PERIODICO A CURA DELL'ASSOCIAZIONE TURISTICA PRO LOCO CAPOSELE FONDATO NEL 1973
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DICEMBRE 2010 - Direttore
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Nicola Conforti
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Reg.Trib. S.Angelo dei L. n.31 del 29.1.74 - Sp. in A.P. art.2 comma 20/c L.662/96 Dir. Comm. Avellino -sem.- Anno XXXVIII -
ACQUA
L’acqua
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’ imminente scadenza della convenzione tra il Comune di Caposele e l’Acquedotto Pugliese, ha acceso un vivace dibattito a tutti i livelli, con incontri e convegni, cui sono seguite proposte e suggerimenti da ogni parte della società civile. Mentre è in corso la “guerra mondiale dell’acqua”, Caposele, città di sorgente, da sempre paese dell’acqua, ha rivendicato con forza i suoi diritti inalienabili su un bene offertoci generosamente da madre natura.
Il nostro giornale non poteva rimanere indifferente, né poteva ignorare l’importanza e l’attualità del problema, atteso che la posta in gioco, oltre che di grande interesse, è di vitale utilità per il nostro piccolo Paese che, in tempi non lontani, traeva da questo bene non solo le risorse necessarie al sostentamento della popolazione, ma anche l’energia necessaria allo sviluppo dell’industria, dell’agricoltura e del turismo. E’ vero: l’acqua è un patrimonio dell’umanità, è fonte di vita per l’ecosistema: un bene che appartiene a tutti gli abitanti della terra. Ma è ugualmente vero che Caposele, che
tanto ha donato alle popolazioni assetate della Puglia, nulla ha ottenuto in cambio. Le nostre ragioni sono state ampiamente espresse sulle pagine di questo periodico da amministratori, legali, politici, storici e da semplici cittadini. I lettori se ne faranno una ragione e, dal momento che i giochi sono ancora aperti, potranno, con cognizione di causa, portare doverosamente il loro contributo di idee nelle prossime assemblee, sicuramente aperte alla partecipazione di tutta la cittadinanza. Nicola Conforti
Lettere in redazione Da Bologna Caro Direttore, Ho apprezzato moltissimo il dono che hai voluto cortesemente offrirmi. All'indomani della tua graditissima visita, mi sono dedicata ad una prima osservazione dei contenuti ai quali, successivamente, dedicherò maggiore e più intensa attenzione. Ritengo che una tale raccolta storica, così ben realizzata nella splendida veste editoriale, sia un grande elemento di soddisfazione per tutti coloro che desiderano possedere una rievocazione di avvenimenti, anche con riferimento a persone coinvolte, e quant'altro ha riguardato per decenni la nostra Comunità. Considero la tua opera un eccellente documentario, da portare alla conoscenza delle nuove generazioni che troppo spesso sono sviati, causa l'imperante modernismo, dal rispetto delle proprie radici. Chi invece ha vissuto, totalmente o in parte, gli avvenimenti del periodo trattato da una così importante raccolta, sente richiamare alla mente il tempo trascorso con piacevole nostalgia non senza però un senso di tristezza per ciò che ha caratterizzato negativamente il suddetto periodo; anche questo aspetto possiede tuttavia il potere di conservare i ricordi. Vorrei quindi ribadire il mio apprezzamento per la raccolta da te curata ed esprimerti il mio grande grazie unitamente a quello della mia mamma che si è anche commossa nel veder rievocati episodi da lei vissuti. Ti confesso inoltre, caro ingegnere, il mio desiderio di avere, sui volumi in argomento, una tua cortese dedica che arricchirebbe maggiormente ciò che tu hai così pregevolmente realizzato. I miei saluti più cordiali
Caro Direttore A distanza di 33 anni ho avuto il piacere di rileggere il n. 11 del giornale “La Sorgente” del marzo 1977. Mi ha particolarmente colpito l’articolo riportato a pagina 9 dal titolo “Signor Caposele, mi concede un’intervista?” a firma della N.D. Luisida Caprio. In tale articolo si evidenziano i veri sentimenti che albergano nel cuore per l’amore verso Caposele e quindi, a distanza di tanti anni l’articolo fa rivivere la realtà di ieri. Questa è storia! E quelli erano i veri sentimenti che rendevano più viva e vivibile la comunità. Riportare l’intero articolo nel prossimo giornale contribuirebbe a portare una ventata di aria primaverile per le generazioni del dopo sisma 1980. Ringrazio e saluto con rinnovato affetto Antimo Pirozzi La assoluta mancanza di spazio non ci consente di accontentare l’amico Antimo. Ci riserviamo di ripubblicare il magnifico articolo di Luisida Caprio nel prossimo numero. E’un impegno!
Salerno, 6.7.2010
Caro Nicola, trasmetto foto ritraente un caratteristico atteggiamento dell’avv. Michele Farina, in via Roma (Natale 1956). Se e quando riterrai opportuno (magari con il numero natalizio della Sorgente) potrai concedere spazio all’allegata “lettera aperta”, sul cui contenuto potrà eventualmente rinvenirsi qualche documentazione di riferimento ed approfondimento. In una eventuale revisione toponomastica generalizzata, suggerirei anche un significativo inserimento del dott. Daniele Petrucci, insigne Medico in Bologna, appassionato (e forse nativo) di Caposele, scienziato antesignano della fecondazione artificiale. Il Consiglio Comunale potrebbe anche pervenire alla decisione di istituire una apposita Commissione ampiamente rappresentativa di tutte le componenti del contesto civico. Grazie, con sempre viva cordialità Avv. Ezio Maria Caprio
Egregio Direttore guardando il video riconosco alcuni volti. Sapete anche mia madre faceva spesso le matasse e i fusilli ed ha insegnato anche a me a farle. E’ da tanto che non ritorno a Caposele: guardandovi mi è venuta una gran nostalgia e il desiderio di ritornare. Complimenti per il lavoro che svolgete per mantenere e far conoscere le proprie tradizioni.
Scorcio sull'Oasi della Madonnina Una fontanina storica di Caposele Da Vicenza Carissimo Direttore nonché amico Nicola, con dispiacere mio e di tutta la mia famiglia che ti saluta con affetto, quest’anno non ho potuto trascorrere qualche spensierato giorno di vacanza a Caposele. Mi è mancata la tua famosa frase “è arrivato Franco è arrivata l’estate”ma mi sono anche mancate le ore trascorse insieme agli amici ai parenti tra le mura dell’amato paese. Spero comunque di rifarmi l’anno prossimo e nel fare i complimenti a te e a tutta la direzione della Sorgente di cui ho letto con interesse l’ultimo numero ti abbraccio con affetto. Franco Coppola
Maria Marta Di Maio LETTERA APERTA AL SINDACO DI CAPOSELE
In quest’anno ricade il cinquantesimo anniversario della scomparsa dell’Avv. Michele Farina, improvvisamente deceduto all’età di soli
Cettina Ciccone Dagli U.S.A. Carissimo direttore, ho appena letto che il giornale numero ottantuno e' in allestimento; mi fa piacere, faccio i miei complimenti a tutti i tuoi collaboratori per il lavoro e l'impegno che mettete per il bene di tutta la comunità. Da quanto ho capito, il giornale sara` pronto prima di Natale; questo sì che è un bel regalo:specie per noi che siamo lontani dal nostro amato Caposele. Caro amico e direttore, ogni qualvolta che ho avuto l’occasione di scrivere oppure parlarci tramite SKYPE mi sono ricordato di Fiorenzo. Approfitto di questa occasione per dire addio a Fiorenzo e grazie per essere stato un mio caro amico. Eduardo Alagia
PERIODICO
trentasei anni. Egli era stato amatissimo Sindaco di Caposele, rieletto e subito dichiarato decaduto, a causa di un cavillo pseudogiuridico (mancava la firma del Presidente, nel verbale di uno dei seggi elettorali). La vicenda, sostanzialmente consumata contro la volontà popolare, segnò profondamente il residuo arco di vita dell’Avv. Michele Farina, velandolo di una profonda e malinconica amarezza. Con la nomina del Commissario Prefettizio (Dott. Freda), che ebbe lunga durata, si determinò, di fatto, una svolta nella storia politica Caposelese. Quell’evento rappresentò una sorta di spartiacque, tra le due maggiori componenti elettorali, cha ha poi determinato i successivi sviluppi della vita amministrativa locale. Le onoranze funebri che furono tributate all’avv. Michele Farina videro però l’intera Comunità, unita e commossa intorno alla sua figura. Ricordo, con precisione, la corale tristezza e la commozione di tanti personaggi del Paese. Successivamente fu dedicata al Suo nome la Sezione Caposelese del Partito Socialista, la cui grande insegna per tanti anni ha campeggiato in piazza Dante. Mi sembra ora opportuno e doveroso, caro Sindaco, tributare, ad un Tuo così illustre predecessore, un riconoscimento, attraverso l’intestazione di uno strada al suo nome, che dovrà essere simbolicamente come atto d’amore e di pacificazione per tutti i Caposelesi di ieri, di oggi e di domani. Con grato ossequio Caposele, 3 luglio 2010
Avv. Ezio Maria Caprio
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in copertina
Anno XXXVIII - Dicembre 2010
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Dal Brasile Ciao Nicola, tutto bene? ti ringrazio per avermi inviato alcune pagine de La Sorgente, n.80. Lo prefiguro colmo di notizie, eventi, storie del paese e... Come sempre, sei un sommo galantuomo, un grande amico caposelese. Sono veramente grato per le tante espressioni a mio riguardo. La tua introduzione è emozionante, specialmente per chi vive, qui, al di là del mare. Il misterioso A.M., chiunque sia, è stato molto generoso nella sua magnifica recenzione, per chi lascia il suo paese e si inoltra in un orizzonte sconosciuto. Ha un senso affinatissimo, m'ha colpito in pieno, m'ha commosso tanto! Sono curioso di conoscere il suo nome e indirizzo e-mail. Grazie. Poi, la dott.ssa Cettina, la quale, è sempre prodiga nelle sue considerazioni, perchè, Lei, pur con meno intensità, ha provato la lontananza, del luogo natìo. Cettina è sempre presente e precisa, nello scambiarci dei messaggi. Aspetto, con ansietà, l'arrivo del caro giornale, per gustarmelo intero. Nuovamente, grazie di tutto. Umberto Malanga
Cultura
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FRAMMENTI DI STORIA SUL WEB
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a storia. Dannazione degli umani quando essa si cela in arcani mai risolti e non risolvibili. Oppure quando l’incuria e la non curanza degli uomini ne fa disperdere tracce essenziali per la narrazione delle vicende che segnano il divenire dei popoli o anche solo delle piccole comunità. Caposele è vittima di questo processo. Nei secoli non si è riusciti a preservare una struttura informativa sugli accadimenti più significati che hanno scandito la sua evoluzione. In molti sottolineano – ed è ovvio convenire - la condanna divina che si è abbattuta su Caposele attraverso i terremoti, le pestilenze, gli incendi che hanno colpito quei luoghi in cui generalmente si conservano gli archivi. L’esito sconsolante è che oggi siamo svuotati di quel bene prezioso che è la memoria collettiva. Privi, cioè, di memoria storica. Certo la ricerca storica è cosa complessa e delicata. Intanto ci sarebbe bisogno di una caparbia volontà di dedicare (anche solo per passione) parte del proprio tempo all’indagine e alla ricerca archivistica, con metodiche non estemporanee e casuali. Ma poi c’è un problema legato alla scarsità delle fonti. La Biblioteca Provinciale di Avellino, gli Archivi dello Stato di Salerno e Napoli non paiono offrire più di tanto. Se così fosse saremmo nell’impossibilità di volgere in qualche modo il nostro sguardo al passato. La storia non è un totem intorno al quale celebrare riti tribali. Le vicende della storia servono ad evocare il tema della continuità. Oggi infatti, mentre guardiamo al nuovo, al futuro della nostra comunità, dovremmo sapere che tutto ciò che faremo origina da quello che prima di noi è stato già fatto. E’ come girare intorno ad una boa: mentre viriamo per affrontare il nuovo tratto, l’occhio – e il pensiero – guardano al percorso già fatto. E questo genera grande forza e nuove motivazioni. Allora, come e, soprattutto, cosa fare? La risposta, anzi una delle risposte possibili, la troviamo sul web, nel grande corpo (babilonico) dei motori di ricerca. Dunque, internet. Dove con un poco di arguzia e tanta, tanta pazienza, si possono trovare frammenti di un possibile gioco di puzzle, tutto da comporre sotto il profilo almeno della consequenzialità cronologica.
Per esempio se su Google si digita “Caposele + Regno di Napoli” ritroviamo un prezioso testo, estraibile dalla Biblioteca digitale di Google. book, scritto nel 1798 per mano di Giuseppe Maria Alfano e che ha come titolo: “Istorica descrizione del Regno di Napoli diviso in dodici province”. In questo libro “si fa menzione delle cose più rimarchevoli di tutte le Città, Terre, Casali, Villaggi, Fiumi, Laghi, Castelli, e Torri marittime in esse contenute con le Badie del Regno; Le di loro Giurisdizioni Ecclesiastiche e politiche; la qualità dell’aria d’ogni Paese; ed il numero delle rispettive Popolazioni”. Nonché “Vi è in fine la Serie cronologica di tutt’i Sovrani di Napoli; Ed un Elenco alfabetico degli Uomini Illustri del Regno colle di loro Patrie”. Di Caposele veniamo a sapere che nel 1798 faceva parte della Provincia del Principato Citra (attuale provincia di Salerno) e che, dunque, “Caposele, terra: al capo di essa vi sgorga il fiume Sele, onde prende tal nome, e forma moltissime bocche, che precipitandosi da rupi altissime, fa uno strepitoso fragore. Diocesi di Conza, Principato della casa Rota, d’aria mediocre, fa di popolazione 3414”. Null’altro si aggiunge in questo importante libro di circa duecento anni fa. Scorrendo l’elenco degli uomini illustri del Regno non ce n’è uno soltanto riconducibile alla nostra terra, a Caposele (così come pure dei paesi a noi limitrofi). Il nome di Caposele, per varie e diverse ragioni, ricorre in diversi documenti che vengono letteralmente “sputati”, seppure alla rinfusa, dalla bocca vulcanica dei diversi motori di ricerca. Tra quelli che hanno suscitato il mio interesse v’è un documento che, peraltro, risolve un antico dilemma circa la contraddittoria (a mio parere) attribuzione geopolitica di Caposele alla provincia di Avellino. Questo documento, relativo alle vie di comunicazioni nel Principato Citeriore, ci fa capire come Caposele (ma anche Calabritto, Quaglietta, Senerchia e, dall’altro versante dei Monti Picentini, Montoro) siano stati comuni soggetti a palleggiamenti nei diversi riassetti “giurisdizionali” intervenuti in date ben precise della storia del regno di Napoli. Con il regesto di Carlo II d’Angiò del
1299 Caposele è riportato nell’elenco dei comuni “a serris Montorii citra Salernum”. Con l’abolizione dell’antico sistema feudale avvenuto nel 1806, con l’arrivo dei francesi e l’avvio della parentesi “murattiana” Caposele, insieme agli anzidetti comuni dell’alta valle del Sele, passò al Principato Ultra. Soltanto nove anni dopo, nel 1815, con la restaurazione borbonica vennero restituiti al Principato Citra. Infine, nella seduta del 29 settembre 1861, cioè pochi mesi dopo l’avvenuta Unità d’Italia, il Consiglio provinciale del Principato Citra deliberò il definitivo passaggio alla Provincia di Avellino (che da quel momento acquisisce tale denominazione). Resta il giudizio di attribuzione istituzionale ed amministrativa poco armonica con l’assetto puramente geografico di Caposele, Calabritto e Senerchia ( il cui bacino idrografico di riferimento è per nove decimi tutto salernitano). Ma nel 1861 accade una vicenda che ancora oggi è elemento di forti polemiche storiche. Da qualche mese l’esercito borbonico di Francesco II è assediato nella città di Gaeta. Cento giorni di un assedio violento e cruento costringono i Borboni alla resa. Che viene firmata nel pomeriggio del 13 febbraio nel quartiere generale del Comando Piemontese, posto nella “Villa Reale di Caposele”, di proprietà dei Reali di Borbone che l’avevano espropriata alla Marchesa Olimpia De Mari, figlia di Don Carlo de Ligny, principe di Caposele. Si può segnalare che lo stesso Vittorio Emanuele II l’8 dicembre del 1860 aveva alloggiato nella stessa villa in occasione di una visita sul campo per rendersi conto di persona su come procedeva l’assedio della fortezza di Gaeta. Dunque, l’atto che metteva fine al Regno delle Due Sicilie e alla monarchia dei Borboni, viene suggellato in un luogo che richiama il nome di Caposele ed appartenuta a Carlo de Ligny che era succeduto nel titolo di Principe di Caposele alla famiglia dei Rota. Anche in questo caso segnaliamo soltanto una cosa nota a molti e che, forse sempre grazie ai de Ligny, vuole ancora oggi il porticciolo turistico di Formia portare il nome di Caposele. Completiamo questo “volo
di Gerardo Ceres
d’uccello” sulla documentazione che ci offre la rete con la sottolineatura di un altro riferimento a Caposele che non mi era per nulla noto. C’è un Palazzo storico nella città di Portici, da decenni sede della prestigiosa Facoltà di Agraria, che porta il nome “Principe di Caposele”. Anche in questo caso il riferimento è sicuramente a qualche titolo e ruolo avuto dalla Famiglia di Ligny nella città alle pendici del Vesuvio. Potremmo continuare con tanti altri richiami minimali che la rete ci offre. Ma il punto non facilmente risolvibile è come dare continuità, attraverso anche un rigore più scientifico, ad una ricerca che resta assolutamente indispensabile. Dovremmo pensare ad un luogo dove convogliare tutte queste informazioni, favorendo la costituzione di un team di appassionati ricercatori e curiosi della storia caposelese. Dovremmo sistematizzare le informazioni e trovare il modo più efficace per assicurarne la conservazione ma anche l’accesso e l’utilizzo. Il Comune di Caposele, la Pro Loco e le Istituzioni Scolastiche dovrebbero cooperare alla realizzazione di questo progetto. Lo stesso Acquedotto Pugliese deve poter assicurare l’accesso al suo archivio storico (ricchissimo di documenti e di fotografie) in modo da recuperare pezzi documentali di sicuro inediti) degli ultimi cento anni. Questa è la prospettiva per la quale nascono queste righe. Questa è la prospettiva per dare senso, attraverso il passato, al nostro futuro.
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eventi e... ..non solo RUBRICA FOTOGRAFICA
Alcuni eventi di questo secondo scorcio di anno riportati di seguito riguardano: 1. Sfilata di moda 2. Motoraduno 3. Mostra de "La Sorgente" 4. Gare sportive
Mara, Irene, Ferdinando, Riccardo, Christian I concorrenti si avviano alla linea di partenza
Il Presidente della Proloco chiama l’appello dei piccoli concorrenti
La piccola Angela Malanga corre verso il traguardo
Piccole atlete: Anna, Lodovica, Antonietta
Grande folla in piazza SanitĂ in attesa delle acrobazie dei motociclisti
Federico Barbarossa e Alfonso Gonnella mettono in opera gli 80 pannelli della mostra
Una vecchia gloria della corsa dei Tre Campanili
I motociclisti in partenza da corso Europa La mostra de La Sorgente ha occupato tre pareti della sala polifunzionale
Mostra fotografica nella sala polifunzionale
Spettacolare acrobazia di un motociclista
Rocco Mattia e Federico Barbarossa fissano alle pareti esterne i pannelli dimostrativi della mostra
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Piazza della SanitĂ : sede del motoraduno
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Due modelle durante la sfilata di moda organizzata da Gelsomino Del Guercio (al centro della foto) titolare del negozio "JEANS STREET" nell'ambito del ferragosto caposelese curato dalla Pro Loco.
La pagina del Presidente
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importanti. Quanti paesi sono stati delocalizzati a discapito di una ricostruzione in sito che avrebbe potuto dare continuità alle nostre comunità già lacerate. Di contro quante ricostruzioni si sono volute esattamente identiche al paese preesistente rimanendo di fatto di fatto vuote perché non rispondenti ai nuovi stili di vita delle persone. La giusta via di mezzo solo pochi comuni hanno avuto il privilegio di averla, solo perché una combinazione di eventi li ha resi fortunati. Troppo facile dire quanto siamo cambiati, molto più difficile dire perché. Certo è che il terremoto ci ha resi uomini e donne diversi, e francamente viene da chiedersi se migliori. Ma ancor prima del terremoto questa terra è stata tradita dagli uomini, da quegli uomini che distrattamente nel 1888 pensarono di vendere i diritti delle nostre acque, “e noi avemmo, alla fine dello scorso secolo, amministratori sciagurati che, abbacinati dal soldo dell’oggi, si vendettero la ricchezza del domani”, queste le parole con le quali Don Pasquale Ilaria incitava il popolo di Caposele a ribellarsi allo scippo delle nostre acque residue, mai parole furono più appropriate. Ma la storia, si sa, si ripete e Caposele ciclicamente deve fronteggiare il tentativo di esproprio delle proprie acque da parte dei pugliesi ed ecco che oggi ci ritroviamo a discutere di acqua, di diritti negati e di ristori mai corrisposti. In questi giorni si ripropone con grande forza il rinnovo della convenzione tra il nostro Comune e l’Acquedotto Pugliese ed ancora una volta, e questo va detto con chiarezza, assistiamo all’ennesimo tentativo di sopraffazione di una comunità e dei suoi diritti. Pensare di poter proporre, da parte dell’Acquedotto Pugliese, una bozza di accordo così capestro per noi vuol dire non aver il minimo rispetto per quel popolo che tanto ha dato per oltre un secolo in termini di ricchezza ad una intera Regione. Troppo spesso abbiamo ascoltato discorsi sull’acqua intesa come bene di tutta l'umanità, anche se poi siamo stati costretti ad assistere inermi a speculazioni da parte di chi distribuisce quella stessa acqua che al momento del prelievo è un bene collettivo per poi diventare al momento della distribuzione un bene privato, da cui trarre alti profitti. Nell’arco di questo secolo sono stati firmati accordi che prevedevano ristori per il nostro paese, accordi che tenevano conto delle nostre richieste economiche e che, guardando in avanti, puntavano all’apertura ed alla fruizione al pubblico delle sorgenti del Sele, alla sistemazione e riqualificazione dell’area antistante e
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ella storia di una persona, di un popolo, di un paese ci sono sempre degli eventi che fungono da spartiacque fra gli anni che precedono e quelli che seguono il loro verificarsi. Per la storia di Caposele, sicuramente, il 1888 con la vendita delle nostre acque e il 1980 con il terremoto rappresentano questi spartiacque, perché entrambi hanno determinato cambiamenti radicali e ineludibili nella vita della nostra comunità, anche se tali eventi sono stati determinati da fattori diversi: la volontà e la pianificazione di alcuni uomini nel primo caso e forze naturali endogene e non prevedibili nell’altro. Entrambi rappresentano ancora oggi per tutti noi una profonda ferita poiché sono l’emblema di una sconfitta, di una mancata opportunità di crescita, di quel riscatto tanto agognato e mai concretizzato. Trent'anni fa il terremoto modificò il volto del territorio e sconvolse le nostre vite. Con estrema rapidità furono sgombrate le macerie dal nostro paese, ma non con altrettanta facilità il dolore dai nostri cuori, no quello ci è rimasto appiccicato addosso e non poteva essere diversamente. Siamo stati bravi a ricostruire i nostri paesi, ma non l’anima delle nostre comunità, o almeno non della nostra. Il terremoto ci ha portato via la semplicità di vita e di rapporti sociali che caratterizzavano il nostro paese innescando, inspiegabilmente, una spirale di ostilità fra le persone che ancora oggi non tende a placarsi, ritrovandoci tutti arrabbiati. Siamo arrabbiati perché siamo stati traditi dalla nostra stessa terra e da quello Stato che in modo distratto ha accompagnato la nostra ricostruzione senza mai darle un impulso decisivo per uno sviluppo organico delle aree industriali, sviluppo che da queste parti doveva garantire lavoro e fermare l'emigrazione. Siamo arrabbiati perché lo Stato non ha vigilato, venendo meno ad un suo compito importante permettendo che alcuni fondi a volte andassero ad aziende che non sono mai entrate in produzione, oppure che nel volgere di una notte sono fallite. Quello che ieri è mancato, ma che ancora oggi purtroppo continua a mancare, e lo vediamo con il terremoto in Abruzzo, è stata una guida organica che indirizzasse l'opera di pianificazione della ricostruzione guidando con mano sapiente Comuni ed Enti. Troppe volte abbiamo dovuto assistere alla creazione di aree industriali che non hanno mai ospitato alcuna industria perché volute in un territorio non adatto al loro impianto e al loro successivo sviluppo. Quanta cecità. Troppe volte i nostri amministratori sono stati lasciati soli nelle decisioni
di Raffaele Russomanno
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Lo spartiacque degli eventi
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Proloco Ca
UN FERRAGOSTO MEMORABILE: - Ques'anno è stato uno dei piu' entusiasmanti ferragosti mai organizzati dalla ProLoco. Ci riferiamo, naturalmente alla voglia e alla passione che sono state impiegate nell'allestimento delle tante manifestazioni estive che hanno deliziato migliaia di visitatori. Si puo' mensionare "Acquolina" la tradizionale sagra delle matasse e fusilli che ha coinvolto, nella preparazione le vecchie e le nuove generazioni ; "Fest'Insieme" che ha riunito per la prima volta, in un' unica manifestazione di solidarietà, tutte le associazioni di Caposele; "Cantine Aperte" che mette in evidenza, ogni anno, uno dei piu' caratteristici luoghi caposelesi; "Festa al bosco" che trasferisce la tradizione e l'arte culinaria in una magnifica oasi naturale. E poi le manifestazioni culturali legate al nostro giornale e alla mostra fotografica sulla storia di Caposele. Insomma un'estate nella quale la Proloco come succede da moltissimi anni, diventa grande protagonista, grazie all'aiuto di tante persone, giovani e meno giovani, che si impegnano con passione ed entusiasmo ad affermare i principi che sono alla base della nostra associazione turistica.
sovrastante le sorgenti, dovendone supportare finanche la promozione al fine di avviare una migliore e più organica offerta turistica. Eppure ad oggi nulla è stato fatto, nessun accordo mantenuto. Nessun rifacimento di piazza Sanità è stato avviato, nessun lavoro è stato intrapreso in questi anni al fine di rendere fruibile e valorizzare le sorgenti del Sele, nessuna sistemazione in parco della zona Saure è stata intrapresa, nessuna valorizzazione della “palazzina” è stata effettuata e nessuna ricaptazione delle sorgenti di “Santa Lucia” è stata avviata affinché il Comune potesse addurre le acque su area di propria spettanza. Questi sicuramente sono argomenti di non poco conto per lo sviluppo di Caposele. Difficilmente è possibile trovare un altro paese, come Caposele, che grazie alla bellezza del luogo, alla presenza del nostro Santo e della sua Comunità religiosa e alle sue Sorgenti potrebbe implementare un’offerta turistica più ampia. Eppure oggi veniamo chiamati a sederci ad un tavolo con l’Acquedotto Pugliese per intraprendere l’ennesima e sicuramente non
ultima trattativa senza che uno solo di quegli accordi sottoscritti in passato sia stato onorato. Allora sarebbe il caso che prima di tutto venisse richiesto il rispetto di quanto pattuito, di quanto ci spetta per diritto, ma anche e soprattutto è ora che la nostra gente riceva quel rispetto e quella riconoscenza che da sempre gli sono stati negati. Voglio chiudere ricordando ancora una volta le parole di Don Pasquale Ilaria che, in nome dei nostri diritti, sfidò il regime fascista preferendo il confine all’ignominia del silenzio: “La storia si ripete e gli attori sono sempre gli stessi". Spero che questa volta almeno i Caposelesi abbiano sangue nelle vene e non acqua. Se è necessario, come credo sia necessario, questa volta tutta Caposele deve scendere in piazza ed insorgere, bloccando questa operazione vergognosa con la quale si decreta la morte di Caposele”. Facciamo in modo, che almeno questa volta, la storia non si ripeta.
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In tenda, contro la chiusura degli ospedali irpini
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di Salvatore Conforti e Concetta Mattia
Per Gianfranco
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n un maledetto giorno di qualche tempo fa, rimase vittima di un terribile incidente un nostro giovane concittadino, Gianfranco Luongo, che ancora sta combattendo per migliorare le sue precarie condizioni di salute. Quasi immediatamente è scattata la solidarietà e la compassione verso di lui e la sua famiglia: i compagni di classe e i professori, gli amici, le Istituzioni sociali, culturali e religiose di Caposele e Materdomini si sono incontrate per capire come poter aiutare in questo momento di reale bisogno e si sono decise una serie di attività che sono culminate nelle “Giornate della solidarietà, per Gianfranco” (1 e 2 ottobre 2010) che hanno visto, per realizzare una congrua raccolta fondi, l’organizzazione di una partita di calcio al campo “A.Liloia”, di un pomeriggio di giochi e animazione per bambini in piazza e di una serata musicale curata dai ragazzi del gruppo sportivo. A Gianfranco vanno comunque tutti i nostri, e quelli di tutta la Comunità, migliori incoraggiamenti affinchè possa continuare e vincere la sua battaglia! A riprova del fatto che quando la nostra Comunità si unisce con una forte motivazione comune riesce a fare davvero mirabili cose.
Giornata di Studio sui nostri amici animali
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o scorso 23 ottobre presso la sala polifunzionale comunale si è tenuta un’importante giornata di studio organizzata dall’Ordine dei Medici Veterinari della provincia di Avellino in collaborazione con la Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli, l’ASL di Avellino e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per il Mezzogiorno di Portici (Na). Il tema scelto per la manifestazione è stato “la terapia del dolore” e le attività, oltre ai saluti istituzionali e la presentazione della giornata, si sono svolte in diverse sezioni tematiche guidate dai docenti intervenuti da varie Università italiane e si sono conclusi con una discussione guidata che ha visto molti interventi da parte dei partecipanti.
La lapide dedicata alle vittime del terremoto per il trentennale organizzato dall'Amministrazione Comunale.
Le nostre Forze dell'Ordine
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La prima sperimentazione di pannelli pubblicitari nell'ambito del territorio di Caposele. Il tabellone di 4 metri per 3 è stato collocato all'uscita dello svincolo della superstrada fondovalle Sele. Gli altri saranno installati in altri posti strategici e potranno essere utilizzati anche per promozioni commerciali.
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ome sempre presente sul territorio, apprezziamo meglio l’attività della polizia municipale in occasione di eventi come le periodiche celebrazioni in onore di S.Gerardo che notoriamente, fanno confluire una vera e propria marea di turisti e pellegrini al Santuario di Materdomini. Anche quest’anno, in un ormai rodato e molto utile sistema di solidarietà tra i vari comandi irpini che inviano parte del proprio personale, si è riusciti a gestire al meglio l’evento, riducendo al minimo gli inconvenienti che pure sarebbero normali in una tale situazione. Come sempre i vigili, sono stati affiancati dalle immancabili attività di prevenzione e controllo da parte dei Carabinieri e dall’opera socio-sanitaria dei numerosi volontari delle Pubbliche Assistenze e delle Misericordie che pure si danno appuntamento in questa occasione, coi quali oramai si opera in concreta e operativa sinergia. Grazie e Ad Majora a tutti!
Il Campo Base in località Fornaci : Tenda del soccorso e la tenda della speranza
PRO LOCO CAPOSELE
Da questo numero troverete in copertina o sul retro uno strano disegno in bianco e nero. E' il Codice a barre bidimensionale QR, composto da moduli neri disposti all'interno di uno schema di forma quadrata. Viene impiegato per memorizzare informazioni generalmente destinate ad essere lette tramite un telefono cellulare o uno smartphone. Nel nostro crittogramma sono contenute tutte le informazioni del nostro giornale e il link immediato al canale you tube de "LA SORGENTE" con i video di approfondimento degli articoli.
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La mostra fotografica dedicata alla storia della "Sorgente" e quindi al nostro Paese, è diventata permanente all'interno della Sala Polifunzionale.
na particolare e molto sentita forma di protesta è stata attuata quest’anno a Materdomini in occasione dei festeggiamenti per S.Gerardo. Organizzata dal Comune di Caposele, dall’associazione Cittadinanza Attiva e dal Tribunale per i diritti del malato in collaborazione con la Pubblica Assistenza Caposele, contro un Piano Sanitario regionale che, tra le altre misure di rientro dal deficit storico del settore, vorrebbe chiudere gli ospedali di S.Angelo dei Lombardi e di Bisaccia (già peraltro decurtati di alcuni necessari reparti) facendo abbassare – e di molto – anche i livelli minimi di assistenza per le nostre popolazioni, logisticamente paragonate a quelle di una grande città. Per evidenziare ancora una volta quello che accadrebbe facendo questa scelta a dir poco scellerata, per un giorno medici, pazienti, istituzioni, cittadini si sono ritrovati in un campo base realizzato all’altezza dello svincolo dell’Ofantina, in cui hanno trovato posto una tenda del soccorso e una tenda della speranza nelle quali, per tutto il giorno si è tenuto attivo un posto medico avanzato a disposizione della comunità e anche dei turisti accorsi per le celebrazioni gerardine e uno spazio di discussione aperto a tecnici del settore e cittadinanza che ha visto molti interventi tra i quali, oltre a quello del sindaco di Caposele, quello della responsabile di Cittadinanza attiva Teresa Petrangolini, del consigliere regionale Rosetta D’Amelio, di diversi sindaci irpini del paesologo Franco Arminio, di Cesarina Alagia e altri rappresentanti della società civile. Non si è ancora chiusa la vertenza, cari cittadini, non facciamo mancare il nostro contributo!
info -TURISTICHE su:
Proloco Caposele
PROLOCOCAPOSELE@GMAIL.COM
N.81
Attualità
SAN GERARDO
DOPO 253 ANNI , I CAPOSELESI HANNO AVUTO L'ONORE DI AVERE DI NUOVO IN MEZZO A LORO LA PRESENZA DI QUESTO SANTO TANTO AMATO. IN OCCASIONE, INFATTI, DELLA STORICA DEDICAZIONE DELLA CHIESA MADRE DI SAN LORENZO, UNA RELIQUIA DEL CORPO DI SAN GERARDO È STATA DEPOSTA AI PIEDI DELL'ALTARE
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arebbe bello poter approfondire i giorni trascorsi da San Gerardo a Caposele, magari mediante una ricerca storica meticolosa o anche la collezione, in un unico lavoro, di tutti i documenti in nostro possesso o sparsi negli archivi religiosi e civili. La figura di Gerardo Maiella è molto cara ai caposelesi, da sempre. Non è un caso che al processo di canonizzazione un nutrito gruppo di testimoni proveniva dal nostro paese. È risaputo, e i documenti storici ne danno conferma, che Caposele nel XIX secolo era uno dei centri campani più attivi della Massoneria, la quale non aveva buoni rapporti con la Chiesa, anzi, uno degli obiettivi di questa organizzazione era quello di destabilizzare, in un certo qual modo, l'autorità ecclesiale a livello locale. Frutto di tale attività a Caposele era un diffuso spirito anticlericale che per certi versi ancora oggi caratterizza il nostro paese: noi caposelesi in genere siamo molto critici nei confronti della Chiesa. Eppure se da un lato abbiamo un rapporto alquanto distaccato con la Chiesa, frutto del retaggio di cui sopra, dall’altro lato nutriamo un tenero affetto per un esponente della Chiesa quale è stato San Gerardo Maiella. L’attaccamento a questo umile religioso nasce da una simpatia per ciò che San Gerardo è stato per il nostro paese. Amico tanto delle famiglie ricche di Caposele (Ilaria, Cozzarelli ecc.) quanto di quelle povere (Di Masi e tante altre ancora), Gerardo ha lasciato una memoria indelebile di sé nelle nostre contrade non solo per gli innumerevoli miracoli che compiva, quanto per la capacità che aveva di essere vicino a tutti e di amare. Non era raro ritrovarlo nelle case degli ammalati (certe volte bilocandosi) o incontrarlo per strada mentre scherzava con i ragazzi (basti pensare che nel nostro paese fino a un secolo fa chi voleva giocare a nascondino diceva: “Giochiamo a Fratel Gerardo”). Per le ragazze di Caposele, lui che era stato sarto, cuciva corpetti che servivano per maritarle. Per i poveri di Caposele - e furono tanti nella carestia del 1754 fece apparire miracolosamente il pane. Pochi mesi prima di morire, dice uno dei suoi biografi, moltiplicò i suoi prodigi specialmente qui a Caposele. In considerazione di tutto questo bene seminato nelle nostre vie, testimoniarono favorevolmente per lui al processo di canonizzazione, con tanto
di Mario Sista
LA RELIQUIA DI
SAN GERARDO
NELLA CHIESA MADRE di commozione e parole di benedizione, finanche persone imbevute di ideali massonici o anticlericali. Ogni giorno, dicono i processi, i contadini di Caposele parlavano di lui nelle pause lavorative, si toglievano il cappello e devotamente si facevano il segno della croce, dopo avergli rivolto qualche breve preghiera. E non era ancora stato proclamato santo. Un tale attaccamento si è tramandato nel tempo e la figura di Gerardo appare sacra anche a tutti noi, discendenti di coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo. Si può dire che l'affetto per lui noi caposelesi lo succhiamo con il latte materno. Dopo 253 anni, i caposelesi hanno avuto l’onore di avere di nuovo in mezzo a loro la presenza di questo santo tanto amato. In occasione, infatti, della s t o r i c a Dedicazione della chiesa madre di San Lorenzo, una reliquia del corpo di San Gerardo è stata deposta ai piedi dell'altare. In accordo con l'antichissima tradizione della Chiesa di Roma è consuetudine, in occasione della consacrazione di un nuovo altare, deporre nello stesso o ai suoi piedi reliquie di santi, preferibilmente di martiri. Il significato di questo antico rito sta nel fatto che l’altare
simboleggia Cristo che è, nello stesso tempo, altare, vittima e sacerdote. I santi, avendo immolato con Lui e per Lui la propria vita nell’adempimento perfetto della sua volontà, partecipano dello stesso sacrificio di Cristo, testimoniandone nei secoli l’efficacia della Sua grazia santificante. La presenza delle loro reliquie mostra cioè ai fedeli la realizzazione piena della speranza cristiana. Il fatto che sia stato scelto, per la chiesa di Caposele, San Gerardo Maiella per significare questo profondo messaggio teologico, sottolinea ancora di più come la salvezza non sia qualcosa di astratto o di impossibile: essa si è concretizzata in queste terre, tra i nostri campi, tra queste strade che noi ogni giorno percorriamo, nell’umile Gerardo, che viene ad essere così un motivo di esempio e di incoraggiamento per chi vuole seguire la stessa strada di Cristo. Nella chiesa madre, centro dell’attenzione non è tanto la presenza della reliquia del Santo taumaturgo di Materdomini, quanto quella di Colui al quale essa rimanda, cioè Cristo, misticamente simboleggiato dall'altare. L’altare ricorda al cristiano che il suo
cuore di carne deve diventare esso stesso altare, così come fu quello di San Gerardo che si offrì totalmente alla "bella volontà del caro Dio", come era solito affermare. C'è da dire però che entrando in chiesa non si potrà ignorare tale presenza che, in un certo qual modo, rende di nuovo vivo in mezzo a noi San Gerardo. Non lo vedremo certo fermarsi a chiacchierare, a ridere e a scherzare così come faceva con i nostri antenati ma, con gli occhi della fede e del cuore, lo vedremo di certo sorridere e stare accanto alla sua Caposele tanto amata in vita quanto protetta ora dal Cielo; lo vedremo di nuovo accanto ai nostri bambini, che gli furono così cari in vita, lo vedremo esserci vicino nei momenti più difficili della nostra esistenza, per ricordarci quel Paradiso che ci aspetta e nel quale egli vive in eterno con Dio.
Uno scorcio “architettonico“ della Chiesa Madre - La foto centrale rappresenta il momento della deposizione della reliquia di San Gerardo ai piedi dell’Altare Maggiore
Una gran folla è accorsa in piazza Di Masi per assistere alle cerimonie di dedicazione della Chiesa
Anno XXXVIII- Dicembre 2010 N. 81
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Attualità
Il 2010 non poteva certo essere un anno come tutti gli altri, non per le comunità altirpine come la nostra, che si sono preparate, ognuna a suo modo, a celebrare la ricorrenza dei 30 anni dal terremoto che nel 1980 cambiò per sempre le sorti dei nostri paesi. A Caposele è stata fatta una scelta di campo condivisa e partecipata da tutta la comunità. Si è scelto di guardare alle pietre della memoria, un po’ come se fosse l’ultima volta, consapevoli del dovere civico di doversene distaccare per concretizzare il necessario rilancio del paese. Si è scelto di incontrarsi, prima di tutto come comunità, in maniera corale, per raccontarsi storie di vita ed esperienze passate ricordando i nostri cari amici e i parenti che il terremoto ci ha tolto ma che rimarranno vivi nel nostro cuore anche per farci tenere a mente sempre l’importanza della vita, di una vita piena, soddisfacente, impegnata. Grazie ad una serie di incontri coi rappresentanti delle istituzioni ed associazioni locali si è giunti alla definizione del palinsesto della manifestazioni previste per il giorno 23.11.2010 Apportando ognuno il suo contributo di idee ed opinioni, si è pensato di realizzare diverse attività che, nell'arco della giornata, potessero coinvolgere tutte le fasce di popolazione. Così è nato il nostro giorno della Memoria. E si è sviluppato seguendo un programma che, ha voluto contemplare e quasi analizzare i diversi aspetti di quell'esperienza terribile, esigenza questa avvertita quasi come imprescindibile da tutti, probabilmente perché dopo 30 anni si è capito quanto sia necessario decidere di chiudere i conti col passato e concentrarsi sul futuro e sul rilancio positivo delle nostre nuove realtà. Operazione non facile certo, ma necessaria proprio per costruire concretamente quella vita piena e soddisfacente che è stata concessa a chi è rimasto. Questo slancio civico lo dobbiamo non solo a chi non c'è più, ma soprattutto a noi stessi e a chi verrà dopo di noi. Le celebrazioni hanno avuto inizio con un incontro tra la comunità scolastica, l'amministrazione comunale, i volontari della Pubblica Assistenza Caposele e i rappresentanti del comune di Priverno (Lt), il comune, oggi anche gemellato con Caposele, che per primo portò soccorsi organizzati e coordinati al nostro paese, impiantando con personale volontario, oltre che un servizio tecnico amministrativo di supporto all’amministrazione dell’epoca, un centro socio-educativo per bambini nel villaggio a S.Caterina. Già, i volontari, forse l'unico aspetto positivo da ricordare di quel periodo, resero visibile e tangibile il significato della parola solidarietà, cercando con la loro disponibilità e sensibilità di ricostruire il senso di comunità che il terremoto aveva disgregato insieme alle case e che nella fase dell'emergenza, del dolore, delle mutate priorità, ha corso davvero il rischio di scomparire per
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di Salvatore Conforti
sempre. Grazie al loro intervento, mosso allora solo dalla compassione, non tutto è andato perduto, e anzi qualcosa è stato riscoperto. Ci si è ritrovati a Materdomini, in un gremito ed attento auditorium del liceo scientifico e socio-psico-pedagogico, anche con i ragazzi e i docenti della scuola media che per oltre due ore hanno parlato, ascoltato, letto e guardato i materiali raccolti e proposti al pubblico dimostrando quanto fosse importante, se pur solo tradotto dai racconti, dalle testimonianze e dagli articoli trovati, recuperare il valore di questa memoria anche per loro e, oggi, a trent’anni da quell’evento, è stato curioso e confortante allo stesso tempo, verificare che per i ragazzi la memoria è importante per gli stessi motivi dei loro genitori. Finalmente due generazioni unite dall'esigenza di dare uno slancio positivo e in avanti alla propria realtà, al proprio territorio, due generazioni che si uniscono per riuscire a farlo. Gli studenti hanno realizzato un filmato con alcune interviste a cittadini di Caposele sulla loro esperienza in quel periodo, composto un reportage di fotografie, raccolto articoli, scritti e letto commoventi diari di studenti che all'epoca del sisma avevano la loro stessa età. C'è stato poi il confronto col presente, gli interventi delle Istituzioni, dei volontari e degli amministratori di Priverno che si sono abbandonati al ricordo della propria esperienza definita fondante anche per loro stessi e per la loro vita che è rimasta comunque segnata, e dei volontari di Caposele che sono nati, come gran parte delle associazioni in meridione, sull'onda di quell'esperienza. La manifestazione si è chiusa rimandando i presenti all'appuntamento del pomeriggio in aula polifunzionale. Dalle ore 16.30 la comunità si è ritrovata nella sala polifunzionale comunale dove era stata allestita con l’ausilio di alcuni video, una rassegna di immagini di Caposele prima, durante e dopo il terremoto che si sono susseguite durante tutta la serata. L'incontro, denominato "Caposele 1980/2010: come ci ha cambiato il terremoto" è iniziato ufficialmente alle 17.00 con la proiezione del film “Ricordi e pensieri” sul 1980. Subito dopo, il moderatore Cesarina Alagia, ha dato spazio al racconto delle diverse esperienze iniziando, dall’intervento del sindaco di Caposele
Anno XXXVIII - Dicembre 2010
Pasquale Farina, Nicola Conforti, Antonio Corona, Salvatore Capirci, Angelo Miccinilli, Don Vincenzo Malgieri, il pastore Albano Geremia, volontari della comunità di S.Egidio E’ stato infine distribuito un DVD realizzato per l’occasione contenente le immagini della mostra fotografica. Terminata questa fase narrativa, i convenuti si sono portati all’esterno, in piazza 23 novembre nei pressi del monumento dedicato ai caduti del terremoto, dove in memoria, sono state deposte da parte delle amministrazioni di Caposele e di Priverno, due composizioni di fiori. La popolazione si è successivamente mossa con un corteo lungo via Roma, fino a piazza Dante, davanti alla casa comunale dove è stata scoperta una lapide commemorativa attendendo insieme lo scoccare del fatidico orario: le 19.34 che segnalano i trent’anni dalla disgrazia, scanditi nel silenzio sceso tra la folla, da 30 rintocchi della campana della chiesa di S. Lorenzo Martire. Dopo la sosta davanti alla lapide, a conclusione delle celebrazioni, è stata celebrata una messa in suffragio allietata dal canto della corale di S.Lorenzo. Una celebrazione collettiva dunque, intima, tutta locale, senza convegni, bilanci, statistiche per i quali ci sarà sempre tempo e spazio. In questa occasione è stata preferita la memoria tradotta dalla narrazione e dal confronto costante, un confronto dal quale è apparso evidente e necessario che si debba ripartire, come riportato nel manifesto dedicato alle celebrazioni…con l'auspicio che sulle pietre della memoria si mantenga ancorata e salda la volontà di tutti i caposelesi di crescere e di affermarsi positivamente come comunità educante, votata verso un prossimo futuro che dall' esperienza passata, costruisca concretamente una migliore qualità della vita per questo nostro paese.
La locandina della mostra virtuale visitabile ancora sul profilo FB della Pro Loco e Sorgente
LA NOSTRA MEMORIA
L'auditorium del Liceo scientifico durante la manifestazione mattutina
Il Sindaco Farina e l'assessore del comune di Priverno Angelo Miccinilli
Pietro e Teresa della Comunità di S. Egidio
L'assessore Angelo Miccinilli in rappresentanza del Comune di Priverno (LT) gemellato con Caposele, interviene durante la commemorazione.
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Le interviste de "La Sorgente"
INTERVISTA AL SINDACO
SULLA FUTURA CONVENZIONE CON L’ACQUEDOTTO PUGLIESE
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indaco da qualche mese la stampa provinciale e quella locale, ad esempio il prossimo numero della Sorgente, riportano notizie su una nuova convenzione che stareste per firmare in nome del Comune di Caposele con l’AQP) Intanto non stiamo ancora sottoscrivendo un bel nulla, in quanto le convenzioni di norma si firmano sulla base di proposte condivise innanzitutto dal Consiglio Comunale nella sua interezza, proposte alle quali un sindaco deve sentirsi vincolato. Le proposte, ovviamente devono essere accettate dalla controparte, l’AQP…… allo stato delle cose siamo ancora molto lontani dalla stipula, anche se la stampa locale fa bene a riportare le notizie che comunque risentono degli orientamenti e della sensibilità degli intervistati.
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che punto allora Sindaco siamo in merito alla questione? E’ opportuno a questo punto fare una breve cronistoria per capire lo stato dell’arte di questa convenzione e di come ci siamo pervenuti. Innanzitutto bisogna precisare che i capisaldi del programma elettorale della lista da me capeggiata erano e restano il Turismo religioso da saldare con quello ambientale e le nuove relazioni da instaurare con l’AQP- ex EAAP. Io mi sono posto il problema di come costruire rapporti con l’AQP, utili non solo al riconoscimento dei diritti del Comune e dei Caposelesi, ma anche funzionali a sostenere il turismo ambientale che e’ la vera priorità economica per questo paese.. Il Comune di Caposele non e’ partito da zero in quanto ha dovuto confrontarsi con l’AQP su un’ipotesi di convenzione già avviata dalla precedente amministrazione (vedi incarico conferiti all’avvocato Mauriello), bozza che, per il tramite del commissario prefettizio e’ pervenuta a noi…… in quanto il commissario opportunamente non se l’e’ sentita di sottoscrivere. L’ipotesi di convenzione (ereditata), si caratterizzava per una completa rinuncia ai benefici ultrasecolari riconosciuti al Comune, a fronte di un indennizzo forfettario in otto ratei annuali. Come a dire che con circa 6 milioni di euro il Comune doveva ritenersi soddisfatto di ogni pretesa. Ovviamente noi abbiamo restituito al mittente questa bozza, pur dichiarando il nostro interesse a non chiudere la partita.
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perche’ di fronte ad una proposta così smaccatamente “provocatoria” avete deciso di andare avanti? Per una serie di motivi. Innanzitutto le convenzioni stipulate con l’EAAP, oggi AQP, nel 1970 e nel 1997 vanno a scadenza nel 2012 essendo valide per settanta anni: prepararsi in tempo e non farsi scoppiare la mina in mano sono azioni doverose per una amministrazione che non vuole vivere alla giornata. In seconda battuta, a noi tutti non sfugge che per previsione legislativa ogni nuova convenzione o rinnovo di essa
non puo’ avere validità ultratrentennale in un quadro normativo in cui entrano in gioco Direttive Europee, Poteri residuali del Governo, Competenze innovative delle Regioni in materia di trasferimento di Risorse Idriche in ambito interregionale ed infine prerogative di Autorità d’Ambito e Autorità di Bacino. Come si puo’ vedere sono molti, anzi troppi, con interessi non del tutto chiari, i soggetti che si affacciano sulla scena istituzionale, dove l’Acqua e’ pur vero che e’ un bene comune, ma sotto sotto sono in tanti a considerarla una merce. Come dicevo dato che il 2012 e’ alle porte abbiamo ritenuto che e’ meglio trattare con un soggetto, a noi noto per i vizi e per le virtu’, che avere a che fare con una schiera i cui intenti ci sono ignoti. Logicamente all’incontro con l’AQP ci andiamo ferrati e con la schiena diritta, forti della convinzione che un Comune che e’ stato preso in giro parecchie volte e non soltanto dall’AQP, una volta tanto deve andarci con una buona dose di realismo e di allarme.
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indaco, quali sono i punti fermi che voi andate a negoziare con AQP, il quale non ha un grande interesse oltre il concedere indennizzi che non vadano al di là del 2018? L’Amministrazione Comunale di Caposele in questi mesi si e’ confrontata con minoranza, forze politiche, organizzazioni sindacali ed associazioni culturali, ricevendo, indicazioni e suggerimenti che hanno arricchito la base della nostra proposta. Di questo io debbo dare atto ufficialmente ringraziando quanti hanno collaborato o intendono collaborare in futuro. La sostanza delle richieste avanzate e sulle quali non intendiamo indietreggiare si puo’ riassumere nel modo seguente.
1. Le Convenzioni del 1970 e del 1997 vanno recuperate e riconfermate nella loro sostanza. 2. La disciplina del risparmio idrico relativo ai servizi di distribuzione privati e’ una scelta autonoma del Comune e non una imposizione dell’AQP, nel senso che quando saremo obbligati per legge ad attuarla, il vantaggio che deriverebbe ad AQP dal risparmio medesimo non puo’ essere una regalia a quest’ultimo. 3. La particolarità di acque idropotabili fin dalla fonte accumulate in sorgenti a ridosso del centro abitato, obbliga il gestore a non disinteressarsi delle politiche di forestazione e di risanamento idrogeologico del territorio Comunale prossimo al bacino. Chi ha bisogno delle acque della Sorgente Sanità non puo’ far finta di non vedere che esse sono in continua diminuzione anche a causa delle frane che affliggono Caposele. Quindi chi si piglia l’acqua deve anche risanare le frane….. 4. Un complesso di opere acquedottistiche (di cui il mondo non conosce
l’eguale) deve anche contribuire al rilancio turistico di Caposele, aprendo gli impianti a visite guidate e ad ogni altra iniziativa che tutelando in ogni caso quei luoghi, rilanciano l’economia locale. 5. I terreni in proprietà di AQP non strettamente necessari alla funzionalità delle opere idriche devono essere valorizzati da un punto di vista urbanistico e della fruibilità turistica. 6. Un’eventuale riorganizzazione di AQP in Irpinia deve prevedere uffici a Caposele. 7. La produzione di energia elettrica della costruenda Centrale prevista nel progetto della Pavoncelli bis deve essere conferita, come da delibera CIPE, al Comune di Caposele 8. Le acque residuali delle Sorgenti Sanità, pari a 363 litri/sec., di cui al Regio Decreto 11 maggio 1942 devono essere ritenute riserva e competenza del Comune e dei suoi amministrati. E’ su questo punto che il Comune tratta la questione degli indennizzi, che a nostro avviso sarebbe meglio definire rendite.
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a quello che si rileva, caro Sindaco avete messo parecchia carne sul fuoco. Credete che AQP, dati i precedenti della bozza Mauriello vi segua su queste ipotesi? Io credo che i veri punti critici della trattativa siano quelli posti al numero 1, 2 e 8, nel senso che sono quelli che negli interessi di AQP sono i piu’ onerosi; ma sono anche quelli ritenuti da noi irrinunciabili. Come spesso accade nelle trattative si chiede cento per ottenere settanta. Ma nel settanta per cento questa volta bisogna includere questi tre punti solo apparentemente autonomi . Tutti e tre infatti includono il riconoscimento definitivo che le cosiddette acque residuali sono di competenza Comu-
di Pasquale Farina
nale. Chiunque ritiene altrimenti deve dimostrarcelo con atti e non con parole e citazioni generiche di articoli di legge. Noi sappiamo, siamo coscienti che sulla cosiddetta riserva idrica Comunale ci sono troppi nemici in agguato. E’ per questo che l’Amministrazione deve principalmente concentrarsi su questo punto armandosi di ottime competenze professionali in materia, professionalita’ per capirci che non siano scalze in diritto e legislazione delle acque e che siano autenticamente indipendenti e non influenzabili da parte di nessuno. E’ percio’ evidente che i prossimi mesi devono essere spesi con intelligenza concentrandosi su questa priorità. Se Caposele dovesse malauguratamente uscire sconfitto su questa competenza che ci deriva storicamente da una serie di atti, potremmo parlare di tutte le convenzioni di questo mondo, a questa Comunità sarà riservata un’elemosina e non quanto veramente le spetta. Ecco perche’, in sede locale la precondizione per averla vinta, e’ l’unità del paese e di tutte le sue intelligenze vive che hanno a cuore il futuro della nostra Comunità.
Fabiano Amati assessore della Regione Puglia, riceve un dono ricordo dal Sindaco
Una foto ricordo con l'assessore Amati ed un gruppo di parenti ed amici in visita a Caposele
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Attualità
Per non dimenticareA – 30 ANNI
DAL TERREMO-
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edo tanti volti giovani che sicuramente non sono stati testimoni diretti di quel tempo ma che presumo abbiano acquisito sufficienti conoscenze di quel disastro e di quello che ne seguì, fosse solo per il fatto di aver ascoltato vicende familiari di quei giorni; e credo che essi stessi, fosse pure indirettamente, ne portano il segno. Nemmeno io ero a Caposele quella sera, avevo 21 anni ed ero studente universitario a Napoli quando avvertii quella scossa, che ci fece riversare tutti nei vicoli, ovviamente il mio primo pensiero fu di mettermi in contatto con i miei a Caposele, telefonicamente. Non era l’epoca dei telefonini, ma era l’epoca di lunghe file a quelle enormi cabine rosse della SIP. Quando arrivò il mio turno mi capitò quello che era capitato a già tanti davanti a me, cioè non riuscivo a mettermi in contatto con nessuno a Caposele. Nonostante si parlasse di Balvano, ebbi la sensazione che qualcosa di tremendo fosse successo anche dalle mie parti. Per non portarla alla lunga solo la mattina presto fui in grado di prendere un treno fino a Battipaglia, e nei vagoni già si parlava delle aree Irpine colpite dal terremoto. Raggiunsi Quaglietta con un passaggio e con un altro
passaggio Caposele. Fu un amico di Caposele a darmi questo secondo passaggio e ad elencarmi tanti morti: anziani, giovani della mia età, ragazzi e bambini. Il racconto che fu comunque puntuale fu sopraffatto dall’evidenza della scena che mi trovai di fronte. Io ho voluto riportare questa testimonianza perché mai come oggi il terremoto che dobbiamo ricordare è quello delle vittime che ci mancarono moltissimo allora e che ci mancano ancora oggi, in una Comunità che ha bisogno di tutti. Dopo sono venute le tende, dopo sono venute le roulotte, i prefabbricati e le case. Quelle macerie dalle quali ci provenivano richieste di soccorso in un’epoca in cui la Protezione Civile non c’era e che vide scavare tanti Caposelesi con le mani , aiutati nei giorni successivi da tanti volontari, (ai quali saremo sempre riconoscenti e saranno sempre nei nostri cuori), quelle macerie, dicevo, ci trasmettevano un messaggio sconfortante, Caposele era stato distrutto non solo strutturalmente e materialmente ma anche nelle coscienze, doveva ripartire daccapo, da un suo anno zero per riprendere la vita, rimettere in piedi le attività economiche e ristabilire una tenuta minima del tessuto sociale.
Noi abbiamo visto in quei giorni tanta solidarietà da tutte le parti d’Italia, questo è uno dei fatti incancellabile nella mente di quanti vissero quei momenti; i soccorsi arrivarono in ritardo, ma la solidarietà umana seppe nascondere queste mancanze. Noi abbiamo visto in quei giorni anche tanta unità di popolo, perché questa tra tanti vizi che hanno gli Italiani è la vera virtù, sapersi commuovere e sapersi unire nei momenti difficili. Caposele ha risalito la sua china. Quello che magari oggi ci cruccia, ci preoccupa, è che sono molte le case vuote, perché queste aree nonostante sono state oggetto di tanti benefici oggi vedono ripartire tanti giovani che non sono i vecchi emigranti di un tempo, ma sono le intelligenze vive con tanto di laurea e di buona volontà, e che purtroppo, lasciano il nostro paese. Fedeli ad un giuramento che implicitamente abbiamo reso a chi ci è venuto a mancare in quei giorni, dobbiamo tutti impegnarci a uscire da questa crisi profonda che vive tutto il Sud. Ricordando a tutti il valore della solidarietà che non deve mai mancare e che non deve mai spegnersi, e l’utilità di una
UNA BATTAGLIA DI CIVILTA’
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hi voglia guardare in faccia la realtà certo non può fare a meno di notare che in fondo si parla e si discute sempre o quasi sempre delle stesse cose del resto, siamo una piccola comunità e i problemi, quelli che ci portiamo dietro, sono quelli di sempre. E’ giusto e naturale che sia così perché ci sono alcune questioni abbastanza complicate che vanno affrontate e temi che riguardano da vicino i cittadini in maniera molto diretta e concreta. L’acqua è uno di questi. Altri, in maniera più dettagliata e informata, avranno modo di trattare questo argomento con le dovute cautele, a noi che non ne abbiamo dimestichezza spetta invece il privilegio di tentare di capire che cosa si aspetta la gente dall’utilizzo di questa risorsa. Non c’è bisogno di sottolineare una volta di più l’importanza dell’acqua per la vita stessa dell’individuo oltre che dal punto di vista economico e strategico, così come non credo sia opportuno ripercorrere le fasi che hanno caratterizzato il nostro rapporto con l’Ente Acquedotto Pugliese, non faremmo altro che ripetere cose già dette. Quello che importa, secondo me, è partire dalla situazione qual è oggi e valutare i possibili scenari futuri a breve e medio termine. Com’è noto, è in atto un confronto serrato con l’Ente Acquedotto Pugliese per riscrivere e riconsiderare le linee portanti della convenzione che disciplina l’erogazione dell’acqua delle nostre Sorgenti alla Regione Puglia. Mi risulta che l’Amministrazione comunale abbia preso a cuore questo problema e abbia tutte le intenzioni di evitare gli errori del passato. E’ chiaro che il confronto non è facile ed è pieno di insidie. Volendo chiamare le cose con il loro nome quello che si aspetta il cittadino di Caposele è di una evidenza assoluta.
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di Pasquale Farina
INTERVENTO DEL SINDACO DURANTE LA MANIFESTAZIONE DEL TRENTENNALE CON GLI STUDENTI
1) Un utilizzo più responsabile e razionale delle nostre Sorgenti evitandogli attuali livelli di captazione non più tollerabili. 2) Un tornaconto economico che non sia meramente simbolico ma adeguato all’entità del servizio fornito e del sacrificio sostenuto, corrispondente perciò alle reali esigenze della cittadinanza. 3) Interventi a tutela dell’ambiente finalizzati alla valorizzazione e alla messa in sicurezza delle Sorgenti stesse e del territorio circostante. Raggiungere questi obiettivi certo non è cosa facile ancor meno automatica, molto dipende dall’abilità e dall’impegno con cui si portano avanti le trattative e dalle priorità che di volta in volta si decide di assecondare. Per esempio, secondo me, sarebbe sbagliato e controproducente se nel corso delle stesse si arretrasse in qualche misura da uno dei punti sopra indicati per avere in cambio qualche posto di lavoro che non risolverebbe il problema anzi, darebbe l’idea di un compromesso al ribasso. Mi piace pensare che i posti di lavoro possano esser dati dopo aver creato un circuito virtuoso che fosse capace, proprio attraverso la valorizzazione della risorsa acqua, di creare sviluppo e benessere anche per le generazioni che verranno dopo di noi. Un confronto serrato com’è quello con l’Acquedotto Pugliese ha tante più possibilità di giungere a risultati concreti quanto più chi è chiamato a trattare sa di poter contare su una Comunità unita e compatta. Questo risultato lo si può ottenere attraverso il coinvolgimento diretto della gente. Per quanto non credo ci sia niente di originale in quello che sto per dire, mi permetto comunque di suggerire uno schema molto semplice che credo possa consentirci di arrivare a una decisione condivisa. Punto uno. Se l’Amministrazione comunale ha ricevuto una proposta ufficiale da parte
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Protezione Civile, che si adoperi per gli scopi per cui è nata. Io credo pure che le nostre vittime ci chiedano, potendolo fare, di impegnarci in questi giorni anche per l’Aquila e anche per il Veneto alluvionato, sia per ribadire che non esistono terremoti di serie A e di serie B, sia per ricordare al Nord, al Centro e al Sud che il modo migliore per sentirsi Nazione nel 150° anno dell’anniversario dell’Unità d’Italia, è vivere l’Unità’ come un valore e non come una costrizione.
di Antonio Ruglio
dell’Acquedotto Pugliese credo sia il caso di renderla pubblica. Punto due. Sottoporre la stessa al vaglio di consulenti esperti che possano valutarne il merito nella sua globalità soprattutto nella parte che riguarda il rapporto costi – benefici. Avviare, nel contempo, una consultazione a tutto campo con enti e associazioni presenti sul territorio con l’intento di ricevere spunti e suggerimenti. Mi risulta che il Sindaco e gli Assessori competenti si stiano già muovendo in questa direzione a conferma dell’intento , più volte manifestato, di arrivare a una deliberazione che sia la determinazione di un’intera Comunità. Punto tre. Una volta raccolte le valutazioni degli esperti e ogni altro suggerimento proveniente dall’esterno si può procedere alla formulazione di una o due controproposte (nel caso ce ne sia stata almeno una ufficiale da parte dell’Acquedotto Pugliese ). La stessa potrà essere sottoposta a un referendum confermativo attraverso il quale il cittadino si senta effettivamente responsabilizzato e possa esprimere liberamente le proprie valutazioni. Questa soluzione non è meramente formale e non è priva di significato, secondo me è l’unico strumento che abbiamo per impedire che una decisione così importante venga presa sulla testa della gente a prescindere dalla serietà e dall’onestà intellettuale di chi è chiamato a prenderla. L’Assemblea pubblica in quanto tale è uno strumento valido pur tuttavia non sufficiente a rendere reale la partecipazione di tutti i cittadini e non darebbe di fatto alcun potere decisionale alla gente. Punto quattro. Una volta ufficializzato il risultato del referendum si può presentare la proposta
in Consiglio Comunale per l’approvazione definitiva. Mi viene da pensare, trattandosi di un confronto destinato a durare a lungo, che sarebbe forse il caso di dar vita a una mobilitazione generale su questi temi. Una mobilitazione finalizzata non alla divisione, non al sospetto e alla diffidenza, non alla delegittimazione reciproca bensì improntata all’unità e all’armonia. L’anno 2011 credo possa suggerire alle Associazioni e agli enti presenti sul territorio di mettere in campo iniziative che abbiano per oggetto l’acqua in modo da creare un clima di reale condivisione. Del resto, conosciamo bene la strategia messa in opera dall’Acquedotto Pugliese, trattare con i singoli Comuni perché è ben consapevole che la divisione giova ai suoi interessi, provate a immaginare invece un confronto con una comunità realmente unita capace di allargare i propri confini fino a coinvolgere tutti i Comuni interessati. Sarebbe una grande prova di forza ed è su questo che dobbiamo lavorare. Il buonsenso credo ci guiderà in questo difficile confronto, ne sono convinto e consapevole perché la gente ha capito quali sono le priorità, perché non ha alcuna intenzione di farsi fregare un’altra volta e perché sa che la posta in gioco è molto alta. Quello che ciascuno di noi può fare è vivere nella consapevolezza che adesso è in gioco la nostra storia, è in gioco la nostra identità, la dignità, la nostra stessa sopravvivenza. Chiunque deve sapere, Ente Acquedotto Pugliese in testa, che sul nostro futuro non si gioca, non più.
Attualità
ECCO PERCHE’ ALLA SCADENZA DELLA CONVENZIONE
L’ACQUA SARÀ DI NUOVO NOSTRA
P
er comprendere l’attuale assetto dei rapporti intercorrenti tra il Comune di Caposele e l’Acquedotto Pugliese S.p.a. (già Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese), è necessaria una breve ricognizione delle convenzioni che si sono succedute nel corso del tempo e degli interventi normativi che attengono alla materia delle acque pubbliche e della loro gestione ed utilizzazione. 1. La vicenda della captazione delle acque del fiume Sele, che sgorgano nel territorio del Comune di Caposele, da parte dell’Acquedotto Pugliese S.p.a., trova una prima, fondamentale regolamentazione in data 2.3.1905, allorquando, al fine di consentire l’approvvigionamento idrico della Puglia, fu stipulata una Convenzione – tra il prefetto di Avellino, in rappresentanza dell’Amministrazione Centrale del Ministero dei Lavori Pubblici ed il sindaco di Caposele - in base alla quale il Comune di Caposele riconosceva “la demanialità di tutte le acque sorgenti, filtranti e sgorganti a Caposele, tanto apparenti che latenti del fiume Sele” e rinunciava a qualsiasi diritto che potesse competergli “per qualunque titolo e causa ed eziandio per uso immemorabile da parte dei suoi abitanti”. A fronte dell’assunzione di un impegno di così rilevante entità, che consentiva al Governo e ai suoi concessionari la facoltà di intercettare, raccogliere e condurre le acque del Sele, al Comune venne riservato “un volume d’acqua sufficiente a sopperire agli usi pubblici e privati del Comune e dei suoi abitanti”, volume che venne determinato in 500 litri al secondo, qualora la portata delle sorgenti non fosse inferiore a 4 metri cubi al secondo, e fino a 200 litri al secondo, nel caso in cui la portata delle sorgenti medesime risultasse inferiore a quattro metri cubi al secondo. Negli anni quaranta, al fine di sopperire all’accresciuto fabbisogno di acqua della Regione Puglia, e all’esito di una fase caratterizzata da lunghe trattative e da vibranti manifestazioni di protesta da parte dei cittadini di Caposele, si consentì all’Acquedotto Pugliese di prelevare anche una quota delle acque che la Convenzione del 1905 aveva riservato al Comune di Caposele. Con il Decreto Reale dell’11.5.1942 venne, infatti “concesso all’Ente autonomo per l’Acquedotto Pugliese di derivare a scopo potabile dal fiume Sele e precisamente dalle sorgenti Sanità in Comune di Caposele medi mod. 3,63 di acqua (corrispondenti a 363 litri al secondo) già di competenza di detto Comune” e venne altresì stabilito che “la concessione è accordata per un periodo di anni 70 successivi e continui, decorrenti dalla data del decreto di concessione”. Il Disciplinare allegato all’atto di concessione specificava con chiarezza che l’acqua da captare consisteva “in
quella parte del tributo……che in base alla convenzione 2 marzo 1905……veniva lasciata defluire nell’alveo del fiume per gli usi pubblici e privati del Comune e degli abitanti di esso”. Gli anni successivi hanno visto la stipula di altre due Convenzioni tra il Comune di Caposele e l’Acquedotto Pugliese: con la prima, sottoscritta in data 10.5.1970, il Comune di Caposele confermava la cessione in favore dell’Acquedotto Pugliese del volume idrico di 3,63 medi mod. per come stabilito dal Decreto Reale del 1942. Con la seconda Convenzione, datata 3.2.1997, l’Acquedotto Pugliese assumeva una serie di obblighi relativi, fra l’altro, alla manutenzione della rete idrica, alla gestione della rete fognaria, alla riqualificazione dell’area circostante le sorgenti del Sele, mentre rimanevano fermi gli accordi precedentemente conclusi ed aventi ad oggetto la disciplina del quantitativo d’acqua attribuito all’Acquedotto. 2. Per quanto riguarda il quadro normativo di riferimento, due sono le leggi attinenti alla materia delle acque pubbliche che è opportuno richiamare: la legge n. 36 del 5.1.1994 (la c.d. Legge Galli), e il D.L. 3.4.2006 n. 152 (il Codice dell’ambiente). La legge Galli, nell’intento di razionalizzare le risorse idriche e di predisporre adeguati strumenti di gestione ed utilizzazione delle risorse idriche, enuncia principi di assoluto rilievo. In essa si prevede espressamente che “tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale; gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologi”. Il Codice dell’ambiente, nell’abrogare la Legge Galli, ne fa propri i principi fondamentali, e vi affianca una disciplina assai articolata avente ad oggetto l’organizzazione dei servizi idrici. 3. L’esame delle convenzioni e degli atti normativi afferenti alla materia delle acque pubbliche, pur se sinteticamente condotta, consente di fissare alcuni punti fermi. Il Comune di Caposele, anche per effetto della Convenzione del 1905 – a tutt’oggi in vigore per quel che attiene alla disciplina della quantità di acqua che l’Acquedotto Pugliese è legittimato a captare – è titolare di un diritto d’uso sulle acque che si concretizza nella possibilità di lasciar defluire, dalle sorgenti del Fiume Sele, un volume idrico sufficiente a sopperire agli usi pubblici e privati del Comune e dei
suoi abitanti. In altri termini, come già a suo tempo rilevato dal parere redatto dall’Avv. C. Sciacca in data 6.4.1959, il Comune, in forza dell’originaria transazione, ha un diritto sui generis che gli assicura in perpetuo la quantità di acqua assegnatagli, acqua che non potrà mai, nell’interesse pubblico e dei privati, essere ridotta al di sotto della soglia necessaria al fabbisogno del Comune e della sua collettività. Queste osservazioni risultano corroborate dai principi e dalla disciplina posti dalla legge 36 del 1994 (la Legge Galli) e confermati dal D.L. 152 del 2006 (il Codice dell’ambiente); i due atti normativi sanciscono definitivamente che l’acqua non è più un bene di consumo ma una risorsa pubblica da tutelare e salvaguardare con criteri di solidarietà e risparmio. L’acqua non può essere oggetto di dominio ma solo di uso e come tale deve essere tutelata nel quadro di una ottimizzazione della risorsa e di una gestione dei servizi idrici che ne assicurino la possibilità di fruizione per le generazioni future. Si ha uno spostamento del baricentro da un regime di proprietà ad un regime di utilizzo . Ne deriva, nel caso specifico, che al Comune di Caposele ed ai suoi abitanti dovrà essere assicurata e garantita – in ogni caso - la possibilità di usufruire di un quantitativo di acqua tale da soddisfare le esigenze pubbliche e private, necessariamente mutevoli e non cristallizzabili una volta per tutte. In merito alla concessione di cui al Decreto Reale del 11.5.1942, va ribadito che essa ha derogato alle previsioni del precedente accordo siglato nel 1905. Ciò vuol dire che alla scadenza del termine di efficacia a suo tempo pattuito (settant’anni), il Comune riacquisterà automaticamente il diritto di utilizzare la quantità di acqua convenzionalmente determinata nell’atto transattivo del 1905. A questa conclusione non ostano le previsioni contenute nelle Convenzioni del 1970 e del 1997, le quali, come si è visto in precedenza, non toccano affatto il regime relativo al volume d’acqua utilizzabile dall’Acquedotto Pugliese, ma contengono una articolata serie di diritti ed obblighi che si affiancano a quelli originariamente previsti e mai messi in discussione.
di Giuseppe Palmieri
E neppure vi ostano le disposizioni normative nel frattempo intervenute, che hanno posto i principi fondamentali attinenti alla gestione dell’acqua quale risorsa fondamentale ed hanno dettato un’articolata disciplina relativa all’organizzazione dei servizi idrici, ma che non hanno inciso minimamente sui diritti maturati dal comune di Caposele per effetto delle Convenzioni stipulate nel corso degli anni. In conclusione, il Comune di Caposele, nell’imminenza della scadenza della concessione settantennale del 1942, potrà ricoprire un ruolo centrale nella gestione delle sorgenti del fiume Sele: potrà, cioè, far pesare adeguatamente la propria posizione di principale titolare del diritto all’uso delle acque individuando appropriate forme di corrispettivo a fronte del sacrificio che continuerà ad imporre al suo ius utendi. Potrà inoltre concordare congrue forme di indennizzo per gli obblighi assunti in passato dall’Acquedotto Pugliese e mai rispettati (ci si riferisce a tutta quella serie di impegni collaterali che l’Acquedotto ha siglato nelle varie Convenzioni e che prevedevano, fra l’altro, interventi diretti sul territorio del Comune oltre che sulla gestione della rete idrica). Il fatto che il Comune di Caposele debba necessariamente assumere il ruolo di attore principale nello sfruttamento e nella negoziazione dell’utilizzo delle risorse idriche del fiume Sele, trova, inoltre, ulteriore conferma nella riforma costituzionale del 2001 (L. Cost. n 3 del 18.10.2001) che ha ridisegnato le funzioni amministrative capovolgendo il precedente assetto. Alla luce del nuovo art. 118 Cost., infatti, l’esercizio delle funzioni stesse è stato attribuito in via prioritaria ai Comuni, e solo in via sostitutiva alle Province, alle Regioni e allo Stato, nei casi in cui la sostituzione sia giustificata dai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
Una foto dei primi anni del '900 sull'arrivo dell'acqua del Sele a Bari
Anno XXXVIII- Dicembre 2010 N. 81
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INIZIA CON QUESTO NUMERO UN SERVIZIO IN PIÙ PUNTATE RIGUARDANTE I TRASFERIMENTI IDRICI Attualità Storia DALL’IRPINIA VERSO LA PUGLIA E LA BASILICATA, REALIZZATI PER ASSICURARE A QUELLE POPOLAZIONI LE ACQUE DI CUI TUTTORA ABBISOGNANO.
Dal TIRRENO all' ADRIATICO, l’acqua di Caposele di Michele Ceres
“Se gli Estensi volevano vedere in giro vivente la loro nostalgia, e portavano Ferrara a Tivoli, se forse le grandi acque di Versaglia sono un canto ferrarese dei Francesi, questi Italiani del ‘900 non hanno insegnato al mondo il modo di sbizzarrirsi con l’acqua, hanno semplicemente dato da bere a chi aveva sete. Ma per questo non ci voleva meno fantasia che a quei tempi, e ci voleva una volontà molto più umana. Ne è nata un'opera che sfida qualsiasi altra anche per bellezza”. (Giuseppe Ungaretti, Il deserto e dopo)
PARTE PRIMA
le premesse della costruzione dell’Acquedotto Pugliese
I
l fiume Sele sorge a Caposele alle falde del Monte Paflagone che, un tempo, segnava il confine tra gli Irpini e i Lucani. Nicola Santorelli (1811 – 1899) , medico-patologo, docente presso l'Università degli Studi di Napoli e presso la Scuola Medica Salernitana, poeta e insigne latinista, così descrive nel libro “ Il Fiume Sele e i Suoi Dintorni” le sorgenti da cui si origina il fiume: “Da grandi bocche di figura a rettangolo, ed ordinate a coronare un piano a modo di semicerchio, emergono tante acque, vago e grandioso spettacolo di natura!, che sin dal nascere fanno gran fiume”. Poi, in altra parte del libro, così continua: ”Molti autori, ma sovente copiandosi l'un l'altro, attribuirono al Sele la proprietà di pietrificare i legni immersi per qualche tempo”. Aristotele per primo parlò del fenomeno come fatto straordinario nel libro delle “mirabili audizioni”, ove riferiva che i legni immersi nella corrente del fiume si convertivano in pietra. Ne parlarono in seguito Plinio, Strabone e Sibio Italico. La verità è che quelle pietrificazioni altro non erano, come giustamente fu poi osservato da altri studiosi, se non il deposito di particelle tufacee e calcaree, che sulla superficie delle cose immerse nel fiume generavano una crosta lapidea. Con le sue copiose, impetuose, limpide e fresche acque il Sele permise, nel corso dei secoli, alle popolazioni rivierasche di sviluppare molte attività produttive, artigianali o protoindustriali, che si incentravano su numerosi opifici: dai mulini ai frantoi, dalle cartiere alle gualchiere, opifici che alimentavano un’economia locale di tutto rispetto. Le sorgenti del Sele sin dalla metà circa del XIX secolo hanno interessato autorità periferiche e statali nel tentativo di captarle per corrispondere al bisogno elementare di acqua delle terre pugliesi, sia per uso potabile sia per quelli produttivi. Già nel 1847, Ferdinando II di Borbone nominò una commissione con l'incarico di studiare la possibilità di rifornire la Puglia di acqua potabile, prelevandola dai territori limitrofi. La natura del suolo e del sottosuolo pugliese è, infatti, tale da non consentire accumuli o riserve di acqua con le caratteristiche di captabilità naturale o artificiale. Questa natura non certo benigna ha condizionato per secoli, fino agli anni Venti del XX secolo, la vita e le attività dei Pugliesi. Le scarse risorse idriche esistenti erano prevalentemente utilizzate dalle famiglie nobili o signorili e dalle altre classi sociali privilegiate. Il popolo si arrangiava nel vivere alla giornata, reperendo, dove possibile, l’acqua da madre natura e dalla
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provvidenza. Il campagnolo e il paesano ricorrevano a ogni sistema per raccogliere e serbare l’acqua piovana, quali il pozzo in comune, ricavato nel calcare tufaceo o nella roccia a pietra viva, come serbatoio delle acque provenienti dai tetti, dai terrazzi, dai piazzali e dai cortili interni, per gli usi potabili e irrigui; il cisternone o piscina o grande vasca; il fosso o il fossato scoperto con cunette di drenaggio lungo il ciglio della strada e i colatori per la sedimentazione delle particelle solide in sospensione. Nei centri abitati più progrediti e più attivi nei commerci e nelle industrie, il cittadino disponeva di cisterne pubbliche costruite dalla comunità e poteva usufruire della specifica attività dei venditori d'acqua, che trasportavano il prezioso carico in botti o barili dalle lontane sorgenti della Lucania e dell’Irpinia. Ma era nelle tremende annate di siccità che la penuria di acqua incideva in maniera funesta sulla vita del singolo e della collettività. Nei campi dominava lo squallore e la desolazione, nei centri abitati l'economia crollava dando luogo alla disoccupazione e alla miseria più nera. La scarsezza di acqua diventava un incubo e costituiva un vero e proprio attentato alla salute della gente, cosicché puntualmente sopravvenivano epidemie con falcidie di intere generazioni di bambini, i primi ad essere colpiti. Ciclicamente compariva il tremendo colera, gravissima malattia infettiva ed epidemica, in stretta dipendenza della mancanza di acqua o del forte inquinamento della stessa, inquinamento causato dal mancato ricambio naturale e periodico dei depositi idrici. Tali erano le condizioni delle popolazioni pugliesi prima che, attraverso una colossale opera di ingegneria idraulica, immensi volumi d’acqua fossero sottratti all’Irpinia e trasferiti in Puglia. Con l'Unità d'Italia il problema della penuria d'acqua uscì dai confini dei vari territori comunali per entrare nei dibattiti dei Consigli provinciali di Bari, Foggia e Lecce. Vennero formulate in successione varie ipotesi, ma nessuna di esse fu ritenuta idonea a risolvere, sia pure parzialmente, il problema. Nel 1863 il Consiglio provinciale di Bari chiese al Ministero dell’Agricoltura un contributo per lo studio, da parte dei tecnici, del problema dell’acqua ad uso alimentare ed irriguo. Era il primo tentativo posto in essere di cointeressare, in forma indiretta, il
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Governo del Regno all’annoso problema della scarsezza d’acqua in Puglia, giacché le comunità locali da sole erano del tutto incapaci di trovare una soluzione adeguata. La provincia di Bari in data 19 luglio 1865 bandì un concorso pubblico per la conduttura delle acque nel territorio della provincia, stabilendo un premio di lire 11.150. Molti progetti vennero proposti, ma non furono considerati risolutivi del problema. Nel 1868 l’ing. Camillo Rosalba propose con un proprio progetto di addurre le acque dalle sorgenti di Caposele, a mezzo di una grande conduttura in traforo, fino a Conza della Campania per superare lo spartiacque appenninico e di un canale lungo la sponda dell’Ofanto verso Andria per volgere a Corato, Ruvo, Bitonto fino a Brindisi. Il Consiglio provinciale di Bari non approvò il progetto per la lontananza delle sorgenti, lontananza che avrebbe determinato un’eccessiva onerosità dell'opera. Bandì, allora, un altro concorso a cui risposero imprese nazionali ed estere. Il 1877 fu l’anno della svolta. L’ing. Francesco Zampari riprese l’dea di Camillo Rosalba e, per portare l’acqua alle provincie di Bari, Foggia e Lecce, chiese al Governo la concessione della derivazione delle acque di Caposele per proprio conto. Il 23 maggio 1888 ottenne con un rogito le sorgenti dal Comune di Caposele per l'importo di lire 500 mila con la clausola che se entro trenta mesi i lavori non fossero iniziati il Comune avrebbe avuto la facoltà di recedere dal contratto. Zampari fece più volte il tragitto Bari - Roma; chiese ed ottenne varie proroghe della concessione di derivazione delle acque; acquisì, così, tutti i pareri necessari sulla base di una consistente partecipazione al finanziamento dei lavori da parte di una società di banchieri inglesi, previa garanzia dello Stato degli interessi sul capitale occorrente alla realizzazione dell’opera, stabilito in lire 125 milioni. Ma l’Amministrazione provinciale di Bari, committente dei lavori, di fronte alle incertezze finanziarie del c a v. Z a m p a r i , derivanti dalla fuga in avanti dei capitalisti inglesi ed anche tedeschi, con delibera del 27 aprile 1896 dichiarò la decadenza dello Zampari da ogni diritto.
Attualità
S
ono stati questi mesi caldi per l’Amministrazione Comunale di Caposele e i suoi cittadini sulla questione “ acque”. Si è riaperta la conferenza dei servizi per l’approvazione del progetto esecutivo del raddoppio della galleria Pavoncelli, questione annosa che si protrae ormai da circa 20 anni. In primis, siamo riusciti a far tenere la terza e la quarta seduta presso il Comune di Caposele (aula polifunzionale) e Regione, Provincia, responsabili dei vari settori etc, hanno conosciuto la realtà di Caposele, e hanno potuto vedere da dove inizia l’opera. In questa sede, come Amministrazione Comunale, abbiamo sollevato diverse perplessità sulla realizzazione dell’opera, in merito (senza voler scendere nei dettagli tecnici) a questioni di carattere ambientale, di tutela del territorio e di salvaguardia delle risorse. Inoltre, abbiamo chiesto con forza la realizzazione, nell’ambito dello stesso progetto, della centrale idroelettrica, che era stata stralciata, e pur facendo parte integrante del Progetto (parte C) i soldi del suo finanziamento dirottati verso l’opera principale; ne abbiamo fatto una questione irremovibile. Tale opera è destinata a turbinare le acque provenienti dalle sorgenti di Cassano Irpino, prima che queste vengano immesse nella nuova galleria Pavoncelli in località Vallone delle Brecce. Garantirebbe gratuitamente i consumi elettrici pubblici del nostro paese (cosa non da poco!), apportando un considerevole risparmio alle casse comunali. Ancora, abbiamo posto un’altra condizione: realizzare una bretella di collegamento tra la SS. Fondo Valle Sele e il centro di Caposele, svincolo che consentirebbe di snellire il traffico veicolare dei mezzi pesanti necessari per i lavori, ma che rappresenterebbe successivamente un’arteria molto importante per il paese. Mi pare opportuno, comunque, precisare che per l’approvazione di detto progetto Caposele è attore insieme a tanti altri enti sul territorio e che il tutto avviene in un regime commissariale dove ogni parere conta relativamente poco (purtroppo!). I lavori della conferenza sono tutt’ora in itinere... Sempre in merito alla questione acque, l’Amministrazione Comunale, tra botte e risposte, tra riunioni a Bari e a Caposele con esponenti politici della regione Campania e Puglia e dirigenti della società Acquedotto Pugliese, tra incontri con la minoranza, forze politiche e sostenitori, sta valutando la proposta della nuova convenzione regolante i rapporti tra il Comune e l’AQP. Visto che molto si dice a Caposele per sentito dire, quale delegata alle acque di questa amministrazione Farina, sento il dovere di commentare pubblicamente la proposta che si sta valutando soprattutto da un punto di vista strettamente tecnico. Alla base della stessa, tengo a precisare, per evitare fraintendimenti (o anche speculazioni inutili di chi potrebbe fare solo critica distruttiva giusto per parlare), che Caposele non si sta rivendendo l’acqua, non è assolutamente l’argomento di cui si sta discutendo. Purtroppo, le cessioni in essere delle sorgenti della Sanità avvennero agli inizi del secolo scorso. Riporto per completezza un estratto della convenzione del 2 marzo 1905 nel quale si può dedurre, in maniera chiara, quanto sostengo. “[...] Art. 2 – Il Comune di Caposele ... riconosce per transazione la demanialità di tutte le acqua sorgenti sgorganti e filtranti a Caposele nella località detta Sanità, che costituiscono le sorgenti tanto apparenti che latenti del Fiume Sele, sia che vengano a giorno nella vasca della piazza Sanità, sia che scorrano
nel sottosuolo o si disperdano in qualunque modo; e formalmente rinunzia a qualsiasi dirittto che sulle acque stesse gli competa o competer possa per qualunque titolo [...]. Art. 3 –Conseguentemente le dette acque potranno sempre e liberamente essere dal Governo o dai suoi concessionari intercettate, raccolte, allacciate, prese e condotte totalmente o parzialmente col solo obbligo di lasciare defluire costantemente nel fiume Sele, dalle opere di presa ed a mezzo di opportuni scaricatori permanenti, un volume di acqua sufficiente a sopperire agli usi pubblici e privati del Comune stesso e degli abitanti di esso. Art. 4 – Il volume di acqua che il Governo ... si obbliga di lasciare liberamente defluire nel fiume Sele dal livello della presa dell’Acquedotto sarà di 500 litri al minuto secondo, tutte le volte che la portata delle sorgenti non sia minore di 4 metri cubi al minuto secondo; e sarà ridotto fino a 200 litri al minuto secondo, quando la portata delle sorgenti medesime risulti inferiore a 4 metri cubi al minuto secondo. [...] Art. 6 – In corrispettivo alla rinuncia come sopra emessa dal comune di Caposele [...], il Governo si obbliga a erogare la somma di lire settecentomila al netto di qualsiasi ritenuta. [...]”
Parte di quell’acqua che la sopracitata convenzione lasciava per gli usi pubblici e privati del Comune di Caposele, venne ulteriormente sottratta con il Decreto Reale del 2 maggio del 1942 per una quantità di 363 litri al secondo e regolarmente concessa all’allora Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese per 70 anni. Riporto, di seguito, un estratto, a conferma di quanto detto, del disciplinare “contenete gli obblighi e le condizioni cui dovrà essere vincolata la concessione della derivazione d’acqua dal fiume Sele”, allegato alla convenzione.
“Art. 1 – Quantità ed uso dell’acqua da derivare – L’acqua da derivare dal fiume Sele, e precisamente dalle sorgenti Sanità in Comune di Caposele, è quella parte del tributo di dette sorgenti che in base alla convenzione 2 marzo 1905, stipulata tra l’Amministrazione dello stato ed il Comune di Caposele, veniva lasciata defluire nell’alveo del fiume per gli usi pubblici e privati del Comune e degli abitanti di esso. La quantità di acqua da derivare resta fissata in misura media di moduli 3.63 e verrà utilizzata per uso potabile. [...]”
La convenzione del 10 maggio del 1970, tra l’allora sindaco Francesco Caprio e l’acquedotto pugliese, regolava i rapporti tra i due enti in merito a questa cessione di 363 litri al secondo, convenzione redatta dopo anni e anni di lotte e di scontri. La bozza della convenzione, su cui si sta discutendo in questi giorni, risulta, pertanto, una rivalutazione della suddetta convenzione e di quella del 1997, attualmente in essere, in termini ecomomici e tecnici. Fatta questa premessa d’obbligo, passiamo alla valutazione della convenzione propostaci in questi mesi dall’AQP, sottolineando che questa è la loro ultima proposta e non ha assolutamente carattere definitivo. L’Amministrazione Farina ha già pronta una contro proposta che vi illustrerà direttamente il Sindaco in un altro articolo. Ma ci tengo a precisare che si sta facendo semplicemente un lavoro di valutazione delle diverse proposte che si sono succedute nel tempo, ma non si prenderà alcuna
CAPOSELESI... POPOLO GENEROSO E PAZIENTE... ...ma non troppo! decisione in merito (cosa che non è stata assolutamente fatta in passato, dove invece gli accordi sono stati raggiunti tra pochi eletti!). Riteniamo che qualunque passo da intraprendere in merito ad un argomento così importante come quello delle acque, come già sostenuto in diverse altre occasione, debba essere frutto di una concertazione globale. Il punto fondamentale alla base di questa proposta è l’indennizzo annuale che l’AQP pagherebbe al Comune di Caposele, precisamente pari a un milione e trecentocinquantamila euro (€ 1.350.000). A fronte di questo indennizzo, il Comune dovrebbe restituire parte di questa somma pari al costo dell’acqua che viene immessa nella rete di distribuzione del paese pagandola all’ingrosso (cioè 0,36 € per ogni metrocubo). Inoltre, per i primi 5 anni verrebbero adottate percentuali riduttive sui consumi idrici che vanno dall’80% del primo anno fino ad arrivare al 20% del quinto e che i ricavi potrebbero essere utilizzati per effettuare interventi manutentivi e di rifacimento delle reti rurali e urbane, purtroppo già fatiscenti. Pertanto, facendo due calcoli matematici, per i primi 5 anni potrebbero arrivare alle casse comunali mediamente 1.000.000 euro all’anno (cioè da € 1.200.000 del primo anno fino a € 800.000 del quinto). A regime, cioè dopo il quinto anno, e continuando a utilizzare circa 60 litri al secondo (circa 6 volte il necessario!), il Comune incasserebbe intorno ai 700.000 euro all’anno. A questo importo si dovranno però sottrarre anche i costi della gestione delle reti, ora a carico dell’AQP e che poi passerebbe al Comune. Come novità in questa proposta, sicuramente non c’è l’obbligo da parte del Comune di far mettere i contatori agli utenti; forse qualcuno si dimentica che questo già è stato inserito nella convenzione del 1997 (ma, per fortuna, sono pochi i non attenti!). Riporto a testimonianza di quanto scrivo un estratto della convenzione del 1997, in particolare l’articolo in merito alla discipliana dei servizi idrici e fognari (art. 1)
“[...] A) RETE IDRICA L’EAAP assicura la manutenzione gratuita della rete idrica comunale esistente, fermo restando che i rapporti con gli utenti continueranno ad essere tenuti dal Comune che dovrà curare la installazione dei contatori. [...]”
Comunque, per completare il discorso, tale importo deve essere confrontato con l’indennizzo che percepiamo attualmente ogni annuo che si aggira intorno ai 150.000 euro, comprensivo della rendita annua, del costo della manutenzione della rete e il rimborso dei canoni dell’enel. Lascio a voi fare i conti!!! Inoltre, in questa convenzione proposta dall’AQP è prevista la fruizione turistica delle sorgenti Sanità gestita dal Comune, il comodato d’uso del Parco Fluviale, opere di forestazione, la concretizzazione di alcune inadempienze dell’AQP tra cui il ridisegno e la sistemazione di Piazza Sanità, oltre una somma “una tantum” pari ad una intera annualità. Ma una considerazione esclusivamente tecnica spetta anche a me, come ingegnere: la proposta dal punto di vista economico (e solo economico, perchè sono numerosi gli articoli da modificare e aggiungere!
di Raffaella Gonnella Ovviamente, gli avvocati hanno tutelato l’AQP con passaggi e articoli che difendono gli interessi dell’ AQP e non certo quelli di Caposele) potrebbe apparire quasi favorevole, ma si basa su un concetto base che è necessario rimarcare. Meno sono i consumi di acqua e più sono i soldi dell’indennizzo che resterebbero nelle casse del Comune. Infatti, per onor di cronaca, vi riporto che il valore medio annuale di consumo giornaliero del nostro paese si aggira intorno ai 60 litri al secondo (come una città di circa 25.000 abitanti!!!). Tale valore si impenna intorno ai 90 litri al secondo nei giorni di massimo consumo dei mesi estivi. In realtà, in un Comune come quello di Caposele, ogni abitante ha necessità, per tutti i suoi fabbisogni quotidiani, di un quantitativo di acqua (detto dotazione idrica) che generalmente si stima intorno ai 200 litri al giorno. Considerando che il numero degli abitanti serviti di Caposele si aggira intorno ai 4.000 (valore sovrastimato), in totale si dovrebbero consumare al secondo circa 9 litri. Consumi reali 60 litri al secondo ...litri che si dovrebbero consumare 9...come si può spiegare tale notevole differenza!! Ci possono essere molteplici fattori che possono giustificare tali consumi: - Perdite delle reti idriche (valore che può aggirarsi intorno al 30-40%, per reti fatiscenti anche al 50%), - Irrigazione (si ha nel periodo estivo, ma stranamente i consumi di Caposele sono eccessivi anche in inverno quando non si irrigano campi!), - Artigianato – ristorazione, - Fontane pubbliche (da una stima si può desumere che tutte le nostre fontane giornalmente consumino circa 5-6 litri al secondo). Nonostante si tenga conto di tutti questi fattori, non è tecnicamente comprensibile come si raggiunga un tale elevato consumo di acqua nel nostro piccolo comune. L’unica spiegazione plausibile è che le nostre abitudini quotidiane sono tali da produrre uno spreco di acqua. Come Amministrazione, abbiamo già messo in campo campagne per il risparmio idrico (con il calendario del 2010) e ne faremo ancora, perchè riteniamo che sia fondamentale rispettare una tale ricchezza. Per noi, oggi, può sembrare un bene scontato. Basta aprire il rubinetto di casa e l’acqua scorre senza limiti. Ma non per tutti è così... sono innumerevoli le persone che combattono giornalmente con la mancanza o la carenza di questo bene. Non a caso spesso si sente parlare di “oro blu”, definizione che scaturisce dal fatto che l’acqua è un bene prezioso e limitato. Pertanto, è necessario risparmiarlo oggi, domani sarà già troppo tardi e le generazioni future potrebbero rischiare di non godere di questa meravigliosa risorsa!!! Quindi, R I S P E T T I A M O L’A C Q U A . . . RISPARMIANDOLA! Questo messaggio spero passi e venga attuato da tutti, indipendentemente dalle diverse convenzioni proposte dall’AQP!
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compagna di viaggio
Q
uale significato ha assunto La Sorgente nella nostra comunità? E quale ruolo può ancora assumere negli anni a venire? Sono questi, in buona sostanza, gli interrogativi sui quali sono stati chiamati a rispondere i lettori del giornale per un sondaggio apparso sull’ultimo numero. La prima riflessione che viene in mente esaminando le risposte è felicemente scontata. La Sorgente ha conquistato una diffusa popolarità e desta curiosità in tutto il paese ed anche tra i nostri emigranti. I lettori più anziani ricordano esattamente l’uscita del primo numero e da allora non si sono persi un’edizione. Molti conservano ordinatamente (e gelosamente) le copie del giornale e, si presume, considerano la collezione un vero e proprio archivio di dati ed immagini del proprio paese. I lettori più giovani analogamente dichiarano di sfogliare il giornale da sempre, un pò come accade con i libri di scuola, inizialmente guardando le foto e poi, da grandi, addentrandosi negli articoli. Il giornale, nei giorni che seguono la
sua uscita, è presente pressoché in tutte le case dei caposelesi. Non è inconsueto, specialmente durante le visite che animano il periodo natalizio, trovare un numero del giornale in bella vista nel soggiorno dei nostri amici, ed approfittarne per dare un’occhiata, commentare le foto o approfondirne un argomento. Quando è stato chiesto ai lettori di esprimere un giudizio sulla rivista le risposte sono state più variegate. Molti hanno giudicato positivamente la possibilità offerta dal giornale, attraverso foto o racconti, di far rivivere periodi felici del passato. Altri hanno sottolineato l’importanza, per gli emigrati, di mantenere un contatto con il proprio paese e di apprendere le novità che lo riguardano. Ma di tutte le opinioni voglio ricordare quella espressa da Armando Cione, il quale ritiene il giornale “importante perchè ci aiuta a conoscere come eravamo e come viviamo oggi”. Oggi viviamo un tempo in cui i mezzi di comunicazione, le tecnologie, il lavoro, gli svaghi, ci
obbligano ad andare sempre più veloci ed a non soffermarci troppo su ciò che siamo e sulla realtà che ci circonda. Eppure solo una conoscenza profonda del proprio passato rende gli uomini consapevoli e capaci di affrontare le esperienze della vita. La Sorgente, in questo senso, ha da tempo assunto in maniera quasi esclusiva la funzione di raccontare la nostra storia, di consolidare un’identità comune che altrimenti rischierebbe di disperdersi e di divulgare ai caposelesi – attraverso volti, paesaggi, resoconti – il percorso che ci ha portato ad essere quello che siamo. Con le nostre tradizioni, le nostre abitudini, le nostre parole, il nostro comune sentire. In ultimo veniva richiesto ai lettori di formulare qualche suggerimento per migliorare il giornale. Molti si sono astenuti spronando la redazione a “continuare così”, sottintendendo una positiva valutazione della rivista. Altri hanno chiesto “uscite più frequenti” (Umberto Gerardo Malanga) o addirittura una funzione più squisitamente giornalistica con “interviste ai cittadini per quartieri e
Caro Direttore discorrendo, in una pausa “caffè”, del fascino agreste della trebbiatura, in questo torrido luglio,mi è stato fatto dono, dalla mia collaboratrice dott.ssa Diana Viggiano da Postiglione, di uno splendido suo lavoro sul tema della discussione.
Ezio
Ricordo, in tempi più umani, che l'inizio dell’estate illuminava le nostre campagne molto più di quanto il sole oggi riesca a fare, quando quel mare di grano, orzo e avena mutava, divenendo, da verde, color oro e la terra si accendeva di un giallo così sfolgorante da impregnare l’ariosa atmosfera delle nostre campagne. Ricordo l’universo dei minuscoli insetti. Le cicale e i grilli che, con il loro estenuante cicaleccio, facevano da cassa di risonanza a madre natura. Le lucciole che brulicavano di sera sui campi come piccoli fuochi fatui, bagliori della natura, che sembrano aver abdicato in favore di un progresso inarrestabile. Attendevo ansiosa, da bambina, il rito della trebbiatura che si svolgeva generalmente nel mese di luglio nelle aie delle nostre masserie. Il solo passaggio per le strade di campagna della “Trebbia”, che si spostava da una masseria all’altra, era per i bambini un evento eccezionale e motivo di festa; per i nostri nonni ed i nostri padri invece rappresentava il momento di quantificare la resa del duro lavoro dei mesi precedenti. La trebbiatura rappresentava davvero un momento quasi sacro, essendo, allora, il grano l’unica certezza di vita. E sì, proprio
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Grano, amore e fantasia….. La solidarietà quale significato più intimo grano nell’apoteosi della trebbiatura di rito bisogna parlare perché oltre che a preparare la zona dove l’attività doveva svolgersi, trasportando dai campi alla masseria le “gregne” (fasci di spighe) e raggruppandoli sino a formare i “casazzi” (i covoni), ci si doveva preoccupare di reperire la manodopera necessaria, spesso con la soluzione dello scambio di favori fra vicini, ma soprattutto di organizzare il ‘’banchetto’’ a cui partecipavano tutti gli intervenuti. La trebbiatura difficilmente veniva fatta da personale avventizio estraneo alla masseria; era lavoro dei componenti la famiglia e di famiglie vicine maggiormente affiatate. A questi operai senza salario, la famiglia interessata restituiva le opere andando in loro aiuto quando a loro volta trebbiavano. Salvo quindi il personale di macchina, che era estraneo, gli addetti alla trebbiatura erano degli invitati sui generis che andavano a casa del vicino, non solo per mangiare, bere e cantare, ma soprattutto per aiutarlo. Chi ospitava, a sua volta, restituiva la visita lavorando in favore di chi lo aveva aiutato. Era in sostanza,
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del
la vecchia consuetudine dello scambio delle opere che affratellava le famiglie e ne rendeva più saldi e sinceri i vincoli dell’amicizia e della solidarietà. E, così, attorno alla trebbia, per questo sistema di generosa spontanea e disinteressata offerta d’aiuto, si riscontravano spesso un numero di persone superiori alla stretta necessità. Ma avviciniamoci all’aia: la trebbia vibrava di un fremito ansioso che la scuoteva tutta, dall’alto si lanciano i primi covoni che uomini cotti dal sole afferravano e, dopo averli liberati dai legacci, gettavano nelle avide fauci della macchina che li ingoiava con un muggito di soddisfazione. Nell’interno della trebbia, tutta sussulti e tutta movimento, crepitavano i chicchi dorati che poi ruscellavano, puliti, nei sacchi; la paglia usciva tumultuosa e si accumulava in maestosi pagliai; nell’aria folleggiava la “iosca” (la pula) che ricadeva in una pioggia d’oro. La gente sudata innalzava, sotto il sole bruciante, i suoi canti festosi che, dominando il frastuono assordante della trebbiatrice, si spandevano nella riarsa
di Tania Russomanno
zone rurali al fine di conoscere le loro problematiche e portarle a conoscenza dell’Amministrazione Comunale” (Claudio Russomanno). Ma una fetta importante degli intervistati ha suggerito una maggiore apertura del giornale all’esterno. “Aprirsi, ancora di più, al contributo di tutti, con la necessaria salvaguardia dei criteri di buon gusto e correttezza” (Ezio Maria Caprio). E soprattutto aprirsi dando “più voce ai giovani” (Rosaria Palumbo), “aprirsi di più al mondo giovanile” (Amerigo Malanga), “dare più spazio alle voci giovani” (Tania Imparato). Io credo che il suggerimento sarà preso nella dovuta considerazione dal direttore responsabile il quale, ad onor del vero, già da tempo chiede il contributo di nuove leve nella stesura degli articoli. Sarà questa nuova linfa a dare ulteriore vigore al giornale ed a renderlo nostro compagno di viaggio per tanti anni ancora.
campagna come un inno di vita. Nascevano nuovi amori, si cementavano amicizie, si riconciliavano dissapori. Magnifica questa festa della trebbiatura, commovente come spettacolo di vittoriosa soggezione della terra genitrice alla volontà umana, simpatica ed interessante nel movimento, nel colore, negli aspetti folcloristici, nella intonazione di letizia che la caratterizzava. Ne porto ancora dentro tutto il fascino e tutta la bellezza. In un’aia dove si trebbia, male o bene che vada la raccolta, la musoneria è bandita e la malinconia non trova asilo. Si canta, si ride, si sta allegri, pur lavorando alacremente, senza concedersi un momento di riposo. L’operazione di trebbiatura andava avanti finché c’era la luce del sole ed a volte, se le tabelle di marcia non erano state rispettate, i fari dei trattori illuminavano l’aia sino a quando le ultime spighe non erano state trasformate in paglia e chicchi di grano. A tarda ora, quando i canti si spegnevano nella stanchezza e gli uomini cercavano nel sonno ristoro alla fatica di un’operosa giornata, non era difficile trovare sull’aia qualche giovane coppia che indugiava e parlava con tono sommesso, quasi per non turbare la dolce serenità della notte. Erano parole di promessa, espressioni sussurrate con un soffio di voce malgrado il tumulto dei cuori, impetuosi richiami di vita. Un altro anno, a tempo di trebbia, e forse il canto di quelle anime sarebbe stato rallegrato dal sorriso di un pargolo. Diana Viggiano
Attualità
PRESENTAZIONE MAGISTRALE DEL numero 80 DEL NOSTRO GIORNALE
L
a presentazione de “La S o rg e n t e ” a n t i c i p a d i qualche giorno le feste agostane e quelle natalizie. L’appuntamento viene ogni volta sapientemente costruito in modo da far “montare” l’attesa, dunque la curiosità. Sì, l’uscita di ogni numero del nostro giornale suscita in molti, in tanti, questo sentimento. Basta esserci per cogliere tra i nostri concittadini (ma non solo) questo diffuso senso, quasi smanioso, che muove verso l’attesa. E’ stato così anche per la presentazione del numero 80, nello scorso mese di agosto. Ma di questa volta dobbiamo raccontare di alcuni eventi inseriti, a loro modo, nell’evento. Essi sono stati essenzialmente due: un’introduzione musicale eseguita (magistralmente) da Gilda Conforti e una lezione magistrale (ovvero una lectio magistralis di nobile fattura) di Antonello Caporale. La sala polifunzionale era stracolma come non mai: molto colorata, plurale per età, sesso, provenienze, opinioni, culture. Anche commovente per chi ha avuto l’onore e il privilegio di fare gli onori di casa, presentando i protagonisti ed ospiti della serata. Gilda Conforti ha eseguito brani di autori davvero poco popolari e non conosciuti dal grande pubblico, come Ludovico Einaudi e Giovanni Allevi. Credo che l’eccellente bravura, sottolineata da convinti applausi, con cui ha eseguito la partitura fosse un modo per omaggiare il Direttore Nicola Conforti (omonimia ben motivata dall’evidente talento genetico), in occasione di un appuntamento importante per un giornale che egli ha voluto, fondato e curato per quasi quarant’anni e ottanta numeri. Ma l’omaggio a Nicola Conforti e al prodotto del suo impegno, cioè “La Sorgente”, è venuto da un amico di vecchia data, da un’importante firma del giornalismo italiano. Antonello Caporale, infatti, redattore politico de “La Repubblica” ed autore di alcuni libri di successo sui maledetti vizi dei politici della seconda repubblica e dell’italiano condannato a mutuare proprio dal mondo politico alcune dinamiche della furbizia e dei vizietti tipici di questo scorcio della storia italica. Basta citare alcuni di questi titoli: Impuniti; Mediocri; Peccatori. Bene, Antonello Caporale che con Caposele e, in particolare, con Nicola Conforti e con alcuni dei
A SUO MODO È DIVENTATO UN APPUNTAMENTO CANONICO, COME CERTE FESTE LO SONO PER IL CALENDARIO LITURGICO.
ragazzi dell’allora Radio Caposele, cominciò nei mesi dopo il terremoto del 1980 una ricca e virtuosa collaborazione, realizzando una trasmissione radiofonica (in collegamento con la sua Radio MPA) per fare il punto – tutte le domeniche – sulla ricostruzione. Una trasmissione di denuncia degli sprechi e delle scelte delittuose che in taluni casi furono compiute e di cui oggi abbiamo, ai posteri, vivida e plastica testimonianza. Caporale per l’occasione dell’80° numero del giornale ha scritto il pezzo di prima pagina. Un omaggio certo al nostro giornale ma strumentale ad esaltare il valore di emancipazione civile che può essere generato dalla scrittura, dalla passione, dall’indignazione e dal coraggio. “Scrivere – questo l’incipit del suo intervento - significa organizzare un pensiero, fargli imboccare una strada, delineare un percorso, suggerirgli un approdo. Un giornale – “La Sorgente” tra questi – contiene tanti pensieri e segna nel tempo un’idea di vita e di comunità”. Quella che, senza enfasi, a me è parsa come una lezione civile, è stata sviluppata da Caporale richiamando il senso della dignità perduta di un Sud oramai piegato alla furbizia di una classe dirigente incapace di dare senso e speranza. Da qui la necessità di indagare la nostra incapacità a muovere azioni per invertire la tendenza al suicidio sociale (il paradigma di Napoli appare del tutto evidente). La risposta – in estrema sintesi – per Caporale e la capacità di suscitare ancora passioni civili, anche facendo ricorso all’indignazione e al coraggio, perché “come sosteneva Sant’Agostino la speranza ha due piccoli figlioletti: lo sdegno e il coraggio”. “La scrittura è uno strumento per coltivare la speranza. “La Sorgente” ha giocato un ruolo importante per l’identità di Caposele. A questo giornale occorre assicurare, con augurio sincero, altrettanti numeri, affinché svolga questa funzione delicata di produrre
speranza, passioni, indignazione, denuncia: con la schiena dritta e mai piegata.” (Solo per inciso. Nelle settimane passate è uscito un nuovo libro di Antonello Caporale, edito da Rizzoli: Terremoti spa, dall’Irpinia all’Aquila, così i politici sfruttano le disgrazie e dividono il Paese.) Tornando alla serata di presentazione del giornale, è doveroso aggiungere una personale impressione: quella sera si avvertiva come il giornale sia ritenuto oramai un patrimonio di tutti, un bene collettivo, certo con le sue caratterizzazioni, le sue sfumature, la sua anima. “La Sorgente” un bene prezioso per Caposele che ne sa raccontare i momenti più significativi della sua incerta evoluzione, come della sua claudicante identità. Bastava osservare la voracità delle persone che
La copertina del nuovo libro di Antonello Caporale ospite illustre della presentazione del n. 80 del giornale
una volta ritirata la copia sfogliavano le pagine con vorace curiosità. La serata ha poi avuto un suo seguito luculliano e ludico. Una serata di festa spensierata che di fatto ha inaugurato le feste di metà agosto, con “La Sorgente” sotto il braccio e la voglia di stare tutti insieme in un fazzoletto di piazza, a conversare, a commentare, a sentirsi “comunità vera". (ger.cer.)
La sala gremita ed attenta durante il piccolo recital di Gilda Conforti
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Storia
S
e ci si sofferma con attenzione sulla “Storia dell’Acqua” (intendendo per Storia l’insieme degli eventi umani nella successione di varie epoche), non possiamo non convenire su un fatto: l’acqua si è categorizzata come un valore universale e plurireferenziale. Per dirla, in breve, l’acqua è stata un valore sacro, un valore sociale ed un valore economico, a seconda del periodo storico, appunto, in cui detti valori si sono attestati, in riferimento, ai vari quadri di civiltà che si sono succeduti. Nell’antichità, per quanto concerne l’intero Globo, l’acqua fu considerata una divinità per lo più associata alla Salute e alla Vita. Sacre erano i capita (sorgenti e foci), i fiumi, i laghi, i mari e gli oceani. Intangibile era lo status (res extra commercium), innegabile l’accesso a tutte le creature (et aqua sacri causa licebit uti). Non una sola fonte, dunque, presso gli Antichi difettava di consacrazione; alle fonti, trascinando i loro corpi malati, si recavano i pellegrini per pregare le divinità e cercare di ritrovare la salute. Sanitas era, infatti, l’altro appellativo della dea protettrice dell’acqua, in un’epoca in cui l’aspettativa di vita non superava i 55 anni e la durata della stessa era condizionata dall’assenza o dalla presenza di malattie. I Greci Non era casuale, infatti, che pressi i Greci, il Dio della medicina Esculapio fosse associato all’acqua, prima fonte di salute. I suoi santuari erano situati nei boschi, immediatamente a ridosso delle sorgenti ritenute salutari. Esculapio era rappresentato in forma simile a Zeus, con un volto placido e tranquillo; il suo emblema era una verga, intorno alla quale era attorcigliato un serpente. Il serpente era, d’altronde, il “logo” dello stesso fiume. “Ch’ à un capo e una coda” (Lübker), quasi a saldare la sua unitarietà fluida a quella della salute. Questa simbologia è più eloquente in un’altra divinità, figlia di Esculapio, il cui nome era Igila (La Salute), presentata come una florida vergine, avente, di solito, nella mano sinistra una coppa piena d’acqua, nella quale con la mano destra si aiuta un serpente ad abbeverarsi. Scontata è, dunque, la sacralità salutifera dell’acqua, presso i Greci che, non bisogna dimenticarlo, credevano nelle forze materiali immanenti nella Natura, autonome ancorché figlie di un ordine superiore trascendente. I Romani Il passaggio dalla sacralizzazione alla socializzazione di un bene da sempre ritenuto risorsa naturale, fu centrato innanzitutto dai Romani, per il forte senso laico che essi avevano della religione. La religione romana, in tutta evidenza, è in stretta parentela con quella greca, ma per mancanza di fantasia e di miti, si orienta verso il senso pratico della vita in relazione a ciò che interessava gli uomini. Gli dei immanenti divennero autentici protettori delle attività umane (divinità dei fiumi, dell’agricoltura, delle selve, della pastorizia, etc.) e quelli trascendenti, protettori e garanti delle prerogative dello Stato, anzi dei diritti e doveri del civis. Avviene così che l’elemento naturale si fonde con quello politico e quello morale, un complesso di idee, di principi e di sentimenti il cui picco finale era pubblico. Essi, così, non soppressero il valore sacro, ma lo rafforzarono di un’ulteriore
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Annotazioni per una breve
STORIA DELL’ACQUA
Inizia
da
questo
numero
la
pubblicazione di una interessante ricerca di
Alfonso Merola
storia dell’acqua.
La
sulla
r i c e r c a pa r t e n d o d a m o lto
lontano , ripercorre un itinerario
alquanto sconosciuto, per approdare,
con dovizia di particolari, alla storia recente delle acque del
Sele.
di Alfonso Merola
PARTE PRIMA specificità, quella sociale, producendo più precetti che riti, quasi a sancire comportamenti da perseguire sotto la vigilanza della Res Publica. Per quanto concerne l’acqua, allora, la divinità “laica” e statuale non ammette dubbi: è Salus. Salus è la personificazione romana della salute e della prosperità o più semplicemente la sanità. Essa è la greca Igea, ma caricata di un obbligo maggiore: il benessere del popolo romano. “Salus Publica” aveva un tempio sul Quirinale, dove si recavano una volta all’anno i consules per chiedere le prosperità dello Stato. Anche la Salus venne rappresentata come Igea, però caricata di un ulteriore simbolismo che connotava l’utilitas humana dell’acqua. Salus è al timone di una nave, una palla ai piedi ed una patera nella destra, in atto di fare una libagione sull’altare, intorno al quale sta avviticciato un serpente che solleva la testa al di sopra dell’altare stesso. Questa rappresentazione, in fondo, ci comunica plasticamente la rivoluzione religiosa dei romani: - Salus governa la navigazione dell’orbe acquea, secondo norme prestabilite (la palla al piede), - Salus ricorda, inoltre, il bisogno primario potabile (patera); - in ambedue i casi è alla Terra Madre (l’altare) che l’Uomo deve essere grato, sapendo che il valore sociale del bene naturale (serpente) travalica lo stesso la peculiarità divina. Come a dire che la religione è informata a criteri etici funzionali ai bisogni dell’Uomo (Virtus, Fides, Pietas). Da questo punto di vista non esiste un corpus legislativo dell’acqua più interessante ed innovativo di quello introdotto e consolidato dalla civiltà romana. Una tale visione valoriale della risorsa idrica, tagliava la testa al toro ogni volta che esplicitamente o implicitamente si avviò una mercificazione dell’acqua. I Romani avevano compreso la “strategicità” dell’acqua in una comunità in evoluzione e fu proprio questo ad orientarli verso una pianificazione dettagliata che non concedesse dubbi o deroghe. Per dirla più a chiare lettere, si blindò l’acqua in mano allo Stato (consules et pontifices) in modo tale che la privativa demaniale del bene si saldasse al ciclo di gestione, di uso e di riuso. Coi Romani, quindi, nacque l’intuizione di costruire, diremmo oggi, un sistema economico dei servizi idrici interamente in mano pubblica. Non fu, perciò, casuale che i settori imprenditoriali che con l’acqua avevano
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a che fare nacquero e vissero a Roma solo all’ombra dello Stato come esclusivo braccio operativo della Res Publica, non diversamente da un moderno Ministero dei LL.PP. o da un suo ente di gestione dei servizi cui è inibito fare affari o speculazioni su un bene che era sociale e sacro al tempo stesso. Dovettero avere non pochi problemi anche giudiziari i costruttori dell’Urbe (considerati i primi architetti dell’acqua e di un modello urbano con terme, fontane pubbliche, acquedotti esterni, etc.). Spesso venivano trascinati in giudizio con l’accusa di lucrare sulle commesse pubbliche in combutta con le classi politiche dell’epoca, nel senso che, non potendo speculare sul bene in quanto tale, non disdegnavano di far lievitare i costi delle opere. E le condanne furono quasi sempre esemplari: l’acqua non era, per così dire, un bene genericamente gratuito, ma il più civico dei beni ad uso collettivo su cui tutti erano chiamati a vigilare e a non scherzare, atteso che lo Stato non lesinava interventi nella corretta gestione dei beni idrici. Erano i censores ad avere cura della costruzione delle opere idriche; agli ediles era affidata la sorveglianza. Addirittura, da Augusto in poi, il curator aquarum o consularis era una moderna authority equiparata al rango di magistrato alle cui dipendenze vi era un gran numero di persone (aquarii). E l’organizzazone era veramente di tutto rispetto: gli aquarii villici curavano le sorgenti e le grandi derivazioni, i castellarii avevano cura delle cisterne, delle tubazioni e delle fontane, i silicarii si interessavano delle condotte sotterranee, assieme ai tectores (intonacatori). Il sistema idrico pubblico era vigilato, poi, da ispettori (circitores) molto attenti nel reprimere ogni uso mercantile dell’acqua da parte dei fornitori idrici delle domus o dei giardini. Questo ci racconta Frontino nel suo trattato “De Aquae ductibus” non senza sottolineare che questa cultura pubblica riguardò anche il più lontano e piccolo villaggio dell’Impero. Tutto, d’altra parte,era consolidato in una giurisprudenza che non indulgeva su niente in quanto a demanialità dell’acqua. In Roma imperiale, ad esempio, non si sanzionava l’esilio con l’allontanamento di tipo ostracistico, ci si limitava all’aquae et ignis interdictio; ovvero alla privazione del diritto pubblico a dissetarsi e a riscaldarsi (che, in tutta evidenza, era più umiliante di una semplice condanna all’esilio). Anche il rivolo in fondo privato era dello Stato, gravato della servitù dell’acquae ducendae ovvero del diritto di derivare l’acqua dalla fonte sita nel fondo altrui e di condurla attraverso il medesimo nel proprio podere (!), quasi a statuire che la
demanialità astratta o la proprietà caparbia dovevano soccombere in presenza di un bisogno del terzo. E che dire della servitù dell’acquae hauriendae: il diritto di attingere acqua dalla fonte e dal pozzo del vicino? Ciò che la cultura mediorientale affida ad una generica solidarietà individuale incoraggiata dalla religione, qui è un diritto di fatto. Nemmeno templi e santuari si potevano sottrarre a questi obblighi. Neanche ad uno schiavo in fuga, inoltre, era possibile negare l’accesso alle fontane e ai pozzi. Si sentirono feriti nell’intimo ed offesi i Romani che lessero i primi Vangeli apprendendo che loro commilitoni diedero da bere aceto al sitibondo Cristo morente sulla croce. Quella pagina fu sempre da loro respinta e ritenuta falsa: un romano non avrebbe mai potuto macchiarsi di una tale ignominia, anche nel caso in cui oggetto della denigrazione fosse stato il più acerrimo nemico dell’Impero. L’originalità romana, dunque, risiede nell’associare una religione politeista (dove gli elementi naturali sono divinizzati) ad una società dove i cittadini (tutti) hanno un ruolo in un’economia di servizi in cui l’acqua non è una merce ma un dono della natura nelle disponibilità dell’uomo (Lucrezio, De terum natura). I Romani, al cospetto dell’acqua corrente, quasi per istinto naturale, decisamente esclusero che essa potesse appartenere a qualcuno, compreso lo Stato (Res Publica), al quale attribuivano soltanto diritti di sovranità amministrativa e di polizia, ma mai e in nessun caso di patrimonialità. Demanio era, infatti, il possesso (dominium) ma per esplicare funzioni solo ed esclusivamente pubbliche: pubbliche, in tal senso, erano le fonti in quanto derivanti sub radicibus montium et in saxis silicibus, pubblico era il fiume, le rive, i porti, i mari, riservati ad un uso generale dei cittadini. Questa è una delle ragioni per cui essi non tollerarono che gli altri popoli del Mare Nostrum ne rivendicassero, ad esempio, una privativa assoluta (Stazio, Punica, etc.). Da questo punto di vista essi furono i più liberali tra i Liberali, ma a patto e condizione che tutte le acque fossero tenute fuori da ogni mira mercantile. Questa filosofia resse fino agli ultimi giorni dell’Impero Romano. Fine prima parte)
Attualità
Precisazioni... e non solo
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“La Sorgente “ affido delle brevi riflessioni dettate da un profondo malessere per alcuni fatti accaduti a Caposele. L’amministrazione comunale fu scossa dalle dimissioni dell’assessore Giannino Ciccone che,con manifesto pubblico, denuncio’ fatti gravi ai quali non vi e’ stata alcuna risposta. In seguito c’è stata la defezione di altri due consiglieri ed ancora nessuna informazione sulle motivazioni dell’accaduto. E’ successo che, con decisione monocratica del Sindaco, fu tolta verbalmente,al consigliere Cirillo esponente dei Democratici di Sinistra di Caposele, la delega alla Comunita’ Montana, con il risultato finale che cadde la Giunta di centrosinistra per far posto ad una di centrodestra. Lo stesso Cirillo dei Democratici di Sinistra fu poi,nominato Assessore alla
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ella seconda metà degli anni Settanta, inviato speciale del Mattino di Napoli, feci un lungo viaggio nel Mezzogiorno d’Italia per un’inchiesta sullo stato di salute, economico-sociale, delle regioni meridionali. L’obiettivo era di testimoniare il cambiamento avvenuto in quelle realtà nell’ultimo decennio, facendo emergere, attraverso interviste con i protagonisti, il modo di proporsi delle classi dirigenti meridionali e del ceto produttivo. Fu quella una straordinaria esperienza, pubblicata sul giornale, con più puntate, e che suscitò un dibattito interessante. Quell’inchiesta mi è tornata alla mente leggendo le pagine del racconto di vita di don Gerardo Calabrese, Maestro Tipografo, ma, soprattutto, imprenditore delle zone interne di una provincia meridionale, l’Irpinia. Che cosa hanno in comune, oltre la territorialità, quell’inchiesta e don Gerardo? Anzitutto l’ostinazione a continuare, sempre e comunque, nonostante le difficoltà che di volta in volta si presentano dinanzi a chi esercita un’attività imprenditoriale nel Sud. Problema infrastrutturale, come ad esempio l’energia elettrica ad intermittenza. Basta un po’ di vento forte, un acquazzone di maggiore intensità, per non parlare delle nevicate che in Alta Irpinia d’inverno sono frequenti, che il processo produttivo si blocca, a volte per intere ore. C’è poi la difficoltà di accedere alle risorse bancarie. In realtà, l’ apertura di credito al Sud, nonostante i proclami, è tutt’altro che problema risolto. Il danaro qui costa molto più del nord e le garanzie richieste imprigionano l’imprenditore, talvolta costringendolo a prestiti con elevati tassi di interesse. Questi due esempi, ma tanti altri si potrebbero fare, danno il senso a quella vita tutta in salita che don Gerardo, vestendo gli abiti dell’umiltà, a lui congeniali, descrive in questo suo mestiere di vivere. Il racconto che egli propone al lettore è una biografia ragionata che muovendo dalle origini
di Rocco Mattia
Comunita’ Montana di centrodestra. Il tutto nel silenzio piu’ assoluto . Questi sono fatti accaduti da un po’ di tempo, ma quello che mi ha indisposto e’ stata : a ) L a c o m me m o r a z i o n e d e l trentennale del terremoto b) Il convegno dei Democratici di Sinistra su una proposta di convenzione con l’AQP. a ) Al tavolo della Presidenza della commemorazione del terremoto “volutamente dimessa” forse perche’ organizzata in poco tempo, sono state chiamate persone che non avevano attinenza con l’argomento, si e’ usciti, secondo me, un po' fuori tema, non sono stati nominati ne’ tantomeno ringraziati molti di quelli che hanno profuso il loro impegno nei momenti di prima emergenza. Ricordo con affetto e ringrazio di cuore i Tedeschi , I Vigili del Fuoco, i Sindacati . Un ringraziamento particolare
- al dott. Anziano per l’organizzazione del protocollo e della macchina burocratica del Comune ; -ad Emidio Alagia per l’impegno organizzativo degli aiuti di prima emergenza - a Giovanni Aiello che, sfruttando l’occasione del terremoto, realizzo’ una rete elettrica capillare sul territorio, che non avremmo mai potuto permetterci. Avrei gradito un ringraziamento alla mia persona per aver lavorato come coordinatore dei Tedeschi, dei Vigili del Fuoco, delle demolizioni e dei recuperi all’interno delle case, dell’insediamento di S.Caterina per i volontari di Priverno e Terracina, dell’insediamento del campo sportivo ed altro. b) Il P.D. di Caposele ha organizzato un convego-dibattito, per presentare una loro bozza di convenzione con l’AQP . Il Sindaco invitato al convegno per un saluto, ha di fatto presentato una bozza di Convenzione, con un intervento di oltre venticinque minuti, ha di fatto invalidata l’assemblea perche’ la proposta di convenzione dei Democratici di
Gerardino Calabrese
Una vita tutta in salita Recensione di Gianni Festa
familiari giunge fino ad oggi, senza mai allontanarsi dalla realtà. I fatti sono descritti con una semplicità straordinaria e diventano, man mano che si presentano, un monito, un insegnamento, soprattutto per i più giovani. Il filo conduttore, nelle pagine che seguono, è nella testimonianza dei valori che l’autore conserva come bene primario di vita, individuale e collettivo, e l’auspicio che essi possano ritrovare momento di riflessione nella società. E sono i valori a condurre don Gerardo all’impegno per le cose che ha realizzato, o lo hanno visto rappresentante della propria comunità. Ne parla con grande passione civile. Così quando racconta del desiderio di possedere, in tempi difficili, una bicicletta e di soddisfare questo desiderio costruendola pezzo dopo pezzo. O della sua scelta di imprenditore, e ancora dell’esperienza della Radio Giovani Lioni, per non parlare dell’impresa televisiva che oggi sta per rinascere. Sono tutti momenti di vita costruiti con il desiderio di credere ad una impagabile forza di volontà. Certo, quando egli descrive quella malanotte del terremoto del 23 novembre 1980 e i giorni successivi, le pagine diventano intense e fortemente partecipative. Il racconto di quella drammatica sera che
fece tremare per novanta secondi la terra e che vide don Gerardo protagonista nel dare informazioni dell’Alta Irpinia è ormai consegnato alle cronache del tempo e alla storia della ricostruzione dell’evento. I soccorsi, le difficoltà di agire, storie e personaggi diventano un encomiabile reportage di uno straordinario protagonista che parla della sua azienda come l’ultimo presidio di una speranza che sembrava ormai morta. C’è un dato che mi ha fatto molto riflettere. E’ quando don Gerardo parla del suo ruolo di consigliere comunale di opposizione e del modo in cui lo svolse in quei giorni delle macerie e della rabbia. Qui l’umanità sovrasta la politica, le appartenenze si sciolgono dentro la necessità di portare aiuto, la solidarietà diventa il riferimento dell’agire, ben lontano dalle piccole questioni che agitano il civico consenso. E’ una stupenda lezione di vita che andrebbe recuperata oggi nel momento in cui le forze politiche litigano senza
Sinistra non e’ stata discussa. In seguito, con un piglio insolito, il Sindaco ha interrotto, ha integrato, ha corretto altri interventi, come se il convegno fosse stato indetto dall’amministrazione comunale. Non entro nel merito della discussione, perche’ spero si apra una fase di partecipazione alle discussioni sulla convenzione, alla quale non manchero’ di dare il mio modesto contributo. Devo rilevare che, nei fatti politici, vi e’ stata una mancanza di rispetto per il P.D. eredi, in parte del partito di Donato Mazzariello, di Raffaele Iannuzzi, di Amato Mattia, di Ferdinando Mattia, dei compagni morti nella Sezione, di Alfonso Merola e Gerardo Cirillo innocenti, arrestati solo perche’ compagni. I compagni della sezione dei Democratici di Sinistra di Caposele ritrovino la dignità politica del presente sulla scorta del loro passato. Auguro a tutti un Buon Natale ed un felice Anno Nuovo.
Abbiamo il piacere ed il privilegio di presentare in anteprima il libro, in fase di imminente pubblicazione, “Una vita tutta in salita” di Gerardino Calabrese, di cui riportiamo la copertina e la presentazione a cura del giornalista, già Direttore e fondatore del
Corriere dell’Irpinia, Gianni Festa. Questo nostro illustre concittadino, “Premio Caposele 2001” non cessa mai di stupirci con le sue iniziative sempre interessanti e prestigiose. Ci ripromettiamo di ritornare sull’argomento non appena in possesso della pubblicazione.
motivazioni credibili. Vorrei, però, non dimenticare quella parte che mi ha fatto conoscere sempre meglio e di più don Gerardo Calabrese. Credo che il nostro incontro avvenne negli anni settanta. Qualcuno mi aveva parlato di una tipografia in Alta Irpinia che si era affermata per la grande qualità del lavoro. Il mio viaggio a Lioni mi fece scoprire un personaggio straordinario. Amante delle nuove tecnologie, moderno nella visione imprenditoriale, con un ottimismo della volontà che appariva come un miracolo in quelle zone deserte (L’Ofantina ancora non era stata costruita). Da allora il sodalizio si è sempre più consolidato ed esso fa riferimento alla stima, al rispetto, alla consapevolezza di trovarsi di fronte ad un marito esemplare, ad un genitore che oggi vede nella grande professionalità dei suoi figli un sogno che egli ha reso possibile. Nessuna adulazione, solo la certezza di un’amicizia tra persone che si integrano nella costruzione di un processo produttivoculturale. E le pagine che seguono sono la testimonianza di tutto questo.
Gerardino Calabrese festeggiato nella Pro Loco
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Fatti e personaggi
P
enso che dopo trent'anni dall'evento tragico e luttuoso del terremoto si possa tentare una ricostruzione più o meno attendibile delle vicende che hanno interessato la popolazione di Caposele dall'immediato dopo-terremoto fino agli anni della ricostruzione. Ritengo che trent'anni siano un lasso di tempo capace di far sopire le passioni ed attutire lo spirito di appartenenza che, spesso, dà luogo alla faziosità. Non mi nascondo, tuttavia, i pericoli di parzialità in cui potrei incorrere nella sintetica analisi che mi accingo a condurre, pericoli dovuti al fatto che al tempo del terremoto ero vicesindaco di Caposele, assessore alla Comunità Montana ed esponente di primo piano della locale Sezione della Democrazia Cristiana. Il mio totale coinvolgimento nelle vicende che sconvolsero la nostra Comunità potrebbe indurre il lettore a considerare di parte la ricostruzione degli eventi e dei fatti. Garantisco che così non è, ma se inconsciamente in qualche punto dovessi risultare non obiettivo, fin da ora chiedo venia, appellandomi alla comprensione di chi avrà la bontà di leggere queste poche righe. Appello rivolto anche al direttore de La Sorgente, con il quale non pochi sono stati gli scontri e le polemiche, ma sempre nel reciproco rispetto e nel senso di un confronto civile, ad eccezione di sporadici e comprensibili casi. Le vicende dell'immediato dopoterremoto possono essere assunte a paradigma del carattere dei Caposelesi e delle popolazioni meridionali in genere. Ad una prima fase di grande solidarietà, in cui ognuno metteva a disposizione dell'altro quanto era riuscito a recuperare dalle macerie, sopravvenne, con i primi soccorsi, uno spirito di eccessivo individualismo, quale retaggio di antica miseria e di atavica diffidenza delle popolazioni del Sud verso lo Stato. Ricordo ancora con commozione l'impegno di alcune donne nel portare sollievo con ciò che esse fortunatamente disponevano a coloro la cui casa era stata totalmente distrutta dal sisma e, per questo, avevano bisogno di tutto, dal pane agli indumenti. Queste donne, di cui non va sottaciuta la solidarietà nel periodo della piena emergenza, appena, però, cominciarono ad arrivare i primi aiuti, fecero incetta di tutto quanto fosse possibile immagazzinare. Ricordo, altresì, ancora adesso, con un misto di commozione e di rabbia, le lacrime di alcune ragazze, di cui mi scuserete se non riporto i nomi, che appena due giorni dopo il triste evento, da me sollecitate, si erano date da fare per cercare di somministrare alla popolazione un piatto caldo di pasta prelevata, incuranti del pericolo di nuove scosse, nei negozi di alimentari non crollati, pasta cucinata, tra l'altro, con mezzi di fortuna. Ebbene, alcune di queste ragazze piangevano perché, invece di ricevere un grazie, si videro aggredite con durezza verbale da persone che si lamentavano del piatto non stracolmo. Sia chiaro non voglio addossare colpe a nessuno. L'assunzione di comportamenti passivi di fronte al disastro e la rassegnazione che albergava in gran parte della gente avevano un retroterra culturale, che determinava scarsa fiducia verso lo Stato, il quale ancora veniva percepito con un qualcosa di estraneo che tutto pretendeva
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TRENT’ANNI DOPO
di Michele Ceres
e nulla concedeva. Non dimentichiamo che i primi effettivi interventi a favore delle popolazioni meridionali risalgono al secondo dopoguerra, cioè un trentennio prima dell'evento sismico, un tempo non sufficiente a determinare radicali cambiamenti di mentalità e di comportamenti. L'esempio più evidente di tale atteggiamento si verificò nel settore delle demolizioni. La gente non credeva o credeva poco che lo Stato potesse stanziare i finanziamenti necessari per la ricostruzione, perciò si opponeva anche alla demolizione dei pochi ruderi della propria casa che, tuttavia, andavano necessariamente demoliti, come poi furono demoliti. Ma la conseguenza fu che gli oneri gravarono sui fondi destinati alla ricostruzione e non su quelli stanziati per la prima emergenza e diretti alla salvaguardia della pubblica e privata incolumità. Con questo non voglio assolutamente giustificare qualche furore demolitorio che pur si verificò, ma è legittimo porsi una domanda: quanto denaro è stato sottratto alla ricostruzione per demolire anche quello che non andava demolito con i famosi e facili calcoli di convenienza? Non penso che si conosca l'importo, ma certamente si tratta di una cifra ragguardevole che poteva essere destinata, più utilmente, alla ricostruzione o alla riparazione delle case, visto che, ancora oggi, più di un Caposelese è in attesa di contributo. La legge 219 del 1981 di certo è stata una buona legge. Con essa il legislatore stanziava somme enormi, non solo per la ricostruzione della case, ma anche per lo sviluppo. È doveroso dare atto alla classe politica del tempo per l'impegno profuso in tal senso. Che senso ha, si diceva, ricostruire le case, se poi le gente sarà costretta ad emigrare? Da chi saranno abitate le case che si ricostruiranno? Prevalse, allora, l'idea di ricostruire, assicurando, però,
ai giovani la possibilità di lavorare sul posto, senza cercare altrove, in Svizzera o in Italia settentrionale, migliori e più stabili condizioni di vita. La legge 219/81 è stata una buona legge, ma la sua applicazione non sempre ha coinciso con l'intento del legislatore. Una Commissione di indagine presieduta dall'on. Scalfaro, in seguito divenuto presidente della Repubblica, ne mise in evidenza le distorsioni applicative, il cattivo uso che ne era stato fatto. Solo un esempio per chiarire meglio il concetto. La Legge prevedeva che, per ottenere il contributo di prima casa, l'alloggio fosse stabilmente abitato alla data del terremoto. Ed ecco che, d'incanto, cominciarono a fiorire atti di notorietà con i quali quattro testimoni attestavano che "pingo pallino" alla data del 23 novembre 1980 abitava stabilmente l'alloggio per il quale chiedeva il finanziamento per la ricostruzione. Così, sulla scorta di tali attestazioni, a danno della collettività, furono concessi sulla stessa casa più contributi relativi ad altrettante unità abitative. Eppure sarebbe bastato un minimo accertamento per verificare che, spesso, quanto si dichiarava non corrispondeva al vero. Tuttavia, la punta più alta di comportamenti fraudolenti non si ebbe nella ricostruzione delle case private, bensì nei lavori di predisposizione delle aree industriali e nei successivi finanziamenti ad aziende industriali per l'installazione di propri stabilimenti. Questo non vuol dire che non ci siano stati comportamenti seri. Infatti, non sono poche le industrie che, tuttora, producono a pieno ritmo e sono un esempio di produttività e di competività. La Ferrero di Sant'Angelo dei Lombardi e l'EMA di Morra De Sanctis sono soltanto due tra gli esempi più significativi. Ma a fronte di queste positività, quanti sono gli imprenditori sciacalli del Nord che, intascato il contributo, hanno abbandonato il campo? Certamente non pochi. I tanti stabilimenti vuoti e spettrali sono la prova tangibile del malaffare che è stato
Salvatore Capirci mostra la foto del "Girotondo"dei bimbi di Santa Caterina nel 1980
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Il Pastore Abano ,L'avv. Antonio Corona e il prof. Michele Ceres alle celebrazioni del trentennale
consumato. Ancora una volta il Nord ha lucrato sulle disgrazie del Sud, ancora una volta il Sud ha finanziato il Nord. Verso la fine degli anni Ottanta, lessi su un giornale, di cui non ricordo il nome, il reportage di una giornalista che dichiarava di essere una leghista, la quale, ad onor del vero, non negava la legittimità dei finanziamenti destinati alla ricostruzione, ma criticava fortemente i lavori di costruzione della "Fondo valle Sele", ma non perché la strada non dovesse essere costruita, ma per gli eccessi di onerosità delle opere accessorie. In tal senso, portava l'esempio del costo esorbitante, rispetto a quello complessivo della strada, dello svincolo di Quaglietta, che ammontava a circa cinquanta miliardi di lire. Lo stesso stava per succedere per lo svincolo di Caposele, ma il tentativo, per fortuna, andò a vuoto per la decisa opposizione del Consiglio Comunale di Caposele nella sua totalità. L'ultimo riferimento di questa breve analisi lo rivolgo alle scelte urbanistiche, in base alle quali è stata ricostruita Caposele. Non voglio, di proposito, soffermarmi sui particolari; capisco che l'argomento ancora potrebbe suscitare vecchie polemiche, mai sopite del tutto. Voglio semplicemente dire che, a fronte, della consistente delocalizzazione della popolazione nei piani di zona, così come si è avuta, il Paese, fermo restando il vecchio impianto urbanistico, si sarebbe potuto ricostruire in modo diverso per offrire ai residenti migliori condizioni di vivibilità e maggiori possibilità di sviluppo. Purtroppo, così non è stato.
Il comune di Priverno depone i fiori al monumento delle vittime del terremoto
Storia “Evviva Napoleone Bonaparte!” “Possa campare cent’anni”. Gli inni di gloria all’imperatore francese prorompevano spontanei nei cuori dei caposelesi in quella magnifica estate del 1806. Chi l’avrebbe mai detto che le conquiste del grande còrso avrebbero riverberato i loro effetti fino a quel borgo sconosciuto ai più, adagiato placido ai piedi del Monte Paflagone! Eppure i caposelesi più accorti, radunati festanti davanti alla Taverna Comunale, capirono immediatamente che la Storia si era ricordata di loro. E leggendo e rileggendo quel manifesto, portato contr’ora da Campagna, sorvolarono sulle centinaia di parole difficili che lo componevano e si soffermarono soddisfatti sull’articolo 1 e sulla firma stampata a caratteri maiuscoli: “GIUSEPPE BONAPARTE”, fratello del più noto Napoleone. Ma per comprendere appieno i motivi di tanto compiacimento occorre fare un passo indietro ed alzare lo sguardo di qualche centinaio di chilometri. Agli inizi dell’ottocento Caposele era composto dai due nuclei storici intorno al Castello ed alle sorgenti del Sele, divisi da una valle ricoperta di orti. Più distanti erano i vari agglomerati periferici (Pianello, Casale, etc.) e le numerose campagne che lo circondavano. Dal punto di vista politico ed amministrativo apparteneva al Regno di Napoli (eravamo sudditi del re Borbone), alla Provincia di Principato Citra (che faceva capo a Salerno) e, in particolare, al Distretto di Campagna. In quel tempo gli istituti feudali erano ancora in vigore e la vita della maggior parte dei caposelesi era legata al potere che esercitava su quelle terre il principe. Nel 1771 il territorio di Caposele era passato sotto il dominio di Carlo di Lignì, grazie al matrimonio del padre Domenico con Ippolita Rota, figlia del precedente signore, Inigo Rota. Il Principe non amava trattenersi nelle sue tenute, preferendo alla vita campestre la compagnia del suo circolo di letterati napoletani, dove si era introdotto, oltre che per il suo censo, per la pubblicazione nel 1796 della tragedia Don Carlos e per il suo saggio del 1791 “Riflessioni”, sulla necessità dei dazi doganali. Aveva pertanto lasciato che il suo procuratore, il Barone R.C., gentiluomo caposelese, continuasse a trattare in sua vece le questioni in loco e gli assicurasse – detratta la sua parte – una rendita sufficiente per godersi il clima di Napoli. L’agiatezza del Barone e la vita oziosa (nel senso latino del termine) che il principe conduceva a Napoli, a loro volta, dipendevano in buona parte dai profitti che riuscivano a realizzare nel feudo di Caposele e dal lavoro dei contadini. La stessa donna Isabella, precedente Principessa di Caposele, di cui Salvatore Di Giacomo avrebbe descritto la meraviglia alla solenne inaugurazione del Teatro San Carlo del 1737 – “Violante mia, che lumiere, che sfarzo, che colpo d’occhio” – ignorava beata quanto grano era stato macinato nel suo mulino animato dalle acque del Sele e quanta farina erano costati il suo elegantissimo vestito di seta e la collana di smeraldi che le ornava il petto mentre assisteva all’Achille in Sciro di Metastasio. A malapena l’attuale principe di Caposele Carlo di Lignì, indaffarato nei suoi studi di archeologia, avrebbe saputo calcolare la rendita che gli fornivano le vigne, gli uliveti, i pascoli di Boiara, il suo prezioso mulino ed il frantoio di quel feudo lontano, grazie al quale manteneva il palazzo napoletano
Napoleone ed i mulini di Caposele
con tutta la servitù e la villa di Formia che si diceva edificata sui resti della dimora di Cicerone. Di certo, però, il Barone era consapevole dell’importanza di quei possedimenti e della necessità di vincere ogni principio di concorrenza. Così, quando nel 1799 Carlo Boezio, Pasquale Farina, Angelo Russomanno e Antonio Ruglio costruirono altri quattro mulini sfruttando le copiose acque del fiume Sele, il Barone cominciò a preoccuparsi. Montò in sella al suo cavallo ed andò a visitare gli impianti. Notò immediatamente che, a differenza degli altri mulini visti a Lioni, Teora e Sant’Angelo, che erano a ruota orizzontale, questi utilizzavano il principio della ruota verticale. L’acqua potente del Sele, dopo aver viaggiato a pelo libero, cadeva nella torre e una graticola di ferro faceva da filtro per eliminare dall’acqua il materiale solido grossolano. Uno dei braccianti di Angelo Russomanno notò alle sue spalle il Barone, ma continuò a macinare mostrandogli suo malgrado il funzionamento del nuovo mulino. Togliendo la piastra di ferro alla base della torre con un paletto di legno, l’acqua veniva fuori a grande velocità e andava a sbattere contro le ruote a palmenti, situate nella parte più bassa del mulino. Ricevuto l’abbrivio la ruota si metteva in moto e bastava una più piccola quantità d’acqua per mantenere il suo funzionamento. Le ruote a palmenti azionavano le mole della macina tramite un palo di legno ver ticale. L’albero di trasmissione era collegato alle molazze disposte orizzontalmente, che ruotando l’una contro l’altra frantumavano il cereale e lo riducevano in farina. Al Barone gli si gelò il sangue. Risalì il corso del fiume ed ammirò la modernità del mulino fatto costruire da Carlo Boezio, e, più in alto, la fila di persone vicino ai mulini di Pasquale Farina e Antonio Ruglio. Risalì ancora il corso del Sele e studiò la posizione dei canali fino a scoprirne il passaggio in alcuni terreni incolti (a Saure) di proprietà del principe. Chi aveva concesso quella servitù? Come avrebbero potuto aggiustare i canali ed aprire le paratoie senza passare per quei terreni? Il mattino seguente il Barone mise in campo tutte le sue prerogative per impedire l’utilizzo dei mulini. Non avrebbe concesso la possibilità di sfruttare il corso del fiume, che attraversava le terre del principe e gli apparteneva di diritto. La settimana successiva ai quattro intraprendenti mugnai fu inibito l’utilizzo degli impianti e la risposta alla loro supplica, giunta dopo tre mesi, confermò il diritto del feudatario. Nei sei anni successivi la situazione rimase immutata. Ma quando tutto sembrava perduto, nella lontana Europa, una guerra di cui i caposelesi
nemmeno erano al corrente, in un posto di cui gli abitanti ad caput Silari ignoravano esistenza, cambia il corso della Storia (e delle acque del Sele). Il 2 dicembre 1805 Napoleone vince la battaglia di Austerlitz, dichiara decaduta la dinastia borbonica nel Sud Italia e nomina suo fratello Giuseppe Buonaparte Re di Napoli. Il nuovo re francese promulga immediatamente una serie di leggi tese a rendere più moderno ed efficiente il regno. Nessuna di queste riforme tocca gli interessi dei caposelesi che continuano a menare la vita di sempre, nei campi, nelle osterie, nella bottega dello speziale, davanti ai forni ed alla chiesa. Ma a metà agosto del 1806 una strana eccitazione pervade la Taverna Comunale. Il sindaco Santorelli è stato convocato con urgenza dal cancelliere Francesco M. Sturchio, che gli porge un manifesto ed un dispaccio appena giunti da Campagna. Una guardia forestiera si sta riparando al fresco del convento, nell’attuale piazza di Masi, mentre vengono sistemati i ferri del suo cavallo. I due notabili avrebbero potuto anche pensare ad una burla se non fosse stato per la qualità della carta filigranata, la limpidezza delle lettere stampate in tipografia ed il sigillo reale. E poi quel nome troppo grande ed altisonante per essere affisso a quel muro che – ora lo vedevano come non l’avevano mai visto – all’istante necessitava di una mano di vernice bianca: GIUSEPPE BONAPARTE. Il dispaccio venne esaminato, a due alla volta, dai membri del consiglio, tenuto sempre in mano dal sindaco Don Saverio (che avrebbe interpretato una macchia sulla pergamena
come una macchia sul suo cursus honorum) mentre l’allegato manifesto, giunto piegato in quattro parti, venne spiegato ed esposto nella bacheca comunale. L’articolo 1 era inequivocabile: “La feudalità con tutte le attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, e i proventi qualunque che vi siano stati annessi sono reintegrati alla sovranità, dalla quale saranno inseparabili”. I diritti conculcati del ceto baronale e aristocratico erano stati soppressi. Le vaste proprietà terriere dovevano essere parcellizzate e frammentate. “Evviva Napoleone”. “Evviva la Francia”.
di Alfonso Sturchio Una nuova era si stava schiudendo per i caposelesi ansiosi di poter disporre liberamente ed al meglio delle ricche risorse naturali del loro paese. Dopo pochi giorni partirono le prime suppliche al re per “ottenere il permesso sovrano per attivare con le acque del fiume Sele i mulini costruiti nel 1799”. All’inizio dell’anno successivo giunsero i decreti dall’Intendenza che concedevano tre mesi di tempo a chiunque volesse opporsi alla richiesta autorizzazione. I decreti – poco più grandi di una pagina di quaderno – furono affissi come da regolamento nei comuni di Caposele, Calabritto ed Acerno dopo che il Mastro d’atti Francesco M. Sturchio autenticò a tergo la data di pubblicazione. Puntuale arrivò l’opposizione del Barone che rivendicò il diritto esclusivo di utilizzo del corso fluviale. I quattro caposelesi si affidarono alla penna dell’avvocato Orazio Petrucci, che con scrittura limpida evidenziò nella supplica come finanche le genti dei paesi limitrofi – da Andretta, da Teora, da Castelnuovo – si servissero degli impianti di Caposele. Soprattutto, però, evidenziò che nessun danno veniva arrecato all’attività del Principe visto che i mulini in questione si trovavano più a valle rispetto al primo, e l’acqua non poteva quindi essere deviata e diminuita nella potenza a suo svantaggio. Superior stabat lupus, longeque inferior agnus, avrebbe detto Fedro. Il permesso fu accordato ed una nuova era cominciò per Caposele. Nel 1808 Saverio Corona chiese ed ottenne il permesso di costruire “due mulini e due trappeti ad acqua”. Lo stesso anno fu esaminata la richiesta di Lorenzo Paolercia “di animare con le acque del fiume Sele un mulino costruito in un terreno di sua proprietà”. L’anno successivo Giuseppe di Luca Corona ottenne di “stabilire nel territorio di Caposele alcune macchine idrauliche, ossia molini, gualchiere e trappeti, ed animarle con le acque del fiume Sele”. Due anni dopo, nel 1811, anche Andrea Cleffi costruì un efficiente “molino nel luogo denominato Ponte Vecchio, ed animato con le acque del fiume Sele.” Un decreto reale del 3 dicembre 1808 affidò agli intendenti di ciascuna provincia del regno il compito di determinare i diritti riconosciuti degli antichi baroni. Per risolvere i contenziosi tra le popolazioni e gli aristocratici il Re Giuseppe Bonaparte istituì uno speciale organismo che chiamò “commissione feudale” con i compito di dirimere i “contrasti di ogni natura tra le università e i baroni”. Da questa commissione, in pochissimi mesi, furono emesse oltre 3000 sentenze, che furono riconosciute valide anche dopo il ritorno di Re Ferdinando I delle Due Sicilie. I secolari diritti dei vari signori sull’Università di Caposele erano cancellati per sempre. I titoli, comunque, non persero il loro valore nella restaurata monarchia borbonica. E quando nel 1807 fu pubblicata la traduzione in versi sciolti delle “Stagioni” del Thompson, e nel 1813 fu data alle stampe la traduzione della “Storia Romana di Lucio Anneo Floro”, l’autore continuò a firmarsi “Carlo di Lignì, Principe di Caposele”.
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Attualità
E
’ rimasto molto deluso chi sperava di scorgere un barlume di coscienza civile nella nuova convenzione proposta dall’AQP al Comune di Caposele. Purtroppo siamo di fronte all’ennesima prova che l’AQP considera il nostro paese come se fosse una sua colonia da cui prendere il meglio in cambio del meno possibile. Caposele non merita questo trattamento perché da oltre un secolo provvede ai bisogni idrici della Regione Puglia ricevendone in cambio poco e subendo, per contro, espropri (anche il nome), vincoli e limiti al proprio territorio. E’ ora che questa tendenza subisca una inversione di rotta; se è un dovere fornire acqua ai paesi assetati, non è meno doveroso riconoscere un giusto risarcimento a coloro che la donano tanto più che l’AQP non è più un ente morale ma privato e ricava un forte profitto dalla vendita dell’acqua delle sorgenti-Sanità. Tempo addietro era pericoloso far sentire anche solo le proprie ragioni eppure ci fu chi rischiò, per averlo fatto, il confino come l’ufficiale di carriera Don Pasquale Ilaria ed il trasferimento d’ufficio come il maestro Don Camillo Benincasa. Grazie alle due sorelle Ninuccia e Cenzina Araneo ho potuto avere una lettera scritta ed inviata da Don Camillo al loro papà Don Andrea Araneo in cui il maestro dice testualmente: “ dappoichè tutti coloro i quali
L
’estate scorsa, l’associazione di volontariato Pubblica Assistenza Caposele ha organizzato, in occasione dei festeggiamenti per i suoi 15 anni di attività sul e per il territorio e la sua Comunità, una serie di eventi connotati, come sempre, da un forte anelito verso la solidarietà sociale. L’intera mattinata è stata infatti dedicata alla donazione di sangue realizzata in collaborazione con l’AVIS e alle visite ecografiche per lo screening della Tiroide (attività ancora possibile per la quale, in caso di necessità, ci si può rivolgere in associazione) realizzate grazie alla collaborazione dei medici dell’associazione AMEir Onlus. Non è mancata infine la festa che oltre alla musica, ai giochi coi bambi nel pomeriggio, alla pesca di beneficenza e alla cucina, ha visto una meravigliosa rappresentazione
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LA NUOVA CONVENZIONE AQP di Rodolfo Cozzarelli
vengono a farmi visita sono segnati nel libro nero, e dappoichè la ronda gira nelle mie vicinanze se lo credete, nel vostro interesse, evitate di venire a casa mia. Ve lo dico perché non possiate compromettere, come, mio malgrado, ho dovuto fare con altri amici.” La lettera di Don Camillo porta la data dell’ 01/07/1939 e dimostra con chiarezza il desiderio altruistico di preservare gli amici da rappresaglie politiche e conferma il clima illiberale in cui si viveva all’epoca. Oggi il rischio che si corre non è l’interruzione di una carriera o il trasferimento obbligatorio ma quello di non riuscire a far valere le proprie ragioni in uno Stato democratico. Queste ragioni ci sono e debbono essere perseguite con convinzione e tenacia da tutti. E’ piacevole scoprire che le forze politiche e sociali vogliono affrontare, tutte insieme, il problema e cercare di risolverlo proponendo un accordo più giusto rispetto a quello offerto dall’AQP che risulta al momento “indecoroso”. La minoranza “Arcobaleno” non ha accettato la convenzione così com’è ed ha chiesto che le controproposte siano studiate
degli anziani del Centro autogestito “La nostra memoria vissuta” e dei bambini del progetto “Gioeducando” che sul palcoscenico di piazza 23 novembre hanno mirabilmente recitato uno spaccato di storia di Caposele relativo al periodo dei tumulti legati alla captazione delle acque del fiume Sele, agli inizi del ‘900, intitolato “vieni qua, ca ti condu stù fattu”. E le attività continuano. Anche quest'anno, infatti, è stata organizzata per l'1 gennaio alle ore 21,00 presso il "Wine Bar Fandango" la "Tombolata di beneficenza" che raccoglierà fondi per la nuova ambulanza. Una serata all'insegna del divertimento e dell'impegno Ai volontari della Pubblica Assistenza i migliori auspici per continuare nella loro preziosa attività.
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da una commissione istituzionale, come prevede lo statuto Comunale, formata da politici, da tecnici e da legali che sappiano muoversi su di un terreno tanto delicato e che evitino, nel nuovo accordo, possibili passi falsi che possono costare cari al nostro paese. La proposta, così come è formulata ora, impone troppe rinunzie in cambio di una cifra apparentemente consistente. Il Comune di Caposele infatti, in cambio di un 1.350.000 euro annui devrebbe rinunciare a qualsiasi diritto sulle acque derivate da AQP, all’impatto ambientale delle opere esistenti e da realizzarsi, dichiarare di non avere nulla a pretendere con riferimento ed in conseguenza delle convenzioni in essere, sarebbe tenuto ad interventi infrastrutturali connessi con la gestione del servizio idrico, la riqualificazione delle aree prospicienti le sorgenti Sanità, subentrerebbe all’AQP nella gestione delle opere poste a valle dei contatori ed altro ancora. E’ evidente a tutti la sproporzione che esiste tra la somma offerta ed i costi a cui va incontro il nostro Comune e la cittadinanza. Cittadinanza che deve essere informata e coinvolta perché non vi è nessuno che non capisca l’importanza
e l’interesse di un’opportuna decisione che può significare molto anche per il futuro del nostro paese. L’appoggio dei Comuni cointeressati e di tutte le Istituzioni possono contribuire, in modo determinante, alla risoluzione della questione acqua. Il periodo storico regio e fascista imponevano il loro volere con la forza, l’attuale democrazia dovrebbe garantire il diritto di tutti proponendo leggi chiare e giuste che un bene primario come “l’acqua” merita vengano approvate. Un elemento tanto vitale ed insostituibile dovrà essere in futuro, meglio distribuita e disciplinata da leggi nazionali ed internazionali per evitare pericolosi conflitti di interesse. Il rapporto conflittuale che è nato tra la gente Irpina e l’AQP è stato influenzato negativamente proprio dal comportamento interessato di questo Ente che ha sempre chiesto molto e ricambiato con poco o nulla. E’ ora di cambiare e invertire questa rotta e stabilire un dialogo che non sia tra sordi e dove uno solo, L’AQP, ha sempre fatto la parte del leone. Approfitto del fatto che questo giornale esce a dicembre per porgere i migliori Auguri di buone feste a tutti
Un folto gruppo dei volontari della Pubblica Assistenza di Caposele con il Sindaco Farina, l'assessore Miccinilli e Salvatore Capirci del Comune di Priverno alle celebrazioni del trentennale
La pagina dell'Emigrante
ZIO ANTONIO! (Totonno Callozza)
La piaga è profonda ancora, presenta difficoltà per rimarginarsi: son trascorsi trent’anni: - 23 novembre 1980!
Era una domenica con temperatura elevata, qui tra noi, a San Paolo, Brasile, ore locali intorno alle 15:30, un pomeriggio splendido, periodo estivo. Improvvisamente, un bollettino urgente, accen-nano i mezzi di informazioni: “Un terremoto di elevati gradi, ha scosso l’Italia, al sud!” . Io, súbito, telefono a Materdomini, per informarmi meglio, ma non c’è linea, nessuno attende! Il dì seguente, ben presto, mi reco al Consolato Italiano per avere più dettagli, dove, quando e qual era la dimensione della tragedia. Il locale stava zeppo, ognuno apprensivo, chiedendo informazioni più precise. Scorgo tra i tanti paesetti della Irpinia, alcuni conosciuti, come: Lioni, Teora, Sant’Angelo dei Lombardi, Morra, Calitri, Conza, Laviano, Calabritto, mentre, niente di Caposele e Materdomini! Pensavo: sarà che noi siamo usciti illesi da tale catastrofe? Chiedo informazioni al personale del Consolato, ma nessuno era in grado di dirmi il perchè dell’assenza del nostro paesetto; pensavo: forse San Gerardo, il Santo Lucano, aveva...? Ritorno a casa triste, nessuna notizia del luogo aggrappato al monte Paflagone. Insieme a Sidigna, mia moglie, procuriamo su una carta geografica il locale dell’accaduto: è difficile incontrare il nostro lembo, incastrato tra i Monti Picentini. Ecco che ricordo quando mio cognato Cesare, nei suoi entusiasmanti racconti storici, accennava qualcosa di sicurezza nazionale imposta dal regime fascista, che, oltre appropriarsi delle sorgenti, arbitrariamente, senza nessun consenso, compenso, cancellarono l’identità di Caposele geograficamente! Per le zone terremotate era difficile collegarsi al telefono, tutto bloccato e poi in quell’epoca non esisteva il cellulare. Avevo un numero di telefono della città di Salerno, appartenente a “Mastro Emilio” il falegname di Caposele, che là abitava e in sua residenza pure il mio nipote Lorenzo, figlio di Ciccio, per ragioni di scuola. Riuscii a parlare con loro e, in tono disperato, mi dissero che Caposele era stata quasi distrutta e la chiesa di San Gerardo, a Materdomini, era crollata, ma per fortuna la mia famiglia niente aveva subito, solo alcuni parenti... che tanto rimpiango! Ritorno al Consolato,. Allora, uno di loro mi chiese se avevo parenti in quelle zone e se potevo mostrare qualche documento che certificasse. Sicuro, gli dissi, c’è mia Madre e tanti parenti, là. Questi mi disse che se volessi andare in Italia, c’erano biglietti di andata e ritorno gratis.. La folla è sempre più densa, si formano dei gruppetti, molte persone affrante, altre in pianto e tra le quali vedo un volto conosciuto, apprensivo, era ANTONIO RUSSOMANNO e per capirci, (chiedo scuse) vi chiarisco: ANTONIO “CALLOZZA” di Caposele, quello che noleggiava biciclette sul “chiazzino”. Mi
riconobbe, stava impaziente, ossessionato, voleva andare a Caposele a qualsiasi costo. Mentre parlo con lui e i suoi, mi si avvicinò un addetto consolare chiedendomi se conoscevo il signor Russomanno e con una squisita soddisfazione, di aver incontrato una soluzione, balbettò: “Signor Malanga, per carità, potresti accompagnare il tuo paesano, giacchè siete dello stesso luogo perchè, dovuto all’età, lui non può viaggiare da solo. Sono giorni che non si muove di qui! Ti prego e ti ringrazio!” Volentieri, risposi, e con immenso piacere! Quindi, muniti del biglietto, il giorno 2 dicembre imbarchiamo su un DC-10 dell’Alitalia, con destino a Roma. ZIO ANTONIO non si conteneva dell’allegria, sembrava un ragazzino. Era una persona allegra, ovunque conquistava simpatia, ma a volte un po' esagerato, specialmente quando “annaffiava” il cibo. Sull’aereo raccontava con chiunque di aver partecipato al secondo conflitto mondiale e quando si congedò era Sargente Maggiore. Alcuni buffoni, volevano prenderlo in giro, chiamandolo “Maggiore!”, ma lui ne era orgoglioso, poco s’importava di tali espressioni di costoro. Dopo 11 ore, siamo a Fiumicino, un freddo polare e
con le maledette pesanti valigie a tracollo, prendiamo la via d’uscita. Ecco che si avvicinano a noi, tre persone, due donne e un uomo, domandando dove andavamo e, questi, sapendo del nostro destino, dissero: “Fra dieci minuti parte un pullman che vi porterà fino ad Avellino, non dovete pagare, è tutto gratis”. Mi guardai intorno, incredulo: ‘quannu mai, in Italia, gratis a nui e pecchè?’ Era vero, fu un sollievo per noi, sentimmo che la nostra cara Itália di allora non era più amabile! Entrati nell’autobus, eravamo solo in quattro, più tardi m’accorsi che gli altri due erano i coniugi Ilaria di Caposele, abitavano ‘ngimma a lu ponte’ che, pure andavano a visitare i parenti, ma poco partecipavano, invece ZIO ANTONIO era un commediante, aveva sempre frottole da raccontare. Una fermata lungo l’autostrada RomaAvellino, in un “Grill”, per alleviare le necessità fisiologiche e masticare qualcosa. Ognuno sceglie quel che gli va, ma pronto che sento ZIO ANTONIO sbuffare ad alto fiato: “Per la Mad..., avete rovinato l’Italia! Ma come, nu paninu cu 10g ‘r prusuttu, nov’cientu lir’!” Gli vado vicino e cerco di calmarlo, ma lui, ribatte: “Quannu m’ n’ ietti, a quiri tiempi, custava sulu quatt’cientu lir’!” Allora, io, calmo, gli dico: “ZIO
ANTONIO è il progresso”, ma lui: “Ma sti sfaccimm’, ti vol’n piglià p’ fessa! Ah... si turnass’ Musullinu..!” L’autobus, frigido, fiancheggia gli appennini con le loro vette più alte già imbianchite e noi, perplessi, stanchi, sonnecchiando, viviamo il dramma che ci attende! Dopo tre ore arriviamo ad Avellino, capoluogo della nostra provincia, una bella cittadina. È notte, il tempo è piovoso, un’acquaneve continua, procuriamo un albergo, ma era tutto confuso. Chiediamo informazioni ai passanti e questi, guardandoci come se fossimo dei marziani, uno di loro, buffo, dice: “Ma nun virit’ ch’i palazzi sou tutt’ crullat’!” Un’altro di loro, più amabile, ci spiega e consiglia di andare al Jolly Hotel, l’unico che sta in piedi. “Grazie assaie, quistu si ca’ è nu’ galantuomu!”, disse ZIO ANTONIO. Ci rechiamo all’hotel indicato, era affollatissimo. Ripossammo alcune ore e di mattino, ben presto, intraprendiamo, con taxi, la lunga camminata per approdare a Materdomini. La strada era sconquassata e man mano che ci avviciniamo al nostro traguardo, la tragedia si presentava sempre più severa: ponti caduti, strade intransitabili, case distrutte, perfino masserie nello sterile agreste irpino. Sant’Angelo, Lioni, Teora, che calamità e poi, riuscire ad avvistare il mio caro Villaggio, Materdomini, visto “ra li pignuoli”, mamma, ch’ panurama bruttu! Un agglomerato di improvvisate baracche, nel parcheggio, una montagna di macerie della chiesa e tante case crollate: quanti ricordi del passato frantumati, in polvere, fumeggianti e il vento, impietoso, li sparpagliava, cancellando una storia, costruita con tanto amore e abnegazione! Siamo a Materdomini, lo ZIO ANTONIO va in casa della famiglia Testa, suoi parenti, io mi reco in corso Sant’Alfonso, alla casa della Mamma e vi trovo la casa lesionata, l’arcata d’entrata ridotta al mezzo, dove figurava, in un pezzo, 1921, data che fu fabbricata, l’altro pezzo accennava L.M. = Lorenzo Malanga, la porta spaccata, spalancata e dentro nessuno, poi apparvero alcuni parenti, i quali, mi condussero alla nuova residenza. Fu emozionante il nostro incontro: un effusivo abbraccio, poi scoppiamo in pianto, che da tempo stava racchiuso in noi e, finalmente, poter espellere quella matrigna tristezza! La Mamma, tremula, racconta la tragedia, ringraziando il Cielo di non essere stato peggio, poi lamentava per gli altri che non ebbero la stessa sorte: tante giovani famiglie distrutte, colpite cosi duramente! Rimanemmo a Materdomini quindici giorni, visitando Caposele capovolta, la Scuola di Avviamento... tutto atterrato, le stradette colme di macerie, il tale amico non c’era più! Che spavento! Vedo un collega di scuola degli anni cinquanta, lamentandosi in un angolo di una “strett’la”, gli domando perchè tanta tristezza e lui mi dice: “Umbè,
nu pisconu cussì gruossu, s’è staccatu ra lu latu r’ la preta r’ l’uorcu, è carutu ‘ngimma la cantina mia, ha sfunnatu tuttu e m’ha ruttu na ricina r’ ramigian’ r’ vinu!” Io gli dico:“Armà, nunt’ proccupà, lu vinu t’ l’accatti ma la vita no!” È il 17 dicembre, nell’aria si sente l’arrivo del Santo Natale. Il presepe, quest’anno, sarà allestito in un luogo insolito, forse immaginario, come pure, il suono brioso delle fantasiose zampogne, saranno presenti nei nostri sogni, prostrati dal dolore, giunti a coloro colpiti dalla grande sciagura. Zi Antonio era triste perchè doveva lasciare Caposele, i parenti, i compaesani e ritornare al lontano Brasile, chissà quando sarebbe potuto ritornare. Lui, mancava dall’Italia, quasi, da trent’anni. Oltre ai bagagli normali, ZIO ANTONIO portava un pacco in più, domandai cos’era e lui, titubante, disse: “M’hann’ realat’ quatt’ buttigl’ r’ vinu e na ricina r’ sup’rsate, mica r’ pozz’ ittà, nè Umbè!” Gli dissi: “ZI ‘NTÒ, là nun’ t’r’ fann’ passà!” Lui:“Figl’ma è spusata cu’ nu’ puliziott, ch’è cunusciutu!” Risposi: “E va bè, fa cumm’ vuoi”. A tempo, per ‘ZIO ANTONIO andò tutto liscio! Io, emozionato per la partenza, conservavo meco tante sentite lacrime della cara Mamma, di tutti e, fra gli addii, singhiozzando: “Mi dispiace, devo andare, i miei Piccoli e la loro Mamma m’aspettano là, a San Paolo, hanno bisogno di me, ed io di loro, ma una parte di me qui resta, per sempre!” Ancor oggi, palpitano in me, tante latenti reminiscenze di quei giorni, trascorsi nel luogo e una grande “saudade” (nostalgia) di “ZIO ANTONIO”, un’anima buona! 23 novembre 1980: un doloroso passato, che, beffardo, ritorna in noi! Oggi, 2010, cerchiamo di amenizzarlo, quindi, regaliamoci un chicco di allegria, di fraternità, mischiamo tutto ciò con più amicizia, solidarietà, amore e brindiamo alla vita, con un ampio sorriso!” Ciao a tutti e Buon natale
Umberto Malanga attento lettore de "La Sorgente" . Sullo sfondo le pareti del suo studio tappezzate di foto di Caposele
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I
Viaggi. Finanziariamente Assistiti fatti con navi piú comode, piú sicure e anche piú economiche e che seguirono quelli fatti negli anni 1950-60 a bordo degli scomodissimi bastimenti, incoraggiarono ad emigrare e fecero aumentare di molto il numero degli emigranti verso l’Australia. La maggior parte degli emigranti che viaggiarono con le prime navi della Flotta Lauro, eccetera, hanno espressamente testimoniato che il viaggio per loro ebbe l’effeto di una vera e propria tortura psichica piú che fisica. Molti hanno detto che, ebbero paura; una grande paura, di rimetterci addirittura la pelle. Ciò bastò a loro per decidere di non tornare piú in Italia pur avendo poi dovuto affrontare il grande problema della struggente nostalgia. Altri, ammalatisi di fobía del mare, non hanno mai piú messo piede su una nave. Un numero notevole di queste persone prima di espatriare avevano viaggiato poco o nulla il viaggio piú longo lo avevano fatto in treno. L’Approdo in Australia. Il Porto Mercantile di Fremantle é stato e lo é ancora il primo porto australiano toccato da tutti passeggeri provenienti dall’Europa per mare, nel nostro caso gli emigranti. Le infrastrutture portuali sono quelle cose che per prima colpiscono l’occhio degli stranieri. Ai nostri emigranti esse non apparvero tanto entusiasmanti. Neanche il sole forte dell’Australia Occidentale riuscí a renderle piú attraenti Il solo materiale, usato per la loro costruzione, era stato il legno e per giunta mal mantenuto. Gli emigranti italiani notavano subito la gran differenza tra queste e quelle dei porti italiani Gli italiani che sbarcavano in questo porto, presto si univano a chi era venuto ad incontrarli e in sua o loro raggiungevano il luogo di destinazione, mentre chi scendeva dalla nave per farsi una camminata e nel tempo stesso un giro di ricognizione espolativa, presto s’accogeva che le strade dei piccoli o grandi abitati australiani non erano munite di fontane pubbliche e presto, chi non parlava la lingua inglese e ce n’erano tanti, feceva ritorno alla nave per dissetarsi e rinfrescarsi Per chi si recava nello stato del Vittoria o nello stato del Sud Australia, la cui Capitale é Adelaide, sbarcava a Melbourne, la capitale dello Stato del Vittoria, su nominata. In Melbourne la nave rimane ferma per quasi un giorno; un periodo di tempo abbastanza lungo per l’emigrante italiano per sperimentare che questa é la cittá in cui in un giorno si succedono quattro stagioni dell’anno. Per cui il nuovo arrivato in questa cittá, ammalarsi di brochite é molto facile. La nave, procedendo verso il Nord dell’Australia e costeggiando la costa S.E. del Nuovo Continente Australiano il porto capolinea sará quello di Sydney, capitale dello Stato del Nuovo Galles del Sud, oppure: NEW SOUTH WALES. Qui la nave fa dietrofront. Soltanto eccezionalmente va a Brisbane capitale dello Stato del Queensland. Chi allora doveva recarsi in questo stato era costretto a viaggiare col treno rombischiena per un paio di giorni circa. Allora al confine tra questi due stati confinanti, doveva cambiare
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GLI ITALIANI EMIGRATI IN AUSTRALIA
Cap. III treno perché le misure dello scartamento dei binari ferroviari, cambiava misure. Le merci venivano sottoposte a dogana e tutto ció che era deperibile, gli animali e cose simili erano soggetti a quarantena o distrutto se i regolamenti lo richiedevano. Ne fa fede la seguente curiosa scommessa. Scommettere per gli australiani, va precisato, é desiderabile come il BABÁ a un napoletano. Apro una parentesi per parlarvi brevemente di una scommessa di cui io ho letto nel libro: AUSTRALIA CANE di Pino Bosi. Un gruppo di otto Tagliacanna italoaustraliani sul treno diretto a Brisbane, stazione ferroviaria termininale e ai confini con lo Stato del Nuovo Galles del Sud incontrarono un simpatico Gentiluomo australiano. Nello scambiarsi qualunque i propri punti di vista, il Gentiluomo australiano, si trovó ad essere contrario quasi su tutto ció che veniva sostenuto dai Tagliacanna. Soltanto una scommessa metteva fine alla contestazione. L’australiano perde e paga per un considerevole numero di scommesse perdute. Quando mancava un quarto d’ora dalla Stazione Termini di Brisbane, i Tagliacanna italiani tirano giù dalla plancetta portabagagli una cassetta di cinque o sei chili di banane. L’australiano domanda: “ Sono vostre quelle Banane? “ “ Sì, sono nostre.” Rispondono gli italiani. “ Che cosa intedete fare con esse? “ “ Desideriamo portarcele a casa in Sydney.” “ Al confine tra il Queensland ed il NSW. non ve le faranno passare.” E gli Italiani, candidamente: “ Noi le passiamo lo stesso. “ L’australiano, convinto di riprendersi indietro i soldi perduti, propone: “ Io sono cosí certo che non le passerete quelle banane che sono disposto a scommettere tutti i soldi perduti fin ora, se voi ci state. “ E gli italiani allegri e sorridenti rispondono in coro: “ Sí, ci stiamo. “ Giunti al capolinea della ferrovia, il doganiere controllore informa gli italiani che le banane non possono essere passate al di lá del confine. Laustraliano, certo di aver vinto la scommessa, chiede di essere pagato. Gli italiani: “ Abbi pazienza per un momento. “ Poi rivoltisi al Controllore gli domandano: “ A che ora parte il treno per Sydney? “ “ Tra un’ora. Signore “ “ Grazie tante Signore." Poi rivolti all’australiano: “ Vuoi favorire con noi? “ I taglianne al posto di comprasi da mangiare si seggono su di una vecchia panchina e fanno fuori tutte le banane. E cosí nessuno; nemmeno la Dogana poté impedire che le banane non passassero il confine L’australiano un po’ irritato: “ Maledetti Italiani. Ne sapete sempre una in piú del diavolo. Non scommetto mai piú con voi.” Pagó per l’ultima molto salata scommessa perduta
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e si allontanó. I Tagliacanna italo ustraliani vollero ugualmente togliersi una curiositá e domandarono all’Ufficiale della dogana: “ Scusi , Signore, ci puó spiegare perché le banane dello Stato del Queensland non possono essere portate nello Stato del N.S.W., pur essendo essi due stati australiani? “ E l’Ufficiale con un atteggiamento di saputello: “ Per impedire che la mosca della frutta, in questo caso, quella della banana del Queensland non si riproduca nel N.S.W. “ I Tagliacanna: “ Ci dica, Signore, quando la mosca della frutta della banana del Queensland, volando arriva alla linea di confine tra questi due stati che cosa fa?; Lei che cosa fa, vogliamo dire, la Dogana che cosa fa? “ L’Ufficiale, confuso, alzando le spalle e scoppiando, infine, in una fragorosa risata: “ Ha, ha. Ha. Ehhh... Voi, Signori... ha, ha, ha, sapete che siete proprio divertenti? ha, ha, ha, ha...” L’Approccio alla lingua, alle leggi e agli usi e costumi ustraliani. L’approccio alla lingua, per l’emigrante italiano o neolatino in Australia, forse, non avrá mai la possibilitá di esaurirsi. Per aver la esauriente padronanza di una lingua bisogna che una persona vi ci nasca dentro e nasca da due genitori che la conoscono bene. Per dirla con Napoleone Bonaparte, bisogna che una persona la conosca da vent’anni prima di nascere. Gli altri, spigolando: ritornadovi su centinaia, se non migliaia, di volte l’appredono alla meglio. L’emigrante, vivendo in essa e con essa, dopo tanti anni s’imbatte ancora, in espressioni linguistiche non affatto nuove, ma solanto sfuggite alla sua impegnata investicazione. Questi emigranti quelli di origine linguistica neolatina in particolare, giunti in Australia si sono trovati a cozzare immediatamente contro tre grosse barriere, complesse e difficili da sormontate e mai sormontate del tutto.Cioé: imparare la lingua autraliana, lavorare, assuefarsi agli usi e costumi. Poi diviene impellente anche trovare casa in cui viver decentemente. La lingua inglese senza regole fonetiche, che si scrive in un modo e si pronuncia in altro modo; la letterizzazione (spelling) la fa da padrone; la sillabazione non esiste mancando i gruppi fonetici fissi. Poi la lingua australiana é la lingua inglese australianizzata per cui é poco capita dagli stessi inglesi che vengono per la prima volta in Australia ed é ancora meno capita dagli americani. A prova di ció gli americani pretendevano, a detta dei giornali australiani, che tutti i documenti di un certo valore nazionale venissero tradotti in lingua americana. Fino a dieci anni fa il presidente degli stati uniti non sapeva il nome del Primo Ministro Australiano John Haword. Fino a vent’anni fa un australiano
di Giuseppe Ceres
per un inglese era una persona incolta e civilmente sottosviluppata; appariva d’aspetto paurosamente rozzo, taciturno e apatico, soffriva di grado d’inferioritá quando si trovava al cospetto di inglesi ed americani, amava e ama ancora la riservatezza. L’apatia era una comoda scelta per la gran fatica da affrontare quando doveva salutare qualcuno sconosciuto o uno straniero. Il saluto tra due amici spesso consisteva nel fare il gesto di abbasare e girare un po’ il capo verso destra, dicendo:” Hi "( leggi: Ai ). L’attore comico australiano Paul Hogan apparve spesso in televisione per due anni e piú per invogliare i suoi concittadini a mostrasi piú aperti, espansivi e piú accoglienti verso il suo prossimo e specialmente verso gli estranei; che non costava loro niente rispondere al saluto con un solare buongiorno (G’day.). Due civiltá, come il lettore avrá gia notato, l’anglofana coloniale e la neo latina cosí diverse, cosí difficili da conpenetrarsi. Gli emigranti italiani avendo la grande necessitá di lavorare possibilmente duro per guadagnarsi di che vivere e per vivere possibilmente in una casa decente. Nonostante i grossi sforzi compiuti frequentando corsi serali di lingua australiana, il linguaggio che la gran parte di essi, specialmente quelli con bassa scolaritá, per comunicare particolarmente tra essi medesimi si sono inventati ciascuno il proprio nuovo linguaggio: ‘L’ITALIESE". Un miscuglio d’italiano, dialetti italiani e inglese. Un linguaggio grammaticalmente sgrammaticato, inclusa la pessima, volte incompresibile pronuncia. Questo linguaggio e molto popolare tra gli emigranti che vivono in nazioni di lingua inglese: Inghilterra, Australia, america, eccetera. - Se non erro, un simile linguaggio oggigiorno si va formando anche in Italia tra quegli italiani che desiderano parlare in inglese che non hanno i mezzi il tempo o la volontá per impegnarsi a fondo. Vedi, per esempio, l’inglese usato dai politici, giornalisti, pubblicitari, dagli esibizionisti. Poi quelli che l’inglese lo scrivono bene, non hanno rispetto per coloro che l’inglese non lo sanno e vogliono capire. Sarebbe desiderabile e auspicabile che i termini inglesi usati per inciso nei testi in italiano, includerne tra parentesi la traduzione in lingua italiana. Ció non lo fa neanche ‘ La Rai TV. Internazionale che, annuncia il lingua inglese, scritta, ma non letta il trenta per cento circa dei titoli dei suoi programmi. - Un linguaggio in cui i verbi sono spesso coniugati secondo regole della grammatica della lingua italiana. Cosí, per esempio: “ Franca mi hai detto che non renava, invece sta renando e mi son bagnate tutte le sciuse e le socs. “ Cioé “ Franca mi hai detto che non pioveva, invece sta piovendo e mi sono bagnate tutte le scarpe e le calze.” ...continua sul prossimo numero
In memoria di...
1967
1988
1969
1999
Gli amici ricordano Peppino Ceres
1978
CINQUANT’ANNI DI VERA AMICIZIA Era sempre piacevole stare insieme.
2010
La Vendemmia della classe III A nel territorio di Caposele
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a produzione del vino è un’attività molto diffusa nel nostro territorio. Essa ci consente di osservare e studiare aspetti di tradizione popolare e di innovazioni tecniche che si svolgono nel nostro ambiente. Il tema è stato scelto perché permette di sperimentare un modo nuovo di fare le cose antiche, un modo nuovo per riflettere su alcuni lavori che fanno volentieri i nonni, i genitori e anche i bambini, se sono coinvolti concretamente. L’attaccamento alla terra, ai suoi prodotti secolari vengono riscoperti all’interno di un’operosità scolastica che ha voluto coniugare la tradizione, il progresso scientifico e tecnologico con il fare scuola. I genitori si sono mostrati entusiasti di questa iniziativa e hanno dichiarato subito la loro disponibilità ad accompagnarci con le auto e a vivere con noi questa esperienza. Il 23 ottobre, ci siamo recati nel vigneto del signor Giovanni Aiello, il nonno di Tommaso, una persona molto sensibile, disposta ad accettare “l’invasione” di 15 alunni nel lavoro della vendemmia e della preparazione del vino. Gli alunni hanno trascorso insieme una bella giornata all’aria aperta, hanno imparato a svolgere il lavoro della vendemmia insieme ai grandi, hanno osservato concretamente il processo di trasformazione dell’uva in vino, nel rispetto di una antica tradizione secolare con le tecnologie di oggi.
di Giuseppe Rosania
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Da sinistra Vittoria Galdi, Vincenzo Russomanno, Filomena Galdi e Vittorio Russomanno foto del 1980
Da sinistra: Lorenzo Caprio, Vincenzo Baldi, Gerardo Del Guercio, Fiorenzo Conforti, Nicola Conforti, Fernando Cozzarelli, Amerigo Del Tufo, Sante Marsili (Medaglia d’argento alle Olimpiadi)Aristide Caprio, Salvatore Caprio, Ciccio Rosania, Francesco Di Vincenzo , Emidio Alagia,Amedeo Pariante,Achille Pizza, Angelo Sturchio e Emidio Vetromile, Giovanni Caprio Franco Cozzarelli e Francesco Caprio
Una gita a Valva nel 1947
Feduccia e Linda Caprio con Mamma Serafina
Una foto degli anni '50
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Il corpo insegnante della Scuola di Avviamento negli anni '50
Da sinistra:Pasquale Montanari, Angelo Petrucci, Michele Ceres, Gerardo Cibellis, Salvatore Curcio, Agostino Montanari, Alfonso Merola, Giovanni Battista, Rocco Caruso, Antonio Merola, Emidio Alagia, Gerardo Nesta, Nicola Conforti e Salvatore Conforti
Raffaele Ceres , Lorenzino Petrucci e Cenzino Malanga
Mimino Farina e Raffaele Ceres
Amerigo del Tufo e il cantante napoletano Amedeo Pariante in un momento di relax
Gita a Laceno nel 1952
Da sinistra in piedi: Gerardo Del Guercio, Mimino Farina, Arturo Sozio, Gennaro Casillo, Nicola Conforti, Salvatore Conforti, Franco Caprio Ciccio Caprio, Vittorio Nesta, Armando Sturchio, Cenzino Malanga, Salvatore Casillo, Ezio Caprio. Accovacciati: Manfredi Caprio, Rocco Caprio, Salvatore Testa, Gennarino Casillo, Rocco Petrucci, Amatuccio Russomanno, Ciccio (Lu barbiere), Angelo Sturchio, Raffaele Farina, Girolamo Casillo, Donato Conforti e Felicino Lardieri
Angelo Daniele e Peppino Curcio
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In memoria di...
ANTONIO e GELSOMINA CETRULO di Alfonso Merola
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on mi trovavo a Caposele, quando seppi della morte di Antonio Cetrulo. Non sapevo, perciò, che essa fosse dietro l’angolo, nel momento in cui gli esternai le mie condoglianze per la dipartita di sua sorella. Gelsomina ed Antonio che sono mancati ai loro cari e a chi li conobbe veramente, sono accomunati da una identica educazione familiare che dà al lavoro ( e alla dignità nel lavoro) un valore da non sottovalutare. Gelsomina, ad esempio, oltre le sue doti personali ed umane, a me piace ricordarla per il contributo “di donna” che ha saputo dare alla crescita turistica di Materdomini. Perché, sia ben chiaro, non passi nella mente di nessuno l'idea che "quel miracolo turistico"sia solo "opera di uomini". Senza il sacrificio, l'abnegazione, il realismo di tante donne, Materdomini non sarebbe quella che è oggi, ma di questo avremo modo di parlare in altre occasioni … Ritornando ad Antonio che io ho conosciuto da vecchio iscritto del PSI e
mi sono ritrovato “fontaniere/idraulico comunale, io ammiravo la sua passione per il lavoro nella quale egli ci metteva anche tanta curiosità "laboratoriale"nel dare soddisfazione alla domanda di un'utenza che a Caposele è egoisticamente esagerata. Ci saranno anche “ingegneri idraulici”, ma la sua esperienza “accoppava tutti”, incluse, talvolta, le leggi della Fisica che qui a Caposele sono spesso fiaccate e confutate “dall’abuso del servizio” che inesorabilmente inibisce l’uso. Se le giornate invernali, quindi, per Antonio erano relativamente “calme” ( in ogni caso di tempo ne passava a mantenere in efficienza tutte le reti comunali interne ed esterne) quando scoppiava l’estate, il suo lavoro non aveva limiti temporali. Te lo trovavi dovunque sui cocuzzoli a controllare seRbatoi, a manovrare saracinesche, a verificare attacchi privati e roba del genere. Rispondeva col sorriso a quanti protestavano per le “crisi idriche cicliche nelle campagne” ricordando che la vera disciplina in un paese
GIOVANNI DAMIANO
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iovanni Damiano si è spento all’età di 90 anni, nel mese di agosto: è un altro pezzo di storia locale che se n’è andato. Chi ha avuto modo di conoscerlo da guardia municipale prima e da “comandante dei vigili urbani dopo, non può non convenire sullo spiccato senso del dovere e dell’attaccamento al servizio che lo contraddistingueva. Abbiamo sicuramente sbagliato a percepirlo come esagerato nell’adempimento del suo ufficio, ma ai suoi tempi il valore di un impiego pubblico e la riconoscenza verso le istituzioni non erano un dettaglio banale. Essere dipendente, ad esempio, di un comune che doveva farsi in quattro per far quadrare i conti dell’Ente, caricava di una più robusta responsabilità e Giovanni era in linea con quella tendenza d’epoca. Con Giovanni Damiano, in effetti, non si parlava mai di turnazioni, ferie e congedi, straordinari e riposi festivi, di progetti obi-
di Alfonso Merola ettivo e nemmeno di contratti ed indennità aggiuntive. Giovanni era interessato solo ad un lavoro funzionale all’aspettative di un Comune che amministra per il tramite di regolamenti che “se vogliono veramente regolare” devono essere osservati. Eccolo, allora, attento alla circolazione delle auto, al loro corretto parcheggio, ai bambini che sfrecciavano come bolidi sulle biciclette o trasformavano ogni angolo del paese in campo di calcetto … Egli era anche puntigliosamente attento alla pulizia del paese: ne sentivano il fiatone i netturbini, i commercianti “indisciplinati”, i proprietari di stalle in area urbana, qualche massaia che faceva uso “estemporaneo” dei fontanini pubblici e dei lavatoi. Te lo trovavi dovunque a proteggere il patrimonio comunale, sul municipio ad organizzare la giornata con sindaci e segretari comunali, a vigilare dentro e fuori gli edifici scolastici,
RICORDO DI PEPPINO
È
difficile esprimere con le parole la triste esperienza vissuta e dimenticare il dolore per l’immatura scomparsa di Peppino. In particolar modo dimenticare le ultime settimane di sofferenza è a dir poco impossibile. In ciascuno di noi in funzione del livello individuale di sensibilità, la perdita di una persona cara lascia certamente un vuoto incredibile; evidenzia le molte perplessità di fronte ad un male che avanza nella nostra comunità. La vita, purtroppo, ci mette spesso a dura prova, però anche se faticosamente, la fede ci aiuta a farcene una ragione e a trovare la forza per reagire ed andare avanti. Così, sostenuti dalla fede, non smettiamo mai di credere che “ il sole splende per tutti “ e che è nella sofferenza e nel dolore che la comunità, ritrovando
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se stessa, riscopre i cristiani valori della sua umanità. La mia famiglia e i miei parenti hanno avuto la grande fortuna di avere vicina l’assistenza di tante carissime persone e l’affetto di un'intera comunità. Grazie a tutti per il sensi di solidarietà e fratellanza testimoniato sinceramente con tanti semplici gesti; è proprio in questi contesti che ciascuno di noi compartecipe riscopre di far parte di un unico tessuto che si impoverisce per la perdita di una persona cara e al tempo stesso si arricchisce della presenza di tutti. In modo particolare e pubblicamente un forte e sentito ringraziamento va al dottore Pasquale Farina che, ostinatamente e con professionalità, nulla ha lasciato di intentato nei tanti momenti della sua assistenza medica ed umana. Grazie, dottore, per la tua vicinanza e per la tua disponibilità dimostrata in interrottamente ad ogni ora.
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non del tutto sufficiente a garantire redditi sicuri; un emigrato partito per tornare e che, tornato, lottava in nome di un’idea politica che desse speranza all'ascensione sociale anche per i più umili. Non ho mai goduto, pur essendogli amico,di un suo voto, non di meno lo apprezzavo. Socialista, dispersosi nelle nebbie della seconda Repubblica, è vero, ma sicuramente abbarbicato ai suoi ideali. Di questa eredità devono andare orgogliosi i suoi figli ed i suoi parenti.
che rifiutava i contatori era la responsabilità degli utenti, come a dire, che non si può avere "la botte piena e la moglie ubriaca". Si arrabbiava Antonio di fronte a proteste ingenerose per un suo lavoro che, comunque, era costante. Doveva essere il sindaco di turno a calmarlo ricordandogli che si fa quel che si può in contrade, le une contro le altre armate, che pretendono acqua corrente da bere ma non accettano limitazione nella coltivazione degli orti e dei campi di tabacco. Da Sindaco, di Antonio io ammiravo la sua esperienza personale di giovane emigrato in Svizzera che si era fatto una famiglia e, poi era rientrato a Caposele per aprire un’officina Antonio Cetrulo con la madre ed i fratelli Gerardo e Gelsomina
ad accompagnare con la macchina gli amministratori ad Avellino. Il suo rapporto fu eccezionale con un Sindaco altrettanto eccezionale, Don Ciccio Caprio, ma quelli che lo seguirono non ebbero mai a lamentarsi. Sapeva trovare anche il tempo per la sua famiglia che educò anch’essa al senso del dovere. Era orgoglioso del suo Gerardo, dipendente EAAP, del suo Eliseo che aveva fatto carriera senza sgomitare nella giungla della burocrazia italiana. Quando andò in pensione, preferì ritirarsi, come un Coriolano, nella sua casa di campagna, lontano dai frastuoni, accanto a sua moglie e suo figlio Giuseppe, con cui condivise pazientemente la sofferenza propria di una malattia perniciosa, di quelle che costringono un giovane a riformulare il senso ed il percorso della vita. Era molto legato a Salvatore, Davide, Rocchino e alle sue figlie Beniamina e Sanità. Io mi sentivo legato a Giovanni, non solo e non tanto per la fattiva collaborazione datami Ti saremo grati per sempre. A te, caro Peppino, confesso che, a distanza di pochi mesi dalla tua dipartita, mi ritrovo ancora di fronte a tante domande a cui non so dare una risposta. E' solo nella ricerca e nel ricordo dei momenti belli e meno belli che ritrovo me stessa rivivo i sentimenti, le emozioni, le preoccupazioni nel ricordo del passato, come un filtro si rigenera nel presente con nuovi e propri caratteri si proietta nel futuro ed è da esso che prendo forza per andare avanti. Nella tua ostinata voglia di vivere, nella lotta contro il male affrontata con dignità e cristiana sofferenza trovo il conforto, le ragioni, gli stimoli per affrontare le difficoltà quotidiane ed essere caparbiamente punto fisso e di riferimento per i nostri figli, le loro aspirazioni e le loro certezze. La tua storia che, di certo, ha causato tanto dolore non solo in me e che pure ha un posto sempre vivo e straziante nella sfera dei sentimenti e dei ricordi facendo raffiorare vecchie riflessioni riposte nel fondo della
quando ero sindaco, ma anche perché in lui intravvedevo anche la figura del mio “leggendario” nonno, guardia campestre, di cui di tanto in tanto sento ancora parlare. Gente di altri tempi, le cui storie umili sono degne d’essere ricordate perché se ne sente nostalgia in giorni in cui sembra che in tanti abbiamo smarrito il valore della missione civica.
Giovanni Damiano con il Sindaco Caprio
mia coscienza ha accelerato la mia comprensione per le altrui difficoltà facendomi maturare un’umanità più ricca e solidale verso chi, come te, ha avuto la costanza e la forza di migliorarsi. Rosanna
RICORDO DI UN CARO COLLEGA
In memoria di...
ANGELO PETRUCCI di Alfonso Merola
Questa volta Angelo non ce l’ha fatta: l’altra sera si è dovuto arrendere ad un nemico inesorabile, dopo aver combattuto con convinzione e coraggio la sua battaglia in nome della vita. Poco più che bambino egli vide con i suoi occhi la morte che tragicamente non risparmiò un suo compagno che gli era accanto. Quell’evento lo segnò e gli fece amare la vita come un dono divino accordato ad una persona rinata. Non è stato così due giorni orsono: egli si è allontanato dai suoi cari, quando ancora non aveva varcato la soglia dei suoi settant’anni. Seguendo il suo feretro, mi sono commosso all’applauso in lacrime tributatogli dai dipendenti comunali, al passaggio della sua bara. Quell’applauso prima ed il commosso saluto, poi, della sua collega Gelsomina Frannicola in una chiesa affollata racchiudevano il riconoscimento fraterno di un sincero sodalizio, nonché la gratitudine corale verso un uomo che aveva speso bene più di quarant’anni di lavoro al servizio di Caposele. Bene accolto, non aveva mai staccato la spina col Comune nemmeno da pensionato e da sofferente. Egli era il “decano” dei dipendenti comunali, la memoria della vita amministrativa ed era ( e resta) l’Ufficiale dello stato civile per antonomasia. Poteva sembrare ossessiva la sua accurata conduzione dell’Ufficio, ma era fondata la sua intima convinzione derivata dai suoi maestri-predecessori, che i dati sensibili vanno custoditi, in nome dello Stato, con riservatezza e scrupolosità. Questa speciale “missione” lo rendeva inquieto, tutte le volte che qualcuno debordava da questo principio e quando gli amministratori stabilivano traslochi d’ufficio o trasferimenti dalla sede principale. “Io custodisco roba seria con cui non si può scherzare” diceva. Lo lo vedo ancora, a via Caprio, nel suo ufficetto pieno come un uovo, di registroni ben allineati, mentre si arrampicava sui muri per prendere tutta quella documentazione polverosa da cui estrarre certificati … Lo rivedo attivo e indaffarato nella sede municipale di via Castello fino al 22 novembre 1980 e poi il 24 successivo, tra le macerie, per verificare la fine delle sue carte dopo il sisma: scatoloni di carte trasferite nei baracconi in piazza Sanità, poi in via Imbriani ed infine a piazza Dante … Angelo era sempre là, come una sentinella, con i netturbini che lo aiutavano, con
Mario che vigilava e con Pietro, Cenzino, Carla che lo sostenevano nel suo delicato compito. Angelo Petrucci ha saputo governare normalità, emergenze e rinascite in cui, per un vizio tutto italico, le certificazioni non sono mai mancate, sorretto da una pazienza proverbiale nel soddisfare richieste e pretese, talvolta, di una popolazione abituata al “tutto e subito” ad ogni costo. Siamo in tantissimi a dovergliene essere grati, fosse pure per il semplice motivo che egli è stato cronista e notaio di tante nascite, promesse di matrimonio, nozze, di variazioni anagrafiche, censimenti ed elezioni e non ultimo di decessi … Si è saputo che, qualche giorno fa, opportunamente l’Amministrazione Comunale ha consegnato ad Angelo Petrucci una targa di encomio che lo ha commosso e fatto felice: Caposele ha apprezzato unitariamente questo atto. A noi che lo abbiamo annoverato tra gli amici, non resta che rinnovare i nostri sentimenti di cordoglio a Paola, Nellina, Olivia ed Olimpia, sapendo con quale e quanta premura ed affetto lo hanno accompagnato nel suo Calvario, fino all’ultimo istante.
Io e mia sorella lo conoscevamo dapprima che diventasse nostro collega, ovvero conoscevamo più che altro la sua storia, raccontataci da nostro padre . Era da poco finita la guerra e due bambini mentre giocavano in un campo, nei pressi delle proprie abitazioni, scovarono qualcosa simile ad una palla che, con la curiosità tipica dei bambini, cercarono di aprirla con un sasso. Quell’arnese altro non era che un ordigno residuato della guerra appena trascorsa, che all’impatto coi sassi, subito deflagrò , inondando di schegge i bambini e tutt’intorno. Mio padre all’epoca ventenne, sentito lo scoppio da una vicina bottega dove apprendeva il mestiere di fabbro ferraio, si precipitò subito in strada e scorse da lontano due corpi di bimbi a terra, uno dei quali da subito, capì che era morto, mente l’altro si lamentava. Prese in braccio il bambino ferito , che con voce flebile sì fece riconoscere da subito, diceva a cantilena, sicuramente a causa dello schok subito: “mi chiamo Angelo Petrucci”, mi chiamo Angelo Petrucci e così di seguito senza mai smettere , anche se con un filo di voce, appena percettibile. Fu così trasportato in un vicino ospedale e da lì trasferito a Napoli, dove fu sottoposto a più interventi per estrarre le numerose schegge che si erano conficcate nel suo corpo di bambino minuto e vi rimase per diverso tempo. E quel bambino eri tu. Poco tempo dopo fosti accolto in un collegio a Rimini, per i mutilati e gli orfani di guerra, dove studiasti per conseguire un diploma che ti permise poi di essere assunto presso il municipio del paese natio, quale Ufficiale di anagrafe e stato civile, incarico che hai ininterrottamente ricoperto per quarant’anni e più. Rimanesti sempre riconoscente a mio padre e hai avuto sempre nei nostri confronti un particolare rispetto. Poco prima del terremoto fui assunta presso lo stesso municipio e da subito fui collocata nel tuo ufficio, l’ufficio anagrafe, dove tutt’ora presto servizio , da trenta anni, di cui ventotto trascorsi al tuo fianco. Sono entrata in quell’ufficio non ancora ventenne ed ho trascorso praticamente insieme a te gran parte della mia vita. Poiché noi abbiamo perso il padre troppo presto, tu per me e per mia sorella, sei stato oltre che un collega, un padre, una guida. Avevi a volte un carattere non facile, che veniva smussato dal mio .
Una fase del sorteggio della lotteria della "Polisportiva"
Per cui io intervenivo con prontezza ogni volta che c’era qualche piccola frizione. Ancora oggi ricordo con commozione la sera che chiamasti al telefono per far sentire un’ultima volta la tua voce che perdesti a causa dell’ intervento chirurgico in seguito al quale ti fu compromesso l’uso delle corde vocali, per cui da quel momento, nonostante la riabilitazione e tutti gli sforzi che tu facevi era difficile comprenderti soprattutto da dietro lo sportello, ecco che io ero attenta a non far pesare il tuo handicap, ti capivo a volo, appena tu muovevi le labbra, ancor prima che tu parlassi. Ed ero sempre io che rispondevo al telefono, che stavo allo sportello mentre tu continuavi ad occuparti del disbrigo di tutte le pratiche d’ufficio. E hai continuato ad occupartene fino a pochi mesi or sono, nonostante fossi in pensione da circa due anni ; ogni mattina dopo essere stato dal medico passavi per l’ufficio anagrafe, anche quando tornavi da Avellino dopo aver fatto la chemioterapia, ad aiutare la tua collega. Sei venuto fino a quando le forze te l’hanno permesso, fino a quel giorno di giugno, quando per l’ultima volta ti sei affacciato nel tuo ufficio e non trovando me sei andato nell’ufficio di mia sorella, ed è stato allora che lei ha capito che il male che tu hai combattuto come un leone per tanti tantissimi anni, aveva iniziato a minare pesantemente il tuo già debilitato fisico. Non ce la facevi neanche a stare in piedi dal dolore che traspariva tutto dal tuo volto. Ti ha detto di sederti facendo apparentemente finta di niente. Non hai voluto neppure aspettare che io ritornassi in ufficio. Mia sorella ha riferito la sua impressione agli altri colleghi, soltanto io non ho voluto mai accettare la realtà e cioè che tu te ne stavi andando e che sebbene facevi finta di niente con noi altri, eri perfettamente consapevole della tua sorte. Anche l’altro giorno, dal tuo letto di dolore mi hai detto che non appena ti saresti rimesso, saresti di nuovo venuto ad aiutarmi. Pure stamattina sei passato davanti all’ufficio, ma questa volta non sei entrato, e mai lo farai più, però sarai sempre nel mio cuore e in quello dei tuoi colleghi e noi continueremo a pensarti dietro un’altra scrivania dalla quale continuerai a guidarci e a vegliare su di noi, e noi a pregare per te. Mimina Frannicola
Da sinistra: Emidio Vetromile, Pietro Pallante, Angelo Petrucci, Cenzino Russomanno, Mario Nesta. Dietro: Romano,Nicola Conforti e Giovanni Damiano
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IL SUD
Il Sud, un problema aperto
dal Corriere dell’Irpinia irpinia
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Edizio
Principale obiettivo, promuovere la conoscenza delle contraddizioni del Mezzogiorno e delle radici di una riflessione sul mancato sviluppo
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Dora Garofalo
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i interrogano sulle origini della questione meridionale gli studiosi irpini Michele Ceres e Dora Garofalo. Lo fanno in un volume “Il Sud, un problema aperto”, Edizione Altirpinia, che è stato presentato il 31 ottobre, alle 16.30, a Palazzo Pisapia, a Gesualdo. La consapevolezza da cui muove il volume è il legame forte tra la questione meridionale e l’Unità nazionale, a partire dalle celebri lettere di Pasquale Villari che, fin dal 1861, denunciò le condizioni di vita delle province meridionali. La scommessa è quella di fare chiarezza su un tema sul quale si continua a scrivere tanto, senza che ci siano contributi decisivi sul proble ma Principali destinatari gli studenti, con l’obiettivo di promuovere la conoscenza delle contraddizioni del Mezzogiorno ma al tempo stesso delle
radici di una riflessione sul mancato sviluppo del territorio. Un percorso, quello di Ceres e Garofalo, che passa in rassegna l’evoluzione dello Stato meridionale dai Normanni agli aragonesi fino alle denunce dei riformisti partenopei del XVIII secolo, dal ruolo del Sud nel percorso di unificazione alla Cassa per il Mezzogiorno. Un percorso che ci racconta della piaga del latifondo, della mancata costituzione e una borghesia imprenditoriale ma anche di fatto, geografici e politici che hanno contribuito a rafforzare la frattura tra Nord e Sud. Nessun dubbio, infatti ci ricordano gli autori, che la radice della questione meridionale vada individuata in condizioni preesistenti al processo di unificazione nazionale. Il risultato non è una semplice rievocazione storica ma tentativo di comprendere le ragioni di un decollo mai avvenuto, a partire dalle cause che hanno determinato l’interruzione del circolo virtuoso avviato negli anni ‘50, condizionata non poco dal clientelismo da scelte politiche poco efficaci, fino a proporre anche prospettive di rilancio
Caro direttore, considerato che da pochi giorni è stato il 30° anniversario del sisma del 23 novembre 80, le sarei particolarmente grato se pubblicasse l’allegata “epigrafe” letta dal Capitano Antonio Pecora in data 21.11.79 nella ricorrenza della “Virgo Fidelis”, protettrice dell’Arma. Tale pubblicazione costituirebbe per me un doveroso omaggio al caro capitano stimato e amato dai suoi dipendenti e dal popolo dell’Irpinia, deceduto in S.Angelo dei Lombardi unitamente all’appuntato Benito De Gennaro, sotto le macerie del sisma del 23.11.80. Il progresso – non razionale – di questa martoriata terra d’Irpinia lo dobbiamo alle tante ma tante vittime di quella funesta domenica. Un pensiero particolare a tutti i familiari e amici delle vittime che non possono essere mai dimenticate. Antimo Pirozzi
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dello sviluppo per il Mezzogiorno, circa “La rinuncia ad una concezione unitaria e ad una permanente azione di slancio politico ed economico ha finito, a partire dalla crisi petrolifera degli anni ‘70, per esaurire la spinta meridionalista. Si è giunti così’ al paradosso che la questione settentrionale ha sostituito la questione meridionale fino al punto di renderla, come ha scritto un acuto meridionalista, Gianfranco Viesti, perfino noiosa e inattuale. La conseguenza è stata l’assenza per oltre un ventennio di qualsiasi politica meridionalista, con effetti che solo oggi cominciano ad essere percepiti come negativi non solo per il Sud ma per l’intero Paese”. Ad impreziosire la pubblicazione un‘accurata trattazione dei pensatori che nei secoli hanno dedicato le loro riflessioni al Sud, da Gaetano Salvemini a Guido Dorso, da Francesco Saverio Nitti ad Antonio Gramsci, da Francesco Saverio Nitti a Francesco Compagna. Scrivono Ceres e Garofalo “Il mancato sviluppo del Mezzogiorno è dovuto anche al fatto che la classe dirigente meridionale ha guardato troppo spesso all’Europa e poco al bacino
Ivana Picariello, direttore del Corriere dell’Irpinia, del Mediterraneo... In tale contesto il nostro Sud, posizionato geograficamente al centro di questo bacino, come ponte tra l’Europa, l’Africa e il vicino Oriente, se adeguata mente strutturato con un imponente programma di opere pubbliche, potrebbe svolgere una funzione di primaria importanza sia economica che culturale … Lungo le sue rive sono reperibili le contraddizion i e i problemi che ossessionano l’umanità: petrolio, scarsità e abbondanza di cibo, disoccupazione, prosperità, disordine sociale, libertà, dittatura, conflitti armati.. Ma quantunque in presenza di queste profonde diversità, esistono anche non poche condivisioni che, se opportunamente valorizzate, potrebbero costituire la chiave di volta per superare le tante differenze.
IL CARABINIERE .. io ho visto il CARABINIERE soccorrere i prigionieri con la devozione della suora di carità; l’ho visto confortare il condannato come il sacerdote nell’ora estrema; l’ho visto, dopo le lotte, curare i feriti come il medico; l’ho visto nella famiglia calmare gli odi ed i rancori come il confessore; l’ho visto presiedere alle feste del villaggio come il patriarca della tribù; l’ho visto combattere come il guerriero, soffrire in silenzio come il religioso, morire come il martire. Non sfugge mai un lamento dalle sue labbra. Voi dormivate ed egli vegliava; voi folleggiavate nelle feste ed egli dritto in disparte, là nell’angolo oscuro, proteggeva la vostra gioia. Egli è niente per voi, voi siete tutto per lui. Se siete gente onesta e felice, potete ignorare persino la sua esistenza, ma i tristi tremano, i deboli vivono protetti, perché egli è sempre là, ritto,immobile, vigilante.
Chi è dunque, questo uomo? Quale passione lo anima? Quale interesse lo guida? Quale religione lo sostiene? Questo uomo è semplice di cuore, ha lo spirito retto, l’anima onesta; straniero alle passioni, non conosce che il dovere; la scienza sola, il coraggio solo, la religione sola, non basterebbero a produrre un tal uomo; oppure, eccolo là dinanzi a voi. Perdonatemi uomini, che non avete neppure l’idea della vostra grandezza, perdonatemi se per un istante ho sollevato il velo dietro a cui si nasconde la vostra esistenza. Vi ho visti, nel settentrione e nel mezzogiorno, nelle città e nei campi, di giorno e di notte, nelle feste, nelle pubbliche calamità, nelle rivoluzioni, negli eccidi, nei tribunali e sempre ho ravvisato in voi l’uomo amante del suo simile, la legge che difende e colpisce ….
I proverbi costituiscono un bene culturale legato alla storia delle tradizioni popolari.
Nei proverbi tutti possono identificarsi,scoprendo qualcosa di sé e rivisitare così, i propri pensieri e la propria esperienza di vita.
di Cettina Casale
DETTI Car’ca p’ ‘nannu e camina p’ n’ora Cecine e fiasche
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Ninnu miu cumm’ si arr’dduttu, r’ scap’ rott’ e r’ ‘ghier’t’ ra for’
Ra lu ciucciu guàrditi ra retu, ra lu vòiu guàrditi ra nanzi, .....ra lu prèutu ra tutti li lati
Megliu puttana ca’ figlia r’ puttana
La zita assummeglia a li pariendi ***** La fatica r’ li fessa si faci ddoi vot’ ***** Il bacile
Quannu mai lu sol’ s’è muortu r’ friddu ***** Vieni a mangià a casa e portiti la seggia e ru ppanu
Pignat' e pignatieddi
Lupi e mariuoli ess’n’ r’ nott’
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***** Ciotole e ciutulecchia
Roppu chiop’tu, ch’ bell’acqua
Chi faci chiacchier’ nn’anzi a lu furnu perd’ ru ppanu
Le foto sopra sono tratte dal sito di Raffaele Loffa "Carife: un tempo si viveva così"
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Mort’ r’ lupu, salut’ r’ pècura
Li megli pariendi so’ li soldi *****
***** Nu mal’ jornu, porta na brutta nott’
Li megli p’nzieri ven’n’ r’ nott’ ***** E’ na’ bella jurnata e nisciunu s’imbènn’ *****
***** Fatti li cazzi tui ***** Nu’n guardà semb’ ‘nnanzi, ognii tantu vòtiti arrètu
E’ viecchiu sulu chi mor’ ***** Guai e dièbbiti allong’n’ la vita ***** Guàrditi ra chi ten’ r’ lend’ scur’
Brocche di terracotta realizzate in occasione della Festa dell'acqua
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***** Mò l’arr’cchisci Cristu cu li patr’nnostri ***** Lu strunzu cumm’ lu naspri naspri è semb’ strunzu
***** Ten’ ‘cchù ragion’ quiru c’ accìr’ ca quiru ca è accìsu ***** Lu cardillu ha fattu lu pìrutu ***** Li viecchi sò rus’caturi, vizziusi e rattusi *****
***** Tu cummìcu l’hai e crai spusi ***** Ogni erva serv’ ***** Quannu lu fessa capisci, lu munnu f’nisci ***** Lu megliu vinu è quiru ca si vev' a la casa r' lati
L’acqua è picca e la pàp’ra affonna Nonna Gaetanina tramanda l'arte della preparazione dei "fusilli e cavatielli" alla nipotina Lodovica
***** Lu pirutu r’ lu padronu nun’ puzza
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La scuola
DIDATTICA LABORATORIALE, DIDATTICA DEL FARE
Alcuni esempi per rendere protagonisti i nostri allievi
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uesta volta non vorrei pubblicare il solito articolo, ma documentare, attraverso un “percorso fotografico”, alcune attività laboratoriali realizzate dal nostro Istituto. Nel “laboratorio” i ragazzi sono protagonisti del processo di apprendimento, attraverso un percorso del tutto autonomo di “conquista” e scoperta del sapere. Dall’architettura delle aule, al ruolo del docente, all’organizzazione delle lezioni nella settimana, tutto è indice di questo nuovo modo di fare scuola. Basta ricordare che tutto il pensiero pedagogico di Dewey è ispirato dal famoso motto “Se ascolto, dimentico, se vedo, ricordo, se faccio, imparo”. Prima attività. Il giorno 8 novembre, è stata allestita, presso l’Istituto Comprensivo di Caposele, la MOSTRA S C I E N T I F I C A I N T E R AT T I VA “Le Ruote quadrate” organizzata dall’Associazione culturale “Scienza viva” presieduta dall’amico ed ex docente Pietro Cerreta. “Le ruote quadrate” è una mostra scientifica itinerante costituita da circa 50 exhibit interattivi, ideati e realizzati per far sì che chiunque, indipendentemente dall’età, dalle conoscenze scientifiche e dalle competenze manuali, possa fare esperienza diretta di fenomeni naturali ed intuirne le leggi. Come ex insegnante di scienze ho constatato che gran parte degli allievi hanno una scarsa capacità di osservazione della realtà, perché non allenati, con una conseguente incapacità nel realizzare semplici esperienze di laboratorio, caratteristica essenziale per comprendere in che modo emerge una legge fisica dall’esperienza di laboratorio. Insegnare le scienze deve essere un’attività innanzitutto sperimentale, spesso, però, nelle nostre aule scolastiche, si preferisce”parlare” di scienza piuttosto che “farla”. Per far si che negli allievi nasca il piacere di apprendere dobbiamo adottare una metodologia d’insegnamento basata
sul concetto di “scoperte guidate”, in modo che gli studenti diventino protagonisti attivi e propositivi dell’attività di formazione. Seconda attività. Il giorno 12 novembre gli alunni delle classi Terze della scuola secondaria di primo grado di Caposele hanno partecipato all’OPEN DAY IN EUROPA, presso l’istituto comprensivo “V. Criscuoli” a Sant’Angelo dei Lombardi, presentando due filmati realizzati nell’ambito del progetto “Realizzo un videoclip” coordinato dalla docente di Arte Onidia Ciriello. La classe III A ha presentato un cortometraggio “Panna e cioccolato" con il quale gli alunni hanno toccato temi tipici del mondo della preadolescenza che vive la scuola come momento di aggregazione e integrazione, riconoscimento di certi valori come l'amicizia e i primi amori, ma anche come luogo di contrasto, piccoli atti di bullismo, dissapori fra coetani, che gli autori del corto immaginano di risolvere o con l'intervento degli adulti o semplicemente mangiando un gelato insieme. Nel filmato è raccontata la storia di due ragazzi: Davide che da Milano si trasferisce nel piccolo paese di Caposele, un tipo preciso e "secchione" e Marco, meno portato allo studio ma vivace, con tanti amici e una ragazza che per gioco della sorte è oggetto di interesse (mal celato) anche da parte di Davide. Tra i giovani prima è scontro poi, poco alla volta, nasce una bella amicizia. Gli alunni sono partiti con un soggetto di libera invenzione e poi ne hanno curato la sceneggiatura, identificati i ruoli come attori, al "trucco e parrucco", al montaggio, alla caratterizzazione dei personaggi (lodevole lo studio di alcuni personaggi, come quello della ragazzina svampita e viziata figlia di papà!) con il risultato di un' "opera prima" scorrevole, allegra, divertente, ma che lascia anche spazio alla riflessione dei giovani sul
I docenti dell’I.C. di Caposele e di Calabritto durante il corso di aggiornamento
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proprio futuro e le loro ansie di crescere. La classe III B ha presentato un videoclip musicale “Libero", interpretando la scuola attraverso il testo di una canzone di Fabrizio Moro. In questo caso la più grande difficoltà che gli alunni hanno incontrato è stata quella di tradurre in immagini il testo della canzone, ma anche di far coincidere le immagini con le parole e la musica. Gli allievi sono riusciti a comporre le scene girate nell'istituto scolastico, nei luoghi del paese di Caposele creando un'alchimia perfetta tra musica, parole e immagini, tanto che il filmato è capace di produrre nello spettatore delle belle emozioni. Il testo della canzone è stata un'occasione per riflettere sul mondo dell'adolescenza, i sentimenti, l'ansia per il futuro, i sogni, il conflitto con gli adulti. Quello che i ragazzi vogliono trasmetterci con il loro lavoro è un messaggio positivo: i giovani cercano di affermare la propria personalità costruendosi il proprio futuro. "La libertà” dice il testo della canzone “è sacra come il pane”. I ragazzi con questo lavoro hanno vissuto un'esperienza che si può definire "unica" per la loro età, ma anche per la loro formazione, avvicinandosi al linguaggio filmico come un modo nuovo e alternativo per rappresentare il loro mondo, i loro sentimenti, con grande creatività. Inoltre questa per loro è stata l'occasione per fissare, in un filmato, un momento della loro vita scolastica e della giovinezza. Durante la visione dei filmati il pubblico presente all'Open2 Day in Europa si è molto divertito e ha partecipato in maniera calorosa alle vicende, e i lavori presentati. I ragazzi dell'istituto comprensivo di Caposele sono stati felici e soddisfatti per il "successo" ottenuto fuori casa e i tanti complimenti avuti e hanno vissuto questa giornata come un piccolo momento di gloria.
di Salvatore Di Napoli Dirigente scolastico
Fotogrammi dal videoclip "Libero"
Per poter realizzare tutto questo, all’inizio dell’anno scolastico, abbiamo chiesto ai genitori un contributo economico volontario! Nella gioia di mostrare tutto questo, ringraziano di cuore tutti i genitori che si dimostrano solidali e collaborativi con la scuola!
Politica
Racconto tratto da una storia vera
IL RATTO DELLE CAPOSELESI
E
’ una torrida giornata d’agosto dell’anno 1813 e si cerca di combattere la canicola restando all’ombra dei grandi alberi. Il bandito Quagliarella con i suoi compagni, una ventina di uomini, bivacca alla meglio in un bosco ombroso tra le montagne di Caposele e Bagnoli. Le ceneri del fuoco ormai spento ricoprono qualche tizzone ancora fumante. Il campo sembra avvolto e sospeso in un’apparente calma. Lontano, rumori sordi fanno trasalire le sentinelle. Il bandito è fermo con lo sguardo vuoto, gli uomini pigri tirano ai dadi. Le cicale non hanno interrotto il loro canto, il caldo del meriggio è denso e rende la vista della sentinella faticosa: dalla valle solo calura. “Dove sono?”: il pensiero s’insinua e inizia a pulsare nelle tempie. Quando il sole scompare nella valle tra i due monti, l’attesa comincia a essere insopportabile. Bisogna reagire, è ora di agire. Le sue membra si ridestano dal torpore e il sangue inizia a fluire veloce, i nervi lo irrigidiscono in una maschera di rabbia. Il campo è percorso da una sferzata di urla e bestemmie: uomini sono mandati a cercare legna secca, altri a scuoiare le lepri cacciate la mattina, altri semplicemente a stare vigili. Accesa la legna e infilzate le lepri, tutti cercano un posto accanto al fuoco perché la fame brucia lo stomaco. Strappati gli ultimi brandelli di carne, il vino ha assopito la frenesia delle ultime ore e ognuno si abbandona ai propri pensieri più intimi mentre fissa le fiamme danzanti del fuoco. Restano tutti in silenzio avvertendo nell’aria le paure del bandito. Il silenzio della notte si spezza nel fischio dell’uomo di guardia. Gli uomini sussultano e prendono le armi, Quagliarella velocemente raggiunge la postazione di guardia. Il buio intorno non è penetrabile ma sempre più forte il battere di zoccoli sul terreno. Ordina ai suoi di stare pronti, ma di non sparare fino a suo ordine. Le mani iniziano a sudare e la presa sui fucili sempre più precaria. Sgattaiolando avanza, mantenendosi defilato alla direzione del rumore, e attende il passaggio dei cavalli. Nell’oscurità riconosce Milone, alla testa della fila, un sorriso distende i muscoli e con voce ferma lo avverte della sua presenza e subito ordina ai suoi uomini di ritirarsi. È da mezzogiorno che attende la banda di Milone, oltre venti, tutti del paese di Muro Lucano. Tutti sono allegri di ritrovarsi ancora una volta insieme e tra un racconto e l’altro tracannano del buon vino, il campo ritrova una parvenza di spensieratezza. Quagliarella, appartatosi con Milone, svela il motivo della chiamata: c’è da fare una rapina al procaccio nei pressi di Eboli. Confortato dalla notizia della grossa cifra in ballo, Milone si rende subito disponibile a partecipare all’azione, una stretta di mano sigla il patto. Si avviano verso i compagni per unirsi alle risa e ai brindisi, si ritrovano ad ascoltare Rocco, uomo di Muro, mentre racconta di passate scorribande. Una volta, insieme alla banda del prete Amelio di Lioni e quella del prete Giuseppe Paterna di San Gregorio, avevano pianificato una razzia durante lo svolgimento della fiera che si teneva davanti al convento dei Redentoristi
a Materdomini il giorno 8 settembre. Era nel 1809, tutto era pronto, le bande riunite sui monti di Laviano. Un ghigno si stampò sul viso di Rocco e strinse forte i pugni, la sera precedente furono avvertiti che la compagnia dei fucilieri di stanza a Laviano si era portata a Caposele, il colpo era sfumato. Un ultimo brindisi alla riuscita dell’ennesimo saccheggio infervora di nuovo gli animi. La notte umida ormai avvolge lo spazio. Vinti dalla stanchezza e dai fumi dell’alcool, ognuno coprendosi alla meglio, prende sonno. E’ l’alba del giorno 14 agosto. Poco prima del sorgere del sole Quagliarella dà la sveglia e ordina di prepararsi alla partenza. Spavaldi e guardinghi avanzano decisi, pronti a tutto non si guarda indietro. Un pastore, che ha menato le pecore a pascolare sopra un promontorio, nota la lunga fila di uomini che a spron battuto si dirige nella direzione sud-est verso la piana di Eboli. Non è difficile capire chi siano quegli uomini a cavallo, combattuti dalla legge e temuti dal popolo. La sera rientrato a Bagnoli la decisione è presa e va dritto ad avvertire le autorità, che a loro volta informano il Generale. Quest’ultimo ordina che sia avvertito il Sotto Intendente di Campagna e il Capitano Ferrari di Eboli. Il Sotto intendente non è convinto, risponde che ringrazia della notizia, ma a suo giudizio poco veritiera: non è pensabile che nell’attuale stagione i briganti preferiscano l’afa della piana alla frescura della montagna. E nella sua superficialità omette di allertare i cittadini armati di Eboli. Il Capitano Ferrari trascurando completamente l’informazione ricevuta il giorno quindici non prende alcun provvedimento cautelativo. Intanto gli oltre quaranta uomini delle due bande riunite si avvicinano a Eboli. E’ la sera del sedici, complice la notte senza luna, si nascondono con facilità in una delle grotte vicino alla Fontana del Fico, lungo la strada che porta verso la Calabria. La notte è lunga e quasi nessuno riesce a prendere sonno, la paura di essere catturati o di essere ammazzati non da' spazio a dolci pensieri. Con il silenzio gli uomini sono tutti irrequieti e impazienti. La posta in gioco è alta, ma la miseria e la fedeltà ai propri compagni condizionano la loro scelta convincendoli che il rischio va affrontato. La luce del nuovo giorno squarcia il buio della notte filtrando nella grotta, ma trova tutti pronti all’azione, acquattati a ventre in giù con le armi spianate e pronte a far fuoco. E’ la mattina del giorno diciassette. I briganti non devono attendere molto: preceduta dal rumore degli zoccoli e delle ruote di legno, l’arrivo della carrozza del procaccio. Con un cenno del capo una pioggia di pallottole si abbatte sugli uomini di scorta e un gendarme ausiliario rimane ucciso. I superstiti, vista la grossa mole di fuoco, scappano via. Alcuni briganti bloccano i cavalli della carrozza e altri rompono le casse, circa 8000 ducati brillano al sole, l’euforia è palpabile tra gli uomini. Non è ancora tempo di gioire, bisogna fuggire e prendono la via verso la montagna di S. Erasmo a Campagna. Tre contadini che stanno lavorando
di Gerardo Monteverde
nella zona, vengono con la forza costretti a fare loro da guida fino al Polveracchio. Da qui le due bande prendono la direzione del principato Ultra, cercano di andare veloci e nello stesso tempo di provare a intuire la reazione dei gendarmi alla notizia della rapina, i due briganti conducono alla testa delle loro compagini. Il colonnello Belleli è a Caposele quando sulla rapina arriva il rapporto del Sotto Tenente di Campagna. Il Generale lo fa partire immediatamente con la gente disponibile verso il Polveracchio. Frattanto il sotto intendente, ricevuta la notizia, ordina al tenente Mantenga, il capo dei cittadini armati con i suoi uomini di Campagna e legionari di dirigersi verso la montagna di S. Erasmo. Una decisione che si rivela subito sbagliata, perché avrebbe dovuto dirigerli alla località Crocecchia per trovarsi innanzi ai banditi, e non dietro. E così per la seconda volta la fortuna aiuta Quagliarella e i suoi. Dopo alcune ore di corsa trafilata, i briganti eccitati si fermano per dividersi il bottino, Milone e i suoi uomini si avviano verso le terre di Muro Lucano. Quagliarella chiama a raccolta i suoi uomini, e dopo averci riflettuto, rende chiare a tutti le sue decisioni. È pericoloso tornare sulle montagne di Bagnoli perché è proprio lì che probabilmente li andranno a cercare; l’ultima salvezza è di rifugiarsi tra le montagne di Senerchia e passarvi il tempo necessario per far perdere le loro tracce. Tutti, confortati dalla buona riuscita della razzia, si affidano alla decisione e alle parole del loro capo, niente li può fermare ormai, e la lunga marcia ricomincia. Dopo un giorno ad andatura forzata, arrivati nel tenimento di Senerchia, trovano in una zona impervia e poco battuta delle grotte carsiche: lì si nascondono. Inizia un lungo periodo alla macchia. Prendono ogni accorgimento per non essere visti quando escono dal nascondiglio per andare a caccia di selvaggina e di cinghiali o a rifornirsi d’acqua. Trovano in un uomo di Senerchia un leale fiancheggiatore, che dietro lauta ricompensa, si rende disponibile a rifornirli di pane, legumi e fave secche, ma cosa più vitale di tutte, notizie sui movimenti dei gendarmi. I mesi trascorrono, ma la mobilitazione delle forze dell’ordine per la loro ricerca e cattura non sembra scemare. Così arriva l’inverno con la neve e il gelo. Gli uomini sono stanchi e febbricitanti e Quagliarella deve imporsi più volte con la forza su qualcuno che vuole abbandonare il covo per un rifugio più confortevole e più vicino a casa. Sono mesi interminabili, rinchiusi nelle grotte il tempo si è fermato, in un letargo forzato, i soli ricordi che li fanno trasalire sono quelli lontani, di casa, del profumo di donna ma aprendo gli occhi si ritrovano solo fredde pareti di roccia. Con l’arrivo della primavera torneranno verso Bagnoli e con i soldi del bottino potranno dimenticare le sofferenze di quei giorni, questo il pensiero ricorrente; bisogna resistere, pena la cattura e con essa l’addio agli agi sognati. La forza di questa voglia li tiene vivi, cercare di non cadere in preda al freddo o alla solitudine, la sola salvezza. Arriva la primavera e gli animi riprendono coraggio, l’uomo dimentica presto le sofferenze, la voglia di tornare a casa è troppo forte. Finalmente si parte.
Passano per il tenimento di Calabritto e da qui vanno verso Caposele. E’ il pomeriggio del 4 aprile dell’anno 1814. Man mano che le case di Caposele si avvicinano, gli uomini di Quagliarella diventano sempre più indisciplinati. Il brigante decide che non è prudente passare nel paese, i fatti troppo recenti e non è questo il momento di commettere errori, di rendere vani mesi di attesa. Ora si torna verso casa. I suoi uomini incattiviti da tanti mesi di desideri soffocati e sogni intensi, per la prima volta non sono uniti: la determinazione e il desiderio di una donna incontenibile. Di fronte a tanta insistenza Quagliarella li convince almeno a non attraversare il paese, ma a passare sulla parte alta e scendere poi a valle in corrispondenza delle sorgenti del Sele. Qui di sicuro potrebbero trovare delle donne. Come d’abitudine, le donne Caposelesi rientrano qualche ora prima del tramonto dalle campagne per preparare la cena e la prima necessità è rifornirsi d’acqua. Dopo la calata del sole ogni donna esce di casa con il barile in testa per andare alla fonte. Qui in attesa del proprio turno si raccontano i loro problemi e i loro sogni dopo una giornata di duro lavoro passata in silenzio. Quando i briganti giungono alle sorgenti del fiume, tra le donne ci sono anche due belle sorelle, Catarina e Carmena, mandate a prendere l’acqua dalla mamma che è rimasta a casa per allattare l’ultimo arrivato. Esse non hanno i problemi delle donne mature e sbirciano continuamente in ogni dove con la speranza di vedere loro corteggiatori. E’ ben si concilia quel loro stato d’animo vivace e irruente con lo spettacolo che offre la natura in quel posto: decine di fessure nella roccia calcarea spillano tanta acqua limpida, e sulla stessa roccia manciate di terra fanno fiorire bellissimi fiori multicolori; miracoli della natura. L’incantesimo è rotto all’improvviso con l’arrivo dei briganti che spaventano le donne. E’ un continuo di urla e fuggi fuggi ma due uomini raggiungono le due sorelle e le costringono a seguirli. Quagliarella, agitato e preoccupato della reazione dei Caposelesi, ordina ai suoi di dirigersi velocemente verso il tenimento di Lioni. Le donne, correndo verso il caseggiato, avvertono dell’accaduto chiunque incontrino prima di rifugiarsi in casa. Dopo una decina di minuti i cittadini armati di Caposele uniti ai legionari e ai gendarmi si mettono all’inseguimento dei banditi. Dopo qualche ora, arrivati in prossimità del tenimento di Lioni, trovano le due ragazze già liberate. Non è tempo di rientrare, devono tentare di catturarli vivi o morti: la caccia all’uomo continua. Si mettono alla ricerca dei banditi e poco dopo li raggiungono e li attaccano.Sono scambiati colpi di fucile per circa due ore ma non ci sono feriti in entrambi gli schieramenti, troppo distanti dalle pallottole che sibilano nell’aria. Calata la sera, ai Caposelesi non resta che rientrare in paese, le ragazze sono state liberate e con il buio non è prudente continuare l’inseguimento. Ormai lontani, i briganti sfuggono al loro destino… ancora una volta.
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Sport
OLIMPIA CAPOSELE…25 ANNI DI CALCIO
di Roberto Notaro
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uon anniversario Gruppo Sportivo Olimpia Caposele! Questa che sta per partire sarà la venticinquesima stagione per la nostra società. Pare ieri, quando sul campo di Bisaccia l’Olimpia partecipava al primo campionato provinciale della sua vita sportiva, quello Giovanissimi! Partiva la stagione 1986/1987 e vi partecipavano i ragazzi nati dall’anno 1972. Quella gara e quel torneo non ebbero grande fortuna, ma nella stesso anno la società partecipava al Campionato Provinciale Allievi (nati dal 1970) ottenendo un ottimo secondo posto, ma soprattutto al Campionato Esordienti (nati dal 1974) dove vinceva il raggruppamento Altirpino giungendo fino alle semifinali provinciali dove incontrava la US Avellino, allora militante nel Campionato di serie A di calcio! Quella stagione segnava l'inizio di una storia: quella della società giovanile irpina più longeva e tra le più vincenti della provincia. Il suo fondatore e presidente era Generoso Notaro che tutt’ora ne conserva saldamente la carica. Quanti campionati disputati da allora, non solo giovanili: infatti, l’anno successivo la squadra fu iscritta al Campionato di terza, ottenendo immediatamente il passaggio alla categoria superiore, dove sarebbe rimasta per oltre dieci anni. Ma per scrivere la storia completa di questo quarto di secolo non basterebbe, ovviamente, questo spazio offertoci dalla Sorgente che continua a mostrarsi sempre molto attenta alla nostra attività e per questo la ringrazio. Ci vorrebbe un libro e forse un giorno lo scriveremo. Qui posso solamente citare alcuni dei tanti momenti belli passati attraverso i miei occhi in questi anni: occhi di fanciullo che si metteva nella macchina del papà e andava sui tanti campi della provincia. Quegli occhi sono andati via via divenendo quelli di un ragazzo, poi di un uomo che hanno visto tanti amici giocare a pallone. Ma tanti; impossibile quantizzarli. Sfogliando l’album dei ricordo mi vengono in mente molte cose………… Ricordo, per esempio, le tante partite casalinghe giocate a Teora che ci ha ospitato per molti anni prima della costruzione del Palmenta e i derby agguerriti contro la squadra teorese, con gli occhi puntati sul campo e le orecchie rivolte a Tutto il Calcio Minuto per Minuto. Ricordo le chiusure difensive di Vincenzo e Massimo Zanca, o i tackle di Angelo Cetrulo, ricordo i gol dalla distanza col sinistro di Nino Milano e la calma appassionata di Giuseppe Proietto; Ricordo gli slalom e i diagonali di sinistro di Michele, o i gol di rapina di Gerardo, gli spunti vincenti di Angelo Lardieri, la grinta di Lorenzo Sozio, le giocate semplici di Gino Amendola. Ricordo i portieri di quegli anni: Salvatore Corona, Mario Nesta, Donato Peccatiello, Paolo Liloia, Batore Rosania. Ricordo gli allenamenti svolti a Valva che ci ospitò dopo Teora; ricordo ancora i gol di Davide Liloia, Platinì, e i tocchi felpati di Peppino Bruno, Graziella, e del suo erede naturale Willman Oxley. Ricordo tante cose ancora: i gol del bomber Massimo Chiaravallo, gli stacchi imponenti di Vincenzo D’Elia o le bordate di Tonino Acone. Ricordo la tecnica del Pibe Salvatore Meo e la potenza del nipote Giuseppe. Ricordo la tecnica di Sergio Greco e di Salvatore Conforti o la serenità di Pietro Cuozzo. Ricordo le rasoiate mancine di Gerardo Nesta (’71), le ripartenze dalla difesa di Gerardo Ceres
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(’71), la durezza difensiva di Gerardo Corona, Gioele Liloia, Nicola e Alfonso Russomanno. Ricordo la grinta di Enzo Malanga, di Alfonso Nesta, di Pietro Farina, di Ivan Melillo o di Tommaso Cibellis. Ricordo il bolide di Armando Grasso, Maverick, nella semifinale di Bagnoli Irpino appena “portato” in campo da scuola. Ricordo gli esordi sul campo di Caposele, finalmente pronto, finalmente in casa che vide anni di seconda categoria condotti al vertice tanto da raggiungere un secondo posto che ci permise di ottenere il diritto all’iscrizione in prima categoria. Ricordo la classe e la calma di Sabino Biondi che fu scelto da Generoso come chioccia per noi ragazzini del periodo e che ci permise di ottenere tante vittorie e di crescere. Ricordo le tante vittorie nel nostro raggruppamento nel Settore Giovanile raggiungendo tante semifinali, ma purtroppo mai la finale, tabù sfatato alla grande negli ultimi anni. Ricordo i tanti bomber di quei campionati oltre ai già citati, come Gerardo Grasso e Salvatore Malanga o come Gerardo Nisivoccia (’80) o altri ancora. Ricordo lo spirito battagliero di Agostino Merino e le geometrie di Luciano Rosania e di Lorenzo Merola. Ricordo la classe di Thomas Cibellis e Raffaele Grasso, le uscite a valanga di Nicola Melillo o la tranquillità tra i pali di Massimo Cetrulo. Ricordo soprattutto lo spirito e la disciplina che ha sempre caratterizzato l’Olimpia in questi 25 anni, facendoci portare a casa tante Coppa Disciplina. Ricordo i volti e i gesti di persone che hanno fatto parte dell'Olimpia e che oggi non ci sono più. Ricordo i derby contro la Caposele Tour di Gerardo Casale di fine millennio. A partire dai primi anni del 2000, dopo una quindicina di campionati di categoria, l’Olimpia ha fatto la scelta di dedicarsi solamente al settore giovanile, cercando di diventare una eccellenza e un punto di riferimento a riguardo. Tanti momenti, culminati poi nei due titoli provinciali ottenuti nel 2008 e nel 2009 e la storica partecipazione al campionato regionale dello scorso anno con l’aggiunta della vittoria della coppa disciplina: questi non sono ricordi, ma immagini nitide della mia mente di gioie condivise con ragazzi perfetti e vincenti che rappresentano il presente e il futuro. Questa venticinquesima stagione che è appena partita, vede la società impegnata nella Scuola Calcio con le categorie “Piccoli Amici” (6-8 anni), “Pulcini” (8-10 anni), “Esordienti” (10-12 anni) che disputano il Campionato di Categoria Provinciale sotto la guida del sottoscritto, Massimo Cetrulo, Salvatore Malanga, Gerardo Grasso come tecnici. Quel bambino che ha battuto la palla al centro sul campo di Montella, nella prima vittoriosa trasferta del campionato Provinciale di quest’anno però, non si è reso conto di ciò che ha fatto: ha mosso un pallone dopo un quarto di secolo, un ragazzino nato nel 1999! Prima di lui lo avevano fatto con noi dell’Olimpia altri nati nel ’95, nel ’90, nel ’85, nel ’80 nel ’75, nel ’70 nel ’65, nel ’60 o addirittura ancora prima! Un arco di cinquanta anni! Quanti casi ci sono di bambini e ragazzi che giocano con noi i cui genitori erano scesi in campo prima di loro con la nostra maglia. A quante mamme e a quante mogli dobbiamo un grazie per la pazienza che hanno avuto in questi anni nei quali le abbiamo costrette a svuotarci borsoni disordinati e pieni di tutto: come mamma Concetta che in questo quarto
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di secolo ne ha “lavati di panni”, ne ha preparati di termos di thè e altro ancora. Ma credo che per lei, così come per tutte le altre donne dell'Olimpia, le soddisfazioni abbiano prevalso. A chi ha fondato questa società, a chi le diede questo nome venticinque anni fa e l'ha portata avanti in questi anni, a Generoso, forse non piacerà tutta questa esaltazione, questa pubblicità fatta a una creatura fatta crescere solo per la gioia di farlo. Ma è giusto, secondo me, ricordare tutto questo. Come è giusto ricordare i suoi tanti compagni di viaggio . Ovviamente Donato Sista, Angelo Caruso, poi Raffaele Del Malandrino,
Giuseppe Malanga, Luigino Iannuzzi, Gerardo Sista, insieme a tanti altri amici che hanno voluto bene a questo squadra. Non cito tutti gli sponsor e gli affezionati degli ultimi anni che ho menzionato negli articoli relativi alle vittorie degli anni passati, ma è chiaro che l'affetto e la gratitudine della società va anche a loro con immutata gratitudine. Attualmente il mio e il nostro obiettivo resta quello di portare avanti questa società fin quando ci sarà possibile, coscienti del fatto che l'Olimpia Caposele non sia solo una delle più importanti società calcistiche del panorama provinciale e regionale, ma oramai, un pezzo di storia del nostro paese.
Autobiografie
gente
Gente di CAPOSELE da San Remo
“Gente di Caposele” è la nuova rubrica aperta a tutti i Caposelesi sparsi in ogni parte del mondo. Trattasi di biografie spontanee pervenuteci senza al cuna pretesa giornalistica, ma al solo scopo di far conoscere la vita, l’attività e quant’altro ritenuto utile alla nostra comunità. Invitiamo tutti coloro che hanno qualcosa da dire di inviare le loro lettere, corredate di una o più fotografie, al seguente indirizzo di posta elettronica: periodicolasorgente@gmail.com oppure scrivere a: Redazione “La Sorgente” via Roma 26 83040 Caposele
Alfonso Ilaria da Acerra
Egregio Direttore,
da Limone sul Garda
Michele Russo Ho sessanta anni e sono sposato con Giuseppina Gonnella. Sono emigrato a San Remo nel lontano 1971. Esercito qui il mestiere di muratore piastrellista. Sono molto legato a Caposele dove mi reco almeno due volte all’anno oltre che per vedere i miei, ma anche perché attratto dalle bellezze del nostro paese. Mio figlio è nato a Caposele; all’età di 7 anni ha lasciato anche lui il paese natio per approdare a San Remo. Avevo 17 anni quando emigrai in Svizzera dove vi restai per tre anni. Rientrai a Caposele per ragioni di leva militare e dopo un anno circa emigrai definitivamente a San Remo, dove ho comprato casa e dove mi sono perfettamente inserito. Nutro da anni un gran desiderio: poter fare una rimpatriata con tutti i miei compagni di scuola di cui ricordo in particolare il dott. Salvatore Russomanno che saluto caramente. Mi auguro che gli altri compagni si facciano sentire e poter realizzare con loro questo piacevole incontro.
Sono Michele Russo “Lu scigliatu”. Risiedo da molti ann i a Limone sul Garda. Qui mi occupo di trasporti (noleggio auto con conducente), Auto blu per VIP e turisti. La Tour- Garda- Service di cui faccio parte, nasce da un’unione di imprese di trasporto pubblico. Le quali, dopo anni di servizio hanno capito la forza di un’ unione di intendi e di mezzi distribuiti su tutto il territorio del Garda Trentino-Bresciano e Veronese, legando così Lombardia, Veneto e Trentino con lo scopo di offrire all'utente una tempestività e qualità di servizio. Disponiamo di autisti capaci e preparati: ognuno di loro proviene dal settore di trasporti professionali, dotati di patenti professionali e superiori e, con serietà e competenza, sono in grado di offrire un viaggio nel massimo confort e sicurezza. Gradirei che vi ricordaste che sono ancora un Caposelese. Vi mando i miei saluti da un posto meraviglioso e cioè dal "Lago di Garda". Michele
Sono anni che ricevo la vostra pubblicazione “ La Sorgente “. Ogni volta che vedo la sua copertina nella posta, avverto una sensazione di immenso piacere e mi tuffo letteralmente nella sua lettura. Riscopro, così, linguaggi, cognomi, narrazioni storiografiche e di costume locale di cui la mia prima formazione è intrisa, anche non essendo caposelese di nascita. Appartengo però a una famiglia che ha sempre avuto Caposele nel cuore sia per nascita che per parentela acquisita. Mia nonna era la storica Mica, ostetrica che ha gestito le nascite per più di 50 anni e la cui presenza ha orientato le mie scelte professionali. Sono tanti gli affetti familiari che mi legano a Caposele, per cui assaporare quell’aria così tradizionale e rispettosa del passato di cui è intriso il giornale per me è fonte di immenso gradimento. Sono onorato di avere la Vs pubblicazione e di poter contribuire al suo sostentamento Raffaele Caggiano
da Bordighera
Mario Albano
Mi chiamo Mario Albano e sono nato a Caposele il 2 luglio 1944. Avevo tre anni quando mio padre Michele, scalpellino, primo di undici figli , ci trasferì al Nord vicino a San Remo. Purtroppo non ho mai visto il mio paese. Qualche giorno fa un mio amico di Calabritto mi ha regalato il giornale “La Sorgente”. Con le lacrime agli occhi per la commozione ho visto, unitamente alle mie sorelle Carmelina e Alfonsina, tante cose del mio Paese. La mia vita è stata molto dura: perdetti mio padre che aveva solo 52 anni. A otto anni incominciai a lavorare, a tredici anni ero già una promessa del calcio ed a 15 anni approdai nella giovanile del Milan. Però, quando a 18 anni dovevo debuttare nella prima squadra, mi ruppi tibia e perone più la caviglia. Si infrangeva così il mio sogno di calciatore. Dopo un anno ripresi a giocare in serie C1 con la Sanremese. Successivamente ho fatto l’allenatore fino al 2004 vincendo il campionato ligure regionale battendo Genoa e Sampdoria. Adesso, all'età di 67 anni sono nel direttivo tecnico in C2. E’ con vero piacere che ho visto la foto dei ragazzi dell’Olimpia Allievi. Io ho avuto una ditta di Marmi di arte funeraria che ho dovuto cedere per ragioni di salute mia e di mia moglie. Ma per grazia di Dio sono ancora in vita e, se ne avrò la forza, in primavera verrò insieme a mio figlio, scienziato e fisico nucleare in America , a vedere il paese dove sono nato. … Adesso termino questi pochi righi inviandovi un po’ di foto del mio calcio con gli auguri per i migliori traguardi e vittorie per tutti i giocatori caposelesi. Vi invierò pure 10 palloni biancocelesti della Sanremese con la foto di C2. Tanti saluti e arrivederci Mario Albano
Prof. Eugenio Russomanno
Mi voglio e mi devo presentare alla comunità di Caposele. Mi chiamo Eugenio Russomanno; sono figlio di Pietro Russomanno, di Caposele, e di Maria Giovanna Montesarchio, di Acerra. Ho un fratello, Ignazio. Sono nato nel 1968 quindi ho 42 anni. Nel mio curriculum studiorum ho seguito 2 strade parallele ma convergenti: da una parte il Liceo Classico e poi la Laurea in Lettere con una Tesi sulla filosofia della musica, dall’altra il conseguimento del Diploma di Pianoforte. Dopo aver vissuto ed insegnato 15 anni nella provincia di Viterbo, dal corrente anno scolastico abito a Caposele ed insegno materie letterarie nella scuola media statale di Lioni. Ho tendenza alla creatività: fin da giovane da autodidatta mi sono cimentato con la composizione musicale e la pittura. Ho pubblicato: un volumetto sui Santi di Viterbo, un volumetto sui Santi Patroni di Acerra, un volumetto sul Pianoforte. Coltivo la passione del giornalismo: tra le varie testate ricordo una settennale collaborazione con «L’Osservatore Romano». Sono di Comunione e Liberazione, il movimento cattolico fondato da Mons. Luigi Giussani. Ho espresso al responsabile di CL di Napoli e della Campania il desiderio di formare un gruppo intitolato a San Gerardo Maiella. Grazie Eugenio Russomanno
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Politica
IL TERREMOTO E I SUOI EFFETTI: RACCONTO DI UN TERREMOTATO di Giuseppe Malanga
Quest’anno mi sono soffermato moltissimo, come mai prima, a riflettere sul Terremoto che ha colpito l’Irpinia e l’alta Lucania il 23 novembre di trent’anni fa. Il mio ricordo ovviamente non percorreva la catastrofe di quei giorni, la confusione, il senso di fine che si provava, la tragica scomparsa di tantissimi nostri concittadini, perché a quell'epoca avevo solo 19 giorni. Ho cercato invece di rivedere tutto quello che ho vissuto sia a livello personale, sia come parte della comunità colpita dal sisma, negli anni successivi, fatti di racconti, di vicende, di leggende e soprattutto di emozioni forti, che ancora oggi provo. Stando ai racconti dei miei genitori, io sono salvo quasi per miracolo, e in un paese religioso come il nostro, credere al miracolo non è cosi inusuale; io continuo a farlo, seppur in un modo del tutto personale e intimo (almeno fino ad oggi). Il miracolo io lo posso raccontare e come me moltissimi altri, ma purtroppo non tutti. Di certo il sisma ha lasciato in molti di noi un velo di tristezza generalmente condiviso, che non ha risparmiato nessuno, e che ha soffocato invece molte persone per la perdita dei propri cari. Il mio ricordo più forte non è un episodio, ma una sensazione che ho sempre percepito, seppur in misura minore col passare degli anni, nelle persone che raccontavano esperienze vissute in quel periodo. Sentir parlare chi ha vissuto un evento tragico come il terremoto ti lascia senza fiato, senza possibilità di trovare una parola giusta, per quanto grande è la percezione di terrore e sconforto. Alcuni ne parlano anche in modo un po' più fiero per quello che hanno potuto dare alla comunità nei giorni successivi e per la possibilità di raccontare di aver vissuto un fenomeno di quella portata. Cercando di accantonare per un attimo le emozioni che questo argomento sempre mi genera, voglio provare a rivivere in poche righe il post terremoto, fatto di momenti di unione, di aiuto reciproco, di condivisione, ma anche di speculazione, di arrivismo e di invidia. Parto dall’immediato post terremoto, quando si viveva accampati e quando si cercava di sopravvivere grazie agli
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Il Santuario di San Gerardo distrutto dal Terremoto del 1980
aiuti che arrivavano numerosi da ogni parte d’Italia. In quel frangente prevalevano sentimenti buoni, anche se tragicamente spiacevoli, visto il contesto. Ci si aiutava a vicenda, si condivideva il dolore con le persone che avevano perso parenti e amici, si cercava una strada comune per ripartire e per ritrovare un po’ di quella vita che ci era stata tolta. Mi raccontano spesso di quei tanti volontari che spalavano da mattina a sera senza sosta, della solidarietà che il paese intero ha mostrato, delle commuoventi situazioni di festa che si provava a rivivere dopo qualche tempo, per non rinunciare a ciò che il destino ci aveva tolto. Ho sempre in mente l’immagine della foto durante il mio battesimo, qualche mese dopo il sisma, quando eravamo tutti raccolti durante la celebrazione, ma nel volto della gente ancora prevaleva un velo di sconforto. Tutto ciò ha creato in noi una forza che ci ha permesso di risalire la china e di riprendere il cammino che ora, seppur con mille difficoltà e troppi passi indietro (specie negli ultimi 5 – 10 anni), stiamo ancora percorrendo. Tuttavia, c'è da raccontare anche la spinosa questione legata alla ricostruzione e a tutto quello che ha comportato. Per dire la mia su questo argomento, voglio partire
da oggi, 30 anni dopo il clisma, da quello che siamo, da dove siamo e da dove vogliamo andare, cercando di ripercorrere a ritroso le ragioni di questo nostro status attuale. Oggi Caposele è uno dei paesi più ricchi dell'Irpinia, sfrutta ma non completamente le sue enormi ricchezze e beneficia di un dono che qualcuno molto in alto ci ha lasciato, anche se ciò non compensa del tutto quello che il sisma ci ha tolto. Mi riferisco principalmente alla presenza del Santuario di San Gerardo, che tanto lavoro, benessere e sviluppo ha dato al nostro comune, ma anche alla presenza delle sorgenti del fiume Sele e all’acquedotto pugliese. Volutamente li ho chiamati “doni" perché spesso ci dimentichiamo di quanto siano importanti, sebbene non valorizzati come si potrebbe, talvolta persino annientati nelle loro potenzialità, ma di certo sempre utilizzati e sfruttati come fonte di sostentamento per la nostra comunità. Ma Caposele non può e non deve essere solo questo. C'è stata la difficile e lunga ricostruzione post terremoto, che è durata quasi trent'anni e che solo oggi può definirsi terminata, con tutti gli strascichi di polemiche e sprechi che si sono succeduti negli anni. Di certo c'è chi ha beneficiato, e non poco,
La Chiesa di san Lorenzo distrutta dal terremoto del 1980
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di tutto questo disordine e del senso di bisogno che invadeva il paese, di certo c'è chi si è cullato su questo aspetto per avere sempre una scusa da porre alla mancata voglia di accorciarsi le maniche. Qualcuno scriveva tempo fa che solo il 60 % degli stanziamenti a favore delle popolazioni colpite, sia stato effettivamente utilizzato per ricostruire, ed è inutile chiedersi che fine abbiano fatto i denari non impiegati nel modo giusto. Le risposte non sono io a darle, ma penso che ciascuno di noi abbia in modo più o meno palese espresso la sua opinione in tal senso. Oggi, si può ammettere che tutti abbiamo una casa decente, e le poche eccezioni rientrano nella media che tutta l'Italia si porta dietro, quindi non le riconduco al sisma o ad altri fenomeni assurdi. Secondo il mio modesto parere, questo aspetto è il principale elemento da considerare quando parlo di una comunità fortunata a cui vengono comunque garantiti i bisogni primari. Per concludere, mi sono chiesto, dove vogliamo andare, quale direzione abbiamo deciso di intraprendere. Non mi riferisco a nessun aspetto in particolare e credo che non sia l’uno o l’altro singolo attore a determinare la strada da percorrere, anche se insignito di pubblici poteri. Il nostro destino lo decidiamo noi, lo abbiamo fatto in passato, nonostante il sisma, e lo dobbiamo fare ancora ora. Di schiaffi in faccia ne abbiamo presi tanti, oltre al terremoto; la prematura scomparsa di giovani amici (per tragiche fatalità o per qualsivoglia altro motivo, più o meno grave) che potevano garantire un futuro migliore al nostro paese ne è l'esempio più grande. The show must go on cantavano i Queen. Ecco questo voglio pensare che sia il nostro obiettivo, continuare a lottare, a creare, a produrre, ad esser vivi, a far di tutto per vivere bene e per crescere come paese e come singoli. Solo in questo modo, evitando futili discussioni e perdite di valori importanti, possiamo ancora pensare che abbiamo una strada da percorrere e non possiamo additare ancora il Sisma come il motivo alla base delle nostre difficoltà attuali. Un pensiero speciale per tutte le vittime e per le famiglie colpite maggiormente dal pesante terremoto.
Storia
I BENI DELLA CHIESA DI MATERDOMINI NEL 1580
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ell’Archivio Arcivescovile di Conza è conservato un documento la cui consultazione è imprescindibile per chi voglia fare luce su quella che è la storia locale di un comune come Caposele. Si tratta degli Atti della Visita pastorale che l’arcivescovo Marco Antonio Pescara fece alla sua diocesi nel 1580. Delle trentaquattro pagine dedicate a Caposele ben otto riguardano la sola chiesa di Santa Maria Materdomini. Era il 25 novembre 1580 quando l’Arcivescovo, dopo aver recitato l’ufficio divino con il clero caposelese, “accessit ad Venerabilem ac devotissimam Ecclesiam Sanctae Mariae Matris Domini”. Dopo aver reso omaggio alla Vergine, posta sotto un baldacchino fatto di sete preziose, iniziò la visita alla chiesa e alle stanze che vi erano annesse e che servivano al custode e a tutti quei pellegrini che, numerosi, accorrevano dalla Valle del Sele sulla collina per pregare la Vergine specialmente nel giorno della festa, ovvero l’otto settembre di ogni anno. Alcune fonti riferiscono dell’esistenza della chiesetta già a partire dal 1200. Essa non era originariamente conosciuta, come alcuni erroneamente indicano, con il titolo di Santa Maria de Silere, dato che a questo titolo corrispondeva una chiesa risultante distrutta già dal 1600 e sita nella zona di confine tra Caposele e Calabritto. La chiesetta sulla collina, da che i documenti iniziano a citarla, è indicata sempre con il titolo di ‘Mater Domini’. Dalla visita pastorale a questa chiesa emerge un nutrito elenco di beni che nei secoli erano stati donati dai fedeli alla Madonna. Questo articolo, perciò, senza volersi dilungare su aspetti meramente religiosi relativi alla disciplina ecclesiastica di quel tempo circa le visite pastorali, si limiterà ad offrire al lettore l’elenco completo di queste sostanze legate alla chiesa di Materdomini. Riporto il testo così com’è stato redatto, in italiano locale di quel tempo. Mi limiterò soltanto a rendere per esteso le parole abbreviate e, tra parentesi, la traduzione in italiano corrente, qualora la parola riportata risultasse oscura ad una prima lettura. Non sempre è stato facile capire la grafia del Segretario di Mons. Pescara, per cui mi si scuserà se per alcuni termini non sono riuscito a dare un’interpretazione conforme all’italiano corrente. Per tali termini oscuri riporto tra parentesi la parola così come da me compresa seguita dal punto interrogativo, o, qualora la parola risultasse essere proprio illeggibile, i tre puntini sospensivi al posto di essa. Purtroppo nella consultazione delle fonti non sempre tutto risulta essere totalmente chiaro. «Intu [nella] Ecclesia
Octo intorce [torce] grandi tale quali ne so [sono] due più grandi dell’altre. Vintiquattro intorce bianche appese in fronte alle colonnelle de Sancta sanctorum [la parte della chiesa dov’era il tabernacolo]. Intorce communi e piccole appese numero cento settantasette. Voti de cera assai. Quaranta tabelle de voti de gratie [grazie] recevute dalla Madonna Santissima in detta Ecclesia. Diece voti d’argento, taliquali n’è uno grandi co’ l’Imagini de due [avane?]. Una corona d’ambre [ambra], una incerta de coralli, un’altra incerta piccola de coralli con la crocettina. Due ciccaglie [monili non identificati] d’argento. Sei para [paia] de circelli [monili] d’argento basso, cinque circelli de donna all’usanza de Theora [Teora]. Cento cinquanta cinque campanelle d’argento basso [di bassa qualità]. Una mazza ferrata. Due [celate?] de ferro. Un paro [paio] de guanti de ferro. Diece mannili [piccoli panni per uso liturgico] usati. Una tovaglia longa, con un pannicello de donna. Due tovagliole di collo de donna. Un altro tovagliolo [cingaresco?]: sette veli novi fini tra li quali n’è uno grande. Nove tovaglie lavorate de seta negra e rossa coscite [cucite] insieme quali panno per baldacchino sopra la Madonna. Un paro de maniche de velluto negro vecchie. Un paro de maniche spezzate de raso torchino. Uno sicchio [secchio] de rama [rame] per l’acqua.» Segue la descrizione delle cose presenti nell’edificio accanto alla chiesa: «Dentro una camera: Quindici tomola de grano. Una cascia vecchia con mezzo tomolo de cecerchie. Una pala de legno, due campanelli d’attone [ottone]. Una tavola da magnare chiecatora [pieghevole] con li piedi. Una lettera [base per il letto] de letto con li piedi saldi, sei seggie. Alla cocina [cucina]. Quattro accette [piccole asce] cioè una grande e tre piccole. Due ronche una grande e una piccola. Due frissore [padelle] una nova e una vecchia. Due caldare [pentoloni] una piccola e una grande. Una paletta de ferro. Due zappe, due zappelle. Una grattacaso. Tre cocchiare de ferro, cioè una piana e due scumarole, sette pignate de creta. Vinti uno [ventuno] piatti de creta tra piccoli e grandi, due taglieri de legno. Un cernicchio. Una seta de cernere farina, due banchi grandi, due segge, una catena de ferro, tre tovaglie de mano usate. Una tavola de magnare con due piedestalli. Uno speto [spiedo] de ferro. Uno scanno longo da sedere e tre piccoli. Una cassa da tenere robba da magnare, sei arciuoli [orciuoli]. Una mazza de ferro. Un palo de ferro. Un pocone [piccone] de ferro. In un altra camera: Tre cascioni [grandi casse di legno per
conservare il grano] pieni de grano. Un altro cascione con quattro tomola d’orgio [orzo] in circa. Tre pezzi de lardo. Quattro pressati [soppressate]. Un otre de tener oglio. Due giarre da camera. Una cascia vecchia, due barrili vecchi. Dentro una cassa nella predetta camera sono le robbe infrascritte. Novanta tovaglie lavorate de seta de diversi colori grandi e piccole nove e usate nelle quali se c’include una [faccie de reglieri?] lavorato de filo russo.Dodici [faccie de reglieri?] lavorati de seta e filo rosso usati e altri colori per due altri reglieri. Quarantauno moccaturi [fazzoletti] lavorati de seta e alcuni de filo con frange attorno non se consumano dentro una [facce de reglieri?]. Una tovaglia in quattro lavorata de seta torchina con lettre intorno. Dodici veli de seta de diversi colori. Dentro un’altra cassa. Una robba de raso negro usata con trenette de seta intorno infiorrata [infiorata] de taffetta [taffetà] negra intagliata. Ottantaotto tovaglie [cengaresche] seu [o] moresche lavorate de seta de varii colori e de filo nove e vecchie. Uno mannile de bambace [bambagia] lavorato de seta negra. Sei palmi de taffetta bianco usato. Due veli seu zeppetelle uno listato d’argento e l’altro de seta. Una fascitella de velo. Cinque moccaturi lavorati usati de diversi colori de seta. Cinque cinti [cinture] de seta verdi e rossi. Dentro un’altra cassa Quindici lenzole nove e usate con reticelle torchine de bambace e de filo russo. Undici pianete de tela nove e usate con le croci de diverse colori. Due vestimenti fini per due messe. Una pianeta de damasco bianco con la croce de damasco rosso usata. Due stole e tre manipoli de seta. Uno manipolo usato de taffeta bianco. Una stola de raso negro. Un parato d’altare de tela bianco con una reticella bianca de filo. Uno moccaturo lavorato de seta rosso. Uno cammiso con l’ammitto tantum. In un’altra camera. Uno saccone. Un secchio de rama vecchio. Una scanna vecchia, una rete de pecore vecchio due reticelle de portar paglia. Uno letto con due matarazzi pieno di capizzi [rivestimento delle pannoccchie], due lenzole con una coperta de lana. Uno [prommazzo] pieno de penne. Una lettera con due piedistalli. Sei barrili vecchi. Tre tavuole di [...]anno in facce alle mura. Uno mazzo de corde, uno rotolo de [...]rine e un altro de stoppa. Una cassa, tre tovaglie, un altro paro de lenzole. Una tovaglia grande lavorata de filo bianco. Due frontiere de muli de panno rosso. Tre ful[...][...]. Dentro un’altra camera. Ci sono da quindici pese [pezze] de
di Mario Sista
formaggio in circa e de recotte. Un paro de casicavalli. Due giarre vacanti però in una de dette giarre ci è circa mezzo quarantino d’oglio. In un’altra camera Uno letto con due matarazzi pieni de lana, due lenzola, due [reglieri?], uno [sproviero?] de tela bianco, e una coltra bianca. Quattro segge, una tavola da magnare, due lenzole dentro una cassa. Una tovaglia lavorata de seta negra, un’altra tovaglia listata de bambace torchesa nova. Una tovaglia grande lavorata de filo bianco, una tovaglia per l’altare con una [pagarella?] de bambace torchino nova. Una pala de ferro rotta. In un’altra camera Deceotto [diciotto] rotola [antica misura di peso] de lana gentile. Trenta rotoli de lana bianca moscia. Quattro rotoli de lana negra. Una giarra grande vacua. Un peso de bilance de legno grande. Nel cellaro [cantina] Cinque botti, delle quali una e grandi piena de mosto, due piene de [nequato?] e le altre vacanti. Una scala, un paro de barrili. Una corda. Un muto grande [...] per imbottare. Quattro tavole. Vestimenti. Una pianeta de seta con la croce de taffeta torchino. Un cammiso [camice] un amitto e una stola de tela. Una pianeta de tela bianca con una croce de velluto negro circondata con [zagarella?] rossa. Una stola, uno amitto, e un manipolo de tela. Un vestimento finito con la pianeta con la croce de taffeta verde e il resto tutto de tela. Una [soppellezza?] nova. Un parato d’altare de damasco rosso e giallo con la frangia intorno verde e gialla. Un parato de velluto figurato rosso e giallo usato. Un altro parato di neropelle. Un cammiso con l’amitto de tela rossa novo. Una stola de panno rosso. Una pianeta de damasco nova bianca con la croce de damasco figurato bianco con passamano e pizzilli attorno rosso e bianco: due tonacelle nove del medesmo ornamento con le frangette intorno gialle e bianche e li fiocchi de seta rossi e bianchi. Alla Grotta dentro la Terra de Caposele quattro botti piene de vino. Due bovi allo campo. Una bacca [vacca] a l’herede appresso quale l’ebbe da Aniballe della Porta. Una bacca la tene a [Caproprezzo?] Fabio Ceres per ducati diece. Una jenca [giovenca] a Senerchia con l’herede appresso. Una polleta a [Caproprezzo?] [somerina?] la tene Amato Cetrulo per ducati cinque. Un’altra polleta [somerina?] la tene Giovanni de Vito a [Caproprezzo?] per ducati sei. Una somarra [somaro] la tene Donato Scipiune Cetrulo che l’hebbe da Meo de Trippa. Docento sessanta pecore in comune con Francesco de Popolo, Rogiero de Arebuccio e Donato Zaco secondo appare per l’istromanto fatto per mano del Egregio Notaro Petito della Rosca, della Città de Nusco habitante in detta Terra de Caposele».
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Politica
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ATALE ! Ritorno con la memoria agli anni passati, tanto lontani, in cui ero bambino. Natale a Caposele era il momento dell’anno più bello, in cui ci sentivamo tutti fraternamente amici e ci si voleva bene, senza distinzione di classe e famiglia. Già dai primi di dicembre, le case fervevano di lavoro per preparare l’angolo dove costruire il Presepe, che nelle famiglie diventava uno degli impegni più importanti, che coinvolgeva grandi e piccini, allo scopo di realizzare un’opera più aderente possibile all’immaginazione tradizionale e che rispecchiasse il sentimento religioso per la nascita del Salvatore.. La creazione del Presepe diventava una nobile gara di abilità e capacità che con orgoglio si faceva poi ammirare ai compaesani.. A casa mia, nella sala da pranzo, prendeva lentamente forma il paesaggio che ricordava le nostre montagne, in cui veniva inserita la grotta della Natività.
N A T A L E AL MIO PAESE Indirizzati da nostra madre, collaborata dalle sorelle più grandi, noi bambini ci divertivamo a sistemare pastori e pecore., in un’atmosfera carica di attesa per le ormai prossime festività. Quando nostro padre tornava dai suoi frequenti viaggi a Salerno dove vivevano i nonni materni, gli correvamo incontro, curiosi di verificare se avesse acquistato nuovi personaggi per il nostro Presepe. Ed era una lotta per accaparrarsi le statuine e collocarle secondo la nostra fantasia accanto a laghetti e torrenti, realizzati con piccoli specchi e carta argentata!... Era una corsa col tempo, perché tutto doveva essere pronto prima che arrivassero dalle montagne vicine gli zampognari. Nei vicoli del paese si diffondeva il suono delle zampogne, preceduto da un gruppo di musicanti della Banda di Materdomini. Entravano in tutte le case, si disponevano davanti al Presepe e intonavano i canti di
Natale. Si offrivano dolci e vino novello. Noi bambini ne approfittavamo per gustare in anticipo i dolci natalizi. Che delizia i mostaccioli, i roccoccò, i monachini, i taralli di nostra madre!... Ed ecco il Santo Natale. Dopo il ricchissimo cenone della vigilia, ci recavamo nella Chiesa Madre per partecipare alla celebrazione della S.Messa. La lunga predica del nostro parroco ci introduceva al momento più sacro delle Feste: la nascita di Gesù. Tornavamo stanchi e infreddoliti a casa e l’indomani mattina, nelle prime ore, correvamo, ancora scalzi e insonnoliti, vicino al focolare dove trovavamo i regali di Natale. Nostra madre era già alle prese con la preparazione del tradizionale pranzo natalizio, aiutata dalle donne che vivevano con noi. Il profumo del ragù per condire i ravioli e le tagliatelle già si diffondeva in
di Vincenzo Di Masi
tutta la casa… Il cappone con patate era già pronto per essere portato al forno e le mie sorelle erano impegnate a imbandire la tavola. Ricordo che eravamo tanti. Il vino rosso e bianco fatti da mio padre , attinti generosamente dalla cantina sottostante, rendeva l’atmosfera allegra e serena. La giornata si concludeva con una spensierata tombolata, alla quale partecipavano anche amici del vicinato. Questo dolce periodo natalizio lo si viveva con semplicità in tutte le famiglie di Caposele. Chi poteva aiutava chi era in difficoltà. Nessuno quel giorno rimaneva solo…
Proposta di convenzione AQP-Comune di Caposele elaborata dal Circolo PD di Caposele in data 26/11/2010
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aposele è il paese che ospita il bacino idrografico più grande d’Europa, dissetando l’intera Regione Puglia (con oltre 4 milioni di abitanti) e parte dell’Alta Irpinia. Tuttavia non ha e non ha mai avuto alcun vantaggio socio-economico da parte degli Enti e Istituzioni preposti. È da premettere che il trasferimento della nostra ricchezza ha danneggiato fortemente l’economia esistente a cavallo del XIX e XX secolo basata sull’artigianato e l’agricoltura; diversamente oggi il nostro paese sarebbe stato una comunità ricca di attività artigianali e agricole, nonché una forte attrattiva per il turismo collegata a quello religioso di Materdomini. Sarebbe giusto e sacrosanto che il danno subito venga risarcito da chi di dovere ai Caposelesi, che sono stati privati della loro cultura e tradizione consolidate negli anni. Allo stato attuale si è giunti all’ennesima convenzione che vede l’imminente scadenza nell’anno 2012. In proposito si evidenzia l’interesse dell’AQP a definire con urgenza la questione delle nostre acque e infatti ha predisposto una bozza di convenzione sottoponendola all’Amministrazione Comunale di Caposele. In ogni caso le convenzioni sviluppate in precedenza hanno il loro valore e non devono essere annullate. E’ molto importante a questo proposito far riferimento all’accordo stipulato circa un secolo fa tra il Comune di Caposele e l’allora AP, il quale prevedeva che alla cittadinanza caposelese fossero destinati 363 l/s di acqua. Successivamente a causa di un maggior fabbisogno idrico da parte della popolazione pugliese nato durante la seconda guerra mondiale, il comune di Caposele fu costretto, nonostante sommosse cittadine, a cedere i suddetti 363 l/s alla Puglia per un periodo di settanta anni, ovvero fino al 2012, ed è giusto che ora i
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LA CONVENZIONE
detti quantitativi ritornino legittimamente ai Caposelesi. La Sezione del PD di Caposele, sensibile alla questione dell’acqua e avendo avuto copia della bozza di convenzione, ha rilevato che l’offerta dell’Ente alla cittadinanza di Caposele è da ritenersi del tutto inadeguata e non corrispondente alle attuali esigenze locali. Il Partito ritiene di dover fare le opportune e necessarie opinioni allo scopo di raggiungere, nei limiti del possibile, una base di accordo quanto più prossima alle esigenze del cittadino caposelese, aspirazione più che legittima per un futuro migliore dell’intero territorio. In merito alla proposta di convenzione dell’AQP, si evidenzia l’assenza di tutto ciò che la comunità dovrebbe ottenere, onestamente e legalmente, in riferimento alle condizioni sociali ed economiche più vantaggiose. Gli obiettivi che il partito si pone sono di arricchimento alla convenzione che l’Amministrazione Comunale sta elaborando. In sintesi il PD propone alcune considerazioni e proposte presentate nell’incontro con la cittadinanza, grazie alla quale si sono succeduti diversi interventi che hanno arricchito e perfezionato alcuni punti: - La convenzione da sviluppare non può esistere fino al 2018, come sottolinea l’Art. 1 della proposta dell’AQP, ma deve essere perpetua; -Un buon rapporto tra Enti può esistere qualora sia presente una forte sensibilità sul piano occupazionale giovanile che salvaguardi l’occupazione in essere sia con l’Ente AQP sia con società collaterali.
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Inoltre è necessario creare le condizioni ai giovani di Caposele al fine di poter partecipare ai concorsi presso l’Ente AQP con un punteggio aggiuntivo da attribuire a coloro i quali hanno residenza stabile nel Comune di Caposele; -Sarebbe opportuno che nel Consiglio Generale di Amministrazione dell’AQP ci fosse un nostro concittadino, regolarmente eletto dal Consiglio Comunale, a rappresentare il Comune di Caposele; -È necessaria l’istituzione di un comparto tecnico manutentivo del territorio Comunale di Caposele per creare lavoro e occupazione locale, anche al fine di rilasciare autorizzazioni per la visita delle sorgenti e di tutto il territorio limitrofo. Sono altresì necessarie la sistemazione a Parco della zona Saure, essendo adiacente alla località cantine e al campanile della Sanità, punti storici e culturali, e la sistemazione della palazzina per creare un museo storico ed un ufficio per la porta del parco dei “Monti Picentini”; -Realizzazione di un laboratorio di analisi chimico/batteriologico e conseguente nascita di un’industria per l’imbottigliamento dell’acqua, necessaria per lo sviluppo economico ed occupazionale del territorio; -Costruzione di un impianto di depurazione per l’eliminazione di eventuali presenze tossiche nell’acqua (arsenico), da far gestire all’Amministrazione Comunale; -Realizzazione della centrale idroelettrica per l’utilizzo dell’energia elettrica a titolo gratuito per gli impianti di pubblica illuminazione, ivi compresi tutti gli edifici di proprietà comunale. Il che comporta un beneficio economico da parte dell’intera cittadinanza in quanto si
vanno a ridurre i tributi comunali; -Sostituzione dell’intera rete idrica comunale sia essa adduttrice che distributrice, gestita dall’AQP o dal Comune di Caposele, salvo rapporto di spese annuali da risarcire da parte dell’A.Q.P. Ciò è necessario poiché parte di tale rete è in condizioni degenerative a causa della vetusta costruzione, di conseguenza si creano cospicue perdite d’acqua (ciò aumenta lo spreco d’acqua!); -Nell’apertura annuale per la manutenzione della galleria, le acque vengono defluite nell’alveo del fiume. Sarebbe opportuno che l’AQP lo comunicasse al Comune di Caposele con largo anticipo (giorni 30) in modo da poter organizzare due giorni di “festa dell’acqua” con l’apertura di stand gastronomici, gare di canottaggio ed altri sport d’acqua, includendo il PARCO FLUVIALE, e con la sistemazione idraulico-forestale del letto del fiume dalla zona Tredogge fino alla confluenza del fiume Temete, località Pontesele, per il richiamo del flusso turistico; -Interventi annuali idraulico-forestali per la tutela delle acque e del territorio; -Il ristoro, predisporre una formula da poter quantizzare una rendita annuale; ad esempio:€. 1,00 al giorno X 4000 (parametro della portata media di l/s) X 365 gg = €. 1.460.000,00 annue da versare al Comune semestralmente; -Distribuzione gratuita dell’acqua di Caposele (non Cassano) a tutta la cittadinanza di Caposele; In tale ottica, si propone all’Amministrazione Comunale la costituzione di una Commissione per sviluppare una proposta unica, nonché la convocazione di un Consiglio Comunale aperto per la proposta finale del Comune da sottoporre all’A.Q.P. sostenuta dall’intera cittadinanza.
Giovani attivi
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a qualche mese il nostro paesino sta vedendo nuovamente una squadra di calcio disputare il campionato regionale di categoria grazie all’Associazione Calcistica Dilettantistica Caposele. I motivi che hanno portato chi vi scrive a fondare una nuova dirigenza hanno origini remote, ma la vera ragione risiede nell’impegno sociale che una realtà sportiva locale deve mantenere. In tal senso cinque ragazzi hanno deciso di sacrificare parte del loro tempo libero per permettere ad un gruppo formato da una trentina di giovani calciatori di stare insieme quasi ogni sera della settimana per vivere gli allenamenti e le emozioni che solo lo sport del calcio sa regalare. Lo scopo della società sarebbe già nobile per questa motivazione ma lo è ancor di più se si pensa che tale gruppo dirigente si è impegnato attivamente durante l’estate con l’organizzazione di vari tornei locali al fine di racimolare i soldi per l’iscrizione al campionato di terza categoria. Colgo l’occasione per ringraziare vivamente tutti gli sponsor che ci stanno aiutando economicamente, in particolare i fratelli Gerardo e Luciano Malanga del ristorante “7Bello” che da subito hanno creduto nel progetto, mostrandosi sempre
NASCE LA NUOVA ”A.C.D. CAPOSELE” ASSOCIAZIONE CALCISTICA DILETTANTISTICA molto sensibili a tali iniziative sociali. C’è da evidenziare inoltre il fatto che ogni singolo atleta, pur di condividere un momento così importante è stato consapevole degli autofinanziamenti suggeriti dai dirigenti. E così in qualità di presidente dell’ACD Caposele sento fortemente il dovere di ringraziare anche gli altri dirigenti VicePresidente: Carlo D’Alessio Segretario: Salvatore Corona Cassiere: Mario Cibellis Consigliere: Rocco Feniello Allenatore: Raffaele Sista L’impegno che ci proponiamo è senza dubbio la partecipazione e
l’aggregazione sociale oltre al fatto di imparare a stare insieme dentro e fuori dal campo; il primo obiettivo è stato raggiunto ma adesso tocca andare avanti in un percorso che si preannuncia pieno di difficoltà; la speranza è che le istituzioni, il comune e gli stessi cittadini stiano sempre vicino alla squadra in modo tale che si possa portare avanti un discorso a lungo termine, cosa che vale anche per l’altra società locale, l’Olimpia Caposele che, affidata alla saggia guida di Roberto Notaro e Massimo Cetrulo, ha da sempre avuto il gravoso compito di formare i giovanissimi atleti anche e soprattutto dal punto di vista educativo. In un periodo in cui la trasparenza
LENTAMENTE MUORE di Donato Gervasio
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l destino dei nostri paesi è già segnato da un pezzo. Preciso, ineluttabile. Ricordo di esserne rimasto impressionato, quando sentii raccontarlo per la prima volta. Ero ancora un bambino, ignaro ed inerme. Andammo in visita scolastica al teatro del santuario di San Gerardo, a Materdomini. C’era la presentazione di un libro. Riguardava un argomento così preciso da fare impressione: tutti i paesi più piccoli di provincia, esattamente come il nostro, sarebbero stati destinati a morire, nel corso degli anni. Qualcuno prima, qualcun altro dopo. Ma nessuno sarebbe scampato a questa sorta di diluvio universale. Profezia pazzesca, impossibile da credere. Eppure, sono passati forse quindici anni, e tutto si sta drammaticamente avverando.
Caposele, tanto per parlare di casa nostra, anche muore. Lentamente, ma muore. Muore Teora, muore Laviano, muore Calabritto, muore Santomenna, Castelnuovo, Senerchia. Chi più velocemente, chi più lentamente. Ma questa triste realtà ci accomuna tutti. Ci sarebbe stato bisogno di Noè e della sua Arca, per sopravvivere, tanto per restare nella metafora del diluvio. E ci sarebbe stato bisogno di uomini, forze e tempo per costruirla. Ma evidentemente qualcosa è mancato. Considerato che il tempo da cui tutti questi comuni retrocedono (inteso sia nel senso stretto del termine, sia nel senso metaforico calcistico) è tanto, vuol dire che sono mancati uomini e forze. I piccoli comuni di provincia, magari di un Sud storicamente zoppicante, si sa, è molto facile che vengano risucchiati nel vuoto su cui galleggiano. Perché mancano le risorse, i mezzi, le opportunità per stare
a galla. Ma tutto ciò non piove certo dal cielo. Ognuno di noi è costruttore del proprio futuro, del proprio destino, della propria sopravvivenza. Caposele – tornando a parlare di casa nostra – è un paese che dispone di risorse ricche ed inutilizzate. Tanti dei paesi moribondi che ci circondano, spesso, pur disponendo del niente assoluto, costruiscono comunque qualcosa, inventata e artefatta, a cui potersi aggrappare. Pur di sopravvivere. E noi? Ci accontentiamo di accontentarci. Perché Caposele, ormai, è un paese in balia di se stesso. Un paese lacerato, ferito e sanguinante. Un paese diviso, nei palazzi e nella società. Accontentarci dunque. Ma di cosa? Il terremoto, quel drammatico terremoto che ormai ha compiuto 30 anni e che per niente accenna a scomparire dalla vita di ciascuno di noi, ha lasciato paesi nuovi, freschi e
delle cose diviene primaria, come società ci impegneremo da subito a mostrare sempre la massima chiarezza possibile anche perché le mie esperienze calcistiche nelle realtà diverse da quella caposelese mi hanno insegnato che senza umiltà, impegno e armonia non si va molto lontano. E allora concludo facendo un enorme augurio a me stesso affinché riesca in questa nuovo disegno, sbagliando il meno possibile e un altro augurio a tutti quei giovani atleti che insieme ai dirigenti stanno contribuendo a questa nuova realtà... Tommaso Cibellis
colorati. Ma quelle facciate delle case si sono raffreddate come coloro che le abitano. Non c’è più voglia di andare avanti, non c’è più voglia di combattere, quaggiù. E questo sicuramente perché, qualcuno, a torto, negli anni, ha sempre pensato di avere la soluzione giusta. Ma l’unico risultato a cui hanno portato, le loro soluzioni, è stato solo quella di farcela passare, la voglia. Il risultato è questo. E ognuno di noi deve riconoscerlo e prenderne atto. Caposele – per restare sempre in casa nostra – è dei caposelesi. E finché non ci sarà la maturità di comprendere e riconoscere questo, retrocederemo ancora. E molto presto sarà davvero troppo tardi, se non lo è già, appunto, per accorgersene e rimediare.
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Usi, Costumi, Tradizioni, Racconti e Leggende
Adda murì tatillo…! “Adda murì tatillo! M’aggia fa ‘na mangiata ‘e cuonzoli! “ Questa frase di un ragazzino, povero in canna come tantissimi altri, che gli veniva dal cuore al sentire alcuni amichetti che descrivevano le “abbuffate” fatte in occasione di recenti lutti familiari, la dice lunga sulla situazione di acuta indigenza di tutti i paesi irpini di civiltà contadina del dopoguerra. Il consumismo, allora non esisteva, neanche nella fantasia pur fervida dei bambini, che non potevano sognare cose sconosciute ed inimmaginabili persino ai grandi. Queste cose non erano oggetto di racconti nelle fredde serate d’inverno, quando tutti sedevano intorno al camino che li affumicava senza riscaldarli, e i vecchi attaccavano con i loro ricordi di guerra e di “lupi mannari”. L’usanza del “cuonzolo”, come si diceva allora, che era quella di portare ai familiari del defunto “un poco di cucinato”, derivava oltre che da un sentimento di solidarietà e di amicizia, più diffusa allora di oggi, anche dal fatto che in quelle occasioni, con tanta gente per la casa, non si poteva certo pensare a cucinare. Nei giorni, poi, del lutto stretto, che normalmente durava una settimana, non si usciva di casa e non si faceva alcun lavoro, neanche domestico. In quegli anni il dolore assumeva sempre manifestazioni visibili di pianto e di
In questa rubrica intendiamo far rivivere
Racconteremo
fatti, leggende, usanze, costumi popolari,
canti paesani e popolari, comuni a tanti paesi del nostro circondario.
Ringraziamo Nino Lanzetta che ci ha trasmesso un serie di “quadretti” molto interessanti sulla vita dei nostri paesi.
costernazione e ci si vestiva di nero per un periodo di tempo stabilito dalle consuetudini; le vedove per il resto della vita, se non si rimaritavano. Questa eventualità era abbastanza rara e poco apprezzata. Al termine della cerimonia funebre, con il trasporto della salma al Cimitero, sempre a spalla perché in paese non si chiamavano i carri funebri e le bare le facevano, lavorando spesso di notte per consegnarle a tempo, i falegnami del posto, cominciavano le interminabili visite di condoglianze, che si ripetevano in tutte le case dei parenti stretti (fratelli, sorelle, genitori, nonni ecc.). Poi i parenti si serravano in casa e uscivano esattamente dopo una settimana per recarsi alla messa di suffragio, che veniva, perciò, chiamata “settima” e con la quale terminava il periodo di obbligata clausura. In quei giorni non si cucinava e i parenti più larghi (zii, cugini, cognati ma anche compari) provvedevano ad alleviare le ambasce con buoni cibi. Si ammazzava il pollo e il coniglio, si tirava fuori il vino buono e il pranzo spesso si concludeva con gli “strufoli”. Il mangiare si portava entro una cesta di vimini (canesta) coperta da una tovaglia, “mesale”, talvolta, di fiandra con la quale si apparecchiava la tavola. Il primo giorno erano d’obbligo i tagliolini con le uova, fatti in casa, e serviti rigorosamente in un ristretto brodo di gallina. Spesso faceva seguito un piccione
imbottito. I giorni successivi si servivano orecchiette, fusilli, prosciutto, salami, polli, conigli e altro ben di dio. Oggi questi cibi sono ordinari e comuni; in quei tempi erano il menu delle feste comandate. E allora le feste erano veramente poche! Si capisce l’invidia del piccolo Ciccillo al racconto degli amichetti più “fortunati!!?” di lui, specie quando l’evento toccava parenti non proprio strettissimi. Il lutto, a volte, assumeva toni più disperati quando a lasciare questo mondo era un lavoratore le cui valide braccia si facevano sentire immediatamente nell’economia della famiglia. Forse anche per questo la solidarietà contadina si manifestava in maniera concreta, quasi a voler significare, che la parentela, gli amici, il paese tutto erano loro vicini e li avrebbero in seguito aiutato. Si venivano a formare delle convenzioni, tra parenti ed amici anche nell’obbligo e nell’ordine di chi spettava fare i “cuonzoli” perché questi si ricambiavano, come i regali di matrimonio. Oggi questa tradizione è uno sbiadito ricordo, come i pianti, gli abiti neri e il dolore, e tutto si giustifica dalla “privacy” e dai numerosi impegni di lavoro di questo tumultuoso scorrere della vita, che, spesso non ti lascia un solo momento neanche per riflettere sul perché di questa corsa affannosa, solitaria e poco gratificante. Solo gli
NUOVE POVERTÀ CRESCONO …
di Alagia Cesara Maria Presidente Pubblica Assistenza Caposele
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arlare di Solidarietà, di Povertà, di Esclusione Sociale, significa parlare di argomenti non molto di moda, ma dobbiamo convenire che sono argomenti di estrema attualità e che ci dovrebbero vedere tutti attenti e sensibili. Infatti, saranno pure argomenti poco trendy e che non riempiono le cronache, abituate come sono, ad interessarsi di cose che fanno scoop con lo scandalo a tutti i costi, ma purtroppo i temi della Solidarietà, della Giustizia Sociale, della Povertà, restano temi decisivi se non si vuole ipotecare, non solo il futuro etico ma anche quello economico della nostra Società. Oggi assistiamo ad una distruzione del sistema di tutela sociale delle cittadine e dei cittadini senza che nessuno (o quasi) senta la necessità di denunciare questa grossa ingiustizia che si va perpetrando a danno di chi è già in grave difficoltà. Sono in atto delle progressive riduzioni di capitoli di bilancio finalizzati ad alcuni ambiti dell’attività sociale e sanitaria particolarmente essenziali e la contrazione, del cosiddetto Fondo Unico Indistinto che lo Stato rigira alle Regioni perché paghino i costi dei Servizi Sociali, ha già determinato
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la soppressione di un numero importante degli stessi. Questi pericolosi orientamenti rischiano di intaccare anche persone che non si trovano nella fascia di povertà assoluta, ma in quella della cosiddetta povertà relativa, pertanto il concetto di povertà sta aumentando in maniera esponenziale, esasperando pericolose lacerazioni sociali già esplose in tanti contesti. L’allargarsi progressivo della quantità di persone povere è da ricercare non solo nella situazione di crisi globale che stiamo vivendo, ma anche nell’affermarsi, negli ultimi decenni, di una globalizzazione selvaggia e incontrollabile e nella decisione, peraltro, molto acclarata della nostra Politica, di abbandonare a se stessi i più deboli per consolidare gli interessi dei già ricchi, quindi disinteressandosi della stragrande maggioranza dei cittadini. L’aumento delle disuguaglianze sociali ed economiche non è più tollerabile, pertanto bisogna rivendicare, a gran voce, il benessere come un diritto, e rifiutare l’attuale forte diseguaglianza come una forma di ingiustizia che va contro la nostra Carta Costituzionale e contro
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vecchi temi della
vita del paese, ricchi di fascino e suggestione.
la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il tutto presuppone una riforma del nostro Welfare ed una sua diversa forma di funzionamento che rivisiti in maniera globale il sistema dei nostri servizi in modo che i diritti essenziali (come la salute, la casa, l’istruzione, il lavoro, la pensione) siano garantiti. Oggi il volontariato è chiamato ad assolvere, anche ad un importante funzione
di Nino Lanzetta
americani continuano ad essere attaccati alle tradizioni anche se le adeguano ai tempi creando nuovi “business”, come nel caso specifico del “caro estinto”dove riescono a far convivere lacrime e pasticcini! Durante e dopo la guerra la fame si toccava con mano. Non esistevano dietologi né problemi di diete o ricettari. Le merende dei bambini si riducevano spesso ad un pezzo di pane fatto in casa, con un poco di formaggio o, per i più piccoli bagnato e con sopra un po’ di zucchero. La marmellata, anche quella fatta in casa, era un lusso! Molti mangiavano pane di granone, che dopo qualche giorno diventava più duro di una pietra. Per farlo si cercavano in autunno le foglie di castagne che poi sarebbero servite a poggiarvi la pasta del granturco, più molle di quella del grano, per non farla appiccicare sul tufo del forno. Non era difficile vedere in strada un ragazzo addentellare il suo pezzo di pane di “gradinio” giallo e con sopra olio o una “saraca”, il pesce essiccato più a buon mercato che allora vendevano le ”botteghe” di alimentari.
politico-divulgativa, che è quella di rendere consapevoli le fasce più deboli di cittadini, del loro Diritto di partecipazione democratica e quindi di Cittadinanza Attiva. Solo in questo modo, forse, si riuscirà ad evitare una deriva che viene legittimata come inarrestabile ma che inarrestabile non deve essere.
Gruppo di piccoli volontari nella vendita di beneficenza
CAPOSELE
Rispetto e salvaguardia dell’ambiente
I
l nostro territorio rappresenta un'opportunità da esplorare secondo i diversi livelli d'interesse del turista che ha l’occasione di confrontarsi con uno stile di vita diverso dal proprio, vivendo esperienze di conoscenza reciproca dal punto di vista estetico, intellettuale o emotivo. Secondo i codici etici della sostenibilità, l'attività turistica non deve diventare un fattore di depauperazione delle aree proposte anzi può rappresentare un passaggio importante per contribuire allo sviluppo economico e culturale di un territorio. I principi generali per sostenere tale sviluppo sono soprattutto il rispetto e la salvaguardia dell’ambiente, in particolare dell’ecosistema e della biodiversità, e l’attenzione nella custodia della cultura e delle tradizioni dei popoli locali. Troppo spesso ci sfugge la meraviglia che traspare dagli occhi dei “forestieri”, molti si trovano catapultati in una realtà totalmente differente da quella a cui sono abituati. Soffermiamoci sui tanti che arrivano dalle grandi città paralizzate dal traffico convulso, stordite da milioni di clacson che angosciano l’aria, soffocate dai fumi e dai gas degli scarichi delle auto; non comprendiamo con quale stupore i “cittadini” ammirano le nostre bellezze naturali, gli incantevoli paesaggi, gli odori, i profumi inebrianti che si diffondono tra le stradine del paese, gli aromi che si tramutano in sapori, gusti che raccontano le origini di un borgo, origini che rivelano la nostra identità da sempre; e i colori, il verde della natura che si muta nelle sfumature più discordi in autunno, le foglie che cadono a pioggia o le stesse che si innalzano al vento prendendo le sembianze di uno stormo d’uccelli, il bianco candido della neve di cui le montagne e la natura si vestono d’inverno, o l’azzurro delle nostre acque che un tempo scorrevano con impeto nel greto del fiume e di cui oggi si colora il Tavoliere. La nostra terra, con tutto ciò che
ne concerne, rappresenta il supporto ideale ad un turismo che riporti la gente alla riposante serenità di chi, solo nella natura, riesce a ritrovare i valori dell’esistenza. Ogni cittadino dovrebbe mirare alla conservazione e alla difesa del territorio, comprendere che il movente principale del turismo ambientale è la vita, puntare al rispetto dei più banali principi del saper vivere e imparare a guardare le persone negli occhi, così da poter scorgere l'approvazione e, perché no, 'invidia nello sguardo di chi, oltre alla natura, ama del nostro paese i paesaggi e le culture tradizionali. Bisognerebbe identificare i principali punti di forza riconducibili alla diffusione della cultura dell’accoglienza, e creare percorsi a tema che integrino le risorse ambientali con la dotazione artistico-culturale, storico-architettonica, religiosa, enogastronomica dislocata sul territorio, di conseguenza i flussi turistici verrebbero connessi in maniera diretta all’esplorazione degli ambienti naturali, alla fruizione del patrimonio paesaggistico e all’apprezzamento della cultura locale. Questa è la programmazione futura che stiamo inseguendo e tentando di attuare per quanto di nostra competenza. Cercare di sensibilizzare le persone a principi ambientalisti e sociali in questo paese può spesso rappresentare motivo di disaccordo e contrasto, semplicemente perché si denuncia o si cerca di far rispettare delle regole, ma il nostro obiettivo rimane quello di mantenere una forma di sviluppo che non comprometta la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo stesso, preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle nostre risorse.
di Angelo Ceres
Le impressioni positive che la nostra terra, il nostro Comune cristallizza nella mente dei visitatori è una costante; questo stimola noi amministratori a fare ancora di più per garantire la genuinità e la protezione del territorio. Per tale dato oggettivo ci si scontra con la stoltezza culturale di chi, anche con il pretesto della assenza di lavoro che invece proprio con questo nuovo metodo di approccio si creerà, si sente autorizzato a depredare, a distruggere o a sentirsi come il grande feudatario (probabilmente sostenuto da qualcuno) di beni che appartengono alla collettività e non al singolo. Ma per far rispettare questa elementare regola, da cui tutti ne trarremmo dei benefici, si sta impiegando molto tempo perché tante sono le persone coinvolte comprese quelle che non dovrebbero esserlo. La programmazione che l'Amministrazione sta attuando, per arrivare a questo tipo di sviluppo, necessita di risorse finanziarie di non poco conto che stiamo intercettando nonostante la Regione Campania abbia bloccato l'unico polmone economico che ancora abbiamo: i fondi PSR. Questa circostanza, inevitabilmente, comporterà dei ritardi nella realizzazione dei progetti. In questo periodo particolare, dove gli Enti sono provati e sfiancati dalla
di Angelo Ceres
diminuzione delle risorse finanziarie, è necessario che tutti si impegnino, compresi i cittadini, ad una maggiore collaborazione. Proprio nei periodi di crisi, quando la soglia di attenzione verso la protezione del territorio diventa ancora più bassa di quanto non lo sia già, gli speculatori e la malavita riescono ad ottenere i migliori risultati. La mia è una forte preoccupazione soprattutto in riferimento al traffico dei rifiuti. Dopo che le zone del napoletano e del casertano sono state infestate da rifiuti pericolosi ed altamente tossici, il nostro territorio, può diventare una grande risorsa economica. Smaltire illecitamente rifiuti tossici in zone poco abitate e vaste con pochi controlli diventerebbe uno scherzo per una delle più grandi organizzazioni imprenditoriali del mondo: la malavita organizzata. Fino ad oggi le nostre terre non sono state motivo d’interesse per tali loschi personaggi perché non vi erano e non vi sono grandi affari, grandi appalti. Però una terra povera, acre e sterile può diventare per la criminalità una ricca, amabile e fertile conquista. Non lasciamo prevalere l’indifferenza e l’apatia queste sono le grandi malattie che hanno permesso al malaffare di distruggere le risorse naturali e causato la morte di migliaia di persone.
I RAGAZZI DEL PONTE Noi ragazzi del ponte abbiamo vissuto e giocato in mezzo alla strada respirando fumo che usciva dal tubo delle macchine. Noi ragazzi del ponte sognavamo di cambiare l’Italia. Avevamo lo stesso sogno, gli stessi ideali e la stessa fede calcistica Il nostro punto d’incontro era la fontana, era lì che si decideva Tutti insieme cosa fare durante la giornata A studiare non ne volevamo sapere, la strada Era il nostro pane quotidiano, terreno dei nostri giochi e Della nostra fantasia in estate come in inverno Le tre croci per noi era un posto per giocare e per divertirci Il 15 agosto si andava tutti insieme in piazza Dante a vedere il palio Per tifare il nostro Franco Ilaria la sua vittoria era la nostra vittoria Noi ragazzi del ponte eravamo fatti uno per l’altro La nostra unione era un punto di forza per affrontare Le nostre battaglie quotidiane Un giorno di novembre 89 mentre cadeva il muro di Berlino Anche per noi ragazzi del ponte arrivò la fine della nostra unione. Una favola che durava da molti anni Per poi dividerci per sempre, E per sempre saremo i ragazzi del ponte per il resto della nostra vita nel bene e nel male. CASALE GIUSEPPE
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Politica
LA PARTECIPAZIONE ED IL CONTROLLO SUGLI ATTI COMUNALI
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di Nino Chiaravallo
ino al 1990 la partecipazione all’attività di governo degli Enti locali era diversa e il controllo sui suoi atti molto più penetrante di quello attuale. In particolare, il sistema dell’epoca era imperniato sulla centralità del Consiglio comunale, che nominava tra i suoi componenti il Sindaco e la Giunta municipale. Molte delle decisioni che allora venivano assunte dovevano ricevere l’approvazione consiliare. Era prassi consolidata, poi, che la Giunta comunale, che rappresentava il Consiglio comunale nell’intervallo delle sue riunioni, invocando ragioni di urgenza, assumesse provvedimenti di competenza del Consiglio, il quale li doveva ratificare nelle sue prime adunanze, da sempre caratterizzate per la loro pubblicità. Ogni delibera, sia del Consiglio che della Giunta, doveva essere sottoposta al Comitato regionale di controllo (prima alla Giunta Provinciale Amministrativa), che verificava preventivamente la rispondenza alla legge delle decisioni che il Comune andava ad adottare. Pertanto, le scelte comunali erano assoggettate ad un controllo preventivo di legalità ed erano assunte pubblicamente; ogni cittadino poteva così conoscere i provvedimenti approvati dal Comune già nel momento in cui venivano formati o ratificati e verificare la posizione mantenuta dai singoli consiglieri sulle varie questioni esaminate. All’epoca, i numerosi argomenti trattati nelle convocazioni del Consiglio comunale, con il pubblico confronto sulle svariate decisioni assunte, animavano, a volte, appassionate discussioni anche tra cittadini, dell’una o dell’altra parte politica, che elogiavano o censuravano le scelte amministrative operate. La pubblica discussione consiliare favoriva, in qualche maniera, una politica locale più partecipata e più sentita, anche grazie alla vitalità delle sezioni dei partiti politici presenti a quel tempo. Nel 1990, la legge 142 modificò il riparto di competenze tra Consiglio comunale e Giunta in favore di quest’ultima ed introdusse il principio della separazione tra politica e gestione. Rispetto al modello precedente, furono rimarcate precise attribuzioni, proprie e diverse, tra Consiglio (organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo) e Giunta (organo di governo) e l’istituto della ratifica fu relegato a poche e precise ipotesi. La linea di tendenza della riforma fu quella di privilegiare la celerità delle decisioni, riducendo, conseguentemente, il numero degli argomenti da trattare nelle riunioni consiliari. Fu, però, introdotto il sistema dei pareri preventivi su ogni proposta di deliberazione da sottoporre al Consiglio comunale ed alla Giunta. Restò il Comitato regionale
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di controllo che continuò a vigilare sulla legittimità delle deliberazioni comunali. Prima che una delibera potesse, quindi, avere vita doveva superare due verifiche : quella dei pareri, ancorchè non vincolanti, dei funzionari comunali e quella del controllo preventivo di legittimità della sezione provinciale del Co.Re.Co. Con l’introduzione nel 1993 della elezione diretta del Sindaco, al Consiglio comunale è stato sottratto (anche) il potere di eleggere la Giunta, la cui nomina è passata al primo cittadino sicchè gli assessori sono divenuti dei suoi semplici e diretti collaboratori che possono essere scelti anche al di fuori dei consiglieri (nei comuni maggiori è prevista l’incompatibilità tra la carica di consigliere e quella di assessore). E’ stata, quindi, ulteriormente svuotata la centralità decisionale del Consiglio comunale, al quale è restata come funzione più importante l’approvazione degli atti pianificatori, di bilancio, il potere di controllo e la possibilità di sfiduciare il Sindaco. Quest’ultimo atto comporta il commissariamento del Comune e nuove elezioni, che conseguono, come è noto, ad ogni eventuale abbandono della carica del primo cittadino direttamente eletto (dimissioni, impedimento, decadenza, rimozione o decesso). Dal 1997 in poi, sotto la spinta federalista che intende responsabilizzare le Autonomie e ridurre l‘ingerenza dello Stato centrale, il ruolo del Co.Re.Co. è stato dapprima limitato agli atti più importanti e, poi, eliminato del tutto. E’ stato soppresso anche il parere di legittimità del segretario comunale, la cui funzione è stata notevolmente ridimensionata, in quanto, da organo terzo di diramazione della prefettura, è divenuto un dirigente nominato dal Sindaco. Punto di equilibrio del nuovo sistema è l’obbligatorietà di tenere distinta la funzione politica, esercitata dagli eletti, da quella gestionale, che è demandata ai funzionari comunali, ancorchè nominati dal Sindaco (c.d. responsabili di settore). Tuttavia e in modo incoerente con il principio di separazione della politica dalla gestione, è stata successivamente introdotta la facoltà per i Sindaci dei comuni al di sotto di 5.000 abitanti di poter affidare le funzioni gestionali dei dirigenti degli uffici e servizi direttamente agli assessori comunali. In deroga al principio generale, quindi, nei piccoli Comuni politica e gestione possono costituire un tutt’uno; gli assessori ed il Sindaco possono assumere direttamente gli atti gestionali ed emettere, addirittura, i pareri tecnici sulle stesse delibere di Consiglio o di Giunta che, poi, approvano come membri dei rispettivi consessi. E, come è noto, dal 2004 il nostro Comune, con l’interruzione del periodo commissariale, si è avvalso di tale facoltà. Questo, per grandi linee, lo schema del
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cambiamento del panorama ordinamentale avvenuto negli ultimi 20 anni. Dalla sommaria disamina, appare evidente che prima il Legislatore si era preoccupato di assicurare trasparenza e controllo della legalità sulla gestione della cosa pubblica locale. Ogni atto amministrativo era portato a conoscenza dei cittadini non solo con l’affissione all’albo pretorio (che deve essere fatta in modo che gli atti possano essere letti per intero e agevolmente), ma anche con la pubblica discussione consiliare ed era sottoposto alla preventiva verifica della sua legittimità con l’approvazione del Comitato regionale di controllo. Per tenere il passo con una società in rapido mutamento, il nuovo sistema ha ritenuto di dover privilegiare l’efficienza e l’efficacia dell’attività amministrativa a discapito delle discussioni assembleari e del controllo preventivo di legittimità da parte del Co.Re.Co. (cui chiunque si poteva rivolgere per segnalare le decisioni ritenute illegittime). Ne è conseguita una minore conoscenza delle scelte amministrative e la necessità del ricorso alla giustizia amministrativa (T.A.R.) per la tutela dagli atti ritenuti lesivi. Per meglio comprendere la portata dell’attuale sistema, basta ricordare che nel 1989 il Consiglio comunale di Caposele ha deliberato circa 300 atti, mentre nel 2009 ne ha invece adottato 30. Alle oltre 600 delibere di Giunta del 1989 fanno riscontro le 122 del 2009 e ben 704 atti, che prima sarebbero stati di competenza della Giunta, sono stati assunti con semplice determinazione del responsabile di settore. Volendo misurare percentualmente tale aspetto, possiamo dire che l’attività del Consiglio è stata ridotta alla decima parte di quella precedente e che, degli (856) atti emanati dal Comune nel 2009, ben il 96,50% è stato adottato in stanze chiuse e, addirittura, l’85,23% nella forma monocratica delle determine. Ora, un importante elemento di riequilibrio del sistema per riavvicinare il cittadino alla vita delle Istituzioni locali sono le norme che impongono (anche) ai Comuni di realizzare il proprio sito istituzionale e l’Albo Pretorio on line. Sul punto, Caposele aveva precorso i tempi in quanto il commissario prefettizio, dott. La Montagna, su richiesta congiunta dei due candidati sindaci dell’epoca (Farina e Monteverde) aveva attuato all’inizio del 2008 la pubblicazione sul sito istituzionale degli atti comunali, come previsto dal regolamento voluto all’unanimità dal Consiglio comunale l’anno prima. Tuttavia, il sindaco Farina,
subito dopo l’insediamento della sua amministrazione, ha ritenuto di disporne la sospensione. Nonostante, poi, la pubblicazione on line sia divenuto un preciso obbligo (L. 69/2009) sin dal 1°gennaio del 2010, il nostro Comune, benché ne abbia annunziato la realizzazione per fine giugno scorso, non ha finora fatto partire l’Albo Pretorio on line che, invece, tanti altri Comuni hanno già attuato. Eppure, la c.d. trasparenza, oltre ad essere basilare contrappeso democratico, appare tanto più indispensabile in tempi di Federalismo fiscale. E’ noto come l’indebitamento dello Stato sia arrivato a livelli non più sostenibili e che, pertanto, sia non più rinviabile la drastica riduzione del deficit statale che si ritiene di imporre anche tramite la regionalizzazione parametrata della spesa pubblica. La logica è questa: regionalizzato un servizio pubblico e determinato il relativo costo medio secondo parametri (opinabili ma) prefissati, ognuno dovrà preoccuparsi di farsi bastare il finanziamento assegnato. Ciò, secondo i fautori del federalismo, dovrebbe favorire una selezione più responsabile della classe politica da parte del Sud, notoriamente additato come sprecone ed assistito. Al di là delle valutazioni sulla strumentalità di tale impostazione e sulla mai risolta questione meridionale, resta il fatto che anche il nuovo assetto della fiscalità degli Enti locali richiede ai cittadini un approccio più attento e consapevole all’azione amministrativa locale che può essere reso possibile solo dalla piena conoscenza delle decisioni operate.
Corso Garibaldi
Turismo
PRIMA CICLOPASSEGGIATA DA CAPOSELE A FOCESELE di Antonio Cione
Il diagramma completo della ciclopasseggiata effettuata
minima parte rilasciate nel fiume simbolo manifestazioni itineranti intorno al Parco Elementi di riflessione. fluviale delle sorgenti del Sele,l’Oasi Domenica 3 ottobre 2010 si e’ svolta della lontra, e la realtà termale di Contursi del WWF di Senerchia,l’Oasi di Serre la Prima Ciclopasseggiata dalle sorgenti Terme. La quarta tappa è stata la più di Persano ed altro. Tutto questo di Piazza “Sanita’ “ di Caposele, porta del perché i cittadini del Sele si debbono parco dei Monti Picentini,fino alla sinistra lunga e la più dura, quasi un unicum riappropriare del bene Acqua,saperla Focesele nel comune di Capaccio,area dalla salita di Serradarce al quadrivio di Campagna passando per la città di conoscere,apprezzarla,gestirla e se attrezzata sulla spiaggia di Paestum. necessario saperla pure vendere o meglio La manifestazione,organizzata dalla Eboli,fermandoci al Palasele di Eboli cederla in cambio di giusto valevole ristoro Assemblea Territoriale di Cittadinanzattiva solo per annettere alla ormai numerosa non solo economico ed ambientale, ma “Alto Calore Ofanto Sele”,in collaborazione carovana di cicloamatori,supportati anche culturale,promozionale,turistico e con la Associazione Salviamo il Sele di egregiamente dai motociclisti di Padre Pio gestionale. Contursi Terme, l’Ampas di Caposele, di Eboli,dagli amici di Caposele Gerardo A questo proposito,vorrei invitare,in le Pro Loco di Caposele, Quaglietta e Cuozzo,Semy Russomanno,Annamaria veste di responsabile territoriale di Contursi,Byce e Sport e associazioni Biondi,l’instancabile ed insostituibile Cittadinanzattiva cicloamatoriali di Contursi ed Eboli,ed il patrocinio UN MODO NUOVO PER VALORIZZARE L’ACQUA COME A l t o C a l o r e della Provincia di Avellino ELEMENTO INDISPENSABILE PER LA VITA E FAR Ofanto Sele e di medico sentinella e Salerno, dei comuni di C a p o s e l e , C a l a b r i t t o , CONOSCERE IL PERCORSO DEL FIUME SELE DALLE ambientale della Contursi,Campagna, Eboli e SORGENTI “SANITA’ “ DEL COMUNE DI CAPOSELE A Società Italiana di Medicina Capaccio é stata la prima bella FOCESELE NEL COMUNE DI CAPACCIO Generale,gli esperienza di come si possa amministratori e i apprezzare, valorizzare, gestori che a vario promuovere e salvaguardare titolo si siedono per discutere e disporre il valore del bene “Acqua”,in questo caso Gerardo Salvatoriello,il cultore di arte della risorsa delle sorgenti del Sele a delle sorgenti del fiume Sele,divertendosi culinaria Donato Merola e le nostre a pedalare in compagnia degli amici encomiabili mogli,compagne ed amiche. Abbiamo attraversato la piana del “valliggiani”e non,in bicicletta e non,in una domenica di ottobre dedicata alla natura,allo Sele,superato il quadrivio di Santa Cecilia sport,alla cultura dell’acqua e dell’olio,alla sulla statale tirrenica,lambito la chiesa valorizzazione del territorio,della amicizia di San Vito al Sele verso Campolongo,ci siamo immessi sulla Litoranea,abbiamo e della vita. E’ stata una gita entusiasmante,gia’ dall’ attraversato l’ultimo ponte sul fiume Sele inizio a Caposele dove alla presenza del e finalmente siamo arrivati nella pineta di comandante della stazione dei Carabinieri Capaccio,a ridosso della spiaggia e della di Caposele, dell’ assessore alla Cutura del sinistra Sele,dove abbiamo sversato,con Comune di Caposele Salvatore Conforti, cerimonia semplice ma significativa del “decano zi Turuccio” di Contursi, del l’Acqua pura delle Sorgenti della Sanità di pittore ambientalista Lello Gaudiosi e di Caposele,prelevate in mattinata e immesse tanti amici ciclisti della domenica e non alla confluenza del fiume Sele nelle acque di Caposele, Bagnoli Irpino,Contursi,Ebo del Mar Tirreno,le stesse anche se più pulite li,Sant’Andrea di Conza ed altri paesi del e calcaree che gli antichi Greci risalirono La partenza da Caposele circondario,abbiamo prelevato l’ Acqua fino alle sorgenti millenni orsono. Sulla riva del fiume si è suggellata una dalle Sorgenti della Sanita’ di Caposele in una ampolla per trasferirla simbolicamente amicizia e un connubio tra le popolazioni e materialmente alla Foce del fiume e le generazioni della montagna e le Sele dove sbocca nel Mar Tirreno,nelle popolazioni e le generazioni rivierasche e adiacenze dei Templi degli antichi Greci marine,anche perché c’erano rappresentate tutte le generazioni,dai bambini agli ultra a Paestum. La seconda tappa della ciclopasseggiata ottantenni, che insieme hanno condiviso il la abbiamo effettuata in piazza a Quaglietta, piacere di un pasto semplice ma buono fatto ospitati ed accolti dalla Pro Loco presieduta di acqua,farina,ceci e olio e innaffiato da dal dr. Mario Cuozzo,dove ci siamo vino aglianico spillato direttamente dalla rifocillati e abbiamo stigmatizzato il fiasca di legno di castagno. Abbiamo degustato le trote del Sele valore dell’acqua del fiume Sele per i paesi attraversati dal fiume stesso che da simbolo di purezza e di salute ed apprezzato sempre è stato il volano dell’economia il caffè ed il servizio di rientro in pullman gentilmente offerto dalla Caputo Bus. delle popolazioni valligiane del Sele. L’impegno è stato quello di ripetere la La terza tappa la abbiamo effettuata nella piazza di Contursi alla presenza del bella ed apprezzata esperienza in primavera Sindaco Gianni Rosa e del presidente della e farla diventare una manifestazione Pro Loco dove abbiamo intavolato un annuale a carattere nazionale e territoriale breve incontro per sigillare un legame tra di due giornate(andata e ritorno o risalita la realtà delle acque sorgive di Caposele del fiume),organizzando un convegno sulla che vengono in gran parte convogliate in risorsa insostituibile ed indispensabile Puglia attraverso la galleria Pavoncelli, per la vita che è l’Acqua, al Santuario gestita dall’ Acquedotto Pugliese ed in di San Gerardo a Caposele e delle
non essere precipitosi nel voler a tutti i costi concludere trattative per opere di adduzione di acqua dal nostro territorio ad altri territori senza avere quello che perdiamo in cambio di altro,perché per noi vige il rapporto 1 ad 1,ed anche perché la convenzione con l’Acquedotto Pugliese scadrà nel 2012 e non dobbiamo essere noi a tirare la giacchetta, come si dice dalle nostre parti,ma devono essere altri, più interessati di noi alla chiusura delle trattative. Detto questo vorrei invitare gli amministratori a voler coinvolgere intorno al rinnovo della benedetta convenzione tutta la cittadinanza di Caposele ed investire e coinvolgere le migliori energie e capacità professionali che possono essere di aiuto per ottenere i migliori ed auspicabili risultati per il futuro delle nuove generazioni. S e v o l e t e , o ff r i a m o l a n o s t r a collaborazione in uno spirito di servizio alla cittadinanza,senza saccenza ma con impegno a trovare le migliori competenze.
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Caposele,03.12.2010
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Storia e Immagini
Antimo Pirozzi, Pino Melchiorre e Raffaele Malanga
Marialorenza e Giuseppe Malanga
Rocco Caruso, Michele Ceres, Angelo Farina , Claudio Russomanno e Giuseppe di Cione
Gerardo Damiano e la moglie Dusca Il generale Di Masi e il figlio Dott. Luca
Giovanni Airello in una fase della vendemmia
Cettina Cibellis e la nipotina Giuseppe, Carmela e Gianluca Federico Barbarossa
BUON NATALE dalla redazione Via Santuario con le luminarie installate nel giorno dedicato a S. Gerardo. La raccolta dei fondi necessari è stata realizzata, con passione ed abnegazione, dal Cav. Antimo Pirozzi al quale vanno i nostri piu' vivi complimenti
Gli amici del "Cuore"
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Anno XXXVIII - Dicembre 2010
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Storia e Immagini
LE NUOVE PROMESSE DELLA MUSICA
Antonella Perna
4 Generazioni a confronto - SanitĂ Maria Cetrulo, Gerardina Nesta, Katia Parolin, Martina Bridda
Lo staff tecnico della corsa campestre.
Camillo Paolercia
Gilda Conforti e Franca Gonnella
Giuseppe Cifrodelli nella commedia: "L'Acqua non si vende"
Rosalba e Simona
Generoso Notaro
Le sorelline Francesca e Donata Spatola
Antonietta Galdi festeggiata da parenti ed amici
Nancy Malanga, Rossella Verderosa e Paola Majorana
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Giorni Lieti
di Antimo Pirozzi
Il 13 dicembre scorso DANIELE LOMBARDI ha compiuto 18 anni. Dai nonni Pino Melchiorre e Agnese Malanga con zia Gerarda, l’augurio per un avvenire sereno e leggero come il volo di un’aquila
Fiorenza Gullo di Alessandro e di Mariassunta Conforti nata il 27.07.2010
Annalisa Russomanno, si e' laureata il 27.10.10 presso l'universita Federico 2' in odontoiatria e protesi dentaria con la votazione: 110 e lode con mansione, discutendo la tesi: terapia implantare nel paziente parodontopatico.
ANTONIO AURIEMMA ANNAMARIA PERROTTA
26.07.2010 – Facoltà di Farmacia, Laurea in Tecniche Erboristiche presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" - tesi su "Farmacologia dei prodotti naturali"
Anna Sena e Giovanni Paolercia il giorno 26.07.2010 hanno coronato il loro sogno d'amore
16-11-2010 - Laurea in scienze infermieristiche. Università di Parma - Tesi su: La gestione del rischio clinico e la sicurezza dei pazienti. L'esperienza nell'Ospedale di Borgovalditaro.
Michele Cuozzo e Tiziana Damiano FELICI SPOSI 7-agosto-2010
MARIA FILOMENA CUOZZO 27/09/2010
- Laurea Magistrale in Economia Aziendale professione contabile Management e controllo d’azienda presso l ' Università "Pathenope" di Napoli.Tesi su “La fusione tra aziende: Il caso della fusione per incorporazione di ALLEANZA e TORO SpA in Generali SpA.” con votazione 110/110 e lode.
Ginevra Apicella di Antonio e Cesaria Mattia - nata il 26-102010
Gerardo Alessio Malanga di Enzo e Seravina Monteverde nato il 12-09 -2010
ANTONELLA ZARRA
16-11-2010 - Laurea in scienze infermieristiche. Università di Parma - Tesi su:la gestione del paziente complesso in ambito chirurgico.
Salvatore Sena di Franco e di Nevicella Sista nato il 2-7-2010 Giuseppe Cetrulo di Vitale Cetrulo e Antonietta Ceres Battesimo il 08/12/2010 nella Chiesa Madre di S. Lorenzo a Caposele ROMEO NESTA GAETANA CASALE
17/12/2010- Laurea Specialistica in Scienze dell’alimentazione e della Nutrizione Umana presso l’Università degli Studi di Perugia. Tesi su “Allergie e intolleranze alimentari: Il caso del frumento”
29-09-2010 -Laurea in Scienze Psicologiche del Lavoro e delle Organizzazioni, presso l’Università Carlo Bo di Urbino discutendo la tesi “ Il Focus Group nella ricerca psicosociale”
Jannifer Caruso Di Gerardo e di Maria Nesta nata il 20.09.2010
Gerardo Caruso e Maria Salvatoriello il giorno 8 dicembre scorso hanno festeggiato 50 anni di matrimonio LUCIA COLATRELLA MARIA CETRULO
23/07/2010 - Laurea Specialistica in Chimica e Tecnologia Farmaceutica presso l'Università "Federico II" di Napoli.Tesi su “Sintesi e caratterizzazione strutturale di nuovi nucleosidi aciclici analoghi della timina”
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Laureata il 27 novembre 2010, presso il Conservatorio di Musica “G. Martucci” di Salerno discutendo una tesi su “Count Basie: Il Padre del Jazz Moderno” e conseguendo il titolo di dottoressa in “Jazz, Musiche Improvvisate e Musiche del Nostro tempo” nel corso di Organo Hammond con votazione 110\110.
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Domenica Marsiglia e Aurelio Vigilante hanno felicemente festeggiato il 50° anniversario di Matrimonio.La foto li ritrae con i figli Gabriele e Mariano
Giuseppe Ilaria
Antonella Gervasio
Amatuccio Merola
Carmine Gonnella
Michele Cuozzo
Gerarda Forlenza Gelsomina Monteverde
Domenica Marsiglia
Mario Guarino
Rosina Caruso
La piccola Gerarda Damiano di Davide in una foto con con la nonna Gerardina
Giovanni Viscardi
Mimmo Grasso
Pietro Pallante
Rosa Castagno di Lorenzo ed Elisabetta Pallante
Enrico Rusomanno Gerardo Dalessio
Antonietta Dalessio
Gerardo Nesta
“Saggio è colui che fa tesoro degli anni passati e che conta su quelli futuri”. Auguri che opossiate averne tanti davanti a voi … Auguri nonno Rocco (90 anni a settembre) e nonna Rosa ( 85 anni a ottobre) Con affetto da Rocco, Gessica, e Sabrina Sozio
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Le interviste de "La Sorgente"
Intervista:
La posizione di Pietro Cetrulo sulla convenzione con l’AQP
A
bbiamo interpellato Pietro Cetrulo, consigliere comunale di Caposele ed ex coordinatore Pdl locale, oggi approdato al nuovo partito di Fini (Futuro e Libertà per l’Italia) di cui è un esponente di punta, soprattutto in Alta Irpinia. Cetrulo è da sempre impegnato sul problema delle acque a Caposele, seguendo tutte le evoluzioni in cui si è articolata quest’annosa vicenda. In questi giorni si parla di rinnovo della Convenzione tra Caposele e l’Acquedotto Pugliese. Qual è la sua posizione in merito? «Chi ha seguito in questi anni le mie iniziative sul problema delle acque e i rapporti con l’Acquedotto Pugliese già conosce le mie idee in proposito, che, tra l’altro, sono state ben illustrate nei vari convegni organizzati a Caposele e soprattutto messe nero su bianco durante una raccolta firme a sostegno delle nostre richieste ultrasecolari. Una raccolta che giunse a quota 1100 circa firme, che furono girate a Bassolino, Vendola e l’Acquedotto Pugliese. Ma da nessuno dei tre abbiamo mai ricevuto risposte». In cosa consistevano quelle richieste? «Sinteticamente si richiedeva un ristoro economico per le mancate opportunità legate allo sfruttamento delle acque sgorganti nel nostro comune e cosa ancora più importante un indennizzo per la tutela e la salvaguardia del territorio ricadente nel bacino idrico delle sorgenti del Sele, il tutto quantificabile a circa 1 euro l’anno per utente Aqp. Inoltre si chiedeva di poter utilizzare le sorgenti a scopo turistico (visite) da collegare in un circuito collegato al Santuario di San Gerardo. E ancora la costruzione di una centrale elettrica per fornire energia elettrica pubblica gratis (esisteva prima della costruzione della Pavoncelli) per la quale fu fatta un interpellanza all’allora Ministro On. Di Pietro dall’On. Giulia Cosenza, il quale rispose in modo affermativo, dichiarando che si sarebbe costruita insieme alla Pavoncelli-bis. Altre richieste erano la realizzazione di un laboratorio di analisi per le acque in loco, da tempo previsto, la sistemazione delle aree adiacenti le sorgenti, piazza e parco fluviale, il ritorno a Caposele del museo sull’acqua trasferito a Bari, la manutenzione gratuita di rete idrica e fognaria, una quota di acqua gratis per i Caposelesi, un aumento forza lavoro indigena (attualmente ne sono 7/8 su circa 2000 dipendenti dell’Aqp),
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una rappresentanza del Comune di Caposele nel cda dell’Aqp, e la presenza del nostro Comune a tutti i tavoli dove si parla delle sorgenti del Sele». Certo che si tratta di un bel po’ di cose. «Si, a prima vista sembrano tante, ma dobbiamo tener conto di cento anni di scippo della nostra acqua e di tante convenzioni mai onorate dall’Aqp e dalla Puglia. Quasi tutte queste richieste erano già state formulate in passato e ne è stata aggiunta qualcuna che si ancòra alle problematiche dei nostri giorni». Ci spieghi meglio quest’ultimo punto. «Nei mesi scorsi l’Aqp a v e v a a v a n z a t o d e l l e o ff e r t e all’Amministrazione di Caposele che sono state oggetto di valutazione da parte di maggioranza e minoranza, dalle quali è emerso che tali offerte non erano in sintonia con le nostre richieste. Pertanto si è deciso di ritornare a contrattare, ma ho notizie dell’ultima ora, in cui si evince la pervicacia dell’Aqp e della Regione Puglia a trovare sempre pretesti per non onorare le nostre richieste». A cosa si riferisce? «Vogliono che si cancellino tutte le precedenti convenzioni, fruizione visita alle sorgenti vincolata!, niente Museo, niente laboratorio, niente quota acqua gratis per Caposele (anzi installazione contatori peraltro già previsti in una convenzione del 1997 firmata dall’allora sindaco Corona con relativa fatturazione e rivendicazione dell’AQP di circa 300l/s ora di proprietà del Comune di Caposele), niente manutenzione come adesso di rete idrica e fognaria, niente centrale elettrica, niente deflusso minimo per il fiume Sele, occupazione zero (vedi caso tre operai ex Faver), guardiani alle sorgenti sostituiti con non indigeni (sarebbe opportuno se non fosse altro per motivi di sicurezza e reperibilità), non considerazione di rappresentanza nell’ente o ai tavoli di concertazione, neanche un euro o una lira a sostegno della manutenzione dell’alveo del fiume Sele e altro ancora». Certo che i soggetti non sono malleabili. «Non solo non sono malleabili, ma sono anche arroganti, prepotenti e strafottenti. Basta vedere l’area in cui si trovano le sorgenti e ci si può rendere conto di come siamo considerati. Fanno fatica a pitturare
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persino le pareti corrose o cambiare un cartello rotto o, ancora, tagliare più frequentemente l’erba. Bisogna rendersi conto che è ora che questi signori non mettano più piede a Caposele». Cosa propone? «Che l’amministrazione faccia tutti i tentativi che vuole e riferisca l’andamento delle cose a tutti i consiglieri comunali di maggioranza e minoranza, i quali in questa fase si faranno portavoce delle aspettative dei cittadini e dei consigli dei cosiddetti
“saggi”, senza consulte o altri organi composti da gente che nel passato hanno fatto un buco nell’acqua (per rimanere in tema). Dopo di che, quando si pensa di aver raggiunto un buon risultato, si porti la problematica istituzionale a conoscenza della popolazione a cui verrà data l’ultima parola in merito». Allora è guerra con l’Acquedotto e la Puglia? «Se l’Aqp e la Puglia continuano così, sicuramente il sottoscritto e penso anche i cittadini di Caposele non resteranno con le mani in mano e metteranno in atto tutte quelle azioni in difesa di territorio e provincia. E già da ora annuncio che in una prossima occasione parleremo della Pavoncellibis, altro tema spinoso».
Michele D’Ambrosio: la sinistra che ci mancherà Michele D’Ambrosio? L’ho visto l’ultima volta a Caposele insieme alla sua Vittoria in un pomeriggio di luglio scorso, quando il complicarsi della sua malattia, l’aveva portato all’Ospedale di S. Angelo e, quindi, aveva deciso di dimorare per qualche mese a Lioni. Ci siamo casualmente imbattuti in piazza Dante, a pochi passi da quel luogo che trent’anni fa accoglieva la vecchia sezione del P.C.I. che collassò col terremoto, travolgendo tanti compagni. Dirigendo il suo sguardo verso quel sito, per un istante, non disse nulla: in fondo quella specie di sacrario era la metafora di una sinistra liquefattasi. Ripartì di lì a poco e poi non l’ho rivisto più, se non in quel salone di Federazione in via Dante, dove il suo feretro, omaggiato da tanti, era attorniato dai compagni di sempre e dai suoi cari. Dormiva Michele, il sonno dei giusti di cui si parla in certi libri sacri, di quel sonno, però, che strappa un impegno ai “sopravvissuti” a ricordare che non si muore mai del tutto se resta viva un’idea attraverso la memoria. Questa era la sostanza della sua “laica religiosità”. La memoria, sembra dirci Michele, è una sofisticata funzione della mente utile all’uomo solo se si è in grado di conferirle un mandato che equivale ad una missione civile. Egli non ha mai voluto coltivare l’esercizio dell’oblio politico perché funzionale solo al gattopardismo, a chi nei corsi e ricorsi della storia e della cronaca, ha interesse ad annebbiare cause ed effetti, per salvare se stesso. Egli era eticamente allarmato per la sciocca comunicazione resa ai giovani sulla fine dell’identità, dell’appartenenza e del sentire collettivo, quale sbocco inevitabile della modernizzazione. Cancellare le orme del passato, infatti, significava spingere le nuove generazioni su terreni inesplorati, con i limiti che comporta il pensiero individualistico. Quante parole in libertà abbiamo sentito nei giorni successivi alla scomparsa di D’Ambrosio! Egli avvertiva la complessità del mondo ed il pericolo che la società stesse diventando un carnaio umano in cui s’era annebbiato il valore della vita ed il gusto di militare e di lottare, ma proprio per questo chiedeva alla Sinistra un colpo di reni e non un lento ed inesorabile abbassamento della guardia. “Chi se non noi dobbiamo difendere i più sfortunati della Terra, di questa Terra che una minoranza di uomini non solo considera “cosa loro” ma stanno portando anche alla malora?” Non, quindi, una sinistra appollaiata sulla politica come gestione, ma sulla politica come sogno e governo del possibile perché, come sosteneva Eraclito, solo che spera nell’insperabile prima o poi vi approderà. Dunque strutture solide del pensiero che nulla concedono alla revisione di fondamenti e di pilastri e per intanto, rispetto di tutte le libertà coniugato con la convinzione che la nostra società ha bisogno di trasformazioni profonde, radicali e progressive. Detto questo, allora, possiamo anche definirlo un conservatore rivoluzionario, ma nel senso che egli chiede una rivoluzione nei nostri comportamenti politici, a condizione che essi non disconoscano i tesori della nostra cultura, per la quale milioni di uomini e donne hanno lottato anche col sacrificio della loro vita. di Alfonso Merola
Almanacco
Il giorno 30 novembre scorso, all'età di 55 anni si è spenta l'esistenza dell'ing. Giuseppe Ceres. Un folla enorme ha partecipato commossa ai funerali. Ai figli Rocco Lia e Chiara, alla moglie Rosetta ed alla madre le condoglianze sentite della redazione.
Giorni Tristi
Roberto Della Luna 21.10.1916 - 14.10.2010
Maria Meo - 12.03.930 27.11.210
Virginia Di Cione 20.10.29 30.08.2010
Mariantonia Ciccone 11.10.1913 - 03.08.2010
Gerardo Malanga 30.04.33 22.09.2010
Concetta Ceres - 05.12.39 11.10.2010
Consiglia Malanga 21.09.1928 08.07.2010 Angelo Perucci 22.12.1940 20.09.2010
Antonio Cetrulo 20.04.35 26.07.2010
Ricordo di Filomena Nella serata di una fredda giornata di fine ottobre, dopo una lunga e sopportata sofferenza si è allontanata da questa terra la cara Filomena Merola , sempre confortata e seguita dal caro e affettuoso fratello Alfonso, già Sindaco di Caposele. Filomena era consapevole del suo male incurabile ma non ne faceva un dramma per non far perdere la speranza ai suoi cari figli e familiari. Grazie Filomena per la tua sensibilità e per il tuo sorriso. Hai creato un vuoto in via Santuario. Ci mancherai. Antimo Pirozzi
Gelsomina Cetrulo 17.05.32 - 10.07.2010 -
Giovanni Damiano 12.11.1920 03.08.2010
Giuseppe Tarantino 24.02.55 - 30.08.2010
In ricordo di FILOMENA MEROLA
Filomena Merola 05.04.58 - 29.10.2010
Gelsomina Nesta 11.02.192006.02.2010
Il 29 ottobre 2010 Filomena Merola si è arresa ad un nemico inesorabile, dopo una lotta impari durata quattro anni, sostenuta esemplarmente dall’affetto di Rossella, Raffaella,Giuseppe e di suo fratello Alfonso. Tanti di noi abbiamo “tifato” per lei in questi anni vissuti in bilico tra speranze e paure di una madre premurosa, di una lavoratrice instancabile, di una donna che ha fronteggiato, in silenzio e a testa alta, l’impeto di vicende che mettono a dura prova la vita umana. Ai sui cari la Sorgente rinnova vivo cordoglio.
Gerardo Casale - 28.03.1946 17.10.2010
Gerardo Casale, l’amico di tutti, il protagonista di mille iniziative, è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari e di tanti amici che gli volevano bene. Lo ricorderemo per il suo impegno costante a favore dello sport, delle manifestazioni a carattere sociale e per l’attaccamento alle cose belle e buone del nostro Paese. Alla moglie Maria, ai figli ed ai parenti tutti la redazione de La Sorgente esprime le più sentite condoglianze.
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L
'Amministrazione comunale sta procedendo alla realizzazione del progetto di una nuova area fluviale che riscopre un posto incantato di Caposele rimasto per tanti anni nascosto ed inaccessibile. E' la parte a monte di Tredogge che segue un percorso naturalistico e molto suggestivo attraversando e affiancando il torrente Palmento fino alla cascata dello scolo dell'acqua di Cassano.
IL BOLLINO VERDE "PLAY" SULLA FOTO RAPPRESENTA L'APPROFONDIMENTO VIDEO DELL'ARGOMENTO TRATTATO ATTRAVERSO IL CANALE "YOU TUBE" ALL'INDIRIZZO:
http://www.youtube.com/periodicolasorgente
codice Q.R.
YOU TUBE. COM
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LA SORGENTE PRESENTA I LUOGHI DI CAPOSELE
L'acquisizione delle aree che è già avvenuta in consiglio comunale e votata all'unanimità consentirà di porre in essere tutte le idee sviluppate affinche si possa utilizzare turisticamente le bellezze del paesaggio caposelese. L'area che non è molto grande sarà attrezzata con panchine, cartellonistica, balaustre in legno e aree picnic e sarà collegata naturalmente alla parte alta del Parco fluviale già esistente, affinchè i due nuclei naturalistici possano dare la giusta visibilità all'ingresso del Paese e alle sorgenti del Sele. Vi informeremo sul prosieguo dei lavori e sui nostri suggerimenti che già abbiamo già trasmesso agli amministratori.
L’Oasi della Madonnina Un lembo di terra dove ancora si può entrare in contatto con la bellezza di una natura incontaminata.
Un’oasi circondata da immagini da sogno per volare con la fantasia.
Scoprire da vicino il meraviglioso spettacolo della natura.
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Luoghi di straordinaria bellezza: un patrimonio unico per colori, profumi e suoni della natura.