La Sorgente n. 73

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Reg.Trib. S.Angelo dei L. n.31 del 29.1.74 - Sp. in A.P. art.2 comma 20/c L.662/96 Dir. Comm. Avellino -sem.- Anno XXXIV - Dicembre 2006 -

Direttore Nicola Conforti

email:confortinic@tiscali.it.

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PERIODICO A CURA DELL'ASSOCIAZIONE TURISTICA PRO LOCO CAPOSELE FONDATO NEL 1973

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La guglia della nuova Chiesa Madre

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an Gerardo a Caposele per la tradizionale processione. All'interno un vasto servizio fotografico dedicato all'evento che i caposelesi aspettano con patecipazione ogni anno

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a morte del Sindaco Giuseppe Melillo ha destato in tutti grande commozione e sgomento. Lo ricorderemo per l’amore e la competenza con cui ha svolto la sua missione di medico, per l’attaccamento al suo Paese per il quale ha speso tutte le sue migliori energie per farlo progredire sul piano della crescita civile e morale, ma soprattutto per le sue doti di uomo buono e sensibile, capace di grandi sacrifici , rispettoso delle idee altrui: un uomo di grande cultura e saggezza.

I Caposelesi hanno partecipato in massa alle esequie, rendendo così un doveroso e sentito omaggio al Medico, all’Uomo, al Politico. Riportiamo all’interno, associandoci come redazione al grave lutto che ha colpito il Paese, un ampio spazio dedicato al Sindaco scomparso.

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a nuova Chiesa Madre è quasi ultimata. Ancora pochi ritocchi e sarà restituita, dopo 26 anni, ai Caposelesi. L'approfondimento, con una cronologia di tutti gli eventi e vicissitudini del lavoro è riportato


REDATTORI

UNGARETTI E IL SOVVERSIVO CHE NON VOLEVA CHE SI VENDESSE L’ACQUA DEL SELE

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Entrando in paese non scorsero anima viva, solo cani che abbaiavano al punto da riuscire a coprire persino lo sbuffante rumore del motore. Dopo aver attraversato il ponte sul fiume Sele, là dove le case si tengono strette come i presepi della tradizione partenopea, l’automobile si accompagnò per una salita dolce che portava ad una piazza animata da un paio di capannelli. Imponente, a confronto delle case intorno, la chiesa che dominava la piazza. La macchina si fermò giustappunto al centro di una stella a cinque punte disegnata dal selciato di pietre bianche e lisce, mentre dal caffé che dava sulla piazza uscì uno sciame di uomini e di bambini. Aperto lo sportello, sull’autista s’abbatté la sagoma di una figura imponente, vestita con la divisa ufficiale del Partito. Dopo il saluto romano i due si strinsero con vigore la mano. “Caro Ingegnere – fece con voce stentorea l’uomo- bentornato a Caposele”. Immediata la risposta: “Felice di rivederla, caro Podestà”. Spostandosi sull’altro lato della balilla, ed esauritosi il rituale del saluto romano, l’Ingegnere presentò il suo compagno di viaggio al Podestà. Quest’ultimo non perse tempo e, nuovamente, con tono fermo e deciso gridò a favore degli astanti che “il popolo di Caposele, saluta con grata riconoscenza, il prode camerata Giuseppe

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Il viaggio s’era presentato più arduo del previsto. Anche gli ammortizzatori della balilla che era stata in dotazione del Ministero degli Affari Esteri stridevano di stanchezza dopo aver percorso le strade sterrate che da Calitri, passando per la sella di Conza, portavano a Caposele. Sul valico la macchina si fermò e vi scesero due uomini di mezza età. Accendendosi entrambi una sigaretta, potettero stiracchiarsi e provare un poco di sollievo, mentre si faceva sera e dalle colline qua e là apparivano i primi lumi. “Quei lumi è Castelnuovo –fece l’autista sospirando- quelli è Laviano e di là, giù per la valle, scende fino a Pesto il Sele”. Il rapido imbrunire consigliò la ripresa del viaggio. Bisognava percorrere ancora qualche chilometro prima della conclusione della tappa. Non era il caso di far attendere più del dovuto il Podestà che –ne erano certi- aveva sicuramente mobilitato i notabili del luogo, per un primo e cordiale benvenuto. Le curve restanti erano vicinissime l’una all’altra, con decisi tornanti a serpentina per il fianco di una collina dai luoghi scoscesi. Ecco Caposele: la destinazione finale di un viaggio iniziato dodici giorni prima dalla Piazza Clotilde di Savoia di Foggia. Curva dopo curva l’autista si era sforzato di descrivere le caratteristiche del luogo, i personaggi che avrebbero incontrato, i problemi che c’erano stati l’anno prima con l’emanazione del Testo unico sulle acque, per il quale tra la popolazione cominciò ad alimentarsi un sentimento antigovernativo tanto inopportuno quanto improduttivo. Ma di ciò avrebbero avuto tempo e modo per capirne di più nei giorni della programmata permanenza.

i due ospiti potessero provvedere ad una necessaria rinfrescata presso la foresteria delle sorgenti della Sanità. Per assicurare loro una non proprio discreta scorta fu dato incarico a don Saverio Corona, animatore dei sabati fascisti e capo militare della milizia cittadina. Gesti di ossequio giungevano dalle persone che impattavano l’inconsueto corteo che discendeva Via Zampari per giungere a Piazza Francesco Tedesco. Arrivati al cancello del palazzo e salendovi le ampie scale pregustarono sapori assai mordenti di cacciagione giungere dalla cucina dabbasso. Alla soglia dell’ingresso che apriva sulla bella terrazza si ripeté il rituale collettivo del saluto romano. A fare gli onori di casa don Luigi, affiancato dal Podestà e dal Segretario del Fascio. Uno ad uno gli altri commensali passarono in rassegna per salutare in modo deferente gli importanti ospiti. Non mancava nessuno di quelli che contavano. Per l’occasione furono persino accantonati antichi e più recenti dissapori, né si poteva trasmettere la percezione che mancasse la necessaria coesione tra gli aderenti al regime: poteva risultare di grande nocumento per gli interessi di ciascuno. Meglio fingere, arte questa ben conosciuta a certa borghesia agraria e bottegaia del tempo. Non mancava proprio nessuno. C’era il notaio Corona, col più giovane dei suoi figli; c’era il farmacista; c’era l’esattore; c’era il proprietario del grande emporio che dava sulla piazza; c’era il direttore scolastico. Tutte persone di solida, ma non poteva essere altrimenti, fede fascista. Mancava solo il parroco, nonostante fosse ancora fresca l’eco del concordato tra Stato e Chiesa di qualche anno prima. Ma anche a Caposele perduravano le riserve di certa cultura massonica nei confronti dei ministri del clero. Si sedettero a tavola e, immancabile, seppure attesa, giunse la domanda rivolta ad Ungaretti dal figlio del notaio: “cosa si dice a Roma?”. La risposta parve acerba e severa, ma molto fine ed acuta: “piuttosto cosa si dice qua, di

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er i suoi racconti Camilleri precisa che i personaggi, i loro nomi, le situazioni nelle quali vengono a trovarsi non hanno riferimento con persone realmente esistenti. In quello che seguirà tutto si inverte: i personaggi sono esistiti, i loro nomi reali, ma non le situazioni: queste sì inventate di sana pianta, seppure in un contesto storico che ha segnato gran parte della sottaciuta cultura identitaria dei silari. Preciso che è mi stato d’ispirazione l’articolo di Vincenzo Di Masi, pubblicato sull’ultimo numero di questo

Ungaretti, uomo di lettere e di cultura, che ha posto al servigio del Partito e della nazione la sua fine e profonda conoscenza”. I convenevoli non si esaurirono rapidamente tante erano le persone che vollero allungare il braccio destro in segno di benvenuto all’insigne ospite che -così riportava il dispaccio telegrafico che giunse qualche giorno prima dalla sede di Bari dell’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese- veniva a concludere un viaggio, a ritroso, per le terre attraversate dall’imponente canale idrico che proprio da Caposele, dai suoi 420 metri di altimetria, faceva scivolare circa 6.000 metri cubi al secondo d’acqua fresca e purissima fino alle piatte pianure della costa pugliese. Giuseppe Ungaretti, ex combattente della prima guerra, aderì da subito al movimento del cavaliere Benito Mussolini. Dopo la marcia su Roma, che determinò l’instaurazione del regime fascista in Italia, lavorò al quotidiano del Partito fino a quando non fu inviato a ricoprire, per lunghi dieci anni, la delicata carica di addetto stampa del Ministero degli Esteri. L’anno prima chiese di abbandonare l’incarico per dedicarsi nuovamente alla prosa e alla poesia, viaggiando per le terre non conosciute della penisola italiana. Gli fu concessa in dono una delle balilla del Ministero e il pieno appoggio logistico per i suoi viaggi. Lo stesso Primo Ministro si occupava di mobilitare, anticipatamente, le strutture del Partito affinché agevolassero in ogni modo il viaggio del suo amico Ungaretti. L’Ingegnere, invece, altri non era che il massimo responsabile tecnico dell’Acquedotto Pugliese, cui era stato ordinato di accompagnare Ungaretti, e che per lunghi anni aveva soggiornato proprio a Caposele per completare le opere sussidiarie della grande galleria degli Appennini. Fatto sta che terminati i convenevoli il Podestà diede loro appuntamento poco più tardi sulla terrazza di Palazzo Cozzarelli, non prima che

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GERARDO CERES C

di Gerardo Ceres

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Foto panoramica di piazza Sanità


Cultura

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degli occhialetti rotondi. Questi vi si avvicinò e quasi sospirando le parole, pur scandendole e sillabandole, ebbe a dirgli che “è vero, non ci vogliono dare nemmeno l’acqua da bere”. Lo stupore di Ungaretti si fece divertito, tanto da consentire all’ignoto cavaliere di aggiungere: “Signore, non creda a ciò che le verrà illustrato, al contrario. Che dio la benedica”. E ripartì al galoppo verso la collina di Materdomini.

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Giunti in foresteria l’ingegnere spiegò che, secondo lui, non era un pazzo ad aver gridato quella frase. Era noto alla dirigenza dell’Acquedotto Pugliese che si stavano costituendo dei ristretti gruppi di carbonari contrari a che l’acqua delle sorgenti non fosse più nella disponibilità del comune di Caposele. Già la realizzazione dell’acquedotto, con la canalizzazione delle acque, aveva procurato la chiusura di tante piccole attività industriali che utilizzavano la forza dell’acqua: mulini, frantoi, tintorie e concerie. Ne conseguì un’ondata di emigrazione verso le americhe che aveva dimezzato il numero di abitanti. “Dopo il Regio Decreto –continuava a spiegare l’Ingegnere- questi sobillatori temono che si tolga tutta la residua acqua che viene ancora oggi riversata nel fiume Sele”. Ma era già tardi e forse era meglio mettersi a letto: la giornata era stata lunga e faticosa. All’alba Ungaretti scelse di uscirsene presto, appena il sole avrebbe fatto capolino “su quel prato –così ebbe ad annotare sul suo taccuino- dove un tempo le polle d’acqua formavano un lago a ferro di cavallo e da un lato nello sfondo sorge su un salto un povero campanile distaccato dalla sua chiesa trasportata altrove”. Appena fuori dal perimetro delle sorgenti, allungandosi fino alla grande piazza antistante, si accompagnò sino a Tredogge con un gruppo di contadini che si avviavano al lavoro nei campi. Curiose gli parvero alcune donne che, in perfetto e circense equilibrio, trasportavano sul capo canestri pieni di vivere per la lunga giornata di lavoro. Fermo sul ponte che attraversava il fiume alla confluenza tra il torrente Tredogge e quello di Acqua delle brecce, nell’osservare il gioco di decine e decine di trote saltellanti e sguscianti, sentì avvicinarsi il rumore degli zoccoli di un cavallo nero. Sopra, con posa da soldato di cavalleria d’altri tempi, vi sellava un omino smilzo e certamente non molto alto, con

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Là era stato mandato don Pasquale Ilaria dopo l’arresto che era seguito alla rivolta popolare contro lo scippo delle acque. Al grido di “non si vende, non si vende”, quella si rivelò la prima ribellione popolare dopo 17 anni di regime fascista. La seconda giunse nel febbraio del 1944 a Roma al Liceo Giulio Cesare, dove nel frattempo Ungaretti aveva preso ad insegnare. In quei giorni a Cassino si combatteva una feroce battaglia tra tedeschi e angloamericani. Caposele era stato liberato qualche mese prima, Roma era ancora occupata. Rimase sempre un mistero per Ungaretti capire come potesse essere mai arrivata quella lettera in simili condizioni di guerra. La lettura della lettera, tuttavia, gli trasferì una sensazione piacevole, perché –ora riusciva a confessarlo persino a sé stesso- l’uomo che volevano far passare per pazzo gli era parso da subito simpatico. Ancora ricordava la scena col cavallo sul ponte del fiume, in quella mattina di settembre di dieci anni prima e le parole che ebbe a sussurrare. Il pazzo, che era geometra, ma poi anche capitano dell’Esercito, scriveva che l’acqua ora si poteva bere, se non altro fino a quando egli fosse restato sindaco di Caposele. Il primo sindaco dopo la liberazione. Si sarebbero certamente incontrati di nuovo -andava pensando Ungarettimentre, riposta la lettera nella borsa, risaliva corso Trieste per imboccare la via Nomentana dove avrebbe preso il tram che lo avrebbe riportato a casa, dopo una lunga mattinata di lezioni.

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Caposele, una cartolina del 1923

Dell’episodio Ungaretti non ne fece parola, né all’Ingegnere né a nessun altro, restando persuaso che quell’uomo tutto potesse essere, tranne che pazzo. Le tre giornate che seguirono servirono, tra appuntamenti ufficiali e passeggiate per i luoghi prossimi alle sorgenti, a fissare resoconti che furono trasmessi telefonicamente, a Torino, alla sede della “Gazzetta del popolo”, che li pubblicò in data 9 settembre 1934, col titolo “Alle fonti dell’acquedotto”. Qualche anno dopo si vide recapitare (per segreta conoscenza), presso la propria casella postale della sede milanese del suo giornale, una serie di missive che un tal geometra Pasquale Ilaria aveva in due diverse occasioni inviato al Podestà di Caposele e un’altra addirittura, a modo di supplica, al Re Vittorio Emanuele III. Ciascuna di queste lettere erano accompagnate dalla stessa, ripetuta appendice contenente quella frase che aveva sentito una sera urlare e il mattino dopo sussurrare: “non ci vogliono dare nemmeno l’acqua da bere”. Ne giunsero altre due, questa volta a distanza di qualche anno l’una dall’altra. La prima nell’autunno del 1939. Questa volta era firmata dal Capitano del Genio dell’Esercito, Pasquale Ilaria. Solo che in questo caso l’indirizzo del mittente non era lo stesso delle precedenti: isola di Ponza, terra di confinati antifascisti.

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ed acuta: “piuttosto cosa si dice qua, di Roma?” Ci pensò don Luigi, porgendo un vassoio di melanzane gratinate, ad evitare che il discorso potesse cadere su qualche argomento vischioso e scivoloso. Il timore inconfessato di ciascuno è che si potesse anche solo evocare il malumore che aveva pervaso il popolo dopo l’emanazione, l’anno prima, del Regio Decreto sulle acque come bene pubblico irrinunciabile, ovvero nella sola disponibilità dello Stato. Quindi si parlò dei primi anni del secolo, quelli dell’epopea della costruzione dell’acquedotto e della lunga galleria di valico, con i tanti lavoratori che erano giunti da ogni parte d’Italia, dello sviluppo del paese verso la zona delle sorgenti. Tanti discorsi che si intrecciavano e che ubriacavano la mente anche più disposta. Ma tant’è. Dopo un lungo sorso di un fresco vinello che veniva continuamente versato nel suo bicchere, Ungaretti cominciò a respirare profondamente, estraniandosi. Gli parve di riconoscere vari profumi provenienti dalla boscaglia che incombeva alle spalle del palazzo: “questo è il profumo dell’olmo, questo è d’edera, oh –continuava a pensare tra sé e sé- e questo è d’acacia, sento persino il profumo di sambuco!”. E pensava alla sua infanzia ad Alessandria d’Egitto e alla sua terra arsa ed incapace di trasmettere le piacevoli sensazioni che stava provando, in quella mite serata di settembre, alle falde del Monte Rotoli. Pensava a tutto questo quando al suo orecchio irruppero, come furie ossesse, della grida giù dalla piazza. Come un ritornello, per tre volte s’udì chiaramente: “Non ci vogliono dare nemmeno l’acqua da bere, imbroglioni e venduti”. I commensali si portarono tutti alla ringhiera della terrazza. Videro un uomo che fuggendo verso l’altra estremità della piazza veniva inseguito, invano, da don Saverio e da altri miliziani che erano rimasti a piantonare il portone del palazzo. Si fecero severe le facce dei signori che con fare incredulo tornarono a prendere posto a tavola, dove calò un’aria preoccupata. Ci provò il Segretario del Fascio, col suo eloquio forbito, a spiegare che si trattatava di un pazzo che entrava ed usciva dal manicomio. Ma in cuor suo, ad Ungaretti, riusciva difficile credere che così fosse, altrimenti non vi sarebbe stata quella reazione di turbamento in ciascuno dei presenti. L’ingegnere lo guardò come per fargli intendere che la spiegazione vera gliela avrebbe data più tardi, tornando alla foresteria. Così fu, una volta che si erano licenziati dopo la conclusione della cena. Il Podestà, augurando loro la buona notte, dichiarò la massima disponibilità a mettersi a disposizione per qualunque esigenza che si fosse presentata durante la loro permanenza.

Gerardo Ceres

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Una passeggiata per le strade di Durante

Caposele

le nostre escursioni fotografiche ci capita, spesso, di imbatterci in

luoghi molto conosciuti, ma spesso non uguali a quelli fotografati qualche tempo prima.

dinamicitĂ intrinseca del paesaggio vorremmo che fosse colta anche

dai nostri lettori, per cui ci e' sembrato interessante pubblicare, da piĂš punti di vista, i luoghi del nostro

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Via Molino

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Questa

Guardando da Piazza Di Masi verso via Roma

Particolare delle coperture della Chiesa Madre

L'interno della Chiesa

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La facciata del Polo Scolastico

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Uno scorcio di via Piedigrotta

Foto panoramica dell'interno della nuova chiesa

Prospettiva su corso Garibaldi

Scorcio su via E. Caprio

un vicolo di via Molino

Piazza Di Masi, lato ovest

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La fontanina di Piazza Dante

Via Santuario

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Il nuovo disegno di Piazza Di Masi


La Pagina del Presidente

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REDATTORI

di Raffaele Russomanno

nifestazione, il gruppo S.I.L.AR.I.S. ed il gruppo dei giovani della Chiesa Cattolica Evangelica di Caposele i quali hanno contribuito fattivamente alla riuscita della serata che li ha visti protagonisti, ma devo ringraziare anche quanti con le loro donazioni hanno permesso di raggiungere un obbiettivo di tutto rispetto, durante la serata sono stati raccolti € 1.810,00 che sono stati versati alla sezione di Avellino dell’A.I.L.. La serata è andata avanti in un continuo crescendo ed in particolare ha vissuto due momenti di rilievo: l’asta di beneficenza di un magnifico tartufo donato dal sig. Gerardo Cibellis e la premiazione del vincitore del primo premio consistente in un cesto ricco di alimenti donati dai commercianti caposelesi. Ancora una volta il cuore dei caposelesi ha pulsato per una giusta causa, e a voi tutti un grazie di cuore dalla Pro Loco Caposele e dall’A.I.L..

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del malato, deriva dal duplice livello di presenza territoriale: nazionale e locale, motivo quest’ultimo che ha visto l’A.I.L. nella sezione di Avellino destinataria dei fondi raccolti, sezione che da anni affianca il centro di ematologia dell’Ospedale Moscati di Avellino, attraverso la donazione di apparecchiature, borse di studio per giovani ricercatori ed infine mettendo a disposizione, di quanti affetti da questa grave patologia e dei loro familiari, un’abitazione dove soggiornare dopo aver ricevuto il trapianto di midollo, al fine di consentire una migliore vicinanza con l’ospedale e l’equipe medica. Si è scelto di non essere soli in un momento così importante e per questo si è ricercata la collaborazione di altri partners ed in particolar modo devo ringraziare le giovani promesse femminili dello sport di Caposele e di Lioni che si sono confrontate sul campo di calcio di Caposele e che hanno devoluto l’incasso della ma-

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uando si parla di solidarietà una delle più concrete, usuali e semplici forme di cooperazione, è la donazione. Ci piace pensare che donare sia un atto d’amore e che come ci ricordava Madre Teresa: “Verrà un giorno in cui saremo giudicati sull’amore”. Per meglio comprenderne quale è il senso dell’impegno che ci coinvolge nel momento in cui scegliamo di donare come Pro Loco abbiamo deciso di dedicare una serata a questo particolare impegno durante le ultime due edizioni del Ferragosto Caposelese. Quest’anno nostro partner è stata l’A.I.L., Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma, organizzazione non lucrativa la cui missione è sensibilizzare l’opinione pubblica alla lotta contro le malattie ematologiche, migliorare la qualità della vita dei malati e dei loro familiari e aiutarli nella lotta che conducono in prima persona per sconfiggere la malattia e promuovere e sostenere la ricerca. L’importanza dell’Associazione al servizio del mondo ematologico e

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punto di raccordo tra passato e futuro e gli occhi delle donne Caposelesi non sono da meno, essi ci raccontano della nostra terra e dei venti della storia che l’ha attraversata.È proprio delle nostre donne che oggi voglio parlare: lo sento come un dovere impellente quello che mi porta a gettare gli occhi sull’altra metà del cielo della nostra Pro Loco. A queste infaticabili lavoratrici va tutta la mia riconoscenza ed il mio ringraziamento, sottolineando serenamente che senza di loro oggi non saremmo sicuramente Pro Loco; non si può infatti parlare di Pro Loco e non scorgere i volti nascosti delle

nostre donne che, senza clamori, assurgono a depositarie della nostra tradizione; scoprirlo per me è stato un momento di grande emozione ed un’importante lezione di vita. Neofita nell’organizzazione di una sagra, ho vissuto gli ultimi due eventi con estrema apprensione: il non saper come si sarebbe svolta mi ha sempre creato grande sconforto; il non sapere con certezza quante donne avrebbero preso parte alla realizzazione dei nostri piatti è stato motivo di palpitazione; ma, devo asserire con grande piacere, che grazie a loro tutto si è svolto nel migliore dei modi. Potrà sembrare assurdo, ma nei giorni immediatamente precedenti la manife-

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osare lo sguardo sulla realtà delle donne in contesti e civiltà diverse consente di capire che esse, in ogni parte del mondo, rappresentano l’altra metà del cielo che manca agli uomini. Basta osservare con attenzione e constatare che, senza ombra di dubbio, in ogni luogo sono le donne a conservare bellezza e dignità del vivere, anche quando la mancanza delle condizioni più elementari della sopravvivenza materiale induce ad avvilire la propria umanità nella ricerca del benessere economico. L’incontro con l’altra metà del cielo è un rendez-vous del tutto particolare, che necessita senz’altro di sentimenti più elevati di quelli che suscita una semplice stretta di mano: richiede compartecipazione, consenso e soprattutto accettazione, la quale, in particolare, si pone come base assoluta della comprensione. Dalle zone tribali dell’India alle montagne himalayane, dalle afose pianure indocinesi alle aspre realtà dei sobborghi urbani sono le donne che sintetizzano storie di vita e drammi di un’intera esistenza di fatica, portando a sintesi l’identità popolare e comunitaria. Basta imparare a guardare i loro occhi per rendersi conto che essi sono un

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L’altra metà del cielo della Pro Loco

Una fase fondamentale della lavorazione delle "Matasse" Il gruppo della Sagra di quest'anno. In ultima pagina la squadra al completo a colori

stazione ho avvertito la sensazione di vivere come in una fiaba, nella quale come elfi ho visto comparire tante donne armate chi di “ferretto”, chi di spatola, chi di “tumbagno”, comunque tutte accomunate da un codice d’onore tramandato oralmente da madre in figlia. Vederle al lavoro unite dalla voglia di non far desistere la tradizione è un’esperienza particolare, come particolare è l’atmosfera che si respira durate la lavorazione: come loro costume tutto avviene in comunione e con una serenità che solo loro sanno emanare. Nonostante la durezza del lavoro, non vi capiterà mai di sentire una sola di loro denunciare stanchezza o pretesti per andar via: e questo solamente perché l’obiettivo comune riesca nel migliore dei modi. Particolare poi è l’amore che le anziane infondono nel guidare le giovani che per la prima volta si accostano alla lavorazione della matassa o dei fusilli. E come avviene in tutte le famiglie, perché la nostra è una grande famiglia, è palpabile lo scontro generazionale, ma alla fine il comune obiettivo, la buona riuscita della sagra, appiana ogni divergenza sul nascere. Ho cercato di descrivere, per quanto me ne è stato possibile, l’amore delle

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REDATTORI

La Pagina dei Ricordi

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Quando si giocava in Piazza Sanità

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Nel corso della realizzazione di tale opera, accadde però che un imprevisto ed improvviso smottamento di terra seppelliva un operaio, tale Liloia Antonio - grande lavoratore ma anche bevitore senza limite - il quale riportava lesioni mortali. Fu una tragedia di immane proporzione per gli effetti che ne derivarono ma che il Sindaco Del Tufo si trovò ad affrontare da solo, in tal guisa dando prova di ammirevole attaccamento al paese capacità amministrativa, serenità d’animo e spirito di sacrificio personale anche sotto il profilo economico, onde risolvere gli annosi problemi che di volta in volta si presentavano, taluni molto gravi, come ad esempio quello che riguardava l’assistenza e il risarcimento della famiglia del morto. Ma fare la biografia del dottore Amerigo Del Tufo e citare ciò che Egli con grande umanità e generosità profuse per i suoi concittadini e per la ripresa economica del paese, è sicuramente cosa ardua se non addirittura impossibile, richiedendo tanto tempo, approfondimento della personalità, indagine retrospettiva, capacità di analisi e valutazione di fatti e situazione afferenti la vita dell’interessato; talchè sento di dovere limitare questo mio modesto impegno a quel poco che mi sovviene, tenuto conto anche che, a causa della mia professione, sono stato costretto a vivere lontano dal mio amato paese, al quale mi legano, attualmente, non certamente i beni materiali, che non ho più, ma la memoria del passato, insieme con le cose e le carissime persone che vi sono rimaste e che vi vivono. Di Amerigo, del mio amico e, come si suole dire a Caposele quando si parla delle persone care,“del mio compare” citerò soltanto alcuni aspetti della Sua multiforme e al tempo stesso singolare

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la ricostruzione e le opere pubbliche furono incentivate al massimo, pur nei limiti della modesta ripresa nazionale e col supporto del famoso Piano Marshall (nome preso dal segretario di stato americano G.C. Marshall) rivolto al risanamento economico dei Paesi dell’Europa dopo le distruzioni provocate dalla guerra. Infatti, ebbe luogo tra l’altro proprio in quel tempo la costruzione del campo sportivo, voluto dal Sindaco Del Tufo mediante l’utilizzazione dei c.d. “campo scuola”, in cui trovavano lavoro, ancorchè per tempo limitato, i numerosi disoccupati e nullatenenti del paese. In merito, giova precisare che prima della realizzazione del detto campo sportivo, il gioco del calcio si praticava sul piazzale della Sanità, attraversato generalmente da asini e muli e da qualche autoveicolo. Ciò determinava una situazione di oggettiva precarietà, poiché il fondo del piazzale all’epoca era acciottolato, talchè l’accidentale caduta del calciatore nel corso della partita poteva provocare lesioni personali, talvolta anche di rilevante gravità. Di ciò il lungimirante Sindaco Del Tufo - che peraltro praticava anch’egli con ammirevole destrezza e capacità il gioco del calcio - si rese conto e, sapendo anche, per essere medico, che la pratica sportiva avrebbe potuto giovare alla salute fisica e morale della gioventù del luogo da poco uscita dai disastrosi effetti di una guerra perduta, si impegnò con ammirevole coraggio e senso di responsabilità personale ad avviare i lavori di spianamento dell’area situata a ridosso del fiume, a tutti nota col nome di “lavanghe”.

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Riprendo la trattazione della rubrica “l’Angolo dei Ricordi”, spinto oltre che dal cortese invito dall’amico Nicola Conforti, anche per dare concreto valore a ciò che ritenni di affermare nel mio scritto precedente, ossia che il ricordo del passato costituisce un coerente fattore dell’agire e che senza la memoria di fatti, avvenimenti e persone nulla siamo, restandoci soltanto l’amnesia finale, la quale cancella non solo la nostra vita intera, ma anche tutto ciò che di più caro appartiene alla storia di ieri e di oggi del nostro amato paese. Il concittadino che mi permetto ricordare e portare all’attenzione delle attuali generazioni, fu persona di grande prestigio e valore morale, sociale, culturale e professionale, che il tempo - sempre inesorabile nel distruggere le cose buone, belle ed importanti - non può assolutamente cancellare nella memoria di coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo. Egli appartiene infatti alla nostra storia, alla storia del nostro paese, insieme con tanti altri personaggi illustri. .Il dott. Amerigo Del Tufo, medicochirurgo, illustre pediatra, apparteneva a una famiglia di esemplare dignità comportamentale e prestigio, così come peraltro erano quasi tutti i caposelesi contemporanei. La madre Concetta, donna religiosa e buona, la sorella di nome Marietta, sposata con Tobia Caprio, avevano dedicato la loro esistenza all’affermazione negli studi di Amerigo, il cui papà, Salvatore, emigrato negli U.S.A., assicurava col suo lavoro, con l’abnegazione ed il sacrificio, il sostentamento economico e finanziario della famiglia e, segnatamente, del figlio. Del padre Salvatore ricordo con vivo piacere il ritorno a Caposele, dopo la seconda guerra mondiale, cosa che procurò ad Amerigo, già da tempo laureato, gioia indescrivibile, pur se per breve tempo in quanto la morte colse dopo appena qualche anno l’esistenza del caro genitore. L’intera vita di Amerigo, attesa altresì la Sua eccezionale e singolare intelligenza, fu un susseguirsi di successi in ogni campo: professionale e socio- politico. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale venne eletto alla carica di Sindaco del paese, succedendo in tale impegno, al Geom.Pasquale Ilaria, oppositore integerrimo del Regime Fascista e severissimo amministratore comunale. Fu quello un periodo di grande risveglio cittadino, durante il quale,

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SALVATORE CONFORVINCENZO DI MASI C

UN PASSATO DA NON DIMENTICARE

Il sindaco Caprio ed il dott.Del Tufo

personalità, lasciando ad altri il compito di evidenziare e descrivere con maggiore efficacia le qualità morali di questo nostro grande concittadino, sviluppandone in scritti più adeguati la Sua biografia. L’amore per la famiglia originaria, ma anche di quella acquisita, per i due figli Salvatore e Cettina , la Sua deontologia professionale, al pari della Sua fede politica - sempre coerente e profondamente convinta sin dal tempo della proclamazione della Repubblica e dell’affermazione dello Stato democratico - il Suo sentimento religioso contenuto, mai istrionico od eclatante nella pratica quotidiana, col quale intimamente conviveva, sia nell’operare che nell’agire, costituiscono i caratteri essenziali della Sua condotta di vita, che dev’essere indicata di esempio per le nuove e future generazioni, e molla potente, da cui tutti - ed anch’io, personalmente - dovremmo trarre forza trainante. L’indole quasi sempre allegra, gioviale ed ottimista, che alcune volte si proiettava anche in atteggiamenti faceti, la si vedeva poi quando, con amici di ogni estrazione sociale ed età si intratteneva, spesso al Caffè di Romualdo, per giocare a bigliardo, per bere, ma sempre con moderazione, birra durante il gioco delle carte del cd.“ Padrone e Sotto”ovvero per fare“scherzi”, che destavano l’ilarità dei presenti, in ciò trovando compiacente supporto in Nicola Vetromile, altro caro amico di cui è sempre vivo il ricordo. Ad Americo Del Tufo si deve altresì la realizzazione di un’altra opera pubblica di Caposele, in quel tempo sicuramente straordinaria (infatti,il bilancio e le risorse finanziarie del Comune erano molto precarie, con scarse entrate e molto indebitamento), ossia la pavimentazione, con mattoni calcarei


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Con spirito giovanile il dott. Del Tufo partecipa alla partita “Vecchie glorie contro giovani” La foto lo ritrae con Vincenzo Malanga, Angelo Farina e Lorenzino Cozzarelli

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sivi al terremoto, con il consueto suo vivissimo senso del dovere, spirito di sacrificio ed abnegazione, si prodigò per fornire assistenza medica, in ogni luogo ad a favore di tutti coloro che la chiedevano. Caposele oggi è interamente ricostruito, al pari della frazione Materdomini che ha acquistato, anche per merito dei Padri Redentoristi, i caratteri di uno dei centri religiosi più belli ed importanti d’Italia e oserei dire dell’intera Europa. Le famiglie, anche delle borgate rurali, attualmente vivono in case decorose e moderne, dotate di quasi tutti i conforti che la vita giustamente riserva e senza più distinzione di classi sociali. Ma di chi è il merito? Certamente, in gran parte anche di coloro che oggi non sono più presenti in mezzo a noi, che vissero di stenti e sacrifici immani, per la ricostruzione del Paese e per assicurarci agio e piacere di vivere. Ecco perché di essi non ci si deve dimenticare, ma è giusto che siano sempre tenuti presenti nel ricordo di tutti noi! In un’epoca dominata dall’urgenza, dalla fretta, dalla frenesia, dall’attivismo, ma anche dal materialismo più accentuato, è vero, da un canto, che non ci si deve mai fermare, ma è anche fondamentale che si viva nel rispetto dei valori che ci hanno indicati i nostri antenati. Amerigo Del Tufo è stato un uomo che arricchisce ognuno di noi caposelesi, per la Sua straordinaria personalità, che si vestiva senza apparenze di una profonda umanità, capace di fornire, insieme con la vasta capacità professionale di medico , quello di cittadino onesto, forte di tanta idealità e amore verso il prossimo. La Sua presenza in mezzo a noi fu “una benedizione di Dio” che conforta le persone, umanizza le istituzioni, trasforma la cultura e la società.

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Del Tufo inaugura il campo sportivo “Antonio Liloia”

Vincenzo Di Masi Generale dei Carabinieri in pensione

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della piazza principale del paese, allora piazza Plebiscito, oggi piazza Vincenzo Di Masi ( tengo a sottolinearlo ancora una volta, che essa non si chiama “ Vincenzo Masi”, persona che peraltro non è mai nata o vissuta a Caposele), antistante la Chiesa Madre di San Lorenzo, piazza realizzata in economia mediante l’impiego di straordinari e valenti artigiani (scalpellini e muratori del posto), ma interamente finanziata, appunto, da Vincenzo Di Masi, mio omonimo zio paterno, caposelese di vecchio stampo, emigrato all’inizio del secolo scorso in U.S.A., al quale venne intitolata l’opera, mediante collocazione sul muro, all’altezza dell’attuale studio dei medici Russomanno, dell’epigrafe e busto in basso rilievo, andati distrutti dal terremoto del 1980 e mai più ricostruiti (attualmente, infatti, la piazza, non si sa perché, è senza nome). Questa breve biografia afferente la mitica figura del dott. Amerigo del Tufo sarebbe monca se non facessi accenno al periodo del terremoto del 23 novembre 1980, durante il quale il paese, con la frazione di Materdomini e Santuario omonimo di San Gerardo Maiella, rimase quasi interamente distrutto e la popolazione gravemente decimata dalla violenza del sisma. In tale luttuosa circostanza (se non erro, era Sindaco l’Avv. Antonio Corona, meglio noto come “Tonuccio” ) l’intera popolazione, abbandonate le case pericolanti o distrutte, trovò rifugio, in massima parte, nel campo sportivo o nelle campagne circonvicine. Le scosse sismiche, di tale violenza, da far saltare i pennini dei sismografi degli osservatori, vennero percepite in tutta Italia, dalla Sicilia all’Alto Adige, e si ripeterono per circa due ore, una trentina di volte, in particolare in Campania e Basilicata. Fu una terribile frustata - affermarono i sismologi di tutto il mondo - paragonabile ad un’esplosione di un milione di tonnellate di tritolo ovvero a quella di quindici bombe atomiche del tipo di Hiroshima scoppiate contemporaneamente, a trenta chilometri di profondità. I morti ed i feriti di Caposele e di altri comuni dell’Alta Irpinia non si contarono. In quel gravissimo contesto, la solidarietà umana proveniva da tutte le parti e si manifestò sotto ogni forma e maniera. . Tutti cercavano aiuto e di aiutarsi, più di tutti ovviamente il medico Del Tufo, che rimasto miracolosamente illeso, in conseguenza della professione svolta e del fatto che era all’epoca anche medico-condotto e quindi direttamente responsabile della salute dei propri concittadini, sin dai primi istanti succes-

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La Pagina dei Ricordi

PERIODICO A CURA DELL'ASSOCIAZIONE TURISTICA PRO LOCO CAPOSELE

Preghiera d’Amore Quando , sconfitte le tenebre, la terra s’illumina, gli alberi e i fiori rinvigoriscono gli uccelli volano nel cielo i pesci guizzano nel mare e nei fiumi, allora esseri umani che abitate la terra, che amate la vita e respingete la Morte, se transitate dinanzi al mio sepolcro pronunciate il mio nome, affinchè possa continuare a vivere nella vostra memoria; recitate per me una preghiera d’amore che mi faccia percorrere i Sentieri dell’Eternità

confortinic@tiscali.it

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REDATTORI

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PICCOLA CRONACA

Sempre molto lieti di parlare di caposelesi che si distinguono anche fuori dal paese natio, con piacere apprendiamo del nostro conterraneo Gianfranco Antonio Gasparutto, figlio di Beniamino e di Dina Mattia, eletto per la lista “Uniti nell’ULIVO - per Veltroni Sindaco” nel Consiglio Circoscrizionale (Municipo VIII) del Comune di Roma. Nato nel 1964 è sposato con Nadia e padre del piccolo Gianluca; si è sempre dedicato con passione alle attività specifiche del quartiere dove abita, Torre Maura, ed al settore della comunicazione nel campo editoriale, lavorando per oltre dieci anni presso “Rinascita Editoriale” ed al quotidiano “L’Unità”. E’ presidente del Comitato di quartiere di Torre Maura dal 2001 e del mensile a distribuzione locale “Presente e Futuro”. Oggi lavora all’AMA spa di Roma e si occupa delle relazioni esterne con i cittadini. Di recente ha ricevuto, inoltre, la prestigiosa delega all’Ambiente ed al Decoro Urbano e si sta occupando del progetto per la raccolta differenziata “porta a porta” che partirà all’inizio del prossimo anno anche in altri due Municipi. Alla sua famiglia ed a lui in particolare, i nostri migliori complimenti per una carriera che gli auguriamo sempre maggiormente ricca di gratificazioni

Un'altra bella occasione per ospitare il Vescovo della nostra Diocesi Sua Ecc. Mons.Franco Alfano il quale ha conferito alle catechiste di Caposele il mandato di catechesi anche per quest'anno. Dopo la funzione religiosa ci siamo ritrovati, insieme alla popolazione, all'interno dell'aula polifunzionale per un ricco bouffet organizzato dalle mamme e dalle catechiste. Il gruppo è in procinto di preparare anche un coro costituito da giovani e meno giovani, al fine di poter, in tempo utile, accompagnare alcune importanti funzioni in Chiesa e nella fattispecie, l'inaugurazione della Chiesa Madre prevista nel periodo di Pasqua. Auguri!

Geremia Rosania coi ragazzi della scuola calcio di Caposele

Tutti sorridenti per il compleanno di Giovanni Curcio: auguri!

Don Vincenzo e il Vescovo Alfano durante la consueta socializzazione con la popolazione

DALLA REDAZIONE DE "LA SORGENTE" UN AUGURIO SENTITO A TUTTI I NOSTRI LETTORI PER UN FELICE NATALE E UN BUON 2007

Un benvenuto alla famiglia Ferrara che ha scelto di tornare, dopo molti anni trascorsi a Torino, al proprio Paese. Luciano e Lorenzo felici di questo cambiamento li ritroveremo, spesso, durante le nostre passeggiate a rallegrarci l'animo. La nostra comunità saprà, sicuramente, accogliere questo nuovo nucleo familiare che, in controtendenza, è ritornato alle proprie radici.

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Ogni anno nel periodo estivo si svolge il Tiro al Bersaglio che, come tradizione impone, ha il suo scenario al campo sportivo "A .Liloia". Tonino Rosania è stato il 1° classificato: complimenti!


Piccola cronaca

Il Dott. Russomanno assistito da Michele Cuozzo e Maria Iannuzzi nelle visite mediche agli atleti

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Anziane signore di Caposele sfilano alla serata delle tradizioni locali in costume

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Protagoniste indiscusse del Ferragosto Caposelelse sono state le donne della sagra. Un ennesimo appuntamento con le tradizioni e con la buona cucina. Il 9 agosto si sono consumate, come al solito, cemtinaia di chili di fusilli e matasse per accontentare i tanti turisti che accorrono a Caposele in questa giornata esclusivamente per degustare le specialità della nostra terra. Peccato che il naturale prosieguo al Bosco Difesa, per problemi logistici, non ci sia stato. Complimenti, comunque a tutta l'organizzazione.

Monica Galdi, Antonella D'Elia e la fioraia Angelina, pronte al via!

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Antimo Pirozzi registra i partecipanti

Il pubblico fotografa l'arrivo dei corridori

Ricordo di Nino Iorlano Direttore di Altirpinia

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La morte di Nino Iorlano è arrivata a Caposele come fulmine a ciel sereno: non pensavamo che il suo male lo avrebbe distrutto in così poco tempo. Con lui scompare un giornalista di grande prestigio, l’uomo simbolo di tante battaglie a favore del suo Paese e dell’Irpinia intera. Era presente con il suo scritto in tutti i numeri del suo giornale e partecipava con passione ed assiduità a tutte le manifestazioni di tipo culturale che si svolgevano in Lioni e fuori. Lo ricordo in particolare a Caposele, nella sede della Pro Loco , in un suo brillante intervento sull’importanza di un giornale locale. Festeggiavamo, era l’anno 1987, il venticinquesimo anniversario della fondazione de “La Sorgente”. Le sue parole, molto toccanti e significative dirette alla mia persona, furono di grande incoraggiamento per il difficile lavoro che mi apprestavo a sostenere per gli anni successivi. Ed è stato facile profeta; il suo intervento augurale è stato di buon auspicio: sono passati circa dieci anni da quella data “La Sorgente” è ancora viva e vitale. Nino è stato un maestro di giornalismo: il suo impegno sociale e culturale resterà di esempio per tutti noi. Lo ricorderemo per la sua disponibilità e per la sua instancabile voglia di portare avanti le sue idee ed i suoi convincimenti. Con lui perdiamo la “memoria storica” di Lioni e dell’intera Irpinia. Nicola Conforti

Piccoli protagonisti della corsa campestre

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Inaugurata la Biblioteca Gerardina

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Le mamme in apprensione per i figli atleti

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Il 18 novembre scorso nei locali del Collegio dei Padri Redentoristi ha avuto luogo, presieduta da S.E. Pierro Vescovo di Salerno ed alla presenza del Prefetto di Avellino e di numerose autorità civili, militari e religiose, la cerimonia di inaugurazione della “Biblioteca Gerardina” intitolata a Padre Domenico Capone. La biblioteca raccoglie, in eleganti scaffalature, circa 25.000 volumi di pregevole interesse storico religioso e culturale. La biblioteca è aperta al pubblico per essere utilizzata per ricerche storiche e per consultazioni. Il Superiore dei Padri Redentoristi ha designato alla cura del pregevole complesso personale altamente qualificato.

Due amici assistono alla gara

ASSOCIAZIONE MEDICI CATTOLICI ITALIANI SEZIONE DIOCESANA “SAN GIUSEPPE MOSCATI” SANT’ANGELO DEI LOMBARDI (AV) Sabato 16 dicembre 2006 ore 15.30 Curia Arcivescovile Sant’Angelo dei Lombardi Primo incontro-dibattito sul tema EUTANASIA-MALATO TERMINALE “Terminare la vita e assistere il morente” Introduce dott. Giovanni Vuotto, Presidente diocesano Saluto di benvenuto Dott. Luigi Giordano, Direttore Generale ASL AV/1 Ariano Irpino Intervengono :Dott. Michele Ciasullo, presidente provinciale Societa italiana medicina generale sezione di Avellino

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S.Ecc.Rev. Mons. Franco Alfano, Arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi.-ConzaNuscoBisaccia. Prof. Vincenzo Maria Saraceni, Presidente nazionale AMCI, Ordinario di Medicina fisica e riabilitazione Università La Sapienza Roma Dibattito interattivo e díscussione Santa Messa nella Cattedrale Canti natalizi della Schola Cantorum GIO.IO.SO Segreteria scientifica ed organizzativa Dott. Antonio Cione Telefax 082758821

Nino Iorlano nelle sede della Pro Loco in occasione dell'assegnazione del "Premio Caposele" a Geradino Calabrese

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CAPOSELE HA LA SUA NUOVA CHIESA

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rievocare con le sue strutture la “fonte dell’acqua viva che zampilla per la vita eterna” (Vangelo di S.Giovanni-Incontro di Gesu con la samaritana al pozzo di Giacobbe). E l’architettura della Chiesa, in particolare la struttura della copertura e del soffitto, richiama l’immagine del flusso di acqua evocando con le sue linee e le sue ombre i filetti liquidi ed i vortici dell’acqua. La configurazione dello spazio. La Chiesa di San Lorenzo a Caposele rientra nel filone della ricerca architettonica che Vittorio Gigliotti ha sistematicamente sviluppato in progetti ed opere architettoniche, insieme al Prof.Arch.Paolo Portoghesi,di fama internazionale. Lo spazio architettonico, concepito come un”sistema di luoghi”, non è di ordine astratto, ma è uno spazio concreto, esistenziale, condizionato dalle funzioni che in esso si svolgono. Ogni luogo costituisce un “centro”, che è immaginato come un “polo’ di un campo magnetico” da cui partono “le onde”; e la configurazione ed organizzazione dello spazio avviene mediante la definizione geometrica di tali “centri” (poli primari), che non sono arbitrari,ma individuano particolari funzioni,quali, per la Chiesa di San Lorenzo, il luogo in cui il sacerdote svolge il rito della Messa,quello del Battesimo e di altre funzioni. Altro polo primario è il “centro” ove è conservato come memoria storica un angolo della Chiesa distrutta dal terremoto ed è collocato l’artistico tabernacolo del 1700 per la custodia e adorazione della SS.Eucaristia. La descrizione architettonica con i grafici e il plastico già evidenziava la grandiosità dell’opera, ma la burocrazia e soprattutto il pregiudizio hanno ostacolato e ritardato a lungo la costruzione. Indico in modo sintetico il tormentato percorso:

Don Vincenzo Malgieri

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anni di dimenticanza e soltanto nel mese di luglio 2002 il Provveditorato assegna il nuovo appalto alla Ditta EDIL DISA di Cercola (Napoli), la quale nel mese di ottobre riapre il cantiere con competenza e la buona volontà di portare a termine la costruzione non facile della Chiesa. L’esecuzione dei lavori è eseguita da operai nostri concittadini e anche il materiale edile è fornito dai commercianti locali, portando così un contributo all' occupazione e alla nostra economia. La costruzione è stata soltanto una goccia economica, ma il Tempio oltre la funzione propria di luogo di culto, di grazia e preghiera, per il suo particolare stile architettonico e le pregiate opere artistiche contenute quali battistero, altare, ambone e Crocifisso, deve anche costituire un polo di attrazione culturale e turistico. Non è una chimera, ma una realtà territoriale che va considerata e valorizzata: Materdomini - Acquedotto - Chiesa Parrocchiale S.Lorenzo: questo il percorso anche geografico per lo sviluppo culturale, turistico ed economico del nostro centro abitativo; sarà sufficiente un’adeguata pubblicità e un comodo servizio di collegamento tra Materdomini e Caposele. Questo è possibile se tutti siamo spinti da un amore vero e gratuito verso questo nostro Paese.

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di Don Vincenzo Malgieri

inalmente il tempo si è fatto breve, la lunga attesa sta per terminare, il sogno si è avverato, l’utopia è diventata realta! La nostra Chiesa Parrocchiale è ricostruita e ci accoglierà molto probabilmente subito dopo la S. Pasqua. Cesserà il lungo esodo di un popolo senza tempio, invece con esso acquisteremo la pienezza della nostra identità cristiana e sociale insieme alla ricchezza e bellezza delle nostre tradizioni.Perchè la nostra gioia sia piena quando entreremo, nel Tempio del Signore, ritengo utile la conoscenza dettagliata della descrizione architettonica dell’opera, fatta a suo tempo dal progettista ing. Vittorio Gigliotti e del tormentato iter burocratico per la sua realizzazione. Ispirazione e genesi del progetto. Caposele è un antico centro abitato dell’Appenino, a 500 metri sul livello del mare,situato nell’Irpinia. Nel centro urbano, in una galleria sotteranea, c’e la sorgente del fiume Sele, che scorrendo verso occidente, sfocia nel Mare Tirreno, presso l’antica Paestum. La sorgente alimenta anche l’acquedotto piu lungo del mondo, che con le sue ramificazioni si sviluppa verso oriente, per dissetare le popolazioni della Regione Puglia, lungo il Mare Adriatico. La visione della spettacolare galleria sotterranea, costruita da un secolo per la captazione dell’acqua sorgente con le sue numerose polle d’acqua pura, suggerisce l’idea che il “Genius loci” (lo spirito del luogo) di Caposele è “l’acqua sorgente”,vorticosa del Sele che da un lato in piccola quantità si versa nell’alveo del fiume e dall’altro alimenta, con 4000 litri d’acqua al secondo l’Acquedotto Pugliese. L’architettura dellà Chiesa di San Lorenzo Martire trae ispirazione dallo spettacolo impressionante della galleria sotterranea di captazione della sorgente e con l’acqua che scorre tumultuosamente:come il flusso di acqua della sorgente del Sele disseta e ristora fisicamente gli uomini delle lontane Puglie, così l’architettura del tempio intende

Sindaco, della Giunta, dell'arch. Scirè e del Parroco. - 11.4.87 - Il progetto con il relativo plastico viene illustrato dal medesimo ingegnere ad un pubblico numeroso di cittadini, presenti il sindaco ,l’arch. Scire e i tecnici locali. - 3.11.87 - Il progetto viene presentato nella sede di Salerno al Soprintendente Arch. De Cunzo, il quale immediatamente lo rigetta. - 25.9.88 - L’Arcivescovo Antonio Nuzzi inoltra il Ricorso Gerarchico al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. - 24.12.88 - Il ricorso è accolto e viene data la prima approvazione del progetto con lettera ministeriale Prot.n.13324. - 13.3.89 - La nota ministeriale non è ritenuta vincolante dal Soprintendente De Cunzo, quindi fa seguito da parte del Ministero una seconda Nota Prot.n.2504. - 20.9.90 - L’ostilità preconcetta dell’arch. De Cunzo continua e il Ministero emette l’approvazione definitiva con la Nota Prot.n.9118. - 6.6.91 - Finalmente il nuovo Soprintendente Elio Garzillo concede la vidimazione richiesta. Da questa data il progetto approvato è affidato per la sua realizzazione al Povveditorato alle Opere Pubbliche di Napoli, Sezione di Avellino. Trascorrono sei lunghi, anni fino al 5.12.96 quando i lavori di ricostruzione vengono appaltati alla Ditta F.E.N.O.D.E.L., che apre il cantiere il giorno 4 giugno 1997 con l’impegno di terminare il primo lotto entro il 3.3.98. Invece il 26.6.2000 viene firmata la rescissione del contratto da parte della Ditta FENODEL, lasciando il cantiere nel più completo abbandono. Passano altri due

1984 - La Curia Arcivescovile affida l’incarico della progettazione della nuova Chiesa all’Ing. Vittorio Gigliotti. - 25.9.85 – L’ing. Gigliotti presenta la prima bozza del progetto e ascolta i suggerimenti dell'Arcivescovo, del

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Il geom. Luigi Giacinto dirige i lavori di completamento per conto dell'Impresa


IN MEMORIA DEL SINDACO MELILLO Ognuno deve lasciarsi qualcosa dietro quando muore: un bimbo, un libro, un quadro, una casa o un muro eretto con le proprie mani. O un giardino piantato con il nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando

moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato noi saremo là.

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e mostrando un’altrettanta tranquillità e sicurezza si conversava delle cose politiche e di quelle della vita cercando per ognuna di esse una spiegazione ed una soluzione , come se per te il male che ti consumava non ti appartenesse come se tu avessi scisso dal tuo spirito quel corpo che continuava a deperire E’ questa una conquista di solo quegli uomini che hanno saputo vivere e che hanno vissuto interrogandosi e cercando continuamente il senso di questa vita terrena. Allorquando ti stringevo la mano per andare via i tuoi occhi che al mio arrivo mi avevano comunicato la tua gioia di incontrarmi di poterti intrattenere un po’ con me, tornavano a comunicarmi con dolcezza e serenità quello che non mi hai mai detto a parole: sono in compagnia di questo terribile male di cui come medico conosco la sua portata devastatrice, è una lotta senza speranza ma lotto per comunicare il mio amore a mia moglie ed ai miei figli che mi vogliono vedere lottare contro questo nemico che ha messo radici nel mio corpo. Che grande lezione di umanità e coraggio hai voluto impartire a me e a quanti ti sono stati vicini, lezioni di vita che senza rumore entrano in noi per trasformarci in uomini che sanno vivere bene ma che sanno altrettanto morire bene, accettando la morte come ultimo atto della vita senza grossi traumi e senza grande rumore avendola riconosciuta come parte integrante della natura delle cose che ci circondano. Sindaco grazie per tutto questo, grazie per l’impegno civile che hai speso per il bene della nostra comunità, grazie per l’amore e la comprensione verso l’altro che accompagnava sempre la tua opera di medico: tutta questa affettuosa ed indimenticabile riconoscenza che ti viene dal popolo di Caposele possa esserti di conforto in questo misterioso viaggio , ma altrettanto pieno di speranza per chi crede, come te e me. Ciao Sindaco Giuseppe Melillo.

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Sindaco , come adesso ti sento vicino a me ti sentirò presente nei giorni a venire allorquando, insieme agli altri consiglieri, lotterò e farò fatica per percorrere quest’ultimo pezzo di strada che abbiamo individuato e condiviso insieme. Ci lasci un grosso peso , una grossa responsabilità e un grande vuoto ma insieme a te tante vittorie sono state possibili e per te io con gli altri conquisterò tante altre mete per il progresso ed il benessere della nostra comunità tanto amata da te e da noi. Non posso lasciarti senza spendere una parola sull’uomo e sul medico. La tua grande capacità di diagnosticare le malattie abbinata ad un forte senso di adesione al giuramento di Ippocrate hanno fatto sì che hai sempre operato con spirito missionario :la tua ricompensa era nel vedere alleviate le sofferenze dell’ammalato. E di questo siamo testimoni tutti noi caposelesi. Infatti da uomo equilibrato e saggio quale sei stato avevi un rapporto molto distaccato col denaro, non hai mai deciso o operato per denaro. Ti sei sempre alimentato di idee e sentimenti preoccupandoti sempre del bene comune: per te il denaro era solo un mezzo di sostentamento per condurre una vita parca . Tutto questo è stato uno stile di vita che certamente ha avuto le basi nel passaggio dei studi liceali alla Badia di Cava. Il tuo modo di sentire era impregnato dal messaggio evangelico e per quanto non più assiduo praticante non hai smesso di vivere i valori cristiani e del credere. Ti ricordo e mi ricordo di quando nella basilica di S. Gerardo durante una messa io andai a prendere la comunione al ritorno guardandomi mi hai chiesto se anche senza la confessione una persona poteva cibarsi del-l’ostia,velando un forte desiderio di farlo;ed io ti risposi sindaco se sei in pace con la tua anima puoi farlo. La tua risposta fu uno di quei tuoi sorrisi che comunicavano un gioioso grazie . Sindaco, in questi ultimi giorni hai scritto le ultime pagine del libro della tua vita intingendo il pennino in quel grosso calamaio che hai riempito nella tua non lunga ma intensa esistenza:quando venivo a renderti visita con grande dignità

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Carissimo Sindaco Tocca a me tuo vice, rivolgerti un breve ma affettuosissimo saluto quale portavoce dell’Amministrazione comunale e dei tanti caposelesi qui convenuti. Tutti qui davanti a questa bara che racchiude il tuo corpo,ci sentiamo privati di qualcosa: chi si sente privo del sindaco,chi si sente privo del medico,chi si sente privo dell’amico ed i familiari attoniti si sentono privi del marito,del padre del fratello. E’ questo senso di mancanza improvvisa ci attanaglia togliendoci la verve di fare o pensare qualsiasi cosa. Questa morsa, per me si allenta pensando al quel tuo senso fatalistico che avevi degli avvenimenti che coinvolgono l’uomo: per te solevi ripetere, è tutto scritto se una cosa deve succedere non c’è cosa che possa impedirla.E questo pensiero ti faceva essere positivo in qualsiasi occasione di difficoltà. E oggi anche io seppur con un moto, sopito a forza di ribellione per il destino che così presto ha voluto portarti via dalla tua famiglia carnale e da quella dei caposelesi dico che tutto è nel naturale ordine delle cose. Più di sette anni fa insieme iniziammo l’avventura politica che ti ha visto eletto nostro Sindaco per due mandati consecutivi. E devo dire che anche se le nostre strade fino a quel momento non si erano mai incontrate ben presto ci accorgemmo di avere molte cose in comune che furono il cemento per la costruzione della piattaforma amministrativa e dei programmi per lo sviluppo di Caposele. Il tuo altruismo ed il tuo entusiasmo nel credere possibile la realizzazione di progetti che la mia mente più radicata alla razionalità faceva fatica a immaginare mi ha contagiato positivamente più volte, ed alcuni successi amministrativi si sono realizzati grazie a questo. Il nostro progetto ancorato allo sviluppo possibile e sostenibile del territorio si è basato e si basa sulle risorse più importanti del territorio: turismo e ricchezza dell’acqua. Il tutto che crescesse insieme ad una comunità che si sentisse perfettamente ed armoniosamente integrata con la consapevolezza di esseri tutti trattati allo stesso modo sia nei diritti che nei propri doveri. Poteva sembrare utopia all’inizio ma le tante lotte affrontate insieme ci hanno fatto fare un bel pezzo di strada,tale da iniziare a vedere l’obiettivo finale.

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Non ha importanza quello che si fa, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta la vita.

Gerardo Monteverde

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In memoria del Sindaco Melillo

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pentito, aveva stracciato tutto e si era iscritto a medicina. La causa che mi avevano affidato si risolse felicemente per il comune e mi confermarono la fiducia per un secondo procedimento molto delicato. Le mie presenze nella stanza del sindaco si fecero più intense. Devo confessare che, quando mi restava un pò di tempo alla fine della ordinaria mattinata in tribunale, passavo dal sindaco anche solo per salutarlo, commentare i titoli dei giornali che comprava in gran quantità, e soprattutto assorbire quanto più possibile della sua naturale capacità di trattare con le persone. Col tempo ebbi la conferma di quanto avevo supposto sin dalle prime volte che lo avevo frequentato: aveva un coraggio da leone. Un coraggio che non ho mai riscontrato in altri individui che abbiano una qualche responsabilità. Nella vita ti capita di avere a che fare con tante persone le quali hanno il potere di decidere sulla sorte degli altri, sulla loro libertà, sulla loro proprietà, sul loro posto di lavoro, o solo sul rilascio di un misero certificato. Il più delle volte ti rendi conto che nessuno ha il coraggio di fare un passo al di fuori dell’ordinario, nessuno rischia qualcosa di suo per il prossimo, nessuno muove una foglia per aiutarti se ritiene che la cosa sia minimamente azzardata. Il dottore Melillo, invece, aveva coraggio da vendere. Quando riteneva che un’azione, un progetto, una sua idea, andavano a vantaggio della comunità, non c’era verso di fermarlo. Credo che avesse dalla sua parte la convinzione che quando si agisce onestamente, per il bene del paese e dei suoi cittadini, non ci sia nulla da temere. Ma in più aveva la forza che gli derivava dall’essere un bravo medico,

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Mi sia consentito, per una volta, di scrivere di fatti assolutamente personali. Una mattina di ventisette anni fa, al mio risveglio, mia madre mi accolse con uno sguardo insolitamente solenne. Non attese molto per dirmi “E’ morto il sindaco” e ricordo ancora adesso la mia reazione insieme di stupore e dispiacere. La notizia inizialmente mi sorprese perchè, nella mia concezione di bambino di otto anni, la figura del sindaco andava al di là del comune essere umano sfiorando quasi l’immortale. Era come se quella carica lo rendesse immune da ogni male e lo obbligasse a conservarsi energico fino alla scadenza del mandato. Inoltre Don Ciccio, come ero abituato a sentirlo chiamare, era l’unico sindaco che avessi mai conosciuto e – sempre nella mia visione di bambino – ero persuaso che quel contesto dovesse durare in eterno. In questo ero ingannato anche dal fatto che gli anni dell’infanzia, al contrario degli anni successivi alla maturità, si avvicendano molto lentamente, ed ogni situazione sembra immodificabile. Ma, come dicevo, ero anche molto dispiaciuto perchè il sindaco era il nonno della mia cara compagna di scuola e del mio amico Franco, con il quale passavo intere giornate sotto casa. Lo immaginavo assai triste in quel momento e ripensavo a quella volta che il sindaco ci fermò mentre bighellonavamo “ammondu” e ci diede cento lire ciascuno. La qual cosa mi sorprese perchè all’epoca, dai grandi per strada, al massimo potevi buscarti una sgridata. Ma per Franco quello era un comportamento del tutto usuale da parte del nonno, che ai miei occhi divenne ancora più simpatico.

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Un sindaco per amico

Quasi dieci anni dopo, una caduta al campo sportivo mi aveva aperto tutto il gomito sinistro ed il buon Cenzo Biondi mi portò sanguinante dal dottore, che all’epoca aveva lo studio in Corso Europa. Senza proferire parola prese ago e filo e, mentre il buon macellaio mi teneva fermo come un agnello, a caldo mi cucì un rattoppo lungo dieci centimetri che, naturalmente, porto tuttora con me. Ma chi non è passato dal suo studio? Per fortuna, i ricordi successivi hanno a che fare con la sua esperienza di sindaco, e sono quelli che maggiormente mi hanno permesso di conoscerlo, di apprezzarlo e di esserne conquistato. Durante il suo secondo anno da sindaco, stavo seguendo una specializzazione a Napoli dove avevo trovato temporanea dimora. Una mattina mi chiama il centralinista del comune e mi invita a recarmi d’urgenza a Caposele perchè avevo avuto la nomina a difensore in un procedimento che aveva tempi molto stretti. Non nascondo di essermene meravigliato perchè l’anno precedente non avevo appoggiato quella amministrazione alle elezioni ma, per un giovane avvocato, quella era una buona opportunità e l’afferrai al volo. Cominciai a dover salire e scendere più volte le scale del municipio per una firma, un documento, un chiarimento, e tutte le volte ne approfittavo per restare qualche minuto in più nella stanza del sindaco per osservarlo - così come avevo fatto la mattina successiva al terremoto - e studiarlo mentre interagiva con i dipendenti, parlava con gli assessori, risolveva i problemi che quotidianamente si presentavano, strigliava per telefono coloro che intralciavano col burocratese la macchina amministrativa. Una volta mi disse che, dopo il liceo, si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza, ma, mentre scendeva le scale della segreteria se ne era già

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Il Sindaco in una foto ricordo con la moglie Franca e con il genero Armando dopo la inaugurazione del Polo Scolastico

Dopo quasi trent’anni, purtroppo, si è ripetuta una situazione analoga: la morte del sindaco. E il segno che il tempo passa, e che i bambini di allora sono gli adulti di oggi, è dato dal fatto che a darmi la notizia, questa volta, è stato mio fratello, e la persona che se ne è andata non era il nonno ma il padre di un mio amico. Questa volta, naturalmente, non ho provato la stessa sensazione di stupore di quando ero bambino, perchè la vita ti porta ad avere molte prove della mortalità dell’uomo, ma non nascondo di avere provato un enorme dolore ed un enorme senso di perdita. Penso che molti abbiano provato ed avvertano tuttora lo stessa sensazione. Perchè il sindaco non era esattamente un uomo comune: per la sua capacità di parlare a tutte le persone indistintamente, di saperle ascoltare, di coinvolgerle e persuaderle senza necessariamente alzare la voce e senza mai parlare di sé, dei suoi successi, della sua popolarità e della stima riconosciuta di medico. Penso proprio che il dottore, per questo ed altro ancora, mancherà a tanti amici, a tanti caposelesi, ed a tanti che, come me, hanno avuto solo pochi anni per conoscerlo davvero. Sono certo che ognuno tra quelli che mi stanno leggendo, avrà memoria di almeno un episodio che lo lega a lui. Io ricordo esattamente il primo giorno che l’ho visto, o almeno, la prima volta che l’ho guardato per davvero. Era la mattina successiva al terremoto e la mia famiglia, come molte altre, aveva trovato riparo nel campo sportivo. Il terreno di gioco era stato invaso dalle automobili dove avevamo trascorso la notte, ma sotto una delle porte, la più vicina all’entrata, si era messo questo giovane medico, su una sedia, che con caparbietà suturava ferite e somministrava bendaggi e cure urgenti. Rimasi a guardarlo per un poco ed ebbi, quindi, il primo segno che, nonostante tutto, la vita continuava, ed ognuno doveva tirare fuori le proprie capacità per far ripartire il paese. Il secondo episodio che mi viene in mente non è molto differente.

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Stiamo salutando un grande uomo. Un uomo che in un modo o nell’altro ha segnato la vita di ogni caposelese,non solo come sindaco ma soprattutto come medico ed “essere uomo”,CAPACE DI METTERSI AL SERVIZIO DEGLI ALTRI IN MODO GRATUITO. Oggi ero a lezione,e forse,chissà, un odore mi ha ricordato della sua forte presenza nella mia Infanzia.Quante volte ci sei stato? Tante, davvero tante volte. Ogni volta che ero ammalata i miei genitori non esitavano a chiedere il tuo aiuto e tu da parte tua non esitavi a DARE il tuo aiuto. Insomma sei sempre stato là ad attendere,a metterti a disposizione ad ascoltare i bisogni degli aitri. Ed è questo li più bel ricordo che voglio preservare di te. CIAO GRANDE UOMO Valeria

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Il Sindaco riceve dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la medaglia d’oro riservata ai Sindaci dei paesi terremotati


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fatto bisogno. Quella calunnia avrebbe fatto un buco nell’acqua. Era assolutamente sicuro delle sue azioni, del fatto che la sua attività amministrativa era stata indirizzata solo a favore della comunità, e non temeva nessun procedimento. Avrebbe continuato come se niente fosse successo. Non spese nessuna parola per l’avversario che l’aveva denunciato credendo di poterlo sconfiggere in quel modo. Aveva, come sempre, un coraggio unico. E’ stata quella una delle ultime volte in cui ho parlato con il dottore. Non ho ancora detto che, nonostante la confidenza che avevamo raggiunto, non ho mai trovato il coraggio di chiamarlo, come tutti facevano, Peppino. Ma ricordo precisamente l’ultima volta che ci siamo stretti la mano – e, come me, la ricorderanno tanti caposelesi che gli hanno voluto bene – al matrimonio del figlio Nicola. Verso sera ci salutammo perchè l’indomani doveva partire per un lungo viaggio. Insieme con tutti i giovani amici gli dicemmo di tornare presto perchè tutto sarebbe andato bene, ma una parte di noi sapeva che non era vero. Mi tenne a lungo la mano e per la prima volta lo vidi sofferente. Sapeva che avrebbe dovuto usare tutto il suo coraggio per la battaglia più difficile. Buon viaggio, dottore. Alfonso Sturchio

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comunemente riconosciuto, e dall’essere stato scelto come sindaco direttamente dai suoi elettori, senza intermediazioni. E questo gli consentiva di non dare alcun peso al suo futuro professionale e politico e, se c’era da difendere gli interessi di Caposele, non esitava a mandare a quel paese burocrati, presidenti e commissari vari di tutta la provincia. Capitava che mi chiedesse se un suo progetto presentasse delle trappole, degli impedimenti legali che potessero intralciarlo, ed a volte gli esponevo tutti i rischi cui andava incontro. Ma era del tutto inutile. I progetti partivano regolarmente e, tra curve, scossoni e frenate, giungevano sempre in porto. Era convinto che dal bene non potesse derivargli mai del male. Ricordo quando gli comunicai che avevamo vinto la causa per il mantenimento di una discarica di rifiuti che lui aveva fortemente voluto. Mi rispose con un sorriso, senza eccessivo entusiasmo, perchè già sapeva che da un fatto positivo non poteva discendere alcuna conseguenza avversa. Non tutti sanno che, se a Caposele si è avvertita solo in maniera marginale l’emergenza rifiuti, quando in tutta la provincia per mesi le strade erano colme di immondizia, il merito è della sua mancanza di paura, della sua capacità di dare umanità alle regole ed interpretarle nell’interesse dei suoi concittadini. Delle virtù che gli sono state riconosciute non ci si è mai soffermati abbastanza su questo aspetto: sul suo coraggio. Ricordo che una domenica mattina di quest’anno mi chiamò per offrirmi un caffé al bar di Giulio. Era una bella giornata assolata di maggio e non sapeva ancora della malattia che già lo stava lacerando piano piano e che avrebbe scoperto solo il mese successivo. Davanti al bancone tirò fuori dalla giacca un foglio di carta e mi invitò a leggerlo. Mi chiese “Vedi un poco questi che vogliono”, come se fosse stato l’invito ad un convegno. Era invece un atto del tribunale per una indagine che scopriva essere a suo carico. A chiunque altro, credetemi, gli sarebbero tremate le gambe. Al dottore, invece, sembrava non gliene importasse granchè. Feci per tranquillizzarlo dicendogli che me ne sarei occupato immediatamente, ma non ne aveva af-

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In memoria del Sindaco Melillo

Marco Mattia Presidente Assemblea Studentesca

I Comuni viciniori partecipano al corteo funebre con i propri gonfaloni

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In memoria del Sindaco Melillo

In memoria di Peppino Melil-

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e morale, di guida ed animatore delle attività municipali e che con affettuosa partecipazione hanno seguito la Sua vicenda umana, avrebbe potuto certamente chiedere di essere liberato dalla posizione e dai vincoli che Gli derivavano dalla carica ma non lo ha fatto. Non lo ha fatto perché non si è arreso alla Sua malattia e ha voluto testimoniare, fino alla fine, il Suo attaccamento al mandato ricevuto per ben due volte ed in condizioni certamente non facili dal popolo di Caposele. Si può dire perciò, senza retorica, che è morto sulla breccia e che anche nella morte ha manifestato il Suo amore per il proprio paese e per i suoi concittadini. - Della Sua eredità forse è prematuro parlare, ma, come tanti segni del Suo lavoro e della Sua opera resteranno a lungo sul territorio e nel tessuto sociale di Caposele, così il patrimonio delle Sue idee, mai abbandonate o barattate nel volgere delle più generali vicende politiche, sono certo costituirà un punto di riferimento per quanti vorranno partecipare alla vita pubblica del proprio paese con spirito di libertà e di giustizia. Di ciò Gli sono grato e Lo ringrazio pubblicamente.

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e veniva a turbare persino quel momento di profonda gioia familiare. Ma non ebbi il tempo di dire qualche parola, in ogni caso insufficiente; fu solo un momento e subito si riprese, come Lui sapeva fare nei momenti difficili. Il seguito è noto e purtroppo assai doloroso ma esso ha dimostrato la volontà ferma di Peppino di combattere fino in fondo la Sua più difficile battaglia, senza arrendersi. Così è stato, e così Lo ricordo, nel Suo attaccamento alla famiglia, sorretto e quasi protetto dalla infaticabile tenacia di Franca, circondato dall’affetto dei suoi ragazzi che sapeva ancora tenere raccolti intorno a sé in una stanza di ospedale come tante volte mi era capitato di osservare all’interno della Sua casa, confortato dalla presenza di Gerardo ed Ernestina, sostenuto dalla testimonianza degli amici ammessi al Suo capezzale e dalla partecipazione discreta e commossa manifestataGli, da lontano, da una intera popolazione. Lo ricordo così, fino alla fine, con la mestizia del Suo sguardo consapevole che all’improvviso si rianimava, nella discussione, e ritrovava l’umore abituale e l’interesse alla vita. Così anche ha voluto resistere fino alla fine, nel Suo ufficio di Sindaco di Caposele. Ai Suoi assessori e consiglieri, che sempre ne hanno riconosciuto il ruolo, istituzionale ma anche politico

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politiche ed amministrative che lo hanno visto presente sulla scena della vita pubblica di Caposele, con grande vivacità ma anche con compostezza e con la Sua naturale apertura al dialogo, sempre in posizioni di primo piano e negli ultimi sette anni al vertice della Amministrazione Comunale. Era impegnato a dare corpo alle idee ed ai sogni della Sua giovinezza ed a completare, così, la Sua opera di amministratore, già ricca di tante concrete e significative realizzazioni, ma negli ultimi e brevissimi mesi della Sua vita si è manifestato il morbo insidioso ed incurabile che ne ha segnato la fine e del quale è stato pienamente consapevole. Ricordo una luminosa giornata estiva ed una chiesetta posta in alto sulla montagna di Calabritto. Si era appena celebrato il matrimonio religioso di Nicola con Bianca, e nell’accostarmi a Lui e nell’abbracciarLo ho colto sul Suo viso un segno di commozione e di turbamento. Da qualche giorno – mi disse - Gli era stato diagnosticato un tumore ed era già stato programmato il Suo ricovero presso un ospedale specializzato di Torino, ma non era ancora partito per non mancare al matrimonio di Nicola. Era chiaro il perché della Sua commozione che nasceva dalla coscienza della grave insidia che irrompeva, a tradimento, nella Sua vita

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o avuto con Peppino Melillo un rapporto durato quaranta anni e vissuto con reciproca intensa e, per lunghi tratti, quasi fraterna assiduità e compartecipazione. Ora, a poche settimane dalla Sua morte, alla quale ancora non riesco ad abituarmi, avverto fisicamente la Sua mancanza, quasi un vuoto che non mi permette di ricordarne la figura e l’opera, come merita e come spero avrò occasione di fare. - Nel vuoto si affollano, tutti insieme, i ricordi e gli affetti di una vita intera, a cominciare da quelli familiari e privati che ora si colorano della luce vivida e lontana della giovinezza e che, in questo momento di mestizia, sono certo di sapere affidati, per sempre, alla custodia amorevole di Franca, sua meravigliosa compagna di una vita, ed, insieme a lei, alla memoria dei loro quattro magnifici figli Angela, Nicola, Lorenzo e Marco. - E ritornano pure i ricordi di una forte e coerente passione civile che, a partire dagli anni della prima giovinezza, ha animato un impegno umano, professionale e politico mai interrotto e che ha portato Peppino ad intrecciare le Sua attività di medico ed operatore sanitario, esercitata sempre con profondo senso di umanità e dedizione, con le esperienze più propriamente

di Antonio Corona


Fatti e Personaggi del nostro Paese Gli episodi storici anteguerra raccontati da Vincenzo Di Masi hanno stimolato alcuni nostri concittadini vicini e lontani alla ricerca di fatti accaduti nel nostro

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Paese. Riportiamo tutto quanto raccontato dal nostro concittadino Giuseppe Caprio residente in Bologna. Naturalmente non assumiamo nessuna responsabilità circa la veridicità dei fatti riportati, non avendoci lo stesso fornito adeguata documentazione a riguardo. Pubblichiamo con il beneficio dell’inventario; ed è ciò che faremo per le prossime analoghe pubblicazioni. La redazione

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UNA "TRUFFA" DI TANTI ANNI FA di Giuseppe Caprio

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sono realmente accaduti: senz’altro mancano particolari e a tanti perché non saprei rispondere, ma il fatto è questo e chissà quanti italiani hanno

mangiato ossa sotto forma di olio. Ad onor del vero nessuno morì per questo (credo) o almeno non mi risulta siano state fatte indagini al riguardo;

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ricco, la moglie è più ricca di lui, non ha. figli, quindi non ha bisogno di niente, e chi tenterà di corromperlo verrà denunciato con tutte le conseguenze del caso”.­In seguito a ciò molti piccoli oleifici chiusero, ma anche molti tornarono sulle retta via. Le grossissime aziende che veramente avevano la proprietà degli oliveti, furono trovate in regola. Il risultato fu che venne studiato un regolamento per la produzione e commercializzazione di olio e furono introdotte le varie tipologie per legge: “olio extra vergine di oliva....olio di oliva.. rettificato .... lampante. Nello stesso tempo trovarono la maniera dì vendicarsi, subdolamente, del Dott. Trillo e per vie politiche fu trasferito,sempre come medico provinciale, a Sulmona. Qui fu accolto dai produttori di olio, con un certo pessimismo e non certo con il sorriso.Ma la natura ha il suo corso; il dott. Trillo, raggiunti i limiti di età, fu posto in pensione; dopo pochi mesi morì.Questi fatti da me raccontati

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Il fatto che qui racconto è accaduto tra il 1955 ed il 1965. Per le date la mia memoria non è molto forte; per i fatti sì: li ricordo perfettamente. Imperia: mio zio dott. Angelo Trillo, vi viene trasferito con la funzione di medico provinciale (istituzione che ora non esiste più in quanto i compiti sono svolti dalla U.S.L.); prima il dott. Trillo era dirigente sanitario dello scalo marittimo di Genova. Giunto ad Imperia sposa la figlia di un armatore di Porto MaurizioImperia Da osservazioni e rilievi fatti personalmente dal dott. Trillo, nascono alcuni sospetti; il principale era l’arrivo nel porto di Imperia di navi tipo Liberty, cariche di ossa di animali; queste navi provenivano un po’ da tutti gli scali del mediterraneo. Il carico di queste navi veniva tutto scaricato ad Imperia. Questo fatto, veramente eccezionale, spinse il Trillo ad accertare l’uso di queste carcasse di animali. Finalmente, dopo aver fatto un po’ di sondaggi, una mattina telefona al Comando Carabinieri di Imperia (non esisteva ancora il nucleo NAS) e si fa assegnare una squadra senza dire a cosa sarebbe servita. In poche ore visita parecchi oleifici sequestrandone a titolo cautelativo per indagini, campioni del prodotto.Il 90% risulta olio spacciato per olio di oliva; era invece il prodotto proveniente dalla lavorazione di ossa e tendini di animali. I1 Dott. Trillo aveva fatto centro. Si scatenò l’ira di Dio: i giornali di tutta Italia ne parlarono pubblicando anche foto delle navi per parecchi giorni. Ne seguirono denuncie su denuncie, minacce e tentativi di cor-ruzione. Ma mio zio non cedette; anzi fece affiggere un manifesto in Imperia più o meno di questo tenore: “il dott. Trillo è

Giuseppe Caprio alla mitragliatrice nella postazione DICAT (Difesa contraerea territoriale) dell’Acquedotto Pugliese. “...la mitragliatrice era francese, modello Saint Etienne del 191518; arrivò smontata e fu rimessa in efficienza sul posto, le munizioni arrivarono dopo pochi giorni....dopo questa foto consigliai di camuffare la postazione:era troppo visibile!”

Panorama di Caposele. Cartolina postale Panorama del 1923 (fornita da G.del Caprio) di Caposele 1923

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di Alfonso Merola

STORIE DELLA NOSTRA EMIGRAZIONE

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Da Caposele… a Long Island

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E’ interessante, allora, ripercorrere le tappe dell’emigrazione caposelese tra gli anni 1890-1950 per capire come esista una sorprendente coincidenza di comportamenti e di esperienze nei processi migratori che, a prescindere dalle etnie e dai tempi della storia, si ripropongono sempre con gli stessi problemi. A questo riguardo ci giunge utile una pubblicazione di qualche anno fa, edita dall’Università di Newark (“Little Italy – The vanished First Ward”) Questo libro è una miniera di informazioni sull’emigrazione di Irpini e Salernitani che scelsero di insediarsi nel New Jersey in un arco temporale di 60 anni, immettendo in una comunità anglofona una robusta presenza mediterranea.

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( e non solo ) coi suoi capannoni industriali, adibiti a primi centri di raccolta e di smistamento con tanto di polizia e gabinetti sanitari per i ricoveri in caso di quarantene. Erano i moderni Centri di Permanenza Temporanea (CPT)! Se tutto andava bene, dopo qualche settimana, si sbarcava sulla terra ferma e da lì cominciava la vera avventura.I più fortunati avevano sempre qualche parente ad attenderli, i meno fortunati erano, invece, intercettati da veri e propri mercanti di braccia con tanto di interpreti e la proposta allettante di una baracca plurifamiliare. Altri, ancora, andavano a zonzo: erano spesso armati di un italiano approssimativo al quale si aggrappavano, consapevoli del fatto che i loro dialetti astrusi non sarebbero serviti un granchè. Sostiene Lewitt che gli italiani raramente si stabilivano oltre la East Coast: non se la sentivano di spingersi oltre, in territori ancora selvaggi con la prospettiva di dover fare ancora il contadino o magari l’operaio in zone a stragrande presenza di anglofoni. “ Ci sono tanti italiani nel New Jersey, a Newark!” si sentivano ripetere “ Sta nascendo Little Italy!”. Fu così che il New Jersey diventò una calamita per tanti Irpini e Salernitani dell’Alto Sele….. Primi arrivi a Newark Sostiene Alex Boyd che esiste una “biografia caposelese della vita newarkese che si caratterizza come micro-storia di una comunità capace di integrarsi nella realtà del New Jersey, anche tra le mille difficoltà. I primi Caposelesi giunsero a Newark nel 1837, dove, si è detto, esisteva una robusta Little Italy nel quartiere chiamato

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immigrati: tra le migliaia di immigrati che si riversano sulle nostre coste, un numero sempre più cospicuo tende a stabilirsi qui o tale è l’aspirazione. Senza addentrarci nelle discussioni oziose sull’emigrazione legale o clandestina, quel che più preme, è rilevare che lo Stivale ha una sua attrazione. Molti immigrati sostengono che gli italiani, al di là delle divisioni politiche, sono i più solidali e i meno razzisti in Europa: altrove, non c’è dubbio, la rete istituzionale di accoglienza è più robusta, ma le relazioni umane di tipo interetnico sono un disastro. Concludono, a questo punto, molti studiosi che il razzismo ed i pregiudizi sono più a livello istituzionale/politico in un gioco tra le parti di un ceto dirigente bipolare che trae le sue ragioni di esistere nel dividersi in tutto e tutti. Accade così che in questo ingranaggio finiscono gli stessi immigrati. Infatti, tra la gente la divisione è meno esasperata e, spesso, indotta ideologicamente: e non poteva essere che così per un popolo, per antonomasia, di immigrati che ha conosciuto “quanto di sale sa lo pane altrui”. Tra gli italiani,poi, c’e una demarcazione dell’empatia e della pietas che spacca l’Italia in due: c’è un Nord ricco che,anche se non può fare a meno degli immigrati, ama poco l’integrazione e c’è un Sud povero, che non ha per niente bisogno di immigrati e non di meno odia alzare barriere troppo umilianti. In tutta evidenza è segnato nell’inconscio collettivo degli italiani la storia dell’emigrazione e questa è una risorsa che a lungo andare, ritornerà utile all’Italia in un mondo che prima o dopo, dovrà fare i conti con massicce migrazioni di interi popoli.

Gli anni 90 furono, come si sa, furono anni duri per l’Italia meridionale che, passata l’ubriacatura post-unitaria, si riscoprì più povera di prima, con una economia inchiodata ai parametri nordici e a rimorchio delle politiche di Piemontesizzazione. Se le città meridionali ressero alla meglio alla sfida di modernizzazione autoritaria della Destra e della Sinistra storica, non fu lo stesso per le aree rurali. Qui la caduta fu verticale e l’economia non andò oltre i circuiti territoriali minimi (mandamenti). Accadde, così, che la crisi non impoverì solo il già stentato livello di vita di salariati, mezzadri, coloni, ma anche la tenuta della microscopica borghesia produttiva dei centri minori ( artigiani, commercianti, ecc.). Se gli anni 60-80 vedevano emigrare solo i capi-famiglia verso la terra promessa americana in una prospettiva temporanea ( si diceva: E’partito a cercare fortuna, ma ritornerà.), in questo caso erano intere famiglie a prendere il mare (e definitivamente) per “atto di richiamo”. Gli U.S.A , è bene ricordarlo, non ponevano limiti di quote all’immigrazione europea di forza-lavoro, in una logica di esasperato liberismo per coniugare crescita economica e bassi salari. Vi è di più: gli italiani sono favoriti rispetto a francesi e spagnoli, per evitare la saldatura tra ispanici e francofoni già robustamente presenti in America ( Antille, America del Sud, ecc.) I viaggi della speranza dei boat-people verso l’Eldorado erano apertamente organizzati dalle stesse compagnie di navigazione che avevano i loro tentacoli di reclutamento e di smistamento delle forze-lavoro sia nei più sperduti paesi di origine che nel New Jersey. V’era una sorta di caporalato “legale” che agiva un po’ dovunque dietro “ Agenzie di viaggio”: a Caposele ce n’erano due e in forte concorrenza tra di loro perché in molti casi, coi dovuti collegamenti negli U.S.A., manovravano le rimesse degli emigrati. In alcuni casi queste agenzie avevano la parvenza di banche locali che spesso fallivano, ovviamente a danno degli emigrati…. Prendevano il mare, a quell’epoca, 50 – 60 persone all’anno. Partivano dal porto di Napoli, stipati in autentiche carrette atlantiche che facevano la spola tra l’Italia e New Jork: partivano per New York tante merci-lavoro e sempre a New York si imbarcavano dirette all’Italia tante merci vere. L’Odissea durava settimane e, provati da fame e malattie, infine, approdavano a Long Island, la Lampedusa degli italiani

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a qualche anno l’Italia ha scoperto di essere diventata terra di

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Caposelesi a Newark

“First Ward”. Newark, all’epoca, era un centro industriale e commerciale in rapida crescita che aveva già metabolizzato l’ondata di immigrazione del 1850 (inglesi, scozzesi, irlandesi, tedeschi, polacchi, italiani del Nord).quasi tutti gli italiani del First Ward si erano sistemati a Boyden Street, in un’area, a Nord della città poco urbanizzata: i registri municipali dell’epoca annotano la presenza di persone originarie di Teora, Caposele, Calabritto, Conza, Lioni, ma anche di Muro Lucano, S.Fele e Castelgrande. Questo nucleo compatto di pionieri meridionali delle zone interne, doveva poi spargersi in tutto il New Jersey ( Belleville, Bloomfield, ecc.), man mano che dall’Italia ( e non solo) giungevano nuove ondate di immigrazione (1913 – 1920). Qui essi resteranno fino agli anni 50 quando fenomeni di migrazione interna (Afro-americani ed ispanici) modificheranno l’equilibrio etnico della zona. Ritornando al 1873, si sa che gli emigrati dell’Alto Sele, giunti a Newark, facevano capo ad un certo Angelo Maria Mattia, originario di Calabritto, che ospitava, a pagamento, in uno stanzone a piano terra in Boyden Street fino a 30 persone. Sempre il Mattia fungeva da intermediario di manodopera tra italiani ed imprese ( l’attività era,ovviamente,legale). La maggior parte dei lavoratori era richiesta ed assorbita, a


Storie della nostra emigrazione

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Sono molto interessanti le cronache del tempo ( Italian Progress, L’ora, La Frusta etc.) spesso riportano la vita del quartiere e le storie curiose, qualche volta pennellate di razzismo. Si parla, ad esempio, di un non ben identificato Spezzafierro che accumulava dollari nascondendoli nelle intelaiature delle pareti di casa, non si fidava per niente di banche che nascevano e morivano come funghi, salvo, poi, a scoprire che i topi glieli avevano rosi tutti. Di tanto in tanto si leggeva di donne caposelesi o teoresi molto brave a scacciare il malocchio, si descrivevano nel dettaglio i loro riti magici…retaggi di “stregonerie” che qualche secolo prima le avrebbe condotte al rogo nella terra dei Padri Puritani… Si descrivevano, ancora, come strade intere di Nevarca erano rese pittoresche dalla conserva messa ad essiccare sui marciapiedi e della pigiatura di uva fatta “ a piedi nudi…” e, poi, della sovrabbondanza di soprannomi (nicknames) di cui i meridionali non sapevano fare a meno…

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La stampa e i Caposelesi

Gli anni della Depressione

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Quando giunsero gli anni della Grande Depressione (1929) la vita ritornò ad essere dura per la comunità caposelese. Non ci si vergognava di mettersi in fila al Centro di Distribuzione Municipale di Clifton Avenue per ritirare alimenti e carbone. In genere gli italiani si rivolgevano al Rettorato ella Chiesa di Saint Lucy per il pane, la carne e perfino per pagare le bollette del gas e dell’elettricità. Alcuni si spinsero a chiedere sostegno anche ai gangsters italo-americani della zona (Ric Boiardo). Non pensavano nemmeno alla lontana di rientrare in Italia: per loro equivaleva a denunciare il fallimento di una vita… E poi chi aveva tanti dollari per pagare i biglietti per sé e la propria famiglia? Presso i negozianti entrò in uso il credit book ma furono i molti a non vedere onorati i debiti. Le donne, dalle fabbriche ritornarono in massa a fare le casalinghe in qualche caso

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nel 1936: allora, per puro caso, si scoprì che Mussolini era un creditore di quella banca… andata in fumo!

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nell’Army per aiutare l’Italia a liberarsi dagli Austriaci, molti giovani meridionali, invece, si imbarcarono per gli U.S.A. per sfuggire alla coscrizione obbligatoria per una guerra che si annunciava come una vera e propria carneficina di diciottenni del Sud… Quando la guerra finì (1918) il quartiere del First Ward esplose in una festa incredibile: La Chiesa di S.Lucy suonò le campane per oltre mezz’ora. Le cronache locali riportano che ci furono dei tafferugli con la piccola comunità tedesca che pure viveva a Newark. Col dopoguerra si assiste ad un significativo cambiamento delle condizioni di vita dei Caposelesi: molti lasciano il lavoro dipendente e mettono in piedi attività terziarie in Garside Street. Nasce una prima banca (Salvatore D’Auria) e aprono numerosissimi bar-cafè, ristoranti,spacci alimentari ( che, poi, saranno impietosamente in crisi negli anni del Proibizionismo). Garside Street, inoltre, ospitava panettieri (Russomanno) barbieri, pastai, (Nisivoccia), calzolai, sarti e cappellai (Caprio) orologiai. Essa era una strada chiassosa come quelle dei paesi italiani: di sera c’era sempre qualche chitarrista a suonare melodie napoletane, i ragazzini dormivano sui marciapiedi, mentre gli adulti si trattenevano a discutere in gruppi lungo la strada e le loro donne, sedute su scale e seggiole, chiacchieravano fino a notte fonda …. I caposelesi “più famosi” di Garside Sreet erano tre:Zi Michele, Ze’ Cunzulata e don Salvatore. Michele era un macellaio, suonava con maestria il tamburo e si esibiva con grande successo soprattutto nella festa di S.Gerardo. Consolata, invece, era più nota di un ortopedico: nel retrobottega della sua drogheria, “cunzava r’osse”che curava ogni tipo di slogatura, lesione e frattura (sua sorella Filomena faceva la “maccarunara”ed appendeva la pasta sulle corde del giardino a seccare. Salvatore D’Auria, infine, era il più benestante del Garside Street. Arrivato a Newark nel 1885, lavorò dapprima come scalpellino, aprì, poi, una drogheria ed una banca dove affluivano tutte le rimesse di Avellinesi e Salernitani. Nella banca esercitava anche la professione di agente di viaggio. La banca fallì

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cinque centesimi al giorno, dalla Pennys Railroad inc. concessionaria della costruzione ferroviaria nell’intero New Jersey. Gli immigrati dell’Alto Sele, per essere dei semplici capi-famiglia la cui prospettiva di permanenza in America non andava oltre i cinque anni, erano chiamati “birds of passage”. Di fatto, tra il 1874 ed il 1891, solo due erano le famiglie ben impiantate a “Nevarca”: Alfonso Ilaria, barista e agente di lavoro, e Francesco Chiaravallo, pastaio ed esercente un food store. Arrivano le famiglie al completo Nella prima decade del 900 Newark era ormai la più italiana delle città U.S.A. Con i circa 22.000 connazionali, la rete commerciale era quasi tutta in mano di meridionali: cafè, ristoranti, panetterie, drogherie, barber shops, music hall (Di Masi), sartorie (Russomanno – Caprio) bande musicali (Megaro), compagnie teatrali dialettali (Vitale) etc. In questo periodo sorsero pure le prime società di mutuo soccorso; tra queste era famosa quella dei Caposelesi (Società Fraterno Amore di mutuo soccorso tra i Caposelesi). Essa nacque nel 1924 comunemente conosciuta come Fratellanza Society, nel 1935 essa fu sciolta e dalle sue ceneri nacque il Circolo Progressivo di Caposele. Questo circolo inizialmente era un club di sarti, tutti Caposelesi; il loro patrono, ovviamente, era S.Gerardo Maiella che, da piccolo, era stato un apprendista sarto. Gli animatori del circolo erano le famiglie Freda, Spatola, Caprio e Russomanno. Definirsi “Circolo Progressivo” non implicava nessuna opzione politica specifica, se non quella di segnalare una simpatia verso ogni genere di candidati repubblicani o democratici attenti ai problemi degli emigrati “non anglofoni”. Gli emigrati dell’Alto Sele nel 1912, d’altra parte, erano stati in prima fila nelle battaglie per il riscatto sociale: essi furono tra i più attivi fondatori dell’Indipendent Laborers’ and Diggers’ Union ( l’attuale sindacato italiano delle costruzioni). In quegli anni, pur ingaggiando lotte dure contro il patronato, ne uscirono per lo più sconfitti, anche perché si trovavano stretti nella morsa dell’ostracismo dei padroni e dei sindacati nazionali. Negli anni della prima guerra mondiale Newark assistette al curioso fenomeno in entrata ed in uscita di italiani: gli italo-americani, entusiasti si arruolavano

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Storie della nostra emigrazione

Parrocchiani di S.Lucy ma fedeli a S.Gerardo

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Funerali… a Newark Un altro evento in cui si distinguevano Caposelesi, Teoresi e Calabrittani erano i funerali. Non erano nella tradizione degli Americani i lunghi cortei funebri, scortati

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del fuoco fecero fatica a passare.Il funerale costò 20 dollari.

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da bande musicali e seguiti da una folla di amici e conoscenti. La veglia era organizzata a casa del deceduto, la porta di ingresso era addobbata con un drappo nero (bianco in caso di decesso di bambini). Per una giornata ed una nottata, si alternavano nella casa del defunto gli amici ed i parenti “a cantare le lamentazioni e le lodi al caro estinto”. Vicino alla cassetta della posta, c’era un quaderno in cui ciascun visitatore scriveva le sue generalità e l’ammontare del contributo a sostegno delle spese funerarie. Essendo vietata la cottura dei pasti in casa del deceduto, i vicini di casa si premuravano di portare il cibo alla famiglia in lutto (cuonzulu). Col passare degli anni nacquero le “funeral houses” su cui si buttarono a capofitto gli italiani. La prima funeral house in senso assoluto al First Ward fu quella del caposelese Gerardo Spatòla. E’ divertente la sua nascita. Gerardo Spatòla si era rivolto al Municipio per chiedere la licenza di tenere in casa un cane; per il solito equivoco comunicativo, egli si ritrovò tra le mani la licenza …di onoranze funebri. Divenne perciò, per un equivoco, il più importante “funeral director” nel New Jersey! Tra i primati da guinness della Spatòla Funeral House, ci furono delle esequie molto curiose che riempirono i giornali oltre il New Jersey. Oggi sono, per così dire, quotidiane negli U.S.A. le esequie per un animale domestico. Ma chi poteva immaginare che le prime esequie del genere in senso assoluto furono commissionate da un italiano, per giunta caposelese? Emidio Russomanno era un calzolaio di Boyden Street e nel 1920 perse il suo canarino. Chiese così al suo amico Spatòla di preparargli un funerale “coi fiocchi”.Ingaggiò una banda musicale di 15 elementi. Davanti al negozio del calzolaio la gente era assiepata attorno alla minuscola bara bianca di “Jimmi” posata sul banchetto da lavoro tutto ricolmo di fiori. Quando il corteo funebre iniziò a snodarsi per le stradine, si versarono molte lacrime. Non si sa se erano di pianto o di riso. In fondo questa era ed è l’America: un grande Paese dove tutto è permesso, a patto che non si infrange la libertà individuale altrui. Mentre almeno 10.000 persone erano concentrate lungo le strade del corteo, andò a fuoco la banca D’Auria ed i vigili

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c’era qualche tornaconto anche per gli abbottonati protestanti. Come detto altrove, S.Gerardo era parte della memoria collettiva degli italiani a Newark e la sua venerazione era già consolidata ben prima che fosse proclamato Santo. Le prime manifestazioni di fede a S.Gerardo sono attribuite ad Alfonso e Maria Giuseppa Alifano che per primi portarono al First Ward l’effigie del frate ( si dice che di tanto in tanto la portassero in processione nel First Ward, tra le perplessità della Chiesa ufficiale) E’ molto curioso un episodio a riguardo. Nel 1898 il Club dei Caposelesi commissionò in Italia una statua del Maiella: quando la statua arrivò nel porto di Hoboken molti caposelesi si recarono là per ritirarla ed in un inglese molto incerto chiesero: “S.Gerardo è arrivato?”). Il comandante della nave, controllando la lista dei passeggeri, escluse che a Napoli si fosse imbarcato qualcuno che avesse quel nome. Dietro insistenze dei Caposelesi, il comandante chiese ai suoi sottoposti di verificare se nella stiva ci fosse qualche clandestino. Più tardi fu chiarito l’equivoco, i caposelesi si caricarono la statua sulle spalle e, a piedi, raggiunsero il Ferst Ward. Da quel giorno in poi il culto per il patrono delle mamme e dei bambini crebbe sempre di più: erano molte le donne che scalze partecipavano alle processioni , tenendo per mano i loro bimbi vestiti di nero con il collaretto bianco. Nel 1920 fu creata una Saint Gerard Men’s Society per organizzare le feste annuali perché la festa del 16 ottobre era diventata ingestibile. Nel 1935, completata la New Saint Lucy’s Church, fu riservata al Santo una sontuosa cappella a sinistra dell’altare maggiore. Nel 1977, infine, S.Lucy fu dichiarata “ National Shrine of Saint Gerard”.

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Nella storia della comunità caposelese ebbe un ruolo importante la Chiesa Cattolica che crebbe passo passo assieme alla città italianizzata. Essa nel 1859 era presocchè minoritaria e si irrobustì sempre di più, grazie alla massiccia presenza dei meridionali campani e lucani, i quali scoprirono là che oltre il Cattolicesimo esisteva un altro Cristianesimo che non li amava troppo. Sempre Abbott sostiene che il cattolicesimo era un segno per marcare una peculiarità, non diversamente da come si comportano i musulmani d’America ai giorni nostri. Spesso la religiosità italiana era messa alla gogna per ostentato fanatismo folcloristico e pagano. Fu in quest’ottica comunitaria, allora, che Irpini, Salernitani e Lucani si strinsero attorno alla Chiesa di S. Lucy e con a capo due preti eccezionali (Don Pernotti e Don Ruggiero) non badarono a spese e nell’arco di trent’anni edificarono una delle più belle basiliche cattoliche d’America. Don Pernotti e Don Ruggiero faticarono non poco ad unificare culti provenienti da tanti sperduti paesini meridionali. La nuova Chiesa di S.Lucy, da questo punto di vista, rappresenta la sintesi del loro lavoro pastorale: essi unificarono i cattolici sul condiviso compromesso di recuperare e rispettare tutte le tradizioni religiose d’origine. Sono ben 18 le statue ivi venerate e tutte provenienti dall’Italia: S.Vito (Casalgrande), SS.Maria Incoronata (Ripigliano) Maria SS. Assunta di Pierno ( S.Fele), Madonna del Carmelo (Avigliano), S.Sabino (Atripalda), san Nicola (Teora), S.Gerardo (Caposele), San Rocco (Lioni), SS. Maria della Neve (Calabritto) etc. E’ da notare che nella Chiesa è S.Gerardo ad occupare il “posto d’onore” ed almeno per due motivi: egli unifica almeno due regioni ( Campania e Lucania) e poi il suo processo di santificazione coincide con la fase di massima espansione italiana a Newark. Dai registri parrocchiali di S.Lucy si riscontra che la festa più antica è quella dedicata alla Madonna della Neve (1888). Nel 1891 la festa di S.Rocco fu funestata da un’esplosione con morti e feriti nel saloon del caposelese Ilaria. Si riporta, inoltre, che c’era almeno una festa al mese a Saint Lucy e questo indispettiva i protestanti newarchesi che bollavano i meridionali di paganesimo “ con quelle loro processioni continue e rumorose…” La festa “oceanica” del 16 ottobre per S.Gerardo, invece, faceva zittire tutti: erano, infatti, moltissimi i fedeli che affluivano da New York State e dal New Jersey… e allora

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a lavorare a cottimo; gli uomini , invece, a dragare canali e piantumare strade (Public Assistence Programs). Le famiglie si aiutavano tra loro alla meglio, pur di non soccombere alla fame. Si registrarono anche odiosi fenomeni di xenofobia contro gli italiani, colpevoli, a dire dei tanti straccioni americani, di rubare il lavoro ai “natives”. Un dato curioso ed emblematico: durante gli anni della depressione l’assenteismo e la dispersione scolastica furono dell’1%. William Abbott sostiene che più che l’amore per lo studio, fu il piatto di “soup” ad attirare tanti bambini.

La malavita a Newark

C’è, infine, un capitolo doloroso per gli italiani su cui non si è mai indagato abbastanza e riguarda gli aspetti di generalizzato pregiudizio di cui la comunità italiana fu oggetto per molto tempo. Il ‘900 americano, si sa, è ricco di episodi di marcata malavita e, come sempre accade, quando lo Stato non è in grado di dare risposte adeguate, finisce col prendersela con gli altri e spesso a torto. In quegli anni il lavoro sporco fu condotto dai soliti giornali del posto che parlavano di “italiani dai comportamenti criminali, sempre armati di rasoi, pistole e stiletti”. In sostanza erano dipinti come lo stereotipo dell’italiano sangue-caldo. I meridionali, addirittura, erano considerati degli eterni stranieri, di una civiltà inferiore, turbolenti e permeabili alla manovalanza criminale. L’America in quegli anni era inondata da baby-gangs e, manco a farla apposta, tutte le volte che dei mocciosi venivano presi con le mani nel sacco, chi saltava all’occhio era sempre qualche italiano (poco importava se il resto della banda fossero, per così dire, “autentici americani”. In effetti, a partire dalla prima decade del ‘900, la Maga e la Mano Nera imperversavano, ma taglieggiavano soprattutto italiani benestanti. Solo più tardi mafia e criminalità locale si fusero e misero a ferro e fuoco la metropoli (spesso con la convivenza del potere politico). Gli italiani di Newark nel 1927 si trovarono a fronteggiare un episodio di sangue che fece molto scalpore:il proprietario di una gelateria irlandese, James Reid fu barbaramente ucciso durante una rapina e di quel crimine furono accusati 4 meridionali italiani, bollati come feroci assassini. Essi furono sbrigativamente processati e mandati alla sedia elettrica, nonostante si proclamassero innocenti per una vicenda costruita tutta su indizi, senza testimoni e senza prove. Il clima non era dei migliori per la comunità italiana se si pensa che solo qualche anno prima venivano mandati alla forca Sacco e Vanzetti.


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dopo aver contaminato positivamente i territori di approdo. La contaminazione culturale è sempre positiva ed è stupido aver paura di qualcosa che avanza e, per il solo fatto che è ignoto, si debba respingere come un nemico. Gli italiani, vale a dire, tanto temuti in principio sono stati parte significativa nella costruzione del sogno americano…Chi potrebbe immaginare che imbianchini, operai, ambulanti e quanti altro, percepiti là, come noi percepiamo magrebini o polacchi, avrebbero potuto fare tanto? Eppure è avvenuto e questo è il miracolo dell’integrazione e della tolleranza. Se la storia ha un senso, essa ci insegna, allora, che se non si ha paura dell’altro e lo si tratta da essere umano, l’altro può fare miracolo e magari aiutare un vecchio continente a sperare e a sognare.

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e napoletani). Newark divenne una città di divertimento con i suoi locali notturni, cinema e teatri e i tanti cantanti ed attori famosi che da Newjork e dintorni invadessero il First Ward ormai irriconoscibile. I Caposelesi restati a Newvark vivevano nella Eighth Avenue, zona residenziale di un certo fascino, inserita in una comunità italiana in senso più lato e diffuso rispetto alla città. Sono gli anni del fascismo e non mancavano occasioni per celebrare le glorie di Mussolini con le marcette e gli inni nazionali. Fu un trascinatore “fascista”, senza dubbio, Gerry Cetrulo. Egli era stato istruttore di Rodolfo Valentino e se ne dava vanto. La Chiesa di S.Lucy non fu meno fascista col suo suonare campane ad ogni vittoria del Duce. La musica cambiò, quando gli U.S.A. entrarono in guerra dopo Pearl Harbour e gli italiani rientrarono nei ranghi. Li ritroveremo al seguito dell’American Army in Italia come interpreti in Sicilia ma anche come soldati. Gli anni ’50 decretano la morte del First Ward. Sindaco un italiano, Ralph Villani, e senatore un oriundo caposelese Peter Rodino, si stabilisce di buttare giù i vecchi caseggiati e ridisegnare un pezzo consistente della vecchia città, la realizzazione di blocks noti come “Columbus Homes”. Si salvò solo la cattedrale di S.Lucy e Mont Prospect Avenue. A nulla servirono le proteste dei residenti sopraffatti da una stampa interamente ostile. Gli ultimi Caposelesi andarono via e con loro tantissimi originari della Valle del Sele. I casermoni a venti piani furono occupati da nuovi immigrati ( afro-americani e ispanici). Newvark era diventata una grande periferia dello stato di New Jork. Chiude (1965) la storia affascinante dell’immigrazione italiana e si apre un altro ciclo per altre comunità etniche. In conclusione, chiunque legga The Vanished First Ward ( di Michel Immerso University Press 1995) rivive la storia di una comunità che si porta dentro come il sacrario di un popolo. Si nota come comunità etniche tutte chiuse in se stesse a difendere la terra di origine, man mano cedono e si allineano ai doveri della cittadinanza democratica,

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Il Corriere della Sera non ebbe dubbi nello stigmatizzare i due episodi come “stagione di piombo contro gli italiani”. Il peggio, però, doveva ancora avvenire con gli anni del Proibizionismo (1920 – 1930): sulla città calma e tranquilla si abbattè il contrabbando degli alcolici, il gioco d’azzardo, l’arrivo della mafia newjorchese e poi le guerre per bande tra affiliati alle cosche e racket locale per il controllo di un territorio vergine. La figura vincente a Newark fu Ruggiero Boiardo. Boiardo era ammirato nel First Ward perché proteggeva i “paisani” e li sosteneva nei casi di bisogno ( e questo ruppe definitivamente il rapporto positivo con la città). Invero la comunità italiana, viveva in bilico tra paura e disgusto per le bravate della mafia che non si asteneva dal minacciarla durante le elezioni municipali se non seguiva le indicazioni del padrino dominante. Ma soffriva, non poco, nel vedersi accusata di essere totalmente mafiosa e questo bastò per mettere in crisi tanti anni di onorabilità conquistata con sacrifici. Questa fu senz’altro una pagina nera. Dal suo canto, Boiardo ostentava le sue amicizie altolocate di Cogressmen. La parola d’ordine fu: “Stare alla larga dalla malavita, mai contrariare Boiardo e rivolgersi a lui in caso di necessità impellenti”. Una formula antica che ancora funziona in tanta parte d’Italia.Negli anni ’30, così tramonta il piccolo mondo antico del First Ward: vecchi emigrati dell’Alto Sele si mettono in fuga da Newark. I vecchi negozi vengono spazzati via da clubs moderni, dancing halls, saloon, tutti rigorosamente inquadrati nei circuiti nei i circuiti malavitosi… Sopravvivono il vecchio Circolo degli Atripaldesi ed il Circolo Progressivo dei Caposelesi, a testimoniare più una decadenza che il progresso. Come si è detto gli americani caposelesi, teoresi, calabrittani si sono spostati sulla Coast (Livingston, Atlantic City, Toms river). Siamo allo sparpagliamento ma è più esatto dire, all’integrazione: non più matrimoni tra italiani, le Università sfornano i primi laureati ed al Congresso approdano gli “oriundi italiani (del fascismo)… ed oltre) Tra il 1930 ed il 1940 il First Ward fu conquistato da “altri italiani (siciliani

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Storie della nostra emigrazione

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Fatti e Personaggi del nostro Paese

SULLE ORME DI UN SERVO DI DIO I “S .. alle sorgenti del Sele l brano che segue è tratto dal fascicolo

ulle orme di un servo di

Dio” redatto, a cura del Rev. Romolo Ricciardiello, in occasione del primo decennale della “chiamata a casa” di Pasquale Albano.

IN MEMORIA di Pasquale Albano

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Provvidenza, a dare man forte, nelle sue brevi ma fruttuose visite, al fr. Lucio Tomasello, che ha tuttora cura della fratellanza di Palermo e circondario e di Termini Imerese, e,successivamente, anche al fr. PietroTomasello in Bagheria. Visitò anche alcune comunità nel Napoletano, nel Materano ed in altri centri ove veniva chiesto aiuto e consiglio sul modo di portare avanti l’opera del Signore. Dopo una così densa attività ministeriale, fece ritorno al Signore che ce l’aveva dato, promosso ad incarico più alto, a ministerio migliore, il 15 settembre 1970, dopo circa un anno di dura infermità. Ci piace riportare quanto fu detto di lui dal fr. Pietro Giorgio, quella volta in cui il fr. Luciano Martino, anch’egli da oltre 17 anni nel “Riposo”, gli chiedeva notizie intorno al fr. Petrelli: “Voi avete qui davanti, nella persona del fr. Albano, un’immagine viva, benché minore, di un tale servo: certo, gli manca la vasta cultura del fr. Petrelli, ma, per il resto, la sua forte personalità è identica nell’esplicare il ministerio affidatogli dal Signore “. Ed aggiungeva: “Questo vostro Sele, che ha origine qui, è stato creato dal medesimo Signore che poi vi ha donato il fr. Albano “, quasi a significare che, come queste sorgenti alimentano vari acquedotti e dissetano alcune aride regioni dell’Italia meridionale, così il servizio del fr. Albano avrebbe alimentato vari corsi ministeriali per dissetare, spiritualmente, le contrade della nostra nazione. Il fr. Garippa, da parte sua, si spingeva ben più oltre quando ci incoraggiava col dire che da questa Valle sarebbero sorti, in futuro, ministeri da varcare perfino i confini della nazione e da solcare gli oceani per portare anche all’estero la parola del Signore.

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lo Introdusse anche nella fratellanza dl Foggia. Fu visitato, in seguito, dal fr. Paolo Verna, dal fr. Angelo Benvenuti, dal fr. Francesco laropoli, dalla sor. Elisabetta Patti, dal fr. Giuseppe Pagano e da altri fratelli a cui egli volentieri apriva la porta ricevendo con rispetto ed umiltà tutto il sano insegnamento che il Signore gli metteva a disposizione per mezzo di loro. Più volte ricevette le visite del fr. Salvatore Garippa, originario di Contursi, anch’egli collaboratore dei fr. Petrelli e proveniente dagli U.S.A., il quale nella sua prima venuta aveva già iniziato una singolare evangelizzazione nel paese nativo. Ed allorché il fr. Albano ebbe modo d’incontrarsi con lui, fu confermato innanzi tutto nel suo personale ministerio e fu lieto di prendere cura diretta non solo della nascente comunità di Contursi, ma, con animo sincero e nello spirito di fraterna collaborazione, di iniziare col fr. Garippa anche una proficua evangelizzazione nelle campagne di Oliveto Citra che portò a vedere il campo del Signore allargato per il sorgere di altre comunità sull’una e sull’altra sponda del Sele. Di esse egli ebbe la costante cura spirituale per tutta la sua vita. Nel frattempo stabilì ovunque anziani del posto, i quali prendessero cura dei popolo in sua assenza e, per consentire il loro ammaestramento ed indottrinamento, trasferì a Contursi quel culto mensile già iniziato anni addietro; questo incontro che, in un primo tempo era ristretto ai soli anziani dell’opera, fu successivamente allargato a tutto il popolo, il quale, con la sua massiccia partecipazione, poteva così porre dei quesiti, riceverne delucidazioni e godere nel contempo delle benedizioni nell’insieme per il personale avanzamento. Dovette prendere cura anche di quei fratelli emigrati per lavoro in Lombardia e in Toscana e poi di quelli espatriati nella Svizzera, che mal si adattavano alle maniere verbose della fratellanza di quei posti: sorsero così le comunità di Clivio (Varese), Altopascio (Lucca), ecc... Fu introdotto nella fratellanza di Mesoraca (Catanzaro), sorta a cura del fr. Giovanni Ferrazzo, e nella fratellanza di Timparello di Luzzi (Cosenza), Sorta a cura del fr. Angelo Benvenuti ed, in uno scambio di vedute spirituali, volle visitare il fr. Salvatore Spinella a Giarre (Catania) e la fratellanza sotto la sua cura. Visitò anche la sorella Aida Chauvie a Torre Pellice (Torino), responsabile del periodico “II Regno di Dio” su cui scriveva il fr. Petrelli. Giunse, per altre vie misteriose della

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Da quel giorno, nella sua vita vi fu un continuo susseguirsi di avvenimenti: infermità e prove lo andavano temperando, dopo le fatiche e gli stenti già patiti nel lungo servizio militare, mentre la luce divina cresceva e la rivelazione celeste andava allargandosi. Né gli mancarono denunce dalle autorità e conseguenti comparse in questura ed in pretura per giustificare e spiegare il movimento evangelico che si andava costituendo; ma questi avvenimenti non lo intimorirono, anzi, preso da una irrefrenabile ansia, cominciò ad annunziare ovunque la salvezza tramite la Pura Grazia del Signore, quasi intimamente sapesse tutto il lavoro che era condensato per lui in un corso così breve di vita! Presto divenne il fulcro della comunità di Caposele sparsa nelle campagne limitrofe e, successivamente, anche delle altre comunità vicine. Per prima cosa notò il vuoto dottrinale nei fedeli che gli capitava d’incontrare, e volle perciò una riunione mensile per tutti quelli che avevano la cura e la responsabilità dei vari gruppi. La prima sede di tale incontro fu a Lioni: erano i tempi dei Comitati per le costituende Assemblee di Dio in Italia ed egli, in armonia con questi, si spinse a visitare e curare, con grande sacrificio, varie comunità dell’Alta Irpinia. Successivamente, non potendo aderire alle costituite Assemblee di Dio, volle restarne fuori, dopo aver doverosamente dichiarato come, a suo sentire, la Chiesa, organismo vivente e dinamico sotto la guida diretta dello Spirito Santo, non è un’organizzazione umana che possa essere sottoposta a statuti; per questo dovette subire l’ostracismo, lo scherno ed il disprezzo da parte dei “figliuoli della madre” (Cantico dei Cantici 1:6-8). Ebbe, frattanto, rivelazione di un nuovo campo e, consideratolo, si adoperò per l’evangelizzazione prima alle altre contrade di Caposele e poi ad altri centri dell’Alta Irpinia. Fu in questo periodo che si avvicinò al ministerio del fr. Giuseppe Petrelli, col quale, sebbene non si conobbe mai in carne, tenne una corrispondenza. epistolare molto intensa ed ebbe l’occasione di leggere ed assimilare molti scritti di quell’uomo del Dio. Non gli mancarono visite da parte di servi collaboratori del menzionato fr. Petrelli, primo fra tutti il fr. Michele Giorgio e, successivamente, il di lui fratello Pietro che, visitandolo più d’una volta nelle sue venute al paese nativo,

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Sono tali e tante le parole che vengono alla mente e gli insegnamenti che passano nello spirito nostro che, quasi, ora, non sappiamo come esprimerci per l’edificazione nostra e della fratellanza che ci legge, in questo primo decennale della “chiamata a casa” del nostro amato fratello ALBANO Pasquale, o Pasqualino, come registrato allo Stato Civile. Consapevoli dell’insufficienza delle nostre parole pure a delineare i tratti spirituali salienti di un uomo di Dio, il cui ministerio è di lunga e vasta portata sopratutto nelle Comunità Evangeliche della Valle del Sele, dove esso nacque, crebbe e si sviluppò nell’arco di un trentennio circa, ma anche in quelle del Piemonte, Lombardia, Toscana, Calabria e Sicilia, ove fu concessa l’occasione di godere alla luce di tale lampada, benché per breve tempo (Giovanni 5:35), abbiamo chiesto al Signore l’aiuto e la guida per onorarne il ricordo con questo scritto, tornando, prima di tutto, a quel giorno che, dieci anni fa, ci vide smarriti intorno al suo feretro. Venne quinto in una famiglia di undici figli, nascendo a Caposele il 4 aprile 1918 da genitori di modeste condizioni che furono costretti a mandarlo, ancora bambino, a servizio, come ‘garzone”, presso una delle aziende agricole della zona. Non ancora ventenne volle avere una famiglia propria e sposò la sua coetanea Giovannina Cibellis, che gli fu poi compagna anche nel servizio divino; ma per servire in armi la patria, ben presto fu strappato alla sua famiglia e, per circa sei anni, ne restò lontano. Al rientro trovò la moglie divenuta evangelica e dovette far fronte alla nuova situazione religiosa in famiglia col rendersi conto di persona della sincerità della nuova maniera di adorare Dio, e della fedeltà all’insegnamento del Vangelo da parte di quel piccolo nucleo di fedeli. Appena se ne fu personalmente accertato, cominciò a leggere il Vangelo alla sua famiglia, in casa sua, ove si formò una riunione di adorazione, senza alcun contatto con i fratelli del posto. Successivamente un intervento diretto del Signore lo spinse ad avvicinarsi alla nascente comunità. Dopo aver fatta l’esperienza del battesimo con lo Spirito Santo un giorno in cui, in un fondo isolato nelle montagne dell’Appennino Caposelese, Gesù lo incontrò personalmente e lo vinse, e chiese ai fratelli di essere battezzato in acqua, secondo Il comandamento evangelico e ciò fu fatto dopo alcuni mesi: aveva circa 27 anni.

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L’INSEGNAMENTO Una pausa per domandarci: cosa ci rimane oggi del ministerio del fr. Pasquale Albano? Malgrado il rincrescimento che di continuo avvertiamo per la condotta di alcuni stimati fratelli, propugnatori più della forma che dello spirito della dottrina, dobbiamo riconoscere tuttavia, che il suo insegnamento è stato ricevuto dalla fratellanza, la quale non si è allontanata, pur negli inevitabili periodi oscuri susseguenti al suo trapasso, dai punti basilari della semplicità, della fedeltà e della carità impartita. II fatto stesso che noi, oggi, stiamo a scrivere di lui, a parlare di lui, non per nasconderci sotto nomi senza averne


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nei vari servizi speciali, a riguardo del Battesimo, ci sottolineava il pericolo che vi è nell’uomo di scendere nelle acque battesimali “un diavolo asciutto ed uscirne poi un diavolo bagnato soltanto”: chiaramente si riferiva a quelli che si accostavano (e tuttora si accostano) senza il vero ravvedimento a tale ordinamento (Matteo 3:7-8; Atti 2:37-38; Romani 6:4; 1 Pietro 3:20-2 I). E precisava che il battesimo cristiano è valido solo se amministrato per immersione (come il nome stesso esprime) e nel Nome dell’Iddio Uno e Trino, come insegnato personalmente da Gesù (Marco 16:15-16 e Matteo 28:19). A riguardo della Santa Cena, poi, ci insegnava, senza mai stancarsi di ripeterlo, come questo ordinamento e la realtà del Corpo e del Sangue del Signor Gesu e non il simbolo che possa rappresentarli, come altri soleva ripetere allora e suole ripetere tuttora (Matteo 26:26-28 con I Corinzi 11:23-25). Ci esortava pure a non fare aggiunte, né cambiamenti alla Sacra Scrittura, neanche nella nostra mente, ma a leggerla così com’è scritta, ricordando anche quale potenza ha il Signore nella Sua Parola (Ebrei 1:3 con Salmo 33:9) da creare nelle realtà spirituali, quello che con la Sua bocca viene proferito. Siamo stati onorati dal Signore, dobbiamo riconoscerlo, per averci donato, tramite questo Suo servo ed il suo ministerio, di essere stati spettatori di un esempio vivente e presente della carità della fratellanza primitiva e dei primi convertiti (Atti2:42-47 e 4:32-35); ma sentiamo gravarci la responsabilità di proseguire, ancora meglio che in questo primo decennio, ad edificare su un tale fondamento, su solido muro, quel palazzo d’argento, di cui dà cenno la Chiesa matura nel Cantico dei Cantici (8:9), che risplenda nella testimonianza dei figliuoli di Dio, secondo l’intensa brama del mondo creato (Romani 8:19).

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un bisogno, seppe allargare la mano al povero ed al bisognoso; di persona e dandone avviso ai collaboratori, seppe rallegrare la vedova e l’orfano sovvenendoli nei loro bisogni. Ai suoi tempi, in tutta l’opera affidata al suo ministerio non si notavano poveri, non occorrevano orfanotrofi, non ospizi per anziani, né vi fu tanto bisogno di ospedalizzazioni o di farmaceutici: il Signore guariva le infermità, certo, ma la fratellanza, ben allevata ed ammaestrata nel timore di Dio, non si tirava indietro di fronte al bisogno. Di conseguenza la fratellanza acquistava occhi da ogni parte e si muoveva come nel “Carro” della visione del profeta Ezechiele: senza titolo, senza grado, non aspettandone lode od elogio, ma, consapevole di far parte ad un organismo vivo, il Corpo di Cristo, ognuno esercitava la sua virtù quale”membro di Esso per la parte sua “. Fermo nella dottrina: a quanti gli chiedevano delucidazioni sulla validità del divieto apostolico dall’usare alcuni alimenti (Fatti 15:29), egli insegnava quanto prezioso fu tale accomodamento degli apostoli se valse a pacificare gli animi dei cristiani ebrei, zelanti nella legge di Mosè, i quali volevano perfino circoncidere tutti i credenti salvati per la Grazia di Dio manifestata in Cristo, ed a risolvere le questioni sorte intorno a tali riti; ma ci sottolineava le parole dello stesso Gesù, vero Apostolo e Sommo Sacerdote, Figliuolo sulla Casa di Dio Padre (Ebrei 3:1-6), il quale confermò i Suoi discepoli sul fatto che non v’è contaminazione in tutto ciò che entra per la bocca di una persona, bensì in quello che dalla bocca esce (Matteo 15:11 e 17-18). Ed a questo aggiungeva: “La Scrittura deve essere spiegata con la Scrittura!”. E con varie parole esortava a non rimanere solo nell’ombra delle cose future, ma ad entrare nella realtà di esse (Ebrei 10:1); a non restare in un’osservanza esterna, ma ad entrare bene addentro nello spirito dell’ordinamento divino (Matteo 23:23-26 con Giacomo 1:25-27): a fare, insomma, un salto nella qualità, per l’affrancamento da tutto cio che è imposizione (calati 4:1-9 e Colossesi 2:16-23) per vivere da Figliuoli di Dio adottati, partecipi dello Spirito di Cristo, nella libertà dei figliuoli, sotto la legge unica, quella di essere condotti, passo per passo, per lo Spirito Santo, tramite la Sua costante guida (Romani 8:1-14). Aveva in grande stima i giovani che seguiva con amore e che incoraggiava non solo allo studio delle scienze terrene, ma anche ad appetire, le cose divine. Spesso li volle compagni nei suoi viaggi missionari e li esortava ad essere franchi e chiari nell’esprimersi tutte le volte che il Signore dava loro grazia di annunziare qualche rivelazione agli altri. Era anche molto preciso nei chiarimenti dottrinali e, parlando dei due “Sacramenti” ordinati dal Signor Gesu (il Battesimo e la Santa Cena),

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latrie, alla preghiera dalle bestemmie, alla virtù dai vizi ed alla fede luminosa dall’oscuro materialismo. Le persone che trattavano con lui, da parte loro, erano vinte dal suo esempio di vita ed accettavano volentieri la sua parola potente e maestosa; non rimpiangevano mai il breve tempo speso per ascoltarlo e si trovavano ben a loro agio con un predicatore della loro stessa estrazione sociale, per nulla verboso e untuoso, sempre pratico ed attento anche alle loro faccende, che, spesso, con loro, in anticipo, sbrigava onde avere, poi, un uditorio attento, liberato dalle preoccupazioni materiali, nelle riunioni che teneva nelle campagne dei vari centri dove esistevano delle comunità evangeliche. Il Signore aggiungeva alla fratellanza dei convertiti, ed egli, per nulla arrogante a motivo del buon seguito, nell’umiltà, serviva la Chiesa, alternando alla cura delle anime, l’evangelizzazione ai “figliuoli di Dio dispersi”, la visita alle “pecore smarrite” ed i viaggi di collaborazione con altri pastori e di incoraggiamento ai fedeli emigrati per lavoro. Nell’attività pastorale, nella cura della Chiesa, ci ricordava com’e richiesta fedeltà al Padrone e spirito di sacrificio da parte di ogni Suo pastore (Genesi 31:38-40), e le pecore del Signore mai negheranno il loro frutto a tali Servi fedeli (calati 6:6 con Matteo 21:34). Ci insegnava che, anche senza cassieri, senza pubbliche collette, senza registri di contabilità e senza alcuna altra forma di sistemazione interna, dopo averne del tutto rifiutato ogni principio di organizzazione esterna, la fratellanza può servire il Signore; ed in tale maniera, per circa un quarto di secolo, prese cura di ogni cosa rispondendone in prima persona e spesso caricandosi immancabili vituperi dai carnali, sempre aiutato da sinceri collaboratori e sostenuto dalla luce e dalla rivelazione di Dio, che mai gli vennero meno. Nulla pretendeva da alcuno, anzi ci ricordava come il “bene” deve essere spontaneo; nulla rifiutava ad alcuno, anzi aveva sempre presenti i bisogni e le necessità degli altri servitori e ci diceva che, non essendo questa un’opera di volontà umana, anzi l’opera di Dio, non può, né deve mai esservi imposizione di percentuali o decime: il Signore decima le persone, come nei lombi di Abramo fu decimato Levi stesso (Ebrei 7:9) ed in tal guisa esse si dedicano completamente, al cento per cento, non solo per una percentuale od una decima parte, anzi con tutta la loro vita per l’avanzamento dell’opera. A fianco di tali, decimati dal Signore, consacrati a Lui per la loro vita intera, altri trovano rifugio e vengono messi alla scuola dell’operare. Ed in tale spirito, dove noto la necessità di avere dei locali per le adunanze, ne fece costruire e spesso ne fece ingrandire; dove vide che era sufficiente prenderne in fitto, ne prese in fitto ed anche ne fece acquistare. Pieno sempre di occhi, quando vide

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la sostanza, né per edificare altari o monumenti ai profeti trapassati mentre si lapidano i presenti, come altri sa fare (Matteo 23:29-34), ma solo per l’unico scopo di togliere quel velo di polvere che il tempo, inesorabilmente, deposita sulle cose per far risplendere quanto di più prezioso abbiamo di quella eredità che sentiamo e vediamo pienamente attuale per la Chiesa e per considerare quale esempio di instancabile evangelista, di umile e nascosto coordinatore e di scrupoloso curatore nell’opera del Signore fu quest’uomo che Egli stesso ha donato a quella porzione della Sua Chiesa Universale che si trova nella Valle del Sele. Col suo esempio, egli insegnava come, nell’evangelizzare, si può fare appieno fede e compiere tutti i doveri del ministerio (2 Timoteo 4:5) prima di tutto prendendo cura della propria famiglia (ebbe anch’egli una famiglia numerosa: sette figli, moglie, suocera e cognate) e governandola bene (1 Timoteo 3:4-5). Ricordiamo, a proposito, che in un freddo inverno, mentre ci ammaestrava, ci confidò che, prima di venire a quel culto, egli aveva dovuto provvedere la legna da ardere per la sua casa, per riscaldare i suoi familiari, piccoli e grandi; altrimenti, diceva, “può avvenire che, mentre io qui prego il Signore, la mia famiglia Lo può bestemmiare per la mia trascuratezza! “. Or egli conosceva bene che i primi apostoli avevano lasciato anche le famiglie per la fede e per la testimonianza di Cristo, ma ci faceva notare che mai le avevano “abbandonate” del tutto, come anche Gesù ne diede esempio nella cura che dimostrò in ogni dovere di figlio maggiore verso la Sua famiglia, nella sottomissione verso i Suoi genitori e nel prendere cura perfino della suocera di Pietro inferma. Nell’evangelizzare egli non si rivolgeva tanto a persone di altre condizioni sociali, ma principalmente a quelle della sua stessa condizione, delle quali conosceva bene i problemi, le angosce e le attese. Ci diceva che, certo, Gesù ha ordinato di andare per tutto il mondo predicando l’evangelo ad ogni creatura, ma, aggiungeva: “Quale evangelo si porterebbe ad un’anima della quale si ignorano le ansie ed i tormenti per mancanza, prima di tutto, della rivelazione divina ed anche della diretta personale esperienza delle sue condizioni? In tutto il mondo, certamente; ma ognuno, nel suo settore di attività, nella sua condizione di vita, nella sua cerchia di relazioni (che è parte di tutto il mondo), può portare un evangelo vissuto, di carne, non di carta, con la propria vita, con le proprie opere e con la propria parola! “. Questo, infatti, faceva egli stesso, trattando con operai suoi pari, discutendo con loro, aiutandoli nelle loro attività lavorative e dando loro un onesto esempio di laboriosità e di amore disinteressato; li convertiva all’Iddio Spirito dalle ido-

Battipaglia, Settembre 1980

PER ABBONARSI AL GIORNALE INVIARE IL PROPRIO INDIRIZZO E UN CONTRIBUTOALLA PRO LOCO CAPOSELE VIA ROMA N.10

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Fatti e Personaggi del nostro Paese

E' venuto a mancare

L' AVV. VINCENZO CARUSO CITTADINO ONORARIO DI CAPOSELE

dalla

La

del

Mezzogiorno”.

Gazzetta del mezzogiorno

morte di

Vincenzo Ca-

ruso

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che gli valse, insieme alla pubblicazione di un voluminoso Compendiarlo degli Acquedotti pugliesi e lucani e un più recente lavoro su Acquedotto Pugliese. L’illusorio assalto alla realtà idrica ultrasecolare del Mezzogiorno, la ferma convinzione della ricchezza delle risorse idriche del Sud Italia e, nel 1970, “per l’azione e l’opera da lui svolta tenacemente a favore dell’affermazione dei diritti civili e morali del Comune’, la stessa cittadinanza onoraria di Caposele. E, infine, appassionato studioso di storia locale, un’attività, questa, intrapresa quasi a coronamento del suo lungo e operoso dialogo con la città natale, e che si tradusse nella pubblicazione di una ponderosa opera in tre volumi e sei tomi, “Meridione Puglia Trani nella storia universale”, nella quale le vicende di Trani e della Puglia vengono collocate nel più vasto contesto degli avvenimenti mondiali; de Il Castello di Trani, bene demaniale comunale; e La Repubblica Napoletana del 1799 docet, un lavoro, quest’ultimo, gia annunciato in corso di stampa ma purtroppo tuttora inedito.

A me, che ai tempi di Singola/lPlurale ebbi l’onore della sua preziosa collaborazione, piace naturalmente ricordare anche i suoi numerosi interventi sul mio giornale, ma fu la sua calda e schietta umanità che, insieme alla sua profonda conoscenza dei problemi cittadini, me lo resero alfine non solo punto di riferimento nella conduzione di una vita amministrativa coerentemente tesa al progresso di Trani e al benessere di tutti, ma simpatico e amico sincero. Per questo, ancora oggi, mi resta scolpita nella mente l’immagine di lui che, nel grigiore di certe sedute consiliari, parlava, parlava, argomentava con cognizione di causa le sue proposte; si accendeva d’entusiasmo nei suoi suggerimenti e che, di tanto in tanto, con una delle sue classiche impennate, apostrofando con ironia quei consiglieri comunali che, inconsapevoli del loro ruolo. mostravano indifferenza al dibattito in corso, rinfacciava ad essi l’indegnità del comportamento.

Polizia ed Annona, alle Fi-nanze e Bilancio, ai Lavori Pubblici e Urbanistica, Vice Sindaco e poi Sindaco nell’agosto 1985. L’avv. Caruso è stato l’unico sindaco socialista della città dopo Giacinto Francia, alla guida di un pentapartito governato fino al novembre 1986. Presidente dell’Assemblea generale della Usl Bari 4 dal 1982 al 1984, in rappresentanza del Ministro dei Lavori Pub blici è nel Consiglio di Am ministrazione dell'Acque dotto Pugliese dal 1966 al 1979, dalla cui esperienza matura la pubblicazione del "Compendiario degli Acquedotti Pugliesi e Lu cani"; è nel consiglio di rettivo della Comunità dei Porti Adriatici sede Vene zia- Roma dal 1985 al 1987. Nel 1970 viene insignito della cittadinanza onoraria del Comune di

Caposele "per l'azione e l'opera da lui svolta tenacemente e favore dell'affermazione dei diritti civili e morali del Comune di Caposele". Nel 1986, si fa promotore della regata velica di gemellag gio "Trani-Dubrovnik", e autore del volume sul "Pia no Regolatore Generale del Territorio di Trani nel 1968". Nel 1999, dopo 14 anni di studi e ricerche, pubblica l'opera "Meridio ne Puglia Trani nella Storia Universale", presentata uf ficialmente presso l'Istituto Italiano degli Studi Filo sofici di Napoli. Da qualche tempo l'avv. Caruso, Toga d'Oro del Tribunale di Tra ni, si era ritirato a vita privata, sempre vigile co munque sulla comunità cit tadina. E i tranesi lo ri cordano con stima e affetto. (ludem)

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ra che anch’egli, all’età di 84 anni, se n’e andato, non è facile ricorda re la multiforme attività di Vincenzo Caruso e, per il grande impegno da lui profuso in ciascuna di queste attività, per la genero-sità la serietà che l’hanno sempre caratterizzato, mi sembra davvero di fargli torto se di esse se ne trascura una sola: Avvocato del Foro di Trani giunto, nella stima generale, alla “Toga d’oro”; uomo politico di coerente fede socialista fin dall’età giovanile; consigliere comunale eletto ininterrottamente dal 1952 al 1990; assessore, in diversi turni amministrativi, alla Polizia urbana ed Annona, alle finanze e al Bilancio, ai Lavori Pubblici e all’Urbanistica; presidente dell’Assemblea generale della USL BA4 dal 1982 al 1984, sindaco della città dal 7 agosto del 1985 al 22 novembre del 1986; componente, per molti anni e per nomina del Ministero dei Lavori pubblici, del Consiglio di amministrazione dell’Acquedotto pugliese, un ente nel quale maturò un’esperienza così ricca

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“Gazzetta

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’avvocato Vincenzo Caruso, avendo conosciuto nei mi­ nimi particolari la grandiosità e l’importanza dell’Acque­dotto pugliese - opera di cui il mondo non ricorda l’e­guale - ha voluto onorare con sentimenti filiali la « ge­nerosa» Caposele, come il Santuario delle Acque, che scor­rono verso la Puglia non più sitibonda. Le sue espressioni hanno un alto valore morale, che commuovono noi di Caposele e tutta l’Irpinia per il ri­ conoscimento più genuino che proviene da questo Com­pendiario, frutto di una vasta e tenace esperienza. Nella mia lunga attività amministrativa al servizio di questa ridente cittadina ho vissuto anni di ansia e di tre­pidazione per le acque perennemente in viaggio dalle sor­ genti Madonna della Sanità nella più schietta consapevo­lezza che i sacrifizi di Caposele valevano per la gioia e per il progresso delle città e contrade pugliesi. Oggi il « Compendiario sugli Acquedotti pugliesi e lu­cani » si presenta come un’opera ricca di notizie e di da­ti, che dovrebbe essere conosciuta da tutti, specialmente dalle popolazioni beneficiate, affinchè si possano rendere conto delle ragioni e delle cause antiche e recenti che hanno consentito il loro attuale stato di benessere socia­le ed economico. Nel lontano marzo 1905 la transazione tra il Comune di Caposele e lo Stato sulla demanialità delle acque di «Madonna della Sanità » fu l’avvio più propiziatorio, nel maggio 1970 la convenzione sui buoni rapporti tra il Comune di Caposele e l’Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese ha cementato una realtà di bisogni primari da non mai sottovalutare, e perciò noi riconosciamo a questo Compendiario finalità sociali, che travalicano i confini del­le nostre Regioni - Campania, Basilicata e Puglia - nei primordiali problemi degli Acquedotti

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Dal Compendiario sugli acquedotti

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ordoglio in città per la scomparsa dell’avv Vincenzo Caruso, Toga d’Oro e indimenticato sindaco della città nella metà degli anni ‘80: classe 1922, l’avv. Caruso era stato anche nel Consiglio di amministrazione dell’Acquedotto Pugliese, ed insignito della cittadinanza onoraria del comune di Caposele. Vincenzo Caruso nasce a Trani il 7 agosto 1922; dopo la maturità classica, si laurea in Giurisprudenza presso l’Universita di Bari nel 1945 ed è avvocato dal 1947, iscritto all’Albo speciale della Corte di Cassazione e Magistrature Superiori dal 1956. Poi la sua carriera politica: eletto consigliere comunale ininterrottamente dal 1952 al 1990, ricopre incarichi nelle amministrazioni comunali di centro-sinistra come assessore alla

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Il 16 Agosto scorso ha cessato di vivere, all’età di 84 anni, l’avv. Vincenzo Caruso. La redazione de “La Sorgente vuole ricordarlo come l’amico sincero, strenuo difensore dei diritti del nostro Paese nei confronti dell’Acquedotto Pugliese. Nel 1970 venne insignito della cittadinanza onoraria del Comune di Caposele “per l’azione e l’opera da lui svolta tenacemente a favore dei diritti civili e morali di Caposele”. Riportiamo di seguito quanto scrisse l’allora sindaco Franco Caprio nella prefazione al libro “Compendiario degli Acquedotti Pugliesi e Lucani”e, in successione, gli articoli apparsi sul “Giornale di Trani” e sulla

Domenico di Palo


REDATTORI

UNA SCELTA (QUASI) OBBLIGATA

Attuali-

di Giuseppe Palmieri

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e concordare poche ma significative linee programmatiche da portare all’approvazione del corpo elettorale. Penso alla necessità di dotarsi di un valido ed efficace strumento di pianificazione urbanistica, con tutto ciò che questo comporta in tema di programmazione del territorio. Penso alla necessità di un ritorno alla normalità nella vita della comunità che stenta ad affermarsi. Penso a politiche per i giovani (che costituiscono l’anello debole del sistema), l’occupazione (anche quella intellettuale), lo sviluppo, il turismo. Penso ad un rilancio delle politiche agricole ed artigianali. Penso alla realizzazione di infrastrutture che consentano per davvero un rilancio del turismo. In definitiva, penso alla necessità di un confronto a tutto tondo su queste problematiche con lo sguardo rivolto al futuro, mettendo da parte le rivendicazioni del passato e guardando alla storia recente solo per conoscere lo stato degli atti ed eliminare gli errori del passato. Senza recriminazioni e reprimende nei confronti di chicchessia per quello che è stato fatto o per quello che non è stato fatto.

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con lo schieramento di centro sinistra? Io credo, onestamente, che oggi per davvero sono venute meno posizioni inconciliabili e contrasti insanabili. E’ andato scemando anche lo spirito di appartenenza da parte degli elettori di entrambi gli schieramenti. La comunità chiede normalizzazione e corretta gestione della cosa pubblica. La gravità dei problemi ancora sul tappeto e la necessità di recuperare una unità di intenti per affrontarli e risolverli richiede una composizione delle diverse posizioni oggi non solo auspicabile ma certissimamente possibile. E’ necessario che tutti siano pronti a fare un passo indietro, se necessario, rendendosi disponibili ad affrontare questa nuova sfida, mettendosi se del caso anche in discussione. Da parte mia, sin da subito (approfittando delle pagine di questo giornale) formalmente (e simbolicamente) consegno il mio mandato nelle mani del corpo elettorale (di tutto il corpo elettorale, non sono dei miei elettori) che mi ha voluto onorare per ben due volte di seguito (e con ampio suffragio) del suo incondizionato consenso. Il tempo che ci separa dalle urne è tale da consentire un serio confronto programmatico tra le forze politiche, il mondo dell’associazionismo, i circoli per mettere a punto

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di seguito. Ricordo ancora oggi con emozione la forte tensione politica che ci vide contrapposti soprattutto durante la campagna elettorale del 1999. Una esperienza esaltante e per molti versi irripetibile. Una tensione che, viceversa, nell’ultima competizione elettorale è mancata per una diversa strategia politica della lista di mia appartenenza. Ricordo i comizi infuocati e poi gli scontri (sempre e solo verbali) in consiglio comunale, le dispute sulle problematiche più disparate e sulle soluzioni da dare alle stesse, le discordanti opinioni sulle scelte di fondo, mai preconcette, ma dovute ad una diversa concezione della politica, frutto anche delle diverse esperienze politiche e professionali. Ora tutto questo non c’è più, o meglio non ci sarà più. Manca l’altro piatto della bilancia. C’è un vuoto che la prossima tornata elettorale è chiamata a colmare. Ma (ed è questo l’interrogativo che con forza oggi si pone) come? Permangono le condizioni politiche che giustificano e legittimano una forte contrapposizione tra i due schieramenti che da tempo si fronteggiano? La politica della giunta Melillo è riconducibile a logiche di schieramento assimilabili al centro destra e quindi inconciliabili

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on la elezione diretta del Sinda co (ma il discorso vale anche per il Presidente della Provincia e per il Presidente della Giunta Regionale) si è inteso rafforzare il rapporto che lega l’elettore all’eletto. Logico corollario di questo sistema elettorale è il ritorno alle urne in caso di morte (o di altro impedimento non temporaneo). La prematura scomparsa del Sindaco Melillo, pertanto, impone il ritorno al corpo elettorale anzitempo, rispetto alla scadenza naturale prevista per il 2009. Le elezioni anticipate (ovvero, il che è lo stesso, la prematura fine di una consiliatura) è evento assolutamente innaturale ed eccezionale e per quel che mi riguarda assolutamente spiacevole. Tanto più se a causarlo è la morte del primo cittadino. Come ho avuto modo di sostenere durante la commemorazione, nel corso del Consiglio Comunale del 2.12.2006, il Sindaco Melillo, per molti versi, ha rappresentato nel panorama politico del Paese una esperienza quasi unica. Svincolato da legami di appartenenza politica (a far data dagli anni ’90, in coincidenza col fenomeno di tangentopoli) è riuscito da solo e senza il sostegno di apparati di partito ad imporsi all’attenzione del corpo elettorale per ben due volte

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PARTECIPARE E COLLABORARE PER NON CONTINUARE A SBAGLIARE

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negli anni profondamente avvertito e radicato tanto che, nei fatti, tale affiliazione ha impedito di portare avanti e condividere un discorso di comunanza di obiettivi proiettato verso la crescita culturale ed economica. Per non farla lunga, ed al fine di non stancare il lettore e di rendere immediatamente fruibile quanto dico, continuo nella vicenda della nostra Chiesa Madre. L’architettura della nuova chiesa è certamente degna di rilievo ma, inserita nell’attuale complesso urbanistico di piazza Di Masi, risulta esteticamente di dubbio gusto. Capisco che nella formulazione di un giudizio estetico spesso prevale la componente soggettiva, tant’è che per qualcuno è bello ciò che per altri è meno bello, mentre per altri, ancora, la stessa cosa può costituire il classico pugno nell’occhio. Tuttavia, ritengo che, oggettivamente, sia quanto meno difficile sostenere che la nuova chiesa si armonizzi con l’ambiente ad essa circostante. I più giovani non

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inalmente! I lavori della Chiesa Madre stanno per essere ultimati dopo ben 26 anni dal tragico evento del terremoto. Finalmente! I Caposelesi potranno seguire i riti religiosi senza sgomitare per prendere posto a sedere nella piccola chiesa della Madonna della Sanità, senza cioè affannarsi ad arrivare con qualche ora di anticipo sull’inizio delle funzioni di culto per non correre il rischio di restare in piedi per tutta la durata delle stesse e, per di più, nei pressi dell’ingresso al freddo intenso della notte di Natale o di Pasqua. Finalmente! Ma avremmo potuto dire anche che bello! Se soltanto fossimo stati un tantino più lungimiranti, un tantino meno abbarbicati alle posizioni di parti, il più delle volte faziose. Uno dei mali storici della nostra Comunità è stata, infatti, la profonda divisione, più che in partiti, in fazioni. Il senso di appartenenza ad esse è stato

possono ricordare, ma quelli un po’ più grandi sanno che la stessa è stata progettata in un momento particolare della ricostruzione post – sisma, quando si pensava di dare a tutto il complesso urbanistico di piazza Di Masi un aspetto diverso da quello preesistente al sisma. In quel contesto la nuova chiesa, come poi è stata realizzata, si sarebbe perfettamente e armonicamente inserita. Ma, così non è stato. Si è preferito ridare a piazza Di Masi l’aspetto di prima del terremoto, ma con un elemento discordante ed esteticamente discutibile, rappresentato dall’edificio di culto. Non è nemmeno giusto e corretto prendersela con don Vincenzo il quale, ad onor del vero, con le scelte urbanistiche degli anni Ottanta e Novanta c’entra davvero poco. Altri sono i responsabili.La vicenda che ho illustrato è un esempio significativo dei danni che può produrre una faziosa e decisa contrapposizione politica tra le parti, perché la stessa il più delle volte è poco interessata al “bene comune”. Potrei citare altri casi, quali

Michele Ceres esempi di faziosità cieca e deleteria, ma significherebbe soltanto ribadire lo stesso concetto. Nella prossima primavera, purtroppo a seguito del grave lutto che ha colpito la comunità locale, si dovrà votare per eleggere un nuovo sindaco e un nuovo consiglio comunale. Cosa vogliamo fare? vogliamo riproporre le vecchie faziose contrapposizioni? oppure pensare a un qualcosa di diverso? un qualcosa che, utilizzando le tante capacità che pur non mancano, possa essere l’inizio di una nuova fase della politica locale? Sinceramente, propendo per la seconda ipotesi. Penso che, pur nel rispetto delle appartenenze partitiche, sia giunto il momento in cui si mettano da parte odi e rancori, affinché non prevalgano, come fin qui è stato, le visioni politiche dei pochi, spesso interessate e a danno dei molti.

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questo numero dedichiamo due pagine a questa fortunata

rubrica, sperando che l’iniziativa trovi il favorevole

RICORDA

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La rubrica “La Sorgente ricorda” sostituisce, la famosa ultima pagina con “La Foto dei ricordi”. anche per apprezzamento da parte dei nostri amici lettori.

nel contempo vi invitiamo a inviarci le vostre "foto ricordo" che avete riposto in qualche cassetto per

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ricordare eventi e momenti di un tempo ormai passato

Una foto degli anni 40

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Da sinistra in basso: Russomanno Nicola,1, Linarducci Lorenzo, Salvatore ........, Russomanno ins. Nicola, Cleffi Donato, Spatola Giuseppe, Russomanno Eugenio, 2 , Nesta Pasquale, 3 , 4 , Merola Alfonso, Corona Ercolino, 5 , Sozio -, Pizza Lorenzo, Carbone Adriana, 6 , 7 , 8 , Baldi Emidio,Merla Donato, Ceres Salvatore e figlio, Ceres Angelo, 9 , 10 , Spinelli - , Farina Rocchino e Antonio, Alagia Filippo, 14 , Padre Marinaro, Pallante Antonio, Conforti Americo, Zarra Antonio, 14 , 15 , Sturchio - , Alagia Felicetta, 16 , Nisivoccia Rocco, Sig.ra Carbone, Benincasa donna Ersilia , Carbone Ines, Caprio Italia, Conforti Angelo, Meo Antonetta, 17 , Corona don Saverio, Benincasa don Ciccio, Malanga - , Caprio Ovidio, Freda Gerardino, 18 , 19 , 20 , Ciccone Francesco, La Manna Graziuccia, Corona Giocondo, Russomanno Gerardo, Corona don Lorenzo, Peppe di Giulia, Russomanno Vincenzo, Spatola Emiliuccio, Testa don Peppe, Carbone dott. Cesare, Padre Torre, Cozzo Leuccio.Carpentieri don Costantino. Preghiamo i nostri lettori di segnalarci i nomi delle persone segnate con i numeretti in quanto non siamo riusciti a riconoscerli. Anche la segnalazione di un solo nominativo ci sarà utile. Indirizzare via E-Mail a confortinic@tiscali.it Ringraziamo anticipatamente.

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La Sorgente Ricorda

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Agnese Malanga in costume da pacchiana

Maria Del Guercio : altra bella pacchiana

SQUADRA DEI DIPENDENTI COMUNALI anno 1993 da sinistra in piedi: Donato Nisivoccia, Gerardo Melillo, Salvatore Russomanno, Segretaria comunale, Gerardo Notaro, Antimo Pirozzi, Ferdinando Mattia, Mario Nesta, Gerardo Luongo, Pietro Pallante, il piccolo Nicolò Luongo, Giuseppe Aiello, Rocco Rutigliano. accosciati : Michele Zanca, Carmine Merola, Amato Patrone, Pietro Viscido, Pietro Cuozzo, Gerardo Fabio, Andrea Meo, Raffaele Spatola.

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Bambine allora, nonne oggi

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Cerimonia per il trasferimento delle ossa al nuovo cimitero

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Una foto degli anni 50 – Bar Romualdo: partita a bigliardo

Gilardu r’ Matriddommini

Filippo Alagia legge “La Sorgente”

Viaggio elettorale di Alberta De Simone e Rosetta D’Amelio

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Storia

ALCUNE MEMORIE DEL BEATO GERARDO MAIELLA

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presentire a Gerardo essere stabilito il suo posto in mezzo della loro Congregazione. Manifestò quindi ad un laico Redentorista tale sua aspirazione; ma n’ ebbe risposta negativa. Passarono altri otto mesi in preghiere, per conoscere se questa fosse la volontà di Dio; dipoi gli parve chiaro che questa via doveva camminar per appunto. Intanto volse le sue cure alla santificazione de’ fanciulli. Li sottraeva ai giuochi e sollazzi, per parlar loro di Dio, e, postosi a capo di essi, li guidava in chiesetta fuori. l’abitato. Ivi, dopo le sue preghiere potevasi con volto ilare, ad ammaestrarli in pietà e religione. I PP. Redentoristi andaron poi nella missione di Muro, ed egli dimandò al P. Cafaro istantemente di entrar laico nel loro Istituto; ma questi , vedendolo così sparuto, e credendolo incapace di reggere alle fatiche di fratello laico, il consigliò di smettere tale divisamento. Non si scorò, rinnovò le istanze; ma furono inutili. Pose fiducia in Dio, e sperò contro la speranza! Ma spesso si aggirava d’intorno a que’ Redentoristi, e sembrava come un’ape che sapesse ove si asconde il mele! Abbandonata la domestica dimora , raggiunse i PP. che andavano in Rionero, per predicare i santi Esercizii. Replicò le istanze, ma invano, finchè fu mandato nel Collegio di Deliceto. Là finalmente fu ricevuto, e si può immaginare la sua consolazione, specialmente quando seguì la religiosa vestizione del postulante. L’entrata nel noviziato, probabilmente fu verso lo scorcio del 1749; sei o sette mesi dopo la sua venuta in Deliceto.

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Gerardo Maiella nacque in Muro, nella Lucania, da poveri, ma onesti e pii genitori. Sin da’ primi anni era, per nativa indole, attratto alla pietà; gli stessi suoi puerili trastulli vestivan forme di pratiche religiose. Era fanciullo, e, con grande ansia, seguiva le orme della madre nell’andare in chiesa; ritornando in casa , si provava di ripetere i cantici, che vi aveva ascoltati. Ebbe in delizia di alzare in sua casa un altarino, e fu pur bello il vederlo, quando lo forniva di fiori, e quando vi passava e ripassava con inchini. L’attrattiva per le cose di Dio gli faceva altresì imitare i sacerdoti nelle sacre funzioni. Uscito di puerizia, se ne andava in Chiesa, invece di prender diletto coi coetanei; s’indugiava con essi solamente quando li scorgeva di assecondarlo nei discorsi o nelle pratiche di pietà e di religione. All’età di sette o otto anni, mandato a scuola, vi apprese, in breve, a leggere, a scrivere e ad esprimersi con faciltà; ma assai più progrediva nella pietà e nella modestia. La sua condotta, in mezzo ai giovani condiscepoli, era più che di fanciullo, di uomo maturo e formato alla virtù. Di fanciullo non avea fuor che la sembianza. Anche nel viso la mente sembrava chiusa a severi pensieri!. Epperò il maestro lo additava di esempio agli altri. Maggiore attenzione Egli richiamava su di sé nella chiesa. Stavasene costantemente in ginocchio, con tale raccoglimento, che rapiva al solo guardarlo. Quando poi assisteva alla Messa, o vedeva il Sacerdote alzar la Santissima Ostia, s’inchinava profondamente colla fronte a terra, e vi restava lungamente. Dai nove a’ dieci anni era già tutto impresso dell’amore di Gesu Cristo, e della Beata Vergine; ma, ancor prima, si accese del desiderio della S. Comunione. Non ne fu soddisfatto, atteso l’età; quando poi, di dieci anni , ne venne pago, si accrebbe il suo trasporto pel Pane Eucaristico. La commozione giungeva al -sommo nel vedere il Sacerdote avvicinarsi con la pisside , gli astanti il vedevano nella piena dell’affetto!; dopo ricevutala, rimaneva immobile, come in estasi. Batteasi di poi replicatamente con funi ritorte, e fu questo il preludio di

quelle austere penitenze , onde fiorì in seguito talmente, che fece del suo corpo un’ostia vivente a Dio! Ma fin da questa età i suoi discorsi, le sue azioni respiravano quell’aria di santità da lui raggiunta in appresso. A dodici anni , mortogli il padre , la povera vedova sua madre, circondata da bisogni, lo mise ad imparar l’arte presso un sartore; ma Gerardo entrò ivi nella via di durissimi sacrifizii. Il capo giovine della sartoria, d’indole perversa e crudele, vedendo di mal occhio la di lui spiccata tendenza per cose di pietà e di religione, passava dalle busse alle ingiurie, e da queste alle percosse. Gerardo tutto soffriva volentieri e di animo paziente; spesso gli protestava di perdonarlo per amore di G. Cristo! Cessò la vessazione quando il persecutore si persuase della di lui santità. Si destò, poco stante, nel suo cuore il desiderio della vita religiosa, e fece petizione di entrar laico nel convento de’ Cappuccini di San Menna; ma ne fu escluso per la sua età, e per la malferma salute. Passò al servizio del Vescovo di Lacedonia, e sebbene ne conoscesse l’umore collerico, nutriva pel padrone, in mezzo alle di lui irose escandescenze, una docilità, una sommissione perfetta, pel desiderio d’imitar G. Cristo. Morto il Vescovo, ritornò presso la. madre in Muro, in età di 18 anni. Rinnovò la stessa richiesta ad altro convento di Cappuccini in Muro; ma neppure potè ciò ottenere; al solo vederlo,stante le continue penitenze; compariva di poca e vacillante salute. Reso perito dell’arte sartoria, presso un altro maestro, prese a lavorar di suo conto. Il lavoro non gli venne mai meno; ma spesse volte ne condonava il prezzo, o pure se lo riscoteva, lo distribuiva ai bisognosi, serbando per sé il solo necessario, e non di rado si privava anche di questo per soccorrere gl’infelici! Pel distacco de’ beni della terra, si trovava ogni dì più pieno dell’amore di Dio, e dopo Dio, di mirabile amore per la B. Vergine; onde ben si vedeva che non era fatto pel mondo. Ed eccolo accendersi del desiderio di vita eremitica e solitaria. La imprese infatti, e non se ne ritrasse, che per divieto del suo direttore di coscienza. Due Padri della Congregazione del SS. Redentore, fondata da S. Alfonso Liguori, pervennero in Muro nell’Agosto del 1748. Una segreta tendenza fece

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Prime Memorie

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SAN GERARDO RACCONTATO DA NICOLA SANTORELLI

CAPITOLO I.


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S.Gerardo in processione per le strade di Caposele

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16 dello stesso mese, giorno della B. Vergine del Carmine, entrò laico professo nella Congregazione del SS. Redentore. Avea la statura oltre la mezzana, il volto lungo, la fronte alta e serena, le guance incavate dalla penitenza. Il suo colorito, naturalmente pallido, si rendea rubicondo, d’ un tratto , quando si parlava delle cose alte di religione; e quando parlava dell’amore di Dio vedeasi rosso di fuoco! Avea stecchita la persona, e le ossa sì sporgenti che, se non era per le vesti, si avrebbero potuto contare le ossa. L’aspetto, al primo vederlo, richiamava al pensiero le sue mortificazioni; ma la sola vista del suo sembiante raccolto, e pieno di modestia, inchinava gli animi in di lui favore. Il tratto era semplice, misto a certa gravità! Per carattere, naturalmente vivo ed ardente; per temperamento, sanguigno; a forza di repressione era addivenuto tutto dolcezza e mansuetudine. Ma quando la gloria di Dio era compromessa, pareva farsi di fuoco! Tale era di fuori; qual fosse dentro, la di lui vita dice abbastanza! Parco e temperato nel vitto s’ ingegnava di render disgustoso lo scarso nutrimento con immischiarvi erbe amare; destro in nascondere all’ altrui sguardo queste penitenze! La sua cella, in Deliceto, non aveva nè finestra nè abbaino. Ivi adattò il suo giaciglio, di cui i soli estremi eran colmi di paglia. Intorno

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Compì nel Collegio di Deliceto il suo noviziato; ma di novizio non ebbe altro che il nome e l’abito; tanto era inoltrato nelle cristiane virtù! La sua guida spirituale non dovea porre altro studio; che quello di contenere nei limiti della moderazione lo slancio che avea continuo verso l’austerità. Ma se, da questo lato, dava negli eccessi, ciò avveniva senza affettazione e quel che si , sarebbe potuto trovare a ridirvi trovavasi confutato abbastanza dalla umiltà, e dalle altre virtù sue. Passò all’ufficio di sagrestano, e la vicinanza dell’Amato crebbe il trasporto dell’amante; quel che tanto egli desiderava, adorava l’Augusto Sacramento per ore intiere, di notte e di giorno. Spesso ebbe colà dei rapimenti, e non sempre potè nascondere agli occhi degli astanti l’amor di Dio, che infiammavagli il cuore! De le sue fervide e continue orazioni, nelle quali sovente si levava in estasi, e dalla risultante unione con Dio doverono provenirgli in mente que’ lumi ammirabili e quelle illustrazioni sul mistero dell’ Incarnazione e della Redenzione, che gli facean vedere, come alla svelata , i detti Misteri. I sapienti del secolo si rendevan perciò mutoli e confusi a fronte di lui, ed alle volte, del suo discorrere su que’ lumi, destavasi maraviglia nei più consumati teologi. I misteri rendevansi chiari in sua bocca, ne v’ era teologo o letterato che potesse stargli a fronte, quando ebbro di amor divino s’internava in sì profondi arcani! Donde avvenne che alcuni Ecclesiastici ebbero sì alta opinione della sua penetrazione nelle cose di Dio, che consultavano più volentieri lui.che i loro piu abili dottori! All’ufficio di sagrestano fu aggiunto l’altro di badare alle vesti della Comunità, ed Egli ne tolse cara occasione di scegliere per sé le peggiori! Non indossò mai un vestito nuovo; sempre con vecchi ritagli componeva i suoi abiti! Non soffrì alcun vuoto tra la preghiera ed i suoi ufficii, durantequali, vedevasi come se continuasse pur di pregare! Dopo un secondo noviziato, nel dì 2 Luglio 1752, giorno sacro alla Visitazione della B. Vergine, cominciò il ritiro di 15 giorni per la professione religiosa, e nel

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Storia

Alcune componenti dell’Associazione Gerardina in attesa dell’arrivo della statua di S.Gerardo

al misero giaciglio eran varíi teschi di morte; una sedia malferma era tutto l’addobbo della celletta! Seguì i PP, della sua Con-gregazione per varie missioni e, mandato da’ Superiori per questua, rifulsero dovunque le sue virtù ; quindi gli crescevan gli onori. Ma in mezzo della stima e delle onorificenze, la di lui umiltà cresceva maggiormente. La sola ombra di venir onorato lo facea allontanare e celarsi, poiché prevaleva in lui il sentimento della propria abbiezione, e la sincera umiltà dell’animo suo. Finalmente fu spedito in Caposele, ove era stato altra volta per pochi giorni, ed ebbe piacere di ritornarvi, e godervi la solitudine della sua celletta. In Caposele si accrebbero i fatti ammirabili e prodigiosi della di lui virtù. Più vi fiorì e piu vi risplendè la sua vita, quanto più si avvicinava alla morte ivi avvenuta.

Qui chiudo i rilievi che tolsi, come mi proposi, e come dissi nella nota alla prima pagina di questo capitolo della Vita del B. Maiella, scritta da un Padre Redentorista, edita in Roma 1893. A queste, ora, annetto le ultime Memorie contenute nel mio libro Il Fiume Sele e i suoi dintorni, a pag. 175, Prima Parte, seconda edizione ; e così completo quei ricordi della di lui vita, che presi a scrivere. Ma oh quanti altri se ne annoverano dai suoi biografi, che, del pari, són degni di esser tramandati alla posterità!

PER ABBONARSI AL GIORNALE INVIARE IL PROPRIO INDIRIZZO E UN CONTRIBUTOALLA PRO LOCO CAPOSELE VIA ROMA N.10

- Anno XXXIV- Dicembre 2006

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L' Assessore all’Urbanistica e LL.PP Geom. Vito Malanga ci invia alcune sue considerazioni espresse subito dopo la prematura scomparsa del

Sindaco Melillo.

Con piacere le pubblichiamo e nel contempo esprimiamo l'au-

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gurio a continuare il lavoro intrapreso e gli impegni assunti

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Saranno pubblicati nei prossimi mesi i bandi delle seguenti opere già finanziate ma in ammortamento da gennaio 2007: - Manutenzione strade comunali e pubblica illuminazione; - Adeguamento impianto sportivo in località Palmenta; Si sta procedendo a liberare dall’occupazione dei prefabbricati le seguenti aree per la realizzazione di: - n. 8 alloggi in località S.Giovanni (Fondi già assegnati) - n. 24 alloggi in località Piani I relativi bandi saranno pubblicati entro la fine dell’anno in corso. Sono stati altresì appaltati i lavori di risanamento a Valle della Statale

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per predisporre la bozza di variante al PUC dal momento che sono state completate e consegnate le ulteriori indagini geologiche previste ed è stata altresì presentata la Carta dell’Uso agricolo. Saranno di conseguenza continuati gli incontri già avuti con le organizzazioni locali e con i gruppi di minoranza al fine di poter addivenire, in tempi brevi, all’adozione dello strumento urbanistico ormai indispensabile per il futuro della nostra collettività. Nel campo dei lavori pubblici è stato finalmente rimosso l’ultimo ostacolo che impediva la consegna dei lavori al ponte TREDOGGE (linea telecom) e continuano celermente i lavori già appaltati (Museo delle acque, Risanamento a monte del polo scolastico, Adeguamento e riparazione centro sociale polifunzionale, acquedotto in località Boiara, costruzione n.10 alloggi in località coste,

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a prematura scomparsa dell’amico Sindaco Giuseppe Melillo ha sicuramente lasciato nell’amministrazione comunale un vuoto incolmabile sia dal punto di vista umano che morale e di guida per il paese. E’ chiaro che dopo un primo momento di sbandamento noi amministratori , delegati dal Sindaco Melillo nei settori di cui ci occupiamo, abbiamo il dovere di portare a termine i pochi mesi che ci separano dalla prossima competizione elettorale cercando di realizzare le opere e raggiungere gli obiettivi fissati con il compianto primo cittadino. Pertanto sarà mio preciso dovere e credo di poter parlare anche a nome dell’intera maggioranza, continuare il percorso iniziato tenendo fede agli impegni assunti e nel rispetto delle aspettative auspicate dall’amico Melillo anche negli ultimi giorni

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finalizzati alla crescita del paese.

completamento piscina comunale). Sono stati pubblicati i bandi di gara delle seguenti opere e saranno a breve affidati i lavori: - adeguamento struttura comunale in P.zza Dante; - realizzazione parco fluviale;

Il "ponte"

Un tratto di via San Gerardo

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della sua breve vita dove nonostante la sofferenza ha trovato la forza di continuare a condividere e suggerire tutte quelle iniziative finalizzate al bene e alla crescita del paese. A tal proposito si proseguirà celermente a consegnare tutti gli atti richiesti dall’urbanista incaricato

- Anno XXXIV - Dicembre 2006 N.73

Panoramica su Caposele da contrada S.Giovanni: in primo piano il Polo Scolastico

Corso Europa


REDATTORI

Attuali-

Strapaesanerie

migliaia di detti caposelesi.

E questo grazie alla dedizione dei nostri lettori e alla pazienza nell' interpretare e ritrascrivere anche

STATTI CITTU.... .... CA MO' TU LU CONDU!

T CASAE

Abbiamo raccolto, oramai,

i detti e i fatti caposelesi dei nostri nonni.

E' un lavoro che

DETTI

stiamo

impaginando in una pubblicazione arricchita di contributi fotografici ed audio che saranno riportati anche in un cd dedicato alle nostre tradizioni.

del nostro paese dipende da tutti noi.

continuate a mandarci del

materiale che sicuramente sara' utile a completare la nostra raccolta.

collaborano

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P’MME’ LA VERU ACCUSSI’

di Berto Rosania

SCURA ERA, APPICCIAI NA CANNELA, P’ ASCIA’ QUERU CA I'A TRUVANNU, E NUN B'RIETTI CCHIU’ CRIA,

M’NAI NA IUSCIATA 'NGIMMA A LA VAMPICEDDA, SULU ACCUSSI’ ASCIAI QUERU CA AVìA PERSU RA TIEMBU: I STESSU.

DDA’ ERU, A LA M’BREIA R’ NU MURRECIUNU R’ PAGLIARU, APPUGGIATU A LU P'RNALU.

P’NZANNU CA ERA M’NUTU LU TIEMPU R’ ZUMBA’ RU FRACITU (FACENNU NA SCASSATA RANG' AC-

CUSSI’) E M’NENN A NNUI, DOI SO’ R’ COS: O NUN’ N’AMMU CAPITU NU TACCURU, O FACIMM TUTTU

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P’ NUN B’ULE’ CAPISCI N’ASTA R’ L’ANGONU ADDU STAMMU Z’ZZATI. SCINNIMU NU POCU CCHIU’ N’FUNNU E PURU CA E’ SCURA V’RIMU R’AUZA’ STU PANNETTU PLASTIFICATU CA NI S’PARA: RA LA

NG’ L’AMMA METT TOTTA P’ R’ FA’ COGN’ PRIMA R’ LU TIEMBU SAPENN BBUONU CA NUN N’ZI VAI CCHIU’ A L’ACQUA CU LU CHIURNICCHIU E MANGU S’ACCATTA A CURMU P’ BENN A BARRA.

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LI PICCIUNI E R’ PALOMM NUN ZO’ NE’ MEGLIU NE’ PEGGIU R QUANNU NUI ERUMU CUMM’ ALLORU, SANNU QUERU CA VOL’N E PURU LA MANERA R’ CUMM ANNA FA’. E SI FANN M’N’DON (ARRUCCHIANN’S) E’ P’CCHE’ ARRAFFAI UNU P’ UNO SI SEND’N SULI, SCURNUSI E NU POCU M’BAURUTI.(CUMM LI PRUCINI CA ANGORA ANNA CACCIA’ LI CANNUOLI) SIMMU SINGERI CU STU MUNNU AMMUNNATU

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E SCURCIATU CA N’GIAMMU RUMASTU NU NGE’ TANTA SITU RA’ FA’ RENN’. E’ LLUERU, SO’ NU POCU NZIP’TI E Z’RB’LLI’N MA NGI SO’ TANDA CARDELL CU R’ PALLUCC’ SOTTA, CUMM R’ MAMM E R’ NANONN.

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CHI FA’ CARE’ RU PANU RA MANU SO TANDI SCIOPPACINTREDD’ CA’ R TEN’N ASTIPAT P’ LA NOTT R NATALU N’ZINU A LA BBIFANIA. SERV POCU E CRIA CA SI VOL’N APPENN A LA F’LINIA O P’AZZUCCULA’ MBOND’A TUTTU A R’ FACCIAT’ R VETRU. SENZA JE’ TRUVANNU TANDA STRUOPP’L E F’LICI R’AMINI

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NA BONA SCUTULATA E B’RIMU R’N’NNASSE’ RA INDU A STA SAURA: (SENZA PACCIA’ CCHIU’ CU RU FUOCU) CA QUER CA VEN APPRIESSU, E NN’ANZI A NNUI SO’ PAPURULICCHI…. FERNET.

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F’NIMULA R’ASP’TTA’ CA TORNA A M’NA’ LA VO’RIA, ACCURCIAM’N R’ MAN’CH, LUVANN MANU SENZA RA RETTA NE’ A LA BUSCIARDA E FUTTI SUONNU E MANGU A QUIRI CA VANN PR’R’CANN CA STAMMU BBUONU E CH’ GHIAMU TRUVANN ANGORA, A LI TIEMBI NUOSTI SI STIA MEGLIU PURU CA ER’N MALI TIEMBI. NOSSIGNOR E’ F’NUTA L’EPUCA: NUN ‘GI SO’ NE’ MULINI CA MACIN’N E NE’ FURNI CA COC’N; R’BAROL RA INDU A LA VRONZA V’ R’AVITA PIGLIA’ VUI (PURU CA VI CUCITI NU POCU) SENZA T’ NE’ SP’RANZA A L’ATI, A NISCIUNO. VA VITA MB’CA VUI, L’ATI S’LA VER’N CU LLOR’,

CETTINA

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grazie a tutti coloro che

P’MME M’LA VERU IU.

Tali càrpini, tali vuscigli ***** La capu nun adda patisc’ ***** Roppu chiuopp’t’, ch’ bell’acqua ***** Lu mastru è mastru, ma lu padronu è capu mastru ***** Quannu lu culu sfoca, lu mierucu crepa ***** La carn’ ca coce è quella vicinu a l’uossu ***** Nun facimu rir’ a li fessa ***** Quannu mai lu sol’ s’è muortu r’ friddu ***** Megliu nu’ canu amicu, ca n’amicu canu ****** E’ cchiù caro nu’ no graziusu, ca nu’ si risp’ttusu ***** T’è carutu lu maccarono ind’ a’ ru’ casu ***** Car’ca p’ n’annu e cammina p’ n’ora ***** Fortuna e cauci n’culu viat’ a chi n’av’ ***** Semm’na quannu vuò, ca semb’ a giugno mieti ***** Aggiu sagliutu stu scalinu santu e aggiu truvatu nu fessa ca mi campa ***** Chi faci chiacchir’ n’anzi a lu furnu, perd’ ru’ pan’ ***** Addu’ l’acqua vai n’ghianu, là t’annieghi ***** Lu t’zzonu nun caccia vampa ***** Li ciucci si vatt’n e li varliri si schàsch’n ***** Chi nasc’ p’ lu culu, puzza r’ mmerda finu a chi mor’ ***** Chi stai buonu nun si muvess’. ***** Stia buono e p’ sta meglio so carutu r’ culu ‘nterra ***** Li uai r’ lati so mali r’ capu ***** Vai p’ batt’ lu ciucciu e rumbi la varda ***** Legge abbatt legge ***** Chi tras’ senza fa patti, ess’ senza fa cundi *****

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la conservazione della memoria

UAGLUINAMA R’OI .

di Cettina Casale

- Anno XXXIV- Dicembre 2006

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Poeti di casa nostra

SCENNI DA STA CROCE

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Cosa ca a mme nunn’ mmè mangata mai e l’aggiu t’nuta p’ cumbagna ‘nda la vita, nun m’ha fatt’ passà tanta ‘uai e m’ha fattu fa ‘na bella vita. A me nun m’è s’rvuta la droga p’ cambà ma sul’ lavor’, fantasia e dignità.

Penzu a li iuochi e tutti li cumbagni e quannu ‘nda lu iumu ci faciemmu li vagni.

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Gridarono zeloti e caciaroni e te fecero sta in mezzo a du’ ladroni. Si penzo a quanno Giuda t’ha baciato

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E pe li sordi ha fatto er tradimento, da quer giorno pe’ te tutt’è cambiato per ciò lo maledico ogni momento.

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Pure se so passati dumil’anni l’orno piu’ ‘ngordo fa sempre li danni!

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Pure se stai ‘ncroce tu puoi vedè quello che sta ffa 1' omo a tutte I’ ore con stupri e ammazzamenti e sai perché nun trova pace e nun cià più amore. Pe’ guere, fame, sete e tanto ancora Er monno se ne va a la malora!

“Mo scenni pe’ na vota da sta croce e parla chiaro chiaro a tutti quanti, all’ innocenti daje un po’ de voce a li potenti fatti pure avanti. Fa vede a tutti che sei Tu er faro e no er vile sporco dio danaro !

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Ogni vota ca m’arriva la surgent’, lu giurnalu ca parla r’ lu paiesu miu lu apru e mi torna ‘nda la ment’, quannu uaglionu ci v’ via pur’ iu.

Ricordu tuttu quandu cu’ piacer’, p’cchè quir’ anni l’aggiu cambati ben’ è tannu c’aggiu ‘mparatu lu m’stier’ e l’aggiu fattu ’cu cor’ e senza pen’. Nui ci r’ vrtiemm’ cu poc’ e nient’ e vuliemm’ ben’ a tutt’ r’ gent’. Penzu quannu ija a scola sulament’ a lu pomeriggiu si jucava a lu pallon’, si chiuru l’uocchi po’ mi ven’ n‘ment’ a li balli ca faciemm’ e a r’ p’rson’ ca v’vienn’ r’ stienn’ e semplicità, ma tutti quandi cu tanta dignità. Mi par’ ieri ca’ m’n so’ jutu e so’ passati quasi cinguandanni, puru si nun m’ n’ so’ mai p’ntutu spissu penzu a l’amici e a quir’anni quann’ la droga nun ngera p’ nient’ ma tanda fandasia ‘nda la ment’.

- Anno XXXIV - Dicembre 2006 N.73

POETI DI CASA NOSTRA

Gerardo Porreca

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“pisciarsi sotto”. E solo un passaggio, perché subito dopo, il Grande si staglia in tutta la sua imponenza: “appena m’ha guardato, anziché maestro gli ho detto maestà”. Altro linguaggio, infine, è quello discorsivo e confidenziale dei brani in prosa, come “Campa e lassa campà”, “Notte e giorno”, “Quella rosa”, dove chi scrive, cerca con l’apparente pacatezza della parola, conferme al tema dell’amore, ai mille, variegati suoi volti e ai mille interni conflitti. Miscellanea presentata, per la quale ci piace affermare, come recita Dylan Thomas, che “il mondo non è più lo stesso, dopo che gli si è aggiunta una bella poesia”.

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Tu padre t’ha mannato su la tera pe’ fa sentì piu forte la tu’ voce, ma poi per corpa de’ na brutta guera t’hanno tradito e poi schiaffato ‘n croce.

“Mi manchi”, “Solitudine”, fino alle più lievi “II sarto” e “Montevideo”, dove, dietro un impianto espositivo, apparentemente meno meditato, si ritrova il tema centrale caro all’autore: l’uomo, soggetto “confuso” di fisicità e di spiritualità. Pittoresco ed incalzante è il verso, in vernacolo romano e napoletano, che troviamo in “Un po’ di dubbio”, “Cumm’ aggia fa”, “Il grande Edoardo”. Degna di nota risulta quest’ultima composizione, dove compare un efficace duetto dialettale romano-partenopeo, per celebrare il grande autore attore napoletano. E, particolarmente vividi, si rilevano i colori della tavolozza dialettale romana, quando, del mito viene dipinta la umana, ripugnante corporalità: quella dei “calzini puzzolenti”, dell’improvvida `mbriacatura”, del Quann’ m’arriva “La Surgent’”

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“Una poesia non deve significare, ma essere”. Questo è il primo dettato di ogni ars poetica, e la miscellanea qui presentata sembra chiaramente raffigu-rarlo. In ogni immagine, sia essa poetica o narrativa, si avverte, infatti, la prorompente vocazione dell’autore a calarsi nell’essere, per capirne i più segreti ed incessanti moti, i più segreti ed incessanti misteri. Egli, nonostante l’intimo, suo “lutto”, vuole arrivare a dimostrare il convinto teorema che “dopo la notte c’e sempre l’aurora” e che “dietro la curva la strada continua”. Amore, angoscia, tormento, dignità, felicità, illusione, delusione, sono tutte estrinsecazioni di quell’essere mutevole che è l’uomo. Che si nutre delle sue esperienze, delle sue emozioni, delle sue sensazioni, sempre e ovunque, perché esse sono. Forti e presenti. E’ così che il linguaggio e i contenuti assumono ritmi e colori diversi: quello della metrica rimata, quasi a scandire il dolente canto di una litania, come nelle poesie: “Tristezza”, “Una sola parola”,

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INTRODUZIONE TRATTA DAL LIBRO "DOPO LA CURVA LA STRADA CONTINUA"

NOTE BIOGRAFICHE A cura dell’Autore Le mie radici provengono dalla verde Irpinia, precisamente da Caposele (Av), dove sono nato il 19-4-1938 e dove ho trascorso la mia infanzia, che ricordo con nostalgia. Un paese ricco di tante cose importanti, a partire dal grande Acquedotto Pugliese, uno dei più grandi del mondo. Il fiume Sele, che nasce dal paese, percorre tutta l’omonima valle e sbocca nel mare di Salerno. Il Santuario di S. Gerardo Maiella, visitato da migliaia di fedeli provenienti da tutte le parti del mondo. Gli amici d’infanzia con i quali, quando ci incontriamo, parliamo sempre delle nostre imprese di ragazzi. Eravamo tutti ragazzi che hanno vissuto a cavallo della Il guerra mondiale, con tanta povertà, ma con tanta voglia di andare avanti. Periodo che ci ha forgiati tutti, rendendoci più forti e tenaci per raggiungere i nostri obiettivi sempre con dignità e perseveranza. Principi che mi sono rimasti attaccati addosso per tutta la vita come si può evincere anche dai miei scritti. Come tanti giovani, in quel periodo del dopoguerra, anch’io, con tanti sogni nel cassetto, sono andato via dal paese. Alla fine del 1957 sono andato a lavorare a Salerno presso uno dei migliori sarti, dove per un anno ho potuto affinare il mio mestiere di sarto. Alla fine del 1958 sono venuto a Roma, dove ho esercitato fino a pochi anni fa, con dedizione e soddisfazione, il mio mestiere e dove vivo tuttora Sono amante delle espressioni più alte dell’Arte, come: Pittura, Canto, Teatro, Poesia, che pratico a livello amatoriale. Queste forme d’Arte esaltano la mia fantasia e creatività: qualità del resto, fondamentali nel mio mestiere. Quanto alla mia produzione poetica, vorrei annotare che alcune poesie sono titolate volutamente con una sola parola, perché, per me, può avere mille significati, più di un discorso intero. Infine vorrei auspicare che i miei pensieri, le mie riflessioni trascritti sulla carta, quando il lettore li leggerà, possano suscitare quelle stesse emozioni che ho provato io. Potrei scrivere molte altre cose sulla mia vita, ma penso che al lettore interessi di più conoscermi attra-verso i miei versi.

Prof.ssa Maura Bettini

Mario Sista

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Insieme C’è una casa Dove c’è tanto amore C’è qualcosa che fa rumore, quel fuoco acceso con tanto ardore, parla d’amore senza timore c’è una casa è nato un amor cresciuto col fuoco acceso e difeso con tutto il tepore di quell’ ardore.

Cuore Pensa, fermo Qualcosa balena Ripetuto incessante Rantolo d’amore Altro non è… Freddo… gelido Colorito, vivo. Privo d’udito Salvo il tarlo Che t’insonna Quale agonia Per te,,, donna…


Poeti di casa nostra

UN OMAGGIO ALL'AMICO DOMENICO PATRONE

CON GLI OCCHI DEL RICORDO

Domenico Patrone nato a Caposele, nell’entroterra avellinese, i13 settembre 1931. Autore di composizioni poetiche di stampo autobiografico. Questo volume, che rappresenta la sua opera completa, contiene sia poesie inedite o già pubblicate. La Sua poesia colpisce la sensibilità per lo stile asciutto ma altamente umano in una forma

aspra e laconica, aliena da ogni letterarietà.

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“Nessuno è tanto povero da non avere niente da dare; dà quello che hai: per qualcuno può essere più di quanto tu creda. “

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Viene così all’improvviso, con dolce carezza, con fremiti d’ali Immagini care, dolci sospiri strette furtive di mani, desideri appagati. Corre il pensiero in una nube dorata; Tutto è presente e... il cuore muore.

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NOSTALGIA

Con gli occhi del ricordo son tornato, Con gli occhi del ricordo t’ho guardato, Paese mio, mio paese Son tornato, e insieme abbiamo ritrovato Gli anni belli della dolce età: I vicoli stretti, i vecchi portoni, i basoli antichi, Gl i antichi nomi, tutto ho ritrovato Ho ritrovato gli amici, l’incanto dolce Delle serate estive ; Il vento lugubre dei giorni invernali ; Il fuoco acceso dei neri camini Il cadenzato e aperto parlare Delle donne; Il gioioso ritrovarsi dei giorni di festa All’uscita della Messa, Non ho sentito il rombo di assillanti motorette; non ho sentito il suono aspro di dischi e di cassette! Non ho visto televisori accesi, Non ho notato gente vestita in modo strano. Con gli occhi del ricordo son tornato, Con gli occhi del ricordo t’ho trovato, Paese mio, mio paese

Una Comunità Educante che cresce quanto i ragazzi oggi vivono in un contesto globale privo di barriere e di vincoli. Il nostro Istituto si adopera, per investire in maniera incisiva sull’insegnamento della lingua e sull’acquisizione della certificazione di competenze (Trinity); - intercultura e mondialità, perché la Scuola è chiamata, sempre più spesso, a confrontarsi con persone portatrici di valori culturali e religiosi diversi, pertanto Essa deve saper promuovere un’effettiva integrazione interculturale, valorizzando la diversità come risorsa;

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L’ i s t i t u t o C o m p r e n s i v o d i Caposele, consapevole che la Scuola debba fornire gli strumenti di decodifica dei Bisogni emergenti da un contesto sociale estremamente dinamico, ha strutturato un’Offerta Formativa articolata e tale da consentire all’alunno di collocarsi adeguatamente in un contesto di extra-scuola complesso ed in continua evoluzione.

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di Cesarina Alagia

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In quest’ottica la Scuola rilancia la centralità del suo ruolo propositivo rispetto al territorio ed intende realizzare obiettivi strategici ed innovativi quali: - coinvolgimento reale nella Scuola dei genitori facendoli diventare co-protagonisti nell’azione educativa dei figli;

- educazione alla Legalità intesa come tematica che pervade l’intero curricolo e che si prefigge l’obiettivo di sviluppare il senso di sé e degli altri, della solidarietà e della tolleranza in una società dove prevalgono, spesso, forme di prevaricazione e di intolleranza; -

formazione linguistica, in

azione e in esperienze di contatto diretto con l’ambiente (orienteering con personale specializzato); - educazione alla salute, si richiama al concetto di benessere psico-fisico e sociale e affronta problematiche diversificate (alcoolismo, tabagismo, dipendenza da sostanze stupefacenti, etc), anche in collaborazione con organismi esterni (ASL). L’ I s t i t u t o C o m p r e n s i v o

di Caposele intende, inoltre, sollecitare e realizzare una serie di collaborazioni, consapevole che la Scuola rappresenti il momento di mediazione più significativo con tutto ciò che è presente nel territorio e che può essere utilizzato, nel contesto delle proprie specificità, con valenza sociale, educativa e culturale, al fine di creare una Rete effettiva di sinergie finalizzata al Benessere della persona, inteso nella sua accezione più globale.

- drammatizzazione, in quanto il teatro si configura come strumento educativo di grande efficacia, capace di sviluppare nei ragazzi una maggiore fiducia in sé stessi, contrastando, così, anche eventuali forme di disagio e di emarginazione; - educazione ambientale, in linea con la politica europea, anche il nostro Istituto affronta da diversi anni problematiche ambientali al fine di suscitare comportamenti compatibili con l’Ambiente, pertanto gli alunni sono coinvolti in attività di ricerca- Anno XXXIV- Dicembre 2006

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La risposta soffia nel vento di Cesarina Alagia

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emergerebbero troppe contraddizioni; è più facile e tranquillo ritenere che il destino a volte tesse delle tele assurde. Ma fino a quando sarà possibile fingere di non vedere? La risposta continua a soffiare nel vento…

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serena,assaporare il calore sempre fortemente desiderato delle proprie origini, e invece il tutto viene cancellato, distrutto in un istante, senza che nessuno sappia o voglia, poi, dare una risposta. Sembra che molti, troppi, preferiscano volgere il capo e fingere di non vedere, di non sentire, altrimenti

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cambiamento in nome della Solidarietà e del senso di Giustizia. Molti sono stati gli sforzi fatti per tentare di costruire una comunità più solidale, più attenta ai valori e ai bisogni della gente; ma cosa c’è veramente in questa nostra realtà? Cosa bisogna veramente fare per incidere su di una società distratta e spesso ipocrita? Una società che anche di fronte a delle morti assurde risponde che non c’era niente da fare, quasi fosse stato tutto inevitabile, e così ogni possibile risposta continua a correre spinta dal vento dell’ipocrisia. Eppure siamo noi che dobbiamo cercare di dare delle certezze, dei valori alle nuove generazioni, a quelle generazioni che hanno il diritto di vivere in un mondo più vero, in un mondo dove ciascuno, dopo tanti sacrifici, può sognare una vita semplice,

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“E quanti orecchi deve avere un uomo prima di sentir piangere gli altri? E quanti morti ci vorranno prima che si capisca che troppa gente è morta? La risposta, amico mio, soffia nel vento”. Queste parole di una canzone di Bob Dylan hanno accompagnato la mia giovinezza, quando si credeva che una risposta a questi interrogativi un giorno sarebbe arrivata portata dal vento della giustizia. E invece ancora oggi ci sono troppe domande che attendono risposte che non verranno, troppe contraddizioni e troppi “non senso”. In questi anni ho costruito le convinzioni su degli ideali che vedo frantumarsi contro il muro di un vuoto civico e sociale sempre più profondo e sento che le mie certezze cominciano a vacillare. Quelle certezze che mi hanno fatto ritenere giusto, un giorno, creare, insieme ad altre persone, un’Associazione di Volontariato con la quale cercare di realizzare un

almeno una volta nella vita, potrebbe averne bisogno. Donare sangue periodicamente garantisce a noi, donatori potenziali, un controllo costante del nostro stato di salute, attraverso visite sanitarie e accurati esami di laboratorio. Abbiamo così la possibilità di conoscere il nostro organismo e di vivere con maggiore tranquillità, sapendo che una buona diagnosi precoce eviterà l’aggravarsi di disturbi latenti. Ognuno di noi, prima di essere ammesso alla donazione, viene sottoposto a una accurata visita medica e a esami diagnostici e strumentali. Per donare sangue bastano i seguenti requisiti: età compresa tra i 18 e i 65 anni; buone condizioni fisiche generali; peso non inferiore ai 50 chilogrammi. Donare il sangue è un atto di sensibilità e responsabilità nei confronti degli altri e di sé stessi.

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La Pubblica Assistenza di Caposele dal 2005 ha aderito alla FE.D.S.O. Campania(Federazione Donatori Sangue ed Organi) e sta cercando di creare una banca dati dove inserire tutte le persone che vogliono donare sangue. Non c’è istituzione o singolo che, da solo, possa far fronte a questa perenne emergenza che può essere superata solo con la consapevolezza e la solidarietà di tutti i cittadini. Donare il sangue può davvero salvare una vita o addirittura più vite. Se nessuno lo facesse, molti bambini malati di leucemia non potrebbero sopravvivere, così come le persone in gravi condizioni dopo un incidente. Inoltre, il sangue offerto molte volte è servito a pazienti che subiscono un’operazione chirurgica: infatti, nel corso di qualsiasi intervento può diventare necessario, a giudizio del medico anestesista e dei chirurghi, trasfondere al paziente globuli rossi concentrati o plasma o talvolta piastrine. La maggior parte di noi può donare il sangue e la maggior parte di noi,

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C’È CHI HA LA SOLIDARIETÀ NEL SANGUE E CHI HA BISOGNO DI SOLIDARIETÀ E DI SANGUE.

- Anno XXXIV - Dicembre 2006 N.73

Bisogna ricordare di presentarti la mattina e a digiuno: si può bere un caffè o un tè caldo, ma non ingerire latte né cibi solidi. Il prelievo non

di Concetta Mattia

dura più di 10 minuti e consiste nella raccolta di una certa quantità di sangue dal volontario con materiale rigorosamente sterile e monouso. Il personale delle strutture ospedaliere competenti, è costituito inoltre da medici ed infermieri professionali appositamente formati e disponibili per qualsiasi informazione. I prelievi di sangue si effettuano a intervalli non inferiori ai 90 giorni: gli uomini possono donare quattro volte l’anno, le donne in età fertile due volte l’anno. I donatori di sangue e di emocomponenti con rapporto di lavoro dipendente hanno inoltre diritto ad astenersi dal lavoro per l’intera giornata in cui effettuano la donazione, conservando la normale retribuzione per l’intera giornata lavorativa. I volontari della della Pubblica Assistenza di Caposele lanciano un appello a tutti i caposelesi affinche’ si possa assicurare per tutta la nostra

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla segreteria della

Pubblica Assistenza

Caposele chiamando allo 0827.53594 oppure all’indirizzo di posta di

elettronica

pacaposele@libero.it.


SINFONIC BAND “CITTA’ DI CAPOSELE”

Luigi Nesta, Presidente della “Sinfonic Band” alla guida del Complesso Bandistico

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Presidente (Luigi Nesta,13/05/76), che passa d’apprima 15 anni nella Vedetta di Caposele iniziando con la tromba e passando al bombardino poi, collabora da diversi anni con le bande di Avellino, Lapio, Pescopagano, Sant’Angelo le Fratte. Inoltre, laureatosi in economia e commercio presso l’Università degli Studi di Napoli, è supplente nelle scuole in Toscana. Con l’espressione sinfonic band si intende una formazione naturalmente bandistica che avvalendosi di strumentisti di un certo spessore riesce a fare a meno dei solisti nella realizzazione dei brani, ma non perché i solisti siano superflui, ma perché si alza il livello di preparazione artistica dei singoli strumentisti. Attualmente collaborano con la nostra organizzazione il M° Angelo Di Meo (1^ tromba Sib di Lacedonia), M° Vincenzo Malpede (1^ basso Sib di Ripigliano), M^ Adriano Lordi (Flicornino Mib di San Gregorio Magno), M°

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Antonio Conforti (1^ clarinetto Sib di Oliveto Citra), M° Lullo Alessandro (1° Basso Sib di Oliveto Citra). Il Capobanda artistico dal 2005 è Angelo Campione nota figura bandistica di Calabritto (1° clarinetto Sib). Collaboratore di indiscussa importanza Salvatoriello Gerardo (03/02/72) caposelese e bassista mib doc.

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composto dal Consigliere Tonino Acone (Percussioni e clarinetto), Vicepresidente Pasquale Merola (1°Flicorno contralto mib), Presidente Luigi Nesta (Flicorno baritono/Flicorno tenore). La nuova organizzazione si confronta subito con realtà musicali evolutissime e nel giro di poco tempo riesce facendo una cernita dei migliori strumentisti presenti anche nei comuni limitrofi a mettere in piedi una realtà musicale che andando anche oltre i 40 elementi nella sua formazione completa riscuote notevoli successi anche fuori regione, realizzando ogni anno centinaia di uscite ( in occasione del prossimo Venerdì Santo del 06 aprile 2007 la Banda sarà a BARI per l’intera giornata, partecipando insieme ad altre 4 bande alla manifestazione cittadina ) . Dal 2005 il Maestro è Francesco Sabia nato a Ricigliano SA il 09/04/64, figura di spicco nei conservatori di Salerno e Potenza. La segreteria organizzativa dalla nuova costituzione della sinfonic band è nelle mani del

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La Banda di Caposele nasce nel 1914 ad opera di Fratello Antonio Malanga, Parroco di Materdomini ed opera a livello locale date le immense difficoltà di trasporto, facendo radicare tra gli autoctoni i rudimenti della cultura strumentistica, se non proprio bandistica. In realtà le bande del sud hanno il grande merito di portare ancora oggi il teatro in piazza rappresentando opere liriche, in quel caso si tentava il primo passo aggregando più persone vogliose di sperimentare questa nobile arte. Dopo 50 anni la storia artistica di Caposele deve annoverare la nascita di due organizzazioni bandistiche. La Banda di Materdomini facente capo a Giuseppe Malanga, e la Banda “Vedetta di Caposele” capitanata da Gaetano Vitale. Entrambe riscuoteranno enorme successo, la prima in particolar modo in provincia di Avellino, la seconda invece sfonda in Basilicata dove risulta richiestissima soprattutto nella provincia di Potenza dove arriva a fare trasferte anche di 2 settimane spostandosi di Paese in Paese come ancora oggi fanno le moderne bande da giro più accreditate. All’inizio del nuovo millennio ritenendo superata la Riforma Vessella sulla suddivisione in piccola, media e grande Banda si da nuova veste all’organizzazione e si fonda una associazione denominata COMPLESSO BANDISTICO CITTA’ DI CAPOSELE con Consiglio di Amministrazione

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di Luigi Nesta

La Banda per le strade di Caposele

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Una sosta musicale in via Roma

Il Complesso bandistico “Città di Caposele” al gran completo

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Alfonso Gonnella, Antonio e Gerardo D’Elia

Salvatore Forlenza e Alfonso Merola

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Grazia e Antonietta Salvatoriello

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LA NOSTRA CONSUETA RUBRICA FOTOGRAFICA, NELLA QUALE SONO RIPORTATE IMMAGINI DI MANIFESTAZIONI e DI VITA QUOTIDIANA, CON PERSONAGGI, LUOGHI E CITTADINI, anche DI PASSAGGIO immortalati dalL'OBIETTIVO FOTOGRAFICO DE "LA SORGENTE" .

Gerardina Cione e la sig.ra Russomanno

Eliseo Damiano e le gentile consorte

Alfonso Malanga e i due Gualfardo Montanari

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Da Milano e da Roma : incontro a Caposele di Luca Baldini e Daniele Lombardo

Gerardo Casale e Alfonso Merola

Pino Melchiorre ed il nipote Daniele

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Antonio Merola, Armando Sturchio e Salvatore Conforti

Angelo Petrucci Angelo Ceres, Giovanna Sozio e Franca Vitale

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Vincenzo e Gaetano

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Mariarosa Coppola e Rosa Iannuzzi

Serafina Damiano e Rosa Cibellis

Peppino Freda e Serafina Casale

Giovannina Viscido e Gerardina Cione

ToninoRosania con la sua signora e la nipote Carmen

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Nicola Majorana, Alfonso Colatrella ed Ettore Spatola

Salvatore Conforti jr

Giannina Cione e Rosa Iannuzzi

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Federico Barbarossa

Teresa Mariniello eGerardo Damiano


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Emidio Alagia Francesca Russomanno

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Giovanni Sturchio

Patrizia Rosania e la piccola Carmen

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Giuseppe Casale

Vituccio Caruso

Lorenzo Ruglio

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Andrea Iannuzzi

Rocky premiato per la sua passione sportiva

Antonio Russomanno, Angelo Farina, Davide Liloia e altri

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Vincenzo Russomanno

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Maria Russomanno

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Grazia Curcio e Angelina Rosania

Grazia e Elvira Cibellis

Michele Russomanno

Vito Russomanno e Gerardo Sica

Angelo Cuozzo e Enzuccio Castagno

Peppe e Piero

Ing. Pietro Pallante

Gerardo D’Elia e Raffelino Galdi

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REDATTORI

GIUSEPPE NESTA C

Frammenti di autentica storia sul comune di Caposele a partire dagli inizi del 1800 A

“La Sorgente” pubblicheremo una serie di articoli, frutto di ricerche storiche condotte dall’arch. Giuseppe Nesta nei vari archivi provinciali di Salerno e Avellino. Gli articoli riguarderanno gli argomenti più disparati e saranno trattati in maniera rigorosa dal punto di vista della ricerca, con produzione di documenti di notevole interesse locale. partire dal prossimo numero

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Giuseppe Nesta

a cura di Giuseppe Nesta

G SO R Una cartina storica ai tempi dei principati

La ricerca e le curiosità che

riguardano il nostro

Paese comprendono anche l'incidenza

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- Protocolli notarili - Regolamenti di polizia urbana - Affitto dei beni fondi - Ratizzi per la fida degli animali - Camposanti - Conciliatori - Salute pubblica - Fiere e mercati - Istruzione - Servizio postale - Monti frumentari e pecuniari - Soppressione di conventi e monasteri - Terraggi comunali - Affari ecclesiastici - Dazio sul macino - Personale dell’Intendenza e delle sottointendenze - Commissione diocesana - Pesi e misure - Statistiche - Terremoti - Prigionieri di guerra - Strade - Amministratori comunali: Sindaco, Primo eletto, secondo eletto - Stipendiari comunali - Boschi - Legionari del 1820 - Guardie Urbane di sicurezza, cittadini armati - Legione Provinciale Compagnia Scelta - Deputazione per gli alloggi - Contribuzioni dirette - Processi Penali - Processi per reati politici - Processi per reati comuni

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Per dare un’idea della vastità del materiale oggetto di studio riportiamo l’elenco degli argomenti trattati:

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La pubblicazione non seguirà scrupolosamente l’elencazione che precede; di volta in volta si scegliereranno gli argomenti di maggiore interesse e saranno trattati in in maniera il più completo possibile. In questa, che vuole essere solo un introduzione alla rubrica che sarà trattata da Giuseppe Nesta, riportiamo alcune notizie ed immagini ritrovate negli archivi e che, in un futuro molto prossimo saranno, in modo più approfondito riportate nel catalogo multimediale de "La Sorgente" e a disposizione di tutti i cittadini. Per questo lavoro improbo e straordinario un nostro ringraziamento va a Giuseppe che con la sua passione e pazienza metterà a nostra disposizione l'enorme materiale raccolto.

L'esempio del materiale storico ricercato da Giuseppe Nesta e dal quale estrapoleremo le notizie che riporteremo in questa rubrica

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sulla percentuale della popolazione dei cognomi più comuni di

Caposele


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Graziella Del Malandrino con la figlia Elena

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Incoronata e Roberto Della Luna

Concetta Merola, Gerardina Iannuzzi, Giovanni Cuozzo,Grazia d’Elia e Felicino Bruno

Gerardina e Nicola Meo

Angelo Sturchio di Alfonso e Tania Russomanno

La piccola Giuly

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Gerarda, Clelia e Sasha, Antonio e Gerardo

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Franco Sturchio con il piccolo Simone

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Lorenzo Corona, il nipote Giuseppe e Antonio Competiello

Carmen Gervasio di Lorenzo e Patrizia Rosania

Angelo Sturchio: nonno e nipotino

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Antonietta Viscido del bar Roma

Lellina Cibellis del Vapoforno Sele

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Rocco Ventre, Daniela e Francesca

Rosetta Cetrulo col piccolo Antonio

Elodia Guerrera di Luigi e Annaclelia Conforti

Lorenza Russomanno, la fioraia Angelina, Filomena Liloia, Patrizia Rosania e Franca Monteverde col figlio Alessandro

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Almanacco

ALMANACCO

a cura di Antimo Pirozzi

NATI Ricordo di Giovanni Rosania

Il 12/10/2006 è nato Pablo Vincenzo Cetrulo di Gerardo e di Concetta Sozio

Il giorno 09/10/06 presso l'Università degli Studi di Pisa, Delia Fabio si è laureata in Economia Aziendale con una tesi dal titolo "L'Agriturismo come motore di sviluppo del Territorio: il caso dell'Irpinia" con voti 107/110

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PER ABBONARSI AL GIORNALE INVIARE IL PROPRIO INDIRIZZO E UN CONTRIBUTOALLA PRO LOCO CAPOSELE VIA ROMA N.10

Lodovica Apicella nata il 13-09-2006 di Antonio e Cesaria Mattia

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In data 13 ottobre 2006 Nicoletta Ceres ha conseguito presso l’Università degli studi di Napoli la laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutica con voti 110 e lode.

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Raffaele Rosamilia ha conseguito in data 23/02/2006 presso l’Università di Salerno la laurea in Scienze delle comunicazioni con voti 105/110.

Lorenzo Corona 07-11-06 di Luca e Antonella Grasso

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Ernesto Donatiello in data 24/01/06 ha conseguito, presso l’Università degli Studi di Salerno, la laurea in Scienze del

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Marco Zarra e Elena D’Amato in data 2 Dicembre 2006 hanno coronato il loro sogno d’amore.

Luigi Malanga di Franco e Ofelia D'alessio

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TE LE NOTIZIE CHE RIPORTIAMO SONO IL SEGNO DELLA VOSTRA COLLABORAZIONE

RICORDO DI ANTONIO SENA

Il volo, l’alta quota, la dimensione aerea, la luce: queste le caratteristiche più originali del nostro stare insieme. E, tuttavia, v’era anche il suo contrario: la terra, le sue profonde grotte, il buio. Non ci si faceva mancare nulla, tutto diveniva esperienza e conoscenza: ying e yang, alfa e omega, l’ini­zio e la fine. Quando lo si trascorreva insieme, il tempo scivolava via in modo interessante, ovvero mai vacuo e banale. Che fossimo al chiuso di una stanza o per strada a passeggiare. In ogni caso le nostre gior­nate più memorabili ed interessanti erano quelle in cui si scalavano montagne, bevendo vino, par­lando, mangiando, scrivendo. Questo era il nostro modo di viaggiare per luoghi lontani (a poche miglia da qui), forse nel tentativo inconscio di emulare le gesta di Gary Snyder nei Vagabondi del Dharma, scritto da quel Jack Kerouac, da noi tutti considerato un maestro della parola che diventa musica, ritmo, respiro profondo, liberazione. Andavamo scrivendo, infatti, che il nostro stare insie­me si è sempre basato proprio nel far vivere la parola, tentando di affrontare, ciascuno nel proprio spazio e nella propria dimensione, il quotidiano divenire. Siamo stati e ancora oggi siamo tante cose: figli ma pure padri, occupati ma anche disoccupati, spe­ranzosi e disillusi, artisti ed inetti, innamorati e aridi, appassionati e perduti. Ma nel

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il 22-09-06 è nato Rocco Spatola di Salvatore e GraziaPia Merola

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In data 10/11/06 Marilena Gonnella si è laureata in Scienze Infermieristiche presso l’Università degli Studi di Modena con tesi dal titolo “Diabetici in ambulatorio del MMG. Analisi di una casistica - Autonomia infermieristica”

FATECI PERVENIRE, PRIMA DELL'USCITA DEL GIORNALE, TUTTE LE NOTIZIE, FOTO E COMMENTI SUI VOSTRI CARI CHE GRADIRESTE VEDERE IN PUBBLICAZIONE;

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Lo scorso 22/09/06 Valentina Russomanno ha conseguito la Laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” discutendo una tesi dal titolo “Crittografia mediante curve ellittiche” Relatore il Chia.mo Prof. D. Mattera;

Giovanni Rosania, nato a Caposele ed emigrato al nord durante la seconda guerra mondiale. Lì si è sposato ed ha formato una bella famiglia; non ha mai dimenticato il suo paese e la sua gente, è rimasto sempre legato alle sue tradizioni e non ha mai rinnegato di essere un uomo del sud.Questo è un piccolo dono per una grande persona. La tua famiglia

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In data 25/11/06 Emanuela Pallante si è laureata presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma con la votazione di 110/110 e lode discutendo la tesi: “Aprassia: Riabilitare si, ma come? Iporesi interpretative e proposte di trattamento” Relatore: Prof. Franca Araneo

vagabondare della nostra vita c’è stato sempre un filo rosso che ci ha fatto ritrovare. Questo filo è stato per noi, Antonio Sena. La sua scomparsa, due anni fa, non è riuscita a recidere questo legame. Esso vive - è vero - anche di ricordi, ma si alimenta, in ogni buona occasione propizia, di linfa nuova, che non può che arrivare dal cielo, là dove Antonio si libra gioioso in compagnia di angeli e serafini, ai quali - ne siamo cer­ti propina incomprensibili giochi e pazze provocazioni, con i modi tipici della sua grande e non comune intelligenza. E noi, qui, un po’ soli e sconsolati per non esserci, ci godiamo lo spettacolo e, insieme con lui, non rinunciamo ad un’altra ed ennesima sonora risata.


RICORDIAMO GLI AMICI Hai lasciato improvvisamente la famiglia in un dolore profondo. Ora che sei lassù in cielo guida i tuoi figli nel cammino della loro vita

D'Elia Gelsomino

patia, di senso della comunità e della comunione. Ha ritrovato un antico paradigma perduto in una umanità che spesso si agita troppo per nulla ed inutilmente. Tanti di noi immaginiamo che riposi serena accanto a chi non avrebbe mai voluto, nella buona e nella cattiva sorte, abbandonarla. Io, invece, sono sicuro che Tina e Alfredo sono a Coira, dove li richiama il

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n.20-01-1955 - m.21-11-2006

TINA E ALFREDO Ho visto una delle figlie di Tina stringere a sé una minuscola urna cineraria, la stringeva con orgoglio ed amore, quell’amore che è l’unica forza che gli esseri umani possono opporre al mistero della vita e della morte. In quell’esatto momento mi è venuto in mente e mi è stato veramente chiaro il pensiero di Edgar Morin sulla straordinarietà della natura umana: "Non si nasce mai per davvero perché già si esiste nei gameti di chi ci ha generati e non si muore mai perché si continua ad esistere nei propri figli e nelle idee che si riesce a trasmettere a loro”. Tina non ha avuto il tempo, né la voglia di piangere per sé, per un destino che l’ha costretta a consumarsi nel dolore per chi l’ha lasciata troppo prematuramente. In fondo tutti noi siamo inchiodati al nostro programma genetico e alle accelerazioni che il contesto ci impone.Tina ha accettato con coraggio questo paradosso e ci ha dato una lezione magistrale di em-

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Il compagno Ferdinando

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circostanze a fare il pompiere. Egli non era stato mai un problema per nessuno: ci risolse molti problemi… Io sono convinto che non ci sia, in un paese inquieto come Caposele, un solo avversario politico che non abbia apprezzato il suo equilibrio e la sua capacità di mediare in situazioni di conflitto e questo patrimonio ci è stato trasferito da lui esemplarmente affinché nessuno si senta depositario di verità assolute. Nella sua scelta di vita non c’era spazio per gli opportunismi politici: egli ha sempre dato e non ha mai nulla ricevuto o preteso. Da lui abbiamo imparato che la Politica è il prodotto di una intelligenza collettiva che non può tradire le attese dei più deboli ai quali bisogna sentirsi uniti in spirito di servizio per una sana convivenza democratica. Di tutto questo dobbiamo essere grati a Ferdinando, assicurando alla sua Elvira, ai suoi Antonio, Nunzia, Gelsomina e Stefania che noi lo continueremo ad amare anche ora che non è più tra noi. Alfonso Merola

PIETRO PALLANTE Anche Pietro Pallante, in quest’anno che affastella lutti come legna da ardere, ci ha lasciato prematuramente. La notizia si sparse in un baleno. E’ stato, anche in questo caso, il fiume amico, a lui tanto caro, a prenderselo. Pietro amava veramente il Sele e passava tanto tempo lungo i suoi argini: diventava triste quando guardava le ferite che l’uomo procurava al suo fiume che ormai si nascondeva sotto i ciottoli bianchi per poi respirare in profondità in qualche slargo. Viveva la sua vita di pensionato con la soddisfazione di chi sa di aver fatto il suo dovere in anni di lavoro al Comune. Portava impresso sul volto il sorriso, di quelli che non sono di facciata, e sapeva unirlo alla pazienza del pubblico dipendente che sa d’essere pagato per assicurare risposte cortesi e non invettive ai cittadini. Dedicava le sue mattinate, in genere, coi nipotini che erano il suo orgoglio. Di pomeriggio una visita veloce a Diomartino e, poi, se il tempo lo permetteva, … a pescare. Pietro non nascondeva l e sue idee politiche: era tutto di un pezzo e questo lo rendeva rispettabile agli avversari. La sua è stata sempre una presenza discreta, eppure, mancherà a tanti, soprattutto a quanti hanno imparato da lui che la famiglia, in una comunità, è uno dei beni più preziosi.

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Ferdinando ci ha lasciato mentre spirava settembre, un mese a lui tanto caro. E’ partito silenziosamente da noi nel perfetto stile che lo ha sempre contraddistinto: egli era maestro di discrezione. Il percorso del suo Calvario gli era ben noto da almeno tre anni, eppure i suoi passi verso un nemico impari non sono stati mai incerti. Io credo che egli abbia lottato strenuamente fino alla fine, senza mai farsi vincere dalla disperazione, insegnandoci che la vita è il più prezioso dei valori che l’Uomo ha a disposizione. Egli non ha sprecato nemmeno un attimo del tempo che gli rimaneva. Egli era fatto così. Nonostante il fardello pesante che si portava addosso, sorretto dall’affetto dei suoi cari, e dei suoi amici, ha dato aneliti al suo cuore e alla sua mente. Egli ha vissuto, così, i suoi ultimi anni, come sempre, spendendoli per gli altri. Ci aveva abituato a vederlo sparire di tanto in tanto per i suoi pellegrinaggi nei santuari ospedalieri della Campania, ma poi, ritornava ricaricato in mezzo a noi al suo lavoro quotidiano. Che forza aveva Ferdinando! Chi non lo ricorda nelle riunioni in sezione, nelle assemblee congressuali, nelle feste de L’Unità o della Pro Loco, dietro una scrivania al Sindacato. Ferdinando assessore o segretario in tempi duri, con la sua pazienza sconfinata, il suo sorriso costante, la sua capacità di risolvere conflitti e le sue arrabbiature che non lasciavano traccia un minuto dopo.Questo era Ferdinando che ci mancherà. Era nato incendiario (per le sue idee inossidabili su una sinistra che non doveva mai colorirsi di un “ rosso relativo”), eppure era costretto in molte

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novembre 2006

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E' in distribuzione il DVD dei documentari girati a Caposele nel 1974, 1976 e 1977. Immagini straordinarie che raccolgono emozioni, personaggi e luoghi di un Paese oramai completamente mutato. Le riprese originali filmate dal Dott. Antonio maresca sono state rivisitate,

Caposele visto dal Pianello

La fontanina di Piazza di Masi; sullo sfondo l’inizio di via E.Caprio

digitalizzate e sapientemente rimontate su un supporto che congela, per

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sempre, quei momenti.

e' possibile averlo contattando la pro

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loco o la redazione de "la sorgente"

Gruppo al completo delle “Donne della Sagra 2006�

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BUON NATALE


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