Sorgente n. 68

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PERIODICO A CURA DELL'ASSOCIAZIONE TURISTICA PRO LOCO CAPOSELE FONDATO NEL 1973

Reg.Trib. S.Angelo dei L. n.31 del 29.1.74 - Sp. in A.P. art.2 comma 20/c L.662/96 Dir. Comm. Avellino -sem.- Anno XXX - Dicembre 2002 -

INDIRIZZO INTERNET

Direttore Nicola Conforti

http://web.tiscalinet.it/laSorgen- email:lasorgente@caposele.it

Foto La Sorgente

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UN IMPEGNO LUNGO 30 ANNI di Gualfardo Montanari

Trent’anni: un’età importante da raggiungere, per qualsiasi persona. Ancora più importante, diventa questo traguardo quando, a tagliarlo, è un giornale come “La Sorgente”, vero e proprio condensato di vite, di storie e di eventi che hanno raccontato gli ultimi tre decenni di Caposele e della sua gente.La prima idea, il primo spunto di riflessione da cui partire per fare un’analisi di questo anniversario, mi pare possa essere suggerito proprio dal titolo di questa testata. “La Sorgente”, un’intestazione che rinvia indissolubilmente e quasi amorosamente lega questo periodico a Caposele ed alla ricchezza più importante della sua terra, quelle acque

nascenti del fiume Sele, che tanto interesse, e, soprattutto, tanti interessi hanno suscitato in passato e suscitano ancora oggi da più parti sia dentro sia fuori il paese. Sorgente è, però, anche simbolo e metafora di un percorso di vita e di conoscenza, nel bene e nel male, generato e prodottosi in tre decenni a Caposele attraverso una settantina di numeri che hanno fatto nascere nuove idee ed hanno creato, a livello locale, firme e personaggi, riproducendo visi e paesaggi del presente e del passato, spesso attraverso un gioco di grafica e di colori. Servizio a pag.

BUON COMPLEANNO A “LA SORGEN-

di Luisida Caprio

1973 - 2002: trent’anni …….. una vita! Penso, ricordo: un’estate di trent’anni fa, un gruppo di giovani, nella spensieratezza di una vacanza estiva, tra una partita e l’altra, una passeggiata su e giù, inizia a dissertare sul mese d’Agosto, su ciò che si potrebbe fare in paese per movimentare il periodo estivo. E’ un turbinio d’idee e di proposte e ciascuno, chi più chi meno, partecipa mettendo a disposizione competenze e collaborazione con grande entusiasmo e desiderio di fare. Frutto speciale di quel periodo, fecondo di iniziative, il periodico “La Sorgente”, voce di Caposele, ha seguito da allora, fedele testimone, l’intenso cammino del paese attraverso tutto ciò che il destino avrebbe avuto in serbo per lui, nel bene e nel male. “Padre fondatore” e “motore” è stato ed è, come tutti sanno, Nicola Conforti cui va un affettuoso ringraziamento per quest’opera che tutt’oggi porta avanti con dedizione ed amore, coadiuvato da preziosi e rari collaboratori, superando difficoltà e contrattempi. Ritornando ad allora, alla nascita de “La Sorgente”, viene immediato, naturale, parlare di un’altra creatura” concepita in quegli anni: “Il Ferragosto Caposelese”. Servizio a pag. 5


Lettere in redazione

IMPRESSIONI SU L’AUSTRALIA E GLI AUSTRALIANI Quando decisi dì andare in Australia ero convinto che l’Australia avesse ereditato dall’Inghilterra gli stessi usi e costumi e la stessa organizzazione del lavoro e cose simili, essendo stata essa ed in certo qualmodo continuava ad esserlo, una colonia inglese, invece mi sbagliavo. La prima cosa diversa e che mi rimase impressa, accadde quando con mio cognato Raffaele sdoganai i bagagli presso il porto di Sydney. Su ciascuno dei bagagli, casse in legno, avevo posto l’elenco di tutti gli oggetti contenutivi e ciascuna cassa era stata assicurata da due nastri metallici da un operaio del reparto doganale dei controlli bagagli per i passaggi assistiti di Salerno. Ciò, però, non fu sufficiente a dissipare il sospetto del doganiere, il quale, afferrata una leva tirachiodi ed infilata l’estremità, quella a forma di scalpello a forcella, sotto uno dei due nastri di una delle casse, si preparava a spezzarlo: “Ehi Signore! “Gli gridai in inglese: “Tu non puoi danneggiare i miei bagagli così. L’arnese che stai usando per rompere i nastri non é quello adatto; scusami, ma io desidererei che tu usassi l’arnese appropriato.

Al mio grido il doganiere rimase di stucco e mi guardò con un fare interrogativo, come dire: “ Chi é costui così sicuro da osare tanto? Intanto mio cognato con voce bassa mi disse:” Molliamogli sotto-sotto dieci dollari e vediamo se ce li fa passare senza aprirle”.Sei matto? Questi ci possono denunciare per ‘Corruzione di Pubblico Ufficiale’, in Inghilterra si può finire perfino in galera”. Ma Raffaele; detto fatto, estratta dalla tasca una banconota da dieci dollari e mentre la teneva nascosta nel pugno furbamente tenuto mezzo aperto, tese quella mano nera al doganiere che controcambiò; Raffaele, ciò facendo, gli disse, sempre in inglese: “ Sai mio cognato é nuovo dell’Australia e non si azzarda a far passare cose proibite... “. Intanto il doganiere notata la banconota, abboccò e convinto della nostra buona fede ed anche perché dieci dollari nel marzo del 1971 valevano una scarsa paga di una giornata di lavoro di un manovale e perciò facevano gola, non si lasciò sfuggire l’occasione. “Capisco “ commentò e col gesso bianco segnò una’ X ‘ (= passati) su tutti i bagagli e se ne andò allegro e contento. A questo punto commentai ad alta voce: “ Sydney non come Dover (Inghilterra), ma come Napoli... “. Rimasi contento, ma anche un po’ deluso e perplesso. “ Sorpresa, sorpresa! L’Australia mi sorprende! Pensai tra me e me. Giuseppe Ceres

Caro Direttore, “La Sorgente” celebra il trentennale della sua prima uscita. Per la circostanza sento il desiderio di esternare il mio pensiero su questo giornale che mi ha fatto conoscere Caposele. Dico questo perché le mie origini non sono del luogo, ma l’ospitalità che ho sempre trovato mi hanno fatto sempre sentire “caposelese”. Sono stato tra i soci fondatori del sodalizio, sebbene allora fossi residente a S. Angelo dei Lombardi per motivi di servizio. Dal giornale apprendevo le notizie su Caposele che, oltre a ritenerle interessanti, stimolavano la mia curiosità anche perché all’epoca era piuttosto raro trovare una comunità che si cimentasse a stilare un giornale locale. Presi l’abitudine di conservarne gelosamente le copie, certo del fatto che questo giornale avrebbe avuto lunga vita.Così è stato. La voluminosa raccolta mi è servita, peraltro, a conoscere la realtà del paese in cui vivo, i suoi personaggi, i suoi detti, le sue origini. Un giornale che ha sostenuto tante battaglie, senza essere mai fazioso o di parte, sempre e solamente nell’interesse di Caposele e dei Caposelesi. Cominciai, quindi, una collaborazione attiva con “La Sorgente” che nel corso degli anni non ha mai subito censure da parte della Redazione come, del resto, non hanno mai subito censure tutti coloro che hanno proposto il loro pensiero sulle colonne del giornale. Mi ritorna in mente, a questo punto, il discorso che tenne il Prof. Lorenzo Malanga, in occasione della presentazione del libro su Santorelli, in particolare quando affermava che

LA REDAZIONE Direttore Nicola Conforti Grafica e impaginazione Salvatore Conforti Segreteria di redazione e Fotografia Donato Conforti

Periodico a cura della Pro Loco Capo-

http://web.tiscalinet.it/laSorgente lasorgente@caposele.it confortinic@tiscali.it

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Rocco Mattia è il nuovo Presidente della Pro Loco Caposele. La redazione de “La Sorgente” esprime grande soddisfazione per questa nomina che, certamente determinerà un rilancio dell’Associazione sia in termini di iniziative culturali, sia per l’impulso che il nuovo Presidente saprà dare alle varie manifestazioni ed iniziative a favore del nostro Paese. Auguri di buon lavoro.

- Anno XXX - Dicembre 2002 N.68

Giuseppe Palmieri, Antimo Pirozzi, Cettina Casale, Gerry Ceres, Berto Rosania, Michele Ceres, , Alfonso Merola, Antonio Sena, Alfonso Sturchio, Gualfardo Montanari, Antonella Grasso

a Caposele senza la “Pro Loco” e senza “La Sorgente” ci sarebbe stato un vuoto profondo; considerazione, questa, che mi sento di condividere appieno. Caro Direttore, è inutile che mi prolunghi oltre nel ricercare parole di plauso per rimarcare ciò che questo giornale rappresenta; quello che mi preme fare, invece, è ringraziarLa per tutto i lavoro fin qui svolto e sottolineare la sua abnegazione e la sua caparbietà nel riportare puntualmente e fedelmente la storia e i fatti di Caposele, convinto, come sono, che “La Sorgente” resterà, sempre, a baluardo della sua Terra. Auguri e lunga vita! Antimo Pirozzi

IN COPERTINA

LE LETTERE A "LA SORGENTE" POSSONO ESSERE INVIATE ANCHE VIA E-MAIL ALL'INDIRIZZO: confortinic@tiscalinet.it lasorgente@email.it

La Sorgente n. 68

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Lettere in redazione Un impegno... Buon compleanno Almanacco Statti cittu.... Sviluppo ed occupazione Meno due La città delle acque Un anno a Caposele Piccola cronaca Voci di piazza Il piccolo ingegnere... Lunga vita a la Sorgente.. Album de La Sorgente Premio Caposele Ricordi di guerra Toponomastica Dagli altri giornali Studi economici... Nuova immagine.. La foto dei ricordi


LE IMMAGINI DEGLI ANNI

UN IMPEGNO LUNGO TRENT’ANNI

T Premiazione del Ferragosto caposelese

1974: premiazioni del rallye e della gimkana automobilistica

Primo veglionissimo della Pro Loco - Brindisi a mezzanotte

Corsa dei Tre Campanili: la prima vittoria di Graziella

Giochi di ferragosto sull'acqua: tiro alla fune

rent’anni: un’età importante da raggiungere, per qualsiasi persona. Ancora più importante, diventa questo traguardo quando, a tagliarlo, è un giornale come “La Sorgente”, vero e proprio condensato di vite, di storie e di eventi che hanno raccontato gli ultimi tre decenni di Caposele e della sua gente. La prima idea, il primo spunto di riflessione da cui partire per fare un’analisi di questo anniversario, mi pare possa essere suggerito proprio dal titolo di questa testata. “La Sorgente”, un’intestazione che rinvia indissolubilmente e quasi amorosamente lega questo periodico a Caposele ed alla ricchezza più importante della sua terra, quelle acque nascenti del fiume Sele, che tanto interesse, e, soprattutto, tanti interessi hanno suscitato in passato e suscitano ancora oggi da più parti sia dentro sia fuori il paese. Sorgente è, però, anche simbolo e metafora di un percorso di vita e di conoscenza, nel bene e nel male, generato e prodottosi in tre decenni a Caposele attraverso una settantina di numeri che hanno fatto nascere nuove idee ed hanno creato, a li-vello locale, firme e personaggi, riproducendo visi e paesaggi del presente e del passato, spesso attraverso un gioco di grafica e di colori. Più volte, anche ragionando attentamente con chi di questo giornale ne è stato l’anima, Nicola Conforti, mi è capitato di fargli notare come quest’esperienza editoriale sia in realtà molto più complessa e difficile da decifrare di quello che sembra all’apparenza. Volendo, infatti, classificare “La Sorgente” secondo le varie categorie con cui si identifica la moderna stampa periodica, essa sembra molto vicina ad una rivista stile “Omnibus”, vale a dire a quel tipo di periodico che contiene un po’ di tutto al suo interno, politica, cronaca, attualità, rotocalco e cultura andando a ricalcare quello che è lo stile attualmente più in voga tra le riviste a diffusione regionale o nazionale. Più semplicemente, rimanendo in un ambito più ristretto,

di Gualfardo Montanari

potremmo dire che non è esistita in trent’anni una sola Sorgente, ma tante “Sorgenti”, quasi sempre all’interno dello stesso numero. A questo proposito, proprio sfogliando le pagine di questo periodico ed analizzando la storia di Caposele degli ultimi tre decenni letta attraverso queste colonne, mi vengono in mente tre diverse tipologie di “Sorgente”, man mano succedutesi ed intrecciatesi nelle varie stampe dei vari numeri. I. “La Sorgente”: un giornale “impegnato ”Si era soliti, specie negli anni ‘70, definire stampa impegnata quel giornalismo militante, che abbracciava e legava indissolubilmente a sé l’idea e la posizione di un partito politico o di un movimento di pensiero, spesso ancorato ad ideologie o comunque a forti passioni. Senza scomodare le ideologie o la grande storia, sono convinto, tuttavia, che “La Sorgente” sia stata davvero un giornale impegnato. Questo è avvenuto particolarmente negli anni del post-terremoto, quando ha trattato ed affrontato i problemi della ricostruzione, prendendo posizioni dure, forse alle volte un po’ eccessive, ma chiare e sicuramente nette. I detrattori di questo giornale, tanti, hanno sempre detto e dicono tuttora, che il più grande limite di questo periodico, soprattutto in quegli anni, sia stato proprio quello di essere stato troppo di parte, avendo dato voce solo, o prevalentemente, ad una fazione politica, senza proporre una vera dialettica tra tutte le parti che rappresentavano in quel momento Caposele. Tutto questo probabilmente è vero, ma è altrettanto e ancora di più vero che non è mai esistito né a Caposele, né altrove, un qualsiasi foglio di carta stampata, anche il più semplice e striminzito, che non sia stato impegnato a portare avanti certe idee o certe posizioni, escludendone altre. Il venire meno dell’impegno, in questi casi, ha rappresentato sempre la fine di qualsiasi giornale. Del resto, anche in ambito locale, quanti giornali, giornaletti, fogli e riviste sono apparsi e scomparsi con altrettanta rapidità negli ultimi

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LE IMMAGINI DEGLI ANNI

La partenza della gara dei Tre Campanili

Giuseppe Grasso ed Ernestina Melillo vincitori del I° Rallye

Polisportiva Caposele: estrazione premi lotteria

Ferragosto caposelese: la corsa degli asini

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anni senza lasciare alcuna traccia? Essi, a mio avviso, sono scomparsi proprio per il venire meno di quelle motivazioni umane, politiche e culturali che sono poi la linfa vitale di cui si nutre tutta la carta stampata. Ecco perché “La Sorgente” è sopravvissuta ed è vissuta anche bene ed oggi, a differenza di altri, festeggia i suoi trent’anni, tutto sommato in buona salute. Pur a rischio di essere additata come faziosa, essa ha mantenuto nelle sue pagine quel carattere di giornale impegnato, il solo che le potesse consentire di andare avanti e progressivamente di evolversi. II. “La Sorgente”: una rivistarotocalco a misura di Caposele. La rivista ed il rotocalco sono nel panorama della stampa periodica i due generi definiti più “leggeri” perché trattano di cronaca rosa, di notizie che potremmo dire più gradevoli, quasi sempre accompagnate da foto, anche a colori. Anche il lettore più distratto, quando apre e sfoglia “La Sorgente”, non ci mette molto ad accorgersi che in questo periodico le foto la fanno da padrone. Foto di paesaggi, foto di Caposele, foto di Materdomini, foto di volti e visi noti e meno noti, foto d’epoca, foto dei nostri antenati, foto di illustri sconosciuti… Quante volte, ognuno di noi, non appena ritrovatosi tra le mani il numero appena uscito de “La Sorgente”, non si è affrettato subito a sfogliarlo per arrivare alle pagine finali, completamente dedicate alle foto, cimentandosi, poi, nel riconoscimento di ognuno dei soggetti rappresentati, cercando di distinguere e cogliere tutti gli angoli e le sfumature dei paesaggi ritratti? Sfogliando a ritroso tutti i numeri di questa rivista ti capita di rivedere, attraverso la costruzione delle sue copertine e di tutte le sue sezioni interne, il lento e graduale cambiamento di Caposele, preso ogni volta da una diversa panoramica, con le sue strade e le sue costruzioni prima vecchie ma piene d’anima, poi distrutte, poi nuove ma senza più anima. Ed ancora, con i suoi servizi fotografici, tanto nelle serate del Ferragosto quanto nelle più tranquille e monotone giornate invernali, “La Sorgente” ha costruito per ogni annata i volti e le icone più presenti a Caposele in quel periodo. Certo, molte di quelle foto ritraggono

sempre le stesse persone, ieri più giovani, oggi con i capelli bianchi e la pancetta. Ma poco importa, visto che la vanità, fino a prova contraria, è il minore ed il più simpatico dei peccati. E non dispiacciono nemmeno tutti quei dott. Arch. Ing. Cav. Ten. Mar. Col. etc. inseriti puntualmente in ogni didascalia posta a qualificare il soggetto delle foto. Anche questo, in fondo, fa parte di noi ed anche in questo “La Sorgente” ha saputo costruire, come direbbe uno studioso di semiotica, in maniera autoreferenziale i segni ed i tratti culturali distintivi di una piccola comunità quale è Caposele. III. “La Sorgente”: ritratto di Caposele per i suoi emigrati Come per ogni paesino dell’Italia Meridionale o del Veneto, c’è una Caposele fuori Caposele, ed è quella degli emigrati, dei loro figli e nipoti sparsi qua e là un po’ in ogni angolo sperduto del Pianeta: dall’America all’Australia, passando per la Germania e perfino per Taiwan. Una buona parte delle oltre mille copie stampate per ogni numero de “La Sorgente” arriva proprio lì, nelle case e nelle piccole comunità di questi caposelesi nel mondo, emigrati a cercar soldi e fortuna. Alcuni di loro sono tornati o tornano spesso nel loro paese natio, altri non sono più tornati, qualche lettera (oggi anche e-mail) o telefonata per Natale ai parenti rimasti e niente più, a parte “La Sorgente”. Proprio così. L’unico filo rosso, di certo il più continuo, che lega molti caposelesi emigrati alla loro terra d’origine, è proprio “La Sorgente”. Chissà che idea essi hanno di noi attraverso il giornale. Chissà come ci vedono loro da lontano. Chissà come leggono ed interpretano “La Sorgente”. Difficile a dirsi. Sarebbe, però, interessante chiedere un’opinione su questa rivista ad ognuno di loro. Loro che, sicuramente più di tutti noi, potrebbero dirci, nella maniera più imparziale possibile, cosa è bello e cosa lo è meno di questo giornale. Questa Sorgente letta da fuori, da chi non vive alle pendici del Pafla-gone o su a Materdomini, descrive Caposele, parla della sua gente, delle sue usanze, delle sue abitudini che cambiano. Per questa


gente, “La Sorgente” è un testimone del presente e del passato. Di un loro passato che viene continuamente rievocato e di un presente, non più loro, ma di altri, altri caposelesi, loro amici o parenti, di cui leggono e vedono parole ed immagini, continuando così a sentirsi parte di una stessa ideale comunità. Ecco perché “La Sorgente” ha svolto nei confronti di questi suoi lettori “fuori porta” un compito sicuramente difficile ma, allo stesso tempo, il più affascinante di tutti: essere la voce ufficiale di Caposele, il cordone ombelicale che idealmente ancora li tiene legati al paese d’origine. Quando si festeggia un compleanno, anche se il celebrato è un giornale,

si rischia sempre di essere troppo pomposi e di cadere, alle volte, un po’ nella retorica. Forse quest’articolo di complimenti e di aggettivi positivi ne ha fatti ed usati tanti, fin troppi, ma tutti, a mio avviso, meritati per chi li ha ricevuti. Almeno fin qui. Una minaccia? Un avvertimento? Nient’affatto. Solo qualche consiglio da parte di chi le vuole bene. Per trent’anni “La Sorgente” ha saputo crescere, è migliorata nella qualità dei suoi articoli, nel tipo d’impaginazione e nella sua realizzazione grafica (quest’ultima eseguita decisamente bene). Il vero grande limite di questo giornale - l’obiettivo che in tre

decenni non si è stati abili a centrare - è stato quello di non essere mai riuscito ad inglobare organicamente nelle sue pagine quell’altra parte che si erge di fronte alle sorgenti del Sele: Materdomini. Nonostante i tentativi di coinvolgimento attraverso “voci” e “parole” che venissero da quella direzione, l’apporto e le voci al giornale, da parte di questo importante pezzo del paese, sono stati sempre sporadici ed occasionali, mai coinvolgenti e continuativi. Forse la vera grande sfida per “La Sorgente” nei prossimi anni dovrà essere proprio quella di sapere estendere il suo raggio d’interesse anche a Materdomini, abbattendo

Prima sagra dei fusilli

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P ro L o c o C a p o s e l e C C P n .

BUON COMPLEANNO A "LA SORGENTE" 1973 - 2002: trent’anni …….. una vita!

Penso, ricordo: un’estate di trent’anni fa, un gruppo di giovani, nella spensieratezza di una vacanza estiva, tra una partita e l’altra, una passeggiata su e giù, inizia a dissertare sul mese d’Agosto, su ciò che si potrebbe fare in paese per movimentare il periodo estivo. E’ un turbinio d’idee e di proposte e ciascuno, chi più chi meno, partecipa mettendo a disposizione competenze e collaborazione con grande entusiasmo e desiderio di fare. Frutto speciale di quel periodo, fecondo di iniziative, il periodico “La Sorgente”, voce di Caposele, ha seguito da allora, fedele testimone, l’intenso cammino del paese attraverso tutto ciò che il destino avrebbe avuto in serbo per lui, nel bene e nel male.“Padre fondatore” e “motore” è stato ed è, come tutti sanno, Nicola Conforti cui va un affettuoso ringraziamento per quest’opera che tutt’oggi porta avanti con dedizione ed amore, coadiuvato da preziosi e rari collaboratori, superando difficoltà e contrattempi. Ritornando ad allora, alla nascita de “La Sorgente”, viene immediato, naturale, parlare di un’altra creatura” concepita in quegli anni: “Il Ferragosto Caposelese”. Esso si concretizza in due settimane nel cuore d’Agosto, che vedono il ritorno di amici e parenti: appuntamento sottinteso che prescinde da telefonate o impegni scritti e verbali, perché tanto, si sa, ci si ritrova, giorno prima o giorno dopo. Da trent’anni è implicito che il periodo di vacanza al paese sia cadenzato dal programma del ferragosto, puntualmente pubblicato da “La Sorgente” ed ora anche riportato sulle pagine regionali di alcuni quotidiani. Sono giorni che vedono

l’impegno della Pro Loco, la quale propone un calendario d’iniziative, in accordo con quelle dedicate alle festività religiose e con altri eventi organizzati nel territorio. Chi scrive fa parte del gruppo di “pionieri” che nel lontano ‘73, anno più anno meno, si fece coinvolgere in quella iniziativa, diventata oggi una piacevole e scontata consuetudine. Inevitabili i ricordi…inevitabile il raffronto. Allora era diverso… per tanti, differenti motivi: novità, atmosfera,partecipazione, coinvolgimento… Però, che squadra ragazzi! E quanto lavoro! Ma soprattutto che entusiasmo e quanta collaborazione! Quando nacque la “folle” idea del “Ferragosto Caposelese”, fatto di tanti appuntamenti popolari, sportivi, culturali, culinari, il paese rispose incuriosito, compatto, partecipe. Interamente e letteralmente messo sottosopra, dal fiume al laghetto, dal campo sportivo alle cantine, dal bosco a Materdomini, dalla Sanità alle Contrade più lontane. Grandi e bambini impegnati in giochi ingenui e spensierati, di terra e di acqua, corse, gare, rally e gimkane automobilistiche, balli in piazza, sagre, albero della cuccagna, concerti, mostre di artigianato e di fotografia, estemporanee di pittura, cacce al tesoro. Di tutto e di più....! Emozioni semplici, immagini colorate, festanti, chiassose, profumate, allegre, solidali. Immagini oggi sconosciute a molti, ma, per fortuna, ben custodite nelle pagine de “La Sorgente” e nel film “Un anno a

Caposele”, documenti insostituibili di “come eravamo”. Già, come eravamo noi e come era Caposele. Caposele prima… Caposele dopo… Non serve aggiungere altro, il pensiero vola subito là. Impossibile dimenticare l’enorme voragine di sentimenti, di tormenti, aperta nel 1980, che ha ferito così profondamente il paese. A questo, inevitabilmente, la vita ha poi aggiunto il suo carico di dolore che ha toccato tutti. Guardando vicino ed intorno a noi facciamo il conto di chi non c’è più e di chi ci manca immensamente. Siamo diversi? Certamente il tempo ha fatto il suo lavoro. Ma quando ci si incontra e si chiacchiera dei bei tempi estivi passati, ecco che salta fuori lo stesso entusiasmo, seppure velato da nostalgia, un “amarcord” collettivo che porta a dire: “si potrebbe organizzare…, se ci fossi tu..., se avessimo più tempo…,” e poi a sorridere insieme sulla considerazione che il presente, anagraficamente parlando, crea qualche problema. Caro giornale, grazie per il tuo impegno lungo trent’anni. Il tuo compleanno mi ha fatto riflettere su quanto e come la tua presenza sia stata vigile e costante nel tempo, un affettuoso filo di continuità, un legame saldo con chi è vicino, ma soprattutto con chi è lontano, magari “fuori terra”. Mi ha fatto tornare indietro, sfogliando pagine di vita: un percorso variegato di ricordi e sentimenti. Augurandoti di camminare ancora a lungo e di non mollare mai, ti affido un pensiero.

Se trent’anni fa un gruppo di giovani, ormai quasi tutti nonni, si faceva volentieri coinvolgere dando vita ad iniziative che non pensava potessero perpetuarsi nel tempo, è possibile auspicare che oggi altri gruppi propositivi, operativi, portino in questo paese ormai ricostruito, idee innovative, linfa vitale, aria nuova, con coraggio, armonia e apertura alle collaborazioni, raccogliendo, in definitiva, per consegnarlo poi, il “testimone” di tanto “antico” entusiasmo. Luisida Caprio

Via Santuario

PER ABBONARSI AL GIORNALE INVIARE IL PROPRIO INDIRIZZO E UN CONTRIBUTOALLA PRO LOCO CAPOSELE VIA ROMA N.10

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ALMANACCO

FATECI PERVENIRE, PRIMA DELL'USCITA DEL GIORNALE, TUTTE LE NOTIZIE, FOTO E COMMENTI SUI VOSTRI CARI CHE GRADIRESTE VEDERE IN PUBBLICAZIONE; LE NOTIZIE CHE RIPORTIAMO SONO IL SEGNO DELLA VOSTRA COLLABORAZIONE

LAUREE Melinda Grasso n. 28-06-1935 m. 23-02-2002

Katia Corona ha conseguito la laurea in SCIENZE RELIGIOSE discutendo la tesi “ Cultura locale e globalizzazione in un conte-

Erica Cerracchio si è laureata in MEDICINA E CHIRURGIA presso l’Università La Sapienza di Roma discutendo la tesi “ Modificazioni della sensibilità corneale in pazienti portatori di vari tipi di lenti a contatto”, ottenendo la votazione di 110/110 e lode.

Angelo Russomanno n. 05-01-1962 m. 12-10-2002

Gelsomina Mattia si è laureata in SCIENZE AMBIENTALI il 27/03/2002 con la votazione 110/110. Ha discusso la tesi “Circolazione e trasporto lagrangiano in bacini costieri” Antonietta Di Vincenzo in data 27/03/2002 si è laureata in SCIENZE AMBIENTALI” RIPORTANDOLA VOTAZIONE DI 108/110. Ha discusso la tesi “ Metodologia di individuazione e definizione del danno ambientale. I casi di Ariano Irpino (Av) e Ciorlano (Ce)”.

Nevicella Cleffi Conforti n.30-07-30 m. 24-06-02 Cenzi Cetrulo n. 02-05-73 m. 06-04-02

Vincenzo Biondi n. 05-04-1941 m. 05-03-2002

Donatello Cirillo si è laureato in GIURISPRUDENZA il 9/7/2002 presso l’Università di Napoli discutendo una tesi in medicina legale: “ Aspetti medico legali nella lesività da incidenti stradali” Gerardina Merola

Tania Russomanno si è laureata in GIURISPRUDENZA il 28/6/2002 presso l’Universita FedericoII di Napoli discutendo la tesi in Istituzioni di Diritto Privato: “Il Mutuo scopo”.

Mariangela Sturchio si è laureata in LINGUE E LETTERATURE STRANIERE presso l’Università Federico II di Napoli il 20/3/2002.

Donatello Cirillo e Mariangela Sturchio

Tania Russomanno

A Gerardina Merola che ha conseguito il diploma universitario in "Tecnica Sanitaria di laboratorio biomedico"con 110 e lode, i nostri più affettuosi auguri. Elisa Viscido in data 15/5/2002 si è laureata in SCIENZE DELL’EDUCAZIONE presso l’Università di Salerno discutendo la tesi “ il comportamento sessuale in adolescenza attraverso la rappresentazione degli operatori

Esterina Corona Del Tufo n. 31-08-21 m. 27-09-02

Gennaro Casillo n.22-11-41 m.23-06-02

NATI Giuseppe Malanga di Raffaele e di Corona Lucia Riccardo De Somma di Raffaele e di Maria Rosaria Pallante.

Tommaso Aiello di Raffaele e Anna Cibellis Elisa Viscido

Sara Biondi di Toni e Tania Mattia

L’arrivo del piccolo Vincenzo Malanga ha portato tanta felicità nella casa di Franco e Ofelia ed ha fatto impazzire di gioia la nonna Pini’. Gerardo Rosania di Geremia e Lisetta Pallante Armando Sturchio e Angela Melillo Sposi

Il piccolo Joseph nipote di Maria Salvatore Chiaravallo

Chiara Bartini di Antonio e Nellina Petrucci

- Anno XXX - Dicembre 2002 N.68

Gerardo Rosan


REDATTORI

Strapaesanerie

...Statti cittu... Ca mò tu lu condu.

CASA-

di Cettina Casale

Si nu’n puoi avè la carna, attàcchiti a l’uossu.

Quannu lu m’lonu è russu Tutti n’ vòl’n’ na fedda.

Chi nu’n si faci li fatti sui

Cu la linterna vai truvann’ li guai.

*****

*****

Chi ten’ lu lupu p’ cumbaru Adda t’né lu canu sotta lu mantieddu.

Chi r’ fretta prumett’ S’ n’ pent’ chianu chianu.

*****

*****

Riss' lu cat’catasciu: Ind’a la scura Puru i’ fazzu luci.

Chi vai appriessu a lu cicatu F’nisci in’dà lu fuossu. *****

***** Si s’appiccia la casa r’ lu vicinu Fui cù l’acqua a la casa toja. ***** Chi rorm’ cu li cani S’àuza cu r’ zecch’. ******

Chi vèv’ a la matina Si perd’ lu fiash’cu Nu’n perd’ lu vinu.

CETTINA

VOLTI ED OGGETTI CARATTERISTICI

*****

Nu’n dici tuttu quantu sai, nu’n fa tuttu quantu puoi, nu’n ti mangià tuttu quantu tieni. *****

Fatti lu liettu e arricetta la casa Lu ciucciu picciriddu Ca nu ‘nzai c’aspietti né chi tras’. ******

Si ‘mpara a mangià la paglia Ra lu ciucciu gruossu.

***** Lu ciucciu è bbuonu vivu e nò muortu, Lu liettu si chiama rosa lu puorcu è bbuonu muortu e nòSi nu’n si rorm’, si r’posa. vivu, lu voju è bbuonu vivu e muortu. *****

****** La fortuna r’ lu piècuru: nasci curnutu e mor’ scannatu.

Ottu juorni cor’ a cor’ Ottu juorni culu a culu Ottu juorni càuci ‘nculu. *****

******

SE AVETE QUALCHE DETTO O FATTO CARATTERISTICO DEL PASSATO DA POTER PUBBLICARE, TRASMETTETELO ALLA NOSTRA REDAZIONE. SAREMO BEN LIETI DI AGGIUNGERLI ALLA COLLEZIONE DEI DETTI DI CAPOSELE RACCOLTI SULLE PAGINE DE "LA SORGENTE" E BEN PRESTO IN UNA PUBBLICAZIONE DEDICATAALLA STORIA DI CAPOSELE.

nia di Geremia e di Lisetta Pallante

Riss’ lu ciucciu: si m’ nn’escu ra st’ bott’ mangu a piscià escu r’ nott’. *****

- Anno XXX- Dicembre 2002 N. 68


REDATTORI

Politica

MICHELE CERES

SVILUPPO ED OCCUPAZIONE PUNTIAMO SULLE NOSTRE RISORSE

di Michele Ceres

Erano i primi tempi del dopo terremoto. Tutti nutrivamo la speranza, in qualche caso la certezza, che le cose, in termini di opportunità occupazionali, grazie alle provvidenze statali, sarebbero cambiate. I nostri giovani non avrebbero più percorso le strade dell’emigrazione, sarebbero rimasti nelle loro contrade natie e avrebbero potuto guardare al futuro con più certezze e serenità. Ricordo le tante discussioni sia nelle sedi istituzionali (comune, comunità montana, provincia, regione, prefettura) sia in sede politica nell’ambito dei partiti e in assemblee pubbliche. Una tensione ricca di passione le alimentava; una passione oggi, purtroppo, sconosciuta alle nuove generazioni; una passione che era il sale dei dibattiti, lo strumento del nostro operato politico, la base che giustificava l’appartenenza a questo o a quel partito. Certo, fra i tanti, vi era pure chi privilegiava il discorso delle mortadelle e dei provoloni, ma vi erano pure, ed erano tanti, che si ponevano criticamente una domanda, a cui cercavano di dare una risposta concreta e positiva: come utilizzare al meglio i contributi Statali destinati allo sviluppo delle zone terremotate ? Due erano le tesi che si contrapponevano: la prima puntava alla realizzazione di uno sviluppo esogeno incentrato su un’industrializzazione spinta di interventi provenienti in gran parte dal Nord Italia; l’altra puntava, ed era quella che più si confaceva al mio modo di pensare e di vedere le cose, a sviluppare le potenzialità del nostro territorio, che in termini economici significava essenzialmente favorire gli interventi tesi alla creazione di strutture capaci di incrementare e sviluppare il turismo, che già allora interessava i nostri paesi. Prevalse la prima. Furono costruite decine di aree industriali; furono installate in esse decine e decine di industrie, che ci illusero facendoci vedere uno sviluppo caratterizzato da ritmi sostenuti. Ma, purtroppo, in tutti questi anni abbiamo assistito al fatto che, accanto ad alcune realtà industriali la cui presenza ha inciso innegabilmente in modo positivo sull’aumento dell’occupazione, vi sono stati casi di colpevoli fallimenti. Dopo una siffatta esperienza, è tempo, allora, di ritornare all’ipotesi di sviluppo centrato sulle risorse locali, sulle ricchezze, e sono tante, del nostro territorio.

Ma come? E in che modo? Cerco di dare una risposta. Penso, in tal senso, che sia più che utile stabilire dei collegamenti agevoli con le altre realtà della Zona. Penso ad un percorso turistico che, partendo dalla realtà termale di Contursi Terme passi per Valva, sede del bellissimo castello dello SMOM (Sovrano Ordine Militare di Malta) con annesso parco, e giunga a Caposele. Sono tre tappe che già permettono di coniugare un turismo cosiddetto di salute con un altro di ordine culturale ed infine con un altro, ancora, di natura religiosa. Le tappe successive del predetto percorso dovrebbero interessare le straordinarie e in qualche caso sublimi bellezze dei Monti Picentini, come l’oasi di Senerchia e l’altopiano del Laceno. Il percorso dovrebbe, infine, snodarsi tra i complessi del Convento di San Francesco a Folloni di Montella, dell’abbazia del Goleto e dei borghi medioevali dei nostri paesi, ad esempio quello di Rocca San Felice. Ma può un percorso turistico costituire la base dello sviluppo di un’intera zona? Certo, può esserlo, basta crederci ed agire di conseguenza. Probabilmente si tratta di idee già esposte; nulla di nuovo sotto il sole da questo punto di vista. Di nuovo mi auguro che via sia, oggi, una diversa mentalità e una diversa sensibilità verso questi problemi; mi auguro che finalmente sorga una nuova sensibilità, che permetta ai nostri giovani di poter, attraverso lo sviluppo delle nostre potenzialità, di essere promotori non solo del loro futuro, ma anche di quello dei loro figli. Come? La risposta non è difficile: sta a noi saperli organizzare, saperli indirizzare verso mestieri e professioni in assonanza con questi obiettivi. Pur in presenza, oggi, di qualche restrizione, penso alle tante opportunità di incentivazione dell’imprenditoria giovanile che la legge nutre e supporta; penso a delle cooperative di giovani o a delle società di gestione di servizi che possano, con l’aiuto delle amministrazioni pubbliche gestire e rendere economicamente produttive le nostre risorse territoriali. Se in altre regioni, come ad esempio l’Umbria, il territorio ha costituito e tuttora rappresenta l’elemento di base della ricchezza della popolazione, non vedo perché lo stesso non debba e non possa avvenire anche da noi.

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1999: Foto aerea di Caposele

La zona del Ponte vista dal Castello

Una nuova strada del Castello


REDATTORI

Sono passati già tre anni dal 13 giugno del 1999

MENO DUE

Alcuni dei manifesti informativi del gruppo di minoranza dei 3 cerchi.

rappre-sentanza pari a 12 consiglieri (com-preso il sindaco) mentre alla lista dei tre cerchi (che pure ha conseguito quasi la metà dei consensi e rappresenta quindi la metà dell’elettorato) sono andati solo 5 consiglieri. E contro la forza dei numeri nulla e nessuno può alcunchè. Per intenderci, se il sindaco dice che l’asilo vola e lo mette ai voti, nonostante gli sforzi dei cinque consiglieri dell’opposizione, quando si vota la proposta passa con 15 voti favorevoli e 5 contrari. Nè oggi è possibile ricorrere ad un organismo di controllo (il Coreco) per far annullare la delibera con la quale il comune di Caposele ha decretato che l’asino vola. Insomma, all’opposizione è data solo la possibilità di controllare l’attività della maggioranza ed eventualmente di denunciarne pubblicamente le malefatte. Di certo non può ostacolarne l’attività. L’attuale immobilismo, pertanto, è dovuto unicamente alla incapacità, al disinteresse ed alla pigrizia della maggioranza che si giustifica indicando come responsabili di questo stato di cose i responsabili dei servizi (i dipendenti comunali) che lei stessa prima aveva nominato. La bocciatura dell’intero apparato amministrativo comunale da parte della maggioranza consiliare è quantomeno sospetta se sol si considera: 1) non è possibile che tutti i responsabili dei servizi siano degli inetti; 2) la maggioranza aveva nominato (e pagato con i soldi del contribuente) un nucleo di valutazione che doveva “fare le pagelle” ai responsabili e quindi dare alla maggioranza la possibilità di decidere con cognizione di causa chi promuovere e chi bocciare. Ed allora il motivo è da ricercarsi altrove: creare il presupposto indispensabile per attribuire (restituire) agli assessori la responsabilità dei singoli servizi e dare loro maggiore visibilità esterna. Detto, fatto. Responsabili esautorati e funzio-

GIUSEPPE PALMIE-

S

embra ieri. Eppure sono passati già tre anni dal 13 giugno del 1999, data delle ultime elezioni amministrative, qui a Caposele. Non è azzardato, pertanto, fare bilanci e formulare giudizi. In questa fase, però, mi preme passare in disamina e sottolineare solo alcuni aspetti della attività ammi-nistrativa della giunta Melillo. Non dopo aver sfatato e chiarito un luogo comune, artatamente e subdolamente creato dalla maggioranza ad uso e consumo dei suoi clientes: la mancata realizzazione del programma elettorale dell’arcobaleno (o di punti importanti dello stesso) è dovuta alla ostruzionistica e poco fattiva attività della opposizione consiliare. Niente di più falso. Non v’è chi non sappia che la legge elettorale, soprattutto per i piccoli comuni (ma oggi anche per quelli più gradi) in omaggio al principio della governabilità, assicura alla lista che esce vittoriosa dalla competizione elettorale, fosse pure con uno scarto risicatissimo (come qui a Caposele) una maggioranza consiliare che la pone al riparo anche da eventuali successivi dissidi interni. Per essere più chiari, la lista dell’arcobaleno pur avendo vinto per soli settanta voti, in forza di questa legge elettorale, ha conseguito in consiglio comunale una

di Giuseppe Palmieri

ni attribuite ai singoli assessori. E dire che in campagna elettorale si erano sgolati a predicare la separazione tra la programmazione e la gestione amministrativa. Chi conserva quei libruncoli che si fanno circolare in campagna elettorale e che costituiscono (melius: dovrebbero costituire) il programma elettorale sul quale si chiede il consenso, vada a leggersi il capitolo relativo al “settore amministrativo” (pag. 5, rigo 10 del programma amministrativo della lista n. 2 l’arcobaleno). Vi troverà scritto: “trasparenza nell’azione amministrativa, separazione tra politica e gestione amministrativa”. Che significa, per l’appunto, che i funzionari amministrativi gestiscono (liberamente e scevri da condi-zionamenti) nell’ambito dei program-mi e degli obiettivi che i politici si sono dati, forti del consenso elettorale. Il contrario (l’opposto) di quello che hanno fatto. Ma si sa le leggi (pardon, i programmi) son fatte per essere disattese. Tanto l’elettorale se c’è cascato una volta, ci casca sempre. Perchè l’arroganza dell’attuale maggioranza arriva al punto di ritenere di potersi permettere tutto ed il contrario di tutto e che a nulla valgono le rimostranze ed i distinguo di questo o di quello; certi come sono di poterli (ri)condurre all’ovile nei quindici giorni che precedono la scadenza elettorale. E’ questa la considerazione che hanno del corpo elettorale (per la verità, è la stessa considerazione che qualche “eletto e/o unto” ha degli stessi amici di cordata - sic!). Ed è proprio questo l’aspetto più drammaticamente negativo dell’attuale compagine amministrativa. Non che la giunta ed il sindaco brillino per attivismo, progettualità o stiano dando attuazione e mantenendo (anche in minima parte) gli impegni assunti (di questo, però, parleremo prossimamente) ma l’autoesaltazione di qualche rappresentante istituzionale e la sua protervia allontanano i cittadini dalla politica.

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La Città delle Acque

U

n’altra giornata di lavoro era appena trascorsa quando Gerry Whong si sedette sulla veranda del suo Dispensario di Acqua. Aveva da poco salutato l’ultimo gruppo di orientali accorso ad assaggiare l’acqua del suo Pozzo a venti eurodollari a bicchiere, ed il giovane Samuel stava già asciugando le brocche sul bancone. Come ogni sera Gerry contemplava la bellezza della collina puntando lo sguardo sul vecchio santuario del santo, per poi proseguire – in una specie di viaggio mistico – fino al campanile di Caposele. Qui, puntualmente, si soffermava e, stringendo gli occhi – come fosse stanco di un viaggio lunghissimo – si voltava verso il suo aiutante che già accorreva con il bicchiere. “Grazie, Sam.” Era la sera del suo trentacinquesimo compleanno, e non gli dispiaceva affatto di doverla trascorrere con il giovane Samuel, studente dell’Arizona, venuto come tanti altri a Caposele per frequentare la prestigiosa Università delle Acque. Quando gli porse il bicchiere, Gerry Whong intravide l’inseparabile e-book del giovane Samuel che mostrava l’immagine del vecchio campanile della Sanità e gli chiese quale esame stesse preparando. “Storia contemporanea: dalla rivoluzione del 2035 ai giorni nostri” fu la risposta, ed una luce brillò nei suoi occhi. Il sole si era già nascosto dietro il monte Paflagone e nella calma dell’imbrunire Gerry Whong pensò di dare una mano al suo giovane aiutante. Proiettò le immagini dell’e-book sul muro alle loro spalle e cominciò a parlargli di suo nonno, “nonno Gerardo”, vissuto ai tempi della Rivoluzione, e della storia che questi gli aveva raccontato mille volte. “L’acqua era considerata un vero e proprio flagello” – cominciò a dire mentre scorrevano le immagini di quei disastrosi anni che avevano preceduto la Rivoluzione – “una piaga, un male che doveva essere estirpato. Ovunque si scavava ci si imbatteva in una polla di acqua limpida che rovinava il lavoro di intere settimane. Le costruzioni venivano fermate e per riprendere le attività occorreva arginare quel flusso molesto, spendendo il doppio di quanto previsto. Direttive europee e leggi regionali avevano di fatto impedito ogni opera stabilendo distanze chilometriche tra il fiume ed ogni nuova edificazione. Tutti, o quasi, maledivano l’acqua che nasceva ovunque. Gli uomini la consideravano un limite alle loro attività, i bambini e le donne non comprendevano quel flusso d’acqua assolutamente inutile e

dannoso, ed i vecchi mal sopportavano l’umidità che ne scaturiva. Tutti, o quasi, invidiavano i territori dei paesi vicini, generosi ed accoglienti, naturalmente adatti allo sviluppo. La coincidenza di due eventi vicini fu determinante per i fatti che seguirono. La costruzione della nuova casa comunale fu bloccata per l’improvvisa scoperta di una nuova sorgente e l’impresa appaltatrice abbandonò il cantiere licenziando gli operai locali. Tre giorni dopo il piccolo Jonathan rotolò nel fiume mentre recuperava un pallone, rompendosi una gamba. La popolazione era esasperata. Tutta quell’acqua era una vera e propria maledizione. Il sindaco dell’epoca, in vista delle imminenti elezioni del 2036, pensò di cavalcare l’onda emotiva indicendo un consiglio straordinario con un unico ordine del giorno inequivocabile: Cessione delle acque di Caposele. Il consiglio si tenne presso l’auditorium della Basic School e ci fu una partecipazione mai riscontrata fino ad allora. La proposta del sindaco fu chiara e risoluta. Cedere tutte le acque alla North Corporation che avrebbe in cambio aperto un suo ufficio a Caposele dove avrebbero trovato occupazione ben dodici impiegati di nomina comunale. Il corso d’acqua del fiume Sele sarebbe stato coperto a loro spese, e sulla superficie sarebbero stati realizzati giardini, un parco giochi per i bambini ed un ampio parcheggio. Alla fine il sindaco tirò fuori il cilindro dal cappello: la North Corporation avrebbe assicurato l’erogazione gratuita dell’acqua potabile da tutti i rubinetti di Caposele per ben cento anni. La proposta passò all’unanimità tra il tripudio generale e gli altoparlanti seminati nel 2018 in ogni strada del paese diffusero un suono si campana digitale. Gli unici a non festeggiare erano i membri della comunità arabocinese, che sulle sponde del Sele avevano impiantato una fiorente attività di tessitura idro-naturale, e che ormai contavano quasi un terzo della poca popolazione residente. Avevano scelto Caposele proprio per la sua ricchezza d’acqua – bene considerato raro e prezioso nel resto del mondo – ed ora assistevano disarmati a quella che consideravano una follia. Gli unici altri ad essere vagamente perplessi erano i giovani del GreenGroup. Com che discussero l’intera nottata che seguì sulla Rete. L’inizio dei lavori fu fissato per il 23 maggio 2035.

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di Alfonso Sturchio

Ma quando la prima robo-scavatrice teleguidata varcò la sponda del fiume, insozzando l’acqua limpida fino a renderla marrone, accade l’inaspettato. Come se le anime dei lavoratori delle gualchiere, dei frantoi e dei mulini, dei ragazzini che si erano bagnati in quelle onde e delle donne che lì avevano lavato i panni avessero scosso le coscienze dei caposelesi, un brivido percosse il corpo di ognuno. Ad uno ad uno entrarono nel fiume al grido di “Fermatevi!” e formarono un cordone che abbracciò tutto il corso dalle sorgenti fino al confine del paese. I ragazzi del GreenGroup.Com penetrarono nei cervelloni elettronici dell’impresa e bloccarono le roboscavatrici prima che rompessero un solo argine. Poi entrarono nei computer della Società Idroelettrica e – quando tutti si erano messi in salvo – fecero sgorgare tutta l’acqua della galleria principale e liberarono sorgenti fino ad allora sconosciute che schiumarono innumerevoli cascate di acqua azzurra dalle montagne intorno. Era cominciata la Rivoluzione. Visto dall’alto Caposele doveva apparire come un luogo da sogno.” Gerry Whong guardò quell’im-magine del 2035 catturata dal satellite che ora veniva proiettata dal libro elettronico ed ancora una volta si com-mosse. In pochi minuti stava rias-sumendo al giovane aiutante Samuel quasi un secolo di storia. “La sommossa fu trasmessa in tempo reale da tutti i monitor del globo e migliaia di persone accorsero a vedere da vicino quello spettacolo della natura. L’Unione Europea inviò il generale Philips a sedare i rivoltosi che si erano concentrati intorno al vecchio by-pass, dove ora ha sede l’Università delle

Un tratto del fiume nei pressi del campo sportivo

Acque. Ma appena gli aerei militari sorvolarono la zona e si aprì la vista di Caposele, di fronte a quel paradiso naturale il vecchio generale Philips ebbe solo la forza di esclamare “Mio Dio onnipotente”. La settimana successiva trasferì a Caposele tutta la sua famiglia e fu tra i promotori del laboratorio scientifico, il primo nucleo della futura Università. La crisi mondiale dell’acqua del 2039 fece tutto il resto. Quando tutto il mondo ormai non beveva altro che un liquido azzurrino geneticamente modificato, prodotto dalle multinazionali ed assolutamente insapore, a Caposele ancora si poteva bere l’acqua naturale direttamente dalle sorgenti. La comunità arabo-cinese si inventò i primi Dispensari di Acqua – piccole oasi tra le cascate che accoglievano migliaia di persone da ogni dove – fissando a cinque eurodollari il prezzo del bicchiere. Il laboratorio scientifico – che ormai contava un centinaio di studiosi – analizzò per anni le rocce del Paflagone e riuscì ad individuare numerose sorgenti nei luoghi più assetati della Terra. La visita alle sorgenti comprendeva un percorso di sei chilometri tra ponti, cascate e gallerie sotterranee e fu meta di quattro milioni di visitatori nel solo 2060. Quell’anno Caposele contava 18.000 residenti di 120 nazionalità diverse. L’intera valle fu classificata Patrimonio dell’Umanità e più nessuno osò maledire quelle acque.” Gerardo Whong spense l’e-book, diede un sorso al suo bicchiere di acqua fresca, e continuò a scrutare le cascate intorno al campanile.


Nella sede della Pro Loco, affollata come nelle grandi occasioni, il 10 agosto u.s. è stata presentata la versione in videocassetta del film “Un anno a Caposele”. Dopo una breve introduzione del Presidente della Pro Loco geom. Rocco Mattia, il Direttore de “La Sorgente” ing. Nicola Conforti ha illustrato le varie fasi filmate, soffermandosi in particolare sugli aspetti tecnici e storici della pellicola. Infine l’avv. Giuseppe Palmieri ha relazionato nel merito del film sottolineando in particolare il significato storico e documentaristico del filmato.

Prima di dare inizio a questa mia esposizione mi corre l’obbligo di ricordare una persona che in modo appassionato e poetico ha dato voce, colore e significato alle immagini: VINCENZO MALANGA. A lui va il nostro pensiero affettuoso. Il mio excursus si limiterà a poche considerazioni di carattere tecnico e possiamo dire anche storico, atteso il lungo lasso di tempo trascorso dalle riprese del film ad oggi.L’intero filmato è stato girato nell’anno 1978.La prima proiezione avvenne nell’agosto del 1979 nel cinema S.Gerardo di Materdomini e subito dopo, all’aperto, in piazza Dante. Il film è stato proiettato un mese dopo il tragico evento del 23 novembre 1980 nella sala dell’Hotel S.Martino di Paestum alla presenza di tantissimi Caposelesi sfollati a seguito del terremoto ed in lacrime per l’emozione destata dal filmato. L’idea di far conoscere il nostro ambiente, le nostre tradizioni, la nostra storia, mi indusse in quell’anno a scrivere la sceneggiatura e quindi il titolo per un breve cortometraggio. Ne parlai con i miei collaboratori, in primo luogo con il mio omonimo Nicola Conforti da Sorrento, appassionato di riprese cinematografiche, con Vincenzo Malanga primo redattore de “La Sorgente” e autore di scritti e poesie su Caposele e con Donato Conforti noto per le sue trasmissioni su radio Caposele e quindi con una voce adatta al commento. Antonio Maresca ci fornì il bagaglio tecnico necessario per tentare questa avventura: a lui abbiamo dedicato la regia del film..Nasce il film documentario “UN ANNO A CAPOSELE”, articolato in tre tempi per la durata complessiva di circa 90 minuti. Le scene scorrono su un filo conduttore musicale tratto dall’adagio del 2° concerto per pianoforte e orchestra di Sergei Rachmaninoff.Mi preme sottolineare che utilizzammo attrezzature di tipo amatoriale con notevoli difficoltà per il montaggio e per la registrazione della colonna sonora. Riporto in successione alcune note della scenografia .Il film ipotizza la visita di un turista che registra, nel lento scorrere dei giorni e delle stagioni tutti gli avvenimenti di rilievo, le tradizioni, l’ambiente, la storia, i giochi. Dopo alcune inquadrature panoramiche il film apre con immagini sulla Chiesa Madre, l’altare maggiore, il soffitto settecentesco, il

battistero, e poi il vecchio Torrione del Castello e le case intorno. Uno scenario del Centro storico completamente spazzato via dal terremoto del 1980. E’ PRIMAVERA: Si vedono campi fioriti, uccelli che si rincorrono e nella mota impastano i loro nidi, l’acqua del Sele che irrompe prepotente nell’alveo del fiume, le trote delle sorgenti, i giochi nei pressi del laghetto e infine la processione del Venerdì Santo con il suono dell’ormai dimenticato crepitacolo (la trocca)La visione di alcuni bambini, oggi affermati professionisti ci dà l’esatta sensazione del tempo trascorso. La visione, invece, di tante persone non più tra noi ci rattrista profondamente. Primavera inoltrata: ed ecco la festa di Santa Lucia con la fiera, le giostre, la banda locale, il falò di sant’Antonio, i canti popolari e la processione del Corpus Domini. Quest’ultima manifestazione religiosa ci fa visitare alcune strade di Caposele che ormai sono solo un ricordo. ARRIVA L’ESTATE E quindi i giochi di ferragosto, i costumi locali, i vestiti da sposa anni venti, le mostre di artigianato, di pittura e fotografia, il torneo di calcio , Materdomini, i ristoranti, le bancarelle i pellegrini e la grande folla. Infine un brutto naufragio si abbatte con tutta la sua forza distruttiva sul paese e sulle campagne circostanti. Sono immagini di devastazione e insieme di solidarietà umana, simili a quelle vissute alcuni giorni fa, nella stessa zona e nello stesso periodo climatico. ARRIVA L’AUTUNNO: Ritornano le scene di vita paesana: la donna che fa i fusilli , quella che prepara le matasse, il fabbro che lavora il ferro, la fornaia che impasta e inforna le panelle di pane, la pastorella che fa il formaggio e le ricotte.Infine l’atteso arrivo di S. Gerardo che in processione percorre le vie del paese, seguito da una folla immensa. Poi la scena si fa triste: la visita al Cimitero il giorno dei morti. Lo sguardo si posa sulle tombe fiorite e su quelle dimenticate, sui cumuli di zolle “segno di povero o scordato” dice il commento. E POI… L’INVERNO: Un’ultima scena cruda e violenta dell’uccisione del maiale e poi la neve.

UN ANNO A CAPOSELE Impressioni filmate di un turista

Qui il commento si fa poesia: Caposele riposa sotto la neve e nel suo riposo ricorda e sogna: è l’inizio di questo meraviglioso componimento poetico.E mi piace concludere con le parole con le quali Luisida Caprio concludeva una sua recensione sul film:La pellicola volge alla fine. La neve cade silenziosa, la fotografia si adegua acquistando la suggestione del bianco e nero, mentre le inquadrature rendono perfettamente l’immagine del paese che ha vissuto intensamente un lungo anno e che ora, ha desiderio di riposarsi. Tutto è quiete, pace, unico segno il fumo che esce grigio e gonfio dai camini di ogni casa: il respiro del paese che pare addormentato. A distanza di 24 anni dalle prime riprese, sollecitati da tantissime richieste, siamo riusciti, con gli stessi mezzi rudimentali a riversare il film su videocassetta, rifacendo per intero

la colonna sonora che col tempo si era molto degradata. Quest’ultimo compito è stato svolto egregiamente da Salvatore Conforti. Nella videocassetta è inserita una recensione a firma di Luisida Caprio apparsa sul n. 21 de “La Sorgente” datata ottobre 1979.In 24 anni abbiamo proiettato più volte il film in originale. Ogni proiezione ha suscitato sempre l’emozione e l’entusiasmo della prima volta. Trattasi di un documento storico irripetibile. Credo che ogni famiglia caposelese debba conservarne copia. Sono immagini che suscitano sensazioni straordinarie e che ci riportano indietro con la mente in una visione nostalgica di un paese distrutto ma non dimenticato. Nicola Conforti

LA VIDEOCASSETTA DEL FILM DELLA DURATA DI CIRCA 90 MINUTI, CON UNA STRAORDINARIA RACCOLTA DI SEQUENZE DI IMMAGINI DI CAPOSELE PRIMA DEL TERREMOTO, E' ANCORA DISPONIBILE PRESSO LA NOSTRA REDAZIONE. PER QUALSIASI INFORMAZIONE TELEFONARE AL n. 0827 53014

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SALVATORECONFORCONFORTI

REDATTORI

PICCOLA CRONACA

Una giornata indimenticabile trascorsa in grande allegria. Il 2 agosto s.v. è stata organizzata da un gruppo di giovani molto attivi e legati alla tradizione caposelese, la FESTA DELLAQUADRIGLIA BATTICULO. Una grande occasione di ritrovarsi intorno a tutto quello che è legato al passato e alla voglia di conservarlo a tutti i costi. La manifestazione si è svolta in piazza Sanità ed ha visto intorno alla musica magistrale de "LI CUMBARI folk sciò" la gara della quadriglia con la straordinaria cornice di pubblico entusiasta non solo per l'allegria che tutto ciò sprigionava, ma anche per il contesto costitutito dalla distribuzione di gustosissime pietanze tradizionali e dall'allestimento della piazza con attrezzi della tradizione contadina. Una piazza così, stracolma di persone, non si era mai vista e tutto ciò ha gratificato gli organizzatori e i ragazzi della Quadriglia che, con grande entusiasmo continuano ad allenarsi per le prossime serate estive. Una data speciale, quindi, che gli organizzatori sperano di ripetere ogni anno e sempre con maggiore

Piazza XXIII novembre è quasi pronta. La nuova pavimentazione e una gradonata in cemeto rivestito in pietra hanno trasformato questo luogo centrale del paese. Peccato che la vecchia fontana zampillante non sia stata rimessa al suo posto e che la piazza ospita, adesso, un parcheggio molto più disordinato di prima.

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Si è tenuta a il 1° Giugno, in piazza a Materdomini, la rassegna della canzone religiosa contemporanea che è giunta alla sua seconda edizione ed è stata una vera maratona musicale! La manifestazione è stata organizzata dal Comune, in collaborazione con vari enti, tra cui il Santuario di San Gerardo in Materdomini, e sotto la direzione artistica di Piergiorgio Bussani (dell’Associazione Nazionale Cantautori ed Artisti Cristiani “Il mio Dio canta giovane). A presentare l’evento sono stati Ettore Andenna (conduttore storico della trasmissione-cult “Giochi senza frontiere”) e Annalisa Cantando (cantantepresentatrice di Mediaset). La rassegna ha annoverato un notevole cast di artisti del settore, ben venticinque, sia italiani che stranieri: tra questi, Nathan Prime, artista londinese di colore, principale esponente della “Heart Beat”; Franco Fasano, cantautore e famoso autore di canzoni per tanti artisti, tra cui Anna Oxa e Fausto Leali, Mina, eseguirà un medley del suo repertorio e la sigla della rassegna, ispirata alle opere di San Gerardo; Roberto Bignoli, noto cantautore cristiano, lo scorso dicembre ha ricevuto a Washington (Usa)due premi “Awards” (Oscar della Musica Cristiana Contemporanea); Aurelio Pitino, leader delle formazioni gospel “Anno Domini Gospel Choir” e “The Spirit And Soul Singers”; MT.5,13, gruppo di 5 cantanti, 5 ballerini e 2 musicisti, che ha presentato un medley di famose canzoni religiose del passato riarrangiate; il cantautore Tonino De Sorbo; Giosy Cento, sacerdote che ha realizzato nel 1999 la “Sanremo” della canzone religiosa italiana; la cantante Raffaella D’Ubaldi e Don Mimmo Iervolino, altro sacerdote,conosciuto come “Prete Dance” e di recente uscito il suo Cd Multimediale “Jesus On Line” canzone di successo in Canada e Usa. E' stato un altro piccolo grande evento live per la “Christian Music” italiana, un movimento che annovera sempre più personaggi di spicco della musica italiana “tout court” e che si sta affermando anche al di là del nostro paese.

C'era una volta "Lu Chianu": una splendida pavimentazione che si sarebbe potuta recuperare. Pare che la il nuovo appalto per il completamento della chiesa sia stato espletato, ma l'inizio dei lavori è ancora di là da venire.


Piccola cronaca Venerdì 26 luglio 2002, un mezzogiorno di paura e di terrore hanno scosso Caposele. Improvvisamente un'alluvione e subito dopo una colata di fango hanno letteralmente invaso via Paflagone, nel pieno centro del paese. Poco prima delle ore dodici, la leggera pioggerellina ha d’improvviso ceduto il passo ad una pioggia violentissima, accompagnata da una forte grandinata. Sono bastati poco più di venti minuti "d’inferno" per invadere d’acqua tutto il paese. Corso Europa, via Roma e naturalmente via Paflagone, lì dove un tempo non c’era una strada, ma un torrente, il Cannavale, che raccoglieva ed incanalava le acque piovane scese giù dalla montagna, sono state invase da fango e detriti.Il 26 luglio scorso via Paflagone è tornata ad essere per qualche minuto il vecchio Cannavale. E gli effetti sono stati ben visibili, ma fortunatamente non tragici. Una colata di fango e di massi ha letteralmente sepolto questa piccola stradina. L’orario, a ridosso del pranzo, ha fatto in modo che per strada in quei

momenti non si trovasse nessuno, ad eccezione di una donna, a bordo della sua auto, che fortunatamente è riuscita a scansare l’ondata. I soccorsi predisposti dai Vigili del Fuoco e dal Genio Civile di Avellino hanno, in poche ore, sgomberato la strada dal fango e dai detriti ed hanno consentito che in breve la situazione tornasse alla normalità. Alla fine, in serata, si sono contati i danni: qualche piano terra e scantinato allagato ed alcune macchine danneggiate dai massi tracimati a valle. Tutto sommato, perciò, è andata bene. Anche se, resta da chiedersi: cosa sarebbe accaduto se la pioggia fosse durata delle ore e non soltanto venti minuti? Le alluvioni per via Paflagone sono oramai diventati una triste consuetudine, che speriamo venga al più presto interrotta dai lavori di consolidamento del costone per i quali la Regione Campania ha già stanziato i fondi. Adesso tocca a Provincia e Comune risolvere definitivamente questo annoso problema.

Via Paflagone completamente invasa dai detriti costituiti anche da grossi e pericolosi sassi

Alcuni volontari nell'opera di pulizia

Una delle abitazioni interessate dai detriti del canalone

In queste tragiche occasioni si scopre una grande volontà collaborativa, e la fatica per sgombrare abitazioni e negozi dal fango e dall'acqua si affievolisce.

Una operazione di pulizia ha fatto riscoprire ai caposelesi un luogo nascosto per anni: le fondazioni del campanile con le vecchie tracce della chiesa della Sanità. L'area recintata delle sorgenti, rimessa a nuovo, probabilmente potrà, in parte, essere utilizzata come spazio pubblico. Era un nostro vecchio desiderio; speriamo che possa realizzarsi.

Il vecchio "Cinema Sele" ricostruito

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Piccola cronaca

Liloia Donato e D’Elia Concetta hanno festeggiato con figli e nipoti e pronipoti il 50° anniversario del loro matrimonio. Auguri

Il ponticello sul canale di via Molino è stato allargato e reso più idoneo alla percorrenza alternativa di questa stradina. La carreggiata adesso, anche pavimentata con pietre, può ospitare più di una macchina e risolvere il "problema di traffico" che ogni tanto ingorga le strade di Caposele. Una serata dedicata alla gastronomia vegetariana è stata organizzata dalla sezione del W.W.F di Caposele. Sul palco, ad allietare le tante persone che hanno gustato le specialità, gruppi musicali di giovani emergenti. All'uscita San Gerardo della Super strada Fondo Valle Sele, denunciammo, nei numeri scorsi, la leg-gerezza degli enti preposti a dare autorizzazioni per l'istallazione di tralicci per telecomunicazioni che deturpano il paesaggio. Un altro (della Omnitel questa volta) si è aggiunto a quello della Telecom collocato sulla strada per San Vito. L'occasione per rimediare a tali sconci potrebbe essere quella di costruire proprio all'uscita della superstrada in un sito di risulta dello svincolo una grande statua di San Gerardo che potrebbe dare il benvenuto ai pellegrini in visita al Santuario. Un'idea che lanciamo ai nostri amministratori e che prossimamente potremmo sviluppare concretamente sia con un sondaggio tra i caposelesi e sia verificando la fattibilità del progetto.

La Sorgente sul WEB: Come ogni grande sacrificio editoriale che si rispetti, il nuovo millennio offre una piattaforma obbligata che si allinea alla tradizionale: la rete internet. Il tentativo di portare, qualche anno fa, pionieri in questo campo, il giornale sul web ci diede molte soddisfazioni che poi hanno non hanno retto l'ulteriore tempo di rinnovamento ed aggiornamento del nostro sito. Oggi, tempo in cui la tecnologia ha fatto passi da gigante ed è entrata effettivmente in tutte le case, è obbligatorio e doveroso intraprendere, per bene, questa strada informatica. Alla luce di ciò La Sorgente comparirà, fra qualche mese, in una veste completamente rinnovata sui canali della rete con un progetto molto vasto ed ambizioso, in un nuovo sito che sarà non solamente la trasposizione infor-matica del numero in corso del giornale, ma sarà l'occasione di poter vedere e consultare migliaia di pagine dell'ar-chivio de La Sorgente, immagini, inedite e storiche, testi, detti, e tutto ciò che si è detto e scritto sul nostro Paese. Un sito catalogo ed archivio per tutti gli amanti dell'attualità e della storia

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Gentile redazione de “La Sorgente”, ritengo opportuno informare i cittadini di Caposele di una importante occasione di sport che viene offerta loro nei mesi di luglio e agosto. Dopo una estenuante battaglia (che va a sommarsi a quella dell’anno scorso) anche quest’anno gli sportivi di Caposele avranno la possibilità di praticare jogging lungo il perimetro esterno del terreno di gioco del nuovo campo sportivo. Un plauso dunque all’amministrazione che nell’ambito del suo programma di rilancio delle strutture sportive, ha alla fine concesso questa importante opportunità rilasciando la sospirata autorizzazione. Un peso decisivo nella vicenda ha avuto la considerazione della mancata realizzazione nell’impianto della prevista pista di atletica, fattore determinante, nel progetto originario, per la concessione del finanziamento. Molti sono infatti i giovani e i meno giovani, di ambo i sessi, che necessitano di un’area adeguata per intraprendere l’ABC della preparazione fisica in funzione di qualsivoglia attività sportiva degna di essere ritenuta tale: quaranta minuti di corsa lenta. O anche semplicemente per raggiungere uno stato di salute e/o di forma fisica più soddisfacenti, correndo sull’erba senza quei rischi propri della corsa protratta sulle superfici dure e, soprattutto, in un ambiente più riservato. A proposito del manto erboso! Lontani sono oramai i tempi in cui gli unici esseri che ne beneficiavano erano quelli a quattro zampe accuditi da un nostro caro compaesano (Carluccio). Bisogna per questo elogiare l’operato di quanti si sono impegnati per salvare il salvabile e riuscire alla fine a dotare l’impianto di una erbetta accettabile. L’appuntamento è quindi per il martedi ed il venerdi dalle 18 alle 20 (ma l’auspicio è che -anche in seguito alla pubblicazione della presente- la disponibilità venga ampliata non essendovi serie controindicazioni). E forse anche per il tradizionale appuntamento del 15 agosto (la tre cam-

panili) e per le altre corse in programma nella zona, potremo applaudire qualche caposelese in più. Nella lunga diatriba hanno recitato una parte non istituzionale anche alcuni “probiviri” che vengono interpellati riguardo a decisioni in ambito sportivo. Tra di essi, però non tutti hanno evidentemente a cuore la diffusione di una corretta pratica sportiva di base. Vi è anche chi -pare- è più sensibile ad altri argomenti: evitare di profanare il tempio consacrato al calcio-spettacolo (dove ovviamente i caposelesi faranno gli spettatori...), oppure sollevare capziosi problemi di fantabotanica . Nicola Melillo

NUOVE ATTIVITA'

Nonostante la sensazione diffusa di un periodo sicuramente non florido per il commercio, a Caposele nascono tre nuove attività commerciali che, come in altri casi, riportiamo volentieri sulle nostre pagine: A) " PICCOLO BAZAR" di Maria DelMalandrino e Maria Cifrodelli in via Roma con possibilità di trovare articoli da regalo svariati e anche giocattoli . B) "MERCERIA" da Dina di Dina Salvatoriello in via Roma C) "PULCINELLA non solo pizze" di AnnaMaria Casale a Materdomini con la possibilità a di avereoltre alla vera pizza napoletana, un menù particolare e molto legato alla tradizione popolare. AUGURI A TUTTI


Piccola cronaca

LASCIATEMI IN PACE

UN SOCIO DA RICORDARE Grazie "Maestra", per i valori umani e morali che ci avete trasmesso con il vostro insegnamento. Valori che ci sono serviti e che ancora oggi conseviamo con amore ed orgoglio. Vi vogliamo bene. Gli alunni della classe 1968/1973

Raffaele Rosamilia, Nicola Ciccone, Ernesto Donatiello hanno conseguito il diploma di ragionere e perito commerciale I.G.E.A. presso l'Istituto L. Vanvitelli di Lioni con la votazione di 100/100. Ne vanno orgogliosi i genitori appagati per tutti i loro sacrifici. A loro un glorioso futuro e tanti auguri anche da parte della Redazione.

Vincenzo CETRULO, il giorno 8 settembre, ha cessato la sua esistenza in conseguenza di un male inesorabile. Il suo ricordo è sempre presente in noi soprattutto per il suo modo d’essere: Schietto e gioviale. Lo ricordiamo particolarmente perchè teneva un linguaggio simpatico e appropriato. Non aveva mai abbandonato quelle espressioni di “vecchio e autentico carabiniere” che accompagnano l’esistenza. Viene ricordato dai suoi commilitoni come un ottimo carabiniere e un distinto operatore stradale delle Provincia. La sua linea di condotta era improntata nel segno della signorilità. Era schietto, simpatico ed intelligente; sapeva relazionarsi con gli amici anche di ceto sociale elevato. Attento e fedele socio della Pro Loco fin dalla sua istituzione. Era scevro da cariche od incarichi, desiderava essere solo un socio fedele e rispettoso. Il Parroco don Vincenzo, nella sua omelia ne ha tracciato un profilo reale, elogiandolo anche come figura fedele non distaccandolo dal motto dei Carabinieri “NEI SECOLI FEDELE” come era suo costume esprimersi in circostanze di rilievo. Per noi, caro Vincenzo, la tua dipartita crea un vuoto incol-mabile, come del resto, il tuo trapasso non è passato inosservato all’intera comunità. Ti ricordiamo sempre con il tuo vestito particolare da “cacciatore” di velluto color bleu che indossavi nei giorni particolari anche per evidenziare la tua grande passione di “cacciatore molto raffinato”. Antimo Pirozzi

TORNEO ESORDIENTI 2002: Squadra prima classificata Q8 Rosania. Il più giovane calciatore: Italo Rosania di anni 5

Alle tante menti benpensanti Propongo umilmente una tregua positiva Tenetelo da adesso ben presente Da evitare inutile energia dispersiva Solo quando sarete oltre la fantasia E che quindi il pensiero allora tace Superate la fase dell’ingenua ipocrisia E nel silenzio vi porgo la mia pace Non sciupiamola con falsa e stupida ironia Un leggero sforzo fatelo ad ogni costo Sia con voi e resti salute ed allegria Metteremo in tanti la testa al proprio posto Guardatevi intorno che malinconia Ora liberatevi da tutto questo Ben sapendo che ogni vittoria Si raggiunge solo con pene e dolore Per chi non soffre o ha poca memoria Fate in modo che senza lotta e sudore Poco si ottiene se non si supera la gelosia I sacrifici che occorrono per conquistare Calma, riflessione e poca frenesia Veloci, sicuri, decisi a rischiare Pronti a farsi largo nella nuova e lunga via Che forti ad un sereno agire e manifestare Rabbia, felicità o l’eterna lenta monotonia Tutto il falso e ingiusto da denunciare Usando il buon senso con filosofia In un dosato equilibrio e il tanto da fare La stessa esistenza per il futuro in autonomia Vivendo con distacco il privarsi per poi lasciare Che la natura prevalga sulla villanìa In un mondo che va in fretta puoi immaginare Il tempo che scorre, una lenta agonia Del pratico materialismo del tanto, senza sudare Il volere, i messaggi forti, pura megalomania Se potete non fatevi ingenuamente ingannare In questa folle corsa fatta in sincronia Fermatevi, riflettete e continuate a camminare Sfuggirete alla depressione e stupida malinconia Siate lieti, allegri, felici e, se vi va di cantare, Fatelo subito, che siate soli o in compagnia Ne avrei di cose belle brutte vere da raccontare Ma non mi va di farvi sentire in prigionia O come ostaggi per poi da liberare Siate sereni ve lo auguro in perfetta sintonia E visto che di questo son capace Vi dò, vi lascio, umilmente in pace. Berto Rosania

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ANTONIO SENA

REDATTORI

VOCI DI PIAZZA

di Antonio Sena

Q

uella sera di inizio luglio ci fu un gran vociare in Piazza Dante. Quella sera, e fino alle ore antelucane, sui gradini ad arco del Palazzo Scolastico non si parlò degli ultimi eventi pallonari, né del fungo più grande trovato tra i faggi; non si parlò del Festival di Sanremo e nessuno fece riferimento a quello di Cannes. Davvero stupefacente. La politica locale non fu nemmeno sfiorata, quella internazionale dovette cedere il suo primato di importanza ad altre argomentazioni più intriganti. Tutto cominciò con la solita acribia di tre caposelesi quarantenni (maschi) nel sottolineare l’incedere di alcune compaesane (femmine), che scendevano da Via Roma, dove avevano per circa un’ora passeggiato su e giù (ma che altro fare?), per poi essere risucchiate da una serata di intrattenimento musicale con regolare disk-jockey e con alto tasso di decibel in un moderno locale dal nome anglosassone, che svolge la sua attività commerciale sul sito dell’unica locanda di tanto tempo fa. Questo aggiornamento vale solo per tutti coloro che mancano a Caposele da oltre vent’anni. Ma torniamo ai tre quarantenni che incominciarono nostalgicamente a rievocare i “passeggi” dei giorni festivi della loro adolescenza, attraversando poi le generazioni femminili che si erano succedute negli ultimi venticinque anni, per arrivare, in un climax di inarrestabile foga narrativa e di passione paesana, al tema più abusato: “chi, sposa chi”, oppure “chi sposi, sposi”, oppure “sposi chi sposi”, fino all’adagio più scontato come “donne e buoi dei paesi tuoi”. Nel frattempo tutte le altre persone, che di solito sostavano sulla stessa scalinata, si erano zittiti.

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Un gruppetto di caposelesi più giovani (sempre maschi), che stava dislocato sul lato opposto, volle partecipare alla discussione lanciando verso i tre quarantenni un adagio alternativo: “I mariti scaltri trovano moglie nel paese degli altri”. Tanto bastò per scatenare una veemente contrapposizione dialettica. E nessuno di loro si risparmiava nella vis polemica che andava montando sempre più. Tanto che altri caposelesi (tre maschi ed una femmina), appoggiati stancamente alle vicine ringhiere, furono attratti da quel furore declamatorio e vi si strinsero intorno. Un’autovettura, che per due volte era passata con indifferenza ed alterigia, percorrendo in circa tre minuti il circuito completo del centro abitato, non poté fare a meno di spegnere lo stereo e di accostarsi per acchiappare il senso di quell’adunata. Ne scesero due maschi e due femmine. Anche altre autovetture incominciarono a parcheggiare disordinatamente per andare ad occupare una postazione più prossima al centro di quella turbinosa discussione e per dare, se la situazione lo avesse richiesto, anche un proprio contributo. Oramai, al rintocco dell’una, quasi tutti i locali pubblici avevano abbassato le saracinesche spingendo gli ultimi avventori, intontiti da un’assidua concentrazione sui tavoli da gioco, verso quell’assembramento inconsueto almeno per quell’ora. Qualcuno notò che per il ferragosto caposelese ci voleva ancora tempo. Piazza Dante brulicava di uomini (tanti) di tutte le età e donne (qualcuna) che avevano formato una vera e propria assemblea su un tema di interesse generale: il comportamento dei caposelesi nei riguardi del matrimonio e più in generale della vita di coppia.

Piazza Dante: la scala semicircolare di ingresso del comune

Quello che viene qua di seguito riportato è solo una parte dei dialoghi che quella notte presero vita; manca, cioè, quella componente importante della comunicazione che è propria della gestualità, della cadenza dialettale e della esemplificazione pubblica di alcuni vizi privati. Infatti, tra le cose più interessanti, fu inizialmente presentata, da un attento osservatore di cose locali, una statistica molto articolata che illustrava con dati comprovati, e sotto gli occhi di tutti, come nell’arco di circa cinquant’anni i matrimoni che i maschi caposelesi avevano contratto con femmine di un altro luogo geografico avessero costretto questi ad abbandonare il proprio paese, senza reali motivi di sopravvivenza o di benessere economico, per una forma di subalterna accondiscendenza nei confronti dell’altro sesso. Questo, a dire il vero, era visto come una sorta di impoverimento del tessuto sociale e culturale del paese. Furono esibiti dati comprovanti anche situazioni a sesso invertito e presentate le solite eccezioni per confermare la regola. Inoltre si mise in evidenza, con rammarico, come nel ceto più abbiente fosse stata più marcata e prevalente la tendenza ad evitare matrimoni strapaesani. Questo ragionamento fu concluso con la descrizione puntuale della vita beata che, a parere del sempre attento osservatore, continuavano a trascorrere alcuni caposelesi grazie proprio al loro matrimonio strapaesano. Ma il contraddittorio fu subito veemente ed appassionato. “Non è vero niente, fu la prima risposta indispettita, io, per esempio, sono un caposelese autentico ed ho sposato una caposelese autentica, per cui, secondo questa pseudo teoria, avrei dovuto trascorrere il resto della mia esistenza in una specie di paradiso in terra, ma,

come tutti sanno, non è andata così; tanto che da allora rifiuto ogni simbolismo nuziale: da Canaan a Christian Rosencreutz, dall’uovo cosmico allo yin-yang.” Gli astanti non sembrarono capirci un gran ché, ma dato lo spessore culturale del discorso, approvarono tutti con sussiego. Era da poco arrivata un’autovettura accessoriata e personalizzata, quasi l’ultima di quella notte. Ne scesero due figure allampanate ed incuriosite. Erano tra quelli che avevano più da dire sul tema in discussione. Sui loro volti erano incise esperienze di matrimoni cercati, di matrimoni scampati, di matrimoni mai trovati, di matrimoni rifiutati. Erano reduci da un giro tanto rituale quanto inutile nei locali “trendy” della più frenetica e vicina Lioni. Erano l’uno il complemento dell’altro, parlavano all’unisono e subito entrarono a pieno titolo nel vortice della discussione: “Dissentiamo totalmente dalla tesi che vuol vedere i caposelesi relegati a cercare moglie all’interno della loro cinta daziaria, anche perché, come noi abbiamo ampiamente dimostrato, è possibile trovare consensi finanche nelle aree metropolitane a noi vicine.” Ci fu un “bbuuuu” di disapprovazione: qualcuno consigliava loro di andare, coerentemente, fino in fondo alle loro convinzioni, qualcun altro di affrettarsi a trovare posto nella statistica dei matrimoni strapaesani. A difenderli si fece largo una voce tanto autorevole quanto scaltra: “Io per ben due volte mi sono rivolto all’esterno e, credetemi, non ho niente di che lagnarmi. Anche se, in verità, va posta la stessa domanda alle mie due mogli. Ma può darsi pure che non mi fermi affatto, anche se, e lo credo bene,


a Caposele sono bruciato.” Subito un altro fece da contrappeso: “Io per ben due volte mi sono rivolto all’interno e, a sostegno del dato statistico, non ho niente di che lagnarmi, né mi sento bruciato.” Non mancarono i sostenitori di una nuova formula del torneo estivo: triangolare tra scapoli, ammogliati e divorziati. “Che nessuno segua il mio esempio, tuonò una voce dall’alto, ho sposato una caposelese autentica, pur se in terre lontane, ma mi è andata comunque male. Per fortuna in quei posti ebbi modo di conoscere la leggenda haitiana di Malinkè che vorrei raccontarvi in una versione locale.” Fu interrotto bruscamente da un altro che, di tutt’altro avviso sulla questione anagrafica, non seppe trattenersi dal dire a voce alta: “Che nessuno segua il mio esempio, perché sto ancora morsicandomi i gomiti. Ah, se avessi letto prima quella statistica! A proposito: qualcuno la dovrebbe inserire nei dati del censimento. Allora si, che verrebbero evitati tanti sciagurati matrimoni. E, dico di più, non basta la semplice residenza, perché può essere ingannevole. Accertatevi bene del luogo di nascita e di adozione.” Ma la risposta non tardò ad arrivare da parte di uno che a Caposele, pur se molto radicato ed affezionato al luogo, ci capitava ormai di rado: “Mi meraviglio di te, perché ti ritenevo il più idoneo fra di noi ad affrontare le insidie di un matrimonio extrater-ritoriale. Per quanto mi riguarda, non ho avuto il minimo dubbio. Abbandonare Caposele è stata una sfida ed, al tempo stesso, una rivalsa verso il suo conformismo.” A questo punto intervenne uno che conformista non lo era mai stato: “Io non so se sono idoneo o meno, ma mi voglio rivolgere alle persone più istruite di me per sapere se è il matrimonio che libera l’uomo dal lavoro, nel senso che una buona sistemazione è quella che conta, perciò è meglio non perdere l’occasione, o, viceversa, è il lavoro che libera l’uomo dal matrimonio, nel senso che una vita senza affanni è quello che basta, perciò è meglio tenersi lontano dall’altare.” Siccome su questo tema solo qualcuno riuscì a mettere insieme una qualche argomentazione plausibile e convincente, se ne dedusse che: o c’erano a Caposele persone poco istruite o chi aveva posto il quesito era tra le persone più istruite e sagge. Ci fu per questo un minuto di assoluto silenzio. Ne approfittò un personaggio malinconico, dall’aria assorta e lo sguardo perso nel firmamento, che a quell’ora della notte era particolarmente suggestivo, anche perché in quel momento l’illuminazione pubblica non stava dando il meglio di sé.

Insieme all’ultima boccata di sigaretta fece uscire dal suo intimo un sincero rimpianto: “Sotto questa pensilina, disse, una sera di trent’anni fa ho conosciuto una tra le più belle ragazze di Caposele. Insieme abbiamo fatto una passeggiata fino alla fontana di Santa Lucia. Poi il giorno dopo sono dovuto partire per la Svizzera.” Qualcuno gli fece notare che quella pensilina e quella fontana non esistevano più. E quello, senza distogliere lo sguardo dal firmamento diede a se stesso, prima che agli altri, una risposta: “Allora pure la mia storia non è mai esistita.” Una risposta che rimase sospesa nell’aria e che per la sua solenne profondità stava per soffocare definitivamente la vivacità del dibattito in corso. Ma proprio in quel momento, a ravvivare la discussione, arrivò il parroco di un paese vicino, che di solito tirava a fare tardi. Si fermò volentieri, come solitamente faceva, per interessarsi di quello che stava succedendo in piazza. Dal folto gruppo, che si era assiepato lungo il primo tratto della ringhiera, venne fuori il più taciturno, reduce da un’abbondante frequen-tazione di ambiti clericali ed assalito da altrettanta abbondante bramosia di matrimonio; il clima che si era creato intorno gli fece trovare l’ardire di esprimere un dubbio sincero e di rivolgerlo apertamente all’autorità religiosa: “Ho visto cinque madonne, ma donne nemmeno una.” Dall’autorità religiosa non vennero parole molto rassicuranti, né tampoco ispirate, a parte un pistolotto del repertorio geddiano ed un invito a continuare con maggiore assiduità le attività parrocchiali, perché sicuramente, prima o poi, ognuno avrebbe avuto modo di imbattersi anche in qualche apparizione più concreta. E di questo sicuramente, prima o poi, ne avrebbero parlato più profondamente durante il corso prematrimoniale. A questo punto, però, l’autorità religiosa fu subito aggredita con una raffica di domande da parte di numerosi promessi sposi presenti circa l’opportunità e l’utilità dei corsi prematrimoniali.

Corso Garibaldi

“Io, disse il più interessato, ho fatto ben quattro esami di teologia all’Università Cattolica e credo di poterne essere esentato.” “Io, disse il più polemico, ho sentito dire di alcune deroghe poco trasparenti.” Su questo argomento l’autorità religiosa si defilò elegantemente adducendo motivi di importanti servizi liturgici da svolgere sul far del giorno. “Comunque, aggiunse, ad ogni parroco la sua parrocchia.” E tirò per la sua strada. Per tornare al tema principale, alcuni cercarono di far passare una linea di compromesso tra la tesi del matrimonio “intra moenia”, la cui buona riuscita era comprovata dai dati statistici e quella del matrimonio “extra moenia”, che apriva ai caposelesi le porte della globalizzazione del mercato, dava stimoli allo spirito giovanile di avventura e, come di recente si stava verificando, costituiva anche un concreto appagamento per la terza e la quarta età. Molti, infatti, si trovarono d’accordo nell’affermare con enfasi: “Corri intorno al mondo alla ricerca del tuo miglior matrimonio possibile, ma torna a vivere a Caposele con la tua famiglia". Qualcuno, soddisfatto di questa conclusione, salutò per andare a dormire, qualcun altro, dopo aver guadagnato un posto a sedere sui gradini, ripensava ai suoi lunghi tempi di attesa sia “intra” che “extra moenia”. Quando il disk-jockey ebbe riposto l’ultimo album nella sua custodia, a conclusione di una serata danzante molto effervescente, fu risucchiato verso l’alto, in cima alla scalinata, verso quel fitto scambio di voci. Fu prontamente e dettagliatamente messo al corrente dell’argomento in discussione. Avvertì i presenti che aveva una cosa importante da esporre: “Non sono un caposelese, ma in questo paese sono stato sempre accolto molto bene, non so se per una naturale predisposizione all’ospitalità ed alla tolleranza dei suoi abitanti, o perché, come dite voi stessi, per una subalterna accondi-scendenza nei confronti dei cosiddetti forestieri. Tanto che da circa un anno sto portando avanti un felice fidanzamento con una vostra compaesana. Ma al mio paese sento dire le stesse cose sull’opportunità o meno di combinare matrimoni con i forestieri. Ora dico, e riflettete pure voi insieme a me, se fosse dappertutto così, ci potrebbe mai essere un reale sviluppo ed un arricchimento della nostra civiltà?” Su questo tema si scatenò una ridda di opinioni. C’erano i minimalisti, che pensavano alla propria moglie come sapiente fattrice di matasse e fusilli; c’erano quelli dai più larghi orizzonti, che collocavano la propria esistenza anche al di fuori dalla cinta daziaria; in mezzo c’erano

Via Ogliara

quelli che riducevano il tutto ad una ricerca estetica ed ai cliché televisivi, poi c’erano soprattutto le ragazze che non accettavano alcun ruolo subalterno nei confronti dell’altro sesso, qualunque fosse il suo luogo di nascita o il domicilio ed in qualunque parrocchia si fosse combinato il matrimonio. Quando sembrava che nessun altro avesse più qualcosa da dire, parlò brevemente uno fra i più giovani, che faceva il musicista, solo per parafrasare un testo dei Beatles: “il matrimonio è quello che accade mentre si fanno progetti sulla propria vita”. Tutti sembrarono d’accordo e la discussione, anche per il tempo trascorso, si andò placando, fino a dissolversi nei chiarori dell’alba, che sopravveniva sugli sguardi assonnati. La stessa alba che portava in piazza un nuovo gruppo di caposelesi che andava prendendo posto sui gradini lasciati vuoti: era il raduno mattutino dei pellegrini che si recavano a piedi verso un luogo religioso tra le montagne. Un nuovo evento si stava facendo largo tra le voci di piazza.

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GERARDO CERES

REDATTORI

Storia

di Gerardo Ceres

C

i sono circostanze a volte che si prendono la briga, oppure l’insolente divertimento, di darsi appuntamento nella mente: così nasce una storia, invero può nascere, volendo, l’indagare a ritroso nella storia, in una storia e forse addirittura nella nostra storia. Tutto nasce una sera d’autunno di due anni fa in un casolare alle porte di Rivarolo Canavese, ospite di un amico. Questi, sorseggiando del genepì prodotto dal padre, ad un certo punto ci tiene a mostrarmi un prezioso tesoro storico di cui egli riuscì ad entrare in possesso qualche anno prima grazie ai buoni uffici dell’Ingegnere capo dell’Impresa Recchi SpA, storica azienda specializzata nella realizzazione di gallerie. Si trattava di una ventina di negativi in vetrino scattate durante i lavori di perforazione del traforo del Sempione. Altissima la qualità delle immagini; la loro nitidezza appariva davvero insolita per quegli ultimi anni dell’ottocento; chiarissimi i soggetti raffigurati, al punto da bloccarmisi il fiato: quanto simili quei corpi e analoghi quegli spazi angusti alle foto, che da sempre ho impresso nella memoria, dei lavori di costruzione dell’acquedotto pugliese! Ma fu solo un episodio, subito rimosso o dimenticato, almeno fino a qualche settimana fa quando il Direttore di questo giornale non ebbe a dirmi che avrebbe gradito consegnarmi alcune foto e una sintesi di un diario redatto da Iginio Muzzani. Devo confessare che non sapevo proprio chi fosse questo benedetto uomo: mai sentito nominare prima. Ma tant’è. Accadde poi che consegnatomi questo plico e, giunto a casa, con maggiore attenzione mi capitò di indagarne il contenuto: fui letteralmente fulminato, forse anche illuminato. Ricordai che i riferimenti che mi si presentavano sfogliando il diario determinavano in maniera inequivocabile un legame stretto tra i negativi in vetrino dei lavori della galleria del Sempione con le foto da sempre conosciute ed altre per me inedite dei lavori di captazione delle acque del Sele. Infatti la biografia di Iginio Muzzani lo confermava. Egli altri non era che un ingegnere laureatosi all’Istituto Superiore di Ingegneria di Torino e che “poi, dopo la laurea, specializzatosi nel tracciamento di gallerie, i primi lavori, ora con un impresa ora con l’altra: la galleria elicoidale di Vernante nel 1888, poi quella di Borgallo nel 1891, poi il Sempione nel 1895, poi la ‘Grande

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IL PICCOLO INGEGNERE PIEMONTESE Galleria dell’Appennino’ per l’Acquedotto Pugliese nel 1906”. Dovette ricoprire sicuramente grandi responsabilità nel delineare i tracciati di quella galleria, la Pavoncelli, che, secondo molti, al mondo “non conosce eguali”, tanto da rimanere a Caposele per ben nove anni sino al 1915, cioè fino all’inizio della Grande Guerra. E tuttavia il diario, in cui rari sono i riferimenti tecnici relativi ai lavori, ci trasferisce l’immagine di un uomo interessato a penetrare nelle pieghe di una cultura, per non dire di una civiltà, a lui lontana se non proprio estranea. Ugualmente le sue foto testimoniano un interesse vivace per gli uomini intenti nelle loro pratiche quotidiane, ritratti quasi sempre di spalle, come se non volesse disturbarli, per non rubare loro la naturalezza dei gesti. Insomma, nel clamore e nel frastuono ritmato da anni eccezionali, per Caposele, segnati da contaminazioni direi etniche (lo Stato unitario era ancora agli albori e in queste terre vissuto anche con scetticismo e fors’anche contrarietà), per lunghi nove anni l’Ingegner Muzzani anima una propria particolare presenza nei luoghi che contribuirà a trasformare defini-tivamente realizzando, per conto della Ercoli Antico s.a., i lavori di regimentazione e captazione delle sorgenti del Sele. Ne vicava, all’inizio, sentimenti certamente contrastanti, al punto da annotare sul suo diario il 30 giugno del 1908 che “quando di qui (Caposele) penso alle Alpi e rivedo colla mente le belle erte selvatiche, le belle macchie boschive, le conche erbose, fresche, le cime nevose… quando penso a ciò che si pensa colassù, quanta voglia mi viene di esservi, quanto desiderio di ritornarvi! Mentre qui! orrore! tutto, tutto, perfettamente tutto l’opposto!”.

La prima macchina a Caposele

Ma già l’anno successivo, il Primo Novembre del 1909, annotava che percorrendo in auto (doveva sicuramente essere tra le prime diavolerie della modernità che si aggiravano per i carrai fino allora percorsi solo da carovane e carri e carrozze) la sella di Conza per fare ritorno a Caposele, “ammiravo una splendida scena che le montagne di Laviano presentavano sotto la luce temporalesca passante di fra nubi cupe o lucenti, secondo la loro densità. Ogni leggera protuberanza di quei dorsi montani appariva plasticamente espressiva: i verdi assi cangianti autunnali dei boschi: luci calde illuminavano insenature e lasciavano da parte certi cocuzzoli perché meglio contrastassero; tutto appariva così accostato all’osservatore ed aveva tale rilievo e di così simpatici effetti da tenermi attento lo sguardo, che, per consuetudine per chi va in auto, è invece rivolto alla strada…”. Muzzani cura una particolare attitudine ad animare anche momenti di socialità all’interno di quella comunità

Operai e dirigenti durante la costruzione della galleria Pavoncelli

che si racchiudeva tra “i tecnici, capi mastro, assistenti…” del cantiere del costruendo acquedotto. Un cantiere che, va ricordato, pulsava 24 ore al giorno per 363 giorni all’anno, con le sole pause della festa di S. Barbara e del Natale. In questa seconda occasione era sua abitudine invitare nella sua casa, il pomeriggio, per far dono di dolci, frutta, bambole e cavallini, “ i figli piccoli di Gallerini, guardia notturna; i figli piccoli di Conti, canneggiatore; il figlio di Nicola Molinari del Magazzeno; la piccina di Barberis, assistente; i fratelli di Poppy, la nostra domestica; la piccina di Micheli, l’inserviente d’ufficio; Donna Marianna, serva dei carabinieri; Fenisia, ragazzina di forse 13 anni; Elvira (la bionda cogli occhi celesti), bruna, capelli neri, occhi neri, e la chiamano bionda…”. Certamente, ma non solo perché lo si può dare per scontato, riuscì ad intessere relazioni con gli abitanti, con alcuni almeno, di quel Borgo che assiepava

La chiesa della Sanità nella sua originaria posizione


Storia

case attorno al Castello, altre appena sotto la Pietra dell’Orco ed altre ancora poco sotto le stesse sorgenti. Il bisogno che ebbe il nipote Carlo nel visitare Caposele nel 1978 di far dono del diario del nonno Iginio a Grazianitta Rubino “che conobbe mio nonno e, da persona buona, sa ricordare” è un indizio, solo un indizio dei legami intessuti con la comunità locale. D’altro canto la scelta di portare con sé la propria famiglia, la moglie Elisa (la “signora bella” come veniva chiamata) e il figlio Francesco favoriva la possibilità di socializzare con la gente di Caposele, “un centro che guardava ad Eboli – scriverà qualche anno più tardi il nipote Carlo – dove per Levi, Cristo si fermerà trent’anni più tardi”. Muzzani aveva frequentato da giovane il conservatorio e non abbandonò mai fino alla tarda età l’abitudine e la costanza di suonare il pianoforte, anche se solo “per una mezz’oretta al giorno”; così come nutriva una grande passione per la caccia vera, “quella che si fa come per immergersi nella natura, in compagnia solo del cane e del magnifico Greener, e non per uccidere”. Ovviamente le altre passioni che costantemente hanno accompagnato l’esistenza “dell’ingegnere” erano l’appuntare ed annotare le impressioni sull’Agenda Simonetti e, ancora, la fotografia.Dal diario rintracciato sull’Agenda è stato possibile recuperare tutte le impressioni (in questo articolo riportate in corsivo) e anche giudizi che ci consegnano il rigore politico ed etico del “già vecchio” Iginio Muzzani. Egli infatti all’inizio degli anni venti, appena dopo l’omicidio Matteotti, in modo lapidario delinea un severo e pesante giudizio sul fascismo che, scriveva, aveva svelato il vero volto del partito, tanto da tenersene sempre lontano come cosa sgradita e spregiata. Ma la passione più avvertita e più praticata resta sempre quella della fotografia. La sua vita è stata sempre constantemente accompagnata dall’obiettivo di una camera fotografica. Il nipote

Carlo ereditò molti suoi libri, manuali francesi, tedeschi ed italiani a cavallo del secolo (800/900), fitti di note a margine, con caustiche annotazioni su alcuni esempi di fotografia artistica. Ma l’eredità di maggior pregio lasciata da Iginio sono sicuramente quei 500 negativi su pellicola 6 x 9, “accuratamente riposti in buste da biglietti da visita, con quasi sempre tanto di data, di località, di nomi di personaggi ritratti e talvolta indicava la carta ed i tempi, anche differenziati, di stampa”. Sempre Carlo fu ospite nel 1978 dell’allora Sindaco di Caposele Francesco Caprio. In quell’occasione fece a lui dono personale di una trentina di foto che riguardavano Caposele. Sono le stesse foto che ora ho dinnanzi a me e che scorro con stupore, pure con gioia. Ho la netta, decisa impressione che bisognerebbe essere grati davvero “a quel piccolo ingegnere piemontese” che è stato Iginio Muzzani. Senza le sue foto saremmo più poveri di ricordi, di memoria, ovvero di riferimenti precisi della nostra storia. Ci si tramanda, attraverso queste immagini, un decennio incredibile per Caposele: la realizzazione di un’opera, quella dell’acquedotto, che ci ha impoverito economicamente ma ci ha plasmati come “generosi” agli occhi del mondo.La bellezza di queste foto risiede nella capacità dell’autore di fissare momenti che sono il tratto “caratteristico ed antropologico” della “gens loci” (della gente del luogo): le processioni, l’andare in campagna con la cesta tenuta sul capo magicamente in equilibrio, il bimbo al pascolo, l’andare a prelevare l’acqua sorgiva alla Sanità, gli abiti caratteristici delle pacchiane. E poi quelle in cui si ritraggono particolari dell’abitato: case diroccate sotto il Castello, segnate dai tanti terremoti e mai risanate; la bellezza schiumosa delle acque che lambiscono le case a valle delle sorgenti, i tessuti stesi ad asciugare vicino ad una delle tintorie

che utilizzavano la forza delle acque in ripida discesa. E, ancora, gli uomini intenti a lavorare al fronte di avanzamento della galleria, con un’ingegnosa macchina a perforazione meccanica (antesignana delle moderne talpe), particolari di centine in legno, archi rovescio, binari e trenini per il trasporto dei materiali da e per la galleria…Bisogna davvero essere grati ad Iginio Muzzani. Caposele nell’ultimo secolo ha subìto il fascino di molti foresti (alcuni, molti non proprio edificanti): basti come esempio soltanto pensare ad alcune figure che imperavano nei mesi e negli anni successivi al sisma dell’ottanta. Abbiamo costruito una topono-mastica delle vie cittadine, dedicandole a chi si rese in qualche modo responsabile ed autore dello “scippo” delle acque. Mai abbiamo, mai, compiuto una ricerca sulle figure che con “dignità” hanno attraversato “il nostro divenire” lasciando traccia, con la loro opera, di un contributo di cui fatichiamo a comprenderne ancora oggi l’importanza. Iginio Muzzani è tra questi.

Dobbiamo essere grati, dunque, all’ingegnere e al fotografo Muzzani per ciò che ci ha lasciato, per l’acutezza del suo sguardo che con la mediazione della sua macchina fotografica ha sospeso la memoria facendola giungere sino ai nostri giorni, evitando in questo modo che un pezzo di storia fosse triturata dai meccanismi inesorabili del tempo e dell’oblìo. Se poi questa gratitudine si trasformasse in qualcosa di più visibile sarebbe pur sempre poca cosa rispetto al tesoro incommensurabile che ci ha lasciato. res

Gerardo Ce-

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Storia “La Sorgente”: E’ Vita per le acque fresche, limpide e salubri perennemente scorrenti per ogni dove verso rigenerazioni incommensurabili, volute dalla Divina Provvidenza. Quel nostro simbolo dell’ “Anfiteatro delle Sorgenti Madonna della Sanità (4000-7000 lts) del più grande Acquedotto del Mondo”, con l’incrollabile Campanile, ripreso dalla copertina del mio “Compendiario degli Acquedotti Pugliesi e Lucani” Ed, Liantonio di Palo del Colle 1976, ha una splendida storia, che onora tutte le generazioni di Caposele avvicendatesi sin dall’Ottocento. Le cerulee e spumeggianti acque che dai piedi del monte Paflagone, impetuose, davano origine al Fiume Sele, donde la nostra città, Caposele, furono indicate dall’ingegnere Camillo Rosalba, foggiano, funzionario del Genio Civile, per dissetare le “siticulosae Apuliae”: Terra di Capitanata (Foggia), Terra di Bari (Bari) e Terra di Otranto (Lecce), e cioè le Tre Puglie, rappresentate dalle Amministrazioni delle Province di Foggia, Bari e Lecce, anche per tutti i Comuni pugliesi. I Foggiani credettero a Rosalba, subito seguiti dai Leccesi. I Baresi, invece, non vollero credere, se non tardivamente, perché, morto Rosalba - (Gli verrà reso onore intitolando la prima delle 99 Gallerie-trafori - m. 300 dall’Incile al primo Ponte-Canale Tredogge -‘ appunto “Caposele-Rosalba”), il progetto venne ripreso dall’ing. Francesco Zampari di Cividale del Friuli che si affrettò ad ottenere dal Governo la concessione delle acque, acquistate dal Comune di Caposele, come investimento speculativo anche unendosi a Società straniere, specie le grandi Compagnie inglesi. Le lotte popolari dei Pugliesi (non si dimentichi che particolarmente Sanniti, ed Irpini, Patrioti garibaldini, furono ritenuti briganti dai conquistatori sabaudo­piemontesisti, perseguitati e repressi nel sangue dai generali nordisti , scesi nel Meridione) e dei Grandi Uomini del Sud durarono un quarantennio contro uno Stato unitario discriminatore ed indolente e la Monarchia dei Savoia e suoi Governi guerrafondai dediti alle ingenti spese militari, per ottenere un Acquedotto, quale che fosse, ignorandosi le reali sue fonti idriche, donde quindi il nome di “Acquedotto Pugliese”, le Puglie scarse se non del tutto prive di risorse idriche. I governi si impuntarono a tenere affatto impegnato l’Erario, al punto che il grande napoletano Matteo Renato Imbriani che richiedeva l’intervento dello Stato per un quinto della spesa, viene tacciato di sovversivismo e perseguitato nelle campagne elettorali nel Veneto irreden-

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Lunga Vita a “La Sorgente, e pur vittorioso per la seconda volta nel Collegio di Trani-Corato, qui voluto da Giovanni Bovio, assurdamente non eletto dal Seggio obbediente al dispotico Giolitti, che, misero potente, non lo voleva a Montecitorio. Zampari muore e così le Tre Puglie si uniscono accettando il “Consorzio per la Costruzione ed Esercizio per l’Acquedotto Pugliese” tra lo Stato e tutti i Comuni pugliesi, e per questi, di gran numero, con le Tre Province Pugliesi Bari-Foggia-Lecce, chiamati Comuni e Province a contribuire nella spesa in rapporto ai propri abitanti. Soprattutto Imbriani aveva elevato a “nazionale” la problematica idrica pugliese conclamando alla Camera, dopo la sua conoscitiva visita alle Sorgenti Caposelesi.: “Vengo dalla Puglia sitibonda di acqua e di giustizia!” Significativo: La legge 26 giugno 1902 fu varata dal Governo presieduto dal bresciano Francesco Zanardelli e dal barese Nicola Balenzano ministro dei Lavori Pubblici, il Parlamento consen-ziente all’intervento finanziario dello Stato per i quattro quinti e per le Province e Comuni per un quinto, per una Grande Opera particolarmente per le masse popolari da dissetare e salvare dalle morti pestifere. Una prima gara internazionale andò deserta, pur presentatesi diverse grandi società straniere, e nella seconda gara l’unica a presentarsi ad a vincerla fu la Società Anonima Ercole Antico e C. di Genova, che diviene Concessionaria per la Costruzione ed Esercizio dell’Acquedotto Pugliese, Questa riesce a far zampillare l’acqua il 24 aprile 1915 in piazza Umberto a Bari, ma specie per la Grande Guerra Mondiale deve capitolare e giungere alla transazione per incapacità finanzia-

ria nel dare per completato il più grande Acquedotto del Mondo di Caposele, il cui immenso impegno finanziario doveva essere pubblico, dello Stato, ed affatto privato e speculativo sul bene comune ed esistenziale dell’acqua. Il Consorzio viene trasformato nel 1919-1920 in Persona Giuridica Pubblica, e cioè in Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese, EAAP, con Sede in Bari, che completa l’Opera, con un Consiglio d’Amministrazione, in cui sono determinanti i rappresentanti delle Province di Bari, Poggia e Lecce, e mano a mano delle muove province pugliesi di Taranto e Brindisi, indi di Potenza e Matera, ed anche di Avellino, non solo, ma vi sono rappresentati i Ministeri dei Lavori Pubblici, del Tesoro, degli Interni, della Sanità e dell’Agricoltura, a parte la presenza della Corte dei Conti, e l’obbligo delle Relazioni Annuali sull’Andamento dell’Azienda. Questa Grande Azienda Pubblica, dal vastissimo patrimonio acquedottistico e con un Personale che eredita una professionalità ad ogni livello particolarmente dai Lavori Pubblici ed altri Ministeri, affronta la problematica idrico-potabile-irriguo-­industriale con diversi altri compiti igienico-sanitario ed urbanistico, per le popolazioni servite anche in compiti di tanto progresso economico-sociale per la Puglia, per diversi Comuni della Campania e della Basilicata, in estensioni di condotte e risorse idriche, al punto che negli Anni Sessanta a Caposele viene innestato il grande Acquedotto integrativo del Basso Calore di Cassano lrpino e di Montella (Avellino), poi sono costruiti gli Acquedotti da acque potabilizzate del Pertusillo e del Fortore e indi del

Sinni, ed altresì gli Acquedotti Lucani, per cui sopravvengono anche Comuni del Basso Larinese del Molise e del Cosentino (Calabria) con l’Acquedotto sorgentizio lucano del Frido, grande unitarietà del Sud. A tanto è stato possibile giungere, a parte le sofferenze e mortali morbi epidemici, per il concorso e convergenze di eminentissime Personalità del mondo culturale, politico, sociale ed economico del Meridione e di ogni altra Regione in un afflato di umanità ed inflessibilità sui primari bisogni esistenziali delle Genti pugliesi e territori regionali finitimi. Caposele, generosa, diviene faro di solidarietà con le sue voluminose acque sorgentizie di Madonna della Sanità, e con Caposele tutta la verdeggiante Alta Irpinia dell’Avellinese e quindi il vastissimo Bacino Imbrifero del Massiccio del Cervialto, più intensamente quando si aggiunge il Bacino delle sorgenti Pollentina, Peschiera e Prete di Cassano Irpino e della Sorgente Bagno della Regina di Montella, pure dell’Avellinese. Perdendo la ricchezza idrica, la solidarietà dei Comuni irpini consente ai Pugliesi di conseguire la vera dignità umana liberata da una condizione di barbarie, ma le loro genti si impoveriscono private di quelle industrie artigianali che l’abbondanza idrica consen-tiva.Caposele poi subisce la beffa dell’indennizzo statale a suon di cartelle abilitate solo a rendere l’interesse del 3%, e cioè £.18.000 annue, divenuti interessi e capitale evanescenti con il decorrere degli anni, dispersi del tutto dopo circa un secolo, mentre lo Stato con il contratto della Concessione si fece rimborsare dalla Società Ercole Antico quell’indennizzo in moneta contante. Ecco perché la vacuità dell’indennizzo beffardo fa venire meno, giuridicamente, la rinuncia del Comune alla


Storia demanialità delle sue acque ab origine, e oltretutto i beni demaniali non sono prescrittibili , usucapibili e alienabili. Sopravviene nel 1992 Tangentopoli e la caduta delle partitocrazie della cosiddetta “Prima Repubblica”, anche se non nasce la “Seconda Repubblica”, bensì una proliferazione di sigle partitiche dai nomi lontani da ideologie politiche nuove, quindi come prima e peggio di prima. Come si giunge alla corruzione-concussione privato-pubblica? Ecco l’esempio inverso, raro nel suo ripetersi, nella vita pubblica. Da Michele Viterbo in “ La Puglia e il suo Acquedotto” pag.100-1O1: Intanto, a quanto si diceva, il Governo italiano aveva necessità di collocare a breve scadenza cinquanta o sessanta milioni di Buoni del Tesoro, e un gruppo di banchieri francesi pose l’occhio su questa che allora era una grossa operazione finanziaria. Uno di essi ebbe il coraggio di rivolgersi a Giovanni Bovio in persona « Se il tasso offerto dal ministro Magliani sarà conveniente, il banchiere si impegna di versare i cinquanta o sessanta milioni e di recarsi subito a Roma: “Per incomodo e cure verrà messa a vostra disposizione (di Bovio) la somma di un million deux cents mille francs”. E garantiva il massimo riserbo. La sdegnosa risposta di Bovio, l’uomo della povertà francescana e della coscienza adamantina, reca la data del 5 dicembre ’88 e fu un capolavoro. Voi parlate di riserbo - diceva fra l’altro -; ma io non lo saprei? Non lo saprebbe la mia coscienza? La potenza politica se non è trascinata negli affari, purtroppo sa crearli. Così Craxi, padrepadrone del Psi, a Milano viene travolto in grossi processi penali dalla Magistratura inquirente che chiede alla Camera l’autorizzazione a procedere per gravi reati, ma a Montecitorio, da decisionista ingenuo, pretende, confessando responsabilità sua e di

tutti gli inquisiti grandi e piccoli, tale era il sistema vigente, una assoluzione generalizzata dal Parlamento. Vera e propria chiamata in correità. Nessuno però si lancia al suo e proprio salvataggio, nemmeno il Presidente del Consiglio Giuliano Amato, il suo fido sottosegretario della sua Presidenza, altrimenti Amato avrebbe perduto per sempre il Primierato e i prestigiosi Dicasteri. Craxi deve rassegnarsi e per evitare l’arresto ripara in Tunisia nella sua Villa di Hammamet con la sua famiglia, e fino alla sua morte ripeterà: “Ho pagato soltanto io”. Tutti, tetragoni, rimangono ai loro posti, nemmeno ardiscono di porsi da parte, e tangentopoli continua ininterrottamente. Ne sortiscono un clima politico sconcertante e il Decennio Diabolico 19922002 in cui sulla grande Azienda EAAP si abbatte un diluvio scompaginante. Assurdità: Caposele, “caput mundi” delle sue eccezionali e salutari acque, che dal 1915, rispettosa e generosa, invia nelle “Puglie” , prosperità, benessere, e progresso delle Genti pugliesi, viene dimenticata dai Potenti, in corso “l’affaire” della privatizzazione - globalizzazione dell’immenso e vasto Patrimonio acquedottistico dell’EAAPAQP, una patata bollente, che passa da una mano all’altra a partire specie dal 1995. Non è solamente la generosa Caposele, ignorata dall’incultura perdurante, le usurpazioni sono cadute addosso sulla Provincia di Avellino, Ente Territoriale di base nelle sue funzioni inserite nella Persona Giuridica Pubblica dell’Eaap di rappresentante degli interessi propri e dei Comuni artefici ed utenti del più grande Acquedotto del Mondo, e la identica sorte tocca alle singole province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto, ed anche alle province di Potenza e Matera, mai nemmeno interpellate

dai potenti privatizzatori, Enti sbattuti fuori da atti tirannici eversivi. Non solo, quant’anche viene stravolta nelle sue prerogative la Grande Regione della Campania, titolare della pubblicità del bene comune acqua del suo territorio regionale, e con essa anche le Regioni Molise e Calabria, quindi l’intero Mezzogiorno d’Italia nel più tristo peggioramento dell’atavica Questione Meridionale. E ancora più grave è stata l’audacia verticistica di scippare delle sue inalienabili Competenze il Ministero dei Lavori Pubblici, Dicastero di Tutela dell’EAAP, perché contrario alla privatizzazione del tutto illegittima e violatrice di sommi principi costituzionali. E, dulcis in fundo, si affaccia la vena egoistica della Regione Puglia, la quale accetta la spartizione delle non ancora

emesse azioni AQP arrogandosi la parte del leone nel disprezzo dei quei valori di solidarietà, di dignità e di interessi inalienabili ed indivisibili di demanialità dei Beni acquedottistici, di base del più grande Acquedotto del Mondo di Caposele, fino a dimenticare di essere una delle Cinque Regioni del Mezzogiorno che da sola e senza l’apporto e la solidarietà delle alte quattro Regioni non potrà andare avanti. Questa la mia solidarietà ai Trenta Anni de “La Sorgente”. ruso

Vincenzo Ca-

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Questa rubrica mette in evidenza momenti di vita caposelese che passano soprattutto attraverso giornate di festa, nelle quali, forse, ci si incontra e si sorride piĂš spesso.

L'obiettivo

della mac-

china fotografica coglie situazioni svariate che

riguardano, spesso, manifestazioni della

Proloco, ma

lo spazio è aperto a chiunque ci fornisca della fotografie

anche di altre manifestazioni che rientrano in questo spirito.

vi ringraziamo anti -

cipatamente per la vostra collaborazione.

... davanti al bar Fuschetto

In attesa delle manifestazioni

Le donne al lavoro per la Sagra

Il menu' della Sagra

La preparazione per la Sagra delle matasse

Convegno sul Turismo con il Presidente della ComunitĂ Montana

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Il "Laboratorio" dei fusilli nei locali di Maria Chiaravallo


Il gruppo de "La Quadriglia "durante l'esibizione

In occasioni delle manifestazioni in piazza Sanità

Gli amici della Pro Loco

La famiglia Casale che ha allestito alcuni stands durante le manifestazioni

Agnese, Maria, e Giovannella alle prese con le matasse

La processione del "Corpus Domini"

Un momento di relax in piazza Sanità

GIUSEPPE PALMIERI

La distibuzione delle specialità gastronomiche locali durante la festa della "Quadriglia"

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Scorcio panoramico del "Piano di Zona Piani"

Le case popolari in zona Piani quasi ultimate

La vecchia Basilica di San Gerardo

Il nuovo Borgo Piani

GRANDE TAVOLATA DI CAPOSELESI A VICOLUNGO La famiglia Ilaria, da molti anni emigrata in questo piccolo paese del Nord, non ha mai dimenticato le origini caposelesi. In questa occasione ospita parenti ed amici

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Cesare Patrone insignito del Premio Caposele 2002 nella sede della ProLoco insieme alla nipote Tania e ad un gruppo di guardie del Corpo Forestale

È

stato, per me, un immenso piacere quest’estate presentare e consegnare il “Premio Caposelese dell’Anno”, un riconoscimento che la Pro Loco, come oramai da consuetudine, a chiusura delle attività per il Ferragosto, attribuisce ad un nostro compaesano emigrato e distintosi nel campo sociale e professionale.Il premio quest’anno è stato tribuito a Cesare Patrone, per i grandi riconoscimenti professionali che sta ottenendo nel settore delle attività forestali. Prima ancora che un professionista serio ed estremamente competente, Cesare è, per me, e per tutti noi della Pro Loco di Caposele, un vecchio amico, una persona amabile, la cui vita merita certamente di essere presa a modello, soprattutto dai più giovani, specie in un periodo incerto e difficile come quello che stiamo vivendo. La prima parte della vita di Cesare è stata un continuo viaggiare insieme ai genitori, il papà Michele e la mamma Sisina, a suo fratello Amato ed alle sue due sorelle Enza ed Olimpia. Cesare nacque, infatti, a Buenos Aires, alla fine degli anni ’50, in una terra, l’Argentina, allora meta di sogni e di speranze ed oggi terra di fame e di miseria per molti nostri sfortunati connazionali. Ma la famiglia di Cesare, dopo pochi anni rientrò in patria, trasferendosi a Caposele, dove Cesare trascorse la sua infanzia ed i primi anni dell’adolescenza. In questo periodo, molti di noi, suoi coetanei, hanno avuto modo di conoscerlo, divenendo suoi amici, gli amici d’infanzia, quelli che inevitabilmente ti rimangono sempre nel cuore. Poi, in età adolescenziale, Cesare è emigrato una seconda volta, spostandosi con la sua famiglia a Roma. Credo che per nessuno, men che meno che per un ragazzino, sia stato facile riambientarsi per una seconda volta, nel giro di pochi anni, passando da una realtà ad un’altra e poi ad un’altra ancora, l’una completamente diversa dall’altra, senza trovare alcuna difficoltà. Eppure Cesare, con un carattere forte e con una grande perseveranza, è riuscito ad eliminare in breve tempo il gap ambientale, tuffandosi a pieno nella sua nuova vita. A 25 anni Cesare era già brillantemente laureato in ingegneria idraulica, dopo qualche anno ha vinto il concorso in Forestale, dove nell’arco di poco più di un decennio ha letteralemente bruciato le tappe, alcune fra le tante dirigente del Parco regionale della Maiella e Comandante della Scuola Allievi della regione meridionale, divenendo uno dei massimi graduati del corpo Forestale, nonché consulente del Ministro per le Politiche Agricole e Forestali, Alemanno. Una grande carriera, non c’è che dire, impreziosita e resa ancora più importante dal grande bagaglio di esperienza e di umanità che Cesare porta con sé. Perciò, come ho ribadito all’inizio, credo che il premio di quest’anno dato a Cesare Patrone debba essere un modello, un esempio di vita e di abnegazione per i nostri giovani, nel momento in cui essi dovranno cimentarsi con le importanti sfide che il futuro gli riserva. Agostino Montanari

FOTO ARCHIVIO LA SORGENTE

La premiazione nella sede della Proloco con il Presidente Rocco Mattia ed Agostino Montanari

DALLA PRESENTAZIONE DI AGOSTINO MONTANARI

IL PREMIO CAPOSELE 2002 ASSEGNATO A CESARE PATRONE

Un punto di vista inconsueto per il panorama recente di Caposele

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Racconti

E’ pervenuto

in redazione, con preghiera di pubblicazione, un diario di

guerra redatto dal reduce

Gerardo Di Masi. Lo

facciamo volentieri,

senza nulla togliere e nulla aggiungere a quanto lo stesso ha scritto

ritenendo che fatti, persone e cose riportate nel diario medesimo, siano il

DAL DIARIO DI UN REDUCE

di Gerardo Di Masi

resoconto puro e semplice della sua esperienza bellica.

“Io DI MASI Gerardo, nato a Materdomini (Av) il 27-8-1923, partito per la guerra all’età di 19 anni, fui portato, insieme ad altri, ad IVREA (TO) sul Monte Bianco, poi a combattere contro i partigiani greci. Il 9 settembre 1943 fummo tutti fatti prigionieri dai TEDESCHI e trasferiti nei campi di concentramento a DANZICA. Eravamo sottoposti a duro lavoro con una temperatura che raggiungeva 28 gradi sotto zero. Dopo tre mesi i tedeschi e gli uomini della Repubblica di Salò, una sera ci portarono in un grande salone e organizzarono propaganda contro gli americani. In quella circostanza ci comunicarono che gli americani erano sbarcati in Sicilia e ci chiesero chi si offriva volontario per andare con i TEDESCHI e i VOLONTARI DELLA REPUBBLICA DI SALO’ a “gettare a mare” gli americani. Nel salone erano riuniti 200 prigionieri. Io, nel sentire la Sicilia, fui uno dei primi ad alzare la mano e a mettere la firma quale volontario nella Repubblica di Salò. Solo in 13 firmammo, i rimanenti 187 prigionieri non vollero farlo. Quando in serata ci ritirammo nelle baracche per dormire, i nostri compagni prigionieri ci insultarono, umiliandoci tanto da farci piangere chiamandoci “TRADITORI” del Re e di Badoglio. Dopo alcuni giorni, i Tedeschi ci cacciarono dai campi di concentramento e ci portarono nella città di DANZICA dove, nella piazza principale, ci fecero prendere giuramento di fedeltà a HITLER e a MUSSOLINI per la Repubblica di Salo’. Con quel giuramento tradimmo il Re e Badoglio! A Danzica c’era il comando Italiano e fummo assegnati alla Compagnia NEBIOGINE che aveva il compito di annebbiare la città di DANZICA per contrastare i bombardieri inglesi. Attraverso le postazioni nebbiogene, dopo circa 15 minuti DANZICA veniva coperta da fitta nebbia e quindi i bombardieri inglesi non potevano avvistare l’obiettivo. Dopo tre mesi, mi ammalai di malaria, pleurite e polmonite con due macchie ai polmoni e fui ricoverato nell’ospedale di Danzica in una stanza da solo. Venivo considerato soldato

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tedesco, forse per questo ero privilegiato. Infatti, i miei compagni che da anni stavano in Germania, mi dicevano: “Di Masi, non aver paura, l’importante è che tu riesca a metter piede nell’ospedale tedesco e ti salvi: i tedeschi sono severi e seri!”. E cosi fu. “Laddove c’è severità e ordine c’è tutto!” per questo sono stato e sono Tipo Tedesco! Al 96° giorno di ricovero fui sottoposto a visita dal primario accompagnato da otto dottori. La stanza si riempì di medici. Non mi spiegavo

se era curiosità o perché ero italiano. Il primario, mi disse: “TU ZECHS. VOCHE VOCHE IN ITALIA”; feci fatica a capire che voleva significare: “La mando in Italia per sei settimane perché necessita di aria italiana”. Ma per andare in Italia avevo bisogno di documenti del mio comando federale, perché in piena guerra era difficile venire in Italia. Arrivato al mio comando, mi trattenevano con chiacchiere e promesse e i documenti non arrivavano mai. Mi rivolsi ad un mio paesano che comandava la mia baracca con 10 soldati. Si chiamava Gallucci Pasquale, era di Buccino (Sa) e disse che lì mi stavano prendendo in giro e che non sarei mai arrivato in Italia. Allora mi disse: “Di Masi, ascolta, a 30-40 chilometri c’è il comando generale, fatti una camminata” Però si doveva andare per gerarchia militare. . . Io, con la terza elementare e i documenti dell’ospedale, partii senza dire nulla a nessuno. Domandai solo ad una donna dove fosse il comando Generale Italiano e mi disse “Eccolo, è quel palazzo!”. Stavo per avvicinarmi, quando due sentinelle e mi chiesero cosa cercassi; io risposi che dovevo parlare con l’aiutante maggiore (così mi aveva detto poc’anzi il mio compaesano). Allora una delle due sentinelle restò con me e l’altra andò di sopra. Uscì l’aiutante: “Cosa c’è?”- mi chiese; ed io risposi “Da tre mesi sono uscito dall’ospedale per andare

in Italia e mi burlano senza mai darmi i documenti”. Chiamò la sentinella e disse: “Porta questo in prigione” e rivolgendosi a me mi assicurò che in tre giorni avrei avuto i documenti. Mi portarono in prigione; giusto tre giorni dopo venne l’aiutante: “Ecco i documenti! Puoi andare in Italia”. Uscendo dalla prigione, capii che già si era sparsa la voce per tutto il comando che un italiano aveva avuto i documenti per l’Italia. Io, per scendere dal comando dovevo attraversare un salone, in cui c’era qualcuno cui interessava più di me andare in Italia; si fece avanti un ammalato più di me e, fermandomi, mi chiese: “Come hai fatto? Sono due anni aspetto per andare in Italia e non mi hanno ancora dato i documenti!”; io risposi solo: “Datti da fare!”, e subito scesi giù dal palazzo; raggiunsi la mia compagnia e partii per l’Italia. Fui ricoverato all’ospedale militare di S. Bonifacio in provincia di VERONA. Dopo un mese fui dimesso con l’obbligo di presentarmi al FRONTE con i tedeschi e i Repubblicani di Salò a Cassino. Io non volevo presentarmi e rischiai il tutto per tutto cercando di tradire anche Hitler e Mussolini! Avevo altri tre fratelli in guerra; da molti mesi non ricevevo notizie da loro e nemmeno dai genitori. Decisi con coraggio di non presentarmi; rischiai la fucilazione nonostante avessi fatto il giuramento nella piazza di Danzica ad essere fedele a Hitler e Mussolini. E mi andò tutto bene. Uscito dall’ospedale con lo zaino e la valigia di legno in mano. Lungo la strada di S. Bonifacio incontrai una santa donna, Irma Margarisi, il marito Arturo era prigioniero in Austria. Questa donna aveva due bambini, uno in braccio e uno per la mano, rispettivamente di 2 e 8 anni; la fermai e le chiesi se poteva farmi un piatto al


Racconti giorno; lei rispose: “Si, ma dormire no!! Il piatto io lo faccio a te sperando che qualcuno lo faccia a mio marito prigioniero”. Camminando incontrai in infermiere conosciuto nell’ospedale, era di Benevento e si chiamava Paradisi Antonio. Questi già sapeva che io non volevo presentarmi al fronte. Gli dissi: “Paradisi, ho trovato chi mi darà da mangiare ma non so dove dormire!” Egli mi disse: “Non ti preoccupare, conosco bene questo paese” Cosi, mi accompagnò da Gigi Castellano, la moglie si chiamava Giovannina e disse: “Gigi hai una stanza per questo paesano? Viene dalla Russia e si deve presentare al fronte; ha tre fratelli in guerra e non ha notizie di nessuno” “Gigi questo non ha soldi”. Gigi rispose: “Non ce n’è bisogno, basta che quando arriverà a casa, mi farà una lettera, e sono contento!”. Mi avevano detto che c’era una grande falegnameria “Ditta Lussana”. Mi presentai lì domandando lavoro. C’erano due fratelli ingegneri che mi dissero che potevo lavorare anche il giorno seguente. Nessuno era più contento di me!: lavoravo alla falegnameria, da Irma mangiavo e da Gigi dormivo! Conoscevo due ragazze, Idelma Bari fu Beppi e Natalina Curti, che mi davano sempre coraggio. Per un mese andò tutto bene, i due bambini di Irma, quando mi vedevano sbucare dalla curva, battevano le mani sul marmo del davanzale esclamando con gioia: “Mamma, arriva Gerardo!” e trovavo il piatto pronto e Irma si sedeva con i bambini a mangiare. Io non stavo più di 20 minuti e scappavo a lavorare, sempre col pensiero che potevo dare fastidio, tanto è vero che il 31° giorno, mentre tornavo per il solito trovai Irma che fingeva di pulire la cucina e non si sedeva a tavola. Io, che avrò avuto qualche dono non so da chi, per fortuna intuisco le cose prima che mi succedano, ed intuii che qualcosa non andava.

Da soldato in Grecia contro i partigiani greci

Allora dissi: “Irma, c’è qualcosa che non va?” ella si voltò e mi rispose: “Si, hai ragione Gerardo: mia cognata Teresa ha scritto a mio marito, dicendogli che io ho un napoletano in casa e lui mi ha mandato una lettera di minacce”. Irma forse aveva pensato che siccome non sapevo dove andare l’avrei messa nei pasticci; io invece risposi: “Finisco di mangiare e vado via per sempre”. Le si sedette a mangiare e io le chiesi se poteva trovarmi un’altra famiglia oppure un anziano che potesse farmi un piatto al giorno. La ringraziai tanto e le dissi che comunque lavoravo, quindi avrei potuto pure pagare. Irma non mi diede nessuna risposta. Io salutai, ringraziai, chiesi scusa e via a lavorare! La sera uscendo dalla falegnameria, trovai Irma al portone con i due bambini. “Che fai qui?”dissi; “Ti devo portare da mia sorella Gioconda, là c’è mia madre con il marito. Io vado in Valfondo di Verona a comprare il grano e tu devi vivere!”. Appena arrivarono gli americani salutai tutti e tornai a casa: la famiglia poteva aver bisogno di aiuto ed io volevo sapere se stavano tutti bene. Dopo tre anni mi unii in matrimonio ed ebbi cinque figli. C’era sempre la voglia di tornare per ringraziare chi avevo lasciato e con i quali ancora oggi sono in corrispondenza, forse anche perché mi sono sempre comportato bene. Questo per me è un onore, è come una seconda ricchezza. Dopo 15 anni Arturo, Irma, Giorgio e Gianfranco emigrarono per l’Argentina ma non abbiamo mai smesso di telefonarci almeno a Pasqua e a Natale. Dopo 35 anni si doveva sposare il figlio di mio cugino, Rocco Di Masi, in Argentina ed ebbi la fortuna di essere invitato al matrimonio. Noi in 35 anni di matrimonio, vivendo da contadini, eravamo riusciti a metter su una piccola trattoria e si cominciava a vedere la centomila lire. Partimmo per l’Argentina io, mia moglie e una sorella di Rocco. Domandai a mio cugino quanto distasse la città in cui abitava la famiglia che aveva rischiato tanto per aiutarmi.. Distava 400 chilometri. Era tanta la voglia di salutarli che mio cugino si mise a disposizione ed inoltre invitò al matrimonio Arturo, Irma, Giorgio e Gianfranco. A San Giusto festeggiammo tutti insieme: non lo potrò mai dimenticare (per chi si comporta bene la porta è sempre aperta). Dopo 10 anni da quella festa in Argentina, vennero loro a Materdomini a soggiornare per 15 giorni a casa mia. Durante la rivolta in Argentina, ho sentito un peso dentro me ed ho subito telefonato per chiedere se potevo fare

qualcosa e se volessero venire in Italia. Mi risposero di sì, gli dissi di portare la lista di tutto quello che avrebbero speso perché avrei pagato io e che li aspettavo con tanto onore e gioia. Sono trascorsi 58 anni dai fatti, e il legame con questa famiglia è sempre vivo e pieno di riconoscenza. Chi in tutta Italia ha avuto il coraggio di tradire Badoglio, Vittorio Emanuele III, Hitler e Mussolini che volevano fare la guerra per anni? Io non mi convinsi e non mi pento di averli traditi tutti! Per colpa di tante religioni e tanti dittatori si fanno guerre che non danno pane e si ammazzano i migliori giovani di questo mondo e in più tanti innocenti. Sono disertore e traditore di guerra, adesso Io posso dire, ma 50 anni fa no; c’era chi si offendeva. 31 anni fa ebbi l’ultima figlia ed ero indeciso nel chiamarla Irma o Idelma come ricordo di guerra; lo chiesi ai primi due figli Antonio e Pasquale, di 17 e 19 anni, Pasquale disse è più bello Idelma. Questa arrivata a 11 anni disse: “Perché mi avete chiamata Idelma, in questi paesi non esiste”. Dopo averglielo spiegato disse di voler conoscer questa ragazza. Partimmo io, mia moglie e Idelma per S. Bonifacio a Verona a trovare questa ragazza: era sposata e aveva figli e fummo accettati da signori perché lo meritavo; perché non è facile a 23 anni comportarsi bene: solo il tedesco vero si comporta così. Mentre ero in guerra dicevo sempre ai mie compagni che se tornavo salvo a casa prima di ogni cosa andavo in chiesa a ringraziare S. Gerardo. Tornai a casa dopo venti mesi senza aver notizie dei mie tre fratelli in guerra e arrivato a Materdomini, con la mia casa a 50 metri dalla chiesa, mi fermai

Gerardo Di Masi in una foto dell'epoca

soltanto un attimo da mio zio Gerardo per sapere se tutti stavano bene. Mentre parlavo con zia Carmela mio zio prese lo zaino colmo di gioia e scappò a dire a mio padre che ero tornato. Siccome ero il primo che tornava dalla Germania tutti mi fermavano per chiedere notizie. Io andai direttamente in chiesa per mantenere la promessa fatta a S. Gerardo. Mio padre appena saputo del mio ritorno corse in chiesa e mi trovò inginocchiato davanti all’altare di S. Gerardo, lì ci riabbracciammo e insieme andammo a casa. La promessa era stata mantenuta! Questa storia per me era un tesoro nascosto, oggi la voglio raccontare per Caposele e per tutta l’Italia e spero che nessuno si offenda, ma io dovevo portare la pelle a casa, e ce l’ho fatta! E me ne vanto! Di Masi Gerardo

Gerardo Di Masi e sua moglie con la famiglia Margarisi Arturo e Irma in Argentina

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TOPONOMASTICA E’ in preparazione, a cura di Alfonso Merola, una pubblicazione sulla toponomastica di Caposele. Trattasi di uno studio pregevole, di grande interesse per il nostro Paese, che abbiamo il privilegio di pubblicare, sia pure a stralci, sul nostro periodico. Abbiamo ripreso a caso alcune delle innumerevoli strade e località descritte da Alfonso Merola, riservandoci di pubblicare un altro stralcio nel prossimo numero.

PIAZZA FRANCESCO TEDESCO Uomo politico (Andretta 1853Roma 1921) ispettore generale delle ferrovie, deputato dal 1900 al 1921, ministro dei lavori pubblici nei gabinetti Giolitti (1903-1905), Tittoni (1905), Fortis (1905-1906); preparò il passaggio delle ferrovie dall’esercizio privato a quello statale. Ministro del tesoro con Luzzatti (1910-1911) e con Giolitti (1911-1914), quindi delle finanze con Nitti (1919-1920) e ancora con Giolitti (1920-1921). Questa piazza fu costruita nel secolo scorso su un’area di proprietà della famiglia Cozzarelli e per qualche tempo fu appunto denominata piazza Cozzarelli. La fontana ad arco fu invece costruita in epoca successiva. Per molto tempo costituì l’unica piazza del paese e in contrapposizione ad altre più recenti fu comunemente denominata “chiazza vecchia”. Essa fu per molto tempo il vero centro commerciale del paese, essendovi ubicati i mezzi e le botteghe artigiane più importanti in continuazione di via Bovio. Su di essa si affacciavano i palazzi gentilizi più significativi: Ilaria, Bozio, Cozzarelli, Russomanno, ecc...

CAPOSELE: TOPONOMASTICA

VIA MATTEO RENATO IMBRIANI Patriota ed uomo politico (Napoli 1843- S. Martino Valle Caudina 1901); esule in Piemonte, partecipò volontario alla guerra del 1859 e nel 1860 seguì Garibaldi nella campagna meridionale. Combattè, poi, nella guerra del 1866. Fervido irredentista, aderì in seguito al partito repubblicano e fu l’animatore della lega latina, promuovendo con discorsi e scritti la liberazione delle terre soggette all’Austria. Fu deputato dal 1889 al 1901. Essa era la parte superiore di un corso già intitolato a Garibaldi che da piazza Masi conduceva alla Cappella dell’Angelo. Essa correva tra il palazzo Ilaria e il piazzino.

Subì in gioventù l’influsso della filosofia hegeliana ed approdò infine verso una forma, assai vaga, di naturalismo. Era la “vera” strada cittadina del borgo sito a monte dell’agglomerato del Castello, verso il 1500. Vi erano ubicate botteghe artigiane, negozi alimentari ed ogni altro ... commerciale significativo e conservò quella sua vocazione produttiva e mercantile fino a quando non fu costruita l’attuale via Roma ( la via nova) che man mano soppiantò per importanza via Bovio.

pica all’interno. Digrada con degli altipiani. E’ bagnata dal fiume Hylis. Gli antichi paflagoni erano molto rozzi, ottimi guerrieri, e assai amanti dell’indipendenza. Fu colonizzata in più riprese dai greci e successivamente contesa fino al tempo dei romani che non riuscirono mai a sottometterla definitivamente. I nomi greci che si riscontrano spesso in tutta l’alta valle del Sele, confermano l’esistenza di villaggi o postazioni dipendenti dal litorale pestano. Il Sele, è da rammentare, era navigabile e costituiva la naturale penetrazione della valle. Il Corcia avverte che il nome è antico. Egli conosce un fiume presso il monte Ida che è detto Paflagonio. CALVELLO

PAFLAGONE La Paflagonia è regione asiatica sul Mar Nero. Essa è molto umida, coperta di boschi da una parte e step-

Il riferimento concerne un rilievo , la cui caratteristica è l’assenza di vegetazione significativa sulla cima. (dal latino calvus - calvo) questo toponimo è molto frequente in Italia. Calvillus è, però, anche una razza locale di frumento dalla spiga mutica. Questa seconda ipotesi è tutta da scandagliare, apparendo allo stato improbabile per una serie di motivi: a) Calvello è detto in dialetto Carusella, un tipo di frumento.

La vecchia fontana di Piazza F. Tedesco

VIA GIOVANNI BOVIO

La Madonnina di Piazza F. Tedesco

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Filosofo, uomo politico (Trani 1841Napoli 1903), professore a Napoli di filosofia del diritto, fu il filosofo della democrazia repubblicana, rispettando il programma di una repubblica sociale, fondata sulla assoluta libertà di pensiero. Eletto deputato nel 1876, membro del gruppo parlamentare repubblicano.

Piazza Francesco Tedesco vista da Palazzo Cozzarelli


b) Il Calvello (Carusella), per quanto ricordano i contadini locali, era seminato in media-alta collina e non in montagna. In quelle zone era seminato il maiolica o il germano (iurumano). CERVIALTO (CERVIA - LATINO TARDO) Massiccio montuoso dell’Appennino campano (Monti Picentini) che si eleva a m.1809 sul livello del mare, dominante il piano di Laceno. Le sue pendici sono coperte di boschi; dalla cima erbosa, amplissimo panorama. I suoi contrafforti nordorientali formano il bacino idrico del Sele. LA FINESTRA Uno dei sistemi assai diffuso per attribuire a elementi geografici (monti, colline, ecc.) delle designazioni che col passar del tempo si consolidano, è costituito dal ricorrere a metafore. Esse sono per lo più suddivisibili in antroponimiche, zoomorfiche, oggettuali, strumentali, ecc. Finestra è toponimo il cui etimo si fonda appunto in una metafora oggettuale stante a indicare evidentemente un luogo con una modesta apertura, un luogo che si apre, a mo’ di finestra, su altro più esteso. VIA OGLIARA Nello sviluppo urbanistico di Caposele, come si è detto altrove, Capriumi ha avuto una sua autonomia e una sua storia, tali da far ipotizzare addirittura la coesistenza in Caposele di due centri urbani del tutto indipendenti l’uno dall’altro. Capriumi nasce e si sviluppa spontaneamente attorno alle sorgenti della Sanità, e dalle acque copiose del Sele trae la sua vocazione di nucleo produttivo. L’acqua, è superfluo ricordarlo, è nei tempi passati un bene strategico e importante per le attività artigianali e mercantili, soprattutto se si considera il fatto che nella regione appulo-lucana di essa non c’è abbondanza. Le agliare (oleifici) assumevano, con un’importanza che travalicava l’uso locale e le relative produzioni olivicole, nel senso che qui convenivano da paesi vicini e lontani, tanti produttori ai numerosi e ben impiantati “trappeti” che in origine erano di proprietà feudale e poi man mano acquisiti da aristocratici locali. Via Ogliara è in tal senso la memoria toponomastica di una funzione produttiva sradicata all’epoca della captazione

delle sorgenti e trasferita altrove. Di quel lavoro artigianale vi è traccia in un sito, ma anche nella tradizione che fa di Caposele ancora oggi, il paese dell’olio e di una competenza nella lavorazione delle olive. VIA MOLINI Tra gli insediamenti produttivi di Capodifiume i mulini erano, forse, gli elementi più caratterizzanti della zona. Anche in questo caso è l’acqua a “muovere” quest’attività economica di notevole rilevanza. Le sorgenti della Sanità affioranti in oltre un migliaio di pozze si raccoglievano in un luogo pianeggiante e formavano un lago di discreta estensione. Da qui poi, si dipartivano verso un alveo emissario che a sua volta si immetteva nel maggior corso del Sele. Lungo questo canale si dipartivano tanti canali che alimentavano i mulini ad acqua. E’ il caso di ribadire che Caposele era raggiunta da molti agricoltori dei paesi irpini e lucani, ovvero di zone non proprio ricche di acqua. Pare che scegliessero Caposele, oltre che per la rapidità con cui si procedeva alla macinazione, anche per il prezzo di assoluta concorrenza che qui veniva praticato. Da qualche documento si ricava addirittura che la tassa sul macinato fosse alquanto più bassa, ovvero era “depurata” dalla quota di spettanza municipale. E’ utile, a questo punto, ricordare che i mulini (almeno 12) erano il residuo di opifici gravati da antichi diritti feudali, nel tempo riscattati da facoltosi cittadini del luogo (v’è di essi qualche traccia significativa nel contenzioso per il risarcimento da questi intentato avverso l’EAAP. Di certo l’afflusso per la macinazione del grano metteva in moto anche altre attività mercantili, prevalentemente ruotanti attorno ai prodotti agricoli locali e a quelli dell’artigianato che pure era molto fiorente e

Uno scorcio del Bosco Difesa: oasi di pace

sicuramente molto robusto rispetto a quello delle zone limitrofe. E’ da annotare, infine, che negli opifici all’attività molitoria erano associate altre lavorazioni (gestione familiare o industriale) o addirittura esercizi pseudocommerciali (pastifici, panifici, tintorie, gualchiere, oleifici, cantine, taverne, ecc.). Uno studio scientifico sulle attività di fine ‘800 rivelerebbe l’esistenza di una struttura economica robusta, dinamica e varia il cui tallone di Achille era costituito dall’acqua. Non fu un caso, allora, che la captazione totale delle sorgenti Sanità significò la caduta e la morte immediata di un centro, la cui fortuna si era fondata su un bene ch’era e resta strategicamente molto prezioso. BOSCO DIFESA Il termine difesa, molto ricorrente in Irpinia, stava ad indicare terre protette, sottoposte a particolari discipline dagli statuti municipali aragonesi. Erano accessibili alla popolazione per “legnaticum” o per “aquaticum” (diritto di fare legna o di attingere acqua) solo a determinate condizioni e, in termini più generali, con precise prerogative riservate al feudatario. E’ documentato che la difesa di Boiara era riserva di caccia del feudatario che “vi haveva dritto di vita o di morte su ciascheduno colto a cacciare”. La consuetudine di creare delle “difese” (zone protette) si protrasse fin nel 1800 coi Borboni, che nella loro politica agraria, molto attiva ed intelligente, impiantarono boschi ovunque motivi idrogeologici lo richiedessero. Le “difese” a bosco .... furono, tra l’altro, impiantate, per motivi climatici, là dove le valli erano in comunicazione tra di loro, per frenare le correnti di aria fredda, le quali danneggiavano le colture di pianura (valle Sele- valle Ofanto). Questo sito, però, ha una più antica origine e altro non è che un residuo di quello molto più esteso dedicato al dio

Silvano che nelle immediate vicinanze vi aveva il suo collegio e al quale fa riferimento la nota lapide scoperta dal Santorelli. Ne consegue, quindi, che la difesa coi suoi usi civici era “terra defensa” di pertinenza del Collegium Silvanicum, successivamente inglobata nei demani municipali, sotto la protezione dei feudatari e nei secoli, dopo una serie di passaggi, pervenuta al comune di Caposele.

CHIANCHE Il toponimo si è ormai attestato sul latino Plancae significante asse, tavola. Chianca, però, è pure appellativo geografico lucano indicante “lastre di pietra calcarea”, luogo disseminato di pietre. In Puglia, addirittura, significa “luogo spianato” e ancora “pietra di confine”. Scegliere sarebbe già alquanto difficile se non si aggiungesse la complicazione dell’etimo dialettale. Infatti in dialetto, se è vero che “chiancone” significa grossa pietra, non grande quanto un macigno, è pur vero che la chianca era (ed è) un arnese di legno in cui si costringe un bambino ancora non deambulante a stare in piedi. E quest’ultimo ci richiama a “chianca” inteso come un luogo angusto ove si macellavano le bestie e se ne vendeva la carne. E’ breve a questo punto il passaggio all’etimo “luogo di strage, luogo di sangue” e a poco serve rammentare che in luogo a monte del Sele, Spartaco e i suoi, dice Livio, furono macellati se poi non si hanno riscontri o reperti! Anche in questo caso una ricerca più accurata ci chiarirebbe tante cose, per cui l’affascinante ipotesi di “luogo pietroso ove si macellavano i capi di bestiame (magari di Valle di Porco) o ove è avvenuta una strage”, è tutta da dimostrare.

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MATINE La denominazione riflette l’antico appellativo pugliese “matina”, riscontrabile in moltissimi documenti medioevali col significato di terreno coltivato, terreno d’altura quasi pianeggiante. La sua radice prelatina è in “mat” monte, altura (mato) ha valore storico in quanto conferma che la parte coltivata di Boninventre non era molto estesa ovvero che parte consistente di detta contrada aveva avuta destinazione agricola. PIETRA DELLA TENTA Questo toponimo ci richiama alla memoria un’attività veramente unica nella zona. E’ ancora l’acqua a segnalare la storia di questo sito che qui consentiva, data l’abbondanza e l’impetuosità, l’impianto di attrezzature atte alla tinteggiatura dei panni. Pietra della tenta, quindi, sta per pietra della tintoria, ad indicare un caratteristico manufatto edilizio destinato ad opificio che insisteva su roccia. Di questa struttura, ferita dal terremoto del 1980, ne fu decretata la morte per il cosiddetto limite di convenienza economica: essa si inseriva, come elemento produttivo, nella maggiore area di Capo di fiume a ridosso di altri opifici ad essa funzionali, le gualchiere... SERRA E’ da condividere la riflessione di Nicola Fierro (le guerre sannitiche e gli irpini) sul consolidato uso in epoca sannitica del termine “serra” stante ad indicare una situazione non meramente geografica. E’ ormai definitivamente acclarato che i sanniti lungo tutti i loro confini e precisamente sulle alture di monti e colline, avevano allestito delle discrete fortificazioni. Si trattava in genere di cinte murarie in blocchi di pietra atte a ricevere, a ricoverare armenti e popolazione in caso di emergenza. Le cinte murarie edificate sui cocuzzoli di monti e colline servivano, appunto, a serrare. In epoca successiva “le serre” hanno ospitato veri e propri minuscoli villaggi rurali. Il riscontro di un tale toponimo se accompagnato da verifica archeologica potrebbe dare in alcuni casi esiti molto interessanti. (VIA DEI) LI VATECALI Molto importante questo toponimo per il valore storico: esso ci chiarisce definitivamente quale fosse la strada

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carrabile che collegava Caposele a Materdomini. I Vatecali, altri non erano che i carrettieri, o vetturali (vouteral). Alla base c’è il nome diffusissimo in dialetto irpino di vateca: animale da soma, adibito al viaggio. Da qui ne consegue che l’accesso carrabile alla frazione era appunto detta strada e non via Piani,.... Infatti la Nazionale fu costruita solo alla fine del secolo scorso, e la via Piani era inesistente, o al massimo non percorribile da vetture. VALLE DI PORCO Lo zootoponimo conferma che la valle era sfruttata per l’allevamento dei suini allo stato brado. Infatti, era nelle abitudini degli agricoltori romani crescere suini destinati di volta in volta alla macellazione, in modo libero, nelle terre incolte. CANNAVALE L’etimo potrebbe avere più origini tutte da vagliare ed approfondire. Una prima ipotesi ci riporta alla latina “cannabis” - canapa e all’altrettanto latino “valleus”- valloncello, luogo guadabile. La coltivazione della canapa pare ormai cosa acclarata, come il prodotto lavorato (in dialetto cannavieddu). Una seconda ipotesi potrebbe essere la fusione di canalis-valleus con raddoppio della “n” e troncatura della doppia “l” (ca(n)na va(l)leus. E anche questa interpretazione suggestiva sembra avere un qualche fondamento. Essa ci rammenterebbe che il guado a valle di “canale” è, appunto, cannavale, essendo quest’ultimo la parte terminale di detto vallone! Un’altra ipotesi, però, da non trascurare potrebbe riportarci al cannaba latino, inteso letteralmente come cantina, deposito, donde cannaba-valleus ® canna(ba)va(l)le quindi, punto di passaggio in un vallone per raggiungere le cantine. E’ notorio, infatti, che canavale da sempre è occupato da immobili destinati alla lavorazione e alla conservazione del vino. PIANO CARDONE Il fitonimo richiama le condizioni dei terreni pianeggianti a valle di Boninventre. Il cardo, infatti, è una pianta delle zone incolte, prevalentemente destinate a pascolo. Tale doveva essere anticamente detta zona. Infatti, è acquisito storicamente che la parte abitata e quella più propriamente coltivata era nella media collina. Per un approfondi-

Via Castello: una stradina realizzata dopo il terremoto

mento è utile leggere la parte dedicata a Boninventre. CERASUOLO (CIRASULO) Il fitotoponimo ha un chiaro riferimento al ciliegio, in latino cerasus, in dialetto cirasu. La zona era anticamente coltivata a ciliegi, molto probabilmente trattavasi di vegetazione spontanea, solo successivamente condotta a coltivazione “intensiva”. PROFOSSI Prufuossi, in dialetto, in opposizione ad altra località evidentemente chiamata fossi. In questo senso è territorio di fronte, davanti, sopra, i fossi. (neglia a prufuossi, acqua a li fuossi!) MINUTO E’ idronimico derivato da aggettivo. Minutus significa piccolo. Quindi piccolo fiume. Tale doveva essere visto in confronto al Sele, grande fiume all’epoca con i suoi circa 10 metri cubi al secondo.

SERRA CASTELLO E’ acclarato l’etimo metaforico di “serra” intesa come altura e il luogo inequivocabilmente si presta a questa lettura. Resta da comprendere la denominazione “castello” del sito e qui la cosa si complica alquanto. Castello deriva dal latino “castellum” voce per lo più ritenuta un diminutivo di “castrum” - fortezza - campo munito. Ma a cosa serviva una fortezza a ridosso di Oppido, di Boiara, di Caposele? A nulla: non esistono in sito, a riguardo, resti di mura. Perché, allora, castello? Molto probabilmente nel caso in esame l’etimo ha un valore traslato: nelle zone montane “castello” può significare “roccia a picco di difficile accesso, roccia pensile,ecc. La cosa allora si fa più probabile e può essere coniugata con le esigenze difensive di tutta la zona, per cui ipotizzare che su questa roccia a picco vi fosse una vedetta mobile d’epoca antica non è azzardato.

PORTELLA Il toponimo, come in molti altri casi riscontrati in Italia, richiama all’attenzione la funzione del sito. Portella è località all’imbocco di una zona (nella fattispecie del paese) di cui domina l’accesso, giustificando così il nome che le è attribuito. I romani chiamavano portae o portulae, le strette gole, o anche quei punti di passaggio tra alture e valli.

Corso Garibaldi

PRO LOCO CAPOSELE CCP n. 14947832


Uno scorcio di Caposele dalla zona delle "Cantine"

COSTE DI S. LUCIA Dal latino “costa”, costola, costa, fianco di un’altura. L’agionimico ci richiama il culto ad una santa molto venerata in paese, che addirittura vi aveva cappella a lei dedicata e la festività locale fissata il 13 maggio (anzicchè il 13 dicembre), forse a significare che aveva soppiantato la devozione a qualche precedente divinità pagana. Nella lapide al dio Silvano si parla di una festività detta “rosalia” (stranamente ricadente in maggio). E che dire, poi, delle stranezze di una santa Lucia che aveva sacello in luogo detto SANDU LIA?!? PASTENA Il toponimo ripete un antico appellativo del Latium, ben documentato nell’alto medioevo. Esso si riferisce a terreno divelto, scassato, lavorato per impiantarvi vigneti. Questo termine conferma l’ipotesi che quella zona era precedentemente boscata, a protezione di duomo, e, poi, solo successivamente recuperata ad un uso agricolo più produttivo, ma sicuramente dannoso per l’equilibrio idro-geologico. Conviene qui rammentare che il “pastinato” in Irpinia era un vero e proprio contratto agrario consistente nella concessione di terre da parte del feudatario ai contadini affinchè la dissodassero e la migliorassero in cambio del diritto di costruirvi una casa, pagando il canone non appena essa cominciava a rendere: la casa poteva essere trasferita ai figli. COSTA MANCINARA E’ un toponimo che alla sostanza della caratteristica geomorfologica del sito (costa è il fianco di un monte) aggiunge il termine mancinary, derivato toponimico di un aggettivo.

Manku - mancino, in vernacolare Mancuso ® settentrionale, non esposto al sole. Perché, c’è da chiedersi, necessariamente il lato sinistro è il lato settentrionale? E’ semplice: uno dei modi più antichi di orientarsi consisteva nel riferirsi alla posizione del sole all’alba. Posizionandosi col viso rivolto ad oriente, era ovvio che la sinistra del nostro corpo cadesse a nord, ovvero “la mancina era a mancuso”. Mancinara, quindi, è una integrazione, una mutuazione di due posizioni (riferite sia all’osservatore che alla cosa osservata). BOIARA In dialetto viara/buiara e nella lapide al dio Silvano rinvenuta nel secolo scorso da Santorelli “vivario”. Era uno degli elementi difensivi del Ferentinum Hirpinum. Qui sorgeva un castrum vivarium in un notissimo nodo stradale antico. Esso sorvegliava ben tre vie strategiche: la prima proveniva dall’Apulia, lungo il corso del fiume Ofanto; la seconda, dalla Lucania, lungo il corso del Sele; la terza, da Maluentum, lungo il corso del Calore irpino. La posizione era effettivamente importante e fu tenuta sempre in debito conto non solo dagli irpini e dai romani, ma successivamente anche dai goti, dai longobardi, e dai normanni. Ultimi furono i tedeschi nella seconda guerra mondiale, che qui si accamparono. Ma cos’era un castrum vivarium? Non era di sicuro un accampamento, ma qualcosa di più stabile (stativum). Era un luogo fortifcato o castello che, oltre a compiti più propriamente militari legati all’attività di vigilanza, svolgeva anche attività di allevamento e di ingrassamento di animali. Forse trattavasi di un vivarium aviarum (allevamento di volatili), da qui la dizione viaro (e non vivario).

In Roma esistevano parchi destinati all’allevamento di ogni genere di animali, poi venduti per le venationes. Acclarato, ormai, che questi siti erano confini tra popoli bellicosi, è da considerare il fatto che essi furono sicuramente soggetti a incursioni e contese per il controllo strategico. I romani, in fondo, sfrattati i sanniti, no fecero altro che fondare una colonia militare. Nel liber coloniarum si legge: ”Bovianum, Oppidum, lege julia milites deduxerunt sine colonis...” Essa fu sicuramente l’ultimo rifugio della nobiltà sannitica, dopo la sconfitta di Aquilonia (Livio X, 41); qui si rifugiarono anche le coorti irpine, accorse in aiuto a Comino. Il luogo in età preromana era una vasta area pastorale per gli allevamenti bovini e ovini. Bovianum hirpinum, coi suoi vici e pagi, aveva una superficie territoriale di almeno 500 Ha (vedi Fierro pag. 52) con una sua autonomia economica e con le strutture difensive proprie dei popoli di confine. Resta da capire perchè nel dialetto è da alcuni chiamato viaro e da altri buiara. Il tutto dipende dalla forza di sopravvivenza della funzione del sito: castrum vi(v)ariu(m) in alcuni, oppidum bo(v)anum in altri. Di certo il culto a S. Vito, protettore dei pastori, introdotto dai cristiani, fa pensare al soppiantamento di altro pagano dedicato forse a Silvano e Marte, anch’essi protettori dell’agricoltura e della pastorizia. A questo punto appare utile comprendere il significato “storico” di alcuni termini ricorrenti. “territorium.... quid quid hostis terrendi causa constitutum est”. In linguaggio agrario equivale a regione, a terreno coi suoi confini naturali, di un oppido, di una città, di un municipio ove era possibile insediare una colonia. Agro è parte di un territorio, fondo è parte dell’agro, luogo è parte del fondo. Territorium - (terra) | Ager | Fundus | Locum

se. L’area divenne di fatto, patrimonio comunale. Le lavanghe, prima del ‘900, avevano altro nome e dividevano il paese in due nuclei: Caposele di sopra (capo di fiume) e Caposele di sotto (castello, piazza, ecc.). Questa divisione netta produceva riflessi sia nell’inflessione dialettale che negli usi (abbaddi-ammontu). Erano, fino a qualche decennio fa, note le contese, gli scontri, le gare tra ragazzi dei due nuclei abitativi. E’ molto comune nel dialetto irpino. Sta per langhe (piemontese), per il francese “lavanche”, per il lombardo lavanca.

Via Piedigrotta

Via Santorelli verso la ex Caserma comunale

LAVANGHE E’ chiaro il riferimento alla “valanga” con una inversione sillabica, stante ad indicare un luogo soggetto a instabilità geologica, a smottamenti , a sfascio idrogeologico. Quest’area fu pressocchè totalmente insediata in occasione dei lavori dell’acquedotto pugliese, e occupata da baracche per uso abitativo, successivamente rimos-

Via Santorelli con la nuova pavimentazione

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Apriamo,

con questo numero,

una nuova rubrica dedicata alla

stampa provinciale e nazionale,

riportando fatti , personaggi e avvenimenti di cronaca

che

riguardano in particolare il

Paese. La rubrica è curata da Gualfardo Montanari corrispondente de “Il Mattinoâ€? nostro

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STUDI ECONOMICI E SOCIALI Dalla rivista “Studi economici e sociali” abbiamo tratto un interessantissimo studio di Aldo D’Elia, docente nell’Università del Sannio , cattedra di Economia e gestione delle imprese turistiche. “Irpinia: ricostruzione e trasformazione socio-economica” è il titolo dello studio che parla dei nostri luoghi e dell’ "eterno fiume Sele", grande protagonista di questi luoghi e non solo di questi. L’analisi socio economica di Aldo D’Elia è davvero profonda e merita una lettura interessata e attenta.

IRPINIA: RICOSTRUZIONE E TRASFORMAZIONE SOCIO-ECONOMICA di ALDO D’ELIA

Aldo D’Elia

Economia società e ambiente: cambiamenti radicali L’Irpinia è stata interessata negli ultimi due decenni da una trasfor­mazione socio-economica pressoché radicale che ha interessato vasti am­biti della sua economia, della sua società, dell’ambiente. Archiviata quasi definitivamente la parentesi industriale sopraggiunta con l’intervento straordinario post-terremoto, l’indirizzo economico sem­bra spostarsi prevalentemente verso quelle attività legate al turismo ed al tempo libero. L’industria tradizionale, che aveva fatto intravedere un ra­pido sviluppo e molti posti di lavoro è stato un sogno per molti dall’amaro risveglio. In particolare nell’alta Valle del Sele; sta al suo po­sto prendendo piede una cultura microimprenditoriale orientata all’ospitalità ed al tempo libero. Il colpo d’occhio è molto particolare e quello che è accaduto in que­sti ultimi anni merita una descrizione accurata: lasciando la Salerno Reg­gio Calabria pochi chilometri a sud di Battipaglia dove il fiume Sele in­ contra la pianura disegnando un’ampia ansa con la complicità di porten­tosi sbarramenti artificiali e più precisamente all’altezza di Contursi, pic­colo polo termale del Salernitano in attesa di rilancio, si prosegue velo­cemente a ritroso lungo il sinuoso letto del fiume grazie alla strada fon­dovalle che prende il suo nome. La ‘Fondovalle Sele” è per l’appunto una buona opera di ingegneria stradale che ha pesato però notevolmente sull’ambiente che la ospita. Una volta terminata definitivamente la querelle giudiziaria che ne ha scandito i chilometri e le formalità relative ai collaudi dell’ultimo tratto essa ha l’ambizione di collegare il cuore dell’Irpinia con il versante tirrenico convergendo sulla A3, tracciando una perpendicolare che unisce Lioni ed Eboli. Si tratta di una delle componenti della rete di infrastrutture che nel bene o nel male hanno contribuito a modificare la geografia dell’area cosiddetta “del cratere” che ricalca la zona maggiormente interessata dall’evento sismico del 1980. Bisogna effettivamente rilevare che in precedenza la forte carenza di vie di comunicazione con il più “industrializzato” versante salernitano e la totale assenza di qualsiasi iniziativa economica non legata all’agricoltura hanno relegato per decenni questa sub-regione ai margini dell’economia meridionale indebolendone il suo

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tessuto sociale ed eco­nomico fino all’ inverosimile, spingendo intere generazioni all’emigra­zione verso il nord Italia e verso il nord Europa, principalmente in Ger­mania. E’ un fenomeno quello dell’emigrazione che ancora perdura in questi piccoli abitati dove la creazione di incubatori economici non riesce ad assorbire l’offerta di lavoro dei residenti. Industrializzazione e cultura rurale C’è una civiltà rurale che fa fatica ad adattarsi ad una “civilizzazio­ne industriale fatta di paghette e di ruoli che contrastano con la cultura di questi luoghi. Spesso questi esperimenti di microindu-strializzazione cala­ta dall’alto innescano nelle comunità locali una trasformazione antropo­logica che interessa soprattutto i più giovani. Questi ultimi non hanno nulla di diverso - almeno nelle aspirazioni - dai loro coetanei del centro-nord anche grazie ad un veloce e capillare linguaggio universale fatto di stereotipi, aspirazioni omologate e codici culturali di massa che proprio qui, in un sud profondo diventano in assenza d’altro, un modello imitativo che può però anche considerarsi un argine alla forte “emorragia” di popolazione attiva. Le gravi carenze relative alle vie di comunicazione di cui si parlava in precedenza vennero drammaticamente alla luce proprio nei tragici giorni all’indomani del sisma. All’epoca uno dei maggiori ostacoli che incontrò l’immensa opera di soccorso fu proprio la viabilità: la vecchia Statale che ancora si inerpica lungo quello che Strabone già in epoca Romana chiama in molte occasioni “Silarus”, l’eterno fiume Sele, grande protagonista di questi luoghi e non solo di questi dal momento che circa i due terzi delle sue purissime acque vengono captate alle sue sorgenti: la “Fonte Sanità” alimenta infatti con i suoi 5000 litri di acqua al secondo il grande acquedotto pugliese. Siamo in presenza di uno dei bacini idrogra­fici più importanti del mezzogiorno. Quello che rimane dopo le deviazio­ni e comunque un fiume che scorre portentoso attorcigliandosi complica­tamente attorno ai borghi medioevali adagiati sui suoi fianchi intreccian­dosi con l’unica strada di penetrazione prima della Fondovalle, la strada statale 24. Ma dei borghi medioevali nessuna traccia. I paesi dell’alto Sele sono

delle “new town”, di antico hanno solo i nomi; S. Gregorio Ma­gno, Valva, Conta, Teora, Santomenna... Luoghi i cui abitanti non potranno mai più dimenticare quella tragica sera datata domenica 23 novembre 1980 quando tutti i sismografi del mediterraneo registrarono l’urto dei 6.8 gradi Richter della prima, intermi­nabile scossa seguita da un fenomeno di assestamento caratterizzato da migliaia di altri sommovimenti susseguitisi nei due anni successivi. A parte lo sciame sismico le popolazioni dell’alto Sele e dell’lrpinia dovettero affrontare un rigidissimo inverno e purtroppo dovettero anche fare i conti con l’emergenza: le varie leggi speciali, i Prefetti avvicendati per Decreto Presidenziale, l’istituto dei Commissari Straordinari caratterizzarono i primissimi anni fatti di tendopoli, roulottes e containers di fer­ro in una zona notoriamente appenninica i cui abitanti formano piccole comunità dagli usi antichi dove il tempo è ancora scandito da ritmi rurali che danno luogo ad un paesaggio umano inconsueto. Le attività di queste popolazioni sono legate alla collina. Il colpo d’occhio però, è improvvisamente qua e là interrotto dagli insediamenti industriali che avrebbero dovuto dare per la prima volta fiato e vitalità alle fragili economie locali fatte soprattutto di piccoli allevamenti, vite, olivo, sottobosco, acque qualche volta minerali o termali, preludio di un turismo

Aldo D’Elia è docente nell’UniverSannio, Facoltà di Economia, cattedra di Econ ­ omia e gestione delle imprese turistiche ed amministratore delegato della Tourist Trend Consulting s.r.l. sità del

della salute abbi­nato a percorsi enogastronomici. Due risorse queste che costituiscono il nervo di una economia del turismo in fase di genesi autopropulsiva. Purtroppo però, questi contenitori sono rapidamente entrati in crisi uno dopo l’altro, alcuni di essi non sono mai addirittura partiti. In ogni caso essi si sono lasciati dietro cicatrici sociali ed ambientali fatte di nuo­va ed aggiuntiva disoccupazione quando non spazi in aperta campagna da bonificare al più presto per far si che vengano restituiti o integrati con i fondi circostanti, tutti puntualmente attraversati o irrigati da questo Sele che conserva nel suo alveo elementi geologici, autentiche testimonianze di passati sconvolgimenti, autori del modellamento dei paesaggio ai suoi lati. Questo Sele, fiume adorato dai Greci della piana di Paestum come una divinità e per tutti questi motivi una striscia di storia liquida che si getta in un mare, quello del golfo di Salerno ormai irreversibilmente inquinato almeno nella sua parte centrale e superiore nonostante gli sforzi dell’attore pubblico di depurazione delle sostanze inquinanti ascrivibili essenzialmente alle zone industriali di Salerno e Battipaglia nonché agli inquinatissimi corsi d’acqua che le attraversano (soprattutto i fiumi Fuor­ni,

Un tratto del fiume Sele nel suo alveo originario sotto l'attuale piazza Sanità


Ricerche

Il fiume Sele nella sua originaria impetuosità

Picentino e Tusciano, anch’essi oggetto di bonifica), ma anche dai numerosi canali di irrigazione de!la bassa Piana del Sele saturi di ogni ti­po di fertilizzanti usati nelle coltivazioni intensive di frutta pregiata da tavola da qui esportata in Italia e nel mondo in quantità industriali. Vulnerabilità naturale dei luoghi A proposito della vulnerabilità naturale di questi luoghi invece, già nel 1838 Tenore e Gussone (il primo fondatore e direttore del Reale Orto Botanico di Napoli ed il secondo anch’egli noto botanico), nel loro “Viaggio nel Vulture” appassionato trattato di geologia e di botanica, at­traversando l’alta valle del Sele rilevavano la presenza “di molte e diverse formazioni “- eppure tutte in stretto contatto tale per cui i due dotti esplo­ratori si convinsero di trovarsi di fronte ad “incidenti che si legano ai più generali cataclismi del mondo”. Annamaria Ciarallo e Lello Capaldo1 nella rilettura dei loro diari affermano che la loro intuizione è sorprenden­temente giusta poiché anticipa ante litteram la teoria delle spinte tettoni­che sconosciuta all’epoca di Tenore e Gussone ma drammaticamente nota in terra di Irpinia e Lucania fin dalla notte dei tempi. Solo 13 anni più tardi infatti, e precisamente la mattina del 14 agosto 1851 Sir Harold Ac­ton2 ci racconta che “l’aria era cupa, l’atmosfera plumbea. Un incon­sueto silenzio si colse dal mondo animale”. Poi, il solito boato, e quello che seguì fu il peggior sisma dopo quello del 1805. Nella sola città di Melfi vi furono circa 1500 vittime, “nella campagna buoi e carretti ven­nero inghiottiti dai crepacci apertisi e un lago dalle acque tiepide e salse scaturì dal nulla”. Ferdinando II di Borbone vi si recò di persona e ne fu molto impressionato3. Così profeticamente teorizzavano i nostri quando si trovavano all’incirca là dove nel 1930 e nel 1980 sarebbero stati localizzati gli epi­centri degli altri due grandi sismi del secolo ormai trascorso. Quando eb­bero questa sconcertante e geniale intuizione per la quale erano bastate solo sette miglia di cammino a dorso d’asino per giungere nei pressi delle sorgenti del Sele. La loro portata ha subito un incremento con il sisma dell’ottanta, a causa dell’innalzamento del sottostante bacino idrografico tanto che il tunnel di incana-

lamento dell’acquedotto pugliese subì a sua volta uno scostamento in verticale dì mezzo metro dividendosi di fatto in due tron­coni.4 Questo fenomeno alimentò non poche preoccupazioni all’indomani del terremoto: curiosamente si osservò in seguito che il giorno stesso del sisma si registrò la portata minima storica dell’anno idrologico 1979/80 ovvero 4240 litri di acqua al secondo. Il giorno suc­cessivo la portata aumentò di appena 50 litri al secondo ma il 26 novem­bre raggiunse quota 4.630 litri al secondo. A metà del mese di gennaio del 1981 (quindi nemmeno due mesi più tardi) si registrò la portata mas­sima storica: 7.300 litri al secondo! 5 Poi lentamente le sorgenti di Caposele, 6 - questo è il nome dell’abitato in cui esse si trovano - ritornarono ai loro valori consueti. Per visitarle occorre recarsi nel pieno centro dell’abitato, ma non basta: oc­corre anche un fonogramma “ad horas” del Presidente dell’acquedotto Pugliese per ovvie ragioni di sicurezza senza del quale gli addetti alla cu­stodia non consentono l’accesso la cui inviolabilità è peraltro ulterior­mente garantita dalla locale Stazione dei Carabinieri all’uopo ubicata pra­ticamente a ridosso dell’edificio che protegge l’enorme bolla d’acqua di poco sottostante. Poco più in là della protettissima sorgente Sanità, altre copiose dira­mazioni del fiume (il secondo della Campania e del sud) sono state inca­nalate da argini artificiali sui quali sorgono sobrie aree attrezzate per pic­nic meta di famigliole che arrivano soprattutto dal napoletano. Ancora più a nord l’inizio di una utile strada interpoderale che reca una cortese e non dovuta indicazione in bella grafica “Lioni Km 9”. Ci si arriva attraversando il bosco ceduo detto della “Difesa”, importante risor­sa per i caminetti delle famiglie della zona e per gli ormai numerosi forni di aziende agrituristiche nonché dei molti ristoranti del vicino santuario di Materdomini, ennesimi segnali di una economia dell’ospitalità in evolu­zione spontanea ma che promette sviluppi interessanti. Nelle sue profondità questa apparentemente innocua località custodi­sce uno dei punti continentali più esposti al gioco delle spinte ascrivibili alla forza d’urto della zolla africana. L’Irpinia e l’alto Sele sono separate da quella espressione geografica chiamata Sella di Conza che divide anche la valle del Sele da quella dell’Ofanto. Corrisponde al punto di superficie identificato con l’epicentro del sisma dell’ottanta. L’ipocentro

invece fu individuato a 11 km di profondità. Quella calda sera di novembre illuminata a giorno da uno splendido plenilunio la faglia sismogenica dell’Irpinia che si sviluppa per 40 km di lunghezza da Nusco a S. Gregorio Magno e per 17 Km di larghezza si ruppe in tre punti facendo vibrare con violenza Puglia, Cam­pania e Basilicata causando vittime e danni da Potenza a Napoli. E’ un luogo silenzioso, ventilato, pianeggiante. La sua superficie presenta visto­se deformazioni ed in molti punti si notano ancora sprofondamenti dovuti alla furia del sisma. Ruderi di pollai e stalle un tempo colonizzati si trovano interrati per la metà della loro altezza come inghiottiti da piccole voragini sottostanti. Si tratta in realtà di veri e propri sprofondamenti, e­vidente conseguenza del movimento tellurico. Nel grembo di questa collina allungata come un altopiano lungo due, forse tre chilometri è successo tutto in pochi attimi che corrispondono al­lo slittamento della faglia quantificabile in termini di pochi decimetri. Stessa misura, stessa faglia, stessa intensità dei precedenti sommovimen­ti. Un replay annunciato? - non si sa. La comunità scientifica sembra però concordare sui tempo di ritorno dei terremoti su questa faglia stimato in 50 anni con una migrazione degli epicentri da sud verso nord.

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L’importante contributo della scien-

Il contributo della scienza è stato notevole in questi venti anni e que­sto grazie anche alla appassionata opera di studiosi di livello internazio­nale. Ormai di questa famigerata faglia si sa quasi tutto e con molti detta­gli. E’ stato possibile identificare lo sprofondamento delle superfici giun­gendo finanche a visualizzare il piano che ne ha prodotto il movimento. Essa presenta una inclinazione di 60° ed in parte immersa in profondità. Presso Colliano in provincia di Salerno esiste una località chiamata “Pia­no di Pecore” semi-sconosciuta finanche nello stesso abitato ma proba­bilmente molto più nota in Giappone o negli Stati Uniti tra gli scienziati di geofisica. Corrisponde al punto di visualizzazione della zona di scor­rimento a vista della faglia: un raro documento

della geofisica che ha ri­velato informazioni preziosissime per lo studio e la prevenzione di simili catastrofi. Piccola postilla: a causa di questo scorrimento l’intera Irpinia ha subito un abbassamento quantificato nella misura di un metro circa.7 Ma se in profondità tutto o quasi è abbastanza chiaro, ben diversa­mente sono andate le cose in superficie. Scandali, ritardi, ricostruzione di interi centri fatte di orripilanti colate di cemento, inutili infrastrutture e altre brutture caratterizzano spesso il nuovo paesaggio del cratere. Attraversando la Fondovalle Sele e l’Ofantina, l’altra arteria a scor­rimento veloce, il colpo d’occhio sembra quasi paragonabile a quello di qualche nuovo stato australiano. E’ tutto un pullulare di case coloniche ben fatte, fresche di intonaco o di centri storici frutto di un generoso ma­nierismo che rievocano molto nel vago le precedenti linee architettoniche degli edifici in pietra. Molte sono le piccole aziende agricole e agrituristiche che producono buoni vini locali e anche qualche D.O.C. Pittoreschi greggi pascolano brucando l’erba verde dei pianori ad un passo dagli svincoli di queste re­centi superstrade, scarsamente trafficate. Solo nelle ore di punta i lunghi nastri di asfalto che squarciano gli altipiani appenninici si vivacizzano un pò con un traffico mai congestionato, disciplinato e composto. Se la pri­ma di queste due arterie ricalca il percorso del Sele la seconda taglia in due l’Irpinia: da un lato il versante che guarda alla Puglia, dall’altro quel­lo che penetra la Lucania fino ai laghi di Monticchio, di chiarissima ori­gine vulcanica nel comprensorio del Vulture Melfitano, sulle cui sponde è allocata una consolidata stazione turistica interessata da flussi provenienti da un bacino interregionale che può contare su buone attrezzature e su di una discreta ricettività. Al lato opposto, sul versante orientale del gruppo dei Cervialto (tra le cime più alte della Campania e nel cuore dei Monti Picentini, che danno corpo all’omonimo Parco Regionale) è adagiata, nel­la sede di un antico ghiacciaio, la stazione sciistica di Laceno, la seconda della Campania dopo quella dì Campitello Matese. Ambiente ben conser­vato, come tutto l’alto rilievo dell’intera Irpinia, Laceno offre impianti di risalita ed alberghi a conduzione familiare

Caposele, 9 settembre 1934

L’ACQUEDOTTO Limpida è l’acqua che per natura doveva andare dalla parte del Tirreno e per vo­lontà degli uomini andrà verso l’Adriatico e il Mar Jonio. Questo è il punto, mi dicono, dal quale l’Acquedotto Pugliese incomincia la di­stribuzione dell’acqua ai comuni. E’ un’informazione importante. Ma non m’importerà di ricordare se non il nostro anda­re sottoterra in un tubo, titubanti, in fila per uno, con una lanterna, e senso di cas­saforte, e senso di tabernacolo, il senso di miracolo del fiume apparso improvvisa­mente in un segreto. Quell’apparizione di acqua: sorprendente come una grande contentezza immaginaria fra il sonno nell’oscurità della mente. UNGARETTI

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Ricerche è aperto facendo cre­scere questo pezzo di sud in fretta ed un pò artificialmente nell’assenza di una pianificazione territoriale che abbia veramente tenuto conto della trasformazione ambientale ed antropologica, tanto che appena avvertito il tracollo delle nuove attività, le popolazioni locali adesso guardano ad un nuovo orizzonte: quello del turismo appunto. Ecco dunque che a Conza della Campania l’amministrazione comunale invoca l’inizio di seri ed a­nalitici scavi archeologici per riportare alla luce gli importanti resti Ro­mani; altri comuni come Senerchia, Colliano, Calabritto fittano ai non re­sidenti provenienti dalle aree urbanizzate delle regione i prefabbricati pe­santi in legno costruiti in stile bavarese da banche o enti tedeschi all’indomani del sisma e contemporaneamente chiedono ad alta voce il ripristino dei luoghi dove campeggiano i relitti di improbabili e non me­glio definite

Via Imbriani e Piazzino

oltre a numerosi ristorantini. Già interessata da fenomeni di congestione Laceno rimane una località dove è possibile fruire di un prodotto turistico non omologato dagli stan­dard delle grandi stazioni alpine con indicatori prossimi ad un modello di sviluppo turistico “sostenibile”. Dopo due decenni tutto appare rimarginato, anche i grandi movimen­ti franosi rimessi in moto dal sisma come ad esempio quello di Calitri, paese disintegrato dal sisma e ricostruito come molti altri a valle. Ma per capire cos’è stato veramente il terremoto dell’ottanta biso­gnerebbe compiere un atto di omaggio visitando quegli angoli delle nuo­ve piazze dei centri più colpiti dove puntualmente sono state sistemate steli e lapidi con su incisi uno per uno i nomi delle vittime. Sono luoghi curatissimi (uno degli atti dì grande civiltà ascrivibile alle classi politiche locali) dove si possono ricontare le migliaia di vittime di quella tragica sera. Le prospettive future Tuttavia la vita continua e le nuove generazioni di ventenni del sisma non sanno praticamente nulla. Forse ricordano solo il disagio dei contai­ner vissuto nella loro prima infanzia. La maggior parte ne conosce i det­tagli solo grazie ai racconti dei più anziani. La società Irpina sembra assolutamente in linea con il resto della regione e quindi del paese. Si avverte un certo cambiamento ed una accentuata moder-nizzazione. Venti anni di ricostruzione bisogna dirlo hanno comunque portato con sé spinte consi­ derevoli che in un modo o nell’altro hanno generato importanti ricadute economiche cd occupazionali soprattutto sul comparto edilizio e sul suo indotto.Parlando con la gente sembra che tutto sia alle spalle. Guarda al futu­ro l’Irpinia con un occhio all’Europa e uno alla propria cultura. Una cul­tura fatta di valori tradizionali: la famiglia, la casa, spesso il podere o la ditta, il legame con i luoghi di origine, il rapporto con una geografia diffi­cile, il tutto però coniugato anche ad una dinamicità sociale che produce - questo è certo - positivi cambiamenti globali i cui protagonisti sono da identificare negli adolescenti di allora, oggi trentenni e quarantenni del ceto dei professionisti che reagendo alle avversità

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trovarono un motivo in più per frequentare gli atenei napoletani o più semplicemente gli istituti superiori di Salerno affrontando fino a cinque sei ore di viaggio al giorno in corriere pazientemente in coda dietro le colonne dei mezzi di soccorso e della ricostruzione. Oggi sono brillanti avvocati, architetti o ingegneri, giovani padri e giovani madri tornati ai luoghi di origine che hanno avuto un ruolo importante nella ricostruzione territoriale e morale dell’Irpinia. Questa giovane classe dirigente figlia della seconda scolarizzazione di massa ha rimesso in moto speranze importanti. I loro figli con ogni pro­babilità saranno completamente emancipati e questo, che altrove è un da­to scontato non lo è di certo da queste parti. Esiste anche un articolato ce­to imprenditoriale ed anche qui il popolo delle cooperative e delle partite Iva sta mettendo alla prova se stesso. Della classe politica che gestì l’emergenza terremoto non resta più molto. Decimata dalle vicende giu­diziarie susseguitesi per decenni non trova più espressioni istituzionali di rilievo. Del resto in questa sfortunata terra un vero indirizzo economico non lo aveva mai dato nessuno: non i Borboni con la loro politica di conser­vazione di antichi privilegi, men che meno Mussolini, con la sua politica di guerra e purtroppo fino al 1980 neppure la Repubblica. In effetti il primo vero agente di sviluppo dell’economia locale è stato il sisma. Sessantamila miliardi di lire, tanto è costata allo Stato la ricostruzio­ne dell’Irpinia. E’ difficile dare un giudizio definitivo a quello che è stato fatto ed al modo in cui è stato fatto. Una cosa è certa: senza questo terre­moto l’Irpinia non sarebbe stata quella di oggi. Questo dato è fin troppo evidente e merita una riflessione profonda. Interrogarsi oggi sulla portata di questo intervento per molti non ha senso. Nemmeno se si andassero a riaprire le centinaia di fascicoli che hanno dato vita ad inchieste shock mal sopite. Sembra che tutto sia stato dimenticato ed anche in fretta pro­prio grazie alla pioggia di occasioni inevitabilmente arrivate con la rico­struzione. Essa è praticamente terminata. Un nuovo osservatorio geofisico sta per nascere in Irpinia ed un altro capitolo della storia economica del mezzogiorno si

“filiere industriali” che sono già un campione di moderna archeologia industriale e che, dicono, deturpano l’ambiente impedendo che l’occhio spazi liberamente sulla valle di questo Sele, infinito Sele do­ve più che gli scarichi è tornata la Lontra, guardata a vista dall’onnipresente Falco Reale. Aldo D'Elia

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE AA.VV. Annali di geofisica, Irpinia dieci anni dopo, Atti del convegno mondiale di Sorrento del 19-24 novembre 1990. Acton Harold. (1973), Gli Ultimi Borboni di Napoli, Giunti Martello, Milano. Celico B.(1986), Prospezioni idrogeologiche, VoI. II., Liguori, Napoli. Ciarallo A., Capaldo C. (1995), Viaggio nel Vulture, Commento al diario di viaggio di Tenore e Gussone (1838) edizioni Osanna, Venosa, Coppola P. (1986). Introduzione alla Geografia Umana, Einaudi, Napoli. NOTE I. Cit. Ciarallo-Capaldo (1995), Viaggio nel Vulture, Commento al diario di viaggio di Tenore e Gussone, (1838), edizioni Osanna, Venosa, pag. 30 2 Cfr. Acton Harold (1973,) Gli ultimi Borboni di Napoli, Giunti Martello, Mi­lano, pag. 354 3 Ibid. pag. 354 4 Cit. Cotecchia Effetti del terremoto sull’ambiente naturale ed antropico e problemi di ingegneria strutturale, in Annali di geofisica, pag. 91 5. Cit. Celico (1968), Prospezioni idrogeologiche, Vol, II., Liguori, Napoli, pag. 151 6. lI Comune di Caposele gode anche del privilegio dell’esenzione dal paga­mento della bolletta dell’acqua 7. Ibid. Annali di Geofisica AA. VV. pag. 90

Una visione panoramica del paese dai Piani


Una rubrica fotografica dedicata al nostro Paese che giorno dopo giorno assume una nuova veste, si trasforma, cambia connotati morfologici. Siamo convinti di fare cosa gradita ai nostri lettori illustrando i luoghi del cambiamento che, spesso, hanno subĂŹto stravolgimenti totali e, con nostro grande dispiacere, hanno oggi forme e connotazioni molto lontane dalle originali.

Via Palladino : nuovo spazio pubblico per il parcheggio delle macchine. Il collegamento con via Piedigrotta è diventato pedonale

Nuovo parcheggio in via Piedigrotta con la nuova pavimentazione

Via Palladino e la nuova pavimentazione

Via Imbriani

Nuovo spazio pubblico dietro la chiesa Madre, con la nuova pavimentazione

Il nuovo polo scolastico, quasi pronto per ospitare gli studenti

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La foto dei ricordi

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acrime amare accompagnano questa mia notte insonne, mentre i tuoi occhi mi sorridono con amore, quasi ad accarezzare il mio cuore sofferente. Ma è solo una foto…Che darei per averti qui, per stringerti tanto forte da toglierti il fiato. Mi manchi. Mi manchi tanto. Son trascorsi ormai più di due anni, ma quando ti penso avverto soltanto l’assurdità di questa realtà…e ancora mi chiedo con dolore perché non ci sei più. Certo, lo conosco il motivo, ma il mio cuore non potrà mai accettarlo. Chissà perché sto qui a tormentarmi in questo modo, anche la luna in cielo vuol darmi conforto con il suo splendore, ma io continuo a bagnare il cuscino. Forse perché un altro anno sta per lasciarci, e come tanti faccio un po’ il “bilancio”. Mi chiedo spesso se ho dato ad ognuno l’amore che merita, come avresti fatto tu, se ho rispettato l’amorevole Madre Natura, come avresti fatto tu. Sai, zio, spesso è difficile essere giusti con gli altri perché intense emozioni e forti sentimenti attanaglia-

no il nostro animo; quando provo rabbia, risentimento verso qualcuno, mi sento turbata da questi sentimenti e penso a te, alla tua infinita pazienza, alla tua umiltà, alla tua dolcezza, al tuo altruismo che donavi a chiunque. In te ho sempre trovato calore e sostegno; sei stato una colonna per me e per chi ti ha amato come me. E continuerai ad esserlo, finché ognuno porterà nel proprio cuore almeno una goccia della tua ricchezza d’animo. Ogni fiore ti amava, ogni filo d’erba, ogni goccia di rugiada, ogni piccolo insetto, ogni albero si innamorava di te, si fidava di te perché la forza del tuo amore prorompeva fino ad irradiare ogni vita che sfioravi. Ho ancora tanto bisogno del tuo cuore limpido, della tua bontà infinita, dei tuoi occhi profondi. Ma, spero almeno di incontrarti nei miei sogni. Ti vedrò giungere da lontano, come una luce splendente, ti aspetterò a braccia aperte e ti accoglierò nel mio cuore per

cullarti con tutto il calore e l’amore che posso. A zio Luciano, con eterno amore Di Antonella Grasso

Materdomini: la tavola dei poveri

LA FOTO DEI RICORDI

Caposele: la Chiesa Madre durante una funzione religiosa degli anni '70

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