IL PELLEGRINAGGIO

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Diego Musso

IL PELLEGRINAGGIO

“Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14)


Una pubblicazione © Diego Musso San Benedetto del Tronto (AP) della Congregazione del Santissimo Sacramento (Padri Sacramentini) Originario del Piemonte: Agliano Terme (Asti) Professione religiosa 29 settembre 1957 Ordinato Sacerdote 19 dicembre 1964 Parroco per quindici anni nella Diocesi di Prato – Firenze Licenziato in “Teologia Pastorale” all’Università Lateranense Per alcuni anni ha insegnato Teologia per laici Attualmente guida ed accompagna alcuni Gruppi Ecclesiali nella Diocesi di San Benedetto del Tronto, Ripatransone e Montalto (AP) San Benedetto del Tronto, Via Crispi 22 www.diegomusso.altervisra.org p.diegomusso@gmail.com diego.musso@email.it Collaboratori: Impaginazione e grafica: Gianfranco Marzetti Collaboratrice ai testi: Alfiera Carminucci Fava Stampa: Mastergrafica Srl - Teramo

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© aprile 2017 Finito di stampare:

Giovedì Santo 13 aprile 2017


Mons. Gervasio Gestori

Vescovo emerito di S. Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto

PREMESSA Ho atteso alcune settimane prima di stendere queste veloci righe a modo di premessa, dopo la gentile richiesta di P. Diego Musso. Il libro mi sembrava una silloge preziosa di quanto si potrebbe dire di ogni buon pellegrinaggio, mi appariva come un chiaro catechismo a carattere popolare, semplice e preciso, ma non superficiale, di quel camminare religioso che dovrebbe caratterizzare questa pratica devozionale, oggi fortunatamente ancora molto di moda, verso alcuni Santuari. Ho atteso perché mi mancava la giusta ispirazione, che poteva essere suggerita da un qualche evento, e quindi non trovavo l’opportuna occasione per condividere e rilanciare la bellezza e la fecondità spirituale di una esperienza come quella che un pellegrinaggio può offrire a chi l’affronta con animo aperto e sincero. 3


L’occasione mi è offerta dalla Liturgia della Chiesa del 6 gennaio, solennità dell’Epifania, che commemorando la manifestazione del Signore ricorda come evento privilegiato il cammino dei Magi. Nel racconto di Matteo, i Magi erano dei sapienti orientali, abituati a scrutare il cielo e a studiarne i segni. La visione di una strana stella li invita a mettersi in strada, incamminandosi verso una meta ancora misteriosa e tutta da scoprire, ma anche ai loro occhi significativa di un chiaro evento divino, percorrendo prima un itinerario che avrebbe comportato fatica, difficoltà, imprevisti. La stella li chiamava ad un pellegrinaggio. I Magi non erano ebrei, ma studiosi stranieri. Amavano cercare, non si limitavano a quello che già sapevano e avevano un coraggio capace di superare le derisioni dei parenti e dei concittadini e le comodità di una facile vita sedentaria. La loro risposta alla chiamata celeste è stata generosa, ma anche un poco incosciente, quasi disponibile a tutto. Prevedendo che quella nuova stella indicava una nascita regale, arrivati a Gerusalemme vanno alla reggia di Erode per informarsi su quanto poteva essere accaduto.

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E quando si sentono dire di andare a Betlemme, rivedono la stella che li aveva chiamati e provano una grandissima gioia. Alla presenza del Bambino, accanto a sua Madre, compiono un atto di adorazione, la preghiera suprema da vivere davanti alla Divinità, offrono poi qualcosa di prezioso (oro, incenso e mirra) e, quale conseguenza esistenziale di questo incontro, se ne tornano a casa cambiando strada, cioè trasformati, mutando stile di vita. Non troviamo qui tutte le caratteristiche di un pellegrinaggio autentico? Ricerca di qualcosa di nuovo e di bello, risposta ad una chiamata esteriore (magari di una persona amica) o interiore (come un desiderio del cuore) decisione di partire nonostante qualche difficoltà personale e familiare, fatiche ed imprevisti di un cammino non sempre facile, incontri con persone note e sconosciute, atti di pazienza per qualche imprevisto, e poi la preghiera intensa, la gioia di alcuni momenti, l’offerta di qualche cosa di proprio ed il ritorno con la vita spesso cambiata: ecco gli ingredienti di un vero pellegrinaggio, che ben si differenzia da una gita turistica o da un viaggio di tipo culturale o anche religioso. Questo libro si può considerare come un “vademecum” del pellegrino 5


e il manuale pratico per vivere con frutto il cammino personale e comunitario verso una meta religiosa. La fede deve fare da guida per chi intraprende questa avventura e la testimonianza evangelica dovrà diventare più coerente al termine del cammino. I santi Magi, le cui reliquie sono custodite nel grande Duomo di Colonia, dopo che il Barbarossa le aveva sottratte dalla basilica di S. Eustorgio a Milano, sono un esempio evangelico per i pellegrini. Siano anch’esse un aiuto per quanti compiono questo cammino, sempre apprezzato dalla Chiesa.

6 gennaio 2017 Solennità dell’Epifania del Signore

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Mons. Michele Castoro

Arcivescovo di Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo Presidente della Fondazione "Casa Sollievo della Sofferenza" Direttore Generale della Associazione Internazionale dei "Gruppi di Preghiera di Padre Pio"

PRESENTAZIONE “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14). Con questa professione di fede, presente nella lettera agli Ebrei, padre Diego Musso introduce la sua bella opera sul pellegrinaggio. Uno strumento attraverso il quale l’autore intende suggerire, come dichiara nella sua introduzione, “il valore del pellegrinaggio come itinerario di conversione e di spiritualità”. Quella del “camminare” o anche della sua forma sostantivata, del “cammino”, è un’immagine dal forte impatto antropologico, poiché si presta bene a indicare le varie fasi e stagioni della vita dell’uomo, ma è anche un percorso che per il cristiano trova luce in Cristo. In Lui infatti, 7


come ci ricorda l’inno della lettera ai Filippesi, il cammino inizia come spoliazione e abbassamento: Gesù da ricco che era si fece povero, fino alla croce (cf. Fil 2,7ss). Tuttavia la sua incarnazione, che richiama la passione, è inscindibilmente legata alla sua resurrezione. I vangeli sinottici presentano il cammino di Gesù come ascesa verso la croce fino a giungere alla Pasqua e quest’ultima per noi cristiani non costituisce il lieto fine della storia ma il punto di partenza, il nuovo inizio. Un tratto distintivo che appare recepito dal libro di don Diego che si muove secondo la Scrittura, traendo da essa i modelli da contemplare e imitare per il peregrinare, da Abramo a Mosè, da Maria a Gesù. È proprio in Cristo e nel dono del suo Spirito che il pellegrinaggio può essere vissuto come un’esperienza ecclesiale e anche una profezia. I santi padri della Chiesa hanno voluto presentare l’idea del cammino come l’espressione delle tappe della vita spirituale del credente, sintetizzandone tre come decisive: l’uscita dall’Egitto, il cammino nel deserto e l’ingresso nella terra promessa. E per ognuno di questi momenti proponevano la lettura e la contemplazione di un libro della Scrittura. Al tempo dell’uscita dall’Egitto corrispondeva il libro pedagogico dei Proverbi, 8


al tempo del deserto quello di Qoelet, mentre a quello della terra promessa il Cantico dei Cantici. Il credente deve poter fare l’esperienza della povertà e dell’essere straniero e itinerante. La fede che ci presenta la Scrittura non può mai prescindere da tre momenti, legati al cammino: abbandono fiducioso, assenso dell’intelletto e obbedienza del cuore. L’autore accompagna il lettore in questo cammino, mettendogli a disposizione meditazioni che appaiono come il frutto maturo di un lungo itinerario personale, insieme a pregevoli citazioni di padri della Chiesa e di poeti e fecondi scrittori cristiani. Uno studio dunque molto documentato, che si fa carico di presentare anche alcune linee di riflessione storica, per esempio quando racconta com’era vissuto il pellegrinaggio al tempo del Medioevo (pp. 122-134) o quando deve presentare il cammino della Chiesa come quello del nuovo Israele peregrinante (pp. 135-172). Molto interessante, nel capitolo ottavo del libro, il tentativo di indicare e suggerire i diversi momenti della spiritualità del pellegrino, che l’autore ci presenta come il pellegrinaggio più difficile, che può trovare giovamento nel ricorso ad una sana e costante preghiera. La riflessione sulla dimensione orante del pellegrino occupa, infine, gli ultimi due capitoli del libro, 9


offrendo preziose indicazioni e soprattutto un metodo per poter camminare non tralasciando la fase del combattimento spirituale che, secondo la parola di Gesù, inizia nel cuore dell’uomo. Allo stesso modo, il viaggio del pellegrino inizia nel dinamismo della sua coscienza, nella sua interiorità e inoltre quando si parte si guarda già alla meta, quest’ultima cioè scandisce i tempi di questo itinerario, un po’ come sono stati ammaestrati i discepoli durante la trasfigurazione di Gesù. Non potranno rimanere sul Tabor, dovranno scendere a valle, per seguire e servire il Signore fino alla croce, per lasciarsi illuminare dalla sua luce di risorto. I nostri vissuti di fede ci ricordano che non possiamo separare servizio e sequela del Signore (cf. Mt 7,2lss). Come dice il Gesù di Giovanni: “Chi mi vuol servire mi segua” (Gv 12,26). Così ha vissuto anche Padre Pio, ha seguito e servito il Signore e si è fatto contemporaneo del Vangelo per gli uomini del suo tempo e anche oggi risplende nella Chiesa per la fecondità della sua intercessione. Un grazie a padre Diego per questo lavoro che potrà certamente essere utile per accompagnare tanti credenti all’incontro con Cristo.

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INTRODUZIONE Il presente libro “IL PELLEGRINAGGIO” vuole essere un semplice strumento per prepararsi, per scoprire e vivere il valore del pellegrinaggio come itinerario di conversione e di spiritualità. Abbiamo davanti dei grandi modelli da contemplare e da imitare: Abramo, Mosè, Gesù, la Vergine Maria… Scoprire la “bellezza” del pellegrinaggio è un’esperienza che dà gusto al nostro vivere e al nostro soffrire quaggiù fino al raggiungimento della meta finale. “Camminare” materialmente e spiritualmente dalla nascita fino al termine della propria esistenza per trovare un alimento sempre nuovo per la nostra fede. “Camminando” impariamo a superare le inevitabili stanchezze, gli scoraggiamenti e le tentazioni che vorrebbero fermare o impedire di proseguire il nostro viaggio. “Camminare” per diventare autentici testimoni evangelici e liberarci da ogni autosufficienza/indifferenza/sterilità che frena/rallenta il cambiamento nella nostra vita. 11


Scopo essenziale e primario di ogni pellegrinaggio è quello di portare frutti duraturi. “Camminare” per fare esperienza della perseveranza che ci fa evitare un atteggiamento solo entusiastico, pieno di emozioni e di piacevoli ricordi, o di una conoscenza arida che si conserva nel nostro archivio spirituale, qualcosa di nostalgico da ricordare, senza vivere, senza incarnare, senza attualizzare e senza portare frutti nella vita concreta di ogni giorno. “Camminare” per diventare maggiormente convinti che la sequela di Gesù Cristo è sempre un itinerario in salita. “Camminare” significa anche saper aspettare gli altri per non diventare dei viaggiatori/pellegrini solitari senza alcuna comunicazione e senza avere la capacità di condivisione. “Camminare” è anche frutto di una conquista e di un raggiungimento di un traguardo che procura ricompensa e gioia per ogni sacrificio compiuto. “Camminare” per scoprire la grandezza e la bellezza che ci portiamo dentro. Diego Musso

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CAPITOLO PRIMO CHE COS'È IL PELLEGRINAGGIO Il pellegrinaggio è un fenomeno religioso caratteristico di tutte le grandi religioni, vale a dire camminare insieme o da soli verso un particolare luogo che ha un rapporto specifico con il soprannaturale. “Il pellegrinaggio simboleggia l’esperienza dell’homo viator, appena uscito dal grembo materno, si avvia nel cammino del tempo e dello spazio della sua esistenza” . (Giubileo del 2000)

Il pellegrinaggio di ogni uomo inizia con la sua nascita, dal seno della madre e per tutta la vita è un andare avanti verso il futuro. L’uomo è sempre in cammino fino al termine della sua esistenza. Il termine “pellegrino” deriva dal latino “peregrinus” è un aggettivo spesso sostantivato: · l’avverbio “peregre”: è composto da “per” e “agros”, per campi e significa “fuori città”, “in campagna”, colui che è nei campi, cioè “straniero”, estraneo al luogo in cui si trova, il pellegrino è sempre in “viaggio per”;

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· il verbo “peragere”: significa percorrere, con il senso intensivo di “andare lontano”; · ma in seguito ha indicato “viaggiare” cioè il viaggiatore religioso. Il pellegrino si stacca dalla vita ordinaria per incontrarsi con Dio, per fare un’esperienza di fede profonda e per camminare verso la salvezza eterna.

Il pellegrinaggio quasi sempre è un cammino faticoso: in questo itinerario l’uomo incontra la gioia del cuore e la sofferenza fisica, la luce e le tenebre, la pace e la guerra dentro di sé e con il suo prossimo. A volte il pellegrinaggio della vita si presenta molto difficile e complicato e, in alcune circostanze, finisce presto con il termine della vita. “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14), siamo sempre in tensione verso “questa” abitazione futura, perché solo là troveremo la felicità piena e definitiva. 14


È importante arrivare a destinazione, indipendentemente se il percorso sarà breve o lungo. L’ultimo pellegrinaggio ci porterà all’incontro con Cristo: Lui è andato a prepararci un posto. “Il pellegrinaggio è una parabola della fede e della speranza, dell’attesa e del futuro, contro la tentazione dell’attaccamento al proprio guscio, alle cose, all’inerzia, al possesso, all’egoismo. Attraverso il pellegrinaggio si risale alle sorgenti limpide della propria tradizione cristiana. Per questo il pellegrinaggio è molto più di un semplice viaggio, è un itinerario del cristiano verso le proprie radici spirituali per poter continuare con forza e speranza il cammino dell’esistenza quotidiana”. (Gianfranco Ravasi)

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1. Il pellegrinaggio è un evento ecclesiale Giovanni Paolo II nel 7° centenario della Santa Casa di Loreto ha affermato: i santuari sono “luoghi dell’essenziale”. Perciò i pellegrini vanno a cercare qualcosa di “essenziale”. Se il pellegrinaggio è un evento ecclesiale allora il cristiano pellegrino deve portare frutti duraturi: · deve portare all’incontro con Cristo e mettersi alla sua sequela; · deve realizzare un processo di conversione ed educare alla misericordia ed al perdono; · edificare una Chiesa peregrinante che gradualmente diventa una profezia di respiro universale; · essendo un dono di grazia, diventa un grande strumento di evangelizzazione e di catechesi; · deve diventare un’esperienza di fede profonda e matura in crescita permanente. (Ufficio Nazionale della CEI per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport, Pastorale del Pellegrinaggio, 1996)

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Ogni fedele va in pellegrinaggio perché ha delle attese, è alla ricerca, ha delle sofferenze, forse ha qualche problema morale. Qualche volta forse si va in pellegrinaggio soltanto per curiosità. Il pellegrinaggio nasce dal cuore dell’uomo perché è naturalmente un ricercatore di Dio in quanto ha sempre bisogno di consolazione, di luce e di forza. 2. Il pellegrinaggio è una piccola Chiesa in cammino Il pellegrinaggio ci educa a fare comunione tra sacerdote e laici, perché sono differenti e complementari, uguali e solidali, mai in opposizione. Il pellegrinaggio esige un adeguato accompagnamento da parte della Chiesa, perché ha un suo valore intrinseco/fondamentale, per questo deve diventare un’esperienza di fede per tutti. Tutti siamo “arricchiti” di doni diversi e lo Spirito Santo unifica le differenze: ci aiuta a far sviluppare i valori umani e spirituali.

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Se il pellegrinaggio è l’evento ecclesiale: allora la pastorale del pellegrinaggio non può e non deve diventare un optional. Non si può lasciare all’improvvisazione oppure allo spontaneismo pastorale, all’arrangiamento, al pressapoco, “al male non fa”, o all’ispirazione di qualche prete o di qualche laico più preparato, ma deve entrare nella programmazione ordinaria del cammino di Chiesa e di ogni comunità. Il tema del pellegrinaggio: non si può demandare o disinteressarsi o dare risposte affrettate o sbrigative perché abbiamo troppe cose da fare. 18


Il pellegrinaggio è segno di rinnovato interesse religioso e di una ricerca del trascendente: perciò siamo chiamati a dare delle risposte di ordine teologico e pastorale: ciò vale non solo per i sacerdoti, ma anche per i laici e le famiglie. Oggi l’incremento dei pellegrinaggi appare sempre un “segno dei tempi”. Mettersi in pellegrinaggio è una vocazione e ci fa scoprire la vicinanza di Dio e ci fa superare l’indifferentismo religioso. Per questo deve entrare nel cammino ordinario della comunità cristiana. 19


“Il movimento dei pellegrinaggi su percorsi antichi e nuovi sta vivendo una vera rinascita”. (Giovanni Paolo II)

È la scoperta della novità della fede: una religiosità semplice, spontanea e popolare per scoprire e vivere la propria vocazione e l’incontro di un Dio sempre più vicino all’uomo. La vita umana è un continuo pellegrinare: un pellegrinare nella fede. La potenzialità del pellegrinaggio va inserita nel cammino di evangelizzazione e di catechesi delle comunità cristiane per vincere l’indifferentismo religioso.

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La pastorale diocesana e quella parrocchiale devono essere sempre più un cammino ordinario seguendo le indicazioni del Magistero ecclesiale. Non lasciarlo alla spontaneità del sacerdote, è necessario superare la superficialità. Il pellegrinaggio esige: a) la preparazione b) l’accompagnamento c) i sacramenti. Il pellegrinaggio ha sempre occupato un posto importante nella vita del cristiano. È la condizione dell’uomo sulla terra: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui (Mt 25,31) e, la morte sarà annientata e ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi (1Cor 15,26-27), alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando chiaramente Dio uno e trino, qual è”. (Lumen gentium, n. 49)

Il pellegrinaggio è ricerca Un uomo è alla ricerca nel bene e nel male. Un uomo che si interroga ed è sempre alla ricerca delle risposte ai suoi problemi, alle sue sofferenze, insoddisfazioni, scontentezze: è un pellegrino.

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“È un viandante assetato di nuovi orizzonti, affamato di pace e di giustizia, desideroso di amore, aperto all’assoluto e all’infinito”. (Grande Giubileo del 2000)

Pellegrinaggio: è mobilità per motivi religiosi: uscire da sé e ricerca di interiorità. Un uomo che va altrove e non si stanca, cerca una meta, tende a Dio. Mi allontano dal mio contesto affettivo, familiare, spirituale. Sono diretto verso un luogo nuovo, verso qualcosa che dia pace anche se provvisoria e parziale. Camminiamo sentendoci uniti ai nostri fratelli: · con chi non se la sente più di camminare, · con chi cammina per altre strade, · con chi si è seduto ed è stanco.

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3. Il pellegrinaggio è una profezia nata dalla base e suscitata dallo Spirito Evitiamo la tentazione di essere o diventare solo dei sedentari. Oggi siamo sempre in agitazione e di corsa, “molto turisti”, ma poco pellegrini. Il pellegrinaggio è una potenza inarrestabile, perché è sorto dalla base. “Il pellegrinaggio è un simbolo della vita, ci fa pensare che la vita è camminare, è un cammino. Se una persona non cammina e rimane ferma, non serve, non fa nulla. Pensate all’acqua, quando l’acqua non è nel fiume, non va avanti, ma è ferma, si corrompe.

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Un’anima che non cammina nella vita facendo il bene, facendo tante cose che si debbono fare per la società, per l’aiuto agli altri e anche che non cammina per la vita cercando Dio e che lo Spirito Santo ti muove da dentro, è un’anima che finisce nella mediocrità e nella miseria spirituale. Per favore: non fermatevi nella vita. Può accadere: tutti abbiamo avuto nella vita cadute, sbagli; ma se tu hai fatto uno sbaglio alzati subito e continua a camminare. “Canta e cammina”, diceva Sant’Agostino ai suoi fedeli; camminare con la gioia e anche camminare quando il cuore è triste, ma sempre camminare. E se tu hai bisogno di fermarti, che sia per riposarti un po’ e prendere un po’ di fiato per andare avanti dopo. Canta e cammina. Sempre, canta e cammina. C’è anche il pericolo di sbagliare strada. Chi cammina può sbagliare strada. Questo può succedere a ognuno di noi e quante volte noi abbiamo fatto questo. Se tu sbagli strada, torna. Torna, perché c’è la misericordia di Gesù”. (Messaggio di Papa Francesco al 37° pellegrinaggio Macerata-Loreto - 2015)

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Il sacerdote/poeta P. David Turoldo così prega per il suo pellegrinaggio e quello degli altri: “Anima mia, canta e cammina. E anche tu, o fedele di chissà quale fede; oppure tu, uomo di nessuna fede: camminiamo insieme. E l’arida valle si metterà a fiorire: Qualcuno, Colui che tutti cerchiamo, ci camminerà accanto”.

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Pellegrinando alla ricerca di Dio. Il grande itinerante Sant’Agostino vince la sua inquietudine e non si stanca di cercare la felicità. Dopo tanto pellegrinare, finalmente la trova ed esprime il suo canto di viandante: “Cantiamo qui l’alleluja, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare lassù, ormai sicuri. O felice quell’alleluja cantato lassù. O alleluja di sicurezza e di pace. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell’ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta e cammina”. Al termine del nostro pellegrinaggio terminerà anche il nostro canto, ma inizierà un nuovo canto, quello definitivo: è il canto dei salvati. È il canto che non avrà più fine.

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Il pellegrinaggio è una manifestazione cultuale intimamente connessa con la vita del santuario. Nelle sue forme più autentiche costituisce un’alta espressione di pietà: - per le motivazioni che ne sono all’origine; - per la spiritualità che lo anima; - per la preghiera che ne segna i momenti fondamentali: la partenza, il cammino, l’arrivo, il ritorno. Il pellegrinaggio ricorda: - che sulla terra non abbiamo una dimora permanente, ma siamo in cammino verso la città celeste (Ebrei 13,14); - esprime il desiderio di visitare un luogo dove si è compiuto un evento della storia della salvezza, o dove Dio o la Vergine e i Santi si sono manifestati, o dove un uomo santo ha reso un’eroica testimonianza di vita o dove le sue spoglie sono custodite; - mostra un proposito di distacco dalle cose temporali, anche se tale distacco si attua materialmente per un tempo breve; - manifesta, attraverso gli inevitabili disagi e le rinunce che comporta, un’esigenza di penitenza e di espiazione; 27


- dà modo di testimoniare disponibilità al dono di sé nell’umile e nascosto servizio ai fratelli bisognosi o ammalati; - afferma l’appartenenza di tutti i pellegrini, di qualsiasi nazione o classe sociale, all’unica famiglia di Dio. Questi sono gli autentici valori che il pellegrinaggio esprime, anche se talvolta essi sono oscurati dalla presenza di elementi turistici o commerciali.

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CAPITOLO SECONDO DIO CHIAMA ABRAMO PER FARLO DIVENTARE “PELLEGRINO” Il pellegrinaggio di Abramo “nostro padre della fede” Abramo, pellegrino, è descritto come un “Arameo errante”: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa” (Deut 26,5). 1. La prima chiamata: lasciare/abbandonare la propria terra · Abramo è chiamato da Dio per andare verso la terra promessa e per diventare pellegrino uscendo dalla sua terra: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò” (Gen 12,1-2). · Abramo è chiamato ad allontanarsi dalla sua gente idolatra, 29


a liberarsi dalla schiavitù dei falsi idoli, a lasciare tutto, gli affetti, le sicurezze, e Dio gli promette una terra e una discendenza numerosissima. Abramo diventa il pellegrino della fede, dell’obbedienza e della speranza senza contare su alcuna sicurezza umana. Continuamente sposta la sua tenda che esprime la provvisorietà per andare sempre oltre, per realizzare l’alleanza e una comunione sempre più profonda con Dio. Cammina verso la libertà, verso la purificazione interiore superando le numerose insidie rappresentate dal deserto. Nell’obbedienza di Abramo si coglie il primo esempio di pellegrinaggio del credente che si apre alla promessa di Dio: “Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della stessa promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso” (Eb 11,8-10).

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Abramo, nomade e pellegrino, diventa depositario della promessa di salvezza (Gen 12,1-5). La precarietà del pellegrinaggio di Abramo è una meta sconosciuta, non sa dove andare ed attende da Dio la direzione da seguire. Questa è una condizione interiore necessaria per dipendere solo da Dio. Abramo segue la voce di Dio che lo chiama. Dio apre un futuro inatteso ad Abramo e lo chiama per farlo uscire e liberarlo dalle sue sicurezze e da un modo di gestirsi totalmente autonomo ed indipendente in tutte le sue scelte. Abramo obbedisce e diventa pellegrino nel deserto 31


e s’incammina verso il paese di Canaan: qui pianta la tenda e diventa un uomo che cammina verso la libertà con la fede che crede alle promesse di Dio. Sempre Abramo dovrà essere pellegrino, senza conoscere la strada e dovrà vivere da straniero nella tenda sempre pronto a spostarsi. Il suo pellegrinaggio è obbedienza a Dio che agisce sempre in modo imprevedibile. L’esperienza di mettersi in cammino è segno di conversione/vocazione. Nell’obbedienza, Abramo deve camminare per trovare la terra e una discendenza molto numerosa.

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Va pellegrinando verso una terra che non conosce, accompagnato solo dalla ricchezza della Parola di Dio. Abramo ha abbandonato il possesso delle cose per avere un cuore libero. Il suo camminare fa crescere la sua fede, perché “si fida di Dio”. Camminando scopre il progetto di Dio sulla sua vita, un futuro pieno di speranza. Camminando, con lo “spostamento impara ad ascoltare la voce di Dio.

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Ogni credente può ripetere questa esperienza, e far memoria di Abramo: - ascoltare la Parola, - mettersi in cammino, uscire da una situazione negativa di egoismo/possesso, - entrare in un luogo dove è possibile vivere relazioni umane autentiche e passare dalla schiavitù al dono della libertà. Nel suo pellegrinaggio Abramo è il primo a vivere l’esodo da Ur dei Caldei e dirigersi verso Canaan e diventa l’uomo della speranza/attesa perché vede che si stanno realizzando le promesse: - la terra dove abitare - e la discendenza numerosa. La presenza di Dio con il suo amore accompagnerà Abramo per vincere tutte le numerose difficoltà che incontrerà in questo lungo itinerario: “Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande” (Gen 15,1). Abramo ha sempre camminato, ma il vero pellegrinaggio, è iniziato con una chiamata di Dio: “Vattene dalla tua terra”. Non è una scelta personale fatta da Abramo: · c’è una promessa di Dio che gli assicura una terra e una discendenza: nasce la “vocazione di pellegrino”;

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· c’è la benedizione per Abramo: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò”. “Tu diventerai una benedizione, in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. Abramo si fa pellegrino nella terra di Canaan, non come proprietario, ma da straniero, pellegrino e vi abita provvisoriamente. Quando va a Canaan arriva una carestia e Abramo deve pellegrinare in Egitto. Il pellegrino non ha una vita facile, né piacevole, va sempre altrove. Si sposta, va in cerca di qualcosa di stabile, è sempre insoddisfatto, non ha sicurezze, perché la sua patria è lassù. Si fa pellegrino fino a Mamre e qui riceve ancora la promessa.

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La potenza di Dio interviene: “Tra un anno, in questi giorni, tua moglie, avrà un figlio” (Gen 18,10). Nasce Isacco, il figlio della promessa. Abramo si rimette in cammino per scoprire non sicurezze umane-concrete, ma per realizzare il progetto di Dio che è sempre diverso. 2. La seconda chiamata: offrire un olocausto sul monte Dio mette alla prova Abramo. Deve iniziare un nuovo viaggio, un viaggio difficile, che mette alla prova la sua fede. Dio chiama ancora e Abramo risponde con prontezza “eccomi”. “Prendi tuo figlio, il tuo unico che tu ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su un monte che io ti indicherò” (Gen 22,2). Questa chiamata esigente vuole verificare: se al centro del cuore di Abramo c’è Dio oppure suo figlio Isacco.

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Un pellegrinaggio al rallentatore verso il monte Mòria. La descrizione in tutti i minimi particolari è un segno straordinario dell’amore “il tuo unico figlio che tu ami”. “Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato”. Allora Abramo disse ai suoi servi: “Fermatevi con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi” (Gen 22,3-5).

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La fede e la speranza di Abramo: “ritorneremo tutti e due, non ritornerò da solo”. Mentre stanno salendo, il figlio interroga il padre: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto ?”. “Proseguirono tutti e due insieme”. Un pellegrinaggio silenzioso: un pellegrinaggio di grande sofferenza e strazio interiore, ma anche di grande unità, di comunione e di perfetta condivisione tra i due pellegrini. Sono concordi nell’andare verso il sacrificio che li separerà per sempre, perché ora anche Isacco ha capito che lui dovrà essere la vittima. Il loro dramma è vissuto nel silenzio e nel deserto buio della fede, ma Abramo intuisce che ritornerà insieme al figlio vivo. L’esperienza dei due pellegrini sul monte Mòria ci fa comprendere come Isacco diviene il figlio simbolo del dono di Dio, nato due volte: · la prima volta perché Dio ha reso fertile il seno vecchio di Sara, · la seconda volta perché Isacco è figlio dell’offerta generosa di Abramo, che si fida di Dio, fino all’impossibile.

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Dio chiama ancora Abramo: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente. Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito” (Gen 22,12). Abramo è diventato il padre di tutti i credenti, perché la fede è un cammino e deve attraversare anche dei momenti di buio totale. Abramo è veramente l’uomo libero che realizza la perfetta comunione con Dio. Il suo sacrificio è la massima manifestazione dell’amore, ed è possibile contemplare quello che Cristo ha fatto morendo in croce: ci rivela l’amore e il dono totale di sé per tutti gli uomini. Attraverso questo evento possiamo anche capire il valore profondo del pellegrinaggio della nostra vita: · Isacco appartiene a Dio e non a sua padre Abramo, · l’amore vero non è possedere, ma essere posseduti, altrimenti è solo egoismo, · l’agire di Dio è sempre misterioso e imprevedibile, · la prova della fede: camminando s’impara a credere e la fede matura porterà i suoi frutti.

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Come per Abramo, così per ogni uomo, l’itinerario consiste nel ripartire sempre, ogni giorno perché la vita è sempre soggetta a delle svolte fino alla sua conclusione, al suo traguardo finale.

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La fatica e la gioia di camminare Abramo prosegue il pellegrinaggio, senza terra e senza discendenza, ma Dio realizza le sue promesse: chiama Abramo, scoraggiato ed angosciato: “Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” (Gen 15,5). Abramo deve fidarsi ciecamente di Dio, perché la fede è credere in una persona e non in qualcosa. La fede è la nostra guida e ci insegna ad attendere, e non ad avere tutto e subito. Dio cambia il nome da Abram in Abramo, perché la sua vocazione alla paternità è universale: “Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò” (Gen 17,5). Il cammino di Abramo è la metafora dell’uomo nella continua ricerca di Dio che attraverso l’ascolto della sua Parola sempre sposta il punto di arrivo. Abramo ci insegna a vivere in tenda: si pianta alla sera e si può levare al mattino. La tenda è una casa provvisoria di uno che si muove e vive la sua esistenza come itinerante e non possiede una proprietà. Ciò va inteso in modo del tutto particolare per il nostro cammino di fede e di spiritualità alla sequela di Cristo. 42


Tutte le tappe del suo pellegrinaggio sono traguardi provvisori. La terra che Abramo cerca è “la città dalle salde fondamenta, quello di cui è architetto e costruttore Dio” (Eb 11,10). Questa è la piena presenza del Signore. Abramo è grande perché è alla ricerca della città di Dio fino ad arrivare a destinazione e raggiungere il traguardo finale. Dopo un lungo e difficile pellegrinare, finalmente raggiunge il traguardo e prende possesso di quel posto che gli è stato preparato. Questa è la storia di Abramo che parte senza sapere dove va e non ritorna più alla sua vecchia patria.

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CAPITOLO TERZO MOSÈ E IL POPOLO D’ISRAELE “PELLEGRINI” NEL DESERTO Mosè, a soli tre mesi dalla nascita, venne nascosto in un cesto dalla madre e deposto sulle rive del fiume Nilo, per essere salvato dalla persecuzione del Faraone. Inizia qui il suo primo pellegrinaggio: trascinato dalla corrente delle acque, il piccolo Mosè fu raccolto e salvato dalla figlia del re che lo adottò come suo figlio e lo fece educare dagli egiziani alla corte del Faraone.

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Cresciuto, conosceva molto bene i costumi del futuro nemico. Mosè era una figura molto importante, assai stimato, sebbene umile, povero, mite, mansueto, fu nobile, potente ed anche coraggioso e difensore dei deboli. Erano presenti in lui anche momenti d’ira e sempre pronto a punire ma anche a perdonare. Per difendere uno schiavo, uccise un sorvegliante ricercato dal Faraone, abbandonò l’Egitto. Attraverso il deserto giunse nella terra di Madian. Pellegrino a Madian, divenne pastore al servizio del sacerdote Jethro: vagando con il gregge, fece l’esperienza del monte Oreb, dove il roveto ardeva, ma non si consumava. Dio gli manifestò di aver ascoltato il grido degli schiavi e di aver deciso di liberarli dall’oppressione degli Egiziani: lui fu la guida e li portò fuori dalla schiavitù. Mosè affermò di non essere in grado di parlare al Faraone perché impacciato, quindi Dio dichiarò di affiancargli il fratello Aronne affinchè lo assistesse e parlasse al suo posto nei momenti di difficoltà.

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Per la prima volta Mosè udì la voce di Dio. “L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava” (Es 3,2). Mosè fu sempre in ascolto di Dio che parlava e non si vedeva: “Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura: vi era soltanto una voce” (Deut 4,12). Il roveto che arde e non si consuma ci fa scoprire le vera identità e la missione di Mosè che dovrà assumere le sofferenze che accompagneranno il suo lungo pellegrinaggio. Mosè incontra il Dio vivente, il Dio della vita “Io sono”. Nel roveto possiamo trovare il simbolismo del pellegrinaggio che si compie attraverso la sofferenza, fisicamente e spiritualmente, la purificazione necessaria per stare alla guida di un popolo alla ricerca della libertà. Questa esperienza di Mosè nel roveto deve avere la sua necessaria continuità nella nostra vita quotidiana in modo da poter anche noi celebrare la storia presente e far memoria degli eventi passati, per scoprire che l’agire di Dio compie sempre meraviglie: perché Egli cammina sempre con noi.

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1. Mosè guida il popolo attraverso il deserto Mosè ritorna in Egitto. Egli inizia una lunga vicenda per la liberazione e la salvezza del suo popolo: - uscita dall’Egitto, la terra della schiavitĂš, - cammino nel deserto, - ingresso nella terra promessa.

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Itinerario dell’Esodo dall’Egitto alla Terra Promessa Il popolo d’Israele continuerà sempre a sentirsi ospite, pellegrino, straniero: per questo motivo, Dio difende lo straniero. Questa convinzione è profondamente radicata nel popolo d’Israele, perché sa di essere diretto altrove, anche quando entrerà nella Terra Promessa. “La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lv 25,23). Dio stesso educa il suo popolo a concepire la vita come “pellegrinaggio”. Ancora oggi questa convinzione è presente nel cuore di ogni credente: quaggiù siamo pellegrini e di passaggio. Mosè e Aronne si recano dal Faraone per chiedere la liberazione del popolo. Il Faraone rifiuta ed è ostinato nel negare la libertà degli schiavi. Inizia così una lunghissima serie di prodigi e di rifiuti. La celebrazione della Pasqua e la morte dei primogeniti egiziani: “Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa (Es 12,2-3). 48


“In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il Signore” (Es 12,12). Dopo i nove prodigi ed i rifiuti dal parte del Faraone di liberare il popolo ebreo, Dio interviene con la decima piaga nella quale periscono tutti i primogeniti egiziani: il Faraone lascia liberi gli Israeliti. 49


2. Il lungo e difficile pellegrinaggio della libertà Tutto il popolo prende la via del deserto. Mosè, il bambino abbandonato nella acque del Nilo, divide le acque del mar Rosso per il passaggio di tutti gli Israeliti che si inoltrarono nel deserto. Mosè è stato scelto per un compito molto difficile: · è profeta: “Perciò va’. Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto, il mio popolo, gli Israeliti” (Es 3,10), · è mediatore: “Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: “Parla tu a noi e noi ascolteremo; ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo” (Es 20,18-19), · è intercessore: il viaggio dal Mar Rosso verso il deserto di Sur “Allora il popolo mormorò contro Mosè: “Che cosa berremo?”. Egli invocò il Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell’acqua e l’acqua divenne dolce” (Es 15, 24), 50


· è l’amico di Dio: “Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con il suo vicino” (Es 33,11). Il suo rapporto familiare con Dio: “se tu non cammini con noi, io non mi muoverò” (Es 33,15).

Dio guida il suo popolo: di giorno con una colonna di nube, di notte con una colonna di fuoco per segnare il percorso del loro pellegrinaggio.

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Il pellegrinaggio del risentimento e dell’odio. Il Faraone pentito di aver messo in libertà gli schiavi, li insegue, ma tutti vengono travolti dalle acque. Prosegue il difficile pellegrinaggio degli Israeliti: la lunga permanenza nel deserto dà inizio ai primi problemi: esaurimento delle provviste di cibo, l’insorgere della sete e della stanchezza per il duro cammino, le lamentele contro Mosè e Aronne. Il deserto rappresenta il momento educativo di Dio: nelle gravi difficoltà il popolo si ribella, ma impara anche a cercare quel Dio che lo ha liberato. Un popolo che si stanca ma continua a camminare verso la salvezza, riconosce ed accoglie la compassione che Dio gli manifesta con i suoi interventi. Mosè interviene: · appaiono le quaglie, la manna, l’acqua che sgorga dalla roccia, · la lotta tra Israeliti e gli Amaleciti: quando Mosè, sul monte con Aronne e Cur, sta con le mani alzate in preghiera: sono vincitori in battaglia. Israele è stato educato da Dio, ha fatto esperienza che è Lui la guida ed è il Padre che lo conduce per mano:

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“Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più lo chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. A Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,1-4). Bisogna comprendere che il cammino verso la libertà è un dono di Dio e non una conquista del popolo d’Israele. 3. Mosè verso il Sinai Dopo tre mesi di duro cammino e giungono ai piedi del monte Sinai dove pongono l’accampamento. L’esperienza del monte Oreb: “Mosè pensò: voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: “Mosè, Mosè”. Rispose: “Eccomi”. Riprese: “Non avvicinarti oltre. Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo” (Es 3,3-5). Mosè, accompagnato da Giosuè sul monte Sinai rimase quaranta giorni e quaranta notti e ricevette da Dio la legge dei dieci comandamenti scritta su due tavole di pietra. 54


Gli Israeliti ai piedi del monte chiesero ad Aronne di fabbricare per loro un dio per poterlo adorare. Aronne raccolse i loro gioielli e forgiò un vitello d’oro. Organizzano allora una festa sfrenata: si danno al divertimento, alle danze ed ai banchetti, si prostrano in adorazione del vitello, e offrono sacrifici: “Ecco il tuo dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto” (Es 32,4).

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· Il profeta sceso dal monte si accese d’ira e mandò in frantumi il loro idolo · Dio minaccia la distruzione degli Israeliti · Mosè intercede e supplica di risparmiarli. Dopo trentotto anni di difficile cammino e di lunga attesa, gli Israeliti si rimisero in cammino… Dio punisce gli Israeliti per la loro ribellione contro Mosè con l’invasione di serpenti velenosi.

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Segue il pentimento e la richiesta di perdono da parte del popolo... Mosè costruì un serpente di bronzo e lo mise su un’asta: quelli che lo guardavano erano guariti. 4. Termina il pellegrinaggio di Mosè Mosè salì sul monte Nebo e da lassù potè guardare la Terra Promessa, senza potervi entrare: a causa della sua mancanza di fede alle acque di Meriba. Dio parla a Mosè: “Sali su questo monte degli Abarìm, sul monte Nebo, che è nella terra di Moab, di fronte a Gerico, e contempla la terra di Canaan, che io do in possesso agli Israeliti” (Deut 32,49).

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Monte Nebo “Questa è la terra per la quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: “Io la darò alla tua discendenza”. Te l’ho fatta vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai”. “Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nella terra di Moab, secondo l’ordine del Signore” (Deut 34,4-5). Le ultime disposizione del Legislatore/Mosè sono come un testamento organizzativo e spirituale e riassume le tappe del cammino nel deserto: 58


· Mosè parla a Giosuè: “Sii forte e fatti animo, perché tu entrerai con questo popolo nel paese che il Signore ai loro padri giurò di darvi: tu gliene darai il possesso. Il Signore stesso cammina davanti a te, non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non ti perdere d’animo” (Deut 31,7-8). · Mosè parla al popolo e dà un forte richiamo all’osservanza della legge: “Alla fine di ogni sette anni, al tempo dell’anno del condono, alla festa delle Capanne, quando tutto Israele verrà a presentarsi davanti al Signore tuo Dio, nel luogo che avrà scelto, leggerai questa legge davanti a tutto Israele, agli orecchi di tutti” (Deut 31,10-11). Giosuè nominato successore di Mosè. Mosè vede solo da lontano senza poter entrare nella Terra Promessa.

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Monte Nebo Mosè muore sul monte Nebo dopo aver: - condotto un popolo errante nel deserto, - camminato nella fedeltà di Dio, - fatto l’esperienza della libertà, - vissuto e testimoniato con segni e prodigi, gli interventi di Dio, - portato a termine il progetto di Dio, - dopo aver contemplato da lontano la Terra Promessa. “Tu morirai sul monte sul quale stai per salire, e sarai riunito ai tuoi antenati”. Mosè morì nel paese di Moab secondo l’ordine del Signore. 60


Il popolo lo pianse e lo commemorò con le cerimonie rituali. “Non è più sorto un profeta come Mosè, col quale il Signore parlava faccia e faccia” (Deut 34,10). Israele è presentato come “popolo pellegrinante” per eccellenza, è una comunità sempre “in viaggio”. È un pellegrinaggio permanente della vita e della fede ed è sempre segnato dalla sofferenza per non dimenticare il tempo passato nella schiavitù d’Egitto. L’esperienza fondamentale d’Israele in marcia verso la Terra Promessa: · è modello esemplare per la vita di ogni uomo che vuole essere liberato dalla propria schiavitù; · è modello esemplare per il nuovo popolo d’Israele: la Chiesa, che deve condurre tutte le comunità dei credenti a raggiungere la Terra Promessa della vita eterna.

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CAPITOLO QUARTO GESÙ PELLEGRINO/STRANIERO PER INCONTRARE GLI UOMINI Dall’Incarnazione nel seno della Vergine Maria, fino a quando ritorna presso il Padre, la vita di Gesù è un continuo pellegrinare: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). “Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv1,11). Gesù si mette sulle strade dell’uomo per mostrargli la via sulla quale è possibile incontrarLo, perché Lui si lascia incontrare, Lui vuole incontrarci e vuole che facciamo il nostro pellegrinaggio con Lui. Tutta la vita di Gesù è un grande viaggio, per avere il suo culmine nel pellegrinaggio verso Gerusalemme, dove celebra la nuova Pasqua attuando il mistero della Croce e della Risurrezione. Gesù “in cammino verso Gerusalemme”, ha preso una decisione senza riserve verso la passione e la morte (Lc 9,22). Per ubbidire alla volontà del Padre, per eseguire la missione che gli era stata affidata: passione - ascensione - gloria.

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Gesù è costretto ad un continuo pellegrinare: · quando non viene accolto al momento della nascita, · quando è costretto a fuggire per la persecuzione di Erode e vivere da straniero in terra d’Egitto (Mt 2,13-14), · quando percorre città e villaggi come un viandante e non ha una pietra dove posare il capo. “Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,57-58), · Gesù pellegrino anche quando nei suoi spostamenti, mantiene relazioni con gli stranieri. I pellegrinaggi di Gesù vogliono tracciare il percorso a ogni uomo che vuole seguirlo durante la sua esistenza.

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1. Nei suoi pellegrinaggi Gesù annuncia e realizza la salvezza a. Al monte Tabor si compie l’esperienza di gioia e di contemplazione: “Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare” (Lc 9,28). “Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” (Lc 9,30-31). Gesù sale sul monte Tabor con passo veloce e i tre apostoli non riescono a seguire il suo passo. Qui avviene la trasfigurazione di gloria: Gesù svela la sua vera identità.

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L’esperienza del Tabor è anticipazione e preparazione di quanto si compirà sul monte del Calvario: lo scandalo della croce. Gesù vuole educare i suoi in modo che possano avere la capacità di passare dalla luce del Tabor alle tenebre del Calvario e allo splendore della Risurrezione. Ogni pellegrinaggio interiore/spirituale segue sempre queste tappe: - sconfitta/umiliazione, - esaltazione. Dalla debolezza si manifesta la potenza di Dio.

• Il Padre fa sentire la sua voce: “Ascoltatelo”. Il discepolo non è l’uomo delle visioni, ma dell’ascolto per prendere coscienza delle proprie responsabilità e anche dei propri limiti. 66


Possiamo realizzare anche noi una trasfigurazione, un cammino di purificazione vivendo la morte e la Risurrezione. • Pietro fa la sua richiesta: “Facciamo qui tre tende”. Non è possibile rimanere sul monte della contemplazione e della gioia, ma bisognerà scendere a valle, farsi pellegrini nelle realtà concrete da vivere quotidianamente con le difficoltà, le incertezze, i dubbi, le contraddizioni, la fatica, il peso da portare. Ritornando dal pellegrinaggio alle vita abituale comportiamoci da trasfigurati, per trasfigurare gli altri. Non basarsi su entusiasmi passeggeri e facili sentimentalismi, ma mettersi alla ricerca di Dio che si confonde tra la gente. Bisogna essere vigilanti per evitare false esperienze di fede.

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Preghiera per attendere Gesù che passa Sei passato, quel giorno. Era un giorno come tanti altri. Per caso mi accorsi di te. Era solo curiosità, la mia. Anch’io, come Zaccheo, me ne stavo comodo, inosservato, nel mio nascondiglio. “Presto, scendi, oggi devo formarmi a casa tua”. Mi hai chiamato per nome, come uno che mi conosce, da sempre. È un amore irresistibile il tuo! Proprio nella mia casa vuoi entrare! Con il cuore pieno di gioia sono sceso dal mio sicuro nascondiglio. Mi sono esposto. Ti ho aperto la porta. Avevo tante cose, dentro, custodite con cura, come in uno scrigno. “Non si sa mai, me le possono rovinare”. E io ero imprigionato con esse. Sei entrato tu. Nel tuo sguardo accogliente ho capito il mio mondo chiuso all’amore. Ho compreso il mio peccato. Ho spalancato porte e finestre. Aria di primavera, sapore di nuovo. È iniziata la festa con le cose che avevo. Sei passato quel giorno. 68


La salvezza è entrata nella mia casa. Con il poeta allora ho pregato: “Se qualche volta trovi chiusa la porta del mio cuore, sfondala ed entra nel mio animo, non tornare indietro, o Signore. Se qualche volta la tua voce non rompe il mio sonno profondo, risvegliami con i colpi del tuo tuono, non tornare indietro, Signore. Se qualche giorno faccio sedere altri sul tuo trono, o Re di tutti i giorni della mia vita, non tornare indietro, Signore”. (Tagore Rabindranath)

b. Al pozzo di Giacobbe: Gesù pellegrino, stanco ed assetato Gesù si reca con i suoi in pellegrinaggio in una zona difficile, in un paese pagano. Tutti si recano al pozzo di Giacobbe per attingere acqua. Anche la donna di Samaria va sempre ad un orario insolito, verso mezzogiorno, perché non vuole incontrare nessuno, perché conduce una vita molto complicata e disordinata.

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Qui avviene un incontro non programmato, un incontro tra due assetati, ma con una sete diversa. È un incontro non casuale e neppure per coincidenza, ma provvidenziale che cambia la vita di questa donna.

Con la mente e con il cuore possiamo fare anche noi un pellegrinaggio fino al pozzo di Giacobbe: - per ascoltare la parola, - per attingere l’acqua dello Spirito, - per scoprire la gioia di credere, - per fare esperienza della bellezza della fede. È un pellegrinaggio da fare ogni giorno, è un’esigenza, non è possibile farne a meno, perché i nostri pozzi sono screpolati 70


e l’acqua a volte è inquinata o velenosa. A questo pozzo incontreremo Colui che è assetato di noi, del nostro amore, delle nostre anime. Incontreremo il Pellegrino Divino, Lui vuole darci da bere il suo amore, la sua grazia, vuole farci provare la gioia e l’entusiasmo di camminare sulle sue vie e di fare lo stesso percorso e di farci giungere alla stessa destinazione finale.

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Il mistero dell’acqua. Il pozzo di Giacobbe si trova nella regione di Sichem ed è profondo circa 32 metri. Ancora oggi i pellegrini si fermano a bere l’acqua freschissima del pozzo. Per il caldo straordinario, l’acqua è un mezzo di purificazione e di refrigerio, ma è soprattutto fonte della vita e della fecondità. Vince la morte nel deserto e soddisfa tutte le necessità quotidiane dell’uomo in cammino. Nel deserto il pozzo è un punto d’incontro ed è una specie di appuntamento dove necessariamente tutti si fermano per dissetarsi e fare rifornimento d’acqua e proseguire il pellegrinaggio. Il simbolismo dell’acqua. L’incontro di Gesù con la samaritana vuole farci riflettere quanto sta nel profondo del cuore umano che cerca un’altra acqua, quella spirituale, quella che zampilla per la vita eterna e che solo Cristo può donare all’uomo: “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva chi crede in me” (Gv 7,37). Quest’acqua è lo Spirito Santo, è la grazia presente in noi e fuori di noi: quest’acqua non si esaurisce, ma diventa sorgente in colui che la beve e serve per dissetare quanti incontreremo. 72


• Gesù chiede alla donna samaritana: “Dammi da bere”. Con questa domanda inizia un difficile dialogo che fa invertire la richiesta. Questo fatto ci fa ricordare che Gesù morente sulla Croce grida “ho sete”: è un grido di donazione del suo perdono e della sua misericordia per tutti gli uomini. • La donna al pozzo chiede un’altra acqua che ancora non conosce, ma desidera profondamente: “Signore, dammi di quest’acqua perché non abbia più sete”. Gesù le risponde: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,13-14). • Oggi i nuovi samaritani chiedono a Gesù “l’acqua viva”, il dono dello Spirito “Dammi da bere”: la tua acqua, la tua vita, perché noi abbiamo solo cisterne screpolate: “Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si sono scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua (Ger 2,13). 73


Finalmente questa donna ha incontrato Colui che l’ha liberata dalla sua solitudine e, superati tutti gli sfruttamenti passati, per la prima volta si è sentita veramente amata. Ora la samaritana può cantare con il salmista la bellezza della vita nuova ed iniziare un pellegrinaggio diverso con Colui che gli ha cambiato l’esistenza: “O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua. Così nel santuario ti ho contemplato, guardando la tua potenza e la tua gloria. Poiché il tuo amore vale più della vita, le mie labbra canteranno la tua lode” (salmo 63,2-4). Una guarigione radicale e profonda e forse ritenuta impossibile quella della samaritana che non si è abituata a convivere con la sua scontentezza ed il vuoto spaventoso nel cuore e per questo è sempre alla ricerca. La sua asprezza interiore si manifesta anche all’esterno nel dialogo con Gesù. Rivela la stanchezza di sentirsi usata come un oggetto di piacere.

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Possiamo mettere sulle sue labbra e nel suo cuore la vera gioia ritrovata che si rivela nella preghiera e nella testimonianza: “In me viene meno il respiro, dentro di me si raggela il mio cuore. Ricordo i giorni passati, ripenso a tutte le tue azioni, medito sulle opere delle tue mani. A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra assetata. Rispondimi presto, Signore: mi viene a mancare il respiro. Non nascondermi il tuo volto: che io non sia come chi scende nella fossa. Al mattino fammi sentire il tuo amore, perché in te confido. Fammi conoscere la strada da percorrere, perché a te s’innalza l’anima mia” (salmo 143,4-8). Senza questa presenza, la vita sarà sempre un camminare nel deserto per la samaritana. Per lei un amore finalmente appagato e un desiderio soddisfatto, liberato da tutti i suoi fallimenti e dalle sue pesantezze e schiavitù, può camminare libera alla sequela di Gesù ed essere una sua testimone.

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Il pellegrinare dell’uomo e la cerva. La vita dell’uomo si può paragonare alla cerva che sui monti velocemente corre per sfuggire il cacciatore che la insegue. Finalmente quando si sente lontana dal grande pericolo e dopo questa lunga e pericolosa corsa sulle montagne, si riposa e scende verso il torrente in cerca d’acqua per dissetarsi.

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Il salmo 41 vuole esprimere i sentimenti profondi nell’uomo che dopo un percorso pericoloso della propria esistenza, giunge all’incontro con Dio, all’acqua limpida dello Spirito che appaga ogni desiderio e soddisfa ogni aspirazione. “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio ? Le lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio?” (salmo 42,2-4). 2. Emmaus: modello di ogni pellegrinaggio Sulla strada che da Gerusalemme porta verso Emmaus Il brano evangelico dei discepoli di Emmaus è certamente molto aderente alla nostra realtà di persone in cammino con molte certezze, ma spesso con molti dubbi ed interrogativi. In pochi giorni a Gerusalemme si compiono tanti eventi riguardanti la persona di Gesù: - l’ingresso trionfale a Gerusalemme, - ha trasmesso il comandamento dell’amore nella cena di Pasqua, - ha fatto vivere il valore del servizio con la lavanda dei piedi,

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- ha assicurato la sua presenza spezzando il pane, - e inoltre il tradimento, l’arresto, il rinnegamento e la condanna, - la morte in croce, la sepoltura e la Risurrezione. Nei discepoli svaniscono tutte le speranze ed i progetti, tutto quello che avevano costruito. Tutto è finito. Per questo motivo pensano e decidono di tornare a casa. Dopo la tragedia del Calvario e dopo aver trovato il sepolcro vuoto, incontriamo, sulla strada a circa 11 chilometri da Gerusalemme, due discepoli spaventati, delusi, senza speranza e che stanno tornando alla propria casa, perchĂŠ sono rimasti senza la guida del loro Maestro.

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“In quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo (Lc 24,13-16). I due discepoli stanno discutendo con molta tristezza per un fallimento che non si aspettavano. All’improvviso, sulla medesima strada si unisce a loro un nuovo pellegrino/straniero che non conosce gli ultimi eventi di Gerusalemme. Gesù in persona che si accosta e cammina con loro: è Lui che prende l’iniziativa, si fa compagno sulla strada, si fa pellegrino. Cleofa e l’altro discepolo si sfogano raccontando nei minimi particolari il dramma concluso con la condanna e la crocifissione di un uomo innocente. Il bisogno di sfogarsi e manifestare la loro delusione: il Maestro è in croce tra due malfattori: tutto questo non rientrava nei loro progetti. Il Viandante solitario ascolta in silenzio e con molto interesse lo sfogo comprensivo della perdita di un amico carissimo.

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Lui non è informato della vicenda di quest’Uomo condannato innocentemente. Ora l’Estraneo, attraverso tutte le Scritture, nel viaggio verso Emmaus, incomincia a fare “ardere il cuore” dei due pellegrini. Il progetto di Dio non è possibile prevederlo, né preventivarlo, è difficile da comprendere e supera sempre i nostri progetti: Lui cammina e ci guida per condurci sulla sua via. La capacità di ascolto di Gesù sulla strada verso Emmaus: rispetta la delusione e la tristezza dei due viandanti. La capacità di ascolto dei discepoli: attraverso le Scritture, Gesù spiega gli eventi più oscuri della vita. I due compagni di viaggio prestano la massima attenzione e ne rimangono affascinati. Sta ritornando in loro la fede. Se ascoltiamo questo pellegrino, anche oggi, fa ardere d’amore il cuore indurito, insensibile e indifferente dell’uomo. Solo Lui può farci passare dal fallimento alla vittoria e può guarirci delle nostre tristezze e dei nostri egoismi. “Ci lascia pensare che Emmaus rappresenti in realtà ogni luogo: la strada che vi conduce è il cammino 80


di ogni cristiano, anzi, di ogni uomo. Sulle nostre strade Gesù risorto si fa compagno di viaggio, per riaccendere nei nostri cuori il calore della fede e della speranza e spezzare il pane della vita eterna” (Benedetto XVI - Pasqua 6 aprile 2008)

Giunti a destinazione, Gesù saluta i due perché deve proseguire il viaggio, ma questi lo trattengono perché rimanga con loro. Lo invitano a fermarsi, a trattenersi con loro. Offrono ospitalità al pellegrino: “Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto. Egli entrò per rimanere con loro” (Lc 24,29). 81


“Resta con noi”: l’ospitalità. La diffidenza iniziale è diventata fraternità. Gesù diventa ospite gradito. In modo tutto particolare, oggi, l’accoglienza è diventata un problema e ne facciamo l’esperienza ogni giorno: vivere nelle stesse scale senza conoscersi, senza frequentarsi, ignorandosi, senza salutarsi, senza accogliersi mai, senza mai invitarsi. La pagina evangelica ci fa imparare a spezzare il pane allo stesso tavolo perché: - è condivisione, - è sentirsi veramente fratelli e segno forte di amicizia, - è dono di sé. Forse siamo incapaci di riconoscere Gesù, non abbiamo capito che era Lui, compagno di viaggio e lo abbiamo scambiato con un altro: “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”, erano come accecati. Anche Maria di Magdala aveva scambiato Gesù per il custode del giardino, perché gli occhi erano chiusi dalle lacrime, dal dolore; i due di Emmaus erano accecati per aver perso la speranza “Speravamo”. Lasciamoci aprire gli occhi da Gesù come ha fatto con il cieco nato e così riusciremo a contemplare le cose meravigliose che Dio compie per noi, riusciremo a scoprire la gioia dell’amore di Dio. 82


Se Gesù non ci aprisse gli occhi allora perderemmo la direzione del nostro viaggio materiale e spirituale e nella vita saremo sempre “con il volto triste” come il giovane ricco. Dopo un pellegrinaggio di lavoro sul lago di Tiberiade, gli Apostoli sono delusi e stanchi per non aver pescato nulla. È Gesù che dà speranza e la rete si riempie di pesci: avviene la pesca miracolosa. Il Risorto trasforma sempre la vita: entra a porte chiuse per incoraggiare e portare la pace. “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista” (Lc 24,30-31). In quella modesta casa, Gesù ripete i gesti dell’ultima cena: è avvenuta una celebrazione eucaristica in famiglia. Basta un segno di Gesù perché si realizzi il riconoscimento “nello spezzare il pane”. E lui sparì.

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Sulla strada che da Emmaus porta verso Gerusalemme I discepoli “partirono senza indugio�. Inizia per loro un nuovo pellegrinaggio fatto di corsa nel buio della notte, 84


perché non riescono più a contenere l’ardore che portano dentro. È la gioia dell’incontro, è la gioia dell’amore, è la gioia della risurrezione da testimoniare e da annunciare agli “altri” che stanno a Gerusalemme. I due hanno riconosciuto e incontrato il Signore nel segno del pane. È il più grande annuncio della storia: “Il Signore è veramente risorto”. Questo annuncio raggiungerà tutti gli uomini che sono stati per tanto tempo in attesa. Ora loro sentono il bisogno di costruire la comunità. Non possono rimanere a casa, ma devono vivere con i fratelli. Sentono forte la missione di portare la gioia a tutti gli uomini con la presenza e la potenza del Suo Vangelo. Diffondere e testimoniare in tutto il mondo la fedeltà del Suo amore che si rivela nella celebrazione della Pasqua. Non più stanchezza, né scoraggiamento, perché i discepoli hanno nel cuore la forza della Risurrezione per riprendere il pellegrinaggio in Sua compagnia. In questo brano evangelico è presente anche un viaggio spirituale/interiore: il passaggio dal dubbio e dalla crisi 85


all’esperienza di fede nella presenza Eucaristica che mette in movimento e dà la forza della testimonianza. Nasce la profonda convinzione che Cristo è sempre presente sulle strade dell’uomo, anche quando questi non Lo cerca e non spera in Lui. Ogni uomo è chiamato a diventare protagonista sulle strade di Emmaus: sentirsi sempre viandante e alla ricerca, ma anche con la capacità di spiegare le Scritture e farsi pane per i fratelli come ha fatto Gesù. Emmaus è il mondo intero, perché il Signore ha aperto nuove strade dove si trovano altri delusi, stanchi e scoraggiati che sono in attesa che ciascuno di noi si faccia pellegrino con loro e per scoprire ogni giorno la presenza nell’Eucaristia e nel mondo senza stancarsi di riprendere il pellegrinaggio della vita. Da Gesù abbiamo imparato ad ascoltare e ad annunciare e ci impegniamo a comportarci come ha fatto Lui. Emmaus rappresenta lo stato d’animo di ogni uomo d’oggi, perché Gesù cammina con lui, anche se non lo riconosce e non si accorge della Sua presenza.

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Lui usa compassione, si ferma, si avvicina, condivide, fa ricuperare la speranza poi scompare: ma è sempre presente e così ci ricupera la fede e la speranza. Anche noi lasciamoci accompagnare sulla strada di Emmaus: · per ascoltarlo e vivere la sua Parola, · per fare silenzio e capire cosa ci dice, cosa noi rispondiamo, · per condividere e spezzare il pane, · perché ci apra gli occhi ed il cuore e per partire a testimoniare il suo amore. Senza di Lui si fa notte. Possiamo fare un pezzo di viaggio su questa strada per scoprire in noi il coraggio della sconfitta e la gioia della vittoria con la presenza di Cristo Risorto. Ritornati a casa ci accorgeremo di essere diventati dei testimoni più credibili: avremo sperimentato il passaggio - dal fallimento alla testimonianza - dalla tristezza alla gioia. La fede è un cammino: è la forza per mettersi su questa strada per un itinerario alla sequela di Gesù, che ci insegna a cercare solo l’essenziale in questo pellegrinaggio della vita. 87


Preghiamo con i due discepoli di Emmaus Signore Gesù, grazie perché ti sei fatto riconoscere nel­lo spezzare il pane. Mentre stiamo correndo verso Geru­salemme, e il fiato quasi ci manca per l’ansia di arrivare presto, il cuore ci batte forte per un motivo ben più pro­fondo. Dovremmo essere tristi, perché non sei più con noi. Eppure ci sentiamo felici. La nostra gioia e il nostro ri­torno frettoloso a Gerusalemme, lasciando il pranzo a metà sulla tavola, esprimono la certezza che tu ormai sei con noi. Ci hai incrociati poche ore fa su questa stessa strada, stanchi e delusi. Non ci hai abbandonati a noi stes­si e alla nostra delusione. Ci hai inquietati con i tuoi rimproveri. Ma soprattutto sei entrato dentro di noi. Ci hai svelato il segreto di Dio su di te, nascosto nelle pagine della Scrittura. Hai camminato con noi, come un amico paziente. Hai suggellato l’amicizia spezzando con noi il pane, hai acceso il nostro cuore perché riconoscessimo in te il Messia, il Salvatore di tutti. Così facendo, sei entrato dentro di noi. 88


Quando, sul far della sera, tu avevi accennato a prose­guire il tuo cammino oltre Emmaus, noi ti pregammo di restare. Ti rivolgeremo questa preghiera, spontanea e appas­sionata infinite altre volte nella sera del nostro smarrimen­to, del nostro dolore, del nostro immenso desiderio di Te. Ma ora comprendiamo che essa non raggiunge la verità ultima del nostro rapporto con te. Infatti Tu sei sempre con noi. Siamo noi, invece, che non sempre restiamo con te, non dimoriamo in te. Per questo non sappiamo diven­tare la tua presenza accanto ai nostri fratelli. Per questo, o Signore Gesù, ora ti chiediamo di aiu­tarci a restare sempre con Te, ad aderire alla tua persona con tutto l’ardore del nostro cuore, ad assumerci con gioia la missione che tu ci affidi: continuare la tua pre­senza, essere vangelo della tua risurrezione. Signore, Gerusalemme è ormai vicina. Abbiamo capito che essa non è più la città delle speranze fallite, della tom­ba desolata. Essa è la città della Cena, della Pasqua, 89


della suprema fedeltà dell’amore di Dio per l’uomo, della nuo­va fraternità. Da essa muoveremo lungo le strada di tutto il mondo per essere i testimoni della tua risurrezione. Resta con noi, Signore Resta con noi Signore perché si fa sera. La sera del dubbio, o Signore, in cui ogni certezza sembra franare e lasciare un vuoto inquietante di un andare senza meta; la sera della crisi, della delusione, di fronte a progetti falliti, di fronte ad amori traditi, senza speranza in un futuro diverso; la sera della solitudine, pur in mezzo a tanta gente, perché manca la pace del cuore, confuso e al buio senza la tua luce; la sera di una vita tirata a campare, tra miraggi effimeri, affannosamente cercati, ma alfine deludenti. Resta con noi, perché il giorno volge al declino: il giorno della giovinezza e della vecchiaia; della gioia e del dolore; del successo e del fallimento; della salute e della malattia; il giorno della nostra vita, vigilia della tua Pasqua. Resta con noi, Signore, 90


per rinnovare nel profondo di noi stessi l’ardore del cuore; per capire che l’unica vita riuscita è quella trasformata in segno della tua presenza, accanto a tanta gente delusa e mendicante amore; la vita capace di esplodere nella gioia di dare la grande notizia: Davvero Cristo è risorto! «Signore, proteggi i nostri dubbi, perché il dubbio è una maniera di pregare. Esso ci fa crescere, perché ci obbliga ad affrontare senza paura le molte risposte a una stessa domanda. E affinché ciò sia possibile, Signore, proteggi le nostre decisioni, perché la decisione è una maniera di pregare. Dopo il dubbio dacci il coraggio per sapere scegliere tra un cammino e l’altro. Che il nostro Sì sia sempre un Sì, e il nostro No sia sempre un No. Fa’ in modo che, una volta scelto il cammino, non ci ritroveremo a guardare indietro, né a tormentarci perché la nostra anima è rosa dal rimorso. E affinché ciò sia possibile, Signore, proteggi le nostre azioni, perché l’azione è una maniera di pregare. Fa’ che il nostro pane quotidiano sia frutto della parte migliore del nostro animo. 91


Che ci risulti facile, attraverso il lavoro e l’azione, condividere un po’ dell’amore che riceviamo. E affinché ciò sia possibile, Signore, proteggi i nostri sogni, perché il sogno è una maniera di pregare. Fa’ che indipendentemente dalla nostra età o dalla nostra situazione, ci venga data la forza per mantenere accesa nel nostro cuore la fiamma sacra della speranza e della perseveranza. E affinché ciò sia possibile, Signore, riempici sempre di entusiasmo, perché l’entusiasmo è una maniera di pregare. È ciò che ci unisce ai cieli e alla terra, agli uomini e ai bambini, e ci dice che il desiderio è importante e merita il nostro impegno. È ciò che ci dice che ogni meta è raggiungibile, purché ci si impegni anima e corpo nelle proprie azioni. E affinché ciò sia possibile, Signore, proteggici, perché la Vita è l’unica maniera che abbiamo per manifestare il Tuo miracolo. Fa’ che la terra continui a tramutare il seme in grano, che noi si possa seguitare a trasformare il grano in pane.

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E questo sarĂ possibile soltanto se avremo Amore. Non lasciarci mai soli, dunque. Donaci sempre la Tua compagnia e quella di uomini e donne che hanno dubbi, che agiscono e sognano, che si entusiasmano e vivono come se ogni momento del giorno fosse dedicato alla Tua gloria. Amen.Âť (Paulo Coelho)

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CAPITOLO QUINTO LA VERGINE MARIA: DONNA SEMPRE IN CAMMINO Maria non è la donna del quieto vivere, che dà ragione a tutti, pur di non creare problemi. Non è la donna delle mezze misure ed in Lei non c’è spazio per le ambiguità, Lei va sempre controcorrente. Lei non conosce l’indifferenza, perché è la donna del rischio. Maria è la donna pellegrina sempre alla sequela del suo Figlio Gesù il quale ha affermato “Io sono la via”. Cammina dietro suo Figlio e si confonde tra la folla per vederlo, per incontrarlo, per sentirlo perché ora non torna più a casa. “Camminate verso Maria, camminate con Maria. Lasciatevi tenere per mano da Lei, come bimbi dalla Madre. Guardatela come la “stella” del vostro cammino. Fate riecheggiare nel vostro cuore il suo “fiat”. Il “sì” di Maria nell’Annunciazione fu necessario, perché il Verbo si facesse carne nel suo grembo e perché si facesse la nostra Redenzione. 94


Il vostro “sì” è necessario, perché Cristo prenda possesso della vostra vita e vi faccia apostoli del suo amore” (Omelia di Giovanni Paolo II al 16° pellegrinaggio Macerata-Loreto - 1993).

Anche noi cerchiamo di camminare sempre sulle orme di Maria che ci conduce all’incontro con Cristo. Camminare con Maria, camminare verso Maria, perché Lei è la stella del cammino. 1. Pellegrinaggio di Maria verso Betlemme Contempliamo un evento straordinario che ha cambiato la storia dell’universo, quando Dio decide di inviare suo Figlio Gesù Cristo a cercare/salvare l’umanità. Ha lasciato il cielo per venire a liberare l’uomo dalle sue indifferenze, dalle paure, dalle abitudini al peccato, dalla sua autosufficienza.

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Maria vive l’esperienza del disagio della nascita del Figlio: non c’è posto in albergo per i poveri. Maria e Giuseppe trovano rifugio in una stalla ed inoltre sono in fuga per la persecuzione di Erode. Il Bambino che sta per nascere non trova accoglienza nella città Santa di Gerusalemme, non c’è posto per il Salvatore: perché tutte le porte sono chiuse per chi non può pagare. Il nuovo Ospite deve andare a nascere fuori Città e dovrà andare anche a morire fuori Città perché non deve procurare fastidi a nessuno. 96


“Diede alla luce il suo Figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,7). Tra tante tenebre giunge la luce, la luce vera è la vita: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,4-5). Il buio è il peccato dentro e fuori di noi. Bisogna desiderare la luce, perché la luce viene da Betlemme. La luce inquieta, provoca e penetra interiormente: è la persona di Cristo, che vuole fare luce dentro di noi, nel nostro cuore, vuole fare chiarezza. · Il primo pellegrinaggio dei pastori: questi sono gli esclusi, gli analfabeti, gli emarginati, quelli che non sono mai calcolati, questi hanno ricevuto l’annuncio di una gioia diversa e di una nascita. “Andiamo”: di notte abbandonano il loro gregge e si mettono in cammino per andare a vedere l’evento. Trovano il Bambino e si prostrano in adorazione poi ritornano lodando Dio.

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· Si muovono anche i Magi, guidati da una stella. Fanno un lungo e difficile pellegrinaggio. · Ci sono anche quelli che non si muovono, sono gli indifferenti che non lasciano le loro case, le loro sicurezze, le loro abitudini. · Altri si muovono per usare violenza e atrocità, per eliminare questo neonato. Questa nascita mette in movimento ogni uomo, cambia l’andamento della Storia. ”Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finchè non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”. Egli si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto (Mt 2,13-14). La fuga di notte, con molti disagi, difficoltà e con il Neonato è un altro pellegrinaggio di purificazione della fede, in vista e come preparazione del compimento finale del mistero pasquale.

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BETLEMME Vicino alla Basilica della Natività è stata eretta una chiesa. Sono state costruite diverse statue in legno. Qui è rappresenta la fuga in Egitto della Sacra Famiglia

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Campo dei pastori L’altare maggiore della Chiesa francescana. Gli angeli annunciano ai pastori la nascita del Cristo 100


2. Viaggio al tempio ed incontro con il vecchio Simeone “Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore” (Lc 2,22). “Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fanno ritorno in Galilea alla loro città di Nazareth (Lc 2,39). Questo è un pellegrinaggio obbligatorio: per adempiere la legge, perché così è scritto nella legge. La scena descritta è semplice e normale, ma c’è la rivelazione profetica del destino di quel Bambino presentato al Tempio. Simeone è il vero profeta mosso dallo Spirito. Dopo una lunga attesa, la sua speranza si è compiuta e si sono realizzate le promesse. I suoi occhi hanno visto la salvezza per tutti, non solo per Israele. In forza dello Spirito, Simeone ha riconosciuto il Salvatore nella semplicità e nell’umiltà di un Bambino. Anche Maria si presenta come una donna comune, normale, ma con una vocazione unica, straordinaria.

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Questo incontro/mistero è un invito per ogni uomo a saper scoprire la presenza di Dio nella vita di ogni giorno.

Scoprire Dio nell’ordinario, perché Dio viaggia sempre in incognito, sembra un altro, sembra voglia nascondersi. In questo primo pellegrinaggio al Tempio, Gesù passa inosservato, ma è riconosciuto solo da chi è in attesa, e da chi è guidato dallo Spirito. Anche i nostri pellegrinaggi se non sono guidati dallo Spirito non servono e sono davvero inutili per una crescita della fede. 102


Siamo chiamati a diventare pellegrini per scoprire che Cristo era là ed io non l’ho visto, non mi sono accorto. È necessario riconoscere la presenza di Dio e della Vergine anche dopo il pellegrinaggio e anche fuori dal tempio. La profezia per Maria: l’accompagnerà fino al Calvario. La madre gioiosa diventa la madre dolorosa: “e anche a te una speda trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). Maria sta vivendo in anticipo il martirio per il Figlio, ma la gioia fa sempre da sfondo, perché la sofferenza possa essere la salvezza per molti. Maria viene proclamata la madre del nuovo Israele, la Chiesa, diventa la madre di tutti i credenti: “Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Il pellegrinaggio di Maria sarà una strada dolorosa, la strada dei distacchi, delle scelte dolorose, delle purificazioni: è la nuova strada indicata dalla profezia di Simeone. Forse anche Lei ha avuto paura della sua debolezza, della sua fragilità, ma accetta in silenzio con la certezza della vittoria finale. Questo mistero ci aiuta ad accumulare speranza, ci insegna a stare sempre in attesa perché le meraviglie di Dio non finiscono mai. 103


Ora riprende il pellegrinaggio di ritorno a Nazareth per entrare nella normalità della vita familiare, nelle occupazioni ordinarie. 3. Gesù ritrovato nel Tempio I pellegrini ebrei numerosissimi salivano al Tempio per le tre feste solenni: Pasqua-Pentecoste-Tabernacoli. La festa durava otto giorni e tutti dovevano portare un’offerta al Tempio. Anche la famiglia di Nazareth si reca a Gerusalemme. Gesù si allontana, si separa dai suoi. È un’assenza molto dolorosa per i suoi genitori. In occasione di questo pellegrinaggio, Maria e Giuseppe hanno dovuto prendere coscienza che Gesù non appartiene più a loro, è avvenuta una rottura, anche se Egli fa ritorno a Nazareth e rimarrà loro sottomesso. È questa la sofferenza di Maria: umanamente ha davvero perso suo Figlio: sente la vera perdita del Figlio. Maria però starà sempre vicino al suo Figlio e lo seguirà nel suo itinerario apostolico di annuncio della buona notizia.

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“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,49-52).

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Maria è al buio: è la sofferenza della fede, accetta di vivere nell’oscurità. Ecco perché non ci può essere sempre la chiarezza ad ogni costo. In questo evento, Maria sta scoprendo la vera identità del suo Figlio Gesù: Egli è Figlio di Dio. Maria continua ad accettare il nuovo progetto e non ha la pretesa di capire tutto. Maria ha capito che deve seguire un itinerario non previsto e deve rinunciare ai suoi itinerari. La luce e la verità si scoprono lungo la strada, una strada da percorrere nella gioia e nel dolore. Bisogna camminare sulle strade di Dio, non sulle nostre strade, non è possibile imporre i nostri itinerari, ma bisogna cercare Dio. Ritrovare Gesù come ha fatto Maria, in modo diverso, perché Lui sta sempre altrove, noi lo perdiamo, ma Lui non ci perde. Oggi Gesù potrebbe rivolgere ad ogni uomo questa domanda: Perché non mi cerchi?

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4. Pellegrinaggio alla casa di Elisabetta “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge” (Gal 4,4). È affermata la maternità di Maria, e Gesù, il Messia, è l’inviato da Dio. Maria con il suo “Sì” accoglie il progetto di Dio che si sta realizzando. Ricevuto l’annuncio dell’Angelo, Maria parte per un lungo viaggio/pellegrinaggio diretta alla casa della cugina Elisabetta. È un pellegrinaggio fatto a piedi: si mette in fretta sulla strada del servizio, “ecco la serva”. “Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (Lc 1,39). Il suo camminare è spedito, esprime decisione, coraggio e gioia perché non si sente più sola, non è più un pellegrinaggio solitario, si sente guidata da Colui che porta nel suo seno. Deve portare un messaggio, cammina in silenzio meditando, pregando. Santa Maria, compagna di viaggio “Santa Maria, Madre tenera e forte, nostra compagna di viaggio sulle strade della vita, ogni volta che contempliamo lo cose grandi che l’Onnipotente ha fatto in te, proviamo una così viva malinconia 107


per le nostre lentezze, che sentiamo il bisogno di allungare il passo per camminarti vicino. Asseconda, pertanto, il nostro desiderio di prenderti per mano, e accelera le nostre cadenze di camminatori un po’ stanchi. Divenuti anche noi pellegrini nella fede, non solo cercheremo il volto del Signore, ma, contemplandoti quale icona della sollecitudine umana verso coloro che si trovano nel bisogno, raggiungeremo in fretta la città recandole gli stessi frutti di gioia che tu portasti un giorno a Elisabetta lontana”. (Tonino Bello)

In casa, tutto si è svolto nel silenzio, nel segreto, nessuno si è accorto di niente, ma ora Lei cammina velocemente per portare la bella e straordinaria notizia: ora tutto è cambiato, sono nati tempi nuovi. Gesù già cammina, prima ancora di nascere, è già un itinerante e lo sarà per sempre e metterà tutti in movimento. Maria canta il Magnificat proclamando le meraviglie di Dio compiute in Lei: si sta realizzando un capovolgimento che solo Dio può fare. 108


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Camminando con Maria “Santa Maria, donna in cammino, come vorremmo somigliarti nelle nostre corse trafelate. Siamo pellegrini come te e qualche volta ci manca nella bisaccia di viandanti la cartina stradale che dia senso alle nostre itineranze. Donaci sempre, ti preghiamo, il gusto della vita. Fa’ che i nostri sentieri siano come lo furono i tuoi, strumento di comunicazione con la gente e non nastri isolanti entro cui assicuriamo la nostra aristocratica solitudine. Prendici per mano e, se ci vedi allo sbando, sul ciglio della strada, fermati, 110


samaritana dolcissima, per versare sulle nostre ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza. E poi rimettici in carreggiata. Dalle nebbie di questa valle di lacrime, in cui si consumano le nostre afflizioni, facci volgere gli occhi verso i monti da dove verrà l’aiuto. E allora sulle nostre strade fiorirà l’esultanza del “Magnificat”. Come avvenne in quella lontana primavera sulle altura della Giudea, quando ci salisti tu”. (Tonino Bello)

Maria e Zaccaria: notiamo il contrasto: · da una parte il canto della gioia, della fede, del ringraziamento, · dall’altra parte chi è condannato al silenzio/muto perché incapace di credere a Dio che fa cose impossibili. Aspetti pratici per la nostra vita: la vita cristiana è movimento: · un passo veloce, leggero, spontaneo, con slancio, cammino gioioso; · non la scontrosità, né la tristezza di tante persone pie, né pesantezza, né la rigidità che nasconde una povertà interiore, 111


propria di chi non mostra il suo vero volto, ma fa vedere solo apparenza. La fretta di Maria: La fretta della Madonna va in direzione opposta della nostra. Maria è presenza, è attenzione, annulla le distanze, Maria cammina per rendersi utile, per servire, perché già il Salvatore, non ancora nato, serve attraverso Maria. La fretta degli uomini: “in fretta”: gli uomini hanno un cammino complicato, faticoso, abitudinario, sempre in ritardo. La fretta e le corse di oggi sono per quelli che non riescono più a fermarsi, senza progredire, senza crescita e senza armonia. L’uomo ha perso il valore della gratuità, della contemplazione, dell’adorazione: sempre correndo ha perso il senso della direzione, e dell’orientamento, non sa dove va. Tutti costoro sono incapaci di silenzio e di meraviglia. “Beata colei che ha creduto”: Elisabetta inventa una beatitudine adatta per Maria: la sua grandezza sta nella fede, Colei che si è lasciata portare da un Altro.

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Anche noi siamo chiamati a lasciarci portare dove vuole Lui: perché Lui ci fa compiere un pellegrinaggio secondo la volontà di Dio e renderci felici. “Maria, con il grembo gravido di Dio, in fretta corse da Elisabetta; e il piccolo di costei subito riconosciuto il suo saluto esultò e con salti come cantici lodava la Madre di Dio”. 5. Salita al Calvario Il pellegrinaggio di Maria è sempre in salita: da Elisabetta, da Simeone, sul Calvario, all’Ascensione: non è solo la fatica del camminare senza riposo, ma dobbiamo scoprire il simbolismo nascosto di un itinerario interiore/spirituale intenso ed esigente. La spiritualità di Maria sta nel cammino. Cammino materiale per incontrare le persone, cammino spirituale per portare la fede, perché Lei è piena di grazia. Maria è unita a suo Figlio mentre sta compiendo l’ultimo pellegrinaggio, quello del dolore e della morte in croce.

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Con la croce, Gesù porta nel suo corpo e nella sua anima il dolore, i peccati di tutti gli uomini. Gesù sta portando ogni tipo di sofferenza in questa lenta e dolorosa salita. Non ha più un passo veloce, ma cade sotto il peso del legno. Tutti devono fare questo pellegrinaggio: portare le croci che modificano i nostri programmi e a volte dobbiamo diventare “cirenei” per i nostri fratelli, senza mai dimenticare che ancora oggi il nostro “cireneo” è Gesù. Non possiamo permetterci di percorrere la via dolorosa della vita come “turisti”, mentre Gesù porta la croce. Dobbiamo meditare con serietà e responsabilità: in questo corteo, c’è un innocente condannato e ci sono due malfattori: ma mancano molte persone.

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Dove sono i veri colpevoli? Dove sono gli amici? Dove sono i dodici? Dove sono i ciechi, i lebbrosi, gli storpi, gli infelici guariti? 115


Con la nostra vita possiamo farci pellegrini su questa strada fino al Calvario, perché l’innocente è Gesù ed i colpevoli siamo noi. Lo sguardo della Madre. La tradizione ci presenta lungo questo percorso l’incontro del Figlio con la Madre. Basta uno sguardo per capirsi, per condividere, per com-patire, per dire che Lei non lo ha abbandonato, ma sale fin lassù. La Madre pellegrina non può mancare adesso che l’itinerario è ormai giunto al traguardo. Non troviamo parole, perché in questo momento è il silenzio che parla. Il suo “fiat” detto all’annuncio dell’Angelo, ora trova il suo supremo compimento ai piedi della croce: · il “Sì” pronunciato da Maria per la nascita del Figlio, · il “Sì” pronunciato da Maria per la morte del Figlio. Nel mistero dello sguardo, Gesù ha compreso che sua Madre rinnova il suo “Sì” per la salvezza del mondo e diventa Corredentrice. La liturgia ci fa pregare: “O voi tutti che passate per via, fermatevi e vedete se c’è un dolore simile al mio”.

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Sotto la croce “stabat” Maria: sfidando la violenza dei soldati e distrutta dal dolore è diventata la Regina dei Martiri ed è in attesa del premio, della vittoria. Cristo e Maria sono perfettamente concordi nel compiere la volontà del Padre. Al termine del pellegrinaggio fatto insieme mentre Gesù sta morendo, il Padre vuole fare agli uomini un ultimo regalo: “Donna, ecco tuo figlio”, “ecco tua madre”. L’ultimo regalo, il più prezioso è come un testamento che ci viene consegnato. È Lei, la Madre, che ci ha generato nel dolore, che ci deve guidare nel pellegrinaggio terreno fino a giungere alla celeste abitazione.

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Maria, vorremmo essere anche noi simili a Te, camminando sempre, ma evitando di fare tante corse dietro cose inutili che ci procurano solo stanchezze e ci fanno sentire il vuoto dentro di noi. Donaci la gioia di camminare per incontrare tante persone, per condividere le strade di Dio e trovare il sentiero della perfezione. Prendici per mano, altrimenti ci smarriamo. Se ci fermiamo o cambiamo strada, Tu stacci vicino e sii la nostra guida. Se cadiamo, Tu avvicinati e sii la nostra Samaritana. Maria rendi anche noi pellegrini come Te e facci scoprire nuovi panorami spirituali, nuove bellezze, facci sentire il profumo della vita e accompagnaci Tu, perché non ci stanchiamo di camminare, non ci smarriamo e non Ti perdiamo di vista. Le tue tappe siano le nostre tappe. Non farci dimenticare il fratello che cammina accanto a noi, non permettere che andiamo troppo frettolosi oppure troppo lenti. Maria “segno di sicura speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio”: facci crescere nella fede. Tienici per mano, perché siamo fragili, siamo deboli. Sii la nostra Samaritana perché troppo spesso cadiamo: 118


abbiamo bisogno della tua consolazione, di speranza per proseguire il nostro pellegrinaggio che ci conduce alla pace e alla vera gioia. La segnaletica del Calvario (Tonino Bello) “Sulle grandi arterie, oltre alle frecce giganti collocate agli incroci, ce ne sono, ogni tanto delle altre, di piccole dimensioni, che indicano snodi secondari. Ora, per noi che corriamo distratti sulle corsie preferenziali di un cristianesimo fin troppo accomodante e troppo poco coerente, quali sono le frecce stradali che invitano a rallentare la corsa per imboccare l’unica carreggiata credibile, quella che conduce sulla vetta del Golgota? Ve ne sono tre, ma bisogna fare attenzione, perché si vedono appena. La freccia dell’accoglienza. È una deviazione difficile, che richiede abilità di manovra, ma che porta dritto al cuore del Crocifisso. Accogliere il fratello come un dono: · Non come un rivale. - Un pretenzioso che vuole scavalcarmi. - Un possibile concorrente da tenere sotto controllo perché non mi faccia le scarpe.

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· Accogliere il fratello con tutti i suoi bagagli, - compreso il bagaglio più difficile da far passare alla dogana del nostro egoismo: la sua carta d’identità. - Sì, perché non ci vuole molto ad accettare il prossimo senza nome, o senza contorni, o senza fisionomia. - Occorre una gran fatica per accettare quello che è iscritto all’anagrafe del mio quartiere o che abita di fronte a casa mia. · Il Cristianesimo è la religione dei nomi propri, dei volti concreti e non delle essenze. - Del prossimo in carne ed ossa con cui confrontarsi, non delle astrazioni volontaristiche con cui crogiolarsi. La freccia della riconciliazione Ci indica il cavalcavia sul quale sono fermi, a fare autostop, i nostri nemici. · E noi dobbiamo assolutamente frenare: - per dare un passaggio al fratello che abbiamo ostracizzato dai nostri affetti. - Per stringere la mano alla gente con cui abbiamo rotto il dialogo. - Per porgere aiuto al prossimo col quale abbiamo categoricamente deciso di archiviare ogni tipo di rapporto.

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· È sulla rampa del perdono che vengono collaudati il motore e la carrozzeria della nostra esistenza cristiana. · È su questa scarpata che siamo chiamati a vincere la pendenza del nostro egoismo ed a misurare la nostra fedeltà al mistero della croce. La freccia della comunione Al Golgota si va in corteo, come ci andò Gesù. · Non da soli. - Pregando, lottando, soffrendo con gli altri. - Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che, proprio per avanzare insieme, si danno delle norme, dei progetti, delle regole precise cui bisogna sottostare da parte di tutti. · Se non si rompe qualcosa. - Non il cristallo di una virtù che, al limite, con una confessione si può anche ricomporre. - Ma il tessuto di una comunione che, una volta lacerata, richiederà tempi lunghi per pazienti ricuciture. Il Signore ci conceda la grazia di discernere, al momento giusto, sulla circonvallazione del Calvario, le frecce che segnalano il percorso della Via Crucis, che è l’unico percorso di salvezza. 121


CAPITOLO SESTO IL PELLEGRINAGGIO NEL MEDIOEVO I pellegrinaggi sono una manifestazione caratteristica della “religiosità popolare” che ha interessato e coinvolto in tutti i tempi una quantità sterminata di uomini e di donne delle più varie condizioni. Il pellegrinaggio infatti, vuole esprimere il carattere transitorio della vita umana ed il desiderio di mettersi in cammino, da soli o in compagnia, per incontrare il soprannaturale.

Ieri come oggi i pellegrinaggi erano e sono un “fenomeno di massa”. Alcune mete sono rimaste le stesse, altre sono cadute in desuetudine, altre ancora si sono via via affermate nel tempo. 122


I pellegrinaggi sono un’esigenza dello “spirito”: l’uomo è alla ricerca di qualcosa, ha l’aspirazione al divino. Nel Medioevo c’era una particolare attenzione alle reliquie anche se non sempre autentiche. Dobbiamo ammirare la fede di questi pellegrini: è l’uomo che vuole mettersi in relazione con Dio. Il Medioevo non fu un’epoca statica ed immobile, ma tutte le categorie di persone erano in movimento: l’obiettivo era sacro, cioè raggiungere traguardi santificati da “presenze soprannaturali”. La fatica del viaggio aveva diverse motivazioni: · guarigioni del corpo, salvezza spirituale, suffragio, indulgenze, adempimento di un voto, scontare la pena di un peccato commesso, espiazione. · Una particolare sensibilità penitenziale. · Motivazioni religiose e spirituali, anche con risvolti economici e di prestigio, per esempio: accaparrarsi reliquie perché il pellegrinaggio continuasse anche nei paesi d’origine. · Anche per rompere la routine, anche per soddisfare una curiosità per il nuovo. Il pellegrinaggio nel Medioevo pertanto è stato una grandiosa manifestazione della religiosità popolare: venerazione dei santi, reliquie, immagini. I luoghi più significativi erano: Terra Santa, Roma, Santiago di Compostela. Non ci sono pellegrinaggi senza santuari e viceversa. 123


1. Il vestito e la benedizione dei pellegrini Chi andava pellegrino indossava un vestiario caratteristico: - mantello detto “pellegrina”, - un cappuccio o un cappello rotondo, - il bordone: un robusto bastone da marcia, - una bisaccia e una borraccia. - Il vero pellegrino penitente, in verità, sarebbe dovuto andare a piedi e scalzo, mentre in genere quasi tutti hanno indossato le calzature.

Il pellegrino deve essere ricevuto con carità e circondato da venerazione, perciò l’abito fa del pellegrino una sorta di “homo religiosus”. 124


Prima di partire il pellegrino riceveva una speciale benedizione: · in tal modo la Chiesa intendeva distinguere i pellegrini dai viaggiatori comuni. · Un sacerdote consegnava loro la bisaccia ed il bordone pronunciando, ad esempio, le seguenti parole: “In nome di nostro Signore Gesù Cristo, ricevi questa sporta, attributo del tuo pellegrinaggio, affinché tu possa meritare di giungere purificato, salvo ed emendato alle soglie del Santo Sepolcro, o di Santiago… e tu possa ritornare in perfetta salute”. Una preghiera che accompagnava la benedizione dei pellegrini del secolo XII recitava: “O Signore, padre celeste, fa che gli angeli veglino su i tuoi servi sì che possano raggiungere sani e salvi la loro meta, che nessun nemico li assalti lungo il cammino, che non gli sopraggiunga male alcuno. Proteggili dai pericoli dei fiumi in piena, dai ladri e dagli animali selvaggi”. · La bisaccia era interpretata come simbolo dell’elemosina; · il bastone/bordone, che serviva per scacciare animali pericolosi, come emblema della lotta contro le insidie del demonio; inoltre esso era la terza gamba del pellegrino e il tre è il numero della Trinità. 125


I pellegrini erano chiamati: ¡ palmieri: coloro che si recavano in Terra Santa e per via delle palme che raccoglievano a Gerico; ¡ romei: erano quelli che andavano a Roma; ¡ jaquot, jaquet: erano quelli che camminavano verso Santiago.

2. Il testamento del pellegrino Nel Medioevo erano molti i motivi per andare in pellegrinaggio: per devozione, per voto, per fede, per un miracolo, per una guarigione, per una pena da scontare, per un’imposizione di un processo. 126


Durante il pellegrinaggio: · si affrontavano molti pericoli e difficoltà, per cui era necessario compilare testamenti prima di partire: infatti sono stati ritrovati documenti. Non tutti i pellegrini facevano testamento prima di partire: alcuni lo facevano durante il viaggio oppure se si trovavano in pericolo di morte. Il pellegrino lascia le proprie abitudini, il proprio ambiente. Molti viaggiavano senza mezzi di sostentamento, affidandosi alla carità e all’ospitalità. · C’erano anche i “pellegrini vicari”: cioè coloro che con una congrua ricompensa, erano disposti a girare da un santuario all’altro al posto del testatore. Santuario “Minore”: Erano i numerosi santuari locali, situati fuori città, sui monti, lungo le strade.

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San Rocco: il Santo è raffigurato in abito da pellegrino con mantello e mantellina, un cappello a larga tesa, un bastone, una zucca per contenere l’acqua, conchiglie fissate sul mantello o sul cappello, bisaccia a tracolla. Mostra una piaga, segno della peste, e accanto un cane, perchĂŠ sarebbe stato proprio questo animale a portargli da mangiare mentre era isolato a motivo della malattia.

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“Camminare” richiede sforzo e fatica: perciò il pellegrinaggio era già una forma penitenziale: la sofferenza dei piedi doloranti, la sete, la fame, le intemperie e la paura delle aggressioni. Infatti si viaggiava a piedi e privi di comodità, tranne alcuni che disponevano di una cavalcatura.

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3. Luoghi di accoglienza e di ristoro dei pellegrini Lungo i percorsi sorsero a poco a poco ospizi, cappelle, locande, taverne/osterie e ospedali che svolgevano la funzione di ricovero dei viandanti, e dei poveri e curavano i malati. Inoltre i vari monasteri erano aperti all’esercizio dell’ospitalità.

Infatti lungo la Via Francigena, che portava a Roma, tra XI/XII secolo si affermò l’ospedale di S. Giacomo Altopascio per gestire il quale sorse un apposito ordine ospitaliero, quello dei “cavalieri del Tau” (1239). 130


Il nome deriva dal lungo mantello nero che i frati indossavano, sul quale era la croce taumata, a forma di punteruolo, simile alla lettera greca tau. L’ospedale accoglieva anche bambini che nascevano lì da donne pellegrine. Presso questo ospedale i pellegrini potevano sempre trovare ricovero, cure e cibo. L’ospitalità dei frati era così rinomata che venne anche citata da Giovanni Boccaccio nel Decamerone. La qualità dell’accoglienza variava secondo le possibilità dell’ente ospitante e la disponibilità del personale.

Sul piano ecclesiale nel Medioevo si diffusero ospizi ed ospedali; sul piano secolare si affermò l’ospitalità a pagamento: 131


in alcune taverne si poteva solo mangiare e bere, in altre taverne si poteva anche alloggiare. Come era una taverna: esisteva la povertĂ stalla, stanze per il deposito, sala da pranzo, camere a 2-6 letti, ma anche locande piĂš grandi con 15-20 letti.

In quel tempo era normale che diverse persone dormissero in un unico letto, per cui esistevano anche le locande malfamate. A Roma se ne contavano quasi 1.000. 132


4. Il ritorno, le memorie e le testimonianze del viaggio · Mostrava le insegne delle mete raggiunte. · Oggetti vari che diventavano motivo di devozione. · Molte immagini venivano appese al collo: alcuni erano specifici del santuario e del luogo in cui si erano recati. Al ritorno i pellegrini stendevano il proprio resoconto e descrizione dell’esperienza vissuta, perciò alcuni prendevano nota su un diario durante il viaggio.

Questi racconti, talvolta scritti in latino, spesso anche in volgare, sono di grande interesse per la descrizione degli specifici luoghi santi e per la capacità di osservazione che rivelano e testimoniano. 133


La mentalitĂ medioevale è dominata dal soprannaturale e dal continuo intervento di Dio. Si temono il male, le forze maligne e l’inferno. Per contrastarle si ricorreva al culto dei santi le cui reliquie, vere o presunte che fossero, divennero oggetto di venerazione: tutti si lanciarono in una sorta di corsa per entrarne in possesso. Il culto delle reliquie fu una delle caratteristiche fondamentali della religiositĂ popolare del medioevo. Esse attualizzavano la presenza di Dio e assolvevano alla funzione di compiere miracoli.

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CAPITOLO SETTIMO LA CHIESA: NUOVO ISRAELE PELLEGRINANTE La Chiesa è una comunità pellegrinante. Il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa: · il popolo di Dio pellegrinante sulla terra verso il suo Signore, · è un camminare insieme in spirito di penitenza, di perdono, di riconciliazione, di purificazione e di comunione. La Chiesa è, per sua natura, pellegrina, incamminata verso la città futura (cfr Lumen gentium nn. 9 e 44). Questa è la volontà di Cristo che ha fondato la Chiesa: Cristo incarnandosi si è fatto pellegrino/viandante ed ha posto la sua tenda in mezzo alle nostre tende di viandanti. La Chiesa procede nella storia vivendo la speranza ed è protesa verso la Gerusalemme celeste dove troverà la sua pienezza. Il pellegrinaggio è sempre stato un gesto di fede e frutto di una ispirazione interiore che spinge l’uomo a cercare il volto di Dio, dove i segni della sua presenza si sono manifestati per giungere al “miracolo della propria conversione”.

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1. Il pellegrinaggio e la missione/vocazione della Chiesa Il primo pellegrinaggio lo ha compiuto Dio che, attraverso Gesù Cristo, si è fatto presente nella storia per raggiungere l’uomo che si era allontanato con il peccato. Tutta la vita cristiana è un pellegrinaggio per incontrare Cristo, guidati dalla fede e dai sacramenti. Il pellegrinaggio nasce dalla Chiesa e la Chiesa deve garantirne l’autenticità, perché questa è la sua missione e vocazione. La Chiesa deve tenere l’animazione del pellegrinaggio e assicurarne la finalità. 136


La Chiesa non può subire passivamente, ma deve preparare il pellegrinaggio. Il pellegrinaggio non può avere origine come una iniziativa saltuaria, occasionale o casuale, ma deve far parte di un programma pastorale che annuncia la salvezza a tutti gli uomini. Anche oggi tutti i pellegrini della Chiesa incontrano nuovi deserti come il popolo d’Israele. Il “modello” della storia d’Israele si ripete oggi nella Chiesa che è santa, ma pur sempre da purificare, da convertire. La Chiesa è guidata dallo Spirito: non corre, ma si stanca, cade e si rialza, sempre in cammino con i suoi problemi. È necessaria la fede per credere che in questo percorso la salvezza è opera dell’amore di Dio verso l’uomo. “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede” (Eb 11,1). Con la fede siamo entrati a far parte della Chiesa che ci rende capaci di vedere l’invisibile e di sperare oltre ogni speranza. Questo lo ha realizzato Abramo nel suo pellegrinaggio, modello esemplare e padre di tutti i credenti (cfr Rom 4,11-12).

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La fede mette in movimento: chiede ad Abramo di partire per un lungo pellegrinaggio. È una partenza al buio, verso l’ignoto, ma Abramo parte guidato dalla fede e dall’obbedienza: diventa così padre di una moltitudine di popoli. Abramo sta con Dio, perciò non deve possedere ma deve sentire e vivere la povertà perché tutto è dono di Dio. Questa è anche la condizione spirituale di tutti coloro che intendono partire alla sequela di Cristo. Dio in Gesù Cristo, fondatore della Chiesa, vuole farci capire che quaggiù dobbiamo vivere da stranieri e la nostra patria/abitazione sta altrove. · La fede della Chiesa pellegrina è impegnata a dare testimonianza per una “pesca miracolosa”. Anche oggi, infatti, siamo “pescatori di uomini”. · Deve far vedere che non esistono i vicini e i “lontani” perché Dio in Gesù Cristo sta in mezzo, Dio “sta con gli uomini”, condivide e realizza la storia di salvezza con tutti. 138


Santuario della Madonna Nera di Czstochowa a Jasna Gora Questo cammino è sempre faticoso perché la fragilità e la debolezza umana sono sempre presenti e perché richiede la lotta contro se stessi, contro i princìpi del mondo e contro le tentazioni del maligno. Per affrontare questo combattimento, l’uomo ha bisogno di trovare il suo nutrimento nella Riconciliazione e nell’Eucaristia. La Chiesa è vigilante perché il pellegrinaggio terreno abbia una finalità deve far in modo che sia: 139


· in profonda comunione ecclesiale, e sempre finalizzato a Cristo, · per farci vivere le virtù e per camminare verso la salvezza, · portare alla conversione e all’impegno di testimonianza sia il singolo, sia la comunità.

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Fermarsi per calcolare/valutare con molta attenzione la giusta direzione 2. La Chiesa nel pellegrinaggio insegna e vive la testimonianza e la provvisorietà La finalità del pellegrinaggio sta nel guidare gli uomini all’incontro con Dio, perché è sempre Dio che dà le risposte agli interrogativi della vita, soprattutto nel tempo della sofferenza. Il pellegrinaggio è lo strumento più adatto per realizzare questo incontro per non sentirsi degli abbandonati, proprio nel momento del maggior bisogno. La Chiesa deve utilizzare questo strumento suscitato dallo Spirito. La Chiesa compie una rottura con la mentalità mondana, per scoprire l’agire di Dio: solo così dimostra la sua responsabilità ed esercita il suo servizio di testimonianza. Attraverso il pellegrinaggio, il popolo di Dio diventa come una luce che attira gli uomini alla conversione. · La Chiesa pellegrina insegna la provvisorietà: “E se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, 141


giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri” (1Pt 1,17). · L’impegno per la testimonianza: “Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai cattivi desideri della carne, che fanno guerra all’anima” (1Pt 2,11). Il cammino della Chiesa di Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”, indica alcune tappe: - la gioia del Vangelo non accetta il “vuoto interiore” e neppure la “tristezza individualistica” capace solo di guardare indietro. - Esige una Chiesa in cammino, la necessità di spostarsi per guadagnare il futuro, diventare missionari, cioè andare, spostarsi. - “Chiesa in cammino”, in uscita: è sempre movimento, perciò l’uomo deve vincere la tentazione di costruirsi delle capanne, di sistemarsi in questo mondo come quelli del Tabor che volevano stabilirsi e fermarsi. Una delle caratteristiche essenziali della Chiesa è quella di essere pellegrinante. Noi siamo qui “di casa in terra straniera”, “la nostra cittadinanza infatti è nei cieli” (Fil 3,20).

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La Chiesa non deve mai fermarsi fino quando non arriva al traguardo della vita eterna. Maria è l’immagine della Chiesa pellegrinante in terra straniera: · come in cielo è già glorificata in anima e corpo: è l’immagine della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura; · così in terra è una luce per il pellegrinante popolo di Dio (Lumen gentium, n. 68) Quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore (2Pt 3,10). Ogni giorno la Chiesa guidata dallo Spirito Santo compie il suo pellegrinaggio accompagnata attivamente da Maria. Nel nuovo deserto di oggi, il pellegrinaggio si compie in comunione con la Chiesa perché Gesù ci ha detto: “Non vi lascerò orfani” (Gv 14,18) ed inoltre ci ha inviato lo Spirito Santo “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14,16). Senza l’ecclesialità il pellegrinaggio potrebbe fallire la sua finalità e non farci incontrare il vero volto di Cristo e, invece di liberarci dai nostri mali, ci potrebbe riportare nella schiavitù e nell’idolatria come il vecchio Israele. 143


La missione della Chiesa consiste nel compiere il pellegrinaggio nella vita quotidiana per raggiungere l’uomo e annunciargli il Vangelo della salvezza. Nonostante, o soprattutto, per la crisi di fede che si sta diffondendo, nel pellegrinaggio la Chiesa deve trovare una risposta e una soluzione: si fa la costatazione di un affollamento ai santuari/pellegrinaggi ed una forte diminuzione di frequenza alle Chiese. Nel santuario è avvertita più forte la presenza di Dio: perché fa crescere la comunione nella coppia e nella famiglia e la fa diventare chiesa/santuario domestico. Gli uomini non vengono più alla Chiesa, ma ora la Chiesa deve andare dagli uomini, alle periferie, senza paura di sporcarsi. Dobbiamo cercare i fratelli, come Cristo è andato incontro agli uomini e fargli conoscere il messaggio della storia pasquale attraverso la nostra vita di testimoni. L’impegno di progettare pellegrinaggi in modo convincente e continuativo serve per recuperare o riscoprire quella fede necessaria e per diventare discepoli di Cristo. È un nuovo modello di annuncio del Vangelo: il pellegrinaggio serve a fronteggiare il crescente e straordinario processo di secolarizzazione e di completa indifferenza che sta vivendo l’uomo di oggi. 144


Il discepolo deve “muoversi” cioè percorrere lo stesso itinerario/via: è un viaggio interiore: “Se uno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). Il discepolo è in continuo cammino ed in costante precarietà, cammino non più verso il tempio, ma verso la persona di Gesù, il nuovo tempio dove abitare. Cristo è sempre presente e cammina accanto ai suoi discepoli, a ciascuno di noi: “Sono con voi sino alla fine del mondo”.

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La comunità cristiana, animata dallo Spirito Santo, deve essere sempre in movimento: - per annunciare, - per testimoniare, - perché tutti entriamo nella più perfetta comunione con Dio. Il nostro pellegrinaggio si conclude con il ritorno di Cristo che ci porterà con Sé: “Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4). Il cristiano vive da pellegrino: · si prendono poche cose necessarie, si abbandona il superfluo, il provvisorio: ci si convince che quaggiù siamo di passaggio, perciò ci aggrappiamo alle cose essenziali e siamo in tensione verso le cose eterne, già ora. · si cammina insieme, la comunione con i fratelli, si viaggia in comitiva, il pellegrino non viaggia mai da solo, per questo ci sono sempre delle difficoltà. Il pellegrinaggio diventa sequela. I discepoli stavano seguendo Gesù. Durante il cammino, Gesù domanda: “Che cosa cercate?”. Non basta seguire un cammino anonimo, passivo, 146


superficiale, ma occorre capire chi si cerca, perché si cerca. Il discepolo/pellegrino deve scoprire la presenza di Cristo: “Rabbì, dove abiti?”. Se abbiamo interrotto il cammino, Gesù ci invita a seguirlo: - “Venite”: è per capire chi Egli sia e per rimanere con Lui, - La necessità di dare testimonianza: “Abbiamo trovato il Messia”, perché la gioia della scoperta non si può tenere nascosta, ma va comunicata (Gv 1,38-45). Il nuovo popolo d’Israele oggi sono i cristiani: Siamo esortati ad abitare in un posto per un po’ di tempo, l’uomo è di passaggio non è ancora in patria: cioè siamo in una abitazione provvisoria, perché siamo in una situazione di precarietà, siamo forestieri: - abitiamo accanto, vicino, ai margini, - stiamo camminando/pellegrinando, stiamo arrivando, camminiamo nel mondo, ma non siamo del mondo (Gv 17,10.16) Nella Chiesa il pellegrino è discepolo di Cristo se dimostra la capacità di portare e vivere la croce ogni giorno.

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La circonvallazione del Calvario (Tonino Bello) “Abbiamo inquadrato la croce nella cornice della sapienza umana, ma non ce la siamo piantata nel cuore”. Vi dispiace se, più di una volta, fermerò la vostra attenzione sul “legno dolcissimo” della croce che noi, come dice Claudel, non siamo chiamati a piallare, ma sul quale siamo chiamati a salire? Ascoltatemi, allora. E perdonatemi se parlo con immagini: è perché si fissi più profondamente nell’anima lo spessore dei nostri tradimenti. Se è vero che la croce è l’unità di misura di ogni impegno cristiano, dobbiamo fare attenzione a un grosso pericolo che stiamo correndo: quello che San Paolo, scrivendo ai Corinzi, chiama l’evacuazione della croce. Che non significa disprezzo della croce, o rifiuto della croce, o irrisione della croce. No. Non c’è nessuno di noi che non parli con eloquenza del “legno santo”, …la croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive.

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Ma noi giriamo al largo. Troppo al largo. Prendiamo una extramurale lontanissima dal colle dove essa s’innalza. È come quando, in viaggio, si sfiora una città passando dalla tangenziale. Mentre l’automobile corre sulla strada, si dà ogni tanto un’occhiata ai campanili che si ergono e alle torri che svettano. Ma poi tutto finisce lì. Purtroppo la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario. Non s’inerpica sui tornanti del Golgota. Passa di striscio dalle pendici del luogo del cranio. Come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo “inquadrata” nella cornice della sapienza umana, e nel telaio della sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini e incensazioni in Chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica. L’abbiamo isolata, sia pure con tutti i riguardi che merita. È un albero nobile che cresce su zolle recintate. Nel centro storico delle nostre memorie religiose. All’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti. 149


Ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno. Dobbiamo ammetterlo con amarezza. Abbiamo scelto la circonvallazione e non la mulattiera del Calvario. Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato. · Il pellegrinaggio è una parabola della vita cristiana e del cammino della Chiesa nel mondo. Il cammino è un’esperienza di fatica e di provvisorietà ed è anche un cammino spirituale ed insieme un gesto penitenziale. Senza un cammino interiore di penitenza e di conversione non si compie alcun pellegrinaggio. Il pellegrinaggio ha lo scopo di farci scoprire la fede, fa esperienza della speranza ed è un annuncio profetico perché cammina verso una dimora dove vivrà in pienezza. Comprende la provvisorietà della vita quaggiù e per questo fa anche esperienza della propria debolezza. L’uomo che invecchia, si ammala, vive la stanchezza e la fatica. L’uomo è tradito, è abbandonato, mentre tutte le cose belle stanno scomparendo: 150


si apre un panorama nuovo di infinito, scompare la provvisorietà nella nuova abitazione di felicità. · Il pellegrinaggio non deve sbagliare la direzione, per questo si esige il rischio e qualche volta anche lo sbaglio diventa un cammino. È indispensabile portare con sé poche cose indispensabili per non rendere faticoso il cammino: il pellegrino è un povero e amico dei poveri. Si incontrano poveri buoni e poveri cattivi: poveri che nella loro povertà hanno incontrato Dio e poveri che a causa della povertà lo maledicono. La povertà/provvisorietà è un segno profetico dell’appartenenza a Dio: il pellegrino va senza borsa, né bisaccia, né doppia tunica, senza mezzi, senza prenotazioni perché si fida di Dio. La precarietà è la sua sicurezza. · Il pellegrino sa che non può fare da solo e dona aiuto agli altri, chiede aiuto per sé. - Ha la tentazione di fermarsi per la stanchezza, di tornare indietro. - Non avere paura di chiedere perdono, non avere paura delle proprie debolezze, e delle proprie ferite. - Lentamente capisce che il primo compagno del cammino è Gesù stesso, che non lo abbandona mai.

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Facciamo nostro l’augurio del sacerdote/poeta P. David Turoldo: “Anima mia, canta e cammina. E anche tu, o fedele di chissà quale fede; oppure tu, uomo di nessuna fede: camminiamo insieme! E l’arida valle si metterà a fiorire: Qualcuno, Colui che tutti cerchiamo, ci camminerà accanto”. Sentirsi uniti a tanti fratelli: chi non se la sente più di camminare, chi cammina per altre strade, chi si è seduto ed è stanco. Il pellegrinaggio per violenza: la mobilità generata dall’ingiustizia, dalla fame, dalla guerra, dalla malattia, dalle calamità naturali: questo è un pellegrinaggio della sofferenza, della costrizione. 3. L’Eucaristia: la forza del pellegrino La celebrazione dell’Eucaristia è per vivere la morte e la Resurrezione di Cristo fino al suo ritorno; per affrontare le prove dolorose della vita e per uscirne vittoriosi nel nostro pellegrinaggio. L’Eucaristia costruisce una comunità di discepoli non più in fuga, non più traditori, né indifferenti, stanchi e non per vivere come abituati al peccato. Dobbiamo scoprire la zizzania presente nel proprio campo e non nel campo degli altri.

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Dobbiamo per scoprire se nella propria rete ci sono anche pesci cattivi: sono le nostre fragilità. C’è sempre un vento contrario, c’è la tempesta e il Signore si è addormentato: dobbiamo proseguire il nostro pellegrinaggio sempre con situazioni difficili e al buio “si fece buio su tutta la terra”.

Il pane del cammino L’Eucaristia ci fa superare/vincere la tentazione di sentirsi soli e abbandonati: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Mt 27,45-46).

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Anche Gesù è pellegrino nel suo dramma solo e abbandonato: neppure il Padre risponde. Nell’Eucaristia si attualizzano questi eventi: la fede eucaristica capovolge le cose: “quest’uomo era veramente figlio di Dio” (Mt 27,54). In quest’uomo solo e abbandonato, in queste tenebre abita Dio che sempre manifesta la sua fedeltà. Possiamo vedere/capire che nell’Eucaristia il Signore non ci dimentica, ma è presente e ci comunica calore e forza per il nostro cammino. Possiamo vedere/capire che Dio è presente: in tutti coloro che gridano la loro sofferenza, il loro abbandono, la loro solitudine: adesso comprendiamo che anche le tenebre testimoniano la Sua presenza, perché l’amore di Dio ha la capacità misteriosa di raggiungere tutti. Nella celebrazione eucaristica è ancora Gesù il pellegrino che viene a cercarci e a donarci un’energia sempre nuova per non farci stancare di camminare. L’infinito amore di Dio non potrà mai lasciare solo l’uomo nella sua disperazione, ma si fa dono per la sua debolezza e nella sua impotenza lo salva.

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4. La Chiesa conduce gli uomini alla Gerusalemme celeste L’immagine della Chiesa come popolo di Dio “straniero” nel mondo, ma guidato da Cristo tramite i suoi pastori: è un popolo pellegrinante fino al ritorno di Cristo glorioso. La Chiesa non è una realtà statica, ferma, ma è continuamente in cammino nella storia, verso la meta ultima che è il Regno dei cieli (cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, costituzione dogmatica sulla Chiesa: Lumen gentium, 5). L’uomo mentre compie il suo pellegrinaggio si pone molte domande e interrogativi nel profondo del suo cuore: quando avverrà questo passaggio/traguardo finale? Che cosa sarà dell’umanità? come sarà la nuova dimensione della Chiesa? Cristo ha promesso che ritornerà glorioso, infatti ci ha detto che è andato a prepararci un posto. Allora la felicità sazierà tutti i desideri di pace nascosti nel cuore dell’uomo: · raggiungeremo la Gerusalemme nuova dove saremo rivestiti della gioia, della pace e dell’amore di Dio in modo completo, senza più alcun limite e staremo faccia a faccia con Lui (cfr 1Cor 13,12). 155


· tutto l’universo sarà rinnovato e liberato una volta per sempre da ogni traccia di male e dalla morte, per vivere nel “cielo nuovo” e nella “terra nuova” che pongono termine ai nostri pellegrinaggi. · La Gerusalemme celeste è la nostra patria, non quella terrena: - la Gerusalemme di lassù è la nostra madre e noi dobbiamo affrettarci verso di essa, perché qui siamo ancora pellegrini e in cammino (cfr Sant’Agostino, discorso 346/B). - In questa nostra vita, noi siamo in cammino come pellegrini, lontano dalla Gerusalemme celeste che è la patria dei santi. Ce lo insegna in modo chiaro l’apostolo Paolo: “Finchè siamo nel corpo, siamo pellegrini, lontano dal Signore”. E poiché ogni pellegrino ha una patria, noi dobbiamo conoscere quale sia la patria verso la quale ci dobbiamo affrettare, mettendo da parte allettamenti e piaceri di questa vita. Soltanto in quella patria troveremo riposo. · La Chiesa pellegrinante è in comunione con la Chiesa celeste: la Chiesa”non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose, e col genere umano 156


anche tutto il mondo, il quale è intimamente congiunto con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente restaurato in Cristo” (Lumen gentium, n. 48): cioè la Chiesa raggiungerà la piena e definitiva maturazione nella vita eterna. · Un popolo in attesa della seconda venuta nella gloria: qui inizia il banchetto nuziale. In questo tempo di pellegrinaggio, i discepoli di Cristo si distinguono in tre gruppi dell’unica chiesa: - i pellegrini sulla terra, - quelli che sono già passati da questa vita e stanno purificandosi, - altri godono già nella gloria. I frutti spirituali di questa comunione tra Chiesa terrena e quella celeste: - riceviamo una potente spinta “a ricercare la città futura” (Lumen gentium, n. 50), - siamo invitati a seguire l’esempio dei Santi che sono “una via sicurissima” per giungere “alla perfetta unione con Cristo”, - siamo chiamati ad un maggior consolidamento di tutta la Chiesa di Cristo nella carità. Viviamo come in un’unica famiglia, Chiesa terrestre e Chiesa celeste, e celebriamo un’unica liturgia sulla terra e, contemporaneamente, nello splendore della gloria celeste. 157


Lungo è il percorso del pellegrinaggio, per questo anche noi come Mosè ed il popolo d’Israele ci mettiamo in “stato” di attesa, liberandoci di tutto ciò che è superfluo : “Infatti il momentaneo, leggero peso della tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne” (2Cor 4,17-18). Il viaggio Padre, tu non sei un Dio frenetico: non ti lasci prendere dall’agitazione di chi è in perenne lotta con il tempo. Regala qualche sosta al tuo popolo perché si fermi sotto la tua “nube” per riassaporare, nella gratitudine, la freschezza della tua ombra e ritrovare l’agilità di un buon passo sulla strada che ancora ci resta da fare. Nella tua tenerezza, tu non sei avaro di ristoro e di pace per quanti ami. Quando ci fermiamo per pigrizia, per incapacità o per colpa, la tua nube sosti sul nostro capo e resti con noi finché ci rialziamo di nuovo. Mandaci la brezza leggera dello Spirito, che offre suggerimenti interiori produce mentalità senza ricorrere alla forza e spinge al cambio senza creare traumi. (Tonino Bello) 158


Le differenze tra pellegrino e turista. C’è stato un forte sviluppo/incremento dei pellegrinaggi/visitatori che si recano alle grandi cattedrali e alle umili cappelle di campagna, spesso santuari legati a delle apparizioni o particolari tradizioni. Ognuna di queste realtà ha la sua storia e le sue caratteristiche di attrattiva. · turismo religioso o culturale: sono coloro che viaggiano per il proprio piacere, anche quando si reca in luoghi sacri: per pura curiosità, guardare, fotografare, comprare, mangiare, ripartire. Turismo religioso: è quella pratica turistica che ha come meta dei luoghi che hanno una forte connotazione religiosa, ma la cui motivazione è eminentemente culturale o anche spirituale, per svago, per cultura, per commercio, per divertimento, per relax, si viaggia per evasione, per riempire il tempo libero. A volte si viaggia per scopo direttamente naturalistico o il viaggio di carattere sociale. Ma non religioso in senso stretto. Intraprendere un viaggio verso mete di culto risale all’età pre-romana.

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· pellegrino: mettersi in “stato di pellegrino”: viaggiare per recarsi in un luogo sacro. Il pellegrino fa memoria, “celebra” una liturgia, ravviva e rifonda la propria fede. Le motivazioni del pellegrino sono molto diverse e spesso mescolate tra loro: per una malattia, per un fallimento, con la speranza di ottenere un miracolo. Pellegrinaggio è impegno, sosta, silenzio, contemplazione. Il pellegrino si dirige in modo particolare nei santuari, nelle abbazie, nei monasteri, nei conventi. Nel pellegrinaggio: il cristiano celebra la sua fede facendo memoria della storia della salvezza e innalza la supplica per le sue necessità materiali e spirituali. Il pellegrinaggio è stato definito come “scuola di spiritualità” per camminare verso la santità e “rimanere” in Dio. Perché mi metto in cammino ? Il pellegrinaggio è sempre un viaggio interiore. Anche il tempo delle vacanze è diventato un tempo per vedere, per scoprire il passato di una persona o di un popolo e per vivere meglio il presente. Il pellegrinaggio era una pratica che si svolgeva già dal 300 d. C., ma lo sarà maggiormente nel Medioevo. 160


Le caratteristiche del pellegrino: - è pellegrino quando parte, ma anche quando ritorna a casa, - è un viaggiatore dentro e fuori di sé, - è colui che cerca nuovi valori nella sua vita, - è colui che è attento all’incontro con gli altri, - è colui che è alla ricerca, - è colui che cammina per amore, - è colui che fa silenzio e ascolta. · pellegrinaggio e turismo religioso: a volte si usano come sinonimi. Ciò che li differenzia in modo sostanziale: sono le motivazioni per cui si intraprende un viaggio.

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La Chiesa pellegrinante ci aiuta a vivere la speranza che ci conduce al traguardo finale. È un cammino e un’attesa gioiosa che ci porta verso la Resurrezione e la vittoria finale, superando la morte per una nuova Vita. “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2). Non più ospiti, né pellegrini, ma saremo giunti a destinazione nella nostra abitazione definitiva. 162


Chiesa pellegrina: “Come popolo di Dio, la Chiesa compie il pellegrinaggio verso l’eternità mediante la fede, in mezzo a tutti i popoli e nazioni, a cominciare dal giorno di Pentecoste” (Lumen gentium, n. 48). Il pellegrinaggio della Chiesa “non avrà il compimento se non nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose” (Giovanni Paolo II - 1 gennaio 1987 Enciclica Redemptoris Mater, 49). Spirito di Dio, fa’ della tua Chiesa un roveto che arde di amore per gli ultimi. Alimentane il fuoco col tuo olio, perché l’olio brucia anche. Da’ alla tua Chiesa tenerezza e coraggio, lacrime e sorrisi. Rendile spiaggia dolcissima per chi è solo e triste e povero. Disperdi la cenere dei suoi peccati. Fa’ un rogo delle sue cupidigie. E quando, delusa dei suoi amanti, tornerà stanca e pentita a Te, coperta di fango e di polvere, dopo tanto camminare, credile se ti chiede perdono. Non la rimproverare.

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Ma ungi teneramente le membra di questa sposa di Cristo con le fragranze del tuo profumo e con l’olio di letizia. E poi introducila, divenuta bellissima senza macchie e senza rughe, all’incontro con Lui perché possa guardarlo negli occhi senza arrossire, e possa dirgli finalmente: “Sposo mio”. (Tonino Bello) Un itinerario che conduce al traguardo finale “Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio, ha preparato infatti per loro una città” (Ebr 11,13-16). Il pellegrino si mette in viaggio portando nell’anima il peso della sua vita e sente un desiderio forte della necessità di conversione, di purificazione e di testimonianza. Nel santuario modifica il modo di pensare, 164


di vedere, di pregare, di condividere, il desiderio di crescere nelle conoscenze religiose: è un continuo pellegrinaggio interiore.

Il pellegrino fa sua la preghiera di san Leone Magno: “destati, o uomo, e riconosci la dignità della tua natura. Ricordati che sei stato creato ad immagine di Dio, che, se questa somiglianza si è deformata in Adamo, è stata tuttavia restaurata in Cristo. Delle creature visibili sèrviti in modo conveniente, come ti servi della terra, del mare, del cielo, dell’aria, delle sorgenti, dei fiumi. 165


Quanto di bello e di meraviglioso trovi in essi, indirizzalo a lode e a gloria del Creatore. Vogliamo solo esortare perché sappiate servirvi di ogni creatura e di tutta la bellezza di questo mondo in modo saggio ed equilibrato” (S. Leone Magno, Discorsi 7,6 - PL 54,220-221). La capacità di fare e vivere la comunione e di scoprire la bellezza che salva seguendo lo stile di S. Francesco d’Assisi. I cristiani alla sequela di Cristo, sono in cammino verso la patria celeste, la città futura per il compimento di comunione definitiva con Dio. Sempre pronti a “ritornare” quando il peccato ci ha fatto sbagliare strada o è stato di impedimento al nostro pellegrinaggio interiore Camminare verso una meta comune per incontrare Cristo quaggiù e per raggiungerlo nella Gerusalemme celeste. Camminiamo verso un preciso traguardo, non vagabondare: · non abbiamo una stabile dimora, · un breve soggiorno da stranieri, · camminiamo verso la patria:

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“Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo, infatti, Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi” (Rm 14,7-8). Vivere con convinzione questo passaggio: Sant’Agostino dopo un lungo girovagare/vagabondare aderendo a varie sette, ma sempre spinto dalla sete di ricerca, esprime la sua appassionata e ardente preghiera: “Tu ci hai fatto per Te, Signore, e il nostro cuore e inquieto finché non riposa in Te”. “La nostra patria invece è nei cieli” (Fil 3,20). “Non abbiamo quaggiù una città stabile” (Ebr 13,14). Non abbiamo una dimora fissa, ma siamo sottoposti a continui spostamenti, siamo di passaggio, viviamo in tenda, nella provvisorietà. Anche Gesù è venuto ad abitare in una tenda come pellegrino tra gli uomini. Senza una casa propria, in assoluta povertà.

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Il pellegrino nello spirito Attraverso il pellegrinaggio siamo alla ricerca di Dio: cercare Dio attraverso i luoghi santi della pietà popolare. “Cingendo i fianchi della vostra mente e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si manifesterà” (1 Pt 1,13). I lombi cinti sono il segno della partenza. Anche nella notte della partenza del popolo dalla schiavitù egiziana, viene indicato: come mangiare l’agnello della prima pasqua: “Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore” (Es 12,11). Stare sempre pronti per la partenza con la volontà e con il cuore.

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Ogni pellegrino dovrebbe poter confessare quanto è scritto in un’opera di forte intensità spirituale: “Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per le mie azioni grande peccatore, per condizione un pellegrino senza tetto della più umile specie, che va errando di luogo in luogo. I miei averi sono un sacco sulle spalle con un po’ di pane secco e una sacra Bibbia che porto sotto la camicia. Altro non ho” (Racconto di un pellegrino russo). Sempre pellegrini verso la meta: · con la mente e la volontà queste prendono il posto del movimento fisico; · attendiamo con speranza di raggiungere l’incontro definitivo con il Cristo. “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito” (Lc 12,35-36). · La tentazione del riposo o della pausa: dobbiamo liberarci dalle nostre pesantezze per non diventare dei sedentari nello spirito e privi di qualsiasi impegno (Lc 21,34).

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La vita come pellegrinaggio - L’esistenza umana è rappresentata con la metafora di un viaggio che l’uomo intraprende verso una mèta lontana e misteriosa. S. Francesco ci ricorda che la tappa finale è uguale per tutti: “sora nostra morte corporale dalla quale nullu homo vivente po’ skappare”. - L’idea del pellegrinaggio verso un “luogo santo” fa da sfondo alla storia della salvezza narrata nella Bibbia. - L’esperienza del pellegrinaggio ingloba tre motivi: l’idea che Dio in circostanze speciali si lascia avvicinare per cui questi luoghi diventano mèta di pellegrinaggi, perché si possa ottenere benevolenza, è necessario intraprendere un viaggio verso questo luogo della salvezza. Il cammino/pellegrinaggio del discepolo Gesù dà le istruzioni per il loro viaggio (Lc cc 9-19). Un itinerario senza attaccamento al denaro, diversamente non si cammina più. Andare dietro a Gesù (Eb 12,1-2). “Anche noi dunque, circondati da un così nugolo di testimoni, dopo avere deposto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, 170


corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede”.

È importante arrivare al traguardo in questa corsa: “deposto ciò che è di peso”, quello che rallenta o impedisce la corsa è il peccato. “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci è posta innanzi”. Per non sbagliare strada “tenere fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede”. Il traguardo che ci sta davanti è la gioia: questa allontana tutte le paure. 171


Questo cammino in certi momenti può diventare pesante e faticoso: fino ad arrivare al compimento della nostra esistenza. Allora saremo giunti a quella “città dalle solide fondamenta, di cui è architetto e costruttore Dio stesso”.

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CAPITOLO OTTAVO IL PELLEGRINAGGIO PIÙ DIFFICILE: LA SPIRITUALITÀ DEL PELLEGRINO Il pellegrinaggio interiore, cioè quello dentro di noi stessi si compie senza auto, senza nave, senza aereo, senza bagagli, senza alcun spostamento materiale o fisico. È necessario uno spostamento interiore, all’interno di noi stessi. Questo pellegrinaggio dentro noi stessi è necessario per conoscersi e per scoprire le meraviglie che Dio compie dentro di noi perché noi siamo tempio dello Spirito Santo. È un cammino da fare nell’amore, altrimenti si arresta il pellegrinaggio o si rischia di smarrire la strada o di cadere nelle insidie del maligno. 1. Cosa bisogna lasciare/abbandonare Questo cammino si compie nella comunità, ma esige un forte e costante impegno personale. Per questo cammino di spiritualità è necessario portare con sé: 173


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solo cose necessarie, cose utili, non cose superflue o pesi ingombranti, troppi pesi impediscono di viaggiare spediti, non dimenticarsi che stiamo viaggiando verso l’eternità, - non lasciare mai la Parola di Dio. “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (salmo 118,5). Un tale pellegrinaggio richiede sobrietà, frugalità, digiuno, preghiere incessanti, per realizzare la gioia dell’incontro. Si modifica il modo di pensare, di comunicare, di pregare, di condividere e dà un nuovo significato al vivere quotidiano. La spiritualità del pellegrino si manifesta nella sequela di Cristo: è un cammino che si realizza nella fatica giornaliera per lavorare, per meditare, per pregare. Il pellegrino vive la fede nella ricerca: è una spiritualità in crescita, in movimento. Come per i pellegrinaggi ai Santuari è necessario verificare i frutti del nostro andare. Per compiere questo pellegrinaggio dentro di noi bisogna lasciarsi guidare da Cristo per visitare: i sentieri ed i panorami dello spirito, la nostra difficoltà negli spostamenti interiori, il nostro modo di pensare, di agire, di amare.

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Dobbiamo visitare l’intelligenza, la volontà, il cuore: una visita per controllare come stiamo spiritualmente.

Forse non riusciamo a spostarci, perché siamo diventati pigri e sedentari interiormente, quasi insensibili o anche indifferenti, o forse fortemente abitudinari. Ma se Dio non lo incontriamo dentro di noi, non potremo mai incontrarlo fuori di noi. Il primo che dobbiamo incontrare è Cristo, è Lui l’interessato e il protagonista del nostro pellegrinaggio verso la santità. 175


2. Verificare lo stato di salute interiore/spirituale Ci dobbiamo chiedere: come sto? Facciamo una radiografia interiore: · il corpo: come sto fisicamente, · la mente: i pensieri, le aspirazioni, i sentimenti. Sto diventando capace di fare nuove tutte le cose? · il cuore: gli affetti, l’amore per Cristo, per la Vergine santa, per la propria moglie, il proprio marito, i figli, il prossimo. Sono questi i tre stadi che hanno bisogno di convertirsi a Cristo, per diventare santuario, tempio dello Spirito Santo: - una liturgia/pellegrinaggio che dobbiamo celebrare dentro noi stessi e dentro le nostre case, 176


- un pellegrinaggio che diventa un luogo di accoglienza continua/permanente, - liberarci da una mentalità utilitaristica o semplicemente devozionale del pellegrinaggio interiore per scoprire la ricchezza straordinaria dei valori spirituali. Questo pellegrinaggio è un itinerario di fede verso la perfezione delle virtù cristiane.

La tentazione più forte del pellegrino è quella di attaccarsi a se stesso e alle cose. Sono proprio queste a bloccare il nostro cammino. 177


La spiritualità della strada Signore, insegnami che la vita è un cammino, non lo sterile adeguamento a regole prefissate, né la trasgressione senza esito. Insegnami l’attenzione alle piccole cose, al passo di chi cammina con me per non fare più lungo il mio, alla parola ascoltata perché non cada nel vuoto, agli occhi di chi mi sta vicino per indovinare la gioia e dividerla, per indovinare la tristezza e avvicinarmi in punta di piedi, per cercare insieme la nuova gioia. Signore, insegnami che la mia vita è un cammino, la strada su cui si cammina insieme, nella semplicità di essere quello che si è, nella serenità dei propri limiti e peccati, nella gioia di aver ricevuto tutto da te nel tuo amore. Signore, insegnami che la mia vita è un cammino con te, Tu, sei la strada e la gioia. (Anonimo)

· L’attaccamento a se stessi si chiama superbia: è il primo dei vizi capitali, poi viene l’attaccamento al denaro e alle ricchezze. La persona superba non vive nella verità del proprio essere di creatura, ma si mette al di sopra degli altri e al posto dello stesso Dio. La superbia è falsità. 178


È necessario ripetere l’invocazione e la preghiera dal profondo del cuore e riconoscere il proprio peccato: “Signore Gesù Cristo, abbiate pietà di me”. Chi è superbo non si sente mai colpevole, si giustifica sempre e vive un conflitto interiore, non vive più in pace: non è più pellegrino. Ha perso il senso del limite e della propria insufficienza ed è diventato incapace di confessare: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato”. (salmo 50,3) Il pellegrino umile cammina sempre e come si esprime Sant’Agostino: “canta e cammina”: acquista la capacità del silenzio interiore e della contemplazione. 3. Il pellegrino nella “Lettera a Diogneto” Un autore del secondo secolo, traccia la spiritualità del cristiano: vive nel mondo senza essere del mondo. Nella “Lettera” si legge un grande insegnamento anche per i cristiani di oggi: “I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per costumi. Non abitano città proprie, né usano un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita. 179


Ma, pur vivendo in città greche o barbare, come a ciascuno è toccato, e uniformandosi alle abitudini del luogo nel vestito, nel vitto e in tutto il resto, danno l’esempio di una vita sociale mirabile, o meglio, come tutti dicono, paradossale. Abitano nella propria patria, ma come pellegrini; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono staccati come stranieri; ogni nazione è la loro patria e ogni patria è una nazione straniera. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Per dire tutto in breve: i cristiani sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo. L’anima è diffusa in tutte le membra; e i cristiani abitano in tutte le città della terra. L’anima, pur abitando nel corpo, non è del corpo; e i cristiani, pur abitando nel mondo, non sono del mondo”. Tutti siamo “stranieri e pellegrini”, perciò siamo alla ricerca di una patria, dove potremo vivere “in pienezza” la visione di Dio. Progressivamente stiamo maturando una convinzione interiore/pratica affinché impariamo a fare questo pellegrinaggio “insieme”, sostenendoci reciprocamente, - mai l’uno senza l’altro, - o l’uno contro l’altro 180


perché camminiamo verso una stessa mèta, la Gerusalemme celeste. L’entusiasmo del cammino non deve venir meno, ma sempre ci teniamo in allenamento: “Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,12-14). 4. Il pellegrinaggio interiore è un itinerario di fede Il pellegrinaggio nasce naturalmente dal cuore dell’uomo in quanto è un instancabile ricercatore di Dio. Il credente ama il pellegrinaggio perché è bisognoso di consolazione, di forza, di pace: si mette in cammino con il peso della vita, spinto da una voce interiore, perché sente il bisogno di purificazione e di un cambiamento radicale. La metafora dell’uomo è quella di un essere in continuo pellegrinaggio interiore. La fede ci fa riconoscere la grandezza di Dio per lodarlo e ringraziarlo secondo l’invito di San Leone Magno (461): 181


“Destati, o uomo, e riconosci la dignità della tua natura. Ricordati che sei stato creato ad immagine di Dio; che, se questa somiglianza si è deformata in Adamo, è stata tuttavia restaurata in Cristo. Delle creature visibili sèrviti in modo conveniente, come ti servi della terra, del mare, del cielo, dell’aria, delle sorgenti, dei fiumi. Quanto di bello e di meraviglioso trovi in essi, indirizzalo a lode e a gloria del Creatore. Vogliamo solo esortare perché sappiate servirvi di ogni creatura e di tutta la bellezza di questo mondo in modo saggio ed equilibrato”. (San Leone Magno, dai Discorsi, 7,6)

Nella propria vita si ripete l’esperienza vissuta dai due discepoli di Emmaus: tristi, delusi e confusi camminavano verso casa. Qui avviene l’incontro decisivo con la Parola e con il gesto di comunione di Cristo che li converte e li trasforma interiormente e li fa diventare dei modelli di annuncio e di testimonianza. Il pellegrinaggio è un evento di “grazia” che ci fa incontrare Cristo “via, verità e vita” (Gv 13,6). Il pellegrinaggio interiore, nella fede, vive l’esperienza permanente della preghiera, secondo quanto insegna Sant’Ambrogio:

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“Parla per strada, per non essere mai ozioso. Tu parli per strada se parli secondo Cristo, perché Cristo è la via. In cammino parla a te stesso, parla a Cristo”. (S. Ambrogio, Commento sui salmi, salmo 36)

La fede è la via/guida per incontrare Cristo che ci fa camminare e ci apre gli occhi per vedere: è quanto ha vissuto Sant’Agostino dopo un lungo cammino ed un travaglio interiore, è giunto a trovare la via che è Cristo. Questo incontro lo ha vissuto e lo ha testimoniato con la sua vita e con i suoi scritti: “Tu cerchi la via? Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: “Io sono”, disse, “la via”. La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. Prima ti indica la via da prendere, poi il termine dove vuoi arrivare. “Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita”. Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via. Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita: non ti viene detto questo. Pigro, alzati. 183


La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina. Forse tu cerchi di camminare, ma non puoi perché ti dolgono i piedi. Per qual motivo ti dolgono? Perché hanno dovuto percorrere i duri sentieri imposti dai tuoi tirannici egoismi? Ma il Verbo di Dio ha guarito anche gli zoppi. Ebbene, sappi che Egli ha illuminato perfino i ciechi” (Sant’Agostino, Trattati su Giovanni, 34,9).

La fede è la nostra guida:

La fede per non smarrire la “via”. Le tentazioni contro la fede. 184


Vivere la fede nella prova. Ci si può trovare di fronte a molti incroci di vie anche nel nostro spirito che possono diventare delle vere tentazioni per il nostro cammino di fede: - hanno lo scopo di creare confusione, - vogliono disorientare, - mettersi in concorrenza lasciandoci sedurre da altre proposte, - evitare evasioni o fughe in avanti, - arroccarsi nell’intimismo o nel privato, - girovagare nel vuoto, - ricercare la pura soddisfazione personale, - senza avere riferimento alla Chiesa. Il crocevia/tentazione è un luogo di passaggio, non il fine del viaggiare: bisogna andare oltre, però rimane anche il rischio di smarrire la via. La fede è un’ opportunità per capire la direzione da seguire ed anche luogo di attesa dei fratelli per viaggiare insieme. Per compiere questo itinerario interiore ci fanno luce le sapienti indicazioni di Sant’Ilario: “Molte sono le vie del Signore, benché egli stesso sia la via. Ma quando parla di se stesso si chiama via, dando anche la ragione per cui si chiami così: “Nessuno”, dice, viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6).

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Nel suo pellegrinaggio terreno, l’uomo è sempre alla ricerca della propria identità. Il vero dramma dell’uomo sta nel profondo del cuore dove sembra che a volte voglia custodire e a volte sembra voglia liberarsi della sua inquietudine. È incapace di stare tranquillo. Sempre alla ricerca di risposte sul proprio destino e rimane con tutte le sue incertezze. Nella sua ricerca c’è stata una evoluzione storica e di atteggiamenti, è diventato: · pellegrino: bisognoso di redenzione ed in cerca di purificazione, · esploratore: si è messo alla ricerca di nuovi orizzonti, · viaggiatore: per scoprire nuove culture, · vagabondo: un viaggiare senza meta. La bisaccia del cercatore Se io fossi un contemporaneo di Gesù, se fossi uno degli Undici ai quali Gesù, nel giorno dell’Ascensione, ha detto: “Lo Spirito Santo verrà su di voi e riceverete da Lui la forza per essermi miei testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, la Samaria e fino all’estremità della terra” (Atti 1,8), nell’atto di congedarmi dai fratelli, sapete che cosa avrei preso con me? innanzitutto il bastone del pellegrino 186


e poi la bisaccia del cercatore e nella bisaccia metterei queste cinque cose: un ciottolo del lago; un ciuffo d’erba del monte; un frustolo di pane, magari di quello avanzato nelle dodici sporte nel giorno del miracolo; una scheggia della croce; un calcinaccio del sepolcro vuoto. E me ne andrei così per le strade del mondo, col carico di questi simboli intensi, non tanto come souvenir della mia esperienza con Cristo, quanto come segnalatori di un rapporto nuovo da instaurare con tutti gli abitanti, non solo della Giudea e della Samaria, non solo dell’Europa, ma di tutto il mondo: fino agli estremi confini della terra. Ecco, io prenderei queste cose. Ma anche il credente che voglia obbedire al comando missionario di Gesù dovrebbe prendere con sé queste stesse cose. (Tonino Bello)

Bisogna dunque porsi il problema delle molte vie possibili e ponderare molti elementi perché, edotti da molte ragioni, possiamo trovare quell’unica via eterna che fa per noi.

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Vi sono infatti vie nella legge, vie nei profeti, vie nei vangeli, vie negli apostoli, vie anche nelle diverse opere dei maestri. Beati coloro che camminano in esse col timore di Dio”. (Sant’Ilario, Trattati sui salmi, 127,1-3)

Il cristiano vive in stato di pellegrinaggio sempre guidato dalla fede: “Io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai cattivi desideri della carne, che fanno guerra all’anima” (1Pt 2,11). Abbiamo una dimora temporanea. “Comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri” (1Pt 1,17). 5. La spiritualità del pellegrino vissuta nella “fragilità” La fragilità è una caratteristica dell’esistenza di ogni essere umano e tutti la devono vivere. La fragilità va riconosciuta ed accettata e rivela la vera identità dell’uomo. In alcune situazioni, la fragilità fa sentire in modo più forte il suo peso. Il culmine della fragilità è la morte, ultima tappa della nostra esistenza e del nostro pellegrinaggio terreno.

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Etimologia. Fragilità deriva dal latino “fràngere”: · significa “rompere”, indica qualcosa che può spezzarsi, che non ha resistenza. La fragilità del vetro o di un cristallo: basta poco perché veda in frantumi. · significa anche “delicato”, cioè esige cura, attenzione come il fiore. Basta un colpo di vento che si stacca, perde il profumo e muore. È necessario accogliere la fragilità e imparare a viverla, in tal modo da comprenderla negli altri. “La vera bellezza della vita umana, comprende la sua fragilità”: non è la negazione della bellezza di vivere. La fragilità ci tocca tutti: allora quando ci avviciniamo ad una persona che sta vivendo una fragilità, in lui possiamo riconoscere qualcosa che appartiene anche a noi stessi. Oggi l’esperienza della fragilità è temuta e si cerca sempre di nasconderla.

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È sempre presente la tentazione di mascherare le proprie debolezze e mettere in risalto soltanto i pregi per acquistare maggior stima dagli altri. Per vivere la vera spiritualità, il pellegrino deve imparare a convivere con la propria fragilità. Il pellegrino cammina sempre accompagnato dai propri limiti, così può scoprire, lungo il percorso, le meraviglie da cui siamo circondati: persone e cose.

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Fragilità a motivo della malattia, o condizioni di vita divenute difficili e, per questo, siamo più esposti a peccare, a sbagliare. La nostra fragilità ci rende capaci di vivere l’esperienza del buon samaritano: essere consolatori ed essere consolati. Non è possibile annullare la nostra fragilità, perché ci rende capaci di comprensione e di solidarietà con gli altri: la fragilità del pane spezzato nell’Eucaristia ci accompagna ogni giorno, ci sostiene e ci guarisce per una donazione gratuita e generosa senza condizioni e riserve. Il credente deve parlare della “forza della fragilità” e scoprirne il valore dentro di sé.

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Il contrario di fragile è “resistente”, “potente” come gli oggetti di acciaio, le rocce della montagna. La cultura contemporanea afferma il diritto di esistenza solo per ciò che è forte, veloce, vincente. La potenza distrugge l’uomo nella sua identità. I “grandi” vincono sempre, però il potente non sa amare, è schiavo di sé e fa paura, è incapace di camminare, perché gira solo attorno a se stesso, al proprio egoismo. La potenza distrugge, mentre la fragilità rifà l’uomo e ci fa capire che “abbiamo sempre bisogno degli altri”. La fragilità vissuta da Gesù: Egli ha subìto l’incomprensione, l’incredulità, il rifiuto, l’abbandono, il tradimento, la solitudine, da quelli che Lui aveva scelto. - Anche Gesù è vissuto nella fragilità dalla nascita, durante le tentazioni nel deserto, alla sua morte in croce: manifesta la sua debolezza e povertà. - Cristo rivestito di debolezza, si è fatto peccato per salvarci. Il suo camminare veloce, si rallenta al momento della passione, fino a fermarsi. La fragilità con le persone che incontra: - Gesù tocca, guarisce, impone le mani, mangia con i peccatori, piange la morte di Lazzaro. - L’esperienza della Pasqua ci insegna che ha scelto la via della debolezza. 192


Nella debolezza lo Spirito manifesta la sua potenza. “Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9). La Chiesa si prende cura dell’uomo che manifesta la sua debolezza nel portare la croce: - “ri-conosce”: la fragilità, la malattia, la disabilità, - “con-sola”: fa sentire meno soli, - “con-forta”: rende più forti.

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La fragilità ci dà un insegnamento: la fragilità ci aiuta ad uscire dalla nostra autosufficienza, dal nostro egoismo per farsi carico della sofferenza degli altri. Anche attraverso la nostra fragilità possiamo portare dei frutti abbondanti. “Ed egli mi ha detto: “Ti basta le mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2Cor 12,9.) 6. La durata di questo pellegrinaggio Questo pellegrinaggio dura tutta la vita. Abbiamo la possibilità e la responsabilità: - per verificare la nostra gioia di amarci, - per renderci conto della testimonianza umile e discreta, - per acquisire la forza dell’annuncio e per una autentica evangelizzazione che comunica una presenza: Gesù Cristo, - per la capacità dell’incontro nella preghiera che trasforma tutte le realtà negative e le incomprensioni. Fino al traguardo finale, l’ultimo pellegrinaggio: “Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore” (salmo 121).

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“Anche colui che non ha mai fatto un pellegrinaggio nei Santuari, può incontrare Gesù Cristo che abita nel santuario del suo cuore”. (Santa Teresina di Gesù Bambino)

L’autosufficienza blocca il nostro pellegrinaggio, perché tutti siamo sempre bisognosi di essere aiutati. Il pellegrinaggio nella fede esige sempre fatica e sacrificio. Il pellegrinaggio ha un senso profetico: uscire dalle proprie abitudini ogni giorno per ascoltare l’invito dell’Apostolo Paolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente” (Rm 12,2). Il pellegrinaggio è stato sempre un’espressione dell’ascesa: salire con la mente e con il cuore a Dio. Ogni uomo è chiamato ed ha la vocazione per compiere questo pellegrinaggio. 195


L’ uomo è essenzialmente homo viator: è la vocazione di ogni uomo. Anche Gesù è sempre in cammino senza avere un luogo dove posare il capo. Lungo questo percorso sempre s’incontrano persone capaci di cambiarci la vita: · ci sono storie di grandi sofferenze, di disperazioni, di stanchezze, s’incontrano persone che non hanno più la forza di vivere e di portare la croce, · ma s’incontrano molte persone che possiedono una ricchezza interiore unica. Il nostro pellegrinaggio può e deve trasformarsi in una testimonianza evangelica e diventare una esperienza di storia di salvezza.

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CAPITOLO NONO PRIMA PARTE: SUGGERIMENTI E PROPOSTE 1. La vita è una strada da percorrere PARTIRE Da quando si nasce sempre bisogna partire. Uscire dal presente, protendersi verso l’avvenire, CAMMINARE Non ci si può fermare nella vita perché l’esistenza prosegue. L’importante è camminare sempre sulla strada, anche se faticosa. VERSO LA META La vita invoca una meta, pena l’apatia, la disperazione, il fallimento. Il futuro è davanti a noi, invita a camminare con speranza. Cristo ti si presenta nella vita come Colui che ti lancia in questa meravigliosa avventura, ti fa partire. È il tuo cammino, la tua meta.

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Cristo: via, verità, vita. Il cammino del cristiano: un incontro con Cristo. Dallo sconforto alla gioia, dalla paura al coraggio, dalla sordità all’ascolto, dalla cecità al riconoscimento, dalla fuga alla testimonianza. (anonimo) 2. Il decalogo del pellegrino 1. Mettiti di fronte a Dio e rinnova il tuo atto di fede in Lui. 2. Cerca e riconosci la “grazia” del pellegrinaggio. 3. Converti il tuo cuore al dono della misericordia. 4. Rinnova la tua piena adesione alla Chiesa. 5. Medita e contempla le meraviglie di Dio e del creato. 6. Cammina con umiltà sulle strade del mondo e della storia. 7. Conforma il tuo spirito sulla sequela di Gesù Cristo. 8. Vivi il tempo della tua vita come se fosse sempre “l’ultimo tempo”. 9. Apriti alla condivisione con i poveri attraverso gesti concreti. 10. Impegna tutto te stesso per costruire la “civiltà dell’amore”. 198


3. Le tentazioni del pellegrino 1. Seguire gli altri senza responsabilità personale: è disimpegno. 2. Non diventare uno dei “viaggiatori solitari”: camminare sempre da soli, senza aiutare gli altri e senza lasciarsi aiutare dagli altri. 3. La tentazione di prendere una “scorciatoia”, di cambiare strada: quando lungo la strada incontriamo il fratello “ferito-nudo-abbandonato”. 4. La tentazione di voler camminare carichi di “cose e cose” che ci danno sicurezza; incapaci di partire con un bagaglio “leggero”, vivendo delle apparenze: non per quello che si è, ma per quello che si ha. 5. La tentazione di abbandonare l’impresa quando si presentano le difficoltà: di far marcia indietro quando le cose diventano difficili e non vanno secondo i nostri calcoli. 6. La tentazione dell’attivismo, la fretta del “subito” senza fare spazio per il silenzio, senza un momento di preghiera e senza il tempo di “fermarti”. 7. La tentazione dell’indecisione: non sapere cosa scegliere, dove andare, quale “strada o vocazione” seguire… perché bisogna lasciare altre cose. 8. La tentazione di voler camminare “senza Dio”, senza sentire e accettare il bisogno che si ha di Lui, contando solo sul nostro “pane”. 199


9. La tentazione di desiderare che Dio faccia tutto, o quasi tutto, per noi e al nostro posto. 10. La tentazione di restare come si è, del non lottare, di essere qualcosa in più, per arrivare dove Dio ci vuole. 4. Per superare/vincere le tentazioni del pellegrino 1) Il pellegrino ha sempre delle croci da portare, per questo deve fidarsi di Dio perciò non deve portare con sé troppe cose. 2) Il pellegrino è sempre proteso in avanti, senza mai guardare indietro. 3) Abbandonare la paura, lasciare la fretta e coltivare il silenzio. 4) Lasciare alcune cose per abbracciarne delle altre, in modo da scoprire le meraviglie che Dio compie in noi e attorno a noi. 5) Lottare contro se stesso per realizzare la conversione e per accogliere la presenza di Dio. 5. Il pellegrinaggio si esprime in tre momenti essenziali 1° - il cammino La decisione di mettersi in viaggio verso una meta particolare, 200


per raggiungere degli obiettivi spirituali, per interiorizzare la grazia in questo cammino di fede. 2° - la celebrazione Nel Santuario si compiono atti di carattere penitenziale, sacramentale e liturgico, nel silenzio e nella preghiera personale e comunitaria. 3° - il commiato Vanno progettati dei segni da realizzare nel dopo-pellegrinaggio: propositi di bene e di testimonianza. 6. L’impegno del pellegrino nella vita di ogni giorno Ogni pellegrino quotidianamente compie un viaggio per cambiare il proprio modo di guardare la vita; si tratta di un’esperienza spirituale perché è coinvolto in tutta la sua persona: corpo-mente-spirito-anima. Alcuni momenti di esperienza: 1. Distacco Esci dalla tua vita quotidiana per diventare pellegrino in una realtà diversa. 201


Nello zaino porta solo l’essenziale. 2. Fatica Disagio, fatica, incertezza: sono gli accessori del pellegrinaggio. Ci vuole pazienza, ma nella fatica emerge la verità di te, il meglio e il peggio. Nel cammino scopri chi sei. 3. Solitudine Ritorna in te, nella solitudine. Il lavoro interiore è essenziale per il cambiamento. Nel silenzio, puoi riflettere sulla meta e sulla motivazione. 4. Compagnia La compagnia è sempre inedita ed è sempre una sorpresa non programmabile. Facciamo cadere il mito dell’autosufficienza: non basti a te stesso, hai bisogno degli altri come tu sei necessario agli altri. Hai anche una compagnia “invisibile”: sono i tuoi vivi e i tuoi defunti. 5. Meraviglia Nel cammino, soffermati sulle cose che di solito vedi in velocità. Camminando, ti colpisce il creato: il sole, la pioggia, la polvere. Concediti il tempo di vedere le cose, di viverle, senza consumarle in tre secondi come fai di solito. 202


6. Tradizione I percorsi esistono da secoli e, nel pellegrinaggio, sai di non essere il primo, né l’ultimo. Avvicinati al senso profondo della strada per te, oggi. Può aiutarti il racconto di un amico che già c’è stato, un libro o un articolo sul viaggio che stai compiendo. Quindi, scrivi o racconta, a tua volta, l’esperienza che hai vissuto.

SECONDA PARTE: PREGHIERA PRIMA E DOPO IL PELLEGRINAGGIO 1. La preghiera del viandante Signore, all’alba della nostra vita noi sapevamo di appartenere soltanto a te, volevamo camminare con passo deciso verso di te. Non sapevamo che la stella illumina differenti sentieri non sapevamo che risplende anche in acque stagnanti, non sapevamo che brillasse sui buoni e sui cattivi. Non conoscevamo le vie tortuose e impervie i vicoli ciechi e i lacci nascosti per farci cadere le strade impraticabili e i torridi deserti. 203


Non sapevamo di essere solo dei viandanti dei pellegrini a un tempo itineranti ed erranti dei nomadi in cerca di terre del cielo. Signore, concedici di partire e trovare sorgenti di non lasciarci attirare dall’acqua stagnante di non perdere il gusto dell’acqua di fonte. Resta sempre accanto a noi nel nostro cammino per sostenerci nella ricerca del tuo volto di luce per guidarci di notte con il fuoco e di giorno con la brezza. Quelli che si sono smarriti ritornino a te quelli che non ti hanno conosciuto possano incontrarti quelli che sono morti si ritrovino in te. (Comunità di Bose)

2. Preghiera Cammina, sei nato per il cammino. Cammina, hai un appuntamento. Dove? Con chi? Ancora non lo sai, forse con te stesso? Cammina, i tuoi passi saranno le tue parole, la via la tua canzone, la fatica la tua preghiera, alla fine, il tuo silenzio ti parlerĂ .

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Cammina, solo, con altri, ma esci da te stesso. Ti creavi dei rivali, troverai dei compagni; immaginavi dei nemici, ti farai dei fratelli. Cammina, sei nato per percorrere la via, quella del pellegrino. Un Altro cammina verso di te e ti cerca perché tu possa trovarlo. Al santuario, meta del cammino, al santuario, nel profondo del tuo cuore Lui è la tua Pace, Lui è la tua Gioia. Va ҆, Dio già cammina con te. 3. Prima di iniziare il pellegrinaggio Signore, io mi metto in cammino sempre per raggiungerti e incontrarti. Tutta la mia vita è un grande viaggio per scoprirti, conoscerti e amarti. Diventare tuo discepolo è lo scopo di tutto il nostro camminare nella vita. Fa’ che impari a migliorare me stesso guidato dalla Parola del tuo Vangelo. Solo così farò veramente quel pellegrinaggio che mi aiuta a diventare un vero cristiano.

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Tutto ciò che ho conosciuto e imparato, ora diventi patrimonio della mia esistenza. Perché io lo possa trasmettere con la testimonianza di una vita di fede. Preghiera iniziale del pellegrinaggio Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Dio, che salva e consola, sia con tutti voi. E con il tuo spirito. Carissimi, iniziando il nostro pellegrinaggio chiediamo al Signore che possiamo fare esperienza della presenza di Cristo e della protezione di Maria nostra madre. Possiamo rafforzarci nella vita cristiana e stimolarci alle opere di carità portando sempre nella mente e nel cuore una parola di salvezza e di gioia cristiana. · Dal Vangelo secondo Luca (24,13-16) “Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.

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Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi impediti a riconoscerlo” Parola del Signore. · breve esortazione. Preghiera dei fedeli Invochiamo con fede Dio, principio e fine di tutte le strade, diciamo insieme: Guida, Signore, il nostro cammino. 1. Padre santo, che al tuo popolo pellegrinante nel deserto ti offristi come luce e guida, veglia sui nostri passi, perché, liberi da ogni pericolo, possiamo arrivare alla mèta e tornare lieti alle nostre case, preghiamo. 2. Tu ci hai dato il tuo unico Figlio come via per giungere a te, fa’ che lo seguiamo sempre con fedeltà e perseveranza, preghiamo. 3. O Maria, Tu per mezzo dello Spirito Santo conduci a te la Chiesa pellegrina nel mondo, fa’ che cercandoti sopra ogni cosa corriamo nella via dei tuoi precetti, preghiamo.

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4. Tu ci chiami a te attraverso i sentieri della giustizia e della pace, fa’ che al termine della vita possiamo contemplarti nella patria beata, preghiamo. Padre nostro che sei nei cieli… Benedizione dei pellegrini Dio onnipotente e misericordioso, tu provvedi a chi ti ama e sempre e dovunque sei vicino a chi ti cerca con cuore sincero; assisti i tuoi figli nel pellegrinaggio e guida i loro passi nella tua volontà, perché, sostenuti dalla tua presenza, possano giungere alla meta desiderata. Per Cristo nostro Signore. Amen. Il Signore sia con voi. E con il tuo Spirito. · Dio nostra salvezza ci guidi nel nostro pellegrinaggio. Amen. · Il Signore ci assista e ci accompagni nel cammino. Amen. · Con l’aiuto del Signore giunga felicemente al termine questo pellegrinaggio che iniziamo nel suo nome. Amen. Nel nome del Signore andiamo in pace. Rendiamo grazie a Dio. 208


4. Prima di entrare nel Santuario · L’ultimo tratto di strada lo facciamo a piedi: silenzio meditativo e orante, · pensiamo ai doni di grazia che riceveremo entrando nel Tempio. 1. fuori del Santuario: facciamo insieme un atto penitenziale: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5,23-24). La riconciliazione è necessaria per essere accolti, per fare una vera esperienza di fede e e per incontrare una presenza. 2. nel Santuario: il pellegrinaggio di Maria verso la casa di Elisabetta: In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo.

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A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre. Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua (Lc 1,39-56).

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Gesù pellegrino nel tempio: I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieno di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo rimasero stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate ? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro (Lc 2,41-50). Il figlio prodigo: pellegrinaggio di conversione (Lc 15,11-24).

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Canto: 1) Santa Maria del cammino Mentre trascorre la vita, solo tu non sei mai: Santa Maria del cammino sempre sarà con te. Vieni, o Madre, in mezzo a noi, vieni, Maria, quaggiù: cammineremo insieme a te verso la libertà (rit). Quando qualcuno ti dice: “Nulla mai cambierà”, lotta per un mondo nuovo, lotta per la verità (rit). Quando ti senti ormai stanco e sembra inutile andare, tu vai tracciando un cammino: un altro ti seguirà (rit). 2) Il Signore è il mio pastore Il Signore è il mio pastore: nulla manca ad ogni attesa, in verdissimi prati mi pasce, mi disseta a placide acque. 212


È il ristoro dell’anima mia, in sentieri diritti mi guida per amore del santo suo nome, dietro lui mi sento sicuro. Pur se andassi per valle oscura non avrò a temere alcun male: perché sempre mi sei vicino, mi sostieni con il tuo vincastro. Quale mensa per me tu prepari sotto gli occhi dei miei nemici! E di olio mi ungi il capo: il mio calice è colmo di ebbrezza! Bontà e grazia mi sono compagne quanto dura il mio cammino; io starò nella casa di Dio lungo tutto il migrare dei giorni. Atto di affidamento a Maria Madre mia, Maria, Vergine santa affido a te il mio cuore affinché possa splendere di pace e di amore. Affido a te le mie paure e le mie sofferenze. Affido a te tutte le gioie, i sogni e le speranze. Resta con me, o Maria, affinché tu possa proteggermi da ogni male e da ogni tentazione. 213


Resta con me, o Maria, affinché non manchi mai dentro di me la forza di pregare per tutte le famiglie, per tutti i giovani e tutti gli ammalati. Madre santa, dammi il coraggio e l’umiltà di perdonare sempre. Affido a te la mia anima affinché possa diventare sempre migliore imitando le tue virtù. Amen. La pace del Signore sia sempre con tutti voi. E con il tuo Spirito. Scambiamoci un segno di pace. 5. Preghiera al termine del pellegrinaggio Nel nome del Padre... Rendiamo gloria a Dio: ringraziamolo per questo tempo passato insieme nel pellegrinaggio. Dio Padre, Signore del cielo e della terra, ha voluto che nell’umanità di Cristo abitasse la pienezza della divinità. A lui rivolgiamo la nostra preghiera.

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Diciamo insieme: Benedici il tuo popolo, Signore. 1. Padre santo, tu hai prefigurato nel cammino dell’esodo la via della salvezza per il tuo popolo, fa’ che rientrando nella vita quotidiana, aderiamo a te con cuore aperto e animo generoso, preghiamo. 2. Signore, Tu hai costituito la Chiesa come tuo santuario, perché irradi nel mondo la luce vera, fa’ che le moltitudini affluiscano a lei da ogni parte della terra per camminare nelle tue vie, preghiamo. 3. Signore, Tu ci ricordi che non è qui la nostra città permanente, fa’ che tendiamo costantemente alla patria futura, preghiamo. 4. Signore, Tu ci aiuti a discernere in ogni fase del cammino i segni della tua presenza, fa’ che sentiamo accanto a noi il tuo Figlio lungo la via e lo riconosciamo alla mensa nello spezzare il pane, preghiamo. Padre nostro che sei nei cieli….

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Il Signore sia con voi. E con il tuo Spirito. · Il Signore del cielo e della terra, che vi ha accompagnato in questo pellegrinaggio, vi custodisca sempre con la sua protezione. Amen. · Dio, Padre di misericordia, che in Cristo Gesù ha riunito i figli dispersi, vi conceda di essere in lui un cuore solo e un’anima sola. Amen. · Dio, che nel suo provvidenziale disegno attua in voi il volere e l’operare, vi benedica e vi confermi con il suo Santo Spirito. Amen. E la benedizione onnipotente Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen. Andiamo in pace. Rendiamo grazie a Dio. “Il pellegrinaggio” “Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso rimanere fermi” (Roberto Benigni)

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“Ho camminato sulla lunga strada per la libertà. Ho cercato di non barcollare; ho fatto passi falsi lungo il cammino. Ma ho imparato che solo dopo aver scalato una grande collina, uno scopre che ci sono molte altre colline da scalare. Mi sono preso un momento per ammirare il panorama glorioso che mi circondava, per dare un’occhiata da dove era venuto. Ma posso riposarmi solo un momento, perché con la libertà arrivano le responsabilità e non voglio indugiare, il mio lungo cammino non è finito”. (Nelson Mandela)

“Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di camminare uniti come fratelli”. (Martin Luther King)

“La vita è un cammino. Nessuno di noi sa quanto durerà la propria vita, ma è un cammino… Non si può vivere la propria vita stando fermi. La vita è per camminare, per fare qualcosa, per andare avanti, per costruire un’amicizia sociale, una società giusta, per proclamare il vangelo di Gesù”. (Papa Francesco)

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INDICE

Premessa, Mons. Gervasio Gestori Presentazione, Mons. Michele Castoro Introduzione, Diego Musso CAPITOLO PRIMO Che cos'è il pellegrinaggio 1. Il pellegrinaggio è un evento ecclesiale 2. Il pellegrinaggio è una piccola Chiesa in cammino 3. Il pellegrinaggio è una profezia nata dalla base e suscitata dallo Spirito CAPITOLO SECONDO Dio chiama Abramo per farlo diventare “pellegrino” 1. La prima chiamata: lasciare/abbandonare la propria terra 2. La seconda chiamata: offrire un olocausto sul monte CAPITOLO TERZO Mosè e il popolo d’Israele “Pellegrini” nel deserto 1. Mosè guida il popolo attraverso il deserto 220

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2. Il lungo e difficile pellegrinaggio della libertà 3. Mosè verso il Sinai 4. Termina il pellegrinaggio di Mosè CAPITOLO QUARTO Gesù pellegrino/straniero per incontrare gli uomini 1. Nei suoi pellegrinaggi Gesù annuncia e realizza la salvezza a) Al monte Tabor si compie l’esperienza di gioiae di contemplazione: b) Al pozzo di Giacobbe: Gesù pellegrino, stanco ed assetato 2. Emmaus: modello di ogni pellegrinaggio Preghiamo con i due discepoli di Emmaus Resta con noi, Signore CAPITOLO QUINTO La Vergine Maria: donna sempre in cammino 1. Pellegrinaggio di Maria verso Betlemme 2. Viaggio al tempio e incontro con il vecchio Simeone 3. Gesù ritrovato nel Tempio 4. Pellegrinaggio alla casa di Elisabetta 5. Salita al Calvario 221

50 54 57

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CAPITOLO SESTO Il pellegrinaggio nel medioevo 1. Il vestito e la benedizione dei pellegrini 2. Il testamento del pellegrino 3. Luoghi di accoglienza e di ristoro dei pellegrini 4. Il ritorno, le memorie e le testimonianze del viaggio CAPITOLO SETTIMO La Chiesa: nuovo Israele pellegrinante 1. Il pellegrinaggio e la missione/vocazione della Chiesa 2. La Chiesa nel pellegrinaggio insegna e vive la testimonianza e la provvisorietà 3. L’Eucaristia: la forza del pellegrino 4. La Chiesa conduce gli uomini alla Gerusalemme celeste CAPITOLO OTTAVO Il pellegrinaggio più difficile: la spiritualità del pellegrino 1. Cosa bisogna lasciare/abbandonare 2. Verificare lo stato di salute interiore/spirituale

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3. Il pellegrino nella “Lettera a Diogneto” 4. Il pellegrinaggio interiore è un itinerario di fede 5. La spiritualità del pellegrino vissuta nella “fragilità” 6. La durata di questo pellegrinaggio CAPITOLO NONO PRIMA PARTE Suggerimenti e proposte 1. La vita è una strada da percorrere 2. Il decalogo del pellegrino 3. Le tentazioni del pellegrino 4. Per superare/vincere le tentazioni del pellegrino 5. Il pellegrinaggio si esprime in tre momenti essenziali 6. L’impegno del pellegrino nella vita di ogni giorno SECONDA PARTE Preghiera prima e dopo il pellegrinaggio 1. La preghiera del viandante 2. Preghiera 3. Prima di iniziare il pellegrinaggio 4. Prima di entrare nel Santuario 5. Preghiera al termine del pellegrinaggio 223

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