Kur23itaeng

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N. 23 - 2018


Annuario / Yearbook Dir. responsabile / Editor in Chief Caporedattore / Senior editor Redazione / Editorial Staff

Grafica / Layout Traduzione / Translation

Tullio Bernabei Norma Damiano Carla Corongiu, Ada De Matteo, Antonio De Vivo, Leonardo Piccini, Tommaso Santagata. Matteo Casagrande Gordon Fisher, Traduzioni Liquide

Stampa / Printing

Grafiche Tintoretto (TV) - Italy

Contatti / Contacts

Via del Giardino 2 02046 Magliano Sabina - Italy tel. +39 0744 919296 e-mail: kur@laventa.it

La Venta Associazione Culturale Esplorazioni Geografiche Foto di copertina / Cover photo

Seconda di copertina / Second cover

Via Priamo Tron, 35/F 31100 Treviso - Italy www.laventa.it Ingresso Daylight, Palawan, Filippine Entrance to Daylight, Palawan, Philippines Ghiacciaio Grey, Patagonia, Cile Grey glacier, Patagonia, Chile

contributi & crediti

collaborations & credits Paolo Agnelli: 30 right botton; Archive La Venta: 8, 9, 11, 69; Daniela Barbieri: 67; Tullio Bernabei: 35 left top; Lorenzo Brandolini: 65; Carla Corongiu: 2nd cover, 71; Vittorio Crobu: cover, 28, 29, 32, 33 left, 34 left top, 34 right top, 74, 3rd cover; Norma Damiano: 56, 62 top, 63 left; Jo De Waele: 70; Ivano Fabbri: 3, 63 right; Franco Facchinetti: 72; Paolo Forti: 66, 68; Martino Frova: 31, 33 right top, 35 left botton, 36 left top, 36 right top, 37, 38 right, 39, 40; Orlando Lacarbonara: 59, 60 right, 62 botton; Francesco Lo Mastro: 1, 12, 13, 15, 16, 17, 64, 75; Leonardo Piccini: 38 left; Alessio Romeo: 2-3, 7, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 34 left botton; Natalino Russo: 10; ESA/Natalino Russo: 44, 45, 46, 47, 48, 49, back cover; Tommaso Santagata: 50, 51, 52 left, 53, 60 left, 61; Robbie Shone: 52 right top, 52 right botton, 54, 55; Marco Vattano: 30 right top, 30 left top, 33 right botton, 34 right botton, 34 right centre, 36 right botton.


Editoriale

editorial

Natalino Russo La Venta ha compiuto venticinque anni. Venticinque anni di esplorazioni, viaggi e pubblicazioni, sogni condivisi. Giovanni Badino è stato tra i promotori di questo progetto fin dall’inizio. Tra coloro che non hanno mai smesso di crederci, propulsore potente e infaticabile, Giovanni ha inciso profondamente nell’organizzazione e nella filosofia di base dell’associazione. Mai per un istante, neppure nei suoi dolorosi ultimi giorni, ha smesso di inventare strade nuove. Insieme abbiamo percorso un lungo pezzo di strada. Perciò gli abbiamo dedicato il libro, ancora fresco di stampa, che racconta questi nostri venticinque anni. Nel cuore della Terra, edizioni Skira, è un lungo viaggio fatto di storie e di fotografie, dalla prima pionieristica discesa del canyon del Río La Venta in Messico fino alle ricerche più recenti e ai progetti che stiamo immaginando per il futuro. Ci auguriamo che questo libro sappia contagiarvi con il nostro entusiasmo, e che tra le sue pagine si legga la nostra continua trasformazione: da un piccolo gruppo di amici ben assortiti a un’organizzazione riconosciuta a livello mondiale. Anche il numero di Kur che avete tra le mani è frutto di questa mutazione. La rivista sta cambiando e ciò è in qualche modo legato al passaggio dalla carta stampata alla rete. L’editoriale al numero precedente, firmato proprio da Giovanni, poneva l’accento sui social network e sulla conseguente abitudine a “pubblicare” quasi in diretta, perdendo la capacità di sedimentare la conoscenza e di organizzarla in testi meditati. La vera esplorazione è un processo sistematico. Non procede per improvvisazioni o per colpi di fortuna ma si nutre di lavoro pianificato nel tempo. La consuetudine di pubblicare in modo strutturato ha affrancato gli speleologi dalla categoria dei semplici sportivi, accostandoli sovente a quella nobile dei ricercatori. È anche grazie a questo che la speleologia si è consolidata, nella percezione e nei fatti, come disciplina scientifica. Postare solo su un social network - per soddisfare il legittimo bisogno di conferme sociali - rischia di far perdere a quest’attività alcune delle sue caratteristiche più affascinanti: la sistematicità nelle ricerche e nella divulgazione delle conoscenze, ma anche l’intuizione e la creatività, in cui Giovanni era un maestro. Per questo motivo continuiamo a pensare che una rivista come Kur abbia ancora un senso. Assorbe tante risorse, ma ci permette di continuare a poterci definire esploratori. In questo numero facciamo il punto sui nostri ultimi lavori in diversi luoghi del mondo, dalle montagne di calcare alle grotte glaciali fino a quelle calde. Un articolo di Umberto Del Vecchio e Francesco Lo Mastro racconta la recente ri-

La Venta has clocked up 25 years. 25 years of explorations, journeys and publications, shared dreams. Giovanni Badino was one of the driving forces behind this project from the outset. As someone who never stopped believing in the project, Giovanni was a compelling, tireless prime motor who had a profound impact on the organisation of the association and on the philosophy that underpins its operations. Never for an instant, even in his painful final days, did he stop mapping out new routes. We covered many miles together. We decided that the right thing to do was to dedicate a brand-new book – which tells the story of these first 25 years – to him. Into the Heart of the World, published by Skira, is a long journey told through stories and photographs, from the first, pioneering descent into the canyon of the Río La Venta in Mexico right up to our most recent research and the projects we are thinking up for the future. We hope that, through this book, some of our enthusiasm will rub off on you, giving you a sense of our ongoing transformation: from a small, motley band of friends to an organisation that is recognised worldwide. The edition of Kur that you have in your hands is a fruit of this evolution. The magazine is changing, and this change is due, to some extent, to the move from hard copy to the web. The editorial in the last issue, written by Giovanni himself, focused on the social networks and on the consequent tendency to “publish” almost in real time, without giving the knowledge any time to permeate and then be channelled into essays that have been properly thought through. Real exploration is a systematic process. It does not proceed on an improvised basis or through strokes of luck; rather, it is driven forward by long-term planning. The triedRiprese nel Galpon and-tested practice of Galpon shots releasing material in a structured way has liberated and ennobled speleologists, turning them from simple sportspeople into bona fide researchers. It is also thanks to this change that speleology has been consolidated, both in terms of perception and in actual fact, as a scientific discipline. Posting solely on a social network – to meet the legitimate need for feedback – risks shearing this discipline of some of its most essential characteristics: a systematic approach to research and the dissemination of knowledge, but also intuition and creativity, of which Giovanni was a true master. We remain convinced that a magazine such as Kur still makes sense. It takes a lot of resources to produce it, but it allows us to keep thinking of ourselves as explorers. In this issue, we give you the lowdown on our latest trips to different parts of the world, from limestone mountains, via glacier caves, to hot caves. Umberto Del Vecchio and Francesco

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cognizione alle isole Galápagos, che ha aperto la prospettiva di esplorare immensi tunnel lavici, nel luogo che ispirò a Darwin la teoria dell’evoluzione. È un lavoro molto articolato, con una logistica non semplice. Siamo ancora agli inizi ma le prospettive sono davvero interessanti. Alessio Romeo, organizzatore di molte spedizioni dentro i ghiacciai, narra gli ultimi sviluppi del progetto Inside the glaciers in Patagonia, alle prese con gli effetti dei cambiamenti climatici e ancor più con le difficoltà burocratiche. Nell’ambito dello stesso progetto Tommaso Santagata e Francesco Sauro raccontano gli studi in corso sul deposito di ghiaccio all’interno della grande grotta del Cenote, nelle Dolomiti, dove è stato effettuato un certosino lavoro di topografia mediante laser scanner a tre dimensioni. Ci spostiamo poi nel favoloso Puerto Princesa Underground River, nell’isola di Palawan (Filippine), che ci ha visti tornare a più riprese. Tra i nostri lavori più longevi, anche quest’avventura è iniziata venticinque anni fa. L’esplorazione speleologica combinata alla ricerca scientifica ci ha permesso di scrivere una pagina importante per la conoscenza, per la salvaguardia e per l’economia di un luogo unico al mondo. Ce lo raccontano Tono De Vivo e Paolo Forti in un articolo di sintesi di un grande progetto internazionale concluso solo qualche mese fa. Non manca la speleologia per così dire classica: Claudio Pastore, Tommaso Santagata e Norma Damiano ci portano nel cuore della vicina Albania, terra vicina e al tempo stesso remota, dove alcuni nostri soci hanno già in passato svolto ricerche speleologiche e naturalistiche. Torniamo infine nelle infernali grotte del monte Kronio a Sciacca, dove stiamo lavorando insieme alla Commissione Grotte “Eugenio Boegan” di Trieste. Il progetto ha recentemente coinvolto anche l’Agenzia spaziale europea: l’astronauta Luca Parmitano, già abituato alle grotte per aver partecipato agli addestramenti del progetto Caves, narra la sua recente esperienza insieme a noi nella grotta Cucchiara. A ciascuno di questi temi Giovanni Badino ha dedicato molti anni della sua vita. Raccontarvi gli ultimi sviluppi delle nostre ricerche in quei contesti è quindi ancora un omaggio a lui.

Il massiccio carsico del Parau, nel nord dell’Iran The Parau karst massif, in the north of Iran

Lo Mastro describe the recent reconnaissance mission to the Galápagos, which has opened up the potential for exploring immense lava tunnels, in the place that inspired Darwin’s theory of evolution. It was a challenging trip, with complex logistics; we are still in the early stages, but the prospects are very exciting. Alessio Romeo, the organiser of many a glacier expedition, tells us about developments on the Inside the Glaciers project in Patagonia, as it struggles with climate change and red tape. On the same project, Tommaso Santagata and Francesco Sauro describe the ongoing studies of the ice deposit within the large Cenote Cave in the Dolomites, where painstaking 3D laser scanning has been carried out of the topography. We then move on to the wonderful Puerto Princesa Underground River, on the island of Palawan (Philippines), which we have returned to time and again – indeed, this has been one of our longest projects, our adventure here having started 25 years back. Combining speleological exploration with scientific research has enabled us to make a significant contribution to the understanding, safeguarding and economics of a place that is like no other. The story is told by Tono De Vivo and Paolo Forti in an article that summarises what was a large international project that came to an end only a few months ago. There is certainly no shortage of “traditional” speleology in this edition: Claudio Pastore, Tommaso Santagata and Norma Damiano take us into the heart of Albania, a land that is at once near and far, where some of our members have already carried out research on the caves and the natural environment. We then return to the infernal caves of Mount Kronio in Sciacca, where we are working together with the Trieste-based “Eugenio Boegan” Caving Society. The project has recently involved also the European Space Agency: the astronaut Luca Parmitano – who was already familiar with our line of work, having undergone training on the Caves project – describes his recent experience with us in the Cucchiara cave. Giovanni Badino dedicated many years of his life to each of the aspects covered here, and so recounting the latest developments in our research is another tribute to him.


SOMMARIO

SUMMARY 1

Editoriale / Editorial

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Notizie / News

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Un quarto di secolo a cavallo di due / A quarter of a century, straddling two centuries Francesco Lo Mastro

10 Nel cuore della Terra. La Venta, 25 anni di esplorazione / Into the Heart of the World - La Venta, 25 years of exploration Francesco Lo Mastro 12 Inside Galápagos Volcanoes (esplorazione nelle isole di Darwin) / Inside GalápagosVolcanoes (exploring Darwin’s islands) Umberto Del Vecchio, Francesco Lo Mastro 18 Patagonia 2016/2017. Storia di un’esplorazione impossibile, cambiamenti climatici e burocrazia! / Story of an impossible exploration, climate change and red tape! Alessio Romeo 28 Speleologia e sviluppo sostenibile: il Progetto PPUR / Speleology and sustainable development: the PPUR project Antonio De Vivo, Paolo Forti 38 Un’immagine / An image Leonardo Piccini 41 Grotte di Carta / Paper caves Gaetano Boldrini 44 CAVES X1 / CAVES X1 Luca Parmitano 50 Il progetto “Cenote”, nel cuore delle Dolomiti: un sogno che diventa realtà / The “Cenote” project, in the heart of the Dolomites: a dream that cames true Tommaso Santagata, Francesco Sauro 54 Storia della scoperta ed esplorazione dell’Abisso Cenote / History of the discovery and exploration of the Abyss of Cenote Tommaso Santagata, Francesco Sauro 56 Albania. Storie di vecchie e nuove esplorazioni / Albania. Stories of explorations old and new

Claudio Pastore, Tommaso Santagata, Norma Damiano

64 La Venta in Albania / La Venta in Albania Francesco Lo Mastro 65 Lineamenti vegetazionali delle Alpi Albanesi Settentrionali / Overview of the plant life of the northern Albanian Alps Lorenzo Brandolini 66 17° Congresso Internazionale di Speleologia, Sydney, Australia, 23-29 luglio 2017 / 17th International Congress of Speleology, Sydney, Australia, 23-29 July, 2017 Paolo Forti 72 L’ultimo campo… / The last camp… Paolo Forti 76 Memorie del Buio - La Grotta di Fingal / Memories of the dark - Fingal’s Cave Paolo Forti Ingresso Shpella Stares, Albania / Entrance to Shpella Stares, Albania

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Notizie 1. SPELEO 2017, GROTTE IN UN CONTINENTE ANTICO Ogni quattro anni l’International Union of Speleology (UIS) organizza l’International Congress of Speleology (ICS), ogni volta in un Paese diverso selezionato dall’Assemblea Generale dei delegati delle Nazioni facenti parte dell’UIS. La 17esima edizione, intitolata “Speleo 2017, Caves in an Ancient Land”, si è svolta a Penrith, presso Sidney (Australia), dal 23 al 29 luglio 2017. La nostra associazione è stata presente all’evento con la partecipazione di cinque soci attraverso presentazioni orali, poster e video documentari. Il congresso è stato l’occasione, a livello internazionale, per raccontare i venticinque anni di attività esplorative di La Venta. Grande interesse ha riscontrato la presentazione di Paolo Forti, che ha raccontato i risultati del progetto di salvaguardia e ricerca del Puerto Princesa Underground River (Filippine), seguita dalla proiezione del film documentario, sullo stesso tema, prodotto da One Planet. Altrettanto seguite sono state le relazioni di Francesco Sauro e Jo De Waele, che hanno mostrato i risultati delle ricerche scientifiche dei progetti Atacama, tepui venezuelani e ghiacciai alpini. Senza dubbio, ancora una volta, il congresso internazionale si è rivelato un interessante momento di aggregazione e conoscenza scientifica; un momento in cui la speleologia e l’esplorazione delle più svariate parti del mondo vengono raccontate attraverso le voci di importanti speleologi e ricercatori. In quest’ottica esso rappresenta anche un’occasione fondamentale per gettare le basi di future e interessanti collaborazioni. 2. NEL CUORE DELLA TERRA Per La Venta il 17° Congresso Internazionale di Speleologia ha rappresentato anche un’ottima occasione per raccontare i venticinque anni di attività esplorative dell’associazione e per presentare il libro “Nel Cuore della Terra”, pubblicato a fine ottobre, che ne racconta le imprese più significative. Venticinque anni di esplorazione raccontati attraverso i principali progetti realizzati: dalla prima esplorazione in Chiapas (Messico), con la discesa del Rio La Venta, al progetto Tepui in Venezuela, al Puerto Princesa Underground River nelle Filippine, fino ai ghiacci antartici. Queste e tante altre ricerche ed esplorazioni vengono raccontate attraverso immagini di grande formato, racconti, diari e approfondimenti scientifici. 3. UZBEKISTAN Da anni, ormai, La Venta partecipa alle spedizioni organizzate dai russi sulle imponenti pareti di massicci come il Baysun Tau. Nel 2016 sono state condotte spedizioni sia sul Baysun Tau sia sulla catena parallela chiamata Chul Bair, dove sono proseguite le esplorazioni alla storica Boj Bulok e alla grotta Chul Bair 15, scoperta nel 2015. Obiettivo della spedizione era tentare una giunzione tra le due. Poiché la Chul Bair si apre in parete a circa 3650 m di quota, in caso di giunzione si otterrebbe la terza grotta al mondo con una profondità superiore ai 2 km e soprattutto un incredibile complesso di meandri (spesso strettissimi)

news 1. SPELEO 2017, CAVES IN AN ANCIENT LAND Every four years, the International Union of Speleology (UIS) stages the International Congress of Speleology (ICS), and each time it takes place in a different country, as selected by the General Assembly of the countries that form part of the UIS. The 17th edition, entitled “Speleo 2017, Caves in an Ancient Land”, was held in Penrith, near Sydney (Australia), from 23 to 29 July, 2017. Our association appeared at the event, with five of our members participating through speeches, posters and documentary videos. The congress afforded an opportunity to encapsulate the first 25 years of La Venta’s explorations. Particularly well received was Paolo Forti’s presentation, which described the results of the research and safeguarding project at the Puerto Princesa Underground River (Philippines), followed by the screening of the documentary film on the same subject, produced by One Planet. Also very much appreciated were the reports from Francesco Sauro and Jo De Waele, which illustrated the results of the scientific research on the Atacama, Venezuelan tepuis and Alpine glacier projects. Without doubt, once again the international congress provided a significant opportunity for networking and the sharing of scientific knowledge. It was a chance for speleology and the exploration of every corner of the world to be showcased by the leading cavers and researchers. It also made it possible to lay the groundwork for all manner of interesting collaborations. 2. INTO THE HEART OF THE WORLD For La Venta, the 17th International Congress of Speleology was the ideal occasion on which to sum up the first 25 years of the association’s explorations and to present “Into the Heart of the World”, the book published in late October that encompasses La Venta’s most impressive exploits, from the first expedition in Chiapas (Mexico), with the descent into the Río La Venta, to the Tepui project in Venezuela, the Puerto Princesa Underground River in the Philippines and the Antarctic glaciers. These and many other research and exploration projects are illustrated through large-format images, stories, diaries and scientific explanations. 3. UZBEKISTAN For years now, La Venta has been participating in the expeditions organised by the Russians to the imposing walls of massifs such as Baysun Tau. In 2016, visits were made both to Baysun Tau and to the parallel Chul Bair chain, where explorations continued on the historic Boj Bulok and the Chul Bair 15 cave, discovered in 2015. The objective of the expedition was to attempt to create a connection between the two. Since Chul Bair opens in the wall at a height of around 3650 m, if they were linked together it would generate the third deepest cave in the world, with a depth in excess of 2 km, and above all an incredible complex of meanders (often extremely narrow) that run for tens of kilometres. Chul Bair 15 was explored down to a depth of 250 m, revealing itself to be one of the most challenging caves of all due to exceptionally hard-to-negotiate meanders. At Boj Bulok, the explorations of the upper branches led to the discovery of more than 200 m of height difference towards the surface, whereas other teams – thanks to the weeklong internal camp – explored new branches at a depth of 500 m. On Baysun Tau, the explorations proceeded on the wonder-


Notizie che si sviluppano per decine di chilometri. Chul Bair 15 è stata percorsa sino a 250 m di profondità, rivelandosi una delle grotte più impegnative esistenti a causa di meandri molto difficili da percorrere. A Boj Bulok le esplorazioni dei rami alti hanno portato alla scoperta di altri 200 m di dislivello verso la superficie, mentre altre squadre - grazie al campo interno di una settimana - hanno esplorato dei nuovi rami a 500 m di profondità. Sul Baysun Tau sono state proseguite le esplorazioni della splendida Dark Star, con esplorazioni condotte in zone distanti oltre venti ore di progressione dall’ingresso. Il sistema ha raggiunto un’estensione pari a 20 km, diventando la cavità più grande dell’Uzbekistan. Nel 2017 La Venta non ha potuto prender parte alla spedizione organizzata dai russi, ma le esplorazioni a Chul Bair 15 sono proseguite, raggiungendo una profondità di 750 m e rendendo sempre più vicina la giunzione con Boj Bulok. 4. TEPUI Nel 2016 è stata condotta l’ultima spedizione sui tepui venezuelani; attualmente il progetto è stato temporaneamente “congelato” a causa della critica situazione politica e sociale venezuelana. La nostra maggiore scoperta, la grotta chiamata Imawarì Yeuta, lunga oltre 20 km, è avvenuta appena tre anni fa sull’Auyan Tepui e ha spalancato frontiere esplorative e scientifiche impensabili. Per questo, nel 2016, si è deciso di impiegare una prima parte della spedizione per l’esplorazione di un tepui ancora più remoto, il Sarisariñama. Non siamo stati tuttavia i primi a raggiungerlo: esattamente 40 anni prima, nel 1976, speleologi polacchi e venezuelani vi scoprirono ed esplorarono tre grotte: la Sima Mayor, la Sima Menor e la Sima della Lluvia. Si è trattato di una spedizione molto impegnativa e complessa a causa delle condizioni ambientali di questo tepui, quasi completamente coperto da foresta. Le attività si sono concentrate su tre fronti: esplorazione di una serie di nuove sime (profondi e giganteschi pozzi) individuate dalle immagini satellitari nel settore di sud-est del massiccio; documentazione e campionamento nelle grotte più importanti esplorate dalla spedizione venezuelano-polacca del 1976 (Sima Menor e Sima della Lluvia); documentazione per la rivista GEO attraverso la presenza del fotografo Robbie Shone e del giornalista Lars Abromeit. Nel corso di 12 giorni sono state esplorate 4 nuove sime, delle quali due hanno dato risultati interessanti: la Sima del Pajaro del Diablo, che si spinge fino a -240 m e quasi 1 km di sviluppo, e la Sima Profunda (in lingua indigena Tuna Enitojudu che significa “dove andò l’acqua del cielo”) che è stata discesa fino a circa -200 m con grandi pozzi e saloni. Sono state inoltre realizzate osservazioni mineralogiche e numerose analisi delle acque, fornendo nuovi spunti sulla genesi di questi giganteschi pozzi di crollo. Unico rimpianto è stato non essere riusciti a trovare un accesso al grande fiume sotterraneo che scompare inghiottito nella zona sud del Sarisariñama. Per raggiungere questi risultati sono state affrontate molte difficoltà logistiche, tra le quali rischiose manovre con l’elicottero che ha sempre volato in overing e senza porte, e anche difficoltà pratiche di attraversamento

news ful Dark Star, with forays conducted into distant areas, more than 20 hours of progression from the entrance. The system reached an extension of 20 km, thus becoming the largest cave in Uzbekistan. In 2017, La Venta was not able to take part in the expedition orchestrated by the Russians, but the explorations to Chul Bair 15 carried on apace, reaching a depth of 750 m and bringing the connection with Boj Bulok all the closer. 4. TEPUIS 2016 saw the latest expedition to the Venezuelan tepuis; the project is currently “on ice” due to the critical political and social situation in Venezuela. We made our main discovery – the Imawarì Yeuta cave, measuring more than 20 km in length – just three years ago on the Auyan Tepui, and this opened up hitherto unthinkable exploratory and scientific frontiers. For this reason, in 2016, we decided to use the first part of the expedition to investigate an even more remote tepui, Sarisariñama. We were not, though, the first to reach it: exactly 40 years ago, in 1976, Polish and Venezuelan speleologists discovered and explored three caves there: Sima Mayor, Sima Menor and Sima della Lluvia. Ours was a very challenging and complex expedition due to the environmental conditions of this tepui, almost completely covered by forest. The operations focused on three fronts: exploring a series of new simas (giant, deep shafts) identified by satellite images in the south-eastern sector of the massif; documenting and sampling in the largest caves explored by the Venezuelan-Polish expedition of 1976 (Sima Menor and Sima de la Lluvia); and documenting for “GEO” magazine through the presence of the photographer Robbie Shone and the journalist Lars Abromeit. Over the course of 12 days, four new simas were explored, of which two offered up interesting results: the Sima del Pajaro del Diablo, which reaches down to 240 m and is almost 1 km long; and the Sima Profunda (in the indigenous language it is called “Tuna Enitojudu”, which means “where the water from the sky went”), which was explored down to around 200 m with large shafts and chambers. Mineralogical observations were carried out alongside numerous analyses of the water, providing new clues to the genesis of these immense collapse shafts. Our only regret was that we did not manage to find an access to the great underground river that disappeared, swallowed up in the southern part of Sarisariñama. To achieve these results, a large number of logistical difficulties had to be overcome, including the risky manoeuvres carried out by hovering, doorless helicopters, in addition to the practical complications of having to cross the forest to reach the entrances – i.e. bridges suspended on trunks, thick vegetation, lack of water and very high temperatures. The second part of the expedition was dedicated to the Auyan Tepui, and concerned not just the search for new systems on this large massif, but also the continuation of the efforts to study and document Imawarì Yeuta (“the Home of the Gods”), the longest quartzite cave system in the world. The objectives were to survey the largest areas of the cave with laser scanners, to press ahead with the scientific operations and photographic documentation, and to search for new caves in the southern part of the Gran Derrumbe. In this regard, we discovered a

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Notizie della foresta per raggiungere gli ingressi: ponti sospesi su tronchi, vegetazione fittissima, mancanza di acqua e temperature molto elevate. La seconda parte della spedizione è stata dedicata all’Auyan Tepui: non solo per la ricerca di nuovi sistemi su questo grande massiccio, ma anche per continuare il lavoro di studio e documentazione di Imawarì Yeuta (“La Casa degli Dei”), la più grande grotta al mondo sviluppata nelle quarziti. Gli obiettivi erano rilevare le zone più importanti della grotta con laser scanner, continuare le attività scientifiche e la documentazione fotografica, ricerca di nuove grotte nella zona sud del Gran Derrumbe. Proprio qui abbiamo scoperto una nuova cavità, rilevata per un chilometro al limite sud-est dell’enorme depressione. Un altro bel tassello del sistema, esplorato purtroppo solo sommariamente per il poco tempo a disposizione. Questa scoperta ha confermato che l’Auyan cela ancora moltissimi segreti, ognuno con sue caratteristiche proprie che non finiscono mai di stupire. 5. NUOVE ESPLORAZIONI ALL’INTERNO DEL MONTE KRONIO Nel maggio 2017 la nostra associazione è tornata a esplorare le calde grotte del Monte Kronio (Sciacca, Agrigento). Questa volta ci siamo recati nella grotta Cucchiara per coordinare un progetto in collaborazione con la Commissione Grotte “Eugenio Boegan”, la Flyability (società svizzera produttrice di droni) e l’ESA (Agenzia Spaziale Europea), che ha portato nella montagna siciliana un mix originale di speleologia, tecnologia ed esplorazione spaziale. Una spedizione durata pochi giorni ma ricca di obiettivi: campionamenti chimici e geologici; esplorazione di nuovi settori; documentazione video e fotografica; sperimentazione di nuove tecnologie esplorative con uso di droni. Tutto questo accompagnati dall’astronauta Luca Parmitano, all’interno del progetto ESA CAVES X-1: un progetto addestrativo dell’ESA che prevede la partecipazione di un astronauta a una vera spedizione in un ambiente complesso e difficile da gestire, integrandosi col gruppo e diventando parte del team al pari di ogni altro partecipante. La Grotta Cucchiara ha un clima estremo, con una temperatura che raggiunge i 38 °C e umidità del 99%; esplorare e fotografare in queste condizioni è molto difficile e faticoso. Proprio condizioni ambientali così difficili ci hanno spinto alla collaborazione con Flyability e alla sperimentazione di nuove tecnologie. Dopo alcuni stretti passaggi e qualche piccolo salto si raggiunge un grande pozzo (pozzo Trieste), profondo più di 80 m. L’elevata temperatura e l’umidità rendono quasi impossibile scendere il pozzo e risalirlo senza l’ausilio di sistemi di refrigerazione: il rischio di sentirsi male è altissimo. Abbiamo così deciso di sperimentare nuovi sistemi di refrigerazione e soprattutto di sfruttare la tecnologia messa a punto dalla giovane società svizzera per tentare una prima esplorazione a distanza del pozzo Trieste. La Flyability è infatti un’azienda che ha brevettato un “Collision Drone”: un drone circondato da una gabbia sferica in carbonio e in grado di urtare e rimbalzare contro gli ostacoli che incontra, percorrendo e ispezionando luoghi che l’uomo non può raggiungere. Grazie a questo

news new cave, a kilometre of which was surveyed at the south-eastern limit of the enormous depression – another good chunk of the system, unfortunately explored only summarily due to the lack of time available. This discovery confirmed that the Auyan still conceals many secrets, each with its own features, which never fail to astonish. 5. NEW EXPLORATIONS WITHIN MOUNT KRONIO In May 2017, our association returned to explore the hot caves of Mount Kronio (Sciacca, Agrigento). This time, we headed for the Cucchiara cave, to co-ordinate a project in partnership with the “Eugenio Boegan” Caving Society, Flyability (a Swiss drone manufacturer) and the ESA (European Space Agency), thus bringing into the Sicilian mountain an original mix of speleology, technology and space exploration. The expedition was short but we set ourselves multiple objectives: chemical and geological sampling; exploration of new sectors; video and photographic documentation; and testing out new exploratory technologies using drones. We were accompanied throughout by the astronaut Luca Parmitano, who – as part of the ESA’s CAVES X-1 training project – was required to participate in a proper expedition within a complex, hard-to-manage environment, integrating with the group and becoming just another member of the team. The Cucchiara cave has an extreme climate, with temperature and humidity levels of 38 °C and 99%, respectively; as such, exploring and taking photographs is very strenuous. These incredibly difficult conditions led us to collaborate with Flyability and to try out new technologies. After several narrow passages and a few leaps, we came to a large shaft (the Trieste shaft), more than 80 m deep. The sky-high temperature and humidity levels make it almost impossible to descend down into the shaft and come back up without the use of cooling solutions: the risk of feeling unwell is great. We thus decided to try out new cooling systems and to exploit the technology developed by the young Swiss company in order to attempt an initial remote exploration of the Trieste shaft. Flyability has patented a Collision Drone, which is a drone surrounded by a spherical carbon-fibre cage that can withstand crashing into and bouncing off the obstacles that it encounters, visiting and inspecting sites that people cannot feasibly get to. Thanks to this cutting-edge drone, it became possible to explore every corner of this large shaft, without having to engage in laborious, dangerous descents or ascents along its walls. The video camera it is equipped with enabled us to observe and analyse the space in depth, allowing us to identify the tunnel through which flows the warm air that rises up the shaft. 6. IRAN La Venta has always been attracted by the countries of central Asia, and for years we have been working on the idea of carrying out a speleological expedition in the Zagros mountains, in Iran, with our minds focused on the depths of the most well known cave in this area: Ghar Parau, an abyss that opens up just below the summit of Sheikh Ali Khan (3357 m), which was explored down to a depth of 750 m in the early 1970s. Finally, in 2016, we set out on our first, brief expedition to the Parau massif, in the northern section of the Zagros range,


Notizie drone innovativo è stato possibile esplorare ogni angolo del grande pozzo, senza doversi sottoporre a impegnative e pericolose manovre di discesa e di risalita lungo le sue pareti. La telecamera di cui è dotato ci ha consentito di osservare e analizzare ogni possibile prosecuzione; in questo modo è stato possibile individuare la galleria dalla quale proviene l’aria calda che risale il pozzo. 6. IRAN La Venta è sempre stata attratta dai Paesi dell’Asia centrale, e da anni in associazione si accarezzava l’idea di realizzare una ricognizione speleologica sui monti Zagros, in Iran, con la mente volta alle profondità della grotta più conosciuta di quest’area: il Ghar Parau, un abisso che si apre poco di sotto la cima Sheikh Ali Khan (3357 m), esplorato fino a 750 m di profondità nei primi anni settanta. Finalmente nel 2016 è stata organizzata la prima breve spedizione sul massiccio del Parau, la porzione settentrionale degli Zagros non lontana dal Kurdistan iraniano. Lo scopo primario, in quella occasione, era porre le basi per una collaborazione con le organizzazioni speleologiche locali con l’intento di sviluppare in futuro un progetto scientifico-esplorativo su varie aree del Paese. Sono state necessarie 8 ore a piedi risalendo 1500 metri di dislivello per raggiungere il campo base di quota 2800, situato in un settore del Parau che è stata oggetto di operazioni militari fino a pochissimi anni fa; ciò spiega perché le esplorazioni sono cominciate solo in tempi recenti. Durante la spedizione è stata proseguita l’esplorazione di Qala Cave, fino a raggiungere una profondità di 567 metri. Si tratta di un unico gigantesco pozzo, uno dei maggiori del mondo, interrotto solo da qualche cengia. Il baratro è bellissimo e diventa incredibile quando, a mezzogiorno, un fascio di luce solare illumina il blocco di ghiaccio presente a -400 m. Nel frattempo è stata effettuata anche una prospezione in superficie scoprendo decine di grandi pozzi: qui è davvero facile trovare grotte... Al termine di questa prima breve ricognizione sono nate amicizie con alcuni speleo iraniani e con loro sono state poste le basi per possibili collaborazioni sia sul Parau sia nelle caldissime grotte nel sale situate nel sud-est del paese. A un anno di distanza, nell’estate del 2017, è stata organizzata la seconda spedizione in terra iraniana. Anche questa volta in collaborazione con gli speleologi del Caving Surena Team di Teheran e con l’Iranian Caving and Speleology Association. Si è realizzata la documentazione fotografica di Qala Cave e si è proceduto con le prospezioni e la ricerca di grotte su vari settori del Parau. La grotta più significativa trovata è la Ghizhalan Cave, con ingresso a 3000 m di quota; le esplorazioni si sono interrotte a 450 m di profondità per mancanza di tempo e materiali, ma la grotta continua. Durante le ricognizioni sono stati individuati numerosi ingressi, pozzi profondi da poche decine a 70-80 metri, al momento tutti posizionati ma ispezionati solo in parte: l’inizio di un lungo e sicuramente emozionante lavoro speleologico. Ghizhalan Cave, pozzo da 80 m a circa 350 m di profondità Ghizhalan cave, 80 m shaft at a depth of around 350 m

news not far from Eastern Kurdistan. The main purpose, on that occasion, was to establish relationships with the local caving organisations, with a view to implementing an exploratory scientific project in various areas of the country. It took us 8 hours on foot to ascend the 1500 m height differential leading to base camp (altitude: 2800 m), situated in a sector of Ghar Parau that was subject to military operations until very recently – this explains why the explorations have begun only over the past few years. During the expedition, we pushed ahead with our exploration of Qala Cave, eventually reaching a depth of 567 metres. This is a gargantuan shaft – one of the world’s largest – interrupted only by the odd ledge. The chasm is beautiful, and it is quite a sight to behold when, at midday, a band of sunlight illuminates the block of ice situated 400 m down. In the meantime, we conducted a survey on the surface, discovering dozens of large shafts – finding caves here is a piece of cake. By the end of this first, short reconnaissance mission, we had befriended a number of Iranian speleologists, and with them we cleared the way for future collaborations both to Ghar Parau and to the burning hot salt caves in the chambers situated to the south-east of the country. A year later, in summer 2017, we organised a second expedition to Iran, once again in partnership with the Tehran-based Caving Surena Team and the Iranian Caving and Speleology Association. We completed the photographic documentation of Qala Cave and proceeded with the surveys and cave research in various parts of Ghar Parau. The most significant find was Ghizhalan Cave, with its entrance at an altitude of 3000 m; the explorations came to a stop at a depth of 450 m due to a lack of time and materials, but the cave goes on. During the exploration, numerous entrances were discovered, along with shafts measuring from a few dozen to 70-80 m deep, at present all located but only partially inspected, marking the start of a long and undoubtedly exciting speleological adventure.

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Un quarto di secolo a cavallo di due Francesco Lo Mastro

Magliano Sabina, giugno1992. Il gruppo dei fondatori dell’associazione La Venta sbircia oltre una siepe, verso un futuro che si rivelerà ricco di soddisfazioni. Da sinistra A. De Vivo, U. Vacca, G. Badino, G. Boldrini, I. Giulivo, M. Topani e T. Bernabei. Magliano Sabina, June 1992. The group of founders of the La Venta association look over a hedge, towards a future that will reveal itself to be exceptionally fulfilling. From left: A. De Vivo, U. Vacca, G. Badino, G. Boldrini, I. Giulivo, M. Topani and T. Bernabei.

L’associazione La Venta ha da poco compiuto venticinque anni di attività, l’ha fatto oltrepassando idealmente il confine tra due secoli con una avventurosa cavalcata tra passato e futuro. Tutto ha avuto inizio nel 1990 con l’esplorazione in Messico di una profonda incisione rocciosa nello stato del Chiapas, il canyon del rio La Venta. Un nome allora per lo più sconosciuto a tutti, ma che per gli addetti ai lavori negli anni successivi sarebbe rimbalzato esponenzialmente di bocca in bocca identificando uno sparuto gruppo di speleologi italiani. Un anno più tardi il successo di quell’impresa, l’accresciuto spirito d’avventura e la voglia di esplorare nuovi angoli della terra spinsero quelle persone a fondare un’associazione che avrebbe preso il nome da quell’impresa. Nacque così l’Associazione La Venta. Da allora sono trascorsi venticinque anni: percorsi a ritmo frenetico, senza sosta, esplorando i luoghi più remoti e avversi della terra, documentando, ricercando e campionando per la scienza e la conoscenza collettiva tutto quello che s’incontrava sul cammino. Socializzando con le genti del posto e gettando le basi per collaborazioni future con i governi, con le istituzioni, le associazioni e i gruppi speleologici locali. Ai cinque soci fondatori (Tullio Bernabei, Gaetano Boldrini, Antonio De Vivo, Italo Giulivo e Marco Topani), un anno più tardi si aggiunsero gli speleologi Giovanni Badino e Ugo Vacca e negli anni a seguire, con il crescere degli obiettivi e delle esplorazioni, nuove forze giunsero in La Venta; non solo speleologi, poiché l’associazione assumeva sempre più il carattere geografico. Nacquero così progetti multi disciplinari, dove ricerca scientifica, esplorazione e documentazione concorrevano a ottenere risultati di altissimo livello,

The La Venta association has recently reached its 25th anniversary – in the process it has straddled two centuries on an adventurous journey between past and future. It all began in 1990, with the exploration in Mexico of a deep, rocky gorge in the state of Chiapas – the canyon of the Río La Venta. It is a name that, back then, was new to just about everyone, but which for those in the know over the coming years would spread like wildfire by word of mouth to denote a small group of Italian speleologists. A year later, the success of that first trip, the bolstered spirit of adventure and the desire to explore new corners of the Earth led those people to found an association that would take its name from that expedition. This was how the La Venta association came into being. 25 years have passed since then, all at a frenetic pace, without a break. Exploring the most remote and hostile places on the planet, we have documented, researched and sampled – for the benefit of science and of collective awareness – everything we have come across along the way. We have socialised with the locals and laid the groundwork for future partnerships with governments, institutions, associations and caving societies. The five founding members (Tullio Bernabei, Gaetano Boldrini, Antonio De Vivo, Italo Giulivo and Marco Topani) were joined a year later by the speleologists Giovanni Badino and Ugo Vacca, and over subsequent years, with the expansion of the objectives and the explorations, new resources joined La Venta – and not just speleologists, since the association was becoming increasingly geographical in character. As a result, multi-disciplinary projects were launched, in which scientific research, exploration and documentation came together to produce exceptional results, some of which were published in leading global science journals, as well as


A quarter of a century, straddling two centuries come le pubblicazioni su importanti riviste scientifiche a livello mondiale, e la realizzazione di documentari in collaborazione con prestigiosi network internazionali. Oggi, guardando a ritroso il nostro cammino, siamo coscienti, non senza stupore, dell’enorme mole di lavoro svolta e della strada percorsa insieme. Compiuti venticinque anni, come per un parto imminente, è nata l’esigenza di dare alla luce un libro che riassumesse la nostra storia, i progetti e le esplorazioni. Insomma, una parte importante della nostra vita. Abbiamo chiamato il libro “Nel cuore della terra”. La casa editrice è Skirà, ben nota per l’elevato livello qualitativo delle sue produzioni. Nel volume sono elencate le tappe principali del nostro viaggio di venticinque anni; oltre il mondo delle grotte, sono affrontate anche tutte le tematiche che circondano l’ambiente sotterraneo e che insieme hanno concorso al compimento di ogni progetto esplorativo descritto. Campi e argomenti che fanno di un’esplorazione un compendio di dati e informazioni di alto interesse naturalistico e scientifico. Nel momento in cui scrivo il libro è alle stampe, ma quando leggerete quest’articolo sarà già in distribuzione, e spero lo abbiate già comprato. Il libro ha due prestigiose prefazioni: la prima del regista tedesco Werner Herzog, la seconda dell’astronauta italiano Luca Parmitano. Seguono poi i capitoli con la trattazione dei progetti esplorativi più importanti e un settore dedicato alle ricognizioni. Ogni progetto comprende al suo interno dei box tematici e testimonianze dirette di spedizione; il tutto accompagnato da numerosissime immagini di alta spettacolarità. Conclude l’opera una profonda trattazione sull’ambiente sotterraneo e sulle esplorazioni scritta dal nostro socio Giovanni Badino, recentemente scomparso e cui questo libro è stato dedicato.

the creation of documentaries in partnership with prestigious international networks. Today, looking back at our journey, we can see – not without a sense of amazement – the enormous amount of work done and the length of the road we have covered together. Having clocked up 25 years, there arose – rather like an imminent birth – the need to put together a book that would encapsulate our history, projects and explorations; to give an account, in other words, of an important part of our lives. We titled the book Into the Heart of the World, and it was brought out by Skira, a publisher renowned for the high quality of its output. The work sets out the main stages on our 25-year journey: over and above the world of caves, we also address all of the issues that concern the underground environment and that together have contributed to the completion of every exploratory project described therein. Taken together, all of this content renders the book a work of great interest from both scientific and natural history perspectives. At the time of writing, the book is going to press, but by the time you read this piece it will already be available, and I hope that you will have had the chance to get hold of a copy. The book has two prestigious prefaces: the first by the German director Werner Herzog, and the second by the Italian astronaut Luca Parmitano. There then follow the chapters that deal with the most important exploration projects, and a section dedicated to reconnaissance. Every project includes themed boxes and direct “notes from the front line”; all accompanied by a plethora of spectacular images. The book ends with an in-depth essay on the underground environment and on our explorations, written by our partner Giovanni Badino, who passed away recently and to whom the book is dedicated.

Ambasciata d’Italia a Yangon, Myanmar, 2005 Italian Embassy in Yangon, Myanmar, 2005

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Nel cuore della Terra - La Venta, 25 anni di esplorazione 10

Skirà editore, 2017

Grotta Imawarì Yeuta, cascata Ratò, Tepui Venezuela Imawarì Yeuta Cave, Ratò waterfall, Tepui Venezuela


Into the Heart of the World - La Venta, 25 years of exploration Published by Skira in 2017

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Francesco Lo Mastro

Molto tempo è passato da quel lontano luglio del 1991, quando Tullio Bernabei, Marco Topani, Gaetano Boldrini, Italo Giulivo e Tono De Vivo registrarono l’atto costitutivo di La Venta e versarono 100.000 lire a testa per coprire i primi costi della neonata associazione. Avevano ancora negli occhi e nel cuore le grandi pareti del canyon del Rio La Venta, che li aveva così profondamente stregati da convincerli a inseguire un sogno. Un sogno diventato realtà: i luoghi un tempo solo immaginati sono diventati terre calpestate, grotte esplorate, enigmi svelati, dubbi sconfinati, esperienze condivise con compagni straordinari. Alcuni per pochi passi, altri per lunghi cammini. Tra i tanti sogni che ci hanno indicato il percorso, ci ha sempre accomunato quello di non lasciare dietro di noi solo il buio ma anche memorie, pagine scritte e immagini. Così abbiamo pubblicato libri e realizzato video, nella speranza di comunicare e divulgare i risultati del nostro grande privilegio, quello di sapere andare oltre l’orlo. Dopo tante esperienze editoriali vissute in totale autonomia, un paio di anni fa le nostre strade si sono incrociate con quelle di un grande editore: era l’occasione per andare oltre l’orlo anche nella comunicazione e nella divulgazione. Il libro edito da Skirà, “Nel Cuore della Terra - La Venta, 25 anni di esplorazione”, fresco di stampa e ora in libreria, narra i nostri primi 25 anni di storie e di spedizioni in luoghi straordinari. Testi e immagini che parlano di esperienze umane e meravigliose esplorazioni tra foreste, montagne, deserti e ghiacciai. Tra i compagni che hanno accompagnato La Venta in questo quarto di secolo, Giovanni ne ha indelebilmente segnato la via da percorrere. A lui lo abbiamo dedicato.

A great deal of time has passed since July 1991, when Tullio Bernabei, Marco Topani, Gaetano Boldrini, Italo Giulivo and Tono De Vivo submitted La Venta’s articles of association and paid 100,000 lira each to cover the start-up costs of the newly formed organisation. They still had in their eyes and their hearts the great walls of the canyon of the Rio La Venta, which had bewitched them so profoundly as to convince them to follow their dream. A dream that came true: places at one time only imagined became tracks beaten, caves explored, enigmas revealed, doubts resolved and experiences shared with extraordinary partners – some in short bursts, others on long roads. Through the many dreams that the route has allowed us to fulfil, we have always felt it important not to leave in our wake just darkness, but also memories, written pages and images. To this end, we have published books and made videos, in the hope of communicating and disseminating the results of what has been for us a great privilege – the chance to go over the edge. After numerous years of self-publishing, a couple of years ago our paths crossed with those of a major publisher: this afforded an opportunity for us to go “over the edge” in terms of our communications, too. The book in question, published by Skira and entitled Into the Heart of the World – La Venta, 25 years of exploration, hot off the press and now available in all good bookshops, tells the story of the first 25 years of our history and our expeditions to extraordinary places. The book features essays and images that encapsulate human experiences, and showcases wonderful explorations of forests, mountains, deserts and glaciers. Out of all the companions who have accompanied La Venta over this quarter of a century, Giovanni made an indelible mark on the direction we have taken. Accordingly, we dedicated the book to him.


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Inside Galรกpagos Volcanoes Vulcano Triplo, Isola Isabela / Triple Volcano, Isabela Island


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Inside Galápagos Volcanoes (esplorazione nelle isole di Darwin) Inside GalápagosVolcanoes (exploring Darwin’s islands) Umberto Del Vecchio, Francesco Lo Mastro Introduzione Se c’è un luogo che al solo pronunciarne il nome rievoca in noi avventura e scoperta, bene quello è l’arcipelago delle Isole Galápagos. Quando si nominano, vengono subito in mente grandi viaggi per mare, interminabili e insidiosi. Per fortuna oggi non è più così, ma raggiungere queste isole rappresenta comunque un’avventura, in special modo quando si parla di organizzare un progetto esplorativo. Non è semplice, infatti, superare le mille difficoltà burocratiche e logistiche legate alla richiesta dei permessi, alla permanenza e alla gestione operativa in quel santuario della natura. La strada è lunga e difficile. Sebbene le prime esplorazioni speleologiche dell’area risalgano al 1982 per opera di francesi, a oggi le ricerche si sono concentrate su zone piuttosto vicine alle aree antropizzate a causa delle notevoli difficoltà sia di spostamento tra le isole che di progressione, al limite dell’impossibile, su un terreno arido e inospitale come quello lavico. Per questo la maggior parte delle aree sono ancora da esplorare e studiare. E’ con questi presupposti che nasce il progetto “Inside Galápagos Volcanoes” che si propone l’esplorazione e lo studio dell’evoluzione dei tubi lavici dei vulcani Wolf ed Ecuador, posti nella parte nord dell’isola Isabela, e dell’ecosistema a essi legato. L’idea è nata dall’incontro tra la nostra associazione e due profondi conoscitori delle isole e del loro sottosuolo: Theofilos Toulkeridis, geologo dell’Istituto Politecnico dell’Esercito a Quito (Equador), e Aaron Addison, geologo alla Washington University di Saint Louis (USA), che da anni conducono ricerche nelle grotte vulcaniche.

Introduction For us, there’s one place above all others whose name evokes adventure and discovery: the archipelago of the Galápagos islands. When we refer to them, we think instantly of great, interminable, insidious sea voyages. Luckily, today it’s no longer like that, but reaching these islands remains something of an adventure, particularly when you’re organising an exploratory project. Indeed, it is no easy task to overcome the plethora of bureaucratic and logistical difficulties associated with requesting permissions, with the stay itself and with matters of operational management in that sanctuary of nature. The road is long and arduous. Although the earliest speleological exploration of the area was carried out by a French team in 1982, today the research focuses on zones relatively near to the domesticated areas due to the considerable difficulties involved in island hopping and in making any progress, given the nigh-on impossible nature of the arid, inhospitable igneous terrain. For this reason, most of the areas are still waiting to be explored and studied. This was the background to the “Inside Galápagos Volcanoes” project, which set itself the objective of exploring and studying the development of the lava tubes of the Wolf and Ecuador volcanoes, located in the northern part of Isabela Island, and of the eco-systems there. The idea arose out of the meeting between our association and two people who know the islands and their sub-soil inside out: Theofilos Toulkeridis, a geologist at the Army Polytechnic Institute in Quito (Ecuador); and Aaron Addison, a geologist at Washington University in Saint Louis (USA), who have been conducting research in the volcanic caves for years.

Le isole Galápagos Le Galápagos costituiscono un arcipelago di tredici isole vulcaniche a cavallo dell’equatore, a circa mille chilometri dalle coste orientali dell’Ecuador, cui appartengono territorialmente. Scoperte in modo casuale nel 1535 da marinai spagnoli alla deriva, in virtù della loro posizione molto isolata furono utilizzate come riparo sicuro da parte di corsari e bucanieri. Fra il 1700 e il 1800 iniziarono i tentativi di colonizzazione, che hanno portato ai circa 30.000 abitanti attuali. Charles Darwin le rese famose grazie alla sua opera “The Origin of the Species”, per la quale trasse ampio spunto dagli accurati studi e dalla documentazione da lui effettuati nel periodo in cui visitò l’arcipelago, durante il viaggio a bordo del brigantino Beagle. Le Galápagos sono isole di origine vulcanica che sono emerse nel mezzo dell’Oceano Pacifico. La loro formazione è dovuta a un particolare tipo di attività vulcanica, chiama-

The Galápagos Islands The Galápagos form an archipelago of 13 volcanic islands straddling the equator, around 1,000 kilometres from the east

Iguana terrestre, Isola S. Cruz Galápagos land iguana, Santa Cruz Island


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to tecnicamente “hot spot”, che si manifesta generalmente in modo isolato nelle aree oceaniche ed è dovuta a un’anomala risalita del mantello terrestre verso la superficie. Molti arcipelaghi nel mezzo dell’oceano sono riconducibili a questo tipo di attività vulcanica: isole Hawaii, Bermuda, Canarie per citarne alcuni. La teoria dell’hot spot ipotizza l’esistenza di una risalita relativamente stazionaria del mantello terrestre profondo che costituisce una fonte di calore intenso e tale da deformare la crosta oceanica subito sovrastante. La parte superiore del mantello in risalita viene parzialmente fusa formando del magma che, arrivando in superficie, causa fenomeni di vulcanismo. L’hot spot è vincolato al mantello profondo mentre le isole vulcaniche così generate tendono a seguire il movimento della placca tettonica oceanica su cui si trovano. Questo è il motivo per il quale, in genere, si formano arcipelaghi allungati lungo la direzione di movimento della placca, come per esempio nel caso delle isole Hawaii. I vulcani delle Isole Galápagos sono formati in gran parte da sottili colate di lava, con rari livelli piroclastici costituiti principalmente da ceneri. Per le caratteristiche geochimiche e petrografiche del magma in risalita, il tipo di emissione vulcanica è generalmente caratterizzato da effusioni di lave a bassa viscosità. Il risultato è una morfologia dei coni vulcanici caratterizzata da pendii dolci che partono da bocche sommitali dalle pareti molto ripide e che favorisce lo scorrimento rapido della lava per lunghe distanze, con la possibile formazione di tubi lavici che rappresentano vere e proprie gallerie sotterranee. I flussi iniziano il loro corso da bocche che si aprono lungo i fianchi laterali, piuttosto che dalla stessa sommità, talvolta concentrate in aree con più bocche attive. Grazie a questo tipo di attività vulcanica, i pendii sono spesso soggetti alla formazione di piccoli collassi, caratterizzati da pareti ripide, che possono permettere di accedere a camere magmatiche e a lunghi tubi di scorrimento: i due ambienti sotterranei oggetto di queste ricerche. Inside Galápagos Volcanoes I principali obiettivi del progetto si concentrano sui vulcani Wolf ed Ecuador, nella parte nord-occidentale dell’Isola Isabela, dove si hanno i più significativi allineamenti di collassi associati alla presenza dei tubi, così come la presenza di gigantesche depressioni, probabili ingressi di vecchie camere magmatiche. Il Vulcano Wolf, che raggiunge l’altezza di 1707 m, rappresenta la vetta più alta delle isole Galápagos. È un vulcano a scudo dalla caratteristica forma di una coppa rovesciata, il cui cratere sommitale misura una larghezza di circa 10 km e una profondità di 700 m e presenta pendii molto ripidi che raggiungono in alcuni punti i 35 gradi di pendenza, tanto da renderne difficile l’accesso. La prima eruzione storica di questo vulcano è avvenuta nel 1797; altre dieci sono state registrate da allora, la più recente nel maggio 2015. Il Vulcano Ecuador, con un’altezza di 790 m, forma una penisola che si estende a ovest del Vulcano Wolf: dalla scoperta dell’arcipelago non si è verificata alcuna eruzione. Il vulcano contiene un unico cono formato da scorie di recente origine e alcuni gruppi di collassi calderici allineati lungo una zona di depressioni sul lato nord-est. Questi collassi sono unici nelle Galápagos e assomigliano ad alcuni giganteschi già esplorati alle Isole Hawaii. Grazie alle analisi delle immagini satellitari sono stati localizzati una serie di enormi collassi, probabilmente collegati

coast of Ecuador, to which they belong territorially. Discovered by chance in 1535 by Spanish sailors adrift off the coast, by virtue of their very isolated position they were used as a safe harbour by corsairs and buccaneers. Between 1700 and 1800, attempts at colonisation began in earnest, which led to the almost 30,000 current inhabitants. Charles Darwin made them famous in his work On the Origin of Species, for which he drew great inspiration from the studies he had conducted while visiting the archipelago on board the brig HMS Beagle. The Galápagos are islands of volcanic origin that originated in the middle of the Pacific Ocean. Their formation was due to a particular type of volcanic activity known as a “hot spot”, which is generally manifested in an isolated fashion in oceanic areas and is due to an anomalous rising of the Earth’s mantle towards the surface. Many archipelagos in the middle of the ocean can trace their origins back to this type of volcanic activity, including the Hawaiian islands, Bermuda and the Canary islands. The hot spot theory proposes the existence of a relatively stationary upsurge of the deep mantle, which constitutes a source of heat so intense as to deform the oceanic crust lying immediately above it. As it rises, the upper part of the mantle partially melts, forming magma that, on reaching the surface, causes phenomena of volcanism. The hot spot is attached to the deep mantle, whereas the volcanic islands thus generated tend to follow the movement of the oceanic tectonic plate on which they find themselves. This is the reason why, in general, stretched-out archipelagos form along the direction of movement of the plate, as seen for example in Hawaii. The volcanoes of the Galápagos islands are formed in large part by thin lava outflows, with rare pyroclastic levels constituted principally by ash. In terms of the geochemical and petrographic features of the rising magma, the type of volcanic emission is generally characterised by effusions of low-viscosity lava. The result is a morphology of the volcanic cones marked out by smooth slopes that begin at summit vents with steep walls and that facilitate rapid lava flow over long distances, with the possible formation of lava tubes that are veritable underground tunnels. The flows begin their course from vents that open along the lateral flanks, rather than from the summit itself, and are occasionally concentrated in areas with multiple active vents. Thanks to this type of volcanic activity, the slopes are often subject to the formation of small collapses, with sheer sides, which may afford access to magma chambers and long lava tubes – the two underground spaces on which the research focuses.

Inquadramento geografico delle Isole Galápagos Geographical context of the Galápagos Islands


a sistemi rilevanti di tubi lavici, lungo il fianco del Vulcano Wolf. Inoltre, una serie di collassi caratterizzati da pareti strapiombanti è stata individuata sui fianchi del Vulcano Ecuador: questi hanno dimensioni rilevanti, ampi da decine a diverse centinaia di metri. Uno studio preliminare, ottenuto mediante le tecniche di misurazione delle ombre, ha indotto a valutare per tali collassi profondità di oltre 100 m. Il viaggio di ricognizione (giugno 2016) Oggigiorno per raggiungere rapidamente le Galápagos bisogna necessariamente prendere l’aereo e far tappa a Quito, capitale dell’Ecuador, oppure a Guayaquil, grossa città sulla costa del Pacifico. Dalla terra ferma vi sono numerosi voli giornalieri per l’isola di Baltra, dove si trova l’unico aeroporto dell’arcipelago (un altro più piccolo è sull’isola Isabela, ma è destinato ai voli interni di collegamento con Baltra mediante piccoli aeromobili). Le isole, oltre che da un turismo d’élite, sono oggetto di numerosi progetti scientifici. Chiunque abbia in mente di fare ricerche in questi territori deve sottostare a tutta una serie di regole ferree e procedure minuziose per ottenere i visti necessari ma, a differenza di quanto già studiato per gli esseri viventi, ben poco invece si sa riguardo ai vulcani e alle cavità naturali dell’arcipelago. La ricognizione è stata realizzata in compagnia di Theo e Aaron. Approfittando della nostra presenza a Puerto Ayora (Isla Santa Cruz), si è svolto l’incontro con la dirigenza del Parco Nazionale delle Galápagos (PNG), dove è stato illustrato il progetto e presentata la richiesta di autorizzazione all’esplorazione e alla ricerca scientifica.

Ingresso Parco Nazionale delle Galápagos, Puerto Ayora, Isola di S. Cruz Entrance to the Galápagos National Park, Puerto Ayora, Santa Cruz Island

Concluso questo passaggio fondamentale si è passati allo studio di fattibilità organizzativa e logistica della spedizione, tenuto conto delle notevoli difficoltà ambientali. A prima vista il territorio si presenta molto tormentato in superficie con presenza di morfologie tipiche di attività vulcanica giovane e continua. Sicuramente la progressione su questi terreni sarà problematica. Anche la completa assenza di acqua in superficie limiterà molto l’autonomia di spostamento e permanenza delle squadre esplorative. Essendo impossibile raggiungere il nord dell’isola Isabela via terra partendo dalla cittadina di Puerto Villamil, si dovrà affrontare il viaggio per mare da Puerto Ayora, sull’isola Santa Cruz. E’ questa una grossa incognita, poiché non vi sarà certezza di avere le condizioni meteorologiche ottimali nei giorni operativi. Un altro fattore non trascurabile dell’andar per mare sarà la ricerca di un approdo sicuro. La costa nord-est dell’isola

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Una serie di collassi allineati, Vulcano Wolf, Isola Isabela An alignment of collapses, Wolf Volcano, Isabela Island

Inside Galápagos Volcanoes The main objectives of the project concern the Wolf and Ecuador volcanoes, in the north-western part of Isabela Island, where there are the most significant alignments of collapses associated with the presence of tubes and giant depressions – probable entrances to old magma chambers. The Wolf volcano, which reaches a height of 1707 m, is the highest peak in the Galápagos. It is a shield volcano with the characteristic shape of an upturned cup, the summit crater of which has a width of around 10 km and a depth of 700 m, with very steep slopes that at certain points reach an incline of 35 degrees, making access challenging. The first documented eruption of this volcano took place in 1797; since then, another ten have been recorded, the most recent in May 2015. The Ecuador volcano, at an altitude of 790 m, forms a peninsula that extends to the west of the Wolf volcano: since the discovery of the archipelago there have been no eruptions. The volcano contains a single cone formed by scoria of recent origin, as well as a number of groups of caldera collapses aligned along a depression zone on the north-eastern side. These collapses are unique in the Galápagos and are reminiscent of a number of giant collapses already explored in Hawaii. An analysis of the satellite images has enabled the locating of a series of enormous collapses, probably linked to major systems of lava tubes, along the side of the Wolf volcano. In addition, a series of collapses characterised by sheer walls has been identified on the sides of the Ecuador volcano; these walls are substantial, ranging from tens to hundreds of metres in width. A preliminary study, conducted using shadow measuring techniques, has led to the collapses being estimated at more than 100 m deep. The reconnaissance trip (June 2016) These days, to reach the Galápagos quickly, you have to take the plane to Quito, the capital of Ecuador, or to Guayaquil, a large city on the Pacific coast. From terra firma there are numerous daily flights to Baltra Island, the location of the archipelago’s only airport (a smaller airport is to be found on Isabella Island, but it is used for internal connecting flights with small aircraft). Alongside upscale tourism, the islands also play host to numerous scientific projects. Anyone planning to conduct research here must comply with a series of strict rules and meticulous


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Golfo di Puerto Villamil, Isola Isabela Gulf of Puerto Villamil, Isabela Island

Isabela non ha punti di attracco comodi: questo comporterà l’utilizzo di una grossa imbarcazione che abbia come dotazione di bordo almeno un natante con pescaggio ridotto, per sbarcare in sicurezza uomini e materiali. Per quanto riguarda la permanenza, sulla base delle immagini satellitari è stata individuata una zona dove la morfologia della costa può consentire di organizzare un campo base funzionale, per altro in vicinanza di alcuni tubi lavici facilmente raggiungibili. Saranno previsti dei campi avanzati per raggiungere le bocche in quota sul Wolf, ma tale possibilità è strettamente legata alla disponibilità di acqua dolce, che come detto è completamente assente, almeno in superficie. Per ovviare a ciò, si pensa di utilizzare dissalatori portatili per il campo base vicino alla costa e un innovativo metodo di estrazione dell’acqua dall’atmosfera per mezzo di speciali deumidificatori. Naturalmente la soluzione ideale sarebbe l’utilizzo di un elicottero per il trasporto rapido dell’attrezzatura e degli uomini: ciò dipenderà dall’appoggio dell’esercito ecuadoregno. L’area interessata dalla spedizione è stata studiata anche grazie a un sorvolo che ha permesso, nonostante condizioni meteo non ottimali, di acquisire delle foto aeree utili per la pianificazione. Durante i giorni della nostra permanenza nell’arcipelago sono state compiute numerose prospezioni in superficie e in sotterraneo, in aree limitrofe ai centri abitati Puerto Ayora nell’isola di Santa Cruz e Puerto Villamil nell’isola Isabela, laddove non erano necessari particolari permessi di accesso. In superficie sono stati visitati la Grande Grieta, una profonda frattura vulcanica invasa dall’acqua marina, ubicata in prossimità della Baia de los Alemanes, a pochi minuti da Puerto Ayora, nonché i vulcani Sierra Negra e Chico, a

Vulcano Chico, Sierra Negra, Isola Isabela Chico Volcano, Sierra Negra, Isabela Island

procedures to obtain the necessary visas but, in contrast to the studies carried out on living beings, very little research has concerned the volcanoes and natural caves of the archipelago. The reconnaissance was carried out in the company of Theo and Aaron. Taking advantage of our presence in Puerto Ayora (Santa Cruz Island), a meeting was held with the management of the Galápagos National Park (PNG), where the project was illustrated and a request was submitted for authorisation to explore the area and conduct scientific research. Having completed this crucial stage, we moved on to a study of the organisational and logistical feasibility of the expedition, taking account of the substantial environmental difficulties. At first sight, the territory appears very rough on the surface, with the presence of morphologies that are typical of young, constant volcanic activity. Undoubtedly, progress across this territory would be problematic. The complete absence of surface water would limit the freedom of movement of the exploratory teams, and the time they could spend there. Since it is impossible to reach the north of Isabela Island over land from the town of Puerto Villamil, the approach would have to be made by sea from Puerto Ayora, on Santa Cruz island. This is quite a step into the unknown, since there was no guarantee we would have suitable weather conditions on the scheduled days. Another important factor about going by sea is the hunt for a safe harbour. The north-eastern coast of Isabela Island has no convenient berthing places; as such, it would be necessary to use a large vessel that had on board at the very least a boat with a reduced draught, to allow for persons and materials to disembark safely. In relation to the length of the stay, an area was identified – using satellite images – where the morphology of the coast would allow for the erection of a functional base camp, close to a number of easy-to-reach lava tubes. Advance camps were planned to reach the mouths on the Wolf, but this possibility was dependent on the availability of fresh water, which as stated above is completely absent, at least on the surface. To overcome this difficulty, the plan was to use portable desalination units for the base camp close to the coast, and an innovative method of extracting water from the atmosphere using special dehumidifiers. Naturally, the ideal solution would be to use the helicopter for the rapid transit of the equipment and the team, but for this we were reliant on the support of the Ecuadorian army. The area covered by the expedition was studied thanks also to a fly over, which – despite far from ideal weather conditions – made it possible to acquire aerial photos for use at the planning stage. During our time in the archipelago, several surveys were carried out on the surface and underground, in areas around the settlements of Puerto Ayora on Santa Cruz Island and Puerto Villamil on Isabela Island, where specific access permits were not required. At surface level, visits were paid to the Grande Grieta, a deep volcanic fracture near Baia de los Alemanes, a few minutes from Puerto Ayora, and the Sierra Negra and Chico volcanoes, around half an hour from Puerto Villamil. A 16 km excursion was made on foot to these volcanoes, allowing us to look into the great crater of the Sierra Negra (9 km in diameter), before reaching the zone of the Volcan Chico. One part of the time was given over to verifying certain information provided to us by the locals, including details of a lava tube near the Hotel Royal Palm, around 30 minutes from Puerto Ayora, on the road leading to Baltra airport. This 300 m-long channel features large chambers and various collapses of the ceiling along its length, as well as openings that enable access from various points.


circa mezz’ora da Puerto Villamil. Su questi ultimi è stata fatta un’escursione a piedi di circa 16 km, che consente di affacciarsi sul grande cratere del Sierra Negra (9 km di diametro), giungendo poi nella zona del Volcan Chico. Una parte del tempo è stata dedicata a verificare alcune segnalazioni pervenuteci dai locali, tra le quali un tubo lavico nei pressi dell’Hotel Royal Palm, a circa 30 minuti da Puerto Ayora, sulla strada per l’aeroporto di Baltra. Si tratta di un condotto di circa 300 m di lunghezza, caratterizzato da ampi ambienti e diversi collassi della volta lungo il suo sviluppo, aperture che consentono quindi l’accesso da più punti. Nelle vicinanze è conosciuta la Cueva Principal (o Cueva Royal Palm), un grosso sistema lavico a più livelli che si apre all’interno della proprietà dell’Hotel Royal Palm. La grotta è stata attrezzata a uso turistico con scale, passerelle e un rudimentale impianto di illuminazione. Anche qui abbiamo effettuato una ricognizione, se non altro per poter esaminare le diverse morfologie tra le cavità. Molto interessante dal punto di vista morfologico e scientifico è stata la discesa nel Triple Volcan, un vulcano inattivo formato da tre grandi collassi ubicato sull’isola Isabela a circa 40 minuti da Puerto Villamil. Si può scendere al suo interno attraverso una delle tre depressioni di crollo presenti, utilizzando per il primo tratto di una sessantina di metri un sistema di scalette installate dai locali, con funi e gradini alle pareti in precario stato di sicurezza. L’ultimo tratto, che conduce alla camera magmatica, è una verticale attrezzata con scaletta di ferro.

Nuovo tubo di lava presso Hotel Royal Palm, Puerto Ayora, Isola S. Cruz New lava tube at Royal Palm Hotel, Puerto Ayora, S. Cruz Island

In the vicinity, there is the well-known Cueva Principal (or Cueva Royal Palm), a large lava system on multiple levels that opens up within the Hotel Royal Palm itself. The cave has been fitted out for use by tourists, with stairs, walkways and a rudimentary lighting system. Here, too, we carried out a reconnaissance, for no other reason than to examine the different morphologies between the caves. The descent into the Triple Volcan proved fascinating both morphologically and scientifically. This inactive volcano was formed by three large collapses and is located on Isabela Island, around 40 minutes from Puerto Villamil. You can descent into it through one of the three dolines, using for the first tract (of 60 metres) a system of staircases installed by the locals, with ropes and rather unsafe steps on the walls. The final tract, which leads to the magma chamber, is a vertical descent with an iron stepladder. The cave is not very extensive but does feature an imposing magma chamber and two opposite branches: the first ends in a 20 m shaft, while the second comes to an end with a small space featuring interesting crystalline concretions on the floor. Update As thing stand, we are still awaiting permits from the park. A second survey of the Galápagos is in the offing, with a view to requesting in person the signing of the paperwork authorising scientific research, and to planning out in more detail the logistics and transport (especially by sea). In the run up to this trip, we shall attempt to carry out a brief reconnaissance by sea using fast motor boats, in order to weigh up the possibility of landing on the north-east coast of Isabela Island.

Vulcano Triplo, Isola Isabela Triple Volcano, Isabela Island

La grotta non è molto sviluppata ma presenta un’imponente camera magmatica e due diramazioni opposte: la prima termina con un pozzo di 20 m, mentre la seconda si conclude con un piccolo ambiente caratterizzato da interessanti concrezioni cristalline sul pavimento. Aggiornamento Allo stato attuale siamo ancora in attesa dei permessi da parte del parco. Prossimamente è al vaglio un secondo sopralluogo alle Galápagos per sollecitare di persona la firma del permesso di ricerca scientifica e approfondire meglio la parte relativa alla logistica e agli spostamenti, soprattutto via mare. In previsione di questo nuovo viaggio si tenterà anche di effettuare una veloce ricognizione via mare con lance veloci, atta a verificare la possibilità di approdi nella costa nord-est dell’isola Isabela.

Vulcano Triplo, Isola Isabela Triple Volcano, Isabela Island

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PATAGONIA 2016/2017

Rilievo con laser scanner di una parete di ghiaccio Laser scanner surveying of an ice wall


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Storia di un’esplorazione impossibile, cambiamenti climatici e burocrazia! Story of an impossible exploration, climate change and red tape! Alessio Romeo Fare speleologia dall’altra parte del globo non è proprio comodo dal punto di vista organizzativo: scegliere i luoghi più idonei a livello esplorativo, il periodo dell’anno giusto, la logistica più efficace e leggera... non sono operazioni banali. Se poi in mezzo ci mettiamo anche la burocrazia locale, allora sì che ci sono buone probabilità che qualche cosa non vada nel verso giusto. Dopo diversi anni dedicati ad altri progetti, tra il 2016 e il 2017, la nostra Associazione ha ripreso la sua attività esplorativa in Patagonia: ma vi posso assicurare, da organizzatore, che non è stato facile ottenere dei risultati positivi sui ghiacciai scelti come meta. Insieme all’associazione francese Spélé’ice, che si è occupata fino ad ora di esplorazione glacio-speleologica e studi microbiologici sulla calotta groenlandese, avevamo programmato per il mese di aprile 2016 due spedizioni scientifiche in Argentina: una sul famoso ghiacciaio Perito Moreno e un’altra più leggera dedicata prevalentemente all’esplorazione del poco conosciuto ghiacciaio Ameghino, dove l’associazione La Venta aveva condotto solo una rapida ricognizione nel 2010. A due settimane dalla partenza l’Amministrazione dei Parchi Nazionali Argentini (APN) ci nega le autorizzazioni per il campionamento biologico previsto sul ghiacciaio, e di conseguenza anche l’accesso al Moreno e al vicino Ameghino. Un problema non da poco, reso ancor più grande dallo scarso margine di tempo a disposizione per cambiare meta e obiettivi delle spedizioni. Gli scienziati e gli speleologi francesi, che dovevano partecipare alla prima spedizione, decidono di “congelare” i loro biglietti aerei, ma il resto dei partecipanti, di entrambi i gruppi, intende partire. Bisogna quindi inventarsi mete alternative ma ugualmente valide. La scelta dei ghiacciai si restringe velocemente su due gigantesche lingue già note a La Venta, ovviamente non in

Serge Aviotte e il resto del suo team verso il Rifugio Buscaini Serge Aviotte and the rest of his team heading towards the Buscaini shelter

Doing speleology on the other side of the planet is no easy task in organisational terms: choosing the most suitable places to explore, the right time of year, the most effective, streamlined logistics – these are not operations that can be completed without a great deal of forward planning. If we then throw in the local red tape, well it’s more than likely that something will end up going wrong. After various years dedicated to other projects, in 2016 and 2017 our association returned to its exploratory operations in Patagonia: but I can assure you, as the organiser, that it was quite a challenge to achieve positive results on the glaciers selected as our destination. Together with the French association Spélé’ice, which has dealt thus far with glacio-speleological exploration and microbiological studies on the Greenland ice sheet, we had planned for April 2016 two scientific expeditions in Argentina: one to the famous Perito Moreno glacier and another, lighter expedition concerned for the most part with the exploration of the (until recently, little-known) Ameghino glacier, where the La Venta association had conducted only a rapid reconnaissance mission back in 2010. Two weeks prior to departure, the management of the Argentine National Parks (APN) refused to give us authorisation for our planned biological sampling on the glacier, and as a result we were also barred from accessing the Moreno and the nearby Ameghino glaciers. This was a major blow, exacerbated by the minimal time available to change the destination and objectives of the expeditions. The French speleologists and scientists, who were due to participate in the first expedition, decided to put their plane tickets “on ice”, but the remainder of the participants, in both groups, still intended to go. We thus had to come up with alternative but equally valid destinations. The choice of the glaciers rapidly focused on two giant tongues already well known to La Venta, but clearly not located in Argentina: Tyndall, explored in 2000, and Grey, investigated four years later, both located within the Torres del Paine National Park, in Chilean Patagonia. In both glaciers, areas had been found with very interesting glacier mills, fed by powerful rivers, so there are all of the elements to justify a return there. We depart, then, with the objective of verifying their presence and exploring some of these swallow holes, after 16 and 12 years, respectively. The time available to the two groups is, unfortunately, very limited, since the Chilean sites are located a day’s bus ride from the original trip destination, in Argentina (the tickets had already been purchased); moreover, they are logistically more complex and actually getting close to them involves covering yet further distances.


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territorio argentino; si tratta del Tyndall, esplorato nel 2000, e del Grey, visto quattro anni più tardi, entrambi situati all’interno del Parco Nazionale delle Torri del Paine, nella Patagonia cilena. In entrambi i ghiacciai erano state trovate aree con mulini glaciali molto interessanti e alimentati da fiumi imponenti, quindi ci sono tutti gli elementi per tornarci. Partiamo quindi con lo scopo di verificarne la presenza e affacciarsi in qualcuno di questi inghiottitoi, rispettivamente dopo 16 e 12 anni. Il tempo a disposizione dei due diversi gruppi è, purtroppo, molto limitato dato che le località cilene sono distanti un giorno di pullman dalla meta originaria del viaggio, in Argentina (ormai i biglietti erano stati acquistati); inoltre presentano una più complessa logistica e ben altre distanze da percorrere per l’avvicinamento. Ci prepariamo dunque per fare una rapida prospezione, concentrandoci soprattutto sulla realizzazione di una mappatura dei principali fiumi glaciali e dei corrispettivi inghiottitoi e, con un po’ di fortuna, sull’esplorazione di alcuni di questi mulini realizzandone il rilievo topografico.

Una lunga depressione nel ghiacciaio Grey A long depression on Grey glacier

Grey… gli ultimi mulini! Non è la prima volta che avvicinandomi a un ghiacciaio mi accorgo che manca qualche cosa … intendo massa, spessore; insomma che è diverso dall’ultima volta che l’avevo visitato! Frequento il ghiacciaio svizzero del Gorner dal 1998 e da allora ci sono stato più di 20 volte. Nell’ultimo decennio ogni volta che mi sono affacciato alla fine del sentiero, quello che dalla piccola stazione di Rotenboden ti porta al ghiaccio, ho scoperto che il dislivello da percorrere era sempre maggiore. Ancora alla fine degli anni novanta scendevi pochissimo di quota, con un balzo saltavi sopra il ghiaccio e via in discesa, con ramponi o sci, verso la zona pianeggiante centrale, dove il Gorner s’incontra con il Grenz, per proseguire poi verso valle fino alla fronte, che nel 2000 terminava poco prima di una stretta gola nella roccia. Adesso devi scendere decine di metri di dislivello su roccia viva levigata dal detrito trascinato dal ghiaccio, trovi delle lunghe e ripide scale in metallo per superare pareti verticali e ancora giù fino allo scollamento finale fra ghiaccio e roccia, dove soltanto un ponte di alluminio ti permette l’accesso … e se prosegui verso valle, ti accorgi che ora la sua fronte dista molte centinaia di metri da quella stretta gola! Niente di nuovo, ormai lo sanno tutti: si tratta della conseguenza del riscaldamento globale e del più naturale periodo interglaciale in cui viviamo; sì, certo, ne sono cosciente, ma fa comunque impressione! Anche in Patagonia capita di vivere le stesse sensazioni e

So, we prepare for a rapid survey, concentrating above all on mapping the main glacier rivers and associated swallow holes and, with a bit of luck, checking out some of the mills, with a view to compiling a topographic relief. Grey… the ultimate mills! It is not the first time that, on approaching a glacier, I realise that something’s missing…I’m mean in terms of weight, thickness – in other words, that something’s different from the last time I visited it! I began visiting the Gorner glacier in Switzerland in 1998, and since then I’ve been back more than 20 times. Over the past decade, every time that I’ve come to the end of the path – the one that leads from the little station at Rotenboden to the glacier, I’ve discovered that the height differential is continually increasing. Even back in the ’90s you only descended ever so slightly, and with a leap you could jump onto the ice and then head downwards, with crampons or skis, towards the flat, central zone, where Gorner meets the Grenz glacier, to continue on then downwards towards the front, which in 2000 came to an end just before a narrow cleft in the rock. Now you have to descend for dozens of metres of height difference on live rock smoothed by the detritus dragged along by the glacier, and you find long, steep metal stairs that allow you to overcome vertical walls, and on you go further down until you reach the final detachment of rock from ice, where only an aluminium bridge affords access...and if you go further down, you realise that now its front is many hundreds of metres from that narrow cleft! Nothing new there, everyone knows this now: it’s the result of global warming and the more natural interglacial period that we are living through; yes, of course I’m conscious of it, but it is still pretty striking! Even in Patagonia, you get the same feeling, and it’s not just me! We hadn’t been back to Grey since 2004; on arriving at the rock balcony on the right hydrographic side, from which

La movimentata superficie del ghiacciaio Grey The rough surface of Grey glacier


non solo a me! Era dal 2004 che non tornavamo sul Grey; arrivati sulla balconata di roccia sul lato idrografico destro, da cui ricordavamo un accesso facile al ghiaccio, troviamo un baratro vertiginoso e apparentemente insuperabile. Mancano, in effetti, qualcosa come 80 m di spessore di ghiaccio che se ne sono andati in 12 anni e anche la fronte, che si ammira dal sentiero di avvicinamento, è decisamente arretrata: a detta dei guardia-parco, negli ultimi anni la retrocessione è accelerata con picchi di 100 metri l’anno!

Panoramica del ghiacciaio Grey Panorama of Grey glacier

Nell’aprile del 2004 sul Grey avevamo individuato e mappato le cavità in una zona prossima alla fronte e, nonostante le avverse condizioni climatiche, avevamo sceso qualche pozzo e fatto un quadro dettagliato del reticolo fluviale superficiale della zona. Questo è l’obiettivo che ci poniamo anche nel 2016 e su quella stessa area ci concentriamo con buoni risultati, riuscendo a scendere quasi 100 m all’interno del ghiacciaio e mappando i principali corsi d’acqua. I mulini glaciali, anche a distanza di tanti anni, tendono a svilupparsi all’incirca sempre nello stesso posto, sebbene non sia una regola che vale al centimetro e neanche nell’ordine delle decine di metri. L’esperienza di decenni di osservazioni e raccolta dati ci ha però dimostrato che l’area con le condizioni ideali per sviluppare fenomeni crio-carsici è sempre quella e probabilmente ha un legame con la morfologia della superficie di base su cui scorre il ghiacciaio. Quello di cui siamo certi è che, vista la rapida retrocessione della fronte, presto questa zona sparirà per sempre … ma questa è la naturale evoluzione delle cose, anche se con tempi più rapidi nel mondo glaciale e ancor più in questo periodo storico.

we could recall there was easy access to the ice, we find a vertiginous and apparently insurmountable abyss. Something like 80 metres of ice have disappeared in 12 years, and even the front, which can be admired from the path leading to it, is a lot further back than before: according to the park guard, over recent years the retreat has accelerated, with peaks of 100 metres per year! In April 2004 on the Grey glacier we had identified and mapped the caves in an area close to the front and, despite the adverse climatic conditions, we had descended into a few shafts and drafted a detailed map of the surface fluvial network of the area. This is the objective that we set ourselves again in 2016 and we concentrate on that same area with good results, managing to descend almost 100 m within the glacier and mapping the main watercourses. The glacier mills, even after so many years, tend always to develop around the same place, although it’s not a rule that is accurate to the centimetre or even to tens of metres. The experience of decades of observations and data collection has, however, shown us that the area with the ideal conditions for developing cryokarst phenomena is still that same area, and this is probably due to the morphology of the underlying surface on which the glacier flows. What we are sure of is that, given the rapid retreat of the front, this area will soon disappear forever…but this is the natural evolution of things, albeit on shorter timescales in the glacier world and even more so in this period of history. Campo notturno presso il ghiacciaio Grey Night camp at Grey glacier

Uscita notturna sul ghiacciaio Grey Night-time excursion on Grey glacier

Ingresso su ghiacciaio Grey Entrance to Grey glacier

Tyndall … il gigante inviolabile! Il secondo obiettivo della spedizione era il ghiacciaio Tyndall, anch’esso situato nel Parco delle Torri del Paine, a pochi chilometri dal Grey, in un’area ormai proibita al turi-

Tyndall…the inviolable giant! The second objective of the expedition was the Tyndall glacier, which is also situated in the Torres del Paine Park, just a few kilometres from the Grey, in an area that is now off-limits to tourists and can only be visited with permission from the Chilean National Parks Authority. As a consequence of the recent fires that destroyed enormous stretches of woodland, and of the

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smo e raggiungibile solo con autorizzazione dell’Ente Parco Nazionale Cileno. In conseguenza ai recenti incendi che hanno distrutto enormi estensioni di bosco e alla riduzione delle finanze destinate ai Parchi Naturali, le restrizioni si sono drasticamente accentuate penalizzando gli accessi e le possibilità di accampamento nella maggior parte dell’area. Fin dal primo giorno capiamo che la spedizione sarà molto più complessa rispetto a quella di 16 anni fa, per un motivo preciso: la mancanza di cavalli. Siamo stati costretti ad un lungo e faticoso avvicinamento fatto di staffette con pesanti zaini carichi di cibo e materiale tecnico. Una sola giornata di marcia del febbraio del 2000, con cavalli adibiti al trasporto della logistica e della maggior parte dei carichi, contro i 3 giorni che ci impegnano ora. Questo ha fatto la differenza dal punto di vista dei risultati esplorativi, riducendo drasticamente il tempo da dedicare all’esplorazione: in pratica riusciamo a fare solo una veloce ricognizione nell’area, dove si aprono i mulini maggiori che, come nel caso del Grey, non hanno variato, se non di poco, la loro posizione nel tempo. Anche su questo ghiacciaio comunque sono scomparsi, almeno nell’area investigata, 80-90 m di spessore di ghiaccio! Beppe e Gaetano si ricordano bene del Tyndall 16 anni prima: “Ne manca un bel pezzo, questo lago non c’era…” dicono a turno i due. Anche loro, come me, non possono fare a meno di sorprendersi di questi cambiamenti cui, a ben pensarci, non siamo abituati: intorno a noi cambiano continuamente le stagioni, i colori, il volume della copertura vegetale, ma bene o male il territorio e le morfologie su grande scala restano identiche per anni e in alcuni casi anche per tutta la nostra vita. Con i ghiacciai non è così. Nei pochi giorni a disposizione decidiamo di organizzare un campo avanzato in mezzo al ghiacciaio, non lontano dai mulini, per permettere ad alcuni di noi di poter essere operativi fin dalle prime ore di luce e riuscire ad esplorarne qualcuno, tenendo conto che alla fine dei conti avremo un solo giorno da dedicare a questo.

Una incisione a meandri sul ghiacciaio Tyndall A meandering incision on Tyndall glacier

reduction in funding for the National Parks, the restrictions have been drastically increased, penalising access and minimising the possibility of camping in most of the area. From the very first day, we realise that the expedition will be much more complex than that of 16 years ago, for a specific reason: the lack of horses. We have been forced into a long, laborious approach using relays with heavy rucksacks full of food and technical equipment. A single day’s progress in February 2000, with horses equipped to transport our logistic equipment and most of the loads, will now take three days to complete. This made the difference from the point of view of the exploratory results, drastically reducing the time given over to exploration per se: in practice, all we can manage is a quick reconnaissance of the area, where the largest mills open up – as in the case of Grey, the position of the mills has not changed to any great extent over time. But even on this glacier, at least in the area investigated, 80-90 metres of the previous ice thickness has disappeared! Beppe and Gaetano remember well the Tyndall expedition of 16 years before: “There’s quite a bit missing, this lake wasn’t there,” they say one after the other. Like me, they, too, cannot fail to be surprised by these changes, which – if we really think about it – we are not used to: around us, the seasons, the colours, the volume of vegetal coverage change constantly, but for better or worse, on the larger scale the terrain and the morphology remain unchanged for years, and in certain cases, for our entire lives. This does not apply to glaciers. In the few days we have available, we decide to set up a forward base in the middle of the glacier, not far from the mills, to allow some of us to be operational from the earliest hours of daylight and to explore some of them, taking account of the fact that we will only have one day in which to do so. As was the case in 2000, we find numerous rivers to follow, with at their end a chasm, a giant swallow hole as terrifying as it is exciting, but luckily dry, because the cold has put a stop to the melting process. In short, the conditions are perfect, but here’s what we weren’t expecting: a forecast of bad weather! I set off from base camp to reach the others on the glacier with a young park


Come nel 2000 troviamo moltissimi fiumi da seguire e al loro termine un baratro, un pozzo gigante tanto pauroso quanto eccitante, ma per fortuna asciutto poiché il freddo ha totalmente interrotto la fusione. Insomma le condizioni sono perfette, ma ecco l’imprevisto: ci sono avvisaglie di mal tempo all’orizzonte! Parto dal campo base per raggiungere gli altri sul ghiacciaio con un giovane guardia-parco e lungo il cammino incontro diversi ingressi che posiziono con GPS: ma appena raggiunti gli altri, intenti a scendere un bellissimo inghiottitoio, mi accorgo che al campo base sta nevicando e devo interrompere i loro giochi. Ci sono nove chilometri in linea d’aria che ci separano dal campo situato all’esterno del ghiacciaio e dobbiamo sbaraccare velocemente per evitare che la neve o la nebbia ci blocchino sul ghiaccio. Carichi come muli, il che non è una novità in questa spedizione, torniamo mestamente alla base. In definitiva nessuno è riuscito a toccare il fondo dei due mulini scesi: per motivi di sicurezza il primo e per mancanza di tempo il secondo. Anche noi, come i partecipanti della prima spedizione nel 2000, siamo costretti a tornare verso casa con un sogno nel cuore: entrare ed esplorare queste grotte. Nessuno può dire cosa ci aspetta in fondo a quei pozzi ma è un qualcosa che vogliamo assolutamente scoprire! Tyndall … non è finita! Nell’aprile 2017 siamo nuovamente sul ghiacciaio Tyndall e questa volta oltre ai permessi abbiamo anche i cavalli e almeno cinque giorni operativi sul ghiacciaio. Siamo in 12 e finalmente gli obiettivi sono ben chiari: installazione dei campi, posizionamento dei mulini e loro esplorazione. Abbiamo optato per i primi quindici giorni di aprile, lo stesso periodo della spedizione condotta sul Grey l’anno precedente. Sole di giorno e freddo la notte sono le condizioni che ci accolgono alla partenza, ottimo inizio! Ci avviciniamo ai mulini ed ecco la brutta sorpresa: il tempo si guasta, prima con pioggia poi con vento. Un gior-

Un laghetto ai margini del ghiacciaio Tyndall A small lake at the border of Tyndall glacier

guard, and along the route I come across various entrances that I locate with GPS. As soon as I reach the others, who are intent on descending into a beautiful sinkhole, I realise that it’s snowing at base camp and I have to spoil their fun. As the crow flies, we are nine kilometres from the camp, which is situated on the outside of the glacier, and we have to clear out quickly to avoid the snow or the fog forcing us to stay on the glacier. Loaded up like mules, not for the first time on this expedition, we head ruefully back to base. No one has succeeded in reaching the bottom of the two mills we have explored: for safety reasons in the first case, and for lack of time in the second. Like the participants on the first expedition in 2000, we are forced to turn back with a dream in our hearts: to enter and

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Discesa in un mulino attivo Descend into an active mill

no, due giorni... riusciamo a raggiungere i mulini ma non smette di piovere. La grande tenda Campo Base che serve per mangiare e rifugiarsi tutti insieme, oltre a dar da dormire a 5 di noi, inizia a cedere giorno dopo giorno a causa del forte vento. Passiamo le notti a rinforzare le zavorre degli ancoraggi a bordo ghiacciaio.

Il campo base battuto dal forte vento The base camp under a violent windstorm

Più che un campo sembra un tunnel del vento, come quelli usati nell’industria automobilistica. Nottate lunghe e tempestose finché arriva la fine del sogno: alle 4:00 del mattino l’ennesima raffica sconquassa tutto, usciamo e ci accaniamo contro la forza della Natura con corde e massi giganti ma di lì a breve perderemo … abbattiamo la tenda Campo Base, cui si rompono due pali, e alcuni di noi finiscono le ultime ore della notte sotto le “macerie” oppure ospiti nelle tende dei compagni. Il giorno seguente rappresenta l’ultima chance per realizzare il sogno infranto dell’anno precedente. Anche questa volta, però, il maltempo ce lo impedisce.

Un grande ingresso di un mulino A giant entrance of a mill

La Patagonia è certamente famosa per il vento e per il clima bizzarro e imprevedibile, ma questi solitamente si manifestano fra dicembre e febbraio, non in aprile. Chiediamo conferma di ciò ai locali, che esprimono il loro stupore non solo per questo evento ma anche per il generale cambia-

Trasporto del materiale con i cavalli Carrying equipment by horses

explore these caves. No one can say what awaits us at the bottom of those shafts but it is something that we very much want to discover! Tyndall…it’s not over yet! In April 2017, we are once again on the Tyndall glacier, and this time, along with our permission to be here we also have the horses and at least five proper days on the glacier. There are 12 of us, and finally the objectives are clear: setting up the camps, locating the mills and then exploring them. We have opted for the first 15 days in April, the same period of the expedition on Grey last year. Daytime sun and night-time cold are the conditions that welcome us on departure – a great start! As we approach the mills, a nasty surprise comes our way: the weather turns against us, first rain and them wind. One day, two days…we manage to reach the mills but it doesn’t stop raining. The large Base Camp tent that we use to eat together and that provides shelter for all of us, and sleeping quarters for five of us, takes a pummelling from the wind day after day. We spend the nights reinforcing the ballasts of the anchor points at the edge of the glacier. More than a camp, it looks like a wind tunnel, like those use in the car industry. Long, stormy nights crawl by until we fall asleep: at 4am, the umpteenth gust shakes everything violently; we go outside and try to withstand the force of Nature with ropes and giant boulders, but we soon have to surrender… we take down the Base Camp tent – two poles get broken in the process – and some of us spend the final hours of the night under the “ruins”, or as guests in companions’ tents. The next day is our last chance to realise the dream shattered the previous year. But this time, too, though, the bad weather gets the better of us. Patagonia is certainly famous for its winds and its bizarre, unpredictable climate, but these conditions usually only manifest themselves between December and February, not in April. We ask the locals to confirm this: they are astonished not only about this event but also about the general change in the seasons. Winter is no longer the same, with now very little in the way of snow and cold, while the summer is one long drought and even the winds over recent years have become unpredictable and intermittent. We will ask the same questions in Argentina on our return, and the answer will be the same. It seems that Tyndall does not want to allow itself to be explored. Scientific expedition on the Perito Moreno glacier In 2017, however, we manage – after exhausting bureaucratic vicissitudes – to get the permissions to take biological samples that had been refused the previous year, and the expedition on Perito Moreno finally starts to take shape. It’s worth mentioning at this point that the glaciers are no


mento delle stagioni. L’inverno non è più lo stesso, pochissima neve e freddo, in estate siccità e anche il vento da qualche anno si manifesta con eventi saltuari e imprevedibili. Faremo le stesse domande in Argentina al nostro ritorno e la risposta sarà la stessa. Sembra davvero che il Tyndall non voglia farsi esplorare. Spedizione scientifica sul Perito Moreno Nel 2017 riusciamo però, dopo estenuanti peripezie burocratiche, ad avere i permessi di campionamento biologico che ci rifiutarono l’anno precedente, e la spedizione sul Perito Moreno finalmente riesce a prendere forma. Va detto a questo punto che i ghiacciai non sono più oggetto di studio solo per glaciologi e fisici ma, ormai da alcuni decenni, anche per microbiologi ed ecologi. Nel 2010, durante una spedizione in Groenlandia con l’Associazione Spélè’ice, ho scoperto che la superficie del ghiaccio presenta piccoli ecosistemi che si sviluppano all’interno dei coni di fusione che prendono il nome di crioconiti. Microscopiche piante e micro-invertebrati vivono e si riproducono all’interno di questi micro mondi, immersi in acqua di fusione e polveri trasportate dal vento, e la loro struttura e biologia sono tutt’altro che scontate. Proprio per la capacità di vivere in condizioni estreme il loro studio può raccontarci molto e dare interessanti risultati dal punto di vista genetico e chimico, da utilizzare anche in ambito farmaceutico. Le crioconiti sono gli ambienti biologicamente più attivi dei ghiacciai e ci sono evidenze crescenti che la componente organica può avere un ruolo quantitativamente importante sulla velocità di fusione del ghiaccio. Possono inoltre avere un ruolo decisivo nei processi di fissazione dell’azoto e del carbonio, rifornendo quindi di nutrienti anche gli ecosistemi a valle. I batteri che vivono nelle crioconiti sono in grado di fissare il carbonio tramite fotosintesi, ma possono anche utilizzare la luce in modi diversi dalle piante, sia per produrre altri tipi di fotosintesi che per sostenere diversi tipi di metabolismo: ad esempio possono attivare o disattivare vie metaboliche in risposta alle condizioni ambientali. Si sta inoltre studiando il loro possibile ruolo come “biofiltri” e la capacità di catturare i contaminanti organici, recapitati dai venti e dalle precipitazioni sul ghiacciaio, promuovendone la degradazione biologica. In sintesi, un campo di studi totalmente nuovo e di grandi potenzialità di cui si occupa il microbiologo Alain Couté, professore emerito del Museo di Storia Naturale di Parigi, coordinando la parte scientifica del progetto accompagnato da un ecologo e un microbiologo dell’Università “Bicocca” di Milano.

Verso l’accampamento Buscaini Towards the Buscaini camp

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Nella tenda berbera rimontata al campo 2 In the Berber tent reassembled at camp 2

longer studied purely by glaciologists and physicists; for several decades, microbiologists and ecologists have also been taking a keen interest. In 2010, during an expedition to Greenland with the Spélè’ice association, I discovered that the surface of the glacier contains little ecosystems that develop within the cryoconites. Microscopic plants and micro-invertebrates live and reproduce in these micro worlds, immersed in melt water and powder transported by the wind, and their structure and biology are anything but predictable. Precisely because they are capable of living under such extreme conditions, studying them can tell us a great deal and give us interesting results in genetic and chemical terms, for use in the pharmaceutical field, amongst others. The cryoconites are the glaciers’ most biologically active environments, and there is increasing evidence that the organic component may have a quantitatively important role on the speed at which ice melts. They may also play a decisive part in the processes of nitrogen and carbon fixation, providing the ecosystems lower down with nutrients. The bacteria that live in the cryoconites are able to fix carbon through photosynthesis, but they can also use light in different ways from plants, both to produce other types of photosynthesis and to support various types of metabolism: for example, they can activate or deactivate metabolic pathways in response to environmental conditions. Also being studied is their possible role as “biofilters”, alongside their capacity to capture organic contaminants, delivered by the wind and precipitation on the glacier, promoting their organic breakdown. To sum up, this is a totally new field of study with great potential, which is being investigated by microbiologist Alain Couté, Emeritus Professor at the Museum of Natural History in Paris, who is co-ordinating the scientific side of the project, accompanied by an ecologist and a microbiologist from Milan’s “Bicocca” University. The Base Camp tent that we site at the Buscaini encampment, located around 9 km from the front of the famous Argentine glacier, houses equipment that has certainly never been this far up before: a microscope and a MinION mini-sequencer to separate the DNA of the organisms contained within the cryoconites, still at the experimental stage. The group also contains a glaciologist, Roberto Azzoni, from the University of Milan, who deals with ablation (the surface melting of the ice) and with recording the daily movement of the Patagonian giant, as well as with the moraine sampling of the entire glacier. With every passing day, new technologies are increasingly being deployed alongside all of these branches of science in the research being conducted: we have a laser-scanner, a GPS and a 360° camera supplied by Leica France, together with a technician on hand. Last but not least, I cannot fail to mention a drone, which is very useful, and not only for taking documentary-style


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Campo Buscaini, la notte Buscaini camp at night

La tenda Campo Base che posizioniamo presso l’Accampamento Buscaini, situato a circa 9 km dalla fronte del famoso ghiacciaio argentino, ospita apparecchiature certamente mai giunte quassù: un microscopio e un mini sequenziatore Minlon per la separazione del DNA degli organismi presenti all’interno delle crioconiti, ancora in fase sperimentale. Nel gruppo è presente anche un glaciologo, Roberto Azzoni dell’Università degli Studi di Milano, che si occupa di ablazione (la fusione superficiale del ghiaccio) e della registrazione del movimento giornaliero del gigante patagonico, oltre che di campionamento morenico lungo tutto il ghiacciaio. Nuove tecnologie affiancano ogni giorno di più tutte queste branche della scienza nelle loro ricerche: abbiamo un laser-scanner, un GPS e una fotocamera 360° fornite da Leica Francia assieme ad un tecnico a disposizione. Infine non può mancare un drone, utile non solo per riprese documentaristiche. Il laser-scanner viene usato per la realizzazione di rilievi tridimensionali di piccole e grandi aree, affinché si possa fare un confronto morfologico dettagliato e a distanza di giorni. Il GPS, invece, permette un’accurata

Alain Couté al microscopio Alain Couté at the microscope

footage. The laser-scanner is used to take three-dimensional surveys of areas large and small, so that it becomes possible to make detailed morphological comparisons, even days apart. GPS, for its part, allows for an accurate recording of the daily movements of the ice, at least for the four days of our work in the field – indeed, we manage to measure the speed of the flow both at the edges and in the centre of Perito Moreno. The images that the camera on the drone takes of the whole monitored area are reprocessed to obtain a three-dimensional vision of the surface morphologies. The repetition of the operation over several days enables us to carry out a temporal comparison of the morphological evolution. Photogrammetric processing is entrusted to Tommaso Santagata, who even manages to take daily 3D images of the main cryoconites studied and sampled by the biologists.

Tenda laboratorio al Buscaini Laboratory tent at the Buscaini camp

Nella tenda laboratorio Tommaso e Farouk controllano il lavoro del laser-scanner In the laboratory tent, Tommaso and Farouk check the laser-scanner

During this brief but intense expedition we must once again face up to the ongoing changes in climate, even in this farflung corner of the world. One of the objectives of the expedition is the exploration of at least one glacier cave, in which to take profound biological samples and the 3D scanning of the first part, but the few rivers that we find in the area under


registrazione dello spostamento giornaliero del ghiaccio, almeno per i quattro giorni di lavoro su campo: riusciamo a misurare la velocità di scorrimento sia ai bordi sia al centro del Perito Moreno. Le immagini che scatta la fotocamera del drone su tutta l’area monitorata vengono rielaborate per ottenere una visione tridimensionale delle morfologie superficiali. Il ripetersi dell’operazione a distanza di giorni permette un confronto temporale dell’evoluzione morfologica. L’elaborazione fotogrammetrica è invece affidata a Tommaso Santagata, che ha realizzato anche immagini 3D giornaliere delle principali crioconiti studiate e campionate dai biologi. Durante questa breve ma intensa spedizione dobbiamo nuovamente confrontarci con i cambiamenti climatici in atto anche in quest’angolo di mondo. Uno degli obiettivi della spedizione è l’esplorazione di almeno una cavità glaciale in cui fare sia dei campionamenti biologici profondi sia la scansione 3D della prima parte, ma i pochi fiumi che troviamo nell’area in esame hanno una portata elevata durante tutto il giorno. Non riusciamo a trovare l’occasione per realizzare questa parte del programma, con grande delusione degli speleologi presenti. Si consolano trasformandosi in portatori per almeno 3-4 giorni dei sette a disposizione... ma è il rischio delle spedizioni! Nonostante queste difficoltà svolgiamo il programma previsto, e gli scienziati portano a casa molto materiale e dati interessanti.

examination have high flow levels through the entire day. We do not manage to find an opportunity to carry out this part of the programme, to the great disappointment of the speleologists in the party. They console themselves by becoming porters for at least three or four of the seven days...such are the slings and arrows of expeditions! Despite these difficulties, we implement the planned programme, and the scientist bring home a lot of interesting material and data. I began going on expeditions with La Venta in Patagonia, on the Viedma glacier, back in 1997. Since then, I have been back another four times to this remote area of South America, and I have to say that despite all of these complications that we’ve had over the years, along with the organisational difficulties, the climate and the impossibility of conducting speleological explorations…I have never lost my enthusiasm for this part of the world, the endless spaces and the colours that time and again lead me to dream up a new adventure to experience, in an awareness that you have to immerse yourself in things to really feel them. After this last trip, I realised that this applies to a lot of other people who, despite their partial “failures”, have remained more than satisfied and fulfilled by the wealth of natural beauty and adventure on offer here.

Ho iniziato a fare spedizioni con La Venta proprio in Patagonia, sul ghiacciaio Viedma, ed era il 1997. Da allora sono tornato altre 4 volte in questa remota area del sud America e devo dire che con tutte le complicazioni che abbiamo avuto negli anni, legate alle difficoltà organizzative, al clima, all’impossibilità di fare esplorazioni speleologiche… non ho mai perso l’entusiasmo per questi luoghi, gli spazi sconfinati e i colori che ogni volta mi portano a sognare una nuova avventura da vivere, consapevole che le emozioni te le devi realmente sudare. Dopo quest’ultimo viaggio mi sono accorto che questo effetto lo subiscono molte altre persone che, nonostante i parziali ’”insuccessi”, sono rimaste comunque soddisfatte e appagate da tanta bellezza naturale e dall’avventura che si vive. Verso il Tydall 2016, una delle staffette lungo i 26 km che ci separano dal ghiacciaio Towards Tyndall 2016, one of the relay tours along the 26 km that separate us from the glacier

Tyndall 2017, ricognizione con pioggia e vento nella Disney World degli speleoglaciologi Tyndall 2017, reconnaissance with the rain and wind in the Disney World of speleo-glaciologists

Tyndall 2017, la tenda campo base fondamentale per il riposo e la mensa, la sua distruzione per il forte vento ci obbligherà al ritiro. Tyndall 2017, the base camp tent so crucial for resting and eating – its destruction by strong winds will force us to retreat.

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PALAWAN Filippine

Rondini in volo nel Puerto Princesa Underground River, Daylight Flying swiftlets in Puerto Princesa Underground River, Daylight


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Speleologia e sviluppo sostenibile: il Progetto PPUR Speleology and sustainable development: the PPUR project Antonio De Vivo, Paolo Forti Premessa Per molti paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, il turismo può e deve rappresentare una delle vie maestre per migliorare il livello di vita dei loro abitanti. Si tratta infatti di un’attività molto remunerativa che, coinvolgendo simultaneamente diversi aspetti della organizzazione sociale, permette una crescita economica diffusa tra la popolazione di tutta l’area interessata. In questo campo particolarmente rilevante è il contributo fornito negli ultimi decenni dalle grotte turistiche: oltre ad essere molto aumentate di numero hanno visto un incremento inarrestabile di visitatori, con aumenti percentuali annui anche in doppia cifra. Il loro sviluppo tumultuoso, naturalmente, ha preoccupato non poco gli speleologi che, bisogna ricordarlo, sino a pochi decenni addietro si ritenevano i soli “padroni e custodi” del mondo sotterraneo. Le loro preoccupazioni, certo, non erano prive di fondamento: l’estrema vulnerabilità degli ecosistemi sotterranei, infatti, mal si concilia con le purtroppo comuni turisticizzazioni selvagge, del tutto insensibili ai problemi di salvaguardia ambientale… ma la chiusura totale era un errore ancora maggiore! Fortunatamente in questi ultimi anni l’atteggiamento degli speleologi è cambiato: sempre più spesso infatti vengono coinvolti in progetti di trasformazione turistica che, grazie anche al loro contributo, risulta essere economicamente valida, pur senza alterare l’equilibrio naturale delle cavità che divengono grotte turistiche. Da questo punto di vista, un caso assolutamente “da manuale” è quello che ha riguardato il PPUR (Puerto Princesa Underground River) a Palawan (Filippine) (De Vivo et al. 2017a) e vale quindi la pena di raccontarlo qui per sommi capi. Il rilievo presso l’ingresso del PPUR The cave map close to the PPUR’s entrance

Introduction For many countries, particularly developing nations, tourism can be one of the most effective routes to improving people’s living standards. It generates substantial revenues, and by simultaneously engaging with multiple aspects of a country’s population and economy, enables widespread economic growth throughout the area in question and in all sectors of society. In recent decades, tourist caves have begun to play a sizeable role in the sector: not only are there a lot more of them, they have also seen a relentless increase in visitor numbers with annual rises even reaching double-figure percentages in some cases. Naturally, this bewildering rate of development has been a cause of much concern among speleologists, who until recently, let’s not forget, considered themselves the “sole masters and guardians” of the underground world. Of course, their worries were not unfounded: the great fragility of subterranean ecosystems is difficult to reconcile with the unregulated introduction of tourist facilities, an all-too-common phenomenon, sadly, in which little to no consideration is given to environmental preservation. On the other hand, the opposite approach of trying to keep visitors out entirely was even more problematic. Fortunately, in recent years the caving community has had a change of heart: in fact, speleologists are increasingly involved in tourism development projects, which – thanks to these contributions – manage to be economically viable without upsetting the natural balance of the caves in question. The PPUR (Puerto Princesa Underground River) project in Palawan (Philippines) (De Vivo et al. 2017a) offers a textbook example of how this can be achieved, so it is well worth while taking a short look at it here. The Puerto Princesa Underground River The PPUR may well be the largest navigable underground estuary in the world, with marine waters rising back along its course for over 7 km. To date, thanks largely to the exploration work carried out by La Venta over the last 25 years, a huge complex has been mapped that extends for over 35 km (with a high likelihood of identifying significant continuations in the future). The mapped sections are characterised by a complex ecosystem that has arisen, in some part, due to the contemporaneous presence of fresh and marine water, but more so from the impact of immense colonies of bats and swiftlets. Such are the unique qualities of the system that, in 1999, it was one of the first caves in the world to be declared a UNESCO World Heritage Site. Indeed, as early as 1971, it was made a national park, with a short section of the river opened to the public. All the same, the difficulty of reaching the cave kept the influx of tourists to a minimum (just a few thousand


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Il Puerto Princesa Underground River Il PPUR è forse il più grande estuario sotterraneo navigabile del mondo, in cui le maree si propagano per oltre 7 km. Attualmente, grazie soprattutto alle esplorazioni effettuate da La Venta negli ultimi 25 anni, è un complesso gigantesco: oltre 34 km di sviluppo (con grandi possibilità di scoprire ulteriori importanti prosecuzioni) caratterizzati da un complesso ecosistema che basa la sua esistenza non solo e non tanto sulla concomitanza di acque meteoriche e marine, ma soprattutto sulla presenza di immense colonie di pipistrelli e rondini. Le sue peculiarità lo avevano fatto diventare, tra le prime grotte al mondo, un World Heritage dell’Unesco già nel 1999, mentre già dal 1971 era stato dichiarato parco nazionale e un breve tratto del suo fiume sotterraneo era stato aperto al pubblico. Fino ai primi anni del nuovo millennio, comunque, la pressione turistica, anche e soprattutto per le difficoltà di raggiungere la grotta, era stata assolutamente scarsa (poche migliaia di visitatori/anno) e pertanto la sua salvaguardia ambientale non dava preoccupazioni di sorta.

Un ponte di bamboo nei pressi di Sabang A bamboo bridge close to Sabang

Lo scenario è cambiato in maniera sostanziale negli ultimi 10-15 anni, facendo sì che attualmente il PPUR sia la grotta turistica più visitata di tutto il Sud Est asiatico, con oltre 300.000 visitatori/anno. Ciononostante nessuna attrezzatura fissa (sentieri, luci, ecc...) è stata realizzata all’interno della cavità, che pertanto può essere considerata da questo punto di vista assolutamente intatta e sicuramente unica tra le grandi grotte turistiche mondiali. Già nel 2011, durante una spedizione al PPUR, l’associazione La Venta aveva potuto notare come il tumultuoso aumento di visitatori avesse iniziato a creare problemi ecologici soprattutto alle colonie di pipistrelli che venivano risvegliati nelle ore diurne. In accordo quindi con il governo locale e con gli amministratori del Parco si era cercato un modo per poter avviare un progetto specifico che considerasse non solo l’esplorazione e lo studio del PPUR, ma anche le sue potenzialità turistiche presenti e future, Puerto Princesa, presentazione dei risultati della prima spedizione al PAMB Puerto Princesa, presentation of the results of the first expedition to the PAMB

Puerto Princesa Underground River, Mud Galleries, colonia di chirotteri Puerto Princesa Underground River, Mud Galleries, a colony of bats

visitors each year), meaning there were few, if any, concerns in terms of environmental protection. The picture has changed substantially in the last 10-15 years, and we have reached the point where the PPUR is the most visited tourist cave system in south-east Asia, with over 300,000 visitors each year. Despite this, no fixed structures (walkways, lighting etc.) have been installed in the caverns, which – in this respect at least – can still be considered entirely intact and, certainly, unique among the world’s large tourist caves. All the same, while on an expedition to the PPUR back in 2011, the La Venta association was given an early indication of the ecological issues associated with the dramatic rise in visitor numbers, particularly the impact on the bat colonies, whose sleep was being disturbed during the daytime. In agreement with the local municipal and National Park authorities, preparations were made to set up a project that would not only explore and study the PPUR, but also look at its potential as a tourist attraction in the near and further future while fine-tuning the restrictions required to preserve its natural integrity over time. The “Debt-for-Development” programme In 2013 a bilateral programme was launched by Italy and the Philippines that would finance specific programmes to promote development and improve living standards in less-developed areas of the latter country using funds released by cancelling part of its debts to Italy. To receive this funding, projects had to involve a local, Filipino partner, which presented La Venta with its first hurdle. However, thanks to the reputation built up by the association during more than 20 years of continuous work in Palawan, this was negotiated in short order through an agreement with the Tagbalay Foundation of Puerto Princesa. The next challenge, drafting a detailed plan for the project – “Support for Sustainable Eco-Tourism in the Puerto Princesa Underground River Area” – proved to be a much longer


mettendo a punto nel contempo le necessarie misure di limitazione per mantenerne intatta nel tempo la sua valenza naturalistica. Il Programma “per lo sviluppo tramite la cancellazione del debito” Nel 2013 veniva lanciato un programma bilaterale tra Italia e Filippine che intendeva finanziare progetti specifici per incrementare lo sviluppo e il livello di vita delle aree meno sviluppate del Paese asiatico con i fondi derivanti dalla cancellazione di parte del debito contratto nei confronti dell’Italia. I progetti, per poter ricevere il finanziamento, dovevano obbligatoriamente avere un partner filippino. Il primo scoglio da superare è stato quindi quello di trovare un partner locale, che comunque, grazie alla reputazione che La Venta si era guadagnata in oltre 20 anni di attività continuativa a Palawan, è stato risolto in breve con un accordo con la Tagbalay Foundation di Puerto Princesa. Il secondo scoglio, la stesura del progetto dettagliato relativo al “Support for Sustainable Eco-Tourism in the Puerto Princesa Underground River Area”, anche a causa dell’incredibile burocrazia di quel paese, è stato molto più complesso e lungo e ci ha visti impegnati per quasi due anni. Alla fine gli scopi del programma sono stati identificati come: 1. Assicurare la conservazione nel tempo del PPUR e dell’area circostante attraverso: A) la corretta valutazione della risposta del Puerto Princesa Underground River e del suo ecosistema all’incremento turistico in maniera da definire scientificamente i suoi limiti in termine di turisti/giorno e turisti/anno; B) confermare e verificare alcune scoperte scientifiche fatte precedentemente all’interno del PPUR, con particolare riguardo ad alcuni minerali rari e alla presenza di flora e fauna che necessita di una protezione specifica sulla base di considerazioni di sostenibilità ambientale; C) permettere il monitoraggio in continuo dei parametri ambientali con particolare riguardo ai livelli energetici della grotta, il bilancio ecologico, il flusso idrico all’interno dell’Underground River e altri aspetti scientifici eventualmente rilevanti; D) collaborare con gli scienziati filippini per assicurare un completo trasferimento delle conoscenze scientifiche e della documentazione, con lo scopo anche di formare un gruppo locale che si prenda cura della conservazione dell’Underground River. 2. Creare un gruppo di esperti di carsismo in grado di trasmettere le conoscenze pratiche al personale attuale e futuro impiegato nella grotta, nonché alle guide turistiche locali; supportare lo sviluppo socioeconomico delle comunità che vivono nell’area del PPUR al fine anche di evitare pratiche ambientali dannose attraverso: A) la ricerca e lo sviluppo di nove grotte visitabili attorno al PPUR al fine di aumentare l’offerta turistica e nel contempo aiutare il personale del Parco a gestire tutta l’area in maniera ecosostenibile, anche in considerazione del previsto aumento futuro dei flussi turistici. Questo dovrebbe essere fatto con l’obiettivo di aumentare le opportunità di lavoro per le popolazioni locali. B) L’istruzione mirata delle popolazioni locali per aumentarne la capacità di soddisfare i turisti mantenendo inalterata la condizione di salvaguardia totale del PPUR e degli altri sistemi carsici all’interno dell’area protetta. C) La predisposizione di strumenti didattici mirati ad estendere l’offerta turistica al di fuori del PPUR e delle sue immediate vicinanze, possibilmente coinvolgendo anche la città

and more complex affair, not least because of the incredible amount of red tape encountered in the Philippines. In the end, however, the following programme objectives were established: 1. To ensure the long-term preservation of the PPUR and the surrounding area through: A) precise evaluation of the effect of the increased tourist presence on the Puerto Princesa Underground River and its ecosystem, with a view to arriving at a scientific description of the site’s “carrying capacity” in terms of number of visitors per day and per year; B) confirming and verifying a number of previous scientific discoveries made within the PPUR system, with particular attention to certain rare minerals and the existence of plant and animal species that require specific protection measures in the interests of environmental sustainability; C) making the necessary arrangements for constant monitoring of environmental parameters, focusing in particular on cave energy levels, environmental accounting, water flow within the PPUR system and any other scientifically significant aspect; D) close collaboration with Filipino scientists to ensure complete transfer of scientific knowledge and documentation, in part for the purposes of establishing a local group to oversee conservation work at the Underground River. 2. To establish a group of karst-system experts who can transmit practical know-how to current and future workers employed in the caves and to local guides, and to support socio-economic development in the community in the PPUR area with a view to forestalling environmentally damaging practices by: A) identifying and developing other visitable caves close to the PPUR to improve the range of attractions on offer to tourists while – at the same time – assisting the park staff in ensuring the whole area is managed in an ecologically sustainable manner, even with the predicted increase in visitor numbers. This should be done in a way that provides increased employment opportunities for the local populations; B) providing training to local people that shall be aimed specifically at developing their capacity to fulfil the needs of tourists without compromising the pristine state of the PPUR and other karst landscapes within the protected area; C) providing teaching and learning tools designed to enhance tourism provision beyond the PPUR and its immediate surroundings, potentially involving the city of Puerto Princesa itself. Audio-visual and print materials can also be used for promotion; this has already happened to some extent in the case of the PPUR, thanks in no small part to the discoveries made by La Venta, which have been fundamental in establishing the unique nature of the system

Conferenza a Manila Conference in Manila

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di Puerto Princesa. I materiali audiovisivi e/o a stampa potranno poi essere utilizzati anche per scopi di marketing, come già avvenuto per il PPUR grazie alle scoperte effettuate da La Venta, che hanno svolto un ruolo fondamentale per stabilirne la sua unicità, creando così attorno alla grotta un interesse turistico in tutto il mondo. Tutte queste attività dovevano poi essere svolte nell’ambito di due spedizioni da completarsi nell’arco di 12 mesi. Finalmente a metà del 2016 il nostro progetto è stato ufficialmente approvato dal Ministero delle Finanze filippino, che metteva a disposizione un totale di 130000 euro per sviluppare tutte le attività previste al suo interno. La nostra soddisfazione per il successo ottenuto, a fronte di un lungo e gravoso impegno di progettazione, è stata anche più grande perché eravamo ben consci che sino ad oggi, almeno in Italia, non era mai accaduto prima che una associazione speleologica venisse scelta come partner principale in un progetto di cooperazione internazionale. I risultati ottenuti Nell’ambito di questo programma La Venta ha organizzato due distinte spedizioni, rispettivamente di 21 giorni a novembre-dicembre del 2016 e di 30 giorni ad aprile-maggio del 2017. Al fine di sviluppare tutte le attività previste dal progetto abbiamo preso contatto con università ed enti di ricerca sia italiani che esteri, che hanno inviato anche loro ricercatori sul terreno. Cumulativamente hanno partecipato alle spedizioni 41 persone, per un totale di oltre 500 giorni di lavoro sul campo. In entrambe le spedizioni una buona parte del tempo disponibile è stato dedicato alla ricerca scientifica e in particolare allo studio del clima della grotta e della sua fauna: aspetti ambedue fondamentali per definire il numero massimo di visitatori/giorno compatibili con la salvaguardia ambientale del PPUR. Durante la prima spedizione 28 acquisitori automatici sono stati dislocati in tutti i settori della grotta e al termine della seconda hanno fornito quasi mezzo milione di dati, che hanno trasformato il PPUR in una delle grotte al mondo più monitorate e soprattutto hanno permesso di valutare

and, thus, in capturing the interest of visitors from all over the world. All of these activities would need to be completed in association with two expeditions, which would themselves take place within a 12-month window. Finally, midway through 2016, our project was officially approved by the Philippines’ Finance Secretary, who released a total of € 130,000 to fund the activities. After such a long, demanding planning process, we were understandably delighted with our success, particularly since we were well aware that, at least in Italy, a speleological association had never been chosen as a major partner in a cooperative international development project. Results As part of the programme, La Venta organised two separate expeditions, one lasting 21 days in November and December 2016, and another lasting 30 days in April and May 2017. The range of activities involved meant we had to establish contacts with universities and research bodies in Italy and abroad, who duly sent their own researchers to the area. In total, 41 individuals participated in the expeditions, amassing over 500 person-days of work in the field.

Rockpile, campo interno Rockpile, internal camp

On both expeditions, a good portion of time was dedicated to scientific research and, in particular, to studying the climate of the cave, and its animal life, both of which were recognised as basic indicators for determining the maximum number of

Punti in cui sono stati posizionati gli acquisitori automatici per la rilevazione dei parametri ambientali del PPUR. Sulla pianta è anche indicato il breve tratto (circa 1 km) aperto al turismo. / Points at which the data acquisition devices were positioned for the monitoring of the environmental parameters of the PPUR. The plan also shows the short tract (around 1 km) open to tourists.


con precisione non solo i microclimi che caratterizzano i vari settori del PPUR, ma anche di dimostrare come l’effetto delle maree si risenta ben oltre il Rockpile (limite ritenuto sino ad oggi invalicabile) e si esplichi quindi per tutti i 7,5 km del fiume sotterraneo fino al Daylight. Ancora più importanti i risultati ottenuti dagli studi biologici, che per la prima volta sono stati sistematici e hanno comportato il campionamento di un elevato numero di organismi in tutti i rami del PPUR, nonché in alcune delle grotte più importanti della limitrofa area carsica. Già adesso possiamo dire che varie specie nuove per la scienza sono endemiche del PPUR e ci si aspetta che il loro numero cresca esponenzialmente in un prossimo futuro, mano a mano che i risultati degli studi effettuati dagli specialisti sugli esemplari campionati saranno resi disponibili.

Rondine che cova Brooding swiftlet

Infine, l’analisi combinata delle associazioni faunistiche e dei dati climatologici e idrogeologici ha permesso di evidenziare come la grotta ospiti al suo interno ben 5 diversi ecosistemi, confermando così il suo eccezionale valore ecologico. Durante lo svolgimento del progetto sono poi stati presi in considerazione anche altri aspetti scientifici quali la morfologia carsica, la speleogenesi e la mineralogia, tematiche già toccate durante precedenti spedizioni. In tutti questi campi le scoperte effettuate sono state notevoli: i minerali di grotta sono passati da 12 a 18, di cui due esclusivi del PPUR; sono stati poi scoperti e descritti alcuni nuovi tipi di

Campionamento di animali nel guano Sampling the animals in the guano

Un grosso ragno nel nido nella sala del Daylight A large spider in its nest in the Daylight chamber

visitors per day that the PPUR could support without compromising the integrity of the environment. As part of the first expedition, 28 automated data loggers were distributed throughout the cave system. By the end of the second expedition, these had furnished almost half a million data points. Not only did this make the PPUR one of the most monitored cave systems in the world but, crucially, it allowed the scientists to monitor the microclimates of the various sectors of the PPUR with great precision and demonstrate that the effects of the marine tides were discernible well beyond the “Rockpile” (previously considered an insurmountable barrier), reaching all along the 7.5 km of the underground river to the “Daylight” chamber. Even more important were the results from the first systematic

Aree di campionamento biologico e delimitazione dei vari ecosistemi riconosciuti. Biological sampling areas and delineation of the various known ecosystems

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speleotemi, e sono stati effettuati alcuni carotaggi di stalagmiti per misurarne l’età mediante analisi U/Th, in modo da definire cronologicamente l’evoluzione di questa complessa cavità durante gli ultimi 600.000 anni.

Ramo Via Lactea, particolare di una sala Ramo Via Lactea, detail of a hall

Ma è stato in campo paleontologico che il progetto ha ottenuto i maggiori e inaspettati successi. Nel 2011 infatti era avvenuta la fortuita riscoperta dello scheletro fossile di un sirenide lungo la God’s Highway, e si sperava quindi, durante le spedizioni del progetto, di poter documentare altri resti fossili importanti. Questo è puntualmente avvenuto sia all’interno del PPUR, dove in rami nuovi esplorati nella seconda spedizione sono stati scoperti non solo lo scheletro perfettamente conservato di un grosso carnivoro, ma anche quelli di serpenti, piccoli mammiferi e pipistrelli. Inoltre, nel ramo che parte dall’Australian Inlet sono state trovate nei sedimenti fluviali grandi conchiglie marine la cui datazione è attualmente in corso. Infine, in una grotta non distante sono stati documentati dei resti fossili di un delfino vissuto al tempo del sirenide del PPUR. Naturalmente durante lo svolgimento del progetto molte altre sono state le attività portate avanti a lato di quelle scientifiche. Tra queste meritano di essere ricordate quelle di esplorazione e di documentazione. Nell’esplorazione, 3-4 km di nuovi rami sono stati scoperti e rilevati, ma soprattutto si è acquisita la matematica certezza che molti altri ambienti esistono all’interno del Mt. Saint Paul e aspettano solo esploratori che li percorrano.

biological survey of the cave, which led to the collection of an impressive number of samples of organisms from all branches of the PPUR and from some of the most important caves in the surrounding karst. We can already affirm that various species endemic to the PPUR are entirely new to science, and we can expect the number of such discoveries to climb exponentially in the near future as, little by little, the results of the specialist studies carried out on the samples become available. Furthermore, by combining analysis of the animal communities with climatological and hydrogeological data, it has been possible to identify no less than 5 distinct ecosystems within the cave, a feature that underlines its exceptional ecological value. The studies carried out over the course of the project extended into other fields, some of which had featured briefly in previous expeditions, including speleogenesis, mineralogy and karst morphology. Important discoveries were made in all these ar-

Ramo Via Lactea, concrezionamenti Via Lactea Branch, speleothems Lo scheletro integro di un felino The entire skeleton of a feline

eas: the number of cave minerals identified rose from 12 to 18, including two that are exclusive to the PPUR; a number of new types of speleothem were identified and described; and cores were taken from stalagmites and subjected to Uranium-thorium dating to help trace the evolution of the system over the last 600,000 years.

Gaia Branch, carotaggio di una stalagmite parzialmente corrosa Gaia Branch, core sampling of a partially corroded stalagmite

La speranza di La Venta è che i gruppi speleologici locali, che durante tutto il progetto sono stati oggetto di corsi specifici per migliorarne le capacità tecnico-esplorative e hanno condiviso con noi tutte le fasi delle attività in grotta, possano da ora in avanti procedere sempre più autonomamente nell’esplorazione del PPUR. Nella documentazione, oltre alla realizzazione di migliaia di foto, si è collaborato con la casa cinematografica francese

Eccentriche di calcite Calcite helictites


Croste di minerali fosfatici su stalagmite fortemente corrosa dal guano Crusts of phosphate minerals on stalagmite heavily corroded by guano

One Planet alla realizzazione di un nuovo documentario sul PPUR di quasi un’ora, che ha ricevuto un notevole successo di pubblico e di critica al XVII Congresso Mondiale di Speleologia a Sydney. Infine, grazie agli strumenti resi disponibili dalla Laica Geosystem, molte aree del PPUR sono state rilevate in 3D e questo permetterà non solo un più accurato studio delle morfologie del sistema carsico ma anche e soprattutto la creazione di un “tour virtuale” della grotta, soprattutto utile per quelle aree che non potranno mai essere aperte al pubblico.

Grotta Pamitinam Pamitinam cave

Per il problema dell’eventuale sovrasfruttamento turistico, le analisi energetiche basate sui dati raccolti durante tutto il progetto indicano che l’attuale numero di visitatori può essere ritenuto compatibile con l’equilibrio ecologico della grotta; anche se per il futuro non sarà probabilmente possibile aumentarlo e pertanto uno dei compiti principali della seconda spedizione è stato quello di individuare siti alternativi e/o sostitutivi limitrofi, che possano affiancare il PPUR per soddisfare la sempre crescente domanda turistica. Sono state individuate varie grotte o aree esterne che possono ben affiancare il PPUR per creare un sistema integrato di offerte in grado di attirare sempre più turisti e quindi aumentare il

However, the project’s greatest – and most unexpected – successes came in the field of palaeontology. 2011 had seen the fortuitous discovery of a fossil sea-cow skeleton along the “God’s Highway” section, and it was therefore hoped that the new expeditions would offer the chance to document other significant finds. Our expectations were duly confirmed, both in the PPUR system itself – where exploration of new branches during the second expedition brought to light not only the perfectly preserved skeleton of a large carnivore, but also those of snakes, small mammals and bats – and in the branch leading off from the Australian Inlet, where large marine shells were found among the fluvial sediments that are currently undergoing dating. Last but not least, the fossil remains of a dolphin that lived around the same time as the PPUR sea cow were documented in another, nearby cave. Along with scientific research, the project naturally involved a wide range of other activities. Of these, the work in exploring and documenting the caves merits particular mention. During the exploration, 3-4 km of new branches were discovered and surveyed. More than this, however, we reached the point that we could be mathematically certain that there were many further spaces within Mount Saint Paul just waiting to be explored. It is the hope of the La Venta Association that, going forward, the local speleological groups – who, as part of the project, were given specific training to improve their technical and exploration skills, and who collaborated with us in all phases of our work in the caves – can operate with an increasing level of autonomy as they explore the PPUR. In terms of documentation, as well as producing thousands of photographs, the project involved the French film company “One Planet”. They worked with the team to produce a new, hour-long documentary about the PPUR that was a hit with both critics and audiences at the 17th International Congress of Speleology in Sydney. Furthermore, instruments provided by Leica Geosystems made it possible to survey many of the environments within the PPUR in 3D, which will not only allow the morphology of the karst system to be studied more accurately but will also – a key benefit – enable the creation of a virtual tour of the cave, which is particularly valuable for areas that will never be opened to the public. As for the issue of excess tourist numbers, the energy analyses carried out using the data collected over the course of the project suggest that the current number of visitors is compatible with the ongoing ecological equilibrium of the caves, although it appears that it will not be possible to increase levels of access in the future. For this reason, one of the main objectives for the second expedition was to identify alternative sites in the vicinity that can help meet the growing tourist demand. In the event, various caves and overground sites were identified which could easily be incorporated alongside the PPUR in an integrated system of attractions that would draw a growing number of tourists, and thus help improve living standards among the local populations without putting the long-term survival of the caves at risk. As things stand, it has been shown that the greatest risk to the ecosystems of the PPUR might actually derive from the farming practices used in the basin from which the underground river draws its water, and specifically the growing use of pesticides and fertilisers, which threatens to upset the ecological balance of the system downstream. The first, targeted chemical analyses, which were carried out during the second expedition, did not give particular cause for alarm, but more precise – and less sporadic – monitoring is essential going forward.

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livello di vita degli abitanti della regione, senza però creare problemi di sopravvivenza alla grotta. Attualmente si è dimostrato che il rischio maggiore per gli ecosistemi del PPUR può provenire dalle pratiche agricole che vengono portate avanti nel bacino di ricarica del fiume sotterraneo, a causa del sempre maggiore impiego di pesticidi e fertilizzanti che potenzialmente potrebbero alterarne l’equilibrio. Le prime analisi chimiche mirate, effettuate durante la seconda spedizione, sembrerebbero tranquillizzanti anche se sarà necessario in futuro un monitoraggio più accurato e soprattutto non episodico. Ultimo punto fondamentale del programma era quello di aumentare la capacità gestionale sia del Parco relativamente al PPUR, che dei privati nel campo dell’accoglienza. Per questo motivo La Venta ha predisposto materiali didattici specifici e ha organizzato varie riunioni e/o corsi specifici, che sono stati sempre molto apprezzati sia dai dipendenti del Parco che da tutti i soggetti a cui erano dedicati.

A final, fundamental objective of the project was to help improve local capabilities, both those of the National Park authorities in relation to managing the PPUR, and those of private operators in the hospitality field. To this end, La Venta produced a range of tailored educational materials and organised a series of dedicated seminars and courses, all of which were much appreciated by the Park staff and other target groups. To help increase revenues from tourism, La Venta has also offered to share any relevant knowledge that might be used to produce materials (slides, posters, guide books, postcards) to sell to visitors. It has also undertaken to forward all of the material that it produces in relation to the PPUR and the surrounding karst, partly with a view to creating a dedicated website, something that is entirely lacking at the moment.

Corso speleo Caving course

Corso speleo Caving course

Per aumentare gli introiti derivanti dal turismo, poi, La Venta ha messo a disposizione le sue conoscenze specifiche per la realizzazione di materiali (diapositive, poster, libri guida, cartoline, ecc.) che possano essere venduti in loco ai visitatori; l’associazione si è poi impegnata a mandare in futuro tutto il materiale che nel tempo produrrà sul PPUR e la sua area carsica, anche per facilitare il compito di realizzare un sito internet dedicato, cosa che attualmente manca del tutto. Considerazioni conclusive Speriamo che questa breve e schematica relazione sia stata sufficiente per illustrare a grandi linee lo scopo del progetto e i principali risultati ottenuti a pochi mesi dalla conclusione delle due spedizioni. Per un più dettagliato rendiconto si rimanda alle due relazioni ufficiali (De Vivo & Forti 2017, De Vivo, Forti & Piccini 2017), che sono disponibili nel sito di La Venta. A noi rimane l’orgoglio di essere riusciti a coordinare un progetto internazionale di ampio respiro, forse il più complesso mai gestito da La Venta, in cui le semplici esplorazioni o gli studi scientifici anche sofisticati hanno dovuto confrontarsi con problematiche più generali quali la salvaguardia ambientale e il suo legame diretto alla necessità di aumentare sensibilmente il livello di vita delle popolazioni che vivono su quel territorio.

In conclusion We hope that this brief, summary report has been enough to give you a general picture of the aims of the project and its principal outcomes as things stand just a few months on from the two expeditions. For a more detailed account we refer the reader to the two official reports (De Vivo & Forti 2017, De Vivo, Forti & Piccini 2017), which are available on the La Venta website. As for us, we are left with the satisfaction of having successfully coordinated a far-reaching international project – perhaps the most complex we have ever managed – in which both basic exploration activities and sophisticated scientific research have

Daylight, studiando la topografia Daylight, examining the topography


L’impegno di La Venta verso Palawan e il PPUR, comunque, non può ancora dirsi completato: infatti abbiamo già cominciato ad occuparci della redazione del libro che intendiamo dedicare a questa eccezionale grotta e alle esplorazioni che vi abbiamo condotto ininterrottamente per ben più di un quarto di secolo. Nei nostri progetti la pubblicazione di tale volume e la sua contestuale presentazione a Manila e a Palawan dovrebbero avvenire entro il 2018. Quindi non è ancora tempo per noi di riposarci sugli allori…. Ringraziamenti Gli autori ringraziano la Tagbalay Foundation per il supporto fornito prima durante e dopo le spedizioni del progetto, la Municipalità di Puerto Princesa e l’Amministrazione del Parco per l’apertura e la disponibilità mostrata nei nostri confronti. Un ringraziamento particolare va poi agli amici dei Gruppi Speleologici Gaia di Manila e di La Karst di Puerto Princesa per il fondamentale apporto fornito durante le esplorazioni del PPUR. Infine, un grazie a Amphibious, De Walt, Dolomite, Ferrino, Leica e Lifesaver per il supporto che continuano a darci in ogni nostra attività. Partecipanti (2016 – 2017) Paolo Agnelli, Giorgio Annichini, Tullio Bernabei, Carla Bertollo, Gaetano Boldrini, José Maria Calaforra, Marta Ciaramella, Leonardo Colavita, Tiziano Conte, Carla Corongiu, Vittorio Crobu, Franco Cucchi, Ilenia D’Angeli, Ada De Matteo, Antonio De Vivo, Jo De Waele, Giovanni Fiorini, Paolo Forti, Martino Frova, Fabio Giannucci, Felice La Rocca, Francesco Lo Mastro, Luca Massa, Chiara Paniccia, Leonardo Piccini, Alessio Romeo, Patrizio Rubcich, Laura Sanna, Tommaso Santagata, Stefano Vanni, Marco Vattano. Riferimenti bibliografici De Vivo A., Forti P. (Eds.), 2017. Report on the first expedition to Palawan - November 19 – December 10, 2016. Tintoretto, 107 pp. De Vivo A., Forti P., Piccini L. 2017. Support for sustainable eco-tourism in PPUR (Puerto Princesa Underground River) - project 2016-2017 Proceedings XVII International Congress of Speleology, Sidney, v. 2, 360-364 pp. De Vivo A., Forti P. Piccini L. (Eds.), 2017. Report on the second expedition to Palawan- April 22 – May 22, 2017. Tintoretto, 172 pp. Sabang, barche Sabang, boats

been brought to bear on an issue as broad as environmental preservation and the accompanying need to significantly improve the living standards of the people who live in the area. La Venta’s work in Palawan and the PPUR is not over, however. We have already set to work preparing a book for publication that will be dedicated to this extraordinary cave system and our exploration of it, an activity that has occupied us, more or less continuously, for well over a quarter of a century. The current plan is to publish the book and present it concurrently in Manila and Palawan some time in 2018. No resting on our laurels quite yet... Acknowledgements The authors would like to thank the Tagbalay Foundation for its assistance before, during and after the two project expeditions, and the City of Puerto Princesa and the National Park authorities for the open-mindedness and generosity they have shown us. Special thanks go to our friends in the two speleology groups, the “Gaia Exploration Club” in Manila and “La Karst” in Puerto Princesa, for their vital contribution during the exploration of the PPUR. Finally, thanks also to Amphibious, De Walt, Dolomite, Ferrino, Leica and Lifesaver for their ongoing support of all of our work. Participants (2016 – 2017) Paolo Agnelli, Giorgio Annichini, Tullio Bernabei, Carla Bertollo, Gaetano Boldrini, José Maria Calaforra, Marta Ciaramella, Leonardo Colavita, Tiziano Conte, Carla Corongiu, Vittorio Crobu, Franco Cucchi, Ilenia D’Angeli, Ada De Matteo, Antonio De Vivo, Jo De Waele, Giovanni Fiorini, Paolo Forti, Martino Frova, Fabio Giannucci, Felice La Rocca, Francesco Lo Mastro, Luca Massa, Chiara Paniccia, Leonardo Piccini, Alessio Romeo, Patrizio Rubcich, Laura Sanna, Tommaso Santagata, Stefano Vanni, Marco Vattano. Further reading De Vivo, A., Forti, P. (Eds.), 2017. Report on the first expedition to Palawan – November 19- December 10, 2016. Tintoretto, 107 pp. De Vivo, A., Forti, P., Piccini, L. 2017. Support for sustainable eco-tourism in PPUR (Puerto Princesa Underground River) – project 2016-2017 Proceedings of the 17th International Congress of Speleology, Sydney, vol. 2, pp. 360-364. De Vivo A., Forti P. Piccini L. (Eds.), 2017. Report on the second expedition to Palawan - April 22 – May 22, 2017. Tintoretto, 172 pp.

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Un’immagine An image Leonardo Piccini L’inghiottitoio è lì, davanti a noi. Non era un sogno o frutto della mia immaginazione, esiste davvero. Ci sono immagini di luoghi, nella nostra mente, che a volte non sai dire se siano reali, se li hai visti veramente o se invece derivano da qualche sogno ricorrente, o magari da qualche flash mentale ereditato geneticamente da un lontano progenitore. L’inghiottitoio esiste. Un po’ diverso da come lo ricordavo, ma è lui, non c’è dubbio. Del resto sono passati sei anni da quel 21 marzo del 2011: il giorno in cui finalmente si concretizzò un’idea o, se volete, un sogno. Quel giorno avevamo raggiunto la cima del Saint Paul Dome, la montagna calcarea di 1000 e più metri che domina la parte mediana della costa settentrionale dell’isola di Palawan e che ospita l’Underground River, il fiume sotterraneo che da quasi trenta anni attrae la nostra attività di speleologi.

The sinkhole is there, in front of us. It was not a dream or a figment of my imagination – it really exists. In our minds, we have images of places that, sometimes, we can’t say for sure whether they are real, if we’ve actually seen them, or if they in fact come from some recurring dream, or perhaps from some flashback genetically inherited from a distant ancestor. The sinkhole really does exist. It’s a bit different from how I remembered it, but it’s that one, beyond any doubt. A whole six years have passed since 21 March, 2011: the day on which an idea, a dream was at last realised. That day, we had reached the summit of Saint Paul Dome, the 1000-metre limestone peak that overlooks the middle part of the northern coast of the island of Palawan and that plays host to the Underground River, which has attracted us cavers for almost 30 years. Tono and I had been working towards this moment since 1989, the year of our first expedition to Palawan, fantasising about the possibility of finding cave entrances that would afford access to the heart of the Saint Paul karst system from above, and perhaps even permit us to pass through a magical cave passage, coming out on that idyllic beach that now welcomes hundreds of tourists every day, who want to visit the first part of the Puerto Princesa Underground River, one of the world’s most extraordinary caves. The summit area of the mountain had then revealed itself to be a hump of limestone rocks broken and corroded by the water, with sparse vegetation. No sign of caves, at least in

La valle sospesa nelle zona alta del Monte Saint Poul The hanging valley in the summit area of Mount Saint Paul

Tono ed io avevamo accarezzato quell’idea sin dal 1989, anno della nostra prima spedizione a Palawan, fantasticando sulla possibilità di trovare ingressi di grotte che consentissero di accedere al cuore del sistema carsico del Saint Paul dall’alto, e magari permettere una fantastica traversata. Uscire direttamente su quell’idilliaca spiaggia che oggi accoglie centinaia di turisti ogni giorno per visitare la prima parte del Puerto Princesa Underground River, una delle grotte più straordinarie del mondo. La zona sommitale della montagna si era poi rivelata una gobba di rocce calcaree rotte e corrose dall’acqua, con una rada vegetazione. Nessuna traccia di grotte, almeno nella limitata porzione che avevamo potuto percorrere con i nostri piedi. La zona più interessante era invece una sorta di valle sospesa, che avevamo costeggiato sul bordo occidentale per salire alla vetta, costituita in realtà da un allineamento di sprofondamenti, alcuni con tracce di scorrimento d’acqua ed evidenti punti di assorbimento quasi sepolti sotto l’abbondante vegetazione. Sulla via del ritorno, approfittando di una breve sosta, mi ero staccato dal gruppo per percorrere una sorta d’impluvio che si dirigeva verso la parte più incassata della valle, fermandomi infine davanti a un inghiottitoio aperto, un’imboccatura nera che dava accesso a un pozzetto

Il campo avanzato da cui ha inizio l’itinerario che porta verso le zone alte del Saint Paul Dome The advance camp from where the pathway to the summit area of Saint Paul Dome begins


di pochi metri. Quel giorno però non avevamo tempo né materiale. Era ormai tardo pomeriggio, la strada per tornare al campo lunga e non banale e non potevo attardarmi. Non avevo neanche la macchina fotografica con me e del resto la luce sotto la chioma degli alberi era assai ridotta. L’unica cosa che potei fare fu scattare una “fotografia” mentale e tenerla in serbo per un futuro ritorno. Quell’immagine me la sono portata dentro per sei anni, diligentemente archiviata tra quelle di altri posti dove vorrei tornare prima o poi, e di altri ingressi di grotte sparsi per il mondo che attendono ancora di essere varcati. Nel 2016, dopo un lungo e laborioso periodo di gestazione, prendeva finalmente avvio il grosso progetto di studio sul carso del Saint Paul nell’ambito di una collaborazione con la Tagbalay Foundation di Palawan e il Puerto Princesa Subterranean River National Park. Nel programma della seconda spedizione prevista dal progetto, quella del 2017, eravamo riusciti a inserire anche una rapida ricognizione alle zone alte del Saint Paul. Era l’occasione per andare a rivedere quell’inghiottitoio sperduto su quella montagna dall’accesso non facile: un’occasione che non avevo potuto lasciarmi sfuggire. Una prima ricognizione leggera era servita a ritrovare il percorso di avvicinamento sino alla zona dove piazzare il campo base. Qualche giorno dopo un secondo gruppo era partito con l’obiettivo di raggiungere la valle sospesa. La stagione avanzata e il caldo soffocante non facilitavano la marcia con i nostri pesanti carichi. Anche i nostri portatori, pur abituati a quel clima, erano apparsi provati, ma alla fine del primo giorno eravamo riusciti a raggiungere, al tramonto, la zona del campo. Il secondo giorno, divisi in due squadre, c’eravamo organizzati per una prospezione veloce degli ingressi individuati sei anni prima: ma questa volta avevamo luce e corde. Indosso la tuta leggera, quella che uso in grotte tropicali, la stessa che avevo nel 1989 quando per la prima volta mi ero avventurato nelle viscere dell’Underground River, non prima di aver controllato l’eventuale presenza di qualche sanguisuga attaccata alla pelle. Prendo il casco e mi avvio verso l’ingresso, mentre i miei compagni si accingono a seguirmi. Una breve e facile arrampicata porta sull’orlo di uno scivolo fangoso che verso il basso immette in una vasta sala che la mia modesta luce fatica a illuminare. In attesa dei miei compagni inizio a percorrere il lato destro della sala, superando massi di crollo resi viscidi dal fango. Alcuni pipistrelli si sono già alzati in volo. Abituandomi all’oscurità inizio a intravedere i contorni di quell’ambiente che non è poi così vasto come sembrava. Verso il basso intuisco una prosecuzione, ma vedo anche depositi di fango ai lati che non fanno ben sperare. Non voglio però andare avanti da solo. Se la grotta continua è giusto che anche gli altri condividano l’emozione dell’esplorazione. Mi sposto quindi sul lato sinistro, in una zona di crollo con qualche camino da cui pendono drappi di radici. Finalmente arrivano altre luci, più potenti, e la sala si rivela per quello che è: una camera di crollo larga una quindicina di metri e lunga una ventina con alcune zone di concrezionamento. Prima di dedicarci al rilievo e alle foto andiamo a vedere la possibile prosecuzione. La mancanza di corrente d’aria e l’odore di foglie marce non sono però di buon augurio e, infatti, sceso un breve e stretto pozzetto, trovo una

the limited portion that we had been able to cover on foot. The most interesting area was actually a sort of suspended valley, which we had skirted round on the western border before climbing to the summit, constituted by a line of sinkholes, some with traces of flowing water and evident points of absorption almost buried under the abundant vegetation. On the way back, taking advantage of a short pause, I had broken off from the group to go through a kind of thalweg that led towards the most embedded part of the valley, eventually coming to a stop across from an open sinkhole, a black mouth that gave access to a shaft of a few metres. That day, though, we had neither the time nor the equipment. It was now late afternoon, and the road back to camp was long and far from easy, and I could not be late. I didn’t even have my camera with me, and the light under the crown of trees was very limited. The only thing I could do was take a mental “photograph” and keep it in mind for a future return. I carried that image with me for six years, diligently archived along with those other places to which I would like to return sooner or later, and other cave entrances scattered across the world that are still waiting to be breached. In 2016, after a long, arduous period of gestation, the major study project on the Saint Paul karst finally got under way as part of a collaboration with the Tagbalay Foundation in Palawan and the Puerto Princesa Subterranean River National Park. In the schedule for the second planned expedition of the project, in 2017, we had managed to insert a short reconnaissance of the upper areas of Saint Paul. It gave us a chance to go back and see that remote sinkhole on that hard-to-access mountain – a chance I could not pass up. An initial, light mission had enabled us to rediscover the approach up to the area where we could set up base camp. A few days later, a second group had headed off with the objective of reaching the suspended valley. It was now late in the season, and the attendant suffocating heat did not facilitate our advance with our heavy loads. Even our porters, albeit used to that climate, had seemed exhausted, but by the end of the first day, at sunset, we had managed to reach the camp.

Vita notturna al campo avanzato, monte Saint Paul Nightlife at the advance camp, Mount Saint Paul

On the second day, having split into two groups, we had organised ourselves for a short survey of the entrances identified six years previously – but this time, we had light and ropes. I wore light overalls, the ones I use in tropical caves, the same ones I had worn in 1989 when for the first time I had ventured into the bowels of the Underground River, not prior to having checked for the presence of any leeches that may have attached themselves to my skin. I took my helmet and I made my way to the entrance, while my companions got ready to follow me. A brief, easy climb led to the edge of a muddy slope that, near the bottom, brought us to an enormous

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saletta laterale con il pavimento di fango ancora umido. Scruto meticolosamente ogni fessura e anfratto, con la speranza di avvertire anche solo un tenue alito d’aria: niente da fare. Sembra tutto tappato. Fango e vegetazione han chiuso inesorabilmente questa grotta che durante le piene si allaga nella parte finale, lasciando defluire l’acqua lentamente attraverso stretti pertugi. Completato rilievo e documentazione fotografica, usciamo e ci dedichiamo a cercare eventuali altri ingressi. L’ingresso dell’inghiottitoio alto al monte Saint Paul The entrance to the summit sinkhole at Mount Saint Paul

Nel frattempo le nostre guide filippine hanno individuato una profonda spaccatura sotto le scoscese pareti che delimitano a NE la valle sospesa. Qui occorrono corde e imbracatura e grazie a qualche ancoraggio naturale riusciamo a scendere in fondo a quella che si rivela solo una spaccatura profonda una ventina di metri: anche qui nessuna prosecuzione evidente. Rimarrebbe da fare una ricognizione nella parte alta della valle sospesa, verso nord, ma il tempo è poco e il cielo annuncia già l’immancabile acquazzone pomeridiano. Non ci resta che tornare al campo, prima che la pioggia renda scivoloso il ripido percorso che dobbiamo affrontare. Il ritorno al campo non è dei più allegri. Avevamo riposto non poche speranze in quegli ingressi scovati lassù, su questa montagna magica, lontana migliaia di chilometri da casa, ma sempre vicina e presente nella nostra mente da molti anni. Queste sono le regole del gioco: gli accessi al mondo sotterraneo sono pochi, rari e solo pazienza e determinazione ti permettono di trovarne di nuovi. Le prime gocce ci colgono per fortuna ormai su un terreno più agevole. Da qui al campo la traccia è ben battuta e non ci sono molte possibilità di sbagliare. Mi attardo a scrutare alcuni anfratti rocciosi lungo la via di ritorno, lasciando andare avanti gli altri, riflettendo se valga la pena tornare lassù a cercare altri ingressi, mentre la pioggia, ormai fitta, mi scorre addosso senza che possa fare niente per non bagnarmi. Piove, sulle mie spalle e sui miei pensieri, lavando via la delusione, mentre mentalmente sposto l’immagine di quegli inghiottitoi dalla “cartella” delle grotte da rivedere in quella delle grotte esplorate. Non possiamo certo dire di aver visto bene le zone alte di quella montagna, ma forse conviene più concentrare gli sforzi sulle grotte conosciute o battere le zone più basse, dove potrebbero esistere i relitti di antiche gallerie che aspettano solo di essere esplorate: ma queste per il momento sono solo immagini mentali.

chamber that my modest light struggled to illuminate. As I waited for my friends, I started to travel down the right side of the chamber, passing collapsed boulders rendered slimy by the mud. A few bats had already taken flight. As I got used to the darkness, I began to glimpse the edges of that space, which I realised was not as large as I had thought. Lower down, I got a sense of where it continued. But I didn’t want to go any further on my own. If the cave was longer, it was right that the others should share the excitement of the exploration. I then moved to the left side, in a collapse area with the odd fissure from which hung curtains of roots. At last, the other, stronger lights arrived, and the space showed itself for what it was: a collapse chamber, 15 metres wide and 20 metres long, with several concretion zones. Before dedicating ourselves to surveys and photos, we tried to see where the cave might continue. The lack of any air flow and the smell of decomposing leaves did not bode well and, indeed, after a descending into a short, narrow shaft, I found a side chamber with a still-damp mud floor. I painstakingly scrutinised every crack and recess, in the hope of picking up even a faint breath of air, but there was nothing at all. It all seemed blocked. Mud and vegetation had inexorably sealed this cave, the final section of which becomes flooded when the water overflows, before draining away slowly through narrow openings. Having completed the survey and taken photographs, we left and focused on finding any other entrances. In the meantime, our Philippine guides had identified a deep cleft under the steep walls that delineate the suspended valley to the NE. Here we needed ropes and harnesses, and thanks to some natural anchorage we managed to descend to the bottom of what revealed itself to be nothing more than a 20 metre-deep crack: here, too, there was no obvious way to go. Ideally, we would have carried out reconnaissance in the upper part of the suspended valley, to the north, but there was little time and the sky was already announcing the inevitable afternoon downpour. There was no option, we had to get back to camp, before the rains made the precipitous route too slippery. The return to camp was not the happiest of experiences. We had got our hopes up about those entrances we had found up there, on this magic mountain, thousands of kilometres from home, but which we had been obsessing over for many years. These are the rules of the game: access points to the underground world are few and far between, and only patience and determination will allow you to find new ones. The first drips landed on us in what was, luckily, easier terrain. From here to the camp, the track was well beaten, and there was little chance of going wrong. I stayed behind to study a number of rocky clefts on the way back, letting the others go on ahead, and I pondered whether it was worth heading back up there to look for other entrances, while the rain – now heavy – ran over me, soaking me to the skin. It was raining on my shoulders and on my thoughts, washing away the disappointment, while I mentally shifted the image of those sinkholes from the “file” of caves to be investigated further to that of explored caves. We certainly could not claim that we had had a good look at the upper parts of that mountain, but perhaps we should have concentrated our efforts on the caves we knew or inspected the areas lower down, where there may have been the relics of ancient tunnels that were just waiting to be explored – but for the moment they remained just pipe dreams.


Grotte di carta

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GAETANO BOLDRINI Il 7 gennaio del 1929 compaiono le prime strisce di Tarzan e Buck Roger che inaugurano il filone del fumetto d’avventura. 5 anni dopo, il 7 gennaio del ‘34, il disegnatore Alexander Gillespie Raymond in una pagina a colori del New York American Journal vara un nuovo personaggio, Flash Gordon. Il primo quadro presenta un ritaglio di giornale: “La fine del mondo! Un misterioso pianeta precipita verso la terra. Solo un miracolo può salvarci.” Inizia così quella che diventerà una delle saghe a fumetti più famosa della storia. Talmente famosa che già nel 1936 viene creata una prima serie di film in tredici episodi, seguita da una seconda di quindici nel 1938 e da una terza di dodici nel 1939. Nel 1935, inoltre, aveva preso l’avvio un programma radiofonico che proseguì ininterrottamente anche durante la seconda guerra mondiale con una grossa operazione di merchandising di figurine su Gordon. Nel 1995 le tavole vengono incluse in una serie commemorativa di francobolli statunitensi (Comic Strip Classic). In Italia compare per la prima volta sull’Avventuroso di Nerbini il 24 ottobre del 1934, ovviamente con i nomi italianizzati e le donne debitamente censurate con ritocchi agli abiti, come la migliore tradizione fascista impone. Molto brevemente la storia: il misterioso pianeta Mongo sta per entrare in collisione con la Terra. Il dott. Zarkov costruisce un’astronave: con Gordon, laureato a Yale e giocatore di polo di fama mondiale, e la sua fidanzata Dale Arden, è deciso a schiantarsi su di esso per deviarne la traiettoria. In realtà all’ultimo momento ci ripensa e l’astronave atterra sul pianeta, scoprendo che è abitato da creature bizzarre e da vari popoli: alcuni tecnologicamente avanzati, altri più o meno selvaggi. Uomini falco, uomini leone, uomini scimmia, uomini squalo, uomini lucertola, selvaggi delle caverne e nani delle foreste, uomini magici e uomini di fuoco: tutti sottomessi dal perfido e crudele imperatore Ming. I tre terrestri incontrano il principe Barin, legittimo pretendente al trono di Mongo, che è stato bandito insieme ai suoi seguaci e confinato nel reame boscoso di Arboria. Gordon, Zarkov e Dale decidono di unirsi al Principe e di cercare l’alleanza degli altri popoli per riconquistare il trono. Gordon diventa così l’eroe archetipo del folclore e della leggenda, difensore dei deboli e degli oppressi, garante di giustizia e libertà. In F. G. si evidenziano tre temi fondamentali: 1) La scoper-

On 7 January, 1929, the first Tarzan and Buck Rogers comic strips appeared, inaugurating the genre of the adventure comic. Five years later, on 7 January, 1934, on a colour page of the New York American Journal, the cartoonist Alex Raymond invented a new character: Flash Gordon. The first panel features a newspaper clipping: “World coming to end! Strange new planet rushing toward Earth – only miracle can save us.” Thus began what would become one of the most famous cartoon sagas of them all – so famous, in fact, that as early as 1936 it was turned into a 13-episode film series, followed by a second of 15 episodes in 1938 and a third of 12 in 1939. Moreover, in 1935, an associated radio series began, which was to continue throughout the Second World War and went to great lengths to sell merchandising, especially action figures. In 1995, Flash Gordon was immortalised in the Comic Strip Classic series of commemorative stamps in the US. In Italy, the strip appeared for the first time in Nerbini’s L’Avventuroso on 24 October, 1934, with the names Italianised, of course, and the women’s clothes re-touched to align them with the finest Fascist tradition. A potted history: the mysterious planet Mongo is about to collide with the Earth. Dr Zarkov builds a spaceship: with Gordon, a Yale graduate and world-famous polo player, and Gordon’s fiancée Dale Arden, he decides to slam into it to deviate its trajectory. At the last minute, he has a re-think and the spaceship lands on the planet. They discover that it is inhabited by bizarre creatures and peoples of various types: some technologically advanced, others more or less wild. Hawk men, lion men, monkey men, shark men, lizard men, wild cavemen and forest dwarves, magic men and fire men – all subjects of the perfidious and cruel Ming the Merciless. The three earthlings meet Prince Barin, the legitimate pretender to the throne of Mongo, who has been outlawed along with his followers and confined to the forest kingdom of Arboria. Gordon, Zarkov and Dale decide to team up with the Prince and to create an alliance with the other peoples in order to reclaim the throne. Flash becomes the archetypal hero of folklore and legend, defender of the weak and the oppressed, guarantor of justice and freedom. Three main themes come across in Flash Gordon: 1) the discovery of new, strange worlds, with clear references to science fiction, particularly that of Edgar Rice Burroughs; 2) the saviour who comes from another planet; and 3) the conflict

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ta di mondi nuovi e strani. Chiaro rimando alla fantascienza con ovvi riferimenti a Edgar Rice Burroughs. 2) Il salvatore che viene da un altro pianeta. 3) Il conflitto tra l’eroe a tutto tondo e i poteri del male impersonificati da Ming. Paesaggi fantastici, creature mostruose e macchine fantascientifiche fanno sognare mondi esotici e ai confini dell’immaginazione a milioni di lettori. Le avventure si sviluppano senza un progetto prestabilito. La trama non è lineare e non ha uno sviluppo regolare. In ogni puntata accade qualcosa, i rapimenti frequenti di Dale Arden a opera degli scagnozzi di Ming, le prove mortali impossibili da superare, la minaccia di generici mostri mangia uomini sono tra gli espedienti classici di Raymond che obbligano i protagonisti a proseguire nei loro viaggi e a tenere i lettori in ansia, in attesa della prossima uscita. Pian piano la fantascienza e il fantasy si fondono e le tavole di A. R. si riempiono di duelli all’arma bianca, spara-

between the all-round hero and the powers of evil personified by Ming. Fantastical landscapes, monstrous creatures and sci-fi machines came together to make millions of readers dream of exotic worlds at the edge of the imagination. The adventures developed without a pre-set plan. The plots were not linear and would meander in all directions. Something happened in every episode, whether it was the frequent kidnapping of Dale by Ming’s henchmen, the impossible odds to be overcome, the threat from generic, man-eating monsters – these were just some of Raymond’s classic expedients that required the characters to continue on their journeys and, in the process, to keep readers on the edge of their seats, waiting for the next issue. Gradually, science fiction and fantasy became fused, and Raymond’s panels came to be filled with knife fights, laser-pistol shootouts, cavalry charges, magic and spaceships.


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torie con pistole a raggi laser, cariche di cavalleria, magia e astronavi. In questa variegata ambientazione la frequentazione di F. G. e dei suoi amici delle grotte è ovviamente scontata. Nei quindici anni in cui Raymond disegna le sue tavole, le grotte sono protagoniste nell’immaginario collettivo in molte occasioni. Troppo lungo e complicato in questa sede spiegare dettagliatamente quando, quante volte e perché il nostro eroe si addentra nelle viscere della terra. Il 18 febbraio del 1934 compare per la prima volta nelle tavole di F. G. una grotta, disegnata in maniera stilizzata quasi come fosse una quinta di un palcoscenico. Gordon e il principe Thun degli uomini Leone stanno percorrendo un tunnel naturale che conduce all’interno del palazzo. L’incontro con il mostro di turno è inevitabile. Passa più di un anno e il 17 marzo del 35 e per qualche altra domenica Raymond disegna il selvaggio e proibito regno delle caverne di Kiracon con uno stile molto più accurato, in cui si susseguono lotte contro uomini lucertola e altre fantastiche creature. Man mano che gli anni passano sia la trama sia il disegno si svilupperanno notevolmente assumendo una plasticità e un dinamismo inarrivabile, un complesso intreccio di spazi e volumi dove nessun segno è di troppo. I disegni delle grotte del periodo più maturo ne sono un chiaro esempio. Raymond arriva addirittura a immaginare un episodio che si sviluppa in una grotta di ghiaccio anticipando di svariati anni il tema della glaciospeleologia. Raymond disegnerà le tavole di F. G. sino al 1944 quando si arruola nei marines col grado di capitano. Flash Gordon continuerà a essere disegnato da artisti diversi e pubblicato per altri ventisei anni.

paper caves

Against these ever-changing backdrops, the appearance of Flash Gordon and his friends in caves was, naturally, taken for granted. Over the 15 years in which Raymond drew his panels, the caves were protagonists of the collective imagination on numerous occasions. There is no time here to explain in detail when, how many times and why our hero enters the bowels of the Earth. It was on 18 February, 1934, that a cave was to be seen for the first time in the comic strip, drawn in a stylised manner almost as if it were a stage set. Flash and Prince Thun of the lion men are making their way through a natural tunnel that leads to the interior of the palace. A meeting with some sort of monster is inevitable. More than a year passed, and on 17 March, 1935, and for a few more Sundays, Raymond drew the wild, forbidden kingdom of Kira, the cave world of Mongo, using a much more realistic style, with our heroes battling against lizard men and other outlandish creatures. As the years passed, the plots developed, as did the drawing style, taking on a plasticity and an unrivalled dynamism, marked out by a complex interweaving of spaces and volumes rich in detail. The illustrations of the caves from that later period are a clear example of this. Raymond even came up with an episode that takes place in an ice cave, anticipating by many years the subject of glaciospeleology. Raymond would continue drawing the panels for Flash Gordon until 1944, when the enrolled in the marines as a captain. The comic strip would carry on being drawn by various artists and published for another 26 years.

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Monte Kronio

Sciacca Monte Kronio, l’astronauta L. Parmitano con il team di Flyability sta facendo volare il drone nella Grotta Cucchiara Sciacca, Mount Kronio, the astronaut L. Parmitano, with the Flyability team, flies the drone in the Cucchiara cave


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CAVES X1 CAVES X1 Luca Parmitano Stiamo arrivando finalmente a Sciacca. Il ritardo del volo che da Mosca mi ha portato a Roma e poi a Palermo non è riuscito a smorzare l’entusiasmo e l’emozione che provo al pensiero di entrare in grotta, domani. Una grotta molto particolare, dove faremo cose altrettanto originali.

We are finally reaching Sciacca. The delayed flight that has brought me from Moscow to Rome and then to Palermo has failed to dampen the enthusiasm and excitement that I feel about entering the cave tomorrow. It is a very special cave, where we will do some very original things.

Giorno 1: la grotta Cucchiara

Day 1: the Cucchiara Cave The various safety briefings and the quick recap on the use of the equipment keep us busy all morning. We head by car towards the mouth of the Grotta Cucchiara, our objective; each of us takes what we will need – overalls, helmet, equipment and water, plenty of water. Inside, we will find temperatures of up to 38°C and almost 100% humidity. In these conditions, the heat exchange required to regulate the body temperature is extremely difficult to achieve: sweating – no matter how much of it you do – is almost entirely ineffective, and you need to stay hydrated by drinking constantly. I’ve got four litres of water with me, two of which have got added mineral salts. The weight of the bottles is almost comforting, given that I don’t know what to expect. All caves have their own breath, which differs from one part to the next, and which is amplified in the narrow passages – here, we come across one such passage almost immediately, and the Venturi effect creates a violent exhalation. To stop the whirlwind of dust from blinding me, I have to close my eyes. In an instant, though, the breathing changes, it abates and I get a sense of the temperature. I find myself immersed in another world: warm, damp, dark, ancestral.

Sciacca Monte Kronio, briefing prima di entrare in grotta / Sciacca, Mount Kronio, briefing before entering the cave

I vari briefing di sicurezza e il veloce ‘ripasso’ sull’utilizzo degli attrezzi ci hanno impegnato per tutta la mattina. Ci spostiamo in macchina verso la bocca d’ingresso della Grotta Cucchiara, il nostro obiettivo; ognuno di noi porta con sé il materiale di cui avrà bisogno: la tuta, il casco, l’attrezzatura, e acqua, tanta acqua. All’interno incontreremo temperature fino a 38°C e un’umidità prossima al 100%. In queste condizioni lo scambio termico necessario per regolare la temperatura corporea è estremamente difficile: la sudorazione – per quanto elevata – è quasi del tutto inefficace, ed è necessario mantenersi idratati bevendo in continuazione. Ho con me circa 4 litri di acqua, due dei quali con sali minerali aggiuntivi; ma il peso delle bottiglie è quasi un conforto, non sapendo bene quel che mi aspetta. Tutte le grotte hanno un loro respiro, diverso da un ambiente all’altro, che è amplificato nei passaggi stretti: qui se ne incontra uno quasi subito e l’effetto Venturi crea un soffio violento. Per evitare che il turbinio di polvere mi accechi sono costretto a chiudere gli occhi. Un istante, però, quel respiro cambia, si affievolisce e soprattutto lascia percepire la temperatura. Mi trovo immerso in un altro mondo: caldo, umido, buio, ancestrale. In questa parte della grotta, chiamata delle “quattro stagioni”, il flusso d’aria calda proveniente dall’interno e quella

Sciacca Monte Kronio, discesa in un pozzo nella Grotta Cucchiara Sciacca, Mount Kronio, descent into a shaft in the Cucchiara cave


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fredda aspirata dall’esterno creano un microclima variegato, in cui basta spostarsi di qualche metro per avvertire grandi sbalzi di temperatura. Le condizioni fuori dal comune ne fanno un ambiente particolarmente interessante dal punto di vista scientifico, ed è il motivo per cui passiamo circa un’ora a campionare, raccogliendo incrostazioni cristallizzate dalle pareti e dal soffitto e campioni di atmosfera.

Campionamenti nella Grotta Cucchiara Sampling in the Cucchiara Cave

I colori sono sorprendenti: giallo, rosa, amaranto, rosso. Tutto è ricoperto da milioni di minuscole goccioline di condensa, che illuminate dalle nostre luci diventano un velo argentato. Il caldo è asfissiante: in alcune delle ramificazioni non c’è alcun movimento d’aria e il corpo non riesce ad autoregolare la temperatura. L’acqua, che bevo copiosamente a brevi intervalli, dà pochissimo sollievo. Ci spostiamo in un altro ambiente, chiamato “le croste”: degli enormi lastroni di pietra sono interamente ricoperti da strati di cristallizzazioni bianchissime, dalle forme vagamente sferiche che riflettono la luce. Anche qui raccogliamo alcuni campioni e misuriamo i valori atmosferici: la distanza tra pavimento e soffitto è di soli 70 centimetri, ma la differenza di temperatura è di 10° C! Sono passate circa due ore dal nostro ingresso e abbiamo percorso solo poche centinaia di metri, ma ho la sensazione che il mondo esterno sia lontanissimo. Il mio corpo è affaticato come se avessi percorso chilometri di distanza. Ricominciamo la discesa verso la parte più difficile della grotta: uno stretto pozzo di circa 10 metri da scendere su corda. So bene che la facilità con cui scendo è inversamente proporzionale alla difficoltà che avrò di risalita, ma per ora cerco di concentrarmi su dove poggiare i piedi: il fondo del pozzo è molto inclinato e ciò complica un po’ l’arrivo. Nonostante la gravità sia a mio favore, sento il battito cardiaco elevato e il sudore che mi ricopre il corpo; grosse gocce mi cadono davanti agli occhi: di nuovo, la temperatura e l’umidità aumentano. La luce del mio casco si sparge, soffusa e appannata, quasi assorbita dall’altissimo livello di umidità che ci circonda. Il livello di anidride carbonica qui è superiore rispetto alla superficie, e so per esperienza che uno dei sintomi è la sensazione di ‘fame di aria’. In orbita, sull’ISS, a volte succedeva, se gli ‘scrubber’ di CO2 non riuscivano a eliminare l’anidride carbonica in eccesso. Ma qui è molto peggiore: anche la

In this part of what is known as the “four seasons” cave, the warm air flow coming from the interior and that cold air flow blowing from the outside create a varied microclimate, in which you just have to move a few metres either way to notice major temperature changes. The extraordinary conditions make it a particularly interesting environment in scientific terms, and this is why we spend an hour taking samples, collecting crystallised incrustations from the walls and ceilings, and sampling the atmosphere. The colours are surprising: yellow, pink, amaranth, red. Everything is covered by millions of miniscule droplets of condensation, which when illuminated by our lights turn into a silvery veil. The heat is asphyxiating: in some of the branches, there is no air movement at all, and the body cannot regulate its own temperature. The water, which I’m drinking copiously at short intervals, provides very little relief. We move into another chamber, called “the crusts”: enormous slabs of stone are entirely covered by layers of super-white crystallisations, with vaguely spherical shapes that reflect the light. Here, too, we take a number of samples and measure the atmospheric values: the distance from floor to ceiling is just 70 centimetres, but the temperature difference is 10°C! Around two hours have passed since we entered and we’ve only covered a few hundred metres, but it feels like the world outside is very far away. My body feels as if I have been on the go for miles. We begin once more our descent into the most difficult part of the cave: a narrow shaft around 10 metres deep that we descend into by rope. I realise that the ease with which I descend is inversely proportionate to the difficulty I will have coming back up again, but for the moment I try to focus on where to put my feet: the bottom of the shaft is on a steep incline, and this makes it a little more difficult for me to reach. Although gravity is on my side, I feel my increased heartbeat and my body is covered in sweat – large drops fall into my eyes, and once again the temperature and humidity are on the rise. The light from my head torch spreads across the space, soft and blurry, almost absorbed by the high level of humidity that surrounds us. The carbon dioxide level here is higher than on the surface, and I know from experience that one of the symptoms is the feeling of “air hunger”. In orbit, on the ISS, this would happen on occasion, when the CO2 scrubbers failed to eliminate the excess carbon dioxide. But here it’s much worse: the

Discesa in in un pozzo nella Grotta Cucchiara Descent into in a shaft in the Cucchiara cave


temperatura è elevata, abbastanza da rendere il respiro affannato anche senza fare sforzo, lasciandoci a boccheggiare completamente grondanti di sudore. Avvisto un enorme ‘finestrone’ di fronte a me, che incornicia il nero vuoto di un abisso ancora invisibile: un gigantesco pozzo si estende sia verso l’alto sia verso il basso. Il soffitto del pozzo Trieste (così chiamato in onore dei primi esploratori che l’hanno affrontato e misurato) è 60 metri sopra di noi, mentre il fondo è a circa 50 metri. Mi avvicino al finestrone, dove la temperatura s’innalza rapidamente, e accendo il fascio di luce più potente: stavolta a togliermi il fiato è lo spettacolo davanti ai miei occhi… la parete di fronte è solo parzialmente visibile, a varie decine di metri di distanza. Le dimensioni sono già impressionanti, ma quando sollevo lo sguardo verso l’alto resto pietrificato dallo stupore, mentre nel contempo un sorriso di sorpresa si disegna sul mio volto: all’interno del pozzo il microclima ha creato una gigantesca nuvola, talmente satura di vapore acqueo da trasformarsi in pioggia. Il mio cervello fatica a credere ai miei occhi: sono sottoterra, nel ventre di una montagna – a metri e metri di profondità – e sto osservando una nuvola, la cui pioggia cade continuamente verso il fondo. Sistemiamo vari strumenti nei dintorni del finestrone, ma ormai non abbiamo moltissimo tempo: dobbiamo risalire. Adesso si viaggia in salita, e la fatica delle ultime ore sembra accumularsi in un attimo nei miei muscoli e polmoni. Ogni sforzo sembra amplificarsi, ogni respiro richiede impegno e concentrazione. Quando è il momento di risalire il pozzo da 10 metri misuro la sfida che mi aspetta: sono passati tre anni dall’ultima volta che ho utilizzato quest’attrezzatura, la mia tecnica sarà molto goffa. Comincio a pedalare e sento il sudore imperlarmi immediatamente la fronte, e rivoli che mi scorrono lungo la schiena. Il caldo è infernale, il mio cuore sembra impazzito nel vano tentativo di raffreddare il corpo: ma non c’è scambio termico, è del tutto inutile. A poco a poco, lentamente, in un tempo che sembra dilatarsi nel buio, arrivo in cima al pozzo. Osservo i miei compagni: tutti hanno tirato giù la tuta fino alla vita, per facilitare la ventilazione, io no. L’inesperienza, e la mancanza di acclimatazione, mi hanno giocato un pessimo scherzo. Tirandomi a fatica fuori dal pozzo, mi sdraio per riprendere fiato e forza; subito i compagni mi porgono acqua: ne bevo una bottiglia intera in pochi, voraci sorsi. Con l’aiuto dei compagni tolgo l’imbragatura, e finalmente anch’io posso abbassare la tuta. La maglia che indosso sotto, per quanto leggerissima, è completamente bagnata; sento un movimento d’aria appena percepibile, quasi un alito – ma il senso di refrigerio è immediato. Il cuore comincia a rallentare la sua corsa frenetica, ma devo aspettare parecchi minuti prima di potermi muovere. Da qui in poi, nonostante gli sbalzi di temperatura, tutto è più semplice. Le gallerie sono molto più ventilate: la strada sembra più breve poiché riconosco gli ambienti che abbiamo attraversato solo poche ore fa. In poche decine di minuti ci ritroviamo alla strettoia d’ingresso, con il vento che adesso sembra gelido, incollando violentemente alla pelle i nostri abiti completamente bagnati. Giorno 2: test con il Drone Esploratore So già che la giornata di oggi sarà molto più semplice. Se non altro perché so cosa mi aspetta, e in un certo senso sono già acclimatato: ma soprattutto perché ho deciso che farò tutta l’escursione con la tuta speleo a mezza vita.

temperature is high, too – so much so as to make our breathing laboured even without expending any effort, leaving us panting and completely dripping in sweat. I notice an immense “window” ahead of me, which frames the black void of a still-invisible abyss: a gigantic shaft extends both upwards and downwards. The ceiling of the shaft, called “Trieste” in honour of the first explorers who entered and measured it, is 60 metres above us, while the bottom is around 50 metres below. I approach the window, where the temperature rises rapidly, and I turn on the strongest beam: what takes my breath away this time is the spectacle that appears before my eyes…the wall opposite is only partially visible, several dozen metres away. The dimensions are impressive, but when I look upwards I am petrified, while at the same time a smile of surprise appears on my face: within the shaft, the microclimate has created a huge cloud, so saturated with water vapour that it has been transformed into rain. My brain struggles to believe what my eyes are telling it: I am underground, many metres down in the belly of a mountain, and I am looking at a cloud, from which rain is falling continuously. We set up various instruments around the window, but now there is not much time left, we have to head back up. Now we are moving upwards, and the strain of the last few hours seems to take only seconds to accumulate in my muscles and lungs. Every exertion seems to be amplified, every breath takes commitment and concentration. When the time comes to climb back up the 10-metre shaft, I take stock of the challenge that awaits me: it’s been three years since I last used this equipment, and I’m sure I’ll be pretty rusty. I start pedalling and I feel beads of sweat emerging immediately on my forehead, and rivulets running down my back. The heat is hellish, my heart seems to have gone crazy in a vain attempt to keep my body cool – there is no heat exchange, it is utterly useless. Slowly, a little at a time, in what – in the darkness – feels like slow motion, I reach the top of the shaft. I look at my companions: all of them have pulled their overalls down to their waists, to facilitate ventilation, but I haven’t done so. Inexperience, and the lack of acclimatisation, have played a bad joke on me. As I haul myself with difficulty out of the shaft, I lie on my back to get my breath and recover; my companions proffer me water straight away, and I drink a whole bottle in a few, voracious sips. With the help of the others, I remove my harness, and finally I, too, can lower my overalls. The sweater I have on underneath, although very lightweight, is completely

Il team di Flyability prova il drone The Flyability team, tries out the drone

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La prima tappa è una zona della grotta che non abbiamo ancora visitato, chiamata ‘Galleria dei pipistrelli’ in onore di una grossa colonia. Per giungere alla galleria, dove Marco ed io faremo dei campionamenti, bisogna scendere fino alla quota del pozzo Trieste per poi seguire una diramazione. Nella galleria il terreno è completamente ricoperto di guano: Marco mi spiega che l’interazione di materia organica con la roccia del pavimento e delle pareti è solo parzialmente studiata, e il nostro scopo è campionare alcuni dei cristalli che incrostano l’ambiente intorno a noi. La presenza dei pipistrelli, oltre che dall’odore pungente del guano, ricco di nitrati, è percepibile anche con l’udito: li sento comunicare, con squittii modulati, complessi, che echeggiano da una galleria all’altra. Qui la temperatura è molto più bassa rispetto al pozzo, e il campionamento procede agevolmente. Ci spostiamo poi verso il finestrone sul pozzo Trieste. L’umidità e il caldo sono qui un’entità tangibile: è come essere inghiottiti da una creatura aliena, come in un vecchio film di fantascienza. Stiamo per cominciare la sperimentazione di un nuovo sistema di esplorazione e la mia curiosità è grande. Circa un’ora dopo il nostro ingresso in grotta, infatti, una seconda squadra ha scortato due ingegneri, un francese e un italiano, parte di un team di quattro giovani

Sciacca Monte Kronio, L. Parmitano con il drone di Flyability nella Grotta Cucchiara Sciacca Mount Kronio Astronaut L. Parmitano with the Flyability drone in the Cucchiara Cave.

Campionamenti nella Grotta Cucchiara Sampling in the Cucchiara Cave

wet through; I feel an almost imperceptible movement of air, the slightest breeze, but I start to cool down straight away. My heart slowly stops beating quite so frenetically, and I have to wait several minutes before I can move. From now on, despite the temperature shifts, everything will be simpler. The galleries are much more ventilated: the road seems shorter because I recognise the chambers that we went through just a few hours ago. In less than an hour, we find ourselves at the bottleneck of the entrance, with the wind that now seems icy, glueing our soaked clothes violently to our skin. Day 2: test with the Explorer Drone I already know that today will be much easier, if only because I know what to expect, and in a certain sense I am acclimatised, but above all because I have decided that I will go on the excursion with the overalls pulled down to my waist. The first stop is an area of the cave that we have not yet visited, called the “bat gallery” due to the large colony. To reach the gallery, where Marco and I will take some samples, we have to descend to the level of the Trieste shaft before following one of the branches. In the gallery, the ground is completely covered in guano. Marco explains to me that the interaction of organic material with the rock of the floor and the walls has only been partially studied, and our objective is to take samples of some of the crystals that encrust the space around us. Aside from the pungent odour of their nitrate-rich guano, the presence of bats can be perceived by listening: I can hear them communicate, with complex, modulated squeaks, which echo from one gallery to another. Here, the temperature is very low with respect to the shaft, and the sampling proceeds easily. We then move towards the window over the Trieste shaft. Here, the heat and the humidity are a tangible entity: it is like being swallowed by an alien creature in some old science-fiction film. We are about to start experimenting with a new system of exploration, and I’m very curious to see what will happen. Around an hour after entering the cave, a second squad comes in to escort two engineers, one French and one Italian – part of a team of four young, enterprising inventors working on the Flyability project. At the centre of the system where we are going to conduct experiments, there is a drone (called Elios) modified with an external cage to protect it. It is controlled via a remote-control unit, two monitors and a video camera with various sensors: the idea is to use it to reach the wall and the farthest reaches of the Trieste shaft, and to explore galleries (continuations) that are currently unknown.


intraprendenti, inventori del progetto Flyability. Al centro del sistema che andremo a sperimentare c’è un drone, un quadricottero (chiamato Elios) modificato con una gabbia di protezione all’esterno. È controllato remotamente attraverso un radiocomando, due monitor e una telecamera con diversi sensori: l’idea è di utilizzarlo per raggiungere la parete e le parti più lontane del pozzo Trieste, ed esplorare gallerie (prosecuzioni) al momento ancora sconosciute. I risultati sono immediati: nonostante l’umidità e il calore, il quadricottero si comporta perfettamente, e le sue telecamere ci offrono immagini di ottima qualità. Grazie al sensore a infrarossi siamo in grado di individuare due aperture, di cui una molto grande, dalla quale sembra provenire l’aria caldissima che riempie il pozzo: una scoperta molto importante, ottenuta con una tecnologia mai utilizzata in questo campo. Non resisto, e chiedo ai due ingegneri se posso provare a pilotare il drone: nonostante non abbia alcuna esperienza in campo, sono sicuro che il mio background da test pilot verrà in soccorso; inoltre vorrei poter dare un feedback al team di Flyability. I due giovani mi danno una breve checklist dei comandi di volo e in pochi minuti mi accingo anch’io a far volare Elios. La mia idea è di fare delle manovre molto semplici, per non rischiare di perdere il drone. Lo porto in volo orizzontale a qualche decina di metri da me, alla stessa quota, per poi iniziare una lenta discesa verso il fondo del pozzo: voglio provare a farlo atterrare, per poi far girare la telecamera a 360 gradi. Quando i fari illuminano il terreno sottostante, capisco che l’atterraggio sarà più complicato di quello che pensavo, perché il terreno è sconnesso, pieno di sassi dalle dimensioni più varie, e con pochissimo spazio per poggiare il drone. Infatti riesco a poggiarlo solo al terzo tentativo. Adesso le luci LED del drone illuminano il fondo molto meglio di quanto non fossimo riusciti a fare noi con i nostri fari. Un paesaggio quasi lunare, pietre grigie, crollate dal soffitto; ma a differenziare quest’ambiente da quello della Luna è la pioggia costante che continua a cadere. Terminate le ispezioni col drone finisce anche la nostra spedizione; a metà pomeriggio siamo di nuovo in superficie, a rinfrescarci con la brezza che scende lungo i fianchi della montagna, riversandosi nel mare. Finalmente posso rilassarmi. Osservo Cesco, e mi chiedo come fa il suo indomabile spirito di esploratore ad accettare che non conoscerà mai tutti i misteri racchiusi in quella montagna. Perché per quante siano le domande alle quali riusciamo a dare una risposta, quelle che sorgono come conseguenza sono esponenzialmente più numerose. Mi dico che è la natura della Scienza, e che devo accontentarmi di poter dare un contributo. Mi dico anche che l’esplorazione non avrà mai fine, e che questo è un bene, perché in fondo vorrei non smettere mai di farmi domande, di sentire il canto delle sirene che mi attira verso l’ignoto. E come dice l’umile marinaio di Ulisse, nelle parole del grande cantautore Lucio Dalla: “Anche la paura, in fondo, mi dà sempre un gusto strano: se ci fosse ancora mondo, sono pronto. Dove andiamo?”

The results are immediate: despite the heat and the humidity, the drone behaves perfectly, and its video cameras offer us images of excellent quality. Thanks to the infra-red sensor, we can make out two openings, one of which is very large, which seems to be the source of the very hot air that fills the shaft. This is a very important discovery, achieved with technology that has never been used before in this field. I cannot resist the temptation, and I ask the two engineers if I can have a go at piloting the drone: although it’s the first time I’ve ever done so for real, I’m sure that my background as a test pilot will come in handy;

Il drone di Flyability in volo nella Grotta Cucchiara The Flyability drone in flight in the Cucchiara Cave

moreover, I’d like to give some feedback to the Flyability team. The two youngsters run me through the flight controls and in a matter of minutes I’m getting ready to pilot Elios. My idea is to make some very simple manoeuvres, so as not to risk losing the drone. I fly it horizontally a few dozen metres away, at a steady height, and then I start a slow descent towards the bottom of the shaft: I want to try to get it to land, so that I can then spin the video camera through 360 degrees. When the headlights come on to light up the ground below, I realise that the landing will be more complicated than I thought, because the ground is broken up, full of different sized stones, and there is very little space in which to rest the drone. Indeed, it takes me three attempts to get it to land. Now the drone’s LED lights are illuminating the bottom far better than we had managed to do with our torches. An almost lunar landscape, grey stones that have fallen from the ceiling; but what differentiates this environment from the Moon is the constant rain that keeps on falling. Having completed the inspections with the drone, our expedition comes to an end. By mid-afternoon, we are once again on the surface, refreshing ourselves with the breeze that comes down along the sides of the mountain, blowing out to sea. At last I can relax. I see Cesco, and I ask myself how his indomitable explorer’s spirit can come to terms with the fact that he will never know all of the mysteries enclosed in that mountain. Because no matter how many questions we can answer, the number of questions that are generated as a consequence is exponentially larger. I tell myself that this is the nature of science, and that I should be content to make a contribution. I tell myself that exploration will never end, and that this is a good thing, because in the end I would never want to stop asking myself questions, or stop hearing the song of the sirens that attracts me to the unknown. And as that humble mariner Ulysses puts it, in the words of the great singer-songwriter Lucio Dalla: “Even fear, in the end, always has a strange taste: if there was another world, I’d be ready. Where are we going?”

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Dolomiti

Uno scatto realizzato con il drone poco prima del tramonto. A shot made with the drone just before sunset.


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Il progetto “Cenote”, nel cuore delle Dolomiti: un sogno che diventa realtà The “Cenote” project, in the heart of the Dolomites: a dream that cames true Tommaso Santagata, Francesco Sauro Ci sono luoghi che riescono a trasmettere un fascino particolare, dovuto non solo alla loro naturale e impressionante bellezza estetica, ma anche alle circostanze che ce li hanno rivelati e alle avventure che hanno accompagnato la loro esplorazione. L’Abisso del Cenote in Dolomiti è proprio uno di questi: una profonda voragine che si sviluppa in ghiaccio e roccia per una profondità di quasi 300 metri, venuto alla luce in seguito allo svuotamento naturale di un lago a quota 2940 m s.l.m. tra il Piz Conturines e Cima Lavarella, nel Parco di Fanes Sennes e Braises (Dolomiti Ampezzane). La scoperta avvenne nel 1994, durante una spedizione pianificata per esplorare il lago con tecniche speleosubacquee, che dovette rinunciare all’esplorazione proprio a causa di questo inatteso svuotamento. Da allora il Cenote è stato oggetto di diverse esplorazioni condotte principalmente dal Club Speleologico Proteo di Vicenza fino al 2010, anno in cui, unite le forze con il Gruppo Speleologico Padovano, viene sceso per la prima volta il pozzo di 160 m che porta fino ad una profondità di -280 m nel gigantesco salone Paolo Verico, in cui si trova il più grande glacionevaio ipogeo attualmente scoperto nelle Dolomiti. In seguito alla scoperta diventò subito chiara l’importanza scientifica di questo particolare ambiente e nell’ambito del progetto “Inside the Glaciers”, che opera su vari ghiacciai della Terra, venne deciso di organizzare un vero e proprio studio e monitoraggio con l’appoggio dell’associazione La Venta e del Gruppo Grotte Treviso. Purtroppo le difficili condizioni metereologiche durante svariati inverni, assieme alle complessità logistiche legate all’organizzazione di una spedizione scientifica di questo tipo, hanno impedito l’ac-

L’elicottero di EliFriulia appena partito dalla piazzola del rifugio Capanna Alpina, punto di partenza delle nostre spedizioni. The EliFriulia helicopter just take off from the platform of the Capanna Alpina shelter, the departure point for our expeditions

There are places that have a particular magnetism, due not only to their impressive natural beauty but also to the circumstances that have revealed them to us and to the adventures that have accompanied their exploration. The Abyss of Cenote in the Dolomites is, without doubt, one such place: a deep chasm of ice and rock that extends downwards to a depth of almost 300 metres, which came to light following the natural emptying out of a lake at an altitude of 2940 metres above sea level, between the Piz Conturines and Cima Lavarella, in the Fanes-Sennes-Braises Nature Park (Ampezzo Dolomites). The abyss was discovered in 1994, during an expedition intended to explore the lake using underwater speleological techniques, which had to be abandoned due to this unexpected drainage. Since then, the Cenote has been subject to various explorations, conducted mainly by the Vicenza-based Proteo Speleological Club (Club Speleologico Proteo), up until 2010; in that year, having united with the Paduan Speleological Group (Gruppo Speleologico Padovano), the Proteo group descended for the first time into the 160 m shaft, which leads down to a depth of 280 m in the enormous Paolo Verico chamber – home to the largest underground glacial snowfield thus far discovered in the Dolomites. Following the discovery, the scientific importance of this unusual environment was immediately recognised, and as part of the “Inside the Glaciers” project, which is concerned with various glaciers around the world, the decision was taken to organise an in-depth study and monitoring operation with the support of the La Venta association and the Treviso Cave Group (Gruppo Grotte Treviso). Unfortunately, the difficult meteorological conditions over several winters, together with the logistical complexities associated with organising a scientific expedition of this type, prevented access to the cave until the autumn of 2015, when an expedition was carried out that partially revealed the Verico chamber with a laser scanner (see Kur 22) and installed several dataloggers to start monitoring the temperature, humidity and pressure, with a view to downloading the data next year. It is now October 2016, and we find ourselves at the La Venta storage facility in Treviso, preparing the material, of which there is plenty, even though it is only a 4-day trip. The logistics are complex, since we have to set up two camps at an altitude of almost 3000 metres. At the Capanna Alpina shelter, we await the EliFriulia helicopter, which in a matter of minutes will transport the material and some of us to that sky-high altitude, amid the fantastic peaks of the Ampezzo Dolomites. A second group will focus on exploring the Spaccalegna Abyss, another cave that has features and depths similar to the Cenote but that is as yet undocumented. In the end, there are around


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cesso alla grotta fino all’autunno del 2015. In quell’anno viene organizzata una spedizione che rileva parzialmente il salone Verico con un laser scanner (vedi Kur 22) e installa dei datalogger per iniziare il monitoraggio di temperatura, umidità e pressione con l’obiettivo di scaricare i dati l’anno successivo. Nell’ottobre del 2016 ci ritroviamo dunque presso il magazzino La Venta a Treviso per preparare il materiale; non poco nonostante la spedizione sia di soli 4 giorni: ma la logistica è complessa dovendo allestire due campi a quasi 3000 metri di quota. Al rifugio Capanna Alpina attendiamo l’elicotteo di EliFriulia che in pochi minuti trasporta il materiale e alcuni di noi a tremila metri di quota, tra le fantastiche cime delle Dolomiti Ampezzane. Un secondo gruppo si dedicherà all’esplorazione dell’Abisso Spaccalegna, altra grotta con caratteristiche e profondità simili al Cenote, ma rimasta ancora non documentata. Alla fine siamo in circa 30 persone ad essere coinvolti nei due campi.

Il campo base a quasi 3000 m di quota sotto la cima del Piz Conturines poco prima di essere completamente avvolto dalle nuvole. The base camp at almost 3000 m above the Piz Conturines summit just before being completely enveloped by clouds

Le migliori condizioni meteorologiche rispetto al 2015 facilitano le operazioni logistiche e allestiamo il campo base a poche decine di metri dalla grande dolina di ingresso della grotta. Gli obiettivi di questa nuova spedizione sono il rilievo con laser scanner nelle parti alte dell’abisso fino ad una profondità di circa -140 m e la sostituzione dei datalogger per poter registrare nuovi dati, oltre a scaricare quelli precedenti. Inoltre, grazie alla partecipazione di Cristopher Spötl dell’Università di Innsbruck, intendiamo prelevare diversi campioni di ghiaccio per effettuare analisi isotopiche. A documentare il tutto ci accompagnano un video reporter della TV tedesca NDR assieme al giornalista di GEO Magazine Lars Abramov, seguito dal fotografo Robbie Shone: realizzeranno un documentario diviso in quattro episodi e un articolo per la prestigiosa rivista. Un altro obiettivo molto importante è la rimozione della piattaforma sospesa che era stata installata nel 2015 per effettuare la scansione del pozzo di 160 m: per farlo dobbiamo impegnare diverse persone in grotta per una giornata intera. Il completamento del rilievo con laser scanner delle parti alte dell’abisso, che si sviluppano prevalentemente nel ghiaccio, viene affidato ad uno strumento diverso rispetto al 2015: un laser che ci consenta di registrare un buon numero di misure anche sulle pareti ghiacciate. Grazie alla collaborazione con Farouk Kadded, tecnico di Leica Francia e alpinista del gruppo francese Spélé Icé, abbiamo a disposizione un laser scanner modello P40.

30 of us in the two camps. The better weather with respect to 2015 facilitates the logistical operations, and we set up camp just a few dozen metres from the large doline at the entrance to the cave.

Ogni sera nella tenda Campo Base passavamo qualche ora riscaldandoci e riempendo lo stomaco prima di pianificare le attività per il giorno successivo Every evening in the base camp tent we would spend hours warming ourselves up and filling our stomachs before planning the activities for the next day

The objectives of this new expedition are to survey the upper parts of the abyss with a laser scanner, down to a depth of around 140 m, and to replace the dataloggers in order to record new data, as well as downloading the previous data. In addition, thanks to the participation of Cristopher Spötl from the University of Innsbruck, we intend to take various ice samples to conduct isotopic analyses. Documenting it all will be a video reporter from Germany’s NDR channel, together with the GEO Magazine journalist Lars Abramov, followed by the photographer Robbie Shone, who will make a four-episode documentary and will write an article for the prestigious title. Another very important objective is to remove the suspended platform that had been installed in 2015 to carry out the scanning of the 160 m shaft: to do so takes several people an entire day. The completion of the laser-scanner surveying of the upper parts of the abys, which are contained for the most part within ice, is entrusted to a tool very different than that used in 2015: a laser that allows us to take a large number of measurements also on the iced walls. Thanks to the partnership with Farouk Kadded, a technician from Leica France and a mountaineer from the French Spelé Icé group, we also have a P40 laser scanner with us.

Grazie alle scansioni realizzate nel Tunnel del Vento abbiamo ottenuto un modello 3D di questa parte della grotta. Thanks to the scans taken in the Wind Tunnel, we put together a 3D model of this part of the cave


Riusciamo a realizzare 34 scansioni, partendo dall’ingresso esterno fino all’attacco del pozzo da 160 m e rilevando anche passaggi scavati all’interno dell’ammasso di ghiaccio: un lavoro che ci permetterà di ottenere una zona di sovrapposizione con le scansioni realizzate nel 2015 e quindi perfezionare un modello tridimensionale completo di quasi tutta la grotta. Quest’anno fortunatamente non dobbiamo installare piattaforme, ma è necessario posizionare lo strumento in prossimità di una grande lingua di ghiaccio sospesa nel vuoto, sopra il pozzo da 160 m, e si tratta di un lavoro per nulla facile.

Farouk Kadded, tecnico francese di Leica Geosystem, mentre si appresta ad eseguire l’ultima scansione dalla lingua di ghiaccio dopo una lunga serie di operazioni necessarie per posizionare il laser scanner Farouk Kadded, a French technician from Leica Geosystems, as he prepares to take the final scan of the ice tongue after the long series of operations required to position the laser scanner

Dobbiamo infatti fissare i tre piedi del cavalletto su viti da ghiaccio posizionate cercando di mantenere l’angolazione corretta per poter mettere lo strumento in bolla: operazione lunga e abbastanza delicata, soprattutto affacciati su un baratro immenso e oscuro. La stessa lingua glaciale è oggetto delle nostre misurazioni per determinarne le dimensioni e anche lo spessore: dati molto importanti che potranno essere utilizzati per stimarne l’evoluzione morfologica. Eseguiamo diverse attività anche in superficie, dove posizioniamo tre capisaldi fissi per acquisire misure con un GPS ad alta precisione, al fine di monitorare eventuali variazioni esterne della dolina di ingresso. Questi capisaldi sono stati fissati anche attraverso scansioni laser e rilievo fotogrammetrico eseguito con un drone: l’uso del mezzo aereo ci fornisce dati di tipo diverso, utili da poter confrontare e analizzare in futuro. Grazie ai dati ottenuti dal rilievo del salone Paolo Verico nel 2015 era stato possibile calcolare il volume e le dimensioni di questo enorme ambiente sotterraneo: più di 240.000 m3, con un’area alla base di 2.400 m2 e in alcuni punti alto più di 200 m. Ora possiamo completare il lavoro nelle parti più alte della grotta e in particolare del Tunnel del Vento: si tratta di una condotta orizzontale lunga circa 40 metri che collega la parte alta della grotta, prevalentemente a sviluppo verticale con salti da 20-30 metri, al grande pozzo di 160 m, dove ormai del ghiaccio resta solo la lingua sospesa nel vuoto di cui abbiamo parlato prima. Le scansioni in questo tratto orizzontale ci permettono di analizzare dettagliatamente le geometrie di questo ambiente. Il rilievo del Tunnel del Vento è particolarmente importan-

We manage to take 34 scans, starting from the external entrance and reaching all the way to the beginning of the 160 m shaft, also taking in passages carved within the ice mass: it is an endeavour that enables us to obtain an area of overlaying with the scans taken in 2015, and thus to piece together a complete 3D model of almost the entire cave. This year, luckily, we do not have to install platforms, but we do still need to position the device close to a large ice tongue suspended in the void, above the 160 m shaft, and this is no easy task. In the meantime, we have to fix the three legs of the tripod onto ice screws positioned in such a way as to maintain the correct angle to enable us to level the device: this is a drawn-out, delicate operation, particularly given that we are looking over an immense, dark chasm. We also measure the glacier tongue itself to determine its dimensions and its thickness: this data is very important, as it can be used to estimate the tongue’s morphological evolution. We also carry out various operations on the surface, where we site three fixed datum points to acquire measurements with a high-precision GPS, with a view to monitoring any variations outside the doline at the entrance. The decision on where to locate these datum points is taken with the help of laser scans and photogram surveys carried out with a drone: the use of the aerial device provides us with data of a different type, which can be analysed and compared in the future. Thanks to the data obtained from the survey of the Paolo Verico chamber in 2015, it had been possible to calculate the volume and the dimensions of this enormous underground environment: more than 240,000 m3, with at area at the base of 2,400 m2 and a height at certain points in excess of 200 m.

Una delle fasi di posizionamento del laser scanner nel tratto finale del Tunnel del Vento, sulla sommità di un pozzo da 30 m One of the phases of positioning the laser scanner in the final tract of the Wind Tunnel, on the summit of a 30 m shaft

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Il drone in volo sopra a quello che fino a pochi anni fa era conosciuto come il lago Conturines. The drone in flight above what until a few years ago was known as Lake Conturines

te poichè si tratta di una zona molto variabile morfologicamente a causa dello scorrimento di acque nei periodi estivi e delle forti correnti d’aria cui è sottoposta quasi perennemente: sarà quindi interessante riuscire a confrontare i dati di quest’anno con altri rilievi futuri per capire il trend evolutivo di tale massa glaciale. In questo tratto posizioniamo anche datalogger per monitorare temperatura e pressione atmosferica. Quattro giorni intensi e impegnativi, ma proficui. Tra 2015 e 2016 abbiamo rilevato più dell’85% della grotta e certamente tutte le parti più importanti. Possiamo quindi affermare di aver gettato delle solide basi per un lavoro di monitoraggio che potrà iniziare a dare importanti risultati scientifici nel giro dei prossimi 5-10 anni. E’ incredibile pensare che fino a pochi anni fa non avremmo neanche lontanamente immaginato di poter fare un lavoro simile in una grotta così complessa: un risultato ottenuto grazie alle nuove tecnologie ma anche alla collaborazione di molti speleologi che hanno permesso che questo sogno diventasse realtà.

Now we can complete the task in the upper parts of the cave, and in particular of the Wind Tunnel, which is a horizontal conduit measuring around 40 m in length that links the upper part of the cave – mostly vertical in its extension, with gaps of 20-30 metres – to the large 160 m shaft, where now all that is left of the ice is the tongue suspended in the void that we referred to earlier. The scans in this horizontal tract enable us to analyse in detail the geometry of this environment. The survey of the Wind Tunnel is particularly important because this area is very morphologically variable due to the flow of water in the summer and the strong air currents to which it is subject almost constantly: it will therefore be interesting to compare the data from this year with future surveys with a view to understanding the trend of this glacier mass. It is in this tract that we also site dataloggers to monitor temperature and atmospheric pressure. These have been four intense, challenging, but worthwhile days. In 2015 and 2016 we have surveyed more than 85% of the cave, and certainly covered all of the most important parts. We can, then, be confident that we have put down a solid foundation for a monitoring exercise that will start to give us important scientific results over the next 5-10 years. It is incredible to think that, until just a few years ago, we could not even begin to imagine that we would be able to carry out a task like this in such a complex cave: it is a result that has been achieved thanks to new technologies but also to the input of many speleologists, who have played their part in making this dream come true.

Storia della scoperta ed esplorazione dell’Abisso Cenote History of the discovery and exploration of the Abyss of Cenote Tommaso Santagata, Francesco Sauro Le prime esplorazioni nel Cenote delle Dolomiti iniziarono nell’estate del 1994, quando la dolina esterna di 16 m di lunghezza e 38 m di larghezza era un lago con grandi blocchi di ghiaccio galleggianti. A meno di due settimane da un primo sopralluogo, alcuni soci del Club Speleologico Proteo organizzarono una spedizione per esplorare le profondità del lago con tecniche speleosubacquee. Quando i primi componenti del gruppo arrivarono ad affacciarsi sul grande collasso trovarono però una brutta sorpresa: l’acqua era sparita, completamente inghiottita all’interno dell’abisso sottostante; probabilmente era saltato il “tappo” di ghiaccio che ne ostruiva il passaggio. Era chiaro a quel punto che le strategie per esplorare la grotta appena scoperta dovevano essere modificate e, per il fine settimana successivo, fu organizzata una spedizione speleologica che portò alla scoperta di un meraviglioso

The first explorations of the Abyss of Cenote in the Dolomites began in summer 1994, when the external doline (measuring 16 m long and 38 m wide) was a lake with large blocks of floating ice. Less than a fortnight after an initial inspection, a number of members of the Proteo Caving Club set out on an expedition to explore the depths of the lake using underwater speleological techniques. When the first members of the group arrived and saw the large collapse, they were greeted with a nasty surprise: the water had disappeared, completely swallowed up by the abyss below – the frost plug that blocked its passage had probably been forced out. It was clear at that point that the strategies for exploring the recently uncovered cave would have to be modified and, for the next weekend, a caving expedition was organised that would lead to the discovery of a wonderful underground system formed by vertical shafts and meanders carved out


of rock and ice. Also explored were a number of horizontal sistema sotterraneo formato da pozzi verticali e meanducts entirely excavated in the ice and criss-crossed by strong dri scavati tra roccia e ghiaccio. Furono esplorate anche air currents – the unequivocal sign of the presence of large alcune condotte orizzontali completamente scavate nel chambers further down. ghiaccio e attraversate da forti correnti d’aria: il segno During this first campaign, we reached a depth of around inequivocabile della presenza di grandi ambienti a mag80 m, stopping to explore other spacgiori profondità. es. Unfortunately, the subsequent Durante questa prima campagna refilling of the external frost plug si arrivò ad una profondità di cirand the unfavourable meteorologica -80 m, fermandosi su altri amcal conditions did not allow access bienti da esplorare. Purtroppo il to the cave for the next nine years. riformarsi del tappo di ghiaccio It was only in 2003, thanks to the esterno e le sfavorevoli condiziouse of a helicopter and to weather ni metereologiche non permisero conditions made easier by a mild l’accesso alla grotta per i successispring, that the exploration of the vi nove anni. Solo nel 2003, graabyss could begin again, and we dezie all’utilizzo di un elicottero e a scended into new chambers at depths condizioni meteo favorite anche da of up to 150 m. It would, however, una primavera mite, le esploraziobe another seven years before a new ni dell’abisso ripresero scendendo expedition would bring to light the in nuovi ambienti fino alla profonlargest underground space in the dità di -150 m. Fu però solo sette Dolomites: a chamber 120 m long anni più tardi, nel 2010, che una and 40 m wide, located at the base nuova spedizione portò alla luce il of a shaft 160 m deep and featurpiù grande ambiente sotterraneo ing the residue of a glacial snowfield delle Dolomiti: un salone lungo and large masses that had fallen 120 m e largo 40 m, posto alla from the ceiling and the walls. The base di un pozzo profondo 160 m A. De Vivo si prepara per entrare in grotta, insieme total height differential of the cave e caratterizzato dalla presenza dei ad altri del gruppo rimuoveranno la piattaforma residui di un glacionevaio e grossi installata l’anno precedente per effettuare la scansione reached 287 m. For its part, the Cenote project got massi caduti dalla volta e dalle pa- 3D della parte alta del salone della cavità. A. De Vivo prepares to enter the cave, and together under way in October 2015 through reti. Il dislivello totale della grotta with other group members he will remove the platform the collaboration of various groups, raggiunse i -287 m. installed the previous year to carry out the 3D caving associations, institutions, reIl Progetto Cenote inizia invece scanning of the upper part of the chamber. search bodies and companies. The dinell’ottobre 2015 grazie alla colmensions and the particular morphology of the ice deposits, laborazione di diversi gruppi, associazioni speleologiche, together with their position and altitude, made us decide to istituzioni, enti di ricerca e aziende. Le dimensioni e la put together a long-term research project to monitor moveparticolare morfologia dei depositi di ghiaccio, assieme ments and variations in volume, and at the same time to alla loro posizione e altitudine, hanno suggerito di articostudy the paleoclimatic conditions that led to the formation lare un progetto di ricerca a lungo termine per monitoof this extraordinary geological phenomenon. rare movimenti e variazioni di volume, e allo stesso tempo per studiare le condizioni paleoclimatiche che hanno portato alla formazione di questo straordinario fenomeno geologico. Ringraziamenti: Il Progetto Cenote è stato organizzato nell’ambito del Progetto Internazionale “InsideThe Glaciers”(http://insidetheglaciers.wordpress.com/) fondato da soci dell’Associazione La Venta, il cui scopo è quello di studiare ghiacciai e grotte con depositi glaciali in diverse aree del pianeta. Le spedizioni 2015-2016 sono state organizzate dal Club Speleologico Proteo, Associazione La Venta, Gruppo Speleologico Padovano, Gruppo Grotte Treviso. Hanno inoltre contribuito: Leica Geosystem, Gruppo Servizi Topografici s.n.c. di Camorani Marco, Università di Bologna, Università di Innsbruck, GEO Magazines, NDR TV, EliFriulia. Patrocini e Sponsor: C.A.I. Commissione Centrale Speleologia, Società Speleologica Italiana, C.N.S.A.S. Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, Associazione Spèlè’Ice, Federazione Speleologica Europea, BEE1, Scurion, Sovendi, Tiberino.

Thanks: The Cenote project was organised as part of the international “Inside The Glaciers” project (http://insidetheglaciers.wordpress.com/), founded by members of the La Venta association, the purpose of which is to study glaciers and caves with glacial deposits in various parts of the planet. The 2015-2016 expeditions were organised by the Club Speleologico Proteo, Associazione La Venta, Gruppo Speleologico Padovano, Gruppo Grotte Treviso. The following also made important contributions: Leica Geosystem, Gruppo Servizi Topografici s.n.c. di Camorani Marco, the University of Bologna, the University of Innsbruck, GEO Magazines, NDR TV, EliFriulia. Patronage and sponsorship: C.A.I. Commissione Centrale Speleologia, Società Speleologica Italiana, C.N.S.A.S. Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, Associazione Spèlè’Ice, the European Speleological Federation, BEE1, Scurion, Sovendi, Tiberino.

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Albania

Shpella Shtares, meandro nel tratto Fischia il Vento Shpella Shtares, meander of the tract known as “the Wind Blows”


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Albania. Storie di vecchie e nuove esplorazioni Albania. Stories of explorations old and new Claudio Pastore, Tommaso Santagata, Norma Damiano Sin da prima della caduta del regime comunista di Enver Hoxha il potenziale carsico dell’Albania era già stato intravisto da molti speleologi europei. Le prime spedizioni in questo paese risalgono al 1977 da parte di speleologi inglesi, e la prima campagna italiana (1989) si deve al Circolo Speleologico Romano. L’interesse per l’Albania è cresciuto quando negli anni ‘90 la caduta del regime ha permesso agli stranieri di entrare liberamente: tra il 1990 e il 2014 sono state organizzate più di settanta spedizioni speleologiche internazionali. Dal punto di vista geografico, l’Albania è principalmente montuosa, con mali (montagne, in albanese) che superano i 2.000 metri nelle Alpi del nord, del sud e del confine orientale. La vetta più elevata è il Korabi (2.764 m slm), al confine con la Macedonia. Circa il 25% dell’intero territorio è carsificabile; e inoltre ben 260 km2 sono occupati da evaporiti. Il carsismo in Albania è ben sviluppato sia in superficie sia in profondità. Le morfologie carsiche sono presenti in gran varietà: karren, doline, pozzi e valli cieche, in base al tipo di calcare e alle strutture geologiche. Inoltre la notevole ricchezza floristica evidenzia un alto grado di biodiversità,

Even before the fall of Enver Hoxha’s communist regime, Europe’s speleologists had begun to grasp the potential of the karst landscapes of Albania. British speleologists launched the first expeditions in the country in 1977, with the first Italian campaign, led by the Rome Speleological Society, following in 1989. Interest in Albania grew from the 1990s onwards as the collapse of the regime allowed foreigners free access to the country for the first time. Between 1990 and 2014, more than 70 international speleological expeditions were organised. In geographical terms, Albania is primarily a mountainous country, with the mali (Albanian for mountains) in the “Alps” of the north, south and along the eastern border climbing above 2,000 metres. The highest peak is that of Korabi (2,764 m) on the border with Macedonia. About 25% of the land area is karstifiable, with well over 260 km² characterised by evaporites. Albania offers a generous extent of karst landscape, presenting a wide variety of morphologies both on the surface and underground including karren, dolines, swallow holes and blind valleys, depending on the rock type and underlying geological structures. Along with a rich variety of flora, the area boasts an elevated degree of biodiversity, thanks not least to its great va-

Ubicazione degli ingressi delle grotte esplorate / Location to the entrances in the explored caves


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legato anche alle caratteristiche geomorfologiche, pedologiche, topografiche, idrologiche e climatiche, e all’ampia gamma di habitat. Anni ‘90 All’inizio degli anni ’90 alcuni speleologi italiani avviarono i primi rapporti con conoscenti d’oltre Adriatico. La prima spedizione, chiamata Karaburunit, fu organizzata nel 1992 dai gruppi speleologici Martinese e Neretino (Puglia, Italia). In quell’occasione fu esplorato per la prima volta il Syri i Kalter, più noto come “Occhio Blu”: la più grande sorgente carsica dell’Albania con portate a regime normale attorno ai 18 m3/s, ma che possono salire anche di molto durante le piene. Gli speleosub pugliesi raggiunsero la profondità di 45 metri, poi superata dai francesi, che raggiunsero i -70 metri, tuttora massima profondità di quella risorgenza. Seguirono esploratori inglesi e polacchi, ma la potenza della corrente d’acqua non ha mai permesso ai sub di superare quel limite. Nello stesso anno furono avviati i primi rapporti con l’università di Tirana, in particolare coi professori Skender e Perikli, rispettivamente geomorfologo e geografo. Essi suggerirono di concentrarsi sul Mali me Gropa, letteralmente “Montagna a Buchi”. Questo massiccio si trova a pochi chilometri da Tirana ed è tristemente noto per le epurazioni di regime. Qui gli oppositori della dittatura venivano condotti e gettati in profonde voragini naturali. Nella tarda primavera del 1993 fu effettuata una perlustrazione nelle Prealpi Albanesi, nell’insediamento di Vrith appartenente al distretto di Shkodër (Scutari). In estate seguì una spedizione vera e propria sul Mali me Gropa. Nonostante le aspettative la missione non portò grandi risultati eccetto l’esplorazione della Shpella (grotta) e Valit e della Shpella Shutrese. Quest’ultima si apre con un grande pozzo da 120 metri. Fu esplorata e rilevata solo in parte, per circa mezzo chilometro. La spedizione si concluse con un secondo tentativo di immersione alla Syri i Kalter, ma ancora una volta non si riuscì a superare il limite francese. Gli speleologi Martinesi e Neretini non torneranno in Albania per oltre vent’anni. Alcune spedizioni furono organizzate da altri italiani del Gruppo Puglia Grotte, del Gruppo Speleologico Dauno, della Commissione “E. Boegan”, del Gruppo Speleologico Faentino, e da speleologi bulgari. Molti dati sulle grotte esplorate in questo periodo sono raccolti nel volume (Bulgarian Speleological Studies in Albania 1991 – 2013, edito da Zhalov, 2015). Le nuove esplorazioni Nel 2015 il Gruppo Speleologico di Martina Franca ritorna tra le montagne albanesi con una spedizione che ha come obiettivo principale l’esplorazione della Shpella Mark, nel villaggio di Curraj i Epërm. A parlarci di questa grotta per la prima volta è il faentino Ivano Fabbri, presso il rifugio Ca’ Carnè nell’inverno 2014. Ivano stava organizzando con difficoltà una piccola spedizione in Albania, ci proponiamo e a giugno dello stesso anno partiamo in sette per una prospezione di sei giorni. Con un passaggio in macchina raggiungiamo la località di Lekbibaj e da lì proseguiamo a piedi per quattro ore, utilizzando qualche mulo per il trasporto degli zaini lungo l’unico sentiero di collegamento con il villaggio di Curraj. Martini, la nostra guida locale, ci racconta che il villaggio è stato un importante centro durante il periodo comunista. Ci viveva un migliaio di persone, c’erano un centro medi-

riety of geomorphic, topographical, hydrological, climatic and soil conditions and the wide range of habitats it offers. 1990s The first meaningful interactions between Italian speleologists and their counterparts across the Adriatic date to around the start of the 1990s. The first expedition, titled Karaburunit was organised in 1992 by speleological groups from Martina Franca and Nardò in Puglia. The project included the first exploration of Syri i Kaltër – the “Blue Eye” – which is the largest karstic spring in Albania with a normal discharge of 18 m3/ second and much higher rates when the waters are in spate. The Puglian team managed to dive to a depth of 45 m, but this was subsequently surpassed by a French expedition, which set the current record of 70 m. British and Polish explorers were to follow, but such is the water current that nobody has been able to beat the French figure. The same year saw links established with the University of Tirana, and in particular with Prof. Skender, a geomorphologist, and Prof. Perikli, a geographer. It was they who suggested concentrating on the Mali me Gropa – literally the “Holey Mountain” – a massif just a few kilometres from Tirana that is sadly associated with the communist purges (opponents of the regime were taken there and thrown into the deep ravines). A preliminary exploration of the Albanian Prealps around the settlement of Vrith in the district of Shkodër was carried out late in the spring of 1993. This was followed by a full expedition to the Mali me Gropa in the summer. Despite much initial optimism, the project did not produce significant results, although it did see the exploration of the Shpella e Valit (shpella means “cave”) and the Shpella e Shutrese systems. The latter, which starts with a large, 120m-deep pit, was only partially explored and surveyed for about half a kilometre. The expedition ended with a second diving attempt in the Syri i Kalter, but again the French record could not be beaten. It would be over twenty years before the speleologists from Martina Franca and Nardò returned to Albania. Further expeditions were organised by the Italians of the “Puglia Grotte” and “Dauno” groups, the “E. Boegan” Society and the “Gruppo Speleologico” of Faenza, and by speleologists from Bulgaria. Most of the data collected in relation to the caves explored in these years is collected in the volume Bulgarian Speleological Studies in Albania 1991-2013, Zhalov (Ed.), 2015. Exploring further In 2015, the Martina Franca group returned to the Albanian mountains on an expedition whose main objective was to explore the Shpella Mark in the village of Curraj i Epërm. We had first heard of this cave from Ivano Fabbri of Faenza, who we spoke to at the Ca’ Carnè mountain refuge in the winter of 2014. He was struggling to put together a small party to go back to Albania, so we offered to join him and in June of the same year seven of us set off on a six-day expedition. Having reached the village of Lekbibaj by car, we continued on foot for four hours, using a mule to carry our packs along the only track to the village of Curraj. Our local guide, Martini, told us how the village had been an important regional hub during the communist era, with a thousand inhabitants, a medical centre, a church, a school and a hydroelectric plant. Today, only the outward appearance of these buildings survives. As happened in many other mountain settlements, the population crashed after the fall of the regime, with constant migration to the capital or other countries. Now, only four or five people live there year-round, with just a hand-


co, una chiesa, una scuola e una centrale idroelettrica: tutti edifici di cui oggi rimane solo l’aspetto esteriore. Dopo la caduta del regime il villaggio, come molti altri delle montagne albanesi, si è spopolato a causa di una costante migrazione verso la capitale o altri stati. Ora qui vivono per tutto l’anno quattro o cinque persone. Qualcuna in più ci torna solo nel periodo estivo, per il pascolo e per coltivare qualche ortaggio. È per questo che Curraj è rimasto completamente isolato anche dalle strade.

ful of others returning in the summer for the pastures or to cultivate a few vegetables. As a result, Curraj has remained entirely cut off from the road network. The 2015 survey revealed the rich potential of what was, in speleological terms, virgin territory and paved the way for the Curraj 2015 project, which was organised in collaboration with the “Gruppo Speleologico Bolognese-Unione Speleologica Bolognese” (GSB-USB) and the “Gruppo Speleologico” of Faenza. First impressions were encouraging: the entrance to the Shpella Mark is characterised by a strong air current which, given that it was summer, hinted at this being a low (or midpoint) entrance to a much larger system. A second campaign to the Shpella Mark was organised for August 2016, which is when La Venta came on board. The expeditions over the two years saw 1.4 km of cave explored and surveyed, producing a rich collection of video and photographic records. It was also possible to explore some of the surrounding area, including a visit to the Shpella Lumi, a large cave and spring whose mouth sits a few kilometres higher up on one side of the Lumi

La valle del Lumi (fiume) Currajt nella quale giace il villaggio omonimo (Curraj i Epërm). Ormai quasi del tutto disabitato The valley of the Lumi (River) Currajt that plays host to the village named after it (Curraj i Epërm), now almost entirely uninhabited

La prospezione del 2015 rivela le potenzialità di un luogo speleologicamente ancora vergine. Nasce così il progetto Curraj 2015, in collaborazione col Gruppo Speleologico Bolognese-Unione Speleologica Bolognese (GSB-USB) e col Gruppo Speleologico Faentino. Le prospettive sono ottime perché la Shpella Mark si presenta con un ingresso dal soffio potente: trattandosi del periodo estivo, ciò suggerisce trattarsi di un ingresso basso (o intermedio) di un sistema sotterraneo ben più ampio. Per l’agosto 2016 viene organizzata una seconda campagna alla Shpella Mark, ed entra a far parte del progetto anche l’associazione La Venta. Nelle campagne degli ultimi due anni vengono esplorati e rilevati 1,4 km di grotta, e viene realizzata una ricca documentazione video-fotografica. Vengono perlustrate inoltre anche alcune delle aree circostanti, includendo una visita alla Shpella Lumi, la grande grotta sorgente che si apre qualche chilometro a monte su una sponda del Lumi Currajve, ma che purtroppo non offre possibilità esplorative. Durante la spedizione Ivano e altri due speleologi romagnoli incontrano un pastore di Vrana e Madhe: conosce una grotta non lontana dal suo villaggio nella valle prospiciente quella di Curraj. L’ingresso della cavità si presenta con un grande portale da cui esce un vento gelido, il che fa supporre la presenza di grandi ambienti. La grotta viene esplorata l’ultimo giorno della spedizione di agosto, e in poco più di un’ora vengono rilevati ben più di 250 metri di galleria in leggera pendenza. La grotta viene chiamata Shtares, lo stesso nome che i locali usano per il circo glacio-carsico in cui si apre l’ingresso, e che riprende quello della cima che lo sovrasta, ossia Mali e Shtrezes. Da questa scoperta nasce la spedizione dell’anno successivo: Shtares 2017. Il campo viene stabilito nel villaggio di Vrana e Madhe che, a differenza di Curraj, è servito da una strada sterrata percorribile con mezzi 4x4. E questo semplifica non di poco la logistica. Durante il periodo del campo un gruppo di sette persone si è spostato per tre giorni sul versante nord rispetto al

Shpella Lumi. Il grande portale della grotta sorgente Shpella Lumi: the large portal of the cave spring

Currajve, but which unfortunately offers no scope for exploration. During the expedition, Ivano and another two Romagna-based speleologists met a shepherd from Vrana e Madhe who claimed to know a cave close to his village in the next valley over from Curraj.The entrance to the cavern is marked by a large portal that exhales a cold current of air, an indicaVrane. Il circo glaciale in cui si apre la Shpella Shtares Vrane: the glacial circle within which Shpella Shtares opens

tion that we may be dealing with large underground spaces. The cave was explored on the last day of the August expedition. In little more than an hour, some 250 m of a gently downward-sloping gallery had been surveyed. The cave was baptised Shtares, the local name for the glacial-karstic disc surrounding the entrance, and an echo of the name of the mountain that rises above it, Mali e Shtrezes. This discovery laid the foundations for the following year’s expedition: Shtares 2017. A camp was established in the village of Vrana e Madhe which, unlike Curraj, is accessible to offroad vehicles via a dirt road, making the logistics of the oper-

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villaggio, “soggiornando” nella enorme dolina di Kakverrit a circa 1600 m di quota con l’obiettivo di cercare nuovi ingressi. Il poco tempo a disposizione, considerando i lunghi avvicinamenti e l’estensione dell’area da esplorare, ha permesso di verificare solo piccoli pozzi. Il potenziale speleologico dell’area non è stato ancora del tutto svelato, ma l’impiego di un drone ha permesso di localizzare altri ingressi a quote più elevate. Saranno oggetto delle prossime spedizioni. Le grotte: Shpella Mark e Shpella Shtares La Shpella Mark si apre a quota 1.182 m slm (a due ore di cammino dal campo base) e si sviluppa su due livelli: uno superiore, che include il ramo principale e il ramo denominato Patagonico (per la forte corrente d’aria che lo caratte-

Shpella Mark, Ramo patagonico. Sono evidenti le morfologie freatiche di questo tratto di grotta. Shpella Mark, Patagonico branch: the phreatic morphologies of this tract of cave are clear to see

ation much simpler. While the main party was at the camp, seven people transferred to the slopes to the north of the village, “stopping over” in the enormous Kakverrit doline at an altitude of around 1,600 m. Their task was to search for new entrances. However, due to the short time available, after the long approach, and the size of the area, it was only possible to identify a few small pits. The area’s true potential for speleological exploration is still unclear, but other, higher entrances were pinpointed with the help of a drone. These will be the subject of the next expeditions. The caves: Shpella Mark and Shpella Shtares The mouth of Shpella Mark sits at an altitude of 1,182 m (two hours’ walk from base camp). The cave extends over two levels. The upper level includes the main branch, the branch chris-

Shp. Mark, tratto finale del P90 dove scampana. Questo è il collegamento tra il ramo principale e i rami del fondo della cavità. Shpella Mark, final tract of the P90 where it flares out: this is the link between the main branch and the branches of the bottom of the cave


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rizza), e uno basso con caratteristiche decisamente vadose. La parte alta della grotta è caratterizzata da forme più freatiche e senili, dove, soprattutto nel ramo Patagonico, sono presenti scallops di dimensioni medio-grandi, concrezioni, fango e continui saliscendi su scivoli. La parte bassa della grotta è collegata a quella sovrastante tramite un pozzo da 90 metri, per buona parte impostato su diaclasi inclinate e associate a una breccia cementata visibile sulla parete. Al fondo pozzo si intercetta uno stretto meandro (denominato della Penitenza per le esigue dimensioni) che presenta scorrimento d’acqua, fino a quel momento del tutto assente nella grotta se non per la presenza di qualche stillicidio. Questo tratto conduce a monte in una zona ancora non esplorata proprio perché molto stretta, mentre a valle, seguendo il flusso dell’aria, si intercettano una serie di pozzi e si percorrono un paio di brevi meandri, uno dei quali attraversa un livello di argilloscisti riconoscibile anche all’esterno. Il ramo termina su un piccolo sifone, la cui presenza era stata ipotizzata dato che l’aria lungo i pozzi prende una via più alta. Il Ramo Patagonico, così com’era intuibile, prosegue oltre il pozzo dove si erano fermate le esplorazioni del 2015, ma anche questa via termina dopo alcune centinaia di metri davanti a una stretta frattura verticale dalla quale fuoriesce un forte soffio d’aria. Gli altri pozzi discesi portano in ambienti modesti e di scarso interesse esplorativo. La Shpella Mark rimane per ora un capitolo interrotto, ma non del tutto chiuso, e potrebbe avere ancora molto potenziale da offrire. La posizione di questa grotta, in un territorio così logisticamente difficile, rende complicata la sua esplorazione: sarebbero necessarie permanenze maggio-

tened “Patagonico” (Patagonian) due to its strong air currents, and a low branch whose morphology is suggestive of vadose waters. The higher section of the cave is characterised by older, phreatic forms, with – particularly in the Patagonico branch – medium-large scallops, concretions, mud and a constant rise and fall of ramp-like sections. It links to the lower section via a 90-metre shaft set, for the most part, amidst a set of sloping joints which are themselves combined with the breccia that is visible on the rock face. The base of the shaft intersects with a slender meander (so narrow it was named the “Meander of Penitence”) where, discounting the occasional drip, we find the first evidence of running water. This stretch leads upwards towards an area that, due to the tightness of the tunnel, has not been explored.

Shpella Mark. Traverso nel ramo Patagonico; a monte del quale si fermarono le esplorazioni nel 2015 Shpella Mark: across the Patagonico branch; upstream of where the 2015 explorations came to an end


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Shpella Shtares, galleria freatica nel ramo Boulevard Shpella Shtares, phreatic gallery in the Boulevard branch

ri sul posto. La grotta attualmente ha uno sviluppo di 1430 metri. Essendo un ingresso basso o intermedio sarebbe necessario continuare l’esplorazione in risalita, oppure cercare nuovi ingressi più alti del sistema, ma le morfologie esterne rendono questa ricerca davvero ardua. L’ingresso della Shpella Shtares, un portale alto quasi 9 metri, si apre a 1440 metri di quota. Si tratta di un’antica risorgenza a sviluppo principalmente sub-orizzontale formata da lunghi meandri su più livelli e da gallerie caratterizzate da ambienti di frana. La corrente d’aria è forte, la temperatura intorno ai 3,5-4 °C.

Following the air flow downwards, the cave passes a series of pits and a couple of short meanders, one of which cuts across a band of slate that is visible from the outside. The branch ends at a small sump, which was not unexpected given the higher path taken by the air current along the shafts. As we suspected, the Patagonico branch continued well beyond the shaft that marked the end of the 2015 explorations. However, this route also ends after a few hundred metres, reaching a narrow, vertical fissure that emits a powerful current of air. The other downward shafts lead to modest spaces of minor interest in terms of exploration. For the time being, the Shpella

Shpella Shtares, incrocio di gallerie nel ramo Amico Fragile Shpella Shtares, intersection of galleries in the Amico Fragile branch


Mark remains more unfinished chapter than closed book, with the promise of many more discoveries. The location of the cave, however, in such a logistically challenging setting makes further exploration a complex proposition, and certainly requires a longer visit. The system has been mapped for 1,430 m. With the low-midpoint entrance, further efforts would need to aim upwards, or else to identify new entrances higher up in the system, although the morphology of the rock would make such a process difficult. A portal nearly 9 metres in height, the entrance to Shpella Shtares opens at an altitude of 1,440 m. It marks the point of an old resurgence that extends in a largely subhorizontal direction through meanders and across multiple levels and galleries dominated by rockslide debris. A strong air current issues from the mouth at a temperature of around 3.5-4° C. The initial meander is obstructed by a large collapse that splits the space into different levels: the lower path leads to a phreatic gallery where the roof dips to create a section that was once underwater, but is now dry. About 600 metres along, in the area called “Sala dell’Omino”, there are three large galleries running along the same fracture. The prevalence of scallops

Shpella Shtares, meandro nel ramo Boulevard Shpella Shtares, meander in the Boulevard branch

Il meandro iniziale è ostruito da una grossa frana che divide l’ambiente in vari livelli: percorrendo quello più basso si raggiunge una galleria freatica in cui la volta si abbassa a formare un tratto anticamente allagato, ora secco. Dopo circa 600 metri, nella zona chiamata Sala dell’Omino si incontrano tre grosse gallerie impostate sulla stessa frattura. La presenza di numerosi scallops in tutta la grotta testimonia un notevole scorrimento idrico. Solo in pochi punti si incontrano piccole concrezioni. Queste evidenze e la morfologia suggeriscono che si tratti di ambienti freatici, successivamente rimodellati da frane e da glacio-carsismo soprattutto nelle prima parte della grotta. La forte corrente d’aria fa pensare alla presenza di più ingressi. La grotta ha uno sviluppo di 2700 metri e un dislivello di 76 metri, ma grandi finestre già individuate in alcuni ambienti indicano un potenziale ben maggiore. Ringraziamenti Vogliamo ringraziare Ivano Fabbri e Biagio, perché senza di loro queste avventure in terra albanese probabilmente non sarebbero nate, almeno non in questa forma e con questi sentimenti. Un grazie speciale va alla nostra guida Mondi (Etmond Cauli), che è stato per noi orecchie e voce in terra albanese. Grazie infine alla Società Speleologica Italiana che ha patrocinato le spedizioni e agli sponsor Tiberino, Rock Frog mountain equipment, Miele dei Trulli di G. Masciulli.

Alcuni componenti della spedizione Shtares 2017 Some members of the Shtares 2017 expedition

throughout the cave is testament to heavy flows of water, although there are only small, isolated concretions. Together with the morphology, such details suggest these are phreatic formations that have been remodelled by collapses and glacial-karstic processes, especially in the first section of the cave. The strong current of air suggests that there are other entrances. The cave extends for 2,700 m with a vertical displacement of 76 m, although the large windows already identified in certain spaces suggest there is much more to be discovered. Acknowledgements We wish to thank Ivano Fabbri and Biagio, without whom these adventures in Albania would probably never have happened, at least not in this form and in such memorable fashion. Special thanks to our guide Mondi (Etmond Cauli) who was our ears and voice in Albania. Finally, we thank the Italian Speleological Society for backing the expeditions, and our sponsors Tiberino, Rock Frog Mountain Equipment and Miele dei Trulli, owned by Giuseppe Masciulli.

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La Venta in Albania La Venta in Albania

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Francesco Lo Mastro Da alcuni anni l’associazione La Venta è coinvolta, seppur marginalmente ma non per questo con minor attenzione, in progetti di carattere geografico-naturalistico. Il progetto di ricerca in Albania ha riguardato perlopiù lo studio e il monitoraggio dei rapaci dell’area mediterranea in appoggio a esperti ornitologi. Avvoltoio Capovaccaio (Neophron percnopterus) Egyptian Vulture (Neophron percnopterus)

Le prime esperienze di alcuni soci La Venta con i rapaci risalgono al 2003, quando nell’ambito del progetto Laerte, in collaborazione con la Lipu, fu reintrodotto un piccolo di avvoltoio capovaccaio (Neophron percnopterus) nell’area della gravina di Laterza (Taranto). Da lì, nel 2004, l’interesse si è esteso al territorio Albanese e in seguito alle remote aree della Macedonia, con due spedizioni: nel 2005 e nel 2006. Infine nel 2010 ci si è spinti fino alla lontana isola yemenita di Socotra. La prima spedizione vera e propria in Albania che vede coinvolta La Venta fu realizzata grazie ai contatti presi da precedenti spedizioni speleologiche pugliesi. In particolare con la Società Didattica Scientifica Speleologica Albanese e con l’Istituto Geografico di Tirana. A questa spedizione parteciparono anche esperti forestali e ornitologi, dietro invito ufficiale da parte del Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli nell’ambito del progetto Technical Assistance for Community Based Tourism Development. La ricerca si svolse nella parte meridionale albanese, nelle aree di Valona e Butrinto (confine greco), di Gjirokaster e Kelcyre (destra idrografica del fiume Drinos) e del parco de Llogaras (monti Cikes), oltre ai canyon dell’entroterra di Borshi, compresa l’area lagunare naturalistico archeologica dell’antica Butrinto (la romana Butrintum). Quasi tutte le aree prese in esame lasciavano intuire notevoli potenzialità, sia speleologiche sia naturalistiche, oggetto di possibili esplorazioni future. In quell’occasione fu svolto un importante lavoro in ambito naturalistico: l’osservazione delle falesie e degli areali di nidificazione permise infatti l’identificazione, la classificazione e la registrazione di numerosissime specie di avifauna, oltre a rettili, anfibi e specie botaniche. L’elevata biodiversità del luogo fu documentata con video e fotografie, e furono compilate dettagliate tabelle naturalistiche delle specie osservate.

La Venta has been involved in geographical, zoological and botanical research for a number of years, and even if the association sometimes plays a marginal role, it is one it takes seriously. The project in Albania saw us supporting expert ornithologists, whose main focus was studying and monitoring the raptor species of the Mediterranean region. For some La Venta members, the first contact with birds of prey came in 2003 when, as part of the Laerte project with the LIPU (Italian Bird Protection League), a young Egyptian vulture (Neophron percnopterus) was reintroduced to the wild near the “Gravina di Laterza” canyon (Taranto). In 2004, this interest led first to Albania and then to remote areas of Macedonia, with two expeditions in 2005 and 2006, before finally, in 2010, we made the journey to the distant Yemeni island of Socotra. The first expedition proper to Albania involving La Venta built on contacts established during previous caving expeditions by groups from Puglia, among the most important being those with the Albanian Didactic and Scientific Speleological Society and the Tirana Geographical Institute. The expedition also involved forestry experts and ornithologists, who were officially invited by the CISP (International Committee for the Development of Peoples) as part of a project titled “Technical Assistance for Community Based Tourism Development”. Research was Campo nei pressi di Gjrokastro Camp near Gjrokastro

carried out in southern Albania, in the areas of Vlorë and Butrint along the Greek border and Gjirokastër and Këlcyrë along the right bank of the Drinos, in the Llogara National Park in the Ceraunian Mountains, and in the canyons of the Borsh hinterland, including the Butrint lakes and archaeological area (the Roman town of Butrintium). Almost all of the areas studied hinted at a wealth of potential opportunities for further exploration, in both speleological and natural-heritage terms. The project itself produced a number of key findings in the latter field. By observing the cliffs in consultation with nesting distribution charts, it was possible to identify, classify and register a huge number of bird species, along with reptiles, amphibians and plants. The prodigious biodiversity of the region was documented using video and photographs, while detailed tables were compiled of the species observed.


Lineamenti vegetazionali delle Alpi Albanesi Settentrionali Overview of the plant life of the northern Albanian Alps Lorenzo Brandolini, Corpo Forestale dello Stato / Italian State Forestry Corps In generale, l’Albania è caratterizzata da una notevole ricchezza floristica nonostante la sua superficie limitata. L’elevata biodiversità si deve alle caratteristiche geomorfologiche, pedologiche, topografiche, idrologiche e climatiche, che danno luogo a un’ampia gamma di habitat. Numerose specie dell’Europa centrale e mediterranea hanno il loro limite di distribuzione in Albania, e ciò conferisce a questo paese un notevole interesse fitogeografico. Circa 25 specie sono considerate endemiche per il paese. In altre parole, l’Albania detiene il 30% delle 11.600 specie europee. Circa 800 specie (il 22% della flora totale) sono segnalate anche nella penisola balcanica conferendo alla flora albanese una forte connotazione balcanica. Di queste, 400 specie circa (il 14% della flora totale) sono endemiche proprio dei Balcani. Fra queste vale la pena di ricordare il famoso pino loricato (Pinus heldreichii, o Pinus leucodermis secondo la classificazione di Antoine, ovvero Pino dalla pelle bianca per il colore grigio-bianco della corteccia dei rami negli esemplari giovani), albero simbolo del Parco nazionale del Pollino (Italia). Sulle Alpi Albanesi quest’albero trova il suo habitat originario e d’elezione. Questa particolare specie di pino cresce e si sviluppa in luoghi estremi, creste e picchi rocciosi, con poco suolo. Sono spesso posizioni dominanti sul paesaggio, il che conferisce un’aura di unicità a quest’albero. Questa specie si sviluppa oltretutto al disopra del limite delle specie arboree, si è cioè ritagliata una nicchia ecologica propria. Forse per questo divenuta simbolo di forza, resistenza e conservazione. Non è un caso se il suo nome volgare italiano, loricato, restituisce il senso di “resistente” tipico della corazza degli antichi soldati romani.

Generally speaking, despite its small area Albania boasts a great wealth of plant species. It owes its great biodiversity to its variety of geomorphic, topographical, hydrological, climatic and soil conditions, which give rise to a wide range of habitats. The ranges of many Central-European and Mediterranean species extend just as far as Albania, making the country a place of special phytogeographical interest, while about 25 species are considered endemic to the country. In short, 30% of Europe’s 11,600 plant species in can be found in Albania. Around 800 (representing 22% of the total plant life) are also found on the Balkan Peninsula, lending Albania’s flora a strong Balkan flavour. Of these, around 400 (14% of the total flora) are endemic to the Balkans. Among these we can mention, in particular, the famous Heldreich’s pine (Pinus heldreichii or, using the de Jussieu System, Pinus leucodermis – the “white skinned pine” – so named due to the grey-white bark on the branches of young specimens), a tree that has become a symbol of the Pollino National Park in Italy, but whose original and preferred habitat is in the Albanian Alps. This distinctive species grows and propagates in extreme locations with little soil, such as rocky outcrops and ridges. This propensity to occupy sites that dominate the surrounding landscape has lent the tree a special aura. It thrives in particular above the tree line, and in this sense has carved out a unique ecological niche. This may be why it has become such a symbol of strength, durability and preservation. It is no surprise that its common name in Italian, loricato (from the lorica body armour worn by Roman soldiers), evokes such a sense of indomitability.

Meravigliosi Pini Loricati che dominano i paesaggi di alta quota delle Alpi Albanesi Wonderful Bosnian pines overlooking the highaltitude landscapes of the Albanian Alps

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SYDNEY Australia

Il maestoso ingresso alto della Jenolan Cave The majestic upper entrance to the Jenolan cave


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17° Congresso Internazionale di Speleologia, Sydney, Australia, 23-29 luglio 2017 17th International Congress of Speleology, Sydney, Australia, 23-29 July, 2017 Paolo Forti Penrith, a small town at the foot of the Blue Mountains, Penrith, piccola cittadina ai piedi delle Blue Mountains around 70 kilometres from Sydney, played host to the Internaa circa 70 chilometri da Sydney, ha ospitato il Congresso tional Congress of Speleology, an event held every four years. Mondiale di Speleologia, un evento che ha cadenza quaMore than 400 speleologists participated, with around 60 driennale. Vi hanno partecipato oltre 400 speleologi e circa partners, from 42 countries across every continent. In reality, 60 accompagnatori provenienti da 42 stati di tutti i contithough, almost two-thirds of the delegates came from Australia nenti. In realtà, tuttavia, quasi due terzi degli iscritti prove(170) and the United States (135). nivano dall’Australia (170) e dagli Stati Uniti (135). Italy, with 14 delegates, was third-placed in terms of particL’Italia, con 14 iscritti, è risultata in assoluto la terza nazioipant numbers: this result was achieved thanks in great part ne per numero di partecipanti: questo risultato è stato otteto the presence of the La Venta association, with five members nuto grazie alla massiccia presenza di soci dell’associazione and three partners in attendance. While the Italians accounted La Venta, con cinque iscritti e tre accompagnatori. for just a little over 3% of the participants, they were responNonostante gli italiani fossero solo poco più del 3% dei sible for 29 of the almost 300 activities presented (10% of the partecipanti, dei quasi 300 lavori presentati ben 29 (cortotal); out of these 29, rispondenti al 10% the La Venta members del totale) erano di covered a full 23. This italiani: di questi i provides proof-positive soci La Venta ne hanthat, for our associano firmati ben 23, a tion, what is essential testimonianza che, is not just the dissemper la nostra assoination of the results ciazione, non solo la achieved but also our divulgazione dei ricollaboration with sultati ottenuti nelle national and internasue varie attività è tional research bodies, assolutamente fonwhich is the best way damentale, ma anche to drive ambitious che la collaborazione and complex projects con Enti di Ricerca forward. nazionali ed interUnfortunately, the nazionali è il modo whole congress was afmigliore per portare F. Sauro presenta uno dei suoi numerosi lavori fected by the fact that avanti progetti ambiF. Sauro presents one of his numerous projects the members of the orziosi e complessi. ganisational committee – while very enthusiastic and friendly Purtroppo tutto lo svolgimento del Congresso ha risentito – were totally unfamiliar with the running of an event of this del fatto che i membri del Comitato Organizzatore, pur type. To cite one example, at Sydney international airport there essendo molto volenterosi e disponibili, erano totalmente was nothing to explain to us how to reach the remote location digiuni su come devono essere gestiti simili eventi. Basti of Penrith, let alone any sort of welcoming committee. Another pensare che all’aeroporto internazionale di Sydney non c’eorganisational misstep was to allow the schedule to slide if one ra non dico un comitato di accoglienza, ma neppure una of the speakers was not yet there (something that is verboten locandina che spiegasse il modo di raggiungere la sperduta at conferences with parallel sessions), making it impossible for località di Penrith. many delegates to attend the sessions of most interest to them. Un altro errore organizzativo è stato quello di far slittare Equally damaging was the decision, taken at midday, to bring le comunicazioni se mancava uno dei relatori (cosa vietaforward by an hour (from 3.30pm to 2.30pm) the presentatissima nei congressi con sessioni parallele), rendendo così tion of the film produced by the French “One Planet” team on impossibile a molti di seguire le relazioni che ritenevano the Puerto Princesa Underground River (PPUR). In the event, interessanti. the room was empty up until the end of the film, when the Altrettanto dannosa è risultata la decisione, presa a mezpublic started coming in – along with me, who was in theory zogiorno, di anticipare di un’ora (dalle 15:30 alle 14:30)


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Gara di risalita di F. Sauro e D. Barbieri Climbing competition with F. Sauro e D. Barbieri

la presentazione del filmato prodotto dai francesi di One Planet sul Puerto Princesa Underground River (PPUR). In pratica la sala è rimasta vuota fino alle battute finali del film, quando il pubblico ha iniziato a entrare assieme al sottoscritto, che teoricamente doveva presentare il documentario… Su nostra richiesta l’evento è stato riprogrammato per il giorno successivo. La proiezione è poi andata benissimo, con sala gremita e molte persone in piedi: alla fine le congratulazioni per La Venta non sono mancate. Nonostante queste pecche organizzative, moltissime sono state le relazioni interessanti presentate, che coprivano tutto lo spettro di ricerche che possono essere condotte in grotta e in ambienti carsici: in questo senso è risultato chiaro come la “scienza ufficiale” (università etc…) vada considerando sempre di più l’ambiente carsico e le grotte come “laboratorio” naturale insostituibile per le enormi possibilità che offre di ricerca avanzata. Tra tutte le relazioni, un elevato numero ha riguardato la salvaguardia delle grotte, coniugata spesso con la didattica ambientale: in questo ambito ha suscitato molto interesse la relazione di La Venta sul “Progetto per la salvaguardia e lo sviluppo ecosostenibile del Puerto Princesa Underground River” (PPUR), dove per la prima volta viene presa in considerazione anche la necessità di elevare il tenore di vita delle popolazioni locali come mezzo fondamentale per ottenere una migliore salvaguardia ambientale delle aree carsiche e delle grotte. Un altro piccolo gruppo di relazioni, invece, era di tenore molto lontano dai nostri modi di intendere la speleologia: proponevano in sostanza la pratica delle competizioni sportive in grotta. I titoli più significativi erano: “Può l’Unione Internazionale di Speleologia diventare un’associazione

meant to be presenting the documentary! At our request, the event was then rescheduled for the next day. The screening went very well, with standing room only, and at the end La Venta was roundly congratulated. Despite these organisational hiccups, a large number of interesting speeches were given, covering the entire spectrum of research that can be conducted in caves and karst environments. In this sense, it came across clearly how “official science” (universities, etc.) are becoming more aware that caves are an irreplaceable natural “laboratory”, thanks to their immense potential for advanced research. A large number of speeches concerned the safeguarding of caves, often in combination with environmental education: in this context, the La Venta session on the “Project for the safeguarding and eco-sustainable development of the Puerto Princesa Underground River”, where for the first time account was taken of the need to raise the standard of living of the local population as a fundamental lever for more effective environmental protection of karst areas and caves. Another small cluster of speeches, in contrast, diverged markedly from our understanding of speleology: they proposed, in short, the staging of sporting competitions in caves. The most significant titles were: “Can the International Union of Speleology become a sporting association and why should it do so?” and “Are competitions in caves really unacceptable?”. The whole thing is clearly very dangerous, given that caves are a fragile environment with often extremely delicate ecosystems, but we should certainly not underestimate the powerful commercial interests that lie behind these proposals. The requests to stage official competitions in caves come essentially from major sponsors involved in the sporting world and from important international bodies (national sports and even Olympic committees…). Some heavyweight European Speleological Federa-


sportiva e perché dovrebbe farlo?” e “Le competizioni in grotta sono davvero inaccettabili?” La cosa è evidentemente molto pericolosa, tenuto conto che le grotte sono un ambiente fragile con ecosistemi spesso delicatissimi, ma non bisogna assolutamente sottovalutare i grossi interessi commerciali che ci sono dietro. Le richieste di fare competizioni ufficiali in grotta vengono essenzialmente da grandi sponsor legati allo sport e da parti importanti di organismi internazionali (comitati nazionali dello sport e anche olimpici…). Alcune importanti Federazioni Speleologiche Europee hanno già ceduto alle lusinghe (la Francia, innanzitutto, che è passata dal Ministero della Cultura a quello dello Sport…) e altre le seguiranno a breve. Questa sorta di “mutazione genetica” non è soltanto perniciosa per le grotte, ma anche dannosissima per la speleologia: comporta infatti quasi automaticamente l’allontanamento degli studiosi, che ovviamente non sono interessati a “gareggiare”. Non è un caso che in Francia e Spagna essi abbiano già fondato nuove associazioni distinte da quelle speleologiche. A Sydney i sostenitori di questo “nuovo corso” sono stati largamente battuti… ma nei prossimi anni il problema si riproporrà con sempre maggior forza a causa degli interessi economici in gioco. Credo che il compito di associazioni come La Venta, che ha fatto della collaborazione tra esploratori e ricercatori il suo carattere distintivo, sarà anche quello di far sentire alta e forte la sua voce in difesa della vera speleologia. Il Congresso non è stato solo presentazione di relazioni e filmati, ma anche spazio per attività ricreative e ludiche. Non lontano dalle aule in cui si parlava di esplorazione e ricerche, infatti, vi era un grande capannone in cui trovavano

tions have already given in to the flattery (that of France, first and foremost, which has been moved from the remit of the Ministry of Culture to that of the Ministry of Sport…) and others are set to follow suit shortly. This sort of “genetic mutation” is not only pernicious for caves, but also extremely damaging for speleology: it connotes almost automatically the alienation of the academics, who are naturally unconcerned with “contests”. It is not by chance that in France and Spain they have already founded new associations distinct from the speleological bodies. In Sydney, the proponents of this “new route” were, for the most part, drowned out…but over coming years, the problem will reappear more forcefully due to the economic interests at stake. I feel that the task of associations like La Venta, a distinctive feature of which has been the partnership between explorers and researchers, will include making their voice heard in defence of true speleology. The congress encompassed more than just speeches and videos – space was also given over to recreation and games. Not far from the rooms where exploration and research was being discussed, there was a large facility playing host to a number of interesting exhibitions: these included the display of artistic objects associated with the karst world and caving – i.e. stunning reproductions (created using 3D printers) of the 10 largest underground chambers thus far discovered around the world, the size of which was compared to that of Wembley stadium reproduced on the same scale… Next to the exhibitions there was also a space for retailers of speleological gadgets and books, and a space for time trials, which proved to be a great success with the public, including the traditional rope grab… but there were also new games, which for me were more fun and more engaging. One I liked a lot, because it was highly technical and challenging, was the one that required a team of three people to travel around 10 I partecipanti di La Venta alla cena finale The La Venta participants at the end of conference dinner

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Una saletta concrezionata A concretion chamber

spazio alcune interessanti mostre: tra queste l’esibizione di oggetti artistici legati al mondo del carsismo e delle grotte, e inoltre riproduzioni assolutamente stupefacenti (ottenute con stampanti 3D) delle 10 più grandi sale sotterranee attualmente conosciute al mondo, la cui dimensione era fatta intuire al visitatore perché messa a paragone con lo stadio di Wembley riprodotto alla stessa scala… A fianco delle mostre c’era poi lo spazio per venditori di libri, gadget speleologici e quello per effettuare gare contro il tempo. Queste ultime hanno riscosso molto successo di partecipazione e di pubblico: tra loro ovviamente non poteva mancare la tradizionale risalita su corda…ma vi erano anche nuovi giochi, a mio avviso più divertenti e coinvolgenti. Tra questi mi piace segnalare, perché molto tecnico e faticosissimo, quello che richiedeva a una squadra di tre persone di percorrere in sequenza circa 10 metri all’interno di un angusto e tortuoso tubo completamente stipato di bottiglie di plastica tappate…. provare per credere! Una giornata centrale del Congresso è stata dedicata alle escursioni e personalmente ne ho approfittato per riuscire a visitare la famosissima e splendida Jenolan Cave, enorme grotta resa turistica già dalla metà del 1800. La cena di gala finale è stata realizzata nel capannone che aveva ospitato i venditori e le esposizioni. Seppure abbastanza costosa e un poco spartana, ha rappresentato il momento più intenso di socializzazione tra i partecipanti al Congresso…. Per concludere non resta che notare come, a causa della mancanza di coordinamento tra la Società Speleologica Italiana e i suoi rappresentanti in ambito internazionale, pur in presenza di validissimi candidati, l’Italia non avrà nessuno nel Bureau dell’Unione Internazionale di Speleologia per il quadriennio 2017-2021. Dimenticavo: il prossimo Congresso si terrà a Lione in Francia, occasione ottima per una partecipazione massiccia di speleologi dall’Italia…. Io conto di esserci (inshallah!).

Una antica scala del primo percorso turistico della Jenolan cave An old staircase on the first tourist route of the Jenolan Cave

metres in sequence within a narrow, tortuous tube that was completely crammed with plastic bottles with their lids on – quite a sight! A central day in the schedule was given over to excursions, and I decided to take advantage of the opportunity to visit the famous, wonderful Jenolan Cave, an enormous cave that has been a tourist attraction since the mid 19th-century. The gala dinner at the end of the congress was held in the facility that had been housing the retailers and exhibitions. Although rather costly and somewhat spartan, it constituted the main chance for the delegates to socialise… . Last but not least, I should highlight the fact that, due to the lack of co-ordination between the Italian Speleological Society and its international representatives, despite the presence of ideal candidates, Italy will have nobody in the Bureau of the International Union of Speleology for the period 2017-2021. I almost forgot: the next congress will be held in Lyon, in France, and will provide an excellent opportunity for numerous speleologists from Italy to make their mark…I plan to be there (inshallah!).

Una grande stalagmite stromatolitica A large stromatolitic stalagmite


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Una bambina si accinge a lavare i panni nei pressi del villaggio di Cabayugan, Filippine A little girl get set to wash clothes near the village of Cabayugan, Philippines


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L’ultimo campo...

The last camp…

Paolo Forti Dicembre 2016, il rumore sordo del motore dell’Airbus della Qatar Airlines ha presto il sopravvento sulla mia stanchezza e, dopo pochi minuti dal decollo da Manila, mi addormento… Non è un sonno profondo, ristoratore: nel sogno, infatti, sento ancora più forte il rombo, come di un tuono che spinge tutti noi, appena assopiti dopo un giorno di pesanti esplorazioni speleologiche nell’altopiano del Cansiglio-Cavallo, a uscire dai nostri sacchi a pelo militari e precipitarci fuori da Casera Sauc, la nostra base sull’orlo del baratro che guarda verso la pianura veneta.

December 2016, the dull thrum of the engine of the Qatar Airlines Airbus is combining with my tiredness to send me to sleep just a few minutes after taking off from Manila… It is not a deep, restorative sleep: in fact, in my dream I can hear the rumble even louder, it is like thunder, pushing us all – having just dozed off after a day of heavy caving explorations on the Cansiglio-Cavallo plateau – to get out of our military sleeping bags and plummet out of Casera Sauc, our base on the edge of the abyss that looks towards the Venetian plain. In the pitch blackness, the noise becomes increasingly intense

Prima spedizione in Sardegna nell’Agosto del 1967: fotografando con l’aiuto di P. Piccinini le calciti nelle crevasse della miniera di San Giovanni a Iglesias First expedition in Sardinia in August 1967: taking photographs, with help from P. Piccinini, of the calcites in the crevasses in the San Giovanni mine in Iglesias

Nel buio totale, il rumore si fa sempre più intenso e, a un tratto, come per magia sotto di noi l’aeroporto militare di Aviano s’illumina a giorno e stormi di bombardieri americani circondati da caccia in formazione atterrano in sequenza rapidissima. Dopo neanche dieci minuti tutto si spenge in un attimo e siamo circondati solo da un silenzio irreale. Rimaniamo muti per un po’, consci di aver assistito a un maestoso e terribile spettacolo: una prova generale di quello che potrebbe accadere in un qualsiasi momento in cui dalla “guerra fredda” si fosse passati a quella guerreggiata… Un sobbalzo dell’aereo mi fa risvegliare, conservando però

and, all of a sudden, as if by magic, the military airport of Aviano appears floodlit below us and groups of American bombers, surrounded by fighters in formation, land in a rapid sequence. After less than 10 minutes, everything is turned off in an instant and we are surrounded by an unreal silence. We stay quiet for a little while, conscious of having borne witness to a spectacle at once majestic and terrible: a rehearsal for what could happen at any time, should the “cold war” suddenly heat up... I am awoken by a jolt of the aircraft, but the image from my dream bleeds through – it was actually a memory that has stayed with me from my youth, stored in some obscure corner


L’ultimo campo... vivissima l’immagine appena sognata, che del resto era un ricordo ben presente di quel lontano periodo giovanile, custodito in un cassettino recondito del mio cervello. Era l’agosto del 1966 e per me, non ancora ventunenne, era la prima volta che partecipavo a un campo speleologico. Grazie a Luciano Besa, mio compagno di facoltà, ero infatti entrato a far parte dell’Unione Speleologica Bolognese solo alla fine del 1965. Gli eventi tragici di Roncobello, pochi mesi dopo, avevano letteralmente sconvolto il nostro Gruppo, tanto che le spedizioni già calendarizzate in Sardegna erano state tutte annullate. Solo Luciano aveva deciso di provare a fare un campo sul Cansiglio-Cavallo ed io avevo accettato con entusiasmo di parteciparvi. Per quel che ricordo (non molto per la verità) le grotte che esplorammo erano brutte e fredde (molto fredde, anzi gelate, con ghiaccio perenne all’interno): in pratica dei budelli verticali senza concrezioni… Ma la vita di spedizione mi stregò letteralmente, tanto che da allora non ne ho potuto più fare a meno; infatti nel mezzo secolo successivo solo in due anni (il 1972 e il 2015 per l’esattezza) non ho partecipato a una qualche esplorazione speleologica. Inizialmente è stata la Sardegna a farla da padrona, con campi in Supramonte e soprattutto nell’Iglesiente, ma poi sono venute la Sicilia, la Puglia, la Calabria; quindi l’Europa e poi, sempre di più, gli altri continenti. Tanto da meritarmi il titolo di “speleo errante”. Non ho tenuto un conto esatto dei campi cui ho partecipato, ma considerando che negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso per me era comune fare anche 5-6 spedizioni l’anno, direi che in cinquanta anni sono stati abbondantemente sopra i 150. Ma perché proprio ora e proprio qui sull’aereo che mi riporta a casa dopo la mia quarta spedizione all’Underground River di Palawan mi è tornato prepotentemente alla memoria il mio primo campo speleologico? Per capirlo bisogna fare un piccolo passo indietro: ritornare alla sera di due giorni fa. Per la metà dei partecipanti, me compreso, questo è l’ultimo giorno di spedizione e pertanto si è deciso di fare una cena per festeggiare non solo la fine del campo comune, ma anche i venticinque anni di La Venta cui si sommano, casualmente, anche i miei venticinque di esplorazioni dell’Underground River e i cinquanta di spedizioni speleologiche. Ho insistito per pagare io il vino, giustificando il fatto con la motivazione che volevo celebrare i miei due traguardi, ma in realtà volevo soprattutto condividere con i miei compagni una decisione che non potevo più rimandare. Nei giorni precedenti, infatti, mi ero sempre più convinto che la vita di spedizione, con le sue difficoltà e imprevedibilità, non potesse più essere compatibile con le necessità inevitabili di un’età oggettivamente avanzata (vado per i 73 anni…). Al momento della comunicazione non sono stato preso sul serio, pensavano che scherzassi… poi hanno provato a dire che ero ancora giovane e in forze, che non avrei dovuto assolutamente rinunciare: questa loro reazione mi ha fatto

The last camp…

of my mind. It was August 1966 and, for me, still aged just 20, it was the first time I had been to a cave exploration camp. Only in late 1965 – thanks to Luciano Besa, my friend from the faculty – had I joined the Speleological Union of Bologna. The tragic events of Roncobello, a few months later, had really shocked our group; so much so that the scheduled expeditions in Sardinia had all been cancelled. Only Luciano had decided to try and make a camp on the Cansiglio-Cavallo, and I had enthusiastically signed up. As far as I can recall (not that far, to tell the truth) the caves that we explored were ugly and cold (very cold, frozen in fact, with perennial ice inside) – they were really vertical alleyways without concretions…But the idea of going on expeditions bewitched me, so much so that, since then, I have not been able to live without them. Indeed, over the next half-century, there have only been two years (1972 and 2015) when I have not taken part in some cave exploration or other. To begin with, Sardinia dominated my horizons, with camps in Supramonte and above all in Iglesiente, but then came Sicily, Puglia and Calabria, followed by Europe and then, more and more, the other continents – so much so that I ended up being called the “wandering speleologist”. I have not kept a record of just how many camps I’ve been involved with, but given that in the ’80s and ’90s I would habitually go on 5-6 expeditions per year, I’d say that in 50 years the total must be well in excess of 150. But why now, and why on the plane that’s bringing me home after my fourth expedition to the Underground River in Palawan, has this memory of my first caving camp come rushing back? To understand the reason, we have to think back to two evenings ago. For half of the participants, me included, this was the final expedition day, and so we decided to have dinner together to celebrate not only the end of the shared camp but also La Venta’s 25th anniversary, which as it happens, coincides with my 25 years of exploring the Underground River and my 50 of cave expeditions. I insisted on paying for the wine, reasoning that I wanted to celebrate my two milestones, but in truth I really wanted to share with the companions a decision that I could no longer postpone. Over the preceding days, I had become increasingly convinced that the expeditionary life, with its difficulties and unpredictability, was no longer compatible with the inevitable requirements of someone who is, objectively, getting on a bit (we’re talking 73). When I made my announcement, I was not taken seriously, they thought I was joking…then they tried to tell me that I was still young and strong, and that I should definitely not be throwing the towel in. This reaction of theirs was pleasing, but it didn’t make me change my mind. It also made me laugh, because it reminded me of something that had happened back in 1986 in Sicily. Towards the end of the caving camp at Santa Ninfa, Mario Bertolani – who at that time was still the Chair of the Emilia-Romagna Regional Speleological Federation – was heading, together with his loyal companion Antonio Rossi and me, towards the bottom

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L’ultimo campo... piacere, anche se non mi ha fatto cambiare idea. La cosa, poi, mi ha anche fatto sorridere perché mi ha riportato alla mente un fatto accaduto nel lontano 1986 in Sicilia. Verso la fine del campo speleologico a Santa Ninfa Mario Bertolani, allora ancora Presidente della Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna, assieme al fido Antonio Rossi e al sottoscritto, stava procedendo verso il fondo della Grotta di Santa Ninfa quando, improvvisamente, si fermò davanti ad una piccola risalita di meno di 2 metri e ci disse: “Andate avanti voi perché io mi fermo

The last camp…

of the cave of Santa Ninfa when, out of the blue, he stopped in front of a small ascent of less than 2 metres, and he said to us: “You go ahead, I’m stopping here…”, adding calmly, as was his wont, “…I’m too old to keep on exploring caves, so this Santa Ninfa trip will be my last”. Naturally, both me and Antonio went out of our way to explain that age didn’t matter, what matters much more is the spirit and the physical condition. Mario let us say everything we had to say, but then he told us that we had not convinced him and that he was sticking to his guns.

Dicembre 2016: tutti i partecipanti alla spedizione al PPUR alla fine della cena d’addio a Sabang (Palawan) December 2016: all of the participants on the expedition to the PPUR at the end of the farewell dinner in Sabang (Palawan)

qui …”, aggiungendo poi pacatamente come sua natura “… sono troppo vecchio per continuare a fare esplorazioni speleologiche, quindi questa di Santa Ninfa sarà la mia ultima”. Naturalmente sia Antonio che io ci prodigammo a spiegargli che l’età non conta, che vale molto di più lo spirito e la condizione fisica: Mario ci lasciò parlare per tutto il tempo che volemmo, quindi concluse dicendo che non lo avevamo convinto e tenne fede al proposito che ci aveva appena esternato. Ebbene, Bertolani la sua decisione la prese quando aveva qualche mese meno della mia età attuale… a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che l’età conta e molto! Certo la mia decisione non significa che smetterò di andare in grotta o tantomeno che lascerò il mondo speleologico: comporterà solo il fatto che smetterò di partecipare a spedizioni future…

Well, Mario made his decision when he was a few months younger than I am now…proof-positive, if any were needed, that age really does count! Sure, my decision does not mean that I will stop going to caves or, even less so, that I will leave the speleological world – it just means that I won’t be taking part in future expeditions… This for me is, in itself, quite a wrench, because it means turning my back on the thing that, more than any other, I have always liked about caving camps: after the day’s efforts, the evening get-together, often in front of a large bonfire, where we can animatedly discuss the wonderful discoveries made during that day and plan out the explorations for the next, always ending with a toast (alcoholic or otherwise) and sometimes with some Homeric singing. In short, more than the exploring or the scientific research, what I always really loved was the human side, the camaraderie, and I’ll surely miss it.


L’ultimo campo...

The last camp…

Dicembre 2016: da sinistra F. Cucchi, J. M. Calaforra e P. Forti mentre discutono al campo su dove posizionare gli strumenti in grotta December 2016: from left F. Cucchi, J. M. Calaforra and P. Forti while discussing the field on where to place the instruments in the cave

E questo per me è già abbastanza pesante, poiché devo rinunciare alla cosa che, in assoluto, mi è sempre piaciuta di più nei campi speleo: e cioè, dopo le fatiche, la riunione serale, magari davanti ad un grande falò, in cui si discute animatamente delle scoperte mirabolanti effettuate nella giornata appena terminata e si progettano altre eccezionali esplorazioni per il giorno a venire, terminando invariabilmente con brindisi più o meno alcolici e a volte con cantate omeriche. Insomma più dell’aspetto esplorativo o di ricerca scientifica era l’aspetto umano, di “fratellanza”, che mi ha stregato e da ora in avanti mi mancherà. Non per questo devo però rattristarmi, anzi tutt’altro: infatti so di essere in assoluto una persona fortunatissima: che ha potuto, per mezzo secolo, fare la cosa che più gli piaceva e di cui serberò sempre il ricordo; come non mi abbandoneranno certo le facce di tanti amici veri (non quelli elettronici di facebook!) con cui ho diviso fatiche e freddo, ma anche incommensurabili momenti di allegria e gioia vera.

I should not be sad about this, though; on the contrary, I know that I have been an incredibly lucky person – for half a century, I’ve been able to do the thing I like best, and I will treasure the memories; I will never forget the faces of so many real friends (not the electronic ones on Facebook!) with whom I have bonded, in tough, freezing conditions, and who have given me priceless moments of happiness and joy.

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Memorie del buio

memories of the dark

Paolo Forti

LA GROTTA DI FINGAL Il 13 Agosto del 1772 lo scienziato Joseph Banks approdò a Staffa, piccola isola scozzese nel Mare del Nord, e in novembre scrisse sullo “Scots Magazine: ”… c’è una grotta in questa isola che i nativi chiamano la Grotta di Fingal…”. Pochi anni dopo apparve su una rivista inglese una prima incisione della cavità, tratta da un disegno di Banks fatto durante la sua prima visita alla grotta. Da quel momento, nonostante l’interesse speleologico della cavità fosse in realtà minimo, la Grotta di Fingal divenne una delle sette meraviglie del mondo, ispirando anche poeti e musicisti; tra questi va ricordato Felix Mendellssohn Bartoldi, che nel 1829 compone la sua overture “Le Ebridi”, anche nota come “Fingal’s Cave”, ispirato dal suono delle onde che s’infrangono al suo interno. Già all’inizio del 1800, quindi, Fingal era prepotentemente entrata a far parte del “Gran Tour”, il viaggio che ogni nobile e ricco europeo doveva fare almeno una volta nella vita. Ogni anno, centinaia di turisti tentavano di visitare la grotta, anche se la maggioranza di loro era respinta dalle tempeste che squassano quel lembo del mare del Nord, ben prima di raggiungere quella piccola isola basaltica. La fama della Grotta di Fingal divenne così grande da diventare la cavità naturale più rappresentata al mondo in quadri e soprattutto in incisioni (quasi 200 in meno di 150 anni). Solo dopo la seconda guerra mondiale i flussi turistici iniziarono a spostarsi verso mete più esotiche e la Grotta di Fingal tornò a essere solo una piccola cavità, rifugio per gli uccelli marini durante le tempeste del Mare del Nord.

FINGAL’S CAVE On 13 August, 1772, the scientist Joseph Banks reached Staffa, a small island off the west coast of Scotland, and in November he wrote in The Scots Magazine: “…there’s a cave on this island that the locals call Fingal’s Cave…”. A few years later, the first engraving of the cave appeared in an English magazine, based on a drawing made by Banks during his first visit to the cave. Although it is not of great interest from a speleological perspective, Fingal’s Cave went on to be considered one of the seven wonders of the world, inspiring a multitude of poets and musicians, including Felix Mendelssohn, who in 1829 composed an overture named The Hebrides, also known as “Fingal’s Cave”, inspired by the sound of the waves crashing inside it. As far back as the early 19th century, Fingal’s Cave was deemed an essential stop-off on the Grand Tour, the trip that every rich, noble European had to take at least once. Every year, hundreds of tourists attempted to visit the cave, even though the majority of them were forced back by the tumultuous storms that batter all boats long before they even reach the little basalt island. The renown of Fingal’s Cave is such that it has become, over the years, the most frequently depicted natural cave in paintings and, above all, etchings (almost 200 in less than 150 years). Only after the Second World War did the tourist flows begin to shift towards more exotic locations, and Fingal’s Cave went back to being just a minor attraction and a refuge for marine birds during sea storms.


LA VENTA Soci Soci Effettivi: Roberto Abiuso, Teresa Bellagamba, Tullio Bernabei, Gaetano Boldrini, Leonardo Colavita, Carla Corongiu, Vittorio Crobu, Antonio (Tono) De Vivo, Umberto Del Vecchio, Martino Frova, Luca Gandolfo, Giuseppe Giovine, Luca Imperio, Luca Massa, Francesco (Ciccio) Lo Mastro, Leonardo Piccini, Enzo Procopio, Alessio Romeo, Natalino Russo, Tommaso Santagata, Francesco Sauro, Giuseppe Savino, Giuseppe Spitaleri. Soci Aderenti: Giorgio Annichini, Daniela Barbieri, Alvise Belotti, Alessandro Beltrame, Norma Damiano, Riccardo De Luca, Ada De Matteo, Jo De Waele, Davide Domenici, Massimo Liverani, Marco Mecchia, Fabio Negroni, Paolo Petrignani, Pier Paolo Porcu, Patrizio Rubcich, Antonella Santini, Giuseppe Soldano, Giacomo Strapazzon, Gianni Todini, Roberto Trevi, Marco Vattano. Soci Esteri: José Maria Calaforra, Alicia Davila, Fulvio Eccardi, Esteban Gonzalez, Elizabeth Gutiérrez F., Israel Huerta, Carlos Lazcano,

Enrique Lipps, Jesus Lira, Mauricio Náfate L., Jorge Paz T., Monica Ponce, Peter L. Taylor, Argellia Tiburcio, Freddy Vergara, Kaleb Zárate Galvez. Soci Onorari: Raul Arias, Giuseppe Casagrande, Viviano Domenici, Adolfo Eraso Romero, Paolo Forti, Elvio Gaido, Amalia Gianolio, Italo Giulivo, Silvia Nora Menghi, Luca Mercalli, Ernesto Piana, Rosanna Rabajoli, Tim Stratford, Marco Topani, Carina Vandenberghe. Soci Sostenitori: Loredana Bessone, Gabriele Centazzo, Tiziano Conte, Alfredo Graziani, Fernando Guzman Herrera, Graziano Lazzarotto, Adriano Morabito, Luciana Surico, Luciano Tonellato. Soci alla Memoria: Giovanni Badino † , Paolino Cometti † , Francesco Dal Cin † , Edmund Hillary † , Adrian G. Hutton † , Lucas Ruiz † , Thomas Lee Whriting † .

Terza di copertina / 3rd cover: Rampicante della foresta tropicale di Palawan / Creeper in the tropical forest of Palawan Quarta di copertina / Back cover: Il drone di Flyability nella Grotta della Cucchiara / The Flyability drone in the Cucchiara cave



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