione dei vini e degli oli pugliesi, lo indussero a lanciare, in sede parlamentare, una dura requisitoria contro la politica agricola del Governo, facendosi interprete e portavoce, di fronte alla situazione economica e igienico‐sanitaria della Puglia, delle urgenti esigenze di costruire un moderno acquedotto. A tal fine, con i cofirmatari Bovio, Cafiero, Panunzio e Lazzaro, presentò una proposta di legge, di cui riportiamo il dibattito che ne seguì nella seduta della Camera dei deputati del 4 giugno 1889: Dalla lettura dell’atto parlamentare (vedi sezione Documenti), emerge chiara ed evidente la tensione morale che animava il campano Imbriani naturalizzato pugliese, nel desiderio di lenire le asprezze e le miserie delle popolazioni che egli voleva degnamente rappresentare in Parlamento. A Matteo Renato Imbriani non poche località pugliesi, come segno di gratitudine, hanno intestato strade e piazze, ma pochi sanno che anche i Caposelesi, quantunque privati della loro 105


unica risorsa naturale, hanno voluto intestare al politico pugliese una strada, tra le principali del paese, riconoscendo in lui il combattente disinteressato e il difensore dei deboli. Matteo Renato Imbriani morì nella villa di famiglia a San Martino Valle Caudina (AV), ove si era trasferito negli ultimi anni della sua vita, il 12 settembre 1901. A distanza di circa un anno dalla sua morte, il 26 giugno 1902 il Parlamento approvò la legge istitutiva del Consorzio tra lo Stato e le Province pugliesi (Bari, Foggia e Lecce) per la realizzazione dell’acquedotto del Sele, riscontrando positivamente la proposta di Imbriani e degli altri firmatari, che intendevano con essa superare i localismi nella ricerca delle fonti e dei mezzi di approvvigionamento idrico delle aride terre pugliesi. Occorreva l’intervento dello Stato. Il problema da locale doveva diventare nazionale. 106


Nicola Balenzano Il 15 febbraio 1901 nacque il 48° Governo del Regno d’Italia presieduto da Giuseppe Zanardelli, deputato di Maderno di Brescia appartenente allo schieramento della sinistra parlamentare, che nel discorso programmatico del 7 marzo 1901 dichiarò di consacrare la sua opera al “Risorgimento delle province meridionali e di realizzare nelle solidarietà degli Italiani l’ardente desiderio dei Pugliesi di avere l’Acquedotto”. In coerenza con quanto dichiarato conferì l’incarico di Ministro dei LL.PP. al Conte Girolamo Giusso, che già come Sindaco di Napoli aveva fornito ottima prova di sé con la costruzione dell’Acquedotto del Serino. Lo stesso Re Vittorio Emanuele III, all’apertura della Seconda Sessione della XXI legislatura, febbraio 1902, nel Discorso della Corona accennò all’Acquedotto Pugliese, quale “provvedimento riparatore, giustamente invocato perché diretto a rimuovere le cause che nella Regione pugliese scemano salute e vigore nell’operosità delle sue genti”. Sennonché, all’annuncio che il Governo intendeva varare una legge sul divorzio, il Ministro Giusso, napoletano eletto anche nel collegio di Manfredonia, si dimise, perché convinto cattolico sull’indissolubilità del matrimonio. Affinché non vi fosse soluzione di continuità nelle politiche dell’importante Dicastero dei Lavori Pubblici, il Presidente Zanardelli conferì, allora, l’incarico di Ministro all’avv. Nicola Balenzano, presidente del Consiglio Provinciale di Bari, in carica dal 1882. 107


Non vi poteva essere miglior viatico per la definitiva approvazione del progetto dell’Acquedotto, perché Balenzano, che per la sua realizzazione si era strenuamente battuto, prima di accettare pose la condizione che si elevasse l’importo dell’opera da 100 a 125 milioni. Zanardelli accettò. Nicola Balenzano era nato a Bitritto di Bari il 29 gennaio 1848. Era stato a lungo Presidente del Consiglio Provinciale di Bari ed era stato eletto deputato a trentott’anni nelle elezioni del 23 e 30 maggio 1886. Nel 1900 aveva avuto l’incarico di Sottosegretario di Grazia e Giustizia e nel 1901 Vittorio Emanule III lo aveva nominato Senatore del Regno. Divenuto Ministro dei LL.PP. si pose subito all’opera per l’evoluzione positiva e definitiva della costruzione dell’Acquedotto. Come primo atto incaricò l’ing. Michele Maglietta di rifare tutti gli elaborati del progetto, individuando un tracciato più breve del Canale Principale nel tratto tra Caposele e Venosa. Maglietta progettò un nuovo percorso, che non avrebbe più costeggiato l’Ofanto, zona di dubbia stabilità geologica, ma avrebbe raggiunto Venosa passando per Atella. In tal modo la lunghezza complessiva del Canale si riduceva da 332 km del progetto Zampari a 244 km. Il 15 aprile 1902 il Ministro presentò il nuovo progetto al Consiglio Superiore dei LL.PP., che lo approvò il successivo 29 aprile.

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Il 5 giugno il disegno di legge fu portato alla Camera. Balenzano parlò il 6 giugno, soffermandosi principalmente sugli aspetti tecnici e finanziari dell’opera. Uno degli argomenti più convincenti da lui addotti fu che i Comuni e le Province della Puglia, che spendevano circa 2 milioni all’anno per rifornirsi di acqua, con il disegno di legge in esame avrebbero contribuito solo con 1 milione all’anno per 25 anni. Difese poi la costituzione del Consorzio tra Stato e Province, che alcuni deputati avevano attaccato come strumento coercitivo antiliberale. La Camera approvò il disegno di legge, tributando a Balenzano una manifestazione di plauso: 235 furono i voti a favore, 35 i contrari. Il 24 giugno il Senato esaminò, a sua volta, il disegno di legge, che fu approvato a grande maggioranza. Felicissimo fu il discorso di Balenzano. Così fu finalmente tenuto a battesimo l’Acquedotto tra i più lunghi del mondo e fu varata quella legge che giustamente fu definita “la legge fondamentale dell’Acquedotto”, che attribuiva al Consorzio tra lo Stato e le Tre Province pugliesi gli strumenti necessari per l’esercizio di vigilanza sulla conduzione dei lavori della grande Opera. Nicola Balenzano morì a Bari il 2 settembre 1919. Di Lui e della sua attività di parlamentare vale per noi quanto ebbe a dire l’allora Presidente del Senato Tommaso Tittoni nella commemorazione che egli fece del grande parlamentare barese il 6 dicembre 1919 nell’aula di Palazzo Madama: 109


“Sopratutto in materia economica e finanziaria rivelò una preparazione non di accatto, che avendo a base una profonda cultura giuridica, lo metteva in grado di affrontare le più difficili questioni, e di scegliere sempre nella soluzione quella che meglio rispondesse alle rigide esigenze di una finanza, anche allora in necessità di premere duramente sui contribuenti, ed alle supreme ragioni della giustizia distributiva. Per ciò nel 1898 fu nominato sottosegretario di Stato per le finanze, cioè appena due anni dopo entrato nella Camera, e più tardi, nel 1902, ministro dei lavori pubblici. Durante la sua permanenza in questo importante dicastero il Balenzano ebbe la grande soddisfazione di vedere definitivamente risoluta l'ardua questione della costruzione dell'acquedotto pugliese, opera ardita di romana grandiosità, che altamente onora l'Italia; e preparò un progetto per la riforma dell'ordinamento ferroviario, al quale, avendo messo a base, con preveggente intuito, un sistema misto di esercizio per cui Stato, società e ferrovieri avrebbero partecipato agli utili in equa proporzione, se fosse riuscito a tradurlo in legge, avrebbe molto probabilmente risparmiati i danni, le agitazioni pericolose e le amare disillusioni di un esclusivo esercizio statale, che ha mutato un ragguardevole cespite di rendita, in una sempre crescente allarmante passività”.

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Acqua peer tutti

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APPENDICEE Poeti e natturalisti parllano del Sele Da “IL DESERTO E DOP PO” di Giuseeppe Ungarretti

Caposele, Sorg genti del Sele, im mbocco della ga alleria Rosalba

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Poeti e naturalisti parlano del Sele Il fiume Sele già nei tempi antichi è stato citato da autorevoli studiosi per la qualità delle sue acque.

Nicola Santorelli (1811 – 1899), medico‐patologo, docente presso l’Università degli Studi di Napoli e presso la Scuola Medica Salernitana, poeta e insigne latinista, così descrive nel libro “ Il Fiume Sele e i Suoi Dintorni” le sorgenti da cui si origina il fiume: “Da grandi bocche di figura a rettangolo, ed ordinate a coronare un piano a modo di semicerchio, emergono tante acque, vago e grandioso spettacolo di natura!, che sin dal nascere fanno gran fiume”. Poi, in altra parte del libro, così continua:”Molti autori, ma sovente copiandosi l’un l’altro, attribuirono al Sele la proprietà di pietrificare i legni immersi per qualche tempo”. Aristotele, prosegue il Santorelli, per primo parlò del fenomeno come fatto straordinario nel libro delle “mirabili audizioni”, ove riferiva che i legni immersi nella corrente del fiume si convertivano in pietra. Ne parlarono, in seguito, Plinio e Strabone, ma i geografi successivi, come Beckman, sfatarono la credenza, dimostrando che la pietrificazione altro non era se non il deposito di particelle calcaree e tufacee.

Tuttavia, continua il Santorelli, i poeti, sempre alla ricerca di cose mirabili, si erano già impadroniti della leggenda. Lo fece Silio Italico, che nel poema “Punica” così si espresse: “……..Nunc Silarus, quos nutrit aquis quo gurgite tradunt/Duritiem lapidum mersis inolescere ramis…….” 113


Similmente Torquato Tasso, che nel Libro 1° della “Gerusalemme Conquistata”, così scrisse “…….Là ‘ve (come si narra) e rami e fronde/Silaro impetra con mirabil’onde…….”. Altri poeti e scrittori hanno successivamente parlato del Sele. In tempi più recenti ne ha parlato, con entusiasmo, Giuseppe Ungaretti, che nel 1934 compì un viaggio fino alle sorgenti. 114


DA "IL DESERTO E DOPO” Prose di viaggi e saggi di GIUSEPPE UNGARETTI Caposele, 9 settembre 1934 ALLE FONTI DELL’ACQUEDOTTO La sete “Ho conosciuto il deserto. Da lontano, un filo improvviso di acqua chiara e viva faceva nitrire di gioia i cavalli. Ho conosciuto Paesi di grandi fiumi. Ho conosciuto terre più basse del mare. Ho conosciuto l'acqua che s'insacca, l’ acqua che s'ammala, l'acqua colle croste, con fiori orrendamente bianchi, l'acqua venefica, i riflessi metallici dell'acqua, la terra come una tonsura fra rari ciuffi d'erbe idropiche. Ho conosciuto l'acqua torrenziale, l'acqua rovinosa, l ’ acqua che bisogna asserragliare. Ho conosciuto l'acqua nemica. Ho conosciuto Amsterdam dove si vive come navi ferme collo sguardo sottacqua. L'architettura delle stesse case, prive di volume, incatramate, non trova lì consistenza se non nello specchiarsi. Sovrapponete a un'architettura quanti ornati vorrete, sarà sempre uno scheletro; ma lì non è nemmeno uno scheletro: é un sogno. E difatti guardando dall'alto un tram fuggente con i suoi lumi, nel vederlo giacente nella sua crisalide capovolta sotto le velature e le trasparenze di un'acqua putrefacente ho conosciuto la verità di Rembrandt: sogno. Ora andremo sino alle fonti del Sele. 115


Se gli Estensi volevano vedere in giro vivente la loro nostalgia e portavano Ferrara a Tivoli, se forse le grandi acque di Versaglia sono un canto ferrarese dei Francesi, questi Italiani del '900 non hanno insegnato al mondo il modo di sbizzarrirsi coll’acqua, hanno semplicemente dato da bere a chi aveva sete. Ma per questo non ci voleva meno fantasia che a quei tempi e ci voleva una volontà molto più umana. Ne è nata un'opera che, come si vedrà in prossime note, sfida qualsiasi altra anche per bellezza. [………]. Poi si apre la vallata dell'Ofanto e per un'altra strada a girandola arriviamo in cima a Calitri, paesino bianco a 600 metri con le case che si tengono strette sulla frana. Fatta colazione ripartiamo, e dopo poco arriviamo alla quarta stazione, presso il torrente Ficocchia. [……]. Salita la sella di Conza, che divide il versante Adriatico dal Tirreno, con il senso di un’altra aria, più fresca, penetriamo nel primo gruppo di vallate del versante del Sele. Si faceva sera, e dalle colline qua e là apparivano i primi lumi:"quei lumi è Castelnuovo (di Conza), quelli è Laviano, e quelli è il paese più ricco d’Italia Calabritto”. Ed eccoci, per curve vicinissime l’una all’altra, arrivati a Caposele! Entrando in paese ci viene incontro una gola di una cinquantina di metri per dieci, spaccata nella roccia e sparsa di macigni ruzzolanti e piombati dalla montagna; qui si vedono le sorgenti del Sele lasciate in libertà che alimentano ciò che rimane del fiume che va dalla parte di Pesto: un boccalone vomitante in cima, sotto un'infinità di fontanini che intrecciano 116


le loro vene fra gli olmi, l'edera, le acacie, il sambuco, un fico che ha l'età di Matusalemme; in fondo fra pietroni l'acqua scivola sveltissima in una specie di foro tenebroso, e si perde in quel occhio. A questo punto, davanti a tanti scrosci e fruscii, un vecchio che avrebbe potuto fare da modello a un apostolo caravaggesco mi viene accanto e mi dice all'orecchio: "Non mi vogliono dare nemmeno l'acqua da bere..." . Rifletto che se fossi andato in cerca della misura della pazzia non l'avrei trovata più esatta, e vado oltre. Entriamo in un luogo solenne. Ha come sfondo monte Rotoli che sale da 4 a 700 metri, Monte Calvello di 1500 metri, monte Cervialto di 1800 metri: per gli interni alambicchi di questi monti l'acqua del Sele arriva alle sorgenti. E proprio ai piedi della buia parete verde del monte Rotoli (il Paflagone) è captata l'acqua per l'acquedotto. Ora sono polle non meno vive di prima, ma sepolte. Al loro posto dove formavano lago a ferro di cavallo appare un prato, e da un lato nello sfondo sorge un povero campanile distaccato dalla sua chiesa trasportata altrove. Nel mezzo del prato si notano quattro botole ermeticamente chiuse: sono gli accessi al canale che, afferrate le polle, le svia per una brusca storta, ed eccole dentro una stanza di manovra. Poi m'hanno aperto, sotto un arco di mattoni a forma di turbante, un finestrino: con un continuo rombo d'acqua che si slancia come un toro: qui incomincia l'acquedotto”. Laudate si mi Signore per sora acqua/ La quale è molto utile 117


Documenti Schema Convenzione 2 marzo 1905 Delibera del Podestà di Caposele del 7 dicembre 1939 Decreto Reale 11 maggio 1942 Delibera del Consiglio Comunale di Caposele del 13 dicembre 1952 Convenzione del 1970 Convenzione del 1997 Convenzione del 2012 Dibattito parlamentare 4 giugno 1889 Copia supplica a S.M. il Re Imperatore pro Caposele e le sue Sorgenti D.L. 11 maggio 1999 n. 141 Legge 28 dicembre 2001 n. 488 – art. 25 comma 4 118


Schema Convenzione 2 marzo 1905 “L'anno 2 marzo 1905 Innanzi..................................... Si sono personalmente costituiti ................................. I quali premettono in linea di fatto quanto appresso: Con Legge 5 maggio 1901 n° 156 venivano stanziati i fondi occorrenti per i lavori necessari al completamento del progetto tecnico dell'Acquedotto Pugliese, per l'accertamento della effettiva portata delle sorgenti a Caposele e per altri lavori, e si dichiaravano opere di pubblica utilità l'allacciamento di tutte le sorgenti che sgorgano nel territorio di proprietà del Comune di Caposele, nonché la costruzione della vasca di presa e scarico ed accessori. Ma quando il governo, eseguita l'espropriazione di alcuni suoli e fabbricati circostanti alla vasca ed entro cui sgorgano le acque di buona parte delle anzidette sorgenti, stava per mettere mano ai lavori di allacciamento delle sorgenti stesse, il Comune di Caposele insorse accampando sulle acque delle medesime sorgenti dei diritti che avevano vantati in giudizio, ed intorno ai quali era stata a suo favore inserita una riserva nella sentenza della Corte di appello di Napoli del 16‐30 marzo 1903, contro la quale pende ricorso presso la Corte di Cassazione di Napoli. E poiché al Governo premeva rimuovere qualsiasi ostacolo allo inizio ed alla regolare esecuzione dei lavori in parola, così il Governo stesso secondando l'iniziativa del Comune, consentì ad intavolare delle trattative intese a togliere di mezzo ogni opposizione mercé un bonario componimento. Le quali trattative avendo raggiunto lo scopo, dell'intervenuto accordo si fa constatare mediante l'atto presente, col quale le parti come sopra costituite convengono e stipulano quanto segue: Art. 1‐ La premessa narrativa forma parte integrante e sostanziale della presente convenzione. Art. 2‐ Il Comune di Caposele e per esso ............. riconosce per transazione la demanialità di tutte le acque sorgenti, sgorganti e filtranti a Caposele nella località detta Sanità, che costituiscono le sorgenti tanto apparenti che latenti del Fiume Sele, sia che vengono a giorno nella vasca della piazza

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Sanità, sia che scorrano nel sottosuolo o si disperdano in qualunque modo; e formalmente rinunzia a qualsivoglia diritto che sulle acque stesse gli competa o competer possa per qualunque titolo, e causa ed eziando per uso immemorabile da parte dei suoi abitanti. Art. 3‐ Consenguentemente le dette acque potranno sempre e liberamente essere dal Governo o dai suoi concessionari intercettate, raccolte, allacciate, prese e condotte totalmente o parzialmente col solo obbligo di lasciar defluire costantemente nel fiume Sele, dalle opere di presa ed a mezzo di opportuni scaricatori permanenti, un volume di acqua sufficiente a sopperire agli usi pubblici e privati del Comune stesso e degli abitanti di esso. Art, 4‐ Il volume di acqua che il Governo e per esso ..............si obbliga di lasciare liberamente defluire nel fiume Sele dal livello della presa dell'Acquedotto sarà di 500 litri al minuto secondo, tutte le volte che la portata delle sorgenti non sia minore di quattro metri cubi al minuto secondo; e sarà ridotto fino a 200 litri al minuto secondo, quando la portata delle sorgenti medesime risulti inferiore a quattro metri cubi al minuto secondo. Art. 5‐ Il Comune di Caposele e per esso ...............mentre espressamente dichiara di non riconoscere e non riconosce la possibilità di qualsiasi pretesa da parte degli eredi del cav. Francesco Zampari in virtù dell'istrumento 23 maggio 1888 a rogito Corona, nondimeno, e nei soli rapporti fra Governo e Comune, promette e si obbliga di garantire e tenere rilevato ed indenne il Governo da ogni molestia da parte dei detti eredi Zampari in virtù dell'istrumento Corona citato; e ciò fino alla concorrenza della somma lire settecentomila di cui nell'articolo seguente. Il Comune si obbliga altresì di tener rilevato ed indenne il Governo, sempre fino alla concorrenza della somma di lire settecentomila, da ogni molestia o protesta da parte dei proprietari espropriati‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐ nei verbali di accettazione delle indennità a ciascuno di essi spettanti. Art. 6‐ In corrispettivo della rinunzia come sopra emessa dal Comune e dell'obbligo di garanzia che il Comune stesso assume, il Governo e per esso ............in via di transazione ed a forfait promette e si obbliga di erogare a

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favore del medesimo Comune e nel modo infraindicato la somma di lire settecentomila al netto di qualsiasi ritenuta. Mediante il corrispettivo anzidetto il Comune resta pure compensato della facoltà che esso consente al Governo di occupare le strade e suoli comunali che si rendessero necessari per l'esecuzione dei lavori inerenti alla costruzione dell'Acquedotto pugliese salvo ripristino delle strade o diversa loro sistemazione a spese dello Stato , a lavori finiti. Art. 7‐ La predetta somma fino alla concorrenza di lire settantacinquemila sarà dal Governo, di accordo col Comune, impiegata sia nella esecuzione nell'interesse pubblico di lavori che farebbero carico al Comune stesso, sia nella ricostruzione delle case di contadini poveri cadute o cadenti in causa delle frane manifestatesi nei pressi dell'abitato di Caposele. Questa somma di lire settantacinquemila sarà intanto impiegata in acquisto di rendita pubblica 3 e 1/2 % a favore del Comune, col godimento dal 1 luglio 1904. Altre venticinquemila saranno pagate libere al comune di Caposele, perché possa provvedere al pagamento delle spese e compensi di avvocati per giudizi sostenuti contro gli eredi Zampari in primo e secondo grado di giurisdizione e in quello pendente presso la Corte di Cassazione di Napoli. Le rimanenti lire seicentomila serviranno all'acquisto di rendita pubblica 3 e 1/2 % da intestarsi al Comune, col godimento dal 1 luglio 1904, col vincolo a favore dello Stato dello esatto adempimento da parte del comune dell'obbligo di garanzia di cui al precedente articolo 5”. [………………………..]

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Ricavato dagli atti del Podestà del 1939‐rubricato al n°51 Oggetto: Concessione all’Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese a derivare la parte di tributo delle Sorgenti della Sanità riservata a beneficio del Comune con la convenzione del 03 marzo 1905. “L’anno millenovecentotrentanove il giorno sette del mese di dicembre alle ore dieci nel Comune di Caposele, e nella sede Municipale il Sig. Farina Nicola, Commissario Prefettizio del Comune suddetto, assistito dal Segretario Comunale sig. Caprio Francesco ha adottato la seguente deliberazione. Premesso che l’Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese con istanza del 07 marzo a.s., diretta al Ministero dei LL.PP., ha richiesto la concessione a derivare anche la parte di tributo delle Sorgenti della Sanità di questo Comune, riservata a beneficio degli usi pubblici e privati del Comune stesso e degli abitanti di esso con la convenzione stipulata il 03 marzo 1905, tra il R. Governo e l’Amministrazione Comunale. […………………………….] DELIBERA Aderire alla richiesta fatta dall’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese perché sia autorizzato a derivare anche la residuale parte di tributo delle Sorgenti della Sanità, riservata in beneficio di questo Comune con la convenzione del 03 marzo 1905, determinato sul valore medio di moduli 3.63, alle condizioni di massima stabilite nell’accordo raggiunto il 4 maggio 1939 presso il Ministero dei LL.PP. specificato come segue: l’ Ente Autonomo Acquedotto Pugliese pagherà al Comune di Caposele in dipendenza di tale derivazione, una indennità di £ 1.500.000 ( un milione e cinquecentomila lire ) in moneta contante, libero da qualsiasi vincolo e provvederà a liquidare e corrispondere direttamente agli aventi diritto, per utenza dell’ acqua suddetta, la indennità ad ognuno spettante, con la somma aggiuntiva di £ 300.000 (trecentomila lire) determinata approssimativamente, liberando il Comune da ogni responsabilità in merito a dette utenze private. L’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese fornirà gratuitamente al Comune la energia

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elettrica occorrente per la pubblica illuminazione del Comune stesso, a partire dall’anno 1942 in rapporto agli effettivi bisogni del Comune per il centro abitato e per la frazione. L’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese provvederà alla manutenzione degli acquedotti che alimentano l’abitato di Caposele, a suo totale carico, senza oneri di sorta per il Comune e senza limitazioni nel consumo dell’acqua, sia da parte del Comune sia da parte dei privati cittadini, provvedendo inoltre alla costruzione di idonei e sufficienti lavatoi pubblici. L’Ente Autonomo suddetto assumerà, a suo carico esclusivo, come del resto era già impegnato, la differenza di spesa sostenuta per l’acquedotto rurale della frazione Materdomini, sussidiato dallo Stato, e provvederà allo esercizio ed alla manutenzione di detto acquedotto senza alcun corrispettivo da parte del Comune e dei privati”. [……………………………………]

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Decreto Reale 11 maggio 1942. Concessione all' Ente autonomo per l'Acquedotto Pugliese di una derivazione d'acqua dal fiume Sele. “VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D'ITALIA E DI ALBANIA IMPERATORE D'ETIOPIA Vista la istanza 7 marzo 1939 dell'Ente autonomo per l'Acquedotto Pugliese, corredala da progetto in data 2 stesso mese a firma ingegner G. Di Lonardo intesa ad ottenere la concessione di poter immettere nelle opere di presa dell'acquedotto la portata (valutata in medi mod. 3,63) delle sorgenti della Sanità di competenza del Comune di Caposele (Avellino) ; Visti […………………….] Considerato che le cennate opposizioni restano superate per effetto della clausola inserita all'art. 3 del disciplinare di concessione, con la quale è fatto obbligo all'ente concessionario di provvedere a rendere esecutivo, a mezzo di apposito contratto con il Comune di Caposele, quanto venne concordato nella connata riunione presso la Prefettura di Avellino circa il corrispettivo da dare al comune per la cessione della utenza di cui trattasi, nonché per l'indennizzo a favore degli altri utenti che verranno sottesi in tutto o in parte; […………………..] Sulla proposta del Nostro ministro segretario di Stato per i lavori pubblici, di concerto col Nostro ministro segretario di Stato per le finanze ; Abbiamo decretato e decretiamo : Art. 1. Salvi i diritti di terzi è concesso all' Ente autonomo per l'Acquedotto Pugliese di derivare a scopo potabile dal fiume Sele» e precisamente dalle sorgenti Sanità in Comune di Caposele (Avellino) medi mod. 3,63 di acqua già di competenza di detto Comune. Art. 2. La concessione e accordata per anni settanta successivi e continui decorrenti dalla data del presente decreto, subordinatamente all'osservanza delle condizioni contenute nel citato disciplinare 11

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settembre 1941‐23 febbraio 1942, e verso il pagamento del canone annuo di lire 726. Art. 3. Garanzia da osservarsi. Saranno, a carico dell'Ente autonomo per l'Acquedotto Pugliese, eseguite e mantenute le opere necessarie, sia per attraversamenti di strade, canali, scoli e simili sia per le difese della proprietà e del buon regime del fiume Sele in dipendenza della concessa derivazione, in qualunque tempo possa venire accertato il bisogno di dette opere. Inoltre l'ente concessionario dovrà provvedere a rendere esecutivo, a mezzo di apposito contratto con il Comune di Caposele quanto venne concordato il 21 febbraio 1940 presso la R. Prefettura di Avellino per come e stato accennato nella nota ministeriale 24 novembre 1940. n. 7580 diretta all' ingegnere capo del Genio Civile di Avellino ed inviata per conoscenza all'Ecc, il prefetto di Avellino. In ogni caso l'esercizio della derivazione potrà iniziarsi soltanto dopo la stipula del suddetto contratto e la sua approvazione”. […………….] Dato a Roma» addì 11 maggio 1942.

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Oggetto: Controversia con l’Ente Acquedotto Pugliese per la cessione ed utilizzazione delle residuali acque del Comune. “L’anno 1952, il giorno 13 del mese di dicembre alle ore 15,00 nella sede municipale si è riunito il Consiglio Comunale in sessione ordinaria, seduta pubblica [………..] Il Presidente dà inizio all’esame del primo argomento all’ordine del giorno: Controversia con l’Ente Acquedotto Pugliese per la cessione ed utilizzazione delle residuali acque del Comune. Il Sindaco riferisce al Consiglio che [………] è stato possibile conferire con il suddetto presidente soltanto il 25 ottobre scorso. In tale occasione è stata fatta verbalmente dall’on. Caiati, Presidente dell’E. A. A .P. l’offerta di 50.milioni a favore del Comune per la cessione definitiva della competenza di acqua spettante al Comune stesso, con invito a far conoscere le decisioni del Comune dopo aver interpellato il Consiglio. Poiché tale offerta, a suo parere, è da ritenersi del tutto inadeguata e non corrispondente alle condizioni proposte ed accettate nell’anno 1939, le quali, per altro non furono accolte benevolmente dalla popolazione, il Sindaco invita il Consiglio ad esaminare tale offerta e, tenendo presente lo stato dell’annosa controversia, i pareri legali che si sono avuti e le circostanze di fatto e di diritto, sulle quali è fondata la giusta causa del Comune, fare le opportune e necessarie controproposte, allo scopo di raggiungere, possibilmente, una base di accordo quanto più prossima alle aspirazioni generali. [……………………………]. IL CONSIGLIO COMUNALE Sentita la relazione del Sindaco Presidente e quella dettagliata dal Consigliere Avv. Cozzarelli, DELIBERA 1. respingere, senz’altro, l’offerta dei 50 milioni che è stata recentemente fatta verbalmente al Sindaco da parte del Presidente dell‘A.P., on. Caiati, a tacitazione completa di ogni diritto del comune per la cessione delle acque residuali del Sele di competenza del Comune;

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2. richiedere in via principale all’A.P. che, nel caso non ne avesse ulteriore necessità, potendo risolvere altrimenti il suo fabbisogno idrico, restituisse l’acqua di competenza del Comune, lasciandola nuovamente defluire costantemente nel fiume Sele, come risulta dall’art. 3 e 4 dalla transazione stipulata il 2 marzo 1905, registrata il 26.9.1905 al n° 251, provvedendo ad indennizzare il Comune di Caposele per tutto il periodo di utilizzazione, secondo i criteri che verranno stabiliti; 3. richiedere all’A.P., in via subordinata, che per la cessione delle acque di competenza del Comune, in rapporto alla concessione ottenuta con il Decreto 11 maggio 1942 n° 1896 per la durata, in esso indicata, di settanta anni, venga corrisposto al Comune un canone annuo, da determinarsi sulla base delle condizioni accettate nello schema di Convenzione già a suo tempo approvato e col rapporto della svalutazione monetaria; 4.richiedere in via più subordinate ed eccezionale che, nel caso l’A.P. voglia insistere per la richiesta, a suo tempo fatta, della cessione definitiva delle acque di competenza del Comune, provveda a rispettare integralmente tutte le condizioni stabilite nello schema di Convenzione proposto nelle riunioni tenute presso il Ministero dei LL.PP. il 4.5.1939 e presso la Prefettura di Avellino il 21.2.1940 [………………………..] 5. richiedere all’A.P. il pagamento anche di quanto potrà spettare al Comune per l’utenza dell’ acque di sua competenza, a decorrere dall’epoca in cui ha avuto luogo la derivazione, indipendentemente da quanto verrà pagato dalla cessione definitiva, e fino a quando non avrà luogo tale cessione, nella misura forfetaria complessiva di 30 milioni, desunta dal calcolo approssimativo degli interessi annualmente maturati sulle somme che l’A.P. avrebbe dovuto pagare e non ha pagato, pur conservando l’uso delle acque, compreso il rimborso del canone della pubblica illuminazione, pagato finora dal Comune”; [………………………..]

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CONVENZIONE del 1970 tra l'Ente Autonomo per l'Acquedotto Pugliese e il Comune di Caposele “REPUBBLICA ITALIANA L'anno millenovecentosettanta, addì 10 del mese di maggio in Bari, in una sala della palazzina dell'Ente Autonomo per l'Acquedotto Pugliese in Caposele, dinanzi a me Dr Fausto Manfredonia. Segretario Generale f.f., autorizzato a ricevere gli atti pubblici amministrativi interessanti l'Ente Autonomo per l'Acquedotto Pugliese (E.A.A.P,) ai sensi dell'art. 42 lett. b del regolamento Generale per il Funzionamento dell'Ente approvato con R.D. 16 gennaio 1921 n. 195 senza la presenza di testimoni, avendovi le parti. a me Ufficiale Rogante personalmente note, espressamente rinunciato, si sono personalmente costituiti: il Sig. Avv. Benedetto LEUZZI che interviene nella qualità di Presidente e rappresentante legale dell' E.A.A.P, a questo atto autorizzato con delibera del Consiglio di Amministrazione n.6 del 15.12.1969 alligata al presente contratto sub. lett. a, il Sig. Francesco CAPRIO che interviene quale sindaco del Comune di Caposele in rappresentanza del Comune medesimo a questo atto autorizzato con Deliberazione del Consiglio Comunale n° 78 del 4 .11.1967 approvata dalla Giunta P.A, di Avellino con il n. 54607 del 19.9.1968 allegate al presente atto sub. lett. b, PREMESSO [………………………….] Che le parti, animate del proposito di comporre amichevolmente ed in via definitiva ogni contratto, sono pervenute alla determinazione di eliminare i giudizi summenzionati e di regolare transattivamente i reciproci rapporti inerenti all'annosa questione; Tanto premesso, le parti come sopra costituite, convengono e stipulano quanto appresso;

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Art. l ‐ II Comune di Caposele in proprio e quale rappresentante dei propri amministrati riconosce e conferma i precedenti accordi concernenti la cessione in favore dell'Acquedotto Pugliese di tutti i diritti sulla riserva di acqua di medi mod.3.63, [………….] Art. 2‐Il corrispettivo della cessione a suo tempo determinato in L.1.500.000 (un milione e cinquecentomila) viene di comune intesa tra le parti rivalutato nella misura media di 81 volte, elevandosi, di conseguenza, a £.121.500.000. Ciò in considerazione degli aumenti tariffari disposti dal C.I.P. (Comitato Interministeriale dei Prezzi), nella misura di 81 volte, sui prezzi di vendita dell'acqua. L'Amministrazione Comunale di Caposele consente ed accetta che, in sostituzione della suindicata somma di L. 121.500.000, che dovrebbe essere pagata in unica soluzione alla stipula della presente convenzione, l' E.A.A.P. corrisponda, per tutta la restante durata della concessione, una rendita annua come transattivamente determinata nel successivo art. 4 derivante dalla somma di L. 121.500.000 come sopra rivalutata e dal conglobamento in essa anche degli altri corrispettivi, a suo tempo determinati e concordati, di cui al seguente Art. 3, nonché dalla confluenza in via forfettaria e transattiva di ogni e qualsiasi danno, anche morale, eventualmente subito dal Comune di Caposele in conseguenza della derivazione delle acque dalle Sorgenti del Sele.La rendita varrà a soddisfare forfettariamente ogni pretesa del Comune a completa e definitiva tacitazione di ogni e qualsiasi altro diritto e ragione. Art. 3 ‐ Tenuto conto che l'E.A.A.P. aveva assunto impegno di fornire al Comune di Caposele l'energia elettrica necessaria alla illuminazione pubblica delle strade, vicoli e piazze dell'abitato, erogandola dalla centrale prevista nel progetto dell'allacciamento delle sorgenti di Caposele e di rimborsare, per il periodo dall'1.5.1943 fino a quando non potesse fornire energia autoprodotta il canone annuo che il Comune corrisponde alla ditta esercente per la ordinaria pubblica illuminazione si conviene di comune intesa che l'E.A.A.P. mentre dovrà rimborsare i canoni finora corrisposti dal Comune, che verranno accertati e determinati separatamente, a decorrere dal 1° gennaio 1968 e così per l'avvenire resterà esonerato da ogni obbligo

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in proposito, perché l'importo del canone in questione viene incluso nella rendita annua forfettaria di cui al precedente art. 2. Art. 4‐ In dipendenza di quanto stabilito con gli art. 2 e 3 della presente convenzione. la rendita annua che l' E.A.A.P. dovrà versare al Comune di Caposele viene determinata nella misura forfettaria e transattiva di L. 12.000.000 (dodicimilioni) da corrispondere in semestralità anticipate a cominciare dal 1° gennaio 1968. Tale rendita sarà opportunamente maggiorata o ridotta in base ai prezzi di vendita dell' acqua determinati di volta in volta dal C.I.P.II parametro di ragguaglio valutativo che si assume è il prezzo di un mc. di acqua in eccedenza in conformità della seguente formula: R=12.000.000*P/81 R.(rendita) = £.12.000.000 x P (prezzo di 1 mc. di acqua in eccedenza nel futuro) diviso 81. Art. 5 ‐ L' E.A.A.P. corrisponderà al Comune di Caposele la somma già a suo tempo concordata ed accettata di £. 300.000 transattivamente rivalutata nella somma di L..30.000.000 per gli indennizzi che il Comune di Caposele dovrà corrispondere agli utenti privati che già usufruivano delle acque residuali cedute allo E.A.A.P. rimanendo stabilito che essi indennizzi saranno trattati e liquidati in via bonaria a cura del Comune stesso. Di conseguenza il Comune si accolla ogni e qualsiasi onere maggiore della suddetta somma, rimanendo l'E.A.A.P. sollevato da ogni e qualsiasi obbligo e responsabilità nei confronti degli utenti privati che già usufruivano delle acque; e pertanto il Comune di Caposele si obbliga di garantire verso chiunque e di tenerlo indenne in ogni caso per qualsiasi pretesa di terzi. Si chiarisce in proposito che tali indennizzi riguardano esclusivamente i diritti delle utenze, in atto al 1939, ricadenti nel territorio del Comune di Caposele, rimanendo, pertanto, escluse le utenze e concessioni ricadenti eventualmente in altri territori. Art. 6 ‐ L'E.A.A.P. sopratutto per disciplinare le acque nei riguardi della stabilità dei terreni franosi di Caposele e della località interessata alle sorgenti del Sele, provvederà alla manutenzione delle reti urbana idrica e della fognatura a proprie spese [………………] Art. 7‐ L'E.A.A.P. provvederà, altresì, alla gestione dell'acquedotto rurale di Materdomini a suo tempo costruito con il sussidio dello Stato ma con

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l'anticipazione della spesa da parte dell' E.A.A.P. al quale il Comune di Caposele dovrà rimborsare le quote annue di detto sussidio statale finora riscosso e fino alla totale estinzione di esso. Per aderire al desiderio dell'Amministrazione Comunale di Caposele e della popolazione della frazione di Materdomini si stabilisce che l'E.A.A.P. provvederà alla concessione gratuita di acqua per detta frazione limitatamente a quella destinata ad uso pubblico (fontane, lavatoi, lavaggio fognature ecc. e ad uso degli uffici comunali, delle scuole e di altri impianti per uso potabile ed igienico, mettendo, altresì a disposizione dei Padri Redentoristi, per il Convento e la Casa del Pellegrino, un quantitativo giornaliero gratuito di 3 metri cubi di acqua. Per gli utenti privati l'E.A.A,P. consente, in via del tutto eccezionale,che, per uniformità di trattamento con i concittadini abitanti e serviti nel capoluogo, le concessioni saranno esenti da canoni per i consumi popolari di litri 200 giornalieri per utenza, e che tutte le eccedenze saranno pagate con le modalità e le tariffe di volta in volta autorizzate per i comuni serviti dall' E.A.A.P. Per quanto non sia diversamente disposto nella predente convenzione, valgono le leggi e le norme dei regolamenti dell'Ente. Art. 8 ‐Tenuto conto che l'E.A.A.P. ha utilizzato le acque concesse fin dal 1943 si stabilisce che sulla somma di £.1.800.000 (1.500.000+300.000) rivalutata nei singoli periodi secondo il coefficiente di aggiornamento delle tariffe di vendita dell'acqua del Sele, applicate dall' E.A.A.P, in conformità delle decisioni del C.I.P., l'E.A.A.P. corrisponderà, in via transattiva e forfettaria, al Comune di Caposele la somma di £.82.000.000 quali interessi compensativi”; [………………………….]

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Convenzione del 1997 tra l'Ente Autonomo per l'Acquedotto Pugliese e il Comune di Caposele “REPUBBLICA ITALIANA L'anno millenovecentonovantasette , il giorno tre del mese di febbraio, in una stanza dell'Ente Autonomo per l'Acquedotto Pugliese ‐ Via Cognetti n. 36 ‐ Bari, avanti a me Dott. Silvio ZANNA, Direttore Generale ‐ f..f. e, come tale, Ufficiale Rogante degli atti pubblico‐amministrativi interessanti l' E.A.A.P., a mente dell'art. 2 del Regolamento approvato con D.I. n. 3547 del 29.11.1980, si sono costituiti DA UNA PARTE il Sig. Bruno D'ORIA nato a Sava il 02.05.1942, nella qualità di Legale Rappresentante dell'Ente Autonomo per l'Acquedotto Pugliese; DALL'ALTRA il‐ Sig. .Antonio CORONA nato a Caposele il 09.12.1940 nella qualità di Sindaco del Comune di Caposele a questo atto autorizzato ai sensi del art. 51 della legge 8 giugno 1990 n°142. [………………..] PREMESSO : che, tra l'Ente Autonomo per l'Acquedotto Pugliese, in seguito indicato con la dizione EAAP e il Comune di CAPOSELE venne stipulata convenzione in data 10‐5‐1970, regolante i rapporti nascenti tra le parti dalla cessione all’EAAP dei diritti vantati sulle residue acque riservate al Comune con la convenzione del 2‐3‐1905; [………………..] Tanto premesso, le parti, come sopra costituite, convengono e stipulano quanto segue: ART. 1 DISCIPLINA DEI SERVIZI IDRICI E FOGNARI A) RETE IDRICA: L’EAAP assicura la manutenzione gratuita della rete idrica comunale esistente [………………..] L’EAAP assicura, fin da ora (1997), la propria consulenza gratuita finalizzata al migliore funzionamento della intera rete esistente nonché al rifacimento della nuova rete urbana già prevista dai programmi comunali, come di eventuali reti.

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b) RETE FOGNANTE: L'EAAP assumerà la gestione della rete fognaria, previa verifica della regolarità tecnica dell'impianto di depurazione e previo rifacimento della rete, a spese del Comune di Caposele. […………] ART.2 CONSOLIDAMENTO E MONITORAGGIO II Comune di Caposele è interessato a perseguire il consolidamento del proprio territorio, previsto, con apposito decreto fin dal 1914. […………]. Alla richiesta di aiuto o concorso sollecitato dal Comune di Caposele, l'E.A.A.P., allo stato, risponde con la predisposizione, attraverso i propri servizi o consulenti, di un progetto generale, di monitoraggio il cui costo resta a proprio carico e la cui elaborazione va definita di concerto con il Comune di Caposele. II finanziamento, per la realizzazione di detto progetto sarà ricercato dal Comune di Caposele col possibile ausilio dell’E.A.A.P. II progetto di monitoraggio dovrà essere approntato entro sei mesi dalla sottoscrizione della presente convenzione. ART.3 FRUIZIONE E VALORIZZAZIONE DELLE SORGENTI DEL SELE Fatta salva la tutela igienico ‐sanitaria, assolutamente prioritaria, delle sorgenti del SELE, l'E.A.A.P. si impegna a renderne possibile la regolare fruizione turistica, effettuando altresì una adeguata opera di promozione culturale. [………………….] ART.4 SISTEMAZIONE E RIQUALIFICAZIONE DELL'AREA DELLE SORGENTI L'E.A.A.P. si impegna a realizzare un intervento diretto a sistemare e riqualificare l'intera area circostante le sorgenti del SELE al fine non solo di migliorarne la salvaguardia igienico‐ambientale ma anche contribuire ad un migliore assetto del territorio interessato. Detto intervento dovrà prevedere: il ridisegno e la sistemazione della Piazza della Sanità; la sistemazione dell'area ex‐lavatoio e del primo tratto del corso del SELE (ora canale di scarico) fino alla confluenza; l'apertura al

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pubblico del viale del "cantiere" fino al ponte; la sistemazione a parco della zona "Saure"; la valorizzazione della "palazzina"; la sistemazione degli scavi effettuati in zona "Diomartino" ; la ricaptazione delle sorgenti di "S .Lucia" perché il Comune possa addurne le acque su area di propria spettanza. II progetto interessante l'area in questione dovrà costituire oggetto di appalto‐concorso, da bandire entro il 30.6.97 a spese dell'ENTE. ART.5 FORNITURA ENERGIA ELETTRICA L'E.A.A.P. fornirà direttamente al Comune di Caposele l'energia elettrica necessaria per la pubblica illuminazione, per la sede Comunale e per gli edifici scolastici comunali. Detto impegno avrà efficacia dal momento in cui entrerà in funzione la centrale la cui costruzione è prevista nella zona "cantiere" nel punto di arrivo delle acque di CASSANO IRPINO”. [………………………….]

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Convenzione tra il Comune di Caposele (AV) e l'Acquedotto Pugliese S.p.A. (BA) “L'anno duemiladodici il giorno sei del mese di luglio in Caposele TRA il Comune di Caposele (AV), di seguito Comune, in persona del Sindaco protempore, dott. Pasquale Farina, e l'Acquedotto Pugliese S.p.A., di seguito AQP S.p.A., in persona del Direttore Generale, dott. Ivo Monteforte PREMESSO [……………] che in data 23 febbraio 2011 AQP S.p.A. con nota n.22305 ha proposto istanza di rinnovo della concessione a derivare di cui al Decreto Reale dell'11.05.1942 per med.mod. 3,63 di spettanza del Comune di Caposele; che le parti, a fronte dell'impegno assunto dal Comune di Caposele di non presentare autonoma istanza di concessione di derivazione delle acque dalla Sorgente del Sele CONVENGONO E STIPULANO QUANTO SEGUE ART. l Le premesse formano parte integrante della presente convenzione. La presente Convenzione [……..] avrà la durata della concessione medesima e, comunque, fino a quando AQP resta titolare della concessione a derivare e gestore del SII dell’ Ambito Territoriale Ottimale Puglia. ART.2 1. AQP per la decisione del Comune di Caposele a non presentare autonoma istanza di concessione di derivazione delle acque della Sorgente Sanità e della cessione dei medi moduli 3.63 per la durata della presente convenzione, in considerazione del danno derivante dall'impatto ambientale delle opere esistenti ed a realizzarsi nel territorio del Comune, ed in conseguenza dei vincoli imposti dalla normativa vigente in materia di tutela igienico‐sanitaria della risorsa idrica trasportata, corrisponderà al Comune una somma annua forfettaria annua omnicomprensiva di € 1.350.000 (unmilionetrecentocinquantamila). 2. La s u d d e t t a s o m m a verrà aggiornata per gli armi successivi a d e g u a n d o l a all'indice dell'inflazione programmata e verrà corrisposta

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in un'unica rata posticipata entro il primo m e s e dell'anno s o l a r e successivo. 3 . Il Comune, t e n u t o c o n t o d e l l e s u e e s i g e n z e , si impegna ad utilizzare le somme di cui ai precedenti commi 1 e 2 anche per la salvaguardia delle sorgenti Sanità; [………..] 4 . AQP si impegna, inoltre, a […………] a renderne possibile la fruizione turistica effettuando un'adeguata opera di promozione culturale. […..] 5. AQP si impegna a cedere gratuitamente per gli usi pubblici di Caposele l'energia elettrica prodotta dalla centrale idroelettrica prevista nel progetto "Pavoncelli bis" (di cui dalla delibera CIP E del 17.11.06, pubblicata sulla G. U. n. 104 del 7.05.07) a partire dall'entrata in funzione della stessa. [……………………….] Formano parte integrante della presente convenzione i seguenti allegati: •

Allegato 1

Allegato 2

Allegato 3

Caposele, 06 luglio 2012 Allegato n. 1 [……………] 2) AQP a compensazione di quanto previsto dalle predette convenzioni riconoscerà al Comune la somma di € 200.000 (duecentomila) […………]. Per la sistemazione e la riqualificazione della Piazza sanità, verserà al Comune la somma di € 1.000.000 (unmilione) alle seguenti scadenze: 50% all’atto della sottoscrizione della presente scrittura; il rimanente 50% all’indizione della gara di appalto. […………….] Allegato n. 2

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[…..………..] Il Comune si impegna, a fronte della fornitura in essere a sottoscrivere, dalla data di decorrenza del presente accordo, apposita convenzione di approvvigionamento per sub distribuzione secondo quanto stabilito dal vigente Regolamento del Servizio Idrico integrato di AQP S.p.A. e a corrispondere il costo del relativo servizio determinato in base alla tariffa vigente per tempo e agli eventuali adempimenti successivi pubblicati sul BUR Campania. La lettura dei consumi sarà effettuata congiuntamente dalle parti. Tale costo verrà fatturato da AQP S.p.A. e compensato annualmente come previsto dall’art.2 del presente atto nella Convenzione del 06/07/2012 in premessa citata. [……….] Allegato n. 3 [……………..] 1. AQP S.p.A. consentirà la visita delle opere di captazione della Sorgente Sanità alle seguenti condizioni:” […..………]

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Convenzione tra il Comune di Conza della Campania (AV) e l'Acquedotto Pugliese S.P.A. (BA) “L'anno duemilasette il giorno 19 del mese di dicembre in Conza della Campania TRA il geom. Raffaele Vito Farese, nella sua qualità di sindaco del Comune di Conza della Campania in provincia di Avellino; E Il dott. Massimiliano Bianco, nella sua qualità di Direttore Generale dell'Acquedotto Pugliese S.p.A. con sede in Bari; PREMESSO - che in data 16 novembre 1999 veniva stipulata una convenzione tra il Comune di Conza, di seguito Comune, e l'Acquedotto Pugliese S.p.A., di seguito AQP, con la quale le parti, in considerazione del fatto che il territorio del Comune è stato interessato dall'ubicazione ed attraversamento di numerose opere finalizzate all'approvvigionamento dell'Acquedotto Pugliese nonché da nuove opere quali il potabilizzatore a servizio dell'acquedotto dell'Ofanto, convenivano che a fronte dell'autorizzazione del Comune alla realizzazione del citato potabilizzatore AQP assumeva impegni relativi alla gestione delle opere di acquedotto, fognatura e depurazione nonché di fornitura idrica i cui dettagli si rimanda alla citata convenzione; - che in data 18 novembre 2004 le Parti, in coerenza con la normativa sopravvenuta, convenivano sulla necessità di una riformulazione della Convenzione è che a fronte degli impegni assunti da AQP fosse determinato un indennizzo economico da corrispondere al Comune; [………………] - che è in corso l'appalto per la costruzione del potabilizzatore a servizio dell'Acquedotto dell'Ofanto con derivazione dall'invaso di Conza; - che a seguito di numerosi e successivi incontri tra il Comune e l'AQP

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SI CONVIENE E SI STIPULA QUANTO SEGUE ART. l La presente Convenzione sostituisce la precedente stipulata il 16 novembre 1999 con decorrenza dal .1° gennaio 2008 ed avrà durata fino al 31 dicembre 2018. [………….] ART.2 1. AQP, a fronte dell'impatto ambientale delle opere esistenti ed a realizzarsi nel territorio del Comune, ed in conseguenza dei vincoli imposti dalla normativa vigente in materia di tutela delle opere finalizzata alla tutela igienico‐sanitaria della risorsa idrica trasportata, riconoscerà al Comune un indennizzo annuo forfetario omnicomprensivo di € 320.000,00= (trecentoventimila). Tale importo sarà versato a fronte della regolare emissione annuale di fattura non assoggettata a IVA, ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 633/72, se tale norma e quelle successive consentono di effettuare l'operazione contabile in esenzione dell'imposta stessa. 2. Il suddetto indennizzo verrà aggiornato per gli anni successivi (a partire dall'annualità relativa al 2009 fino all'annualità relativa al 2018) all'indice d’inflazione programmata e verrà corrisposto in un'unica rata posticipata entro il primo semestre dell'anno successivo, al netto del corrispettivo dovuto da parte del Comune ad AQP per la fornitura idrica per subdistribuzione come specificata nel successivo art.3. ART3 1. Il Comune, [………..], provederà a rimuovere situazioni esistenti che possano costituire pericolo per la pubblica incolumità e per lo stato delle opere di acquedotto presenti sul proprio territorio o pericolo di inquinamento delle acque trasportate. 2. Il Comune, inoltre, si impegna a fronte della fornitura in essere a sottoscrivere, con decorrenza dalla data di sottoscrizione della presente Convenzione, apposita convenzione di approvvigionamento per subdistribuzione secondo quanto stabilito dal vigente Regolamento del Servizio Idrico Integrato di AQP ed a corrispondere il costo del relativo servizio determinato in base alla tariffa vigente per tempo. [……]

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[…………] ART.5 1. AQP, a fronte degli impegni assunti e non mantenuti nella precedente convenzione, si impegna a corrispondere al Comune la somma forfetaria omnicomprensiva di € 900.000,00 (novecentomila); tale somma sarà corrisposta a titolo di risarcimento per l'inottemperanza contrattuale di AQP della precedente convenzione e a titolo di corrispettivo per l'acquisto dei terreni di proprietà del Comune, […………] Il Comune, invece, si impegna a corrispondere ad AQP la somma di € 129.956.15= (centoventinovemila centocinquantasei virgola quindici) per l'acquisizione dei suoli di proprietà di AQP [………..] Inoltre, il Comune si impegna a versare la somma di € 88.356,26= (ottantottomila trecentocinquantasei virgola ventisei) per fornitura idrica antecedente la firma della precedente Convenzione ed ulteriori € 44.665,74= (quarantaquattromila seicentosessantacinque virgola settantaquattro) per fornitura idrica eccedente quella gratuita stabilita nella precedente Convenzione. 3. Le Parti concordano che AQP verserà al Comune il saldo netto dei valori di cui al comma precedente pari a 646.021,85= (seicentoquarantaseimila ventuno virgola ottantacinque) in due rate [……….] ART. 6 1. AQP, in relazione agli impegni assunti con la sottoscrizione in data 25 ottobre 2007 dell'atto d'Intesa per la gestione dell'Oasi WWF del "lago di Coriza della Campania", si impegna a delegare il Comune a rappresentarla” [……………..]

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Atti Parlamentari — Camera dei Deputati LEGISLATURA XVI ‐ 3a SESSIONE — DISCUSSIONI — TORNATA DEL 4 GIUGNO 1889 “L'ordine del giorno reca: Svolgimento di una proposta di legge dei deputati Bovio, Imbriani ed altri, circa un concorso dello Stato per fornire di acqua potabile la regione Pugliese. Pullé, segretario, legge “ Proposta di legge: Art. 1. Ritenuto necessario al risanamento della regione Pugliese, che comprende le provincie di Foggia, Bari e Lecce, il fornirla di acque salubri di cui assolutamente difetta, lo Stato contribuisce per un quinto alla spesa occorrente”. Art. 2. Il contributo dello Stato di cui nel precedente articolo, verrà distribuito alle singole Provincie, in proporzione della spesa da ognuna di esse deliberata, e sarà versato in tante rate annuali che andranno in diminuzione degli obblighi assunti da ognuna di esse per l'opera. Bovio, Imbriani‐Poerio, Cafiero, Panunzio, Lazzaro Presidente. L'onorevole Imbriani ha facoltà di svolgere questa proposta di legge. Imbriani. Sarò brevissimo. Trattasi della redenzione vera di un intera regione che comprende tre provincie, e raccoglie piùdi un milione di abitanti. La regione pugliese manca assolutamente di acqua potabile; e se ne videro le conseguenze tre anni fa, allorquando scoppiò il colèra in Barletta. In quella città che conta 34,000 abitanti dei quali forse la metà erano rimasti nell'abitato, vi furono più che 500 casi al giorno con 165 morti. L'acqua che si beve in quei paesi è assolutamente putrefatta in alcune stagioni; e si deve far venire da lunge, in modo che costa alle volte il doppio del vino. È dunque una giustizia che si viene a reclamare per questa regione. E lo Stato che, per bonificare delle città ha speso somme ingenti e per la sola mia città nativa ha dato 100 milioni, certamente

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non vorrà negare il concorso di un quinto della spesa occorrente alla bonifica e alla redenzione di una intera regione. Ripeto: è questione di giustizia; ed il modo in cui è fatta la nostra proposta non viene punto ad aggravare la finanza, poiché si dividerebbero le rate del concorso dello Stato in proporzione di quello che le singole provincie si obbligano di pagare per l'opera; vale a dire in quaranta o cinquanta anni. Aggiungo che questa spesa è una di quelle che riescono feconde, perocché questo denaro rientrerà poi per le bonifiche eseguite nelle casse dello Stato dieci o venti volte. Egli è perciò che chieggo alla Camera di volere accogliere e sanzionare quest'opera di vera giustizia. Presidente. Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente del Consiglio. Crispi presidente del Consiglio. Quantunque io entri per poco nell'argomento del quale si è occupato l'onorevole deputato Imbriani, trattandosi di concessione di acque, a cui sono interessati i miei colleghi delle finanze e dei lavori pubblici, nulladimeno, a nome del Governo, dovrò, con mio rincrescimento, chiedere alla Camera che questa proposta d'iniziativa parlamentare non sia presa in considerazione. L'onorevole deputato Imbriani propone che lo Stato contribuisca per un quinto nella spesa occorrente a fornire le provincie delle Puglie di acqua. Ora io dirò alla Camera che fino dal 1880 si discute nelle Puglie la grave questione delle acque e ricordo che vi sono leggi e provvedimenti governativi, nell'interesse dell'agricoltura e della pubblica salute, affinché i comuni e le provincie possano provvedervi. Se si tratta di irrigazione dei campi, havvi la legge del 1884 per la derivazione delle acque a tale scopo. Se poi si parla di acque potabili, nell'interesse delle popolazioni, lo Stato fa ai grandi comuni prestiti di favore al quattro per cento, per mezzo della Cassa dei depositi e prestiti; e con la legge del 1887, provocata da me e dalle Camere approvata, pei comuni minori il saggio dei prestiti fu ridotto al tre per cento. Tali prestiti di favore, affinché l'onorevole Imbriani lo sappia, consistono in questo: che lo Stato supplisce in quella parte che pagano di meno i corpi morali che ricevono il beneficio, nell'interesse legale del danaro preso a prestito. Quindi, pei piccoli comuni, ai quali i prestiti si fanno, come dissi, al tre per

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cento, lo Stato contribuisce per due quinti, vale a dire per più di quello che chiede l'onorevole Imbriani con la sua legge. Pei grandi comuni poi, lo Stato contribuisce per un quinto, poiché i prestiti a questi comuni, giova ripeterlo, si fanno al quattro per cento. Dunque, se i comuni della regione pugliese vogliono profittarne, c'è la legge generale, ci sono i provvedimenti dati per tutti i comuni del regno, e non è necessaria la legge che l'onorevole Imbriani propone. L'onorevole deputato Imbriani dovrà pure sapere che le provincie di Foggia e di Lecce hanno già provveduto, per le acque delle quali avevan di bisogno, con una Società la quale aveva chiesto di essere autorizzata a derivare non so se due o tre metri di acqua dal Sele, nell'interesse di tutte quelle popolazioni. A questa domanda di concessione, la quale fu approvata con decreto del 18 gennaio 1889 se non mi sbaglio, si oppose la sola provincia di Bari. Ma quelle di Lecce e di Foggia insistono perché la concessione sia fatta, e si contentano che il lavoro sia dato ad una Società privata. Vede dunque l'onorevole Imbriani, e vede la Camera, che di una nuova legge non c'è alcun bisogno. Se si tratta d i u n interesse sanitario, l'ho detto e lo ripeto, i grossi comuni hanno il beneficio del prestito al quattro per cento, i comuni piccoli al tre per cento. Se si tratta poi di servizi generali, vi è una concessione privata, per mezzj della quale le provincie interessate si possono mettere d'accordo. Vuole, dopo ciò, la Camera che si faccia una legge speciale senza sapere quale sarà la spesa? Baccarini. Almeno 80 milioni. Crispi, presidente del Consiglio. La spesa sarebbe di 80 milioni, come mi suggerisce l'onorevole Baccarini; e se un quinto di questa somma venisse a gravare sul bilancio dello Stato, sarebbe troppo. E crede l'onorevole Imbriani che a questi chiari di luna, quando non si possono mettere imposte nuove, si possa fare una illusoria accettazione della sua proposta, dichiarando ora di consentire che sia presa in considerazione, mentre poi dovremmo combatterla? Dunque, ripeto quel che ho detto, e do termine alle mie considerazioni. Non è necessaria la sua proposta nell'interesse

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sanitario, perché le leggi esistenti provvedono; e non è necessaria per altri rispetti, perché l'industria privata procederebbe a tutti gli altri bisogni. Presidente. Il Governo dunque si oppone che sia presa in considerazione questa proposta di legge. L'onorevole Baccarini pure, ha chiesto di parlare contro il prendersi in considerazione della stessa proposta. Gliene do facoltà. Baccarini. Io ho chiesto di parlare contro per la sola ragione che il regolamento non mi fornisce altra via per una spiegazione che io sono tratto a dare perché ho, quasi involontariamente, detto troppo forte una cifra che è stata giustamente rilevata dall'onorevole presidente del Consiglio, e che qualche mio collega potrebbe interpretare come una dichiarazione contraria al merito della proposta. In massima, io credo che difficilmente il Parlamento, ed il Governo sopratutto, possa accettare questa proposta, E non perché sia d'iniziativa di un deputato, visto che l'iniziativa parlamentare vale in tutti i casi... Crispi; presidente del Consiglio. Ma non per Baccarini. Anche per le spese, onorevole presidente del Consiglio, Noi siamo agli antipodi: io sono sempre dell'opinione che il Parlamento è sovrano, poiché esso solo rappresenta la nazione, ed io non so perché il Governo voglia sovrapporsi alle disposizioni statutarie, senza le quali non esisterebbe l'Italia una. Questa è l'opinione che io ho professato sempre, e che non smentirò mai. Io dunque non parlo contro la proposta dell'onorevole Imbriani. Ho ricordato quella cifra di 80 milioni, perché mi pare che risulti dall'esame di progetti che sono stati presentati, non so in che epoca. Crispi, presidente del Consiglio. Nel 1880. Baccarini. Io ricordo questa cifra confusamente e non pretendo di precisarla; ma facilmente essa sarà piuttosto maggiore che minore, e quindi credo che non si possa così tout bonnement dare corso ad un progetto così grave. Io voglio però fare una raccomandazione a tutti i ministri che possono avere ingerenza nella faccenda; cioè al ministro dei lavori pubblici, a quello delle finanze, a quello del tesoro, a quello di agricoltura e commercio, e a quello dell'interno, per ragioni d'igiene specialmente. E la raccomandazione è questa: le lamentazioni delle tre provincie delle Puglie

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sono molto gravi e meritano tutta la considerazione del Governo per lo studio della questione e per trattarla con criterii molto diversi da quelli che hanno finora dominato troppo in questo esame. Senza nessun intendimento contrario all'opera pubblica da parte del Governo ma troppo leggermente (per usare una frase che sia meno sospetta d'intendimenti diversi da quelli che ho) e unicamente perché è stata presentata come domanda di concessione industriale, si considera la cosa come se si trattasse della concessione di due litri d'acqua e si fa una questione di precedenza, ecc. E questo dico perché vi sono anche domande fatte dalla stessa provincia di Bari per ottenere la concessione. Io non entro a propugnare né la concessione a favore di uno, né la concessione a favore di un altro: dico soltanto che la questione, per la sua importanza, merita tutta l'attenzione da parte del Governo dal punto di vista degli interessi generali. Presidente. Ha facoltà di parlare l'onorevole Imbriani. Imbriani. Anzitutto debbo far notare che non sono stato io solo a presentare questo schema di legge; e io tengo che non lo si attribuisca a me solo, in detrimento di altri colleghi i quali hanno al pari di me vivo l'interesse per le cose che concernono davvero l'utile della patria. E ripeto che trattasi dell'utile della patria, perché così posso spastoiarmi da tutte quelle piccole leggi alle quali mi ha richiamato il ministro dell'interno, e che io non ignorava punto. Non ignorava che c'erano due leggi, le quali favorivano con prestiti i piccoli e i grandi comuni: ma qui non si tratta né di un piccolo né di un grande comune: si tratta di centinaia di comuni: si tratta di una intera regione. Ora se questo non rientra nei grandi interessi nazionali, non so quale altra cosa possa meritare cotesto nome. Si è parlato di concessioni e di non concessioni. Io non entro in questa questione; in non mi impelago in baratterie di concessioni e non concessioni. Io ho parlato di un grande interesse, di un interesse generale; ho chiesto alla Camera che essa sanzionasse un principio di equità; e non mi aspettava di certo la ripulsa, se non altro, poco cortese del Governo il quale eccezionalmente, con rarissimo esempio, chiede che non sia preso in considerazione il nostro schema di

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legge. Prenderanno però in considerazione le Provincie Pugliesi il grande interesse del Governo per le loro sofferenze, e per i loro mali: questo sì! Ora trattandosi di una eccezionalità di cose, e tale che, se oggi noi proponiamo questo provvedimento per le Puglie, domani può essere proposto per altra regione italica, come, per esempio, per le risaie del Lungo Po che devono essere bonificate, io mi rivolgo alla Camera, in nome dei miei colleghi, e chiedo che sia presa in considerazione la nostra proposta perché è tema che richiede studio, che richiede riflessione, e che non può, soltanto sulla parola del Governo, essere così rigettata dalla rappresentanza nazionale. La proposta sarà studiata con competenza negli Uffici; sarà studiata dal Governo stesso, e la Camera potrà poi maturamente dare il suo voto. Ma intanto chiedo che sia posta ai voti la presa in considerazione, anche contro la volontà del Governo. Presidente. L'onorevole presidente del Consiglio ha facoltà di parlare. Crispi, presidente del Consiglio. Il Governo si è interessato, e non da oggi, ma fino dal 1885, della questione delle acque nelle Puglie. Dico questo, perché l'onorevole deputato Baccarini, coi suo discorso, avrebbe potuto far supporre che noi non abbiamo curato questo negozio con quella diligenza, con quello zelo che era necessario. Come dissi, una concessione era stata chiesta per provvedere tutte le Puglie di acque; e la concessione era stata data sin dal 18 gennaio di quest'anno. Ma il 29 gennaio, la provincia di Bari, dividendo i suoi interessi da, quelli delle provincie di Lecce e di Foggia, presentò essa stessa un programma di concorso, al fine di provvedere i 52 comuni del Barese di acqua potabile: ora appunto pende questo procedimento. Mi affretto ad aggiungere a questo proposito che quando la provincia di Bari avrà trovato gli intraprenditori, il Governo non mancherà, né perderà tempo nell'approvare quella qualunque domanda di concessione che gli sarà presentata, Le provincie di Foggia e di Lecce intanto reclamano insistentemente affinché la concessione del 18 gennaio abbia esecuzione, cioè a dire affinché si comincino i lavori, e possano quelle provincie godere del beneficio che l'onorevole Imbriani vuole aspettarsi dal disegno di legge proposto da lui e dagli altri suoi colleghi. L'onorevole

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Imbriani si duole che io mi sia opposto alla presa in considerazione della sua proposta. Che cosa vuole? Io non sono solito alle gesuiterie. Avrei potuto dire che il Governo accettava la presa in considerazione; ma questa dichiarazione sarebbe stata una inutilità, imperocché avremmo dovuto combattere più tardi il disegno di legge, quando fosse venuto dinanzi alla Camera. Non è dunque meglio parlar chiaro e dire le cose come stanno? Io credo perciò che l'onorevole Imbriani, piuttosto che dolersene, dovrebbe approvare la franchezza che è propria del mio carattere e che troverà sempre eguale in me in ogni occasione. Presidente. L'onorevole Imbriani ha facoltà di parlare. Imbriani. Pensatamente ho detto che non entravo nella discussione di proposte di società e di provincie; che non entravo in questi lavorìi, per lo più, un po' loschi, che io ho denominati, senza equivoci, baratterie. Ma io non ho alluso a speciali proposte di società o di provincie che volessero ottenere o fare la concessione; ho parlato soltanto di affari loschi e ciò per risponder colla stessa franchezza alla quale sono abituato quanto il presidente del Consiglio. Io non ho mai aspettato dal Governo grandi beneficii, perché i grandi beneficii debbono i popoli procurarseli da loro, e non aspettarli come manna che discenda dal cielo; ed in questo caso il cielo sarebbe il Governo. Solamente io ho invocato dalla rappresentanza nazionale la presa in considerazione di un disegno di legge che esce dalla cerchia dei piccoli interessi e si allarga sino ad un grande interesse nazionale. Crispi, presidente del Consiglio. Ma l'impresa chi l'assumerebbe quando anche il Parlamento l'approvasse? Sempre una società! Imbriani. Naturalmente sarà una società, se le provincie la troveranno! Ma io non c'entro in tutto questo: io non mi impelago in queste faccende, e respingo assolutamente qualunque discussione in proposito. Presidente, ma, onorevole Imbriani, non c' è nulla di offensivo per lei in tutto questo! Anche le società sono composte di individui rispettabili. Imbriani. Io ho solamente parlato di affari loschi; ma ripeto che non ho alluso né a società né a concessionarii. E soltanto dico che se lo Stato

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garantisce in parte la spesa, si potranno trovare certamente migliori condizioni e migliori proposte a tutto beneficio di popolazioni che sono adesso sotto il peso di miserie inaudite. Ripeto inoltre che questo denaro rientrerebbe decuplicato nelle casse dello Stato per le migliorie e la bonifica di un intera regione Dopo ciò io mi appello al voto della Camera. (Bene! a sinistra). Petrosi. Domando di parlare per fatto personale. Presidente. Ne accenni la ragione, onorevole Petroni. Petroni. Se gli onorevoli colleghi, che presentarono la proposta di legge di cui trattasi ora e che mi sta molto a cuore, mi avessero usata la cortesia di informarmene, io avrei avuto l'onore di associarmi a loro apponendovi la mia firma. Tengo ora a dichiarare che se come rappresentante di uno dei collegi della provincia di Bari sento tutto l'interesse di unirmi a loro, mi è necessità ancora di dovere altamente protestare contro tutto quanto possa riferirsi ad affari loschi; me lo perdoni il collega Imbriani. Io cittadino di Bari, io consigliere di quell’assemblea di provincia, io che ricordo quali pratiche si siano compiute per rispondere ad uno dei supremi bisogni di quella provincia, cioè di fornirla d'acqua potabile, e che ho seguito quelle pratiche, condotte sempre con onestà ed integrità, non posso rimanere indifferente quando si accenna, parlando di questa questione, a fatti loschi. Presidente. Non mi pare che l'onorevole Imbriani abbia accennato alla città di Bari, egli ha parlato in genere. Imbriani. Chiedo di parlare. Presidente, Se avesse fatto un menomo accenno alla città di Bari naturalmente avrei dovuto osservare all'onorevole Imbriani che non era lecito gettare questo sospetto sopra una patriottica città come è quella. Petroni. Prego intanto il Governo e la Camera perché prendasi in considerazione la proposta. Io ho tutta la fiducia nel Governo, e sono sicuro che chiunque sieda su quel banco non potrà mai restare indifferente quando si verrà a parlare dell'acqua che interessa un'intera regione. Io ho ascoltato le parole dell'onorevole presidente del Consiglio il quale ha promesso che quando il fatto dell'acqua verrà a determinarsi, il Governo

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non sarà l'ultimo a concorrere; ma è precisamente perché io non ho mai dubitato delle buone intenzioni del Governo delle cui ultime dichiarazioni Prendo atto, che traggo argomento per sperare si consenta che la Camera prenda in considerazione la proposta. Presidente. Onorevole Petroni Ella non ha ora diritto di parlare in favore, poiché è vietato dal regolamento. Petroni. Onorevole presidente, mi perdoni, sono stato tratto a parlare in favore senza la volontà di trasgredire al regolamento; ad ogni modo spero che il Governo non persisterà a negare che la proposta sia presa in considerazione, Presidente. Onorevole Imbriani, le do facoltà di parlare affinché possa dissipare qualsiasi dubbio intorno alle sue parole. Imbriani. In generale quando sento parlare di concessioni, e di società, le quali brigano presso il Governo... Crispi, presidente del Consiglio. Nessuno ha brigato presso il Governo! Il Governo non ci entra. Imbriani. Ma io credo che ci sia entrato. Crispi, presidente del Consiglio. Niente affatto! Imbriani. Fece concessioni... Crispi, presidente del Consiglio. Si sbaglia, Imbriani. Come dice ? Crispi, presidente del Consiglio. Dico che sbaglia; che il Governo non c'entra per niente. Presidente. L'onorevole Imbriani parla in genere e certamente non intende alludere a nessuno particolarmente. Imbriani. Permetta, signor presidente, desidero di parlare francamente e apertamente. Non solamente sono state date concessioni d'acqua; ma c'è stato chi ha chiesto queste concessioni, e c'è stato chi, in senso opposto, ha cercato di far valere influenze affinché non fossero date. Questa è la pura verità. Perciò io ho detto che non entrava in questa parte, e che parlava per un grande interesse generale. Che guadagni poi una società il sei o l'otto per cento; o che un individuo si metta in mezzo per prendersi la mezzadria non

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mi preme. Io, in tutte queste turpitudini, in tutte queste porcherie non ci voglio entrare per niente! {Mormorio). " Presidente. Onorevole Imbriani, mi pare che Ella usi parole poco parlamentari. Imbriani. Saranno poco parlamentari, ma sono vere. Presidente. Veda di esprimere il suo pensiero secondo gli usi parlamentari. Imbriani. Cercherò di adattarmi a quelli che si dicono usi parlamentari, e che io chiamo ipocrisie. (Rumori). Presidente. Onorevole Imbriani, sono convenienze da seguirsi e da rispettarsi! Imbriani. Le mie saranno anche, se vuole, parole poco convenienti, ma sono vere: ecco ciò che io voleva affermare nella sua pienezza. A me poco importa che ci sieno società implicate in questi affari. Io parlo per un grande interesse generale e a difesa di un popolo il quale aspetta che ci si occupi dei suoi veri interessi. Di tutto il resto poi che si riferisce ad interessi parziali, non mi occupo punto. Persisto nel chiedere che sia presa in considerazione la nostra proposta. Presidente. Verremo ai voti. È inutile eh' io rilegga la proposta dell'onorevole Imbriani, Il Governo dichiara di opporsi che sia presa in considerazione. Coloro che sono d'opinione che sia presa in considerazione la proposta di legge degli onorevoli Imbriani ed altri sono pregati di alzarsi. (La proposta non è presa in considerazione)”.

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SUPPLICA A S.M. IL RE IMPERATORE PRO CAPOSELE E LE SUE SORGENTI SIRE, Sabato 27 maggio 1939 il popolo di Caposele, coerentemente ai suoi cari sentimenti morali, nazionali e patriottici, ha , alla presenza di S.E. il Prefetto di Avellino, per la millesima volta gridate e riconfermate solennemente,esplicitatamene,pubblicamente,altamente,insistentemente,c ontinuamente (per oltre due ore consecutive), unanimemente di non potere, né di voler cedere, nemmeno per tutto l’oro del mondo, all’ENTE AUTONOMO ACQUEDOTTO PUGLIESE, od a qualsiasi altra persona fisica o giuridica i suoi diritti sulle acque delle Sorgenti del Sele derivanti dall’obbligo non senza gravi ragioni assunto dal Governo di V.M. con pubblico atto di transazione del 1905, di lasciare liberamente e costantemente defluire nel fiume Sele, per gli usi pubblici e privati di Caposele e dei suoi abitanti, le acque di dette sorgenti nella quantità di 500 litri al secondo, riducibili fino a 200 litri, qualora la portata medesima delle sorgenti risulti inferiore a 4 metri cubi al minuto secondo, artt. 3 e 4 della suddetta transazione. Tale imponente manifestazione popolare, commoventissima nella forma e nella sostanza, occasionata dalle autorità, è giustificata oltre dal fatto che le sorgenti del Sele, scaturenti dal cuore dell’abitato di Caposele , sono effettivamente la ragione e l’essenza fondamentale dell’esistenza e della conservazione di Caposele, anche da imprescindibili necessità igieniche, sanitarie, agrarie, industriali, economiche, estetiche, panoramiche e, infine dalla profonda non errata convinzione di Caposele, già troppo martirizzata per le Puglie, di essere illogicamente ed ulteriormente sacrificata per menzogne, minacce, imposizioni delle stesse autorità preposte alla sua amministrazione ed alla sua tutela, ostinatamente sprezzanti dal popolo e dai concetti e sentimenti di esso, quasi come se l’intelletto ed il sentimento , che dell’umana natura sono le caratteristiche essenziali, dovessero annullarsi in favore del capriccio e dei fini utilitari di pochi. SIRE, è notorio che l’ENTE AUTONOMO DELL’ACQUEDOTTO PUGLIESE (influentissimo, per i mezzi di cui dispone presso le amministrazioni

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pubbliche) cerca da vari anni, conferendo arbitrariamente e delittuosamente allo STATO l’aspetto quasi brigantesco, di strappare a Caposele ed ai suoi abitanti l’acqua delle Sorgenti del Sele ad essi come sopra riservata. Un tentativo del genere e questa volta previo orditura in grande stile , l’ha recentemente eseguito con la sua domanda del 7 marzo 1939 XVII al Ministero dei Lavori Pubblici , il quale , purtroppo, ha dato , attraverso le autorità intermedie, la sensazione che al popolo di Caposele di essere disposto a sostenere coi suoi organi Tecnici ed Amministrativi detta domanda, senza curarsi di esaminare , con la dovuta attenzione , la questione anche dal punto di vista Caposelese e Nazionale , quasi come se Caposele e la regione del Sele non fossero parti integranti d’Italia , quasi negando allo Stato la sua natura di Ente eminentemente giuridico, morale e paterno ed al Governo di V.M. l’onore nel rispetto dei suoi impegni. SIRE, il popolo di Caposele considera l’ordine come fattore indispensabile della conservazione e dello sviluppo della Nazione, ma ritiene che l’ordine è inconcepibile avulso di DIO: verità assoluta, giustizia perfetta , volontà immanente , legge precisa,…numero. Il popolo di Caposele ammira ed ama appassionatamente l’eroica Casa Savoia, la cui commovente e gloriosa storia fu costantemente aderente a DIO, nell’esercizio del sacro suo potere. Perciò, il sottoscritto, cittadino Caposelese, in conformità dei sentimenti e voti del popolo Caposelese , in nome di DIO, si fa un dovere di supplicare V.M: di impedire l’accoglimento, da parte del MINISTERO dei LAVORI PUBBLICI, della sopra specificata domanda del 7 marzo 1939 XVII dell’ENTE AUTONOMO ACQUEDOTTO PUGLIESE e di statuire definitivamente, in armonia agli impegni del 1905 sopra specificati dal Governo di V.E. che i diritti della martirizzata Caposele sulle acque in parola delle sorgenti del Sele, non sono, né saranno giammai espropriabili né alienabili. La coscienza del sottoscritto, ritiene che il provvedimento supplicato a V.M. eleverebbe e consoliderebbe il sentimento di solidarietà nazionale e quello di fiducia nella giustizia. Si coglie l’occasione di esprimere pure il desiderio non ingiusto di Caposele , benefattrice della Regione pugliese pria sitibonda , di vedersi considerata, con segni tangibili di gratitudine generosa , dalla nazione in genere e dalle Puglie in ispecie, per poter in qualche modo tentare di

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ristabilire in essa e nella Regione del Sele l’ordine naturale ed economico profondamente sconvolto dalla privazione ( in dipendenza della suddetta transazione del 1905 tra Stato e Comune) di oltre OTTO DECIMI delle sorgenti del Sele. Caposele, 31 maggio 1939 XVII Ilaria Pasquale fu Michele Decreto Legislativo 11 maggio 1999, n. 141 "Trasformazione dell'Ente autonomo acquedotto pugliese in società per azioni, a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera b, della legge 15 marzo 1997, n. 59" “IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA […………………] Visto l'articolo 1, comma 83, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, concernente la riorganizzazione del settore degli enti acquedottistici comportante la trasformazione dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese in societa' per azioni, allo scopo di favorire il riassetto funzionale e organizzativo per il miglioramento dell'efficienza gestionale; […………………] Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica; E m a n a il seguente decreto legislativo: Art. 1 ‐ Trasformazione in società per azioni 1. L'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese, di seguito denominato: "ente", e' trasformato in società per azioni con la denominazione di

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"Acquedotto pugliese S.p.a.", di seguito denominata: "società". La trasformazione ha effetto dalla data della prima assemblea, nella quale e' approvato lo statuto e sono nominati i componenti degli organi sociali previsti dallo statuto stesso. Alla convocazione dell'assemblea, da tenersi non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, si provvede con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. 2. La pubblicazione del presente decreto tiene luogo degli adempimenti in materia di costituzione di società per azioni previste dalle vigenti norme di legge. 3. La società subentra in tutti i rapporti attivi e passivi di cui l'ente era titolare. 4. La società si avvale di tutti i beni pubblici già in godimento dell'ente, tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 4. 5. Nel corso del primo esercizio del suo mandato l'organo di amministrazione della società presenta al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica un piano per la ristrutturazione e il risanamento della società, da approvare sentite le regioni Puglia e Basilicata. Art. 2 – Attività della società 1. Sono affidate alla società, fino al 31 dicembre 2018, le finalità già attribuite all'ente dalla normativa riguardante l'ente stesso. 2. La società provvede, altresì, alla gestione del ciclo integrato dell'acqua e, in particolare, alla captazione, adduzione, potabilizzazione, distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue. 3. Alle opere necessarie per la realizzazione delle finalità di cui al comma 1 continua a trovare applicazione il primo comma dell'articolo 14 del regio decreto‐legge 19 ottobre 1919, n. 2060, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 settembre 1920, n. 1365, in materia di dichiarazione di pubblica utilità e di espropriazione. Art. 3 ‐ Capitale sociale

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1. Con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e' determinato il capitale sociale iniziale risultante dalla situazione patrimoniale al 31 dicembre 1998. 2. Le azioni sono attribuite al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, che esercita i diritti dell'azionista d'intesa con il Ministro dei lavori pubblici, sulla base delle direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri. 3. Entro tre mesi dalla costituzione della società, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono designati uno o più soggetti di adeguata esperienza e qualificazione professionale per effettuare la stima del patrimonio sociale. 4. Entro tre mesi dal ricevimento della relazione giurata, il consiglio di amministrazione o l'amministratore unico della società determina il valore definitivo del capitale sociale nei limiti del valore di stima contenuto nella relazione stessa e in misura comunque non superiore a quelli risultanti dall'applicazione dei criteri di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 408. Le azioni sono inalienabili prima della determinazione definitiva del capitale sociale. Art. 4 ‐ Adempimenti sociali e rami d'azienda 1. Compiuti gli adempimenti di cui all'articolo 3, commi 3 e 4, la società deve costituire, nel rispetto dei criteri e delle modalità di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36, rami d'azienda che gestiscono i servizi idrici integrati negli ambiti territoriali ottimali di Puglia e Basilicata”. [………………..]

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Legge n. 488 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002) art. 25 ‐ comma 4 L’articolo 4 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141, è sostituito dal seguente: «Art. 4. – (Attribuzione delle azioni alle regioni). – 1. Compiuti gli adempimenti di cui all’articolo 3, commi 3 e 4, le azioni inizialmente attribuite ai sensi del comma 2 del predetto articolo 3 sono definitivamente trasferite senza oneri, entro il 31 gennaio 2002, alle regioni Puglia e Basilicata, con una ripartizione in ragione del numero dei rispettivi abitanti. Le regioni avviano la dismissione delle rispettive partecipazioni azionarie entro i successivi sei mesi, con procedure di evidenza pubblica nel rispetto della disciplina comunitaria in materia»

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La storia dell’Acquedotto Pugliese attraverso le immagini

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Caposele fine Ottocento, primo corso del fiume Sele con alla sinistra alcune gualchiere 158


Caposele fine Ottocento, le Sorgenti “Madonna della Sanità” 159


(Da “La Domenica del Corriere” n. 35 del 1908)

Bari, estate 1908, “scene della sete” 160


Puglia, acqua trasportata con il carretto 161


Caposele fine Ottocento, si misura la portata delle Sorgenti “Madonna della Sanità”

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Caposele fine Ottocento, stramazzo di misura della portata delle Sorgenti “Madonna della Sanità”

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Caposele, progetto delle opere di presa delle Sorgenti “Madonna della Sanità” 164


Caposele, costruzione della diga di raccolta delle Sorgenti "Madonna della Sanità"

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Caposele, opere di presa delle Sorgenti, copertura del canale di raccolta 166


Tracciato d del canale principale 167 7


Lavori di costruzione del canale principale, galleria di Valico Appennino “Pavoncelli” 168


Lavori di co ostruzione d della galleriaa “Pavoncellli” 169 9


Canale principale, lavori di costruzione della conduttura di fondovalle 170


Canale principale, lavori in trincea

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Costruzione del canale principale, tratto t su ponte, attraversam mento fium mara di Atellaa 172 2


Caposele, iimbocco deella galleria ““Pavoncelli”” 173 3


Caposele, apposizione della lapide co ommemoraativa di Pavoncelli Giuseppe P

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Bari, piazzaa Umberto II 24 aprile 1 1915, il prim mo zampillo 175 5


Cassano Irpino, Sorgeenti “Pollentina”, prima della costruzione delle operee di presa 176 6


Montella, Sorgenti “Bagno della Regina”, prima della costruzione delle opere di presa 177


Caposele, le acque del Calore Irpino prima della confluenza con quelle del Sele 178


Santa Maria di Leuca, opere terminali dell’Acquedotto Pugliese

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Considerazzioni conclussive

Caposele, areaa Sorgenti Mad donna della Sanità

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Enormi volumi di acqua sorgiva di eccellenti caratteristiche organolettiche vengono trasferiti dall’Irpinia nel Napoletano, nel Cilento, in altri comuni del Salernitano e, per la maggior parte, in Puglia attraverso un fiume nascosto in galleria. Queste acque sono talmente pure che necessitano soltanto della clorazione per i bisogni alimentari delle popolazioni servite, pur residenti in località lontanissime dalle sorgenti. Se, ancora oggi, in molte parti del pianeta, un rubinetto d’acqua è sufficiente a restituire dignità e speranza a milioni di esseri umani, in modo particolare alle donne che, come schiave, percorrono tutti i giorni enormi distanze per procurarsi una tanica d’acqua torbida, possiamo ben immaginare cosa abbia rappresentato in termini di sviluppo civile ed economico il getto d’acqua che il 24 aprile 1915 zampillò alta, per ben 25 metri, nella fontana di piazza Umberto I a Bari: igiene, pulizia, salubrità, sviluppo industriale, energia, irrigazione di aride terre. La Puglia ha conosciuto, quindi, grazie all’acqua, cambiamenti profondi e sostanziali nelle condizioni di vita e nello sviluppo economico. A un’agricoltura basata essenzialmente sulle monocolture del grano e dell’olivo, oggi si accompagnano fiorenti campi di frutta, ortaggi e altre coltivazioni di valore: pomodoro, insalata, carciofo, finocchio, cavolo, sedano e avena. Grazie all’acqua sorgiva dell’Irpinia e di altri trasferimenti idrici dell’Appennino Meridionale, la Puglia è riuscita a coniugare le proprie vocazioni produttive con l’innovazione e la tecnologia. 181


Oltre quaranta gruppi industriali internazionali appartenenti ai settori aerospaziali, chimico e delle ICT operano all’interno del sistema produttivo pugliese. “L’acquedotto è stato una benedizione”, ha detto in un’intervista al “National Geographic”, Francesco Divella, proprietario e manager dell’omonima fabbrica alimentare. Senza l’acquedotto non si sarebbe potuto sviluppare il capitalismo molecolare esploso nel nord della Puglia: ebanisterie, lavorazioni del pellame, piccole aziende di prodotti alimentari; imprese, che necessitano di notevoli quantitativi di acqua in tutti i passaggi della produzione. E, infine, senza l’acqua non sarebbe stato possibile lo sviluppo del turismo, che in maniera massiccia sta interessando il territorio pugliese. La Puglia non è ancora la California del Sud, ma è sulla buona strada. Eppure, a fronte di tanti benefici, poco o niente, in sostanza, è stato finora corrisposto alle popolazioni private della risorsa idrica. Fa rabbia leggere le parole con le quali il Sindaco di Caposele, avv. Orazio Petrucci, si rivolgeva al Governo del tempo con Delibera del Consiglio Comunale datata 19 maggio 1924 : “Orbene noi dobbiamo prevenire e curare tutti questi malanni, ricorrendo all’intervento del Governo nel chiedere un giusto concorso al generoso popolo delle Puglie […..] Quando questo popolo penserà alle sofferenze patite da secoli per mancanza di acqua; quando penserà al sacrificio compiuto in tanti anni per procurarsi nella stagione canicolare un bicchiere di acqua ristoratrice del Serino, che gli veniva trasportata a 182


mezzo ferrovia; quando penserà alla sua rigenerazione materiale, morale e civile che gli ha portato il nostro Sele; io dico che questo popolo non rifiuterà il nobile gesto di versare per Caposele il tenue contributo annuo di almeno 15 centesimi per ogni abitante beneficato dalla nostra acqua rigeneratrice”. Ma né il Governo né il “generoso popolo delle Puglie” hanno finora concretamente e dignitosamente riscontrato le giuste lamentele delle popolazioni irpine. Abbiamo visto che con Legge n. 245 del 26 giugno 1902 fu istituito il Consorzio tra lo Stato e le province pugliesi con il compito di provvedere alla costruzione, manutenzione ed esercizio perpetuo dell’acquedotto, cui, in seguito, furono aggiunte altre mansioni, come la sistemazione e manutenzione delle opere di rimboschimento del bacino del Sele. Abbiamo ancora visto che nel 1919 il Consorzio fu trasformato in Ente Autonomo Acquedotto Pugliese. Dopo ottant’anni è cambiata, di nuovo, la sua natura giuridica, perché è stato trasformato con Decreto Legislativo n. 141 dell’11 maggio 1999 in società per azioni, che ha assunto la denominazione sociale “AQP SpA”. Il capitale azionario e l’insieme dei beni che concorrono al patrimonio dell’acquedotto, è stato, in un primo tempo, assegnato al Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica, che nel 2002 l’ha trasferito per l’87% alla Regione Puglia e per il 13% alla Regione Basilicata. Nel 2004, l’AQP ha ceduto il proprio ramo di azienda in 183


Basilicata alla Società Acquedotto Lucano SpA, costituita dai Comuni lucani. In tutti questi passaggi emerge una costante: la totale disattenzione verso le esigenze territoriali delle sorgenti di Caposele e di Cassano Irpino. Il 15 dicembre 2001, quando la Camera dei Deputati approvò l’emendamento del Governo che attribuiva per sei mesi, in attesa della privatizzazione, il capitale azionario alle Regioni Puglia e Basilicata, suddiviso in base al numero degli abitanti, la “Gazzetta del Mezzogiorno” nel dare la notizia riportava il commento entusiasta e trionfalistico dell’allora Governatore della Regione Puglia Raffaele Fitto, che così si esprimeva: “Oggi Governo e Parlamento hanno scritto una delle pagine più belle della Regione Puglia, non solo per il trasferimento della titolarità di AQP, ma perché sono finalmente riconosciute le ragioni e gli interessi dei pugliesi”. Il governatore Fitto aveva tutti i motivi per essere così entusiasticamente soddisfatto e grato verso la Camera e il Governo. Peccato che la stessa soddisfazione non la potessero esprimere le popolazioni irpine in generale e di Caposele e Cassano in particolare, per le quali quella data rappresenta una pagina tra le più nere della storia dell’Irpinia. Rappresenta senz’altro la pagina più vergognosa per le classi dirigenti irpine e campane, dai sindaci e dai consiglieri dei due comuni maggiormente interessati ai consiglieri provinciali, dai consiglieri regionali, ai deputati e ai senatori. Tutti, indistintamente tutti, brillarono per la loro inanità e per il loro 184


assordante silenzio. Al contrario, i deputati dell’ulivo lucano insorsero contro il provvedimento che, secondo loro penalizzava la Basilicata (bontà loro!). Eppure, sarebbe stato un atto di giustizia, di riconoscenza e di doverosa gratitudine consentire quantomeno ai due Comuni di entrare a far parte dell’AQP SpA con un proprio pacchetto di titoli azionari, che solo parzialmente li avrebbe ripagati dei torti e del depauperamento delle loro risorse che hanno subito a seguito del prelievo delle proprie sorgenti, le cui acque defluenti nel Sele e nel Calore fornivano, gratis, l’energia occorrente a non pochi opifici. Non poche erano infatti le piccole aziende che lungo il primo corso del Sele furono costrette a chiudere i battenti, quando ad esse fu sottratta la forza motrice dell’acqua. Non pochi, inoltre, sono i disagi al territorio che entrambi i Comuni avvertono per l’esistenza di frane, mai sanate anche se ciò era stato previsto per legge. Tra l’altro, ne potrebbe andare di mezzo la persistenza delle sorgenti stesse. Ma vi è di più. Nella riunione tenuta nella Prefettura di Avellino il 21 giugno 1940 fu concordato che il consumo di acqua per i cittadini di Caposele sarebbe stato gratuito e illimitato. Come si spiega, allora, che, in base all’ultima convenzione, il Comune di Caposele finisce per pagare l’acqua che i Caposelesi consumano? È una stortura che andrebbe immediatamente rimossa. 185


Oggi, l’AQP SpA è un colosso di ampie proporzioni. Basti pensare che, sulla base dei dati aggiornati al 31/12/2013, Il bilancio consolidato presenta un utile netto di circa € 36 milioni di euro e che il capitale sociale, interamente posseduto dalla regione Puglia, è di circa 42 milioni di euro, rappresentato da oltre 8 milioni di azioni del valore nominale di € 5,16. Ma di tale ricchezza in Irpinia non giungono che pochissime briciole.

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BIBLIOGRAFIA ATO Calore Irpino, Lo Scippo delle Acque, Edizioni Gruppi Associati Publitaf, Napoli, AUTORITÀ DI BACINO INTERREGIONALE SELE, Piano Stralcio del Rischio Idrogeologico (PAI), Napoli, 2013; AUTORITÀ DI BACINO REGIONALE IN DESTRA SELE, La tutela delle acque nel Parco dei Monti Picentini, Editrice Gaia, Angri (SA), 2008; BAVUSI A., La grande sete, in riv. Basilicata Cultura n. 119‐120, Consiglio Regionale Basilicata, 2013; BILLA Giovanni, L’Acquedotto Pugliese dalle Sorgenti del Sele a quelle del Calore, Italstampa, Bari, 1966; CARUSO Vincenzo, Compendiario sugli Acquedotti Pugliesi e Lucani, Casa Editrice Liantonio, Palo del Colle (BA), 1976; CARUSO Vincenzo, Acquedotto Pugliese l’illusorio assalto alla realtà idrica ultrasecolare del Mezzogiorno, Liantonio Editrice, Palo del Colle (BA), 2002 CERES Angelo, L’uso dei marchi di qualità nello sviluppo endogeno dei territori montani: il caso della castagna di Montella (AV), tesi di laurea, Università degli Studi della Basilicata, Potenza, 2003; COMUNE di CAPOSELE, Le Sorgenti del Sele e il suo Acquedotto, su supporto informatico, Caposele, 2005; D.Lgs. 02.02.2001 n. 31, Attuazione della direttiva 98/83/CEE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano, G.U. n. 302, 03.03.2001; 187


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REGIONE CAMPANIA, Piano Regolatore Generale degli Acquedotti, Settore Acque ed Acquedotti, Napoli, 2003 RUOCCO Domenico, Campania: la regione nei suoi lineamenti geografici, Libreria Scientifica Editore, Napoli, 1964; SANTORELLI Nicola, Il Fiume Sele e i Suoi Dintorni, Comune di Caposele, riproduzione anastatica, Comune di Caposele (AV), 1989; VERONESE G, Visioni tecniche dell’Acquedotto pugliese, Ingegnera rivista, 1926; VERONESE G e POSTIGLIONE G, L’Acquedotto Pugliese, Il Politecnico rivista, 1926; VITERBO Michele, La Puglia e il suo acquedotto, Laterza, Bari, 2010. SITI WEB Acquedotto Pugliese, Album Storico, www.aqp.it; Associazione Idrotecnica Pugliese, www.idrotecnicapugliese.it; Marino G – Libutti P, Distruggete l’Acquedotto Pugliese, www.storiedelsud.altervista.org; Storia in rete, Operazione Colossus, infostoriainrete.com, febbraio 2008;

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INDICE

Prefazione

pag. 6

Introduzione

pag. 10

Premessa

pag. 13

L’acqua è vita

pag. 14

Breve storia degli acquedotti

pag. 17

Capitolo 1° ‐ L’Appennino Meridionale

pag. 23

La morfologia

pag. 24

Le strutture idrogeologiche

pag. 26

I Monti Picentini

pag. 28

I trasferimenti idrici interregionali

pag. 31

Capitolo 2° ‐ I trasferimenti idrici dall’Irpinia in Puglia

pag. 33

Le premesse della costruzione dell’acquedotto

pag. 34

Gli anni della realizzazione

pag. 41

La derivazione delle acque residuali del Sele

pag. 46

La captazione delle Sorgenti di Cassano Irpino e pag. 51 Montella 190


Le dighe sull’Ofanto

pag. 57

L’invaso di Conza della Campania

pag. 57

La diga San Pietro sull’Osento

pag. 59

Capitolo 3° ‐ I trasferimenti idrici all’interno della Regione pag. 60 Campania Dall’Irpinia verso Napoli, le Sorgenti di Serino

pag. 61

Dall’Irpinia verso il Cilento, le Sorgenti del Destra Sele

pag. 66

Acquedotto dell’Alto Sele

pag. 68

Acquedotto del Basso Sele

pag. 69

Capitolo 4° ‐ I lavori di costruzione dell’Acquedotto pag. 72 Pugliese Opere di presa delle Sorgenti “Madonna della Sanità”

pag. 73

Costruzione del “Canale principale”

pag. 76

Operazione Colossus

pag. 81

L’attuale sistema di approvvigionamento idrico pag. 83 dell’Acquedotto Pugliese Capitolo 5°‐ Contenzioso tra il Comune di Caposele e L’ pag. 86 Acquedotto Pugliese Fasi e tempi della controversia

pag. 87

Capitolo 6° ‐ Una nuova galleria

pag. 94 191


La “Pavoncelli bis”

pag. 95

Capitolo 7° ‐ Biografie

pag. 99

Giuseppe Pavoncelli

pag. 101

Matteo Renato Imbriani

pag. 104

Nicola Balenzano

pag. 107

Appendice

pag. 112

Poeti e naturalisti parlano del Sele

pag. 113

Da “IL DESERTO E DOPO” di G. Ungaretti

pag. 115

Documenti

pag. 118

Schema della Convenzione del 2 marzo 1905

pag. 119

Delibera del Podestà di Caposele del 7 dicembre 1939

pag. 122

Decreto Reale dell’11 maggio 1942

pag. 124

Delibera del Consiglio Comunale di Caposele del 13 dicembre 1952 Convenzione tra il Comune di Caposele e l’E.A.A.P. del 1970 Convenzione tra il Comune di Caposele e l’E.A.A.P. del 1997 Convenzione tra il Comune di Caposele e l’A.Q.P. S.p.A. del 2012 192

pag. 126 pag. 128 pag. 132 pag. 135


Convenzione tra il Comune di Conza della Campania e pag. 138 l’Acquedotto Pugliese Dibattito parlamentare Camera dei Deputati Seduta del pag. 141 4 giugno 1889 Supplica a S.M. il Re Imperatore pro Caposele e le sue pag. 151 Sorgenti Decreto Legge 11 maggio 1999 n. 141

pag. 153

Legge 28 dicembre 2001 art. 25 comma 4

pag. 155

Storia della costruzione dell’Acquedotto Pugliese pag. 157 attraverso le immagini Considerazioni conclusive

pag. 180

Bibliografia

pag. 187

193



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