N. 27 - 2022
Annuario
Kur, antico termine sumerico, significa “montagna” o “terra straniera”, ma è anche il nome usato per indicare gli Inferi, ai quali si accedeva “entrando nella montagna”. Su Kur, la cui ubicazione nella geografia sacra è ambigua, le forze brute dell’Universo si scontravano con gli dèi del pantheon mesopotamico. Kur era, quindi, la montagna sacra ma anche un luogo sovrannaturale, selvaggio, lontano dal mondo degli uomini, meta di viaggi eroici e teatro di epiche imprese.
Dir. responsabile Redazione
Grafica
Contatti
Tullio Bernabei Carla Corongiu, Ada De Matteo, Antonio De Vivo, Paolo Forti, Alessio Romeo, Natalino Russo, Tommaso Santagata. Ada De Matteo
Via del Giardino 2 - 02046 Magliano Sabina - Italy tel +39 0744919296 email: kur@laventa.it
La Venta Associazione Culturale Esplorazioni Geografiche
Via Priamo Tron, 35/F 31100 Treviso - Italy www.laventa.it
Copertina
Campionamenti nella Guacharo, Colombia
Seconda di copertina
Cueva
del
Discesa dal vulcano Fagradalsfjall, Islanda
contributi & crediti Gaetano Boldrini: 28; Francesco Lo Mastro: terza di copertina, 5, 6 alto, 30 alto, 31 basso; Alberto Righetto: seconda di copertina, 18, 20; Alessio Romeo: copertina, quarta di copertina, 2, 4, 6 basso, 7,12, 15, 16, 17, 24, 25, 27; Tommaso Santagata: terza di copertina; Francesco Sauro: 11; Marco Vattano: 1, 30 basso, 31 alto.
Editoriale
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Tullio Bernabei
Il periodo in cui la pandemia e i suoi effetti collaterali si sono fatti sentire è stato lungo, e verosimilmente non è terminato. L’impossibilità di viaggiare all’estero, o come minimo l’eccessiva complessità nel farlo non da turisti ma da esploratori/ricercatori, ha impedito di fatto all’associazione, per oltre un anno, di organizzare spedizioni. Certo, l’immobilità ci ha permesso di pubblicare il libro su Naica, la grotta dei cristalli giganti, e riorganizzare molte cose all’interno dell’associazione tra cui il faticoso e burocratico, ma inevitabile passaggio allo status di APS: ma La Venta è e rimane ricerca ed esplorazione sul campo, nei territori più estremi o comunque meno conosciuti. Quindi abbiamo sofferto. Poi lentamente l’attività è ripresa e, seppure con qualche difficoltà in più, stiamo tornando a regime: che per noi vuol dire impegnarci mediamente su 3-4 progetti di ampio respiro, ripetuti negli anni, più qualche prospezione spot. Anche questo numero di KUR, la nostra memoria scritta, ne è testimonianza; e come al solito facciamo un mezzo giro del mondo. Partiamo dalle quarziti colombiane del Chiribiquete, uno di quei luoghi apparentemente irraggiungibili, o quantomeno non esplorabili, che invece si stanno trasformando in qualcosa di più conosciuto (cambio di percezione, direbbe Giovanni Badino) grazie alla strettissima collaborazione con le comunità indigene. Nell’Atlantico portoghese, a sud di Madeira, sono state esplorate e documentate con alta tecnologia le grotte
laviche delle incontaminate Isole Selvagens, altro posto davvero fuori dal mondo: non a caso i temi di fondo sono astrobiologia e grotte marziane. Sempre parlando di isole e sistemi sotterranei legati al vulcanismo, ma molto più a nord, è iniziato un importante progetto esplorativo e scientifico sui tubi lavici islandesi generati dalla recente eruzione del Fagradasfjall: le grotte sono ancora molto calde, ma si può cominciare ad entrare... non è solo questione di curiosità e, perché no, di farlo per primi. È che le condizioni interne estreme generano fenomeni mineralogici e biologici tutti da studiare: bisogna esserci. Dal caldo al freddo è una delle nostre storiche specialità, e non poteva mancare la speleologia glaciale del progetto Inside the Glaciers, cui l’associazione collabora fattivamente: in questo numero potete leggere aggiornamenti sul ghiacciaio del Gorner, dove ormai si ragiona in termini di droni esploratori e scansioni 3D. Qualcuno però le grotte le deve trovare e almeno in parte entrarci... Infine un report dal Parco Nazionale della Valle di Valbona, in Albania, dove alcuni nostri soci si sono uniti a una spedizione polacca con finalità biospeleologiche, soprattutto chirotteri, ma non solo: e le sorprese non sono mancate, come in tutte le esplorazioni serie. Nel frattempo altra buona notizia è che nuovi soci sono saliti sulla barca, tutti motivati. Lentamente proviamo a spiegare le vele.. e intanto continuiamo, come sempre, a remare.
Buri cave, Islanda
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SOMMARIO
Editoriale
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Notizie
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Seguendo le rocce, scalando le acque - quarziti colombiane 2022 Francesco Lo Mastro, Antonio De Vivo, Francesco Sauro
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Prima di noi Francesco Lo Mastro, Antonio De Vivo, Francesco Sauro
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All’estremità occidentale dello scudo della Guyana Francesco Lo Mastro, Antonio De Vivo, Francesco Sauro
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Sul ghiacciaio Gorner con il progetto “Inside the glaciers” Luca Gandolfo, Alessio Romeo
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L’interno dei ghiacciai in 3D Tommaso Santagata
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I pipistrelli ti portano lontano - racconto di una spedizione in Albania Sara Di Ferrante, Federico Narduzzi, Alberto Righetto
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Grotte di carta - La donnola Gaetano Boldrini
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Esplorando le grotte delle sperdute Selvagens Island: il progetto Microceno Ana Miller, Francesco Sauro
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Le isole Selvagens: un analogo geologico di Marte Ana Miller, Francesco Sauro
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Il progetto Hraun: nuove grotte vulcaniche nella penisola di Reykjanes Tommaso Santagata
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Memorie del buio - Manifesti pubblicitari Paolo Forti
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Campionamento di una vecchia crioconite intrappolata nel ghiaccio a 20m di profondità riportata alla luce dal pozzo d’ingresso di un mulino fossile
Notizie
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IL LIBRO “NAICA - LE GROTTE DI CRISTALLO” mento di tempo nella storia geologica della Terra, destinata a entrare a far parte della geografia umana. Esplorare e documentare le grotte di Naica ha richiesto cinque anni di rischiose missioni da parte di un team internazionale guidato dall’Associazione La Venta, che ha sviluppato le tecnologie necessarie per sopravvivere e operare in questo ambiente mortale. Finalmente. dopo diversi anni, nel 2021 siamo riusciti a raccontare tutte le fasi di questo complesso progetto in un libro a cura di Tullio Bernabei, Antonio De Vivo, Paolo Forti, Francesco Lo Mastro, Natalino Russo. Lo scopo è quello di onorare quell’esperienza raccontando come abbiamo gestito il progetto, sopravvivendo e mostrando quella che è forse la più grande meraviglia sotterranea del mondo. I numeri: 224 pagine a colori Più di 200 foto e disegni Carta patinata opaca 150 grammi 3 differenti edizioni: Italiano, Inglese, Spagnolo Il libro è acquistabile su Amazon.
All’inizio del terzo millennio, nelle profondità di una miniera d’argento nel Messico settentrionale, è stato scoperto qualcosa di unico sul nostro pianeta. Una grotta nascosta, sepolta a 300 metri sotto la superficie, dove la natura ha creato da centinaia di migliaia di anni uno straordinario tesoro... Un luogo quasi da fumetto, che supera la più ardita immaginazione, protetto e preservato dall’umidità costante e soprattutto da una temperatura impossibile per l’uomo: più di 46°C. Abbiamo avuto il privilegio e la responsabilità di esplorare una piccola finestra aperta per un minuscolo fram-
BANFF MOUNTAIN FILM FESTIVAL WORLD TOUR La Venta raddoppia! Dopo le ospitate del 2019 e 2021 alle serate di Padova, nel 2022 due nostri soci sono stati ospiti del tour italiano del BANFF Mountain Film Festival, rassegna internazionale di film di avventura, esplorazione e sport estremi che quest’anno ha celebrato i 10 anni dalla prima edizione. Nelle serate del 9 marzo a Pietra Ligure e del 16 marzo a Padova, Alessandro Beltrame e Tono de Vivo hanno allietato la platea parlando rispettivamente di documentazione in ambienti estremi e di Naica - la grotta dei cristalli giganti, meraviglia sotterranea nel deserto dello stato di Chihuahua in Messico.
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TEPUI Colombia Cueva del Guacharo
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SEGUENDO LE ROCCE, SCALANDO LE ACQUE – QUARZITI COLOMBIANE 2022 Francesco Lo Mastro, Antonio De Vivo, Francesco Sauro Il progetto quarziti, nato in Venezuela nel 2008, si è ampliato negli anni toccando le aree di altri due stati confinanti: il Brasile e la Colombia. Anche se il titolo può apparire un ossimoro, siamo approdati in Colombia dopo tredici anni di ricerche come seguendo il corso di un immaginario fiume di pietra. Dopo aver risalito il Río Negro per spingersi ad esplorare il tepui brasiliano Aracà, La Venta con questo progetto si spinge ancora più a monte fino ai più remoti fiumi afferenti al bacino del Río delle Amazzoni. Per inoltrarci nell’area delle quarziti colombiane del nostro progetto, infatti, abbiamo percorso su lance a motore lunghi tratti sul Río Caquetá, le cui acque sono caratterizzate da forti correnti e dove spesso
In navigazione sul Río Caquetá
l’incedere viene interrotto da tumultuose rapide, alcune delle quali superabili solo abbandonando le imbarcazioni e procedendo a piedi. Il progetto “Quarziti colombiane” ha lo scopo di esplorare e studiare i fenomeni geologici, le grotte e l’ambiente delle aree quarzitiche nel sud del paese, in particolare nel dipartimento del Caquetá, compreso tra l’area protetta del Parco Nazionale del Ciribiquete a nord e il dipartimento di Amazonas a sud; per la precisione in un’area di foresta primaria, parte colombiana dell’immensa selva amazzonica. È un territorio isolato e di difficile accesso, non essendoci vie di comunicazioni terrestri. In gran parte del territorio si arriva solo per mezzo di pic-
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Il villaggio di Araracuara si trova sulle sponde del Rio Caquetá, a valle di una stretta gola caratterizzata da pericolose rapide
coli aerei, atterrando su malridotte piste in terra battuta nei pressi di sperduti avamposti militari o di minuscoli villaggi. I suoi abitanti, per lo più pescatori e cacciatori appartenenti a diverse etnie indie, si spostano con canoe e lance a motore lungo una fitta rete di corsi d’acqua di cui si ha contezza solo osservando le mappe o sorvolando la sterminata foresta tropicale. L’inizio dell’avventura nell’Amazzonia colombiana Grazie all’amico speleologo americano Dan Straley che da molti anni esplora in questa regione del Sud America, siamo entrati subito in contatto con ricercatori e profondi conoscitori del territorio, come i colombiani Carlos Lasso Alcala, biologo dell’istituto Humboldt di Bogotà e lo svizzero Jesus Julio Fernandez, esperto speleologo. Ma il progetto non sarebbe stato possibile senza Jules Domine, un kayakista e documentarista franco-canadese trasferitosi da tempo in Colombia assiduo frequentatore dell’area e amico degli indios del Resguardo (riserva) Monochoa, al quale avevamo affidato il compito di incontrare i rappresentanti della comunità indigena per chiedere
Canyon di Araracuara
il permesso di compiere una spedizione esplorativa sugli affioramenti quarzitici presenti nell’area del Río Caquetá insistenti sul loro territorio. Nel febbraio del 2020, fissata la data e il luogo della riunione, un gruppetto formato da Francesco Sauro e Daniela Barbieri per La Venta, Carlos Lasso e i due amici americani Daniel Straley e Brady Merrit, raggiunse con un minuscolo aereo il villaggio di Araracuara, un piccolo insediamento degli indios Monochoa sulle rive del Río Caquetá in piena foresta tropicale. Da lì, a piedi prima e poi in barca per quasi due ore, fu risalito il fiume raggiungendo un remoto villaggio immerso nella boscaglia, il luogo della riunione. Il giorno seguente il governatore generale del Resguardo, Rogelio Mendoza e i governatori delle diverse comunità, riuniti in consiglio all’interno di una maloca (grande capanna cerimoniale), dopo lunghe, dibattute e articolate consultazioni concessero il permesso per la spedizione. Ad una condizione però, il progetto si sarebbe svolto insieme agli stessi indigeni perseguendo il comune obbiettivo di dar vita a uno scambio culturale tra le nostre diverse realtà, coadiuvandoli nella conoscenza scientifica del loro territorio e facendo in modo che la componente indios fosse indipendente nella prima parte dell’esplorazione. Ci lasciammo allora con l’intenzione di organizzare di lì a pochi mesi una prima prospezione con una squadra completamente composta da giovani Monochoa, scelti dal consiglio degli anziani in rappresentanza dei villaggi presenti nella riserva. La Venta avrebbe dotato gli indigeni di materiali tecnici e supporto affinché il gruppo potesse raggiungere alcuni ingressi di grotte sui rilievi quarzitici della riserva. Sarebbe stata, per quanto ne sappiamo, la prima spedizione esplorativa totalmente indigena nella storia delle esplorazioni. Questi furono gli intenti condivisi. Purtroppo, una volta tornati in Italia il mondo venne travolto dalla pandemia e questo sogno rimase nel cassetto in attesa di tempi migliori. Febbraio 2022, il progetto riparte dopo la pandemia Allentata la morsa della pandemia siamo partiti per mettere in pratica il programma concordato con gli amici della comunità Monochoa al tempo della nostra prima visita. Tornati ad Araracuara, un primo gruppo (Francesco Sauro, Alessio Romeo, Daniela Barbieri, Patrizio Rubcich, Alfredo Brunetti, Tiziano Conte, Jesus Fernan-
dez Audersett, Jules Domine e Daniel Straley) ha ripreso i contatti con gli abitanti locali, organizzando una nuova riunione con i responsabili dei villaggi per ripianificare le fasi del progetto e la preventiva spedizione indigena alla ricerca delle grotte. Il giorno seguente, giunto sul posto il resto della squadra (Tono De Vivo, Francesco Lo Mastro e Carlos Lasso), si prendeva conoscenza del territorio raggiungendo con due ore di cammino in foresta la Cueva (grotta) del Guacharo, una grande risorgenza che si affaccia sul rio Caquetá, considerata luogo sacro dai Monochoa. In quella occasione la grotta è stata esplorata, fotografata e rilevata in tutte le sue parti, mentre il biologo Carlos Lasso ha svolto interessanti ricerche biospeleologiche per conto dell’Istituto Humboldt. Nei giorni successivi con il governatore Rogelio Mendoza e i ragazzi provenienti dai villaggi del Resguardo ci si è occupati dei preparativi per la ricognizione sulle montagne. Dopo le presentazioni e l’illustrazione del progetto, ai giovani è stato consegnato tutto il materiale tecnico necessario alla spedizione: amache, zaini, abbigliamento vario, borracce e stoviglie, oltre a cibi liofilizzati, provviste fresche e quanto necessario per la permanenza in foresta. Successivamente tutti insieme ci si è organizzati a bordo di lance a motore per una ricognizione di un paio di giorni risalendo il Río Caquetá, con un pernotto in foresta al fine di testare la logistica e le problematiche che potrebbero sorgere nelle fasi operative della vera esplorazione. I giorni passati alla comunità Monochoa sono stai l’occasione per condividere del tempo insieme e rinsaldare i già consolidati legami di amicizia e collaborazione parlando delle rispettive esperienze e visioni del mondo. Nei prossimi mesi la comunità indigena continuerà la ricerca di ingressi di grotte, per poi in un prossimo futuro organizzare insieme una spedizione scientifica con l’obbiettivo di portare alla luce il mondo nascosto che senza dubbio esiste all’interno delle montagne quarzitiche di questa remota regione della Terra.
Riunione con gli indigeni Uitoto del Resguardo indigena Monochoa nella grande Maloca (capanna) della comunità
Un progetto nel cuore della selva più remota Organizzare e portare a termine la spedizione in quel territorio non è stato semplice. La zona è tornata accessibile solo dal 2017 dopo l’accordo siglato tra il governo colombiano e le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia). Pertanto negli ultimi vent’anni sono state pochissime le esplorazioni scientifiche di questo immenso territorio. Ma altri fattori hanno reso complicato questi nostri primi passi in Colombia: tra tutti il clima e l’ambiente naturale. Molto caldo, piovoso e imprevedibile il primo, pieno di insidie e difficoltà il secondo. Negli avanzamenti in foresta, oltre che da animali striscianti più o meno velenosi, dovevamo guardarci anche dall’assalto di affamate zanzare e miriadi di pungenti moscerini, stando attenti allo stesso tempo a non incappare nelle fratture e lame di roccia nascoste sotto lo strato di vegetazione decomposta. Tra le altre problematiche, prima della partenza è stato anche valutato l’aspetto etico di un’andata in quelle zone in periodo di Covid. Laddove due anni fa in piena crisi pandemica abbiamo rinunciato alla spedizione in Chiapas proprio per non compromettere l’incolumità delle comunità indios della selva El Ocote, adesso con una pandemia in regressione e con sistemi di prevenzione validi (vaccini e tamponi), abbiamo valutato che con quelle opportune precauzioni potevamo partire in sicurezza, in cui, la conditio sine qua non per tutti i partecipanti era il possesso di un green pass rafforzato (tre dosi) e un tampone molecolare con esito negativo effettuato il giorno pima della partenza. Anche dall’altra parte dell’oceano i nostri contatti e collaboratori avevano gli stessi requisiti, e, per quanto riguarda i residenti del Resguardo Monochoa, sapevamo che tutti avevano ricevuto le dosi a seguito di una meticolosa campagna vaccinale. In conclusione, come per le spedizioni in altri paesi, anche in questo caso le esperienze comuni e la condivisione di intenti hanno arricchito tutti, creando un forte legame tra diverse realtà, anche attraverso il confronto tra il nostro concetto di ricerca geografica e la profonda
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percezione sacra e ancestrale che gli indigeni hanno della foresta e della natura nella sua interezza. Hanno partecipato: Francesco Sauro, Alessio Romeo, Jules Domine, Antonio De Vivo, Francesco Lo Mastro, Daniela Barbieri, Patrizio Rubchich, Tiziano Conte, Alfredo Brunetti, Daniel Straley, Carlos Lasso Alcala, Jesus Julio Fernandez. Un sentito ringraziamento alla comunità indigena Uitoto di Monochoa con cui stiamo condividendo questa nuova avventura, e in particolare al governatore Rogelio Mendoza per l’amicizia e il supporto accordato. I ragazzi che hanno fatto parte della squadra di esplorazione sono: Narcizo Perdomo Cabrera (Comunidad Caso Negro), Efren Jonas Rodriguez (Comunidad Amenaní), Jeth-Li Mendoza Matapi (Comunidad Monochoa), Enoc Ortiz Tivoli (Comunidad Chukikt), Wilmer Anderson Valencia (Comunidad Monochoa). Ringraziamo anche per il supporto tutti i fratelli e la famiglia Mendoza, in particolare Eusebio e Nicolas. Con il supporto di: Rolex, Ferrino, Hennessy Hammocks, Tiberino, Crioproject.
Lungo i profondi canyon nella quarzite che caratterizzano i fiumi della regione del Caquetá. Disegno di Jesus Fernandez Auderset
PRIMA DI NOI Francesco Lo Mastro, Antonio De Vivo Nel corso delle nostre spedizioni molto spesso ci troviamo a percorrere luoghi remoti credendo di essere i primi a mettervi piede, a lasciare un’impronta. Questo succede perché nelle ormai abituali consultazioni su Google Earth siamo portati a considerare quei territori coperti da immense foreste, occupati da aridi deserti o isolati da ghiacci perenni, come ancora inesplorati. Ma spesso così non è. Capita infatti che, durante le ricerche storiografiche sull’area di spedizione, dove apparentemente non incontriamo alcuna testimonianza attendibile, ecco che inaspettatamente, nel mare magnum del web, inciampiamo in una relazione, una mappa, un antico documento che riguarda proprio quel luogo. Tali “scoperte” a volte determinano un punto di svolta, un prezioso aiuto nella conoscenza, e non solo sul campo, dei territori da noi esplorati. Come fu per le Filippine, dove in occasione della pubblicazione del libro Una grotta tra terra e mare ci imbattemmo nella prima relazione sull’Underground River fatta dal comandante di marina inglese Bates nel 1850, così è stato per la regione del Caquetá e i suoi fiumi in Colombia. Sull’area amazzonica colombiana molto è stato scritto, tanto che, volendo compiere approfondite ricerche, c’è da perdersi in una infinità di documenti, di relazioni, di trattati sugli abitanti, sull’economia e sulle risorse naturali. Alcune interessanti notizie sull’area ci vengono da un nostro connazionale, il geografo e cartografo Agostino
Copertina libro Codazzi
Codazzi, che già nel 1857 iniziò i suoi viaggi di esplorazione colombiana risalendo il Río Caquetá attraversò le “ilimitadas florestas da la vegetacion exuberante inextricable que se veia por todos lados donde la naturaleza offrece tenaz recistencia en reconocer el hombre como rey de la creación”, come descritto nell’interessantissimo libro “Memorie Inedite di Agostino Codazzi” dove vengono descritte la vita e le imprese di questo pioniere, considerato eroe nazionale nei tre stati di Colombia, Ecuador e Venezuela. Il valore scientifico delle sue ricerche fu tale che il suo nome viene oggi affiancato a quello del famoso naturalista Alexander von Humboldt, avendo percorso come quest’ultimo estese regioni inesplorate colombiane, realizzandone le prime carte geografiche. Un altro interessante testo, utile per la conoscenza del territorio, è il più recente “Mi alma se la dejo al diablo”, scritto nel 1976 dal colombiano Germán Castro Caycedo. Si tratta di una narrazione realistica delle difficoltà di vita e di sopravvivenza nell’area dei fiumi Caquetá e Yarí, nel vano tentativo di colonizzarne quei territori, tra cacciatori e caugheros, raccoglitori di caucciù, il prezioso lattice estratto dall’incisione della corteccia della Hevea brasiliensis fatto conoscere in occidente dall’esploratore geografo francese Charles Marie de La Condamine nella metà del 1700 e che tanto trasformò e stravolse la vita e l’economia degli abitanti di queste terre.
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Mappa Rio Yapurá (Caquetá)
La mappa Oltre alla consultazione dei testi storici più o meno recenti, per l’approfondita conoscenza dei luoghi ci si avvale dei mezzi che la tecnologia mette oggi a disposizione: ricerca sul web, foto satellitari, mappe dettagliate e programmi di restituzione grafica. Tutto abbastanza scontato, ma nel progetto Colombia l’imbattersi in una mappa datata 1789 è stato come ricevere un inaspettato regalo. La “Mapa De una parte de los Rios de los Engaños ò Commiari”, nome con il quale era conosciuto al tempo il Rio Yarí, affluente del Caquetá, è forse la prima che descrive l’area di questi lontani adduttori del Rio delle Amazzoni. Questo raro documento fu commissionato dal regno di Spagna al colonnello Francisco
Requeña nell’ambito della realizzazione dei confini con i territori portoghesi al confine con la regione amazzonica colombiana. In esso viene descritta con incredibile precisione e dovizia di particolari tutta la rete fluviale della regione del Caquetá con i toponimi originali (il rio Caquetá è segnato sulla mappa come Yapurá). Sulla mappa vi sono molti riferimenti alle etnie indios, sono segnati gli ostacoli naturali e la sequenza di rapide (a volte descritte come “inacesible”) lungo i principali corsi d’acqua. Sarà certamente interessante confrontare sul campo insieme ai nativi le informazioni contenute nella mappa. Un valido e stimolante metodo di investigazione comparativa tra presente e passato, un documento prezioso insomma, che al pari di una proficua esplorazione ha per noi il valore di una vera scoperta.
Mappa Río Yarí
Copertina libro Caycedo
ALL’ESTREMITÀ OCCIDENTALE DELLO SCUDO DELLA GUYANA Francesco Sauro La regione del Caquetá rappresenta l’estremità occidentale dell’immenso bacino cratonico dello Scudo della Guyana. Tuttavia ci sono alcune importanti differenze geologiche rispetto ai tepui orientali del Venezuela e della Guyana Esequiba. Anche qui la storia geologica della Serranía di Yarí e del Chiribiquete inizia tra 2000 e 1800 milioni di anni fa, nel periodo Precambriano, quando si formarono le rocce cristalline del basamento. In Colombia il basamento guayanese è caratterizzato da due regioni o province geologiche: il primo è il Complesso Migmatitico Mitú formato da gneiss migmatitici, gneiss granitici e granitoidi, localmente associati ad alcuni scisti micacei, quarziti e anfiboliti. La seconda provincia geologica è il cosiddetto granito Rapakivi-Parguaza, che è considerato come un corpo intrusivo del Complesso Migmatitico Mitú e affiora nel nord-est del Commissariato Vichada nelle Pianure Orientali e sul confine venezuelano, sotto forma di colline nude arrotondate. Successivamente, sopra questa zona dello scudo si è verificato un processo di erosione e di sedimentazione detritica in un bacino interno. Tale evento erosivo è indicato da una non-conformità che mette a contatto le rocce cristalline del Precambriano con i sedimenti quarzitici dell’Ordoviciano: un salto nel tempo da 1.8 miliardi di anni, quando la vita era ancora solo unicellulare, a circa 485 milioni di anni, quando inizia la proliferazione dei primi organismi viventi complessi, come i trilobiti, i gasteropodi e i cefalopodi. È questa una importante differenza rispetto alle rocce quarzitiche dei tepui venezuelani che invece hanno un’età molto più antica, intorno a 1.6 miliardi di anni.
Le quarzoareniti ordoviciane del Caquetá vengono definite come “Formazione di Araracuara”, proprio perché affiorano lungo le pareti dell’omonimo grande canyon. Successivamente le rocce del bacino amazzonico colombiano sono state tagliate da faglie di tipo horst nel tardo Paleozoico, formando la struttura primordiale della lunga Serranía de Chiribiquete. Tuttavia, solo nel Neogene (25-5 milioni di anni fa) tutta quest’area si è innalzata insieme ad altri massicci amazzonici come la Lindosa, Tunahi, Naquen e Tigre, in associazione all’orogenesi andina. Ulteriori studi saranno necessari per comprendere se i tassi di denudazione e erosione superficiali di queste montagne sono analoghi a quelli dei tepui venezuelani. Tuttavia, le grotte e i collassi che si possono osservare sugli altipiani hanno certamente età notevoli per essersi potute sviluppare in quarzoareniti così pure e antiche. Bibliografia Memorie inedite di Agostino Codazzi, a cura di Mario Longhena – edizioni Alpes- Milano 1930. German Castro Caycedo, Mi alma se la dejo al diablo – Editorial Planeta Colombiana- Bogotà 1986 Galvis J. “Estudio Geológico de La Sierra de Chiribiquete Y Zonas Aledañas (Parque Nacional - Natural Chiribiquete).” Revista Academia Colombiana de Ciencias 119 (73): 275– 86, 1994. Mapa de una parte de los rios de los engaños ó Commiari – 1789 - https://www.loc.gov/resource/g5292y.ct 000309/?r=-0.309,0.038,0.678,0.261,0
Il fiume Caquetá ha inciso il profondo canyon di Araracuara nell’omonima formazione di quarzoareniti ordoviciane
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GORNER Svizzera Notte al campo base
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SUL GHIACCIAIO DEL GORNER CON IL PROGETTO “INSIDE THE GLACIERS” Luca Gandolfo, Alessio Romeo Siamo in Svizzera, accampati su un terrazzo naturale a 2650 m di quota da cui si gode una vista magnifica che spazia dalle cime del gruppo del Monte Rosa fino al Cervino, il tutto impreziosito dalla maestosa lingua del ghiacciaio Gorner che scorre ai nostri piedi. Il sole è già tramontato da alcune ore, e le lunghe ombre della maestosa piramide del Cervino proiettate nel vallone del Gorner hanno lasciato il posto alle prime stelle che iniziano a costellare la volta celeste sopra il campo base, mentre una luna quasi piena inizia a fare capolino tra punta Dufour e Punta Gnifetti e la sua luce, riflessa dalle molteplici lingue glaciali dinanzi a noi, illumina quasi a giorno l’intera vallata. Sarà una notte fredda ma preannuncia una bella giornata di sole per l’indomani. Al campo base l’atmosfera è quella tipica dell’ultimo giorno di spedizione, si rivive l’avventura di questi giorni mentre si sorseggia del buon liquore e si raccontano storie e aneddoti di spedizioni in mondi lontani, il tutto prima di ritirarsi nel caldo dei propri sacchi a pelo. Questa spedizione di ottobre 2021 rientra nel progetto denominato “Northern Side of the Alps”, una sorta di progetto appendice all’interno del più vasto progetto “Inside the Glaciers”, ideato da Alessio Romeo e Francesco Sauro e che ha debuttato proprio su questo ghiacciaio nel 2014 col Primo Campo Internazionale di Speleologia Glaciale. “Northern Side of the Alps” prevede una campagna di documentazione, esplorazione e ricerca scientifica multi-disciplinare che si avvale della partecipazione attiva di prestigiosi istituti universitari di Milano e Parigi che si occupano di studi di micro-biologia e nano-particelle. Vi partecipano anche aziende come VIGEA, specializzate nel rilievo fotogrammetrico e nella modellazione tridimensionale. E infine varie associazioni speleologiche
italiane, svizzere e francesi. Fra agosto e dicembre 2021 oltre cinquanta persone hanno contribuito a questo ambizioso progetto che ha raccolto dati e campioni su ben nove diversi ghiacciai del cantone svizzero del Vallese. Fra le associazioni speleologiche il contributo di La Venta ha sempre fatto la differenza nei molteplici progetti di Inside the Glaciers, non solo con la fornitura di materiali ma anche con la presenza attiva di molti membri. Sul Gorner ci siamo ritrovati in sette: Norma Damiano, Roberto Trevi e Tommaso Santagata arrivati apposta per questa intensa tre giorni, mentre Patrizio Rubcich, Sara Di Ferrante, Alessio Romeo e Luca Gandolfo sono arrivati dopo un’altra intensa tre giorni tra esplorazione, rilievo e campionamenti nelle cavità del ghiacciaio Lang, uno dei nove ghiacciai inseriti nella campagna di ricerca del 2021. A questa spedizione hanno partecipato anche tre ragazzi della società svizzera Flyability che da qualche anno collabora sia con La Venta sia con Inside the Glaciers. L’azienda è specializzata nello sviluppo e nella costruzione di speciali droni di nuova generazione definiti “collision tolerant drones”. Grazie alla loro struttura sferica, sono nati per attività ispettive in siti industriali di difficile accesso per l’uomo come silos, cisterne e ciminiere. Tali caratteristiche li rendono particolarmente utili anche in contesti esplorativi estremi, dove l’uomo non può spingersi a causa di condizioni particolari come quelle che si possono trovare nelle cavità glaciali, siano esse grotte di contatto o mulini. In passato questi droni si sono rivelati fondamentali per l’esplorazione di alcune grotte di contatto dove l’accesso agli speleologi era impedito da torrenti impetuosi provenienti dalle lingue glaciali sospese del monte Rosa. Fra i partecipanti c’era anche il fotografo Robbie Shone, una vecchia conoscenza di Inside the
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Glaciers e dell’associazione La Venta, inviato dalla rivista GEO Germania per realizzare un servizio sul progetto. Gli obiettivi della spedizione sono stati molteplici e hanno riguardato differenti attività, tra le quali: eseguire, all’interno delle grotte di contatto, il campionamento di sedimenti per analizzarli, grazie alla collaborazione con i professori Andrea Franzetti e Roberto Ambrosini dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, alla ricerca di batteri presenti nel ghiaccio e nelle cavità; prelevare dei campioni di acqua e ghiaccio per uno studio di nano-particelle sia di origine naturale sia di origine antropogenica. Queste indagini saranno guidate dal Professor Yann Sivry dell’Institut De Physique du Globe de Paris (https://www.ipgp.fr/); esplorare delle cavità intra-glaciali per comprendere meglio l’idrologia glaciale e subglaciale in quanto il processo di fusione del ghiaccio può portare alla formazione di bacini d’acqua “sospesi”, bloccati da fragili dighe temporanee o da masse di ghiaccio instabili che collassando potrebbero portare ad eventi pericolosi per i centri abitati a valle, come nel caso dell’alluvione improvvisa avvenuta proprio qui a Zermatt nell’estate del 2019; effettuare un’accurata documentazione topografica delle cavità sia con metodi classici sia utilizzando le tecnologie all’avanguardia qui disponibili grazie a Vigea e Flyability per mappature 3D sub-glaciali e superficiali mediante laser scanner e fotogrammetria. I modelli tridimensionali e la documentazione fotografica serviranno per effettuare dei confronti morfologici con il materiale acquisito ad agosto e con i dati che saranno acquisiti in futuro al fine di monitorare l’evoluzione e le dinamiche che governano il processo di riduzione delle masse glaciali. In merito all’attività esplorativa, per l’ottobre 2021 ci eravamo posti come obbiettivi un paio di grotte di contatto poste alla confluenza fra le due lingue Gorner (o
quel che ne resta) e Grenz. Sul primo obiettivo siamo stati fortunati e siamo riusciti a completare l’esplorazione e il rilievo. La grotta era già stata individuata ad agosto e avevamo potuto esplorarla solo in parte a causa della portata del fiume. Anche per i droni di Flyability ad agosto era stato difficile superare alcuni passaggi ma eravamo riusciti comunque ad andare ben oltre il nostro limite esplorativo. In questi giorni di ottobre invece abbiamo trovato il fiume totalmente inattivo e perciò siamo riusciti ad arrivare fino al sifone che pone fine alla cavità, a circa 200 m dall’ingresso. La seconda cavità al contatto invece non presentava più gli spazi esplorati ad agosto: in due persone siamo entrati rapidamente in questo ambiente piuttosto inquietante e pericoloso per le minacciose fratture e cedimenti ben visibili sulle pareti. A ottobre la grotta era collassata e dei quasi 100 m di sviluppo (stimati a passi) erano percorribili solo i primi 17 m. Sulla via del ritorno, il primo giorno dei due disponibili, abbiamo controllato anche un’altra cavità al contatto nei pressi del sentiero da cui si ha accesso al ghiacciaio del Gorner venendo dalla ferrovia a cremagliera. La cavità necessitava di corde per la progressione ma non avendo molto tempo abbiamo approfittato delle ultime batterie del drone di Flyability per verificarne l’interesse e la stabilità. Le immagini ci hanno mostrato la chiusura della cavità per un collasso della volta di ghiaccio dopo una ventina di metri, quindi non sarebbe valsa la pena attrezzare la calata per scendere. Contenti del tempo risparmiato, siamo rientrati al campo prima dell’imbrunire. Fra gli obbiettivi della spedizione vi erano anche alcuni mulini glaciali non lontano dalle grotte di contatto nella zona a monte del ghiacciaio Grenz. Purtroppo l’esplorazione di questi ultimi è stata fortemente influenzata
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Grotta di contatto 1 in ottobre
dalle anomale alte temperature che, nonostante l’autunno inoltrato, hanno riattivato i torrenti superficiali: verso le 11 del mattino, roboanti cascate rendevano impossibile l’accesso ai pozzi. Uno di questi è stato comunque campionato a diverse profondità: il ghiaccio serviva per un’analisi del contenuto di nano-particelle, mentre alcuni campioni di una grande crioconite*, incastonata a circa 20m di profondità, sono stati consegnati ai laboratori dell’Università Bicocca di Milano. Speriamo di conoscere presto l’esito delle analisi. Il bilancio di questa spedizione e di tutte le altre realizzate in questi mesi è sicuramente positivo. Le attività svolte sono molteplici e permetteranno di porre le basi per studi futuri, fornendo un quadro dello stato di salute di questi ghiacciai nell’anno 2021 e magari aprire le porte per nuovi studi e ricerche. Il progetto non è comunque concluso. È previsto un seguito anche nel 2022 ma su altri ghiacciai alpini. Ci saranno comunque un paio di spedizioni sul Gorner, dove i dati finora raccolti devono essere integrati con l’utilizzo di strumentazione di monitoraggio e la realizzazione di
Grotta di contatto 1 in agosto
nuovi rilievi al fine di quantificare con più dettaglio le perdite di massa estive. La triste consapevolezza che stiamo assistendo alla scomparsa di questi enormi ghiacciai l’abbiamo ormai da anni. Nel giro di un secolo i ghiacciai alpini hanno perso decine di metri di spessore, trasformando le vallate in desertiche pietraie di depositi morenici. Da questa realtà che sta scomparendo abbiamo interesse a raccogliere quanti più dati possibile. Lo scopo è creare un archivio che racconti lo stato dei ghiacciai nel tempo presente, in modo da poter comprendere meglio anche le loro possibili evoluzioni future. Lo speleologo ha la capacità di osservare e quindi descrivere la morfologia interna di un ghiacciaio e i suoi vuoti nascosti: si pensa da sempre che il corpo di un ghiacciaio perda massa dalla sua superficie ma non è così. Anno dopo anno ci rendiamo conto quanto siano molteplici i fattori che causano tale perdita. Una mappatura della presenza micro-biologica superficiale e non solo, è importante per comprendere il ruolo di queste masse fredde nel ciclo della vita. Per la prima
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volta abbiamo deciso con i microbiologi di campionare anche i sedimenti che si trovano al buio e cioè all’interno delle cavità al contatto per confrontarli a livello biologico con le crioconiti esterne. Inquinanti come le nano-particelle di origine umana o naturale hanno una grande incidenza sulla qualità della nostra vita, sia per gli effetti che hanno o possono avere su micro-organismi (potrebbero interagire direttamente sulla loro genetica viste le microscopiche dimensioni) sia per gli effetti ambientali una volta portati a valle dalle acque di fusione. La loro quantificazione è perciò molto importante. I ghiacciai sono fonte di acqua che serve per la vita, la produzione di energia elettrica, il trasporto fluviale, la produzione di alimenti, l’industria ittica e l’agricoltura. La scomparsa prematura dei ghiacciai costituisce in prospettiva un grande problema per una larga fetta di popolazione. Non crediamo di poter fermare questo processo, non ne abbiamo il potere ma sicuramente possiamo dare un
contributo affinché si possano trarre più informazioni e conoscenze da questo disastro dell’era Antropocentrica! *crioconite: vaschetta di forma conica di origine naturale che si forma sulla superficie del ghiacciaio contenente acqua e un fine, scuro sedimento al fondo. Il sedimento solitamente contiene una parte minerale, una parte animale (fra cui anche estremofili) ed una anche vegetale e ovviamente batterica. Queste vaschette hanno dimensioni diverse, da centimetriche a metriche e sono diffusissime sul ghiacciaio Gorner. Inside the Glaciers iniziò a procurare campioni per il Museo Naturale di Parigi nel 2014 grazie all’aiuto del professore emerito Alain Couté scomparso pochi anni fa. Da recenti studi sembra che questi piccoli biomi abbiano il più alto tasso di radioattività se comparato con altre strutture naturali, non hanno valori pericolosi per l’uomo ma sicuramente hanno un influsso sui micro-organismi che li abitano.
L’INTERNO DEI GHIACCIAI IN 3D Tommaso Santagata La rapida diffusione della nuova tecnologia dei droni e delle tecnologie di scansione 3D che sta avvenendo negli ultimi anni sta contribuendo sempre di più a raccogliere dati in diverse attività di ricerca scientifica legate alla speleologia ed in particolare per lo studio e il monitoraggio di ghiacciai. Da ormai diversi anni, come associazione collaboriamo con Flyability, azienda svizzera che sviluppa droni per essere utilizzati in sicurezza all’interno delle città, edifici e a contatto con le persone, consentendo nuove interazioni e servizi con gli UAV (Unmanned Aerial Vehicles)
Un drone di Flyability esce da una cavità in ottobre, dopo averne verificato la solidità e l’interesse esplorativo
e risolvendo i problemi critici di collisione. Il prodotto principale di Flyability è il drone Elios (modello 1 e 2) i cui rotori sono protetti da una rete che consente al drone di rimbalzare contro gli ostacoli senza alcun danno. Questi tipi di UAV sono comunemente chiamati “collision tolerant drones” (droni resistenti alle collisioni) e per le loro caratteristiche vengono utilizzati principalmente per ispezione e la documentazione in ambienti inaccessibili, difficili e pericolosi. La Venta collabora costantemente con Flyability per testare e utilizzare le loro tecnologie a supporto di numerose attività in ambito
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Scansione laser della cavità di contatto con con scanner BLK2GO
speleologico, con particolare riguardo per l’esplorazione e la mappatura 3D di mulini glaciali e grotte di contatto. Durante le due spedizioni organizzate nei mesi di agosto e ottobre del 2021 nell’ambito del progetto Inside the Glaciers, è stato utilizzato il drone Elios 2 per documentare e rilevare grotte di contatto nei ghiacciai Gorner e Aletsch. Gli obiettivi principali riguardavano la mappatura delle cavità nel periodo estivo e invernale in modo da ottenere dati di partenza utili per effettuare confronti in futuro e studiare l’evoluzione che si sta verificando fuori e dentro questi ghiacciai. Attraverso i voli effettuati con il drone Elios 2 è stato possibile ricostruire modelli fotogrammetrici (dai video realizzati dalle camere dei droni) del principale sistema di cavità di contatto del ghiacciaio del Gorner. Oltre ai droni di Flyability, durante la spedizione effettuata in agosto è stata effettuata una mappatura 3D della cavità più lunga esplorata anche attraverso un laser scanner portatile di ultima generazione, il BLK2GO, prodotto dall’azienda Leica Geosystems e messo a disposizione dalla società Vigea, altra realtà con cui La Venta collabora da tempo per quanto riguarda le tecniche di scansione 3D. Questo strumento ha permesso di scansionare in pochi minuti le aree più facilmente accessibili in cui l’operatore è stato in grado di camminare e scansionare semplicemente tenendo in mano lo strumento e illuminando l’area attraverso una comune lampada frontale, quindi senza la necessità di installare sistemi di illuminazione fissi come spesso avviene nella maggior parte dei lavori effettuati in grotta con un laser scanner. Con una portata di 60 m e una risoluzione di 3 mm ad una distanza media di 10 m, il BLK2GO permette di calcolare la traiettoria attraverso diversi componenti tra cui un sistema definito di Visual SLAM (Simultaneous Localization and Mapping) e diverse camere installate nelle parti frontali e laterali dello strumento, che oltre ad effettuare di continuo fotografie necessarie per ottenere nuvole di punti in colori reali, aiutano il dispositivo a calcolare la traiettoria permettendo di ridurre la
deriva che si può verificare dopo un lungo utilizzo. Le fotografie e i filmati ottenuti dal drone Elios 2 sono stati analizzati per ricavare modelli tridimensionali attraverso tecniche di “structure from motion”, utilizzando software e algoritmi in grado di riconoscere punti in comune tra fotogrammi e immagini per ricostruire una nuvola di punti delle aree documentate. Questa tecnica, nota come fotogrammetria, è molto utilizzata in diversi contesti in cui vengono utilizzati droni commerciali e non. In mancanza di sistemi di posizionamento, i dati ottenuti risultano però fuori scala ma grazie alle scansioni effettuate con il laser scanner portatile BLK2GO ed al rilievo fotogrammetrico effettuato nelle aree esterne, è stato possibile scalare e orientare i dati ottenuti dal drone all’interno delle cavità. Per quanto riguarda i dati ottenuti dal BLK2GO, sono stati processati allineando le diverse nuvole di punti e successivamente sono stati realizzati modelli interattivi che permettono di interagire con i dati e le fotografie ricavate attraverso un’applicazione open source. Una volta ricavate le nuvole di punti da entrambi gli strumenti, è iniziata la fase di digitalizzazione che ha portato alla realizzazione di classiche planimetrie e sezioni 2D. Inoltre sono stati realizzati modelli 3D in forma di mesh (solidi tridimensionali ottenuti tramite la triangolazione dei singoli punti). Le tecnologie utilizzate hanno ampiamente dimostrato le loro potenzialità in ambito speleologico, risultando facilmente utilizzabili anche in contesti difficili come possono essere le grotte di contatto con presenza di fiumi sotterranei. Tali tecnologie risultano però ancora accessibili per pochi e non solo per i loro costi, ma anche per le competenze necessarie nel loro utilizzo sia in fase di acquisizione e soprattutto per quanto riguarda le fasi di processamento dei dati, in cui è necessario acquisire esperienze nell’utilizzo di determinati software per il trattamento di nuvole di punti e digitalizzazione degli elementi.
Spirale di ghiaccio al fondo della grotta Shpella e Akullt
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ALBANIA
Penisola Balcanica
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I PIPISTRELLI TI PORTANO LONTANO RACCONTO DI UNA SPEDIZIONE IN ALBANIA Sara Di Ferrante, Federico Narduzzi, Alberto Righetto La grotta di Castel Sotterra nel Montello, è geograficamente molto vicina per chi vive a Treviso. Labirintica e molto estesa, è di notevole interesse per il caratteristico conglomerato in cui si sviluppa e nota per l’impressionante quantità di fango appiccicoso dal colore rossastro, decisamente indelebile sulle tute. La grotta è piuttosto frequentata e da due anni circa è diventata luogo di studio sui Chirotteri. Rinolofidi minori e maggiori si raggruppano all’interno delle sue sale in roost (posatoi) estivi e invernali. Come Gruppo Grotte Treviso (GGT) collaboriamo da allora con il CERC (Centro di ricerca Chirotteri) per il progetto di studio sull’ecologia dei Chirotteri nelle cavità ipogee, accompagnando e posizionando i microfoni usati per il monitoraggio di queste creature che ormai sappiamo essere piuttosto fragili, specie in certi periodi dell’anno in cui il disturbo umano può arrecargli danni irreversibili. Durante un monitoraggio primaverile, al chirotterologo responsabile del progetto, Andrea Pereswiet Soltan, scappò un “forse ad agosto partecipo a una spedizione organizzata dalla fondazione speleologica polacca in Albania”. Fu così che, dopo un giro di mail e di riunioni, la spedizione della Fundacja Speleologia Polska diventò un progetto internazionale. Contenti di riallacciare gli storici rapporti tra i gruppi di entrambi i Paesi, gli organizzatori ci scrissero: “GGT welcome on board“. E a noi palpitò il cuore. Obiettivo principale della spedizione era proseguire l’esplorazione della grotta Shpella Sportive (Parco Nazionale Lugina e Kombetare, Valbona). Chi entrò per primo disse: “Un paio di salti, entriamo veloci, sportivamente“. Ci trovammo invece di fronte a una grotta profonda e articolata, oggi ancora lontana dal vedere la fine della sua esplorazione. Tra i nostri obiettivi c’era quindi anche la ripresa delle vecchie ricerche, oltre a battute esterne e
rilievi per poi procedere all’accatastamento della cavità. Di quest’ultimo aspetto si sono occupati Magda Slupinska e Mariusz (Maniek) Polok. Tra le attività era previsto il monitoraggio dei pipistrelli, coordinato da Andrea Pereswiet-Soltan del CS Proteo di Vicenza e ricercatore presso l’ISEZ PAN di Cracovia, e la raccolta d’invertebrati destinati al dipartimento di Storia Naturale del Museo dell’Alta Slesia (Byton), per il quale la biologa Joanna (Asia) Kocot-Zalewska segue gli studi di entomofauna, occupandosi in particolare di coleotteri, mosche e ragni. A maggio cominciammo a prepararci, con il fantasma del covid e del blocco degli spostamenti che aleggiava su di noi e sul nostro entusiasmo per una nuova avventura. Che fossero seriamente organizzati lo capimmo presto dalle mail, malgrado i file in polacco. Dall’Italia portammo un po’ di viveri (specialità tipiche italiane) e un po’ di attrezzatura varia: trapani, DistoX, radio e pannelli solari, questi ultimi prestati dagli amici de La Venta che ci hanno risolto non pochi problemi, fornendoci anche delle tende adeguate, ma soprattutto il preziosissimo filtro per l’acqua. Perché le nostre (italiane) preoccupazioni maggiori erano due: in primis l’acqua, sapendo che avevamo a disposizione solo una piccola vasca di abbeveramento per le bestie e chissà se avremmo pure dovuto condividerla con loro, la seconda il trasporto del materiale dalla guest house di Kol Gjoni fino ai 2100 mslm, dove avremmo montato il campo (baza). Per la prima si decise di portare due filtri potabilizzatori e tanto dissenten in caso questi facessero cilecca, per la seconda, dalla guest house rassicurarono che i cavalli avrebbero portato i sacchi fino al campo base. Il trasporto in quota di tutto il materiale si dimostra più complicato del previsto: i cavalli si rivelano inadatti a trasportare il materiale lungo il sentiero utilizzato per
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raggiungere il campo base. Questo ha fatto sì che tutti noi dovessimo fare più volte la spola tra il campo base e il sentiero alla ricerca dei sacchi abbandonati dai portatori. Dopo due giorni il campo base diventa completamente operativo e possiamo entrare finalmente nel vivo della spedizione. Le squadre cambiano quasi ogni giorno in base alle esigenze esplorative, alle capacità e alle volontà di singoli speleo. Tutto questo assieme ai grandi e ai piccoli inconvenienti viene ottimamente gestito dal capo spedizione Michał Macioszczyk (eMc). Da subito le esplorazioni si rivelano interessanti con la scoperta di alcuni promettenti ingressi e con la prosecuzione delle esplorazioni in “Shpella Sportive” e in “Shpella e Valbone”. Tutto questo fervore però ha un prezzo: i 2 kilometri i corda e le circa 200 placchette si rivelano ben presto insufficienti. Stabiliamo quindi delle priorità esplorative, decidendo di proseguire le esplorazioni in “Shpella e Valbone” e disarmando la “Shpella Sportive”. Il rimanente materiale (soprattuto le placchette) viene quotidianamente suddiviso con parsimonia tra le squadre in grotta e quelle impegnate in battute esterne. La carenza di materiale ha reso ancora più emozionante l’esplorazione della grotta AVL-R-52, portata avanti da Sara e Alberto e successivamente battezzata “Shpella e Da metà salita in poi il materiale per il campo base deve essere trasportato a spalla
Akullt” che in lingua albanese significa grotta di ghiaccio. Attualmente la grotta presenta nell’ ampio ingresso una lingua di ghiaccio che poi stringe e si riapre scendendo a chiocciola fino al fondo, creando un ambiente di rara ed inaspettata bellezza. La spedizione è stata un successo, alle profondità raggiunte si è unita la scoperta della grotta di ghiaccio che a quelle latitudini è inusuale. Abbiamo portato a casa un nuovo bagaglio tecnico e delle splendide amicizie. Tra gli oltre 70 esemplari di invertebrati raccolti sono state trovate una nuova specie di mosca e di coleottero che Asia ed altri studiosi stanno ancora esaminando. La sorpresa finale però è arrivata a novembre: Fundacja ha ricevuto il premio Waldka Muchy per la migliore spedizione polacca e nella copertina di Jaskininie, la rivista nazionale di speleologia c’è proprio lei, Shpella E Akullt, che solo il GGT ha avuto il privilegio di vedere. Ricerche biospeleologiche Andrea Pereswiet-Soltan Le ricerche biospeleologiche hanno riguardato due gruppi di animali: quello degli invertebrati, estremamente variegato di taxa, e quello dei chirotteri, unici vertebrati perfettamente adattati alla vita nella più completa oscurità delle grotte. A queste attività scientifiche hanno preso parte con entusiasmo anche gli speleologi partecipanti alla spedizione, collaborando alle catture, segnalando la presenza degli animali e portando materiale ai ricercatori. Nell’ambito delle ricerche sugli invertebrati sono state campionate 5 grotte (Shpella Haxhise, Shpella Sportive, Shpella a Valbone, Ice Cave, Shpella 52) e un complesso di miniere di bauxite. Per la raccolta degli esemplari sono state utilizzate due tecniche: trappole a caduta con glicole e cattura a vista degli invertebrati avvistati nelle cavità ipogee. Le trappole a caduta sono state utilizzate nella Shpella Huxhis (circa 1900 mslm) e nel complesso di miniere, situato circa 1000 metri più in basso, dove sono rimaste in loco 2 settimane. Sia in queste che nelle altre grotte sono state effettuate le catture a vista. Ciò ha portato alla raccolta di circa 70 esemplari d’invertebrati appartenenti agli ordini: Araneae, Opiliones, Ixodida, Coleoptera, Diptera, Orthoptera e Collembola. Molti degli esemplari prelevati presentano tipiche caratteristiche da troglobi come mancanza di pigmentazione, riduzione degli occhi e allungamento delle appendici, elementi tipici degli invertebrati adattati alla vita ipogea. Il materiale è attualmente in fase di analisi presso vari specialisti. Lo studio della chirotterofauna presente nella valle e sulle montagne circostanti è stato condotto utilizzando principalmente due metodologie: il monitoraggio bioacustico e il controllo di presenza nelle cavità ipogee. Il controllo delle grotte è stato effettuato con metodologia random. Per il monitoraggio bioacustico sono stati utilizzati i microfoni Dodotronic Ultramic 384K BLE che lo speleologo e chirotterologo del Gruppo Grotte SOLVE CAI di Belluno, Gabriele Filippin, ha adattato
artigianalmente, dotandoli di scafandro e di batterie che permettono il loro utilizzo in automatico per parecchi giorni consecutivi. Le registrazioni iniziavano al tramonto e terminavano all’alba, utilizzando una funzione filtro per diminuire la possibilità di registrare suoni non inerenti alla presenza dei chirotteri. In ogni punto campionato le registrazioni sono state effettuate per 2 notti consecutive, a eccezione della grotta Shpella Haxhise e del laghetto presso il campo base, dove le registrazioni sono state svolte in un arco temporale di circa 2 settimane. I punti d’ascolto sono stati scelti sulla base delle caratteristiche del territorio: laghetti, miniere, ingressi di grotte, ambienti a pino mugo, zone rocciose, zone di custodia delle greggi. In totale sono stati scelti 10 punti d’ascolto in ambiente aperto, 8 presso ingressi di grotte e 5 in miniera. Il punto d’ascolto a minor altitudine è stato posizionato a circa 750 mslm, presso il laghetto all’inizio della valle di Valbona. Proseguendo in altitudine troviamo a circa 1000 m quelli nei pressi e dentro le miniere di Bauxite e a 1750 m quelli ubicati nella grotta Shpella Haxhise. Questa grotta è interessante poiché si trova alcune centinaia di metri più in alto rispetto al limite del bosco ed è una grotta abbastanza calda con imbocco rivolto verso sud. Tutti gli altri punti di ascolto sono stati scelti al di sopra dei 2000 mslm, intorno al campo base. I dati finora analizzati hanno mostrato la presenza di almeno 6 specie di pipistrelli: Rhinolophus hipposideros, Rhinolophus ferrumequinum, Hyspugo savii, Nyctalus leisleri, Tadarida teniotis, Pipistrellus pygmæus. Si ritiene che il numero aumenterà con un’analisi maggiormente dettagliata dei sonogrammi appartenenti ai generi Myotis sp., Nyctalus sp., Eptesicus sp., contattati in quest’area. Il controllo visivo ha portato al riconoscimento della presenza di esemplari di R. hipposideros e R. ferremequinum, oltre al ritrovamento di un interessante cranio, in fase di studio. Nei prossimi anni si intende ampliare l’areale di studio, utilizzare anche la tecnica della cattura tramite reti specifiche per catture faunistiche con l’immediato rilascio degli esemplari (per l’accurata determinazione della specie, del sesso e della classe d’età) e posizionare i microfoni all’interno delle grotte maggiori, per capire in che modo queste vengono utilizzate dalla chirotterofauna. Le ricerche condotte nel corso di questa spedizione sono estremamente interessanti e importanti poiché queste sono tra le montagne più alte situate più a sud in Europa e possono consentire di approfondire le conoscenze sull’ecologia dei chirotteri in altitudine in un ambiente quasi primordiale. A differenza di altri massicci montuosi, qui la presenza umana è quasi inesistente oppure si trova nel fondovalle; quindi per la sopravvivenza, i rifugi e i luoghi di foraggiamento, i chirotteri devono basarsi solamente su quello che offre l’ambiente. Un po’ di storia delle spedizioni Era il 2006 quando Maniek e Magda con altri speleo sub polacchi andavano alla ricerca di nuovi obiettivi nei balcani e, passando per Shkodra, incontrarono ca-
sualmente un prete polacco che aveva un amico a Kolgjoni e li invitò ad andarci. Si innamorarono del luogo immediatamente e fu così che nel 2007 partì la prima spedizione organizzata dallo Speleoclub AVEN di Sosnowiec, alla quale seguirono altre 14 spedizioni, sempre organizzate da Maniek. Esplorano il Plateau Gherlatta, Valley Gropa e Rupes, Valley Brykare e Gropa Cet Harushes e anche la valle di Valbona per localizzare le sorgenti alla base del sistema carsico. In Shpella Haxhise trovano la scritta GCR datata 1987 da cui dedussero il passaggio di speleologi romani. Nel 2011 comincia una nuova organizzazione capitanata dalla Fundacja Speleologia Polska, con due spedizioni annuali nelle zone di Ceremit Valley vicino Maja Gjarperit e Gropa Cet Harushes. Dal 2018 i dati raccolti cominciano ad essere inseriti nel progetto internazionale “Shpellat“ portato avanti dalla Società Speleologica Italiana con il proposito di preparare un catasto delle grotte albanesi. Nel 2021 le grotte individuate dalle spedizioni polacche ammontano a 190, per totali 5,2 km. La più lunga è Shpella Sportive (664 m di lunghezza e 263,8 di profondità), la più profonda è Shpella e Valbone e la cui esplorazione ad agosto è arrivata a – 395 m. Parku Kombëtar i Luginës së Valbonës ll Parco Nazionale della Valle di Valbona è situato nelle Alpi Albanesi nella contea di Kukës tra le latitudini 42° e 27° N e le longitudini 19° e 53° E. Valbona, ubicata a circa 20 chilometri a nord-ovest di Bajram Curr, si trova nella valle a forma di U dell’omonimo fiume a 932 mslm, circondata da alte montagne con vette oltre 2400 metri, tra cui spiccano Maja Jezercë, Maja e Kollatës, Maja Boshit e Maja e Hekurave. Il parco confina a nord con il Montenegro, a est con la Riserva Naturale di Gashi, a sud con il Parco Naturale Regionale Nikaj-Mërtur e a ovest con il Parco Nazionale di Theth. Copre un’area totale di 80 Km2 che comprende il fiume e le aree circostanti con terreni montuosi, paesaggi alpini, sorgenti glaciali, profonde depressioni, cascate e boschi di latifoglie e conifere. Le sue montagne sono una delle caratteristiche topografiche più impressionanti dell’Albania, formando la prosecuzione più meridionale delle Alpi Dinariche e un tratto della fascia orogenica alpino-himalayana che si estende dall’Oceano Atlantico alle montagne dell’Himalaya. Sono caratterizzate da rocce calcaree, calcare - silicee, scisti argillosi e conglomerati e mostrano importanti caratteristiche carsiche. Il Maja Jezercë che si estende nella parte occidentale del parco ed è la montagna più alta, con un’altitudine di 2.694 mslm. Sul suo margine nord-orientale ci sono due piccoli ghiacciai attivi. La regione è caratterizzata da una rete idrografica molto sviluppata rappresentata dai bacini idrici del lago di Scutari (Shkodra) e di quello dei fiumi Drin, Buna, Shala e Valbona. Il parco è situato lungo il corso di quest’ultimo che è il fiume più lungo delle Alpi Albanesi (50,6 km) e nasce dalle sorgenti carsiche alle pendici meridionali di Maja Jezercë sulla sezione orientale del Valbona Pass.
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Grotte di carta “LA DONNOLA” Gaetano Boldrini “Bastardo delle due culture”: è così che amava definirsi Dieter Herman Comes, francesizzato poi in Didier Comes. Nato nel cantone tedesco del Belgio, nel piccolo paesino bilingue di Saurbrodt, al confine tra il Belgio e l’Alsazia l’11 dicembre 1942, da madre francofona e padre germanofono. Il paese stesso è diviso in chi parla vallone e chi tedesco. Nasce quindi nel bel mezzo di una guerra, tra la tradizione latina e quella germanica, da cui trae l’influenza del gotico e dell’onirico. Egli è e rimarrà per sempre il frutto della contaminazione delle due culture. Comes inizia ad esprimersi attraverso la musica, affermandosi come percussionista in diversi gruppi Jazz sia europei che americani. Comincia a lavorare molto giovane come disegnatore industriale ed approda nel mondo del fumetto nel ‘72 ponendosi, sin da subito, come uno dei principali disegnatori di rottura nel panorama fumettistico franco/belga, e non solo, degli anni 70. Muore di polmonite il 7 marzo 2013 tra le sue Ardenne, dove aveva passato gran parte dei suoi ultimi anni. “La Balette” (La Donnola) esce originariamente nel 1979 in Francia su “A Suivile”, in Italia nel 1982 sulla rivista “Alteralter” ed infine in un volume unico editato dalla “Milano Libri” nel 1983. Nello stesso anno riceve il premio “Gran Prix Saint Michel”. Questa meravigliosa graphic novel é basata sull’iniziazione di un ragazzo
all’antico culto di Demetra e sui riti sciamanici legati alla natura e alle religioni totemiche. Ma è anche e soprattutto una storia di conflitti. Forse è proprio questa la parola che lega gli eventi di questa storia: conflitti tra il parroco cattolico Schonbroodt e una famiglia di adepti della vecchia religione della Dea Madre Demetra, Natale Charrette e la figlia, che vivono nello stesso paese; conflitti tra la nuova famiglia di cittadini che si insedia nel paesino di Amarcuore, nella campagna delle Ardenne, e il resto della comunità (alla gente del posto non piacciono i cittadini che comprano le loro case); conflitti tra gli abitanti dello stesso villaggio che, non avendo mai sopito i dissapori della guerra, non hanno mai accettato la presenza di Kock, “il crucco”, nel villaggio; conflitti anche da un punto di vista grafico, trattandosi di un racconto disegnato in bianco e nero che oscilla con eleganza senza mai stridere tra la caricatura e la ricerca della perfezione della realtà (chiarissimi i riferimenti a Pratt, di cui Comes era molto amico). Il piccolo paese di Amarcuore, che affonda le sue radici nel mondo della stregoneria e della superstizione, è lo stereotipo di quelle comunità rurali popolate da personaggi malvagi e ignoranti che diffidano di chi è diverso da loro. La famiglia Valentin, che viene dalla città, ha appena preso possesso di un vecchio casolare di campagna. Lui, Gerardo, uno sceneggiatore di programmi televisivi arrivista e privo di scrupoli; lei, Anna, incinta e madre di Pietro, ragazzo forse autistico il quale non comunica. Sin dai primi giorni la famiglia è oggetto di frequentazioni che sembrano di buon vicinato ma che, in realtà, celano secondi fini: quella di Giulio Volpe, ossessionato da un tesoro presumibilmente nascosto dall’ex proprietario nella casa dei Valentin, e da suo figlio Berto, minorato e ossessionato anche lui ma dal sesso e dalla crudeltà verso gli animali; quella della “Donnola” - così si fa chiamare -, strano ed enigmatico personaggio; quella del sacerdote Schonbroodt che, insistentemente, cerca di convincere Anna a far battezzare il futuro figlio, spinto da una malata e gretta concezione della fede cattolica. In realtà Natale Charrette e la figlia (la Donnola) sono gli adepti dell’antica religione di Demetra, simbolo di fecondità e che rappresenta tutte le forze che creano la vita. I due sono interessati alla donna incinta, quindi sacra ai loro occhi, e al figlio che non parla ritenuto un predestinato, uno della loro razza, uno stregone. Durante una notte avviene il rito di iniziazione di Pietro a cui viene dato il nome totemico di Salamandra, il potere della telecinesi e quello di “poter vincere i morsi del fuoco”. La Donnola si rivela ad Anna per quello che
Grotte di carta è: cioè una sacerdotessa che ha il dono di introdursi nel corpo di un animale ed usarlo per i propri scopi. L’apparente tranquillità del paesino incomincia a sgretolarsi. Kock si suicida. Berto viene trovato annegato in una porcilaia. Si scoprirà più tardi che è stato il curato ad ucciderlo per punirlo delle sue perversioni. Così come uccide Natale, perché non cattolico e stregone della vecchia religione, facendolo passare per suicidio. Nella sua follia mistica e distorta è convinto di uccidere in nome di Dio e di salvare così le anime della gente del suo paese. Infine, dopo aver saputo da Anna che non farà battezzare il neonato e che inoltre abbraccerà la religione di Demetra diventandone una sacerdotessa, tenterà di uccidere anche lei nella vecchia cava come aveva fatto col padre. Il tentativo fallisce all’ultimo momento perché viene attaccato da una civetta, la quale in realtà è la Donnola che in uno dei suoi viaggi astrali veglia su Anna, facendolo precipitare nella cava. Sembra che la vicenda si sia finalmente conclusa qui, ma Comes non è avvezzo a questi finali e riuscirà a regalarci l’ultima stilla della sua visione tragica e al tempo stesso poetica della vita. Durante il viaggio di ritorno la civetta/Donnola, segno di cattivo presagio, viene abbattuta a fucilate da Giulio Volpe che, finalmente, potrà inchiodare il simbolo di tutte le sue paure ancestrali alla porta di casa. Morti Natale e la Donnola, Anna e il figlio Pietro diventeranno i tenutari dell’antica religione, perpetrandone cosi il culto in quella sperduta regione delle Ardenne. “L’uomo gufo”, così era chiamato Comes da chi lo conosceva bene: un vecchio saggio che sa guardare, sa ascoltare e soprattutto sa raccontare. I paesaggi montani della Ardenne, le piccole comunità rurali, le suggestioni magico ancestrali, fanno da sfondo e da impalcatura alle sue storie. Immerso nella sua amata regione, quasi in eremitaggio, l’uomo gufo scrive di cose antiche, di ignoranza, di paure, di credenze po-
23 polari, di interiorità… di silenzi. Diventa quindi naturale per Comes, così profondamente legato e affascinato dal mondo dell’occulto e del passato, ambientare il rito di iniziazione all’interno di una grotta dove già, in epoche antiche, l’uomo si recava a rendere omaggio ai suoi dei. Nelle leggende più antiche, infatti, da quelle egizie a quelle ebraiche sino alle più recenti greche e romane, la grotta è stata e rimane l’ingresso alla dimora delle anime dei morti e delle divinità. Ma Comes non poteva che usare la grotta nell’unico modo possibile per lui, traducendo un rito occulto e ancestrale in qualcosa di poetico e di semplice. Non luogo di azione ed avventura, non luogo dove sono sepolti tesori custoditi da draghi o demoni, non come una serie di intricati cunicoli o immense gallerie percorse da fiumi sotterranei dove i protagonisti vivono rocambolesche avventure, o sito popolato da mostri o maghi che incutono terrore, ma semplicemente luogo accessibile e asciutto che diventa l’ideale rifugio e riparo dove, da sempre, sono svolti i momenti più significativi della vita dell’uomo. Luogo che, per il suo suggestivo aspetto, acquista un profondo significato simbolico e, quindi, diventa il naturale ambiente per praticare riti religiosi e magici. Comes mescola sapientemente poesia, tragedia e dimensione fantastica, utilizzando un bianco e nero incisivo e profondo che dà vita ai suoi personaggi, delineati, quasi scolpiti in maniera espressionistica, nonché ad inquadrature più statiche e contemplative che di azione. Le immagini, tratteggiate con segni precisi e inchiostrate in maniera scarna e asciutta, lasciando quasi tutto lo spazio alle zone d’ombra e oscurità, ci rimandano ad un’altra dimensione, in un altro tempo… O forse ci calano in un tempo dilatato e distopico che ancora ci appartiene, retaggio culturale che lega ciò che è stato a ciò che è, che forse sempre sarà e che, ancora, ci ostiniamo a rifiutare.
Rientrando dalla grotta di Capitan
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SELVAGENS ISLAND Portogallo
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ESPLORANDO LE GROTTE DELLE SPERDUTE “SELVAGENS ISLANDS”: IL PROGETTO MICROCENO Ana Miller, Francesco Sauro Nel mese di luglio 2021 si è svolta una spedizione speleologica multidisciplinare alle Isole Selvagens, un piccolissimo arcipelago della Macaronesia, situato a sud di Madeira, in territorio portoghese. L’arcipelago è conosciuto come uno dei luoghi più integri e incontaminati dell’Oceano Atlantico, frequentato nei mesi estivi, come sito di nidificazione, da oltre 85.000 uccelli, principalmente della specie Cories Seawater (Puffinus diomedea borealis). Dal 1961, anno in cui tali isole sono state incluse nella cartografia marittima internazionale, numerose spedizioni scientifiche hanno studiato la fauna e la flora che le caratterizzano. Tuttavia, fino a oggi, l’arcipelago non era mai stato investigato per quanto riguarda le numerose grotte marine, alcune conosciute già nei secoli passati, specialmente tramite la narrazione di leggende di tesori nascosti, come quello del Capitano Kidd, a lungo cercato nel 17° secolo. Il progetto Microceno, finanziato
dalla Fondazione di Tecnologia e Scienza del Portogallo e coordinato dalla Dr.ssa Ana Miller dell’Università di Evora, ha avuto l’obbiettivo di espandere la conoscenza di queste cavità sia dal punto di vista esplorativo e documentale, sia per quanto riguarda la biologia, la microbiologia, la geologia e l’analogia con ambienti extraterrestri, dato che si tratta principalmente di grotte vulcaniche come quelle che si potrebbero trovare su Marte, in futuro. La spedizione ha coinvolto ricercatori di ben 7 nazioni (Portogallo, Spagna, Italia, Paesi Bassi, Inghilterra, Russia e Canada) in uno sforzo collettivo caratterizzato anche da un approccio tecnologico innovativo. Infatti, per minimizzare l’impatto ambientale legato alla ricerca sul campo, è stato installato sull’isola un sofisticato laboratorio, incluso un microscopio a scansione elettronica (SEM Phenom di Thermofisher) e strumentazione per il sequenziamento del DNA (minion di Oxford Nanopo-
Campionamenti nella nuova grotta scopera dalla spedizione: Furna du Suplo du Dragao
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re). In questo modo è stato possibile svolgere molte delle analisi direttamente sul posto per poter meglio indirizzare i campionamenti. La spedizione ha documentato e mappato con tecnologie tridimensionali (laser scanner della ditta italiana VIGEA) le due principali grotte conosciute sull’isola, la Furna do Inferno e la Furna do Capitao Kidd. La speleogenesi di tali cavità è stata svelata da un team di ricercatori italiani delle Università di Padova e Bologna, tra cui tre membri dell’Associazione La Venta (Francesco Sauro, Daniela Barbieri, Alessio Romeo). Si tratta di grotte molto particolari formatesi all’interno di filoni sedimentari all’interno di rocce magmatiche (un tipo di lava molto particolare chiamata fonolite). Dopo la formazione dell’isola attraverso eruzioni vulcaniche e il raffreddamento delle rocce vulcaniche circa 30 milioni di anni fa, successivi movimenti tettonici hanno aperto delle fratture che poi sono state riempite da sabbie di carbonato di calcio. È all’interno di tali depositi carbonatici che per si sono formate le grotte, un tipico processo di dissoluzione carsica focalizzato nelle fratture all’interno del massiccio magmatico. Inoltre, la spedizione ha portato alla scoperta di una nuova grande grotta, la Furna do Suplo du Dragao, una
cavità caratterizzata da un grande lago d’acqua salmastra nel quale sono state individuate numerose potenziali nuove specie di fauna anchialina (cioè che vive all’interfaccia tra acque salate e acque dolci). Altre otto cavità minori sono state documentate e rilevate, incluse due grotte sommerse esplorate da un team di speleosubacquei per alcune decine di metri per la raccolta e lo studio dei sedimenti. Alla spedizione hanno preso parte anche due membri del team di PANGEA dell’Agenzia Spaziale Europea e il cosmonauta russo Sergei Kud Sverchkov, da poco tornato sulla Terra dopo una missione sulla Stazione Spaziale Internazionale. Ringraziamenti Ringraziamo la Fondazione Portoghese per la Scienza e la Tecnologia per il finanziamento del progetto MICROCENO (rif. PTDC/CTA-AMB/0608/2020) e la Riserva Naturale delle Isole Selvagens dell’Istituto per la Conservazione della Natura e delle Foreste (IFCN IPRAM). Inoltre, un ringraziamento al Dr. Manuel Biscoito e al Dr. Frank Zino, così come a tutte le istituzioni pubbliche e private che hanno sostenuto la spedizione del progetto MICROCENO.
LE ISOLE SELVAGENS: UN ANALOGO GEOLOGICO DI MARTE Ana Miller, Francesco Sauro Le isole Selvagens, con un alto tasso di endemismo e specie terrestri allo stato incontaminato, sono un gruppo di piccole isole vulcaniche situate nell’Oceano Atlantico del Nord (circa 300 km a SE dell’isola di Madeira, Portogallo). Questo sub-arcipelago di Madeira ha due isole principali: Selvagem Grande (2,4 km2) e Selvagem Pequena (0,3 km2), e diversi isolotti. Selvagem Grande ha una stazione di ricerca permanente con due guardiani della riserva naturale e tre ufficiali dell’autorità marittima portoghese che si alternano nel corso dell’anno. Queste isole sono ben preservate dall’influenza umana, grazie al loro isolamento e alla loro posizione. L’esplorazione geologica effettuata durante questa spedizione ci ha permesso di considerare l’isola Selvagem Grande come un analogo di Marte, a causa della sua geologia e la sua posizione in una zona di lento movimento delle placche tettoniche, che è simile ai processi geologici che si verificano sul pianeta rosso, dove non c’è deriva dei continenti. Una spedizione nell’anno internazionale delle grotte e del carsismo Nel luglio 2021, due navi con 17 esploratori provenienti da 7 paesi diversi e una quantità impressionante di strumentazione analitica, provviste alimentari e materiali di sopravvivenza, è salpata dal porto di Funchal verso le isole Selvagens, per una spedizione scientifica di 15 giorni. Il 2021 segna due importanti eventi: Anno Internazionale delle Grotte e del Carso (iyck2021.org) e il 50° anniversario della Riserva Naturale delle Isole Selvagens. Questa spedizione è stata il punto di par-
tenza del progetto MICROCENO e comprendeva una campagna di campionamento esaustiva e multidisciplinare per ulteriori analisi approfondite in laboratorio, per dare risposte alle principali domande sollevate nel quadro di questo progetto di ricerca e contribuire alla conoscenza della biodiversità del nostro pianeta. Un primo modello tridimensionale delle grotte delle Selvagens I geologi Francesco Sauro (La Venta) e Matteo Massironi (Università di Padova) hanno studiato per la prima volta la genesi di queste grotte e dei loro minerali, utilizzando attrezzature all’avanguardia, tra cui uno spettrometro portatile di fluorescenza a raggi X (Thermo) e uno scanner laser portatile, in collaborazione con VIGEA (Italia), permettendo di ottenere il primo modello tridimensionale ad alta risoluzione delle 3 grotte principali dell’isola Selvagem Grande e ottenere informazioni utili sulle grotte planetarie sviluppate su terreni simili su Marte e sulla Luna. L’inaspettata scoperta di una nuova grotta L’esplorazione speleologica dell’isola ha permesso la scoperta di una nuova grotta, situata sul lato nord di Selvagem Grande, che è stata chiamata “Dragon Breath”, a causa della forte corrente d’aria generata dal cambiamento di pressione all’interno della grotta dovuto al movimento delle onde nel livello inferiore della cavità. Questa grotta è lunga 95 m, profonda 22 m e ha lagune di acqua salmastra al suo interno.
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Ana Miller, la coordinatrice del progetto raccoglie formazioni batteriche dalle pareti di “Inferno”
Una spedizione “tecnologica” Durante la spedizione sono state utilizzate tecnologie analitiche portatili all’avanguardia che potrebbero dare informazioni su quale strumentazione potrebbe essere utile in future missioni per l’esplorazione di grotte nel sottosuolo di Marte, anche per la ricerca di vita microbica extraterrestre. Hanno partecipato alle ricerche alcuni componenti del programma di formazione degli astronauti PANGAEA dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e un cosmonauta dell’Agenzia Spaziale Russa (Roscosmos). Tra le tecnologie utilizzate evidenziamo l’uso di droni per la fotogrammetria, di un laser scanner portatile (BLK360 della ditta Vigea), di un sequenziatore portatile di DNA per analisi in-situ basate sul DNA e di un’apparecchiatura portatile di fluorescenza a raggi X per la caratterizzazione elementare di rocce e minerali. Anche alle più piccole risoluzioni Riguardo le apparecchiature scientifiche utilizzate in-situ, particolare enfasi merita l’utilizzo del microscopio scansione elettronica portatile “Phenom XL G2” frutto della collaborazione con Thermo Fisher Scientific. È stata la prima volta in assoluto che un microscopio elettronico è stato trasportato e installato su un’isola così remota e priva di infrastrutture. Un’operazione mai tentata prima, che ha superato i limiti di prestazione di un SEM, rappresentando una svolta tecnologica per le spedizioni sul campo. Piccoli campioni di biofilm, minerali e rocce raccolti nelle grotte vulcaniche sono stati immediatamente osservati nel SEM Phenom permettendo di rilevare la presenza di cellule microbiche, identificare fossili e minerali, e selezionare i campioni più interessanti per ulteriori analisi di laboratorio approfondite. Il sequenziamento del DNA sul posto Le analisi del DNA di campioni microbiologici sono state eseguite per la prima volta direttamente nelle isole Selvagens. È stato infatti possibile, utilizzando attrezzature portatili e miniaturizzate, estratte e sequenziare il DNA, permettendo l’identificazione dei microrganismi
presenti in meno di 24 ore dal momento del campionamento. L’uso della tecnologia “Nanopore” ha permesso l’identificazione di una grande varietà di microrganismi in grado di interagire con i minerali, in particolare i batteri chemolitoautotrofi, che usano i minerali come fonte di energia (invece della materia organica). Questi batteri potrebbero essere usati come modelli per la ricerca della vita microbica passata che potrebbe essere esistita nelle grotte vulcaniche di Marte. Abbiamo anche rilevato un gran numero di specie batteriche che potrebbero essere nuove per la scienza.
Analisi al microscopio di alcuni campioni presso il campo base
Sul vulcano Fagradalsfjall
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DENTRO I VULCANI Islanda
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IL PROGETTO HRAUN: NUOVE GROTTE VULCANICHE NELLA PENISOLA DI REYKJANES Tommaso Santagata Come speleologi siamo abituati ad esplorare grotte antiche che si sono formate migliaia o addirittura milioni di anni fa in seguito a lunghi processi geologici, fisici e chimici che oggi ci permettono di entrare al loro interno per documentarle e studiarne la storia. Spesso proviamo ad immaginare cosa c’era prima della loro formazione, come si presentava il paesaggio prima che tali processi iniziassero ad agire per scavare all’interno di una montagna fino a creare un collegamento tra il mondo esterno e l’ignoto, ma non sempre è facile interpretare questi processi avvenuti nella maggior parte dei casi quando noi umani non eravamo ancora presenti su questo pianeta. Nell’arco della vita media di un essere umano infatti è poco probabile visitare un paesaggio prima e dopo la formazione di una cavità. Ma poco probabile non significa impossibile. Le grotte vulcaniche sono forse le uniche cavità che ci danno questa possibilità. Naturalmente anche mulini glaciali e grotte di contatto che si sviluppano in prossimità e all’interno dei ghiacciai hanno una genesi molto veloce, ma sappiamo bene che i processi che portano alla loro formazione sono molto diversi rispetto alle cavità che si formano in roccia. Inoltre, nella maggior parte dei casi queste grotte hanno anche una vita molto breve, strettamente condizionata da quella del ghiacciaio e dalle condizioni climatiche esterne. A differenza delle grotte glaciali, le cavità vulcaniche si sviluppano in seguito a eventi eruttivi che vanno a modificare drasticamente il paesaggio sia all’esterno ma anche nel sottosuolo in modo permanente, quindi la loro vita può avere una durata molto più lunga. Per uno speleologo è sicuramente più probabile esplorare cavità vulcaniche che hanno già completato il loro processo di formazione e accedere al loro interno una
volta che la lava si è solidificata. Parliamo di centinaia, migliaia o milioni di anni dopo il loro raffreddamento. In rari casi può capitare di poter esplorare grotte formatesi pochi anni prima. Quando questo è avvenuto è stato possibile documentare minerali ancora sconosciuti e definiti “metastabili”, cioè presenti solo in determinate condizioni chimiche e fisiche quando non hanno ancora raggiunto la loro stabilità. Il progetto Lo scorso anno abbiamo avuto l’opportunità di iniziare un nuovo progetto che riguarda lo studio di nuove cavità vulcaniche appena formate in seguito all’eruzione del vulcano Fagradasfjall nella penisola di Reykjanes, regione di Suðurland. Tale evento è stato preceduto da un’intensa attività sismica e dal rapido sollevamento del terreno nei pressi di una montagna nelle vicinanze del vulcano, il monte Þorbjörn. Dopo oltre ottocento anni di quiescenza, a partire dalla notte del 19 Marzo 2021, per circa sei mesi questo vulcano ha eruttato di continuo fornendo uno spettacolo unico con esplosioni e fontane di lava alte fino a 500 metri. Fratture laterali al vulcano hanno emesso circa 150 milioni di metri cubi di lava, formando un campo lavico esteso per quasi 5 km2. Durante l’eruzione è stato possibile osservare come i tubi lavici rappresentino importanti percorsi di flusso che contribuiscono allo scorrimento della lava anche attraverso il sottosuolo. Dal punto di vista speleologico questo fenomeno ha da subito attirato l’attenzione di geologi e ricercatori della nostra associazione. L’evento è stato seguito grazie a diverse webcam installate in prossimità del vulcano dalle autorità dell’isola e grazie ai tanti video amatoriali pubblicati su internet, fino a quando non è nata l’idea di
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Lave delle ultime eruzioni del vulcano Fagradalsfjall
intraprendere uno studio sulla possibile formazione di nuove cavità vulcaniche nate in seguito all’eruzione. Così è nato il progetto “Hraun” (lava, in lingua islandese). Nel mese di Ottobre 2021 è stata organizzata una prima prospezione a cui hanno partecipato undici soci La Venta. È stata anche l’occasione per riprendere le attività dopo una lunga pausa dovuta alla pandemia, ritrovando una nuova normalità fatta di green pass, tamponi, mascherine e gel igienizzanti. Nel cuore del vulcano L’Islanda è un’isola di origine vulcanica e geologicamente molto giovane (circa 20 milioni di anni). È nota per le sue particolarità geologiche e caratterizzata da un’intensa attività geotermica dovuta alla presenza di numerosi vulcani. Situata sulla dorsale medio atlantica, nell’oceano Atlantico settentrionale a est della Groenlandia e a sud rispetto al circolo polare artico, tra le isole europee l’Islanda è seconda solo alla Gran Bretagna in termini di superficie con un’estensione di poco superiore ai 100.000 km2. Le rocce che compongono questo paese segnano la divisione tra la piattaforma europea e quella nord-americana. Tra i vulcani presenti, attivi e non, è possibile osservare fenomeni di tipo fissurale, una tipologia di eruzione
Riprese termiche sul campo lavico del vulcano Fagradalsfjall
caratteristica dei complessi vulcanici della dorsale oceanica. Questo tipo di vulcanismo porta a fuoriuscite di lava attraverso spaccature che si aprono sulla superficie terrestre e che possono raggiungere lunghezze di diversi chilometri. Tali spaccature, al termine dell’attività eruttiva possono essere riempite dalla solidificazione della lava stessa e ricoperte da eventi successivi. L’eruzione del vulcano Fagradalsfjall è stata caratterizzata proprio da questo tipo di vulcanismo. Dopo aver seguito e osservato da remoto per diversi mesi le attività del vulcano, per questa prima prospezione ci siamo posti diversi obiettivi tra cui l’identificazione dei principali collassi e tubi vulcanici. In futuro il progetto prevede di effettuare ricerche direttamente all’interno delle cavità individuate, per documentarle e per studiare i minerali metastabili che si formano solo a determinate condizioni di temperatura. Considerando però le alte temperature e le elevate concentrazioni di gas presenti, queste attività non si potranno svolgere se non dopo diversi mesi o anni dal termine dell’attività eruttiva. Per identificare i principali collassi i condotti vulcanici, visibili chiaramente osservando dall’alto la superficie delle colate, è stato utilizzato un aeromobile a pilotaggio remoto (APR), più comunemente noto come drone, equipaggiato anche con una camera termica in modo da
identificare facilmente le aree di maggiore interesse con presenza di collassi e misurarne le temperature superficiali. Nel corso dei numerosi sorvoli sono state acquisite 324 immagini termiche e 21 video coprendo diverse aree, tra cui una con un grande portale da cui è fuoriuscita l’ultima colata attiva nel mese di settembre 2021. All’interno degli imbocchi e dei collassi, al momento delle riprese sono state misurate temperature intorno ai 200 °Celsius. Al termine delle fasi di acquisizione delle immagini e delle riprese è stato possibile elaborare diversi modelli fotogrammetrici di alcuni canali sia attraverso le immagini RGB e dalle immagini termiche che serviranno come base per le prossime ricerche. Oltre allo studio di queste cavità, l’ospitalità della Società Speleologica Islandese ci ha permesso di visitare alcune grotte in corso di esplorazione nella penisola del Reykjanes. Di particolare interesse è stata la realizzazione del rilievo tridimensionale con laser scanner del tubo lavico di Búri, uno dei più grandi e spettacolari condotti conosciuti in Islanda, scoperto solo nel 2005. Lo studio di tubi formatisi in eruzioni più antiche nelle vicinanze del Fagradalsfjall ci permette di avere una maggiore conoscenza dei processi speleogenetici, aiutandoci a prevedere che cosa potremo incontrare all’interno delle cavità appena formate. Questa prima prospezione ci ha permesso inoltre di iniziare una proficua collaborazione con Veðurstofa, l’istituto meteorologico dell’Islanda, che si occupa del monitoraggio del rischio vulcanico, e con alcuni ricercatori del Museo di Storia Naturale di Rjekiavik e dell’Università dell’Islanda. Sono state gettate le basi per una cooperazione proficua, attraverso lo scambio di dati e la condivisione di obbiettivi scientifici grazie soprattutto al supporto di Sara Barsotti, ricercatrice italiana che da diversi anni lavora presso il centro meteorologico come coordinatrice del rischio vulcanologico. Le attività preliminari del progetto hanno messo in luce il potenziale speleologico di quest’area identificando diverse zone di maggiore interesse. Mentre scriviamo questo articolo ci stiamo preparando a una nuova spedizione che avrà luogo nel maggio 2022. Questa volta cerchere-
Scansioni 3D all’interno della Leidarendi cave
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Rilievi col drone sul campo lavico del vulcano Fagradalsfjall
mo di entrare all’interno delle cavità sia di persona ma anche attraverso l’utilizzo di altri tipi di droni, grazie al supporto degli amici della società svizzera Flyability con cui ormai da diversi anni collaboriamo per lo studio di cavità glaciali. Ringraziamenti Questo progetto è supportato da AKU, Ferrino, Amphibious, Scurion, Vigea – Virtual Geographic Agency, Miles Beyond, Kibo.it, Studio Atlante, e realizzato in collaborazione con Istituto Nazionale di Astronomia e Fisica, Università di Bologna e Università di Padova, col patrocinio della Società Speleologica Italiana.
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Memorie del buio Paolo Forti
Manifesti pubblicitari All’inizio del secolo scorso il turismo cominciava a diventare un fenomeno ancora non di massa ma certo in grande espansione. La diffusione dei mezzi di trasporto privati era comunque ancora molto scarsa e, in questo contesto, le ferrovie, che avevano visto un enorme sviluppo nelle ultime decadi dell’’800, svolgevano sicuramente un ruolo fondamentale per permettere ai turisti di raggiungere le mete che intendevano visitare. Nei primi anni del ‘900, grazie anche al contemporaneo sviluppo dei cartelloni pubblicitari, che erano spesso realizzati da pittori famosi, le ferrovie statali di molti Paesi
realizzarono manifesti delle principali grotte turistiche che potevano essere raggiunte in treno. Oggigiorno tali manifesti in stile floreale o Decò sono molto ricercati tanto da aver raggiunto quotazioni da capogiro nelle aste internazionali. Fortunatamente il Centro di Documentazione Speleologica “Franco Anelli” ne ha una discreta collezione, della quale fa parte questo cartellone che pubblicizza la Grotta di Han e quella di Rochefort in Belgio.
LA VENTA Soci Roberto Abiuso Paolo Agnelli Giorgio Annichini Daniela Barbieri Teresa Bellagamba Alvise Belotti Alessandro Beltrame Tullio Bernabei Gaetano Boldrini Alfredo Brunetti Leonardo Colavita Carla Corongiu Tiziano Conte Vittorio Crobu Norma Damiano Riccardo De Luca Ada De Matteo Antonio (Tono) De Vivo Jo De Waele Umberto Del Vecchio Sara Di Ferrante Davide Domenici Paolo Forti
Luca Gandolfo Enrico Giacomin Giuseppe Giovine Luca Imperio Felice La Rocca Massimo Liverani Francesco (Ciccio) Lo Mastro Luca Massa Marco Mecchia Paolo Petrignani Leonardo Piccini Riccardo Pozzobon Enzo Procopio Alberto Righetto Alessio Romeo Giovanni Rossi Patrizio Rubcich Natalino Russo Tommaso Santagata Francesco Sauro Giuseppe Savino Francesco Spinelli Roberto Trevi
Stefano Vanni Marco Vattano Rappresentati esteri Josè Maria Calaforra Alicia Davila Fulvio Eccardi Esteban Gonzalez Elizabeth Gutiérrez F. Israel Huerta Carlos Lazcano Enrique Lipps Jesus Lira Mauricio Náfate L. Jorge Paz T. Monica Ponce Argelia Tiburcio Freddy Vergara, Kaleb Zárate Galvez
Membri d’onore Raul Arias Giuseppe Casagrande Viviano Domenici Adolfo Eraso Romero Elvio Gaido Amalia Gianolio Italo Giulivo Silvia Nora Menghi Luca Mercalli Ernesto Piana Rosanna Rabajoli Tim Stratford Marco Topani Carina Vandenberghe
Soci scomparsi Giovanni Badino † Paolino Cometti † Francesco Dal Cin † Edmund Hillary † Adrian G. Hutton † Lucas Ruiz † Thomas Lee Whiting †
Terza di copertina: Foto panoramica da drone delle colate laviche del vulcano Fagradalsfjall, Islanda Quarta di copertina: Riunione con gli indigeni della comunità Monochoa, Colombia