Mostra / Exhibition
ORDINARY WORLD. Andy Warhol, Pietro Psaier and the Factory artworks/ Keith Haring, Paolo Buggiani and the subway drawings Carlo Cambi Editore
Follonica, Pinacoteca Civica 21 giugno – 29 luglio 2012 Redazione Valentina Sardelli
Orbetello, Museo Archeologico “Polveriera Guzman” 5 agosto – 2 settembre 2012
Direzione artistica Laura De Biasio
Porto Santo Stefano (Monte Argentario), Fortezza Spagnola 6 agosto – 2 settembre 2012
Linea grafica Laura Chavero
Casteldelpiano, Palazzo Nerucci 6 settembre – 4 novembre 2012
Stampa Tap Grafiche - Poggibonsi (SI)
Arcidosso, Castello Aldobrandesco 6 settembre – 4 novembre 2012 Castell’Azzara, Villa Sforzesca 7 settembre – 4 novembre 2012
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.
Cura e coordinamento scientifico / Curator and scientific coordinator Maurizio Vanni Organizzazione / Organization Francesca Silvestri Alice d’Amelia Jesus Rodriguez Comediarting s.r.l
© 2012 Andy Warhol Foundation for the Visual Arts © 2012 Paolo Buggiani per le opere Paolo Buggiani e Keith Haring Subway drawings © 2012 Carlo Cambi Editore
Coordinamento organizzativo e rapporti tra le Istituzioni / Organizational coordination and Institutional relations Roberta Pieraccioli Serena Nocciolini Comune di Massa Marittima – Settore Politiche Culturali Centro di coordinamento della Rete museale della Provincia di Grosseto “Musei di Maremma”
www.carlocambieditore.it
ISBN:
Sponsor
Organizzazione all’interno dei Musei ospitanti: Miria Magnolfi Claudia Mori Pinacoteca Civica, Comune di Follonica Maura Ferrarese Solidea Romagnoli Museo Archeologico “Polveriera Guzman”, Orbetello Carla Casalini Lidia Ferrini Fortezza Spagnola di Porto Santo Stefano, Comune di Monteargentario Luisa Colombini Sistema museale Amiata Ufficio stampa / Press office Guido Spaini & partners
Organizzazione
Comune di Follonica
Comune di Orbetello
Comune di Monte Argentario
Progetto grafico di mostra / Exhibition graphic project Laura Chavero diseño Grafica / Graphic designer Giulio Delfini Azzurra De Simplicio
Assicurazioni / Insurances B & S Italia S.p.a. Catalogo Carlo Cambi Editore – Poggibonsi (SI) Info, prenotazioni e servizi mostra Centro di Rete www.museidimaremma.it musei@museidimaremma.it Follonica tel. 0566.42412, pinacoteca@comune.follonica.gr.it Orbetello tel. 0564.860447, proorbet@ouverture.it Porto S. Stefano tel. 0564.810681 – 0564.811925, lidia.ferrini@comune.monteargentario.gr.it Casteldelpiano e Arcidosso tel. 0564.965220, sistemamusealeamiata@uc-amiata.gr.it Castell’Azzara tel. 0564. 951038 (int. 2), sistemamusealeamiata@uc-amiata.gr.it L’Assessorato alla Cultura della Provincia di Grosseto, il curatore della mostra e l‘organizzazione vogliono ringraziare per la preziosa collaborazione /Culture Councillor for the Province of Grosseto, the curator of the exhibition and the organization wish to thank for their precious collaboration: Colección Atlantica Centro de Arte Paolo Buggiani, Roma Inoltre, per il fondamentale supporto, si ringrazia /Further thanks for their fundamental support to: Banca Monte dei Paschi di Siena
E’ possibile definire una terra? Forse è necessario per narrarla agli altri, a chi non ha mai incontrato la straordinaria bellezza dei luoghi che abitiamo. Sicuramente lo hanno compreso per primi gli artisti contemporanei che hanno scelto di offrirle opere uniche, in un omaggio complice, un matrimonio intellettuale che ha fatto nascere i parchi d’arte. I Tarocchi di Nike de Saint Phalle cresciuti nella macchia mediterranea della collina di Garavicchio a Capalbio, le sculture metalliche affioranti nel bosco di castagni alla Pescina di Seggiano nel Giardino di Daniel Spoerri, le strutture musicali di Paul Fuchs, il Viaggio di Ritorno di Rodolfo Lacquaniti ci hanno suggerito una strada “aperta ai venti”. Così, a partire dal 2008, abbiamo proposto importanti eventi espositivi d’arte moderna e contemporanea: Dietrich Klinge, Niki de Saint Phalle, Mirò e Dalì. In auesto percorso è nata MIC, Maremma in Contemporanea, che ha l’ambizione di consolidare e mettere a sistema le esperienze più qualificate che nel frattempo sono nate e sono attive e presenti in questo campo in provincia di Grosseto. Warhol e Psaier, Haring e Buggiani, protagonisti delle mostre del 2012, non approdano, quindi, casualmente o dettati da qualche calendario celebrativo. Le mostre e le presenze di quest’anno sono parte di una lettura di ciò che avviene, è avvenuto e ci circonda, nascono dalla curiosità di apprendere e vivere da vicino anche performace artistiche di cui è ricco il panorama mondiale.
Warhol è indubbiamente un simbolo, lui stesso iconografia, artista che dissacra l’arte rendendola consumo, intellettuale che afferma che “un buon affare è la migliore di tutte le arti”. Warhol rompe lo specchio autocelebrativo e offre al consumo la sua arte urbana, rendendola protagonista del quotidiano. Con Haring la città è penetrata e trasformata da arcaici segni che popolano, occupano e si appropriano, trasformando i punti di vista e negando l’omologazione. Il salto verso le performance di Buggiani è una logica evoluzione interpretativa di un’arte fatta persona che pervade, trasforma e brucia. Warhol e Haring ci accompagnano in una profonda riflessione sulla società contemporanea. Li guardiamo, a distanza, come simboli di una società che “i poteri forti” hanno affidato al consumo e all’omologazione, ormai consapevoli del fallimento a cui ci sta conducendo un mercato retto soltanto da logiche finanziarie e che, se non la ingloba, riduce in un alienante isolamento ogni voce fuori dal coro. Per noi comunque ci sono altri passi da fare. Se ci sarà consentito dalle turbolenze istituzionali da cui le Province rischiano di essere travolte, continueremo a percorrere una strada che ci piace e che piace, praticando quelle che vengono definite “politiche culturali avanzate”.
Cinzia Tacconi Assessore alla Cultura della Provincia di Grosseto
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Andy Warhol e Keith Haring fanno parte, in modo assolutamente differente, della schiera di artisti eletti, nati per rimanere nella storia, cresciuti, da testimoni del proprio tempo, per modificare gli equilibri culturali di un luogo – per entrambi la svolta della vita avviene dopo l’arrivo a New York – in un determinato momento storico. Andy Warhol era un artista dentro che, nel suo vivere lucidamente il caos di una vita talvolta estrema e dissoluta, pianificava la sua ascesa cercando di sfruttare le occasioni che solo l’America degli anni Sessanta poteva offrire. Da una parte l’opportunità di vivere nel paese che stava diventando propulsore indiscusso del mondo, dall’altra la possibilità di rappresentarlo con ironia, sintetizzarlo con acutezza, riassumerlo con cosciente follia, raccontarlo con perspicacia comunicativa, metterlo a nudo con tagliente cinismo e amarlo in modo disincantato solo come un grande conoscitore di menti e di anime avrebbe potuto fare. Keith Haring trovò nella School of Visual Art di New York gli stimoli per sperimentare nuove tecniche espressive, per studiare, per contaminare passato e presente, ma, soprattutto, per esaltare il suo essere ragazzo di strada. I graffiti della Grande Mela visti per strada, sui vagoni dei treni e nelle stazioni della metropolitana lo incuriosivano iconograficamente e lo coinvolgevano emotivamente: ci si soffermerà a lungo davanti per vivere le emozioni legate a quelle sequenze spettacolari. Di lì a poco divenne uno dei writers più attivi e comunicativi, sia come artista che come ideatore di mostre sulla Street Art, e per moltissimo tempo non sarebbe mai più uscito da casa senza avere in tasca un pennarello a punta larga. Andy Warhol. La sostenibile leggerezza dell’essere artista pubblico Prima di altri, Andy Warhol si accorse dell’importanza di indagare il presente in progress e dell’opportunità che un paese in irruente evoluzione avrebbe potuto offrire a chi, come lui, aveva iniziato a guardare il mondo con personali e originali lenti di ingrandimento. Gli anni Sessanta americani erano destinati a diventare l’epicentro vulcanico del “Tutto”, un microcosmo universale e globale che avrebbe rappresentato, a livello politico, economico e culturale, il mondo. E quale migliore occasione di raccontare pensieri, abitudini, paure, intraprendenze, impertinenze, usi e costumi del proprio tempo e di un popolo che sembrava virare verso una dimensione cinica, frenetica e superficiale dove le apparenze dominavano sui contenuti? A differenza di altri che indagavano l’oggetto tale e quale, la sua consistenza materiale, ma anche i fumetti, i vecchi manifesti pubblicitari e le espressioni legate alla perdita di identità, Warhol cercava le relazioni sociali attraverso i mezzi di comunicazione di massa: la fotografia commerciale, i quotidiani, il cinema, le riviste e il bombardamento di immagini che la televisione proponeva senza sosta. Vivendo in modo militante il contesto metropolitano, accerchiato dalle immagini dei media, bombardato dai segni e dai simboli imposti dalla società dei consumi, rincorreva un codice artistico legato all’hic et nunc, al qui e ora, che non fosse necessariamente relazionato al passato e che avesse un collegamento sistematico con l’economia e con il mercato. Protagonista assoluto delle opere dell’artista americano diventerà l’oggetto inteso come il prodotto comune appannaggio delle masse che, a prescindere dalla forma o dalla funzione originaria, avrebbe dovuto essere un emblema ben solido nell’immaginario collettivo. La stessa sorte toccherà ai ritratti di personaggi molto conosciuti che saranno idealmente mitizzati e celebrati, per mezzo di composizioni strutturate in modo imprevedibile, a tal punto da non sapere più se era la notorietà delle figure immortalate ad avergli portato fama o viceversa. Per certi versi, Warhol rappresenta il sogno americano: un figlio di immigrati che dal nulla riesce ad emergere e diventare famoso per mezzo di intraprendenza, creatività, idee innovative, abilità tecniche e completa dedizione al raggiungimento del successo. Da uomo qualunque, introverso, riservato e un po’ deperito, a star indiscussa che giunge nell’Olimpo dell’arte, up there (lassù) come amava ripetere lo stesso artista.
Maurizio Vanni
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Warhol era consapevole che la società americana si stava costruendo su un sistema produttivo improntato sulla moltiplicazione degli oggetti, sulla serialità e sulla standardizzazione. L’artista americano aveva compreso che le macchine erano di vitale importanza e, anche per questo, aveva deciso di adeguarsi a un comportamento meccanico in completa sintonia con la forma mentis americana di allora che ha introdotto, nella società di massa, la nozione di consumismo esasperato. Nel 1949, insieme all’amico-artista Philip Pearlstein, lasciò Pittsburg per un piccolissimo e modestissimo alloggio a New York deciso a fare, seppur momentaneamente, l’illustratore pubblicitario. In quel momento, nella città americana stavano esplodendo Pollock, Klein, Rothko, De Kooning e l’Espessionismo Astratto. Erano gli anni d’oro delle riviste di moda che avevano coagulato intorno a sé i creativi più talentuosi e innovativi nel settore della grafica e del disegno. Dopo pochissimo tempo un incontro fortuito alla redazione di “Glamour” con Tina Fredericks, una delle donne più in vista nel settore della pubblicità, gli permise, oltre che di vendere un’opera grafica, di ricevere una committenza da alcune prestigiose firme di scarpe per un lavoro di illustrazione. Ottenne un tale successo che questo incarico si trasformò in un preziosissimo passepartout nel mondo della pubblicità. Un lavoro questo che non lo limitava, ma che gli permetteva un colloquio con il fruitore delle sue immagini, con la persona comune, con l’individuo immerso in un ordinario quotidiano, intervenendo nella circolazione delle immagini nel momento stesso in cui venivano prodotte/fruite/ consumate, scoprendosi di un realismo inusitato e sconcertante1. Nel 1952, Warhol fece la sua prima mostra personale alla Hugo Gallery di New York con 15 disegni ispirati dagli scritti di Truman Capote. L’anno successivo, invece, l’incontro con Fritzie Miller, agente di illustratori pubblicitari, lo introdurrà nelle più note riviste di moda e lo trasformerà nel più apprezzato disegnatore di accessori moda femminili di New York. Nel 1955 arrivò l’incarico più importante: la gestione di una pubblicità settimanale sul “New York Times” per il brand di scarpe “I Miller”. In questo periodo, Warhol era sempre più convinto che l’arte pura e l’arte commerciale dovessero essere considerate allo stesso livello: “... il business era la migliore forma d’arte. La Business Art è il gradino subito dopo l’arte. Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business. (…) Voglio essere un Business-man dell’Arte o un Artista del Business. Essere bravi negli affari è la forma d’arte più affascinante”2. Scriverà, a proposito di Warhol, Keith Haring: “Tutta la filosofia di ‘fama e successo’ e tutti i ritratti e i film e i discorsi sulla ‘macchina dell’arte’ e sul ‘business come arte’, tutte le personificazioni di ciò che poi è stato riconosciuto come Pop Art sono nate dall’onesta evoluzione della sua iniziale sensibilità grafica. Il lavoro ‘accadeva’ naturalmente, e le cose che seguivano erano inevitabili. (...) Questa è la ragione per cui ho il Pop Shop e posso fare un video di Grace Jones e posso, senza contraddirmi, usare computer, progettare sculture per parchi, pubblicità per vodka e fare quadri. La linea determina il lavoro. La filosofia e l’atteggiamento dei primi lavori (i disegni nella metropolitana, i murali pubblici, i contributi grafici) hanno determinato il fatto che i lavori fossero pubblici. La cultura popolare li inghiotte, che mi piaccia o no. Ma ovviamente mi piaceva...”3. Quando agli inizi degli anni Sessanta, Warhol lasciò la professione del pubblicitario per mettersi a lavorare come artista indipendente, non lo fece semplicemente per acquisire una maggiore libertà espressiva, per entrare ancor più nella mente e nelle abitudini dell’uomo americano, ma per perfezionare la conoscenza, e indirettamente l’utilizzo, dei mezzi di comunicazione di massa. Per prima cosa prese le distanze da tutto ciò che era produzione e libera invenzione delle immagini. Non serviva ideare ex novo quando nei circuiti industriali e intorno a lui esisteva già tutto: sarebbe stato sufficiente celebrare le figure proiettandole dal mondo dell’invisibile a quello visibile. Il suo obiettivo consisteva nel riproporre il già fatto in modo che potesse essere fruito in modo differente attraverso alcune accortezze concettuali e artistiche. Di fatto, Warhol rimase coinvolto nel mondo della pubblicità: nel 1960
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Alberto Boatto, Warhol, in “Art e Dossier” n. 105, Giunti, Firenze, p. 16. Cit. in Michel Nuridsany, Andy Warhol. La biografia, Lindau, Torino, 2008, p. 394. Keith Haring, Diari, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, Milano, 2001, p. 142.
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prese una serie di retro-copertine di riviste, con pubblicità relativamente scadenti (televisori, parrucche, cibi in scatola, profumi, ecc), le proiettò sulla tela e le ricostruì in modo relativamente agile con il colore nero, lasciando cadere delle gocce non controllate di colore: ne scaturirono opere che non miravano alla valenza estetica, ma che sprigionavano energia e indignazione. Nel 1961 riceverà nel suo studio la visita di Leo Castelli – il gallerista che di fatto rappresentava gli artisti americani della Pop Art –, ma solo dopo tre anni i due personaggi iniziarono realmente a collaborare. Fu in questo periodo che Warhol ebbe l’idea che sconvolgerà la sua vita e quella del mondo dell’arte: rappresentare qualcosa che tutti gli americani vedevano, desideravano, condividevano e riconoscevano. Nasceranno così le opere che riproducevano, in maniera esatta, le banconote americane e le trentadue zuppe Campbell, prima severamente isolate e poi meravigliosamente moltiplicate in file di tre, dieci, cento: “... non volevo dipingere nulla. Stavo cercando qualcosa che fosse l’essenza del nulla e quello lo era”4. Scriverà Keith Haring: “Gli artisti ci aiutano a comprendere noi stessi e i nostri tempi attraverso disegni, parabole e azioni. Andy lo capiva meglio di chiunque altro. La sua vita era la sua arte e la sua arte era la sua vita. Erano praticamente indistinguibili. Andy capiva l’idea di arte ‘moderna’, veramente ‘moderna’. Viveva una vita totalmente ‘moderna’. Penso che abbia reinventato l’arte ‘moderna’”5. La serigrafia fotografica e i multipli concepiti come pezzi unici L’esigenza di una produzione seriale, la volontà di ripetere i soggetti e di disporre a griglia più file di banconote nel minor tempo possibile, lo condussero alla scoperta di un procedimento tecnico che modificherà il suo approccio all’arte: nel 1962 sperimenterà, per poi non lasciarla quasi più, la tecnica della serigrafia fotografica. Un sofisticato processo di stampa nel quale un’immagine fotografica trasferita su una superficie di seta poteva essere velocemente duplicata su tela distendendo la seta sulla superficie da imprimere e, successivamente, applicando pittura o inchiostro con una spatola di gomma. Con questo sistema un’immagine poteva essere stampata in pochi minuti6. Il procedimento, oltre che per le banconote e per le celeberrime zuppe Campbell, venne applicato anche alla sua personalissima collezione di fotografie d’infanzia, con personaggi quali Elvis Presley, Warren Beatty e Natalie Wood, con sempre maggiore desiderio di creare un universo asettico, distaccato, standardizzato, comandato solamente dal dio denaro e dal consumo. Warhol, infatti, utilizzò i procedimenti più neutrali, anonimi e meccanizzati per arrivare ad avere, nelle sue opere, una precisione inespressiva priva di inutile intensità emotiva. Il suo obiettivo era quello di scoprire la verità e non la realtà, quell’essenza del mondo e delle cose che poteva giungere all’uomo solamente per mezzo dei mezzi di comunicazione di massa7. Polaroid, registratore, photomaton8 e serigrafia: tecniche che contemplavano sempre più l’utilizzo della macchina e sempre meno il coinvolgimento diretto dell’artista: “Nella mia attività artistica la pittura manuale prenderebbe troppo tempo e, in ogni caso, non si addice più alla nostra epoca. I mezzi meccanici sono attuali; la serigrafia è un metodo onesto come gli altri, compresa la pittura fatta a mano”9. Anche Keith Haring non rimarrà indifferente a questi procedimenti: “La qualità grafica della sua pittura ha preceduto e predeterminato la possibilità di usare il processo serigrafico. Concettualmente, le foto, le pellicole e le foto serigrafate si rivolgono inevitabilmente al mondo commerciale e ai mass media. Lui ha offerto una filosofia al moderno sistema di valori delle immagini. Il valore di ‘disegni’ e immagini”10. L’occasione per sfruttare al massimo le opportunità legate a queste nuove tecniche espressive fu offerta dalla morte di Marilyn Monroe nell’agosto del 1962: appena saputa la notizia, infatti, Warhol decise di realizzare una
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Cit. in Victor Bockris, Andy Warhol, Odoya, Londra, 2010, p. 123. Keith Haring, op. cit., p. 143. Victor Bockris, op. cit., p. 120. Michel Nuridsany, op. cit., p. 192. Un apparecchio che permetteva di scattare foto senza la presenza del fotografo. Cit. in Michel Nuridsany, op. cit., p. 200. Keith Haring, op. cit., p. 142.
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serie di opere utilizzando una foto pubblicitaria in bianco e nero tratta dal film “Niagara” del 1953. In poco più di un mese, realizzò ventitre ritratti. Marilyn non venne ritratta come una personaggio dello star system, ma come una normalissima immagine in bianco e nero imbrattata, contaminata, frantumata e ricostruita. L’inchiostro debordava all’altezza della bocca e degli occhi e la ripetizione del volto non deflagrava un viso nel quale la vita, comunque, era già assente. Nella serigrafia, l’artista americano non cercava solamente la perfezione tecnica, ma anche la casualità dei procedimenti che, di volta in volta, decideva di utilizzare. L’idea, comunque, doveva andare oltre il procedimento e l’esito estetico per fare assumere al lavoro artistico un carattere documentaristico accessibile a un consumo di massa. La tecnica tradizionale era minata a tal punto che, nell’intento di esaltare l’amore incondizionato per l’immagine si estrometteva completamente dal lavoro manuale di ogni suo lavoro. Arriverà a far completare le sue composizioni da amici e conoscenti che coloravano per lui: “Penso che chiunque dovrebbe essere in grado di dipingere per me tutti i miei quadri. Non sono mai stato capace di riprodurre ogni immagine in modo chiaro e semplice, e di farla perfettamente identica alla precedente. Io credo che sarebbe estremamente positivo se più gente si dedicasse alla serigrafia, in modo da rendere impossibile a chiunque di riconoscere se il mio quadro è stato fatto da me stesso o da un’altra persona qualunque”11. In due anni produsse circa duemila opere. Factory and Disasters. Esaltazione della morte per esorcizzarne la paura Il 1963 è un altro anno fondamentale per la carriera di Andy Warhol. Il lavoro e le committenze erano aumentate tanto da non avere più lo spazio per operare nel suo atelier. Per prima cosa trasferì il suo studio in un grande loft sulla 47ª Strada che sarebbe diventato la famosissima Factory: un’ex fabbrica di cappelli ricoperta interamente di carta stagnola e dipinta di argento che si sarebbe trasformata in punto di riferimento culturale per tutti gli artisti, ma anche in nuovo atelier, studio cinematografico, teatro di sperimentazione, laboratorio letterario e open space interdisciplinare12. È proprio nella Factory che si incrocerà la vicenda-leggenda con Pietro Psaier, artista italiano che lavorerà con lui su alcune opere e ne firmerà altre. Nessuna documentazione certifica l’incontro tra i due artisti, ma in un mondo magico e improbabile come quello della Factory, tutto sarebbe potuto accadere. Dopo il ciclo su Marilyn, destinato a non terminare mai, Warhol accentuò la sua vena noir con Disasters, tele nelle quali si percepiva fisicamente la morte: un uomo sorpreso un attimo prima di buttarsi nel vuoto, il primo piano di un piede schiacciato da un pneumatico, un corpo gettato dalla finestra, funerali, la bomba atomica e, ancora, auto ribaltate, distrutte o in fiamme dove giacevano al loro interno corpi inermi. Anche la famigerata e terrificante Electric Chair (sedia elettrica) diventa un soggetto, raffigurato in mezzo a uno spazio vuoto con una scritta che invita al silenzio. Un polemico e terribile rimando alle esecuzioni capitali che, negli Stati Uniti, erano pubbliche. Le immagini sono esatte, ma al tempo stesso manipolate, cromaticamente saturate, segnicamente sporcate e slavate. Anche in questo caso, la sua serialità stigmatizzava la morte rendendo la composizione una sorta di inventario, una mera statistica: “Credo che sia stato dopo aver visto sulla prima pagina di un giornale la foto dell’aereo precipitato coni ‘129 morti’. In quel momento stavo dipingendo le Marilyn. Ho capito che tutto quello che facevo aveva a che fare con la morte”13. Queste opere sono considerate, ad oggi, tra le più interessanti della sua intera produzione, ma allora molti suoi sostenitori le ritennero intollerabili e non esponibili in modo permanente in spazi privati e domestici. A proposito di una mostra proprio sui Disasters scriverà Haring: “Andy probabilmente era l’unico vero artista pop. La cosa che mi ha colpito di più, in una recente esposizione della serie Disaster alla DIA Foundation, era un paragrafo in un opuscolo illustrativo. Si trattava di una citazione di Lawrence Alloway sulla Pop Art, in cui si spiegava come, all’inizio del Pop, ci fosse stato un collasso e una fusione tra arte e
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Cit. in Paolo Barozzi, Andy Warhol ed io. Cartoline dal tempo della Pop Art, Christian Marinotti Edizioni, Milano, 2009, p. 139. Victor Bockris, Bockris, op. cit., p. 157. Cit. in Michel Nuridsany, op. cit., p. 221.
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vita (una celebrazione della cultura popolare), abbracciata per prima dagli artisti pop. Poi, poco a poco, i pittori si erano ritirati da quest’area ed erano ritornati a idee ‘istituzionali’. (...) Andy si era separato dal resto del gruppo ed era rimasto fedele alle idee originali della Pop Art. Era rimasto artista pop. Aveva reinventato l’idea della vita dell’artista come Arte”14. Sempre nello stesso anno venne invitato, insieme ad artisti del calibro di Rauschenberg, Lichtenstein, Indiana e Chamberlain, al New York State Pavilion in occasione dell’Esposizione Universale dove presentò, nonostante il parere contrario degli amici, i ritratti – fronte e profilo – di tredici mafiosi ricercati dall’F.B.I., catturati e subito scarcerati. Una polemica che non passò inosservata tanto che gli organizzatori censurarono le opere in quanto ritenute inadatte visto che i detenuti erano stati rilasciati perché considerati innocenti dai tribunali americani. Un ciclo che manifestava, rabbia, sconcerto, frustrazione, ma anche rassegnazione e vulnerabilità emotiva. Probabilmente queste delusioni, unite alla propulsione di uno spirito avido di novità, lo condussero a intraprendere altri percorsi espressivi. A partire dal 1967 sotto la sigla editoriale “Factory Additions” uscirono le serie grafiche – destinate a rimanere le più note dell’intero suo corpus – che riprendevano le immagini delle Marilyn, della Campbell’s Soup, delle Private View, delle Prisons e delle Damaged Lives15. Tra il 1968 e il 1972 si divise ancora tra arti visive e cinema, continuando a fare mostre nei musei e nelle gallerie più prestigiose del mondo, per poi decidere di lasciare la pellicola e dedicarsi completamente alla pittura e alla grafica con rinnovati, inattesi e immediati successi di critica, di pubblico e di mercato. Nel frattempo, nel 1971, produsse ancora alcune serie di opere grafiche di grande successo dedicate alla Electric Chair dove, con colori grigiastri e un’immagine contaminata e, talvolta, non a fuoco riprendeva un soggetto che, seppur già indagato negli anni Sessanta, rimarrà sempre nella sua mente e nelle sue serie successive. È sempre del 1971 la nota cover per un disco con stampato un paio di jeans, davanti e dietro, e una vera camicia con chiusura lampo apribile per l’album Sticky fingers dei Rolling Stones. Per il suo amico Mick Jagger, disegnerà anche la copertina del doppio LP Love You live e gli dedicherà alcune serie di opere grafiche con il suo ritratto e con la celeberrima lingua Rolling Stones Some Girls16. Anche in queste serie, Warhol continuò a far perdere individualità alla singola immagine alterandola con sfocature, contaminazioni e macchie di colore che debordavano oltre il perimetro di alcune parti del volto in una successione di istantanei sdoppiamenti17. Non era pignolo per quanto riguardava la fisionomia dei suoi soggetti ed è per questo che ne accentuava i particolari che riteneva determinanti come le pupille e la bocca. Gli occhi erano grandi e lucenti, evidenziati da generose campiture di colore. Le labbra, invece, diventavano sensuali e piene anche se il colore di base andava ben oltre i contorni reali della bocca. Nel 1972, con le opere dedicate a Mao Tse-Tung, Warhol ritrovò la sua nuova Marilyn riconciliandosi in modo definitivo con la pittura grazie a uno dei volti più noti al mondo. In fondo, anche Mao era un prodotto di consumo di massa. Saranno circa 2000 le opere dedicate al Capo di Stato cinese. Il successo fu immediato. A Palazzo Galliera a Parigi, esporrà i volti di Mao sopra una carta da parati realizzata con le facce dello statista cinese. Gli elogi ricevuti per i ritratti di Mao spinsero altri leader politici, industriali, donne famose, star del cinema, divi del rock, ma anche semplici collezionisti, galleristi e personaggi in cerca di notorietà a chiedergli un loro ritratto. Da quel momento, i ritratti occuperanno un posto determinante nella sua attività. L’artista americano trasformava le persone che posavano per lui in seducenti e imprevedibili apparizioni presentando i loro volti come credeva
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Keith Haring, op. cit., pp. 139-140. Laura Ravasi, Andy Warhol. L’opera grafica e altro, in Andy Warhol. The New Factory, Mazzotta, Milano, 2008, p. 168. Ibidem, p. 169. Renato Barilli, La Pop Art iconica: Lichtenstein, Warhol, in L’arte contemporanea. Da Cézanne alle ultime tendenze, Feltrinelli, Milano, 2008, pp. 301-302.
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dovessero essere ricordati dal mondo. I suoi ritratti non sono documenti del presente, ma icone sospese in un tempo senza tempo in attesa di un futuro in eterno divenire. Finalmente il suo sogno si era realizzato: Warhol aveva tolto all’opera d’arte l’idea di autenticità e di unicità evolvendo radicalmente la funzione dell’arte stessa; infatti quando un elaborato artistico è riproducibile perde la sua autonomia omologandosi a una differente interpretazione non solo legata allo studio iconografico della composizione, ma anche all’indagine del mezzo espressivo utilizzato per arrivare a quei particolari esiti. Il progetto dell’opera e l’idea stavano andando oltre ogni riferimento tradizionale di estetica, di esecuzione e di conoscenza tecnica accademica. Nell’ideale approccio artistico di Warhol, l’artista poteva concepire, strutturare e realizzare l’opera anche senza sfiorarla direttamente con un dito. Nel frattempo dipingeva perfetti sconosciuti per puro piacere, con una lavorazione più libera, semplice, immediata e meno controllata: la maggior parte dei soggetti erano travestiti che mandava a cercare di notte dai suoi assistenti per i marciapiedi della città. È datata 1975 la particolarissima serie intitolata Ladies and Gentlemen nella quale i personaggi rappresentati, immortalati con pose e pettinature eccentriche e singolari, sono contaminati con campiture di colore improbabile e innaturale come l’arancio, il lilla, il verde acido, il rosso acceso, il blu manganese, il giallo ocra, oppure con delle semplici e nitide inquadrature frontali, o a tre quarti, dove era evidente il travestimento. Tra il 1976 e il 1980 nascono le serie Skulls, Hammer and Sikles, Grapes, Shadows, Athletes, Torsosoltre ad altri numerosi ritratti di personaggi noti come Mohammed Ali, Jimmy Carter, Goethe, Prince, Frank Sinatra e alcuni componenti dei Beatles, realizzati sia su carta che su tela18. Ci furono anche le serie dedicate agli archetipi, ai grandi personaggi storici, alle regine – Elisabetta d’Inghilterra, Beatrice d’Olanda, Margherita di Danimarca e la Regina dello Swaziland – e alle dive dello show business. Un’intera serie fu dedicata all’artista tedesco Joseph Beuys e ad altri grandi artisti come Botticelli, Leonardo, Paolo Uccello e, in particolare, a Giorgio de Chirico: “Il suo vocabolario visuale – scriverà ancora Haring –, i suoi mezzi tecnici e soprattutto il vero ‘aspetto’ della sua arte (la sua linea, il senso ‘grafico’) hanno determinato e reso possibile l’ampia gamma di applicazioni e la complessità della sua ‘arte’, la sua integrazione nella cultura popolare”19. Adesso era arrivato all’apice della carriera anche se le sue quotazioni non raggiungevano ancora quelle di artisti come Lichtenstein e Rauschenberg: “Il mondo che ruota intorno ai musei – affermerà Keith Haring – e alle aste non sapeva come comportarsi con lui. Il valore del suo lavoro non era equivalente al ‘valore di mercato’ delle sue opere. In linea di principio, era certamente molto più importante di Johns o Lichtenstein, ma il prezzo dei suoi lavori non è mai stato pari ai loro, perché non stava alle regole del ‘gioco’”20. Sono degli inizi degli anni Ottanta le sue Retrospectives. Una sorta di magico mosaico formato da tessere artistiche del suo passato accumulate sulla stessa tela: Marilyn, Campbell’s Soup, Mao, Electric Chairs, Kellog’s, Brillo, Disasters, Flowers e Cow21. Non auto-citazioni e auto-celebrazioni, ma un modo per rivedere il suo passato in chiave contemporanea per recuperare e rivitalizzare la parte più importante del suo trascorso artistico: “La carica emotiva dei Reversal e delle Retrospectives – scrive Michel Nuridsany – non può essere negata, ma ritengo che valga la pena insistere su un altro aspetto della questione: Warhol, con il suo modo di ‘citare’ la propria opera, anticipò il movimento Postmoderno che cominciava a svilupparsi in quel momento, e coloro che furono definiti ‘approprizionisti’”22.
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Michel Nuridsany, op. cit., pp. 409-410. Keith Haring, op. cit., p. 142. Ibidem, p. 140. Michel Nuridsany, op. cit., p. 423. Ibidem, p. 424.
Negli anni Ottanta, la sua opera grafica, caratterizzata da una ritrovata eleganza formale, divenne sempre più leziosa e raffinata grazie all’introduzione di innovative tecniche, con linee più raffinate, contaminazioni cromatiche sempre più discrete e l’utilizzo di materie inedite come la polvere di vetro che renderà ogni lavoro un pezzo unico. Di questo decennio la serie Ten Portraits of Jews of the Twentieth Century (i ritratti dei dieci personaggi di cultura semita più famosi del Novecento), la serie Myths (i ritratti dei dieci personaggi più celebrati dell’industria del cinema), Endangered Species (i dieci animali più in pericolo d’estinzione)23. L’incontro con Haring e l’eredità culturale degli anni Sessanta Nel 1983 alla Fun Gallery, uno spazio espositivo che si dedicava alla Street Art, Andy Warhol incontrò per la prima volta un artista che presentava una serie di lavori su cuoio ispirati alla cultura del momento: l’hip hop e la breakdance. Il suo nome era Keith Haring. Scriverà a tal proposito lo stesso Haring: “Ero davvero in soggezione nei suoi confronti e non sapevo cosa dire. Be’, mi fece subito sentire a mio agio e da quel giorno diventammo davvero buoni amici”24. “Andy – continua Haring – era la rassicurazione a cui anelavo per la difficile strada che stavo progettando. Ha stabilito il precedente per la mia impresa nel mondo commerciale e nella cultura popolare. (...) Il suo sostegno mi ha fatto dimenticare quegli avvoltoi dei critici che aspettavano la mossa sbagliata e avevano ansiosamente anticipato la mia caduta. La suia comprensione aveva più valore di quella di qualunque critico d’arte”25. Dalla metà degli anni Ottanta salirono anche le quotazioni: ormai Andy Warhol era considerato uno degli artisti più noti e affidabili del mondo. Sulla scia dell’entusiasmo creò un portafoglio di grande impatto visivo: Cowboys and Indians con i ritratti dei protagonisti e i segni e simboli del mito del West. Tra il 1986 e il 1987, creerà cartelle dedicate, oltre che ai Self-portraits, alla danzatrice Martha Graham, a Beethowen, Andersen, Lenin e allo sbarco sulla luna26. Ne risultarono immagini prive di spessore materico, raffinate, eleganti e, talvolta, volutamente sfocate e virate in toni monocromi: “Sfidava l’intera gestione mercificata del mondo dell’arte – scriveva Haring –, battendoli al loro stesso gioco. È diventato un maestro per una generazione di artisti, presente e futura; artisti cresciuti con il Pop che hanno guardato la televisione sin da quando sono nati, che ‘capiscono’ la cultura digitale. Penso onestamente che sia stato l’artista più importante dai tempi di Picasso, che alla gente piaccia o meno, e a molti non fa piacere”27. “È stato il primo vero artista pubblico in senso globale, e la sua arte e la sua vita hanno cambiato il concetto di ‘arte e vita’ nel XX secolo. È stato il primo vero ‘artista moderno’”28. Il consumo, che rappresenta ancora il denominatore comune dei suoi lavori, viene contemplato anche dal punto di vista dell’usura, del tempo impietoso che passa e che, nonostante l’utilizzo del mezzo meccanico, destabilizza un’esistenza che si trasferisce nell’immagine solo a condizione che si liberi da sovrastrutture e che accetti di svuotarsi di tutto, di appiattirsi, di scolorirsi, di farsi consumare. Warhol “affascinava tutti gli artisti della sua generazione: sia i graffitisti come Keith Haring e Jean-Michel Basquiat, sia i neo-espressionisti come Francesco Clemente, Sandro Chia e Julian Schnabel. Tutti lo ammiravano per le sue dichiarazioni ambigue, il suo senso della pubblicità, il suo modo brutale di parlare di soldi. Per loro Warhol era una leggenda vivente”29. Alla fine di gennaio del 1987, Warhol era a Milano per una sua importante mostra personale. Al suo rientro negli Stati Uniti, si fece ricoverare al New York Hospital per un intervento chirurgico alla cistifellea che avrebbe dovuto mettere fine a lancinanti dolori addominali. Il mattino successivo morirà per un imprevisto attacco cardiaco. “Egoisticamente – scriverà Haring –, mi sento come se avessi perso più di tutti. Ho perso un amico, un maestro e il più grande sostenitore nel vero Mondo dell’Arte. (...) Ho imparato un mucchio di cose da Andy nei cinque anni
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Laura Ravasi, op. cit., pp. 169-170. John Gruen, Keith Haring. La biografia, Baldini Castaldi Dalai Editore, Milano, 2007, p.119. Keith Haring, op. cit., p. 141. Laura Ravasi, op. cit., pp. 169-170. Keith Haring, op. cit., p. 140. Ibidem, p. 139. Michel Nuridsany, op. cit., p. 439.
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della nostra amicizia. Mi ha preparato per il ‘successo’ cui stavo andando incontro quando lo conobbi e mi ha insegnato la ‘responsabilità’ che deriva da quel successo. Il suo insegnamento è arrivato soprattutto attraverso l’esempio, ma spesso mi dava idee e suggerimenti, qualche volta spiritosi e qualche volta seri. Negli ultimi anni era uno dei pochi artisti con cui potevo davvero parlare delle cose che stavo cercando di fare. Inoltre era uno dei soli artisti il cui studio mi ispirava a lavorare di più e più duramente. (...) Era sempre interessato a tutto ciò che stavo facendo ed era totalmente addentro in tutto quello che gli accadeva intorno. Comunque non era uno che prendesse solo. Dava quanto, se non più, di quello che prendeva”30.
Dal 1983, Haring cominciò a frequentare la Factory e, oltre ai confronti artistico-culturali, ci furono alcuni scambi di opere con Andy Warhol. Ben presto inizieranno le mostre nella sua galleria americana di riferimento, Shafrazi Gallery, ma anche in Giappone, Italia e Australia con lavori fatti sul posto: disegni, olii e graffiti realizzati da solo o con la collaborazione di altri writers. Spesso, Warhol sarà presente alle inaugurazioni, o in momenti successivi, e non perderà l’occasione per evidenziare l’atmosfera simile a quella degli anni Sessanta e la grandezza artistica di Haring del quale apprezzava il talento dinamico, la genialità della consapevolezza del segno e il suo modo di gestire il successo.
Haring e la Street Art. Fare arte per la gente comune
Un po’ come accaduto a Warhol, anche per Haring la notorietà popolare arriverà ben prima di quella istituzionale. Il pubblico anticipò l’establishment e, nonostante la soddisfazione emotiva, l’artista americano si sentiva al di fuori del mondo dell’arte: “Keith è sempre stato fuori dal mondo dell’arte perché la sua è l’arte della gente. In questo senso è stato come un produttore di musica pop, un produttore di gruppi le cui canzoni arrivano alla gente”33.
Parallelamente alla Pop Art di Andy Warhol e agli artisti della Factory, nella New York della fine degli anni Sessanta, inziava ad imperversare una forma d’arte non convenzionale, fuori da ogni possibile schema e difficilmente controllabile dai meccanismi della cultura tradizionale. I vagoni della metropolitana o le pareti di un sottopassaggio diventavano palinsesto di una creatività libera, spontanea, militante e dirompente che voleva arrivare direttamente al pubblico senza intermediari. Il fenomeno della Street Art si diffonderà tra i giovani, per lo più di colore, di cultura punk o new wave, che trovavano nelle bombolette spray un inatteso alleato in grado di comunicare perfettamente il loro pernsiero e il loro stati d’animo. Esclusi da una società che li ignorava, i writers ripetevano in modo ossessivo il loro nickname (tag), il proprio diritto di esistere, gridando la loro appartenenza a una città, New York, che stava sfuggendo a ogni possibile controllo. Dalla seconda metà degli Anni Settanta, le scritte che comparivano sui muri o sopra i convogli della metropolitana evidenziavano una crescente propensione a invadere i territori del disegno, della grafica e della decorazione. Alle lettere e ai numeri tradizionali, si univano nuvole di colore e accentuate deformazioni del segno che rendevano più complesso ed efficace il graffito. Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, sulla scia di queste novità stilistiche e formali, emerse una seconda generazione di artisti del graffito destinata a rimanere nella storia perché meno selvaggia e più consapevole della precedente, destinata a integrarsi nel sistema dell’arte newyorkese. Faranno parte di questo gruppo, tra gli altri, Ramm-Ell-Zee, Crash, A-One, Toxic, Jean-Michel Basquiat e Keith Haring che sarà considerato l’erede spirituale di Warhol: “Per me – scrive Haring – era un onore essere paragonato a lui, per quanto mi sembri che non ci assomigliamo molto e che i nostri contributi siano molto differenti. Ma riconoscerò sempre il mio debito nei suoi confronti. Il più grande onore era il supporto e l’incoraggiamento che mi dispensava. La sua semplice amicizia era la dimostrazione del suo sostegno”31. “Dall’epoca dell’esplosione della Pop Art, nei primi anni Sessanta – evidenzia Victor Bockris –, nel mondo artistico newyorkese non si era mai più verificata un’atmosfera di eccitazione come quella suscitata, nei primi anni Ottanta, da una nuova generazione di pittori”. Tra gli artisti più dinamici Julian Schnabel, Eric Fischl, Francesco Clemente, Sandro Chia, Kenny Sharf, Paolo Buggiani, Jean-Michel Basquiat e, naturalmente, Keith Haring32. Quest’ultimo cominciò a pensare che i graffiti fossero la cosa più bella che avesse mai visto e per questo decise di mettersi in gioco e utilizzare i palinsesti vuoti degli spazi pubblicitari nelle stazioni della metriopolitana per manifestare i suoi pensieri da e esternare le sue denunce. Ne scaturiranno lavori che alternavano personaggi a complete astrazioni che nulla avevano a che fare con il mondo che lo circondava, ma che esaltavano il suo bisogno primario: la comunicazione. Nel 1980 ancora disegni liberi e aperti realizzati, attraverso pochissimi tratti, con inchiostri sumi: dischi volanti che attaccano animali e esseri umani trasformandoli in personaggi iridescenti, improbabili interazioni tra volumi e segni. Il bambino con i raggi divenne ben presto una sorta di firma.
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Keith Haring, op. cit., pp. 141-148. Ibidem, p. 140. Victor Bockris, op. cit., p. 345.
Solo nel 1986 gli esperti del settore e i collezionisti inizieranno a frequentare il suo studio e, anche per questo, Haring deciderà di far nascere il suo Pop Shop: gonfiabili colorati, radio giocattolo, t-shirt coloratissime che considerava stampe da indossare e veri e propri oggetti d’arte. Un modo per comunicare con il grande pubblico alla stregua dei disegni nelle stazioni della metropolitana: “Andy mi ha praticamente convinto ad aprire il Pop Shop quando cominciavo ad avere fifa. Dava sempre il suo sostegno a una nuova idea o impresa. Aveva ulteriormente mostrato il suo favore al Pop Shop creando una maglietta che promuoveva a ogni occasione. Si procurava lavori per me, mi indirizzava i collezionisti e commerciava continuamente le opere”34. La notizia della scomparsa di Warhol arrivò improvvisa e devastante, inattesa e dilaniante mentre era ospite in Brasile dell’amico artista Kenny Scharf. Scriverà a proposito Haring: “Mi sento in dovere di proseguire le iniziative che lui ispirava e incoraggiava. (...) Col tempo tutto diventarà chiaro. Non mi piace fare la figura del pretenzioso e dell’egoista; se non che, davvero, non ho mai pensato che qualcuno capisse come sviluppare le conquiste fatte da Andy, se non Andy stesso e forse io. Non in maniera formale, ma concettualmente e con lo stesso approccio e atteggiamento olistico”35. Andy Warhol e Keith Haring, due figure così simili e così differenti, due artisti che si sono concessi completamente al proprio tempo e a tutte le persone. Era inevitabile la stima e l’amicizia perchè simili nei modi di vivere e di condividere l’arte, nonostante ognuno sia rimasto fedele alle proprie caratteristiche espressive. Scrisse a proposito Yoko Ono: “Ho sempre pensato che Keith e Andy Warhol, che erano così amici e avevano così tanto in comune, fossero artisti molto diversi tra loro. Andy aveva un grande senso dell’umorismo, ma prendeva molto seriamente quel che diceva. (…) Con Keith era esattamente l’opposto. Lui trattava argomenti molto, molto seri, come per esempio l’AIDS, con disegni pieni di umorismo, addirittura incoraggianti. L’esatto contrario di Andy”36. Anche Haring morirà prematuramente a causa dell’Aids, ma se ne andrà con la consapevolezza di aver comunicato, così come Warhol, in ogni momento e con ogni mezzo a sua disposizione. Arte come forma di vita ed esistenza come alta espressione di un personalissimo concetto di universo da trasmettere, condividere e partecipare ogni giorno. Ordinary World.
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John Gruen, op. cit., 174. Keith Haring, op. cit., p. 141. Ibidem, p. 142. John Gruen, op. cit., p.173.
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Rientro a New York nel 1978 dopo un’assenza di dieci anni ho ritrovato la stessa energia degli anni sessanta; allora iniziavano la Pop Art, il cinema underground, il livingtheatre… la Galleria Leo Castelli ed Eliana Sonnabend spostandosi in Soho avevano cambiato il baricentro delle gallerie, che dai quartieri alti, finalmente si univano alla zona già scoperta e permeata di artisti. Penso che Soho per i suoi spazi industriali e l’East Village per gli affitti allora molto accessibili ai giovani artisti abbiano contribuito a tanta concentrazione di forze vitali e stimolanti da agevolare lo sviluppo di movimenti artistici dentro e fuori le gallerie. Dopo aver presentato a Milano le mie tute dipinte “Arte-indossabile” alla Galleria Ariete, la società Fiorucci mi aveva invitato a New York per ripetere lo stesso evento, inserito in una serie di attività dove già avevano partecipato Andy Warhol, Colette e in seguito, nel 1984, anche Keith Haring. Già negli anni settanta la pittura in studio mi stava stretta; all’aperto avevo realizzato una serie di “dipinti sulla realtà” su vetri dipinti e a New York, nel freddissimo 1979, una serie di dipinti effimeri sulla neve. Questo spiega l’interesse che suscitavano in me i graffiti sui muri e sui treni che in quel periodo invadevano New York, ma mentre il linguaggio ermetico dei graffiti riempiva i muri sovrapponendo “tag” coloratissime su altre già esistenti in uno scenario gioioso e cruento, un’altra forma di arte di strada stava emergendo, molto più individuale e profonda, un’arte che cercava un dialogo con la gente comune, la sorpresa, un messaggio politico sociologico.
Paolo Buggiani
È a questa schiera di artista cui ho dedicato la mia attenzione attraverso la mia macchina fotografica e raccogliendo reperti preziosi che svelano un po’ la poesia di certe presenze. Troppo spesso parlando dei “graffiti” si è messo tutto in un gran pentolone, mentre per comprendere meglio che cos’è la Street-Art basta leggere uno dei manifesti dell’artista Jenny Holzer che nottetempo affiggeva sui muri di Soho: “Questa è arte fatta in segreto per la gente. È arte che si suppone non debba esistere. È arte su soggetti seri messa dove tutti possano vederla. È un’arte estremamente bella per mostrare quanto buone potrebbero essere le cose” (messaggio di Street-Art 1981).
Bibliografia P.Buggiani, Operazione “Selvataggio”, in K. Haring, Subway Drawings e la New York Street-Art, Mazzotta, Milano 1997, pp. 3, 4; P.Buggiani, Street-Art, in K. Haring, Subway Drawings e la New York Street-Art, Mazzotta, Milano 1997, p.48. P.Buggiani, “Street-Art”, in Pittura Dura, Electa, Milano 1999, p. 29.
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Shocking Art. 1989 (Firmato da Pietro Psaier) Serigrafia su tela 78 x 59 cm
Multielectric Chair (Firmato da Pietro Psaier) Serigrafia su tela 115 x 83 cm
Prison (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia su tela 74 x 58,5 cm
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La Sedia Elettrica Ferro e legno 168 x 90 x 74
Multi RIP Chair. 1977 (Firmato da Andy Warhol e Pietro Psaier) Serigrafia su carta 100 x 72 cm
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Andy Warhol (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia e olio su tela 92 x 61,5 cm
Grand Paintings (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia su carta 90 x 60 cm
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Atomic Café Superman. 1977 (Firmato da Andy Warhol e Pietro Psaier) Serigrafia su carta 100 x 72 cm
Polk´s milk always ahead. 1968 (Firmato da Andy Warhol e Pietro Psaier) Olio e Serigrafia su cartone 62 x 51 cm
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Double Chris Makos in Warhol Drag Queen (Firmato da Andy Warhol , Pietro Psaier e Smith) Serigrafia su carta 62 x 41,5 cm
Double Nico (damaged lives) (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia, diesgno a penna su carta 80 x 54 cm
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The mirror has two faces (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia su tela 47 x 75 cm
Fuck it if you can´t take a joke (Firamato da Andy Warhol) Serigrafia su carta 73 x 40,5 cm
Death of an all american idol (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia su carta 74 x 40,5 cm
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Marilyn and Pepsi (Firmato da Andy Warhol e Pietro Psaier) Serigrafia, olio su carta 152 x 122 cm
Marilyn 12 Fotogramas (Firmato da Pietro Psaier) Serigrafia su tela 130 x 100 cm
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Rolling Stones Some Girls (Firmato da Pietro Psaier) Serigrafia, olio su tela 140 x 110 cm
Mick Jagger (Firmato da Andy Warhol e Mick Jagger) Serigrafia su carta 110,5 x 73,5 cm 34
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My Way (Firmato da Pietro Psaier - The Factory) Serigrafia su carta 60 x 81 cm
Jimi Hendrix. 1970 (Firmato da Pietro Psaier - The Factory) Serigrafia su carta 91 x 61 cm 36
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Sex Pistols. 1977 (Firmato da Pietro Psaier- The Factory) Collage / Background serigrafia 75 x 60 cm
Beatles (Firmato da Pietro Psaier e Smith) Serigrafia su carta 73 x 48 cm 38
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Pow Warhol & Basquiat (Firmato da Andy Warhol e Pietro Psaier) Serigrafia su carta 90 x 60 cm
War is Over. 1969 (Firmato da Andy Warhol, Pietro Psaier e Smith) Serigrafia su tela 78 x 61 cm 40
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Delux AlĂ. 1980 (Firmato da Andy Warhol e Pietro Psaier) Serigrafia su carta 60 x 91 cm
Phone Jayne Mansfield. 1985 (Firmato da Andy Warhol, Pietro Psaier e Smith) Serigrafia su carta 90 x 61 cm
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Double Prince. 1983 (Firmato da Andy Warhol e Pietro Psaier) Serigrafia su carta 60 x 91 cm
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Young die young (Firmato da Pietro Psaier- The Factory) Collage 120 x 97 cm
Private Jean Michel (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia su carta 62 x 47 cm
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The american indian series. 1971 (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia su tela 123 x 90 cm
Campbell´s green pea soup (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia su carta 87 x 57,5 cm
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Serie Ladies & Gentleman. 1975 (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia su carta 109 x 73 cm
Serie Ladies & Gentleman. 1975 (Firmato da Andy Warhol) Serigrafia su carta 109 x 73 cm
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Burking Dogs. 1981 Gesso bianco su carta nera 74 x 58 cm
Dogs. 1982 Gesso bianco su carta nera 148 x 115Â Â cm
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Abuse of Power. 1982 Gesso bianco su carta nera 100 x 123 cm
Untitled. 1982 Gesso bianco su carta nera 100 x 100 cm
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Avoid Violence. 1982 Gesso bianco su carta nera 81 x 104 cm
Acrobats (theatre). 1982 Gesso bianco su carta nera 65 x 95 cm 56
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Little Angel Gesso bianco su carta nera 56 x 60 cm
Radiant Man. 1982 Gesso bianco su carta nera 73 x 109 cm
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The Puppet master. 1982 Gesso bianco su carta nera 54 x 50 cm
Two Radiant Men. 1982 Gesso bianco su carta nera 118 x 115 cm
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OH CALCUTTA!. 1982 Gesso bianco su carta nera 75 x 102 cm
LLAMANOS! Poster 60 x 90 cm
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One Way, N.Y. 1963 Legno, smalto, lampadine 52 x 55 cm
Uccello Barocco, N.Y. 1963 Smalto, reperto urbano 80 x 100 cm
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Number 7, N.Y. 1963 Smalto, reperto urbano, luce elettrica 61 x 77 cm
Sbarramento, N.Y. 1963 Smalto, legno, lampadine 80 x 100 cm
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Roof beach, desiderio di mare , N.Y. 1965 Fotografia su tela con intervento pittorico 90 x 100 cm
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Primavera Artificiale, N.Y. 1979 Dipinto sulla realtà: Olio su plexi, fotografia su tela 30 X 40 cm
Staten Island Ferry, N.Y. 1980 Dipinto sulla realtà: Olio su plexi 60 x 45 cm
Castello Di Ghiaccio, Mercer St. N.Y. 1979 Dipinto su neve: olio su plexi 90 x 60 cm Darsena, Milano. 1976 Dipinto sulla realtà: Olio su plexi, fotografia su tela 90 x 60 cm
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Arresto, Street-Art. 1982 Olio su tela 100 x 115 cm
Hiroshima, Nazioni Unite, N.Y. 1982 Dipinto sulla realtà: Olio su fotografia su tela 100 X 120 cm
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The Man Of Wall St., N.Y. 1980-1982 Acrilico su tela, foto su tela 90 x 200 cm
Minotauro, Brooklyn Bridge. 1980 Acrilico su foto 121 x 90 cm
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“Apocalisse 1” Unsuccessful attack to the World Trade Center. 1979 Fotografia 90 x 200 cm
Apocalisse?. N.Y., 1982 Dipinto sulla realtà 90 X 120 cm
“Apocalisse 2” Mitologia urbana, Icaro e le Macchine Terrestri, N.Y. 1982-1984 Fotografia 200 X 90 cm
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Chris Makos. On 17 th street in NYC pretending to ride my bike. 1981 Fotografia 15,5 x 10,5 cm
Chris Makos Altered image. 1981 Fotografia 35,5 x 27,5 cm
Chris Makos Altered image. 1981 Fotografia 28,5 x 20,5 cm
Chris Makos. The King , being crowned at Regine´s. 1981 Fotografia 18,5 x 28,5 cm
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Sell Yourself. 1983-84 ca. (Di David Salle) Poster 150 x 300 cm ca. Collezione Privata, Roma
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1- Subway Drawings di Keith Haring nella metropilitana di Manhattan, New York 1981 - 82. Foto di Paolo Buggiani 2- Keith Haring nella metropolitana di Manhattan New York, 1982. Foto di Paolo Buggiani 3 - 4- Keith Haring decora il muro che poi sarà ricoperto da Amy Chaiklin e in seguito da Kenny Scharf e altri
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Paolo “The Flying Man” Buggiani, Accanto a un poster di una sua mostra, Metropolitana di Manhattan, New York anni ’80.
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cercando un linguaggio che si arricchisca proprio degli stessi simboli luminosi, ottici provenienti dalla pubblicità di massa. Nel 1962 usa la tecnica di stampa serigrafica per i famosi barattoli della zuppa “Campbell” e il dollaro, dissacrando il concetto di unicità dell’opera a favore di un processo artisticamente meccanico. Inizia, anche la sua produzione serigrafica dedicata alle superstar di Hollywood, che negli anni si trasformerà in ritratti su commissione, status symbol per il jet-set mondiale. Rivolge l’attenzione alla riproduzione d’immagini comuni, degne del titolo di “icone simbolo” del suo tempo. Tratta anche temi carichi di tensione, come i Disasters, i Car Crash (Incidenti automobilistici) e Electric Chair (sedia elettrica). Dal suo stile “neutro” e banale prende il via la cosiddetta Pop-art. Numerose sono le mostre allestite nelle gallerie più prestigiose del tempo da Leo Castelli a Sonnabend fino ad arrivare all’Institute of Contemporary Art di Philadelphia. In questi anni incontra il poeta Gerard Malanga e Paul Morrissey, suoi assistenti e quest’ultimo braccio destro nelle numerose attività affiancate all’ormai indiscussa PopArt. Nascono così la rivista “Interview” e il gruppo: The Velvet Underground con Nico e Lou Reed. Nel 1963 gira il suo primo film “Sleep”, entrando nel mondo del cinema underground di cui sarà uno dei massimi esponenti, arrivando a realizzare oltre 70 film. Alla fine del 1963 trasferisce il suo studio al quinto piano di 231 47th Street East, New York, a cui dà il nome di “The Factory”, un vera officina per talenti. Qui gravitano alcuni dei più noti artisti del tempo e una corte mista di personaggi che popolano la vita sempre sotto i riflettori di Warhol. Il 3 giugno del 1968 proprio nella Factory subisce l’attentato dalla poetessa Valerie Solanas, che gli spara ferendolo gravemente. Miracolosamente sopravvissuto, questa esperienza lo stravolge portandolo a essere molto più schivo. Cambia in parte il suo lavoro, riproduce incessantemente ritratti, noto quello di Mao Tse Tung e numerose immagini sacre, in particolare L’Ultima cena ispirata all’opera di Leonardo e presentata a Milano; “The Last Supper” che sarà anche l’ultima opera della sua vita.
Andy Warhol considerato a pieno titolo uno dei più grandi geni artistici del suo secolo, nasce a Pittsburgh (Pennsylvania) il 6 agosto 1928, anche se lui stesso ha sempre alimentato dubbi sulla sua data di nascita esatta. Figlio di immigrati slovacchi di etnia Rutena il suo nome vero è Andrew Warhola, la sua infanzia è caratterizzata dall’appartenere a una comunità fortemente religiosa e dal soffrire della sindrome del “ballo di San Vito”. La sua abilità nel disegno è tuttavia evidente e tra il 1945 e il 1949 studia al Carnegie Institute of Technology della sua città. Si trasferisce poi a New York, dove lavora come grafico pubblicitario presso alcune riviste: “Vogue”, “Harper’s Bazar”, “Glamour”. Fa anche il vetrinista e realizza le sue prime pubblicità per il calzaturificio I. Miller. Il successo non tarda ad arrivare, dopo la prima mostra del 1952 alla Hugo Gallery di New York con una serie d’illustrazioni per Truman Capote, nel 1956 e presenta le sue Golden Shoes in Madison Avenue. In questi anni cambia il suo nome in Andy Warhol. Soldi e fama tuttavia non gli bastano, perché il suo obiettivo è essere conosciuto come artista, riorienta pertanto il suo lavoro
Pietro Psaier nasce in una piccola città vicino a Roma nel 1936. Tra il 1956 e il 1958 si occupa insieme a suo padre del design per le auto sportive di Enzo Ferrari. Studia al Centro italiano culturale di Madrid dal 1959 al 1962 mostrando particolare interesse per gli arazzi di Millares e Saura. Nel 1963 arriva New York e lavora per il quotidiano “Daily News” e per “Weegee the underground photographers”. Conosce Andy Warhol e Edie Sedgewick nel 1964, lavora per lui e collabora con Warhol al disegno per le scenografie dei suoi film. La sua attività dall�aspetto più commerciale con Warhol va dal 1966 al 1967 lavorando sia al noto indirizzo del 1342 di Lexington Avenue che per “Screw” magazine. Arriva a Malibu tra il 1970 e il 1973, dove si dedica a manifesti rock insieme all’artista californiano Rick Griffin. Nel 1973 riceve l’“Italian –American Art Prize”. Tra il 1974 e il 1975 si muove verso l’India e partecipa in Spagna alla mostra “Chemical Dependence”. La Chase Manhattan Bank acquista il suo lavoro. Diventa amico di Eric Emerson stella del film di Andy Warhol “Chelsea Girls”. Lavora per BMW per la creazione di “car concept” e nel 1976, realizza una serie di ritratti di attori e musicisti. Nel 1977
è chiamato a dipingere presso il Philippine Cultural Centre nella Fifth Avenue a New York. Nel 1978 espone con Andy Warhol, alla Brussels gallery. Crea un manifesto per Chanel e collabora con Tom Sullivan. Nel 1979 ottiene il danaroso contratto per il “Screen Edition Silk” con il gruppo “Topanga graphics” a Los Angeles. Nel 1981 e nel 1982 realizza la sua prima composizione di Polaroid e collage fotografico. Espone il suo lavoro alla “Galleria Fernando Vijante” di Madrid. Nel 1983 e nel 1984 lavora per le edizioni limitate di “Twelvetrees” e “Topanga graphics”. Lavora per il programma a favore dei malati di AIDS. Conosce Jon Gould e durante quest’anno dipinge ed espone in Italia così come in Spagna. Nel 1985. Lavora per tre mesi con Jean Michel Basquiat. Tra il 1987 e il 1990 si trasferisce a Madrid e tra i suoi temi spiccano corride e competizioni sportive. Tra il 1991 e il 1993 collabora per la rivista Downtown nella galleria Serrano a Madrid. Tra il 1994 e il 1995 si trasferisce in Italia per aprire un centro di arte e di design.
Il 22 febbraio 1987, muore a seguito di una semplice operazione di cistifellea.
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Keith Haring nasce il 4 Maggio del 1958 a Reading e già da piccolo, racconta il padre, si diverte a disegnare cartoni e fumetti. Dopo aver tentato una breve, e infruttuosa, carriera scolastica, nel 1976 decide di girare il paese. Si sposta fino a San Francisco e a Pittsburgh. Qui, iscrivendosi all’università, riesce a organizzare le sue prime piccole mostre. Due anni dopo si reca alla “School of Visual Art” di New York ed è proprio in questo periodo che la sua popolarità cresce esponenzialmente. Haring, È stato uno degli esponenti più singolari del graffitismo di frontiera, emergendo dalla scena artistica newyorkese durante il boom del mercato dell’arte degli anni ottanta insieme ad artisti come Jean-Michel Basquiat e Richard Hambleton: i suoi lavori hanno rappresentato la cultura di strada della New York di quel decennio. Le opere del “graffitaro” diventano, infatti, subito popolarissime tra i giovani e gli amanti della pop-art. Nel 1980 è condirettore di una mostra benefica in favore di bambini terremotati insieme a Andy Warhol da sempre sua fonte d’ispirazione e in seguito amico e mentore. Ai primi anni Ottanta appartengono, anche i Subway drawings, disegni che Haring realizza di nascosto con un gessetto nella metropolitana di Manhattan, sullo strato nero lasciato dai vecchi poster pubblicitari strappati via. Nel 1985 dipinge una murata del negozio Fiorucci a Milano e poco dopo disegna sul muro di Berlino. Nel frattempo apre numerosi pop-shop (dove si possono comprare gadget con le sue opere), nello stesso anno dell’apertura in Giappone dichiara la sua omosessualità e di avere contratto il virus dell’HIV. Nel 1989 comporrà la sua ultima opera a Pisa: il “Tuttomondo” dedicato alla pace universale. Il 16 Febbraio del 1990 Keith Haring muore a causa dell’AIDS, a soli trentun anni.
Paolo Buggiani è nato a Castelfiorentino, nei pressi di Firenze il 9 maggio 1933. Negli anni cinquanta partecipa alle ricerche d’avanguardia a Roma con Giulio Turcato, Alberto Burri, Piero Dorazio, Carla Accardi e Gastone Novelli. Nel 1962 si trasferisce New York, dove nel 1968 riceve con Donal Judd, Anthony Smith e Philip Gaston il premio Guggenheim per la ricerca sulla scultura in America. Rientrato in Italia nel 1968, è attivo a Roma e Milano. A questo periodo appartengono le Sculture umane sotto vuoto, i Dipinti sulla Realtà, l’Arte Indossabile e il Fuoco come Arte. Nuovamente a New York dal 1979, le sue Sculture di fuoco in movimento, le installazioni dei Rettili meccanici e lo studio di simboli mitologici (Icaro, Minotauro) da inserire nel tessuto urbano lo fannno comparire tra i maggiori protagonisti del movimento della Street Art con Keith Haring, Richard Hambleton, Ken Hiratsuka e Linus Coraggio. A Buggiani si deve inoltre la possibilità di ammirare alcuni dei primi disegni di Keith Haring, i Subway drawings da lui prima fotografati e in seguito materialmente salvati recuperandoli nella metropolitana di Manhattan. Buggiani, Conosciuto internazionalmente per le grandi installazioni di sculture di fuoco, negli ultimi anni si colloca tra i più autonomi e spregiudicati artisti contemporanei. Attualmente alterna periodi di attività a New York a lunghi soggiorni in Italia, dove vive e lavora nel borgo medioevale di Isola Farnese a Roma. Autoritratto, N.Y. 1979 Fotografia
Catalogo di KEITH HARING con dedica e ritratto a Paolo Buggiani. 1984 44 x 21 cm
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