La Sorgente n. 71

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Reg.Trib. S.Angelo dei L. n.31 del 29.1.74 - Sp. in A.P. art.2 comma 20/c L.662/96 Dir. Comm. Avellino -sem.- Anno XXXIII - Dicembre 2005 -

Direttore Nicola Conforti

email:confortinic@tiscali.it.

SPECIALE SORGENTI a pag.

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PERIODICO A CURA DELL'ASSOCIAZIONE TURISTICA PRO LOCO CAPOSELE FONDATO NEL 1973

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IL NUOVO POLO a pag. 33

L'ALBUM DE LA SORGENTE a

LA MOSTRA FOTOGRAFICA a pag. 26

Lo “Speciale” prende spunto da un convegno sulle acque tenuto recentemente nella Sala polifunzionale e da un pregevole studio elaborato dal Comune di Caposele e pubblicato su CD in cui si scoprono luci ed ombre di una storia vissuta all’ombra del nostro campanile. Una storia che fin dalle origini ha presentato elementi significativi di violenti contrasti, di lotte politiche e culturali a tutti i livelli. Una storia che suona come accusa

per la “rapina “ delle acque del Sele operata tanti anni fa a danno del nostro Paese, che da tanta ricchezza avuta in dono da Madre Natura, ha raccolto, in compenso, solo dissesti idrogeologici e miserevoli,quanto insignificanti,riconoscimenti.

EDITORIALE

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Due gli argomenti che caratterizzano questo numero de “La Sorgente”: il 25° anniversario del terremoto, con articoli che ricordano quel tragico evento che tanti lutti e tanta distruzione portò nel nostro Paese ed uno “speciale” sulle Sorgenti del Sele e sulla loro captazione a favore delle popolazioni pugliesi, avvenuta circa cento anni fa. Quest’ultimo argomento, tornato in questi giorni di grande attualità, è trattato in vari articoli di notevole interesse storico e culturale.

LA MOSTRA DI PITTURA DEL MAESTRO CARMINE MERAVIGLIA a pag. 18


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Al Direttore di "8 pagine" "Il Mattino di Avellino" "La Sorgente"

Egregio Sindaco del Comune di Caposele, ho avuto solo ora la forza e il coraggio civico che mi ha sempre contraddistinto negli anni verdi, di scriverLe una lettera, che ho,contemporaneamente inviato alla stampa locale per segnalare un piccolo inconveniente che mi

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Cari Caposelesi, pochissime altre volte, nel corso di oltre trenta anni di attività, mi è capitato di dover fare un appello ai lettori del nostro giornale:.le difficoltà che incontriamo nel mandare avanti la nostra iniziativa editoriale diventa sempre più difficile a causa delle spese sempre più gravose cui andiamo incontro: abbiamo bisogno di un vostro sia pur modesto contributo. Il nostro appello è rivolto in particolare a tutti quelli che hanno a cuore i problemi del nostro amato Paese. Chiediamo di sottoscrivere un abbonamento a chi non lo ha mai fatto, pur avendo ricevuto regolarmente il nostro giornale ed a chi lo ha fatto solo raramente. Un incoraggiamento in tal senso ci darà forza e vigore, oltre che la carica necessaria per proseguire nel nostro difficile lavoro. E’ un invito che vi rivolgiamo umilmente in nome dell’attaccamento che voi tutti avete per Caposele. Siamo certi che, come in altre occasioni, non ci farete mancare il vostro incoraggiamento. Un grazie di cuore. Il Direttore Nicola Conforti

N.B. La Sorgente non ha mai usufruito di contributi da parte di Enti locali, provinciali o regionali. Si mantiene sulla contribuzione spontanea dei suoi lettori.

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I V AI CAPOSELEIO

Caro Direttore, a distanza di parecchi giorni dal nostro ultimo incontro a Caposele, nel tuo studio – durante il quale non mancarono, in presenza tra gli altri di mio figlio Luca, di suoi amici, di tuo figlio (l’architetto) e di Concetta Mattia, reminiscenze della nostra vita “nell’età più bella”, della fanciullezza e della giovinezza – tu e tuo figlio, nel farmi dono della videocassetta riproducente quel raro e straordinario documentario del 1978 edito dalla Pro Loco del nostro Paese, da te ideato con il concorso anche di tanti amici – alcuni dei quali non più in mezzo a noi – mi invitasti a fornirti la mia modesta collaborazione, per quel poco o tanto che rimane nella mia memoria storica. Ti risposi che avrei potuto farlo, ma nei limiti della mia capacità e senza attenderti da me fatti ed avvenimenti di particolare interesse, specialmente sul piano letterario, bensì di un certo rilievo, come per l’appunto la memoria storica dei fatti più salienti, da riportare nel periodico di cui tu sei il benemerito ideatore: “La Sorgente”. Ti confermo, ove gli amici tutti di Caposele - senza attendersi scopi ideologico-politico dai quali come ben sai rifuggo anche a cagione del mio passato professionale ed incapacità, nonché per caratteristiche peculiari della mia personalità lo desiderassero, la mia piena e completa disponibilità a collaborarti. Non so, in questo momento, come mi devo muovere e fin dove potrò estendere il mio intervento, o se ad esempio mi devo limitare a determinati argomenti che tu solo potrai indicarmi o suggerirmi. Né ritengo di potere scrivere se non in maniera semplice, alla portata di tutti i nostri concittadini di qualsiasi estrazione e cultura – o meglio istruzione letteraria – sempre che si voglia consentire - come tu hai sempre pensato – la più ampia diffusione del giornale in mezzo alla nostra gente, e l’interesse effettivo di ciò che si vuole esprimere. Penso, a questo punto, che come ideatore e direttore del periodico tu voglia destinare un angolo seppur modesto, senza grande dimensione, sia alla prosa descrittiva che alla poesia, indicando tale spazio, ad esempio, come “ANGOLO DEI RICORDI” e facendo seguire – ed a te non manca la documentazione – da apposite e ben scelte riproduzioni fotografiche. Per leale, corretto ed onesto comportamento nei tuoi riguardi e di tutti coloro che fanno parte della PRO LOCO caposelese, in particolare del Presidente in carica – che so essere il il farmacista

crea un tormento.Tra tanti problemi e questioni varie che le capitano tra testa e collo ogni giorno, non vorrei, con questa mia richiesta, aggiungere altro fastidio al suo tempo prezioso, ma se non fosse stato per il mio stato di salute, non mi sarei premesso di mettere in atto questa mia civile azione . Si tratta dell’orologio del nostro comune o per meglio dire del suono dell’orologio che ha sostituito, nel tempo il rintocco delicato e costante dell’orologio della chiesa di San Lorenzo.La campanella dell’orologio comunale che scandisce il tempo ogni quarto d’ora mi ha,da anni, seguito nelle mie notti facendo compagnia al mio sogno alleviando, in tal modo, la mia insonnia. Da qualche tempo, e non capisco il perché, ha smesso di suonare creandomi una grave insonnia. Le chiedo di poter riattivare o aggiustare la campanella collegata all’orologio affinché il mio sonno possa ritornare alla normalità e restituirmi ad una vita normale. Se questa piccola operazione di ordinaria manutenzione non può avvenire in tempi rapidi, sarò il promotore della raccolta delle firme di cittadini che , come me, hanno a cuore quel suono e le cose legate alla tradizione popolare, che spesso, Voi calpestate forse inconsapevolmente. La ringrazio anticipatamente e mi scuso per aver abusato del Suo tempo e auguro a Lei e ai Direttori dei giornali ai quali la mia missiva è stata inviata per conoscenza, un Santo e Felice Natale. Un cittadino attento

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Pontecagnano, 7/06/05

dott. Raffaele Russomanno, che saluto con viva affettuosità – desidero anche aggiungere che la mia suddetta collaborazione con “La Sorgente “, è rivolta nell’interesse di tutti e mira, primariamente – ove ne avrò la capacità e voi tutti me lo consentiate – a coinvolgere la intera comunità socio-politica del nostro bellissimo paese, così da ottenere la pace e la concordia fra tutti, alla stregua di ciò che esisteva un tempo non certo lontano. Caro Nicola, non ritieni che ciò sarebbe il primo caso in questa terra e “dolci monti del Leon del Sele” e forse l’unico esempio di questo “Sud d’Italia”, di cui da secoli auspichiamo il decollo? Reputo di avere scritto anche troppo, ma non so con quanta forza di convinzione. Mi attendo, se lo ritieni, soltanto una tua risposta, che sono certo non mancherà di giungermi, sia essa positiva o non. Ti prego di gradire, nel frattempo, gli auguri più fervidi di ogni bene, anche a nome dei miei cari, aff.mo Vincenzo Di Masi

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Lettere / Attualità

Lettere in redazione L'Agapè, l'amore per gli altri La memoria del terremoto Tra le onde della terra Il nostro terremoto privato Piccola cronaca Speciale Sorgenti L'angolo dei ricordi Mostra di Pittura Meraviglia Caposele Paese autolesionista Presentazione n. 70 L'ombrello della verità Politica Cambiare rotta Melillo fa marcia indietro... Mostra fotografica Caposele e una scuola che... Statti cittu ... ca mo... La storia dei cognomi Il tempo passa Materdomini in 50 mila... Al via il Polo scolastico L'album de La sorgente Almanacco Almanacco - La Morale Calendario 2006

IN COPERTIL'inaugurazione del Polo scolastico

HANNO COLLABORATO:

Alfonso Merola, Salvatore Conforti, Gerardo Ceres, Donato Gervasio, Cettina Casale, Vincenzo Di Masi, Concetta Mattia, Giuseppe Ceres, Raffaele Russomanno, Alfonso Sturchio, Antimo Pirozzi, Vito Pinto, Marco Travaglio, Luciana Russomanno, Teresa Castello, Giuseppe Palmieri, Michele Ceres,Raffaele Malanga


Cultura

un amore che può essere raggiunto solo se muniti di un’alta carica di entusiasmo

di Raffaele Russomanno

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L’Àgape, L'AMORE PER GLI ALTRI

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dovrebbe sorreggersi il nostro modo di vivere, sia in ambito individuale che in ambito collettivo, perché nessun uomo è un’isola, noi abbiamo bisogno di tutti e di tutto, altrimenti saremmo soltanto degli arroganti egoisti e finiremmo con il perire. Lo stesso Martin Luter King ha sottolineato che quando Cristo invitò ad amare i nemici si riferiva all’ Àgape, amore non fine a se stesso ma piuttosto entusiastico impeto verso l’esterno, perseveranza verso un’idea, verso una finalità; se, infatti, viene meno l’entusiasmo sfugge anche il vero significato della vita. Ed è questo entusiasmo che non deve svanire ed è sulle ali dello

AR Bimbi gioiosi tra le strade del paese

da ogni arroganza e senza finalità personali, l’Àgape. Devo a tutte queste donne e a questi uomini un profondo e sincero grazie.A quanti invece sono stati alla finestra ad assistere, non solo impassibili ma anche con la profonda speranza di un totale fallimento, rivolgo un accorato invito a far parte della nostra schiera di persone. Vorrei sottolineare che non è demolendo ciò che altri faticosamente cercano di costruire che la nostra comunità trarrà vantaggi, non è guerreggiando gli uni contro gli altri che il nostro paese crescerà. A quanti dunque appartengono alla nostra pro-loco voglio dire che quanto è stato fatto lo si è fatto solo in un’ ottica di crescita per l’intera collettività e non per il tornaconto del suo presidente o dell’ intero gruppo dirigente; per questo per il futuro, cari amici, il vostro impegno in seno alla nostra associazione, ribadisco, senza scopo alcuno di lucro dovrà essere più incisivo, mentre il mio personale obbligo morale andrà nella direzione di far sì che tutti noi possiamo sentire forte il senso di appartenenza ad una pro-loco viva e presente sul territorio. A quanti non appartengono alla pro-loco mi sento di dire che solo sostenendola e non cercando, invece, di farla morire che si rende un servigio alla collettività, come avviene di norma negli altri paesi: volgete lo sguardo ai nostri conterranei, non limitatevi allo spazio asfittico che vi occlude e rendetevi conto di quali e quanti successi sono stati raggiunti. I problemi del paese sono tanti, basti pensare alla riduzione della popolazione che la nostra comunità ha subito negli ultimi anni: il non volerli vedere e comprendere è da miopi. Solo lungo la strada della cooperazione, ultima e sola strada che ci è rimasta da percorrere, possiamo intraprendere il nostro cammino. Dove questa strada ci condurrà con certezza non ci è dato sapere perché nuova. Sicuramente se la percorreremo tutti scevri da pregiudizi, preconcetti

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a storia universale è sempre stata segnata, e sempre lo sarà, dal binomio inscindibile che lega l’uomo all’amore, inteso quest’ultimo come sentimento non esteriore ma connaturato con l’uomo stesso. Oggetto della speculazione di uomini di scienza e di filosofia, da Empedocle a Platone, fino a Sant’Agostino, ha suscitato una miriade di interpretazioni diverse, legate tanto all’ambito soggettivo quanto a quello comunitario; l’amore carnale e sensuale (éros) ha visto la sua supremazia in poeti impetuosi e travolgenti come l’Angiolieri, quello intellettuale si è imposto in Platone o in Dante e l’àgape, o meglio l’amore fraterno e conviviale, campeggia nei dotti di stampo cattolico. Evitando di disperderci in valutazioni su ciascuna delle tre immagini di tale sentimento, è bene focalizzare la nostra attenzione su quella che forse è la forma di amore a noi più vicina e congeniale: l’àgape. L’Àgape, l’amore per gli altri; un amore che può essere raggiunto solo se muniti di un’alta carica di entusiasmo, proiettato ad aiutare l’umanità e la società, un amore che ti avvolge, che ti divora specie se in possesso, oltre che dell’entusiasmo, anche di particolari doti morali, certamente necessarie per ben operare. Pertanto tale amore trova le sue basi sulla vera e sincera amicizia (Phìlos) scevra da falsi intenti, da finalità personali, da arrivismi carrieristici. E’ questo l’amore, è questo il modo di vivere, e su tale sentimento

T RAFFAELE RUSSOMANNO E

REDATTORI

Il santuario di san Gerardo visto dai "Piani"

stesso che ho vissuto una delle estati più belle. Per la prima volta mi sono trovato al centro della macchina organizzativa della nostra proloco affrontando problemi a me sconosciuti, ma al contempo sono venuto in contatto con un’umanità di persone, di donne e uomini, ahimè? Pochi, che, con dedizione e spirito di sacrificio, hanno dato se stessi affinché tutto funzionasse bene, a volte senza neanche essere visibili, solo perché il loro amore verso il prossimo è un amore sincero e spassionato e si configura come servizio alla società avulso

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LA MEMORIA DEL TERREMOTO Il 25 esimo della tragedia Caposele e' tra-

che ha colpito

scorso con qualche

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iniziativa pubblica e con un nostro ricordo composto di

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racconti ed immagini

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rienze significative affinché i percorsi successivi siano agevoli ed esenti da inutili pedaggi. La lezione dell’Irpinia, da questo punto di vista, è stata utile soprattutto all’Italia intera. Sono in tanti ad avere appreso che uno Stato non può correre a due velocità. Tutti si sono resi conto dell’importanza del volontariato e della necessità, di una Protezione Civile diffusa sul territorio. Tutti hanno capito anche che su una commozione corale, scaturita per i morti e i feriti di quei giorni, non si può impiantare un’economia della catastrofe che talvolta porta in sé i germi della degenerazione. L’Irpinia ha archiviato il grosso del processo di ricostruzione e quel poco, veramente poco, che resta da fare, attende una qualche comprensione da parte di un’opinione pubblica e di uno Stato che hanno fatto tanto. Tutti i terremotati, quelli veri, devono, infatti tanto all’opinione pubblica e ad una stampa non scandalistica che hanno saputo distinguere 1’eccesso dal dovuto, difendendo i diritti dei baraccati dagli assalti di ceti rampanti, spesso insensibili alle ragioni dei più deboli. Questa è stata I’Irpinia e di questi venticinque anni tutti, nessuno escluso, devono essere fieri, al di là dei fiumi di polemiche pure tracimati. Sarebbe ingiusto se questa Storia fosse, per cosi dire, amputata di qualche segmento. In tal caso, infatti, più che rendere onore alla memoria di un terremoto, sarebbe la memoria stessa a subire ingiustamente un altro terremoto.

Enrico Berlinguer a Caposele in visita qualche giorno dopo la tragedia a commemorare le vittime del nostro Paese e nella fattispecie i compagni che persero la vita tra le mura crollate della sezione del Partito Comunista.

La Segreteria D.S.

Caposele ricostruito

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nche quest’anno, il ventitré no vembre, le comunità campa no-lucane rievocheranno quell’evento straordinario che segnò visibilmente una vasta area del Sud. Presumibilmente, a torto o a ragione, qualcuno si intrufolerà nella commemorazione di quei lutti (e non per celebrare la sobrietà e la tempra di popolazioni che in venticinque anni ne hanno visto di tutti i colori). Non di meno quel terremoto appartiene a tutti anche a chi in questi ultimi cinque anni ha fatto di tutto per ostacolare la conclusione del processo di ricostruzione. Di acqua ne è passata sotto i ponti e certo nessuno qualche anno fa avrebbe immaginato che i ”barrecaderos” di ieri contro la Lega Nord, oggi si ritrovino dalla stessa parte di quelle truppe di assalto. I Comunisti di ieri lottarono per un’altra ricostruzione, è vero, ma né ieri, né oggi da Democratici di Sinistra si sono riconosciuti nelle nefaste politiche di Bossi. Se 1’Irpinia accoglie tutti, e non può fare diversamente, la stessa Irpinia, però, deve ”perimetrare” la memoria del terremoto, preservandola da indebite incursioni. E’ in questa ottica che si chiede alla Presidenza della Provincia di Avellino di istituzionalizzare il 23 novembre creando un Osservatorio per lo sviluppo delle zone interne, per verificare, tra l’altro, se la tanto decantata ”deregulation” sia una nuova rinascita per il Sud o un altro terremoto. In tal modo onorare la memoria assumerebbe anche il valore di un’onesta operazione intellettuale. La memoria, e il caso di ricordarlo, è una sofisticata funzione della mente che serve ad accumulare espe-

Caposele -

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ottobre 2005


REDATTORI

TRA LE ONDE DELLA TERRA Questo racconto è basato su testimonianze reali raccolte dall’autore, che sono state ricostruire in una trama in parte di fantasia che narra verosimilmente la storia del terremoto del 23 novembre 1980.

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La chiesa Madre nell'immediato dopo terremoto. La ruspa tenta di aprire un varco tra le macerie per poter raggiungere le case del "castello"

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Allora fu come se accendessero una lampadina nel mio cervello, illuminando tutto in ogni dettaglio. Mi apparve tutto terribilmente chiaro. Ed ancora adesso, quando ci penso, la pelle la sento indurirsi e gli occhi li sento scaldarsi e cacciar fuori gocce di lacrime. Questa è la mia storia, la storia di Davide Ciccone. Oggi ho 43 anni. Allora ne avevo solo 18. Quella sera era una serata splendida, con quella luna piena che poche volte ho più visto in venticinque anni. E non posso nascondere che ogni volta che vedo una luna di una pienezza simile mi sento raggelare. Io, allora diciottenne, ero fuori come ero abituato a fare la domenica sera. Un’abitudine che non potevo tradire in una serata calda, magnifica come quella. Avevo deciso di uscire, ma di rincasare presto per seguire la sintesi della partita.

C’era Juvents - Inter, ed un buon tifoso nerazzurro come me non se la sarebbe persa per nessuna ragione. Mi ero prefisso di tornare a casa alle 19 in punto, quando iniziava la consueta sintesi serale. Guardavo l’orologio in continuazione, intento a non tardare di un secondo. Ma la temperatura tanto propizia di quella sera, quattro piacevoli chiacchiere con gli amici erano riuscite comunque ad ingannarmi. Guardai l’orologio: le 19 e 10. Trasalii. «Ragazzi, c’è l’Inter, cavolo», esclamai che già mi ero incamminato con passo svelto verso casa. Ero già lontano quando sentii gli amici salutarmi a modo loro. «Ciao Davide, mi raccomando: sempre forza Juve», mi urlarono scherzosi. Già, forza Juve, pensai tra me. Ci vedremo dopo la partita. Si era fatto maledettamente tardi. Pensai che sarebbe stato inutile tornare a casa, avrei perso solo tempo. Meglio

DONATO

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La sede della "DC" nell'immediato dopo terremoto. La piazzetta "R' lu guardiu" è il principale luogo dove si svolge il racconto del personaggio di fantasia protagonista degli attimi sconvolgenti del 23 novembre.

cercare un locale in cui una benedetta tv fosse sintonizzata su RaiUno. Sapevo che non avrei trovato per nessuna ragione una tv accesa e piantata su quel canale. Chi volevo che fosse a guardare la partita al bar: la gente o passeggiava, o era rimasta a guardarla da casa, la partita. E poi allora non c’erano tutti i bar di adesso. Arrivai in piazza Di Masi nervoso, quasi rassegnato a rinunciare per una volta all’Inter, a quel big match. Vidi la maestosità della chiesa, che mi colpiva sempre, ogni volta che le passavo davanti. Rimasi a guardarla per l’ennesima volta, quella maestosa costruzione. Mi piaceva scrutarla, era troppo bella. Contemplando con gratificazione quella splendida casa di Dio, sentii da lontano provenire una voce ferrosa e gracchiante di quelle che escono dalle piccole casse di un televisore. La partita, pensai, ho trovato qualcuno che la sta guardando. Seguii la provenienza della squillante voce ed arrivai dinanzi alla sezione della Dc, nello spiazzo che fiancheggia corso Garibaldi, poco sotto la chiesa. La porta era socchiusa, ed io mi intrufolai bussando una sola volta. Sentii la porta sbattere dietro di me. Dentro c’erano quattro persone che stavano iniziando una nuova partita a carte. «Buonasera», dissi avanzando verso la tv accesa. Era effettivamente sintonizzata su RaiUno. Quelle persone le conoscevo tutte, uomini di mezz’età, tutti compaesani. C’era anche il professore Giovanni Russomanno, una persona stimabile, che conoscevo da tempo. «Vi dispiacerebbe se guardassi la partita qua con voi?», chiesi educatamente. «Si è fatto tardi, e non riesco a tornare in tempo a casa». «Ma Davide, vieni, siediti pure. Certo che puoi, non c’è bisogno di chiederlo», rispose caloroso il professore Russomanno, con il suo aspetto tanto distinto. Lui insegnava lettere alla

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a polvere la vedo ancora tutt’intorno, sospesa nell’aria. La sento ancora turarmi il naso, quella puzza di calce e cemento sbriciolato. Oh sì, non la dimenticherò mai. Una nebbia puzzolente che ti tappava le narici e ti sbarrava gli occhi. Come se fosse stata mandata per impedirti di vedere e odorare il dramma e la morte che ti circondavano. Poi si alzò pian piano, e vidi le macerie, le case squarciate, i pali della luce inclinati, i fili della corrente piombati a terra. Sentii intorno, nell’oscurità, i mugolii della gente, i lamenti, i brusii di feriti, intrappolati, doloranti.

scuola media di Caposele. Eravamo buoni amici. «Ma Professore, grazie dell’invito», esclamai felice avanzando verso le sedie vuote posizionate davanti al televisore. Mi sedetti. Mi sentivo tranquillo, rilassato. La sintesi della partita era iniziata da almeno mezz’ora e non conoscevo il risultato. Stavo per chiederlo al professore, seduto alle mie spalle, quando, nemmeno mi avesse letto nel cervello, alla domanda ancora non pronunciata rispose il telecronista. «Ricordiamo, per chi si fosse messo all’ascolto solo ora: siamo alla mezz’ora di gioco, la Juventus sta battendo l’Inter per 2 a 1». Esplosi di rabbia dentro di me. Perdevamo contro la Juve e le speranze di riagguantarla in vetta alla classifica erano ormai sempre più vane. Ventitré novembre 1980, pensai, un’altra giornata da annoverare tra quelle delle sconfitte più amare. Guardai l’orologio, erano le 19 e 30, la sintesi sarebbe finita tra un quarto d’ora. Allora, la domenica sera, trasmettevano un solo tempo della partita più saliente del pomeriggio. Quello era il secondo tempo della partita scelta quel giorno, Juve - Inter. Mancava solo un quarto d’ora, dunque, alla fine. Chissà come sarebbe finita. Attendevo la fine, trepidante, ignaro di ciò che la terra stava compiendo nei suoi meandri. Guardavo la partita, imploravo, scattavo dalla sedia ad ogni gol mancato, ad ogni contropiede fallito, mugolavo sommessamente. Come farebbe ogni tifoso. Scrutai l’orologio: le 19 e 34, mancavano undici minuti circa al termine. Quasi finita. Distolsi nervoso lo sguardo dal mio vecchio orologio da polso. All’improvviso la sedia di plastica sulla quale ero seduto cominciò improvvisamente a vibrare. Un movimento lieve. Non riuscivo a capire cosa fosse. Non ebbi il tempo di farlo, che udii un enorme boato e la terra cominciò a sussultare.

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di Donato Gervasio

Un'immagine della devastazione nei pressi di Piazza Masi

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La gente si aggira, senza sosta, tra le macerie

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non riconoscerlo più. Macerie, cumuli di maceri. Questo era Caposele. Morte, distruzione. Raggiunsi piazza Sanità quasi involontariamente, diretto dall’istinto. Un posto libero, sgombro da edifici che mi crollavano addosso e mi facevano perdere quella grande scommessa che il destino mi aveva imposto venti minuti prima. Io adesso volevo vincere, adesso potevo farcela. Quella piazza era un immenso rifugio di disperati. Forse c’erano già cinquecento persone. E l’unico rumore che da lì perveniva era quello del pianto. Un pianto disperato, di dolore, che sempre mi capita di risentire, nel suo drammatico riecheggio, nelle mie orecchie. E da lì raggiunge il cuore, lo fa vibrare. E poi accende i ricordi. Sempre. I drammatici ricordi. Raggiunsi quella piazza stracolma di gente. Mi sedetti in un angolo. Guardai il cielo, quella luna principesca. Ero vivo, ero salvo. Sono un sopravvissuto, un miracolato. La mia vita sarebbe dovuta finire allora. E lo penso ancora, che ho vissuto ulteriori venticinque anni, ingannando quel cinico destino, per effetto di un regalo concessomi dal Signore. Un regalo incommensurabile, donato a tutti quelli che nei giorni successivi a quell’inferno potei rincontrare per strada, riabbracciare. E li salutavo come fai con chi non ti aspetti più di incontrare. Perché nessuno pensava che dal fondo di quella giostra impazzita si sarebbe alzato qualcuno più. In quella tragedia fortunatamente anche tutta la mia famiglia si salvò. Fu la più grande felicità. Così da quel 23 novembre, di giorno, di notte, alzo lo sguardo al cielo. Vivo con la voglia di intravedere, lassù, di conoscere e ringraziare colui che mi regalò questa paradossale contentezza dentro una tragedia simile. Riaffacciati, mio Salvatore. Donato Gervasio

Le macerie di via Roma

I resti della Chiesa Madre

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Lei, al contrario di me e delle persone che mi circondavano, non era riuscita a rimanere in piedi sotto la forza di quelle furiose oscillazioni della terra. Erano troppo forti per lei, per una casa di Dio tanto bella e maestosa. Questa è la fine del mondo. Fu un pensiero che mi balzò alla mente in un istante, schietto. Non avrei augurato a nessuno di imbattersi in un simile pensiero, ma a me venne spontaneo come la pioggia. Era rovinata al suolo, sotto i miei occhi, come un castello di cartone, quella chiesa bella come ce n’erano poche. La casa di Dio che avevo sempre immaginato immune da tutto il male che c’è su questa terra. Se anche lei era crollata sotto la sua malvagità, non ce ne sarebbe stato più per nessuno. E intanto le onde della terra ancora non accennavano a ritirarsi in una definitiva, maledetta risacca. E chissà se mai si sarebbero ritirare. Il rumore intenso delle case che si squarciavano, i tonfi dei crolli, la polvere, la gente, la paura, i pianti, le grida mi circondavano quasi in una morsa asfissiante. Io non mi mossi mai dal punto in cui mi trovavo da quando ero corso fuori. Ormai non ci credevo più di uscirne vivo da quel cataclisma, non pensavo che lo avrei mai raccontato a qualcuno, quello che avevo passato. La salvezza era la più grande utopia, in quei momenti. Mentre nella mia mente si accavallavano pensieri, speranze, quel rivoltarsi della terra finì, all’improvviso. Quella tempesta della terra poteva essere durata un arco di tempo che avevo pensato fosse stato lungo un giorno intero, ma che poi mi raccontarono era stato di soli 90 secondi. Novanta secondi che non finivano mai. Finalmente, mi dissi tirando un sospiro di sollievo. Finalmente è finita. Sì, tutto era finito, ma adesso veniva il bello. Mi resi conto di essere vivo, ma un po’ acciaccato. Chissà cosa sarebbe stato degli altri. Pensai subito a mia madre, mio padre, mia sorella, i miei nonni. Io ero salvo, vivo, ma chissà cosa era successo al mondo, all’umanità. In quei momenti nessuno sapeva quanta terra fosse tremata, quante case fossero cadute, quante vite avessero lasciato tragicamente questo mondo. Sicuramente oltre quella polvere che ci avvolgeva tutti si nascondeva una catastrofe immane. Lo intuivo. Nessuno sapeva cosa fosse successo dieci metri più in là da esso. Io avevo pensato, nell’incoscienza dei miei 18 anni, che fosse tremata l’Italia intera, che come la mia adorata chiesa fosse caduta tutta Roma, tutta Milano. L’Italia sarebbe stata un solo cumulo di macerie. Mi destai da questo involucro di pensieri e turbolenze e presi a scappare, a scappare. Forse scappai un quarto d’ora, sempre con un ritmo costante. Non sentivo più fatica, quella sera. Calpestavo macerie, mangiavo la polvere, che era dappertutto. Correvo illuminato da quella luna immensa. Correvo lungo le strade di quel paese che avevo visto solo un’ora prima e che adesso era cambiato fino a

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Mi sentivo spingere verso l’alto e poi ricadere. La luce andò via all’istante, di netto. A quel punto mi accorsi che la mia vita da allora sarebbe stata una bastarda scommessa. Rabbrividii. Una scommessa: ora potevo solo vincere o perdere, pensai. Mi accorsi d’istinto, prima di sentire il panico, le urla dei quattro signori che erano con me nella piccola stanzetta, di dover correre fuori, che stava succedendo qualcosa di drammatico. Mi lanciai verso la porta, arrivai per primo all’uscita. La porta era chiusa, l’avevo chiusa io quando ero entrato. Altrimenti sarebbe aperta, eravamo già fuori, salvi, avevo pensato in procinto di scoppiare a piangere. Quella era una porta maledetta, di quelle che si aprono schiacciando un bottone centrale, nella serratura, che provocava uno scatto e la fa aprire. Mentre la raggiungevo speravo terrorizzato di riuscirlo a colpire subito, quel bottone, in quella danza della terra terrificante e nel buio totale. La salvezza era tutta una questione di tempismo. Grazie al Cielo andò tutto come stavo sperando. Lo colpii a tentoni, quel piccolo bottone, e la porta si spalancò d’un tratto ed io mi trovai fuori, libero. Dopo pochi istanti che fui fuori, sano e salvo, il sussulto della terra rallentò progressivamente. Dio mio, grazie al Cielo, implorai sottovoce, pensando che tutto stesse finendo. Ma mentre il moto sussultorio rallentava, iniziò di colpo quello ondulatorio. Forte, fortissimo. La terra sembrava poggiata su migliaia di bucce di banana, e ci scivolava sopra. Tutto quello che era intorno lo vedevo oscillare avanti e indietro. La terra sotto i piedi la sentivo spostarsi bruscamente a destra e a sinistra. Facevo fatica a tenermi in piedi. Sentii molte voci che urlavano. Voci diverse, timbri diversi, terrore diverso. Ma le parole pronunciate erano uguali per tutte: «Il terremoto!». Si iniziarono ad udire i drammatici fragori delle case che si squarciavano, crollavano al suolo. In quel buio totale io paradossalmente vedevo chiaro. Penserei ancora oggi che la luce dell’illuminazione pubblica non fosse mai andata via, quella sera, se non mi avessero detto in molti che quella luminosità la dava una luna immensa alta in un cielo limpido e stellato. Era tutto terribilmente visibile. I frastuoni delle case che si squarciavano, la gente che urlava, continuavano. L’aria cominciava ad impregnarsi di polvere, insopportabile. Improvvisamente i frastuoni di quell’apocalisse che stava provocando la terra oscillante furono coperti da un boato che da solo avrebbe demolito un edifico, al quale fece seguito un polverone che ci travolse tutti. Io feci fatica a tenermi impiedi, quasi soffocato da quell’insopportabile materia densa che si infilava in bocca e nel naso. Era la chiesa.

L'on. Giuseppe Zamberletti in visita a Caposele

Don Vincenzo Malgieri osserva, con grande tristezza, le rovine della sua Chiesa


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di allora, purtroppo, sono stati le vittime ed i protagonisti di questa corsa. Ma io direi che a pagare il prezzo più alto sono stati i bambini ed i giovani di allora. Il terremoto, e gli anni che ne sono seguiti, rappresentano una ferita che non potrà mai rimarginarsi: nessuno gli potrà restituire quegli anni sottratti ad una vita normale, nel pieno della formazione. Il tempo addolcisce i ricordi e si ripensa, finanche con piacere, ai giochi organizzati dai volontari di Don Guanella, alle partite di calcio vicino alle roulotte, ai giocattoli distribuiti nelle baracche per Natale o alle mense improvvisate con i soccorritori. Poi, però, si comprende che quella precarietà è durata per troppi anni, che per troppi anni il sisma è stato il protagonista di tutti i discorsi, che le lezioni nelle scuole prefabbricato sono durate fin troppo, al pari delle macerie ai bordi delle strade e delle continue privazioni in un paese in eterna emergenza. E quella precarietà, a molti, è rimasta dentro. Possiamo compiacerci a dire che le difficoltà forgiano il carattere, ma io non augurerei ai ragazzi di oggi di crescere in quella situazione, ripeto, del tutto anormale. Non gli augurerei di crescere in mezzo alle ruspe, ai regali di Zamberletti e nella palestra delle Saure. Sono contento, invece, che i ragazzi di Caposele, oggi, abbiano ricostituito un’esistenza normale e vivano in un ambiente più decoroso. Che non debbano considerarsi dei terremotati. Mi piace la capacità degli adolescenti di oggi di confrontarsi con l’esterno, con le altre città italiane o europee, e di arricchire, così, il paese di origine. Mi piace il loro sguardo più sereno e sicuro di fronte al mondo. Per quelli della mia generazione, che sono cresciuti in contesti eternamente provvisori, è una gioia vederli frequentare una scuola degna di questo nome, vederli maturare in mezzo a strade sgombre di brutti ricordi, e vederli, in tutto e per tutto, simili agli altri ragazzi occidentali. Dopo venticinque anni abbiamo tra di noi la prima generazione postterremoto. Dobbiamo preservare questi ragazzi come una cosa preziosa: i primi a non essere figli di un dio minore, ed i primi a dover restituire a Caposele una serena convivenza tra le persone.

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Un immagine sconvolgente della furia del terremoto: via Bovio verso Piazza F. Tedesco

Le persone recuperano e trasportano fuori dalle case il salvabile

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a vita di ciascuno di noi, come la storia imparata a scuola, non procede mai per piccoli passi graduali, ma si sviluppa attraverso strattoni, impreviste accelerate, frenate brusche, intime rivoluzioni. L’inaspettata chiamata per un posto di lavoro, la perdita improvvisa di un genitore, o semplicemente il trasferimento in un’altra città, un colpo di fulmine, o solo una grossa vincita al lotto. Sono tanti piccoli terremoti che improvvisamente trasformano la tua vita che, da un giorno all’altro, è totalmente diversa da com’era. Un giorno ti considerano ancora un moccioso ed il mattino successivo devi occuparti dell’intera famiglia. Una notte d’estate passeggi spensierato con i tuoi amici, e la notte successiva la passi a preparare il latte caldo al tuo neonato. Una domenica sei a casa tua, con l’intera famiglia raccolta intorno al caminetto, e la domenica successiva ti ripari in una roulotte, primo elemento precario di vent’anni del tutto precari. Tra le tante rivoluzioni personali che accompagnano la vita di ciascun caposelese, il terremoto del 1980 – ed i convulsi dieci, quindici anni che ne sono seguiti – si colloca, senza dubbio, ai primi posti. Nessuno di noi, da allora, è rimasto uguale a prima. Ma quel terremoto, rispetto alle altre accelerazioni descritte, possiede una sua peculiarità: è riuscito a sconvolgere, contemporaneamente, l’esistenza di migliaia di persone, ha mutato le abitudini, le inclinazioni, i caratteri di intere comunità e, da un istante all’altro, non solo te stesso, ma tutto intorno a te, non è stato più come prima. Credo che nessuno possa negare questa metamorfosi. Allora, nelle conversazioni tra amici, ci spingiamo a chiederci quale sia stata, fra tutte, la generazione che più ha pagato questa rottura. Quale generazione ha subito il maggior trauma per questo sconvolgimento che si è protratto ben oltre le scosse di assestamento, e che solo oggi, a distanza di venticinque anni, può dirsi sopito. Forse a pagare di più sono stati gli anziani di allora: coloro che, dopo una vita di lavoro e sacrifici, avrebbero avuto diritto ad una vecchiaia più serena. Avrebbero preferito, certamente, restare nelle loro case, a pochi passi dal centro del paese e dalla chiesa. Avrebbero continuato, perché no, a frequentare i caffè o le panchine di un tempo, a passeggiare e conversare sostando in quei punti precisi, stabiliti da

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consuetudini di mezzo secolo, anziché confinarsi in villaggi di prefabbricati o ricominciare a combattere per un contributo, per un metro quadro in più o semplicemente per un attacco della luce. Oppure potremmo pensare agli adulti di quegli anni. A coloro che si sono visti franare, letteralmente ed improvvisamente, il mondo addosso. Da un giorno all’altro hanno dovuto cambiare il proprio modo di pensare, il proprio modo di lavorare, i propri obiettivi, e finanche il proprio linguaggio. D’un tratto hanno dovuto avere a che fare con emergenze, legge 219, vuoti tecnici, faglie e suppellettili, stati di avanzamento ed accolli spese. Un’accelerazione repentina ai propri ritmi, una deviazione improvvisa dei percorsi di vita propri e collettivi che hanno trasformato l’intera comunità. Molti hanno la sensazione che da allora, per tanti anni, una diffusa avidità ha appreso gli animi dei caposelesi ed una malefica febbre dell’oro ha avvelenato i rapporti tra le persone. Gli adulti

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di Alfonso Sturchio

Il nostro terremoto privato

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REDATTORI

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Il Santuario di san Gerardo subisce enormi danni

I militari recuperano alcuni oggetti sacri dalla Chiesa Madre

- Anno XXXIII- Dicembre 2005 N.


REDATTORI

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PICCOLA CRONACA IL FORUM AMBIENTALISTA A CAPOSELE

ULTIME NOTIZIE DALLA NOSTRA SCUOLA

L’Istituto comprensivo “F. De Sanctis” di Caposele ha iniziato una nuova fase di attività per i nostri bambini: è partito lo scorso ottobre un progetto del Programma Operativo Nazionale dal titolo: “Lungo il fiume Sele: riscoprire le radici del futuro” La scuola si apre al territorio con temi nuovi e incentivanti, con l’ausilio di Esperti esterni che facilitano un rapporto col territorio che spesso viene dato troppo per scontato. Il progetto sarà articolato su tre moduli che seguono un percorso ambientale-naturalistico, che ha come obiettivo finale, proprio quello di suscitare comportamenti compatibili e responsabili verso il proprio territorio e la propria comunità incentrando il discorso più particolare sulla valorizzazione e tutela della risorsa acqua a Caposele. Il primo modulo, denominato “Adotto un tratto di riva del fiume Sele” riguardertà l’Ambiente- Fiume, che attraverso l’adozione da parte degli alunni realizzerà attività di cura, protezione e valorizzazione dell’area scelta. Il secondo denominato “C’era una volta “Cap r’ iumu” (capo di fiume) riguarderà più specificatamente le Sorgenti della Sanità e il primo tratto del Sele e sarà finalizzato a capire le trasformazioni prodotte nel territorio in seguito alla presenza/assenza dell’acqua, dalla costruzione dell’Acquedotto Pugliese in poi.

Infine il terzo, “Per antichi -tratturialla ricerca di fresche sorgenti” che si occuperà dell’analisi del nostro territorio montano, di sviluppare una ricerca di sentieri e sorgenti di montagna, abbandonati all’incuria e al degrado al fine di renderli nuovamente praticabili e fruibili. Attraverso varie attività pomeridiane quali escursioni, osservazioni dirette, disegni e rilevamenti di dati, fotografie, confronti, scrittura creativa, realizzazione di sceneggiature per le drammatizzazioni, interviste e questionari il progetto si propone di far maturare le capacità comunicative e relazionali dei ragazzi, necessarie per riuscire a lavorare in gruppo e nel rispetto delle regole, insegnandogli al contempo ed in modo divertente, a conoscere una problematica ambientale dal punto di vista storico-sociale, geografico-scientifico e artistico giungendo infine alla capacità di proporre un progetto di riqualificazione per il recupero e la salvaguardia del proprio paese. L’esperienza terminerà nel mese di giugno ed è prevista una manifestazione finale pubblica di presentazione dei risultati ottenuti. Ci sembra un’ottima iniziativa didattica, che speriamo diventi attività integrata e normale pratica per la nostra scuola: ringraziamo pertanto il preside ed il corpo docente che ha realizzato l’iniziativa. La nostra redazione assicura dunque sin da ora il pieno supporto al progetto ed attende con ansia i suoi positivi risultati. Buon lavoro a tutti!

Alcuni dei bambini del PON "“Lungo il fiume Sele: riscoprire le radici del futuro”

- Anno XXXIII - Dicembre 2005 N.71

Nella locale aula polifunzionale, gremita da un pubblico molto interessato ed attento, lo scorso 2 Ottobre si è tenuto un riuscitissimo convegno dal titolo “Acqua : bene comune” Si è tornati dopo tanto tempo a discutere di gestione delle risorse idriche in Campania e del caso specifico di Caposele, con tutte le sue implicazioni problematiche, analitiche, economiche; dello stato dell’arte e dei progetti per il futuro delle pratiche di protezione e valorizzazione di quella che possiamo definire, senza timore di essere smentiti, la “nostra” acqua. Gli organizzatori, il Forum ambientalista e la locale sezione di Rifondazione Comunista, hanno coinvolto praticamente tutti i livelli responsabili della citata gestione del sistema idrico integrato, realizzando un parterre di tutto rispetto che ha compreso : l’amministrazione comunale col sindaco Giuseppe Melillo, quella provinciale con Erminio D’Addesa presidente del consiglio provinciale, quella regionale con l’assessore Luigi Nocera, il senatore DS Angelo Flammia, ed un rappresentante del parlamento europeo, Roberto Musacchio della sinistra europea. Hanno partecipato al dibattito con sentiti interventi tecnico/politici anche Patrizia Sentinelli della Segreteria nazionale di Rifondazione Comunista, Ciro Pesacane del Forum Ambientalista e Michele Di Maio di Legambiente. Le conclusioni degli interventi tecnici sono state affidate a Riccardo Petrella, nuovo presidente dell’AQP, l’ente “interessato” per antonomasia alla gestione della risorsa in discussione, che si è prodotto col suo modo “amicale” e per molti versi molto informale, nella sua descrizione dello stato delle cose nella gestione integrata a 10 anni dall’applicazione della Legge Galli; ha rassicurato i dipendenti in merito al nuovo corso che avrà la sua gestione dell’Ente, una gestione maggiormente partecipata e condivisa anche con le popolazioni interessate dagli interventi da attuare, popolazioni che sono state anch’esse rassicurate in merito alla “rapina” che si starebbe perpetrando ai loro danni asserendo che sono altri i termini della questione che va spiegata per bene alla gente che però dovrebbe comunque anche mostrarsi più attenta agli sprechi ed ai cattivi usi della preziosa acqua!

Una discussione a tutto campo insomma, che ha dato spazio anche ad un discreto numero di interventi dal pubblico, logicamente interessato alle vicende, un pubblico che però aspetta con ansia i prossimi incontri che pure sono stati anticipati da tutti i convenuti. Anche la nostra redazione conviene sull’importanza strategica di queste manifestazioni, ringrazia gli organizzatori del convegno ed auspica che presto si possano scrivere pagine sempre più edificanti e risolutive su questa delicata e complicata questione.

Finalmente La Chiesa Madre pare vedere la luce. Sono in lavorazione le rifiniture per le quali, solo oggi, spogliandola dell'immensa e complicata impalcatura, si è potuto ammirare il grande lavoro strutturale ed architettonico del progettista riguardo la copertura dell'opera. Peccato che la colorazione della facciata la faccia avvicinare più ad uno stabilimento balneare. Speriamo che qualcuno intervenga


Piccola cronaca

PALLANTE-CAPRIO : SESSANT’ANNI DI MATRIMONIO

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Lisandro, grande personaggio della vita sociale di caposele, ha da ques'anno una trasmissione radiofonica tutta sua su Radio MPA in diffusione regionale: Folk e Liscio in onda sulle frequenze della Radio ogni domenica sera con canzoni tradizionali, liscio, e musica live, ma soprattutto tanta allegria con le sue battute, intuizioni e spontaneità. A Lisandro auguriamo, al più presto un programma televisivo per meglio rendere l'originalità del personaggio.

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Un omaggio ad Antonio Salvatoriello detto "Emerson" nella divisa ufficiale di Vigile Urbano per le grandi occasioni. Quando non idossa la divisa Antonio si trasforma in musicista manager e conduce, con grande successo, un orchestra denominata "Emerson and friends" con la quale gira la Campania per gli spettacoli musicali estivi.

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Domenica 11 settembre 2005, nella chiesa di “S.Vito al Sele” in località S.Cecilia di Eboli, con una cerimonia molto semplice, officiata dal parrocoi Don Daniele Peron, alla presenza di tutti i parenti, Serafina Caprio e Antonio Pallante hanno festeggiato sessant’anni di matrimonio. Erano stati uniti in matrimonio il 10 settembre del 1945 nella chiesa madre S. Lorenzo dal Parroco Don Francesco Malanga ed alla presenza dei soli te10-09-1945 stimoni Tommaso Freda e Michele Feleppa.Matrimonio fortemente voluto dai Serafina Caprio e Antonio Pallante Sposi due giovani, ma contrastato dai genitori della sposa. A tal punto si organizza una fuga concertata. Ed alla fine tutti felici e contenti. Dopo il matrimonio Antonio abbandona l’attività di calzolaio e coadiuva Finuccia nella conduzione di un laboratorio di maglieria. Erano tempi duri e difficili. Tante giovani coppie lasciavano il Paese per cercare un futuro migliore all’estero. Anche Antonio fu tentato di farlo espatriando in Venezuela in compagnia del compianto amico Ciccio Malanga; Finuccia si oppose tenacemente. Era comunque destino che essi non restassero a Caposele. Infatti, nell’aprile del 1953, tutta la famiglia, nel frattempo accresciuta con la nascita di Pietro ed Alfonso, si trasferisce ad Eboli, unendosi a quella del nonno Alfonso Caprio che nella cittadina della Piana risiedeva ormai da molti anni. Ad Eboli essi mettono su un laboratorio di maglieria molto conosciuto ed apprezzato.Fino agli anni 60 anni dopo ottanta non c’era famiglia Caposelese che si recava ad Eboli, Battipaglia o Salerno che non facesse tappa al negozio di Finuccia per comprare od ordinare per sé o per un proprio familiare una giacca o un pullover. Di contro tutta la famiglia periodicamente tornava in visita a Caposele, accolta sempre con affetto dai tanti amici e conoscenti. A tutti questi, lettori della Sorgente che anche la famiglia Pallante ha sempre ricevuto in questi anni, vogliamo ricordare questa importante ricorrenza celebrata nella chiesetta di “S.Vito al Sele” nella Piana di Eboli, la chiesa di S.Vito come quella della contrada dove Antonio e Finuccia hanno trascorso giorni felici della propria giovinezza; al Sele come il Fiume al quale loro e tutti noi siamo profondamente legati. Auguri ad Antonio e Finuccia da tutti i Caposelesi che ancora si ricordano di loro con grande affetto ed amicizia.

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Lisandro negli studi della radio durante una trasmissione

La squadra che ha affrontato, con il massimo risultato, quest'anno il campionato di terza categoria. Con il nuovo stadio si risveglia la voglia degli sportivi di Caposele di giocare e assistere alle partite di calcio nonostante la lontananza della struttura dal centro abitato. Un in bocca al lupo a tutto il team così composto: Salvatore Corona, Eugenio Russomanno, Giuseppe Liloia, Mario Cibellis, Nisivoccia Gerardo, Agostino Merino, Cetrulo, Proietto, Prezioso Galdi, Gianfranco Di Vincenzo, Rocco Meo, Raffaele malanga, Gelsomino Merola, Antonio D'elia, Angelino Lardieri, Tommaso Cibellis, Roberto Notaro, Donatiello, Lorenzo Merola

...Ma che fine ha fatto?

L'interno della chiesa con in primo piano gli addetti ai lavori

- Anno XXXIII- Dicembre 2005 N.


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Lo “Speciale” di questo numero de “La Sorgente” è dedicato alle Sorgenti del Sele. E vuol essere una “denuncia” che mette in evidenza la lotta impari che il nostro Comune, da cento anni, combatte contro il colosso dell’Acquedotto Pugliese. Lo speciale apre con un bellissimo articolo di Vito Pinto (già pubblicato sulle colonne della rivista “in cammino con S.Gerardo”. prosegue con una interessante delibera del C.C.del 1924, uno studio su CD del Comune di Caposele, un articolo di Donato Gervasio e, dulcis in fundo, una nota del giornalista Marco Travaglio.

UN FIUME RUBATO

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Nel 1987 il WWF della zona preparo un articolato progetto per la creazione del Parco Naturale del Sele. Nel 1988 l’on. Italico Santoro avanzò una proposta di legge contenente le ”Norme per la tutela e lo sviluppo del sistema idrografico, ambientale e turistico-termale del territorio del bacino del Sele”. Convegni, denunzie pubbliche come quella gia ricordata del WWF e della Soprintendenza- movimenti di opinioni cominciarono gia alla fine del decorso decennio, a movimentarsi per la difesa del Sele. Ma questo, evidentemente, è ancora poco, se lo scempio continua, se lo stravolgimento continua imperterrito a sfregiare, offendere in nome del, business e senza rispetto per la natura e le cose che essa offre per la nostra vita. E’ come se fosse una follia di autodistruzione. Forse pensare che un giorno vi sia il parco naturale proposto dal WWF e sognare. In una Italia dove non vi è più una identità storica, culturale, collettiva e aggregante non ci si può), forse, aspettare molto. Ma, proprio rispolverando la memoria scolastica, sovviene alla mente che nell’uomo l’ultima a morire e sempre

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Sono le timide lacrime di qualche fonte intorno alle mitiche sorgenti del Sele. Sono le acque dei 15 affluenti tra fiumi, torrenti e rivoli - che nei 64:Km,da Caposele al mar Tirreno si adagiano nello storico alveo. E sono, purtroppo, anche le acque reflue di scarichi industriali che sempre di più concorrono a togliere ossigeno a questo fiume ormai gia quasi asfittico. Le ultime vicende che, con lucida follia, stanno infliggendo il colpo mortale sono la cronistoria di quest’ultimo decennio, una cronistoria sfociata”alla fine dell’agosto del 1991 in una denunzia circostanziata del responsabile de1 WWF della Valle del Sele alla Soprintendenza ai BAAAS e Archeologi di Salerno, al Ministero per 1’Ambiente, al Genio Civile di Salerno fino, alla procura della Repubblica, alla Comunità Economica Europea. Di conseguenza, la Soprintendenza ai Beni Ambientali, a sui vo1ta, inviò una denuncia alla Procura della Repubblica. La storia di una morte annunciata si accelerava con il sisma del 23 novembre 1980. Quei minuti sconvolsero e recarono lutti e devastazioni agli uomini e alle case, alterando anche i1 sottosuolo. Dalle sorgenti di Caposele cominciò a diminuire il gettito dell’acqua, che aveva, evidentemente, trovato altri incamminamenti. Ciò non sembro preoccupare molto enti e amministrazioni, che proseguirono nell’opera di captazioni di altre sorgenti. Questo per far fronte a una grande sete”, ma in realtà per un’operazione speculativa ai danni di zone già povere. E così un dispregio sulle leggi della tutela ambientale (legge Galasso), si mette mano alla captazione delle fonti di S. Licandro di Sicignano degli Alburni, togliendo in tal modo, acqua fresca ed ossigenata al Sele. La conseguenza e la scomparsa della pregiata trota “foria” e 1’impoverimento di umidità delle sponde con la scomparsa della lontra e di quella vegetazione che vive prevalentemente di acqua e accanto a bacini idrici. Non basta. Lo scempio continua nonostante sulla zona siano state scoperte delle tombe del V secolo a.C. e il luogo ricada auto-maticamente sotto il vincolo

archeologico. Leggermente più in alto, nella zona di Buccino, un assurdo polo industriale con insediamento interamente in alveo, strozza il fiume Bianco, affluente di destra del Tanagro, immissario primario, con il fiume Calore, del Sele. Questo ancora non basta ai distruttori ecologici che ormai sono presenti con la loro follia su tutti i 3500 Kmq del bacino. Viene alterato, per scempi a valle, il sistema idrotermale di Contursi. Il tratto del Sele dalla sorgente alla confluenza del Tanagro tormentata dalla ingombrante presenza della strada fondo Valle Sele, costruita secondo una logica di sperpero economico e in totale dispregio dell’ambiente.

Follia di morte L’invaso della diga di Persano, per la ridotta capacita di acqua rapinata a monte, lascia a secco gli agricoltori di Eboli, Battipaglia, Capaccio, gli agricoltori della Piana. Il rischio della scomparsa dell’oasi di Persano è grave. La battaglia contro il potentato dell’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese per la sospensione dei lavori di incanalamento di nuove sorgenti è ancora in atto e non si sa quale esito avrà. Allo stato è in atto - avvertono i responsabili del WWF e della FIPS (la Federazione Italiana Pesca Sportiva che ha volontariamente allertato i suoi soci come osservatori ecologici contro le distruzioni e gli abusi)- un processo di modifica del microclima con la conseguente scomparsa di numerose specie vegetali e animali, con danni irreparabili alla copertura forestale esistente. Inoltre la mancanza d’acqua e l’abbassamento dello strato umido provoca la scomparsa delle colture tradizionali della zona: il castagno, l’olivo e la vite, con conseguenti danni all’economia locale. E’, come si vede, una storia di abusi e soprusi, di sistematica demolizione di un fiume e del suo bacino, importante per la vita di uomini e habitat di un ampio territorio. Abusi e soprusi che vengono perpetrati da organismi e da privati, per mancanza di controlli. Una serie di proposte, nel frattempo, hanno preso corpo da parte di associazioni ambientalistiche perla tutela e la salvaguardia del Sele.

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a storia folle comincia, alla fine del secolo scorso, con una grande sete: la sete pugliese, non solo quella della gente, ma della terra, di quel suo vasto territorio che è il ”Tavoliere”. Si decise - dopo anni di dibattiti parlamentari - di ricorrere alle acque del fiume Sele, le cui sorgenti all’epoca, erogavano in media 6.000 litri al secondo. Il primo progetto fu redatto nel 1888, con una spesa preventiva di 163 milioni, ma le Camere approvarono la prima legge per la costruzione solo nel 1902. I lavori iniziarono nel 1906 e terminarono nel 1927. Oggi l’acquedotto del Sele, detto Pugliese, è costituito da un canale principale lungo 224 Km e da una rete di diramazioni lunga 234. Km. Con la portata media di 6.000 litri al secondo, i1 Sele può, oggi, dissetare circa sei milioni di persone, ma in Puglia gli abitanti non superano certo i 4 milioni. E già qui inizia una prima rapina che si rafforza nel 1939 con il prelievo anche dei 364 litri al secondo che i l Comune di Caposele aveva riservato per le necessità dei suoi abitanti. Ci furono sommosse con arresti e la destituzione del Podestà. Ci furono anche anni di discussioni sino a giungere ad uno schema di convenzione con l’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese, mai tradotto in atto pubblico, per lo scoppio del secondo conflitto mondiale. Nonostante la guerra, però, l’Ente Acquedotto si preoccupò di farsi rilasciare dal Ministero dei Lavori Pubblici la concessione per una derivazione a scopo potabile dalle acque del Comune di Caposele (la convenzione non fu ratificata) per il periodo di 70 anni. Benchè il relativo decreto non fosse stato mai pubblicato, 1’acquedotto attuò quanto era stato deciso ma, forse, non ratificato, commettendo un vero e proprio arbitrio. L’ingordigia, però, cresceva e così, anche dopo la guerra, continuava la ignominiosa rapina che non permette ad una sola goccia del Sele di incamminarsi nel suo alveo naturale per giungere alla foce salernitana. Allora, si chiederà, la massa d’acqua che,con maestosa calma, sfocia nell’ampio delta del golfo salernitano, a chi appartiene? Scempio conlinuo

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LE ASSURDE VICENDE DELLO STORICO FIUME SELE di Vito Pinto

Durante la fuoriuscita dell'acqua del Sele si assisteva emozionati ed incantati allo spettacolo straordinario della natura.


UNA DELIBERA COMUNALE DEL 1924 DI GRANDE ATTUALITA'

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Orbene noi dobbiamo prevenire e curare tutti questi malanni, ricorrendo all’intervento del Governo nel chiedere un giusto concorso al generoso Popolo delle Puglie, cui abbiamo dato, con privazione nostra, igiene, pulizia, salute, salubrità, ricchezza, energia, irrigazione delle sue aride terre. Quando questo popolo penserà alle sofferenze patite da secoli per mancanza di acqua; quando penserà al sacrifizio compiuto in tanti anni per procurarsi nella stagione canicolare un bicchiere di acqua ristoratrice del Serino, che gli veniva trasportato a mezzo ferrovia - quando penserà alla sua rigenerazione materiale, morale e civile che gli ha portato e meglio ancora gli porterà a breve il nostro Sele, io dico che questo popolo non rifiuterà il nobi1e gesto di versare per Caposele il tenuo contributo annuo di almeno 15 centesimi per ogni abitante beneficiato dalla nostra acqua rigeneratrice. Non pretendiamo di più: 15 centesimi all’anno per ogni utente del Sele, o una percentuale sui canoni d’utenza in misura equivalente. Essi, per i contribuenti, non rappresentano alcun tangibile aggravio, alcun sensibile sacrificio. Nessuno si accorgerà di pagare il contributo, e quand’anche se ne avvedesse, indubbiamente non vi darebbe niun peso: tanto

tenue e piccola cosa è la misura del soccorso. Rifaremo il nostro paese, perchè non e più oltre tollerabile vivere in case decrepite, ormai inevitabilmente luride, malsane e crollanti, cosi ridotte dalle frane che ne hanno dissestata la statica e minacciano sordamente la vita di tutti noi; incanaleremo le acque

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ONOREVOLI COLLEGHI, fra pochi anni il Sele, questo limpido e gigantesco figlio del nostro Appennino, che ora ci lascia ad intervalli, definitivamente convogliato nel grandioso Acquedotto Pugliese, e non lo vedremo più. Scompariranno con lui la più dolce poesia, il nido dell’amore più puro, la più bella e pittoresca espressione del nostro panorama, la salubrità del clima, la ubertosità della valle, la ciclopica costruzione delle nostre industrie e la imponente ricchezza idroelettrica che era riservata alla moderna generazione nostra. Ricorderete il serotino e allegro via vai delle nostre donzelle, che delle anfore in testa andavano per acqua alla Sorgente; ricorderete il popolo tante volte festante abbandonato al tradizionale godimento delle luminarie e dei plenilunii d’estate che si rispecchiavano nelle cerulee onde; ricorderete il grande concorso dei popoli vicini alla Fiera della Sanità, desiderosi di rivedere con sempre rinnovata meraviglia la grandezza del nostro fiume, la grandiosità delle sue cascate. Tutte queste cose non possono sfuggire alla vostra memoria perchè sono indimenticabili rimembranze una età da poco tempo trascorsa, destinate solo a scomparire davanti alla necessità di un grande popolo assetato, che invano chiedeva acqua da secoli. Finchè i ruderi resisteranno al tempo, a noi non resterà che il nostalgico ricordo dei molini da cereali, delle macine d’olio, gualchiere, tintorie, fabbriche di carta ecc. Dove va la salubrità del nostro clima, la freschezza delle nostre generazioni, la ubertosità della nostra contrada la energia nascosta nell’impeto delle voluminose cascate Dove va la nostra poesia, la grandezza della nostra natura, la inesauribile nostra ricchezza? Va a

dissetare, a risanare, ad incivilire un grande, generoso e magnanimo popolo della nostra Italia, quello che vive sotto il cielo ridente delle Puglie. Orgoglio nostro per tutti i benefici che rendiamo ai vicini fratelli. Ma cosa abbiamo avuto, o cosa avremo in compenso della grande ricchezza di cui ci siamo privati? Nulla ci è stato dato, nulla ci è stato promesso finora. La Società assuntrice dei primi lavori dell’Acquedotto ci fece un regalo di 600.000 lire in cartelle al 3,50% vincolate a gravi garanzie; ma queste non rappresentano che un pallide riconoscimento dell’immenso beneficio, ricevuto dal nostro Sele, una sbiadita riparazione dello stato disastroso in cui fu lasciata la topografia del paese dopo quei primi lavori, una parte minima, trascurabile, infinitesimale delle spese di manutenzione che occorrono al paese. E non parlo d’altri postumi, quali, ad esempio, il vincolo forestole, un posto, per la protezione del bacino idrologico del Sele, al demanio del Comune, unica, sorgente di nostra ricchezza, la scomparsa della mano d’opera, l’esagerato costo della vita, la miseria in genere egli inevitabili altri mali della vita, non escluso que1lo temibile della malaria che ci porterà inesorabilmente il letto abbandonato del fiume con le residue acque impantanate. Dirò, per la verità, che un’ottima promessa ci fu fatta. Quell’anima nobile e grande dell’ing. Brandau, Direttore dei primi. lavori dell’Acquedotto, che tiene legato il suo nome al Sempione, e che fece di Varzo i1 più bello” il più pittoresco e più incantevole villaggio d’Italia, aveva ideato e promesso di ricostruire Caposele cadente in terreno solido, con arte, comodità, e vedute moderne, ma il fatto volle che egli lasciasse la direzione dei lavori e la Società concessionaria, che il progetto Brandau aveva pur favorevolmente accolto, non tardò a dimenticarsi di noi. Cosi la promessa venne meno, e Caposele continua ad avvicinarsi inesorabilmente al baratro delle più spaventose macerie.

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Oggetto: Restaurazione della finanza comunale Il Sindaco rivolge un cordiale saluto, all’ intervenuta cittadinanza e, dopo brevi constatazioni sulle sorti disagiate del bilancia comunale e sulla necessità di un provvedimento restauratore dice:

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"...15 centesimi all’anno per ogni utente del Sele, o una percentuale sui canoni d’utenza in misura equivalente..."

La firma della Convenzione del 1970 tra il Comune di Caposele e L'Acquedotto Pugliese

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DELIBERA di instare, come insta, perchè il Governo del Re, a partire dal 1 gennaio 1924, voglia imporre un contributo annuo fisso di almeno 15 centesimi per ogni abitante delle Puglie che si serve dell’acqua del Sele, o altra percentuale in misura equivalente, da versarsi a favore del nostro Paese. Di affidare al Sindaco la scelta di una Commissione, con 1’incarico di portare il presente messaggio all’Onorevole Presidente dei Ministri, S.E. Benito Mussolini, palladio sicuro dei nostri bisogni e delle nostre legittime aspirazioni. E ciò premesso, invita il Consiglio alla discussione. ll sig. assessore Corona, chiesta ed ottenuta la parola, propone che l’ordine del giorno viene approvato per acclamazione. II Consiglio accoglie la proposta Corona, e 1’ordine del giorno viene approvato per acclamazione fra l’entusiasmo del popolo, e al grido di Viva il Re! Viva Mussolini! Viva le Puglie! La seduta viene tolta alle ore 9,30.

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all’altezza che loro compete. lo non dissimulo le grandi difficoltà della mia proposta, soprattutto perchè la voce dei piccoli, la voce dei deboli, è generalmente voce inascoltata, ed è per questo che io 1’appoggio al vostro autorevole giudizio ed a quello ancora più autorevole del nostro popolo. Ma fido nella bontà della causa, nella magnanimità delle Puglie e principalmente nella pronta percezione dei grandi problemi che ha il nostro Presidente dei Ministri, nel grande interesse che Egli sposa per le cause sante, e nella fulminea rapidità con la quale corre all’esecuzione. Con quest’augurio e con questa fede io sottopongo alla vostra discussione ed all’autorevole approvazione vostra la mia proposta, che concreto nel seguente ordine del giorno.

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stagnanti che residueranno nel letto abbandonato dal fiume. Faremo un asilo, un fabbricato scolastico, un fabbricato per g1i uffizi, un macello, un lazzaretto, gabinetti pubblici di decenza. Rifaremo il panorama delle sorgenti; a mezzo di nuove strade ci metteremo in diretta comunicazione con i vicini centri ferroviari. Col Santuario di Materdomini faremo una via di accesso più comoda, più breve e più bella dell’attuale, ma tale da indirizzare il transito per Caposele oggi tirato fuori d’ogni comunicazione - e da obbligare che il grande concorso dei fedeli al Santuario, proveniente dal Sud abbia necessariamente a passare, senza sacrifizio, per il nostro paese. Questo Santuario, che è grande astro di attrazione di devoti da tutte le parti del mondo, non va assolutamente trascurato, ma diligentemente accudito, studiato, soccorso; creeremo nuove industrie in sostituzione di quelle distrutte, faremo insomma tutte quelle opere che renderanno civile il paese, mettendolo in grado di ospitare decorosamente i forestieri, facendone un centro di richiamo ai visitatori delle opere di captazione delle sorgenti e d’imbocco del grandioso, mondiale acquedotto, svilupperemo con ciò un movimento di forestieri, che oggi manca per mancanza di mezzi di comunicazione o di comodità. I principali acquedotti del mondo sono quattro: quello di Kats-Kill di New York lungo Km.144; quello di Los Angeles di California lungo Km. 378; quello di Coolgardie W. di Australia lungo Km. 564 e quello Pugliese lungo Km. 1.598. I1 Pugliese ha 108 Km. di gallerie, 100 di trincee, 67 di PontiCanali, 74 circa di Sifoni, e dà acqua a circa 2 milioni e mezzo di abitanti; opera insomma colossale, portentosa, che rivela il più grande ardimento dell’Ingegneria. Ebbene, mentre di tutti gli acquedotti si fa tuttora un gran parlare e molti accorrono a visitarli, il nostro è negletto e nessuno si cura di venire a constatarne la grandiosità e la bellezza. Perchè? Perche mancano i mezzi di comunicazione e di ospitalità dei visitatori. Se il nostro acquedotto fosse in alta Italia, sarebbe un potentissimo mezzo per sfruttare la industria del forestiero, e porterebbe la fama della nostra Ingegneria e il nome della Patria

IL CONSIGLIO Sentita la relazione del Sindaco; Ritenuta la gravità dei danni gia derivati e che dal convogliamento del Sele deriveranno ancora al paese dal lato dinamico, igienico, sanitario, industriale e finanziario. Considerato che a tali danni si può, poco per volta, rimediare con un modesto concorso annuale delle Puglie, che dal Sele traggono la loro prosperosa vita materiale e civile, e che vita materiale e civile possono ricambiare a Caposele. Consideratoinfinechearaggiungere tale scopo occorre l’intervento efficace del Governo

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Le Sorgenti del Sele e il suo acquedotto

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sulla propria carne le cicatrici inferte dal momento del bisogno e nell’animo dei beneficiati non rimane I’amore ricevuto tramite un gesto di carità. In effetti, la generosità allora dimostrata non è stata mai contraccambiata, né nel tempo per un senso di giustizia, né nel momento del dolore e dello sconforto, durante i terribili giorni dell’evento sismico che nel novembre millenovecentottanta scosse il territorio di Caposele. Le nuove generazioni pugliesi forse non sanno da dove arriva I’acqua che bevono, considerato che tra le tante cose che si sono state portate via con I’imposizione anche il nome di quell’acquedotto, nato come ”Acquedotto delle sorgenti del Sele per le Province di Bari, Foggia e Lecce”, venne trasformato in ”Acquedotto Pugliese”. Una volta avuta I’acqua, il Comune e le vicissitudini dei suoi

abitanti scomparvero dalla mente e dal cuore di tutti quelli che beneficiavano di un tesoro così grande per le loro terre. Ai Caposelesi non restava che la nostalgia per quelle acque fresche e rumorose, che prima di prendere forza per correre giù verso I’alveo del fiume, si riunivano in un piccolo specchio d’acqua dove la luna, sorridente, si specchiava diventando testimone di tanti innamoramenti tra i ragazzi e le donzelle che venivano, con le brocche in testa, a prendere I’acqua al calar del sole. E a nulla valsero le richieste di aiuto o di ristoro per sollevare i Caposelesi da tanta povertà, visto che I’indennizzo avuto con la convenzione e la forte svalutazione sopraggiunta dopo la prima guerra

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LA CAPTAZIONE DELLE SORGENTI DEL SELE A FAVORE DELLA REGIONE PUGLIA

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quest’ultime, tra cui il principe di Caposele Luigi D’Aragona, il duca di Castellaneta, il marchese D’Ayala ed il sindaco Antonio Pizza, tutti proprietari di trappeti, gualchiere e mulini, a produrre in Prefettura formale protesta contro il convogliamento delle acque del Sele in Puglia. Risultò così di più facile presa sull’animo generoso dei cittadini di Caposele la necessità di captare le acque per soccorrere le popolazioni pugliesi spesso flagellate da catastrofiche epidemie per la continua siccità di quelle terre. Ma come più volte avviene, lo spirito del mutuo soccorso, che nasce spontaneo tra la gente bisognosa, viene vissuto come una cosa dovuta, sicché chi ha elargito il bene porta

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La vicenda. Cento anni fa, il due marzo millenovecentocinque, il Sindaco pro tempore del Comune di Caposele (Av) siglava una convenzione con il delegato del Ministero dei Lavori Pubblici, a conclusione di una lunga e controversa diatriba sulla captazione delle acque delle sorgenti del Sele. Quell’atto, come anche quelli precedenti, entrava nella storia di ogni cittadino di Caposele come sindrome di quelli che non sapevano valorizzare e tutelare I’unica ricchezza che madre natura ha elargito a questo lembo di terra, sito tra le pendici del monte Paflagone e della collina di Materdomini. A distanza di un secolo, con I’aiuto di documenti e tenendo presente il contesto economico, sociale e politico di allora (fine Ottocento- inizio Novecento)si è sentita la necessità di ripercorrere tutte le tappe, per mettere in luce gli aspetti oggettivi di quelle vicende che, senza esagerazione, hanno segnato per sempre la storia e lo sviluppo del nostro territorio. Alla fine dell’Ottocento, il problema della captazione delle sorgenti non era molto sentito dalla maggior parte dei Caposelesi, che attanagliati più da problemi di miseria e fame, davano per scontata la presenza d’acqua un po’ dappertutto sul territorio per il fabbisogno familiare. Del resto comprendere I’importanza dell’acqua e I’utilizzo della stessa per uso industriale e per irrigazione era prerogativa delle poche persone ricche e istruite dell’epoca, presenti a Caposele. Furono proprio

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Come preannunciato nell’editoriale di questo numero de “La Sorgente” riportiamo per intero il testo allegato ad un pregevole lavoro sulle Sorgenti del Sele edito a cura del Comune di Caposele. Ringraziamo in particolare l’ing. Gerardo Monteverde ed i suoi collaboratori Gerardo Salvatoriello, Gino Malanga, geom. Celestino Cifrodelli, prof.ssa Teresa Castello e geom. Luciano Viscido per il loro interessante studio che, oltre a farci conoscere documenti di cui ignoravamo l’esistenza, ci ha consentito di integrare il nostro servizio “speciale” sulle Sorgenti del Sele ai fini di una ripresa della lotta per il riconoscimento dei nostri sacrosanti diritti.

L'interno della galleria di adduzione

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verdeggiante e continuamente animato dalla presenza degli uomini che utilizzavano siffatta risorsa. La grandezza consisteva e consiste anche nella grossa quantità di acqua che fuoriesce, basti pensare che nell’anno 1924 si ebbe una portata massima di 6,74 mc/s e nel 1941 la portata media annua risultò di 5,61 mc/s. La portata chiaramente dipende dalla quantità di pioggia o neve che si ha durante I’inverno; I’intervallo di tempo tra la portata minima e la massima è di circa sei mesi. Questo è il tempo necessario affinché le gocce d’acqua, filtrando nella roccia calcarea, arrivino nel bacino. Generalmente le portate minime si verificano nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio; quelle massime, nei mesi di maggio, giugno e luglio. Le acque cristalline fuoriescono ad una temperatura costante per tutto I’anno di circa 9 gradi.

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Le sorgenti del Sele. Le sorgenti del Sele, prima del loro incanalamento forzato, dovevano essere uno di quegli spettacoli mozzafiato che solo la natura sa offrirci. Veder disposte a semicerchio, ai piedi del monte Paflagone, decine e decine di zampilli fuoriuscenti dalle fratture delle rocce con leggero scroscio, che una volta riunitisi si preparavano a scendere a valle con violenza rumorosa e spumeggiante per muovere le pale degli opifici, era qualcosa di meraviglioso e straordinario. Tutto questo dono di madre natura s’ incastonava in un ambiente

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presa d’acqua, necessaria alla sopravvivenza stessa della popolazione e del fiume, il comportamento dei Caposelesi fu totalmente diverso. Nel 1939, ci furono sommosse, a cui non solo parteciparono i proprietari degli opifici, ma tutta la popolazione. Per sedare la rivolta, ci fu anche un arresto. Alla fine, il potere centrale di Roma, con la scusa di dover portare I’acqua al porto di Brindisi per le truppe italiane, autorizzò un abuso che non solo finì di impoverire Caposele ed il suo territorio, ma tolse tutta I’acqua delle sorgenti al fiume, per quanto già alla fine dell’Ottocento una commissione del Senato per la presa delle acque del Serino avesse parlato di ”minimo flusso vitale di un fiume”. Furono così costretti a chiudere i pochi opifici ancora funzionanti con conseguente perdita di posti di lavoro e si pregiudicò anche il possibile sviluppo che tali attività potevano esercitare sul territorio. L’atteggiamento di prevaricazione continuò anche da parte dell’Ente Autonomo dell’Acquedotto Pugliese che incanalò le nuove acque, senza rispettare I’accordo intervenuto in Prefettura a riconoscimento del ristoro per i Caposelesi. Nel CD sono riportati tutti i documenti di cui si è venuti in possesso, reperiti

anche in biblioteche o da altre fonti, e dal loro studio ognuno potrà entrare nei fatti, rendersi conto del clima socio-politico dell’epoca e farsi un proprio giudizio sulla vicenda. La conoscenza dei fatti potrà essere la base per una lotta che deve essere portata avanti, soprattutto all’attenzione della Regione Campania, Ente distratto su queste tematiche, per il riconoscimento di un ristoro per il territorio, la sua salvaguardia e il sostegno per uno sviluppo sostenibile. La compilazione del CD ha inoltre lo scopo di far conoscere questa grossa realtà per stimolare un turismo naturalistico, finora impedito ed ostacolato dai detentori delle nostre acque. Per tali motivi contiene anche foto, pagine di storia e un compendio sui lavori dell’acquedotto.

Proprietà delle acque. Appena iniziarono gli studi di fattibilità della deviazione delle sorgenti del Sele, si aprì la problematica della proprietà delle stesse. II Comune di Caposele, vantando da tempo immemorabile un possesso non contrastato, sgorgando la falda su proprietà comunale, si dichiarava proprietario delle acque, tant’ è che nel 1888, con rogito del notar Corona, ne vendette 3 mc/s al cavaliere ing. Francesco Zampari. Questi oltre all’acquisto delle acque,

si premurò di chiedere ed ottenere la concessione governativa pagando un canone annuo. In seguito, per inadempienze dello Zampari e per il cambiato clima politico delle province pugliesi che si erano, nel frattempo, orientate diversamente, si stabiliva che un Ente pubblico dovesse portare a compimento il progetto dell’acquedotto per la Puglia. L’Intendenza di Finanza di Avellino reclamò la demanialità delle sorgenti. II contenzioso trovò conclusione con la sentenza della seconda Corte d’Appello di Napoli nel 1903; questa riconobbe che le sorgenti erano I’inizio del fiume e pertanto demaniali, ma, altrettanto chiaramente, riconobbe al Comune di Caposele una servitù attiva per il passaggio delle acque sul proprio territorio e il consequenziale utilizzo delle stesse. Accordi intervenuti. Con la convenzione del due marzo 1905, il Comune di Caposele, dopo estenuanti trattative, riconobbe la demanialità delle acque e si riservò 500 litri al secondo, se la portata delle sorgenti avesse superato 4 mc/s, e 200 litri al secondo nel caso la portata fosse stata inferiore. Come contropartita il Comune ricevette la somma di 700.000 lire in acquisto di rendita pubblica, che in virtù del bando di gara fu erogata dall’Impresa D’Ercole e non dal


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stenibile del territorio, quale onere dovuto moralmente, ma solo come un mezzo per tacitare le proteste e per raggiungere lo scopo di portarsi via le acque. E dire che già la sentenza del due marzo del 1903 della seconda Corte d’Appello di Napoli giustamente, riconosceva una servitù prediale in favore del Comune di Caposele. Oggi il clima politico nell’affrontare tali temi è del tutto cambiato, anche per il diverso peso politico che hanno i Comuni; è di norma risarcire quei Comuni dove si prelevano delle materie prime, cosa, ad esempio, che la Regione Basilicata ha fatto valere e per il petrolio in Val d’Agri e per I’acqua, con la Deliberazione della Giunta della Basilicata n° 1321 del 22 luglio 2002. II tutto è motivato con i vincoli, le restrizioni e le rinunce a cui un territorio è sottoposto, e per salvaguardare la risorsa e il suo prelievo. La gente di Caposele conosce le tante restrizioni e divieti imposti per la tutela delle sorgenti, ed ha assistito

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Oggi, più che mai, urge la necessità di aprire un accordo di programma tra le regioni Campania e Puglia in virtù della Legge n. 36/1994 ( Legge Galli) e del D.Lgs n. 112 del 31/03/1998. Infatti, attualmente, sono disattesi quasi tutti gli articoli. Non risulta il pagamento di alcun canone per la captazione delle acque delle sorgenti del Sele, non esiste alcuna quota di tariffa per la gestione delle aree di salvaguardia, né tanto meno esiste un servizio di controllo territoriale e un laboratorio di analisi per i controlli di qualità delle acque alla presa. II prossimo Consiglio Regionale della Campania deve affrontare la tematica e dare risposte credibili e condivise dagli enti locali sui cui territori sono presenti le sorgenti. In caso contrario si deve lottare con ogni mezzo per essere ascoltati e far valere i propri diritti nel rispetto delle leggi.

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Riordino dell’uso delle acque delle sorgenti del Sele in ossequio alle leggi vigenti. Questo paese non ha mai rinunciato alle sue antiche rivendicazioni.

Ristoro al Comune. In tutti gli accordi intervenuti sono stati concessi degli indennizzi parziali, non a riconoscimento dell’impoverimento di Caposele o per sostenere uno sviluppo so-

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Accordi e promesse non mantenute. Tra le tante promesse fatte nel corso di tutta la vicenda della derivazione delle acque va senz’altro ricordata quella dell’Impresa D’Ercole Antico, che per iniziare i lavori senza problemi, si impegnò a trasformare Caposele in una ”piccola Svizzera italiana” con nuove abitazioni, con fontane pubbliche, con I’ufficio postale ed anche la ferrovia. II tutto fu dimenticato appena iniziarono i lavori. Per la concessione della costruzione e dell’esercizio e manutenzione dell’Acquedotto Pugliese non fu realizzato I’edificio commemorativo previsto dall’art. 60 del Capitolato. Inoltre fu disatteso quanto previsto dai piani di cultura e di conservazione dei boschi e terreni compresi nel bacino idrologico delle sorgenti del Sele (approvati dal Ministero di agricoltura con provvedimento 18 aprile 1904 n. 10982, in esecuzione dell’art. 104 del regolamento 5 aprile 1903,n. 214) inclusa la salvaguardia del bacino idrogeologico con sistematiche opere di risanamento idrogeologico e di forestazione e quanto previsto dal Regio Decreto n° 606 del 17 giugno 1909 che istituiva un corpo speciale di guardie forestali con regolamento e divisa per vigilare il bacino che alimentava le sorgenti.

Una curiosa, forse involontaria omissione, ci è parso di cogliere nella elaborazione ,anche pregevole,che gli autori del CD hanno commesso. Manca nella puntuale esposizione dei fatti storici un sia pur fugace riferimento alla convenzione stipulata nel 1970 tra l’amministrazione Comunale dell’epoca e l’Acquedotto Pugliese. Pregheremo l’avv. Caruso, cittadino onorario del nostro Paese e principale promotore della convenzione insieme al sindaco Francesco Caprio, di integrare questo studio con un suo autorevole intervento nel merito.

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del Sele al fiume che veniva così alimentato soltanto dal torrente Tredogge. Tale situazione è rimasta immutata fino a qualche anno fa, allorquando I’Autorità di Bacino del Sele, per I’equilibrio del bilancio idrico, ha imposto il rilascio di una minima quantità d’acqua, tra I’altro ancora ben lontana da quella dovuta. Ci vollero ben ventisette anni per trovare un accordo sull’interpretazione degli articoli della convenzione del 1942; infatti, solo nel 1967 fu approvato da entrambi le parti un nuovo documento e si provvide alla sua attuazione. In seguito tale accordo fu rivisto con la convenzione del 1997.

Potenzialità mancata dello sviluppo di Caposele. Caposele fu privata della fonte energetica, cosa necessaria ed indispensabile per uno sviluppo del territorio, e fu gravemente danneggiata con la chiusura dei numerosi opifici. La produzione di energia elettrica sul posto avrebbe costituito, certamente, il principale motore per alimentare I’economia locale e creare così le condizioni favorevoli per attrarre anche investimenti da fuori paese. lnoltre mediante una canalizzazione per I’irrigazione si sarebbe potuta sviluppare una intensiva produzione agricola. Riuscire ad intuire come andarono le cose senza la deviazione delle acque, è lavorare di fantasia, ma dato certo è il mancato sviluppo del nostro territorio e la povertà che ne è seguita, per cui Caposele da paese privilegiato dalla Natura ha subito la stessa sorte toccata ai paesi dell’entroterra irpino.Nessuno negli anni ha voluto considerare gli effetti disastrosi di tale grande rinunzia, dato il trascurabile peso politico che ha sempre avuto un piccolo Comune come Caposele e la continua prevaricazione di chi, più forte, riesce sempre ad imporre la sua volontà.

Una delle tante immagini dei lavori di captazione. Le foto dei lavori risalgono al 1903

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EVVIVA LA VOSTRA BATTAGLIA Non conosco nei dettagli il problema dell’acqua che si dibatte nella vostra zona. Ma, dato che mi viene chiesto un parere, proverò a esprimerlo in estrema sintesi. L’acqua è un bene pubblico per eccellenza, come l’aria. Gli uomini non possono crearla. Possono soltanto distruggerla, cioè sprecarla, e spesso ci riescono benissimo. Recentemente, un gran numero di giunte comunali, di destra e di sinistra, ha cominciato a privatizzarla. Come se qualcuno potesse diventarne proprietario in esclusiva e farci la cresta. I primi ad avere l’idea furono i mafiosi, infatti in Sicilia (e non solo, pur-

al quale il Cielo ha voluto regalarla. E’ venuto Tizio che, speculando sulla siccità della Puglia, ha creato in cento anni un’azienda colossale, una struttura enorme sia dal punto di vista tecnico che economico. Vogliamo uscire da questo baratro, ma sappiamo che per uscire servono le istituzioni. Quella sera, nella sala polifunzionale di Caposele, dove il presidente Petrella raccontava quello che avevano fatto e quello che volevano fare, mancavano le orecchie che avrebbero dovuto ascoltare, quelle della Regione. E’ lei l’istituzione che può farci uscire da questa impasse. Ma valutate voi di questo passo come andiamo a finire. L’Acquedotto sta

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una tantum, non un canone annuo. Ma nemmeno se ci avessero dato 700mila lire l’anno ci sarebbe convenuto vendere una fonte di ricchezza interminabile come quella e dal potenziale incomputabile. Ma poi trattare l’acqua come i pesci il pescivendolo è qualcosa che provoca un profondo aborrimento. E’ andata così e indietro non si torna. Ora è possibile solo salvare il salvabile, e il Comune questa intenzione ce l’ha. Quello che esso cerca – lo sappiamo – è un ristoro del territorio, una legge che preveda un tornaconto in questa direzione. Chissà se mai riusciremo ad ottenerlo. Ma è bene provarci, con tutte le forze. La speranza la nutrì quell’incontro pubblico a cui partecipò Riccardo Petrella, presidente dell’Acquedotto Pugliese. Un incontro storico. Le sue capacità oratorie incantarono la platea, nonostante ci disse che, sì, i padroni dell’acqua non sono loro, ma non siamo certo noi, se l’acqua è un bene comune. Avrebbe avuto tutta la ragione di questo mondo se a parlare fosse stato uno qualsiasi, ma non il presidente di un’azienda che capta in questo modo l’acqua in (bene comune), la trasporta dove vuole lui (bene comune) e la vende con un lucro massiccio (bene comune). Il capo di un’azienda che ha privatizzato l’acqua, la nostra acqua. E alla faccia del bene comune. Almeno l’avessimo privatizzata noi,

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La nostra acqua è emigrata lontano, caricando valige e bagagli dentro una galleria lunghissima, la più lunga mai esistita su questo mondo, e viaggiando verso una terra sconosciuta. Sono venuti a costruircela dentro casa uomini tiranni, quella galleria, ne hanno deciso il tragitto, e con esso la storia di un pezzo di terra chiamato Caposele. L’Acquedotto Pugliese continua a trasbordare miliardi di litri d’acqua nella sua benamata Puglia. Miliardi di miliardi di euro, perché è come un aspirapolvere calata in una cassa ricchissima di denaro, che aspira, aspira. Somiglia tanto agli schiavi africani sfruttati dagli inglesi nella guerra contro Napoleone, quest’acqua. Questa storia ripugnante quest’anno ha compiuto un secolo, nel quale tutto è solo peggiorato rispetto alle aspettative. Le istituzioni si muovono, ma sono quelle sbagliate, o almeno sono quelle che hanno il potere solo di scuotere quelle che hanno potere. Perché queste ultime, come i serpenti d’inverno sono andate in letargo. La storia di questo scippo, come ormai ci siamo abituati a chiamarlo, è iniziata cento anni fa, nella famigerata data del 2 marzo 1905, quando il Comune di Caposele firmò una convenzione con il Governo vendendogli definitivamente le Sorgenti del Sele. Ce le pagarono 700mila lire, le nostre acque. Una cifra

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di DONATO GERVASIO

facendo ciò che vuole con la “nostra” acqua, e noi restiamo qui a guardare questo film. Bello, vero? E’ da oscar. Si porta via tutti i litri al secondo d’acqua che vuole, mentre esistono dei patti, che mettono dei limiti. E’ bene illustrarli, questi limiti: quando il Comune cedette le acque alla Puglia si riservò di trattenere 500 litri al secondo se la portata delle sorgenti avesse superato i 4 metri cubi al secondo e 200 se la portata fosse stata inferiore; ma nel 1942, la Puglia volle sfoggiare tutta la sua arroganza, incanalando senza nessuna autorizzazione ulteriori 363 litri al secondo nella galleria Pavoncelli. Così troncò definitivamente l’affluenza delle Sorgenti di piazza Sanità al fiume Sele. Infatti, tutt’ora, il nostro fiume raccoglie le acque del solo torrente Tredogge. Atteggiamenti, oltre che stizzanti, del tutto ignobili. Caposele ha combattuto sempre per la sua acqua. Combatte ancora, perché essere ripagati di uno scippo simile è un nostro diritto e un nostro grande dovere.

di Marco Travaglio Giornalista de "L'Unità"

troppo) l’acqua è diventata uno dei principali business di Cosa Nostra, che la concede bontà sua soltanto agli amici e agli amici degli amici. Fra questi ci sono molti pubblici amministratori, che non hanno mai portato gli acquedotti in tutta l’isola per non disturbare i manovratori in coppola e lupara. Se l’acqua è un bene “pubblico”, dovrebbe essere davvero di tutti. Anzitutto di chi abita dove questa sorge. Per bere, mangiare, irrigare, lavare. Se proprio qualcuno deve lucrarci, dunque, devono essere i residenti dei territori dove questa sorge. Ho letto che nella Valle del Sele sgorga l’acqua che va ad ali-

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mentare il famoso, anzi famigerato Acquedotto Pugliese, ovviamente privatizzato alcuni anni fa. Famigerato perchè in Puglia c’è un detto secolare: che quello è l’unico acquedotto che, anziché dar da bere a tutti, dà da mangiare a pochi. Allusione neppur tanto velata ai vari scandali che si sono succeduti intorno alla gestione di quell’impianto. Io non conosco la situazione locale, ma ho saputo che gli amministratori della Valle del Sele intendono rinegoziare gli accordi con la Puglia perché chi attinge dalle loro sorgenti da un’altra regione paghi almeno il disturbo e consenta così alla valle

Marco Travaglio

di svilupparsi come meritano i suoi cittadini. Non so di quale colore politico sia questa battaglia, né se questa battaglia abbia un colore politico. E nemmeno mi interessa. Credo che sia una battaglia giusta, che andrebbe


L'angolo dei Ricordi

L’ANGOLO DEI RICORDI

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L'ANGOLO DEI RICORDI

I vecchi lavatoi di Piazza Sanità

ma settimanale, per far si che il detto periodico sopravvivesse e si affermasse in via definitiva. ” LA S O R G EN TE” - lo ripeto con forza e convinzione – deve sopravvivere, e VOI giovani dell’attuale e delle future generazioni, ne dovrete assumere il carico morale e materiale. Iddio tenga in vita Caposele e consenta a tutti Voi di vivere e prosperare felici! Da ora e da qui parte la mia collaborazione col suddetto periodico. Con tanto amore ed affetto per tutti.

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Inizia da questo numero la rubrica “L’Angolo dei Ricordi” a cura di Vincenzo Di Masi.

Siamo grati a questo nostro illustre concittadino, indissolubilmente legato a Caposele ed ai Caposelesi, per il contributo che darà al nostro giornale su

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A Voi, come ho detto, giovani e fanciulli di Caposele, prima ancora che ad altri Caposelesi già maturi d’età o addirittura vecchi, mi rivolgo per esortarvi a mantenere vivo il ricordo di tutti Coloro che ora non son più su questa Terra e che furono artefici di avvenimenti e fatti della vita del nostro amato paese. Sento doveroso precisare che nelle vostre mani, per opera di nostri anziani concittadini, avete una strumento importantissimo, che se riuscirete – come vivamente auspico – a tenere operante e vivo, potrete assolvere alla funzione che ho detto in premessa. Mi riferisco essenzialmente al periodico che Voi tutti conoscete, che costituisce una rarità ed un gioiello d’informazione ”aere perennius ” – come diceva Orazio in una delle Sue più belle ”odi”- di cui principale artefice – e doveroso dirlo - è 1’ing. Nicola Conforti, insieme con i componenti della locale ”PRO LOCO”, tutti benemeriti cittadini di Caposele e Materdomini, a cui si devono tante nobili iniziative, in particolare ferragostane, che hanno avuto il grande pregio della qualità culturale e della memoria storica del paese, che MAI VOI DOVETE FAR ASSOPIRE. Mi riferisco, ovviamente, al rotocalco ” LA SORGENTE”, un tempo periodico mensile, ’poi bimensile ed, attvalmente, attribuito alla sana iniziativa dei già detti componenti della PRO LOCO e, segnatamente, dell’ing. Conforti pochi altri concittadini, che tra l’altro concorrono a sopportarne le spese finanziarie e la diffusione. Eppure – devo dirlo con rincrescimento – pochissimo ci vorrebbe per farlo crescere e prosperare! Basterebbe, infatti, che gli Amministratori comunali – di cui non dubito minimamente le buone intenzioni, a partire dall’attuale Sindaco, dott. Giuseppe Melillo, - stanziassero una sia pur minima somma, tra quelle straordinarie del Comune, e ciascun cittadino di Caposele rinunciasse ad un ”misero” euro, non dico giornaliero,

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Il primo mio scritto è rivolto a Voi, miei cari compaesani Caposelesi, a coloro che adesso, mentre mi accingo a raccontare fatti ed avvenimenti, di persone e cose, sono fanciulli o ragazzini che si affacciano alle vita o anche giovanetti o studenti ai primi impegni di studi, appartenenti ad entrambi i sessi, ma tutti di famiglie che hanno avuto origine o trovato legami, alle pendici del monte ”Plafagone”, sovrastante la valle del Sele e le limpide acque di quello che era l’omonimo fiume, prima che venissero convogliate nell’Acquedotto Pugliese, il quale a tutt’altra regione appartiene (Campania), fuorchè alle Puglie, di cui disseta unicamente le popolazioni o irrora le fertili terre. Ma questo scritto è rivolto anche ai nati di Materdomini, frazione di Caposele, posta sulla stupenda collina che trovasi dall’altra parte della valle, sede dell’omonimo Santuario e meta, da sempre, di pellegrinaggi provenienti da tutte le Regioni meridionali e devoti di ogni parte del mondo, località che specie in questi ultimi anni, dopo il devastante terremoto dell’80, ha assunto un’importanza turistica e devozionale di grandissimo rilievo, per San Gerardo Maiella, frate dell’ordine religioso creato da San Alfonso dei Liguori, oggi con strutture alberghiere, di conforto e ristoro di grande importanza, paragonabili a quelle di San Giovanni Rotondo, nel foggiano, ma di molti secoli più antico.

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di Vincenzo Di Masi

La vecchia Chiesa Madre ed il fontanino in piazza V. Di Masi

Il vecchio ufficio postale di Corso Europa. L'edificio fu realizzato durante i lavori di costruzione della galleria di valicocon funzioni di tipo sanitario

Una foto degli anni '20. La vecchia via San Gerardo

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Cultura

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ma rese straordinariamente attraenti da sinuose, morbide folate di vento, vortici, giochi di luce, colori e pennellate voluttuose. Esplosioni di luce e di lava, volute atte a plasmare una realtà dinamica e coinvolgente davano corpo nelle ambientazioni alle forze della natura, ad eventi mistici, di cronaca e di costume, il tutto rivestito di vaporose armonie di accordi cromatici sorprendenti secondo le correnti artistiche della “nuova civiltà”, dello “stilismo metafisico figurativo”, de “i drappeggi”, dell’”esaspe-raratismo” ed, infine, del più recente movimento “contatti”, dove acquistano rilevanza specialmente gli aspetti simbolici e dove, intorno alle dinamiche dell’esistente, l’etico e l’estetico trovano un punto di sutura, senza sovrapporsi reciprocamente. Artista completo, Meraviglia ha poi colpito l’immaginazione ed il cuore dei Caposelesi e dei tanti pellegrini presenti al Santuario di San Gerardo Maiella nella frazione di Materdomini con il dipinto “Il miracolo di San Gerardo”, opera unica e suggestiva lasciata al Comune di Caposele per una degna sistemazione ed una più ampia fruibilità. Per una lettura del quadro risulta davvero apprezzabile quanto la bravissima alunna liceale Valeria Testa, attenta visitatrice della mostra, ha di getto scritto, guidata dalla sua singolare inventiva e dalla sua giovane ma profonda sensibilità. Al maestro Meraviglia ancora le nostre congratulazioni e gli auguri più fervidi per nuovi successi e

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Alcune delle opere del maestro in esposizione

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Si è protratta molto più del previsto la mostra di pittura e scultura dell’artista partenopeo Carmine Meraviglia, organizzata nella sala polifunzionale di Piazza XXIII Novembre dall’assessorato alla cultura e al turismo del Comune di Caposele.Nel panorama delle attività che il ricco calendario di appuntamenti ha proposto ai cittadini ed ai turisti per il Ferragosto 2005, la mostra si è, in effetti, affermata come uno degli eventi di punta dell’estate caposelese, varcando ben presto i confini provinciali. I tantissimi visitatori, che hanno affollato la sala oltre l’orario di chiusura serale, hanno fatto registrare un boom di presenze davvero eccezionale per la piccola realtà locale, tanto da sorprendere lo stesso artista, ormai abituato a registrare consensi e successi nelle numerose mostre personali e collettive in grandi città italiane e straniere. Ricca e sorprendente l’esposizione dei quadri ad olio o ad acrilico, delle sculture in terracotta, delle mattonelle, che, attraverso l’analisi di svariati aspetti sociali e dinamiche esistenziali, hanno proposto esperienze di vita, suggestioni ed emozioni personali, ambienti, animali in un immaginario senza tempo. Perfettamente riconoscibili la linea autonoma e originale del tratto, la miscela dosata dei colori che fanno di Meraviglia un caposcuola. Modo di dipingere unico,nitido e definito, basato su un preciso dialogo pittorico, una densa carica contenutistica, una fervida fantasia, una grande varietà di toni e di temi, che ha avuto grande presa soprattutto sui giovani visitatori. Affascinati dal linguaggio artistico dell’autore, che nell’immaginario mette mette in relazione il viaggio e l’identità delle persone, quest’ultimi hanno più volte fatto notare la loro presenza alla mostra. Grande, quindi, la soddisfazione dell’artista, conquistato anche dalla simpatia e dalla cordialità dei Caposelesi, al punto da dichiararsi pronto a ripartire per la prossima stagione con altri interventi mirati sul territorio ed altri progetti in cantiere riferiti all’arte pittorica e alla manipolazione. Bilancio positivo, dunque, sotto tutti i punti di vista; esemplare esperienza di promozione del territorio, della sua capacità di accoglienza e del suo rapporto con la cultura. Spirito sognante, libero da ogni imbrigliamento ideologico e da ogni strumentalizzazione, distante da nevrotici contenutismi, Meraviglia ha lasciato alle diverse fantasie dei visitatori le diverse interpretazioni delle sue opere. Per una lettura complessiva del suo percorso artistico, queste spaziavano dalle semplici scene di vita campestre, secondo gli spunti tradizionali dell’arte partenopea, ad immagini umane prive di tratti somatici,

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I “drappeggi” di Carmine Meraviglia

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Il Miracolo di San Gerardo (dipinto del M° d’arte Carmine Meraviglia) La scena e incentrata su due personaggi: la madre, in atto orante con le mani congiunte; 1’angelo, che custodisce teneramente il bimbo tra le sue braccia. I due personaggi per quanto diversi sono legati dalla linea continua del rito angelico. La figura materna poggia le sue membra sulla terra, o meglio sui suoi colori. E’ una donna che appartiene al nostro mondo, alla terra madre di tutto, al simbolo della fecondità per eccellenza, ma sottostante ai ritmi continui e lenti della natura. La monotonia e la semplicità sono superate dalla posizione del volto della donna che si rivolge al cielo. I lineamenti appena accennati del viso esprimono la pietà e allo stesso tempo la speranza, riposta nella sua fede e nelle sue preghiere. La fede della madre conduce lo spettatore verso 1’alto, verso un’altra donna: non più legata alla terra. La nuova immagine è svincolata da qualsiasi catena terrena, e le ali rappresentano meglio di ogni simbolo la libertà. Una libertà che per 1’angelo non è assoluta, perchè sottoposta ad un disegno divino predefinito. L’ angelo, come Hermes nella cultura pagana, è 1’ anello di congiunzione tra il terreno e il celestiale, 1’ umano e il divino, la semplicità è 1’estasi della perfezione. Le sue ali sono legate agli elementi che concludono e completano il quadro: la chiesa di Materdomini e S.Gerardo. Questi protegge le mamme e i bambini. L’angelo destato dalle preghiere e dalla sincera fede della donna intercede presso il Santo, che è nascosto da una profusione di luce: quasi a voler segnare la differenza tra i colori della terra e quelli del cielo. Una luce che acceca e lascia appena intravedere chi ne fa parte. Essa è distante da noi comuni mortali, quasi irraggiungibile, intoccabile, assoluta. Di essa ne farà parte solo chi ha un cuore sincero ed è dotato di una fede pura, libera dagli interrogativi quotidiani, e si lascerà trasportare ciecamente dal cuore per accantonare uno strumento esclusivamente umano: la ragione. La madre è il simbolo di tutto ciò. I suoi gesti, le sue parole sono mosse dall’amore, dal desiderio materno, da un affetto inconscio che rimarrà sempre un mistero, anzi un miracolo.I1 miracolo della vita. Le due sezioni sono separate solo apparentemente, perchè il tutto è legato dalle linee morbide e tondeggianti del drappeggio, e dalla posizione chiastica dei colori, che si avvicendano sinuosamente fino all’esplosione finale: il volto del Santo. Quasi a voler dire che tutto (anche noi) nel bene o nel male facciamo parte di un insieme. Ogni parte per conferire organicità e armoniosità al tutto deve essere legata a tutte le altre con solidità, ma allo stesso tempo ognuna deve saper non uniformarsi e distinguersi, per non ricadere nella monocromia. Valeria Testa


Opinio-

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yes-men, mentre gli uomini liberi sono scientificamente e sottilmente messi alla berlina, sono denigrati, sono isolati. “O sei con me o la tua strada sarà irta di avversità” è la parola d’ordine! Questo il pensiero della Fallaci. E come non ritrovarsi in questa lucida e spietata analisi? Questo modo di agire e di pensare, così diffuso, è certamente da uomini mediocri, perché chi è grande, che sa pensare in grande, non ha paura delle idee altrui. Chi è grande non si pone mai in atteggiamenti così meschini. Chi è veramente grande mira a far crescere anche gli altri. Sono rimasto colpito quando ho letto, da qualche parte, che sulla tomba del grande Rockfeller sono scolpite questa splendide parole: “Io sono diventato grande perché mi sono sempre circondato di persone migliori di me”. Che grande esempio di umanità e di umiltà! Chi è veramente grande è anche e soprattutto generoso. In chi è mediocre prevale invece un altro sentimento, prevale l’invidia. Il nostro è un paese di buoni all’apparenza (si chiamano buonisti) e di invidiosi nella sostanza. E’ questo il nostro peccato originale! L’invidia porta alla disgregazione sociale e Caposele e’ un paese socialmente disgregato; l’invidia porta a far male all’altro e di conseguenza a se stesso; l’invidia porta inesorabilmente all’autolesionismo. Correggiamo rotta prima che sia troppo tardi!

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Caposele è un paese ricco di xenofili del tutto particolari, che tradotto significa: gli altri (i non caposelesi) sono sempre migliori del nostro vicino di casa. Lo è, ad esempio, nei confronti del commercio locale, perché si ritiene che nei paesi limitrofi si trovino prodotti di una qualità migliore e più a buon mercato, quando invece spesso è vero il contrario. Ed il nostro commercio langue e con esso l’intera economia, con danni anche per coloro (gli xenofili) che hanno tale convinzione e si adoperano di conseguenza. Certo, la cosiddetta “classe dirigente” (dirigente di che?) non aiuta a correggere ed invertire il fenomeno, se essa stessa ritiene e sbandiera che Caposele non può essere paragonabile a qualche paese vicino, dall’economia florida. Parafrasando, immaginate il disastro che si commetterebbe se al proprio figlio, anziché spronarlo a fare meglio a scuola, si dicesse che lui non potrà mai essere bravo come il suo compagno di banco? Il povero ragazzo si convincerebbe che è effettivamente così (gliel’ ha detto il padre!) e perderebbe fiducia in se stesso insieme alla pur minima motivazione a fare meglio. A volte si è costretti, letteralmente costretti, addirittura a trasferirsi fuori del nostro Comune per poter acquistare, ad

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arlare in questi termini del proprio paese fa male al cuore. Tuttavia, così come ad un amico occorre sempre dire, per il suo bene, la brutta verità piuttosto che una bella bugia, anche per il proprio paese è conveniente talvolta fare delle dure e, per quanto possibile, lucide autocritiche. Sempre a fin di bene! Premetto che le responsabilità di quanto sto per dire sono dell’intera comunità, di noi tutti insomma, nessuno escluso: dei singoli cittadini, delle professioni, della cosiddetta “classe dirigente”, dell’ apparato burocratico, della pubblica amministrazione, ...... Ovviamente le responsabilità sono proporzionali al ruolo che ognuno di noi occupa nella società. Caposele fondamentalmente è un paese che non si ama, che non piace a se stesso, è un paese triste, è come un bambino che non vuol crescere e, per contro, già dall’adolescenza aspira alla pensione. E’ un paese che è caduto in un torpore soporifero da un lato e dall’ altro è spesso e volentieri capace di esprimere ed alimentare i sentimenti peggiori, stroncando contemporaneamente ciò che di buono possiede. E’ pessimismo, questo? E’ catastrofismo? E’ uno sguardo poco attento sulla nostra realtà? Non credo! Vediamo perché.

esempio, una casa, perché qui da noi siamo bravissimi a trovare sempre “il pelo nell’uovo” pur di non far realizzare tale fondamentale diritto a chi ha voglia e necessità di farlo, sacrificando anche un rilancio della nostra economia e non consentendo (fatto immorale!) a quei “poveri cristi” (con tutto il rispetto che meritano), costretti a lavorare al nord per sostenere le proprie famiglie, di poter finalmente rientrare. La cieca cultura del “pelo nell’uovo” sta letteralmente rovinando la nostra comunità! Ma lasciamo perdere, questo è un altro argomento! O forse è lo stesso? Tornando a noi, l’altro (il non caposelese) è sempre migliore del nostro vicino di casa (mai migliore di noi stessi, però!) e lo è in qualsiasi settore: lo è nell’artigianto, lo è nelle professioni, lo è nella politica, lo è in tutto. A scovar bene, questo modo di pensare e di agire non è del tutto casuale, ma origina da qualcosa di molto più profondo, è l’effetto di un peccato originale di cui il nostro paese non sa liberarsi o non vuole liberarsi. Leggevo su un quotidiano, qualche giorno addietro, uno straordinario articolo di Oriana Fallaci. La sostanza è questa: la Fallaci rifletteva sull’intima essenza dei regimi totalitari e delle democrazie nostrane. Il regime dittatoriale mira a condizionare, con atti di violenza fisica, fondamentalmente il corpo degli individui. La (falsa) democrazia nostrana, invece, lascia libero il corpo delle persone, ma tenta di rubargli l’anima. Le democrazie nostrane favoriscono gli

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CAPOSELE, PAESE AUTOLESIONISTA

Giuseppe Ceres

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ANPAS, 10 ANNI AL SERVIZIO DEL PAESE

zati di dare ai nostri amici un volto, una voce, dei Diritti e lo abbiamo fatto con iniziative finalizzate a rimuovere forme di emarginazione e di solitudine, dando così ai Diversamente Abili e poi anche agli Anziani, Diritto di Cittadinanza Attiva e di vera Inclusione Sociale. Intanto la Pubblica Assistenza cresceva e di pari passo aumentavano le attività: di fatto fummo compartecipi nell’attuazione della legge 285/1997, legge sulla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza e realizzammo qui a Caposele un Centro per 1’Infanzia e anche attività di Animazione per bambini e ragazzi, collaborando cosi nella realizzazione delle Ludoteche. Tutte queste attività ci hanno consentito di stipulare convenzioni con l’Università di Fisciano e di Napoli per il tirocinio di studenti, i quali possono espletarlo presso la nostra Associazione, facendo, nel contempo, esperienza nel mondo del Volontariato. Abbiamo realizzato e realizziamo consulenza nei confronti di quanti si vivono situazioni di difficoltà. Dopo 1’introduzione del S.C.V. ci siamo attivati per realizzare

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La Pubblica Assistenza di Caposele si e’ costituita nel 1995 e in quel periodo erano in pochi a credere nella necessità di creare una forma di volontariato organizzato che potesse tentare di offrire delle risposte ai Disagi e che facesse emergere quei Bisogni Sommersi, che purtroppo sono ancora presenti anche in una realtà come la nostra. Come tante Associazioni Irpine, anche la è nata in un periodo successivo al sisma dell’80 grazie anche alla presenza e all’esempio di molti volontari che, durante la catastrofe portarono dal nord il loro aiuto ad un Irpinia martoriata dal sisma. All’inizio eravamo un numero esiguo di Volontari, non avevamo neanche una sede e le prime riunioni avvenivano nelle nostre case; poi finalmente riuscimmo ad organizzarci attivamente ed avemmo la legittimazione dell’allora Amministrazione Comunale, che ci assegnò in comodato d’uso un prefabbricato in località Piani. La nostra associazione cominciò la sua attività, nei confronti di un universo totalmente sommerso quale quello dei diversamente abili. Ci siamo sempre sfor-

progetti che, oltre ad avere una ricaduta positiva sulla nostra comunità, possano anche offrire ai ragazzi la possibilità di realizzare un’esperienza umana positiva e, nel contempo, acquisire crediti e competenze spendibili per un’ occupazione futura. Vi e stata poi l’attuazione della Legge 328/2000, la legge, sul sistema di Interventi Socio-Sanitari Integrati; che però ha, di fatto, penalizzato il volontariato relegandolo ad un ruolo di solo affiancamento nell’organizzazione dei Servizi Sociali i quali, necessitano invece dell’apporto del volontariato, in termini non solo di umanità, ma anche di capacità progettuale e di adeguata professionalità. La Pubblica Assistenza ha sempre continuato a svolgere nel territorio un ruolo attento ai bisogni della gente, ma ad un certo punto e precisamente il 30 Novembre 2003, la vita della nostra Associazione è stata segnata in maniera dolorosa e drammatica dall’ignobile incendio doloso che ha coinvolto e sconvolto la nostra sede. Noi comunque non ci siamo arresi, nonostante in quell’incendio siano andati distrutti struttura, arredi, ma soprattutto i nostri ricordi e le testimonianze di 10 anni di

Alcuni volontari dell'Anpas

volontariato attivo. Ebbene abbiamo ricostruito ci siamo rimboccate le maniche e non abbiamo mai interrotto le nostre attività ed oggi continuiamo ad essere presenti, perchè riteniamo sia necessario affrontare e cercare di risolvere i problemi della nostra Comunità. La vita della nostra Associazione, in questi anni non è sempre stata facile, in quanto ci si scontra, a volte, con 1’indifferenza e con delle critiche sterili, ma noi ci sforziamo sempre di avere una maggiore forma di condivisione, finché si crei nella nostra Comunità una forma autentica di partecipazione, in quanto c’é bisogno di unire tutte le energie al fine di migliorare la QuaIità della vita nell’ottica di un Benessere generale. Cesara Maria Alagia Presidente della Pubblica Assistenza di Caposele

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PRESENTAZIONE DEL N. 70 DE "LA SORGENTE"

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NELLA AFFOLLATA SALA POLIFUNZIONALE SI E' SVOLTA LA PRESENTAZIONE DEL GIORNALE Un'attenta lettrice Nellina

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Sorgente” per la presentazione del n. 70 del giornale. Erano presenti, tra gli altri, il Sindaco di Caposele dott. Giuseppe Melillo e parte della sua giunta, e numerose altre personalità del nostro Paese. Dopo i ringraziamenti di rito indirizzati alle personalità presenti, il Direttore del giornale ha messo in evidenza il grande contributo che tanti collaboratori hanno consentito, nel corso di oltre trenta anni di attività, di portare avanti questa incredibile quanto prestigiosa avventura editoriale e di segnare delle tappe molto importanti lungo il non facile cammino percorso dal 1973, anno della fondazione, ad oggi. Due le motivazioni alla base di questa presentazione; la prima , sicuramente la più importante, per ricordare e al tempo stesso commemorare la scomparsa di due personaggi che improvvisamente ed immaturamente sono venuti a mancare all’affetto dei loro cari e dei tanti amici che li stimavano e li volevano bene: Donato Conforti e Antonio Sena. La manifestazione indetta dalla redazione vuol essere un omaggio

alla memoria di questi insostituibili collaboratori. La sorgente, ha detto il direttore, ha simbolicamente listato a lutto tutte le sue pagine. La seconda motivazione risiede nell’importanza stessa del numero che caratterizza quest’ultima uscita : è un numero che chiude un altro ciclo e suggella la chiusura del IV volume della pubblicazione. Un volume che, arricchito come gli altri, con immagini inedite, uscirà entro la fine dell’anno. “Chi volesse sfogliare le pagine di questi quattro volumi, - ha detto il Direttore - vi ritroverà la storia della Sorgente ed insieme quella del nostro Paese da trenta anni a questa parte”. Questa raccolta, scriveva Antonio Sena nella prefazione al terzo volume, “si propone come un diario scritto e custodito da tutti i Caposelesi vicini e lontani; una sorta di mappa tematica che abbraccia il presente ed il passato, l’effimero ed il permanente, il serio ed il faceto, la drammatizzazione e la scena, il costume e le tendenze. E’ una raccolta appesa al filo della memoria che viene teso verso un futuro di continua riflessione e di conoscenza partecipata”. E’ Una raccolta, aggiunge il direttore, che vuole essere qualcosa da conservare e che possa ricordare nel tempo tutto ciò che di buono e di cattivo è avvenuto nel nostro Paese: le alterne vicende politiche locali, gli stravolgimenti a seguito del terremoto e, infine, la ricostruzione. Il Direttore del giornale si è attardato poi sulla storia del giornale, comincian-

Gerardo ed Antonio

Raffaele e Antonella

Un primo sguardo su " La Sorgente"

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Il nuovo presidente della ProLoco dott. Raffaele Russomanno ed il Direttore de la Sorgente Ing. Nicola Conforti

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Il direttore della Sorgente ed il Presidente uscente Rocco Mattia

Ferdinado Mattia e Antimo Pirozzi

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n una sala gremita, come nelle grandi occasioni, dopo una introduzione del dott. Raffaele Russomanno, Presidente in pectore della Pro Loco, ha preso la parola il Direttore de “La

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L'intervento dell'Avv. Giuseppe Palmieri

Donato Gervasio ed Armando Sturchio

Felicino Caruso La foto mostra la partecipazione piuttosto numerosa di tante persone richiamate dalla presentazione di un giornale che ha superato i trenta anni di vita e che, in ogni occasione sa rinnovarsi ed adeguarsi ai tempi ed alle circostanze. Nell’occasione è stato distribuito il n. 70 de “La Sorgente” ed un quadretto della serie “Caposele in cartolina”

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PRO LOCO CAPOSELE CCP n. 14947832


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La platea durante la manifestazione di presentazione: sono riconoscibili in primo piano Salvatore Curcio e Gerardo Cibellis. E poi ancora Ferdinando Mattia, Antimo Pirozzi, Donato D’auria, Michele Ceres , Agostino Montanari e tanti altri ancora. Hanno ritirato il giornale a fine manifestazione oltre centocinquanta persone. La serata si è conclusa con un piccolo buffet e con brindisi augurante per il Natale e per il Nuovo Anno.

Giuseppe Casale componente del nuovo direttivo de La Pro Loco

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Cione, e il segretario del SDI Mimino Grasso. Ai presenti in sala è stata distribuita una copia del n. 70 de “La Sorgente” ed un foto a colori della serie "Caposele in cartolina"

Tonino Rosania e il figlio Italo

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L'intervento del Sindaco Giuseppe Melillo

Andrea e Pietro

L'intervento del dott. Antonio Cione

Il Direttore de La Sorgente commenta la serata con Serafina Del Guercio e Michele Forte Direttore della Banca

Giuseppe Melillo, Nicola e Fiorenzo Conforti

Una fase dell'allestimento del giornale

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do dai primi numeri di tentativo per finire al giornale di oggi, con una sua struttura originale che lo caratterizza e lo fa distinguere da tutti gli altri periodici dello stesso tipo. Esamina le varie pagine che contengono: la pagina culturale, quella di cronaca locale, le lettere e l’attualità, i personaggi importanti del passato e quelli di oggi, l’almanacco, i detti paesani, la ricerca storica, i Caposelesi nel mondo, i grandi avvenimenti locali. Ed a proposito di questi ultimi il direttore si sofferma sui gravi fatti negativi che sono stati registrati in questi ultimi tempi : si riferisce alla tragedia dell’anno scorso in cui quattro giovani hanno trovato la morte in un pauroso incidente stradale alle porte di Caposele. E di due giovani che, in circostanze molto drammatiche hanno perduto la vita per gravi fatti di droga. Infine fa rilevare che il giornale, da sempre, persegue l’ambizioso scopo di ridestare in tutti l’interesse e l’amore per l’avvenire della nostra terra, di stimolare la rivisitazione delle nostre radici con la riscoperta delle tradizioni, dei costumi, della stessa parlata dialettale, strettamente collegata ad una realtà artigiana e contadina che sopravvive ormai solo a livello di ricordi, ma così ricca di valori storici ed ambientali. “Da questo lavoro, che nasce non senza qualche pretesa, -sono le parole di Nicola Conforti - ognuno tragga quei segnali e quegli auspici che la sua sensibilità, il suo attaccamento al Paese, la sua intelligenza gli suggeriscono e gli rivelano.Mi corre l’obbligo, e lo faccio ormai in ogni occasione, di rivolgere un accorato monito alle giovani generazioni del nostro Paese, affinché non disperdano questo grosso patrimonio di esperienze, di dati e di storia che, con sacrificio e passione, abbiamo accumulato nel corso di tanti anni” A seguito della relazione tenuta dal Direttore del giornale, si è sviluppato un dibattito cui hanno partecipato il Sindaco dott. Giuseppe Melillo, l’avv. Giuseppe Palmieri, il dott. Antonio

Oriana Sozio e Francesca Cracolici

PER ABBONARSI AL GIORNALE INVIARE IL PROPRIO INDIRIZZO E UN CONTRIBUTOALLA PRO LOCO CAPOSELE VIA ROMA N.10

Il Dott. Giuseppe Caprio e il Dott. Pietro Spatola

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REDATTORI

Racconti

L’OMBRELLO DELLA VERITA’ UN RACCONTO DI CRONACA CAPOSELESE

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Le immagini (ovviamente in bianco e nero) ci proiettano in una mattinata umida e fredda di ottobre del 1957, quando due fanciulli furono trovati morti in un vallone sotto la Preta r’ Santa Maria, ai confini con l’Oppido di Lioni. Non avendo fatto ritorno a casa la sera, sin dall’alba le ricerche si diressero verso i luoghi dove solitamente i due bimbi andavano a pascolare le poche capre e pecore appartenenti alla famiglia. La scena che si presentò dinnanzi ai ricercatori fu raccapricciante: i due piccoli corpi erano riversi sul greto del torrente con impressionanti lacerazioni dovute all’impatto violento conseguente alla caduta dall’alto. Le prime valutazioni portarono a non escludere nessuna ipotesi. Ma col passare delle ore si fece forte la convinzione di interrogare il padre dei due bambini, considerato dai militari della locale Stazione dei Carabinieri, così come dalla prevalente opinione comune, eccessivamente burbero ed iroso ed uso a comportamenti verbalmente violenti nei confronti dei figli. Giuseppe, contadino a tutto tondo, dichiarò di trovarsi, nelle ore (intorno alle 15.00) in cui veniva fatta risalire la morte dei due figli, al lavoro presso il fondo di una signora della Preta, a potare alcuni salici. Questo era dunque il suo alibi. Si dà il caso che al comando della Tenenza di Montella, cui era stata avocata l’indagine, vi era un giovane Tenente di origini venete, più precisamente del Polesine. Questi interrogando la signora le chiese a che ora Giuseppe avesse fatto il lavoro di potatura dei salici. La signora tranquillamente rispose in dialetto: “versu v’ntnora”.

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investigativa. Ma il Maresciallo, comandante della Stazione, avendo origliato durante una delle conversazioni tra l’avvocato Cozzarelli e Pepp r’malandrino qualcosa che riguardava l’ombrello e ricordando anche la segnalazione fatta dallo stesso avvocato su quel preciso punto, decise che quella soffiata poteva essere non priva di interesse e, dunque, di conseguenze. Ma a Laurienzu non lo fece capire e lo liquidò frettolosamente e, se vogliamo, anche in malo modo. La mattina seguente si mise in moto il meccanismo delle verifiche. Si recuperarono informazioni più precise sul lavianese, su cosa facesse, chi frequentasse, dove e con chi lavorasse. Su questo ultimo punto si recuperò un altro interessante tassello. Il nuovo ed inatteso indiziato in realtà lavorava in uno di quei cantieri, in prossimità della Mauta, per la difesa idrogeologica dei costoni montani. Si dedusse che l’ora della fine del lavoro e del ritorno in paese, dovendo gli operai passare proprio dalla Pietra di S. Maria, fosse compatibile con l’ora della scomparsa e dell’uccisione dei bambini. Il caso volle che il giorno seguente, mentre l’uomo tornava in paese dal lavoro, piovesse con una certa insistenza e dunque egli camminava riparandosi con un grosso e largo ombrello. Quando i carabinieri lo videro che dalla Sanità imboccava Via Ogliara lo bloccarono in fondo alla strada. L’ombrello era quello di cui aveva parlato Laurienzu r’ cafaiu, con due bacchette legate al telo con del filo bianco. L’uomo fu portato subito in caserma, dove poco dopo giunse anche il Giudice Istruttore del Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, accompagnato dal giovane Tenente dei Carabinieri. Da un primo più attento e circostanziato esame visivo (ecco la prova decisiva) sul telo prossimo alla punta esterna dell’ombrello erano evidenti tre grosse macchie di sangue. Ovviamente, in assenza della confessione, quello al lavianese, che di cognome faceva Ruglio, fu un processo indiziario. Evidentemente nei vari gradi di giudizio quegli indizi furono ritenuti sufficienti per motivare la condanna all’ergastolo che l’imputato ha scontato in varie case penali fino alla metà degli anni novanta, quando uscì, malato, per vivere da uomo libero gli ultimi due anni della sua vita.

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di Indro Montanelli dalle colonne del Corriere della Sera che, come al solito in controtendenza, contrastava questa idea prevalente e in cui affermava altresì che tali delitti potevano accadere anche nelle pedemontane alpine (prevedeva forse già il delitto di Cogne?). Intanto, nella sommatoria del dolore per la morte dei due figlioli e di quello causato dall’onta infamante di esserne l’uccisore, Giuseppe non si capacitava della sparizione di quell’ombrello grande e largo che solitamente i figli portavano con sé quando pascolavano un po’ più distante dalla loro casa. Fuori e dentro la masseria dell’ombrello non v’era traccia, così come neppure sul luogo del ritrovamento dei corpi dei due bambini. Ne fece anche cenno all’avvocato Cozzarelli, il quale a sua volta pose la questione ai militi dell’Arma che la ritennero, giusto per non smentirsi, irrilevante ai fini dell’indagine. Ma un colpo di scena inatteso, degno della più avvincente letteratura giallistica, irrompe nella nostra storia. Quasi a smentire la tesi sull’omertà delle popolazioni del sud, apparsa sugli articoli della stampa nazionale e della quale non ne conosceva neppure l’esistenza, un signore minuto e col corpo scarno, segno della povertà e delle ristrettezze del dopoguerra, bussa a tarda sera al portone della caserma dei Carabinieri, giungendovi dal vicolo del Casale, forse per non dare nell’occhio. Laurienzu r’ cafaiu, questo era il suo nome, degli aspetti più controversi dell’uccisione dei bambini ne sapeva quanto un’acca, ovvero meno di niente. Egli viveva vendendo, d’estate, le fette di angurie e lupini salati vicino alla fontana del vecchio cinema e aggiustando, d’autunno e d’inverno, ombrelli e altri ammennicoli vari. Ma com’è, come non è, il punto è che Laurienzu non poteva capacitarsi come quel tipo di Laviano che, molti anni prima, insieme alla madre era stato condannato al carcere per l’uccisione del padre e che dopo la scarcerazione per buona condotta se n’era venuto a vivere a Caposele, dove aveva lontani parenti, si fosse presentato da lui per farsi riparare un ombrello che ben conosceva. Sì, lo conosceva davvero molto bene, quell’ombrello!. Se ne ricordava perché un anno prima glielo aveva portato per una riparazione proprio Pepp r’ malandrinu. E ricordava anche bene che glielo riparò con del filo bianco, avendo esaurito quello nero. L’ombrello che riparò quel pomeriggio aveva ancora quel filo bianco della vecchia riparazione. Ma Laurienzu si domandava che ci facesse quiru r’scamorza, ovvero lu lavianesu, cu l’ambrella r’ malandrinu ca, puvurieddu, l’aggiu vistu l’autu juornu cu r’ manett miezzu a lu chianu ca su lu purtav’n n’gimma a la caserma. Il portone della caserma fu aperto da un giovane Appuntato che poi sarebbe rimasto per il resto della sua vita a Caposele. Dinnanzi alle parole di Laurienzu vi fu una iniziale perplessità, come se non si cogliesse il sottile filo dell’opportunità

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ualche mese fa, in una fredda e innevata notte di inizio febbraio, si spegneva mio padre. Dopo la sua morte improvvisa si è scatenato in me uno strano meccanismo di rispolvero dei tanti racconti che egli mi ha trasmesso sin dall’età della comprensione e della ragione. Racconti che tracciano, seppure in maniera parziale, alcuni tratti della recente storia di Caposele. Tra i tanti, uno in particolare mi ha sempre colpito ed impressionato e che, in modo ricorrente, è tornato a galla nelle ultime settimane dinnanzi al bombardamento mediatico sul caso di Cogne. Il fatto che ricorderemo, con i suoi contorni, i suoi risvolti e i suoi drammatici esiti si può, senza alcuna forzatura, inserire tra gli annali delle inchieste criminologiche. A distanza di 50 anni, tuttavia, nel chiedere chiarimenti su alcuni particolari determinanti dell’intera vicenda, ho avuto modo di constatare quanto sia labile la memoria di chi pure ha vissuto quei giorni in cui Caposele occupò le prime pagine della stampa nazionale e durante i quali si scomodarono le migliori firme del giornalismo nazionale. Mi sarà perdonata qualche imprecisione involontaria, che però non stravolge l’insieme del contesto e delle modalità con cui si è sviluppata tale, tragica storia.

Sul verbale di interrogatorio della testimone fu riportata, impropriamente, la traduzione italianizzata: “verso le ore ventuno”. Non parve vero agli investigatori, specie al giovane Tenente, di avere tutti gli elementi per ritenere nullo e smentito l’alibi di Giuseppe. Dalle 15.00 alle 21.00, ragionarono gli investigatori, erano trascorse ben sei ore, quindi Giuseppe poteva aver ucciso i figli e poi essere andato dalla signora a potare i salici. Il padre dei bambini, a quel punto delle valutazioni investigative, fu prelevato nella sua casa di Dio Martino e portato presso la Caserma di Via Santorelli, dove subì una seria di interrogatori le cui tecniche, diciamo persuasive, sarebbero ai nostri tempi degne di ricorso al Tribunale dell’Aja. Si narra ancora oggi di peli toracici e pubici strappati, di unghie martoriate e di altre piccole e sconvolgenti torture, con l’obiettivo di accelerare la confessione. Ma l’accusato si dichiarava disperatamente innocente. A questo punto della storia entra in azione un giovane avvocato, Fernando Cozzarelli, da poco laureatosi presso l’Università di Napoli. Questa è la prima causa che deve gestire nel suo paese natìo. E che causa! Da far tremare i polsi! Duplice omicidio volontario con l’aggravante dell’infanticidio! Roba da ergastolo! Così rifletteva (con tutti quei terribili esclamativi) l’avvocato Cozzarelli mentre leggeva i verbali messigli a disposizione dal Giudice Istruttore. Subito gli balzò agli occhi quella stranezza della dichiarazione della signora che collocava alle ore 21.00 la potatura dei salici, quando (si era appunto in ottobre) faceva buio già alle 18.00. Infatti non perse tempo, Cozzarelli, e in un teso colloquio con il suo assistito gli chiese in dialetto cumm cazzu si ponn putà li salici a r’ nov r’ la sera. L’accusato, strampalato, domandò che cavolo c’entrassero i salici alle nove della sera e insistette nel dire che lui dalla signora c’era stato tutto il pomeriggio fino al tramonto. All’avvocato non rimase allora di sentire la signora. Questa confermò all’avvocato, in dialetto, ca Pepp r’ Malandrino s’ n’era jutu versu v’ntnora. Ma dunque, pensò l’avvocato, che diavolo hanno scritto i carabinieri sul verbale? V’ntnora, infatti, in dialetto corrisponde all’ora che precede il tramonto, quanto le campane suonavano (cosa che ora non fanno più) per annunciare l’inizio delle preghiere vespertine. E in ottobre, a Caposele, le campane r’ v’ntnora suonavano alle 16.30. Ma se l’alibi di Giuseppe poteva dirsi saldo dopo il chiarimento lessicale, restava da chiarire chi poteva essere stato l’autore di un delitto così atroce ed efferato, atteso che le perizie scientifiche escludevano oramai l’ipotesi dell’incidente accidentale. In quei giorni a Caposele si videro alcuni cronisti di testate nazionali pronti a raccogliere più gli aspetti di colore su un sud arcaico ed omertoso, che non mostrava nessuna pietà tale da indurre i cittadini a collaborare con le forze dell’ordine per smascherare il mostro omicida. Mi si dice che vi fu addirittura un fondo

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di Gerardo Ceres


Politica

OLTRE L’ETICA DELLA POLITICA

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seducativo, perché ingenera nel cittadino la convinzione che basta votare in un certo modo per godere di determinati privilegi, anche se a danno di altri. Nello stesso senso, la vicenda delle dacie è altamente significativa del modo sbagliato di fare politica e di amministrare, sia per il mancato rispetto dell’etica politica sia per il danno che si è determinato per le casse comunali: fitti non corrisposti per anni da parte degli assegnatari, assegnazioni che si sono trasmesse da genitori a figli, modifiche strutturali che hanno totalmente sconvolto la destinazione d’uso originaria dei vai locali. Eppure le dacie erano state destinate da una delibera del Consiglio Comunale del lontano 1981, mai del resto revocata, una volta superate le esigenze abitative del dopoterremoto, allo sviluppo turistico del Comune. Ma tanto non è stato, in quanto le stesse sono tuttora in parte abitate da cittadini di non disagiate condizioni economiche che con il terremoto hanno avuto poco a che vedere e che nell’assoluto silenzio dell’Amministrazione Comunale, al fine di non perderne il consenso, hanno accumulato ritardi su ritardi nel pagamento del canone del fitto. In pratica è successo che, anche con il disinteresse delle minoranze consiliari, sono stati beneficiati cittadini non aventi diritto, non bisognosi dal punto di vista economico, alcuni dei quali si possono permettere lussi ad altri cittadini sconosciuti, finanche la settimana bianca, mentre altri caposelesi , che hanno costruito con sacrifici la propria casa, debbono, giustamente, pagare l’ICI, come l’hanno fin qui pagata. Lo stesso discorso lo possiamo estendere agli altri prefabbricati. Per anni il Comune non ha preteso il pagamento del fitto. Oggi, però, perché non naviga in buone acque, l’Amministrazione Comunale pretende che gli assegnatari paghino tutti gli arretrati, che in alcuni casi rappresentano cifre ragguardevoli. La domanda è spontanea: perché negli anni decorsi gli amministratori hanno colpevolmente dormito e non hanno fatto pagare il fitto che i suddetti assegnatari dovevano corrispondere ? La risposta ai lettori. Ma, dove il delirio di onnipotenza dell’Amministrazione Comunale ha raggiunto punte estreme è stato nella poco edificante vicenda della variante al Piano di Recupero. Per l’’occasione è stato coniato un nuovo termine “l’urbanistica partecipata”, grazie al quale i caposelesi, considerati solo ed esclusivamente elettori, affascinati dal canto delle sirene, sono stati ancora una volta gabbati e le loro aspettative totalmente deluse. Di nuovo la domanda sorge spontanea. Perché non si spiega alla gente ciò che è successo?

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iacerebbe a tutti che il governo di una comunità non dovesse fare i conti con questioni economiche, che si potesse spendere tutto quel che si ritiene utile senza preoccuparsi delle conseguenze. Naturalmente non è così in nessun paese del mondo. La ragione è semplice. Tutti i servizi che un’amministrazione deve assicurare sono costosi e non producono utili economici, ma solo utili di natura sociale, che si misurano in termini di miglioramento delle condizioni di vita e di crescita culturale della popolazione. Il peso economico di tali servizi è sostenuto dalla fiscalità dello Stato, della Regione e dall’imposizione fiscale e contributiva da parte del Comune. Tale peso grava, quindi, sui redditi delle persone fisiche e su quelli delle imprese. Questo vuol dire che le tariffe per la copertura delle spese di gestione dei servizi medesimi non si possano ridurre o aumentare a piacimento. Infatti, è stata sufficiente una semplice sentenza non del TAR , non del Consiglio di Stato, non della Cassazione, ma del Giudice di Pace, conseguente ad un ricorso da parte di un cittadino caposelese avverso l’aumento a dismisura delle tariffe relative alle acque potabili e reflue, per far retrocedere il Comune di Caposele dalla spavalderia a posizioni più concilianti e rispettose della legge. Al di là del fatto meramente giuridico, inerente alla legittimità dell’atto deliberativo posto in essere, nel quale non intendo addentrarmi, ciò che mi urge evidenziare, ciò che voglio porre all’attenzione dei lettori e della pubblica opinione sono gli aspetti politici della questione e il danno che si viene a determinare per tutta la Comunità Un amministratore non può agire ignorando la legge, non può non sapere, altresì, che maggiori entrate, conseguenti ad eventuali aumenti, sempre nell’ambito del consentito, delle predette tariffe non possono essere destinate ad altri fini, se non alla copertura delle spese di gestione dei servizi stessi. La domanda, ancora un volta, è spontanea: se per convenzione le spese degli acquedotti sono a carico dell’ Acquedotto Pugliese, a cosa erano destinate le maggiori entrate che si intendevano introitare ? La risposta la lascio ai lettori. Un simile comportamento contrasta totalmente con i canoni dell’etica politica. Ancora qualche esempio. Spesso, nella nostra comunità, le fortune politiche e i successi elettorali sono stati costruiti sull’equivoco, sulla confusione e sulla malafede. Sì, sulla malafede, perché è malafede quando si promette sapendo di non poter mantenere la promessa, è malafede quando si fa capire all’elettore che, se voterà in un certo modo, potrà beneficiare dell’esenzione del pagamento di taluni tributi o potrà essere favorito da una particolare scelta urbanistica. Un tale comportamento è di-

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di Michele Ceres

UN ATTO DI UMILTA'

Dover ricorrere, per definire una qualsiasi questione o controversia, ormai e diventata pratica ordinaria. II rapporto tra pubblico e privato, tra forze politiche di maggioranza e minoranza s’inasprisce sempre di più. La possibilità di risolvere i problemi attraverso la dialettica e il confronto politico e stata trasferita nelle aule dei tribunali, con un bilancio nettamente negativo per il nostro comune in termini economici, di immagine e conseguentemente la perdita di rispetto dei cittadini nei confronti del comune come istituzione pubblica. La sentenza del giudice di pace di Calabritto, sull’aumento illegittimo del canone acqua, ha reso evidente un’ ostinata cocciutaggine dell’ a.c., e I’elevato grado di litigiosità con i propri cittadini. Cittadino, fra I’altro, con affinità politiche identiche allo stesso sindaco, avendo aderito entrambi allo SDI, anche se in modo diverso, per cui il confronto e lo scambio di opinione sarebbe stato più facile con il vantaggio di poter limitare notevolmente il danno prodotto dalla controversia. Perseverare di fronte all’evidenza significa perseguire la strada della presunzione. La cosa grave è che questo modo di fare non stupisce più di tanto, il metodo è diventato parte integrante di un costume ormai consolidato. L’ormai dimenticata vicenda del Piano di Recupero né è la dimostrazione. Dopo aver disturbato e preso in giro I’intera comunità, spesi soldi inutilmente e perso tempo prezioso, nemmeno un cenno di scuse. La cosa si è messa a tacere senza colpo ferire. E’ vergognoso solo a pensarlo. ’Di chi è la colpa? Dell’urbanista ?. Non sembra, visto che gli è stato confermato I’incarico per andare oltre: ma dove? Si è usata I’urbanistica determinando un fallimento ampiamente annunciato. Unico risultato una meschina operazione elettorale. Lo stesso dicasi per le bollette sul fitto prefabbricati, dove I’inadempienza dell’ a.c. si è protratta per molti anni, lasciando intendere che il pagamento ormai sarebbe stato capitolo chiuso. Abbiate il coraggio di spiegare ai malcapitati che quest’argomento si era messo a dormire per non turbare campagne elettorali. E’ giunta I’ora di giocare a carte scoperte e di decidere se I’amministrazione Melillo vuole amministrare il nostro comune o semplicemente comandare. La partecipazione e il confronto vanno ripristinate nella nostra comunità, per non favorire I’ appiattimento delle idee, il motore della crescita in senso generale. Pertanto chiediamo un atto d’umiltà, mettendo da parte la presunzione, la quale né è responsabile del fallimento della crescita sociale ed economica della nostra comunità. SEZIONE SDI CAPOSELE

IL PIANO DI RECUPERO : TUTTA UN'ILLUSIONE E' il volantino che annuncia, dopo 4 anni di attesa, che il Piano di Recupero, per il quale tanta gente aspettava piccole concessioni edilizie, che, tra l'altro avrebbero messo in movimento l'economia del Paese, è stato stralciato e cioè, in parole povere, è stato approvato solo in piccole parti e soprattutto in quelle che non hanno riguardato i cittadini che, diligen-temente,prima delle elezioni hanno prodotto decine e decine di richieste che sono restate, dunque, inattese. Anzi c'è da rilevare che in alcune parti del nuovo strumento, che non è stato ancora corretto dopo la bocciatura, ci sono delle restrizioni edilizie ancora più evidenti che nel precedente piano. Oggi è in programma il PUC (ex Piano Regolatore Generale) affidato allo stesso team che ha fallito per il P.D.R., speriamo, per lo meno che, a mò di compensazione, lavori GRATIS.

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Politica

CAMBIARE ROT-

Nessuno, poi, si illuda sulla circostanza che un eventuale contenzioso tributario possa ristorare spese correnti in affanno: se sono proventi di servizi a domanda essi appartengono al servizio medesimo sia in un’ottica di ristoro dei contribuenti tartassati, sia in caso di investimenti. Come si vede, non si sta parlando di noccioline, ma di ben altro. Io credo che in linea di principio non si possa escludere il ricorso ad incrementi delle entrate in sede locale, ma il tutto non può avvenire che solo dopo aver razionalizzato la spesa. La popolazione non è in condizione di sopportare altri aggravi e meno che mai la collettività può permettersi un taglio acritico della spesa sociale in un Comune in cui il disagio ed il rischio sono a livello di massima allerta. Il corrispettivo per l’acqua e per i reflui risulta già sanzionato ed altro ancora potrà seguire nei prossimi mesi. La Tassa Rifiuti Solidi Urbani, pure azionata discretamente registra un avanzo di previsione di 21.000 € che in un modo o nell' altro non appartengono al Comune. La mannaia sull’ ICI già è in corso e più di uno già paga come se avesse ville sulla Costa Smeralda: il patrio governo già ha

Non ci siamo: se il comune pensa di difendere la sua spesa e le sue liberalità a danno dei più deboli ha sbagliato binario. Come sta sbagliando quando pretende fitti per baracche fatiscenti per cui non ha mai speso un euro ed una lira da anni. Si, perché questo è un altro capitolo indecente: c’era ancora la lira quando i crediti si stavano accumulando e non si è fatto nulla e c’era l’Euro da almeno due campagne

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ipotizzare ricorsi ad incrementi di entrate a danno della collettività. Chi non ha il coraggio oggi di riformulare la spesa in senso sia qualitativo che quantitativo ha una sola alternativa: chiedere scusa ai cittadini e andarsene a casa. Se vuole, invece, restare al suo posto perché intende aderire ad un mandato popolare, tutto deve fare, salvo che mettere mano in modo estemporaneo ed illegittimo nelle tasche dei cittadini. Chi siede nei banchi dell’opposizione si è fatta un’ idea della situazione e non da oggi.Per dirla in breve, dagli atti in possesso, al di là dei pareggi virtuali pure proclamati, si evince che la spesa è ormai divenuta una variabile indipendente delle Entrate. Sempre dagli atti per quello che si dice e per quanto si omette, traspare che l’impaludamento non riguarda solo le spese correnti e gli investimenti ordinari ma anche la cosiddetta “partita di giro dei fondi destinati alla ricostruzione ( se è vero come è vero che i collaudi sono inceppati, la coda del completamento edilizio si attorciglia attorno ad autorizzazioni senza coperture finanziarie e la materia complessivamente

possibili correzioni ( sia in caso di integrazione di spesa che di diminuzione delle sovrastime delle entrate ) sono atti tecnici, burocratici e politici che gravano in termini di responsabilità su consiglieri, assessori, responsabili del procedimento e revisori dei conti. Far finta che tutto vada bene, mentre si sentono sonori scricchiolii nel fabbricato non autorizzerà domani nessuno a

anticipato di non doversi tenere conto dei pregressi introiti sugli immobili commerciali di proprietà di enti ecclesiastici. La Tassa Occupazione Spazi Pubblici già spreme al massimo, mentre l’Ammnistrazione si esercita in dubbie performances di sdemanializzazioni “vuoto a perdere”. Le compartecipazioni erariali dei cittadini, ancorché provenienti da Roma, non sono insignificanti ( IVA, IRPEF, addizionale ENEL, compensazioni ecc.). Su che cosa ci si intende concentrare, dopo che la finanziaria 2006 di Berlusconi avrà decurtato altri trasferimenti, non è dato saperlo. Per essere più preciso un qualcosa l’assessore pure lo ha farfugliato: trasporti scolastici, mense, piano di zona, volontariato ecc.

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non transita come pure dovrebbe, in espliciti capitoli di spesa del bilancio). Appare, altresì, che le sopravvenienze passive sembrano rimodulate ed occultate da continui ricorsi a meccanismi di anticipazione, pure possibili, in presenza di momentanea difficoltà della correntezza delle risorse: il che la dice lunga sul buon stato di salute dell’Ente. Se, poi, come sostiene l’assessorato i mutui accesi con la CC.DD. PP non destano preoccupazione, questo è dovuto a vincoli di bilancio e non ad altro. Semmai c’è da chiedersi se l’impennata delle alienazioni patrimoniali, che in nessun caso possono finanziare la spesa corrente, sia essa stessa stressata da un’emergenza o risponde ad un piano razionale (di cui però, nemmeno c’è traccia).

La Chiesa della Sanità accoglie i fedeli della Domenica

di sostegno sociale, senza ecludere che debbano innanzitutto “ dissetare le siccitose casse comunali). C’è, infine, il capitolo spinoso del diritto allo studio ( trasporto, mensa, costi di gestione ordinari, biblioteche, scuole materne comunali etc.). E’ vero, la spesa è consistente, (e i servizi non sono ottimi). Anche qui, che si fa? Si spara nel mucchio con gli aggravi dei tickets, o piuttosto non si pensa esclusivamente a razionalizzare la rete, tagliando i rami secchi, se necessario? Non venga in testa a nessuno di giocare con questo settore che è uno snodo decisivo per la comunità. Una scuola che si avvia “autonomamente” a ricercare risorse per finanziare i suoi progetti di “emersione dal disagio”non può subire decurtazioni scriteriate. Se i contenziosi col personale e un piano di recupero-carta straccia ingoiano 300.000 euro e più, è pensabile che a pagare sia l’utenza scolastica? La scuola, le attività produttive, gli anziani sono il cuore di un sistema locale: se non c’è spazio per loro in un Comune, non esiste il Comune. Come si vede, la Sinistra non è il partito della spesa ad ogni costo, se per entrata si intende la spremitura indiscriminata dei cittadini: la famigerata tassa sul macinato pensata dalla destra storica di qualche secolo fa non è più praticabile. A ciascuno deve essere richiesto di contribuire proporzionalmente e sostenibilmente; ecco perché un’amministrazione che si rispetti si dovrebbe far guidare dall’intelligenza, dal realismo e dalla concretezza e bandendo megalomanie e deliri di onnipotenza. Piccoli comuni come Caposele devono uscire dall’isolamento in cui si sono cacciati e confrontandosi con tutti sia in sede locale che oltre. Noi tutti auguriamo un Buon Natale ed un Felice Anno Nuovo ai Caposelesi, ma certamente i Caposelesi non esploderanno di gioia, quando sapranno che chi li amministra, non intende cambiare rotta e minaccia ritorsioni.

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l Consiglio Comunale di Caposele nella seduta del 30 novembre u.s., dopo i rituali, ripetuti e consolidati riconoscimenti di debiti fuori bilancio, ha provveduto ad approvare la variazione finale di assestamento delle previsioni 2005(col voto contrario espresso dal gruppo di minoranza). Ovviamente il relatore ha sminuito il valore dell’atto posto in essere relegandolo al rango di unaoperazione contabile di una qualsiasi bancarella di noccioline, perseverando nel non rendersi conto che questo obbligo è imposto dal legislatore, pena lo scioglimento del civico consesso. E’ sfuggito, ancora una volta, all’assessore che l’atto è richiesto per legge al fine di verificare il grado di attendibilità delle previsioni originarie affinchè si ponga rimedio a profili di problematicità. Sa bene l’assessore che le

di Alfonso Merola

elettorali, quando, motu proprio, non si è inteso riscuotere. E’ macabro, oggi, pretendere qualche migliaio di euro da chi ieri non era in condizioni già di darne qualche centinaia. Che fare allora? Innanzitutto bisogna fare i conti con entrate di un comune di 3600 anime desistendo dal condurre una vita da comune di 5000 abitanti. Le entrate non possono essere divorate acriticamente dalle spese correnti sia di tipo materiale che immateriale. Non è comprensibile la logica di esternalizzare servizi burocratici, quando le risorse interne oltre ad esserci sono di buon livello. Né è accettabile negoziare l’ammansimento del personale attraverso progetti obiettivo o sviluppi di carriera, che non sono mai a costo zero. Della gestione del patrimonio si è già detto e bisogna aggiungere che la sua tutela deve essere funzionale agli interessi del Comune e non a quelli dei privati ( e che in ogni caso essa non può esaurirsi nell’attività di corriere tra studi notarili, catasti e roba del genere). La stessa gestione in devolution di strutture pubbliche e di servizi relativi alla mobilità, più che dar da mangiare a chi fame non ha, vanno ripensati in u’ottica


REDATTORI

Politica

MELILLO FA MARCIA INDIETRO SUGLI AUMENTI DELL’ACQUA

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di Giuseppe Palmieri

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hanno piena consapevolezza) gravi ripercussioni a partire già dal prossimo anno. La minoranza consiliare, nei limiti delle possibilità date dalla condotta sin qui tenuta dalla maggioranza, non mancherà di dare il proprio contributo perché i cittadini di Caposele non abbiano a patire in futuro lacrime e sangue. Pur tuttavia, resta una situazione che dire difficile è eufemistico. Come insegna l’esperienza nazionale, la c.d. finanza allegra prima o poi chiede il conto. E però, prima di partire a spron battuto con la istituzione di nuovi balzelli e con l’aumento indiscriminato delle tariffe (che qualche esponente della maggioranza già ha esplicitamente annunciato), sarebbe il caso di analizzare con maggiore attenzione (e con maggiore rigore) la situazione delle spese dell’Ente. Non si tratta di eliminare quei servizi che ormai costituiscono un bene acquisito ed irrinunciabile della comunità, nè si tratta di smantellare e sopprimere quei benefici e quelle provvidenze disposte a favore dei meno fortunati. Piuttosto di eliminare quei costi e quelle spese che se erano possibili (ma pur sempre ingiustificate) in tempi di vacche grasse, oggi non sono più concepibili. E non ci si venga a dire che si fa demagogia. In tempi non sospetti, la minoranza consiliare ha indicato i tagli e le economie da perseguire. Chiedendo la revoca di specifici atti e deliberati. Ha indicato il percorso virtuoso da seguire per evitare la perenne (e continua) conflittualità con i dipendenti comunali, che non pochi guasti sino ad oggi ha provocato in termini di produttività e serenità di rapporti; oltre ai danni economici che l’Ente ha dovuto suo malgrado patire in ragione degli esborsi sostenuti, quantificabili in centinaia (di migliaia) di euro, per le ripetute condanne riportate. Solo dopo aver recuperato il virtuosismo economico-finanziario come innanzi indicato, è lecito chiedere ai cittadini ulteriori sacrifici. E non sarebbe male se a dare l’esempio della necessità di dover stringere la cinghia (rinunciando simbolicamente al gettone di presenza) non fossero proprio gli amministratori. Da parte mia, sin da adesso c’è la più totale disponibilità in tal senso.

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E bla, bla, bla, dicendo, come siamo soliti sentire da qualche logorroico esponente politico locale. Forti di queste convinzioni, i consiglieri del gruppo Uniti per Caposele hanno promosso una forte ed in alcuni momenti cruenta battaglia (non solo consiliare) a difesa dei buoni diritti di tutti i contribuenti. Ed infatti, in sede di approvazione del bilancio di previsione del 2005, nell’aprile di questo anno, dopo una infuocata quanto sterile battaglia (perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire) i consiglieri comunali del gruppo Uniti per Caposele, in sede di votazione, dopo aver dichiarato e fatto mettere a verbale il perché del loro voto contrario, preannunciando azioni legali, abbandonavano l’aula, mentre il Sindaco (che è anche il presidente del consiglio – comunale, si intende!) minacciava a sua volta che se la minoranza non avesse fatto seguire i fatti alle parole, sarebbe stato lui a denunciare i consiglieri di minoranza per omissione di atti di ufficio (sic!). Ovviamente, i consiglieri di minoranza (loro sì!) alle parole hanno fatto seguire i fatti. E’ di queste settimane la presa d’atto (da parte del sindaco e della sua giunta) della illegittimità di quell’aumento più volte evidenziato dalla minoranza, svariati mesi prima. Ma questo non per un ripensamento (ognuno ha i suoi tempi di maturazione!) ma perché un giudice ha accolto le doglianze di un cittadino che forte dell’iniziativa consiliare si è attivato in proprio. Anzi, a tal proposito, forse non è inopportuno rimarcare il senso civico del nostro che si è assunto in prima persona la responsabilità di detta iniziativa. La decisione viene presa con delibera giuntale n. 157 del 22.11.2005, con la quale l’A.C. revoca le precedenti delibere che negli anni 2003 e 2005 avevano disposto gli aumenti delle tariffe del servizio idrico integrato, prima del 30%, poi del 100%. Questa delibera (sulla cui legittimità è lecito nutrire più di qualche dubbio) è la prova provata che nell’aprile di quest’anno la battaglia della minoranza contro l’aumento dell’acqua era fondata e che la sicurezza ostentata a suo tempo dalla maggioranza (rectius: da qualche suo esponente) altro non era che la ultronea manifestazione dell’arroganza, della protervia e della spocchia che lo contraddistingue. Inutile sottolineare come la revoca degli aumenti dell’acqua (illegittimamente disposti – non mancheremo mai di rimarcarlo!) abbia avuto ed avrà (forse tanti nella maggioranza ancora non ne

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Caposelesi l’acqua ce l’hanno in testa. Così, dai resoconti di un deliberato consiliare di qualche decennio fa. Forse, l’amministratore dell’epoca voleva dire che i Caposelesi l’acqua ce l’hanno nel cuore, più che in testa (evitando le scontate battute). Ad ogni modo, l’espressione voleva rimarcare lo stretto legame che c’è tra i Caposelesi e ciò che di più prezioso la loro terra produce. Un legame che ha anche ripercussioni e ricadute negative per il Paese. Si pensi alle limitazioni di natura urbanistica ed alla interdizione al pubblico di zone molto suggestive del Paese. Qualche buontempone (forse non proprio a torto) addirittura sostiene che la causa delle tante patologie reumatiche e di calcolosi che affliggono i Caposelesi sia proprio l’acqua. Vero è che sempre con più insistenza (ed a ragione) si parla di ristoro economico per i Paesi dalle cui viscere sgorga il prezioso liquido. E’ di qualche mese fa un convegno, proprio qui a Caposele, sul problema dell’acqua come risorsa non infinita e come fonte di ricchezza per i “Paesi produttori”. Ovviamente, di acqua si parla non solo a Caposele. E’ accesa la disputa tra quanti vogliono “privatizzarla” e quanti sostengono invece che a gestirla deve essere un Ente pubblico. In questo contesto (e dopo che l’A.C. ha più volte sostenuto la necessità di un indennizzo per Caposele ed i Caposelesi, da parte dell’Ente che gestisce questa immensa ricchezza) la Giunta Melillo, smentendo se stessa, nel marzo di questo anno ha deliberato l’aumento del 100% (rispetto all’anno precedente) delle tariffe per il servizio idrico integrato (corrispettivo per l’uso dell’acqua potabile, canone acque reflue e depurazione). Ovvia la levata di scudi dei cittadini ed in primis del gruppo di opposizione consiliare che si richiama alla lista Uniti per Caposele. Ovvia, non solo e non tanto per l’aumento in sé (che non è poca cosa, visti i tempi che corrono) ma soprattutto per quanto innanzi evidenziato. Non era (ed è) forse Caposele, il Paese dell’acqua? Non si era detto che vivendo il Paese una situazione di disagio per la presenza delle sorgenti, andava addirittura disposto un indennizzo a beneficio del Comune e di questo (certamente non in via diretta) ne avrebbero beneficiato anche i cittadini?

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la mostra fotografica è da sempre il recipiente fresco e costante di raccolta di punti di vista vari e diversi su soggetti che riguardano la sociAlita' e tutto quello che ruota intorno al NOSTRO "luogo" ALCUNE FOTO DI QUESTO CONTENITORE SONO QUI RIPORTATE

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ACHILLE PIZZA ASSUNTA ZOTTI NICOLA CONFORTI JR. RAFFAELE LAUDISIO MARIA CONFORTI GIUSY MEO GIANMARCO ELETTO MARILISA PALLANTE ANTONIO ROSANIA RENATO FISCHETTI GERARDO CERES RAFFAELE RUSSOMANNO PASQUALE PALLANTE LORENZO SOZIO

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I PARTECIPANTI DEL CONCORSO FOTOGRAFICO:

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Manifesto di presentazione della mostra

LE FOTO DELLA MOSTRA-CONCORSO SI POSSONO RICHIEDERE, IN COPIA, ALLA PRO LOCO CAPOSELE


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- Anno XXXIII- Dicembre 2005 N.


STudenti meritevoli

CAPOSELE :UNA SCUOLA CHE Dedichiamo

questa pagina ai giovani

Caposelesi

che hanno portato agli onori della cronaca, talvolta anche in

campo internazionale, i loro successi scolastici e concorsuali.

Ci riferiamo in particolare ad Angelo Russomanno, “genuius loci” il cui curriculum non ha bisogno di particolari commenti. E ancora di Salvatore Fuschetto, liceale anch’egli, ha trionfato alle olimpiadi internazionali in tema di multimedialità. Infine due ragazze, Giusj Meo e Alessandra Cantarella, per il diploma loro conferito dalla Scuola Media di Guardia di Lombardi per il concorso “Paese mio”. In passato abbiamo, con lo stesso entusiasmo parlato di Carmela Cuozzo, più volte campionessa nazionale di nuoto e di Maria Di Masi, campionessa nazionale anch’essa, detentrice di numerosi primati conquistati con altrettante medaglie d’oro in campo nazionale nelle gare di nuoto.

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studente liceale, autentico

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PREMIO "PAESE MIO"

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Al MEDIASHOW, VINCE IL SUD Salvatore Fuschetto si classifica ai primi posti

Alle olimpiadi internazionali delle scuole in tema di multimedialità, giunta alla settima edizione, il “Mediashow “ svolto quest’anno a Melfi (Pz), Salvatore Fuschetto, rappresentante del Liceo Scientifico di Caposele è giunto ai primi posti della speciale graduatoria. Il nostro giovane liceale rispondendo in modo completo alla traccia assegnata, ha evidenziato capacità tecniche, progettuali, creative e critiche. Una grande soddisfazione per Caposele e per i genitori Giulio e Maria Malanga. Le congratulazioni di tutta la redazione

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elle le vene di questa comunità scorre sangue da geni. E’ di Angelo Russomanno quest’anno la serie sbalorditiva di successi conseguiti da Angelo Russomanno, nostro giovane compaeper le Olimpiadi internazionali di Sasano, che ha piantato la nostra bandiera lamanca. in giro per il mondo ottenendo risultati Angelo ed i suoi 4 compagni di strabilianti in competizioni riguardanti squadra hanno raggiunto la Spagna la fisica. forse ignari del risultato che li attendeva. La serie di successi è iniziata il 15 L’11 luglio scorso, a Salamanca, nella marzo 2005, con la vittoria del premio splendida Spagna, si sono concluse le “Eduardo R. Caianello”. XXXVI Olimpiadi internazionali della Poi ancora il 7, 8 e 9 aprile, con la fisica. Tutti e cinque i nostri rappresenXIX gara nazionale delle Olimpiadi tanti sono stati premiati. italiane della fisica. Il nostro Angelo Per Angelo Russomanno è arrivata ha scalato la classifica, battendo i 95 la menzione d’onore. Ora, a conferma studenti partecipanti al concorso. della sua genialità, è riuscito ad accedere Si trattava di studenti provenienti alla Normale di Pisa, un’università alla da tutte le regioni italiane, selezionati quale, da sempre, accedono soltanto tra quelli che hanno frequentato negli pochissimi, i migliori studenti italiani ultimi anni le scuole medie superiori. e del mondo. I concorrenti si sono cimentati in Fondata da Napoleone nel 1810 una prova sperimentale, accompagnata come succursale dell’Ecole Normale da una relazione tecnica ed una prova Superieure di Parigi, da quasi due secoli teorica consistente nella risoluzione di conduce attività di ricerca che la rendoproblemi matematici. no un riferimento a livello nazionale ed Dieci i vincitori a pari merito, tra i internazionale. Tra i suoi illustri allievi quali Angelo Russomanno. Il successo compaiono Giosuè Carducci, Delio conseguito gli ha aperto le porte per Cantimori, Vito Volterra, Enrico Fermi, un seminario di allenamento a Trieste, Carlo Rubbia, Giovanni Gronchi e Carlo presso la Scuola internazione di studi Azeglio Ciampi. La Normale di Pisa, avanzati e presso il Dipartimento di sempre alla ricerca di talenti, premia le fisica dell’università. E’ stata effettuata forze intellettuali migliori. una simulazione delle Olimpiadi inDa oggi, siamo lieti ed orgogliosi ternazionali al termine del seminario, di annoverare tra loro anche Angelo vinta da cinque studenti tra i dieci Russomanno. totali. Anche questa volta Angelo Russomanno l’ha spuntata e, con altri, ha formato la rappresentativa dell’Italia - Anno XXXIII - Dicembre 2005 N.71

Giusy Meo e Alessandra Cantarella hanno partecipato con successo alla V edizione del concorso indetto dall’Istituto Comprensivo Statale di Guardia dei Lombardi sul tema “Paese Mio”. Le due giovani concorrenti, cui è stato conferito l’ambito premio, hanno voluto regalare alla Pro Loco di Caposele, per la collaborazione offerta, ed in segno di ringraziamento, la coppa loro conferita .

Salvatore con gli amici del Liceo


REDATTORI

Attuali-

Strapaesanerie

E questo grazie alla dedizione dei nostri lettori e alla pazienza nel interpretare e ritrascrivere anche i detti e i fatti caposelesi dei

impaginando in una pubblicazione arricchita di contributi fotografici ed audio che saranno riportati anche in un cd dedicato alle nostre tradizioni.

la conservazione delLa memoria del nostro paese dipende da tutti noi.

continuate a mandarci del

materiale che sicuramente sara' utile a completare la nostra raccolta.

grazie a tutti coloro che collaborano

Li soldi ti fann’ riccu ma nun ti fann’ signoru ***** Tanta m’b’r’mienti so’ r’ giuvamientu ***** La puttana tras’, la masciatera ess’ ***** Cu li pacci taglia a curtu ***** Chi fula secca e chi cucina lecca ***** Chi lu pesce si vol’ mangià, la cora s’ l’adda n’fonn’ ***** Ru bben’ si perd’ e li cani arrabian’

E’….NATA VOTA NOTTE

di Berto Rosania

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SCENN' SEMB LENDA LA SCURA MA P’CCHI SAP’, NU’ NGI FA’ PAURA LU TIEMBU NUN TEN PRESSA SI LU TRUOVI ASSAI, CHIANU PASSA. TI RAI RETTA E S’N’ FACI ACCORGI E P’ STU N’GIARMU NUN ZERV L’ALLORGI E PROBBIU TANNU, L’ORA R’LA CUNZEGNA CA’ LU IUORNU RAI A LA NOTT’ E LA MPEGNA.

Lu meglio vinu vai r’acìtu ***** Figlie n’fascia, panni n’cascia ***** Na vota ti passa Ddiu p’ nn’anzi a l’uocchi ***** R’ femmn’ cort’ so’ p’ li mariti, quer’ longh so’ bon’ p’ r’ ficu ***** Cainati pezza r’p’zzata, schiuma r’ pignata ***** Nun zi po’ ten’ lu ciucciu a la scesa ***** Si la matassa foss’ la mia, rumbess’ lu capu e truvass’ la via ***** La stizza r’ cuntinuu sp’rtosa la preta ***** Addu’ pisci semb’ n’gi fa la fonta e n’gi puzza ***** Fatti li fatti tui, quannu trovi chi t’ r’ ffa ffa ***** Chi mal’ ti vol’ sotto a sett’ suttan’ lu culu ti ver’ ***** Pignata rotta longa rurata ten’ ***** La bucìa ongi, la v'rtità pongi ***** Quannu sciarr’n’ r’ baiass’, si sgravogl’n’ r’ matass’

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E ACCUSSI’ QUISTI SO LI MEGLI MUMENDI QUANNU SI LASS’N STI RUI MUNDI LA LUCI, LU SOLU STRACQU SI VAI A CURCA’ LA LUNA, LA NOTT’ CU R’ PRIM’ MBREIE CALN’ QUA’.

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L’ANIMALI NOTTAIUOLI FOR' SI MEN'N S’ADDO’RN SI CANOSCN, E PO’ S’INDENN'N SI PES’N, SI SANNU E PO’ SI M’SUR'N E DOPPU INDU A R GIRAVOT' SI PERD'N.

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RU BRUTTU E’, CA RA TIEMBU R’ANNU TROPPU RETTA CCHIU’ A LA BUCIARDA E ARROBBASUONNO, CA A LA BUFFETTA CU SCASSI TROPPU LUONGHI R’ATU (IAT’ALLORU) SI PERD’N INDU A RU S’MMNATU.

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M’ACCORGU, CA UNU, ROPPU 15-20 ANNI R’ TANTA SCOLA SAP' QUERU CA SAP' MA PO’ SI N’GOLA A S’ARRDDUCI A LIMUSINA’ QUERU CA P’ DIRITTU LI TOCCA CUMM’ A PRIMU “ ANNUTU FOR E SACCHETTA MMOCCA”

A t’laru add’r’zzatu, n’gi tess’n’ r’ crap’ ***** Chi è da sotta schiatta e abbotta ***** Si a tott’ r’ pret’ vuò mett’ lu peru, nunn’arrivi cchiu’ ***** A la casa r’ tatonu n’ge lu iussu e la ragiona ***** Meglio a dice ch’ pezza ca ch’ p’rtusu ***** Astipa la panzogna p’ quannu t’abb’sogna ***** Ru’ picca granu s’ r’ mang(e)n’ tuttu l’aucieddi ***** Lu strunzu cum’ lu naspri naspri è semb’ strunzu ***** Piglia la casa fatta e lu luocu sfattu ***** Prima sparagna e po’ accatta ***** Rroba r’ mangiatorio nun bai a lu cunf’ssoriu

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stiamo

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E' un lavoro che

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nostri nonni.

di Cettina Casale

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migliaia di detti caposelesi.

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Abbiamo raccolto, oramai,

STATTI CITTU.... CITTU.... .... CA MO' TU LU CONDU!

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ACCUSSI’ FNISCN’ GRUOSSI E GRASSI PASCIUTI SENZA CA S’N ACCORGN CA INDU SO’ POCO CRISCIUTI I’ ERA PEGGIU E SO’ RUMASTO CIUCCIU R’ MASSARIA CAPU R’ MI MBARA’(E INDU A LA C’COZZA) POCU E CRIA ACCUSSI’ MO SO’ ADDUV’ SO’ A BBOTT R’ PER’T E P’RNACCHI CEGLIU CUM’ A NU R’MITU Z’ZZATU N'DERRA CU R’ PACCH PROBBIU NUN MI TROVU MO’ CA CONDA L’APPARIENZA TROPPU SERVI R’LUSSU, R’ CUNZUMI E R’ACCATTA’ A CR’RENZA. MO VI LASSU, CA IUORNU E’ FATTU E NU ZICU R QUER’ CA T’NIA N’GANNA R’AGGIU RITTU VI LASSU A LU MUNNU VUOSTU FATTU R’FIESTI , ALLUCCHI E BOTT’ NI S'NDIMU CCHIU’ N’ADDA’... QUANNU N’ATA VOTA E’ NOTT’. Lu viecchiu furnu r' la "Pilirossa". Ru ppan' ca facìa r's'tìa na sittimana

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AIELLO:

Cognome napoletano formato dal soprannome e nome antico femminile Aurigemma composto da “aurum” (oro) e “gemma” (pietra preziosa).

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BARBARO:

Diffuso in tutta Italia, massima frequenza a Napoli. Ha alla base due possibili origini: 1) il nome in latino “albanus” di età repubblicana; 2) il nome etnico Albano di origine medioevale e moderna.

Diffuso al Sud. Alla base c’è il cognomen imperiale di Barbarus di origine greca e che in origine significa straniero ovvero che parla una lingua incomprensibile. In Roma imperiale veniva attribuito a chi non era di nazionalità romana o greca ovvero era di origine germanica, araba o saracena.

AMENDOLA:

BENINCASA:

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ALBANO:

Diffuso nel Sud, derivato da soprannomi o da toponimi con a base il dialettale di “mendula”, mandorla-mandorlo.

ARCHIDIACONO:

E’ del Sud (Reggio Calabria) di formazione medioevale, attraverso un soprannome indicante il capo (laico) dei diaconi di una chiesa o di un capitolo, o anche il vicario del vescovo.

Diffuso al Sud, ha alla base un nome augurale e gratulatorio di formazione medioevale riferito a un figlio venuto alla luce con difficoltà e accolto “bene in casa”.

BIONDI:

Diffuso in tutta Italia ma con punte a Sud. Un originario soprannome dato

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Ceres che a Caposele è comune a molte famiglie che in effetti non hanno “più” legami di parentela). Il terzo elemento era il COGNOMEN e individuava per lo più come soprannome la singola persona all’interno di una stessa gens, cioè di un grande gruppo familiare (ad esempio Gerardo Russomanno l’architetto e Gerardo Russomanno l’ingegnere, ove architetto e ingegnere costituiscono elementi di cognomizzazione). Ultimo elemento: l’AGNOMEN è un quarto nome aggiunto che indicava per lo più una particolare caratteristica o condizione. In effetti quando coincidevano Praenomen, Nomen, e Cognomen quest’ulteriore elemento permetteva l’individuazione della persona. Si immagini due persone che si chiamino entrambe Maria Rossi, per soprannome individuate come

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per lo meno dall’epoca romana, periodo in cui si era addirittura codificato anche con termini tecnici le radici dei gruppi sociali. È ormai acquisito che la formula onomastica dei cittadini dell’antica Roma era composto da quattro elementi ed erano: il praenomen, il nomen, il cognomen e l’agnomen. Il PRAENOMEN era il primo elemento e rappresentava il nome individuale in quanto tale (corrisponde ai nostri nomi propri attuali che distinguono, nel nome, un individuo dall’altro nella stessa famiglia). Il NOMEN, secondo elemento, designava l’appartenenza ad un grande gruppo familiare, detto gens. E’ da precisare che esso non si riferiva ad un gruppo familiare nel senso moderno in quanto assommava un grandissimo numero di “familiae” che avevano radici antiche comuni ma che allo stato erano unite (si fa per dire) dal solo nomen (è il caso, ad esempio, dei

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di Alfonso Merola

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AURIEMMA:

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E’ diffuso nella Calabria, Campania, prevalentemente in Sicilia. Ha toponimi (Aiello del Sabato; Aiello Calabro). Deriva dal latino “agellus”, piccolo podere, campicello. E’ un cognome di tradizione generica latina o alto medioevale.

a costruire le “piccole storie” di piccoli villaggi segnati dai grandi eventi solo marginalmente. Scopriamo, così, che il latino, il greco, bizantino, gotico, longobardo, alemanno, lo svevo, l’arabo, il normanno, l’angioino, hanno lasciato impronte, segnando il passaggio della grande storia. Il significato dei cognomi è storia di fatti dallo spessore temporale limitato e comprensibile solo a ristrette comunità compatte (il che non significa riduzione a semplice aneddotica). Iniziare una storia dei cognomi caposelesi vuole essere un contributo alla storia locale in cui dovremmo impegnarci quanti sentono il fascino della nostra memoria, sapendo che nella nostra onomastica non c’è nulla di esclusivo rispetto a tante altre aree geografiche ma sapendo, però, che in molti cognomi v’è la traccia di ciò che siamo stati nel corso dei millenni. Nella formazione dei cognomi italiani, nel corso dei secoli avviene un costante processo di trasformazione che muta un nome proprio, un soprannome o addirittura un appellativo in vero e proprio cognome. Questo fenomeno linguistico detto di “cognomizzazione” racchiude in sè l’iter storico della famiglia che la scienza onomastica è riuscita ad accertare

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’Italia ha una rispettabile tradizione nella scienza linguistica; risente, però, di ritardi notevoli per quanto concerne l’onomastica. In particolare, nonostante la rilevanza storico-culturale, antropologica e sociale, lo studio sui cognomi italiani risente di una sottovalutazione, forse imputabile alle difficoltà oggettive di un riferimento globale, di certo ad una disattenzione delle piccole comunità che hanno ritenuto irrilevante una ricerca del genere su aree ristrette. Eppure il cognome (al contrario del nome legato fondamentalmente a tradizioni, ideologie, orientamenti collettivi), si è stabilizzato nell’ultimo Medio Evo a una struttura quasi rigida ed assoluta ed in tal senso potrebbe essere di grande ausilio alle Scienze Storiche. A leggere, oggi, i nostri cognomi, certo si rileva che hanno perduto la loro funzione linguistico-scientifica, la loro origine, e che hanno assunto un semplice valore identificativo (e descrittivo). Non di meno sono utili, se opportunamente studiati, a dare risposte a tanti nostri interrogativi, sono utili

LA STORIA DEI COGNOMI

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Storia

in rapporto al colore dei capelli e della barba, poi consolidatosi in cognome. BRUNO: Diffuso in tutta Italia. Di derivazione germanica (brun). Un cognome riferito al colore dei capelli o della pelle.

CAPRIO:

Cognome diffuso nel napoletano, formato dal toponimo Capri, l’isola del Golfo di Napoli.

CARBONE:

Diffuso in tutta Italia: continua nomi medioevali che rappresentano originari soprannomi o nomi di mestiere.

CARUSO:

Frequentissimo nel Sud: un originario soprannome o nome di mestiere. “Carusu” è il “ragazzo”, il garzone occupato in lavori agricolo-pastorali o nelle miniere, dai capelli estremamente rasati (per motivi igienici).

LA STORIA DEI COGNOMI CAPOSELESI PRIMA PARTE

CASILLO:

Sulla base di “casa” (panitaliano) è un cognome proprio del napoletano.

CASALE:

E’ largamente distribuito in tutta Italia. Ha alla base nome che denomìna in origine un’abitazione rustica o un


La storia dei cognomi

vi fosse una gens Fabia.

E’ pure esso diffuso nel Napoletano. Continua il cognomen tardo latino di “Donatus”, dato in dono, affermatosi in ambienti cristiani nel senso di concesso da Dio, riferito ad un bambino lungamente atteso.

D’AURIA:

CURATOLO:

Alla base c’è il toponimo o il nome di mestiere o di possesso.

Diffuso in tutto il Sud, ha alla base un soprannome scherzoso che significa “corto, basso di statura.

CERES:

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E’ del Sud; deriva da Cicco che è un ipocoristico popolare di Francesco. E’ presente come base di toponimi.

CIFRODELLI:

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E’ campano-pugliese. Ha alla base un nome-soprannome derivato dalla voce meridionale “cifro”, diavoletto, monello. (Lucifero latino con perdita del Lu che a Sud viene deglutinato perché sentito come articolo).

CORONA:

Di origine sarda, ha alla base un nome derivato da un originario soprannome indicante l’appartenenza ad un consiglio consultivo, politico, amministrativo e giudiziario.

Alla base è il nome personale Alessio che continua il nome tardo latino Alexius, adattato dal greco Alexis (il difensore). E’ un patronimico consolidatosi in cognome.

D’ELlA:

DAMIANO:

DI MASI:

GERVASIO:

Diffuso in tutta Italia, con altissima frequenza a Sud. E’ la cognomizzazione del nome Damiano, dal tardo latino Damianus, a sua volta adattato da Damianos di origine greco- orientale. Questo nome si affermò nell’Alto Medio Evo per il culto dei Santi e Martiri Cosma e Damiano.

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CICCONE:

In queste varianti è diffuso soprattutto al Sud; ha alla base il nome antico di Fino, forma abbreviata con addirittura scomparsa di sillabe di un vezzeggiativo di nomi terminanti in “fino” (come Adolfino, Serafino, Rodolfino ecc.).

Diffuso nel napoletano, è di formazione medioevale ed augurale, per lo più di origine gratulatorio.

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Poco diffuso e tipicamente caposelese, dalle origini incerte. Si possono avanzare alcune ipotesi: 1) di origine latino: è il tronco di “ceresaltus” (Cervialto); 2) di origine castigliana (è molto diffuso in Spagna nella forma Xeres); 3) è a base di un soprannome con etimo legato alla ciliegia (cerasa) anche diffuso a Sud in toponimi (Cerasuolo).

FINELLI-FENIELLO:

Alla base ha un soprannome. A n c h ’ e s s o è d i d i ff u s i o n e pressocchè meridionale.

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Diffuso in tutta Italia; l’originario nome indica mestiere o condizione di chi lavorava in un castello.

Molto frequente al Nord con riferimenti a israeliti; nel sud può avere alla base altri toponimi formati dal nome comune antico o dialettale Ferrara (dal latino ferraria) “fucina”.

Frequente al Sud, ha alla base il nome di tradizione biblica Elia, riferito al primo profeta d’Israele, Si diffuse al Sud con la tradizione cristiana grecoorientale, affermandosi soprattutto in Calabria per il culto di due monaci vissuti tra il IX ed il X secolo.

CONFORTI:

CASTELLI:

D’ALESSIO:

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CASTAGNO:

Diffuso in Calabria, ha alla base il nome “curatulus”, capo dei mandriani; capo dei pastori; caposquadra nelle saline; amministratore di un fondo rustico.

CURCIO:

FERRARA:

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terreno con casa colonica. E’ proprio dell’Italia centrale; deriva dal latino imperiale “cassianus” a sua volta derivato da quello più antico di “cassius” di probabile origine etrusca. E’ legato a vari santi e martiri del primo cristianesimo.

Diffuso pressocchè in tutta Italia. Ha alla base antichi nomi, a loro volta originati da soprannomi relativi al mestiere (mugnaio, panettiere ecc.) delle persone così denominate. Come nome risulta già documentato nel XII secolo in Toscana.

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Un immagine di Corso Europa durante un assolato pomeriggio d'estate

CASCIANO:

Diffuso nel Napoletano e corrispondente al settentrionale Doria, può rappresentare un originario soprannome formato sia dal matronimico latino (D’Auria, figlia di Auria) sia dal toponimo Oria pure esso rimaneggiato in latino (a questo imbellettamento si ricorreva spesso nel sedicesimo o diciassettesimo secolo).

FARINA:

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DONATIELLO:

DANIELE:

La sua più alta frequenza è nel Napoletano. La base è il nome di tradizione biblica Daniele, il profeta di Israele deportato a Babilonia e qui perseguitato, ma poi diventato ministro. Nome, quindi, israelitico ma anche cristiano che ebbe diffusione giù dal Medio Evo. Daniele significa “Dio è il mio giudice”.

DEL MALANDRINO:

Di antica formazione tardomedioevale, tra l’altro molto comune, ha alla base il nome Maso (forma abbreviata e tagliata di Tommaso).

FABIO:

Ha una sua .diffusione su tutto il territorio italiano. Ha alla base il nomen Fabius divenuto nome personale nell’età imperiale. Potrebbe derivare, però, da un originario soprannome; da “Faba”, fava, al pari di “Cicero”, cece o “Lentulus”, lenticchia. Di certo si sa che nell’antica Roma

GRASSO:

Diffuso con altissima frequenza in tutta Italia. Cognomizza il soprannome Grasso, già molto comune nel Medioevo e riferentesi a caratteristiche fisiche della persona. Come agnomen (in una stessa famiglia) opposto ha Magri.

GRECO:

E’ frequente in tutta la penisola. Deriva da un originario soprannome sia nel suo significato etnico di oriundo della Grecia o più in generale dal Levante, sia in quello figurativo di “furbo”, “astuto” ecc.

DI DOMENICO:

E’ la cognomizzazione del nome Domenico di origine. tardo cristiana. Derivato da Domenicus, nel senso di “dedicato, consacrato a Dio”. In alcuni casi, soprattutto in ambienti contadini il nome Domenico può essere anche stato dato a bambini nati in giorno festivo.

Diffuso in tutta Italia; è la cognomizzazione del nome tardo latino di Gervasius di possibile origine germanica. Si affermò per il culto del santo che fu martirizzato sotto Domiziano.

GONNELLA:

Diffuso nel Centro-Sud ha alla base un

Peppo ex banditore

CONTINUA NEL PROSSIMO NUMERO

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IL TEMPO PASSA....

L’argomento della tesi è, come già accennato, la figura di un vescovo: mons. Michele Arcangelo Lupoli, chiamato a reggere, a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo, tre diocesi del Regno delle Due Sicilie:

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Materdomini,

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MATERDOMINI el sagrato si accede con molta difficoltà. I fedeli che assistono alla santa messa all’aperto saranno ventimila, incollati l’un l’altro. San Gerardo Maiella è stato ancora una volta una grande attrazione di fede. Nel giorno del suo 250esimo anniversario dalla sua morte ha dimostrato quanto sia amato dai fedeli di gran parte del Sud Italia. A Materdomini, ieri, è giunto un vero oceano di persone. Nessun dato ufficiale, ma sicuramente sono stati raggiunti i numeri delle previsioni della vigilia, che indicavano l’afflusso di 50mila pellegrini. L’affluenza delle decina di migliaia di turisti nella piccola frazione di Caposele è iniziata di buon mattino. Poche ore, è Materdomini era già zeppa di turisti, bancarelle, carabinieri, vigili urbani, ausiliari del traffico, parcheggiatori, volontari. La giornata è iniziata subito, classica giornata

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di festa materdominese. I vigili che imbracciano la paletta ruotandola ed indicando la strada a centinaia di pullman, migliaia di migliaia di auto. I pellegrini arrivano, passeggiano, vanno a messa, ripartono. Il piano traffico sembra reggere bene nel centro di Materdomini: poche volte capita di vedere un ingorgo, nonostante il traffico proceda a rilento frenato dalle tantissime persone che sono dappertutto. Ma alla periferia di materdomini, il disagio è alto: il traffico è bloccato all’uscita di Caposele della Fondovalle – resterà così dalle prime ore del mattino fino a sera – e negli altri punti d’accesso al comune altirpino. L’afflusso è davvero massiccio. I pellegrini proseguono nella loro classica giornata a Materdomini: passeggiata, shopping tra le bancarelle,

di tutta la vita del Lupoli: non lo si comprenderebbe per niente, infatti, se in lui osassimo scindere il suo essere uomo dal suo essere cristiano e pastore di cristiani, dato che per lui, l’essere uomo e l’ essere cristiano si equivalsero, anzi, furono la stessa cosa. Questo lavoro, volendo essere una ricerca storica, non darà molta importanza all’analisi dei suoi scritti, cosa, questa, quasi impossibile, data la grande quantità degli stessi. Pur richiamandoli di volta in volta, qualora fosse necessario ai fini della ricerca, tuttavia se ne farà uso soprattutto per illustrare quello che è stato l’operato del nostro, nonché il suo modo di rapportarsi agli eventi che hanno caratterizzato il suo tempo. Il lavoro, altresì, si concentrerà esclusivamente sull’analisi storica del periodo in cui il Lupoli è stato vescovo, essendo stato, questo, a mio avviso, quello che lo ha visto più impegnato a scrivere impolverate pagine di storia di quei piccoli lembi di terra del Sud, che sono state le sue diocesi di Montepeloso, Conza e Salerno.

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Montepeloso, Conza -Campagna e Salerno. La figura di questo prelato, nel vasto panorama della realtà ecclesiale meridionale di fine Settecento e inizio Ottocento, assunse caratteristiche molto peculiari, pur essendo stato pienamente un uomo del suo tempo. Infatti, in un’epoca travagliata da profondi rivolgimenti politici e sociali interessanti il Meridione d’Italia, il Lupoli, nonostante risentisse molto del modo di pensare della Chiesa di quel determinato periodo storico, spiccò - nella storia locale, s’intende - per cultura, fermezza nelle sue proprie convinzioni e dedizione piena ed incondizionata al suo ministero episcopale. Se si dovesse definire, con una sola parola, chi e cosa è stato mons. Lupoli non si potrebbe non usare questa: un cristiano, ed un cristiano vescovo. Tutto ciò che pensò, scrisse ed attuò lo fece sempre da cristiano, da sacerdote e, a partire dai trentadue anni fino alla sua morte, da vescovo. E’ questa la chiave di lettura

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in conto: che la storia, cioè, non è fatta soltanto di grandi uomini, ma anche e soprattutto di tante persone sconosciute che, nel loro piccolo, hanno contribuito a scrivere le pagine del tempo. Riportando alla luce la vita e l’operato di questo vescovo della nostra terra meridionale, e con esso l’ambiente sociale, politico e religioso del tempo, vorrei ricordare anche, contemporaneamente, la vita e l’operato di tanti personaggi che, pur non essendo stati vescovi, nobili, autorità e così via, hanno vissuto con lui ogni trasformazione strutturale caratterizzante la loro età. E’ anche tramite la loro vita che la storia ci ammonisce e ci educa, come da tante altre piccole cattedre viventi. A noi il compito di fare tesoro di tutto ciò che essa ci dice per un futuro migliore.

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PRESENTAZIONE Il tempo passa e, inesorabilmente, trascina nell’oblio tante vite, tante situazioni, tanti piccoli eventi che noi, oggi, per conoscere dobbiamo ricercare in tracce e testimonianze nascoste che hanno lasciato. Resiste, invece, al logorio della storia il ricordo dei “grandi”, protagonisti di tante circostanze che hanno contribuito a costruire, in bene o in male, la grande casa dell’umanità che, oggi, tocca a noi abitare e migliorare col nostro piccolo contributo. Passerà anche questo, non dico alla storia – cosa scontata questa – ma al ricordo della storia? Chissà; per ora nessuno può dirlo: ai posteri l’ardua sentenza. A noi tocca certamente, per capire meglio noi stessi, il mondo in cui viviamo, il nostro modo di pensare, i valori in cui crediamo, rovistare nella grande biblioteca del passato alla ricerca di fatti, uomini, istituzioni ed eventi che, in qualche modo, illuminano questa nostra realtà e questo nostro presente. D’altronde – ricordiamocelo – la storia è maestra di vita. Questo mio lavoro su un personaggio così sconosciuto ai più, com’è mons. Michele Arcangelo Lupoli, vorrebbe servire proprio a questo: ad illuminare, appunto, il nostro presente, ma anche a riproporre all’attenzione di tutti un dato di fatto molto importante e che oggi noi non teniamo più

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L’amico e concittadino Mario Sista, frate francescano , ci ha fatto pervenire una interessante tesi di laurea in “Storia del cristianesimo in età moderna e contemporanea”. Ne pubblichiamo volentieri alcuni stralci anche per i riferimenti al nostro PAESE. In questo numero ci limitiamo ad esporre la presentazione che lo stesso autore fa della tesi, ripromettendoci di riprodurre ampi stralci nei prossimi numeri de “La Sorgente”

rinfresco al bar. Certo, poi c’è la chiesa, perché a San Gerardo si viene per un principio religioso. C’è chi ci va prima, chi ci va dopo. Ma il fiume di persone verso la basilica del santo protettore di mamme e bambini non finisce mai. Quest’anno, diversamente dagli altri anni, la grande messa delle 11 è all’aperto. E a prenderne parte, perché ne hanno la possibilità, ci sono migliaia di persone. A guardare da lontano, quel sagrato laggiù sembra piazza San Pietro nelle domeniche dell’Angelus. Per arrivarci devi percorrere il tragitto più lungo, evitando l’enorme affollamento della zona subito davanti al palco a mo’ di altare dove il cardinale Giovan Battista Re presiede la speciale messa. Poi tutti si spostano nel piazzale della vecchia basilica di San Gerardo, dove c’è la tradizionale distribuzione del grano

di Donato Gervasio Tratto da OttoPagine

benedetto per la semina. Le manifestazioni religiose si interrompono fino alle 17, quando c’è la processione dell’urna con il corpo del santo per le vie di Materdomini. Il tripudio dei pellegrini per San Gerardo adesso è alto. Tutti vogliono seguire quell’urna di vetro contenente le ossa del santo. La processione percorre tutte le strade di Materdomini in un’acclamazione generale. Poi rientra nel santuario, là dove Gerardo Maiella 250 anni fa morì fisicamente, ma dove non ha mai smesso di vivere con la sua grande spiritualità. La messa conclusiva presieduta dal provinciale dei Redentoristi, padre Antonio De Luca, conclude una giornata storica che a sua volta chiude l’”Anno Gerardino”, un anno importantissimo ed emozionante, dedicato al santo più amato del Sud Italia.


Attualità

AL VIA IL POLO SCOLASTICO

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Il primo giorno di scuola nel nuovo Polo scolastico

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scolastica come : laboratori linguistici di informatica di pittura e disegno; locali mensa; palestra con spogliatoi e servizi; auditorium; garage coperto. Una grande struttura, insomma, al servizio di tutta la comunità che potrà usufruire di alcune strutture interne anche in orari extrascolastici. Era ora che Caposele potesse utilizzare per i propri studenti ambienti adeguati allo studio e anche all'attività sociale che da dopo il terremoto non si è mai potuta svolgere in locali

Ospiti d'onore al tavolo della presidenza

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opo 25 anni dal terremoto, Caposele ha finalmente una scuola vera. Una struttura a dimensione cittadina con tutte le comodità e servizi che avevamo dimenticato da anni. Lunedi 15 settembre 2005alla presenza sia di numerosissimi caposelesi arrivati davanti alla scuola di buon mattino e sia di rappresentanti delle Istituzioni, si è tagliato il nastro tricolore per dare alla cittadinanza una scuola degna di questo nome. Nell'immensa palestra si è tenuta una presentazione della struttura con i relativi ringraziamenti del Sindaco ai vari tecnici e a chi ha collaborato alla realizzazione dell'opera ed infine una benedizione del Vescovo Francesco Alfano coadiuvato da Don Vincenzo Malgieri e Padre Luciano Panella. La struttura comprende oltre alle aule per la scuola dell'Infanzia, scuola elementare e primaria di secondo grado, anche ambienti collegati all'attività

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UNA GRANDE STRUTTURA AL SERVIZIO DI TUTTA LA COMUNITA'

Ivana D'Elia, una delle allieve premiate dalla scuola

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Il Preside premia Floriana Nesta

I bambini della scuola elementare assistono alla cerimoonia di inaugurazione

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L'uscita da scuola

Un gruppo di insegnanti in pensione

Ettorino Montanari riprende, con grande entusiasmo, le scene della inaugurazione del Polo Scolastico

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Il Preside prof. Silvano Granese

Il Sindaco dott. Giuseppe Melillo tiene il discorso inaugurale

Inaugurazione del Polo Scolastico Il Sindaco ed altre personalità al tavolo della presidenza

I giovani della Pubblica Assistenza, con sacrificio prestano la propria opera

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Serata dedicata agli anziani - nella foto Alfonsina, Maria e Antonetta

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IN QUESTA RUBRICA, SONO RIPORTATE LE FOTO DELLE MANIFESTAZIONI DELL'ESTATE CAPOSELE CHE, ANCHE QUEST'ANNO, HANNO VISTO LA MASSICCIA PARTECIPAZIONE DELLA GENTE. DI GRANDE GRADIMENTO LA DIVERSITA' E IL VENTAGLIO DI OFFERTE DA PARTE DI TUTTE LE ASSOCIAZIONI ED ORGANIZZAZIONI, ANCHE POLITICHE, CHE HANNO CONTRIBUITO ALLA PRODUZIONE DI UN PROGRAMMA UNICO DELLE MANIFESTAZIONI ESTIVE.

Gerardo Cione durante il suo prezioso lavoro

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Il Poliziotto Lorenzo Gervasio

Benny Daniele e Rocchino Russomanno

La piccola Wanda in abiti tradizionali

Michele Cuozzo nel suo lavoro informatico

Gerarda Forlenza in servizio con l'ANPAS Angelo Sturchio con Russomanno Rocco

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In ricordo della Ferrocemento - nella foto Emidio Alagia ed il geom. Zoppi

Cesarina Alagia, presidente dell'ANPAS, ha svolto un lavoro di grande prestigio a favore degli anziani e

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Le sorelle Montanari

Antonella e Giovanna Gervasio

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Rusinella, Finuccia e Puppinella si cimentano in Canti popolari caposelesi

Generazioni in un riflessivoconfronto

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Nel corso della serata dedicata agli anziani sono state distribuite alcune specialitĂ gastronomiche looc

Faluccio Pallante ai bordi del Fiume in attesa dei clienti del suo allevamento di trote del Sele

Le donne anziane hanno partecipato con interesse giovanile alla serata loro dedicatta

Amerigo Conforti

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Vincenzo Malanga

Un gruppo di allievi pronti per la partenza della gita scolastica


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Un particolare della rappresentazione popolare

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La sagra è sempre una gioiosa occasione di confronto e rilassamento

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Un omaggio a Gerardo, il simpatico amico di tutti

Rocchino e i suoi inseparabili amici

Le donne addette alla preparazione

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Giovanni e Gerry

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Umberto Sista e Rocco D'Alessio alle prese con il forno a legna

Pasquale

Mancino e la sua brace a contorno perenne delle manifestazioni estive

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Gerardina alle prese con la preparazione dei piatti caratteristici

Pietro Cuozzo e Tonino Acone durante il servizio di vigilanza urbana durante le feste ferragostane

Mina Galdi con i nipotini

Camillo con l'agnellino

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Vendita di prodotti locali durante una manifestazione ferragostana

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9 agosto è SAGRA nella foto Rusinella

Giuseppe piccolo atleta

E' la serata degli anziani - nella foto Colomba, Puppinella e Chiarina

Davide Platinì Liloia in una performance vincente della Corsa Campestre di anni addietro

Le donne della sagra 2005 - in primo piano Criscentina

LE FOTO PUBBLICATE SI POSSONO RICHIEDERE ALLA REDAZIONE DE "LA SORGENTE" ANCHE VIA E MAIL

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Un palco di prima fila con Nunziatina in primo piano

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Le pietanze della serata culinaria preparato e distribuito dalle donne in abiti tradizionali

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E' in corso una spettacolo di folklore locale. Gli anziani assistono con interesse

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Donne che assitono alle rappresentazioni organizzate per gli anziani

Le donne anziane che hanno eseguito canti popolari caposelesi

Ancora un particolare del banco di distribuzione nella foto Federico Barbarossa

Armando e Angela

Pasquale e Maria cantanti di grande successo de li Cumbari

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Lorenzo addetto alla distribuzione del vino con l'assistenza di Giovanni

Giuseppe Rosania durante una sciata urbana dopo la nevicata dello scorso inverno che ha imbiancato, per molti giorni le strade del Paese Le donne anziane hanno mostrato l'abbigliamento di un tempo passato e rappresentato alcuni canti tradizionali - nella foto Maria e Finuccia

Pietro Pallante grande e piccolo

Uomini anziani in atteggiamento di partenza come ai tempi della grande emigrazione

Donne anziane in attesa della rappresentazione tetrale - nella foto Natalina e Rusinella

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Sara Biondi e nonna Gaetanina

Nicola D'Auria e Nicola Conforti jr.

Primo piano di un giovane visitatore

Raffelino

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LA SAGRA dei FUSILLE e delle MATASSE

Un appuntamento che la tradizione invoca insistentemente ogni estate e che richiama centinaia di turisti. La Sagra dei Fusilli e delle Matasse assume, ogni anno che passa, una connotazione straordinaria che caratterizza il nostro ferragosto caposelese.

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SAGRA ESTATE 2005, foto ricordo

Tra le varie manifestazioni che si intrecciano nel periodo estivo, la Sagra, forse è quella che mantiene intatto il fascino della tradizione, non fosse altro perchè l'arte dell'impastare, della manualità, della pazienza si trasmette dalle nonne alle mamme, alle figlie, in ogni appuntamento.

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Maria Sista

E' straordinario assistere alla preparazione della pasta fatta in casa che coinvolge diecine di donne di ogni età che, insieme, con serietà e capacità e in un'atmosfera gioiosa, preparano centinaia di chili di pasta che si consumano in poche ore nella sera dedicata alla distribuzione.

Cettina Russomanno alle prese con i fusilli

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Ultime battute prima della SAGRA - nella foto Criscentina e Filomena

Filomena Ilaria

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Un particolare del banco di vendita nella foto Rosa e Gerardina

Lorenza in costume caratteristico alla distribuzione della "pizza cu la prummarola"

La sagra di Caposele è tradizione, quindi, è trasmissione dell'arte culinaria, è mantenimento dei valori legati alla famiglia. La Sagra è cultura!

Le donne anziane nella serata a loro dedicata hanno messo in mostra il loro antico fascino indossando anche gli abiti della nostra tradizione

Donne in costume addette alla distribuzione

- Anno XXXIII- Dicembre 2005 N.


Almanacco

ALMANACCO

FATECI PERVENIRE, PRIMA DELL'USCITA DEL GIORNALE, TUTTE LE NOTIZIE, FOTO E COMMENTI SUI VOSTRI CARI CHE GRADIRESTE VEDERE IN PUBBLICAZIONE;

a cura di Antimo Pirozzi

LE NOTIZIE CHE RIPORTIAMO SONO IL SEGNO DELLA VOSTRA COLLABORAZIONE

Michele Zanca di Massimo e Fiorella Russomanno, 24-02-2005

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Elodia Guerrera di Luigi e Annaclelia Conforti

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Zarra Gerardo di Maurizio e Rocchina Cibellis, 10,05,2005

EMANUELA RUSSOMANNO si è laureata in Economia e Commercio presso l’Università di Salerno discutendo la tesi in Tecnica industriale e Commerciale dal titolo “ Il business plan: aspetti logici e operativi” con votazione 105/110. Relatore prof. F. Ventriglia.

Massimo Cetrulo e Filomena Proietto Sposi

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Carmen Gervasio di Lorenzo e Patrizia Rosania 12-04-2005

Apprendiamo con molta soddisfazione che SALVATORE NESTA, figlio del nostro amico e concittadino Rocco, Ispettore Superiore Sc. del Corpo Forestale dello Stato, si è laureato con il massimo dei voti in Veterinaria presso la facoltà di medicina veterinaria di Bari. Lo stesso è già iscritto all’Ordine deii Veterinari della provincia di Potenza. Al neo laureato ed ai suoi genitori formuliamo gli auguri più affettuosi.

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Nicolò Chirico di Antonio e Carmela Cuozzo, 27-05-2005

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Angelo Sturchio di Alfonso e Tania Russomanno

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Gerardo Monteverde di Gelsomino e Anna Russomanno, 05-03-2005

ROSSELLA MALANGA si è laureata in Economia aziendale preso l'Università Partenope di Napoli discutendo la tesi "Storia dell'Acquedotto Pugliese". Alla neo laureata ed ai genitori gli auguri della Redazione.

Un augurio speciale per Gerardo e Antonietta che si sono sposati all'aperto nell'immediato dopoterremoto.

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Gelsomino Grasso di Lele e Mimma Feniello 10-09-2005 Il 25° del matrimonio di Mimino Sista e Angelina Amendola. La foto li ritrae nei loro anni verdi, Auguri

SCRIVICI ANCHE CON Lorenzo Gerardo Corona di Raffaele e Carmela Sena 25-06-05

Anna Biondi di Toni e Tania Mattia, 15- 11- 2005

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Tonino Apicella e Cesaria Mattia Sposi felici 01-09-2005

email: confortinic@tiscali.it


Almanacco

IN RICORDO DI MICHELE PATRONE

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Egli, con i suoi occhi tagliati per sorridere, trasmetteva simpatia, serenità, positività, merce sempre più rara ai giorni nostri. Michele ti parlava con semplicità della sua dedizione alla famiglia, con entusiasmo del suo lavoro al Corpo Forestale e poi, sapeva appassionarsi nei ragionamenti politici; la politica, senz’altro, la sentiva come un’eredità di un’antica e sana tradizione familiare. Parlando di politica come non si può non ricordare suo nipote Amato Mattia, che egli amò come un figlio. Si accendeva di gioia per quel suo nipote che aveva fatto tanta strada al pari di come era assalito dalla commozione quando ti congratulavi con lui del suo Cesare di cui, credo, un paese intero dovrebbe andare orgoglioso. Io me lo rivedo seduto accanto alla Pro Loco, tutto preso a discutere del più e del meno, tutto intento a salutare e a rispondere ai saluti e a sorridere ai tanti musoni che abbondano a Caposele, quasi a ricordarci che la vita va presa per quella che è, e non per quella che vorremmo che fosse. Alfonso Merola

”La morale è uno strumento di dominio. Essa consiste nell’istituzione di un sistema di valori, grazie al quale uomini soggiogano i loro simili....”

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LA MORALE

uomo non si esaurisce con la sola pratica professionale,ma anche con la partecipazione attiva e concreta alla vita degli altri, al dolore degli altri,alle necessità degli altri. Vi prego ragazzi non progettate la vita su questi filmati.Almeno voi cercate di tirare fuori il coraggio e 1’audacia di smascherare con comportamento dignitoso,a viso aperto,chi vi fa del male.Cercate con forza di smuovere i sentimenti agghiacciati, ricercate i valori e il desiderio d’amore,che è anche desiderio di vita. L’ a m o r e è una scelta dell’intelligenza contro la meschinità. A tale proposito mi piacerebbe citare Nietzsche .Questo filosofo si assunse il compito di smascherare tutte le forme dell’ipocrisia: metafisica, morale,religione. Egli tende a distruggere le credenze e i riti che gli uomini si sono costruiti come delle certezze per combattere il caos della vita. Egli critica 1’uomo sottomesso ed auspica la formazione di un nuovo

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embra incredibile: in un paese in cui ogni giorno vengono superati e raggiunti nuovi traguardi, non si riesce a raggiungere il traguardo più importante,quello di una effettiva uguaglianza, senza distinzioni di condizioni sociali o di idee politiche. Mi rifiuto di credere che le preoccupazioni sul futuro dei giovani siano legate a interessi particolari. Se vogliamo renderci partecipi al futuro di questi giovani,consideriamo anche che le vere azioni non vanno legate alla politica partitica ma solo agganciate ad un discorso di cultura e crescita per il nostro paese. Si additano i ragazzi per il loro modo di agire, per la mancanza di ideali, per il loro egoismo. Non mi sembra tuttavia corretto,consentitemelo- non condivido queste affermazioni. La piaga di tutto è questa società,dove si è bravi solo ad emettere sentenze,dove il pettegolezzo è il pane quotidiano, dove si predica bene e si razzola male!!! Una società priva di sentimenti,dove non si capisce che 1’impegno di un

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Si è spenta a Vicolungo (NO) la cara esistenza di Maria Cuozzo. Aveva fatto appena in tempo a vedere la casa ricostruita a Caposele, dopo numerosi viaggi e tanti sacrifici per portarla a compimento. Al marito ed ai figli la redazione de “La Sorgente” porge sentite condoglianze. Gli amici di Caposele la ricorderanno sempre con sincero affetto.

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Maria Cuozzo in Bellan n.2-11-1940 m.22-10-2004

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Io immagino che Michele, in quesi suoi ultimi momenti, avrà cercato Caposele stretto tra la montagna ed il fiume. In fondo, è andato via dopo che ha toccato questa terra. In quella giornata di mezzo ottobre, dagli occhi di Sisina e dei suoi formidabili figli traspariva un dolore misto alla soddisfazione di chi guida, dopo un lungo viaggio, la nave in un porto desiderato, dal quale, a pensarci bene, Michele non era mai partito. Non parte, infatti, mai del tutto chi emigra e per giunta in un altro continente ed un altro emisfero. Egli non si è allontanato da qui nemmeno quando rientrò dall’Argentina e si stabilì a Roma. Chi emigra malvolentieri non odia il suo paese e non recide mai le sue radici. Come dice Emidio Alagia, egli era innamorato di Caposele, soprattutto quando le sue forze sempre più gli venivano a mancare. E’ stata forte Sisina nel conciliare i suoi doveri di moglie con quelli di madre. E’ alquanto complicato, in genere, commemorare una persona che non ti è coetanea, non è così in questo caso.

modello umano (Il superuomo),che riassume i valori antivitali della morale tradizionale,valori a misura d’uomo che esprimono accettazione positiva della vita:1’ebbrezza, la gioia, il piacere, l’amore, la fierezza per la realizzazione della libertà. E’ la volontà creatrice di nuovi valori che danno senso alla vita. ”Cioè che non ci uccide ci rende più forti”. Questo ci insegna che nella vita, non esistono buoni o cattivi, ma solo individui forti e deboli. Cosa significa? Chiunque può essere forte, permettendo al suo istinto di esprimersi,agendo in modo libero, generoso e fiducioso; senza intralciare la volontà degli altri. Il debole reprime le sue emozioni e i suoi desideri,e si lascia strumentalizzare da questa morale di dominio che alcuni manifestano come sistema di valori, mentre in loro regna solo una grande forma di ipocrisia. Luciana Russomanno Corso Europa

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Panorama di Caposele , ottobre 2005

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