Enzo Di Mauro - Il tempo che non venne

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Enzo Di Mauro

Il tempo che non venne


Affiorato dopo venticinque anni di silenzio, Il tempo che non venne è il secondo corpus di poesie – con Notturna, Campanotto (1987) – a essere raccolto in volume da Enzo Di Mauro. Nel punto dove si ritira il Novecento, e comincia il libro, è bruciata ogni spinta di cambiamento, ai sogni di giustizia sociale la storia ha dato fin de nonrecevoire; una luce radente schiaccia o dilunga le utopie. Contempla il mondo dalla sua possibile redenzione, «privi di fiato e di trombetta», un cerchio di angeli: questi amici fraterni dei perdigiorno hanno un’ala impigliata nella storia; sono camminanti solitari, «viaggiatori da fermo» o Belacqua accosciati al suolo, gli uguali dei poeti. Baudelaire, Walser, Pasolini e Porta, una corrente di puri spiriti attraversa il camposanto vasto dell’Europa. Alcuni nomi sono pronunciati a metà, altri non compaiono affatto e risuonano dentro una voce definitiva, sì che anche dopo i lampi politici e le invettive ruota sempre un perno, l’addio chiude su un’unica frase musicale in “lasciando”. Però quante volte, nella piega dei fogli, ritorna la parola «futuro», in questo che pure è il territorio dell’elegia e del planh, tanto da poterne fare, per chi resta, un libro sul futuro: al di sopra di tutto, ilare e irreconciliabile, sembra di udire il segnavia nietzscheano: Naufragium feci, bene navigavi. D.P.


collana ar no 13



Enzo Di Mauro

Il tempo che non venne poesie 1989-2012

Lavieri


FSC PRODUCT LABELING G EXCEPTIONAL CIRCUMSTA BELOW MINIMUM SIZE Enzo Di Mauro Il tempo che non venne Lavieri edizioni / ISBN 978-88-96971-08-6 Copyright © 2012 Ipermedium Comunicazione e Servizi s.a.s. Arno n. 13 Collana a cura di Domenico Pinto

Lavieri edizioni via IV Novembre, 19 - 81020 - S. Angelo in Formis (CE) via Canala, 55 - 85050 - Villa d’Agri (PZ) www.lavieri.it / info@lavieri.it


Il tempo che non venne



Infanzia del dopoguerra Riconosci il paesaggio combattente – ma qui non è Spagna e certo non è Castiglia né Aragona. Pur sempre è dopoguerra, mi rispondi, pace e clamore insieme di corpi aperti alla luce – lotta nella polvere, tenaglia che recide. Io da qui, vedi, faccio poco: colleziono porcellini – di sapone, di marzapane, di zucchero purissimo – e aspetto lei che vedrò spuntare in bicicletta, stagliata nei tanti pomeriggi di una giornata uguale a questa, e leggo i poeti che amo – quasi tutti morti di mala morte – e ascolto Stabat Mater. Un cane spelacchiato, ecco cosa sono, una sentinella, e rimango zitto a latrarmi dentro. È che mi toglie il ringhio il fiume tranquillo nel suo letto, questa calma che offende come una ferita o un tradimento. E poi, se posso dirti, mi fa piangere questa sera che arriva così netta da ombre e chiaroscuri – ancora rossa la piastra del cielo – che si vedono case in costruzione e montagne combattenti. E tu su quelle, a tracolla la mitraglia.

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Una frittura di noi Guardo te come rovina il vento e ingiuria questo precipitare della lancetta al nuovo sole che vaporizza le nostre ombre nette e illese nel celeste del mondo ritrovato. Cerchiamo i segni della guerra e perciò ricominciamo. Anche se ricominciare somiglia a un tradimento. Ricordi? Mille notti abbiamo misurato che non ci lasciavano parlare e non succedeva niente – era immobile fuori e un freddo cane azzannava la gola. Un disastro, una frittura di noi – si stava stretti a cucchiaietto pronti a rifare nido sulla terra. E tu che porterai nel cuore una luce che il futuro non vorrà perdonare ora vedi ora sai che ci sono più cose sotto il cielo che in tutte le poesie mai scritte e in tutte le pagine stampate.

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Una sera del futuro 1. Dolce sangue che ti pungono nell’agguato meridiano in uno spazio di distanza al fosforo tra ufficiali e angeli in congiura. Ma qui c’è freddo, ora spuntano i vessilli nella piazza in festa dove appari d’improvviso e non vediamo nulla, avanziamo ciechi – palpebre che tremano, grappolo di nappa tenera. 2. Adesso è l’aria che cede alla fuga, sei pensiero a filamenti di ore nel tassametro. Ma perdona questo sbrego – scesa in trappola, balestra d’osso, uncino, feritoia che mira il suo popolo. 3. Un ferro di cavallo In una notte uguale a questa – neppure diversa l’umidità ad Erevan – resisterà nel tuo scandire il mondo. L’ansia di lasciarci era roncola e tenaglia, Arimo – gridavi accelerando 13


verso i campi spogli, nel gelo, fluttuando, un saluto ripetuto con la mano. 4. Un disegno segreto, un velo d’inciampi: lo diranno un giorno qui in Armenia una voragine nel gennaio di domani, un invito a battersi di giovani amici sul greto di un fiume senza rive, nell’umido d’argilla che poi dici costa caro e si muore nel giusto ribattendo colpo su colpo. 5. Manca all’appello l’assiderato gridare dai treni o sotto casa guardando altri treni passare – così ripeto per sempre la balbuzie destinata a cambiare il corso della prosa. Grandi maestri del terrore mai stanchi e infelici, dio abbandona tutti e me per primo, si perde il suo regno nel secolo come una freccia senza bersaglio o una moneta scivolata nella griglia.

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Cosa lasciano le vittime 1. Più veloci delle nubi su Parigi ora se ne stanno schiacciati nel bassorilievo, nell’acqua, nella rosa dispersa – una crescita disturbata, una macchinetta ronzante. Così nel dormiveglia li vedo mentre l’alba li consuma – tronchetti nel paesaggio, ombre, macchie sui muri o sulle cose più povere del mondo. Dal faggio che il vento lascia intatto – in questo pomeriggio che fa tremare il clima e spruzza di ruggine le palpebre – è come una febbre che ripete «prendili, portali con te, sono armi, barricate, pale d’altare, seppure non ne conosci più il nome volano nell’aria, compagni sconosciuti. Sarete la bestia al pascolo, la lampada perenne o se preferisci la tosse del treno che si perde verso i grandi camposanti d’Europa». 2. Baci, febbre: è questo il corridoio dove il respiro manca, la piazzola delle bruciature che non sanano. Ci sono stati, ecco cosa conta 15


– e se ritornano non è per voi né per i figli dei vostri figli. Il loro ringhio si perde nel futuro. È la fine del tempo un galoppo che non smette. All’altezza dell’insetto traccio la parola comunista. Striscia come serpe, conosce la terra nera della sepoltura e i piedi che la battono in eterno. Cenere e sangue: è questo lo spazio, la misura per andare avanti. Essere stati prudenti fu l’errore, non il disincanto di chi volle malinconia compagna al comunismo.

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La cimice e l’orso Sembra ampio questo spazio – arioso ma non troppo – dove salta la cimice nel suo rango di cimice. Qualcosa di più qualcosa di meglio del povero orso bruno di stanza in Sicilia quando gemeva di vergogna ridotto a cosa mai vista, incredibile a vedersi. Io, nei pomeriggi di certe estati infinite, me ne stavo a guardare la bestia umiliata chiusa nella cella di mattoni e cemento. Simile a un santo – e sant’Orso lo chiamavo – steso attorno al catino d’acqua putrida, bollente, ammasso di nuda carne e di mosche feroci. Allora alzavo gli occhi alla collina del vecchio borgo senza vita dove la torre – semplice di linee, primitiva, indistruttibile – tranciava un cielo di azzurrato borotalco e dicevo: questa tempesta di mondo ha proprio bisogno di una cimice che lavori in uno spazio ampio – arioso ma non troppo – e sia capace di infilarsi ovunque, di attraversare montagne, di bucare il piombo. Ancora oggi sento che questa cimice qualcosa sta facendo. Qualcosa, mi ripeto, combinerà.

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Piazza delle roncole



Un refuso Scrissi «distratto» per «distrutto» così il refuso verificò lo schianto, il fallimento senza colpo ferire. Anche gli dèi chiamai a testimoni. Ma l’inconscio lavora con costrutto conforme al desolato, arido vero. Né fui creduto alla fine di tutto.

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Biglietto mai spedito Come prudenza vanta il suo dominio così a te devoto non mi mostro. Ti faccio la sorpresa del silenzio e allora franando ti ritrai sempre in sordina simile a suora in claustrale inedia indecisa se negarti al suo diniego. Io non ti scriverò se tu l’attendi in solitaria cella né ti rivolgerò doglianza alcuna aspetterò che vecchiezza t’affranchi e poi guardandoti dal tumulo certo lacrimerò su quel tacere se non sulla bellezza tua perduta.

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Oro freddo



Vladimir Nabokov: una poetica 1. Tu non esisti più, Tschischwit, manicomio di consonanti, mio prediletto commentatore di libri, critico disordinato e pigro, lettore lussurioso. Io passeggiavo pieno d’orgoglio sotto il sole di Malaga e pensavo a poesie e ragazze e anzi a cosa sia la poesia se non un marzapane a tradimento – una piccola rovina. Più invecchio, mi dico, e più non vivo senza la rosetta spoglia del suo culo adolescente e le dita che fai scivolare dentro la mia bocca malferma, incatramata. Mi basta così. Non eccelse poesie e qualche peccato capitale. Mentre a te questo schianto è negato. 2. Tu che amavi il cinema e il mare non sei stata la passante acerba, la ragazza che fulmina e scompare o il ricordo lacrimoso di un disastro. Fu a Berlino che cominciammo 61


a passeggiare insieme scoprendo la felice spossatezza dei sabati e, già stanchi d’emigrare, la mite dolcezza delle domeniche europee – nei parchi correvamo e in riva al fiume c’erano mulinelli di polvere, derrate di vento che costringevano – noi felici per quelle – a tornare in albergo mai troppo sbronzi. Quella stanza fu il nostro liceo, la chiave universale del futuro. Oggi arrivi – mi torni in sogno, voglio intendere – su un infiorato barroccetto nordico carica di pugnali d’ogni foggia, luccicanti – e non so che significhi o dove conduca questo satrapo notturno. 3. Amo – tra tutti – i versi irregolari, il crepitio di certe tronche, le chiuse in volta acuta che rimano con lei. Ma tu, invece, avaro lettore, pessima spia, vittima delle mie imposture, non riconosci più – seppure esperto di buone maniere – le parole piegate sul mondo e quanto costarono al briccone che ero le pagine non aperte nei lampi delle cancellature.

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Appunto di volo a Ermanno Krumm

Io vedo la poesia vestita di magrezza piuttosto un canguro che un torello, una buffa bestiolina in qua negli anni e un po’ nervosa. La pienezza è un’altra cosa una specie d’aquilone che vacilla e che non cade, e noi a guardare da quello e tutto il tempo nell’aria a veleggiare.

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Lasciando



Lasciando Milano ad Antonio Porta

1. Se tu dovessi ridiscendere qui nella stanza al caldo al chiuso al meglio di come possiamo ti direi lo vedi come si perdono – e non sono parole ma passi rumori fare e disfare costruire abbattere e rifare – nella foresta di questo tempo che non smette di finire e tu neppure come un piccolo angelo di carbone ficcato nella campagna ventosa che additi a percorrere a capire – sapendo che la poesia è solo questo: non capire non partire. 2. Ora sei un sogno di mezzo pomeriggio un grumo di voci tutte insieme: poi quando? chiedi ed è un quando alcune volte ripetuto uno scompiglio di neve e di febbre. Vedi? Siamo invisibili tu e io – non dimenticare ciò che si trasforma per restare necessario. Non dimenticare. Poi t’allontani, nuvoletta sulle cose – ma è un addio o un tradimento quello che dici di dovere alla vita?

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Lasciando Roma a Dario Bellezza

Cosa sarebbe rimasto del frumento delle nostre carni non potevamo saperlo seppure – in un pomeriggio fiorentino del 1980, l’estate più calda del secolo – il falco alto nel cielo sembrava immobile, stampato nell’azzurro sbavato di bianco nel richiamo che ancora risento di un futuro incerto, confuso, intangibile. Ragazzi borghesi intanto riempivano gli spalti del concerto. «Finché viviamo», andavi ripetendo, «dobbiamo tacere l’orrore che ci fanno certi vicini di casa o di posto». Poi ti allontanasti – come una bestiolina che si nasconde sottoterra – col meno peggio tra migliaia. Era – oltre alla nostra gioventù – il fuoco raggiante della poesia che dava senso alla vita e ancora la nutriva come l’umano destinato a non finire, uno stemma che resiste a ogni male, a ogni servitù. Anche oggi – in questo pomeriggio uguale a quello – macchie di calura saltano nell’aria e l’addomesticano. La nera terra soltanto fa scivolare tra le tue rigide dita di figlio tutta la pioggia del mondo.

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Dèi senza cielo



12 luglio 1998 Siamo stati tra le fiamme di Rapallo – prova del fuoco, appunto, a noi dovuta dall’aspro zelo dei parenti – un arresto di vita, un blocco, del tutto uguale al suo contrario. Ma questo passaggio provvisorio la storia avrebbe dimenticato se non si fosse stemmato al Saint-Denis in altro incubo: ad opera dei nipotini di Voltaire lo schianto dei ragazzi di Zagallo. Quel giorno gli dèi ubriachi non concessero gioia e riposo a noi mortali. L’archivista celeste prenda nota: ben altro credito ci toccherà domani.

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Nervi del chiaroscuro



Un sogno di Sherlock Holmes Tu sogni un po’ di me – monetina con testa o croce – e mentre sogni ristai sulla porta, chiedi di andare verso il patibolo di scomparire. Mi sbricioli in te nella battaglia, in questo bagliore di lenta alterazione – ma per quale trucco a disegnare e non senti, non rispondi? Tra le carte la figura si scompone. Ecco: mi chiudi nella domanda, sembri stanca, anima nervosa – nostro disastro, Watson, di ogni sera.

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Notte adriatica Sono questo e quello, giunco e vento, mantice e segatura, tutto e niente, puro e impuro, scheggiato a scheggiare, stretto a stringere per non cadere. Declino un po’ per volta nel sogno di non tornare, confondo androni e prati che gennaio abbrustolisce – tu non sei qui per l’esserci stata. Sento la notte alla finestra ticchettare steso nel letto tra mare e campagna – ma sono io l’animale che ritrovo la mattina a pascolare.

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Arena del Sole



Lawrence Durrell Non cancello nulla: ti vedevo piuttosto dalla febbre come riflessa in un cestello verde stipato di vetri, l’occhio sbadato, stretto in fessura. E non finisce anzi resiste per contorni senza centro l’immagine fissata nel rosaceleste di Ortigia. Era lì che cadevo per giovani ragazze mediterranee – Cipro, Rodi, Corinto o Corfù – come un angelo ebete mentre l’insetto che volando ti puntava facendoti scappare dove non respirava niente, chiazza di luce nella bellezza notturna di Augusta tutta stelle. O fiamme invece?

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Savoca Tremi nelle piccole stampe trovate in Savoca a seccare dove tutto è pietra macerata e uccelli a nacchere cantano posate nel calore. Ma l’angelo resta sulla soglia, un’ala senza la sua gemella, mutilato, chino a tornare nel bruno muschio, spaventato, tra corona e fante scivolando. Questo diluvio però si fa tramonto e batte sui vetri della specie.

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Indice Il tempo che non venne

Il mio comunismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Le domeniche rosse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Infanzia del dopoguerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Una frittura di noi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Una sera del futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Cosa lasciano le vittime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 La cimice e l’orso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 Kummer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Faulenzen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 Per arredare il parco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 Imbrunire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Il tempo che non venne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

Le virtù popolari

Di nascita e testamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Ascanio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Una gelata del Settantasette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Pasquale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 Hamelin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Ai partenti, ai perduti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 La grazia dei poveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 A un compagno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

Corpo e cruna

Fervono i lavori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 Ponte-lance . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Una convitata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Clic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 Urgenza e dolore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 Marco d’Oggiono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 Rondini a Volpedo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

Piazza delle roncole

Un refuso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 Biglietto mai spedito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 Zero in condotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 Tornando da una vacanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Un sogno fatto all’alba . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 Due acquerelli con incognita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 145


Sul tabacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 Ricompari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

Oro freddo

Vladimir Nabokov: una poetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 Appunto di volo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 Sul bello e sul sublime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 La mia lettrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Walser a Herisau . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 Agli anni Settanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

Lasciando

Lasciando Milano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 Lasciando Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 Lasciando Pallotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

Dèi senza cielo

Olimpica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 12 luglio 1998 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 Un volo d’aquila dalla curva sud . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

Nervi del chiaroscuro

Un sogno di Sherlock Holmes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 Notte adriatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 Ironia della morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Ritorni in mio dominio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 Una freccia su Milano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 Iacopo da Pontormo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Febbraio ospedaliero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 La fatica dell’esecutore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 Lodoletta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 Freddo del tempo nuovo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 Nervi del chiaroscuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97

Arena del Sole

Lawrence Durrell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 Savoca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 Il Risorgimento a Catania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 Sentieri selvaggi a Catania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 Ògnina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 Noto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 Sbarcammo a Eloro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 Sono questo passo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 Arena del Sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110

Tombe

Strade consolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 Sulla tomba di Charles Baudelaire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114 Sulla tomba di Robert Walser . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 146


Sulla tomba di Osip Mandel’štam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116 Sulla tomba di Walter Benjamin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 Sulla tomba di Benjamin Moloise . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 Fossa comune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120

Wagon-lit

Wagon-lit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123

Imbruniva all’infinito

Africa italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 S’annunca s’abballa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 Un sogno del 1966 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 Un sogno del 1967 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 Gli alberi morti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 La musica dei morti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136 Un dolore nuovo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 In una scheggia asciutta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 Luminarie dell’Ascensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

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Lavieri

Nella stessa collana 1. Arno Schmidt, Dalla vita di un fauno 2. Marco Palasciano, Prove tecniche di romanzo storico 3. Maurizio Rossi, Mare Padanum 4. Walter Kempowski, Tadellöser & Wolff. Un romanzo borghese 5. Arno Schmidt, Brand’s Haide 6. Giovanni Cossu, Turritani 7. Gherardo Bortolotti, Tecniche di basso livello 8. Arno Schmidt, Specchi neri 9. Antonio Pizzuto, Sinfonia ( 1927 ) 10. Ulrike Draesner, viaggio obliquo (poesie 1995-2009 ) 11. Marco Ceriani, Memoriré 12. Hans Henny Jahnn, 13 storie inospitali



Enzo Di Mauro è nato a Paternò, in provincia di Catania, nel 1955. Con Notturna (1987) ha vinto il premio Montale della giuria tecnica. Ha curato La parola innamorata (1978, con Giancarlo Pontiggia), Il giudice e il suo scriba. Narratori davanti alla legge (1998), Un capitano coraggioso. Il teatro di Ugo Margio (2009) e Destino e finitezza. Su Valerio Zurlini (2011, con Giancarlo Mancini). Del 1997 è Fenomenologia di Battiato (con le foto di Roberto Masotti). Il suo primo articolo risale al 1969, e da allora ha esercitato una ininterrotta attività pubblicistica per molte testate, tra cui «La Fiera letteraria», «La Gazzetta di Genova», «Il Globo», «Italia Oggi», «Paese sera», Radio popolare, «Liberazione», Radio Rai, «Diario», «Corriere della Sera», «Il Messaggero». Da parecchi anni svolge un intenso lavoro di cronista letterario per il quotidiano «il manifesto», che egli considera come la sua vera, unica casa. Vive tra Milano, Arona e Roma.

www.lavieri.it


Sembra ampio questo spazio – arioso ma non troppo – dove salta la cimice nel suo rango di cimice. Qualcosa di più qualcosa di meglio del povero orso bruno di stanza in Sicilia quando gemeva di vergogna ridotto a cosa mai vista, incredibile a vedersi. Io, nei pomeriggi di certe estati infinite, me ne stavo a guardare la bestia umiliata chiusa nella cella di mattoni e cemento. Simile a un santo – e sant’Orso lo chiamavo – steso attorno al catino d’acqua putrida, bollente, ammasso di nuda carne e di mosche feroci. Allora alzavo gli occhi alla collina del vecchio borgo senza vita dove la torre – semplice di linee, primitiva, indistruttibile – tranciava un cielo di azzurrato borotalco e dicevo: questa tempesta di mondo ha proprio bisogno di una cimice che lavori in uno spazio ampio – arioso ma non troppo – e sia capace di infilarsi ovunque, di attraversare montagne, di bucare il piombo. Ancora oggi sento che questa cimice qualcosa sta facendo. Qualcosa, mi ripeto, combinerà.

ISBN 978-88-96971-08-6

€ 14,00 (i.i.)

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