Sorgente n. 64

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Lettere in redazione gli spazi si cancellano, il tempo si ferma al giorno in cui dissero addio ai cari amici, le parole diventano vive ed i sentimenti realtà. Ed il mitico poeta suggerisce: “Taci”. Il suono è diventato più forte, più nitido, più chiaro, più maestoso. “Ascolta”. La voce racconta che simile al veglio dantesco, dalle viscere del Paflagone vien fuori un umor che diventa ruscello e poi fiume, che si riversa sinuoso e canterino verso la valle fiancheggiata da colline che “ .... mille di fiori al cielo mandano ed incenso …” Il fiume racconta di aver raggiunto le arse terre della Daunia sitibonda e della Calabria irsuta e di aver dissetato quelle popolazioni. Ora ha un nome famoso che resterà duraturo nel tempo. Ecco, sì, “La Sorgente” fa rivivere i ricordi, fa rinverdire i sentimenti, fa rifiorire la speranza, fa animare la fantasia di immagini accorate ed i caposelesi si sentono orgogliosi dei loro periodico, offrendo ad esso il meglio della loro cultura, del loro mondo di sogni, delle loro attività. Ed i giovani balzano prepotenti alla ribalta con le loro iniziative in tutti i campi, uscendo fuori dal piccolo paese e varcando la soglia della notorietà nazionale, come la prestigiosa nuotatrice che non manca di stupire con i suoi record. Ma anche in altri settori i giovani vogliono affermarsi e “La Sorgente” li qualifica, li esalta, li segue con il suo occhio vigile ed attento, per immortalare le loro imprese. E che dire delle fotografie che come piccole pietruzze accostate insieme riescono a creare il mosaico de “La Sorgente”. lo ti saluto Nicola con un “

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Periodico a cura della Pro Loco CapoDirettore Nicola Conforti Vice Direttore Pasquale Cozzarelli Grafica e impaginazione Salvatore Conforti Segreteria di redazione e Fotografia Donato Conforti confortinic@tiscalinet.it

- Anno XXVII - Dicembre 1999 - N.64 -

Dopo tante aspettative e trepidazioni possiamo essere certi che siamo giunti alla vigilia dell’anno 2000. Era nelle intenzioni di ognuno di noi, specie da chi da sempre è socio della Pro Loco e conseguentemente collaboratore de “La Sorgente”, lasciare un tangibile segno alle generazioni del ventesimo secolo. Ahimè, si riscontra che abbiamo fatto poco. Nel mondo ebraico il Giubileo restò come una prospettiva ideale, come un segno di vita rinnovata. L’avvento del Cristianesimo, perciò, fu presto ritenuto come un’alta profezia del futuro; il preannunzio della vera liberazione del Messia, del “vero anno di grazia”, della “pienezza dei tempi”, della Redenzione, del Perenne Giubileo. Noi che viviamo in una piccola realtà molto lontani da Roma, non sappiamo se il Giubileo ci porterà benessere. In noi è venuto meno il vero motivo: quello di costruire l’amore e la speranza del popolo in cui viviamo. Di questo potrebbe darci una mano la civica amministrazione e tutte le forze politiche che ci circondano (se veramente esistono). Basta poco a far accrescere la speranza a un povero comune cittadino, (perché in fondo siamo tutti poveri, chi nello spirito, chi nella ricchezza, chi nell’amore) dimostrare la disponibilità per porre almeno a proprio agio un cittadino a chiedere un suo diritto o presunto tale. Se invece il cittadino si vede trattato con distacco e sufficienza o, peggio ancora, ignorato in tutte le manifestazioni ecco, che saremo tutti ancora più poveri e brutti. Abbiamo tutti bisogno di arricchire lo spirito della nostra anima e rafforzare il nostro cuore per poter vivere un cammino diverso insieme alle generazioni che si affacciano alla vita. I problemi quotidiani non li risolve nessuno se ciascuno con le proprie forze e capacità, ma almeno non ci dimentichiamo di coloro che vivono il problema della sopravvivenza e che versano nella precarietà abitativa, quando poi, abbondano alloggi vuoti sia nel pubblico che nel privato. Il Giubileo potrebbe essere anche questo e non la speranza dell’arricchimento materiale. Buon Natale a tutti. Antimo Pirozzi

Caro Direttore, Il mio è un saluto malinconico e forse rassegnato per un paese che rischia il definitivo tracollo. Tante grandi potenzialità, tanti giusti e validi motivi di progresso per una riscossa e rinascita di un Paese che non è assolutamente uguale a tutti quelli che lo circondano sembrano affievolirsi. Ma la pigrizia, l'invidia e la mancanza assoluta di tolleranza, riportano Caposele a livelli molto bassi e rischiosi per chi ha deciso, come me , di restare e lottare fino alla fine. Il mio è solo un mero saluto ed augurio ai caposelesi e alle persone di buona volontà, affinchè, col nuovo millennio, si possa cambiare rotta e recuperare quello che c'è ancora di buono nelle persone e trasformare la rassegnazione e malinconia mia e di tanti miei coetanei in una lieve speranza per il futuro. Raffaele '71

IN COPERTINA

Caro Nicola, ho ricevuto l’ultimo numero de “La Sorgente” e l’ho trovato vario, articolato, fantasioso ed interessante. Sembra che una mano invisibile muova i tasti di un vecchio cembalo, producendo suoni ora tenui, ora forti, ora gravi, ora dolci ed i suoni si librano in alto e come onde sonore giungono in lontani paesi, dove si trasformano in racconti e canti e questi in personaggi e poi in storia. E’ una storia lunga che dura da oltre trent’anni e mantiene inalterato il suo fascino ed il suo incanto, poichè il suo taumaturgo‑incantatore è riuscito a fermare il tempo carpendo l’afflato della vita. Tutte le Muse si sono pronunziate: da Calliope, ad Erato, a Talia ed hanno raccontato che un piccolo paese vive di una storia a volte intima, a volte palese, fatta di angoli di strade, di piazzette suggestive e fascinose, di vicoli stretti e, talvolta, avvolti nella penombra, di volti rugosi, stanchi, accasciati dal lungo lavoro, di vecchietti che si sostengono al bastone di corniolo e poi il castello, sì, il castello attomo a cui un tempo ruotava la vita dei caposelesi e che ancora mantiene inalterate la sua austerità e la sua sontuosità. Ora sta lì in atteggiamento sornione, ma il suo sguardo continua a stendersi nella valle sottostante, quasi guerriero teutonico pronto a sollevare la spada minacciosa contro il nemico. “ .... Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono in quel momento i sogni della ricchezza… ed un sentimento accorato soffoca la gola e rivive i momenti più belli della vita. “ .... Che pensieri soavi, che speranze, che cori! Quale allor apparia la vita umana e il fato …” Il pensìero acquista un volto, più volti: la mamma, il papà, gli amici, i luoghi di ritrovo serale, le feste con luminarie e fuochi d’artificio poi la partenza, la lontananza, la triste solitudine dell’emigrante. Ogni sera l’emigrante rivive nel cuore i versi danteschi “ .... Era già l’ora che volge al desio, ed agli emigranti intenerisce il core …” che dolore sentirsí lontano dal luogo natio, ma con “La Sorgente”

Bimbi di Caposele: generazione del 2000

La Sorgente n. 64

sommario Lettere in redazione Pag.2 Primo gennaio 2000 di A. Sena Pag.3 Liceo dimenticato di G. Palmieri Pag.5 Almanacco di A. Pirozzi Pag.6 Statti cittu... di C. Casale Pag.7 Piccola cronaca di S.Conforti Pag.8 Pag.11 Speciale ferragosto Pag.21 Il mio Natale di A. Merola Pag.23 Caposele Italia di G. Ceres Pag.24 Suggerimenti... di P. Cozzarelli Pag.25 L' Opposizione di A. Montanari Pag.26 Le ragioni perdute di A. Ruglio Pag.27 L'alba della politica di M. Ceres Pag.27 A proposito di ICI di N. ChiaPag.28ravallo Pag.28 Biglietto da visita..di G. MontaPag.29nari Pag.29 Comune.... di F. Ceres Pag.30 Linea trasversale di G. Giorgio Pag.32 Profumo di natale di V. Palmieri Pag.32 Le nostre origini.. di V. Caruso

AUGURA BUONE FESTE


Lettere in redazione

F

ino alla fine di quest’anno (1999) e per buona parte del prossimo (2000) si continuerà a parlare, a Caposele come in tanti altri posti, di millennio e di fine millennio, di nuovo millennio e di terzo millennio. E’ un’eco che da un po’ di tempo percorre tutta la Civiltà Occidentale Cristiana, che ha incominciato a contare la sua età insieme a quella del proprio Cristo Redentore. Solo un inciso per considerare anche altri punti di vista: le età di tutte le altre Civiltà che compongono l’intera Umanità vengono conteggiate in tutt’altro modo a secondo delle diverse Storie più o meno rivelate. Un secondo inciso per approssimare una stima: una persona su cinque appartiene alla Civiltà Occidentale Cristiana, le altre quattro ad altre Civiltà che professano le più svariate e diverse religioni. Un ultimo inciso per ricordare come va questo nostro mondo: la Civiltà Occidentale Cristiana tiene saldamente in mano il sistema produttivo ed i mezzi di comunicazione di massa, professa il fondamentalismo e la globalizzazione del mercato, lo divulga come Pensiero Unico. Allora il Duemila è una data, un limite, un simbolo, un prodotto di largo consumo di cui fino alla fine di quest’anno (1999) e per buona parte del prossimo (2000) si continuerà a parlare, a Caposele come in tanti altri posti. Del 2001, come del 2019, ne continueranno a parlare solo i più assidui frequentatori di sale cinematografiche. Si potrà poi continuare a parlare anche del palindromo 2002, ma solo per una curiosità numerologica. Per il 2003 e seguenti ci sarà poi una normale aspettativa, al di fuori cioè di ogni ossessione celebrativa o apocalittica. In ogni caso oggi del Duemila tutti ne parlano, perfino noi. Molti, già da tempo, sono entrati in uno stato di ossessione celebrativa; per altri è una irripetibile occasione consumistica; quelli (i soliti) che hanno fiutato in tempo l’affare ne trarranno i dovuti profitti; per la casta degli imbonitori multimediali uno spot da fine millennio è molto più accattivante di uno spot da fine secolo, più originale di uno spot da fine anno, più sbalorditivo spot da fine settimana. Perché perdere una simile occasione per promuovere la propria immagine, la propria azienda, la propria squadra, il proprio istituto, il proprio governo? Non dovesse bastare, il Duemila sarà anche tempo di Giubileo: dal 1300 per la quindicesima volta (trascorsi sette volte sette anni) cade l’anno giubilare in

ricordo della legge mosaica enunciata nel capitolo XXV del Levitico. Ebbe una grande intuizione Papa Bonifacio VIII, anche se in quell’anno (1300) era molto impegnato nella lotta con il re di Francia Filippo il Bello e, attraverso lui, con quella società cristiana laica che, come si legge in J. Le Goff, tollerava sempre meno il giogo pontificio. Dunque un anno di adempimento penitenziale e di assoluzione: in quegli anni la rinascita del Giubileo si andava a saldare alla nascita del Purgatorio, che, seppure ignorato dalle Scritture, già dal secolo precedente, si era proposto alla attenzione del nuovo ordine sociale e permetteva alla Chiesa di estendere il proprio potere anche nel mondo dell’Aldilà. Per quell’occasione e per tutte le altre che ne seguirono il papa accordò ai pellegrini che giungevano a Roma

del mondo l’anno comincia in una data diversa, o per antica tradizione o perché l’inizio è mobile, come nei paesi di religione musulmana dove il tempo è misurato sulle lunazioni partendo dal 16 luglio del 622 d.c., giorno dell’Egira, ovvero la fuga di Maometto dalla Mecca; gli ebrei invece hanno un calendario lunare con dodici mesi di 29 o 30 giorni, cui aggiungono ogni tre anni un mese supplementare. D’altronde anche nel nostro Paese si è giunti al primo gennaio gradualmente. Nella Roma arcaica, come testimonia il calendario attribuito “leggendariamente” a Romolo, l’anno nuovo cominciava a primavera, così pure in altri paesi del Mediterraneo e del Vicino Oriente, quando il sole, dopo il semestre invernale, torna

risplendere alto nel cielo e la terra si risveglia con una nuova fioritura. Fu il secondo re di Roma, Numa Pompilio, con l’introduzione del mese di gennaio e di febbraio, a mettere mano ad una prima sostanziale riforma di tipo lunisolare del calendario, che in quei tempi si svolgeva su soli dieci mesi a causa di ancestrali retaggi delle popolazioni indo-europee. Ma i conti comunque non tornavano; si corse subito ai ripari mediante intercalazioni di alcuni giorni e poi addirittura con l’aggiunta di un tredicesimo mese; e fu così che man mano la misurazione del tempo, all’epoca dei nostri antenati Romani, precipitò nel disordine più totale; il tutto veniva aggravato dall’arbitrio dei pontefici che avevano il compito di ordinare le intercalazioni e che,

Primo Gennaio Duemila: un giorno del nostro calendario di Antonio Sena

l’indulgenza plenaria, la remissione completa dei peccati, sino ad allora concessa solo ai crociati, e per lo stesso prezzo ne estese i benefici anche alle anime di quei defunti, che solo qualche anno prima, nel 2° Concilio di Lione del 1274, le gerarchie ecclesiastiche avevano deciso che si potessero trasferire dall’Inferno verso un nuovo luogo intermedio di penitenza e di purificazione chiamato per l’appunto Purgatorio. Era (e lo è tuttora) un’occasione da non perdere. Ne seguirono scismi, eresie e guerre di religione; ma l’accoppiata Giubileo/Purgatorio è arrivata indenne fino al Sindaco Rutelli ed alla Legge 651/96. Ma il 2000 prima di un delirio di massa è un “anno”, un giorno del “calendario”, un “tempo”. Solo per questo vale la pena soffermarsi su alcuni temi che si trovano già ampiamente sviluppati da alcuni autori come Macrobio, Cappelli, Cattabiani. L’anno (da anulus ) è dunque l’anello del tempo, il moto circolare del tempo che si rigenera dopo che la Terra ha compiuto un giro completo intorno al Sole; o il Sole intorno alla Terra, come si credeva in altri tempi. Oggi nei paesi occidentali tale rigenerazione si compie alla mezzanotte del primo gennaio; ma in altre parti

L'orologio della vecchia chiesa Madre

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...segue da pag. precedente

quindi, allungavano o accorciavano la durata degli anni per allungare o accorciare la durata in carica di qualche magistrato o esattore di imposte. Per fortuna Giulio Cesare aveva assunto già un notevole potere autocratico, quando, secondo Plinio il Vecchio, l’astronomo Sosigene si accorse che il 46 a.c. ebbe inizio in realtà il 14 ottobre del 47 a.c., ovvero 77 giorni prima; fu così che furono necessari ben 3 mesi intercalari e, dal momento che non se ne poteva più, Caio Giulio Cesare, da vero deci-sionista, decretò una nuova riforma adottando l’anno solare degli Egizi, date anche le simpatie del momento. Tale riforma prevedeva, tra l’altro lo spostamento definitivo del Capodanno dal primo marzo al primo gennaio, sebbene a marzo conti-nuassero a celebrarsi le feste tradizionali connesse al rinnovamento cosmico. Era però rimasto un unico difetto: la durata dell’anno in 365 giorni e 6 ore risultava di soli 11 minuti e 13 secondi superiore all’effettivo corso del sole, vale a dire un giorno in più ogni 128 anni, vale a dire che l’equinozio di primavera ed il solstizio di inverno retrocedevano di anno in anno, tanto che ai giorni nostri il veglione di Capodanno si sarebbe dovuto organizzare al posto della festa di santa Lucia; perciò già nel Concilio di Nicea del 325 d.c. si era intervenuto, con apposito decreto, per riportate le date nella loro posizione canonica; ma il problema restava e continuava a creare complicazioni in particolare alla nuova classe emergente della borghesia postmedioevale, che evidentemente sentiva il bisogno di pianificare con più certezza “temporale” la propria attività finanziaria. Fu infine papa Gregorio XIII a decidere l’ultima riforma nel 1582, tuttora vigente, con la bolla Inter gravissimas, approvata da tutta la scienza ufficiale d’Europa, ma, inizialmente rifiutata da molti Stati, soprattutto da quelli a maggioranza protestante, solo per il fatto che essa proveniva dall’odiata Roma papalina. Si deve aspettare la metà del diciottesimo secolo perché questi ultimi si decidessero ad adottare il calendario gregoriano. Per non parlare della data d’inizio del nuovo anno che fino all’epoca moderna, volendo restare in Europa, continuava a fluttuare dal 25 dicembre al 25 marzo, lasciando tutto questo periodo costellato di varie ricorrenze e celebrazioni, che tradizionalmente si ispirano alla nascita del nuovo

anno, tra cui il Carnevale (vedi n° 56 de “La Sorgente”) e che capitano proprio laddove il re Numa Pompilio era andato ad incastrare i due mesi aggiuntivi. Ancora oggi i cristiani d’Oriente per una forma di attaccamento estremo alla tradizione contano i loro giorni e le scadenze liturgiche con il, seppur approssimativo, calendario giuliano. Tanto è pur sempre una convenzione come un’altra. Questo perché, volendo andare a spaccare il capello, o per meglio dire il milionesimo di secondo, le più recenti misurazioni con le più recenti e sofisticate strumentazioni pare che abbiano scoperto nell’attuale calendario un ritardo di 61 decimilionesimi di giorno ogni 100 anni. Da qui a qualche secolo ci sarà bisogno di una nuova riforma. Ma tutti i calendari del mondo, seppure nella più perfetta e meditata prospettiva del prima e del poi, non possono che essere dei meri “contenitori” di eventi, la qual cosa giustifica ampiamente l’abitudine o la convenzione di una società di uomini che porta a contare il tempo a partire da un evento. Sia esso la nascita di Cristo, la fondazione di Roma o il giorno dell’Egira, ogni volta si tratta della nascita del nostro tempo, che non corrisponde alla nascita del tempo. Allora il tempo. Da un po’ di tempo il “tempo” come “irreversibilità” è stato incorporato nella struttura fondamentale della scienza. Ai sistemi in equilibrio, dove il tempo non scorre, subentrano sistemi instabili dove è possibile scorgere un passato ed un futuro. Pertanto da un po’ di tempo tutti sembrano d’accordo sull’importanza del “tempo”: nell’osservazione delle galassie come nello studio delle particelle elementari, in biologia come nelle scienze umane. E’ sempre il processo evolutivo del sistema che viene preso in esame. Pare invece che non sono tutti d’accordo nel ripensare alle strutture di base del sapere se, cioè, considerare il tempo come ciò che conduce all’uomo e non l’uomo come il creatore del tempo. Una cosa è certa che con la comparsa della vita nell’universo è nato una sorta di tempo “interno”, che, trasmettendosi sui miliardi di anni di vita di tutte le specie esistenti, diviene più complesso, sì da rendere il futuro sempre più aperto e non prevedibile, al cui confronto diventano risibili e semplicistiche sia le presunte trasformazioni epocali sia le visioni apocalittiche di fine millennio. Né si può ritenere che la vita sia un fenomeno unico. Essa può formarsi in altri universi ogni qual volta che le condizioni astrofisiche siano favorevoli a tale evento. E ci fermiamo qui.

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Via Pallante

Ma, al di là delle fluttuanti corrispondenze dei vari calendari e di un abuso spropositato di metafore pubblicitarie, con il prossimo Capodanno si può tranquillamente affermare che non si entrerà in nessuna trasformazione epocale né si uscirà da nessuna visione apocalittica, non si arriverà in alcun posto, né si lascerà alcun luogo, non ci sarà alcun ponte da attraversare, né alcun fosso da saltare, non ci sarà alcuna porta da chiudere, né alcuna finestra da aprire; nell’ordinato scorrere del calendario ci sarà tanto da giubilare quanto da immalinconirsi, come pure nel (meno convenzionale) fluire del tempo. Il prossimo Capodanno, questo sì, sarà il trionfo del “tempo effimero” del “qui ed ora” del “c’ero anch’io”, ed ancora della “forza” trasmessa dal delirio di massa e dal primato acquisito nella celebrazione straordinaria, nel botto più deflagrante e nella magnum più costosa. Al riparo da tutto questo anche un nuovo millennio può iniziare come un giorno qualsiasi di un anno qualsiasi con una traccia qualsiasi da seguire, che, per esempio, potrebbe essere suggerita da Ilya Prigogine: è l’uomo con la sua coscienza che crea il tempo, il quale non esisterebbe in un universo senza uomini e senza coscienza, o, al contrario, l’uomo fa parte di una sorta di corrente di

irreversibilità, che è uno degli elementi essenziali e costitutivi di uno o di più universi dove il tempo precede l’esistenza. Senza dimenticare nel brindisi di Capodanno Numa Pompilio che ha “inventato” il mese di gennaio. Antonio Sena

A NATALE

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Attualità di Giuseppe Palmieri

LICEO DIMENTICATO DIMENTICATO DALLA GENTE, DIMENTICATO DALLE ISTITUZIONI

I

l tempo edulcora i ricordi. Sbiadisce, fino a farli scomparire, quelli

brutti; mette in risalto quelli piacevoli.

Sarà anche per questo che del Liceo (e della mia frequentazione presso l’Istituto Caposelese) oggi, ho un ricordo quasi bucolico. Era ubicato in contrada Pianello, immediatamente a ridosso di Corso Garibaldi. Una zona centralissima del Paese. Praticamente, lì dove oggi è ubicata la Scuola Elementare. L’amministrazione comunale dell’epoca mise a disposizione locali confortevoli e, per quei tempi e per le dimensioni del liceo di allora, molto ampi. Avevamo anche una palestra.

..Oggi il liceo per il Paese sembra quasi un impiccio. Un qualcosa che intacca la propria gelosa specificità e particolarità. Una presenza ingombrante ed indesiderata. Un estraneo....

Festa dello studente: Nicola Cirillo premiato da Carmela Di Masi una delle organizzatrici della manifestazione estiva

Meglio, per le ore destinate all’educazione fisica usufruivamo della palestra della scuola media di Caposele, anch’essa per quei tempi molto bene attrezzata e funzionale. L’orario di entrata e di uscita del liceo scandiva il tempo del Paese. L’arrivo e la partenza del pulmino che trasportava gli alunni della vicina frazione di Materdomini non passavano inosservati. Insomma, il Paese viveva il liceo attivamente. L’avvenimento che, però, segnò la presenza indelebile del Liceo nel Paese e lo fece diventare una realtà con la quale fare i conti, fu il primo “sciopero” indetto da noi alunni anziani (secondo anno di corso!). Ricordo che durò tre giorni e furono tre giorni di fuoco e sofferenza per tutti gli studenti. Soprattutto per noi organizzatori e promotori dell’iniziativa. Si sprecavano gli improperi e le mal-

dicenze nei nostri confronti. Le forze dell’ordine erano state allertate. Il Comandante la stazione dei C.C. tutte le mattine si faceva trovare davanti all’ingresso dell’Istituto per consentire a qualche “crumiro” (ci sono sempre stati!) di fare atto di presenza in classe. Eppure la causa dell’agitazione non era il carico di lavoro, il caro libri o altro. Noi protestavamo per la mancanza di professori. Sì, protestavamo perchè il provveditorato tardava a nominare gli insegnanti nonostante l’anno scolastico fosse iniziato da tempo. Al confronto, l’occupazione dei giorni nostri per il finanziamento pubblico delle scuole private appare davvero ridicolo. Eppure, come detto, non fu affatto semplice convincere la comunità della bontà dell’iniziativa. Oggi i tempi sono cambiati. E’ cambiato il Liceo. E’ diventato un istituto di dimensioni più che doppie rispetto a quello dei nostri tempi. E’ triste ammetterlo, ma è cambiata anche la realtà del Paese. Oggi il liceo per il Paese sembra quasi un impiccio. Un qualcosa che intacca la propria gelosa specificità e particolarità. Una presenza ingombrante ed indesiderata. Un estraneo. E forse dietro gli atti vandalici degli ultimi giorni (deprecabili, inqualificabili e sicuramente condannabili) c’è la volontà (inconsapevole) di affermare e significare una presenza (quella del Liceo Scientifico) ormai dimenticata. Dimenticata dalla gente, dimenticata

dalle Istituzioni, dimenticata dai tanti soggetti, pubblici e privati, che potrebbero e dovrebbero fare qualcosa in più per la Scuola. E’ per sopperire a questa mancanza che da qualche anno, nell’ambito del ferragosto caposelese, noi ex liceali, abbiamo istituito il premio “lo studente dell’anno”. Un riconoscimento allo studente che ha conseguito il diploma di maturità scientifica col voto più alto. Un’iniziativa, la nostra, che non ha la pretesa, da sola, di risolvere il problema della visibilità dell’Istituto, ma che si pone l’obiettivo di aprire un varco nella sensibilità della gente. Certo, non aiutano l’attuale ubicazione del Liceo, fuori dal perimetro urbano e lontano dal centro del Paese, e la precarietà della struttura esistente. Sono ormai passati quasi venti anni dal terremoto del 1980 (e quattro cicli scolastici) ma del nuovo edificio da destinare a Liceo nemmeno l’ombra. E’ ancora lì, in quel prefabbricato pesante che oltre a non più sopportare il peso degli anni, mal contiene l’accresciuto numero degli studenti. Sono (forse) maturi i tempi perchè si prenda coscienza del problema per poterlo finalmente avviare a soluzione nel nuovo millennio! Almeno si spera!

I liceali dell'anno scolastico '98/99

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ALMANACCO

di Antimo Pirozzi

MORTI Chiaravallo Maria Giuseppa Cetrulo Filomena Meola Giuseppe Antonio Zoppi Esta Spatola Concetta Acocella Mariantonia Sista Rocco Cozzarelli Donata Merino Rocco Salvatoriello Teresa Grasso Mariantonia Ceres Donato Ceres Concetta Merola Francesco Casale Gerardina Merola Angelo Colatrella Vito

05/11/19 - 24/07/99 03/08/15 - 06/08/99 23/03/14 - 07/08/99 07/12/22 - 19/08/99 03/08/17 - 28/08/99 24/04/03 - 28/08/99 16/12/24 - 04/09/99 12/02/03 - 04/09/99 25/10/28 - 20/09/99 24/09/26 - 27/09/99 19/01/05 - 12/10/99 12/09/23 - 10/11/99 28/05/32 - 27/11/99 20/12/32 - 11/12/99 12/10/09 - 12/12/99 18/08/40 - 19/12/99 21/10/13 - 19/12/99

Teresa Caprio nata Ilaria 8-06-1911 +16-03-1999

Concetta Ceres Francesco Merola La sua gioiosità ,il suo rispetto per le persone, la sua, allegria si mantengono sempre vive nella nostra memoria.

La sua improvvisa scomparsa, ha determinato in tutti un grande sgomento. La redazione esprime ai familiari le più vive condoglianze.

Il suo garbo, la sua disponibilità, la sua bontà resteranno nella memoria di quanti la conobbero e le vollero bene. I redattori de "La Sorgente" ed i soci tutti della Pro Loco, esprimono ai figli Ezio, Franco e Giuseppe, le più sentite condoglianze.

NATI Rosania Sara Rosamilia Lara Cetrulo Camillo Cuozzo Mina Monteverde Alessandro Gonnella Carmine Cetrulo Caterina Russomanno Manuel Farina Angela Farina Olimpia Liloia Daniela Chiaravallo Giovanni Russomanno Gerarda Russomanno Mara

23/12/98 03/06/99 25/06/99 09/07/99 13/07/99 07/08/99 27/08/99 17/09/99 19/09/99 19/09/99 05/10/99 24/10/99 28/10/99 29/11/99

Russomanno Gerarda

LAUREE

Russomanno Mara

Russomanno Ottavia

SPOSI Pezzuti Nicola e Tenebruso Antonietta Cozzarelli Pasquale e Alifano Marinella Vitale Angelo e Russo Angelina Pasquali Alessandro e Ciccone Angela Ventre Antonio e Mattia Rosa Luongo Gelsomino Gerardo e Mastrodomenico Gerarda Coppola Domenico e Russomanno Dora Colatrella Felice e Rutigliano Antonietta Cetrulo Gerardo e Pallante Gerardina Milano Valerio e Terlizzi Luigina Nesta Gerardo e Iuliano Montanina Merola Gerardo e Sista Annamaria

Gerardo e Montanina

Il 21 giugno '99 Antonella Malanga di Gerardo ha festeggiato il suo 18° compleanno. Auguri dalla redazione.

15/05/99 19/06/99 02/08/99 07/08/99 07/08/99 07/08/99 12/08/99 28/08/99 04/09/99 09/09/99 09/09/99 04/12/99

FATECI PERVENIRE, PRIMA DELL'USCITA DEL GIORNALE, TUTTE LE NOTIZIE, FOTO E COMMENTI SUI VOSTRI CARI CHE GRADIRESTE VEDERE IN PUBBLICAZIONE; SAREMO BEN LIETI DI ACCONTENTARVI

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In data 26/02/99 presso la facoltà di Filosofia dell’Università di Salerno si è laureata in Filosofia la Sig.ra Teresa Merola con la tesi “Il riflesso che inganna” (Il narcisismonell’opera di Freud e di Green) con voti 106/110 Laura Alagia si è laureata in psicologia presso l'Università di Zurigo. Ai genitori Alfredo e Tina gli auguri della redazione. Pasquale Ceres in data 26/03/99 presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II si è laureato in Ingegneria Elettrica con la tesi: “Macchine elettriche, frenatura elettrica controllata” con voti 110/110 e lode.

in c.a. in regime di non linearità meccanica” con voti 110/110 e lode. Lorenzo Sozio in data 26/10/99 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma si è laureato in Giurisprudenza con la tesi: “La corruzione impropria: de iure contendo”. Il 7 dicembre 99 Isabella Ceres ha conseguito la laurea in Scienze dell’Educazione discutendo una tesi in Psicologia Sociale dal titolo “Graffitismo, cultura del mondo giovanile”. Il voto finale di 110 e lode è il felice compimento di un impegno costante e proficuo.

Alessandro Russomanno Laurea in Economia e Commercio. Alfonso Colatrella Laurea in economia. Donato Sista in data 26/10/98 presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II si è laureato in Ingegneria Trasporti con la tesi: “Modello per lo studio degli elementi

Sozio Lorenzo

Isabella Ceres


Strapaesanerie

...Statti cittu... Ca mò tu lu condu. di Cettina Casale

DETTI Mò s’ n’ ven’ Natale sandu e gghiustu, s’ n’ ven’ la nascita r’ Cristu; chi si mangia la carn’ e chi l’arrustu, i’ mangu appisu a la chianga l’aggiu vistu. Tannu l’amicizzia si manden’ quannu na manu vai e n'ata ven’.

***** Pozza carè la casa a chi stai cundendu.

***** Chi si mmarita è cundendu nu juornu chi accir’ lu puorcu è cundendu n’annu. ***** Quann’ ti scappa r’ piscià è fattu juornu. ***** Chi semm’na spin’ nunn’add’assè scaùzu. ***** P’ li fessa, nun’ngè mmiricina. ***** L’ommunu senza vizzi è cumm’a nu sandu ca nun’nfaci grazzie.

***** Nozz’ e maccaruni, calli calli. ***** Acqua, fuocu e panu nun’si negh’n’ mangu a li cani.

Lu pr'sebbiu r' natalu

RUIMILA: nu’ncr’rìa a crìa.

***** Nasu r’ gatta e culu r’ femm’na nu’nzi ‘nfoc’n’ mai. ***** Chi r’ suonnu s’abbotta la fam’ lu fott’. ***** R’ femm’n’, lu juocu e r’ candin’ men’n’ r’ cas’ a la ruina.

LA STRUFETTA Quannu a li criaturi carienn’ li riendi r’ latt’, si jttav’n’ ‘ngimm’à li titti e p’ sp’rà r’avè riendi sani si ricìa sta strufetta: "Tittu, tittu tittu tecch’ti lu stuortu e rammi lu r’rittu rammellu fort’ ca romb’ r’ port’ rammellu sanu ca romb’ ru panu".

di Berto Rosania

E

’ una r’ quer’ matin’ ca vai e bbiri tutt’à la smersa. Primu r’ tuttu, p’ quiri ca ver’n’ ni’ùru ra tott’ r’ part’, nu ‘nsi mbressiunass’r’, ‘ngè r’ peggiu: na mm’tà succer’ veramend’. P’ li sp’ranzuotichi e abbunnanziusi ‘ngè puru p’ lloru (nu ‘nb’ n’ngar’cati); n’gè sulu ca è nu picca cchiù ‘nfunnu. I’ probbiu, nè m’aspettu e nè vacu truvann’ f’linia p’ m’appenn’ o lastr’ p’azzucculà. M’abbasta nu pocu r’saluta, natu pocu r’pacienzia, e ca mi facess’ capisci nu z’chiddu r’cchù; lu riestu è sotta a l’uocchi r’tutti quanda: ‘nzemu ‘nzé!! Tropp cos ‘ngi sò ca sconz’n e ca fann frish’cà l’aurecchi. La capu già coci, si mett’ puru la bùscìarda e l’arrobbasuonnu, addù fann a chi allucca cchiù assai, tutti a sunà la crangascia e tutti si stann’ abbituann’ a send’ na cambana sola. Senza jé troppu alluongu, nun ‘ngi vol’assai p’ capisci; accussì terra terra quer’ ca ngì vuless’ nu saccu e na sporta r’ccchiù, e mancu avasta: lu r’spiettu e nu coru tandu addàtt’cchisci cu la bbona crianza, la bbona vulundà r’ sta ‘nziemu bunariamend’, menu allucchi (raddunn’ ven’n ven’n) e iurziusi r’quatt’soldi, menu cannaruti e canuorci r’ quiri ca nun s’abbott’n mangu r’ spruni, e menu angora r’quiri ca ‘mbiettu ten’n postu sulu p’ lu portafogliu e si vol’n apparà semb cu r’ chiacchier’; m’assummegl’n tutti quandi a quiri ca puru lu mesu r’austu nun s’n ponn’ assé ra ind’a la majesa. E pò ngi sò na quera r’ sandumatteu, mitticundu e ‘ndrichieri ca nu ‘nzai mai qual’è la facci r’ tutti li juorni. Assenn’ nu pocu a ru largu s’adda f’nisci r’ jé gattiann’, ammundunann’ semb’ e scurdànnisi ca puru p’ loru ngi sò otta rieci parmi r’ terra. Sti scòstiti càmalluòrdi, nu ‘ndicu r’ spenn’ e spanni, ma faciti cambà puru a l’ati. Ra cumm’ si ‘ntraver’ ra qquà, e nunnè bbellu a bb’rè, ven’n’ zambriati troppi vrass’cali; si mor’ r’ fam’, r’ set’, r’friddu e si mor’ puru p’ stà troppu bbuonu. ‘Ngi sò angora cert’ leggi cà s’accir’n’ uommini cu ru ggas, cu na scossa r’ currenda, cu r’ siringh’, cu la fo’ca, ‘mbisi o a pr’tat’. Cu tuttu stu ‘ngravuogliu, r’ sp’ranz’ r’ fr’nà ‘ngi sò angòra. Giùv’ni e bbiecchi, uommini, femm’n’ e criaturi, sò na putenza r’ bbona vulundà, quiri ca vulundariamend’ aiut’n’ senza ess’ ritti grazzie. ‘Nge angora tiembu r’arr’p’zzà, r’accunzà queru ca n’arrota tuornu tuornu. Senza perd’ tiembu accurciamini r’ man’ch’: tutti quiri ca cònd’n’, ca sò cundati r’ cchiù, quiri ca nunn’annu mai cundatu, anna fà parlà r’ cchiù li fatti e lu jurizziu e senza jé struppuliann’ anna ‘nfussà lu pasconu. Si ‘ng’ la facimu a cunzà nu pocu, li guagliuni ca cresc’n’, appriessu s’ ru trov’n’, si nò sandaloia s’accogli li fierri: OGNUNU IND’A RU SSUIU E LU PATATERNU P’ TUTTI.

Capucuolli appisi

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PICCOLA CRONACA

di Salvatore Conforti

E' stato prodotto dal Comune di Caposele con la fattiva collaborazione di tutte le associazioni sul territorio coordinate dall'assessore Gerardo Monteverde, un depliant illustrativo del nostro territorio. L'occasione è stata quella di due fiere nazionali dedicate ai comuni e per le quali è stato realizzato, tra l'altro, uno stand attrezzato con fotografie, prodotti locali, e proiezioni multimediali. Una grande oportunità per far conoscere a tutta l'Italia il nostro territorio e quello che offre.

VERSO IL GIUBILEO

Una grande occasione per promuovere Caposele e la fattività dei caposelesi. La Pro Loco sta organizzando una serie di iniziative pubblicitarie e di immagine che vedrà attivati tutti i mass media possibili ed immaginabili. Dalle radio locali, alle televisioni, ai canali mondiali di Internet. La speranza è che tutti i soggetti preposti si uniscano senza rancori e con il massimo impegno, attivandosi su tutte le strade possibili per far crescere, insieme, il nostro territorio. Fateci pervenire tutte le vostre idee a riguardo e le svilupperemo insieme al fine di consentire un'organico sviluppo delle iniziative che dovrebbero fronteggiare la straordinarietà dell' evento giubilare. Quest'anno il Natale sembra essere più luminoso e colorato per una serie di iniziative intraprese dai commercianti di Caposele e dall'Azione Cattolica.Un carro natalizio con musica e caramelle percorrerà le strade del paese e delle contrade, illuminate per l'occasione, al fine di rallegrare le fredde serate di festa.Ci sarà, inoltre,una distribuzione di doni ai bambini della scuola elementare prima della chiusura natalizia. Complimenti per l'organizzazione.

L'Italia, si sa, è un Paese molto fragile da un punto di vista territoriale e morfologico, e la Campania è una delle regioni che spesso, per questo accentuato motivo ne fa le spese più frequentemente. Tra i 250 paesi così detti a "rischio " Caposele è tra i primi sia da un punto di vista sismico che da quello geologico. E' di pochi mesi fa l'ordinanza di sgombero per decine di famiglie di via Paflagone costrette a subire l'ira della montagna che si è, praticamente, sbriciolata, portando a valle centinaia di metri cubi di fango e detriti. E' stato un momento di terrore vissuto da coloro che abitano sotto la montagna e che hanno pensato al peggio quando i Vigili del Fuoco, prontamente intervenuti, hanno ordinato l'evacuazione.La furia del tempo ha reso impercorribili strade e valloni di Caposele in tutte le zone di naturale raccolta delle acque. Una alluvione unica nella storia , che ha riportato alla mente la pericolosità di una terra franosa e geologicamente instabile come la nostra. Vorremmo, capire, adesso, il senso di una ordinanza di sgombero, che sicuramente necessaria, deve, però, avere, come naturale prosieguo, un efficace intervento degli organi preposti, cosa che adesso non è avvenuta. La questione non è sicuramente semplice e risolvibile con un tocco di bacchetta magica, ma vorrei sperare di non riparlarne alla prossima alluvione.

I LICEALI PROTESTANO I liceali di Caposele, quasi per un tradizionale appuntamento dell'anno,nel mese di novembre, sono scesi in piazza per protestare contro l'abbandono da parte delle istituzioni del loro Istituto. Un paio di episodi di micro delinquenza all'indirizzo della scuola, ha riportato in luce il grosso problema di una struttura non funzionale, non dimensionata per le esigenze degli iscritti, e soprattutto delocalizzata rispetto al centro della vita sociale del paese.

La manifestazione ha avuto il culmine con l'incontro in Comune con i responsabili del settore i quali hanno promesso un celere interessamento per una situazione, che col passare degli anni, diventa sempre più grave e non consente il progressivo sviluppo in un settore scolastico molto richiesto.

Una domenica di giugno: gli amici della Pro Loco posano per una foto ricordo. Li elenchiamo per facilitare il riconoscimento ai nostri amici all’estero. Da sinistra: Giovanni Curcio, Pasquale Montanari, Angelo Petrucci, Michele Ceres, Gerardo Cibellis, Salvatore Curcio, Agostino Montanari, Alfonso Merola, Giovanni Battista,Rocco Caruso, Antonio Merola, Emidio Alagia, Gerardo Nesta ,Nicola Conforti e il Presidente Salvatore Conforti.

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E' stato, finalmente attivato, un sito in Internet della Pro Loco, dal quale è possibile, oltre alla mera consultazione, scaricare nel proprio computer dati, immagini e quant'altro possa far comodo del nostro lavoro di ricerca. Potete, altresì, contattarci anche con la posta elettronica all'indirizzo: confortinic@tiscalinet.it

ONORIFICENZA A ROCCO NESTA

Apprendiamo con grande soddisfazione, che con decreto del Presidente della Repubblica, datato 2 giugno 1998, è stato conferito al nostro concittadino Rocco Nesta, ispettore superiore del Corpo Forestale dello Stato, l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. La cerimonia di consegna del diploma ha avuto luogo presso la prefettura di Potenza il 4 giugno scorso. Al nostro amico e concittadino le nostre più vive felicitazioni.


FOTO STUDIO CONFORTI

Piccola cronaca

Foto panoramica di Materdomini

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A 2000 ANNI DA UNA NASCITA CHE HA CAMBIATO LA STORIA

iamo giunti ormai alla conclusione del secondo millennio. Potrebbe anche trattarsi di un appuntamento ordinario e inevitabile per quanti leggono la storia come il banale succedersi cronologico di fatti e di circostanza. Ma per quanti interpretano la storia come il dispiegarsi dell’azione di Dio, la conclusione di un millennio diventa un appuntamento di fede, di verifica e di necessario cambiamento. Questo scorcio di millennio è carico di attese e di speranze; non poche sono le ombre che si addensano sull’avvenire, non esigue le paure dell’incertezza del futuro..., ma abbondanti e numerosi sono i segni di speranza e le attese ottimiste sul miglioramento del mondo, della qualità della vita, del rispetto della natura e dei diritti fondamentali dell’uomo; la speranza aleggia con vigore sull’orizzonte della storia del momento presente. Ma la novità della storia non sarà automatica, nè avverrà da sola; il nuovo millennio non sarà automaticamente migliore del precedente, è necessario costruire la nuova storia, eventi nuovi, impegni nuovi. Solo con la responsabilità e la creatività di chi si sente un partner di Dio si potrà raggiungere la novità del terzo millennio. Il mistero del Natale, ricco di poesia, di sentimento, di positivo momento di festa, trova la sua più lapidaria definizione nel Vangelo di Giovanni: “E il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14). Con questo versetto l’autore sacro intende focalizzare l’attenzione sulla ricchezza e sulla portata di un evento nuovo che sconvolge la storia, che riporta la condizione dell’uomo nella sua dignità più vera: da quando Dio si fa uomo, l’uomo può riannodare la sua amicizia con Dio, anzi può riprendere la sua natura di figlio di Dio. Il Verbo incarnato, in quanto Dio, svela pienamente Dio all’uomo, ed in quanto uomo svela pienamente l’uomo all’uomo. E’ a partire da questa duplice rivelazione che il Concilio Vaticano II afferma: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (G.S. 22). Il Natale del Signore, meglio l’Incarnazione, ha innescato nella storia un processo di chiarezza e di rivendicazione dei fondamentali tratti della dignità umana; la storia di Dio diventa storia dell’uomo e l’uomo riscopre la propria storia nella storia di Dio. In realtà solo incontrandosi con Cristo e con il suo messaggio è possibile trovare la risposta a numerosi e angoscianti enigmi che attanagliano il cuore dell’uomo: il senso della vita, il significato della sofferenza, il vero volto dell’amore e, ultimo, il perchè della morte. In Cristo Gesù, Verbo incarnato e Redentore, l’uomo scopre che è possibile essere più uomo! Allora il Natale diventa sorgente di vita nuova, il presepe non è il quadro del passato, ma progetto del futuro, l’emotività e il sentimentalismo lasciano il posto ad una forza nuova e prorompente che nasce dalla consapevolezza di essere stati amati da Dio ed è necessario rispondere con la stessa intensità a questo amore, un amore che si fa storia, quotidianità nella persona di Cristo e si distribuisce attraverso tutti gli uomini di buona volontà. Guardiamo dunque con speranza al futuro, a tutti giunga l’augurio di un Santo Natale e di un felice anno 2000. P. Luciano Panella Caposele è impercorribile. La definizione non riguarda solo gli automobilisti, ma anche e soprattutto i pedoni che sono costretti ad una sorta di slalom tra fossi e pavimentazione stradale sconnessa e pericolosa. Per non parlare del tratto di Corso Garibaldi che collega Piazza Masi all'asilo e alle scuole elementari, una strada non servita da mezzi pubblici e trafficata anche da automobilisti in direzione Calabritto. Un'avventura quotidiana dei genitori che accompagnano i loro bimbi a scuola. Certo siamo in attesa dei lavori di urbanizzazione che coinvolgono le strade del centro, però una soluzione temporanea, prima che succeda qualche incidente, è doveroso attuare. In alcuni casi, sembra che il terremoto dell''80 abbia lasciato una traccia indelebile, e il caso delle strade del paese è emblematico e non va a van-

taggio di una comunità proiettata verso il duemila e che ha già scontato, in termini di inefficienza le pene di un periodo di emergenza. I caposelesi non meritano questo.

regalo alla

Pro Loco

Il Sindaco di Caposele ha consegnato alla Pro Loco un magnifico di albero di Natale accompagnato da un biglietto beneaugurante.

Abbiamo colto con particolare attenzione l'invito alla riflessione sui valori ambientalistici ed abbiamo davvero gradito l'auspicio per una concretra futura collaborazione. Ricambiamo gli auguri al Sindaco e a tutta l'Amministrazione Comunale dichiarando la nostra disponibilità per una leale e fattiva collaborazione in nome ed a favore del nostro Paese.

Un tratto malconcio di Corso garibaldi

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Piccola cronaca

Svizzera: cronaca di un

viaggio:

Tutto comincia con una grande voglia di scoprire luoghi nuovi, emozioni diverse, stimoli alternativi. L’idea di un viaggio e un concerto, come i grandi artisti, ci allettava tanto al punto tale che decidemmo che il viaggio in Svizzera, per ritrovarsi con gli italiani all’estero, poteva essere lo spunto giusto e un’occasione da non perdere. Tutti d’accordo, e nonostante il pensiero di qualche problema familiare e logistico legato alla strumentazione e al trasporto, ci mettemmo in moto per spedire da Caposele gli inviti ai nostri paesani per ritrovarsi, una volta arrivati, in un locale frequentato da caposelesi e quindi salutarsi e divertirsi. Il collegamento ed i frequenti contatti tra le due realtà viene mantenuto da Lorenzo Nesta, caposelese emigrato in Svizzera da molti anni. Lui si preoccupa di avvisare i locali nei quali suonare e di trasmettere soprattutto ai paesani dislocati li’ vicino la notizia che il giorno 12 dicembre arriverà a Sion una nutrita rap-presentanza di caposelesi. Un grande entusiasmo si spande nel Paese per questa opportunità di poter salutare i parenti e trascorrere, con loro, un intero week-end e soprattutto per aver la possibilità, una volta, di invertire i ruoli dell’ospite. "Vitale viaggi" mette a disposizione il più grande dei pulman con tutti i conforts presenti all’interno; raggiunto il numero minimo dei partecipanti, muniti scrupolosamente di carta d’identità, il giorno 11 dicembre alle ore 19,30 SI PARTE! Ci aspetta un viaggio lunghissimo di oltre 1200 Km., ma ognuno di noi si è preparato psicologicamente ed ha assimilato un buon carnet di barzellette. Non c’è bisogno, invece di sfoderare il proprio talento da “la sai

l’ultima” perché il buon autista, che trasmette dai pori grande esperienza, ci alletta con una fornitissima cineteca di prim’ordine. Alla frontiera, a prima mattina, nessun ostacolo, e via per il valico del San Bernardo verso paesaggi coperti da fresca neve. Si arriva a Sion intorno alle 12,00 ed immediatamente siamo accolti da un gruppetto di paesani che sono pronti a trasportarci al nostro quartier generale, ovvero a Leeds paesino di Pippinuccio e Peppino che ci ospitano in un locale caratteristico e ci deliziano con una pasta e fagioli a mo’ di mensa, cucinata egregiamente da Manlio in trasferta da Milano per la gioiosa occasione. Non c’è nemmeno il tempo di visitare quei tranquilli luoghi, e subito ci si mette in viaggio, in maniera non tropo fluida per la presenza della neve, verso il Circolo Ricreativo Italiano dove è previsto, alle 21,00, il ritrovo con tutti i caposelesi. Una serata fatta di gustose specialità, di canzoni, di saluti e di allegria. Tutte facce note, viste ed intraviste d’estate o in altri periodi dell’anno a Caposele; tutti visi allegri e animi gioiosi per la novità e per la loro grande voglia di dimostrare affetto a paesani venuti da molto lontano. Il suono dell’organetto ridesta ricordi ed emozioni di un tempo, e allora via in pista a ballare la quadriglia comandata. La stanchezza del viaggio e dei balli, infine, prende il sopravvento e si va a letto distribuiti da parenti e da amici. La domenica mattina ci si alza molto tardi, giusto il tempo per un caffè e per guadagnare la strada per il quartier generale nel quale questa volta, però non si improvvisa più. I nostri amici si sono organizzati, infatti, in un mega grigliata di carne di tutti i tipi (dal cavallo, al cervo selvatico), e in una mega scorpacciata di formaggi scrupolosamente svizzeri, (l'"araclett" specialità di formaggio fuso con contorno di patate scaldate). La partenza avviene con un po' di tristezza addosso, ma ci si avvia con la promessa di ritrovarsi tutti insieme d'estate a Caposele. Durante il viaggio si ripercorrono i veloci momenti trascorsi che ci portano a profonde riflessioni su quella gente. Abbiamo sempre pensato, con tristezza, al loro stato di sacrificio in quelle terre, ma adesso che ho sperimentato la loro bontà e disponibilità, penso che i sacrificati, per certi versi, siamo noi, rimasti nelle terre d'origine a combattere con il "progresso", che ha portato, parallelamente anche egoismo.

A che punto è la Chiesa Madre? Qualche anno fa abbiamo riportato sulle pagine di questo giornale un forte ed intenso dibattito che si sviluppò nel Paese sulla doppia tipologia della Chiesa, sull'entusiasmo che i caposelesi avevano per l'imminente ricostruzione e sulla democratica decisione della Curia arcivescovile nello scegliere un progetto anzicchè un altro. Oggi, con profondo rammarico, ci troviamo in una spiacevole situazione di attesa, di completo abbandono della struttura che, come si evince dalla foto, pare in fase di completamento. Perchè si cammina così a rilento? Perchè il Provveditorato alle Opere Pubbliche consente una tale situazione? Perchè la Curia così attenta e decisionista all'inizio della vicenda, ora non interviene? Caposele ha bisogno della Chiesa Madre. Caposelesi fatevi sentire!

Una veduta dall'alto sulla Chiesa di San Lorenzo

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E' quasi completa la sistemazione urbanistica di un tratto di Corso S.Alfonso a Materdomini voluta per migliorare l'immagine e la funzionalità di percorrenza del centro turistico. L'operazione, progettuale interessa l'allargamento di marciapiedi, la sostituzione di inferriate, e l'inserimento di nuovi elementi architettonici pratici e decorativi. Questo intervento sarà, sicuramente, utile ai tanti pedoni che, si spera, percorreranno quelle strade, ma ha acuizzato uno dei grossi nei che il nucleo turistico si porta dietro da anni, e cioè il problema dei parcheggi, i quali si sono, in questo modo, ulteriormente ridotti. Una soluzione è necessaria.


SPECIALE FERRAGOSPECIALE FERRAGOSTO

Pro Loco Caposele

E' una raccolta di immagini, commenti e cronaca di tutte le manifestazioni del ferragosto '99. I personaggi dell' estate di fine secolo sono stati immortalati in queste pagine per ricordare la loro partecipazione alle manifestazioni della

Pro Loco e per ridestare in

noi il ricordo di momenti spensie-

rati e felici vissuti all'ombra del nostro paesino.

Le foto, in genere, rendono, molto più delle parole, la spontaneità e la dedizione anche di chi ha partecipato dietro le quinte. a loro e a tutti i protagonisti è

SAGRA

dedicato questo spazio.

La sagra dei fusilli dell’estate scorsa, ultima del secolo, ha fatto regisrare un numero eccezionale di partecipanti sia sul piano organizzativo della preparazione, sia in termini di partecipazione alla festa serale. E’ “il festival” della pasta fatta in casa, quella autentica, che richiama da alcuni decenni, in questa occasione, una grande folla di buongustai. Quest’anno, contrariamente alla tradizione, la festa si è svolta in piazza XXIII novembre: uno spazio molto piu’ ampio e confortevole, sicuramente più adatto a manifestazioni che richiamano tanta gente.

LE PROTAGONISTE Maria Del Guercio, Rosina Galdi, Petrucci Olimpia, Margherita Di Masi, Lellina Cibellis, Carmela Di Masi, Rosanna Colatrella, Mimina Frannicola, Giovannina Palmieri, Finuccia Colatrella, Maria Cibellis, Annaclelia Conforti, Angioletta Spatola, Italia Caprio, Nunziatina Scatamacchia, Maria Damiano, Donatella Rosania, Pasqualina Frannicola, Pasqualina Casale, Valentina Castagno, Raffaella Di Masi, Raffaelina Zarra, Elisa Colatrella, Amina Ilaria, Agnese Malanga, Paola Semeraro, Nannina Feleppa, Felicetta Alagia, Gerardina Cione, Anna Russomanno, Teresa Amendola, Antonella Ciccone, Graziuccia Sista, Elvira Cione, Gelsomina Corona, Cettina Casale, Finuccia Del Guercio, Teresa Casale, Mimina Iannuzzi, Rosetta Di Masi, Mena Nesta, Mariafiorenza Conforti, Pasqualina Merola.

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Un gruppo di donne, in cui fanno spicco molte giovani leve, hanno lavorato con passione ed impegno per preparare fusilli e matasse all’altezza del nome e dei tempi. Un sugo di eccezione ha completato un piatto “da sogno”.

Sagra 1999: una fase della lavorazione dei fusilli. Vecchie esperte del mestiere e giovani apprendiste si alternano al tavolo di lavoro per offrire un prodotto di alta qualità.

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U

na folla enorme di bam bini si accalca nei pres si degli spazi dedicati alle gare ed ai giochi, per applaudire e sostenere i propri “campioni” o per assistere alle sceneggiate dei burattini. Anche questo è un rito che si ripete ormai da alcuni anni e che tanto successo riscuote presso un pubblico di piccoli “fans”, appassionati di sport e di mini-rappresentazioni.

“La natura umana è tale da esigere spazi vitali di ricreazione, ove l’animo possa distendersi e rinfrancarsi dalle fatiche e dagli impegni quotidiani. Nell’attività ricreativa l’uomo tende al divertimento e il divertimento implica il gioco, lo scherzo, la celia, che sono più che mai sentiti quando si è in compagnia.” (da La sorgente n.44)

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MINI ATLETI-

Un gruppo di piccoli concorrenti per la corsa nei sacchi, alla partenza.

La piccola Lia Ceres, in una delle gare che l’ha vista vincitrice.

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11 - La piccola Lia Ceres “campionessa in erba” sul più alto gradino del podio e per due gare diverse.

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Un gruppo di piccoli concorrenti per la corsa nei sacchi, alla partenza.

Luigi Fungaroli

Un gruppo di mini-atleti prima della partenza: al centro, con il numero 142 Raffaella Palmieri.

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Una gara un po’ più impegnativa: il percorso veloce nell’ambito cittadino.

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Percorso cittadino per gli allievi più grandicelli: prima della partenza.

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Le cugine Cuozzo

MINI ATLETI-

Il numero dei partecipanti alle gare di mini-atletica è andato sempre crescendo superando quest’anno le cento unità.

Le fans dei piccoli allievi sono in ansiosa attesa della gara. Alla gara di tiro alla fune hanno partecipato emotivamente anche i genitori dei piccoli concorrenti: e ciò ha creato uno spettacolo nello spettacolo.

Un nuovo divertente ed appassionante gioco inaugurato la scorsa estate: il tiro alla fune.

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Una coppia particolarmente affiatata si esibisce in un valzer viennese: Vittorio Nesta e Giusy Meo.

SAGGIO DI BAL-

Piazza Dante durante le manifestazioni estive si trasforma in un piccolo teatro all’aperto per rappresentazioni di vario genere : la platea è sempre gremita in “ogni ordine di posti”. Persone di ogni ceto sociale e di ogni età affluiscono da ogni parte attratte da spettacoli di ogni tipo: cinema sotto le stelle, gare di atletica, ballo popolare, saggi di ballo, teatro dei burattini, mostre fotografiche ed altro ancora.

Ogni anno, grazie all’interessamento del M° Angelo Iorio della scuola di ballo Fitness 8 di Caposele, abbiamo la piacevole opportunità di assistere ad uno spettacolo di danza, di eleganza, di stile e di musica. Lo spettacolo affascina tantissima gente che accorre da ogni contrada e dai vicini villaggi.

Linda Russomanno interpreta con grazia ed eleganza un ballo classico-moderno.

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Il M° Angelo Iorio impegnato nel saggio di ballo

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La manifestazione a Cavallo, organizzata dal brigadiere Giuseppe Aiello, è stata accolta con curiosità e interesse in tutti i paesi percorsi da S.Gerardo. La foto ritrae il dott. Antonio Cione che precede, con gli altri cavalieri, l’arrivo della statua di S.Gerardo a Caposele.

L’arrivo di S.Gerardo a Caposele crea sempre grande emozione ed entusiasmo: la popolazione lo ha atteso in piazza, nei pressi della costruenda Chiesa Madre, e lungo tutto il percorso di via Roma e Corso Europa . Il Santo, preceduto da circa trenta cavalieri, ha percorso l’intero centro abitato fino al ponte Tredogge dove ha ricevuto il saluto deferente e devoto della popolazione tutta.

Il Maresciallo Angelo Cuozzo è uno dei cavalieri che ha accompagnato il Santo in tutta la “peregrinatio”.

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Per il secondo anno consecutivo, nell’ambito delle manifestazioni del Ferragosto Caposelese, gli ex liceali hanno assegnato il premio “lo studente dell’anno” ed hanno conferito, al tempo stesso, altri riconoscimenti in campo culturale. La foto ritrae la dott.ssa Carmela Di Masi mentre illustra le motivazioni del premio.

FESTA STUDENTE

Alla prof. ssa Mimina Russomanno viene assegnata una targa per ricordare il suo impegno culturale

La partenza della "Corsa dei 3 Campanili"

La dott.ssa Carmela Di Masi, organizzatrice con gli altri ex liceali della manifestazione, conferisce il premio “lo studente dell’anno” a Nicola Cirillo” per aver conseguito il diploma di maturità con il voto più alto.

La foto ritrae Michele Iorlano vincitore della prima corsa campestre nel lontano 15 agosto del 1974. Dopo ben venticinque anni si è ripresentato al nastro di partenza per partecipare ancora una volta alla corsa dei Tre Campanili. Malgrado l’età non più “giovanissima”, ha completato l’intero percorso ben figurando rispetto ad atleti più giovani di lui. Ci congratuliamo per il suo grande senso sportivo e per il grande coraggio.

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Una delle piccole concorrenti più apprezzate

Due atleti sempre presenti nelle competizioni sportive ferragostane: trattasi di Gelsomino Merola e di Nicola D'Auria . Anche quest’anno entrambi hanno fatto registrare un ottimo piazzamento nella corsa campestre.

Gelsomino Merola primo dei caposelesi

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Una grande folla ha assiepato l’intera piazza XXIII novembre in occasione della presentazione del primo CD dei “Compari Folk Show”.

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Le rosse di Maranello in sfilata per le strade di Caposele accolte con molto entusiasmo.

Una delle attrazioni per i bambini: il Castello di Camelot

Due "buontemponi" alla "distribuzione" del vino: Gerry Mancino e Tony Auriemma

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di Alfonso Merola

G

ià ai primi di dicembre cominciava il conto alla rovescia dei giorni che mancavano al Natale. E così rimanevi, per ore ed ore, con lo sguardo incollato al calendario che penzolava alla parete dell’aula, dietro alla cattedra. Misuravi l’appropinquarsi dell’evento dal crescendo di decorazioni che inghirlandavano ed impreziosivano quello stanzone. Era lungo e faticoso quel rito che si ripeteva anno dopo anno e spesso ti chiedevi a cosa servisse quel puntiglioso indaffararsi, se poi la scuola sarebbe rimasta chiusa per una quindicina di giorni. Era, invece, certo e scontato che alla ripresa delle lezioni, tutti quei ghirigori di carta velina, quei nastri colorati e il presepe affondato in un muschio ammuffito, ti avrebbe addirittura infastidito. Il piacere dei ricordi non è mai intenso e gradito quanto quello dell’attesa di una ricorrenza. Nel chiuso dell’aula si lavorava alacremente per almeno quindici giorni a rimpinzarsi di nenie e filastrocche, di amene poesiole zeppe di zampogne e di angioletti. Che fatica! E tutto in attesa di una impossibile visita del Direttore. Ricordo che un anno il maestro si spinse un pò oltre, per dare un tocco di novità e originalità, con il Natale di Ungaretti che ci lasciò un pò d’amaro in bocca, pensando che avremmo dovuto spiattellarla a tavola nel giorno del Natale. Ma subito si corse ai ripari con la solita Milly Dandolo... A quei tempi dicembre non scherzava, era serio e in linea conle previsioni di Barbanera; freddo secco, vento gelido di montagna e neve, a giorni alterni, ad imbacuccare i cocuzzoli circostanti. A pensarci bene la neve, però, era un chiodo fisso specialmente negli ultimi gionri di vacanza; in fondo si sperava di rimanere a casa anche dopo l’Epifania... ma questo non accadeva quasi mai. Accadeva sempre, invece, che il 23 dicembre era una giornata scolastica tutta dedicata ai commiati e agli assegni di compiti. C’era un gusto inconfessato

di tortura in quella montagna di compiti che puntualmente non erano del tutto svolti e che, al rientro, puntualmente non erano corretti: essi servivano solo a conquistarsi “sul campo” qualche scappellotto per avere infranto un ordine tassativo, ma a nient’altro. Il ventitre aveva un fascino particolare; di certo era più bello, per sensazione, della stessa giornata di Natale, tanto erano le attese accumulate. *** Il Natale a Caposele, a quei tempi, non aveva bisogno di marcati segni esteriori per caratterizzarsi. L’albero, ad esempio, era una stravaganza urbana bella e buona, di cui si sentiva parlare confusamente: una stupida usanza di chi distruggeva piante per il solo gusto di distruggerle rinunciando ad un’utilità futura nota solo a chi consumava quintali e quintali di legna durante il rigido inverno. E meno che mai si sapeva che cosa fossero i festoni, le stelle filanti e le palline di vetro. Eppure il Natale lo avvertivi nell’aria; ti si appiccicava addosso coi suoi profumi, i suoi aromi inconfondibili, i suoi odori naturali, i suoi colori stagionali. A me piaceva affacciarmi di tanto in tanto nella bottega-emporio di Titina per dare un’occhiata alle statuine di terracotta. Erano statuine molto approssimative ed incerte nel modellaggio, dai colori opachi, spenti e stemperati. Erano messe lì, alla rinfusa, accatastate tra casette di cartone in una scansìa di legno, tutta sgangherata e stretta tra sacchi di fave secche e sacchi di zolfo. In quel disordine, però, riuscivi ad abbozzare con la fantasia l’idea minima di presepio che ti saresti potuto permettere. Di tutt’altro aspetto e fascino ti appariva quello allestito nella Chiesa Madre... ricordo... esso occupava l’intero angolo della navata laterale a destra dell’Altare Maggiore. Il suo valore scenografico era pressocchè irrilevante per il sovraccarico di cartone, muschio, licheni, pungitopo e vischio e per quell’abbondare di paglia, stoppie e brecciolino. Non reggeva minima-

mente al paragone di quello allestito dai Liguorini di Materdomini. A Materdomini c’era la mano esperta e paziente, una visione artistica di quei cieli trapuntati di stelle, del gioco di albe e tramonti... i mulini ad acqua, le cascatelle, fiume e mare luccicanti e tremolanti; i tanti pastori in movimento e gli angeli di cartapesta librarsi misteriosamente in aria su una capanna attraversata da una luce soffusa... No, quello di Caposele risentiva della mano inesperta e pesante del vecchio sacrestano al quale, anno dopo anno, per inerzia e consuetudine, era delegata la improcrastinabile incombenza. Quei materiali poveri, assurdamente anonimi ed infantili, quasi da paesaggio irreale della pittura fiamminga del fine 500, se colti nella loro globalità finivano per esaltare e dare una ragione di esistenza alle numerose statuine del settecento napoletano che affollavano la scena. Le ho tutte stampate nella mente, una per una. Quello sì che è un Natale che mi manca; chissà in quale casa esse ornano vetrine di salotti perbene. Chi dimentica i loro volti scavati nella

terracotta, i sottili crini di seta celati sotto raffinati copricapi, le mani e i piedi minuti, quei corpicini imbottiti di paglia, stretti in ricchi broccati e cuciti con fili d’argento e d’oro, i velluti, le camiciole di lino e di canapa... Mancava loro solo la parola: gli occhietti lucidi, le rughe e i larghi sorrisi davano voce al loro silenzio. Qualche volta mi capitava di immaginare che, di notte, nel chiuso della chiesa, quando le porte erano sprangate, esse, come i soldatini di Andersen, ritornassero a vivere, si muovessero, ragionando tra loro e gioissero per quel ritorno sulla scena seppure per qualche settimana... *** Il segno del Natale imminente mi era dato dal verificarsi di due puntuali eventi. Verso il 15 arrivava la lettera dello zio d’America con dentro un pò di dollari per tutti. La mamma, subito, la sequestrava, rimandandone la lettura alla sera: solo allora avrei saputo quanti dollari mi aveva mandato lo zio, ma, come una sorta di cambio fisso, a me toccavano quasi sempre mille lire. Ma ancora di più mi convincevo che la festa era alle porte, quando lo zio di Eboli mandava cassette di arance e mandarini, bottiglie di liquori e pacchi di spaghetti e vermicelli. Facevo a gara con i miei cugini a scovare in quelle cassette le arance maltesi. Era, inoltre, divenuto un rituale consolidato negli anni, la raccolta delle olive che, pur essendo un’attività tutt’altro che legata al Natale, coincidendo con quel periodo finiva per esserne parte integrante. Ogni sera, per circa un mese, i coloni trasportavano nei sacchi tomoli e tomoli di olive che, riversate sul lastrico, venivano voltate e rivoltate fino al giorno della spremitura. Montagne di olive lucide e gonfie nell’umido della

La madonnina di Materdomini sotto la neve

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cantina spandevano nell’aria un aspro odore. Era un lungo mese di agonia per quegli umili frutti, perchè era consolidata la convinzione che quel lungo compostaggio fino all’infradiciamento fosse utile ad una completa maturazione di quel prodotto e ad una migliore e maggiore resa d’olio. S’andava al “trappeto”, anche questa era un’abitudine, sempre tra Natale e Capodanno, quasi a propiziare l’abbondanza del raccolto e la soddisfazione per un lavoro ch’era stato duramente ricompensato. In quei giorni s’era tutti un pò più buoni e allora era forte l’augurio che il prezzo dell’olio che si formava “alla voce” fosse soddisfacente e remunerativo.In quell’olio c’erano riposte le speranze di tanti contadini i quali fidavano nel ristorare le loro magre finanze. Leggevi spesso nei loro sorrisi “tirati” i sentimenti di rabbia e di amarezza repressi dentro e t’era chiaro dai loro sguardi che il Natale lacerava le coscienze e depauperava gli animi dal senso di serenità e di pace di cui, a parole, tutti s’ubriacavano. Toccavi, allora, con mano la tensione di chi vi aveva consumato fino allo stremo ogni energia e di chi si faceva scudo dell’incontestabile diritto di proprietà. L’olio era un pò per tutti virtuale moneta di scambio in un’epoca in cui non si conoscevano pensioni, stipendi, salari e tredicesime. Quell’olio non si sperperava nè si disperdeva nei molli meandri di un consumismo allora ignoto: il suo ricavo era l’entrata certa di un lucido piano di economia domestica che, nelle sue uscite fisse, preventivava somme per pagare focatico, contributi agricoli, casse mutue. Altro che abbigliamenti e trasgressioni alimentari per celebrare una ricorrenza!... Il Natale aveva regole ferree tutte ancorate in una sorta di autarchismo che non ammetteva spese e acquisti, tutto doveva muoversi nell’ambito delle quattro mura e delle provviste di casa... *** La grande cerimoniera del Natale era ovviamente la nonna; era lei e solo lei il punto di riferimento di ogni componente familiare, a lei ci si rapportava per ogni decisione e per ogni azione quotidiana. La settimana precedente il Natale era un via vai di amici, parenti e conoscenti che portavano in segno d’augurio i doni più disparati. Tra i doni di Natale erano i polli, le galline e i capponi a farla da padrone; qualche agnello e tante uova. Era sempre la nonna a decidere quali di questi animali andavano dirottati nel pollaio e quali trattenuti insieme allo sfortunato agnello per il pranzo del 25. Stessa sorte toccava alle uova: una certa quantità veniva conservata nella calce, il resto destinato ai dolci. Quando venivano

tirati fuori dalla dispensa barattoli di miele, la cannella, i chiodi di garofano, era chiaro che l’intera giornata sarebbe stata impegnata a fare dolci e biscotti. Come in una catena di montaggio, ora dopo ora si susseguivano i vari impasti: prima i taralli, poi i “pezzetti”, gli amaretti e via di seguito; infine le zeppole e gli struffoli, fritti e riposti in ampi piatti piani su cui si versava un odoroso miele biondo. Si era, ormai, alla vigilia ed il grosso delle fatiche era fatto. Lavorava, invece, fino a mezzanotte ed oltre la fornaia di via Santorelli in quel terraneo infuocato come l’inferno; infornava e sfornava montagne di dolci, pizze alle acciughe e ancora taralli. Era sfinita e grondava di sudore il suo viso arrossato e quasi lesso. Il suo lavoro in quelle ore non conosceva soste e il suo stomaco vuoto non sentiva la fame. Il suo unico sollievo era sedersi per qualche minuto sullo scalino esterno ed asciugarsi quei rivoli che le rigavano il volto: non avvertiva per niente la sferza del vento gelido che veniva giù per il vicolo come torrente in piena. Quel tagliente refrigerio le faceva dimenticare per qualche istante lo stanzone nero di fuligine che luccicava alle fiammate che di tanto in tanto fuoriuscivano dalle bocche del forno. Le campane di mezzanotte l’avrebbero colta spossata e priva di emozioni e solo desiderosa di andarsene a letto e appagarsi in sogno al pensiero che i guadagni di quei giorni avrebbero dato di che sfamare la numerosa famiglia. Si accomiatava, però, solo dopo aver caricato di pane e di dolci i poveri vagabondi che l’attendevano in atto di elemosina sull’uscio del forno: il suo discreto atto di generosità, testimone la luna, avrebbe dato un senso a quell’umile Natale degli indigenti. *** Noi, intanto, fin dalle sette di sera eravamo già a tavola: si era almeno in venti. C’eravamo tutti e il primo pensiero andava a chi era nelle lontane Americhe. Poi, quella mensa, per un lunghissimo minuto era la tavola eucaristica che rinnovava la memoria di tempi più felici e che s’immaginava la presenza invisibile di chi non c’era più e che avremmo voluto accanto a noi. I grandi prendevano posto attorno al tavolo ovale, stipati come sardine, e i piccoli si sedevano intorno alla “buffetta” su degli scanni bassissimi. La tavola si arricchiva, minuto dopo minuto, delle portate: vermicelli al capitone, spaghetti alle alici, baccalà fritto, trote, peperoni all’aceto, frittelle di pasta lievitata (le chiamavamo rospi) e per finire struffoli, taralli da inzuppare nel vino bianco, frutta secca, castagne infornate, lupini.Ci si tratteneva fino a tarda sera a discutere, a raccontare, a ridere e scherzare.

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“E ora giochiamo a tombola”! Era il segnale per sparecchiare in tutta fretta la tavola e per lavare pentole e piatti. Tutto avveniva in un baleno. A quel punto gli uomini con le fiaschette di vino si ritraevano accanto al focolare e le donne e bambini si incollavano al tombolone, cartelle e mucchi di fagioli. Si stava sempre con l’occhio vigile per pescare qualcuno che barasse e con l’orecchio teso e attento al primo tocco di campana che chiamava alla messa di mezzanotte. A quei rintocchi non c’era verso per trattenere le donne che frettolose si stringevano nei loro scialli, dopo aver affidato i bambini alla nonna, si riversavano in strada, nella speranza di giungere per prime in chiesa e guadagnare le panche migliori, quelle al riparo dalla fredda corrente notturna. Quell’ora era attesa da noi bambini come una liberazione. Si correva nelle stanze da letto e al buio si giocava a nascondino: la nonna non ci avrebbe mai sgridato o tentato di fermarci.I nostri nascondigli preferiti erano l’armadio a muro, il letto, la cuccia del cane. In pochi minuti si metteva tutto sottosopra. Non rinunciavamo mai a quel gioco, anche se sapevamo che al rientro delle nostre madri, tutto si sarebbe risolto in sonori ceffoni per i primi malcapitati. Arrivava, poi, l’ora della stanchezza e ci si addormentava sui sofà, sui cassoni e sui caldi scalini di legno... In fondo era questo il mio Natale ed il Natale di tanti altri come me. Esso nasceva e spirava in quelle poche ore,

precedute dalle fatiche di quasi un mese. La giornata del 25 non ci interessava tanto; a ben ricordare era noiosa con tutti quei convenevoli, quelle strette di mano e quegli abbracci. No, era il 24 il vero Natale, con le attese e le speranze, la gioia di riuscire a colmare i vuoti, tutta quell’atmosfera semplice, irripetibile, quel mondo rurale di favola, quell’intrecciarsi di discorsi e ragionamenti. Il Natale era nel senso sociale della famiglia che quella notte rinnovava i vincoli di affetto e di serenità, bandendo tristezze, livori, cattiverie e spavalderie. Era un Natale di favola che esaltava il valore dell’umiltà in un’umanità che non voleva perdere le sue radici e che per una notte si riprometteva di non ascoltare le modernità che si facevano strada. Caposele ti sembrava bella dal di dentro, come sa esserlo un’anima incontaminata in un corpo indi-scutibilmente affascinante. Natale era un focolare acceso e un mandarino asprigno, leccarsi le dita intinte nel miele o correre all’impazzata per un lunghissimo minuto con un “frùulo” che sprizzava tante scintille bianche. Alfonso Merola

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C A P O S E L E, I T A L I A? Lettera ad un amico che mi leggerà nel nuovo millennio di Gerardo Ceres

A

mico mio, a volte ci sono intuizioni e percezioni che non riusciamo a tradurre in immagini e in parole. Poi capita di leggere un libro, o semplicemente un articolo, che questo ha su di noi un effetto illuminante, fino al punto che arriviamo addirittura a pensare che lo avremmo potuto scrivere, se solo ne fossimo stati capaci, noi stessi. Questo, infatti, è quanto mi è capitato leggendo l’ultimo rapporto annuale del Censis, che altro non è che il condensato sociologico su quanto si ritiene stia succedendo o si prevede che succeda in Italia. Una vera e propria fotografia del Bel Paese a pochi giorni dal duemila. Come tutte le indagini e le ricerche sociologiche esse si compiono analizzando dei casi o delle situazioni che, sulla base di criteri scientifici, vengono assunti come campionature. Ecco, io credo che Giuseppe De Rita, il vate che da trent’anni circa pontifica con le sue analisi e le valutazioni, per realizzare il suo rapporto abbia inviato proprio a Caposele i suoi ricercatori. Perché ciò che emerge dal ritratto del Censis è interamente, dramma-ticamente e, se vogliamo, incre-dibilmente sovrapponibile a ciò che vorremmo noi stessi dire di Caposele, oggi, e che per altro abbiamo cercato di scrivere su

questo giornale, lungo tutto quest’ ultimo decennio. Leggere che è in atto una “sconnessione psichica” ci riporta a quelle situazioni sempre più allarmanti e diffuse nella nostra comunità, in cui le fragilità psicologiche si uniscono alle depressioni mentali. Nel nostro caso abbiamo, qualche tempo fa, scritto di un’onda lunga e silenziosa causata dagli elettroshock sismici e dalle conseguenti distruzioni fisiche, non prontamente ed adeguatamente superate da una ricostruzione del tessuto urbano e sociale. Un fenomeno che lambisce e sfiora affetti familiari e che ha assunto una diffusione e un valore quantitativamente preoccupante. Basterebbe chiedere alla locale farmacia il fatturato derivante dall’acquisto settimanale di prodotti antidepressivi di sostegno per averne una più oggettiva contezza. Uomini, donne, giovani : nessuna categoria anagrafica ne rimane, sfortunatamente, esclusa. Leggere, poi, che siamo attraversati da una sorta di “appagamento” e da una “poca voglia di maggiore competizione e rischio”, coglie in pieno il tratto caratteriale tipico del caposelese medio. Che poi, se sottoponessimo questo giudizio alle osservazioni di un filosofo, in assoluto, non è del tutto negativo. Ma noi di questa condizione umana vogliamo considerarne gli aspetti meno nobili. A Caposele tanto i ricchi (pochi, ma ci sono) quanto i benestanti (molti, anche se non lo danno ad intendere), appartengono alla categoria di coloro che investono le loro fortune in beni immobiliari o in titoli di risparmio garantito e sicuro. E’ del tutto noto che il terremoto, prima, e la ricostruzione, poi, hanno consacrato una nuova classe di benestanti, per lo più tecnici progettisti, imprenditori edili, consulenti, commercianti e

albergatori. Bene, quanti di questi hanno reinvestito le laute accumulazioni in altre attività con le quali poter allargare le possibilità di sviluppo ad altre fasce della cittadinanza ? Non oso pensare che in questo nostro caso si ha a che fare con la regola della rendita parassitaria, ma tuttavia non ci si discosta di molto. Non si è, chiaramente, in presenza di una propensione all’investimento produttivo, che certo è rischio, è competizione. Si determina in queste condizioni, appunto, un appagamento circa i risultati raggiunti. L’atteggiamento esattamente opposto ed alternativo lo troviamo a pochi chilometri da qui. Tutto ciò che abbiamo detto di Caposele è esattamente rovesciabile nel caso di Lioni. Lì, (solo io so quanto mi costa scriverlo !) quelli baciati dalla “fortuna del terremoto” hanno investito in altre attività, prevalentemente commerciali, riconvertendosi e riqualificandosi, secondo un modello di dinamicità economica (ma che è anche culturale ed intellettuale) che si trova consolidato nelle aree più ricche della penisola. Non si troverebbero, altrimenti, vetrine che saprebbero concorrere con quelle di via Montanapoleone, di via Condotti o via di Chiaia ; non troveremmo locali notturni in qualche modo raffinati e gestiti con un piglio non dissimile da quello di una grande città ; non troveremmo providers che gestiscono lo sviluppo di Internet,

animati da una proiezione verso l’innovazione e il futuro. Si è avuto la provvidenziale capacità, da parte degli ofantini, di costruire un’economia molecolare, tanto che, da caposelese, lo riconosco, ne provo invidia. Leggere, ancora, di una “passività inconscia” ci ricorda una verità che affonda la propria lama in una ferita che da tempo a Caposele non riesce a rimarginarsi. C’è un atteggiamento vegetativo circa ogni aspetto del vivere comune. Non c’è più l’impegno politico, che ha conosciuto sì una crisi anche nel resto del paese, ma che da noi è in uno stato comatoso, capace di rianimarsi solo in occasione degli scontri elettorali locali ; non c’è impegno di altro genere se non quello veramente apprezzabile, per quantità e qualità, dell’Associazione di pubblica assistenza ; non c’è più la radio che ha svolto un ruolo catalizzatore di aggregazione e di impegno ; non si fa più musica col gusto e la partecipazione che pure abbiamo conosciuto in altre epoche ; anche il calcio ha perduto quella capacità di fare e creare identità collettiva. Insomma s’assiste al trionfo dell’inerzia e della stagnazione. A tal proposito è bene non dimenticare che anche in politica non assistiamo ad un ricambio della “classe dirigente” da almeno trent’anni a questa parte, del che si ha conferma nell’assenza di una propensione alla dinamicità

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da parte della generazione nuova. Si ha da parte di quest’ultima una scarsa considerazione di sé : che è poi “deresponsabilizzazione verso il futuro”. E’ snervante continuare a leggere, sempre nell’introduzione del rapporto del Censis, di “insensatezza”. Perché vengono in mente gli impegni della politica (maledetti parolai !) ; dei progetti che restano nella palude dei sogni effimeri, che mai si concretizzano ; di azioni amministrative prive di metodo e tutte finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo quotidiano che però non ha respiro strategico chiaro e condiviso ; di una politica vissuta come sofismo cui dedicare poche ore di tempo libero durante la giornata o soltanto in occasione dell’aperitivo della domenica mattina. Così continuando non ci si rende conto che non ci sarà futuro. Che questo è “un luogo destinato ad una rapida senilizzazione, privo

di motivazioni e di forti slanci emotivi”. Ma come se non bastasse, “c’è un diffondersi dell’egoismo individuale con un declino sottile della solidarietà”. Un “pensiero di sorvolo” aleggia tra i cittadini ; si passa cioè avanti senza riflettere criticamente sul passato che ci si lascia alle spalle ; ci si è privati della capacità di interrogarsi collettivamente, e come direbbero alcuni vecchi veteromarxisti, che utilizzano la traccia coerente del “da dove veniamo, chi siamo e dove stiamo andando”. E’ del tutto evidente che il giudizio negativo che si assegna ai politici nostrani non nasce dal fatto che li si ritenga responsabili di questo stato di cose. E’ esattamente il contrario : sono essi stessi vittime di questa particolare condizione, che già in passato osammo individuare come il vero male oscuro di Caposele.

Ai politici di Caposele gli si può muovere un solo rilievo : non avere contezza di ciò che è successo, di come stanno veramente le cose ; non hanno naso per sentire l’odore putrescente del cadavere (immagine forte); non hanno occhi per vedere lo squallore che avvolge le case, le strade, persino la dolce campagna collinare ; non hanno orecchi per ascoltare il lamento più profondo di chi non ha...non ha...nulla. Vedi, amico mio, tu hai insistito tanto perché io ti delineassi un quadro di Caposele oggi, quando mancano appena venti giorni alla fine dell’anno, che è poi l’ultimo del secondo millennio, ma, come puoi ben capire leggendo in altra pagina il pezzo di Antonio Sena, anche su questo non v’è certezza. Sapevo, nel momento in cui ho deciso di rispondere alle tue sollecitazioni, di procurarti più di un dispiacere. Tu, è vero, sei legato ad

un’iconografia di Caposele appresa a scuola, quando grazie alla retorica dei nostri maestri, tutti eravamo convinti che fossimo nati nel luogo più bello del mondo, quello che può annoverare primati sulla lunghezza della galleria che qui prende origine e quello che accoglie quasi un milione di pellegrini... Ora, sappi che, scrivendoti, ogni battuta di polpastrello sulla tastiera è stato ritmo di dolore, quasi un lamento blues, non dissimile da quelle litanie dei cortei funebri di una volta. E, quindi, con questo sentimento

SUGGERIMENTI PER IL DUEMILA

I

di Pasquale Cozzarelli

l programma non ha ottenuto forse il successo sperato in termini di audience ma l’idea di base era comunque buona. Fabio Fazio e Claudio Baglioni hanno psicanalizzato, sulle poltrone del loro ultimo show televisivo, vip e personaggi di varia umanità ponendo loro un paio di domande cruciali: che cosa valeva la pena di salvare del passato e perciò trasportare poi nel nuovo millennio? Il giochino si può adattere ad ogni situazione. Anche piccola come nel caso della politica caposelese che sfortunatamente è quasi sempre in grado, ad ogni tornata amministrativa, di offrire all’elettorato una ricca scelta in tema di negatività. E pertanto a pochi giorni dal trapasso del vecchio millennio, l’occasione è propizia per tentare una cernita dei comportamenti, insulsaggini, gaffe, amenità varie da non trasferire più nel nuovo millennio. Sarebbe ora di dire basta tanto per cominciare a sciocchezze da immondezzaio della politica come alcune frasi tipo “alberi torturati e assassinati” o “torturatori di alberi”. Oppure smetterla di parlare a vanvera di candidature “per il bene di Caposele” dal momento che in passato troppe volte il bene di Caposele è stato intrecciato con il bisogno di certi politicanti nostrani.

E perchè non finirla con le promesse fasulle di lavoro fatte dai soliti imbonitori che alla resa dei conti non raccolgono che una manciata di voti? Ma gli interrogativi sono tanti.

vizio di tirare i fili, manovrare, suggerire in modo occulto per bruciare gli altri e mai se stessi? Quel che non vorremmo inoltre trasportare nel nuovo millennio, con l’astronave del duo Fazio-Baglioni,

“Sarebbe ora di dire basta tanto per cominciare a sciocchezze da immondezzaio della politica come alcune frasi tipo

“alberi torturati e assassinati” o “torturatori di alberi”... Perchè a Caposele mai nessuno si dimette, anche dalle cariche più insignificanti, quando si trova a dover fare i conti con fallimenti politici umilianti ed inattesi? Perchè non essere più coscienti delle proprie inattitudini? Perchè atteggiarsi a grandi strateghi quando non si è capaci di segnare un calcio di rigore a porta vuota? In questa materia si può scegliere insomma “fior da fiore” senza timore di scontentare qualcuno. Come non ripensare ad esempio al ruolo dei partiti organizzati, a certi personaggi che senza aver mai prodotto niente continuano imperterriti a navigare nelle acque della politica locale, a certi burattini che non hanno perso il

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è la pretesa di ammantare di nobili significati gli sfizi personali, alla faccia del tanto usato bene collettivo. Del resto molti degli aspiranti candidati sono stati messi, ed anche per parecchio tempo alla prova dei fatti con esiti quasi sempre ridicoli per Caposele. Anche se ad onor del vero qualche risultato buono lo hanno realizzato per i propri comodi. Insomma la sfida per il Duemila è semplice: evitare gli sbagli commessi, dare più spazio alle tante energie sane di Caposele che non riescono ad emergere per colpa della cappa asfittica generata dai partiti e gruppi di potere, intendere la politica, quella con la maiuscola, al servizio della gente e non dei propri tornaconti. Una ricetta

forse utopistica ma che rappresenta l’unica strada da percorrere per evitare ulteriori brutture al nostro paese. Alla fine basterebbe poco per stare tranquilli nel nuovo millennio: recitare un bel mea culpa da parte di certi Soloni ed impegnarsi, per sempre e non solo fino ai sei mesi precedenti le consultazioni, in passatempi meno complicati per certi cervelli: Ne guadagnerebbe Caposele.


Politica

LA NOSTRA OPPOSIZIONE

di Agostino Montanari

rideterminate tali rendite, le quali da presunte, inizialmente, sono, poi, diventate effettive. Il Comune di Caposele, avendo previsto nel bilancio di previsione 1999 la somma di Lire 185.000.000 da raccogliere attraverso questo gettito, si è adoperato, ricalcolando anno per anno l’imposta, a stabilire una sanzione per i mancati pagamenti, oltre agli interessi annui del 14%…una somma non indifferente per i contribuenti caposelesi, che pur non avendo colpe si trovano costretti a pagare

dell’accertamento con adesione La non applicazione dell’ammenda di lire 100.000 per omessa presentazione della dichiarazione ICI nei casi in cui l’imposta non è dovuta  Possibilità di considerare la pertinenza parte integrante dell’abitazione con riduzione dell’imposta e questo per citare solo alcune delle agevolazioni possibili, che sarebbero divenute operative già a partire dall’anno 2000, se il regolamento fosse stato approvato entro il 31/12/99. Tale

L'attuale Minoranza Consiliare

una sanzione e degli interessi maggiorati rispetto a quelli reali. E siccome il problema riguarda la quasi totalità dei proprietari di immobili del nostro Comune, noi della minoranza dei TRE CERCHI abbiamo richiesto al Sindaco, ed abbiamo ottenuto come per legge, la convocazione del Consiglio Comunale. Nella seduta del 9 dicembre abbiamo così proposto che venisse approvato un regolamento, da noi stessi elaborato, per interpretare meglio questa complessa disciplina . Attraverso questo regolamento, che è in linea con le disposizioni fiscali emanate dai vari organi di controllo su questa materia, si sarebbe potuto: Evitare di applicare la sanzione Ridurre notevolmente gli interessi sulla differenza di imposta (dal 14% al 5% mediamente annui)  Riduzione di tutte le penalità al minimo di legge a seguito

proposta, invece, ha trovato, nel già citato Consiglio Comunale, l’opposizione della maggioranza; ed il Sindaco, come suo solito in questi casi, ci ha così risposto “ …. gli Uffici stanno approntando il Regolamento”. Quando sarà pronto? Verrà incontro alle esigenze legittime dei proprietari degli immobili? Perché la maggioranza non ci ha pensato prima? Tutte domande senza risposta da parte del Sindaco e dei suoi consiglieri. E frattanto il cittadino, che ha fatto il suo dovere di contribuente, incolpevole per aver pagato un’imposta errata nel calcolo, viene perseguitato, mentre l’ evasore, ovvero chi non ha mai pagato, è sconosciuto e tale continua a rimanere al dott. Di Fonso ed al Comune. Sì perché il Comune si è rivolto al dott. Di Fonso da Vallata per il recupero di queste somme ICI, che da stime degli stessi uffici comunali

supereranno di gran lunga la somma di lire 200.000.000; come se non bastasse, per tali prestazioni, al professionista il Comune corrisponderà un compenso pari al 24% dell’intera somma introitata. Chi pagherà tutte queste spese, frutto solo dell’inefficienza di chi ci amministra? Noi tutti, cittadini incolpevoli, contribuenti onesti, elettori truffati… Nel discutere con la gente, in questi giorni, sulla stranezza di questa operazione mi è venuta in mente la storia del Condono Edilizio: anche in quella occasione il Comune si era affidato alla consulenza dell’ing. Saladino da Policoro “per definire - si disse - presto e bene le 800 pratiche di condono”… la gente ha pagato, ma di concessione in sanatoria neppure l’ombra. L’altra sera, uscendo dalla riunione del Consiglio Comunale, ripensando ai toni imbonitori del Sindaco ed ai silenzi eloquenti del capogruppo di maggioranza, l’avv. Corona, mi sono venuti alla mente due dei più famosi personaggi del racconto di Collodi: il Gatto e la Volpe. Questi strani ALLEANZA DEMOCRATICA

INTERROGAZIONE

D

efinire opposizione l’attività dei consiglieri comunali di minoranza, a giudicare da quello che è accaduto nell’ultimo consiglio comunale, è,ormai, soltanto un attributo troppo limitativo. Infatti, il risultato elettorale del 13 giugno, che aveva assegnato alla compagine dell’ARCOBALENO il ruolo di maggioranza e di governo ed alla lista dei TRE CERCHI il ruolo di minoranza e di opposizione, si sta rivelando solo una pura formalità. Sì perché, alla prova dei fatti, l’opposizione la sta facendo la maggioranza Melillo-Corona nei confronti delle richieste di provvedimenti fatte dal gruppo di minoranza consiliare dei TRE CERCHI. A dimostrazione di quanto sto dicendo, vi sono molti atti della maggioranza consiliare che lo dimostrano: ultimo, ma solo in ordine cronologico, è il voto contrario, e quindi di opposizione, alla proposta del nostro gruppo consiliare di approvare il Regolamento di Disciplina dell’ICI al fine di non applicare alcune ingiuste sanzioni relativamente al pagamento degli arretrati di questa imposta per gli anni compresi tra il 1993 ed il 1998. Ma veniamo ai fatti. Nel 1993 fu istituita l’ICI ed i contribuenti di Caposele, come quelli di ogni altro Comune, si sono attivati presso i vari Uffici Tecnici Erariali competenti, per conoscere le rendite catastali degli immobili di loro proprietà al fine di calcolare l’imposta da versare al Comune. Siccome, per disguidi tecnici, queste informazioni non erano disponibili presso l’Erario, i proprietari di immobili si rivolsero agli uffici del Comune od a tecnici privati, i quali avvalendosi del programma di calcolo predisposto dal Ministero delle Finanze hanno fornito le rendite catastali. Tuttavia quelle rendite, così calcolate, non si sono, in seguito, rivelate esatte: erano inferiori a quelle reali. Successivamente, e questa è storia recente, sono state

In data 19 ottobre 1999, con decreto sindacale, il Sindaco Melillo ha promosso, in maniera illegittima, undici dipendenti comunali a responsabili di servizi, favorendo così in modo spudorato amici e parenti, a danno dei Caposelesi, sulle cui spalle graverà il costo di questa operazione, che è decine di milioni all’anno. Di tanto abbiamo chiesto conto al Sindaco con la seguente interrogazione: Al Sindaco del Comune di Caposele - Oggetto: Interrogazione decreto sindacale - prot. Nr. 9504/99I sottoscritti Consiglieri comunali di “Alleanza Democratica”, a norma dell’art. 21- comma 6 della Legge 241/90, dell’art. 23 del vigente Statuto comunale e del Regolamento comunale di accesso agli atti, relativamente al Decreto sindacale di cui all’oggetto, Chiedono di conoscere 1) le motivazioni di nomina dei responsabili come previsto dall’art.51 della Legge142/90; 2) la copertura finanziaria, atteso che gli atti privi sono da ritenersi nulli; 3) a mente di quale articolo del vigente Statuto comunale è stato individuato il numero dei responsabili 4) se risulta essere stata rispettata la previsione di cui al C.C.N.L. Del 31/3/99 e della Legge 300/1970. Si richiede risposta scritta. Caposele, 25 ottobre 1999 Distinti saluti I Consiglieri di Minoranza

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Politica

F

rancamente risulta difficile per uno qualsiasi di noi che voglia direttamente o indirettamente interessarsi di politica capire fino in fondo il presente e guardare al futuro con sufficiente lucidità. Troppi sono i dubbi. troppi gli equivoci e i luoghi comuni. Tanto per cominciare, non è vero, come erroneamente si pensa, che ciò che avviene a qualche distanza da noi non è affar nostro e che in quanto distante non possa produrre effetti sulle nostre abitudini, sulla nostra vita e il modo di pensare di ciascuno di noi. E’ vero il contrario a maggior ragione in politica laddove le decisioni che vengono prese hanno un’incidenza diretta ed immediata sulla qualità della vita. Non sarebbe giusto, perciò, sorvolare sul travaglio profondissimo che attraversa i Democratici di Sinistra alla vigilia di importanti e delicati appuntamenti congressuali. La questione, com’è facile intuire, non è di scarso interesse tanto più che anche a Caposele una sezione dei diesse c’è, esiste e ha un passato glorioso che non può essere dimenticato o peggio ancora archiviato come un fenomeno di nessuna rilevanza storica e civile. L’appartenenza a un partito politico o se preferite la militanza nasce per ragioni profonde,ragioni etiche, ideali ma anche ragioni molto concrete laddove il senso della solidarietà umana diventa la molla che determina e alimenta l’impegno quotidiano. Quanto più un partito riesce a incarnare questo sentimento tanto più il senso dell’appartenenza diventa forte e radicato. La militanza però assicura all’individuo un privilegio, un privilegio prezioso, quello di poter criticare apertamente con argomentazioni logiche l’operato dei propri dirigenti e di poterlo fare in qualunque momento. Quando il rischio di veder limitato questo privilegio aumenta e aumenta a dismisura allora vuol dire che c’è

qualcosa che non va, che un malessere sotterraneo sta minando le basi del civile confronto di idee. Ecco,la disputa oggi in atto all’interno dei diesse è anche di questo tipo, si discute se è ancora lecito in un partito democratico esprimere un civile dissenso e se è ancora lecito sottolineare con forza l’esigenza di un cambiamento di rotta verso la riscoperta delle radici vere della Sinistra italiana.In questo quadro trova

Io credo di no, credo che non abbiamo motivo di sentirci colpevoli di aver avuto certi ideali e di aver combattuto per essi in tempi in cui era scomodo farlo e anche pericoloso. Usciamo dunque dal recinto troppo stretto del confronto‑scontro tra ulivisti e non ulivisti, tra i nostalgici e i pionieri della cosiddetta nuova frontiera e ritroviamo invece le ragioni dell’unità ripercorrendo la nostra storia,facendo tesoro degli errori commessi nel corso

LE RAGIONI PERDUTE DELLA SINISTRA Antonio Ruglio

.... la

sinistra di

C aposele

ha perso anche il

coraggio e la capacità di confrontarsi con la gente e di dialogare con essa in modo franco e leale perdendo terreno in termini di consenso. spazio il confronto tra chi sostiene le ragioni di un rilancio dell’Ulivo e chi pensa invece sia giunto il momento di ricercare le motivazioni e i temi propri della Sinistra per lungo tempo offuscati in nome degli equilibri generali. Francamente non credo che qualcuno possa pensare di rompere un’al­leanza di governo che si prefigge di arrivare fino alla fine della legislatura ma nello stesso tempo credo sia doveroso soffermarci a riflettere sulla nostra identità per ritrovare l’orgoglio di essere stati e di essere una forza che ha contribuito in maniera determinante alla crescita civile e democratica del nostro Paese e per domandarci fino in fondo se abbiamo davvero motivo di vergognarci del nostro passato e delle nostre idee.

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dei decenni e rivendicando con forza quello che la Sinistra italiana ha saputo fare fino ad oggi. Se questo è vero su scala nazionale a maggior ragione lo è su scala locale e anche Caposele non viene risparmiato dalle difficoltà e dagli equivoci. Da molti anni ormai la sezione diesse ha imboccato la strada apparentemente comoda dell’ino-perosità con la convinzione di aver scelto una scorciatoia che potesse consentire di raggiungere il massimo dei risultati con il minimo sforzo. In realtà. questa scelta si è rivelata un boomerang. Abbiamo assistito a sconfitte elettorali pesantissime e accanto ad esse è maturato anche un senso di impotenza e per molti aspetti di vera e propria sudditanza psicologica nei confronti di altre forze politiche numericamente in­feriori. Come se non bastasse, la sinistra di Caposele ha perso anche il coraggio e la capacità di confrontarsi con la gente e di dialogare con essa in modo franco e leale perdendo terreno in termini di consenso. Quel che è più grave però è l’assoluta mancanza di un confronto e di una discussione seria all’interno della sezione dove le decisioni prese possano essere tradotte in azioni concrete all’esterno senza essere puntualmente contraddette al primo stormir di fronde. Ancora più sconcertante è avere la percezione netta di dire cose che nella sostanza rimangono inascoltate, badate

bene non perché non vengano dette e ridette ma perché non ritenute in linea con l’orientamento prevalente. Non credo che una situazione del genere possa durare ancora a lungo, non è concepibile fare come lo struzzo e mettere la testa nella sabbia per non vedere e per non capire, ostinarsi a difendere lo status quo, vale a dire il nulla, è una scelta irresponsabile, senza alcuna giustificazione logica e morale. L’occasione del Congresso di metà gennaio è troppo ghiotta per farsela scappare, è o può essere un momento importante di maturazione, lo spunto per cominciare a fare chiarezza soprattutto nelle sezioni per evitare che un patrimonio di idee come il nostro possa disperdersi in mille rivoli per poi scomparire del tutto. Quella che ci si presenta è anche l’occasione per capire chi siamo, dove vogliamo arrivare, con l’auspicio che ci si possa liberare una volta per tutte degli inutili sensi di colpa che ancora ci portiamo dentro ritrovando le ragioni profonde di un impegno civile che guarda al futuro.

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immagini, suoni, storia e quant'altro di Caposele da consultare e conservare nel vostro archivio


Politica

L’ALBA DELLA POLITICA di Michele Ceres

S

e dovessi ritornare un’ultima volta sui miei passi, abbracciare con un solo sguardo le tappe più significative di questo cammino, concluderei in fondo così: non ho fatto altro che seguire quanto mi hanno dettato la coscienza, il senso di responsabilità e l’appartenenza ad una comunità, che, purtroppo, spesso, ha creduto a falsi profeti di felicità, che il più delle volte non erano altro che uccelli di malaugurio. Ho cercato spesso di far emergere il pericolo dell’impostura; ho cercato di dirlo con dovizia di argomenti, ma solo in qualche occasione sono stato ascoltato. Avevo creduto di poter contribuire a determinare un nuovo corso, rompendo con il passato, per superare gli schemi stereotipati della politica caposelese, caratterizzati da un esasperante manicheismo che ci divideva in buoni e cattivi, a seconda dei punti di vista. Avevo creduto che l’unione di energie da sempre contrapposte potesse trovare il consenso dei più e promuovere la convergenza degli obiettivi, ma così non è stato. Ancora una volta, usando mezzi poco rispettosi della dignità della gente, hanno vinto i falsi profeti della felicità e gli avventurieri della politica. Di tale pericolo già ne avevo scorto le avvisaglie durante la competizione elettorale del 13 giugno, quando si raggiunse una tensione che trovava pochi riscontri nel passato; quando la polemica, pur doverosa e necessaria in una campagna elettorale, raggiunse punte estreme di acredine che per trovarne qualche antecedente bisognerebbe risalire agli anni del dopoguerra. Ancora una volta hanno vinto i lenoni della politica. Ancora una volta la politica è stata prostituita perchè deve fare da supporto ad aspirazioni non sempre legittime e conformi agli interessi generali della nostra comunità. Queste mie parole potrebbero sembrare animate da risentimento e livore. No! Non è così. Esse non sono nemmeno lo sfogo, pur comprensibile, di chi ha perduto una battaglia, perchè sono consapevole che la guerra continua. Sono, però, l’espressione della delusione e dell’amarezza di chi ha acquisito la coscienza che il cammino da percorrere è ancora troppo lungo; sono allo stesso tempo, la manifestazione della certezza che la guerra non può che concludersi con la netta e decisa affermazione del diritto e della legalità. Il traguardo è ancora lontano, ma all’orizzonte già appare un chiarore che si diffonde sempre di più. E’ l’alba del 2000; è l’alba della politica.

A PROPOSITO DI L

a questione della equità fiscale riguarda, ormai, anche le amministrazioni locali, le quali sono costrette a misurarsi con l’impegnativa problematica del ‘pagare tutti per pagare meno’ e a dar conto ‘di avere ben speso il prelievo tributario’. Per tale motivo nel 1995, subito dopo l’insediamento della lista del ‘Sole’ vi furono alcuni amministratori che si impegnarono affinchè la tariffa dell’Ici venisse mantenuta al quattro per mille e che fosse subito dato avvio alle operazioni di accertamento. Si sosteneva, cioè, che non era giusto innalzare la tariffa e far pagare di più quelli che già pagavano quando si poteva incassare la maggiore somma scovando subito gli elusori e gli evasori. Fu tenuta una riunione del gruppo di maggioranza sull’argomento che decretò minoritaria per un solo voto la proposta sostenuta da chi scrive e dagli altri consiglieri comunali che, successivamente, avrebbero costituito il gruppo degli ‘indipendenti del Sole’. Così andò… Oggi, a distanza di quattro anni, il nuovo Sindaco e la sua Giunta hanno dovuto procedere, sotto l’incalzare della prescrizione, agli accertamenti ICI a partire dall’anno 1993. In quell’anno l’imposta fu fissata al sei

per mille, ma prima ancora che la legge venisse promulgata e, quindi, senza che fosse stato possibile rispettarne le relative prescrizioni. La illegittimità della delibera fu subito fatta rilevare dalla sezione PSI di Caposele con pubblico manifesto datato 7 luglio 1993. E lo scrivente, che all’epoca ne era il segretario politico, propose ricorso alla commissione tributaria di 1° grado che lo accolse dichiarando la ‘inesistenza radicale’ di quella delibera. L’Intendenza di Finanza di Avellino appellò la sentenza n. 39/94 alla commissione di 2° grado che con decisione n. 40/21/98 ha rigettato l’appello e confermato la decisione impugnata. E finalmente, nel mese di febbraio 1999, dopo rituale accertamento, l’Ufficio preposto ha restituito al sottoscritto la maggiorazione del due per mille, pagata e non dovuta e con gli interessi come per legge. Nel bilancio di previsione 1999 del Comune di Caposele è previsto il Capitolo di entrata ‘Accertamento ICI’ per lire 185 milioni. Tale somma concorre ad assicurare il pareggio del bilancio approvato e non esiste alcuna previsione di spesa correlata alla suddetta entrata. Ciò nonostante, nel mese di ottobre u.s. il Comune ha sottoscritto una

convenzione con tale dott. Di Fonzo per il riordino di tutti gli elementi e le procedure necessarie ad una corretta gestione dell’ICI 19931999, riconoscendogli, a titolo di corrispettivo, il 24% dei maggiori introiti effettivamente riscossi. Nello stesso atto viene, inoltre, riconosciuta un’indennità pari al 5% sempre dei maggiori introiti riscossi al netto del compenso del dott. Di Fonzo per il personale dipendente che prenderà parte alla realizzazione di tale lavoro. Ma prima di dar corso agli accertamenti (che sarebbe stato invece preferibile, per i cittadini, e vantaggioso, per l’Ente, far fare dalla struttura interna), bisognava adottare il regolamento comunale per disciplinare e collocare nel contesto della nostra realtà l’attività di accertamento che, riguardando ormai ben sei anni, è vissuta dai cittadini come odiosa ed ingiusta non fosse altro perché: 1) gli interessi vengono richiesti nella considerevole misura del 14% annuo fino al giugno 1998; 2) la c.d. maggiorazione del 20% da applicarsi quando la differenza tra rendita presunta e quella definitiva supera il 30% desta forti perplessità; 3) due commissioni tributarie hanno sancito che il tributo del 1993 era dovuto nella misura del 4 per

mille. I contribuenti, che cominciano a ricevere gli inviti a recarsi presso le strutture comunali per collaborare alle operazioni di accertamento, vengono lasciati nella più totale incertezza. Eppure la legge 133 del maggio 1999 consente al Comune di diminuire gli interessi sulle somme non versate. Altri comuni hanno deliberato la non applicazione della maggiorazione del 20% e anche in commissione parlamentare è stata approvata una risoluzione per raccomandare la disapplicazione di tale maggiorazione. In modo responsabile, la minoranza consiliare si è fatta carico del problema ed ha proposto al Consiglio comunale una bozza di regolamento che offriva delle possibili soluzioni, ma la maggioranza (nel perfetto ruolo del gioco delle parti) nella seduta del 10 dicembre l’ha respinta senza ragione. Tenuto conto che, per legge, il regolamento ICI va in vigore dal primo gennaio dell’anno successivo a quello della sua approvazione, c’è solo da augurarsi che il nuovo Sindaco si ravveda e riconvochi il Consiglio prima della fine dell’anno per consentire ai suoi cittadini di poter beneficiare delle agevolazioni che pure la legge prevede… Nino Chiaravallo

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Giovani pensieri

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Cosa portare (o non portare) di Caposele nel nuovo millennio?

C

he cosa portare di noi nel prossimo millennio per rappresentarci? E’ questo il quesito che accompagna una delle trasmissioni di punta della Rai il venerdì sera in prima serata. Se ci pensiamo bene, al di là di quelle che possono essere considerazioni sul merito specifico del programma di Fazio e Baglioni, il tema di cosa lasciare di noi ai posteri è un qualcosa che è sempre esistito in tutti i tempi, in tutte le epoche ed i periodi storici. Non è un caso, perciò, che anche i mass media, in un momento che meglio non potrebbe rappresentare questo passaggio al futuro (fine secolo e, insieme, fine millennio ), tendano a rappresentare questo momento caricandolo di un valore simbolico non indifferente. Il fatto di voler portare (o lasciare) un oggetto che ci rappresenti, sia come singoli individui che come comunità, fa parte dell’uomo stesso: dalle stupende pitture del Neolitico al cinema del XX secolo, passando per le opere di Cicerone o degli artisti rinascimentali, non c’è nessuna epoca della quale non abbiamo tracce e reperti attraverso i quali poter leggere il passato per capire ed interpretare

L

meglio il nostro presente e prevedere il futuro. Termini quali memoria storica e identità culturale non sono concetti astratti che troviamo solo su qualche libro di storia o che di tanto in tanto vengono ripresi da qualche noioso intellettuale - o, magari, da un politico passato di moda -, ma sono valori che appartengono all’esistenza stessa di ogni singolo individuo. Tutti noi, infatti, abbiamo nella nostra sfera privata, nel nostro mondo personale, una serie di oggetti - spesso piccoli, insignificanti all’apparenza - che conserviamo con cura, alle volte in maniera quasi feticistica, perché ci riportano alla mente periodi della nostra vita o momenti che ci hanno segnato, o più semplicemente per farci rivivere sensazioni di vita passata che non torneranno più, ma che comunque ci hanno accompagnato per tratti più o meno brevi della nostra cortissima (rispetto alla vita degli astri) esistenza. Ed è per questo che ognuno, in maniera più o meno conscia, spera un giorno di essere ricordato da chi ha fatto parte della sua vita o da chi verrà semplicemente a che fare con il suo nome, proprio attraverso questi

piccoli oggetti. In quest’ottica quindi, si può dare un giusto valore simbolico alla fine del millennio: per interrogarci su noi stessi, per fare un bilancio sulle nostre esistenze, per capire i nostri errori, anche per attribuirci dei meriti, non solo riguardo alla nostra sfera intima, ma anche in relazione agli altri. Se, infatti, esiste un nostro io interiore custode di noi stessi, delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti, non possiamo fare a meno di riconoscere che tutte le individualità finiscono ogni giorno per confrontarsi, incontrandosi ed anche scontrandosi tra loro, senza poter fare a meno di condizionarsi a vicenda e di mettere una parte di se in comune in un’entità più grande, superiore e diversa dalla sommatoria di ognuna di esse presa singolarmente . Pur considerando la nostra vita come un cammino individuale non possiamo perciò fare a meno di considerarci parte di una comunità dalla quale riceviamo ed allo stesso tempo diamo qualcosa di noi. Ci dovrebbe essere, quindi, un qualcosa che ci rappresenta e ci

di Gualfardo Montanari

identifica un po’ tutti anche come comunità locale. Parafrasando allora la domanda iniziale potremmo dire: che cosa portare di Caposele nel nuovo millennio? E’ difficile darne una risposta , non tanto perché non vi siano oggetti che possano simboleggiarci e caratterizzarci come Comunità, quanto perché molti di quelli che mi vengono in mente (o che potrebbero venire in mente a ciascuno di voi) si escludono l’un altro a vicenda: Caposele è un po’ il paese dalle mille contraddizioni. La mia non è una constatazione a carattere polemico, né mi propongo di fare finto moralismo, semplicemente essa nasce dall’esperienza e dall’osservazione di ciò che accade in questa Comunità un po’ in tutti i settori. Non concludo perciò con una risoluzione a questo interrogativo, quanto esortandovi a trovare un oggetto -anche piccolissimoche, come caposelesi, possiamo portarci nel nuovo millennio e che, ovviamente, ci rappresenti tutti. Buona ricerca…

IL COMUNE: ENTE DA PRIVILEGIARE

Filomena Ceres

e recenti leggi di riforma degli enti locali pongono in evidenza come il legislatore stia sperimentando soprattutto in sede locale,nuove forme di gestione dei pubblici poteri. E’ tuttavia, evidente che proprio l’incapacità del potere locale di adempiere il suo ruolo e di mantenere vivo il rapporto tra cittadinanza ed istituzioni pubbliche, come dimostrano gli ultimi decenni della storia del nostro ordinamento, ha finito con l’imporre la necessità di più rapidi e radicali mutamenti. A ciò bisogna aggiungere la profonda crisi di identità dell’en­te comune,in quanto ha finora rivestito sia sotto il profilo istituzionale che gestionale ruoli estremamente diversificati. Infatti dal comune di fine ‘800, che si ergeva a principale gestore pubblico di tutti i servizi inerenti alla collettività, si passò a quello del ventennio fascista, nel quale l’ente divenne un’istituzione, priva di capacità di rappresentanza di interessi e svuotata dei propri poteri. Ed ancora,dal Comune della Carta costituzionale, dotato in astratto di ampia autonomia, ma in concreto di scarsa capacità di incidenza, succedeva il Comune inteso come soggetto terminale del decentramento,a cui venivano devolute molte funzioni, ma risorse umane, professionali e finanziarie assolutamente inadeguate. Oggi il Comune rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo,alla stregua di un’azienda autonoma. Ma, se tali sono le attribuzioni sotto il profilo istituzionale, in anni non troppo lontani il Comune ha costituito la sede privilegiata nella quale si sono manifestati deleteri fenomeni di degrado della gestione amministrativa, accompagnati dal graduale e continuo consolidamento di pratiche clientelari che hanno finito con lo svuotare, di fatto, la cultura dell’amministrazione locale della sua dignità e specificità,nonché della sua capacità di offrire risposte concrete ai bisogni della gente. Così facendo, il Comune ha rinunciato alla sua funzione politica di individuazione e organizzazione di interessi, per divenire unicamen­te ente di erogazione di servizi e prestazioni, rispondenti più ad interessi occasionali e particolaristici che ad una vera elaborazione e riflessione politica. Si sta molto discutendo di riforme istituzionali, che dovrebbero privilegiare la trasformazione dello Stato in senso federale. Non so se questa sia la panacea dei mali della politica nel nostro Paese, ma di certo potrebbe costituire un apprezzabile tenta­tivo di privilegiare il Comune, quale principale destinatario della riforma. Ma, affinché l’ente Comune risponda appieno alle auspicabili nuove attribuzioni, è necessario che le pratiche clientelari siano solo un pallido e sfumato ricordo di un tempo che non può e non deve tornare.

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Progetto

di massima di strada ferrata

Eboli ‑ Calitri

o

Linea trasversale Salerno ‑ Bari DAL LIBRO "VIAGGIO NEL FUTURO" di Gabriele Giorgio e Antonio Tenore

I

l 25 aprile, scorso, vi fu ad Eboli una riunione, alla quale parteciparono i rappresentanti dei comuni della valle del Sele e dell’Ofanto. Non fu presente alcun deputato. Il rag.re D’Angiolillo, funzionario delle ferrovie dello Stato, che si occupa attivamente della pratica, assicurò che il progetto della Ferrovia Eboli Calitri è stato approvata dalla speciale commissione presso il Ministero dei Lavori Pubblici e che perciò si rende necessaria l’insistenza da parte dei rappresentanti dei comuni della Valle del Sele e dell’Ofanto presso il Ministero del Ramo per ottenere la esecuzione dei lavori, col relativo finanziamento. La spesa risulta preventivata in 12 miliardi, da inserirsi nel piano E. R.P., ripartita in quattro esercizi. Si decise di spedire un telegramma di protesta, a nome di tutti i Sindaci presenti, al Presidente della Repubblica, al Presidente dei ministri ed al Ministero dei LL. PP. per il ritardo nella esecuzione dei lavori, dannoso anche perché aggrava le condizioni dei molti disoccupati dell’intera vasta regione. Il sindaco di Lioni dott. Antonio D’Urso fece rilevare che lo sbocco naturale della ferrovia, più che a Calitri doveva e poteva essere Lioni, non soltanto perché quello scalo può considerarsi come parte del centro abitato, ed il viaggiatore, nei momenti di sosta, può trovare tutti i conforti necessari, ma anche perché la ferrovia progettata avrebbe un’utilità più pratica per i comuni dell’alta valle del Sele e di quelli messi sulla sella di essa e fornirebbe di più l’afflusso annuale dei pellegrini al Santuario di S. Gerardo Maiella. Il l’Maggio, su invito del Sindaco, sono convenuti a Lioni i rappresentanti dei comuni di Caposele, Teora, Morra De Sanctis e S. Andrea di Conza. Il Sindaco

di Senerchia ha aderito. Tutti, in pieno accordo, hanno espresso la più ampia solidarietà alle osservazioni fatte dal sindaco di Lioni al convegno di Eboli, riconoscendo più rispondente ai bisogni dei loro comuni un tracciato della ferrovia che abbia il suo sbocco a Lioni, e se mai pur rimanendo il progetto del percorso Eboli ‑ Calitri, abbia una diramazione per Lioni, di dove facilmente gli abitanti di detti comuni possano raggiungere l’ex capoluogo di circondario, S. Angelo dei Lombardi, dove sono obbligati di andare per l’amministrazione della giustizia e per le pratiche fiscali, e al capoluogo di provincia Avellino per il disbrigo delle molteplici pratiche amministrative, politiche ecc. La necessità di vedere allacciata l’importante linea Napoli ‑ Salerno ‑ Eboli Metaponto ecc., con la non meno importante linea Avellino ‑ Rocchetta S. Antonio, con scalo a Lioni era da tempo remoto sentita da tutti i paesi rivieraschi della valle del Sele e di quella dell’Ofanto, privi di mezzi rapidi di comunicazione con l’Adriatico ed il Tirreno. Prima dell’avvento del fascismo, ed anche dopo, erano sul tappeto due progetti: uno dell’ing. Margotta, quello che si vuole sia stato approvato, e l’altro dell’ing. capo della Amministrazione Provinciale di Salerno, caldeggiato, come oggi, dai comuni di Contursi, Colliano, Collianello, Castelnuovo di Conza, S. Menna, Valva, Laviano, Senerchia, Calabritto e Quaglietta, Caposele, S. Andrea di Conza e Teora, che aspiravano all’allacciamento Eboli ‑ Lioni, tratto più breve circa 50 Km, che in quell’epoca importava la spesa di appena 50 milioni. Nell’anno 1921, il giorno 6 ottobre, in seguito al convegno dei comuni interessati, tenutosi ad Eboli,

PROFUMI DI NATALE

per la costituzione del Consorzio, i rappresentanti medesimi si riunirono a Calabritto, ed ognuno di essi portò nella propria cartella finanche la deliberazione del Consiglio comunale, con la quale il comune si impegnava di versare alla cassa del Consorzio una somma annua in proporzione del numero degli abitanti, e vi fu chi portò finanche il mandato di pagamento. Poi venne su il governo fascista e tutto fu messo a dormire. La costruzione della linea ferroviaria traversale Eboli ‑ Calitri o Lioni, è giustificata da ragioni e stati di fatto concreti che si connettono strettamente alle condizioni di vita e di sviluppo economico delle regioni e delle popolazioni locali. Le ragioni su esposte sono sostenute oltre che da vitali interessi regionalì, anche da alti interessi nazionali, d’importanza strategica, la cui conferma l’abbiamo avuta nella seconda guerra mondiale, durante lo sbarco effettuato dalle truppe delle nazioni unite sulle coste del golfo di Salerno, e la zona fu teatro d’importanti operazioni militari, sviluppatesi sui monti del salernitano e del rialto irpino per la conquista e il dominio dell’Italia Meridionale. La ferrovia in questione, collega il tronco più meridionale della linea ferroviaria interna Avellino ‑ Rocchetta S. Antonio ‑ stazione Lioni ‑ con la linea litoranea tirrena Napoli ‑Salerno – Eboli- Battipaglia e si svolge in una zona montana dell’Appennino campano facente parte del retroterra del golfo di Salerno, Dalla configurazione della nostra regione la ferrovia Eboli ‑ Lioni rappresenta il percorso più breve e più agevole che allacci, con naturale avviamento, numerosi comuni situati lungo le valli dei fiumi del Sele, dell’Ofanto nonché quelli del Calore, ai porti del Tirreno che vanno

verso Salerno, Napoli, Roma e verso Battipaglia e Reggio Calabria. Questa nuova strada ferrata dà impulso alla penetrazione turistica delle nostre regionì alpestri, che offrono incantevoli visioni di bellezza panoramica, e dove esistono centri d’importanza storica ed artistica non trascurabile, ad esempio: Lioni, Bagnoli Irpino, Nusco, Montella ecc. Si verrebbero così a mettere in valore località atte a divenire deliziose stazioni climatiche e campeggi per sport invernali, e dove l’industria alberghiera avrebbe sicuro sviluppo, data la vicinanza di grandi centri come Napoli, Salerno, Avellino, Bari, Foggia. Il breve tronco Lioni ‑ Eboli viene a costituire un attraversamento trasversale della penisola ed il collegamento più breve tra i porti di Bari, Barletta (ferrovia Rocchetta S. Antonio Avellino) e quelli di Salerno, Torre Annunziata ed il cantiere di Castellammare di Stabia. Questa linea permetterebbe anche lo sfruttamento intensivo e razionale di vaste estensioni coperte di boschi di faggio, castagno, quercia ecc., dai quali sì estrarrebbero masse voluminose di legname per lavorazione, legna da ardere, carbone ecc. Essa origina, inoltre, una nuova arteria per gli scambi con l’Oriente e unisce una regione agricola produttrice con un’altra industriale consumatrice che allaccia il Tavoliere pugliese, sul quale è largamente praticata la cerealicoltura con la plaga compresa tra Salerno e Napoli dove prospera l’industria molitoria la quale viene alimentata precipuamente con i grani delle Puglie e dell’Irpinia orientale. Insomma la ferrovia Eboli ‑ Lioni realizza un’antica e ardente aspirazione delle popolazioni attualmente staccate dai movimenti di civiltà e risolverebbe una questione importante che rientra nel quadro generale del problema del risveglio e del progresso civile ed economico del mezzogiorno d’Italia. Lord Sanson (Corriere dell’Irpinia ‑ 20/5/1950)

di Vania Palmieri

La pecorina di gesso/ sulla collina in cartone/ chiede umilmente permesso/ ai Magi in adorazione. Iniziava così la poesia tradizionale del mio Natale di bambina. Parole semplici. La rituale rima. Un bouquet di ansie, amore, dolcezza. Suoni, rumori, profumi riempivano la casa. Mamme, nonne, zie si affaccendavano ai fornelli. Voci care ci auguravano il buongiorno. Dalla scodella di orzo o di latte della prima colazione spuntavano le premesse di una lunghissima giornata che si sarebbe conclusa dopo la mezzanotte. “Buon Natale”, “Tanti Auguri”, “Pe cient’anni”, sembrava l’eternità. Nessuno pensava che quest’eternità era solo un attimo. Le famiglie, allora, erano numerose, patriarcali. Si viveva insieme. Gli anziani offrivano ai giovani le loro ricchezze interiori, accumulate in un’intera vita, le soddisfazioni delle vittorie, le esperienze delle sconfitte, la gioia della risalita. I problemi di uno erano quelli di ognuno, come l’allegria. Si divideva e si moltiplicava tutto. Per questo la felicità era immensa e la tristezza dimezzata. A cena, tutti intorno al grande tavolo. Il papà fingeva, per un poco, di non far caso ad una letterina che sbucava dal tovagliolo o che usciva da sotto il piatto di spaghetti alle vongole. Poi leggeva “Cari genitori...” le ingenue frasi di augurio e le promesse di essere buoni riempivano l’aria e la rendevano scintillante. In attesa della mezzanotte c’era il rito del “ceppone”. Questo era un pezzo di legna che veniva scelto tra quelli più grossi. Si preparava la mattina. Le donne di casa lo sistemavano accanto al caminetto. Il capofamiglia, poi, lo poggiava sui carboni ardenti. Il fuoco doveva restare acceso tutta la notte. Ai piccoli si diceva che la Madonna sarebbe venuta ad asciugare i “panni” del Bambino. E col “ceppone” che bruciava bruciavano i pensieri molesti, le angosce, le traversie di un intero anno. La brace era il simbolo della forza, della speranza, la capacità di ricominciare. Quanto tempo è passato! Oggi in questo Natale suoni, profumi, sapori aleggiano ancora nella casa, ma non tutte le voci che mi erano care. C’è sempre il grande tavolo da pranzo. E’ diventato enorme. La letterina non fa più capolino. Il ceppone brucia ancora. Qualcuno non siede più al suo posto. Come il suo tanti posti sono rimasti vuoti. Tanti tavoli sono diventati troppo grandi. Con il fuoco brucia la mia infanzia, l’entusiasmo, la spensieratezza. Dalla brace spuntano nostalgie, ricordi, rimpianti. Una porta si chiude sul passato che era solo ieri. L’orologio suona la mezzanotte. E’ Natale! Quanti Natali abbiamo trascorso insieme! Ognuno portava la poesia dell’amore che teneva unita la nostra famiglia. Oggi siamo in pochi. Sul grande tavolo c’è un piatto di spaghetti lasciato lì, quasi per caso. Vorrei voltarmi e trovarlo vuoto. Come allora. E’ un pensiero stupendo, anche se è solo un’illusione. “Buon Natale, Buon Anno. E’ la Befana!”. Un mondo che si materializza in quei ricordi dolcissimi che fanno accettare anche un posto vuoto. Ma il posto è nel mio cuore che vorrei grande come il tuo. Il “ceppone” brucia ancora. Durerà una vita. La mia vita.

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Fatti e personaggi del nostro Paese

CAPOSELE: LE NOSTRE ORIGI-

L

" Meridione, Puglia, Trani nella storia universale"

a grande area dei Picentini, Terminio e Cervialto doveva essere trasformata in un “immenso giardino” per il Meridione e I’Italia e perché no anche per l’Europa nella diffusione dei nobilissimi valori sociali e civili sprigionati dall’Irpinia tutta. La “grande area”, la più copiosa di sorgenti, in una estensione di circa 440 kmq., comprende oltre a Serino, ed ai più piccoli comuni di Santa Lucia di Serino e San Michele di Serino: Volturara Irpino, Santo Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpino, Parolise, e Chiusano San Domenico, ed inoltre Senerchia, Quaglietta, Calabritto, Caposele, Cassano Irpino, Montella e Bagnoli; ben 15 ridenti Comuni. Tra questi giganteggia Caposele, m. 412 s.l.m., abitanti sui 4000, ai piedi del Paflagone, che dà origine al fiume Sele. E’ la “Caput Silaris” con testimonianze antichissime dal rinvenimento di frammenti fittili e materiali archeologici, scoperti in località Oppido, donde proviene una iscrizione al dio Silvano del I Secolo d.C. per doni da L. Domitius Phaon, e poi deve giungersi al XII secolo per atti sulla città del conte Filippo Balbano, il quale invia suoi militi in Terra Santa alla Prima Crociata dal Borgo caposelese facente parte del Gastaldato di Conza della Campania. Così da Caposele passano i Balbano con Ruggero (1190) e Raone (1239), quindi diviene demanio svevo, con Re Manfredi che ne fa feudo di MinoraGentile-Maletta, conte di Apice, per passare all’angioino Pietro Annibaldo nel 1284, e seguono: Guglielmo della Marra (1289), Giacomo Arcuccio, conte di Minervino, il quale l’acquista dalla nobile Mansella della Marra, mentre poi la regina Giovanna II ne affida la rendita ad Antonio Gesualdo nel 1416, e dai Gesualdo, Luigi Sansonetto (1418), Nicola (1471) e Luigi (1480) si passa al capitano spagnolo Consalvo Fernandez de Cordova (1505), donazione di Ferdinando il Cattolico a Fabrizio Gesualdo (1517), donato agli eredi Gesualdo Luigi (1545), Fabrizio II (1554), Carlo (1586), Isabella (1613) e Lavinia (1629) che muore senza eredi nel 1636. E Caposele diviene Città regia per essere venduta nello stesso anno a Ludovisi Nicolò, conte di Fano, donata al figlio Giovanni Battista (1658) Comandante Generale della Flotta napoletana, il quale vende il Paese al nobile Innigo Rota, fatto addirittura “principe di

di Vincenzo Caruso

Caposele”, quando la iattura si abbatte con la micidiale peste del 1656 e con il tremendo terremoto distruttivo del 1694, e si passa da Marcantonio Rota (1696) a Innigo II (1714) ed a Ippolita (1771) e per via matrimoniale a Carlo Longi, ultimo signore sino all’abolizione dei diritti feudali del 1806. Tutti questi signori e da ultimo “i principi Rota” sfruttano i Caposelesi, come gli abitanti irpini degli altri feudi che posseggono. Sono le “rendite”, cosi chiamate le diverse angherie, soprusi e balzelli iniqui, che fanno gola, ed a Caposele fruttano i mulini, e frantoi, cartiere e macchine idriche azionate dalla potente acqua delle Sorgenti. “Così, al cilindrico mortaio in pietra, col pestello per frantumare il grano; alla lastra detta levigatoio per schiacciare i chicchi con l’ausilio di un rullo di pietra; al levigatoio a tramoggia ed al macinello manuale, si andarono sostituendosi, durante il medioevo, i mulini ad acqua a ruota verticale e a ruota orizzontale. A Caposele, contrariamente a tutti gli altri mulini dell’Alta Irpinia, furono costruiti solo mulini a ruota orizzontale, piu adatti alla montagna, sfruttando velocità e pressione della ricchezza naturale. Questo tipo di mulini era riconoscibile anche esternamente per via di una torretta, alta almeno sette metri, contenente al proprio interno la canna e il pozzo che serve a far aumentare la velocità dell’acqua, la ruota motrice è collocata in un vano seminterrato coperto a volta, sito sotto le macine, costituito da una serie di cati di legno detti a “mezzo cucchiaio” formanti il ritrécine, una ruota del diametro di 180 cm.. Uscendo da un foro praticato sul fondo della canna, l’acqua colpisce i catini e fa girare il ritrécine. La ruota fa così muovere la macina permettendo di produrre un quintale di frumento in poco più di un’ora. Accanto ai mulini, in sostituzione dei vecchi telai a mano, sfruttando la forza del fiume, nacquero a Caposele anche le gualchiere per il trattamento della lana. I tessuti, sporchi, ruvidi e laschi, venivano immersi in una soluzione di acqua e soda per essere poi trattati con argille ammorbidenti. Dopo aver battuto e pigiato le stoffe durante la lavorazione, esse andavano lavate con acqua limpida, con un trattamento chiamato follatura

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o gualca, attraverso una macchina per gualcare. Le gualchiere diffuse in zona, come quella di proprietà della famiglia Russomanno, erano a due magli. L’acqua fa girare il fuso che porta due coppie di canne che fanno oscillare le bielle sospese, in un moto riconducibile a quello del martello. Mentre i magli battono le stoffe in una vasca, viene cambiata continuamente l’acqua, permettendo il risciacquo dei tessuti. Caposele era un centro famoso sia per la gualca che per la tintura dei prodotti lavorati nell’Irpinia e nel Salernitano. “La preta de la tenta”, la roccia sulla quale venivano stese ad asciugare le stoffe, ne è più viva testimonianza. Nel punto ove confluiva il torrente “Terr’oggia” (poi Tredogge), su cui confluiva il Palmento con l’alveo principale che scendeva dalla Sanità, sono ancora visibili i resti di una guachiera in muratura delle dimensioni di quattro metri per quattro”. (Anna Lisa Barbato in Caposele Materdomini e San Vito).

Foto archivio CONFORTI

da

Piazza Sanità: una foto del 1870

Il meccanismo della gualchiera

Ecco perchè Caposele è innalzato a Principato: rende molto ai potenti signori ed ai loro danti causa, ma nessuno pensa al progresso della splendida cittadina ed a acquedotti da rigenerare gli Irpini. Il Castello medioevale dell’XI Secolo, rifatto in età normanna, dove secondo il Muratori, nel “rerum Italicorum Scriptores” Folco d’Este nel 1115 tenne un’assemblea popolare e dove nel 1375 furono celebrate le nozze di Margherita d’Aragona, viene abitato


Fatti e personaggi del nostro Paese le sorgentizio. Ancora prima di Serino, è l’ing. Camillo Rosalba che indica le acque della Sanità caposelesi per un’adduzione nella Puglia sitibonda: in tempo di magra la resa della sorgente scendeva a 3000-3500 lt/s, mentre in tempo di grassa la resa saliva ad oltre 7000 lt/s, tutto correlativo alle nevicate e pioggie dell’ampio bacino imbrifero. E’ solamente il 2 marzo 1905 tra lo Stato ed il Comune di Caposele si giunge alla transazione sul riconoscimento della pubblicità delle acque della Sanità con un indennizzo, per cui nell’anno successivo sono avviate le Opere per il più grande Acquedotto del Mondo. Caposele è generosissima e con essa anche gli industriosi caposelesi particolarmente le imprese molitorie e le gualchiere, tutte in smobilitazione e sacrificatesi. E’ però la transazione una bella e buona gabbaneria per il Comune, se l’indennizzo è determinato da una rendita anua di lire 18.000, non mai dall’esborso delle 700mila portate dai Buoni del Tesoro, che avrebbe reso Caposele con I’investimento in boschi,il più ricco Comune d’Italia. Nel 1905 le 18mila lire costituivano una buona entrata Finanziaria comunale, ma ancora oggi sono sempre le stesse 18mila lire, nemmeno un kg di carne, che figurano in Bilancio e che lo Stato non si degna di adeguare.

Foto Archivio La Sorgente

dai diversi Signori feudatari solamente nel tempo ristretto per riscuotere le laute rendite. Essi non prendono conoscenza dell’ampio territorio, oggi kmq 41.49, con diverse frazioni, quali Buoninventre, Pianello, Grotte, San Vito. Qui un minisantuario, eretto sopra un pietrone affiorante isolato dalle colline circostanti, è da secoli meta di penitenti invocanti tutela dai morsi dei cani arrabbiati e si inducono a salire i disordinati scalini intagliati nella roccia ma carponi in ginocchio. La frazione tanto prestigiosa è Materdomini, sulla collina frontalmente alla Sorgente Sanità, sui 500 m.s.l.m., dove altro grande Santuario per la Vergine Maria, Madre del Signore, è meta di pellegrinaggi per il grande monastero fondato da Alfonso dei Liguori nel 1746, capostipite dei Redentoristi ed uno dei più grandi moralisti di tutti i tempi. Nato a Napoli nel 1696 e morto a Pagani nel 1787, fu canonizzato nel 1839 e proclamato “Dottore della Chiesa” da Pio XII. In questo Convento, con collegata Basilica, muore il fraticello Gerardo Maiella da Muro Lucano santificato nel 1904. Grandiosamente poi si impone il Santuario delle Acque in Caposele, le cui Sorgenti copiose sono denominate Madonna della Sanità la cui Chiesetta era di molto anteriore al micidiale e distruttivo terremoto del 1694 con un campanile tetragono su un roccione, senza cuspide terminale, come da foto scattata nel 1870, nell’anfiteatro natura-

La chiesa della Sanità: una foto del 1870

Foto Archivio La Sorgente

Vincenzo Caruso

Il Ponte Tredogge all'inizio del secolo

Alle Gualchiere di Caposele arrivava, per il trattamento finale, tutta la lana tessuta nei paesi dell'Irpinia e del Salernitano. Ancora oggi, presso il greto del Sele, ci sono resti di una gualchiera, nella zona chiamata " Preta r' la Tenda" dove le stoffe venivano stese ed asciugate. I mulini di Caposele utilizzavano il principio della ruota verticale ed erano i più efficienti

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Il diario di ANTONELLA

di Antonella Grasso

Foto archivio La Sorgente

Foto archivio La Sorgente

C

aro Babbo Natale, forse sono un pò cresciuta per chiederti un regalo, ma credo che ognuno di noi abbia almeno un desiderio, una speranza che lo accompagna durante il viaggio dell’esistenza. Che ne dici di portare un sorriso sulle labbra di ogni persona? Una goccia d’amore a tutti i cuori? Un raggio di sole in ogni ombra? Molti hanno serrato le porte del loro cuore nel tentativo di lasciar fuori paura e dolore, hanno costruito intorno a sé questa campana di ghiaccio nella quale credono di poter vivere protetti. Ma da che cosa? In realtà hanno solo impoverito il loro animo: non sembrano più capaci di confidare su un semplicissimo sorriso, di dare calore ad una stretta di mano, di trasmettere un pò d’amore con i gesti di tutti giorni. Forse in un passato lontano hanno dato molto, sono stati aperti e vulnerabili, ma in cambio hanno ricevuto solo dolore e amarezza; così, invece di continuare con più caparbietà contro ogni avversità, hanno preferito rintanarsi scegliendo un’arida sicurezza. Dai, Babbo Natale, creiamo una corrente d’amore che bussi con vigore ad ogni porta, ad ogni finestra del cuore, portando luce, calore, vigore laddove neanche un fiore poteva più attecchire. Scaviamo in questi cuori dove, sepolta da strati di cemento, c’è ancora una luce che palpita, questa luce che fa gioire anche un fiore che sa di dover presto morire, questa forza che fa scorrere fiumi, scatenare tempeste di emozioni, bufere di sensazioni, che dà impeto al vento e che, soprattutto, ci fa respirare attimo dopo attimo, dolore dopo gioia, gioia dopo dolore. E voi state qui a lamentarvi della vita che non vi ama e che nutre per voi brutte giornate e a sprecare energia convincendovi di non piacere a nessuno. Svegliatevi. Spalancate gli occhi. Spalancate il cuore. E se proprio non riuscite a vedere quanto l’universo sia ricco di amore e di bellezza, se proprio non avete la forza di ritrovare in voi l’unicità che possedete e di afferrare con veemenza questa vita che vi appartiene, provate a guardare un neonato che dorme beato nella culla, perchè là risiede la fiducia, la speranza, in questo cucciolo protetto, curato, coccolato e amato da una madre amorevole, la stessa madre altrettanto affettuosa che cospira con le forze dell’universo affinchè tutti abbiate la felicità che meritate. Ma, prima credeteci. Nella vita. Allora, Babbo Natale, lo facciamo questo regalo?

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1) Caposele: grande adunata fascista in piazza Plebiscito 2) Una foto degli anni '50: la benedizione del grano 3) Foto degli anni '50 :il "concertino" delle occasioni importanti. - da sinistra: Fiore Tarantino, Nicola Cuozzo, Raffaele Rosania, Ciccio Buonocore , Nicola Zarra, Alfonso La Manna e Raffaele Sista

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Foto archivio La Sorgente

Antonella Grasso

La foto dei ricordi

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