Alexis Leandro Estrella
Arte Generativa Estetica dei New Media Prof. Angelo Capasso
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INDICE 1. Introduzione 2. Definizione 3. Brevi indizi storici 4. Una narrazione generativa 5. Un film generativo 6. Un generatore d’arte 7. Conclusione 8. Bibliografia
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INTRODUZIONE Il presente lavoro intende fornire un’introduzione al concetto di Arte Generativa, la mia scelta è stata di strutturare la ricerca in due parti: nella prima, a carattere introduttivo, verranno esposti dei brevi indizi storici utili ad inquadrare i primi casi di arte generativa nel contemporaneo, mentre nella seconda, verrà fatta la descrizione di tre opere artistiche che hanno come tematica o metodologia l’arte generativa.
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DEFINIZIONE “L’arte generativa è un termine che deriva dal concentrarsi sui processi coinvolti nella produzione di un’opera, di solito (anche se non strettamente) automatizzato mediante l’uso di una macchina o un computer, oppure utilizzando istruzioni matematiche o pragmatiche per definire le regole per le quali tali opere vengono eseguite.” Adrian Ward “Arte generativa si riferisce a qualsiasi pratica artistica dove l’artista crea un processo, come ad esempio un insieme di regole in linguaggio naturale, un programma per computer, una macchina o altre invenzioni procedurali, che viene poi messo in movimento con un certo grado di autonomia contribuendo o risultando in un’opera d’arte finita.” Philip Galanter
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[A sinistra] Decorazione con piastrelle Girih nella moschea di Isfahan [A destra] Disegno fratalle con le tassellature di Penrose
BREVI INDIZI STORICI Le piastrelle Girih, della decorazione islamica, risalenti all’anno 1200 possono essere considerate uno dei primi esempi di arte generativa (in quanto le piastrelle si basano su sistemi astratti che servono a coprire delle superfici specifiche). Esse consistono in una serie di cinque tessere utilizzate sopratutto per l’abbellimento dei palazzi di architettura islamica. È interessante ricordare che uno studio del 2007, pubblicato sulla rivista Science1 ha messo in paragone le tassellature Girih con le tassellature frattali di Penrose, presentate nel 1974, e che speso queste vengono utilizzate nell’arte fratalle, solitamente creata con l’ausilio di un computer. Nel secolo XVIII, Wolfgang Amadeus Mozart sviluppò un “gioco musicale di dadi” che conteneva la maggior parte degli elementi che oggi sono associati con l’arte generativa. Uno dei suoi brani portava l’illustrativa didascalia “Componendo dei valzer con due dadi senza conoscere la musica o capire nulla sulla composizione”. Per creare questo, Mozart compose 176 battute di musica, dalle quali sedici sono state scelte da un elenco utilizzando i dadi. Sedici battute, ciascuna con undici possibilità, può portare a 1.116 pezzi unici di musica. Usando questo esempio storico, la metodologia dell’arte generativa può essere opportunamente definita come la rigorosa applicazione di principi predefiniti d’azione per l’esclusione intenzionale di decisioni individuali estetiche, che mettono in moto la nascita di nuovi contenuti artistici 7
di materiale previsto a tale scopo. Per quanto riguarda il brano musicale prima accennato, non si trattava di un gioco eccezionale del compositore. Un foglio di lavoro per Adagio KV 516 mostra uno schema sviluppato con principi simili a quelli che sono stati applicati al gioco dei dadi. Si può presumere che dietro questo processo c’era un impegnativo sistema che Mozart a volte utilizzava per le sue composizioni.2 Nella seconda metà degli anni ‘10, uno dei primi esempi di arte generativa nell’arte contemporaneo è stato quello di Tristan Tzara, il quale spiegava come generare dei poemi partendo dalla copia di un giornale qualsiasi e un paio di forbici, scegliendo un articolo, tagliando tutte le parole che lo componevano e mischiandole accuratamente in una busta per poi ricomporlo prendendo una parola dopo l’altra.3
Jean Tinguely, Méta-Matic nr 8. “Méta-Moritz”, 1959
Negli anni ‘50 Jean Tinguely ha creato la sua serie chiamata “Métamatics”4. Questa serie di sculture generative erano delle macchine per dipingere che 8
invitavano il pubblico a creare le proprie opere d’arte astratta. L’umorismo e la provocazione di queste, e altre, sculture dell’artista svizzero nascono come critica alla veloce assimilazione dell’espressionismo astratto da parte delle accademie e il mercato dell’arte.
Sol LeWitt, “Incomplete Open Cubes”, 1975
Altri artisti che hanno utilizzato sistemi generativi per la creazione delle loro opere sono stati John Cage, William Burroughs e Marcel Duchamp abbracciando la randomizzazione come prolifico principio generativo. I minimalisti come Carl Andre, Mel Bochner e Paul Morgenson utilizzarono semplici principi matematici per produrre delle composizioni. L’artista concettuale Sol Lewitt utilizzava sistemi combinatori per creare delle opere complesse partendo da componenti semplici e, come ultima citazione, l’artista concettuale Hans Haacke ha esperimentato sistemi generativi nei suoi primi lavori, come nella sua scultura “Condensation Cube” creata in base al suo manifesto5 del 1965: 9
...crea qualcosa che vive e reagisce al suo ambiente, cambia, è instabile... ...crea qualcosa di indefinito, che appare sempre diverso, la cui forma non può essere prevista con precisione.. ...crea qualcosa che non può “operare” (“perform”) senza l’assistenza del suo ambiente... ...crea qualcosa che reagisce alla luce e ai cambiamenti di temperatura, che è soggetto alle correnti d’aria e dipende, nel suo funzionamento, dalla forza della gravità… ...crea qualcosa con la quale lo spettatore interagisce, con la quale gioca e dunque anima... ...crea qualcosa che vive nel tempo e rende il tempo una esperienza dello spettatore... ...esprimi un qualcosa di naturale...
Hans Haacke, “Condensation Cube”, 1967
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NOTE
1 Peter J. Lu e Paul J. Steinhardt, Decagonal and Quasi-crystalline Tilings in Medieval Islamic Architecture. Science, vol. 315, 2007 2 Tjark Ihmels e Julia Riedel, The Methodology of Generative Art. www. medienkunstnetz.de 3 Marialaura Ghidini, Intervista ad Alessandro Ludovico. www.crumbweb. org, Luglio 2013 4 Jean Tinguely, Tinguely: The Tate Gallery London 8 September-28 November 1982. Tate Gallery Publications Department, 1982. 5 Hans Haacke, Cologne, Gennaio 1965, ristampato su Alan Sonfist, Art in the Land. A Critical Anthology of Environmental Art. Dutton, 1983
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UNA NARRAZIONE GENERATIVA “Win, Place or Show” di Stan Douglas Stan Douglas è un fotografo e filmmaker canadese che vive e lavora a Vancouver. I suoi film e video riflettono su tematiche come la cultura, la tecnologia e la relazione tra la rappresentazione popolare della storia e la soggettività. La complessa struttura delle sue installazioni audio-visive è spesso basata su lunghi periodi di ricerca, mentre l’aspetto sociale del suo lavoro può essere paragonato a quello di un gruppo di artisti con sede a Vancouver, tra cui Jeff Wall e Rodney Graham, che nel corso degli anni ’80 ha iniziato ad esaminare gli effetti socialmente ed ecologicamente dannosi dell’industria e della tecnologia sui loro dintorni.
Untitled (set per Win, Place or Show), 1998
Nel suo lavoro “Win, Place or Show” dell’anno 1998, Donny e Bob, i due protagonisti della video installazione a doppio schermo, sono catturati in un ciclo perpetuo: si impegnano in una conversazione divagante che implica le notizie, la radio, le teorie cospirative e le corse di cavalli, che poi viene a degenerare in uno scontro fisico. Il titolo dell’opera richiama le classiche scelte delle scommesse ippiche, che alludono al calcolo combinatorio delle gare precedenti e le loro combinazioni, un argomento che viene presentato nel contenuto del dialogo tra i due protagonisti. Gli attori sono stati filmati da dieci punti differenti di ripresa. In ognuna di queste inquadrature veniva posizionata una coppia di telecamere. La scena viene ripetuta in loop su due schermi allestiti uno accanto all’altro con un piccolo spazio tra di loro, 13
ma la posizione degli attori, rispetto allo spazio, varia costantemente da ripetizione a ripetizione. Le inquadrature multipli sono state trasferite in due DVD. Questi DVD vengono ulteriormente rimontati da un computer, per mostrare nuove combinazioni di inquadrature della scena, che si ripetono circa ogni sei minuti. Utilizzando inquadrature multiple, Douglas ha creato abbastanza filmati del breve episodio al fine di garantire che la stessa combinazione di inquadrature avverrà solo ogni 20.000 ore, o una volta in due anni. Questa struttura è nata, in parte, dagli interessi di Douglas per il drammaturgo Samuel Beckett: “Ho usato le strutture ripetitive di certe forme musicali, ma gran parte della ripetizione deriva da Beckett. Quasi tutti i drammi di Beckett hanno questo tipo di doppia struttura in cui succede qualcosa all’inizio, e la stessa cosa accade alla fine, solo in modo diverso, che considero un confronto con il mondo meccanico. Qualcosa che non può essere fatto con esseri umani in performance dal vivo è far sì che loro si ripetano identicamente.”1
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La narrazione si compone in sei momenti, in cui i due uomini raccontano una barzelletta, accennano una teoria cospirativa, esaminano le colonne di scommesse in un giornale, hanno una discussione, lanciano una moneta e, infine, litigano fisicamente. In questi momenti il computer seleziona quale variante della scena riprodurre. Nelle parti della moneta e della lotta ci sono più di due volte il numero di possibili variazioni rispetto ad altri punti del film. Inoltre, in queste sezioni, Douglas cambia la funzione della ‘giunzione verticale’ causata dalla doppia proiezione. Il ruolo iniziale di questa giunzione è quello di dividere i due uomini e dare loro il proprio spazio sullo schermo, ma questo cambia diventando un ‘abisso’, in cui i protagonisti spesso scompaiono quando si spostano fuori dall’inquadratura, su entrambi gli schermi adiacenti. La scena si svolge in una replica di un condominio originariamente progettato nel 1950 per un sistema di riqualificazione nel quartiere Strathcona di Vancouver. Tali schemi erano destinati a risolvere il problema degli alloggi a basso reddito, in particolare per i lavoratori stagionali single, di sesso maschile. Questo
Stan Douglas, Frame del film “Win, Place or Show”, 1998
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progetto, però, non fu mai completato. La simulazione di Douglas è dotata di mobili modernisti degli anni ’50, realizzati a Vancouver e progettati per la produzione di massa, anche se in realtà disponibili solo per pochi. Grazie alla combinazione di questi esempi di utopismo mai realizzati, Douglas analizza le divergenze tra le promesse del modernismo e la sua realtà. Egli spiega che la quasi totalità delle sue opere “direzionano momenti in cui la storia avrebbe potuto andare in un senso o nell’altro. Noi viviamo nei residui di questi momenti.”2
Stan Douglas, Fotografia dell’installazione per “Win, Place or Show”, 1998
Dietro le immagini c’è una colonna sonora di pioggia infinita e il rumore silenzioso di una radio che si sente in lontananza. Il rumore della pioggia è collegato nel film con un’unica inquadratura dalla finestra dell’appartamento. Questo si verifica regolarmente, ma non in modo uniforme, e presenta un panorama della città di notte sotto la pioggia battente. Il rumore della radio è udibile appena in sottofondo, e sembra 16
provenire da una radio su una cassettiera, anche se in realtà il suono è quello della stazione radio regionale della corrente sede espositiva. Riflettendo l’impegno di Douglas riguardo le strutture tecniche e psicologiche dei mass media, Win, Place or Show è stato ispirato da un innovativo dramma televisivo canadese, The Clients, messo in onda nel 1968, e impostato nello stesso anno. Nel suo film Douglas, perturbando deliberatamente il convenzionale, espone come la televisione e il cinema cerchino di trattenere il senso della realtà imponendo un ‘proscenio’ invisibile sull’orientamento della messa in scena e le telecamere. Nel momento in cui questo orientamento, la narrativa e la continuità spaziale vengono messe in gioco, come Douglas fa in quest’opera, l’illusione viene esposta. Win, Place or Show affronta la riqualificazione urbana, la televisione e la produzione di massa come sistemi astratti che al contempo utopistici, possono anche diventare mezzi di controllo o di emarginazione sociale.
NOTE
1 Carol J. Glover, Diana Thater e Scott Watson, Stan Douglas. Phaidon Press Ltd, 1998 2 ibidem
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UN FILM GENERATIVO “The Snail on the Slope” di Vladimir Todorovic
Vladimir Todorovic, Dettaglio del film “The Snail on the Slope”, 2009
Vladimir Todorovic è nato nel 1977 a Zrenjanin, Serbia. Egli ha studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Belgrado e arti visive all’Università di Santa Barbara in California. Attualmente lavora come professore assistente presso la Scuola d’Arte, Design e Media a Singapore. Inoltre è il co-fondatore del collettivo di new media art chiamato “Syntfarm” con sede a Singapore e l’Istituto per le Culture e le Tecnologie Flessibili “NAPON” a Novi Sad, Serbia. Todorovic lavora con codici e sistemi generativi che gli consentono di comunicare alcune delle sue idee in una varietà di mezzi cinematografici. Egli esplora i settori in cui arte e scienza si incrociano, lavorando nel nesso tra dati ambientali, sistemi sostenibili, culture del gioco e nuove tecnologie. Scrivendo codici informatici produce strutture narrative che egli chiama film generativi. Oltre questo utilizza altri supporti come installazioni audio-visive, giochi per computer, sistemi di realtà virtuale e nano-tecnologie. Riguardo ai suoi primi lavori generativi, Todorovic ci racconta: “Ho iniziato a lavorare con l’arte generativa mentre studiavo pittura. Il mio metodo è stato quello di aggiungere x quantità di litri d’olio, acqua e trementina e dopo x numero di settimane per ritornare e vedere che tipo di dipinto il sistema avrebbe creato. Questo metodo non è stato così pesantemente indebitato a conformarsi agli insiemi di regole che, per esempio, Sol Lewitt utilizzava nel suo lavoro. Direi che nei suoi disegni, dove si segue una chiara serie di istruzioni, si assiste uno dei primi esempi di arte generativa. Ho anche lavorato molto con dei video, dove la telecamera veniva messa in un sistema che 19
produceva una vasta gamma di variazioni di materiale audio-visivo. Per esempio ho montato la fotocamera su un motore elettrico, su il ramo di un albero, dentro a un barile, su una bicicletta e via dicendo. Ho fatto queste primissime opere senza l’utilizzo di una smisurata quantità di programmazione, ma erano comunque dei progetti generativi, in quanto, creai un sistema e lasciai che il sistema effettuasse l’opera.”1
Vladimir Todorovic, Frame del film “The Snail on the Slope”, 2009
The Snail on the Slope (La Lumaca sul Pendio) è un film generativo basato sul eponimo libro dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij. Il romanzo è ambientato su un pianeta sconosciuto, dove gli esseri umani hanno una base nella quale stanno studiando e cercando di conquistare La Foresta. La Foresta è un enorme organismo unitario in costante cambiamento, questo organismo è in continua difesa dall’attacco degli esseri umani. All’interno della Foresta succedono una grande quantità di fenomeni, che oltre essere inspiegabili sono anche pericolosi. 20
Il film è composto da cinque capitoli, che affrontano in modo critico gli sforzi artistici e scientifici per capire la natura. Le tematiche che si presentano in questi capitoli sono: lo sguardo sublime sulla natura, il ruolo della conoscenza, la fuga dalla burocrazia onnipresente e la distruzione della natura. Applicando una struttura narrativa organica alle forme dinamiche generative, gli spettatori testimoniano la creazione di una nuova esperienza cinematografica.
Vladimir Todorovic, Frame del film “The Snail on the Slope”, 2009
Nel film, tutte le scene sono state generate con il software e linguaggio di programmazione Processing. Esse vengono create come astrazioni e visualizzazioni delle atmosfere in cui tutta l’azione si svolge. La musica è generata con diversi strumenti analogici, sintetizzatori digitali e software musicali.
NOTE
1 Patricia Zimmermann, Designing Generative New Media: Vladimir Todorovic. www.ithaca.edu, Giugno 2010
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UN GENERATORE D’ARTE “sibi” di Roberto Fassone
Roberto Fassone, schermata della versione online di $ibi, 2012
Roberto Fassone è nato nel 1986 a Savigliano, Italia. Egli ha studiato Progetto Grafico e Virtuale presso il Politecnico di Torino e Progettazione e Produzione delle Arti Visive presso lo IUAV di Venezia. Attualmente lavora come assistente professore per il corso User And Social Innovation, al Politecnico di Milano. La sua ricerca attuale si concentra su due temi, inizialmente sulla questione dell’arte, con temi come “Cosa consideriamo arte?” “Cosa consideriamo normalmente un’opera d’arte?” “Quali sono i processi sottesi alla produzione di lavori creativi?”, e successivamente sul gioco, con particolare attenzione alla definizione di Bernard Suits “giocare un gioco è lo sforzo volontario a superare ostacoli non necessari”.1 La sua opera sibi, $b o $B, è sopratutto un generatore di istruzioni, ma è anche un’opera d’arte, un gioco, un cibertesto e un software, a seconda del punto di vista dal quale lo si consideri. $B è in grado di generare 53.597.878.848 set di istruzioni. I set sono sempre composti da 6 istruzioni, 3 riferite al medium (M), 2 al tema (A) e una al titolo (T) del lavoro che il giocatore dovrà realizzare. Ideata nel 2011 e sviluppata nei due anni successivi, sibi è un’opera che si inserisce nell’utilizzo di vincoli per strutturare dei lavori, che come racconta Fassone è “un’idea che è sempre stata presente nella mia ricerca, in maniera più o meno esplicita”2. “La prima versione si intitolava ‘Artwork Generator’ ed era un gioco con i dadi. Nell’autunno dello stesso anno durante una residenza in Spinola Banna con Massimo Bartolini, ho deciso (dietro consiglio dello stesso 23
Massimo), di ampliare il gioco e di sfruttarlo come mia tesi di laurea”3. La versione originaria di $B veniva presentata come “un cybertesto (una sorta di libro game) che poteva essere giocato con i dadi. La decisione di trasformarlo in software nel 2012 derivava dalla volontà di fare del progetto qualcosa di più accessibile. $b è nato originariamente dalla necessità di sviluppare una matrice in grado di replicare il mio modo di progettare, che ha una forte attitudine ludica. Volevo in qualche modo rendere più serio il concetto di gioco e meno serio il concetto di opera d’arte”4. Come racconta Fassone, “sibi è un lavoro sull’arte contemporanea, un dispositivo che mi consente di approfondire lo studio strutturale delle opere, uno studio per comprendere ed esplicitare i pattern e gli schemi che si ripetono nella creazione degli artefatti contemporanei (il gioco, la metafora, la metonimia, lo spostamento ecc.). Quando guardo un lavoro non ho interesse per il medium e per i contenuti, sono solo interessato a capire qual è il processo retorico che l’ha trasformato da fenomeno a opera (il come invece del cosa). Mi piace pensare a sibi e alla mia ricerca come a un video in cui un mago spiega i trucchi del mestiere. L’aspetto paradossale della cosa è che lo smascheramento è diventato per me l’aura del mio progetto, la stessa aura che critico, e il fatto che possa poi essere uno strumento creativo di aggregazione è molto più una conseguenza del progetto che una sua motivazione generativa”.5 Uno dei lavori creati con $B che possiamo prendere come esempio per capire il suo funzionamento è quello presentato a Torino, per Artissima 2012. In questa occasione il lavoro è stato creato da un gruppo di persone: Aurora Meccanica, Michela Depetris, Roberto 24
Fassone, Maya Quattropani, Juan Sandoval e Driant Zeneli. Le istruzioni generate da sibi sono state: “You have to make a sculpture/writing. it has to be a question on a green surface, in slang. Your sculpture has to be about sadness an darkness. The title of the sculpture has to feature the name/surname of a famous character (Devi fare una scultura/scrittura. Deve essere una domanda su una superficie verde, in slang. La scultura deve essere sulla tristezza e l’oscurità. Il titolo della scultura deve caratterizzare il nome/cognome di un personaggio famoso).”6
Fotografia dell’installazione “J#27″ ad Artissima 2012
E quello che gli artisti e curatori hanno creato: “[...] è stato un giradischi con un vinile rotante (di colore nero scuro e contenente canzoni tristi) coperto da un pezzo di rame (che con il passaggio del tempo diventerà verde) con le parole “ASAP?” incise 25
in esso. Il titolo scelto è stato “J#27” per le stelle del rock, con la lettera J come iniziale, che sono morte all’età di 27 anni (Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison e Jean Michel Basquiat).”7
$ibi, “J#27″, 2012
Sibi è stata premiata per la sezione Arte Virtuale del premio Arte Laguna, per “l’enorme potenziale di un progetto che nasce digitale e diventa occasione di innumerevoli declinazioni partecipative, e generatore di altrettanti artefatti fisici (attraverso workshop, sessioni di gioco individuale in rete o in playground e contest collettivi).”8 26
NOTE
1 Roberto Fassone, Video E Suono > Arte > Territorio. www.arthub.it 2 Filippo Lorenzin, Generatori d’arte. Roberto Fassone e la sua sibi. www.artribune.com, Febbraio 2014 3 ibidem 4 ibidem 5 ibidem 6 Roberto Fassone, J#27. www.sibisibi.com/solutions/j-27, 2012 7 Lindsay L. Benedict, The Fair begins, Artissima Giornale #3. www. hyperallergic.com, Novembre 2012 8 Alessandra Lazzarin, Premio Arte Laguna: Proclamati I 6 Vincitori Della Nona Edizione. Comunicato Stampa, 21 Marzo 2015
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CONCLUSIONE Per concludere con questo elaborato presenterò un lavoro di arte generativa che ho fatto l’anno scorso. “Soothing Chantal” è stato un esperimento per creare delle ninna nanna decostruttive partendo da regole che sono state tradotte in codice. Il lavoro è stato creato con il linguaggio di programmazione Processing, come nel film di Vladimir Todorovic, presentato precedentemente.
Frame dell’opera “Soothing Chantal”, 2014
L’opera consiste in un codice che legge i frame di un video estratto dal cortometraggio “J’ai faim, j’ai froid” di Chantal Akerman. In questa porzione di film le due ragazze, che interpretano i personaggi principali della storia, entrano in un ristorante a 28
cantare per ricevere in cambio qualcosa da mangiare. In base alla lettura di questi frame il codice cerca il punto più luminoso dell’immagine e decide se rallentare o velocizzare la riproduzione del filmato, oppure, aggiungere un’altra istanza dello stesso film.
Dettaglio del codice per “Soothing Chantal”, 2014
Il codice legge il filmato fino al punto in cui il video torna al suo inizio. La durata dell’opera varia ogni volta che viene avviata l’applicazione in quanto nel momento della sua accensione il filmato viene letto dal codice in maniera diversa. 29
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BIBLIOGRAFIA • Philip Galanter, What is Generative Art? Complexity Theory as a Context for Art Theory. Interactive Telecommunications Program, New York University, 2003 • Hans Richter, Dada. Art and Anti-Art. Thames & Hudson, 2007 • Jean Tinguely, Tinguely: The Tate Gallery London 8 September-28 November 1982. Tate Gallery Publications Department, 1982. • Collection Online: Jean Tinguely, www.guggenheim.org • Marialaura Ghidini, Intervista ad Alessandro Ludovico. www. crumbweb.org, Luglio 2013 • Carol J. Glover, Diana Thater e Scott Watson, Stan Douglas. Phaidon Press Ltd, 1998 • Daniel Birnbaum, Cronologia. Tempo e identità nei film e nei video degli artisti contemporanei. Postmedia Books, 2007 • Rudolf Frieling, Stan Douglas “Win, Place or Show”. www. medienkunstnetz.de • Steve Lyons, Stan Douglas and the “New-Old” Film. Concordia University, 2010 • Vladimir Todorovic, The Snail on the Slope. www.tadar.net • Bruce Sterling, The Snail on the Slope: a generative science fiction movie. www.wired.com, Settembre 2009 • Patricia Zimmermann, Designing Generative New Media: Vladimir Todorovic. www.ithaca.edu, Giugno 2010 • Lindsay L. Benedict, The Fair begins, Artissima Giornale #3. www.hyperallergic.com, Novembre 2012 • Filippo Lorenzin, Generatori d’arte. Roberto Fassone e la sua sibi. www.artribune.com, Febbraio 2014
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Accademia di Belle Arti di Urbino / 2015